CICCIOLI, CROLLA e MANCUSO. -
Al Ministro dell'interno, al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione.
- Per sapere - premesso che:
è noto che l'ordinamento italiano persiste nella differenziazione del regime normativo proprio della prestazione lavorativa del personale denominato «volontario» del Corpo nazionale dei vigili del fuoco;
l'articolo 4, comma 12, della legge n. 183 del 2011, («legge di stabilità per l'anno 2012») ha espressamente stabilito che: «i richiami in servizio del personale volontario del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, che ai sensi dell'articolo 6, comma 1, del decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139, non costituiscono rapporti di impiego con l'amministrazione»;
è significativo sottolineare che tale disposizione è stata introdotta dal legislatore italiano mediante la modifica del testo dell'articolo 10 del decreto legislativo n. 368 del 2001 - adottato dalla Repubblica Italiana in recepimento della normativa europea posta dalla direttiva 1999/70/CE relativa all'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dalla CES nonché dall'UNICE e dal CEEP sul punto - e la conseguente introduzione di un'ulteriore ipotesi di deroga alle limitazioni di ricorso al cosiddetto «rapporto di lavoro a termine»;
l'intervento in esame determina, pertanto, la sottrazione dal campo di applicazione della disciplina europea del rapporto di lavoro a tempo determinato di un cospicuo numero di lavoratori da sempre denominati «volontari» e «discontinui» ma, in verità, impiegati stabilmente ed organicamente nonché dietro retribuzione dal Corpo nazionale dei vigili del fuoco e dal Ministero dell'interno dal quale tale Corpo dipende, a mezzo di una sequenza ininterrotta di successivi «richiami» in servizio;
tale impiego stabile ed organico dei lavoratori in questione da parte dell'Amministrazione dello Stato italiana - sia pure presentato nella veste formale del «richiamo in servizio» reiterato indefinitamente nel tempo - ad avviso degli interroganti non è in linea con la normativa comunitaria sui limiti del ricorso al rapporto di lavoro a termine;
si veda, innanzitutto, la clausola 5 dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato CES-UNICEP-CEEP recepito con la direttiva n. 1999/70/CE:
«Misure di prevenzione degli abusi (clausola 5);
per prevenire gli abusi derivanti dall'utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali a norma delle leggi, dei contratti collettivi e della prassi nazionali, e/o le parti sociali stesse, dovranno introdurre, in assenza di norme equivalenti per la prevenzione degli abusi e in un modo che tenga conto delle esigenze di settori e/o categorie specifici di lavoratori, una o più misure relative a:
a) ragioni obiettive per lo giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti;
b) la durata massima totale dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi;
c) il numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti.
Gli Stati membri, previo consultazione delle parti sociali, e/o le porti sociali stesse dovranno, se del caso, stabilire a quali condizioni i contratti e i rapporti di lavoro a tempo determinato:
a) devono essere considerati "successivi";
b) devono essere ritenuti contratti o rapporti a tempo indeterminato»;
con tale previsione, pertanto, è evidente che il legislatore comunitario, pur non imponendo la generalizzazione dell'obbligo di conversione del rapporto a tempo indeterminato dinanzi ad abusi del contratto di lavoro a tempo determinato, ha però comunque imposto la previsione di efficaci misure di contrasto di tali ipotesi di abuso; conclusione condivisa anche dalla giurisprudenza comunitaria (Corte di giustizia della Comunità europea, 4 luglio 2006, causa C212/04, cosiddetta sentenza Adeneler):
«91. In primo luogo si deve rilevare al riguardo che l'accordo quadro non stabilisce un obbligo generale degli Stati membri di prevedere la trasformazione in contratti a tempo indeterminato dei contratti di lavoro a tempo determinato, così come esso nemmeno stabilisce le condizioni precise alle quali si può fare uso di questi ultimi.
