ATTO CAMERA

INTERROGAZIONE A RISPOSTA IN COMMISSIONE 5/08225

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 16
Seduta di annuncio: 708 del 24/10/2012
Ex numero atto
Precedente numero assegnato: 4/10289
Firmatari
Primo firmatario: BERNARDINI RITA
Gruppo: PARTITO DEMOCRATICO
Data firma: 24/10/2012
Elenco dei co-firmatari dell'atto
Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma
BELTRANDI MARCO PARTITO DEMOCRATICO 24/10/2012
FARINA COSCIONI MARIA ANTONIETTA PARTITO DEMOCRATICO 24/10/2012
MECACCI MATTEO PARTITO DEMOCRATICO 24/10/2012
TURCO MAURIZIO PARTITO DEMOCRATICO 24/10/2012
ZAMPARUTTI ELISABETTA PARTITO DEMOCRATICO 24/10/2012


Commissione assegnataria
Commissione: II COMMISSIONE (GIUSTIZIA)
Destinatari
Ministero destinatario:
  • MINISTERO DELLA GIUSTIZIA
Attuale delegato a rispondere: MINISTERO DELLA GIUSTIZIA delegato in data 24/10/2012
Stato iter:
IN CORSO
Fasi iter:

MODIFICATO PER COMMISSIONE ASSEGNATARIA IL 24/10/2012

Atto Camera

Interrogazione a risposta in Commissione 5-08225
presentata da
RITA BERNARDINI
mercoledì 24 ottobre 2012, seduta n.708

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. -
Al Ministro della giustizia.
- Per sapere - premesso che:


il 20 dicembre 2010 si è impiccato nel carcere di Genova Pontedecimo il signor Marco Fiori;


fin dall'inizio le modalità del suicidio hanno attirato l'attenzione della procura della Repubblica tanto è vero che sul quotidiano Il Secolo XIX del 22 dicembre 2010 è apparso un articolo intitolato: «24enne si impicca in carcere: per la Procura è istigazione al suicidio»;


