ATTO CAMERA

INTERROGAZIONE A RISPOSTA SCRITTA 4/14041

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 16
Seduta di annuncio: 554 del 29/11/2011
Firmatari
Primo firmatario: TURCO MAURIZIO
Gruppo: PARTITO DEMOCRATICO
Data firma: 29/11/2011
Elenco dei co-firmatari dell'atto
Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma
BELTRANDI MARCO PARTITO DEMOCRATICO 29/11/2011
BERNARDINI RITA PARTITO DEMOCRATICO 29/11/2011
FARINA COSCIONI MARIA ANTONIETTA PARTITO DEMOCRATICO 29/11/2011
MECACCI MATTEO PARTITO DEMOCRATICO 29/11/2011
ZAMPARUTTI ELISABETTA PARTITO DEMOCRATICO 29/11/2011


Destinatari
Ministero destinatario:
  • MINISTERO DELLA DIFESA
Attuale delegato a rispondere: MINISTERO DELLA DIFESA delegato in data 29/11/2011
Stato iter:
07/08/2012
Partecipanti allo svolgimento/discussione
RISPOSTA GOVERNO 07/08/2012
DI PAOLA GIAMPAOLO MINISTRO - (DIFESA)
Fasi iter:

SOLLECITO IL 15/02/2012

SOLLECITO IL 28/05/2012

SOLLECITO IL 04/07/2012

SOLLECITO IL 26/07/2012

RISPOSTA PUBBLICATA IL 07/08/2012

CONCLUSO IL 07/08/2012

Atto Camera

Interrogazione a risposta scritta 4-14041
presentata da
MAURIZIO TURCO
martedì 29 novembre 2011, seduta n.554

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. -
Al Ministro della difesa.
- Per sapere - premesso che:

in base all'articolo 32, comma 2, della Costituzione italiana nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge;

in base all'articolo 5 della legge n. 135 del 1990 la rilevazione dell'infezione da HIV deve essere effettuata con modalità che non consentano l'identificazione della persona; nessuno può essere sottoposto ad analisi tendenti ad accertare l'infezione da HIV se non per motivi di necessità clinica nel suo interesse; sono consentite analisi di accertamento di infezione da HIV, nell'ambito di programmi epidemiologici, soltanto quando i campioni da analizzare siano stati resi anonimi con assoluta impossibilità di pervenire alla identificazione delle persone interessate; la comunicazione di risultati di accertamenti diagnostici diretti o indiretti per infezione da HIV può essere data esclusivamente alla persona cui tali esami sono riferiti; l'accertata infezione da HIV non può costituire motivo di discriminazione, in particolare per l'iscrizione alla scuola, per lo svolgimento di attività sportive, per l'accesso o il mantenimento di posti di lavoro;

in base all'articolo 6 della legge n. 135 del 1990 è vietato ai datori di lavoro, pubblici e privati, lo svolgimento di indagini volte ad accertare nei dipendenti o in persone prese in considerazione per l'instaurazione di un rapporto di lavoro l'esistenza di uno stato di sieropositività; alle violazioni di tali disposizioni si applica il sistema sanzionatorio previsto dall'articolo 38 della legge 20 maggio 1970, n. 300;

in base all'articolo 15, comma 3, della legge n. 359 del 1990 nessun provvedimento può essere preso nei confronti di chi abbia rifiutato di sottoporsi agli accertamenti per la ricerca di anticorpi HIV o di chi, sulla base di tali accertamenti, sia risultato essere sieropositivo;

