FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. -
Al Ministro per i beni e le attività culturali.
- Per sapere - premesso che:
il quotidiano Il Mattino nella sua edizione del 9 novembre 2010 nell'ambito dei servizi dedicati al crollo della domus dei gladiatori a Pompei, ha pubblicato un'allarmante inchiesta della giornalista Gaty Sepe, relativa a un dossier realizzato dalla Soprintendenza «dimenticato» da cui emerge che ben il 70 per cento degli antichi edifici riportati alla luce, necessita di interventi di restauro e messa in sicurezza: il 40 per cento con la massima urgenza perché in stato pessimo o addirittura con un cedimento in atto, il rimanente 30 per cento, in stato appena mediocre, in un secondo momento;
a queste conclusioni sono arrivati, fin dal 2005 gli architetti Giovanni Longobardi e Andrea Mandara che a capo di alcune squadre di ricercatori, architetti e archeologi hanno eseguito l'indagine - la prima dopo quella condotta dopo il terremoto del 1980 - per verificare le condizioni dei siti di tutta la città, commissionata dall'allora Soprintendente Pietro Giovanni Guzzo con i fondi stanziati dal World Monumental Fund, l'istituzione americana che riunisce alcuni investitori tra cui l'American Express;
a detta dell'architetto Longobardi «... non c'è stato un solo muro di Pompei che non sia stato indagato; siamo entrati tagliando con le cesoie i catenacci in case di cui ormai si erano perse le chiavi da tempo. Lo stato di conservazione poteva dirsi complessivamente preoccupante»;
secondo quanto osserva l'architetto Mandara «... i rilievi cominciarono nel 1999 e sono continuati fino al 2005. Gli americani avrebbero preferito finanziare un restauro, ma la Soprintendenza aveva invece individuato la necessità di analizzare tutto lo scavato e volle un'analisi a tappeto che portasse alla definizione di una vera e propria mappa del rischio perché si potesse intervenire con urgenza nelle cosiddette "zone rosse", quelle più esposte al pericolo»;
sempre a detta dei due architetti, la gestione dell'acqua piovana è la vera emergenza, un problema generale che riguarda tutta l'area archeologica che costeggia la parte non ancora scavata dove il terreno, fatto in gran parte di cenere e lapilli, subisce salti di livello e con l'acqua è soggetto a smottamenti. Il risultato è che muri fatti per reggere un solaio, quindi un carico verticale, si ritrovano invece a subire la spinta orizzontale del terrapieno che, evidentemente, non possono reggere;
secondo i due esperti se tutti i lavori, per i quali era stata preventivata una spesa di 250 milioni di euro, fossero stati fatti, forse quel crollo e gli altri che si teme possano ancora venire, si sarebbero potuti evitare: «Il lavoro andava proseguito con un aggiornamento continuo dei dati, ma nessuno dei soprintendenti ad interim nominati ultimamente alla guida degli Scavi ha potuto occuparsene» -:
se quanto contenuto nel citato articolo de Il Mattino corrisponda al vero;
in particolare, se sia vero che il 70 per cento delle case del sito archeologico è a rischio;
se sia vero che lo studio della Soprintendenza sia rimasto «dimenticato» così come si legge nell'inchiesta del quotidiano Il Mattino;
in caso affermativo per responsabilità di chi questo studio è rimasto «dimenticato»;
se non si ritenga opportuno promuovere, nell'ambito delle proprie prerogative e facoltà,un'inchiesta di carattere amministrativo per accertare le eventuali responsabilità in relazione a quanto sopra esposto. (4-09381)