Atto Camera
Risposta scritta pubblicata martedì 23 ottobre 2012
nell'allegato B della seduta n. 707
All'Interrogazione 4-09779
presentata da
MAURIZIO TURCO
Risposta. - Preme anzitutto evidenziare che il riassetto della disciplina previgente operato con il decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, recante il codice dell'ordinamento militare (COM), non ha inciso negativamente, né avrebbe potuto farlo, sui diritti costituzionali dei militari, come paventato dall'interrogante.
Il codice, infatti, è un'opera di riassetto conforme ai principi e criteri direttivi per la semplificazione e il coordinamento formale della materia ai sensi dell'articolo 14, commi 14 e 15, della legge 28 ottobre 2005, n. 246, e dell'articolo 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59.
In adesione ai medesimi criteri, nella «Relazione introduttiva» al provvedimento si legge:
al punto 7, secondo periodo, che «La codificazione, sia per quanto riguarda il Codice delle norme primarie, sia per quanto riguarda il Testo unico regolamentare, è avvenuta nel rispetto dei criteri di delega, secondo i parametri del coordinamento formale e sostanziale e del riassetto normativo, come elaborati dalla giurisprudenza della Corte costituzionale e del Consiglio di Stato»;
al punto 7.1, che «Il coordinamento formale implica l'accorpamento coerente delle disposizioni vigenti in un unico testo, nel significato risultante; dal cosiddetto diritto vivente, ossia cristallizzando l'interpretazione della giurisprudenza consolidata delle giurisdizioni superiori» (Consiglio di Stato, adunanza generale 29 marzo 2001, n. 4 del 2001 reso in sede di elaborazione del T.U. espropriazioni);
al punto 7.4, infine, che «Nell'opera di riassetto si è anche tenuto conto del «diritto vivente» quale risultante dall'elaborazione della giurisprudenza della Corte costituzionale e delle giurisdizioni superiori».
Con riferimento, in particolare, alle questioni di stato giuridico del personale, il riassetto è avvenuto senza incidere in alcun modo sui diritti costituzionali del militare. E doverosamente, per quanto testé evidenziato, considerando i consolidati orientamenti giurisprudenziali; nell'ambito del menzionato coordinamento, il codice ha realizzato, in riferimento alla sua funzione propria e al principio garantistico della certezza del diritto, una chiarificazione su alcuni punti, e con incremento del livello di tutela del militare.
Ad esempio, nell'ambito disciplinare, risultano più chiaramente espressi:
l'alternatività fra sanzioni disciplinari di corpo e di stato (articolo 1352, comma 2, c.m., già articolo 13, comma 2, legge n. 382 del 1978);
l'unicità della sanzione in presenza di più trasgressioni (articolo 1355, comma 5, c.m., già articolo 60, decreto del Presidente della Repubblica n. 545 del 1986);
l'assistenza di un difensore dinanzi alle commissioni di disciplina per tutti i militari (articolo 1370, commi 2 e 3, c.m.; già legge n. 113 del 1954);
la possibilità di differimento del procedimento disciplinare per legittimo impedimento (articolo 1370, comma 5, c.m.);
il principio del ne bis in idem in materia di sanzioni (articolo 1371 c.m.) e quello dell'annullamento d'ufficio di atti del procedimento disciplinare riconosciuti illegittimi dall'amministrazione (articolo 1372 c.m.).
In via generale, l'articolo 1, comma 6, dello stesso codice dell'ordinamento militare chiarisce che la legge n. 241 del 1990 si applica a tutti i provvedimenti e procedimenti previsti dal codice dell'ordinamento militare e dal testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare, in quanto non diversamente disposto. È questo il principio di riferimento e di base.
Riguardo al disposto di cui all'articolo 1349, comma 3, del codice di ordinamento militare, cui l'interrogante si riferisce, occorre evidenziare che l'attuale formulazione è quella che esplicita, in materia di ordini militari, indirizzi giurisprudenziali e dottrinali univoci, consolidati nell'ordinamento amministrativo e penale militare.
