CAMERA DEI DEPUTATI
Martedì 30 settembre 2008
65.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Giustizia (II)
COMUNICATO
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SEDE REFERENTE

Martedì 30 settembre 2008. - Presidenza del presidente Giulia BONGIORNO.

La seduta comincia alle 14.05.

Disposizioni in materia di reati commessi per finalità di discriminazione o di odio fondati sull'orientamento sessuale o sull'identità di genere.
C. 1658 Concia.

(Esame e rinvio).

La Commissione inizia l'esame del provvedimento.

Anna Paola CONCIA (PD), relatore, preliminarmente ringrazia il Presidente della Commissione, onorevole Giulia Bongiorno, per averle data la responsabilità di essere relatrice della proposta di legge in esame, rendendosi conto che ciò non era scontato. Dichiara di essere pronta a prendersi tutta la responsabilità politica di portare avanti un compito tanto delicato. Considerato che per raggiungere risultati nella nostra democrazia bisogna avere la maggioranza, lavorerà con ciascun deputato di maggioranza ed opposizione affinché questo risultato sia raggiunto. La sua formazione e idea di società la spinge a pensare che su alcuni temi che riguardano i diritti fondamentali degli esseri umani, non ci si deve dividere, ma unire, avendo a cuore solo ed esclusivamente il «bene comune», che non è solo il bene di alcuni, ma è il bene di tutti. Per questo chiede di affrontare il tema della proposta di legge abbandonando le ideologie.
Si rivolge ai colleghi della maggioranza, facendo presente che la denominazione del loro partito, quale partito «delle libertà», al plurale, le fa pensare che loro hanno in mente un'idea della società in cui tutti i soggetti che ne fanno parte, nel rispetto delle leggi e della costituzione, possono trovare il loro spazio per partecipare alla costruzione del bene comune, sentendosi cittadini liberi, cittadini a pieno titolo, e perciò protetti come tali. Tutti, nessuno escluso: a prescindere dal proprio orientamento sessuale.
Prima di illustrare la proposta di legge in esame, ritiene opportuno soffermarsi sulla nozione di omofobia, che ne costituisce il fulcro sostanziale. È bene chiarire, come si vedrà meglio più avanti, che si tratta di un termine che non ha una valenza che si esaurisce in una dimensione meramente sociologica, essendo stato

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utilizzato anche in atti con natura giuridica, come le risoluzioni del Parlamento europeo.
Il termine omofobia, con cui si intende oggi comunemente «paura dell'omosessuale» è stato coniato dallo psicologo clinico George Weinberg nel 1971.
Il parlamento europeo, nella risoluzione sull'omofobia in Europa del 18 gennaio 2006, la definisce come «una paura e un'avversione irrazionale nei confronti dell'omosessualità e di gay, lesbiche, bisessuali e transessuali (GLBT), basata sul pregiudizio e analoga al razzismo, alla xenofobia, all'antisemitismo e al sessismo».
La risoluzione, sulla quale si soffermerà più avanti, definisce l'omofobia un pregiudizio, cioè un giudizio precostituito, un giudizio dato a priori. Nel caso in esame è un atteggiamento di rifiuto o di ostilità verso una persona appartenente ad un gruppo, semplicemente in quanto appartenente a quel gruppo. È da chiedersi perché gli individui sono permeabili al pregiudizio. Ricorda che gli psicologi e i sociologi insegnano che soprattutto quando l'interpretazione della realtà è resa difficile dalla complessità, si tende a preservare le proprie sicurezze attraverso processi di semplificazione. Sono processi riduttivi della complessità, che enfatizzano la differenza tra «noi e gli altri», l'immagine positiva di sé e quella negativa degli altri. Gli «altri» sono così cancellati come individui, come persone uniche e singolari.
Vittorio Lingiardi, docente presso la Facoltà di psicologia dell'Università La Sapienza di Roma, dove dirige la scuola di specializzazione in psicologia clinica, definisce l'omofobo come chi «al pari del razzista, è spesso una persona che vede il mondo strutturato gerarchicamente, diviso in due gruppi contrapposti: appartenere a un gruppo dominante (quello "eterosessuale") significa non appartenere a un altro gruppo, inferiore e connotato negativamente (quello "omosessuale").» Questo tipo esasperato di affermazione di non appartenenza a un gruppo sentito come inferiore avviene infatti spesso nella fascia di età in cui si costruisce la propria identità sessuale e in cui più forte è la tentazione di riconoscersi in un gruppo dominante. Sempre il professore Lingiardi afferma che «odiando "in prima persona plurale", l'omofobo, come il razzista, afferma soprattutto la sua appartenenza al gruppo dominante: pensa che per essere eterosessuali bisogna "non essere omosessuali", in modo esplicito e convincente, fino al punto di allontanarli, disprezzarli, odiarli» o, addirittura, - aggiunge la relatrice - volerli curare (vedasi, per esempio, la teoria cosiddetta «riparative» promosse dal National association for research & homosexuality - NARTH). Quando in realtà, l'Assemblea generale della Organizzazione mondiale della sanità, già nel 1990 ha cancellato dall'elenco delle malattie mentali l'omosessualità definendola «una variante non patologica del comportamento sessuale».
Osserva che gli atteggiamenti negativi nei confronti degli omosessuali e dei transessuali hanno molte sfumature. Si passa da un tipo di «tolleranza» che non implica necessariamente rispetto, al generico disagio, all'avversione esplicita, fino a manifestazioni attive di discriminazione, ostilità e violenza.
Si vedrà più avanti come la risoluzione del parlamento europeo del 18 gennaio 2006 contro l'omofobia in Europa configura tali atteggiamenti.
Allo scopo di comprendere meglio alcuni aspetti dell'omofobia e delle sue conseguenze, ritiene necessario che la Commissione svolga delle audizioni, anche sentendo chi ha partecipato direttamente alla elaborazione della citata risoluzione del parlamento europeo.
Nonostante che il parlamento europeo abbia espressamente invitato gli Stati membri ad intervenire nei rispettivi ordinamenti interni per contrastare il fenomeno dell'omofobia, in Italia non è stato fatto alcun passo in tal senso.
La presente proposta di legge mira proprio a colmare questa lacuna, avendo come obiettivo quello di dare una risposta al drammatico fenomeno dell'omofobia e transfobia, che in Italia ha oramai da tempo superato i livelli di guardia. Che il fenomeno esista e sia in costante ascesa

