CAMERA DEI DEPUTATI
Giovedì 22 marzo 2012
627.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Giustizia (II)
ALLEGATO
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ALLEGATO 1

Interrogazione n. 5-05341 Bernardini: Sul tribunale dei minori di Bologna.

TESTO DELLA RISPOSTA

Onorevole Bernardini, rispondo alle problematiche da Lei sollevate affrontando in primo luogo la questione afferente il potenziamento di organico dell'Ufficio giudiziario bolognese.
In tal senso, ritengo sia doveroso ricordare che ogni decisione di potenziamento o di modifica dell'organico togato è obbligatoriamente vincolata al contingente di dotazione organica, che è imposto con disposizione normativa e che non può essere travalicato nel limite numerico massimo, prefissato per il personale di magistratura.
Peraltro, pur nella consapevolezza delle difficoltà che si trovano ad affrontare gli Uffici giudiziari del Paese, deve necessariamente tenersi conto delle norme di contenimento della spesa pubblica che, soprattutto nell'ultimo decennio, hanno avuto riflessi inevitabili sulla disponibilità di risorse ed hanno consentito pochi e mirati interventi a sostegno di Uffici per i quali, riforme legislative (Tribunale di sorveglianza di Roma), calamità naturali (Uffici della regione Abruzzo), gravissimi episodi criminosi (Reggio Calabria), hanno determinato la sussistenza di situazioni connotate da carattere di indifferibile necessità ed urgenza.
Ad ogni buon conto, voglio assicurare che in occasione dell'esercizio della delega di cui all'articolo 1-bis del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (relativa alla revisione delle circoscrizioni giudiziarie) sarà possibile valutare le esigenze del Tribunale per i Minorenni di Bologna, al fine di verificare nel concreto se vi sia margine per un recupero di risorse da destinare all'Ufficio bolognese, in considerazione dei carichi di lavoro.
Quanto alle altre doglianze, per lo più incentrate sull'operato del Presidente del Tribunale per i Minorenni, dottor Millo, preciso che sono stati effettuati approfondimenti e verifiche da parte delle Articolazioni ministeriali all'uopo preposte.
Chiarisco subito che il dottor Millo ha regolarmente chiesto al CSM l'autorizzazione per lo svolgimento dell'incarico quale componente supplente del Collegio dei Garanti della Repubblica di San Marino. La sua richiesta risulta essere stata autorizzata dallo stesso CSM per il periodo compreso tra il 31 ottobre 2003 e il 31 ottobre 2007.
Nel corso dell'espletamento dell'incarico non è emerso che il dottor Millo abbia utilizzato indebitamente gli strumenti di comunicazione in uso all'ufficio di Presidenza. Ed invero, dai primi accertamenti effettuati dalle Articolazioni ministeriali, risulta un uso sporadico del fax dell'ufficio di Presidenza (appena 5 fax nel periodo ottobre 2010/agosto 2011), con modalità che, a giudizio del Dipartimento preposto, appaiono giustificabili in considerazione «del ruolo istituzionale ricoperto dal dottor Millo all'interno dell'organo pubblico destinatario della corrispondenza»; risulta, altresì, che nessun aggravio di spesa relativo alle spese postali per invio di documentazione è stato sostenuto dal predetto ufficio, trattandosi di spese sostenute personalmente dall'interessato.
Per completezza espositiva preciso, inoltre, che sono in corso ulteriori verifiche limitatamente ai profili autorizzativi

