CAMERA DEI DEPUTATI
Mercoledì 27 giugno 2012
673.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Affari sociali (XII)
ALLEGATO

ALLEGATO 1

5-02897 Farina Coscioni: Iniziative volte ad assicurare la piena applicazione dei principi della legge n. 194 del 1978 e del decreto del Presidente della Repubblica n. 285 del 1990 in materia di seppellimento dei feti abortiti.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con riferimento all'atto ispettivo in esame, in via preliminare si osserva quanto segue.
  L'articolo 7, commi 3 e 4 del decreto del Presidente della Repubblica 10 settembre 1990, n. 285, fa riferimento, come ribadito poi nel comma successivo («espulsione o estrazione di feto») a situazione di prodotti abortivi che, anche se di età inferiore alle 20 settimane, sembrano esulare certamente da esiti di interruzione volontaria di gravidanza nei primi 90 giorni, pertanto sembra riferito ai casi di natimortalità.
  Nel merito dei quesiti posti, si comunica che ogni iniziativa parlamentare di tipo normativo, volta a garantire un aggiornamento sistematico della normativa nazionale in materia di Polizia mortuaria – ad oggi disciplinata dal decreto del Presidente della Repubblica n. 285 del 1990 – è vista con favore dal Governo.
  Fatte salve le considerazioni di carattere generale sopra rese, di seguito si forniscono le informazioni acquisite direttamente dalla prefettura di Cremona in ordine alla convenzione citata nell'atto ispettivo in esame, non tralasciando tuttavia di ricordare a questa Commissione che i comuni in quanto responsabili della gestione dei servizi cimiteriali e in questo ambito possono stipulare convenzioni con enti pubblici e privati.
  Venendo alle informazioni della prefettura di Cremona si comunica che «Le procedure di trasporto e sepoltura dei prodotti abortivi seguono le disposizioni di cui al Regolamento regionale della Lombardia 9 novembre 2004, n. 6, pertanto l'Azienda Ospedaliera di Cremona, su cui ricade l'onere dell'inumazione dei prodotti abortivi, quando i familiari non manifestino la volontà di provvedere con i propri mezzi, presenta agli aventi diritto un'apposita «nota informativa» (tradotta in sei lingue ed avente la forma di un modulo opzionale) attraverso la quale gli stessi possono esprimere la propria preferenza in ordine alle modalità di trasporto e inumazione.
  In particolare, gli aventi diritto scelgono l'ente che dovrà procedere tra il comune di Cremona, che vi provvede con propri mezzi di trasporto e con il personale dipendente dai Servizi cimiteriali, e l'associazione «Difendere la vita con Maria» che vi provvede – secondo il testo della convenzione – a mezzo di un'agenzia funebre appositamente incaricata.
  Le opzioni in discorso si basano, quindi, su due distinte convenzioni, stipulate l'una, con il Comune, l'altra con l'Associazione sopra citata. La prima risale al 2008 ed è stata rinnovata fino al 31 dicembre 2012; mentre quella con l'associazione, scaduta il 30 marzo 2012, è stata prorogata, con apposito atto deliberativo degli Istituti Ospitalieri, fino al 1o aprile 2013.
  Il prelevamento presso il nosocomio ed il trasporto dei prodotti abortivi presso l'obitorio degli Istituti Ospitalieri avviene, ad opera del personale sanitario, mediante l'utilizzo di speciali contenitori biodegradabili.
  Gli stessi contenitori, quindi, vengono collocati dai volontari dell'Associazione Pag. 75ovvero da personale incaricato dal Comune, in altri contenitori, che restano presso l'obitorio per essere ritirati da personale appartenente ai servizi cimiteriali ovvero dalle agenzie funebri eventualmente incaricate dall'Associazione per procedere alla loro successiva inumazione.
  Può accadere che tutti i prodotti abortivi, contenuti in due distinti contenitori, siano trasportati, nello stesso giorno, presso la camera mortuaria del cimitero, a cura del personale addetto ai Servizi cimiteriali del comune di Cremona.
  Presso il citato cimitero, quindi, si provvede all'inumazione dei feti affidati alla responsabilità del Comune, il quale procede attraverso la deposizione del contenitore in una fossa comune e, al successivo spandimento di un idoneo strato di terra.
  Al termine della sepoltura del predetto primo contenitore, accade sovente che si proceda, subito dopo, e nella medesima fossa, alla sepoltura del secondo contenitore, contenente i prodotti abortivi affidati alle «cure» dell'Associazione «Difendere la vita con Maria» la quale, pertanto, procede con la celebrazione di un rito funebre e la collocazione, a proprie spese, della copertura a mezzo di lastra marmorea, esclusivamente per i prodotti abortivi alla stessa affidati».
  Dalle valutazioni sopra rese, il Ministero della salute non ravvisa condizioni oggettive di pregiudizio per la compiuta attuazione della legge n. 194 del 1978 né del decreto del Presidente della Repubblica n. 285 del 1990.

