ATTO CAMERA

INTERROGAZIONE A RISPOSTA IN COMMISSIONE 5/07427

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 16
Seduta di annuncio: 666 del 16/07/2012
Ex numero atto
Precedente numero assegnato: 4/15691
Firmatari
Primo firmatario: BERNARDINI RITA
Gruppo: PARTITO DEMOCRATICO
Data firma: 16/07/2012
Elenco dei co-firmatari dell'atto
Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma
BELTRANDI MARCO PARTITO DEMOCRATICO 16/07/2012
FARINA COSCIONI MARIA ANTONIETTA PARTITO DEMOCRATICO 16/07/2012
MECACCI MATTEO PARTITO DEMOCRATICO 16/07/2012
TURCO MAURIZIO PARTITO DEMOCRATICO 16/07/2012
ZAMPARUTTI ELISABETTA PARTITO DEMOCRATICO 16/07/2012


Commissione assegnataria
Commissione: II COMMISSIONE (GIUSTIZIA)
Destinatari
Ministero destinatario:
  • MINISTERO DELLA GIUSTIZIA
Attuale delegato a rispondere: MINISTERO DELLA GIUSTIZIA delegato in data 16/07/2012
Stato iter:
IN CORSO
Fasi iter:

MODIFICATO PER COMMISSIONE ASSEGNATARIA IL 16/07/2012

Atto Camera

Interrogazione a risposta in Commissione 5-07427
presentata da
RITA BERNARDINI
lunedì 16 luglio 2012, seduta n.666

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. -
Al Ministro della giustizia.
- Per sapere - premesso che:


il signor Aldo Bianzino, arrestato il 12 ottobre 2007, è deceduto a 24 ore di distanza all'interno dell'istituto di pena «Capanne» di Perugia in circostanze del tutto oscure e che lascerebbero ipotizzare un decesso per cause non accidentali;


giunto in carcere dopo essere stato tratto in arresto con l'accusa di coltivare piante di cannabis presso la propria abitazione, il Bianzino è deceduto nella notte tra il 13 e il 14 ottobre; secondo quanto riportato dagli organi di stampa, un primo esame autoptico sulla salma avrebbe riscontrato lesioni massive al cervello e all'addome e la rottura di un paio di costole; in particolare le prime indagini seguite al decesso avrebbero riscontrato «(...) lesioni viscerali di indubbia natura traumatica (lacerazione del fegato) e a livello cerebrale una vasta soffusione emorragica subpiale, ritenuta al momento di origine parimenti traumatici (...)»;


appare certo che il Bianzino sia giunto presso l'istituto «Capanne» in perfetta salute e che durante il viaggio dalla sua abitazione verso il carcere non sia intervenuto alcun evento che possa aver determinato le lesioni che sarebbero state riscontrate in sede di autopsia;


la gravità della vicenda in esame ha indotto il Comitato europeo per la prevenzione della tortura del Consiglio d'Europa a seguire gli sviluppi del caso, al fine di individuare eventuali responsabilità per la morte del signor Bianzino, nonché eventuali violazioni delle norme sull'ordinamento penitenziario e sui requisiti di legittimità del trattamento penitenziario, oltre che, ovviamente, dei diritti fondamentali dei detenuti;


dopo mesi di indagini, la procura della Repubblica di Perugia, nella persona del sostituto procuratore dottor Giuseppe Petrazzini, è giunta alla conclusione che il decesso del signor Bianzino sarebbe avvenuto per «cause naturali» ossia in conseguenza di un aneurisma cerebrale; atteso che la fuoriuscita del fegato dalla sua sede naturale sarebbe avvenuta a causa di un tentativo di rianimazione particolarmente vigoroso e violento;


alla richiesta di archiviazione avanzata dagli organi inquirenti perugini, si sono opposti i familiari del signor Bianzino, i quali, al contrario, ritengono che il decesso dell'uomo non sia dipeso da «cause naturali», né tanto meno da un ipotetico aneurisma cerebrale, quanto piuttosto da una azione violenta commessa in qualche modo da terze persone ai danni del detenuto;


a dicembre 2009 il giudice per le indagini preliminari, dottor Massimo Ricciarelli, accoglie la richiesta avanzata dal sostituto procuratore Petrazzini ed archivia il procedimento respingendo l'opposizione avanzata dai familiari del detenuto;


ufficialmente la morte del signor Aldo Bianzino è dunque avvenuta a causa dello scoppio di una vena che avrebbe prodotto nell'uomo un devastante aneurisma cerebrale; l'unica persona in parte ritenuta responsabile di quanto accaduto sarebbe stata individuata in un agente di polizia penitenziaria accusato di omissione di soccorso, falso e omissione di atti d'ufficio e per questo condannato lo Scorso marzo ad un anno e mezzo con pena sospesa;


