ATTO CAMERA

INTERROGAZIONE A RISPOSTA SCRITTA 4/19351

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 16
Seduta di annuncio: 738 del 21/12/2012
Firmatari
Primo firmatario: BARBATO FRANCESCO
Gruppo: ITALIA DEI VALORI
Data firma: 21/12/2012


Destinatari
Ministero destinatario:
  • PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
  • MINISTERO DELLA GIUSTIZIA
  • MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI
Attuale delegato a rispondere: PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI delegato in data 21/12/2012
Stato iter:
IN CORSO
Atto Camera

Interrogazione a risposta scritta 4-19351
presentata da
FRANCESCO BARBATO
venerdì 21 dicembre 2012, seduta n.738

BARBATO. -
Al Presidente del Consiglio dei ministri, Al Ministro della giustizia, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali.
- Per sapere - premesso che:



per «femminicidio» si intende in questo periodo i ripetuti omicidi di donne ad opera in special modo di ex mariti o compagni che non si rassegnano all'idea di essere abbandonati o che il rapporto è entrato in crisi;


per l'Oms: la prima causa di uccisione nel mondo delle donne tra i 16 e i 44 anni è l'omicidio;

negli anni novanta il dato non era noto;


dietro questa parola c'è una storia lunga più di venti anni (Barbara Spinelli, il Corriere.it, «Perché si chiama femminicidio»);


ci si domanda che cosa accomuni tutte queste donne. Secondo la criminologa statunitense Diana Russell, il fatto di essere state uccise «in quanto donne». La loro colpa è stata quella di aver trasgredito al ruolo ideale di donna imposto dalla tradizione (la donna obbediente, brava madre e moglie, o la donna sessualmente disponibile, «Eva» la tentatrice), di essersi prese la libertà di decidere cosa fare delle proprie vite, di essersi sottratte al potere e al controllo del proprio padre, partner, compagno, amante per la loro autodeterminazione, sono state punite con la morte;


Diana Russell sostiene che «tutte le società patriarcali hanno usato - e continuano a usare - il femminicidio come forma di punizione e controllo sociale sulle donne»;


Marcela Lagarde, antropologa messicana, considerata la teorica del femminicidio, sostiene che; «La cultura in mille modi rafforza la concezione per cui la violenza maschile sulle donne è un qualcosa di naturale, attraverso una proiezione permanente di immagini, dossier, spiegazioni che legittimano la violenza, siamo davanti a una violenza illegale ma legittima, questo è uno dei punti chiave del femminicidio»;


il 60 per cento delle vittime di femminicidio aveva già denunciato episodi di violenza o di maltrattamento;


l'esempio delle donne messicane ha contagiato gli altri Stati latinoamericani: si sono moltiplicate le indagini ufficiali e non ufficiali: «nominare» con il nome di femminicidio, e contare gli atti estremi di violenza di genere ha determinato l'insorgere di una consapevolezza nella società civile e nelle istituzioni sulla effettiva natura di questi crimini, ciò a sua volta ha reso possibile una maggiore conoscenza del fenomeno attraverso la raccolta di dati statistici e la predisposizione di accurate indagini socio-criminologiche. E l'introduzione di nuove leggi e del reato di femminicidio in molti codici penali: da quello del Messico, Guatemala, Costa Rica, Venezuela, Cile, El Salvador a, più recentemente, Perù e Argentina. Per Messico e Guatemala, l'indicazione di inserire nella legislazione nazionale il femminicidio come reato arrivò direttamente dall'ONU, dal Comitato per l'attuazione della CEDAW (la convenzione ONU per l'eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne);


grazie alla tenacia delle donne messicane (e, tra queste, si ricorda Marisela Ortiz, che ha ottenuto la cittadinanza onoraria nelle città di Genova e Torino, nonché Luz Estela Castro) il 10 dicembre 2009 (giorno in cui ricorre l'anniversario della firma della dichiarazione universale sui diritti umani) il Messico è stato condannato dalla Corte interamericana per i diritti umani per i femminicidi avvenuti sul suo territorio. La Corte interamericana per i diritti umani ha ritenuto responsabile lo Stato messicano per non aver adeguatamente prevenuto la morte di tre giovani donne, i cui corpi furono ritrovati in un campo di cotone nei pressi di Ciudad Juarez. Nella sentenza si riconosce che i casi individuali di queste tre ragazze erano, emblematici di una situazione generale, e che la violenza subita dalle donne di Ciudad Juarez fin dal 1993 costituisce una violazione strutturale dei loro diritti umani sulla base del genere di appartenenza della quale è responsabile lo Stato messicano;


la sentenza «Campo Algodonero» è storica non solo perché per la prima volta riconosce una identità giuridica propria al concetto di femminicidio quale omicidio di una donna per motivi di genere e quale violazione dei diritti umani, ma anche perché è stata emessa quando, per la prima volta nella storia della corte interamericana, a presiedere l'organo giudicante era una donna, la magistrata Cecilia Medina Quiroga;


nel luglio 2011 numerosissime donne e associazioni (tra cui la rete nazionale dei centri antiviolenza, DiRE), riunite nella piattaforma italiana «30 anni di CEDAW: Lavori in corsa» hanno contribuito a fornire le informazioni necessarie alla stesura del Rapporto Ombra sull'implementazione della CEDAW in Italia, del quale io ho coordinato la stesura. È stata una scelta politica, nata in particolare dall'impegno personale mio e di Anna Pramstrahler e Cristina Karadole della casa delle donne per non subire violenza di Bologna, curatrici per molti anni della raccolta dei dati sui femmicidi in Italia) quella di inserire nel rapporto ombra, oltre a un capitolo che fotografava le incongruenze nelle politiche e nell'applicazione delle leggi esistenti in materia di violenza maschile sulle donne, l'aggiunta di un capitolo specifico sul femminicidio, proprio per dare un nome a questa realtà in aumento nel nostro Paese, nonostante il calo generale degli omicidio donne, ed evidenziarne le peculiarità;


in Italia nel 2006 su 181 omicidi di donne 101 erano femmicidi, nel 2010 su 151 omicidi di donne 127 erano femmicidi;


un dato ci pone in classifica dietro al Messico: se là il 60 per cento delle vittime di femminicidio aveva già enunciato episodi di violenza o di maltrattamento, qui invece una ricerca condotta da Baldry ha evidenziato che più del 70 per cento delle vittime di femminicidio era già nota per avere contattato le forze dell'ordine, ovvero per aver denunciato, o per aver esposto la propria situazione ai servizi sociali;


le ricerche criminologiche dimostrano che su 10 femmicidi, 7/8 sono in media preceduta da altre forme di violenza nelle relazioni di intimità;


nonostante una recente ricerca ISTAT sul suicidio, il movente della violenza intrafamigliare subita non è stato tenuto in considerazione;


è emblematico che all'Italia non sia stato chiesto di introdurre il reato di femminicidio, come è stato chiesto a Messico e Guatemala: qui da noi il problema è culturale, e si ripercuote sull'efficacia dell'azione istituzionale;


il comitato CEDAW ha evidenziato la propria preoccupazione per il fatto che in Italia persistono attitudini socio-culturali che condonano la violenza domestica -:

quali iniziative si intendano assumere rispetto ai fatti esposti in premessa per introdurre il reato di femminicidio ponendo disposizioni severe e ferme a difesa e tutela delle donne, madri, mogli, lavoratrici, senza sottovalutare il numero di omicidi giornalieri che si consumano ogni giorno in Italia. (4-19351)