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ALLEGATO 2

5-06443 Farina Coscioni: Iniziative volte al completamento delle procedure transattive a favore dei danneggiati da trasfusione con sangue infetto.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con riferimento alla interrogazione in esame comunico quanto segue.
  Il decreto per la definizione dei criteri e degli importi per le transizioni da corrispondere ai soggetti che hanno presentato domanda di transizione, come previsto dal Regolamento di cui al decreto ministeriale 28 aprile 2009, n. 132, è stato già firmato dai Ministri della salute e dell'economia e delle finanze in data 4 maggio 2012 ed è stato registrato dalla Corte dei conti in data 5 giugno 2012; non appena pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, si provvederà all'avvio della successiva fase di stipula degli atti transattivi con i soggetti che risulteranno ammessi, a seguito della relativa istruttoria.
  Si ritiene pertanto che l'attuazione del decreto sia la misura adeguata per corrispondere alle legittime situazioni di aspettativa dei soggetti danneggiati.

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ALLEGATO 3

5-06008 Farina Coscioni: Interruzione volontaria di gravidanza, obiezione di coscienza e formazione specifica presso le scuole di specializzazione.

TESTO DELLA RISPOSTA

  L'articolo 9 della legge 22 maggio 1978, n. 194, consente l'esercizio del diritto all'obiezione di coscienza, e prevede che gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate assicurino l'espletamento delle procedure previste dall'articolo 7 e l'effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza richiesti, secondo le modalità delineate dagli articoli 5, 7 e 8.
  Lo stesso articolo 9 della legge n. 194 del 1978 stabilisce che l'obiezione di coscienza non può essere invocata dal personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie quando, data la particolarità delle circostanze, il loro personale intervento è indispensabile per salvare la vita della donna in imminente pericolo.
  È opportuno rammentare quanto precisato nella 1a edizione (1998) del Codice deontologico della Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri (FNOMCeO), che in riferimento al «Rifiuto d'opera professionale», precisa (articolo 19): «Il medico al quale vengano richieste prestazioni che contrastino con la coscienza o con il suo convincimento clinico, può rifiutare la propria opera, a meno che questo comportamento non sia di grave e immediato nocumento per la salute della persona assistita».
  In occasione della pubblicazione del Codice, il Presidente dell'ordine dei medici ha ribadito la necessità di «individuare un punto di equilibrio che consenta a tutti i soggetti coinvolti di poter esercitare i loro diritti senza che ciò implichi difficoltà rilevanti e restrizione di fatto delle libertà e dei diritti civili e sociali riconosciuti che porterebbero a inevitabili contenziosi».
  A fronte dei dati relativi all'obiezione di coscienza, come pubblicati nell'ultima Relazione al Parlamento del 4 agosto 2011, concernente lo stato di attuazione della legge 22 maggio 1978, n. 194 «Norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza», si evince che gli obiettori negli anni sono andati aumentando, raggiungendo oltre il 70,7 per cento fra i ginecologi, oltre il 51,7 per cento fra gli anestesisti ed il 44,4 per cento del personale non medico.
  Occorre ricordare che, nel rispetto del riparto di competenze tra Stato e regioni, sancito dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, spetta alle regioni e alle aziende sanitarie locali adottare misure utili a controllare e a garantire l'attuazione della legge n. 194 del 1978, anche attraverso la mobilità del proprio personale.
  Per gli aspetti di competenza questo Ministero, ritiene che sia corretto assicurare il giusto equilibrio tra i diversi valori in gioco, nel senso che il diritto ad esercitare l'obiezione di coscienza non deve prevalere sul diritto all'assistenza e alle cure e viceversa.
  Si ricorda inoltre, che la promozione e la tutela della salute della donna, è uno degli obiettivi strategici affrontati dal Progetto obiettivo materno infantile, adottato con decreto ministeriale 24 aprile 2000, tale principio è stato ribadito nell'Accordo Stato-regioni del 16 dicembre 2010, relativo alle «Linee di indirizzo per la promozione ed il miglioramento della qualità, della sicurezza e dell'appropriatezza degli Pag. 78interventi assistenziali nel percorso nascita e per la riduzione del taglio cesareo».
  Per quanto riguarda il quesito «se corrisponda al vero che nelle scuole di specializzazione non si insegni più come praticare una interruzione volontaria di gravidanza», occorre precisare che questo Ministero non ha conoscenze di dettaglio tali da poter confermare o confutare in maniera inequivocabile tale situazione.
  Tuttavia, risulta che già nel corso di laurea in medicina e chirurgia sono affrontate le questioni relative all'interruzione volontaria di gravidanza, sia per quanto attiene agli aspetti normativi sia per quanto attiene agli aspetti tecnici, con riguardo all'approccio chirurgico e medico.
  Quanto all'insegnamento di tale pratica nelle scuole di specializzazione di ginecologia ed ostetricia si fa presente che, attualmente, la materia della formazione medica specialistica è disciplinata dal decreto ministeriale 1o agosto 2005 «Riassetto delle scuole di specializzazione di area sanitaria» che, oltre ad individuare le scuole di specializzazione di area sanitaria, ne definisce il profilo specialistico, gli obiettivi formativi.
  Non vi è dubbio tuttavia che l'aspetto della medicina periconcezionale faccia parte del bagaglio culturale e tecnico richiesto allo specialista in ginecologia ed ostetricia.
  Inoltre, tutti i testi di ginecologia ed ostetricia in uso presso le università italiane, sia nel corso di laurea in medicina e chirurgia sia nelle scuole di specializzazione in ginecologia ed ostetricia, dedicano specifici capitoli all'interruzione di gravidanza, affrontando la questione sotto molteplici aspetti, tra i quali anche quello normativo ed epidemiologico e quello, ovviamente, relativo alle tecniche dell'aborto indotto prima e dopo i novanta giorni, intendendo in tal senso sia le tecniche chirurgiche sia quelle farmacologiche.

