ATTO CAMERA

INTERROGAZIONE A RISPOSTA IN COMMISSIONE 5/08113

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 16
Seduta di annuncio: 702 del 12/10/2012
Firmatari
Primo firmatario: SIRAGUSA ALESSANDRA
Gruppo: PARTITO DEMOCRATICO
Data firma: 12/10/2012


Commissione assegnataria
Commissione: I COMMISSIONE (AFFARI COSTITUZIONALI, DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO E INTERNI)
Destinatari
Ministero destinatario:
  • MINISTERO DELL'INTERNO
Attuale delegato a rispondere: MINISTERO DELL'INTERNO delegato in data 12/10/2012
Stato iter:
IN CORSO
Fasi iter:

MODIFICATO PER COMMISSIONE ASSEGNATARIA IL 12/10/2012

Atto Camera

Interrogazione a risposta in Commissione 5-08113
presentata da
ALESSANDRA SIRAGUSA
venerdì 12 ottobre 2012, seduta n.702

SIRAGUSA. -
Al Ministro dell'interno.
- Per sapere - premesso che:

in data 1o ottobre 2012, l'interrogante si è recata presso la prefettura di Trapani per verificare che le procedure irregolari di convalida della proroga del trattenimento dei migranti, emerse in precedenti visite presso i centri di identificazione ed espulsione di Trapani, fossero cessate;

ad oggi sembrerebbe che le convalide delle proroghe dei trattenimenti si facciano alla presenza delle persone interessate e non si proceda più attraverso proroghe «cartacee», sanzionate anche dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 4544 del 2010, senza la presenza dell'immigrato e senza la possibilità di esercitare un effettivo diritto di difesa;

nella stessa data, l'interrogante ha visitato nuovamente il centro di identificazione ed espulsione di Milo;

risulta all'interrogante che la maggior parte delle persone sbarcate quest'anno e poi respinte in base all'articolo 10, comma 1, (respingimento immediato) del testo unico sull'immigrazione, magari dopo giorni dall'ingresso nel territorio e di detenzione amministrativa informale in centri di accoglienza a porte chiuse, non avrebbero ricevuto alcun provvedimento né avrebbero potuto fare valere una richiesta di asilo o i loro diritti di difesa; un modo, questo, per evitare l'applicazione della direttiva 2008/115/CE sui rimpatri, che sembrerebbe escludere dal suo campo di applicazione i respingimenti immediati;

altre volte gli immigrati sono stati destinatari di un provvedimento di respingimento differito adottato dal questore; un istituto quello del respingimento differito ex articolo 10, comma 2, del testo unico sull'immigrazione, che consente gli spazi più ampi alla discrezionalità amministrativa anche perché la norma che lo contiene non disciplina neppure i mezzi di ricorso, ed a lungo sia i giudici di pace sia i tribunali amministrativi hanno negato la loro competenza, al punto che è stato reso impossibile agli immigrati qualunque diritto di difesa (al momento si attende una decisione sulla competenza da parte della Corte di cassazione);

dopo che alcuni giudici di pace hanno cominciato ad annullare provvedimenti di respingimento differito, come lo scorso anno ad Agrigento, sembrerebbe che si sia passati ai respingimenti immediati ex articolo 10 comma 1 del testo unico 286 del 1998, senza alcun provvedimento del questore, come una mera prassi di polizia, ma con il trattenimento in strutture informali e non nei centri di identificazione ed espulsione, senza alcuna convalida del magistrato, peggio senza che sia neppure comunicato il trattenimento ad un magistrato;

in questi casi si tratta di persone entrate e trattenute per giorni in luoghi diversi dai centri di identificazione ed espulsione sotto stretta sorveglianza di polizia, come capannoni in zone portuali soggette a controllo militare, senza nessun provvedimento che possa essere almeno impugnato, per essere poi accompagnate in aeroporto e dopo l'identificazione del console del Paese di (presunta) provenienza, imbarcate sull'aereo e rispedite in patria;

casi nei quali sembrano configurarsi espulsioni e respingimenti collettivi vietati dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e dalla sentenza della Corte di Strasburgo sul caso Hirsi il 23 febbraio del 2012;

una detenzione «in incommunicado» vietata dalla legge e dal Regolamento frontiere Schengen del 2006, che impone formalità e garanzie precise per i respingimenti in frontiera, che però è ancora frutto degli accordi negoziati dall'allora Ministro dell'interno, Maroni, a Tunisi, il 5 aprile 2011, quando si convenne di fare partire dall'Italia con cadenza settimanale due voli di rimpatrio diretto verso la Tunisia, senza attendere il riconoscimento individuale delle persone, ma solo sulla base dell'attestazione di nazionalità da parte di un console;