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è purtroppo un dato di cronaca difficilmente controvertibile, sul quale si soffermerò dopo aver illustrato la proposta di legge.
Per quanto vi sia la consapevolezza che per contrastare alla radice l'omofobia e la transfobia occorrano interventi che abbiano anche una valenza socio-culturale, la situazione di emergenza che oramai si è creata è tale da rendere non opportuno, bensì necessario, un intervento del legislatore che assicuri alle vittime del fenomeno una tutela penale adeguata.
In questa ottica il provvedimento in esame è diretto ad estendere alle forme di discriminazione basate sull'orientamento sessuale e l'identità di genere le disposizioni contenute nella legge 13 ottobre 1975, n. 654 di ratifica ed esecuzione della convenzione internazionale sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale di New York(c.d. legge Reale) modificata dal decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 1993, n. 205, recante misure urgenti in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa (cosiddetta «legge Mancino»).
In sostanza, la proposta di legge mira, con l'unico articolo che la compone, a introdurre specifiche misure tanto contro i delitti motivati dall'odio omofobico e transfobico, quanto contro l'incitazione all'odio omofobico e transfobico, estendendo la protezione già prevista dalla legge italiana in relazione all'istigazione e ai delitti motivati dall'odio etnico, religioso e razziale, senza modificare le sanzioni previste.
La scelta di intervenire sulla «legge Mancino» pare coerente con la ratio di essa, la cui finalità è assicurare la tutela penale a favore di minoranze oggetto di pregiudizi e discriminazioni in ragione della razza, etnia, nazionalità o religione. In sostanza, la «legge Mancino» ha per oggetto condotte caratterizzate dal quel medesimo dato che si trova alla base dell'omofobia e transfobia: l'ignoranza del diverso da sé che si traduce in paura e quindi in violenza nei confronti di chi non appartiene al proprio gruppo.
Nella scorsa legislatura il tema è stato a lungo dibattuto, fino a pervenire ad un testo approvato dalla Commissione Giustizia, che aveva per oggetto anche le molestie insistenti, iscritto nel calendario dell'Assemblea, che, tuttavia, a causa dell'anticipato scioglimento delle Camere, non ha avuto alcun esito. Ricorda, inoltre, che l'omofobia fu introdotta anche in un decreto-legge sulla sicurezza, che poi a causa di una erronea formulazione della fattispecie da parte del Senato non venne convertito in legge. In questa legislatura di omofobia si è già discusso, ma solamente sotto il profilo del metodo, per valutare l'opportunità di trattare il tema separatamente ovvero insieme ad altri temi connessi, quali le molestie insistenti o la violenza sessuale. La scelta della maggioranza è stata a favore di una trattazione separata, mentre il Partito Democratico aveva chiesto un'altra soluzione.
Nella scorsa legislatura i punti di confronto-scontro furono sostanzialmente due: la scelta di modificare la «legge Mancino» e la questione della sufficiente determinatezza della nozione di identità di genere. Un punto in comune tra i due schieramenti però emerse. Da parte di tutti, infatti, fu riconosciuta l'esistenza di un fenomeno crescente di violenza e discriminazione basata sull'orientamento sessuale e la necessità di tutelare le vittime anche attraverso lo strumento sanzionatorio penalistico. Da questa condivisione d'intenti noi dobbiamo partire, per confrontarci sulla soluzione migliore da adottare sotto un profilo tecnico per colmare una lacuna del nostro ordinamento. Tuttavia, anche considerato che la proposta di legge in esame ripropone quelle questioni che tanto furono dibattute nella scorsa legislatura, ritengo opportuno soffermarmi su di esse.
La prima questione riguarda la «legge Mancino». Ha già detto della ratio della legge, che giustificherebbe l'inserimento nella medesima di condotte omofobiche o transfobiche. L'obiezione all'integrazione di tale legge più ricorrente, tuttavia, non riguarda la ratio, bensì la questione dei reati di opinione, ritenendo alcuni che