sul mensile Terra - numero 2, mese di aprile 2012, pag. 26 - è apparso un articolo a firma Emanuele Giordana intitolato: «Aldo Bianzino, il caso non è chiuso»;


dalla lettura del citato articolo si apprende che nel corso del processo celebrato a carico dell'agente di polizia penitenziaria poi condannato, sarebbero emersi tre elementi nuovi i quali gettano più di qualche ombra sulla decisione con la quale il giudice per le indagini preliminari ha archiviato il procedimento a carico di ignoti aderendo così alla tesi della Procura della Repubblica secondo la quale la morte del detenuto sarebbe avvenuta a causa di un aneurisma cerebrale;


in particolare, nel suo articolo il giornalista Emanuele Giordana scrive quanto segue: «(...) L'aneurisma che non c'è. Tutta l'ipotesi dell'archiviazione si basa sull'esistenza di un aneurisma che viene ampiamente documentato dai consulenti del pm Anna Aprile e Luca Lalli in una minuta documentazione del 2008, nella quale si vedono (figura 1) le parti smembrate del cervello di Bianzino. A pagina 20 del loro dossier mostrano un'altra immagine (figura 2) dove viene fotografata una sezione del cervello con, cerchiata in rosso, "la malformazione vascolare aneurismatica origine del sanguinamento", come riportato nella didascalia. Ovvio che le due figure vengano messe in relazione. Ma non è così. Il fotogramma 2, con tanto di cerchio rosso, non è del cervello di Bianzino. È materiale d'archivio! Tanto che, interrogata dal giudice, la professoressa Aprile spiega che: "Noi non abbiamo riscontrato l'aneurisma, ma abbiamo riscontrato dei vasi con delle caratteristiche alterate, che ben si correlano con l'ipotesi di una rottura, diciamo, spontanea". Insomma, quella immagine era nulla più che letteratura medica per, diciamo, mettere in relazione vasi con delle caratteristiche alterate, che ben si correlano con l'ipotesi di una rottura, diciamo, spontanea... Insomma l'aneurisma per cui Bianzino morì, nel suo cervello non ci sarebbe o almeno non è così visibile da poterne fare un fotogramma che non lasci ombra di dubbio. 2. Il fegato che sanguina. I medici rilevano che attorno al fegato di Aldo ci sono 280 centilitri di sangue, in una parola un terzo di litro. Quella fuoriuscita di sangue sarebbe dovuta alla pressione esercitata durante la rianimazione. Ma allora Bianzino era già morto. Oltre ai dubbi, già sollevati, anche le spiegazioni tecniche lasciano aperte molte porte. Ancora Aprile davanti al giudice: "Arresto cardiaco o non arresto cardiaco, lesione in vita o lesione in morte, l'immagine che si deve avere rispetto a questa azione di compressione a livello locale è quella di una spugna. Il fegato è pieno di sangue...". Anche il magistrato ha un momento di apparente perplessità: "...si, ecco, riguardo a questo punto, però, la manovra rianimatoria ha come punto di riferimento il cuore, ecco, più che il fegato...", commenta in aula. La perplessità rimane tutta. Possibile che due esperti rianimatori, pur eccitati dal desiderio di salvare un uomo (già morto), gli facciano a pezzi il fegato tanto da far uscire poco meno di mezzo litro di sangue? La rianimazione (sul cuore) durò almeno venti minuti. E qui sta l'altro punto debole. Non ve ne è traccia. 3. Il video che non c'è. Il carcere ha ovviamente un sistema di telesorveglianza. Non riprende in maniera continuativa; lo fa a spezzoni. Ma sicuramente non a intervalli di venti minuti, altrimenti il carcere di Capanne sarebbe un colabrodo di evasioni o atti illegali consumati al riparo di occhi indiscreti. Eppure, tra tutte le immagini acquisite di quella maledetta notte, non vi è un solo fotogramma in cui appaia Branzino nel corridoio dove si cercò di rianimarlo (...)» -:


se alla luce di quanto esposto in premessa il Ministro interrogato non intenda attivare i poteri ispettivi conferitigli dalla normativa vigente, al fine di esercitare tutti i poteri di competenza;


se non si ritenga oramai indifferibile riferire sulla reale consistenza del fenomeno delle morti in carcere in modo che possano essere concretamente distinti i suicidi dalle morti per cause naturali e da quelle, invece, avvenute per cause sospette;


quanti siano stati i decessi avvenuti per «cause naturali» che si sono registrati negli ultimi cinque anni all'interno degli istituti penitenziari e quanti di questi - in percentuale - si siano verificati a poche ore dall'ingresso in carcere del detenuto;


quali provvedimenti intenda adottare, al fine di garantire, anche per il futuro, un attento monitoraggio delle condizioni in cui versano i detenuti negli istanti immediatamente successivi al loro ingresso in carcere, assicurando, per quanto possibile, l'eliminazione di ogni fattore di rischio per la loro vita e incolumità fisio-psichica.
(5-07427)