a quanto appreso dall'interrogante, solitamente dai centri di prima accoglienza/detenzione all'aeroporto di Punta Raisi di Palermo viene portato un numero superiore di persone destinate al rimpatrio, e quelli che il console non riconosce, vengono portati nel centro di identificazione ed espulsione di Milo o trasferiti in altri centri di identificazione ed espulsione;

a differenza della visita precedente nel centro di identificazione ed espulsione, l'interrogante ha rilevato come le sbarre dei portoni di ferro fossero affumicate dal fuoco, e alcuni immigrati mostrassero segni di manganellate in fase di riassorbimento. La fase più calda delle fughe si colloca tra luglio ed agosto, ma ancora in questi giorni le contestazioni sono violente e per la prima volta in diverse visite effettuate l'interrogante è stata scortata nella sua visita da un gruppo di poliziotti schierati tra lei e l'ingresso della cella con scudi, manganelli e visiera, nonostante avesse chiesto di evitare tale schieramento di forze; sembrerebbe che le fughe siano state tantissime, alcune sono riuscite e sono state fughe di massa, in altri casi quasi tutti gli immigrati sono stati ripresi;

decisivo, in questo caso, l'intervento di pattuglie antisommossa di stanza a Trapani, alloggiate in albergo e chiamate ad intervenire quando la tensione sale o si verificano fughe; sempre nel corso della visita, l'interrogante ha notato nel gabbiotto di guardia all'ingresso decine di zaini degli agenti di polizia ammucchiati, come se fossero arrivati in massa poco prima della visita: forse si temeva una sommossa o l'ennesimo tentativo di fuga; o si stava controllando una situazione ancora incandescente, dopo la fuga verificatasi due giorni prima, della quale si è appreso da canali giornalistici perché nessuna delle autorità incontrate vi ha fatto riferimento;

l'esasperazione constatata è tanta, anche perché molti immigrati, specialmente quelli provenienti dal circuito carcerario, non sanno quale sarà il loro destino e sono costretti ad attendere il passare dei giorni senza nulla da fare;

il centro di Milo oggi è una struttura nuova, ma tutto è ad avviso dell'interrogante isolamento e annientamento della personalità: cemento, materassi per terra, pochi tavoli: la prefettura ha comunicato all'interrogante che gli immigrati li rompono e li utilizzano contro gli agenti nei tentativi di fuga; e poi solo muri e sbarre, non una sola occasione per trascorrere il tempo, solo pratiche di controllo, appelli continui e condizioni disumane di isolamento di persone alcuni provenienti dal carcere per il fine pena, altri colpevoli soltanto di non avere il documento di soggiorno o di ingresso in regola; in una situazione di promiscuità che contribuisce ad esasperare le tensioni;

anche a seguito della prassi dei respingimenti sommari di cui sopra e della riduzione oggettiva delle partenze dal nord africa (meno di un decimo rispetto allo scorso anno), la popolazione del centro di identificazione ed espulsione di Milo ormai è quasi esclusivamente composta da ex detenuti, o da richiedenti asilo che hanno potuto formalizzare la loro domanda solo dopo avere ricevuto un provvedimento di respingimento ed espulsione; qualcuno ha riferito all'interrogante di avere subito torture nei commissariati di polizia in Tunisia, o in altri Paesi ritenuti a torto tranquilli;

si è osservato inoltre quanto sia difficile, se non impossibile, per i richiedenti asilo fare ricorso contro le domande rigettate, a fronte di costi ormai impossibili da sostenere per un migrante e della chiusura dei consigli dell'ordine sul gratuito patrocinio e dei tempi per avvalersi di un avvocato di fiducia;

per i migranti che manifestano l'intenzione di chiedere asilo, come si è constatato proprio nel corso della visita nel centro di identificazione ed espulsione di Milo, servono anche due mesi per la formalizzazione della domanda nel modello C 3 e per l'avvio della procedura presso la commissione territoriale;

molti i casi di immigrati che hanno segnalato all'interrogante di non avere più notizie del proprio avvocato d'ufficio. Alcuni immigrati si trovavano detenuti da oltre sei mesi, in un caso addirittura da dieci mesi, senza un motivo specifico ed individuale che giustificasse questo ulteriore prolungamento del trattenimento, accertamento richiesto caso per caso dalla direttiva sui rimpatri 2008/115/CE che il nostro legislatore ha attuato in Italia con gravi omissioni e difformità;