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dell'incarico extragiudiziario del dottor Millo, per il quadriennio successivo all'anno 2007.
Per ciò che concerne, poi, la conflittualità tra il dottor Millo ed altri due magistrati del Tribunale bolognese, comunico che la stessa, nei termini in cui è stata riferita dall'onorevole Bernardini, è stata fatta oggetto di accurata verifica ministeriale.
L'intera vicenda, infatti, unitamente ai risvolti attinenti alla correttezza di alcune prassi operative del suddetto Tribunale, è stata esaminata e valutata nell'ambito dell'inchiesta amministrati va disposta dal Ministro della giustizia pro tempore in data 1o aprile 2011 e successivamente estesa in data 8 aprile 2011 ed in data 1o giugno 2011.
All'esito dell'inchiesta, i competenti Uffici ministeriali non hanno ravvisato a carico del dottor Millo condotte deontologicamente rilevanti ed hanno proposto l'archiviazione della sua posizione.
Diverso l'esito degli accertamenti per gli altri magistrati menzionati in interrogazione. Per il dottor Francesco Morcavallo è stata promossa l'azione disciplinare per gli illeciti di cui all'articolo 2, comma 1, lettera d), del decreto legislativo n. 109 del 2006 ed è stato, altresì, richiesto il suo trasferimento cautelare, ai sensi dell'articolo 13, comma 2, del decreto legislativo n. 109 del 2006. Con ordinanza n. 106 del 2011, la sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura ha disposto il trasferimento provvisorio del magistrato al Tribunale di Modena.
In accoglimento parziale del ricorso proposto dallo stesso dottor Morcavallo, la predetta ordinanza è stata annullata dalle sezioni unite della Corte di Cassazione, le quali, avendo riscontrato nell'ordinanza impugnata una carenza di motivazione, hanno rinviato alla sezione disciplinare del C.S.M. in diversa composizione, per sanare il vizio.
Per quel che riguarda, invece, il dottor Stanzani faccio presente che, a seguito di un'istruttoria conoscitiva effettuata dal Consiglio Superiore della Magistratura, è stato avviato il procedimento per il suo trasferimento d'ufficio. Tale procedura è stata interrotta in seguito alla delibera del CSM che, su domanda del predetto magistrato, in data 20 luglio 2011, ne ha autorizzato il trasferimento al Tribunale di Modena. Segnalo, tuttavia, che a far data dal 23 ottobre 2011, il dottor Stanzani è cessato dall'ordine giudiziario, per collocamento a riposo.
Ciò posto, considerati i dati conoscitivi acquisiti, risulta evidente l'attenzione riservata da questo Ministero alle problematiche funzionali del Tribunale per i minorenni di Bologna, nonché l'attivazione tempestiva degli strumenti di iniziativa amministrativa, volti ad accertare la regolarità dell'esercizio della giurisdizione nell'Ufficio bolognese.
A chiusura di quando detto, preciso infine che, all'esito dell'istruttoria compiuta, non sono stati riscontrati i profili di illegittimità dedotti dall'onorevole Bernardini, in merito alla trattazione dei procedimento n. 346/06.

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ALLEGATO 2

Interrogazione n. 5-06219 Bernardini: Sull'urgenza di provvedimenti atti a contrastare ogni eventuale fenomeno di violenza non giustificabile sui cittadini da parte delle forze dell'ordine.

TESTO DELLA RISPOSTA

Signor Presidente, onorevoli Deputati, l'interrogazione all'ordine del giorno rievoca in questa Commissione fatti ed episodi risalenti a un'epoca lontana ma la cui eco tarda a spegnersi ed è tuttora viva nella mente di coloro che ne furono protagonisti.
Mi riferisco alla stagione del terrorismo brigatista, ai cosiddetti «anni di piombo» e alla lotta intrapresa dallo Stato contro le «Brigate Rosse».
Rievocando fatti risalenti a quell'epoca - si tratta ormai di circa trenta anni fa - gli onorevoli Bernardini ed altri pongono l'accento sul comportamento tenuto da alcuni esponenti delle Forze dell'ordine nel corso di attività di indagine e di contrasto al terrorismo interno.
Si tratta di avvenimenti sui quali, come è noto, si sono svolti a suo tempo, nell'VIII Legislatura, ampi e circostanziati dibattiti parlamentari, nonché inchieste giudiziarie.
Su tali fatti, pertanto, non è necessario che io indugi, anche se una serie di inchieste giornalistiche e iniziative culturali ne stanno riproponendo l'attualità. Un'attualità che mantiene il collegamento con i fatti di allora, in relazione all'operato delle Forze dell'ordine, ora oggetto di uno specifico quesito degli onorevoli interroganti.
Ritengo tuttavia utile, anche se non richiesto espressamente, lasciare agli atti di questa Commissione una scheda riepilogativa di quei fatti, elaborata sulla base delle risultanze istruttorie nella disponibilità del Dipartimento della pubblica sicurezza.
Per quanto riguarda invece la possibile introduzione nell'ordinamento giuridico del reato di tortura, trattandosi di un aspetto che investe le competenze del Ministero della giustizia, rispondo sulla base degli elementi forniti dallo stesso Dicastero.
Al riguardo, in particolare, è stata evidenziata l'esistenza di diversi accordi internazionali che, a protezione dei diritti umani, vietano la tortura, al pari di ogni trattamento crudele, disumano o degradante.
In particolare, il divieto è previsto sia nella Convenzione di Roma per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, sia nel Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici. Già la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 10 dicembre 1948 poneva il divieto, pur con delle limitazioni non di poco conto (morale, ordine pubblico, benessere generale di una società democratica). Successivamente, nel 1984, l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite approvava, senza quelle limitazioni, la Convenzione per la prevenzione specifica della tortura e dei trattamenti disumani, crudeli e degradanti e, nel 1987, gli Stati membri del Consiglio d'Europa adottavano la Convenzione europea per una eguale prevenzione mediante meccanismi di controllo e sopralluoghi del Comitato europeo intesi a verificare il trattamento delle persone in stato di detenzione, al fine di rafforzare la loro protezione dalla tortura e da trattamenti crudeli.
La Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura ed altre pene o trattamenti