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sanzionando penalmente l'omofobia attraverso la «legge Mancino» si introdurrebbero nell'ordinamento delle fattispecie incostituzionali in quanto punirebbero una legittima, per quanto possa non essere condivisibile, forma di manifestazione di pensiero riconducibile all'articolo 21 della Costituzione. A sostegno di tale tesi più volte è stato fatto l'esempio di chi pubblicamente affermi la propria contrarietà a modifiche legislative volte a regolamentare le coppie omosessuali. Si è detto che qualora venisse modificata la «legge Mancino» integrandola con gli atti di discriminazione per l'orientamento sessuale, sarebbe stata penalmente perseguibile qualsiasi forma di manifestazione del pensiero nel senso di cui sopra, trattandosi comunque di una forma di discriminazione a danno delle persone omosessuali. In realtà, l'obiezione sulla natura di reato di opinione della nuova fattispecie penale non pare essere fondata. Sarà la Commissione a valutare approfonditamente la questione, tuttavia, quale relatrice, vorrei offrire alcuni spunti di riflessione. La prima riguarda la natura del reato di opinione. La Corte Costituzionale si è soffermata soventemente sul tema, anche in riferimento alla stessa «legge Mancino», la quale ha oramai superato indenne il vaglio di costituzionalità sotto tale profilo. Anzi, ricordo che tale legge, ed in particolare l'articolo 3, è stata oggetto di modifica nella XIV legislatura, quando la maggioranza era di centro-destra, per cui sarei portata a ritenere che la formulazione attuale della «legge Mancino» sia conforme anche per il centro-destra ai parametri di costituzionalità. In effetti se andiamo a vedere quali sono le condotte che tale legge punisce è chiaro che non sono punite le mere forme di manifestazione del pensiero, ma qualcosa di più.
La lettera a), di cui al comma 1 dell'articolo 3 della legge del 1975, così come modificata dalla «legge Mancino», che la proposta di legge in esame integra, punisce con la reclusione fino ad un anno e sei mesi o con la multa fino a 6.000 euro chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi. La proposta in esame, al comma 1, integra la condotta dell'istigazione aggiungendo i casi in cui il motivo sia fondato sull'orientamento sessuale o sull'identità di genere. La conformità ai principi costituzionali delle condotte istigatrici a commettere atti di discriminazione per le motivazioni già previste dalla «legge Mancino» è stata già valutata positivamente dalla dottrina oltre ad aver oramai superato, a tanti anni dalla entrata in vigore della norma, il vaglio di costituzionalità. La questione è quindi se il motivo dell'orientamento sessuale o dell'identità di genere possa rendere incostituzionale la fattispecie che punisce la condotta di chi istiga a commettere discriminazioni. Ci troviamo innanzi, infatti, ad una fattispecie penale che si struttura sul reato di istigazione a commettere discriminazioni caratterizzato da particolari motivazioni. Tali motivazioni inficiano la costituzionalità della fattispecie solo nel caso in cui siano irragionevoli. Qualora si ravvisasse tale irragionevolezza non si tratterebbe di una violazione dell'articolo 21 della Costituzione, bensì dell'articolo 3. Siamo fuori dalla materia dei reati di opinione. Ritenere irragionevole punire chi istiga a commettere un delitto sulla motivazione dell'orientamento sessuale o sull'identità di genere è una tesi obiettivamente difficile da sostenere, una volta che, correttamente, si ritiene costituzionalmente corretto punire l'istigazione quando sia motivata dalle ragioni attualmente previste dalla «legge Mancino». Come si è avuto già modo di chiarire la ratio è la medesima: tutelare delle persone che subiscono dei pregiudizi in quanto sono considerate diverse rispetto al gruppo in cui si riconosce la maggioranza delle persone.
Il comma 2 della proposta di legge integra la lettera b) dell'articolo 3 della legge del 1975, come modificata dalla «legge Mancino». Tale disposizione attualmente punisce con la reclusione da sei mesi a quattro anni chi, in qualsiasi modo, istiga (è una modifica apportata nella XIV