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ALLEGATO 4

5-05944 Palagiano e Zazzera: Interventi per tutelare i cittadini portatori di protesi e istituzione di un registro nazionale degli impianti protesici.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con riferimento alla interrogazione in esame, ricordo quanto segue.
  I dispositivi medici sono regolati in via generale dal decreto legislativo 24 febbraio 1997, n. 46 (attuazione della Direttiva 93/42/CEE), come modificato dal decreto legislativo n. 37 del 2010.
  Tale normativa dispone che i dispositivi siano suddivisi in quattro classi di rischio (I, IIa, IIb e III) secondo regole di classificazione che si basano sulla durata dell'utilizzo e sulla vulnerabilità del corpo umano e tengono conto dei rischi potenziali connessi con la elaborazione tecnologica dei dispositivi e con la loro fabbricazione. Per ognuna delle suddette classi viene definita la procedura che il fabbricante deve seguire per la marcatura CE del dispositivo stesso. I dispositivi protesici impiantabili appartengono alla classe III, corrispondente al livello più elevato di rischio, e possono essere immessi in commercio e circolare liberamente se muniti di certificato CE rilasciato da un organismo notificato, accreditato in Europa dalle Autorità sanitarie dei Paesi membri. I dispositivi medici sono soggetti a controllo da parte delle Autorità nazionali solo successivamente all'immissione in commercio, mediante attività di sorveglianza sul mercato e di vigilanza sugli incidenti. La vigilanza è sempre condotta in contraddittorio con i fabbricanti e le misure restrittive possono essere adottate solo in caso di situazioni che non siano sanate con le azioni correttive che il fabbricante deve individuare e mettere in atto.
  Nel merito della questione in esame, in data 24 agosto 2010 la società Johnson & Johnson, distributore in Italia delle protesi De Puy, su iniziativa del fabbricante, ha diramato un avviso urgente di sicurezza relativo al richiamo volontario di tutti i prodotti ASR (sistema di protesi di rivestimento ASR e sistema acetabolare ASR XL), sulla base dei dati acquisiti presso il Registro nazionale delle articolazioni di Inghilterra e Galles. L'avviso prevedeva anche la raccomandazione di non impiantare i dispositivi ASR ancora disponibili e di avviate un programma di «follow up» in linea con quanto indicato nel protocollo suggerito dall'Agenzia regolatoria dei farmaci e dei prodotti sanitari britannica (MHRA), mediante i Medical Device Alerts del 22 aprile e del 25 maggio 2010.
  In data 31 agosto 2010 il Ministero della salute ha provveduto a pubblicare sul proprio portale web l'avviso di sicurezza con il quale ha informato direttamente non solo tutte le strutture utilizzatrici del dispositivo, ma anche le strutture presso le quali era operativo un reparto di ortopedia e che avrebbero potuto ricevere il prodotto da terzi o avere in cura pazienti portatori di tali protesi.
  In data 7 novembre 2011 il Ministero della salute ha emanato una circolare in cui si richiamava l'attenzione di tutti gli operatori sanitari esecutori di impianti De Puy ASR e ASR XL, sull'importanza di invitare i pazienti a sottoporsi a programma di «follow up» sanitario.
  In data 24 gennaio 2012 il Ministero della salute ha emanato una seconda circolare, con la quale si fornivano ulteriori raccomandazioni, al fine di attivare un controllo diretto da parte dell'autorità Pag. 80competente sul «follow up» clinico-diagnostico, rafforzando il coinvolgimento del territorio (medici di medicina generale) e chiedendo riscontro alle regioni sui seguenti punti:
   conferma di inizio «follow up»;
   numero delle revisioni effettuate;
   ragioni cliniche delle revisioni chirurgiche.