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crudeli, disumani o degradanti (firmata a New York il 10 dicembre 1984) è in vigore, in Italia, dall'11 febbraio 1989.
La ratifica è stata preceduta dalla legge di autorizzazione del 3 novembre 1988, n. 498, contenente l'ordine di esecuzione al rispetto dell'obbligo convenzionale rappresentato dall'impegno per gli Stati di legiferare affinché qualsiasi atto di tortura (come pure il tentativo di praticare la tortura o qualunque complicità o partecipazione a tale atto) sia espressamente e immediatamente contemplato come reato nel diritto penale interno.
La Convenzione risulta essere self-executing nell'imporre la proibizione del compimento di tali atti violenti e contempla anche un obbligo di stretta vigilanza sulle pratiche di interrogatorio poste in essere nei confronti di persone in stato di custodia o private della libertà, con l'impegno di promuovere fra le forza dell'ordine (e, più in generale, fra le persone che possono intervenire nel corso della custodia) la più ampia consapevolezza del divieto di praticare trattamenti disumani, crudeli o degradanti. Si dispone, altresì, l'obbligo di predisporre meccanismi di tutela adeguata che si devono tradurre anche nell'esperimento di «inchieste imparziali» tese all'accertamento dei fatti nel caso di violazione del divieto di trattamenti degradanti. È contemplata, infine, l'istituzione di un Comitato a cui possono rivolgersi gli Stati e gli individui. La Repubblica Italiana è fra gli Stati che hanno dichiarato di riconoscere la competenza del Comitato e, per tale ragione, allo stesso vi si potranno rivolgere coloro che ritengano di essere vittime di una violazione degli obblighi convenzionali da parte dello Stato italiano, nel rispetto della regola del previo esaurimento dei ricorsi interni e purché la stessa questione non sia stata o non sia all'esame di altro organismo internazionale, come la Corte Europea di Strasburgo o il Comitato sui diritti umani.
In tale ambito, va anche ricordato come la tortura, al pari del genocidio, sia considerata un crimine contro l'umanità dal diritto internazionale.
Attualmente vi sono anche diversi disegni di legge pendenti in Parlamento aventi per oggetto l'introduzione del reato specifico di tortura nel codice penale ordinario italiano.
I disegni di legge più recenti sono accomunati dal rilievo che gli articoli del codice penale siano inadeguati, sia per l'insufficiente severità della sanzione prevista, sia per la scarsa incisività del loro contenuto.
Il Ministero della giustizia ha inoltre segnalato che l'introduzione del reato di tortura è pure prevista dal disegno di legge A.S. n. 2099, di iniziativa governativa (presentato il 9 aprile 2010), attualmente all'esame delle Commissioni riunite giustizia e difesa del Senato, recante «Delega al Governo per l'emanazione del codice penale delle missioni militari all'estero».
Condivido le preoccupazioni espresse dagli onorevoli interroganti sulla necessità di adottare tutte le iniziative per «contrastare ogni fenomeno di violenza sui cittadini da parte dei funzionari delle Forze dell'ordine».
Eventuali abusi commessi da singoli operatori di polizia, oltre a essere perseguiti a norma di legge, sono attentamente valutati e sanzionati sotto il profilo disciplinare, anche ai fini - nei casi di particolare gravità - della destituzione dal servizio. In caso di apposita sentenza di condanna, inoltre, il Dipartimento della pubblica sicurezza risponde in solido, in sede civile, per i risarcimenti dei danni derivanti da comportamenti illeciti del personale dipendente.
Assicuro che, al riguardo, è forte l'impegno da parte del Ministero dell'interno e che in questa direzione il personale di polizia è da sempre sensibilizzato sulla necessità di improntare il proprio operato al rigoroso rispetto della legalità e alla tutela della vita umana.
Inoltre, al fine di mantenere sempre elevato il livello di professionalità, gli operatori delle forze di polizia sono costantemente addestrati affinché, nell'espletamento dei compiti istituzionali, mantengano