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legislatura al testo che prevede l'incitamento) a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi. La proposta in esame si limita ad aggiungere la motivazione basata sull'orientamento sessuale o l'identità di genere. In questo caso quanto si esuli dalla tematica dei reati di opinione è ancora più evidente rispetto alla prima fattispecie. Si tratta di punire l'istigazione a commettere addirittura una violenza ovvero la sua commissione. Sulla costituzionalità del reato di istigazione a commettere un delitto non ritengo di dovermi soffermare trattandosi di un dato pacifico. Anche in questo caso non può essere certo la motivazione dell'orientamento sessuale o dell'identità di genere a rendere incostituzionale la norma, considerato che la ratio è la medesima delle motivazioni già previste dalla norma vigente.
Il comma 3 della proposta di legge modifica il l'articolo 3, comma 3, della legge del 1975. Secondo tale disposizione è vietata ogni organizzazione, associazione, movimento o gruppo avente tra i propri scopi l'incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi. Chi partecipa a tali organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi, o presta assistenza alla loro attività, è punito, per il solo fatto della partecipazione o dell'assistenza, con la reclusione da sei mesi a quattro anni. Coloro che promuovono o dirigono tali organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da uno a sei anni. La proposta di legge in esame aggiunge alle motivazioni di cui sopra quelle fondate sull'orientamento sessuale o sull'identità di genere. Anche in questo caso valgono le considerazioni fatte per le precedenti fattispecie penali. L'incostituzionalità deve essere basata su un giudizio di ragionevolezza ai sensi dell'articolo 3 della costituzione, essendo del tutto estranea la tematica dei reati di opinione. La ragionevolezza trova il proprio fondamento nella ratio della norma vigente che è la medesima della integrazione che ad essa mira la proposta di legge in esame.
I commi 4 e 6 della proposta di legge hanno natura di coordinamento andando ad incidere su rubriche e titoli delle leggi oggetto di modifiche.
Il comma 5 modifica l'articolo 3, comma 1, della «legge Mancino», secondo cui per i reati punibili con pena diversa da quella dell'ergastolo commessi per finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso, ovvero al fine di agevolare l'attività di organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi che hanno tra i loro scopi le medesime finalità, la pena è aumentata fino alla metà. Si tratta, quindi, di una aggravante di carattere generale applicabile a tutti i reati (salvo a quelli puniti con l'ergastolo), che potrebbe trovare posto anche nella parte generale del codice penale. La proposta di legge in esame integra tale aggravante aggiungendo le motivazioni legate all'orientamento sessuale ed all'identità di genere. Si tratta di una integrazione giustificata dalla medesima ratio che accomuna tali motivazioni con quelle già previste dalla legge.
Il secondo punto di discussione che ha caratterizzato i lavori della scorsa legislatura aveva per oggetto la determinatezza della nozione di identità di genere. È stato obiettato che tale nozione non possa essere utilizzata nella formulazione di una fattispecie penale, in quanto il suo significato non sarebbe sufficientemente certo e determinato. Tale obiezione non tiene conto che si tratta di una terminologia che trova ampia diffusione sia a livello di normative internazionali che a livello scientifico. Tuttavia, per eliminare ogni confusione tra orientamento sessuale ed identità di genere ritiene opportuno precisare le due definizioni.
Si tratta di nozioni che attengono a situazioni diverse entrambi meritevoli di tutela penale, che possono essere ben comprese facendo riferimento al glossario del professore Lingiardi. «Orientamento sessuale è la condizione di chi prova attrazione sessuale e affettiva verso persone

