ATTO CAMERA

INTERROGAZIONE A RISPOSTA IN COMMISSIONE 5/08637

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 16
Seduta di annuncio: 732 del 11/12/2012
Ex numero atto
Precedente numero assegnato: 4/17750
Firmatari
Primo firmatario: TOTO DANIELE
Gruppo: FUTURO E LIBERTA' PER IL TERZO POLO
Data firma: 11/12/2012


Commissione assegnataria
Commissione: II COMMISSIONE (GIUSTIZIA)
Destinatari
Ministero destinatario:
  • MINISTERO DELLA GIUSTIZIA
Attuale delegato a rispondere: MINISTERO DELLA GIUSTIZIA delegato in data 11/12/2012
Stato iter:
IN CORSO
Fasi iter:

MODIFICATO PER COMMISSIONE ASSEGNATARIA IL 11/12/2012

Atto Camera

Interrogazione a risposta in Commissione 5-08637
presentata da
DANIELE TOTO
martedì 11 dicembre 2012, seduta n.732

TOTO. -
Al Ministro della giustizia.
- Per sapere - premesso che:

con ordinanza eseguita in data 23 novembre 2009, veniva disposta la custodia cautelare in carcere di Mileti Italo, nell'ambito di un'operazione investigativamente denominata «Ground Zero» rubricata al r.g. 7195/09 della procura della Repubblica di Pescara;

l'interrogatorio di garanzia del Mileti, unitamente a quello di altro coindagato, veniva disposto per il successivo 25 novembre 2009. In occasione del primo interrogatorio, relativo a coindagato, il giudice per le indagini preliminari, in persona del dottor Luca de Ninis, avrebbe rappresentato al difensore, avvocato Giuseppe Cichella, di versare in una posizione di «potenziale indagato, per eventuali valutazioni sull'opportunità dell'esercizio della difesa». A tale deduzione, il legale avrebbe ribattuto di non aver mai saputo che si potesse essere «potenziali indagati» sollecitando il giudice a un'immediata verifica della personale compatibilità del legale con l'ufficio di difensore, significando che, in assenza di alcuna determinazione ricognitiva della medesima, avrebbe proceduto oltre nell'interrogatorio a salvaguardia dello status libertatis del suo cliente indagato;

terminato l'atto, si sarebbe dovuto dare ingresso, come da provvedimento del gip, al secondo interrogatorio, relativo al Mileti, e, tuttavia, con giustificazioni estemporanee, di improvvisa stanchezza lamentata dal pubblico ministero, dottor Gennaro Varone, e di indisponibilità asserita dal gip di disporre rinvii ad horas, a motivo dei propri impegni d'ufficio, se ne disponeva lo slittamento al giorno successivo, essendo testi, tutti presenti all'incombente istruttorio: l'avvocato Luca Francano, codifensore; la dottoressa Lucia Porro, cancelliera; i dottori Raffaella Latorraca e Mauro Leo Tenaglia, uditori giudiziari;

sulla scorta di detto inopinato rinvio, l'avvocato Cichella chiedeva di poter conferire con il proprio assistito, Mileti Italo, in vista dell'incombente del giorno successivo. Il colloquio, svoltosi all'interno dell'apposito locale, fu integralmente captato mediante apparecchi per la cosiddetta «intercettazione ambientale»;

il mattino del giorno seguente, il giudice per le indagini preliminari, dottor Luca de Ninis, negli atti prodromici al raccoglimento dell'interrogatorio, reiterava l'invito all'avvocato Cichella a riflettere sulla propria posizione di «potenziale indagato» per eventuali valutazioni sull'opportunità dell'esercizio della difesa. Ancora una volta, l'avvocato dichiarava di sconoscere la qualità di «potenziale indagato» e chiedeva formalmente al pubblico ministero e al giudice per le indagini preliminari stesso se vi fosse una iscrizione a suo carico, circostanza determinante ai fini della prosecuzione o interruzione del proprio mandato difensivo, dovendosi, viceversa, ritenere potiore l'obbligo legale, oltreché deontologico, ad esercitare la difesa, la cui inottemperanza è, peraltro, sanzionata dall'articolo 105 del codice di procedura penale, di non abbandonare immotivatamente la difesa. Espressamente chiedeva, altresì, al giudice per le indagini preliminari di segnalare eventuali ragioni di incompatibilità non solo rispetto a quelle previste dall'articolo 106 del codice di procedura penale ma, tout court, per l'eventuale acquisizione in capo allo stesso difensore della qualità di indagato nel medesimo procedimento, circostanza che avrebbe determinato il venir meno delle condizioni per l'esercizio dell'ufficio difensivo. Il giudice, disponeva senz'altro indugio di procedere oltre essendo presenti all'incombente istruttorio tutti i medesimi testi più sopra nominati;

