ATTO CAMERA

INTERROGAZIONE A RISPOSTA SCRITTA 4/16545

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 16
Seduta di annuncio: 648 del 12/06/2012
Firmatari
Primo firmatario: GALLI DANIELE
Gruppo: FUTURO E LIBERTA' PER IL TERZO POLO
Data firma: 12/06/2012


Destinatari
Ministero destinatario:
  • MINISTERO DELL'INTERNO
  • MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI
Attuale delegato a rispondere: MINISTERO DELL'INTERNO delegato in data 12/06/2012
Stato iter:
IN CORSO
Atto Camera

Interrogazione a risposta scritta 4-16545
presentata da
DANIELE GALLI
martedì 12 giugno 2012, seduta n.648

GALLI. -
Al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali.
- Per sapere - premesso che:


in data 12 giugno 2012 alcuni quotidiani, tra cui la Stampa, edizione di Torino, pagina 57, riportavano la notizia di come il procuratore aggiunto della procura di Torino, Paolo Borgna, abbia richiesto l'archiviazione dell'inchiesta aperta nei confronti di una donna islamica, denunciata a Chivasso da un privato cittadino, in quanto la stessa frequentava un luogo pubblico coperta dal vestiario denominato «burka» che ne nascondeva completamente la fisionomia, tranne che per una fessura per gli occhi;


negli articoli, reperibili anche in internet, si fa riferimento a motivazioni quali: «L'uso del burka in luogo pubblico non viola la legge Reale, a patto che la persona che l'indossa sia pronta a scoprire il volto in caso di controllo da parte delle forze di polizia», rilevando che «la donna, di origine egiziana, indossa il burka in ossequio ai principi della religione islamica e non per rendere difficoltoso il riconoscimento della sua persona» e quindi «il divieto di circolare a capo scoperto deve coniugarsi con il diritto di manifestare la propria fede e appartenenza religiosa», a questo proposito citando una circolare del Ministero dell'interno del 1995;


è necessario ricordare la normativa di pubblica sicurezza: in particolare l'articolo 85 del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 secondo il quale «È vietato comparire mascherato in luogo pubblico», l'articolo 5 della legge 22 maggio 1975, n. 152, che proibisce «l'uso di caschi protettivi o di qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona, in luogo pubblico o aperto al pubblico, senza giustificato motivo», nonché la circolare n. 4/95 del 14 marzo 1995, con la quale il Ministero dell'interno ha autorizzato l'uso del copricapo nelle fotografie destinate alle carte di identità di cittadini professanti culti religiosi che impongano l'uso di tali copricapo, e l'altra circolare del 24 luglio 2000 del Ministero dell'interno che ha precisato che il turbante, il chador e il velo, imposti da motivi religiosi, «sono parte integrante degli indumenti abituali e concorrono, nel loro insieme, ad identificare chi li indossa, naturalmente purché mantenga il volto scoperto» e che, pertanto, tali accessori sono ammesse, anche in ossequio al principio costituzionale di libertà religiosa, purché i tratti del viso siano ben visibili;


va inoltre ricordata la definizione di ordine pubblico resa in modo magistrale dalla Corte costituzionale, con sentenza 16 marzo 1962 n. 19: l'ordine pubblico è un valore costituzionalmente protetto, quale patrimonio dell'intera collettività; sono pertanto costituzionalmente legittime le norme che effettivamente, ed in modo proporzionato, siano rivolte a prevenire e a reprimere i turbamenti all'ordine pubblico (intesi come insorgere di uno stato concreto ed effettivo di minaccia all'ordine legale mediante mezzi illegali idonei a scuoterlo) eventualmente anche mediante la limitazione di altri diritti costituzionalmente garantiti;


è altresì da ricordare come la stessa Costituzione riconosca come la libertà religiosa sia tutelata attraverso il diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano; all'interrogante non risultano statuti di organizzazioni di associazioni di religione islamica che univocamente impongano l'uso di tale abbigliamento atto a nascondere completamente il volto delle sole donne, e pertanto: a) se non si tratta di obbligo religioso (come tra l'altro sostengono autorevoli imam quali il Grande Imam dell'università egiziana Al Azhar del Cairo, Muhammad Tantawi, una delle più autorevoli figure religiose dell'intero mondo musulmano, che ha di recente chiesto a una ragazza del secondo anno di liceo di togliersi il niqab perché «è un'usanza tribale che non ha niente a che vedere con l'islam») verrebbe meno il «giustificato motivo» di non osservanza delle norme di pubblica sicurezza; b) se tale obbligo fosse effettivamente previsto in modo univoco dai precetti religiosi islamici, esso sarebbe, ad avviso dell'interrogante, in palese contrasto con le norme di rango decisamente superiore alle circolari ministeriali relative alle caratteristiche delle foto da esibire sui documenti di identificazione, fonti normative quali la Costituzione italiana, laddove garantisce pari diritti a uomini e donne, la convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e le stesse leggi nazionali sull'ordine pubblico;


non va da ultimo dimenticato come l'interpretazione più disumana e fondamentalista della cultura islamica abbia prodotto delle vittime innocenti, tra le ragazze giudicate colpevoli di vestirsi all'occidentale e di rifiutare un abbigliamento simbolo di inferiorità della donna rispetto all'uomo/padrone, uccise dai loro stessi familiari -:


come si concilino le disposizioni delle circolari ministeriali relative alle caratteristiche delle fotografie da apporre sui documenti dì identificazione con le previsioni costituzionali e legislative vigenti;

se non si intenda prevedere, nell'ambito delle intese tra lo Stato italiano e le rappresentanze del culto islamico da definire ai sensi dell'articolo 8 della Costituzione, una specifica regolamentazione di tale aspetto;


se si intendano assumere iniziative anche normative per chiarire la portata e l'ambito di applicazione dell'articolo 5 della legge 22 maggio 1975, n. 152, con particolare riferimento a casi come quello descritto in premessa;


se non si ritenga opportuno assumere ogni iniziativa di competenza per garantire anche alle donne di religione islamica, cittadine italiane o meno, l'effettiva dignità e libertà che si riconosce ad ogni essere umano e la pari opportunità di scelta e di comportamento, anche tenendo conto delle altre situazioni che da tale medioevale concezione della donna derivano, quale ad esempio il contratto di matrimonio stipulato dai genitori anche di ragazze minorenni, all'insaputa e senza un ragionato e libero consenso delle stesse.
(4-16545)