nel 1994 si è espressa la Corte costituzionale - sentenza n. 218 - suggerendo che, qualora alcune attività lavorative o mansioni potessero comportare rischi di trasmissione dell'infezione verso terzi (in particolare questa ipotesi nasceva da un caso relativo ad attività in ambito sanitario) «dovrebbe» essere prevista la possibilità del datore di lavoro di richiedere all'interessato l'esecuzione del test, ciò perché l'interesse per la salute collettiva e la sua tutela, in base alle conoscenze medico-scientifiche dell'epoca, superava i diritti del singolo; che la conseguenza di questa sentenza possa essere quella di «screening di massa» è tuttavia espressamente negato dalla stessa Corte; la succitata sentenza demandava al legislatore il compito di individuare le eventuali mansioni che potessero esporre terzi a contrarre l'infezione da HIV e rispetto alle quali prevedere l'esecuzione del test. Ad oggi il Parlamento non si è mai espresso in tal senso; la Corte costituzionale con sentenza n. 218 del 1994 ha evitato di pronunciarsi sulla questione di costituzionalità dell'articolo 6, legge n. 135 del 1990, lasciando immutata la disciplina del «divieto per i datori di lavoro»; a conferma di ciò, la stessa cassazione penale, sezione III, nella sentenza 8 gennaio 1998, n. 43, ha statuito che costituisce il reato di cui all'articolo 6, legge n. 135 del 1990, e sono puniti a norma dell'articolo 38 Statuto dei lavoratori, il datore di lavoro e a titolo di concorso il medico che sottopongano all'esame per la ricerca della sieropositività lavoratori dipendenti o persone prese in considerazione per l'instaurazione di un rapporto di lavoro;

già nel marzo del 1994 la Commissione nazionale AIDS del Ministero della salute ha approvato un documento nel quale viene specificato che «sulla base delle conoscenze scientifiche disponibili sulle modalità di trasmissione dell'HIV non è giustificato, anzi sembra irragionevole, prevedere l'obbligatorietà di screening per l'HIV per gli operatori, anche del comparto sanitario». La Commissione, nel parere reso in relazione all'eccezione di incostituzionalità degli articoli 5 e 6 della legge, n. 135 del 1990 proposta dal pretore di Padova, ha effettuato una disamina dello stato delle conoscenze sulla trasmissione dell'infezione da HIV allo scopo di evidenziare quale sia il fondamento tecnico-scientifico delle disposizioni che non consentono l'esecuzione obbligatoria del test per l'accertamento dell'infezione da HIV; nel documento ha sostenuto che, seguendo le raccomandazioni dei Center for Diseases Control and Prevention statunitensi per la prevenzione della trasmissione del virus della immunodeficienza umana (HIV) che si basano sul rispetto delle precauzioni universali, pur in un settore particolarmente a rischio qual è quello sanitario, il rischio di infezione occupazionale può considerarsi solo ipotetico; ed ancora, la Commissione ha ricordato come la disciplina che è stata emanata nel nostro Paese, in coerenza con gli indirizzi delineati con decreto ministeriale 28 settembre 1990, ha definito l'insieme delle norme di protezione tanto per gli operatori delle strutture sanitarie che per quelli delle strutture assistenziali, sia pubbliche che private, con criteri di sistematicità e generalità per i diversi settori e ha rimarcato come le precauzioni previste sono da ritenersi adeguate tanto per la protezione degli operatori che per quelle delle persone assistite;

sulla scorta delle succitate valutazioni medico-scientifiche, imprescindibili per il corretto inquadramento della questione dei rischi di contagio e della loro ricorrenza in concreto, risulta dunque superata la questione della tutela dei terzi, da inquadrarsi, semmai, in un contesto di politica di prevenzione del rischio comportamentale del singolo in linea con le indicazioni elaborate dall'ILO nel 2001 con "Il Codice di condotta nei luoghi di lavoro per la prevenzione del contagio da HIV», documento che ha messo in evidenza che il rischio di trasmissione del virus HIV è strettamente collegato a comportamenti personali, specifici e non casuali, normalmente non ricorrenti nei luoghi di lavoro;

in Italia, all'esigenza di tutela dal rischio del contagio, ha risposto il legislatore con il decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, in materia di prevenzione della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro; com'è noto la normativa, modificata ed integrata con il decreto legislativo n. 81 del 2008 ed il decreto legislativo n. 106 del 2009, prevede misure generali di tutela volte alla valutazione dei rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori ed alla loro eliminazione in relazione alle conoscenze acquisite in base al progresso tecnico e, ove ciò non sia possibile, alla loro riduzione al minimo; in particolare viene in evidenza l'obbligo di informazione e formazione sui rischi e sulle misure di sicurezza, unici strumenti privilegiati di strategia prevenzionale anche nella prevenzione del rischio di infezione da virus HIV; ne deriva che il datore di lavoro ha l'obbligo di assumere le concrete misure prevenzionali in relazione alla rilevanza, alla specificità e alla attualità del rischio di contagio rendendo edotti i lavoratori sui metodi di prevenzione, a prescindere dallo stato sierologico dei singoli;