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un comportamento improntato alla massima correttezza e imparzialità nei confronti di tutti i cittadini.

SCHEDA RIEPILOGATIVA

Il 28 gennaio 1982, a seguito di laboriose indagini condotte dalla Polizia di Stato, agenti del Nucleo Operativo Centrale di Sicurezza (N.O.C.S.) liberarono il generale statunitense James Lee Dozier, sottocapo delle forze terrestri della N.A.T.O. nell'Europa meridionale, sequestrato il 17 dicembre 1981 da militanti delle «Brigate Rosse-Partito Comunista Combattente».
L'ufficiale era tenuto prigioniero in uno stabile ubicato in via Pindemonte a Padova, dai brigatisti Antonio Savasta, Emilia Libèra, Emanuela Frascella, Giovanni Ciucci e Cesare Di Lenardo, tutti fermati in occasione dell'irruzione del N.O.C.S. nell'appartamento.
Dopo l'arresto, i cinque terroristi furono trasferiti nei locali della palazzina adibita a uffici dell'ispettorato di zona del II Reparto Celere di Padova, ove rimasero detenuti per alcuni giorni.
A seguito della denuncia presentata da Di Lenardo e delle dichiarazioni rese dagli altri arrestati circa le minacce e violenze subite, fu avviato un procedimento penale, la cui fase istruttoria si concluse il 17 marzo 1983 con il rinvio a giudizio disposto dal Tribunale di Padova nei confronti di appartenenti alla Polizia di Stato, imputati dei delitti pluriaggravati di sequestro di persona, tentata violenza privata continuata e lesioni personali.
In particolare, vennero rinviati a giudizio tre operatori all'epoca in servizio presso il N.O.C.S., un ufficiale del Reparto Celere e Salvatore Genova, all'epoca Commissario della Polizia di Stato presso la Questura di Genova.
Nei confronti di quest'ultimo, nel frattempo eletto parlamentare, la Camera dei deputati negò l'autorizzazione a procedere.
Gli altri quattro imputati furono condannati dalla Corte di Appello di Venezia, il 26 marzo 1984, a pene comprese tra gli otto e i dieci mesi di reclusione. I reati furono dichiarati estinti per amnistia dalla Corte di Cassazione il 14 gennaio 1987.
Quanto ai profili disciplinari, fu disposta la sospensione cautelare del dottor Genova.
A seguito della cessazione dalla carica elettiva e in considerazione della certificazione rilasciata dalla cancelleria del Tribunale di Padova da cui risultava che il procedimento penale era stato definitivamente archiviato il 18 gennaio 1990, nei confronti del dottor Genova venne disposta la revoca della sospensione cautelare. Il funzionario è stato posto in quiescenza dal 1o agosto 2007 con la qualifica di Primo Dirigente della Polizia di Stato.
Gli altri quattro dipendenti della Polizia di Stato erano stati sospesi cautelarmente dal servizio (ai sensi dell'articolo 9, 1o comma del decreto del Presidente della Repubblica n. 737 del 1981) in quanto raggiunti da mandato di cattura emesso dal Giudice Istruttore presso il Tribunale di Padova.
Con la concessione della libertà provvisoria, gli stessi erano stati riammessi in servizio (ai sensi dell'articolo 9, comma 3 del predetto decreto del Presidente della Repubblica).
Successivamente nel 1987, non emergendo dall'esame dei fatti - così come configurati nella sentenza penale - comportamenti disciplinarmente censurabili, è stata disposta la revoca della sospensione cautelare.
Uno dei quattro dipendenti è cessato dal servizio, a domanda, con decorrenza 1o febbraio 1984.