  A seguito di quest'ultima circolare si è provveduto, altresì, all'inoltro alle regioni interessate dei dati di commercializzazione delle protesi, forniti dal fabbricante De Puy per il tramite del distributore Johnson & Johnson e aggiornati al 24 gennaio 2012. Da tali dati risulta che sono state commercializzate nel territorio nazionale 4.546 protesi dei tipi sopra menzionati: di queste 2.130 risultano non utilizzate e rese dopo l'azione di richiamo iniziata nel 2010, la cui chiusura è stata ufficialmente comunicata in data 1o luglio 2011.
  Nel mese di marzo 2012 la Direzione generale per la salute e i consumatori (DG SANCO) della Commissione Europea, sulla scorta di numerose manifestazioni di attenzione provenienti dalla comunità scientifica e da alcune Autorità europee, ha avviato un'azione per coordinare le valutazioni e le raccomandazioni sul «follow up» dei pazienti a cui siano state impiantate protesi d'anca del tipo Metallo su Metallo, tra le quali rientrano anche le protesi De Puy.
  La riflessione in corso presso le Autorità europee e la comunità scientifica è oggi orientata verso tutti gli impianti protesici d'anca, pur partendo da casi relativi a particolari tecnologie e produzioni.
  Per tale attività, alla quale anche l'Italia collabora, la DG SANCO ha ottenuto l'autorizzazione a sottoporre la questione alla valutazione dell'organo scientifico della Commissione Europea (SCENHIR).
  L'obiettivo è quello di elaborare linee guida sull'appropriatezza dell'utilizzo delle protesi d'anca in generale, e di quelle Metallo su Metallo in particolare, con riguardo al tipo di materiale e alla combinazione dei materiali, alla reattività e alla tossicità correlate, alle dimensioni delle protesi, alle relative problematiche di attrito.
  In data 14 maggio 2012 è stata presentata al Consiglio superiore di sanità la richiesta di un parere in merito all'opportunità di adottare eventuali ulteriori misure di tutela della salute pubblica.
  Si osserva inoltre che il Ministero della salute è favorevole ad ogni iniziativa anche parlamentare finalizzata alla istituzione di registri per gli impianti protesici, in considerazione che il registro consente di realizzare la raccolta di dati che riguardano classi ampie e molto diversificate di dispositivi, di possibili correlazioni epidemiologiche e patologiche, di contesti organizzativi e territoriali.
  Da ultimo segnalo che, nell'ottica della sperimentazione su dispositivi di particolare rilevanza, il Ministero della salute, in collaborazione con l'Istituto superiore di sanità, dal 2006 ha finanziato tre studi successivi sugli impianti di protesi d'anca, aventi i seguenti scopi:
   1) eseguire un'analisi epidemiologica e una mappatura nazionale degli interventi di sostituzione protesica dell'anca, proponendo un modello di flusso informativo;
   2) sviluppare e testare il modello proposto, basato sull'utilizzo delle Schede di dimissione ospedaliera, integrate da un set minimo di informazioni aggiuntive relative al paziente.

