ATTO CAMERA

INTERROGAZIONE A RISPOSTA SCRITTA 4/17659

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 16
Seduta di annuncio: 687 del 18/09/2012
Firmatari
Primo firmatario: BELTRANDI MARCO
Gruppo: PARTITO DEMOCRATICO
Data firma: 18/09/2012
Elenco dei co-firmatari dell'atto
Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma
BERNARDINI RITA PARTITO DEMOCRATICO 18/09/2012
FARINA COSCIONI MARIA ANTONIETTA PARTITO DEMOCRATICO 18/09/2012
MECACCI MATTEO PARTITO DEMOCRATICO 18/09/2012
TURCO MAURIZIO PARTITO DEMOCRATICO 18/09/2012
ZAMPARUTTI ELISABETTA PARTITO DEMOCRATICO 18/09/2012


Destinatari
Ministero destinatario:
  • MINISTERO DELLA SALUTE
Attuale delegato a rispondere: MINISTERO DELLA SALUTE delegato in data 18/09/2012
Stato iter:
IN CORSO
Fasi iter:

SOLLECITO IL 22/10/2012

SOLLECITO IL 06/12/2012

Atto Camera

Interrogazione a risposta scritta 4-17659
presentata da
MARCO BELTRANDI
martedì 18 settembre 2012, seduta n.687

BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. -
Al Ministro della salute.
- Per sapere - premesso che:

fonti di stampa hanno reso noto il caso di una donna sottoposta a pratiche di fecondazione assistita e diagnosi preimpianto che ha scritto una lettera-denuncia contro legislatore e Governo;

«Chi vi scrive è incinta di 15 settimane, una gravidanza avuta con l'accesso alla legge 40, o meglio, con quanto di umano di questa legge è stato ottenuto grazie alle sentenze dei giudici dei tribunali e della Corte Costituzionale;

è grazie infatti ad una pronuncia della Suprema Corte, nello specifico quella che cancella l'obbligo d'impianto di tre embrioni, che mi sono sentita di poter accedere alla tecnica di fecondazione assistita e sempre grazie a quella pronuncia ho potuto opporre un netto rifiuto alla richiesta di impianto di tre embrioni, sulla scia di argomentazioni puramente statistiche, legate all'età della sottoscritta e alla risposta di un corpo, che invece, come molte donne sanno, ha leggi ben diverse da quelle meramente scientifiche;

il mio corpo, lo sapevo con assoluta certezza, era più che pronto per una gravidanza, non per due o tre, per una e una sola, perché non c'è alcun automatismo tra il volere un figlio e portarsene a casa tre, la scelta di una maternità consapevole passa anche per questa libertà di scelta;

ora vivo sospesa, in attesa dell'esito di un'altra sentenza, quella dell'amniocentesi, infatti, pur avendo 41 anni, non essendo né io né il mio compagno portatori di malattie genetiche, non abbiamo potuto accedere ad una diagnosi preimpianto;

diversamente avremmo potuto fare in Belgio, dove lavora il mio compagno come anche in quasi tutto il resto d'Europa, ma le donne normali, che fanno lavori normali, ammesso ce l'abbiano, trovano alcune difficoltà logistiche di non poco conto a lasciare lavoro e figli per trasferire armi e bagagli altrove per almeno un mese, nella più rosea delle prospettive;

così rimango sospesa, con il mio bambino o bambina che già pensa di farmi le bolle nella pancia, in attesa di sapere se in quel mare di bolle posso immergere tutta me stessa, pancia, testa, cuore, due battiti in un solo respiro;

la sentenza della Corte di Strasburgo fa giustizia di tutto questo scempio, sana la palese contraddizione di una legge prigioniera di un furore ideologico, che scelse di non consentire la diagnosi preimpianto, vista la libertà riconosciuta da un'altra legge la 194, quella sì frutto di civiltà giuridica, di interrompere la gravidanza, come se per il corpo e il cuore di una donna sia la stessa cosa rinunciare all'impianto di un embrione malato o interrompere una gravidanza in uno stadio avanzato;

