CAMERA DEI DEPUTATI
Giovedì 21 luglio 2011
515.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Giustizia (II)
ALLEGATO
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ALLEGATO

Schema di decreto legislativo recante disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione. (Atto n. 376).

PROPOSTA DI PARERE DEL RELATORE

La Commissione giustizia,
esaminato lo schema di decreto legislativo in oggetto;
visti i princìpi e criteri di delega di cui all'articolo 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69;
rilevato che:
il provvedimento in esame merita apprezzamento, costituendo il primo rilevante intervento volto a semplificare la moltitudine di riti processuali in materia civile;
l'articolo 54, comma 4, lettera c) della citata legge n. 69 del 2009, prevede, tra i principi di delega, la necessità di conservare le «disposizioni previste dalla legislazione speciale [...] finalizzate a produrre effetti che non possono conseguirsi con le norme contenute nel codice di procedura civile»; tale disposizione costituisce una direttiva suscettibile di una duplice lettura;
il legislatore delegato ha interpretato il criterio direttivo nel senso che debba essere mantenuta ogni disposizione processuale speciale, essendo questa per definizione destinata a produrre un effetto (processuale) non conseguibile con la normativa ordinaria; in tal modo lo schema di decreto legislativo conserva, nelle singole disposizioni, tutte le peculiarità processuali presenti nelle norme originarie; seguendo questa prima interpretazione, inevitabilmente si conservano tutte le peculiarità processuali, ma si percorre una strada che affievolisce l'impatto del provvedimento sulla riduzione e semplificazione dei riti;
esiste, tuttavia una diversa possibile interpretazione, che questa Commissione ritiene preferibile, secondo la quale devono essere salvaguardate soltanto «le norme processuali che prevedono delle tutele sostanziali speciali»; rivisitando lo schema di decreto legislativo alla luce di questa seconda interpretazione, si conserverebbero soltanto le disposizioni particolari che prevedono specifiche tutele sostanziali e, quindi, si potrebbe attribuire al provvedimento una maggiore capacità di impatto sotto il profilo della unificazione delle discipline processuali e, conseguentemente, un maggiore effetto di semplificazione;
la ricognizione delle disposizioni che «non prevedono effetti sostanziali speciali» può cominciare, ad esempio, delle disposizioni relative ai termini processuali: si pensi, in particolare, ai termini per l'opposizione alle sanzioni amministrative che lo schema non unifica (articolo 5, comma 6, e articolo 6, comma 3), ripetendo esattamente le previsioni originarie; ovvero ai termini di cui agli articoli 9, comma 3, 15, comma 3, 16, comma 3 e 17, comma 3; in funzione dell'obiettivo, enunciato nella relazione che accompagna lo schema di decreto delegato, di «razionalizzare e semplificare la normativa processuale presente nella legislazione speciale», anche questi termini possono essere unificati;

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lo schema di decreto non prevede, inoltre, una disciplina uniforme della sospensione dell'atto impugnato; tale operazione non appare inibita dal criterio di delega sopra illustrato, giacché non entrano in gioco norme processuali che prevedono delle «tutele sostanziali speciali»: così interpretando il principio direttivo sarebbe quindi possibile unificare anche i termini per l'impugnazione e quelli del procedimento di inibitoria;
in sostanza, il criterio di cui all'articolo 54, comma 4, lettera c) della legge di delega, ove interpretato nel senso che si debbano conservare le sole disposizioni processuali che prevedono tutele sostanziali speciali, rende doveroso, nell'ambito degli obiettivi minimi della semplificazione, ricondurre ad unità i termini per proporre i ricorsi introduttivi nonché i termini per l'impugnazione e quelli del procedimento di inibitoria, sempre che, naturalmente, specifiche esigenze non richiedano la previsione di termini differenziati;
appare anche opportuno prevedere, in ogni caso di inibitoria, la possibilità che l'efficacia del provvedimento impugnato venga sospesa con decreto, salva eventuale conferma, modifica o revoca in contraddittorio;
osservato che:
fra i procedimenti regolati dal rito sommario di cognizione ve ne sono taluni che contemplano un provvedimento non impugnabile (articoli 12, 13 e 16);
il criterio di delega di cui all'articolo 54, lettera c), tuttavia, prevede l'estensione del «procedimento sommario di cognizione di cui al libro quarto, titolo I, capo III-bis, del codice di procedura civile [...], restando tuttavia esclusa per tali procedimenti la possibilità di conversione nel rito ordinario»; non sembra consentita quindi alcuna variazione rispetto al modello codicistico, esclusa la possibilità di conversione nel rito ordinario, con la conseguenza che il procedimento previsto dagli articoli 702-bis e seguenti del codice di procedura civile deve essere applicato integralmente, anche con riferimento al peculiare sistema di appello previsto dall'articolo 702-quater, potendosi ravvisare, in difetto, un eccesso di delega; ciò appare tanto più vero se si considera l'articolo 3 dello schema di decreto, nel dettare «disposizioni comuni ai procedimenti disciplinati dal rito sommario di cognizione», prevede che non trovino applicazione unicamente i commi 2 e 3 dell'articolo 702-ter c.p.c.;
ne deriva che l'articolo 702-quater, dettato per l'appello, dovrebbe sempre trovare piena applicazione per tutti i procedimenti ricondotti al rito sommario di cognizione, anche per quelli per i quali la legge speciale prevede l'inappellabilità; d'altra parte, se si accede all'interpretazione dei principi di delega secondo la quale devono essere salvaguardate solo le norme processuali che prevedono delle tutele sostanziali speciali, appare evidente come la non appellabilità o la non impugnabilità del provvedimento finale non rientrino fra le disposizioni volte a prevedere una tutela sostanziale speciale; in base a tale interpretazione, quindi, si deve escludere la necessità di mantenere ferma, in particolare, la non appellabilità o la non impugnabilità del provvedimento finale;
tale conclusione, oltre ad essere imposta dalla legge di delega, si configura come maggiormente garantista e volta ad evitare che vi siano controversie decise in unico grado e con rito sommario; se, difatti, è vero che il doppio grado di merito non è costituzionalmente imposto, è ugualmente vero che l'appello ha un significato del tutto peculiare nel contesto del rito previsto dagli articoli 702-bis e seguenti del codice di procedura civile, costituendo un ineludibile contrappeso volto a bilanciare l'estrema sommarizzazione dell'istruzione; contrappeso tanto più necessario dal momento che, nel caso di specie, il rito sommario non è elettivo ma obbligatorio ed il giudice non può convertire il rito ove lo ritenga non adeguato alla complessità della causa;