in base alle più recenti ed aggiornate conoscenze medico-scientifiche, richiedere un test per l'accertamento della positività per anticorpi HIV non costituisce garanzia che gli aspiranti concorrenti militari non siano entrati in contatto col virus in periodi immediatamente antecedenti o successivi all'esecuzione del test di cui sopra; la norma internazionale dell'ILO del 17 giugno 2010 ribadisce, peraltro, il divieto di esecuzione del test HIV in qualsiasi settore lavorativo, comprese Forze Armate, di polizia e corpi di vigilanza;

in Italia, malgrado in nessun ambito possa essere prevista l'esecuzione obbligatoria del test per HIV per accedere o mantenere un posto di lavoro, presso l'Amministrazione della difesa vengono indetti bandi di concorso pubblico nei quali è ancora previsto l'obbligo di presentazione del test anticorpale HIV in data non antecedente i tre mesi rispetto a quella di convocazione a visita medica collegiale di idoneità -:

se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto sopra e quali iniziative intenda intraprendere per garantire il rispetto della normativa nazionale ed internazionale nelle procedure di selezione del personale della difesa. (4-14041)
Atto Camera

Risposta scritta pubblicata martedì 7 agosto 2012
nell'allegato B della seduta n. 678
All'Interrogazione 4-14041 presentata da
MAURIZIO TURCO

Risposta. - Le procedure concorsuali per il reclutamento nelle Forze armate comprendono, tra i requisiti per la partecipazione, il possesso dell'idoneità psicofisica che deve essere accertata secondo le modalità previste dal decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 90 recante «Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare», nel quale sono specificate le imperfezioni e le infermità causa di non idoneità al servizio militare e successive modifiche e integrazioni, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 24 febbraio 2012, n. 40.
In particolare, «le sindromi da immunodeficienza, anche in fase asintomatica», sono causa di non idoneità al servizio militare, ai sensi dell'articolo 582, comma 1, lettera e), numero 3) del richiamato decreto del Presidente della Repubblica.
In materia, la Corte costituzionale si è espressa (sentenza n. 218 del 1994) dichiarando «l'illegittimità costituzionale dell'articolo 5, terzo e quinto comma, della legge 5 giugno 1990, n. 135 (Programma di interventi urgenti per la prevenzione e la lotta contro l'AIDS), nella parte in cui non prevede accertamenti sanitari dell'assenza di sieropositività all'infezione da HIV come condizione per l'espletamento di attività che comportano rischi per la salute dei terzi».
La stessa Corte, inoltre, ha ritenuto superata la questione di legittimità costituzionale sollevata con riferimento all'articolo 6 della stessa legge, specificando che il divieto di accertamento della positività all'infezione da HIV sia inapplicabile non solo nella sanità, bensì in ogni altro settore in cui vi sia un serio rischio di contagio.
Sulla base della richiamata pronuncia, le Forze armate rientrano a pieno titolo tra i settori a rischio contagio, in considerazione delle peculiari modalità di svolgimento dei compiti a loro devoluti, nonché degli evidenti fattori di rischio esistenti per la salute sia del personale militare sia di terzi.
Si soggiunge che tali fattori sussistono anche per lo stesso soggetto sieropositivo, la cui infermità sarebbe elemento ostativo per l'effettuazione integrale della prevista schedula vaccinale obbligatoria.
La doverosa tutela nei confronti del soggetto sieropositivo richiede, peraltro, che lo stesso non possa essere sottoposto a fattori di stress fisici e che, al contrario, debba seguire un regime di vita e un'eventuale terapia adeguati.
Si richiama, inoltre, l'articolo 3 della direttiva tecnica della sanità militare del 5 dicembre 2005, come modificato dalla lettera e) del comma 1 dell'articolo 1, del decreto direttoriale 5 ottobre 2011 - emanato dalla Difesa - che contempla, tra le cause di non idoneità al servizio militare, «la positività per gli anticorpi anti-HIV».
In applicazione, quindi, della normativa vigente in materia, i bandi di reclutamento devono obbligatoriamente prevedere criteri di selezione che comportano l'esclusione dalle procedure concorsuali dei candidati affetti dalle patologie ivi indicate.
Pertanto, in considerazione di quanto sopra esposto, non si ritiene possibile porre in atto quanto richiesto dall'interrogante.


Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.