92. Tuttavia esso impone agli Stati membri di adottare almeno una delle misure elencate nella clausola 5, n. 1, lettere da a) a e), dell'accordo quadro, che sono dirette a prevenire efficacemente l'utilizzazione abusiva di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi.
93. Inoltre gli Stati membri sono tenuti, nell'ambito della libertà che viene loro lasciata dall'articolo 249, terzo comma, CE, a scegliere le forme e i mezzi più idonei al fine di garantire l'efficacia pratica delle direttive (v. sentenze 8 aprile 1976, causa 48/75, Royer, Racc. pag. 497, punto 75, e 12 settembre 1996, cause riunite C58/95, C75/95, C112/95, C119/95, C123/95, C135/95, C140/95, C141/95, C154/95 e C157/95, Gallotti e a., Racc. pag. 14345, punto 14).
94. Pertanto, quando, come nel caso di specie, il diritto comunitario non prevede sanzioni specifiche nel caso in cui sono stati comunque accertati abusi, spetta alle autorità nazionali adottare misure adeguate per far fronte ad una siffatta situazione, misure che devono rivestire un carattere non soltanto proporzionato, ma altresì sufficientemente effettivo e dissuasivo per garantire la piena efficacia delle norme adottate in attuazione dell'accordo quadro»;
di analogo tenore sono i passaggi dell'ulteriore pronuncia citata in sentenza (Corte giustizia CE, 7 settembre 2006, C53/04, cosiddetta sentenza Vassallo). Si vedano i seguenti passaggi:
«48. la clausola 5 dell'accordo quadro non osta, in quanto tale, a che uno Stato membro riservi un destino differente al ricorso abusivo a contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato stipulati in successione a seconda che tali contratti siano stati conclusi con un datore di lavoro appartenente al settore privato o con un datore di lavoro rientrante nel settore pubblico (...) affinché una normativa nazionale, come quella controversa nella causa principale, che vieta, nel solo settore pubblico, la trasformazione in contratto di lavoro a tempo indeterminato di una successione di contratti a tempo determinato, posso essere considerata conforme all'accordo quadro, l'ordinamento giuridico interno dello Stato membro interessato deve prevedere, in tale settore, un'altra misura effettiva per evitare, ed eventualmente sanzionare, l'utilizzo abusivo di contratti a tempo determinato stipulati in successione.
50. Per quanto riguarda quest'ultima condizione, occorre ricordare che la clausola 5, punto 1, dell'accordo quadro impone agli Stati membri l'adozione effettiva e vincolante di almeno una delle misure enumerate in tale disposizione e dirette a prevenire l'utilizzo abusivo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, qualora il diritto nazionale non preveda già misure equivalenti»;
la Corte di Giustizia specifica inoltre - ad ulteriore conferma di quanto sopra rappresentato - che: «quando, come nel caso di specie, il diritto comunitario non prevede sanzioni specifiche nel caso in cui siano stati comunque accertati abusi, spetta alle autorità nazionali adottare misure adeguate per far fronte ad una siffatta situazione, misure che devono rivestire un carattere non soltanto proporzionato, ma altresì sufficientemente effettivo e dissuasivo per garantire la piena efficacia delle norme adottate in attuazione dell'accordo quadro (sentenza Adeneler e a., cit., punto 94). Anche se le modalità di attuazione di siffatte norme attengono all'ordinamento giuridico interno degli Stati membri in virtù del principio dell'autonomia procedurale di questi ultimi, esse non devono essere tuttavia meno favorevoli di quelle che disciplinano situazioni analoghe di natura interna (principio di equivalenza), né rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti conferiti dall'ordinamento giuridico comunitario (principio di effettività) (v., in particolare, sentenze 14 dicembre 1995, causa C312/93, Peterbroeck, Racc. pag. 14599, punto 12, nonché Adeneler e a., cit., punto 95).