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fra le fattispecie che, secondo un'interpretazione rigida dei criteri di delega rimarrebbero prive del grado di appello, si ricordano gli articoli 12, comma 6, e 13, comma 6, che escludono l'appellabilità delle ordinanze di liquidazione degli onorari agli avvocati e dei compensi ai consulenti tecnici; l'articolo 16, comma 9, dispone allo stesso modo per l'ordinanza che decide «controversie in materia di espulsione dei cittadini di Stati che non sono membri dell'Unione europea»;
ritenuto che:
la legge delega stabilisce che i procedimenti in cui siano prevalenti «caratteri di concentrazione processuale, ovvero di officiosità dell'istruzione» debbano essere ricondotti al rito del lavoro; quelli in cui siano prevalenti «caratteri di semplificazione della trattazione o dell'istruzione della causa» debbano essere ricondotti al procedimento sommario di cognizione; gli altri procedimenti, nei quali non emergano questi caratteri prevalenti, devono essere ricondotti al rito ordinario (articolo 54, comma 4, lettera b) della legge di delega);
non appare peraltro chiara la ragione che ha determinato il legislatore delegato a ricondurre taluni procedimenti ad uno piuttosto che ad un altro modello processuale; ad esempio, non è chiaro per quale ragione siano stati ricondotti al modello del rito del lavoro (invece che a quello del rito ordinario) i procedimenti in materia di applicazione delle disposizioni del codice in materia di protezione dei dati personali o quelli di opposizione a sanzione amministrativa e di opposizione al verbale di accertamento di violazione del codice della strada; analogo discorso vale per gli articoli 5 e 6, relativi rispettivamente alle controversie in materia di opposizione alle sanzioni amministrative e all'opposizione al verbale di accertamento della violazione del codice della strada, destando perplessità la presenza dei prevalenti caratteri dell'officiosità dell'istruzione o della concentrazione processuale;
quanto ai procedimenti regolati dal rito sommario di cognizione, potrebbe sembrare che il legislatore delegato abbia ritenuto la sussistenza del criterio della semplificazione della trattazione o dell'istruzione della causa tutte le volte in cui il procedimento speciale sia un procedimento camerale; tuttavia, le predette caratteristiche non sono legate tanto al modello processuale, quanto piuttosto alla natura della controversia;
desta quindi perplessità l'individuazione della prevalenza dei caratteri della «semplificazione della trattazione o dell'istruzione della causa» in una serie di ipotesi che, pure, lo schema di decreto legislativo annovera fra i procedimenti regolati dal procedimento sommario di cognizione: e così, ad esempio, nell'ipotesi dell'articolo 17, relativo all'impugnazione dei provvedimenti in materia di riconoscimento o revoca dello status di rifugiato; per le azioni popolari previste dall'articolo 19 in materia di eleggibilità, decadenza ed incompatibilità nelle elezioni comunali, provinciali e regionali e dall'articolo 20 in materia di eleggibilità e incompatibilità nelle elezioni per il Parlamento europeo; per l'impugnazione dei provvedimenti disciplinari a carico di notai o dei giornalisti, prevista rispettivamente dagli articoli 23 e 24 dello schema o, ancora, per i procedimenti in materia di discriminazione di cui all'articolo 25;
ancora, l'articolo 12 dello schema di decreto legislativo, che sostituisce l'articolo 29 della legge n. 794 del 1942 in materia di liquidazione degli onorari degli avvocati per prestazioni giudiziarie, riconduce anche tale procedimento al rito sommario di cognizione; tuttavia, questo procedimento veloce e semplificato si segue, secondo il tradizionale orientamento della giurisprudenza e della dottrina, solo quando oggetto della causa sia la mera determinazione degli onorari degli avvocati in base all'applicazione delle tariffe, e cioè quando effettivamente la particolare natura della controversia richieda una trattazione ed un'istruzione semplificata; il medesimo procedimento, invece, non può essere seguito quando la controversia riguardi la stessa prestazione professionale,

