CAMERA DEI DEPUTATI
Giovedì 11 novembre 2010
396.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Finanze (VI)
ALLEGATO
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ALLEGATO 1

Progetto di Programma nazionale di riforma per l'attuazione della Strategia per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva - Europa 2020 (Doc. CCXXXVI, n. 1).

RIFORMULAZIONE DELLA PROPOSTA DI RILIEVI DEL RELATORE

La VI Commissione,
esaminato, per gli aspetti di competenza, il progetto di Programma nazionale di riforma per l'attuazione della Strategia per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva - Europa 2020 (Doc. CCXXXVI, n. 1), trasmesso dal Governo;
tenuto conto che l'esame del Programma costituisce la prima occasione di esame parlamentare di tale tipologia di documento, il quale è stato inserito nel quadro di programmazione delle politiche economiche e di bilancio degli Stati membri dell'Unione europea a seguito delle modifiche recentemente apportate al meccanismo del Patto di stabilità europeo;
rilevato come la trasmissione alle Camere del Programma segua di poche settimane la discussione parlamentare sullo Schema di Decisione di finanza pubblica per gli anni 2011-2013,

VALUTA FAVOREVOLMENTE

il progetto di Programma e formula i seguenti rilievi:
a) si segnala innanzitutto l'esigenza di individuare modalità di coinvolgimento più effettivo delle Commissioni parlamentari nella predisposizione del Programma nazionale di riforma, al fine di valorizzare il ruolo del Parlamento nella definizione dei contenuti essenziali del documento, senza relegare l'esame parlamentare di tale atto al livello di mero adempimento burocratico;
b) si sottolinea l'esigenza che il rafforzamento della governance economica dell'Unione europea costituisca l'occasione, oltre che per garantire la stabilità di lungo periodo dei bilanci degli Stati membri dell'Unione, in particolare dell'area dell'Euro, anche per dotare i governi nazionali di strumenti di politica economica atti a raggiungere gli obiettivi competitività e di crescita definiti dalla Strategia Europa 2020, individuando linee di politica economica comuni all'Unione europea nel suo complesso;
c) in tale quadro, si ribadisce la necessità di proseguire, a livello nazionale, in un'impostazione di politica economica che coniughi la sostenibilità di lungo periodo degli equilibri di bilancio con l'individuazione di risorse da destinare al sostegno della domanda e ad interventi infrastrutturali;
d) si sottolinea l'esigenza fondamentale di proseguire nell'azione di contrasto all'evasione ed all'elusione fiscale, incentivando il coinvolgimento degli enti locali, soprattutto dei comuni, sia per incrementare il gettito erariale, sia, soprattutto, per realizzare una più equa ripartizione del carico tributario e reperire risorse aggiuntive da destinare al sostegno della crescita senza aggravare la pressione fiscale sui contribuenti onesti;
e) si condivide pienamente l'obiettivo, indicato nel Programma, di avviare la riforma del sistema tributario, al fine di perseguire una migliore distribuzione del

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carico impositivo, attraverso il passaggio dalla tassazione diretta a quella indiretta, di adeguare l'ordinamento tributario ai nuovi modelli economici, sociali, ambientali ed istituzionali, di semplificare la normativa ed alleggerire gli oneri amministrativi gravanti sui contribuenti, nonché di ridurre gli effetti distorsivi sulla crescita delle imposte;
f) si concorda con l'esigenza di individuare strumenti innovativi per aumentare la disponibilità di credito in favore del sistema economico, in particolare nelle aree svantaggiate del Paese, e si segnala l'opportunità di verificare attentamente se l'attuazione del nuovo Accordo di Basilea 3, relativo all'adeguatezza patrimoniale delle banche, possa determinare effetti negativi sotto tale profilo per il sistema produttivo, soprattutto per quanto riguarda le piccole e medie imprese;
g) per quanto riguarda la formulazione tecnica del progetto di Programma, si segnala l'opportunità di apportare alcune correzioni al paragrafo 2.2.2, in materia di federalismo fiscale, eliminando il riferimento alla possibilità, per il Ministero dell'economia e delle finanze, di costituire fondi immobiliari presso i quali conferire gli immobili statali trasferiti alle regioni ed agli enti locali nell'ambito del federalismo demaniale, atteso che tale eventualità non è contemplata dal decreto legislativo n. 85 del 2010 in materia, nonché precisando che, ai sensi dell'articolo 9, comma 5, del medesimo decreto legislativo n. 85, i proventi derivanti dalle alienazioni dei predetti immobili, effettuate dalle regioni e dagli enti locali, sono acquisite, per il 75 per cento, dai predetti enti, che possono destinarli alla riduzione dei rispettivi debiti e, per la parte eccedente, in assenza di debito, a spese di investimento, e per il restante 25 per cento sono destinati al Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato.