in base al considerando 16 della direttiva comunitaria 2008/115/CE, che dopo la scadenza del termine di attuazione (25 dicembre 2010) ha acquistato una precisa portata precettiva sul piano del diritto interno, «il ricorso al trattenimento ai fini dell'allontanamento dovrebbe essere limitato e subordinato al principio di proporzionalità con riguardo ai mezzi impiegati e agli obiettivi perseguiti. Il trattenimento è giustificato soltanto per preparare il rimpatrio o effettuare l'allontanamento e se l'uso di misure meno coercitive è insufficiente»;

l'articolo 14 della Direttiva sui rimpatri suggella il carattere residuale della detenzione amministrativa, in quanto il trattenimento risulta applicabile solo quando «non possano essere efficacemente applicate altre misure sufficienti ma meno coercitive». Nei casi in cui sia evidente la impossibilità di procedere al rimpatrio forzato, come ad esempio dopo periodi di trattenimento in carcere o nei centri di identificazione ed espulsione, seguiti dalla rimessione in libertà, con l'intimazione a lasciare entro 7 giorni il territorio nazionale, o quando manca la collaborazione dei consolati dei Paesi di provenienza nel fornire i documenti di viaggio, la detenzione amministrativa degli stranieri irregolari rimane dunque priva di fondamento legale. La stessa direttiva comunitaria stabilisce poi, con il considerando 17, che i cittadini dei paesi terzi trattenuti dovrebbero essere trattati «in modo umano e dignitoso, nel pieno rispetto dei loro diritti fondamentali». In base allo stesso considerando il trattenimento dovrà avvenire «di norma» negli appositi centri di permanenza temporanei, salvi casi eccezionali in cui è data facoltà allo Stato di trattenere gli immigrati in attesa di allontanamento in un istituto penitenziario, avendo in tal caso cura di assicurare che siano ivi tenuti separati dai detenuti ordinari (articolo 16 paragrafo 1);

secondo l'articolo 15 della direttiva comunitaria sui rimpatri, il trattenimento dell'immigrato irregolare sottoposto ad una procedura di espulsione dovrebbe avere la durata più breve possibile ed è soggetto a riesame «ad intervalli ragionevoli» su richiesta dello straniero o d'ufficio, dovendo comunque cessare allorché risulti che «non esiste più alcuna prospettiva ragionevole di allontanamento per motivi di ordine giuridico o per altri motivi o che non sussistono più le condizioni di cui al paragrafo 1» (articolo 15 § 4);

evidente a questo punto il contrasto tra l'articolo 14 dell'attuale testo unico n. 286 del 1998, come novellato dal decreto-legge del 17 giugno 2011 poi convertito con la legge 2 agosto 2011 n. 129 e le corrispondenti previsioni vincolanti della direttiva comunitaria 2008/115/CE in materia di trattenimento e successive proroghe della detenzione amministrativa. La direttiva 2008/115/CE, inoltre, all'articolo 15 comma 4, prevede che «quando risulta che non esistano più alcuna prospettiva ragionevole di allontanamento per motivi di ordine giuridico o per altri motivi», o che non esistano più rischi di fuga o comportamenti dell'interessato contrari al rimpatrio, «il trattenimento non è più giustificato e la persona interessata è immediatamente rilasciata»;

le norme di legge vigenti in Italia e le prassi applicate rilevate durante la visita suddetta nel centro di identificazione ed espulsione di Milo appaiono in contrasto con l'articolo 8 della direttiva comunitaria 2008/115/CE, secondo cui «ove gli Stati membri ricorrano - in ultima istanza - a misure coercitive per allontanare un cittadino di un paese terzo che oppone resistenza, tali misure sono proporzionate e non eccedono un uso ragionevole della forza. Le misure coercitive sono attuate conformemente a quanto previsto dalla legislazione nazionale in osservanza dei diritti fondamentali e nel debito rispetto della dignità e dell'integrità fisica del cittadino di un paese terzo interessato»;

la situazione nei centri di identificazione e di espulsione, ed a Milo in particolare, è diventata sempre più incandescente anche dopo la fine dell'emergenza sbarchi dal Nord Africa del 2011, proprio per il prolungamento a 18 mesi della detenzione amministrativa e per l'abbattimento sostanziale di tutte le garanzie di difesa in vista dell'accompagnamento forzato in frontiera. Una procedura che sembra rimasta l'unico strumento per contrastare la cosiddetta immigrazione clandestina, che si abbatte sui cosiddetti migranti economici e sui richiedenti asilo denegati o ai quali si vieta di fatto un tempestivo accesso alla procedura, ma che colpisce anche immigrati residenti da anni in Italia, «colpevoli» soltanto di essere stati licenziati dal proprio datore di lavoro o di avere commesso un lieve reato. Una procedura generalizzata, costosa ed inefficace, sebbene il ricorso alla detenzione amministrativa sia limitato dall'articolo 13 della Costituzione soltanto a «casi eccezionali di necessità ed urgenza»;