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dello stesso sesso (omosessualità), del sesso opposto (eterosessualità) o di entrambi (bisessualità)». «Ciò che comunemente si intende con identità di genere riguarda il senso soggettivo di appartenenza alle categorie di maschio o di femmina (in altri termini la percezione di sé come maschio o femmina)».
Queste le definizioni dei termini utilizzati nella proposta di legge da lei presentata. Ma per evitare che il termine «identità di genere» possa essere oggetto di diverse interpretazioni, propone la sostituzione con il termine «transessualismo», ovvero la condizione di chi ha il corpo di un sesso (ad esempio maschile) e il senso della propria identità psichica dell'altro sesso (nel nostro esempio, femminile) e non si riconosce nel proprio sesso biologico. Queste persone vivono una situazione che non è difficile ritenere drammatica, essendo costrette a vivere in un corpo alieno da sé e ad un lungo iter anche burocratico e giudiziario per affrontare e completare il percorso di riassegnazione: normalmente sono necessari una lunga psicoterapia e due giudizi (volontaria giurisdizione, dove il secondo procedimento è la naturale prosecuzione del primo) per ottenere in un primo tempo l'autorizzazione alla operazione chirurgica di modifica dei caratteri sessuali esterni e, successivamente, l'autorizzazione al cambio del nome; tra la prima e la seconda fase giudiziale, le persone transessuali sono particolarmente vulnerabili perché hanno ormai il corpo che corrisponde alla loro psiche ma i documenti indicano ancora nome e sesso originali.
Dunque, la diversità delle due condizioni (omosessualità e transessualismo) rende necessaria la precisa indicazione delle due diverse fattispecie cui si vuole offrire tutela penale.
Come ha già detto, l'omofobia è un fenomeno in costante ascesa. Osserva che non si tratta di una sensazione, ma della presa d'atto di dati oggettivi.
Secondo i dati dell'Arcigay, che deposita in Commissione, tra il 2006 ed il 2007 sono stati registrati 42 delitti contro omo e transessuali: 11 omicidi, 23 violenze, 8 atti vandalici.
Dal mese di febbraio nella sola Roma si sono registrati 8 atti di violenza omo e transfobica, dei quali uno è un omicidio. Ma la scorsa estate ci sono stati frequenti episodi di violenza, transessuali uccisi, pestaggi diffusi e perfino nelle carceri sono state denunciate violenze contro omosessuali: un giovane mafioso è stato violentato da colleghi di cosca perché ritenuto gay ed un altro giovane è stato ripetutamente e selvaggiamente violentato perché gay.
I dati sono forniti dall'Arcigay, perché non esistono dati ufficiali. Arcigay ha attivato un numero verde «GayHelpline», che ha il compito di aiutare e monitorare le vittime di violenze omofobiche e transfobiche. Il Governo precedente e in particolare il Ministro per i diritti e le pari opportunità. onorevole Barbara Pollastrini, avevano stanziato 180.000 euro destinati ad una indagine ISTAT per la ricerca sulle discriminazioni che subiscono gay e transessuali in Italia. La prima in Italia. Dichiara che non si sa che fine ha fatto quello stanziamento, per cui chiede al ministro in carica, onorevole, Mara Carfagna, di portare avanti quella ricerca. Tale richiesta perviene anche dall'Europa, considerato che l'Agenzia europea dei diritti fondamentali di Vienna, che ha diffuso il 30 giugno di quest'anno un rapporto sull'omofobia, ha contestato per il nostro paese la mancanza di dati ufficiali, che rende difficile lo studio del fenomeno. «L'uguaglianza di trattamento - afferma il direttore dell'agenzia Morten Kjaerum - è un diritto fondamentale ed il fatto che lesbiche, gay, bisessuali e transessuali non siano trattati in maniera uguale in Europa è una ragione di inquietudine».
Rileva che si sta parlando di violenza contro altri esseri umani solo perché omosessuali e transessuali, dettata da un'avversione che ha radici nell'odio secolare che molte società, ma non tutte, hanno espresso nei loro confronti. La cultura dei nativi americani, ad esempio la tribù Navajo, tributava rispetto e speciale considerazione

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per i «berdache» (omosessuali e travestiti) anche se il significato reale della parola è più complesso.
In Paesi come l'Inghilterra, la Germania, ma anche San Marino, l'omosessualità fino a pochi anni fa, era un reato perseguito penalmente: l'esempio più noto è quello di Oscar Wilde per l'Inghilterra, ma la storia ricorda le feroci persecuzioni naziste con lo sterminio nei lager di circa 30.000 omosessuali, il terzo gruppo dopo ebrei e zingari sui quali si accanirono i boia di Auschwitz e Dackau, grazie al famigerato «paragrafo 175» del Codice Penale Tedesco (restato in vigore per gran parte del '900). Il prossimo anno, infatti, nel 2009 a Roma il 27 gennaio, in occasione della Giornata della Memoria in ricordo delle vittime del nazismo, uno degli eventi più significativi sarà il ricordo dell'Olocausto, organizzato dalla «Associazione Etica» e patrocinato dalla Comunità Ebraica di Roma.
In Italia, invece, esisteva il principio della cosiddetta «tolleranza repressiva». L'omosessuale era tollerato, non condannato ma mandato al confino: infatti, non v'è traccia nel ventennio fascista di processi contro persone omosessuali che, invece, attraverso una procedura di polizia, venivano confinati alle Isole Tremiti come soggetti ritenuti socialmente pericolosi. A tale proposito ricorda il film di Ettore Scola «Una giornata particolare».
Con l'avvento della Repubblica, grazie all'articolo 3 della costituzione, quello stesso principio della tolleranza repressiva ha assunto toni diversi, ma lo stigma sociale, il dileggio nelle parole di tanti, troppi, opinion leader, resta diffuso così come desta allarme la gran mole di azioni delittuose contro persone omo e transessuali: sostanzialmente, nel nostro paese è negata a milioni di cittadini la garanzia del riconoscimento di quel principio di uguaglianza in senso formale e sostanziale che la Costituzione della Repubblica solennemente enuncia all'articolo 3.
Si può anche dire, secondo la relatrice, che la «tolleranza repressiva» si perpetua con il silenzio della legislazione italiana che non condanna ma neppure tutela e difende le vittime dell'odio omofobico e transfobico.
Come si è già detto, il silenzio della legislazione italiana è rotto dalla Risoluzione del Parlamento Europeo del 18 gennaio 2006.
La Risoluzione rileva che l'omofobia «si manifesta nella sfera pubblica e privata sotto forme diverse, quali discorsi intrisi di odio e istigazioni alla discriminazione, dileggio, violenza verbale, psicologica e fisica, persecuzioni e omicidio, discriminazioni in violazione del principio di uguaglianza, limitazioni arbitrarie e irragionevoli dei diritti, spesso giustificate con motivi di ordine pubblico, libertà religiosa e diritto all'obiezione di coscienza».
La citata risoluzione, richiamando il contenuto dell'articolo 13 del trattato che istituisce la Comunità europea (e che assegna alla Comunità il potere di adottare misure finalizzate alla lotta alle discriminazioni basate, tra l'altro, sull'orientamento sessuale e di promuovere il principio dell'uguaglianza) e dell'articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali, che vieta «qualsiasi forma di discriminazione fondata sul sesso, la razza, il colore della pelle, l'origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l'appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, gli handicap, l'età o l'orientamento sessuale», chiede agli Stati membri di assicurare che le persone GLBT vengano protette da discorsi omofobici intrisi d'odio e da atti di violenza omofobici , invita con insistenza gli Stati membri e la Commissione a condannare con fermezza i discorsi omofobici carichi di odio o le istigazioni all'odio e alla violenza e a garantire l'effettivo rispetto della libertà di manifestazione, garantita da tutte le convenzioni in materia di diritti umani. La risoluzione chiede alla Commissione europea di far sì che la discriminazione basata sull'orientamento sessuale sia vietata in tutti i settori, completando il pacchetto antidiscriminazione fondato sull'articolo