  Queste informazioni si sono rivelate indispensabili sia per identificare il dispositivo impiantato e avviare l'implementazione nelle tre regioni che già hanno attivato un Registro (Lombardia, Emilia Romagna, Puglia), che per identificare una procedura atta a creare un collegamento con il Repertorio nazionale dei dispositivi medici, costituendo così un primo nucleo del futuro Registro nazionale.

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ALLEGATO 5

5-06097 Palagiano: Monitoraggio sull'omogeneità dell'accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita sul territorio nazionale.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Come ricordato nell'interrogazione parlamentare in esame, l'articolo 18 della legge n. 40 del 2004 prevede che «al fine di favorire l'accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita da parte dei soggetti di cui all'articolo 5, presso il Ministero della salute è istituito il Fondo per le tecniche di procreazione medicalmente assistita. Il Fondo è ripartito tra le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano sulla base di criteri determinati con decreto del Ministro della salute, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano. Per la dotazione del Fondo di cui al comma 1 è autorizzata la spesa di 6,8 milioni di euro a decorrere dall'anno 2004...».
  Si precisa che la somma di 6,8 milioni, a seguito dei tagli che si sono avvicendati negli anni, nel 2011 si è ridotta a euro 390.570,00, regolarmente erogati da questo Ministero, infatti la somma disponibile è stata puntualmente ripartita alle regioni; il conseguente utilizzo come è noto, rientra tra le competenze esclusive organizzative delle regioni stesse.
  Va detto inoltre, che la norma in questione non prevede alcuna attività da parte del Ministero volta ad acquisire uno specifico rendiconto da parte delle regioni.
  Il Ministero tuttavia, ha avviato una ricognizione sull'utilizzo di detti fondi, contenuta nella Relazione che annualmente il Ministro della salute presenta al Parlamento; nella Relazione si fa riferimento infatti alle informazioni ricevute dalle regioni e contestualmente si segnalano le regioni dalle quali non si è avuta risposta in merito all'utilizzo dei fondi in questione.
  La Relazione al Parlamento è da considerarsi uno strumento istituzionale basato sulle evidenze del sistema di sorveglianza, che può indirizzare in modo coerente sia la scelte programmatorie di sanità pubblica centrali sia quelle regionali, finalizzate a correggere e risolvere le criticità, pianificare gli interventi più adeguati di prevenzione, raccomandare le procedure più appropriate in termini di maggior tutela della salute della donna e di maggiore efficienza del settore.
  Per gli aspetti di competenza regionale, la Prefettura – Ufficio territoriale del Governo di Napoli ha comunicato le informazioni fornite dal Coordinatore dell'area generale di coordinamento assistenza sanitaria della regione Campania.
  La regione Campania, con delibera n. 2042 del 28 dicembre 2005, ha provveduto al riparto delle somme assegnate dal Ministero della salute di cui al comma 1 dell'articolo 18 della legge n. 40 del 2004 (pari ad euro 1.402.236,00), per favorite l'accesso delle coppie alle tecniche di procreazione medicalmente assistita (PMA) presso le aziende sanitarie regionali.
  Alcune strutture sanitarie, nonostante i finanziamenti, risultano aver sospeso l'attività: pertanto, con l'approvazione del Piano di rientro è stata effettuata una rivisitazione dei centri operanti, con spostamenti di attività e di personale.
  La regione Campania, in considerazione della richiesta di alcune aziende sanitarie di attivare e/o riprendere le attività Pag. 82di PMA, ha istituito, con provvedimento del 30 dicembre 2011, la commissione regionale per la PMA, con il compito di fornire supporto alle decisioni regionali per aggiornare le linee guida in materia, al fine di istituire un registro dei centri PMA nella regione e per individuare i meccanismi per il contenimento della migrazione extra regionale.
  La predetta commissione regionale supporterà l'Area generale di coordinamento assistenza sanitaria anche nella valutazione di nuove ipotesi di riparto delle risorse.
  Da ultimo, i fondi assegnati per gli anni successivi al 2005, erogati dal Ministero della salute, sono stati acquisiti nel bilancio regionale e saranno erogati non appena definiti i criteri di riparto, alla luce delle nuove richieste e del riassetto della rete ospedaliera e territoriale della regione Campania.

