DI STANISLAO. -
Al Ministro della difesa, al Ministro degli affari esteri, al Ministro dello sviluppo economico.
- Per sapere - premesso che:
secondo il Sipri Yearbook 2012, pubblicato il 4 giugno nel 2011 la spesa militate mondiale è arrivata a 1.740 miliardi di dollari: rappresenta la cifra più alta dalla caduta del muro di Berlino con un incremento dello 0,3 per cento in termini reali rispetto all'anno precedente. Questa spesa continua a trainare il commercio internazionale di armamenti convenzionali che, con quasi 30 miliardi di dollari, nel 2011 è tornato ai livelli degli anni novanta;
il Sipri Yearbook segnala la sostanziale stabilità della spesa militare mondiale che oggi rappresenta il 2,5 per cento del prodotto interno lordo globale con un costo medio di 249 dollari per ogni abitante del pianeta. Gli Stati Uniti rimangono in testa alla classifica (711 miliardi di dollari, pari al 41 per cento del totale mondiale), seguiti da Cina (143 miliardi), Russia (71,9 miliardi), Regno Unito(62,7 miliardi), Francia (62,5 miliardi), Giappone (59,3 miliardi), India (48,9 miliardi) e Arabia Saudita (48,5 miliardi);
riguardo all'Italia, il Sipri stima una spesa militare nel 2011 di circa 34,5 miliardi di dollari affermando che «la spesa militare dell'Italia è meno che trasparente, nel senso che è distribuita tra i budget di diverse amministrazioni statali». Inoltre, nel rapporto si legge che «le per le missioni militari all'estero sono approvate dal Parlamento italiano in un bilancio separato da quello del Ministero della Difesa. Oltre 1 miliardo di euro di forniture militari addizionali e per ricerca e sviluppo sono ogni anno finanziate dal Ministero dello Sviluppo Economico. Come per la Grecia, le cifre della NATO riguardo all'Italia per il 2011 non erano disponibili al momento della stesura del rapporto»;
anche il recente rapporto «Economia a mano armata» pubblicato nei giorni scorsi dalla campagna «Sbilancimoci!» analizza dai vari punti di vista le spese militari nazionali sotto molteplici aspetti. La questione centrale è l'esportazione degli armamenti in zone di guerra e ad alto rischio di rivolte;
secondo l'Istituto di ricerche internazionali Archivio Disarmo di Roma, nel mondo ci sono in circolazione circa 875 milioni di cosiddette «armi leggere» e il commercio di queste armi vede l'Italia come uno dei principali produttori e protagonisti. Solo nel biennio 2009-2010 l'Italia ha esportato oltre un miliardo di euro di «armi leggere ad uso civile» con un rilevante aumento soprattutto verso l'Asia, ma anche il Medio Oriente e l'intero continente africano. Ma vanno segnalate anche le esportazioni di queste armi verso Paesi sottoposti a embarghi internazionali (Cina, Libano, Repubblica Democratica del Congo, Iran, Armenia e Azerbaijan), verso Paesi in cui sono in atto conflitti e in cui si riscontrano gravi violazioni del diritti umani (la Federazione Russa, la Thailandia, le Filippine, il Pakistan, l'India, l'Afghanistan, la Colombia, Israele, Congo, Kenia, Filippine, e altro);
l'OPAL, l'Osservatorio permanente sulle armi leggere di Brescia ha dichiarato che nel corso del 2011, cioè nel pieno delle rivolte delle popolazioni della cosiddetta primavera araba - sono state esportate dalle ditte della provincia di Brescia armi e munizioni per un valore complessivo di 6,8 milioni di euro ai Paesi del Nord Africa e di oltre 11 milioni di euro ai Paesi del Medio Oriente, oltre 1 milione di euro di queste armi esportate sempre dalle aziende bresciane in Bielorussia tra aprile e giugno 2011, poco prima che l'Unione europea la sanzionasse per gravi violazioni dei diritti umani -:
se il Governo non ritenga di assumere iniziative al fine di evitare che l'Italia continui a primeggiare in un settore, quello relativo agli armamenti, che nulla a che fare con una politica estera di pace, sicurezza e di cooperazione allo sviluppo;
se e come il Governo intenda intervenire al fine di giungere ad una maggiore trasparenza è maggiori informazioni circa la spesa militare italiana con particolare attenzione all'export militare al quale l'Italia contribuisce in maniera fin troppo incisiva con probabili conseguenze drammatiche nei Paesi ad alto rischio bellico. (4-16567)