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ALLEGATO 2

Progetto di Programma nazionale di riforma per l'attuazione della Strategia per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva - Europa 2020 (Doc. CCXXXVI, n. 1).

PROPOSTA ALTERNATIVA DI RILIEVI PRESENTATA DAL DEPUTATO BARBATO

La VI Commissione,
premesso che:
il Consiglio ECOFIN del 7 settembre 2010 ha approvato le modifiche al Codice di condotta sull'attuazione del Patto di stabilità e crescita correlate all'introduzione del cosiddetto «Semestre europeo» a partire dal gennaio 2011;
il «Semestre europeo» è una delle prime iniziative della task force sulla governance economica istituita a marzo e presieduta dal presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy e si prefigge di rafforzare il coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri sulla base dei risultati attesi: in particolare, la nuova procedura di sorveglianza multilaterale dei bilanci nazionali si articolerebbe secondo un ciclo che avrebbe inizio a partire dalla metà di aprile 2011, termine entro il quale gli Stati membri sottoporranno contestualmente i Piani nazionali di riforma (PNR) elaborati nell'ambito della nuova Strategia UE 2020) ed i Piani di stabilità e convergenza (PSC), elaborati nell'ambito del Patto di stabilità e crescita, tenendo conto delle linee guida dettate dal Consiglio europeo;
nella fase transitoria, in vista dell'avvio del Semestre europeo nel gennaio 2011, la Commissione europea propone agli Stati membri, entro il 12 novembre, di presentare alla Commissione la bozza dei Piani nazionali di riforma, focalizzati sui seguenti aspetti: a) scenario macro-economico a medio-termine; b) obiettivi nazionali da perseguire nell'ambito degli scopi della Strategia UE 2020 per la crescita e l'occupazione e le misure conseguenti da adottare; e) identificazione degli ostacoli principali alla crescita e all'aumento dell'occupazione;
come indicato dal Programma nazionale di riforma (PNR) presentato dal Governo, i principali ostacoli alla crescita del nostro Paese sono: l'elevato livello di debito pubblico, e la conseguente necessità di controllare strettamente le finanze pubbliche; la competitività, anche guardata dal punto di vista della relazione tra salari e produttività; il grado di concorrenza, ancora insoddisfacente in alcuni settori; il sistema di istruzione e formazione, che deve essere più moderno ed efficiente a tutti i livelli; un livello di ricerca e innovazione che deve essere migliorato e portato al servizio della competitività delle imprese; un livello di occupazione che presenta ancora forti differenze a livello regionale, specialmente se si considerano l'occupazione femminile e quella giovanile;
il primo passo da compiere, come indicato dallo stesso PNR, è dunque garantire la stabilità delle finanze pubbliche anche mediante l'adozione di alcune misure strutturali destinate a questo obiettivo che siano in grado di coniugare il rigore della spesa con l'ormai necessaria riforma complessiva del sistema tributario italiano;