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ALLEGATO 3

Schema di decreto del Presidente della Repubblica recante il regolamento di organizzazione del Ministero della giustizia. Atto n. 438.

PROPOSTA DI RILIEVI DEI RELATORI

La Commissione Giustizia,
esaminato lo schema di decreto del Presidente della Repubblica recante regolamento di organizzazione del Ministero della giustizia (atto n. 438);
rilevato che ai sensi del comma 404 della legge 27 dicembre 2006, n. 296 secondo il quale «con regolamenti da emanare, entro il 30 aprile 2007, ai sensi dell'articolo 17, comma 4-bis, della legge 23 agosto 1988, n. 400, si provvede: alla riorganizzazione degli uffici di livello dirigenziale generale e non generale, procedendo alla riduzione in misura non inferiore al 10 per cento di quelli di livello dirigenziale generale ed al 5 per cento di quelli di livello dirigenziale non generale nonché alla eliminazione delle duplicazioni organizzative esistenti»;
rilevato che il regolamento è fonte normativa secondaria che non può modificare una legge o altra fonte primaria avente valore di legge;
che nello schema di decreto lo strumento del regolamento è stato utilizzato, ed è a ciò idoneo, per determinare modifiche nell'assetto dirigenziale e per la rimodulazione della gestione delle risorse;
da tale riorganizzazione, compreso il decentramento, è rimasto escluso il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria in quanto «il decentramento del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria è stato già attuato con una distinta normativa (legge 15 dicembre 1990, n. 395) che non richiede interventi di adeguamento» (v. la relazione illustrativa al quinto capoverso);
la riorganizzazione tocca invece il decentramento del Dipartimento della giustizia minorile in quanto i compiti della giustizia minorile sono attribuiti alla istituenda Direzione regionale quale organo di decentramento (articolo 17) e che con uno o più decreti ministeriali è stabilita «la razionalizzazione e l'utilizzo delle strutture esistenti, ivi compresi .... i Centri per la giustizia minorile». Si verificherebbe, così, la sostanziale soppressione per incorporamento degli stessi Centri, benché le strutture decentrate della giustizia minorile (prime in Italia a livello di decentramento ministeriale) siano state istituite con atti aventi valore e forza di legge, e cioè dapprima col decreto del Presidente della Repubblica del 28 giugno 1955, n. 1538 e poi specificamente denominati col decreto del Presidente della Repubblica n. 448 del 1988, recante innovative norme in materia di processo penale a carico di imputati minorenni, ed ancor più specificamente col decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 272, che all'articolo 7 istituisce i Centri per la giustizia minorile e all'articolo 8 ne prevede i servizi che ne fanno parte, cioè gli uffici di servizio sociale per i minorenni, gli istituti penali per i minorenni, i centri di prima accoglienza, le comunità, eccetera; sono, cioè, tutti quegli istituti che sono essenziali per l'attuazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni e senza i quali le disposizioni della magistratura minorile non potrebbero essere eseguite. Con lo schema di regolamento in esame si realizza, invece, una inspiegabile differenza di trattamento delle strutture decentrate minorili rispetto a quelle penitenziarie