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ovvero i presupposti stessi del diritto al compenso o i limiti del mandato o la sussistenza di cause estintive o limitative della pretesa;
relativamente alle cause di opposizione alla stima di cui all'articolo 54 del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 327, parrebbe invece più coerente con la natura istruttoria del relativo procedimento la riconduzione al rito sommario in luogo di quello ordinario;
lo schema dovrebbe anche tenere conto di quale sia la tipologia di giudice al quale debba essere assegnata ogni singola categoria di controversie, per verificare se sia corretto assegnare a quel giudice un dato modello processuale;
sotto questo profilo, emerge una criticità che riguarda il giudice di pace; varie norme impiegano infatti il modello del lavoro o il modello sommario per controversie di competenza del giudice di pace (articoli 5, 6, 7, 11. 16); tuttavia nel sistema del codice, il giudice di pace si limita ad applicare il modello ordinario, per di più in una forma semplificata; sarebbe quindi preferibile che i procedimenti in cui sussiste la competenza del giudice di pace fossero trattati con il rito ordinario;
rilevato infine che:
l'articolo 4 disciplina il mutamento del rito; il comma 2, tuttavia, richiede ulteriori approfondimenti perché sembra escludere il potere del giudice di mutare il rito oltre la prima udienza, sebbene la relativa eccezione sia stata formulata tempestivamente in limine litis; quel che va fatto alla prima udienza è la proposizione dell'eccezione relativa al rito prescelto, mentre l'ordinanza potrà ben essere pronunciata in seguito, non potendosi il relativo potere certo precludersi alla prima udienza; il comma 3, invece, non chiarisce se, nel processo riassunto, restino ferme o meno le preclusioni maturate nella fase svoltasi con il rito errato, secondo le regole di quel rito erroneamente applicato;
quanto ai procedimenti riconducibili al rito del lavoro, nelle disposizioni che regolano le opposizioni ad ordinanza ingiunzione (articolo 5) a sanzioni amministrative per violazioni del Codice della Strada (articolo 6) e per i provvedimenti in materia di protezione dei dati personali (articolo 9) lo schema di decreto delegato prevede un subprocedimento incidentale che, in caso di pericolo imminente di un danno grave e irreparabile, consente di pronunciare fuori udienza un decreto di sospensione, il quale diviene però inefficace se non confermato con ordinanza, entro la prima udienza successiva o, in ogni caso entro sessanta giorni dalla pronuncia del decreto; l'adozione della sospensiva mediante decreto vincola pertanto il giudice a fissare la prima udienza, ovvero comunque un'apposita udienza per la convocazione della controparte, entro sessanta giorni dalla pronuncia del decreto, a pena d'inefficacia del provvedimento adottato inaudita altera parte; questo sbarramento temporale, rimesso esclusivamente al potere d'impulso processuale del giudice rischia di disincentivare il magistrato dal rendere la sospensione inaudita altera parte; appare quindi preferibile una soluzione che svincoli l'efficacia del decreto di sospensione dal decorso termine perentorio di sessanta giorni, disponendo, peraltro, certamente alla prima udienza l'adozione della pronuncia di conferma, ed individuandosi perciò in tale successiva udienza il termine finale di efficacia del provvedimento inaudita altera parte;
nei procedimenti in materia di applicazione delle disposizioni del codice protezione dati personali, l'articolo 9, comma 7, riafferma che la sentenza che definisce il giudizio può prescrivere le misure necessarie; pure in deroga al divieto di cui all'articolo 4, legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato E), anche in relazione all'eventuale atto del soggetto pubblico titolare o responsabile dei dati; va segnalato come, rispetto all'articolo 152, comma 12, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, nel decreto delegato manchi il richiamo alla possibilità esplicita