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le nuove linee guida per la redazione del PSC prevedono che, a partire dal 2011, gli Stati membri inviino alla Commissione europea il Programma di stabilità e convergenza entro la metà di aprile, riportando «(...) indicazioni concrete sulle intenzioni relative all'anno t+1, come le proiezioni preliminari e/o gli obiettivi per il saldo delle amministrazioni pubbliche, le spese e le entrate e le loro componenti principali e una descrizione delle politiche che si intende attuare per conseguire gli obiettivi di bilancio»;
se, da un lato, questa impostazione rappresenta un passo in avanti verso una maggiore trasparenza e un maggior coordinamento a livello europeo delle politiche fiscali nazionali, dall'altro, almeno in Italia, pone problemi di compatibilità tra la tempistica dell'esame tecnico della Commissione europea e la tempistica della programmazione economica interna;
i nuovi documenti politico-contabili europei (Stability, Program, National Reform Program), che dovranno essere presentati da ciascun Paese prima della fine dell'anno, assumeranno una «centralità politica assoluta ed assorbente»: analogamente, il mutare del quadro di riferimento europeo dovrà comportare una sostanziale riforma della legge di contabilità n. 196/2009 al fine di allinearla alla nuova «sessione di bilancio» europea; inoltre, se l'obiettivo del Consiglio europeo è il coordinamento delle politiche fiscali, occorre una conoscenza dettagliata delle misure di politica fiscale che gli Stati membri intendono attuare nel successivo esercizio finanziario;
il cosiddetto Semestre europeo non corrisponde alla tempistica di programmazione prevista dalla recentemente riformata legge italiana di contabilità (legge n. 196 del 2009), con potenziali problemi di credibilità ed efficacia degli impegni presi;
l'introduzione del «Semestre europeo» mira a dare una dimensione ex-ante al coordinamento delle politiche economiche nell'Eurozona e nell'UE a 27: l'obiettivo della Commissione non è sottoporre i bilanci nazionali ad una sorta di valutazione preventiva, prima che vengano presentati ai Parlamenti nazionali, bensì di fornire elementi per una discussione ex-ante sulle politiche di bilancio;
considerato che:
i disegni di legge di stabilità e di bilancio per il 2011, che la Camera sta discutendo in questi giorni, tracciano un quadro dei nostri conti pubblici senza sostanziali novità: per quanto concerne il deficit, è confermato il percorso di rientro previsto dalla «Relazione Unificata» (RUEF) e dall'aggiornamento del programma di stabilità inviato a Bruxelles: 5 per cento del PIL a fine anno, 3,9 per cento nel 2011, 2,7 per cento nel 2012;
l'incertezza sulla crescita e gli interventi a sostegno della Grecia incidono sul debito, che ora viene stimato per il 2010 al 118,5 per cento del PIL (contro il precedente 118,4 per cento), e nel 2011 è previsto un ulteriore aumento al 119,5 per cento (rispetto al 118,7 per cento stimato in aprile): una lenta discesa di tale valore è indicata a partire dal 2012, quando il debito dovrebbe attestarsi al 117,5 per cento del PIL;
benché il deficit sia in crescita, la corsa della spesa pubblica sembra segnare una battuta d'arresto, in quanto nel secondo trimestre di quest'anno è scesa dal 49,9 per cento di un anno fa al 48,2 per cento del PIL, la stessa tendenza si registra sui sei mesi: si tratta di un buon segnale per i conti pubblici, che ha però riflessi negativi sull'economia reale, in quanto la spesa per investimenti, quella in conto capitale, è precipitata dal 20,4 per cento nel periodo gennaio-giugno 2010 rispetto al primo semestre del 2009;
il saldo primario, indicatore di grande importanza per saggiare la tenuta dei conti pubblici nel medio periodo, dal valore negativo di quest'anno (-0,3 per cento) passerà allo 0,8 per cento nel 2011 e al 2,2 per cento nel 2012; tuttavia, il saldo primario nel secondo semestre dell'anno

