DI PIETRO e FAVIA. -
Al Ministro dell'interno.
- Per sapere - premesso che:
i testimoni di giustizia sono persone e liberi cittadini che mettono «concretamente» a repentaglio la loro vita e la vita dei loro familiari al fine di aiutare lo Stato nella lotta alla criminalità;
i «testimoni» di giustizia non sono «collaboratori» di giustizia. Il testimone non è colui che, dopo aver commesso il fatto, con atto di resipiscenza operosa si attiva, ma è colui che, senza aver fatto parte di organizzazioni criminali, anzi essendone a volte vittima, ha sentito il dovere di testimoniare per ragioni di sensibilità istituzionale e rispetto delle esigenze della collettività, esponendo sé stesso e la sua famiglia alla reazione degli accusati e alle intimidazioni della delinquenza;
la legge 13 febbraio 2001, n. 45, afferma in modo chiaro che devono esservi misure di protezione fino all'effettiva cessazione del pericolo esistente per sé e per i familiari. Quindi, una protezione vera, reale ed effettiva. Sono previste misure di assistenza ed interventi volti a garantire un tenore di vita personale e familiare non inferiore a quello preesistente all'ingresso nel programma di protezione;
già nel 2008, nella «Relazione sui testimoni di giustizia», approvata dalla Commissione antimafia e trasmessa al Parlamento, venivano elencate in modo chiaro le problematiche e le criticità denunziate dalla quasi totalità dei testimoni di giustizia;
sono state già proposte moltissime interrogazioni ed interpellanze parlamentari bi-partisan relativamente alle delicate ed imbarazzanti situazioni in cui sono costretti a vivere i testimoni di giustizia;
la realtà odierna si caratterizza per la persistenza delle criticità già denunciate e relative alla difficoltà nel reinserimento socio-lavorativo, all'inadeguatezza delle misure di protezione, alla difficoltà nell'accesso alle agevolazioni bancarie, all'impossibilità di fare stabile affidamento sull'ausilio dei professionisti e consulenti nominati dalle istituzioni;
ma quel che è peggio sono le umiliazioni che i testimoni di giustizia sono costretti a sopportare a causa di certe istituzioni;
mentre le risposte formulate alle interrogazioni ed interpellanze parlamentari sembrerebbero tratteggiare un contesto di ineccepibile rispetto delle regole poste a garanzia di quanti decidono di servire lo Stato con le loro testimonianze, la realtà sembrerebbe tutt'altra. I testimoni di giustizia continuano a sentirsi calpestati, offesi e annullati dalla arroganza ed indifferenza di certe istituzioni;
i testimoni di giustizia, pur avendo servito lo Stato, continuano ad assistere a comportamenti che umiliano i loro sacrifici e la loro onestà;
sfuggiva e purtroppo continua a sfuggire a certi rappresentanti delle istituzioni che i testimoni di giustizia sono prima di tutto «persone» e non entità astratte;
prima di diventare «testimoni» di «giustizia» erano normalissimi cittadini che si alzavano la mattina per recarsi sul posto di lavoro. Avevano una casa in cui ritirarsi alla fine della giornata per condividere ore liete con familiari ed amici;
i testimoni di giustizia erano e sono persone «oneste» che hanno avuto il coraggio di denunciare il malaffare, pur consapevoli delle difficoltà a cui sarebbero andati incontro, a causa delle possibili ritorsioni della criminalità organizzata;
sono persone che hanno creduto nelle istituzioni e che hanno il diritto di continuare a crederci per loro stessi e per i loro figli, vittime anch'essi prima delle mafie e poi della sufficienza e superficialità di certe istituzioni;
il nostro Paese commemora gli eroi di Stato soltanto quando gli stessi non sono più in vita e troppo spesso dimentica il dramma di tutti coloro che per onestà hanno deciso di sacrificare la loro esistenza per il bene comune -:
quali urgenti iniziative, anche di carattere normativo, il Ministro interrogato intenda adottare per non disincentivare le testimonianze e soprattutto per garantire, nei fatti e non soltanto nelle promesse, il rispetto della dignità dei testimoni di giustizia. (4-12174)