ALESSANDRI. -
Al Ministro della giustizia.
- Per sapere - premesso che:
in Parlamento sono già presenti determinati atti di sindacato ispettivo (ad esempio l'atto Camera 4-00242 e l'atto Camera 4-01519), volti a sottolineare alcune criticità dell'attuale sistema di funzionamento dell'istituto del CTU (consulente tecnico d'ufficio), ossia la figura professionale, di particolare competenza tecnica, al quale si affida il giudice durante il processo civile, mentre nel processo penale, tale professionista assume il nome perito d'ufficio;
anche la Corte di cassazione è spesso intervenuta su specifiche problematicità rilevate nell'applicazione della disciplina dei consulente tecnico d'ufficio. Al riguardo si cita da ultimo la sentenza n. 12686 del 2011, che in particolare recita: «...ancora una volta, va richiamato il principio, più volte affermato da questa Corte, per il quale se è vero che il giudice di merito si può avvalere delle conclusioni raggiunte dal proprio consulente, mediante un richiamo dei contenuti salienti della relazione, è pure da ribadire che allorché ad una consulenza tecnica d'ufficio siano mosse critiche puntuali e dettagliate da un consulente di parte il giudice che intenda disattenderle ha l'obbligo di indicare nella motivazione della sentenza le ragioni di tale scelta, senza che possa limitarsi a richiamare acriticamente le conclusioni del proprio consulente, ove questi non si sia fatto carico di esaminare e confutare i rilievi di parte (cfr. Cass 24 aprile 2008 n. 10688; 11 marzo 2002 n. 3492; 20 maggio 2005 n. 10668; 13 dicembre 2006 n. 26694);
vicende del tipo di quella di cui al presente atto di sindacato, ripropongono la gravità delle problematiche sottese all'esito delle consulenze e delle perizie di ufficio (CTU) che spesso possono corrispondere a seri errori giudiziari con danni gravi alle persone fisiche, giuridiche ed all'erario;
occorre sottolineare che la delicatezza degli errori nelle sentenze di primo grado che possono essere causati dai consulenti tecnici d'ufficio sono spesso irreversibili, ciò anche a causa del fatto che l'attuale ordinamento nel prevedere l'inibitoria dell'esecutività delle sentenze di primo grado, non considera poi il fatto oggettivo della difficoltà dell'accesso all'appello, dei tempi legati a questa ipotesi, delle legittime operazioni attuabili dalla controparte che essendo consapevole che è altamente probabile che in appello la sentenza potrà essere ribaltata, si avvantaggia della circostanza che la sentenza di primo grado si sostanzia per la vittima in una condanna definitiva;
un caso che si desidera porre in evidenza è il procedimento civile R.G. 4593/04 e penale n. R.G.N.R. 4206/11 incardinati presso il tribunale di Velletri, scaturiti, secondo la proprietà allo scopo interessata, dai lavori edili eseguiti da una ditta di Genzano di Roma per il miglioramento sismico dell'edificio (sito in Rieti in via San Francesco n. 62), cofinanziati dallo Stato. Tali lavori, principalmente da parte delle istituzioni locali competenti (genio civile, comune di Rieti e vigili del fuoco), sono stati valutati come male eseguiti e pericolosi per la pubblica incolumità;
nel caso specifico il relativo consulente tecnico d'ufficio sembrerebbe, per quanto consta all'interrogante, aver sconfessato le risultanze del genio civile di Rieti, prodotte in data 8 marzo 2011 e nelle quali si sanciva che per i lavori di realizzazione della copertura dell'edificio in via San Francesco n. 62, in Rieti, tutte le difformità segnalate dai vari enti erano contro legge (ordinanza n. 2741/98) e che «per ricondurre l'intervento al disposto della norma al fine del suo completamento, con necessarie riparazioni delle opere eseguite in difformità, era indispensabile l'approvazione da parte dell'area del progetto di variante dall'interessato allo scopo presentato, allo stato in corso di istruttoria». Su tali espressioni di merito il consulente tecnico d'ufficio non avrebbe posto in essere alcuna disamina tecnica in contraddittorio con i CTP per i vizi occulti denunciai dagli enti terzi riguardanti addirittura la Pubblica incolumità. Gli enti terzi per un edificio da riparare con al 75 per cento con fondi dello Stato non sembrano essere stati per nulla considerati nel processo, né indirettamente dal consulente tecnico d'ufficio tramite una rappresentazione del loro parere, né direttamente come testimonianza;
nel suo elaborato peritale il consulente tecnico d'ufficio non avrebbe espresso alcuna preoccupazione in merito alla potenziale pericolosità paventata dai tecnici di tali enti pubblici, riguardo al tetto dell'edificio realizzato in maniera strutturalmente labile e pericolosamente gravante, con tutte le sue venti tonnellate di peso, su via S. Francesco (aperta a pedoni e auto) in Rieti;
in questa vicenda si giunge al paradosso che il cittadino che chiede giustizia per un'opera mal eseguita, e per questo classificata pericolosa per l'incolumità pubblica, è stato valutato non conforme alla legge dagli enti terzi per i lavori della ditta realizzatrice mentre è stata condannata dal giudice per lavori ritenuti a norma e non pericolosi quindi da pagare -:
se non intenda assumere iniziative normative urgenti volte ad attuare concretamente i richiami da ultimo riproposti dalla Corte di cassazione nella sentenza n. 12686 del 2011, in ordine all'obbligo del giudice di motivare le ragioni per cui, ove decidesse di farlo, non intendesse tener conto delle eventuali critiche puntuali e dettagliate poste da un consulente di parte alle consulenze tecniche d'ufficio dallo stesso richiese ed in tale circostanza quali soluzioni alternative di maggior efficienza ritenga si possano perseguire in sostituzione dell'attuale istituto dei consulenti tecnici d'ufficio soprattutto in materia di contenziosi riguardanti la sicurezza del cittadino qualora come soggetto competente nei relativi processi siano preposti obbligatoriamente lo Stato e gli enti istituzionali territoriali allo scopo interessati.
(4-14637)