53. Ne consegue che, quando si sia verificato un ricorso abusivo a una successione di contratti di lavoro a tempo determinato - come sicuramente accade allorquando il rapporto è senza fine reiterato nella forma del «richiamo temporaneo in servizio», si deve poter applicare una misura che presenti garanzie effettive ed equivalenti di tutela dei lavoratori al fine di sanzionare debitamente tale abuso ed eliminare le conseguenze della violazione del diritto comunitario. Infatti, secondo i termini stessi dell'articolo 2, primo comma, della direttiva 1999/70, gli Stati membri devono «prendere tutte le disposizioni necessarie per essere sempre in grado di garantire i risultati prescritti dalla [detta] direttiva» (sentenza Adeneler e a., cit., punto 102).
54. Non spetta alla Corte pronunciarsi sull'interpretazione del diritto interno, compito che incombe esclusivamente al giudice del rinvio, il quale deve, nella fattispecie, determinare se i requisiti ricordati ai tre punti precedenti siano soddisfatti dalla normativa nazionale pertinente. Tuttavia la Corte, nel pronunciarsi su un rinvio pregiudiziale, può fornire, ove necessario, precisazioni dirette a guidare il giudice nazionale nella sua interpretazione (v. sentenza 21 febbraio 2006, causa C255/02, Halifax e a., Racc. pag. 11609, punti 76 e 77).
costituisce circostanza già rappresentata alle autorità ministeriali quella secondo cui le funzioni svolte nei comandi provinciali dai lavoratori discontinui sono chiaramente di tipo subordinato a ripiano parziale delle gravi carenze di organico del Corpo e del suo sottodimensionamento, con mansioni che variano dal servizio tecnico urgente (pronto intervento) ai servizi amministrativi;
non a caso, infatti, sulla base delle disposizioni di cui all'articolo 1, comma 526, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato» (cosiddetta «Legge finanziaria per l'anno 2007»), all'articolo 1, comma 526, si è previsto l'avviamento anche per il Corpo nazionale dei vigili del fuoco della «stabilizzazione dei rapporti di lavoro del personale, in possesso dei requisiti», prevedendo la «trasformazione in rapporti a tempo indeterminato delle forme di organizzazione precaria dei lavoro» per i lavoratori discontinui che «alla data del 1
o gennaio 2007 [...] da almeno tre anni abbia(no) effettuato non meno di centoventi giorni di servizio»;
tale processo non ha, però, ancora prodotto i risultati auspicati e tali lavoratori rimangono nella situazione di precarietà sopra indicata appunto prodotta dalla successione senza limiti di tali rapporti nelle forme del «richiamo in servizio»;
in sede di conversione del decreto-legge 29 dicembre 2011, n. 216, è stato approvato, previo parere favorevole del Governo, un emendamento all'articolo 15 dello stesso, che prevede la proroga «al 31 dicembre 2013 (de)l termine della validità della graduatoria adottato in attuazione dell'articolo 1, comma 526, secondo periodo, della legge 27 dicembre 2006, n. 296», ma tali misure, da un lato, non hanno avuto seguito mentre, dall'altro, non sembrano adeguate alla soluzione del tema;
in data 26 gennaio 2012 il Governo ha accolto l'ordine del giorno 9/4865AR/66 con il quale si è impegnato a predisporre una nuova regolamentazione del servizio del volontariato nel Corpo che distingua nuovamente la figura del discontinuo, che a tutti gli effetti è un lavoratore a tempo determinato, da quella del volontario; tanto risulta doveroso, sia per rendere conforme la disciplina interna a quella europea sul tempo determinato sia per rendere certi i termini e le modalità per la conversione di tali rapporti a tempo determinato o comunque assicurare ai medesimi una debita prospettiva ripristinatoria o satisfattiva in qualsivoglia modalità -:
se i Ministri interrogati non ritengano che debbano essere intraprese iniziative per assicurare la conformità della legislazione italiana in materia ai vincoli derivati dalla disciplina europea del rapporto a tempo determinato e che debbano essere intraprese misure per assicurare il superamento di tali rapporti a tempo determinato e per completare il processo di conversione di tali rapporti a tempo indeterminato.(4-15914)