di particolare rilevanza fu che, nel corso del colloquio difensivo ascoltato dall'autorità giudiziaria, immediatamente prima dell'interrogatorio di garanzia, e nella predisposizione della strategia difensiva, il Mileti accennava a più riprese a un'operazione di natura assicurativa, in particolare con il noto broker Mediass spa, nella quale un qualche ruolo avrebbe avuto anche uno dei soggetti menzionati nel provvedimento di custodia cautelare, il dottor Enzo Mancinelli. Di fatto, sulla base di tali affermazioni, la procura della Repubblica avrebbe formulato un secondo capo di imputazione a carico, tra l'altro del Mileti, sull'ipotesi di una presunta corruzione avente come protagonisti il soggetto testé menzionato e lo stesso Mileti;

per opportuna puntualizzazione, è da evidenziare che per detta seconda ipotesi di reato sarebbe stato richiesto il rinvio a giudizio del Mileti e del suo stesso difensore sulla scorta, giustappunto, delle risultanze delle intercettazioni ambientali che li avevano riguardati. Il giudice dell'udienza preliminare, al contrario, non ravvisò alcuna ipotesi di reato nella condotta di entrambi, assolvendo il secondo e prosciogliendo il primo, in assenza di conforme previsione normativa al riguardo;

appare evidente, a parere dell'interrogante, l'impegno profuso, in particolare dal pubblico ministero titolare dell'inchiesta, nel porre in atto iniziative, nel caso di specie le intercettazioni dei colloqui con il difensore inerenti alla predisposizione proprio dell'interrogatorio di garanzia, idonee a privare il Mileti del diritto alla difesa costituzionalmente sancito e tutelato: «La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento» (articolo 24, comma 2, della Costituzione). Il profilo censurabile della condotta del magistrato è reso ancor più consistente, a giudizio dell'interrogante, dalla strumentalità dell'iniziativa investigativa, tesa ad aggravare la posizione pre-processuale, evidentemente funzionale alla necessità, da un lato, di supportare una vicenda giudiziaria che, non solo all'apprezzamento dell'interrogante ma all'occhio dell'opinione più diffusa, apparve dall'immediato sproporzionata nel clamore e negli effetti provocati, come, i successivi sviluppi processuali avrebbero confermato, cristallizzandone la sostanziale implausibilità e, dall'altro lato, di giustificare il puntuale, ostinato rigetto di ogni istanza di revoca o attenuazione di misure cautelari esorbitanti, a giudizio dell'interrogante, rispetto alle effettive esigenze cautelari;

i connotati della condotta del pm, pertanto, appaiono, a parere dell'interrogante, idonei ad integrare la fattispecie dell'illecito rubricato quale abuso di ufficio e sanzionato dall'articolo 323 del codice penale che testualmente dispone: «1. Salvo che il fatto non costituisca un più grave reato, il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di norme di legge o di regolamento, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.
2. La pena è aumentata nei casi in cui il vantaggio o il danno hanno un carattere di rilevante gravità»;