Gli ordini sono atti propri e specifici dell'ordinamento militare, connessi alla sua speciale coesione e al suo carattere gerarchico che è la prima garanzia della sua democraticità, vale a dire della sua rispondenza alle istituzioni rappresentative della sovranità popolare (articolo 52 della Costituzione) a necessaria compensazione del monopolio della forza. Gli ordini sono gli atti tipici che manifestano funzionalmente questa gerarchia. Si inquadreranno nel rapporto organico e d'ufficio militare, dove si colloca il dovere di obbedienza quale naturale conseguenza della subordinazione gerarchica (articolo 1347 c.m., già articolo 5, decreto del Presidente della Repubblica n. 545 del 1986). Va poi considerato che gli ordini militari sono emanati oralmente o per iscritto: l'emanazione in forma orale è, anzi, la più usuale nell'ambito delle attività
istituzionali e operative delle Forze armate, per la quale risultano strutturalmente incompatibili forme proprie di procedimentalizzazione aventi stretto significato tecnico-documentale e concernenti, in particolare, la partecipazione e l'obbligo di motivazione.
Per i profili sopra evidenziati, le forme procedimentali previste dalla legge n. 241 del 1990 non sono applicate agli ordini, conformemente alla consolidata giurisprudenza, elaborata a partire dall'entrata in vigore della stessa legge del 1990 (vedansi, tra altre, le sentenze del Consiglio di Stato - sezione IV - n. 597 del 1991, n. 849 del 1992, n. 33 del 1997, n. 85 del 1996, n. 2271 del 99, n. 1677 del 2006, n. 2641 del 2000 e n. 1677 del 2001).
Il comma 3 dell'articolo 1349 (1347 del testo inviato ai pareri) stabilisce, dunque, attenendosi fedelmente ai contenuti del parere del Consiglio di Stato n. 149-152 del 10 febbraio 2010, reso sullo schema di decreto legislativo recante il COM, l'inapplicabilità agli ordini militari dei capi I, III e IV della legge n. 241 del 1990. Per effetto del richiamato comma 6 dell'articolo 1 del COM, risulta, pertanto, sancita l'applicabilità agli ordini militari delle disposizioni della legge n. 241 del 1990 dei rimanenti Capi della legge stessa, concernenti, tra l'altro, il responsabile del procedimento, l'efficacia e l'invalidità del provvedimento, la sua revoca e l'accesso agli atti documentali. Ciò a conferma del consolidato orientamento della giurisprudenza dell'Alto Consesso, espresso più recentemente, tra altre, dalle sentenze della Sezione IV n. 807 del 2006 e n. 4231 del 2008.
Questo è il «diritto vivente»: la codificazione aveva il dovere di recepirlo. Non aveva il potere di negarlo e di innovarvi.
Se è qui consentita un'ulteriore osservazione, si tratta, all'evidenza, di pronunce in linea con la sentenza della Corte costituzionale 17 dicembre 1999, n. 449, che ha sottolineato l'assoluta peculiarità dell'ordinamento militare, affermando che «significativamente l'articolo 52, terzo comma, della Costituzione parla di "ordinamento delle Forze armate", non c per indicare una sua (inammissibile) estraneità all'ordinamento generale dello Stato, ma per riassumere in tale formula l'assoluta specialità della funzione». In quell'occasione, la Corte, ferma la non estraneità dell'ordinamento militare all'ordinamento generale e il riconoscimento ai singoli militari dei diritti fondamentali, ha concluso che il diverso trattamento relativamente a un diritto costituzionale si fonda sulle speciali caratteristiche del servizio militare e dell'ambiente in cui esso viene reso: infatti «rileva nel suo carattere assorbente il servizio reso in un ambito speciale come quello militare (articolo 52, 1° e 2° comma, della Costituzione)».
Per le ragioni espresse, il riassetto operato dal COM, sotto il profilo tecnico-giuridico, è pienamente coerente con i criteri e principi direttivi della delega; esso, comunque, non ha operato, né avrebbe potuto farlo, alcun intervento modificativo, meno che meno in senso sfavorevole, sulla sfera dei diritti dei militari che, anzi, anche per quanto sopra evidenziato, risultano in alcuni punti più chiaramente delineati e tutelati.
Eventuali non coerenti casi di riassetto, d'altra parte, rientrerebbero tra quelli oggetto degli interventi correttivi previsti dall'articolo 14, comma 18, della stessa legge 28 ottobre 2005, n. 246.
Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.