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(istituite successivamente pure per legge), sebbene ambedue fondate su fonte normativa primaria, violandosi il principio che una legge non può essere modificata se non da un atto avente valore di legge;
in materia di giustizia minorile la Corte costituzionale ha ripetutamente affermato che la protezione dell'infanzia è interesse costituzionalmente protetto dagli articoli 3 (discriminazione positiva in favore di soggetti deboli) e 31 («La repubblica protegge la maternità, l'infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo»). In particolare, nella sentenza 222/1983 la Corte ha affermato che «il tribunale per i minorenni, considerato nelle sue complessive attribuzioni, oltre che penali, civili ed amministrative, ben può essere annoverato tra quegli «istituti» dei quali la Repubblica deve favorire lo sviluppo ed il funzionamento, così adempiendo al precetto costituzionale che la impegna alla «protezione della gioventù». A conferma di tale configurazione stanno la particolare struttura del collegio giudicante (composto, accanto ai magistrati togati, da esperti, benemeriti dell'assistenza sociale, scelti fra i cultori di biologia, psichiatria, antropologia criminale, pedagogia, psicologia), gli altri organi che ne preparano o fiancheggiano l'operato, nonché le peculiari garanzie che assistono l'imputato minorenne nell'iter processuale davanti all'organo specializzato». Tra gli altri organi «che ne preparano o fiancheggiano l'operato» stanno certamente quelli che organizzano i servizi per i minorenni in funzione di indispensabile ausilio all'attività giudiziaria, compresi personale, risorse, mezzi e formazione. Cosicché il loro smantellamento andrebbe contro il principio della tutela costituzionale dei minori, anche perché impedirebbe l'azione di protezione esercitata dalla giurisdizione minorile;
l'autonomia organizzativa della giustizia minorile nasce in epoca pre-costituzionale con il R.decreto-legge 1404 del 1934, che regola l'istituzione ed il funzionamento del Tribunale per i minorenni ed istituisce in maniera lungimirante i centri di rieducazione per i minorenni irregolari per condotta o per carattere, che successivamente hanno assunto con il decreto legislativo n. 272 del 1989 la denominazione di Centri per la giustizia minorile. L'evoluzione normativa post-costituzionale ha visto progressivamente l'affermazione dell'autonomia, anche organizzativa, del settore minorile nel Ministero della giustizia. Con il decreto ministeriale 2 gennaio 1954 all'ufficio IV della Direzione generale per gli istituti di prevenzione e pena è stata attribuita in via esclusiva la materia inerente alla rieducazione dei minorenni, mentre il decreto ministeriale 20 luglio 1983 ne ha ridefinito gli ambiti. Successivamente, a garanzia di sempre maggiori spazi di autonomia e di specializzazione in virtù della rilevanza costituzionale della materia e dell'esigenza di assicurare il migliore esercizio della giurisdizione minorile, il decreto ministeriale 23 ottobre 1984 ha istituito l'ufficio per la giustizia minorile, con previsione di proprie dotazioni di personale, di beni e finanziarie. Con la legge del 29 febbraio 1992, n. 213, (conversione del decreto legge del 29 gennaio 1992, n. 36) l'ufficio è stato trasformato in Ufficio Centrale per la Giustizia Minorile, struttura ministeriale per la prima volta autonoma, con la prima pianta organica, e posto alle dirette dipendenze del Ministro della Giustizia, proprio per ampliare gli spazi di autonomia e la specificità del settore. Infine, a partire dal 2001 l'Ufficio Centrale è stato costituito in autonomo Dipartimento per la Giustizia Minorile, con tre direzioni generali e la gestione diretta di personale, formazione, reclutamento, beni e servizi. In tal modo è arrivato a compimento un processo di progressivo conseguimento della piena autonomia anche funzionale e gestionale, che invece lo schema di regolamento in esame tronca eliminando quell'autonomia;
lo schema prevede invece, per il Dipartimento della giustizia minorile, la soppressione dei Centri per la giustizia minorile per incorporazione alle istituende Direzioni regionali generali, la riduzione