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13 del trattato, mediante la proposta di nuove direttive o di un quadro generale che si estendano a tutti i motivi di discriminazione e a tutti i settori. Chiede la risoluzione sia agli Stati membri che alla Commissione di intensificare la lotta all'omofobia mediante un'azione pedagogica, ad esempio attraverso campagne contro l'omofobia condotte nelle scuole, le università e i mezzi d'informazione, e anche per via amministrativa, giudiziaria e legislativa.
La stessa risoluzione del parlamento europeo dimostra che anche negli altri paesi dell'Unione esiste una emergenza omofobia: il dato è confermato dall'Eurobarometer, una pubblicazione della Commissione europea, che nel numero di luglio 2008 esamina le discriminazioni nella Unione europea. Lo studio è stato condotto tra febbraio e marzo del 2008 e rivela che la discriminazione per orientamento sessuale è al secondo posto dopo quella per origini etniche. I tre Paesi dell'Unione europea dove le discriminazioni per orientamento sessuale sono più diffuse sono Cipro (73 per cento degli intervistati), Grecia (73 per cento) e Italia (72 per cento).
Il 3 luglio scorso, la Commissione europea ha approvato l'attesa direttiva sulla promozione del principio di eguaglianza nei settori al di fuori dell'impiego (detta anche direttiva orizzontale anti-discriminazioni): per essere cogente, la direttiva dovrà essere approvata dal Consiglio d'Europa; tuttavia questo è un segnale forte che la Commissione ha voluto dare ai paesi membri, consapevole dell'emergenza di cui stiamo parlando. Ma di questo sono consapevoli molti Paesi europei che, a differenza dall'Italia, hanno un diverso approccio al problema: non si affidano a dati emotivi o a fonti di stampa, ma monitorizzano costantemente il «fenomeno omofobia», per essere ancorati alla realtà e verificare il funzionamento delle leggi e delle strategie «educative»introdotte.
In Inghilterra, dove il fenomeno viene monitorato ed era evidente l'aumento delle aggressioni omofobe, è stata introdotta una legge, come quella in esame, e sono state adottate azioni positive volte alla formazione educativa e culturale della cittadinanza.
in Francia, dove esistono norme anti omofobia dalla metà degli anni ottanta, il ministro conservatore della Pubblica Istruzione ha incluso la lotta alla omofobia nelle scuole tra le dieci priorità dell'anno scolastico che sta per iniziare;
in Spagna, da quest'anno scolastico, parte una nuova materia di studio: l'educazione alla cittadinanza, che include lezioni per prevenire l'omofobia.
Osserva che là dove il fenomeno non è seguito con la dovuta attenzione, come nel nostro Paese, si crea spaesamento e, da un lato, aumenta la paura nei cittadini omo e transessuali, dall'altro i bulli omofobi si convincono della «normalità» delle proprie azioni, che - al contrario - sono criminose.
Le preme chiudere questa parte appunto sull'emergenza del bullismo omofobico, così come ne parla Vittorio Lingiardi, psichiatra e psicologo, al cui lavoro ha attinto in altre parti della relazione.
«Così come le prepotenze perpetrate costituiscono fattori di stress di diversa entità e contenuto, i rischi a breve e lungo termine per i ragazzi vittime di bullismo omofobico possono essere di natura diversa: comportamenti di ritiro come l'abbandono scolastico, autoemarginazione e isolamento, alterazioni nella sfera affettivo-relazionale, problemi psicosomatici, depressione, ansia, insonnia, comportamenti autodistruttivi fino al suicidio».
Per tutto quanto detto, ritiene che sia evidente che occorra colmare la lacuna presente nel nostro sistema normativo. Questa proposta di legge, lo abbiamo visto, intende farlo con la modifica della «legge Mancino», estendendone l'operatività anche all'orientamento sessuale ed al transessualismo.
È un intervento evidentemente parziale, rispetto a quello che richiede l'Europa e che hanno fatto molti governi di paesi europei, ma è un sensibile e importante passo in avanti.