l'articolo contiene spunti interessanti rispetto ai quali il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria dovrebbe fare piena luce: «La svolta è arrivata ieri mattina, quando il sostituto procuratore Alberto Lari ha aperto ufficialmente l'indagine per "istigazione al suicidio". E il passaggio successivo, altrettanto importante, è stata la richiesta d'un dettagliato dossier alla direttrice del carcere, mentre nelle prossime ore sarà eseguita l'autopsia all'istituto di medicina legale del San Martino. C'è qualcosa che non torna, nella morte di Marco Fiori, il ventiquattrenne che domenica sera si è impiccato nel penitenziario di Pontedecimo, legando una corda nel bagno. O meglio: i passati problemi della vittima, che già in due occasioni aveva provato a togliersi la vita ed era inquadrato quale "detenuto ad alto rischio", come potevano conciliarsi con il recentissimo trasferimento nella cella di Fabrizio Bruzzone, carabiniere assassino a sua volta considerato borderline? È questo il nocciolo degli accertamenti, che devono dar risposta a due domande delicate. Primo: si poteva in qualche modo evitare il suicido, c'è stata qualche falla (burocratica) nel meccanismo che non ha infine saputo evitare la tragedia? E soprattutto: c'è chi potrebbe aver spinto Marco a compiere un gesto estremo? Non è un mistero che, da subito, il caso di Fiori fosse stato considerato anomalo. Il giovane era infatti agli arresti dal 7 maggio scorso, quando fu bloccato a San Fruttuoso dopo aver rapinato un supermercato per pagarsi debiti di droga. Sulle prime era stato dipinto come il bandito che aggrediva e derubava le anziane del quartiere, e per questo "punito" con una violentissima aggressione a Marassi. In altre due occasioni era stato invece picchiato perché aveva contribuito con le sue dichiarazioni a incastrare una banda di spacciatori, o per aver semplicemente incrociato un folle durante l'ora d'aria. Fatto sta che, profondamente depresso, era stato trasferito a Pontedecimo e qui aveva cercato la morte: prima inalando gas dalla bomboletta in dotazione per cucinare, quindi tagliandosi le vene. Proprio perché instabile (da ragazzino era stato riformato dal militare per questioni comunque psicologiche) la direttrice Maria Milano aveva chiesto che fosse accompagnato in una struttura protetta, a Torino. La sua pratica era già al vaglio del tribunale di sorveglianza (che ha competenza su tutto ciò che riguarda carcerazione o buona condotta) e il nome di Marco Fiori risultava inserito in una lista d'attesa, ma evidentemente non s'è fatto in tempo. E però nell'opinione del pubblico ministero è probabilmente un altro, l'aspetto che va chiarito definitivamente e chiama in causa gli ultimi dieci giorni di vita della vittima. Recentemente, infatti, Fiori aveva chiesto d'essere spostato e la sua non era stata una proposta come tante, in quanto può capitare sovente che i detenuti aspirino a nuove sistemazioni. Fiori aveva espresso la volontà di condividere i pochi metri quadrati nei quali si svolge quotidianamente la vita dietro le sbarre con Fabrizio Bruzzone, il carabiniere che l'8 agosto scorso uccise a coltellate la moglie Mara Basso. Lo stesso che sabato, ventiquattro ore prima di Marco, ha tentato a sua volta di uccidersi in cella. Secondo alcune indiscrezioni filtrate nelle ultime ore, Bruzzone avrebbe sussurrato durante un colloquio che era stato proprio il nuovo compagno a salvarlo, prima che intervenissero gli agenti penitenziari. Che cosa ha poi innescato la sua scelta di farla finita, con chi potrebbe aver parlato, di cosa? "Non dovevano lasciargli le lenzuola" insiste il legale Carlo Contu, dando voce alle parole di Giovanni Fiori, padre di Marco. Il primo passo è rappresentato dall'autopsia, per capire almeno come è morto Marco. Poi il dossier che scandisca i tempi ed eventualmente qualche interrogatorio. La legge è chiara. Per contestare l'istigazione al suicidio, è necessario dimostrare che qualcuno abbia determinato o rafforzato il proposito di uccidersi. Difficilissimo, ma s'è deciso di vederci chiaro»;