Atto Camera
Risposta scritta pubblicata martedì 20 novembre 2012
nell'allegato B della seduta n. 720
All'Interrogazione 4-09779
presentata da
MAURIZIO TURCO
Risposta. - Preme anzitutto evidenziare che il riassetto della disciplina previgente operato con il decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, recante il Codice dell'ordinamento militare, non ha inciso negativamente, né avrebbe potuto farlo, sui diritti costituzionali dei militari, come paventato dall'interrogante.
Il Codice, infatti, è un'opera di riassetto conforme ai principi e criteri direttivi per la semplificazione e il coordinamento formale della materia ai sensi dell'articolo 14, commi 14 e 15, della legge 28 ottobre 2005, n. 246, e dell'articolo 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59.
In adesione ai medesimi criteri, nella «relazione introduttiva» al provvedimento si legge:
al punto 7, secondo periodo, che «La codificazione, sia per quanto riguarda il Codice delle norme primarie, sia per quanto riguarda il Testo unico regolamentare, è avvenuta nel rispetto dei criteri di delega, secondo i parametri del coordinamento formale e sostanziale e del riassetto normativo, come elaborati dalla giurisprudenza della Corte costituzionale e del Consiglio di Stato»;
al punto 7.1, che «Il coordinamento formale implica l'accorpamento coerente delle disposizioni vigenti in un unico testo, nel significato risultante dal cosiddetto diritto vivente, ossia cristallizzando l'interpretazione della giurisprudenza consolidata delle giurisdizioni superiori» (Cons. Stato, ad. gen. 29 marzo 2001, n. 4/01, reso in sede di elaborazione del testo unico sulle espropriazioni);
al punto 7.4, infine, che «Nell'opera di riassetto si è anche tenuto conto del "diritto vivente" quale risultante dall'elaborazione della giurisprudenza della Corte costituzionale e delle giurisdizioni superiori».
Con riferimento, in particolare, alle questioni di stato giuridico del personale, il riassetto è avvenuto senza incidere in alcun modo sui diritti costituzionali del militare. E doverosamente, per quanto testé evidenziato, considerando i consolidati orientamenti giurisprudenziali; nell'ambito del menzionato coordinamento, il Codice ha realizzato, in riferimento alla sua funzione propria e al principio garantistico delle certezza del diritto, una chiarificazione su alcuni punti, e con incremento del livello di tutela del militare.
Ad esempio, nell'ambito disciplinare, risultano più chiaramente espressi:
l'alternatività fra sanzioni disciplinari di corpo e di stato (articolo 1352, comma 2, come modificato, già articolo 13, comma 2, legge n. 382 del 1978);
l'unicità della sanzione in presenza di più trasgressioni (articolo 1355, comma 5, come modificato, già articolo 60, decreto del Presidente della Repubblica n. 545 del 1986);
l'assistenza di un difensore dinanzi alle commissioni di disciplina per tutti i militari (articolo 1370, comma 2 e 3, come modificato; già legge n. 113 del 1954);
la possibilità di differimento del procedimento disciplinare per legittimo impedimento (articolo 1370, comma 5, come modificato);
il principio del ne bis in idem in materia di sanzioni (articolo 1371 come modificato) e quello dell'annullamento d'ufficio di atti del procedimento disciplinare riconosciuti illegittimi dall'Amministrazione (articolo 1372 come modificato).
In via generale, l'articolo 1, comma 6, dello stesso Codice dell'ordinamento militare chiarisce che la legge n. 241 del 1990 si applica a tutti i provvedimenti e procedimenti previsti dal Codice dell'ordinamento militare e dal testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare, in quanto non diversamente disposto. È questo il principio di riferimento e di base.
Riguardo al disposto di cui all'articolo 1349, comma 3, del Codice dell'ordinamento militare, cui l'interrogante si riferisce, occorre evidenziare che l'attuale formulazione è quella che esplicita, in materia di ordini militari, indirizzi giurisprudenziali e dottrinali univoci, consolidati nell'ordinamento amministrativo e penale militare.