questo perché oggetto di tanto furore ideologico è ancora una volta il corpo della donna, o meglio quel potere antico di generare la vita, unico che non consente l'accesso ai maschi, che nel frattempo hanno ben pensato di depredare tutte le altre forme di potere, dalle quali ci tengono fuori con antica pervicacia. Un legislatore fintamente neutro, perché partecipato all'80 per cento da uomini, ha pensato di scrivere quest'orrore giuridico, condannando le donne con opportunità maggiori a forme di turismo procreativo e quelle con meno opportunità a sentirsi dire che il legittimo desiderio di avere un figlio sano si chiama eugenetica, parola quanto mai fuori luogo e contesto;

eppure questa palese contraddizione, ripetutamente sottolineata da chi si opponeva all'approvazione di questa legge, non può essere semplicemente sfuggita, il sospetto dapprima strisciante e poi sempre più concreto leggendo le dichiarazioni di questi giorni, è che di questa contraddizione fossero ben consapevoli e che l'obiettivo ultimo di questo furore sia un'altra legge la 194 appunto, che ha garantito a milioni di donne l'accesso ad una maternità consapevole. Non è mancato chi, infatti, proprio in questi giorni ha pensato bene di sostenere che per sanare la contraddizione sottolineata dalla Corte europea, basti semplicemente porre mano alla 194;

al Governo Monti, che pensa di fare ricorso contro questa sentenza mi pare opportuno suggerire di astenersi, anzitutto perché al momento si assiste ad una macroscopica violazione dell'articolo 3 della Costituzione tra coppie sterili e portatrici di malattie genetiche, che grazie alle sentenze possono accedere alla diagnosi preimpianto e coppie fertili portatrici delle stesse malattie che alla diagnosi non possono accedere. Ma al di là delle argomentazioni di rango costituzionale, di esclusiva spettanza dei giudici della Suprema Corte, le ragioni di un'astensione da qualsiasi forma di ricorso a tutela dei brandelli di questa legge, risiedono in motivi squisitamente di opportunità politica;

alle forze politiche, invece, nuovamente confermate dal voto, il compito di assumersi la responsabilità di riscrivere questa legge, avendo ben chiaro che la crisi della democrazia rappresentativa è passata anche di qui, attraverso l'approvazione di disposizioni palesemente inique e persecutorie. Ai soloni di queste ore pronti a puntare il dito contro gli integralismi di altri Paesi, per poi erigersi a custodi di quello che abita in casa loro, ricordo che proprio in questi giorni in una terra molto più vicina di quanto si creda, le donne tunisine sono scese in massa per le strade per rifiutare di barattare l'eguaglianza costituzionale, che spetta loro da decenni con una complementarietà;

e nel caso avessero la memoria corta, vorrei ricordare che il 13 febbraio del 2011, le donne italiane sono scese in piazza, con la più grande manifestazione che il nostro Paese ricordi, per dire che la loro dignità era il limite invalicabile oltre il quale non era più consentito passare, salvando così tutti, cittadine, cittadini e istituzioni dalla rappresentazione oscena e senza vergogna che in quei giorni l'Italia intera subiva. Ebbene, sappiano quei soloni, che le donne italiane tutte, senza distinzione alcuna, giovani, meno giovani, con pance piene o vuote, con volti più o meno rugosi, con culture politiche diverse, laiche e cattoliche, tutte, se necessario, scenderanno nuovamente in piazza a difesa di un presidio di civiltà giuridica e tutte in una sola voce ripeteremo: non si passa.»;

poiché è la prima volta in assoluto che la cosiddetta legge 40 viene espressamente censurata per contrasto con la cosiddetta legge 194, elemento di fondamentale importanza perché la legge sull'aborto è sì norma ordinaria ma, secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale, a «contenuto costituzionalmente necessario oltre che vincolato». La sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo (Cedu) ha sottolineato, senza lasciare adito a dubbi, «l'incoerenza del sistema legislativo italiano che da una parte priva i richiedenti dell'accesso alla diagnosi genetica preimpianto, e dall'altra li autorizza a effettuare un'interruzione di gravidanza terapeutica quando il feto è affetto da questa stessa patologia»;