inoltre, sempre sulla stessa vicenda, il 22 dicembre 2010, è stato pubblicato il seguente articolo sul Corriere Mercantile intitolato: «La disperazione nelle ultime lettere di Marco dalla cella prima del suicidio»: «Tutti gli altri detenuti giocano, si divertono ecc. Io me ne sto dentro la mia cella a pensare alla mia ragazza, alla madre e ai miei cari. So che così è peggio, ma non riesco assolutamente a entrare nel contesto che sono un detenuto, io non sono un carcerato e non faccio parte di questa vita». Era il 6 ottobre quando Marco Fiori, il ragazzo di 24 anni che domenica si è tolto la vita in carcere scriveva queste parole al suo avvocato, Carlo Contu, lanciandogli un disperato appello tra urla di dolore. «Io sto molto male, so che quando vieni a trovarmi mi vedi meglio, lo so, ma dentro soffro, perché io non voglio abituarmi al carcere». Marco era disperato. Per lui le porte del carcere si erano aperte a maggio, quando aveva messo in atto una maldestra rapina ai danni del supermercato Pam di via Donghi, a San Fruttuoso. Il colpo, nel quale fu arrestato in flagranza dai carabinieri, gli era costato due anni e 8 mesi in abbreviato. La sentenza fu pronunciata dal gup Massimo Cusatti che aveva dovuto tenere conto delle aggravanti, ovvero che si era opposto all'arresto e, nel tentativo di divincolarsi, aveva rotto il naso ad un uomo. Fiori tentò la rapina perché doveva dei soldi a degli spacciatori da cui aveva avuto della droga da vendere e che lo minacciavano. I primi guai giudiziari li ebbe ad Asti dove doveva spacciare la droga ma fu preso. Fu condannato a due anni e 8 mesi per detenzione e spaccio, pena che ottenne di scontare in affidamento, lavorando di giorno (faceva il gommista) e dormendo a casa la notte. Proprio al gup, a novembre, Marco Fiori scrisse una lettera di supplica dopo avere ricevuto il rigetto di un'istanza di attenuazione della custodia. «Sono pentito per ciò che ho fatto, la prego, sono rinchiuso da 8 mesi in carcere e ogni giorno penso a ciò che ho fatto per ritrovarmi in questa situazione». E ancora: «Ho preso atto del crimine da me fatto e posso assicurarle che mi manca tantissimo la mia famiglia... Per lo psicologo io ho fatto la rapina senza capirne poi le conseguenze ed è proprio così». «Quando feci la rapina - aggiunse il ragazzo - ero sotto psicofarmaci e in più ero perseguitato e minacciato da altre persone». Cusatti ricevette successivamente una richiesta di trasferimento in una struttura sanitaria che firmò il giorno stesso. Per Fiori il tribunale di sorveglianza aveva disposto il trasferimento nell'ospedale psichiatrico giudiziario. Era in lista d'attesa per lasciare il carcere di Pontedecimo, dove era stato trasferito dopo essere stato nuovamente picchiato da un detenuto. Non ha avuto la forza di attendere il trasferimento. Un'altra missiva al suo legale porta la data del 21 ottobre 2010. Gronda dolore e segue il primo tentativo di suicidio. «Sono sotto stretta sorveglianza - scriveva Marco Fiori - perché non so se ti è capitato in mano il giornale o hai visto il telegiornale: ho tentato il suicidio. La motivazione è che mi manca la mia famiglia». E aggiunge: «Purtroppo con la testa ancora non sto tanto bene, ero lì per salutare tutti». E conclude: «Ti prego, se i miei non sono venuti a sapere niente non dirgli niente del tentato suicidio. Ora sono sotto controllo ma sono veramente giù di morale, non so più dove girarmi». Marco Fiori poco dopo tentò di tagliarsi le vene del collo con una lametta da barba, quindi ingoiò una lametta da barba. Venerdì scorso il suo compagno di cella, il carabiniere uxoricida Fabrizio Bruzzone, ha tentato il suicidio. Domenica, durante una visita di personale sanitario, il ventiquattrenne si è ritirato in bagno, ha fabbricato un cappio con un lenzuolo e si è impiccato -:


quale sia l'esatta dinamica che ha condotto il giovane detenuto a togliersi la vita;


se corrisponda al vero il fatto che, già prima del suicidio, il detenuto avesse tentato due volte di togliersi la vita;


se siano note le ragioni per le quali il detenuto non risultasse ancora essere stato trasferito presso una struttura protetta, come espressamente richiesto dalla direttrice del carcere di Genova-Pontedecimo;


per quali motivi nella cella del detenuto Marco Fiori, che già in due occasioni aveva provato a togliersi la vita ed era inquadrato quale «detenuto ad alto rischio», sia stato trasferito Fabrizio Bruzzone, persona considerata borderline;


se nel corso della sua detenzione, Marco Fiori abbia potuto usufruire di un adeguato supporto e sostegno psicologico;


per quali motivi al detenuto aspirante suicida sia stato consentito di tenere con sé un lenzuolo e perché sia stato lasciato solo e senza sorveglianza consentendogli di togliersi la vita;


se, più in generale, intenda avviare una indagine amministrativa interna, nel rispetto dell'inchiesta avviata dalla procura della Repubblica, al fine di appurare se nei confronti del detenuto morto suicida nel carcere di Genova siano state messe in atto tutte le misure di sorveglianza previste e necessarie e, quindi, se non vi siano responsabilità di omessa vigilanza e cura da parte dell'amministrazione dell'istituto. (5-08225)