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I diritti civili, il rispetto dei diritti umani, il senso di cittadinanza e di inclusione non sono e non possono essere oggetto di trattativa politica, perché non hanno bandiera politica. I diritti civili non sono di destra e neppure di sinistra, devono essere riconosciuti nel pantheon di tutte le forze politiche democratiche, in quanto patrimonio di un paese civile. E come non avrebbero senso barricate ideologiche tra destra e sinistra, neppure ne avrebbero con e nel mondo cattolico.
Osserva che si vuole dare l'impressione che il mondo cattolico sia distante da questo tema, ma il messaggio cristiano è un messaggio inclusivo, al quale i cattolici non possono sottrarsi. Si appella al senso di responsabilità dei deputati cattolici, perché abbraccino anche loro la causa di quella parte dei diritti umani che sono i diritti degli omosessuali.
Ricorda che si è visto che l'omofobia è figlia del pregiudizio, della paura del «diverso» non conosciuto e per questo destabilizzante: la paura si debella attraverso la conoscenza. A tale proposito si chiede chi siano poi gli omosessuali. Osserva che in realtà sono il vicino di casa, il portiere, la donna politica, il giornalista, il medico, l'avvocato, il magistrato. Se costoro sono omosessuali, essi hanno il diritto di restare se stessi senza cessare di essere «cittadini di serie A».
Sottolinea che non deve stupire che oggi molti omosessuali escano allo scoperto e scelgano di vivere la propria esistenza alla luce del sole, rifiutando lo stigma sociale e la segregazione. Ma sono tantissimi gli omosessuali che vivono, specie in realtà di provincia, una situazione di totale negazione della propria personalità, di umiliante sofferenza psicologica essendo costretti dalla società ma anche dalle famiglie a fingere di essere eterosessuali pur di non incorrere nella sanzione sociale del disprezzo e della vergogna.
Il pregiudizio, questo meccanismo rassicurante di semplificazione del reale, si stratifica fino a condizionare l'individuo, ancor più del suo giudizio, e diventa distruttivo a livello di interazione sociale. E dato che il pregiudizio si rafforza grazie ai messaggi del mondo circostante (la società, la scuola, lo Stato), è sui messaggi che da essi provengono che dobbiamo lavorare.
Il primo passo è quello dello Stato che assume una funzione pedagogica, che passa attraverso le leggi. Una legge che mette in atto misure contro i reati omofobici e transfobici dice che le persone omosessuali e transessuali sono destinatarie di rispetto. La «legge Mancino» avendo escluso gay, lesbiche e trans, dallo status di vittime dei reati di odio, li ha resi vittime una seconda volta. La legge italiana ha stabilito una gerarchia delle vittime, tagliando fuori gli omosessuali e i transessuali: a questo dobbiamo porre rimedio, perché non deve più accadere che un giovane sia portato al suicidio per la propria presunta omosessualità (Torino 2007), non deve più accadere che un bullo cerchi di convertire alla eterosessualità con la forza bruta una ragazza lesbica (Napoli, Agosto 2008). Non deve più accadere che uomini e donne vengano violentati nel fisico e nell'animo per colpa del loro orientamento sessuale o del loro transessualismo.
Il fatto stesso che la legge italiana non associ le discriminazioni di questo tipo a quelle dovute a xenofobia o odio religioso non è solo una negazione di diritti. Come in un circolo vizioso, può essere percepito dall'opinione pubblica come una forma di classifica dei gruppi sociali a rischio di discriminazione e di manifestazioni d'odio: qualcuno con diritti, qualcuno senza, qualcuno da proteggere qualcuno no. Buoni e cattivi. Così accrescendo ulteriormente la percezione di marginalità degli omosessuali e proprio per questo determinando un incremento di episodi di odio. Ed è proprio quello che sta succedendo in Italia, con l'aumento esponenziale di azioni delittuose di vario livello contro le persone omo e transessuali.
La presenza di una legge che tuteli i diritti di una minoranza non abolirebbe la differenza in nome di una società omologata, bensì abolirebbe il trauma della discriminazione. Non si tratta di livellare

