RONDINI, MONTAGNOLI e BITONCI. -
Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia.
- Per sapere - premesso che:
il fenomeno dei «matrimoni di comodo» contratti da stranieri extracomunitari con un cittadino italiano al solo fine di «regolarizzare» la posizione di clandestinità o per agevolare l'acquisto della cittadinanza italiana ha avuto una significativa diffusione nel nostro Paese, come risulta anche da ricorrenti notizie di cronaca;
il Governo Berlusconi, aveva adottato, su iniziativa del Ministro pro tempore Maroni, una serie di misure, in particolare contenute nella legge n. 94 del 2009, dirette a contrastare questa pratica, elusiva delle norme vigenti in materia di soggiorno degli stranieri;
prima della modifica legislativa, intervenuta con la citata legge n. 94 del 2009, ai sensi della previgente formulazione dell'articolo 116 codice civile, lo straniero, intenzionato a contrarre matrimonio in Italia, doveva presentare all'ufficiale dello stato civile solo un nulla osta rilasciato dall'autorità competente del proprio Paese;
oltre al predetto requisito formale, sul piano sostanziale, il nubendo doveva rispettare le condizioni previste dalla normativa italiana riguardanti la capacità di contrarre matrimonio (tra l'altro, libertà di stato, età minima) e l'assenza di situazioni personali ostative (ad esempio, impedimenti per parentela ed affinità);
con la citata legge n. 94 del 2009 era stato modificato l'articolo 116, primo comma, codice civile, sicché la nuova norma stabiliva che «lo straniero che vuole contrarre matrimonio nella Repubblica deve presentare all'ufficiale dello stato civile», oltre al nulla osta, di cui sopra, «un documento attestante la regolarità del soggiorno nel territorio italiano»;
la legge n. 94 del 2009, al fine di ridurre il fenomeno dei cosiddetti «matrimoni di comodo», aveva altresì modificato l'articolo 5 della legge n. 91 del 1992, in materia di acquisto della cittadinanza italiana, prevedendo un ampliamento del periodo di convivenza post-matrimonio, necessaria per l'acquisto della cittadinanza da parte del coniuge straniero;
in particolare al comma 1 dell'articolo 5 della citata legge si prevede, che «il coniuge, straniero o apolide, di cittadino italiano può acquistare la cittadinanza italiana quando, dopo il matrimonio, risieda legalmente da almeno due anni nel territorio della Repubblica, oppure dopo tre anni dalla data del matrimonio se residente all'estero, qualora», al momento dell'adozione del decreto di acquisto della cittadinanza, «non sia intervenuto lo scioglimento, l'annullamento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio e non sussista la separazione personale dei coniugi»; al successivo comma 2 si stabilisce che i termini sono, peraltro, «ridotti della metà in presenza di figli nati o adottati dai coniugi»;
per effetto di queste importanti innovazioni legislative si era posto un freno ai matrimoni contratti per finalità estranee a questo istituto e dirette ad aggirare la normativa in materia di immigrazione, dotando in particolare i sindaci di uno strumento efficace per non procedere alle pubblicazioni di matrimonio, allorché il nubendo straniero era privo di un titolo di soggiorno;
la Corte Costituzionale con la sentenza 245 del 25 luglio 2011 ha tuttavia dichiarato l'incostituzionalità dell'articolo 116, primo comma, del codice civile, come modificato dall'articolo 1, comma 15, della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), limitatamente alle parole «nonché un documento attestante la regolarità del soggiorno nel territorio italiano»;
le ragioni di tale declaratoria di incostituzionalità risiedono nel contrasto della disposizione in esame con il godimento di diritti fondamentali, tra i quali, afferma la Corte «certamente rientra quello di contrarre matrimonio, discendente dagli articoli 2 e 29 della Costituzione, ed espressamente enunciato nell'articolo 16 della dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948 e nell'articolo 12 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali»;
l'effetto pratico di questa pronuncia è stato quello di privare i sindaci di un'effettiva possibilità di ostacolare la celebrazione di matrimoni di comodo, quando sia nota la condizione di clandestinità del nubendo e sia evidente la finalità strumentale del matrimonio rispetto all'obbiettivo della regolarizzazione;
il sindaco che volesse ostacolare la conclusione di un matrimonio simulato si dovrebbe perciò impegnare in accertamenti che non gli competono, dai quali risultava esonerato dalla precedente disposizione che legava la possibilità di contrarre matrimonio ad un requisito oggettivo e documentale quale l'attestazione della regolarità del soggiorno -:
quali iniziative normative si intendano assumere per pervenire, rispetto alla situazione illustrata in premessa, ad un bilanciamento degli interessi che contemperi il rispetto dei diritti fondamentali con il contrasto preventivo alla celebrazione dei matrimoni di comodo.
(4-14859)