si consideri che il punto di diritto sollevato dal giudice sovranazionale sarà, come è facile intuire, una premessa ulteriore su cui fondare ricorsi per la presentazione di domande che eccepiscano la questione di illegittimità del divieto di fecondazione eterologa innanzi alla Corte costituzionale;

essa aprirà un nuovo capitolo di epurazione dall'ordinamento di norme dal contenuto palesemente incostituzionale che, analogamente a quanto avvenuto con riguardo alla procreazione medicalmente assistita (Pma) eterologa, approderà ben presto anche nelle nostre aule di tribunale;

questa a loro volta, come detto, investiranno del problema ancora una volta la Corte costituzionale chiamandola a pronunciarsi sulla conformità agli articoli 2, 3, 13 e 32 del divieto di accesso alle tecniche per i soggetti fertili ma affetti da patologia genetica trasmissibile alla prole. A costoro infatti, la legge 40, in maniera del tutto irragionevole, lascia solo la crudele scelta di concepire un figlio malato salvo poi la possibilità di optare per l'aborto terapeutico. Non da oggi noi radicali abbiamo sostenuto con forza tale argomento nei vari ricorsi presentati a partire dal 2005. Solo oggi però con tutta la sua autorevolezza la Cedu riprende la questione e la pone al centro del proprio ragionamento di censura della legge n. 40 del 2004 con ogni effetto conseguenziale su altre questioni che rimangono aperte: eterologa, divieto assoluto di sperimentazione sull'embrione, irrevocabilità del consenso;

la pronuncia con cui è stato censurato il nostro ordinamento giuridico incide pesantemente su un aspetto essenziale della legge che finora era stato affrontato solo con una isolata ordinanza dal Tribunale di Salerno nel 2010: la questione dei requisiti per l'accesso alla Pma. Infatti se dopo le numerose ordinanze dei tribunali di merito (Cagliari e Firenze nel 2007 e Tar Lazio nel 2008) e infine della Corte costituzionale (sentenza 151 del 2009), non vi sono più dubbi, almeno in punto di diritto, sulla legittimità della diagnosi genetica per impianto, la questione rimaneva ancora controversa per le coppie che sterili non sono. Accogliendo le ragioni della coppia che ha fatto ricorso a Strasburgo e delle associazioni di portatori di patologie genetiche trasmissibili, secondo i giudici europei tale limite viola «il diritto al rispetto della vita privata e familiare» (articolo 8 Convenzione europea diritti dell'uomo) in quanto, spiega Baldini, «incide su una scelta personalissima dell'individuo che lo Stato non si può arrogare il diritto di compiere»;

la censura pare estendersi anche all'articolo 14 della Convenzione («divieto di discriminazione») quantomeno sotto il profilo della ragionevolezza, posto che un'altra legge, la n. 194 del 1978 sull'interruzione di gravidanza, consente l'aborto terapeutico determinando così un'ingiustificata discriminazione tra queste coppie e quelle cui precludendo loro la possibilità di diagnosi preimpianto, viene di fatto impedito di operare preventivamente e con minori danni, alla salute della madre e del concepito in dipendenza del suo stadio di sviluppo, una scelta che comunque con oneri morali e materiali ben maggiori la coppia è legittimata a compiere successivamente -:

se i fatti narrati in premessa corrispondano al vero e se, poiché lo Stato a livello internazionale è rappresentato dal potere esecutivo, piuttosto che ricorrere contro la sentenza della Corte internazionale di Strasburgo che ha condannato la nostra legislazione, non consideri opportuno contribuire ad rendere conforme la legge domestica ordinaria ai supremi principi contenuti nella nostra Carta costituzionale, quelli provenienti dalla giurisprudenza sovranazionale nonché quelli dettati dal senso di umanità, dal buon senso, atteggiando il proprio comportamento al vertice dell'amministrazione sanitaria a quello che la nostra legislazione codicistica definisce, con linguaggio vetusto, propria «del buon padre di famiglia». (4-17659)