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ALLEGATO 6

5-01683 Alessandri e Polledri: Istituzione di un registro tumori e altre iniziative per il monitoraggio sulle malattie oncologiche più frequenti nelle zone ad alto rischio di inquinamento ambientale come quella di Sarmato in Emilia Romagna.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Ai fini di una completa risposta all'atto ispettivo in esame, si espongono le informazioni raccolte a livello locale dalla Prefettura – Ufficio territoriale del Governo di Piacenza.
  Il Dipartimento di Sanità Pubblica dell'Azienda USL di Piacenza ha mantenuto attivo, negli anni, un sistema di monitoraggio rivolto al controllo della situazione sanitaria della popolazione residente nel comune di Sarmato, raccogliendo dati per accertare l'insorgenza di qualunque evento correlabile all'inquinamento ambientale del territorio comunale.
  Non sono mai emerse differenze significative nella frequenza di patologie correlabili agli inquinanti ambientali tra la popolazione di Sarmato e quella residente nel resto della provincia di Piacenza.
  La stessa Azienda USL ha attivato, da circa due anni, il Registro Tumori relativo all'intera provincia di Piacenza, in quanto la contenuta popolazione di Sarmato (inferiore ai 3.000 abitanti), non consente di sviluppare un registro dedicato al solo territorio comunale.
  In effetti, i dati ricavati non permetterebbero alcuna attendibile elaborazione statistica, in quanto essi acquistano validità solo se relativi alla popolazione residente in aree di adeguate dimensioni, quali una regione, una provincia, una città metropolitana.
  La sezione provinciale di Piacenza dell'Agenzia regionale prevenzione e ambiente (ARPA) dell'Emilia-Romagna ha precisato che la Valutazione ambientale strategica (V.A.S.) è prevista dal decreto legislativo n. 152 del 2006, come modificato dal decreto legislativo n. 4 del 2008, nell'ambito della redazione del Piano strutturale comunale, attualmente in corso e a cui prende parte la stessa Sezione.
  L'attività di controllo sugli insediamenti produttivi, sulle attività agricole e sugli allevamenti, sulle acque reflue, eccetera, viene costantemente eseguita all'ARPA.
  In merito ai siti richiamati nell'atto ispettivo, si segnala che l'area della discarica di Agazzino è stata sottoposta a ripristino e restituita all'uso agricolo.
  Il nuovo impianto di compostaggio della ditta Maserati di Berlasco è costantemente monitorato dalla Sezione ARPA di Piacenza.
  Analoghi controlli di ispezioni riguardano la centrale termoelettrica della ditta Sarmato Energia s.p.a.
  La stessa Sezione segue le varie fasi della dismissione dello stabilimento Eridania.
  Quanto all'utilizzo agronomico dei rifiuti, non sono stati utilizzati, negli ultimi 8/9 anni, fanghi di depurazione in agricoltura nei terreni del comune di Sarmato.
  Inoltre, ai fini della razionalizzazione dei consumi energetici, diversi insediamenti sono stati dotati di impianti fotovoltaici.
  L'Azienda USL di Piacenza ha precisato di non aver ravvisato, fino ad oggi, la necessità di effettuare indagini ambientali Pag. 84nel territorio del comune di Sarmato, in virtù dello studio ambientale effettuato dall'ARPA nel triennio 1999-2001.
  Tale studio ha contemplato tutte le matrici ambientali e tutte le possibili fonti di emissioni inquinanti.
  Nella stessa occasione venne effettuato il monitoraggio della mutagenicità di diverse matrici ambientali prelevate nel territorio comunale, nonché delle emissioni/immissioni di ammine alifatiche e di altri composti cancerogeni.
  I dati forniti dallo studio hanno evidenziato che si rendeva necessaria la ridistribuzione delle attività produttive in altre aree della provincia, ma quanto alla qualità dell'aria, non è risultata una situazione di criticità differente da quella esistente nella fascia di pianura del territorio provinciale.