diversi i casi constatati dall'interrogante nel corso della sua visita al centro di identificazione ed espulsione di Milo, di migranti trattenuti nonostante non vi siano i connotati di necessità ed urgenza che legittimano da un punto di vista costituzionale e comunitario il ricorso alla detenzione amministrativa prolungata oltre i termini necessari caso per caso per esperire i tentativi di rimpatrio. Si tratta in generale di immigrati residenti da lungo tempo in Italia, molti dei quali hanno avuto in precedenza un permesso di soggiorno che poi hanno perso per la commissione di reati o per il mancato rinnovo del permesso di soggiorno per altre ragioni. Un immigrato nel corso della visita ha addirittura affermato di essere nato in Francia e di essere cittadino comunitario, un altro che la questura del luogo di residenza aveva ingiustificatamente ritenuti falsi i suoi documenti di soggiorno, un altro ancora lamenta una grave forma di allergia che gli provoca soffocamento, sostenendo di avere già avuto delle gravi crisi di dispnea e di essere imbottito di cortisone, dopo un esame ospedaliero che aveva sancito la compatibilità del suo stato con la detenzione in un centro di identificazione ed espulsione;

si può ritenere, come altre volte nel corso delle visite nei centri di identificazione ed espulsione che gli immigrati provenienti dal circuito carcerario, dove hanno scontato anche pene prolungate per reati gravi, abbiano raccontato solo una parte della loro storia, anche a causa dei tempi ristretti della visita. Emerge evidente comunque come il circuito perverso carcere-centro di identificazione ed espulsione, e talvolta ancora carcere, non giova all'effettiva esecuzione dei provvedimenti di allontanamento forzato, ed in questo senso si ricorda la sentenza della Corte di giustizia del 2011 sul caso El Dridi;

si pone dunque l'esigenza, recentemente ripresa dal Rapporteur delle Nazioni unite sui diritti umani in Italia, nell'ultimo rapporto sull'Italia pubblicato in questi giorni che, anche attraverso misure amministrative urgenti, si spezzi il circuito carcere-centro di identificazione ed espulsione, come peraltro già previsto dalla circolare Amato-Mastella del 2007 e dal rapporto sulla situazione nelle carceri e nei centri di identificazione ed espulsione, approvato con voto unanime pochi mesi fa dalla Commissione sui diritti umani del Senato presieduta dal senatore Pietro Marcenaro. Occorre procedere alla identificazione degli immigrati detenuti in carcere prima della loro scarcerazione, ed evitare di ingolfare il sistema dei centri di identificazione ed espulsione con immigrati irregolari dei quali è ormai certa l'impossibilità di una espulsione con accompagnamento forzato. Altrettanto importante è ridurre solo a casi particolari i trattenimenti amministrativi che eccedono i sei mesi, come peraltro imposto dalla direttiva 2008/115/CE -:

se il Ministro sia a conoscenza di quanto riportato in premessa circa i respingimenti immediati e la detenzione in luoghi informali, e se non ritenga di dover intervenire immediatamente, per dare piena applicazione alla direttiva comunitaria 2008/115/CE sui rimpatri e al fine di assicurare al migrante tutte le garanzie di difesa;

se non ritenga altresì di promuovere l'abrogazione dell'articolo 10 comma secondo, del testo unico sull'immigrazione che, prevede i cosiddetti respingimenti differiti disposti dal questore, trattandosi di norma ad avviso dell'interrogante di dubbia costituzionalità;

se non ritenga di dover con urgenza trovare un raccordo con il Ministero di giustizia perché si provveda al riconoscimento degli stranieri detenuti prima della loro scarcerazione e si interrompa il circuito perverso centri di identificazione ed espulsione-carceri;

se non convenga infine con l'interrogante, sulla necessità di dover ripensare le politiche adottate dal precedente Governo in materia di contrasto dell'immigrazione irregolare e di accordi bilaterali con i Paesi di provenienza e transito, affinché i fatti denunciati in premessa, e soprattutto i casi di cosiddetto detenzione informale in centri di accoglienza chiusi nei giorni successivi allo sbarco non abbiano più a verificarsi.(5-08113)