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esistenze diverse, ma di favorire il dialogo umano e l'affermazione delle soggettività.
Una legge contro la discriminazione non può che aumentare il livello di civiltà del nostro popolo.
Ricorda di essere l'unica omosessuale dichiarata di questo parlamento. Anche se molto visibile, non è un ruolo facile. Confessa che è difficile per un essere umano, seppure in una posizione di evidenza come in questo momento sono io, sapere che per chi lo osserva viene prima il suo orientamento sessuale e poi quello che è, la sua vita, il suo lavoro. È questo l'obiettivo del suo impegno: vuole che quando si guarda una persona si guardi al suo essere individuo intero e cittadino detentore di diritti, invece che solo al suo orientamento sessuale. Vuole che non lo si possa giudicare e condannare per questo, né offenderlo e umiliarlo con le parole o i fatti, senza che questo venga considerato un reato dallo Stato.
Osserva che molti parlamentari, e quelli della Lega lo rivendicano spesso, non fanno politica solo per se stessi, ma perché mirano al cambiamento, cercano obiettivi più alti del semplice governo della realtà. Sottolinea, a tale proposito, che la sua passione politica è un'eredità dei suoi genitori. Sono loro ad averle insegnato che bisogna essere artefici del destino e non rassegnarsi allo stato delle cose. Erano dirigenti dell'Azione Cattolica e hanno insegnato ai contadini della Marsica, la parte più dimenticata dell'Abruzzo, a essere artefici del loro destino, a non rassegnarsi, partecipando e votando alle elezioni del 1948 per costruire un mondo migliore. Dichiara di sentirsi una figlia dei figli della guerra, coloro che hanno contribuito a ricostruire questo Paese perché lo desideravano migliore per tutti. Migliore anche per lei, e per i cittadini omosessuali come lei.

Luca Rodolfo PAOLINI (LNP) ringrazia l'onorevole Concia per la pregevole relazione, i cui intenti sono senza dubbio lodevoli. Numerosi aspetti tuttavia non appaiono condivisibili. In particolare i dati relativi agli atti di discriminazione dovrebbero essere indicati con maggiore precisione, specificando anche l'incidenza percentuale sul complesso di tali reati di quelli compiuti proprio in ragione dell'orientamento sessuale della parte offesa. Ritiene che sarebbe opportuno acquisire dati elaborati sulla base di parametri certi ed obiettivi. A suo parere, in realtà, il fenomeno dell'omofobia non raggiunge le drammatiche dimensioni che sembrerebbe avere secondo i dati dell'Arcigay, che la relatrice ha riportato, in quanto spesso la reale motivazione del reato è ben diversa dall'omofobia. In questi casi si tratta di biasimevoli episodi di dileggio, che non sono diversi da quelli che si basano su atteggiamenti di disprezzo per determinate condizioni personali delle vittime. Sottolinea che la legge che si intende approvare rischia di introdurre reati la cui fattispecie è formulata in maniera indeterminata. Ciò significa che potrebbero essere punite condotte che in realtà non siano lesive di beni giuridiche o che si potrebbe assistere ad una strumentalizzazione della norma, riconducendo ad essa condotte che in realtà hanno ben poco a che vedere con l'omofobia. Evidenzia le difficoltà probatorie circa la reale finalità delle condotte relative ai nuovi reati oggetto della proposta di legge in esame.
Esprime contrarietà anche per la formulazione delle nuove fattispecie di reato, che andrebbero ad integrare un legge già di dubbia costituzionalità come la legge Mancino. Critica il nuovo reato che la proposta di legge intende introdurre, ritenendo che questo punisca anche condotte che si limitano ad esprimere una opinione - come quella del gruppo della Lega - contraria all'estensione alle coppie omosessuali di istituti giuridici, quale ad esempio l'adozione, già previsti per le coppie eterosessuali.

Donatella FERRANTI (PD), dopo aver apprezzato l'esauriente relazione dell'onorevole Concia, dichiara di non condividere assolutamente l'intervento dell'onorevole Paolini. Osserva che la proposta di legge in esame non ha una portata innovativa così ampia come quella ritenuta dall'onorevole

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Paolini, si limita unicamente ad estendere alle motivazioni legate all'omofobia fattispecie già pacificamente previste dall'ordinamento per motivazioni diverse da queste, ma del tutto simili, come quelle inerenti all'odio etnico, religioso e razziale. Le argomentazioni dell'onorevole Paolini, a suo vedere, perdono ogni validità nel momento in cui si tiene conto che i reati che si intendono integrare hanno superato tutti i vagli di costituzionalità. Da questi reati, i nuovi si diversificano unicamente solo sotto l'aspetto della motivazione dell'odio che spinge l'autore ad agire. Allargare tali fattispecie alle condotte omofobiche rappresenta una sorta di attuazione del principio di uguaglianza di cui all'articolo 3 della Costituzione. Come ha affermato la relatrice, ritiene che sia del tutto sbagliato ricondurre la tematica dei nuovi reati in esame a quella dei reati di opinione.
Invita tutti ad affrontare l'esame della proposta di legge prescindendo da pregiudizi ed appartenenze politiche, compiendo piuttosto un atto di coscienza civile nell'approvare una legge volta a tutelare persone che sono vittima di gravi violenze e discriminazioni.

Giulia BONGIORNO, presidente, avverte che sono imminenti votazioni in Assemblea e che, i deputati già iscritti a parlare interverranno nella seduta già prevista per domani, alla quale rinvia il seguito dell'esame.

La seduta termina alle 14.50.

UFFICIO DI PRESIDENZA INTEGRATO DAI RAPPRESENTANTI DEI GRUPPI

L'ufficio di presidenza si è riunito dalle 14.50 alle 14.55.