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delle direzioni generali da tre a due, il trasferimento delle funzioni relative a personale, formazione, beni e servizi alle strutture del Dipartimento dell'organizzazione giudiziaria, eccetto che per il personale di polizia penitenziaria che verrebbe allocato presso il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, congiuntamente alle «relative risorse materiali e strumentali specificamente destinate a funzioni di polizia, detenzione, custodia, trattamento e rieducazione dei minori» (articolo 7 comma 4). In tal modo il Dipartimento della giustizia minorile perderebbe il controllo e la gestione degli strumenti essenziali per la funzione di protezione dell'infanzia e della gioventù, e sarebbe posto nelle condizioni di non poter eseguire le disposizioni dell'autorità giudiziaria minorile come previsto dalla prima direzione generale (sarebbe come organizzare la sanità senza la gestione degli ospedali e dei medici o la polizia senza la gestione del personale, della formazione e delle risorse occorrenti. Può apparire perciò singolare che le uniche direzioni generali soppresse riguardino il settore minorile, proprio in una fase storica in cui vi è la necessità di garantire la massima attenzione ai minori, anche immigrati;
la riduzione delle direzioni generali del DGM da tre a due è coerente con i precetti del comma 404 della legge 27 dicembre 2006, n. 296. Essa, però, non pregiudica il mantenimento dell'allocazione della gestione delle risorse, del personale e della formazione presso il DGM. La funzione delle attività internazionali, per la specificità dell'impegno che richiede, ben può essere aggiunta alle competenze del Capo del Dipartimento per la Giustizia Minorile per la consistenza dell'impegno che richiede, ben può essere aggiunta a quelle della prima direzione generale per l'attuazione dei provvedimenti giudiziari, anche per alcune contiguità. La seconda direzione generale, invece, può assumere tutte le funzioni inerenti il personale, la formazione, i beni ed i servizi, allo scopo di mantenere al Dipartimento il controllo e la gestione degli strumenti necessari per l'attuazione dei provvedimenti giudiziari, che sarebbe pregiudicata se esso li perdesse. Anzi, appare essenziale prevedere, per una migliore gestione del servizio, che anche per la giustizia minorile sia inserita la figura del vice capo dipartimento, già prevista per altri dipartimenti;
la ragione di mantenere un'identità specialistica e l'autonomia organizzativa e gestionale del Dipartimento della Giustizia Minorile è risiede anche nella funzione che le acquisizioni, le scoperte e le verifiche realizzate in questo ambito hanno esercitato da sempre sull'intero mondo della giustizia a livello nazionale, oltre che internazionale (la giustizia minorile italiana è perfettamente in linea con le Regole minime di Pechino, a parte la c.d. diversion extra.giudiziale che non è consentita dalla nostra Costituzione, ma è vicariata dall'irrilevanza del fatto). Difatti oggi il sistema della giustizia minorile italiano è riconosciuto e assunto come riferimento anche a livello internazionale. In questo senso, è del tutto evidente, all'analisi della storia delle diverse riforme susseguitesi negli ultimi decenni, la funzione di battistrada e di traino che il mondo della giustizia minorile ha svolto anche sull'universo penale e penitenziario degli adulti e su alcuni importanti aspetti della gestione trattamentale intra ed extracarceraria. Possono costituire esempi significativi le più recenti innovazioni in merito alla giustizia riparativa o alle ipotesi di introduzione, anche nel modo della giustizia ordinaria, della «messa alla prova», misura già ampiamente sperimentata ed apprezzata per la sua efficacia nel sistema della giustizia minorile;
esprime

PARERE FAVOREVOLE

con le seguenti condizioni:
a) all'articolo 3: dopo le parole «in essa compresi,» inserire le seguenti «i Centri per la giustizia minorile»;

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b) all'articolo 7 sopprimere il comma 4;
c) all'articolo 8, comma 2, lettera a), in fine, aggiungere le seguenti parole « adempimenti connessi alla qualità di autorità centrale convenzionale, ai sensi delle leggi 15 gennaio 1994, n. 64 e 23 dicembre 1992, n. 524, e ogni altra competenza conferita dalle leggi, dai regolamenti e dagli strumenti internazionali; rapporti con le autorità giudiziarie estere»;
d) all'articolo 8, comma 2, sostituire la lettera b) con la seguente: «Direzione generale per il personale e formazione; risorse materiali, beni e servizi»;
e) all'articolo 8 comma 2 aggiungere: «Per l'espletamento delle funzioni del dipartimento della giustizia minorile il capo dello stesso dipartimento può avvalersi di un vice capo dipartimento»;
f) all'articolo 8, al comma 3, dopo b) aggiungere c) adempimenti connessi alla qualità di autorità centrale convenzionale, ai sensi delle leggi 15 gennaio 1994, n. 64, e 23 dicembre 1992, n. 524, ed ogni altra competenza conferita dalle leggi, dai regolamenti e dagli strumenti internazionali; rapporti con le Autorità giudiziarie estere;
g) all'articolo 9, sopprimere il comma 1;
h) sopprimere l'articolo 17;
i) all'articolo 18, al comma 2, sopprimere le parole da «ivi compreso» fino alla fine.