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per il giudice di disporre il risarcimento del danno, peraltro non eliminabile in un giudizio che abbia ad oggetto la tutela piena di diritti fondamentali;
relativamente alle controversie agrarie, l'articolo 11, comma 1, stabilisce che esse sono regolate dal rito del lavoro, secondo la disciplina descritta dall'articolo 2; ciò significa che a tali controversie non si applicano le disposizioni che l'articolo 2 dichiara espressamente inapplicabili, sulla base del rilievo che, come espressamente afferma la relazione di accompagnamento, sono tipiche del rito lavoro per le controversie di lavoro; in questo modo, però, il lavoratore agrario ha tutele differenti e minori rispetto agli altri lavoratori: ad esempio, non opera per lui il sistema della rivalutazione automatica dei crediti di cui all'articolo 429, comma 3; ciò che appare irragionevole e suscita dubbi di incostituzionalità;
l'articolo 33, comma 18, apporta delle modifiche agli articoli 13 e 14 della legge n. 286 del 1998, modificando il procedimento di convalida dei provvedimenti di accompagnamento coattivo alla frontiera e di trattenimento degli stranieri colpiti da provvedimento di espulsione presso i centri d'identificazione ed espulsione; si ritiene opportuno che la disposizione sia integrata sotto due profili: prevedendo, come stabilito dalla giurisprudenza di legittimità, l'attivazione del contraddittorio con l'audizione dell'interessato e la nomina del difensore, anche in sede di convalida della proroga del trattenimento (che può prolungarsi fino a sei mesi); estendendo l'applicazione dell'articolo 13, comma 5-bis, della citata legge n. 286 del 1998 anche ai provvedimenti assunti dal questore in esecuzione dei decreti di allontanamento emessi a carico dei cittadini dell'Unione Europea (articolo 20, comma 11, del decreto legislativo n. 30 del 2007), trattandosi, come affermato dalla Corte di cassazione, di una misura identica alla convalida dell'accompagnamento coattivo dei cittadini extraeuropei, ed essendone espressamente prevista la convalida da parte del Tribunale in composizione monocratica,
esprime

PARERE FAVOREVOLE

con le seguenti condizioni:
1) siano unificati i termini per proporre i ricorsi introduttivi dei procedimenti contemplati nonché i termini per l'impugnazione e quelli del procedimento di inibitoria, salvo che esigenze particolari non richiedano termini differenziati;
2) sia prevista la possibilità di appello ex articolo 704-quater del codice di procedura civile per tutti i procedimenti ricondotti al rito sommario di cognizione;
3) all'articolo 11, con riferimento alle controversie agrarie, siano assicurate al lavoratore agrario le medesime tutele previste per gli altri lavoratori
e con le seguenti osservazioni:
a) valuti il Governo l'opportunità di prevedere, in ogni caso di inibitoria, la possibilità che l'efficacia del provvedimento impugnato venga sospesa con decreto, salva eventuale conferma, modifica o revoca in contraddittorio;
b) valuti il Governo l'opportunità di prevedere che i procedimenti in cui sussiste la competenza del giudice di pace siano trattati con il rito ordinario;
c) valuti il Governo l'opportunità di ricondurre al rito sommario, in luogo di quello ordinario, le controversie in materia di opposizione alla stima di cui all'articolo 54 del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 327;
d) valuti il Governo l'opportunità di riformulare il comma 2 dell'articolo 4, in modo da chiarire che alla prima udienza debba essere proposta l'eccezione relativa al rito prescelto, mentre l'ordinanza potrà essere pronunciata in seguito;
e) valuti il Governo l'opportunità di riformulare il comma 3 dell'articolo 4,

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chiarendo se, nel processo riassunto, restino ferme le preclusioni maturate nella fase svoltasi con il rito errato, secondo le regole di quel rito erroneamente applicato;
f) valuti il Governo l'opportunità di riformulare gli articoli 5, comma 9, 6, comma 8 e 9, comma 5, sopprimendo l'inciso «e in ogni caso entro sessanta giorni dalla pronuncia del decreto»;
g) valuti il Governo l'opportunità di prevedere espressamente, all'articolo 9, comma 7, che il giudice possa disporre il risarcimento del danno;
h) valuti il Governo l'opportunità di integrare l'articolo 33, comma 18, con la previsione dell'attivazione del contraddittorio con l'audizione dell'interessato e la nomina del difensore, anche in sede di convalida della proroga del trattenimento;
i) valuti il Governo l'opportunità di integrare l'articolo 33, comma 18, estendendo l'applicazione dell'articolo 13, comma 5-bis, della legge n. 286 del 1998 anche ai provvedimenti assunti dal questore in esecuzione dei decreti di allontanamento emessi a carico dei cittadini dell'Unione Europea.