Gli ordini sono atti propri e specifici dell'ordinamento militare, connessi alla sua speciale coesione e al suo carattere gerarchico che è la prima garanzia della sua democraticità, vale a dire della sua rispondenza alle istituzioni rappresentative della sovranità popolare (articolo 52 della Costituzione) a necessaria compensazione del monopolio della forza. Gli ordini sono gli atti tipici che manifestano funzionalmente questa gerarchia. Si inquadrano nel rapporto organico e d'ufficio militare, dove si colloca il dovere di obbedienza quale naturale conseguenza della subordinazione gerarchica (articolo 1347 come modificato, già articolo 5, decreto del Presidente della Repubblica n. 545 del 1986). Va poi considerato che gli ordini militari sono emanati oralmente o per iscritto: l'emanazione in forma orale è, anzi, la più usuale nell'ambito delle attività istituzionali e operative delle Forze armate, per la quale risultano strutturalmente incompatibili forme proprie di procedimentalizzazione aventi stretto significato tecnico-documentale e concernenti, in particolare, la partecipazione e l'obbligo di motivazione.
Per i profili sopra evidenziati, le forme procedimentali previste dalla legge n. 241 del 1990 non sono applicate agli ordini, conformemente alla consolidata giurisprudenza, elaborata a partire dall'entrata in vigore della stessa legge del 1990 (vedansi, tra altre, le sentenze del Consiglio di Stato - sez. IV - n. 597/1991, n. 849/1992, n. 33/1997, n. 85/1996, n. 2271/99, n. 1677/2006, n. 2641/00 e n. 1677/2001).
Il comma 3 dell'articolo 1349 (1347 del testo inviato ai pareri) stabilisce, dunque, attenendosi fedelmente ai contenuti del parere del Consiglio di Stato n. 149-152 del 10 febbraio 2010, reso sullo schema di decreto legislativo recante il Codice dell'ordinamento militare) l'inapplicabilità agli ordini militari dei capi I, III e IV della legge n. 241 del 1990. Per effetto del richiamato comma 6 dell'articolo 1 del Codice dell'ordinamento militare, risulta, pertanto, sancita l'applicabilità agli ordini militari delle disposizioni della legge n. 241 del 1990 dei rimanenti Capi della legge stessa, concernenti, tra l'altro, il responsabile del procedimento, l'efficacia e l'invalidità del provvedimento, la sua revoca e l'accesso agli atti documentali. Ciò a conferma del consolidato orientamento della giurisprudenza dell'Alto Consesso, espresso più recentemente, tra altre, dalle sentenze della Sezione IV n. 807/2006 e n. 4231/2008.
Questo è il «diritto vivente»: la codificazione aveva il dovere di recepirlo. Non aveva il potere di negarlo e di innovarvi.
Se è qui consentita un'ulteriore osservazione, si tratta, all'evidenza, di pronunce in linea con la sentenza della Corte costituzionale 17 dicembre 1999, n. 449, che ha sottolineato l'assoluta peculiarità dell'ordinamento militare, affermando che «significativamente l'articolo 52, terzo comma, della Costituzione parla di "ordinamento delle Forze armate", non per indicare una sua (inammissibile) estraneità all'ordinamento generale dello Stato, ma per riassumere in tale formula l'assoluta specialità della funzione». In quell'occasione, la Corte, ferma la non estraneità dell'ordinamento militare all'ordinamento generale e il riconoscimento ai singoli militari dei diritti fondamentali, ha concluso che il diverso trattamento relativamente a un diritto costituzionale si fonda sulle speciali caratteristiche del servizio militare e dell'ambiente in cui esso viene reso: infatti «rileva nel suo carattere assorbente il servizio, reso in un ambito speciale come quello militare (articolo 52, 1o e 2o comma della Costituzione)».
Per le ragioni espresse, il riassetto operato dal Codice dell'ordinamento militare, sotto il profilo tecnico-giuridico, è pienamente coerente con i criteri e princìpi direttivi della delega; esso, comunque, non ha operato, né avrebbe potuto farlo, alcun intervento modificativo, meno che meno in senso sfavorevole, sulla sfera dei diritti dei militari che, anzi, anche per quanto sopra evidenziato, risultano in alcuni punti più chiaramente delineati e tutelati.
Eventuali non coerenti casi di riassetto, d'altra parte, rientrerebbero tra quelli oggetto degli interventi correttivi previsti dall'articolo 14, comma 18, della stessa legge 28 ottobre 2005, n. 246.
Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.