a parere dell'interrogante, appare indubbia la sussistenza di entrambi gli elementi integrativi della fattispecie, giacché la violazione della legge è rinvenibile, intanto, nella violazione reiterata dell'articolo 24 della Costituzione che sancisce il principio dell'inviolabilità «in ogni stato e grado del procedimento» del diritto alla difesa. Il principio appare de plano violato, da qualunque punto di disamina lo si riguardi, nella circostanza in rilievo essendo stati violati i presidii di quel principio, ossia le coerenti disposizioni di legge volte a sostanziarlo, in particolare, per quel che rileva in argomento, intanto quelle di cui all'articolo 96 del codice di procedura penale sul diritto, incomprimibile, alla nomina di un difensore di fiducia da parte dell'indagato; poi, quelle altre relative ai «colloqui del difensore con l'imputato in custodia cautelare», di cui all'articolo 104 del codice di procedura penale. Se, infatti, il colloquio tra il Mileti e l'avvocato Cichella fu un colloquio tra indagato e suo difensore, quell'intercettazione oggetto del presente atto di sindacato non poteva che essere lesiva del diritto costituzionale «inviolabile» alla difesa. Se, diversamente, fosse stato vero, ma non lo era, che il colloquio tra gli stessi due soggetti verteva solo «...formalmente in tema di colloqui difensivi ma, in realtà, in materia di colloqui tra indagati; favoriti dalla qualifica di avvocato di uno di essi...», come asserito dal magistrato di cui si tratta nel decreto di autorizzazione alle intercettazioni telefoniche, allora emerge, di tutta evidenza, sempre a parere dell'interrogante, la consapevolezza, da parte di quel pubblico ministero, che il Mileti fosse, nella circostanza data, privo di assistenza legale; che lo stesso avvocato Cichella fosse privo di titolo per conferire con lui e che egli stesse arrecando, per logica conseguenza, un danno ingiusto all'indagato. Alla stregua di siffatte considerazioni, è tautologico concludere a giudizio dell'interrogante che il rispetto del diritto del Mileti alla difesa, e l'ossequio al relativo principio costituzionale, che, ovviamente, attiene anche alla fase di predisposizione dell'interrogatorio di garanzia, fosse stato, inopinatamente e gravissimamente, misconosciuto e conculcato nella circostanza riferita. L'intenzionalità del danno consiste nella volontaria, preordinata e deliberata volontà, a parere dell'interrogante, di porre in essere non consentiti artifizi, finalizzati a ottenere elementi ulteriori di accusa, in violazione delle norme che sanciscono l'inviolabilità del diritto di difesa, anche mediante la strumentale rappresentazione di sopravvenute ragioni di rinvio dell'interrogatorio del Mileti, in realtà indispensabili per dare luogo alla sistemazione dei congegni di captazione all'interno del locale nel quale doveva svolgersi il colloquio difensivo. Il danno ingiusto risiede nell'artificiosa creazione di un aggravato quadro indiziario a carico del Mileti, che si sarebbe sostanziato in un considerevole ampliamento della sua detenzione, alimentata da pervicaci rigetti delle numerose istanze di rimessione in libertà che, altrimenti, sarebbero stati difficilmente motivabili. Ancora, fu violato il diritto riconosciuto alla persona sottoposta alle indagini dall'articolo 64 c.p.p, che dispone sia essa avvertita, prima che abbia inizio l'interrogatorio, che: «b) salvo quanto disposto dall'articolo 66, comma 1, ha facoltà di non rispondere ad alcuna domanda...». È d'uopo chiedersi come possa conciliarsi questo diritto con un interrogatorio nel quale l'autorità giudiziaria era in realtà del tutto avvertita delle risposte che il Mileti avrebbe fornito, avendone, a parere dell'interrogante arbitrariamente, captato le confessioni al difensore anteriormente all'atto. È conferente, inoltre, la sottolineatura della violazione, che ad avviso dell'interrogante si appalesa nella vicenda data, dell'articolo 271 del codice di procedura penale che inibisce l'utilizzo dei risultati di intercettazioni eseguite al di fuori dei casi consentiti dalla legge e le intercettazioni relative a conversazioni o comunicazioni degli avvocati, tra altri soggetti;

inaccettabile e gravissimo appare, nella vicenda de qua, che l'ufficio del pubblico ministero non si peritò, neppure in via residuale, di giustificare la negligenza del diritto alla difesa del Mileti tanto da neppure giustificare la supposta e pretesa caducazione, nel caso di specie, delle guarentigie di cui all'articolo 103 del codice di procedura penale, in materia di divieto di intercettazione delle conversazioni o comunicazioni dei difensori, in relazione ai diritti pregnanti e in rilievo, per dettato costituzionale, dell'indagato, oltretutto assoggettato alla misura della custodia cautelare in carcere ma di quelli, inconferenti e irrilevanti del legale. Appare dunque stravolto, nel citato decreto di autorizzazione alle intercettazioni telefoniche, il principio per il quale la garanzia di cui al richiamato articolo 103 c.p.p. concerne l'indagato ed è, esattamente, espressione di quell'insopprimibile e incomprimibile diritto alla difesa costituzionalmente sancito e, nella circostanza, drammaticamente pretermesso. Lo stravolgimento consiste nell'argomentare, alla stregua di garanzia che assisterebbe il difensore, che essa s'intenderebbe esclusa allorquando il difensore medesimo sia egli stesso indagato, tesi peraltro che, chiosando per incidens, neppure appare condivisibile -:

se il Ministro non ritenga, esaminati i fatti riferiti e svolta ogni considerazione opportuna e appropriata in ordine alla compatibilità degli stessi con i principi fondanti della nostra civiltà giuridica e dello Stato di diritto trasposti nell'ordinamento positivo del nostro Paese, di dover esercitare la facoltà di promuovere l'azione disciplinare nei confronti del pubblico ministero dottor Gennaro Varone per le violazioni a cui si riferisce l'atto di sindacato ispettivo;

se il Ministro non ritenga di dover promuovere iniziative normative idonee a inibire la reiterazione di condotte lesive di diritti costituzionalmente tutelati in materia di giustizia e, comunque, ad assicurare l'effettivo rispetto di quei diritti medesimi, da parte di chiunque. (5-08637)