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resta scarso: è stato pari a 5,8 miliardi (contro i 6,5 miliardi nel corrispondente trimestre del 2009) con un incidenza positiva sul PIL, dell'I,5 per cento (+1,7 per cento nel corrispondente trimestre del 2009);
il miglioramento del saldo primario deriverebbe, nel triennio 2011-2013, da una sostanziale stabilità delle entrate (resta costante la pressione tributaria e si riducono leggermente i contributi sociali, in buona parte per il congelamento delle retribuzioni pubbliche) e da una riduzione di quasi tre punti di PIL della spesa primaria corrente;
il debito pubblico continuerà a crescere, in rapporto al PIL, nel 2010 e 2011, la diminuzione nei due anni successivi lo riporterà nel 2013 a un livello analogo a quello del 2009, nonostante una previsione di crescita reale del prodotto al 2 per cento reale l'anno nel 2012-2013, che oggi appare ottimistica;
il Governo ha lasciato aumentare il debito pubblico italiano di altri 150 miliardi di euro: il livello più alto mai visto, e in questo caso il risanamento delle banche non è una scusa plausibile perché le ragioni, a nostro avviso, sono altre, quali la riduzione dello sviluppo, la riduzione delle entrate, l'aumento fuori controllo delle spese malgrado i tagli ed i regali fiscali a categorie sociali «amiche»;
gli ultimi dati OCSE sul PIL indicano che l'Italia è il «fanalino di coda» dei Paesi europei, tra i quali la Germania, che cresce il quadruplo di noi, e la Gran Bretagna, che cresce in misura più che doppia: per rientrare nei parametri stabiliti da Bruxelles, l'Italia dovrà faticare non poco, ed questa è la realtà, ben diversa dal quadro che Tremonti e il suo Governo continuano a presentare ai cittadini;
le rassicurazioni del Ministro dell'economia, il quale ha sostenuto che anche con le nuove e più stringenti regole del Patto di stabilità europeo il nostro Paese sarebbe in una condizione «straordinariamente confortevole'», non tranquillizzano affatto;
secondo le recentissime stime del Centro Studi di Confindustria (settembre 2010), il reddito pro capite in Italia continua ad essere «in retromarcia» e con la crisi ha fatto passi indietro, tornando ai livelli del 1998;
dopo il varo della manovra estiva adottata con il decreto-legge n. 78 del 2010, emerge un deterioramento dell'avanzo primario di 0,2 punti di PIL (circa 3 miliardi di euro) per il 2011 e 2012, dovuto «a parità di ipotesi di crescita» a «una riduzione del gettito atteso»;
le entrate vanno peggio di quanto si poteva prevedere a giugno, vanificando un quarto della correzione effettuata con la manovra, che valeva 0,8 punti di PIL l'anno;
nei primi sei mesi dell'anno le entrate tributarie sono calate del 3,5 per cento: si tratta di circa 3 miliardi di entrate in meno che preoccupano molto, soprattutto tenendo conto che la manovra recata dal decreto legge n. 78 del 2010, approvato a luglio, contava sulla possibilità di recuperare più di 8 miliardi all'evasione fiscale da qui al 2012;
il disegno di legge di stabilità per il 2011, attualmente all'esame della Camera, tiene conto dello scenario delineato dalla Decisione di finanza pubblica adottata a settembre, in base al quale si prevedono per il 2010 un tasso di crescita del PIL reale dell'1,2 per cento e un deflatore del PIL pari all'1,6 per cento;
gli interventi previsti nel disegno di legge di stabilità ammontano a circa 1.000 milioni per l'anno 2011, 3.000 milioni per il 2012 e 9.500 milioni per il 2013, da attribuire, essenzialmente a rimodulazioni di risorse finanziarie già inserite in bilancio: si tratta dunque una manovra finanziaria priva di contenuti reali, uno strumento di intervento del tutto inadeguato e insufficiente, che fa semplicemente da ponte tra ciò che non si è voluto fare prima e ciò che non si sa o non si vuole fare dopo;

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l'attuale Governo non è in grado di proporre una politica economica anticiclica convincente tale da aggredire la crisi che attanaglia il nostro Paese, il quale necessita invece di interventi che correggano la politica economica e la politica fiscale dell'attuale governo; stimolando di più la domanda interna, prevedendo nell'immediato una vera manovra biennale di almeno tre punti di PIL, che vada a sostegno dei redditi, della domanda, e delle piccole imprese;
in particolare, l'attuale quadro di politica economica, derivante dai vari provvedimenti assunti dall'attuale Governo in circa due anni e mezzo, mostra la seguente drammatica situazione del nostro Paese:
1) relativamente al fisco:
la pressione fiscale per il 2010 è prevista in misura pari al 42,8 per cento del PIL, a fronte del picco del 43,2 per cento registratosi nello scorso anno, per poi ridursi leggermente al 42,4 per cento nel 2011, e quindi risalire al 42,6 per cento nel 2012;
nel 2000 le entrate complessive dello Stato rappresentavano il 45,4 per cento del PIL, mentre nel 2009 questa percentuale era salita al 47,2 per cento;
l'incremento delle entrate dello Stato non è stato determinato da un incremento omogeneo delle diverse fonti di gettito: infatti le imposte dirette sono cresciute nel periodo del 33 per cento, le imposte indirette sono diminuite del 2,3 per cento, con una riduzione più accentuata nel 2008 e nel 2009, ed i contributi sociali sono cresciuti addirittura del 46,6 per cento; in altre parole, è aumentata di molto la pressione fiscale sul fattore lavoro, ed in particolare su quello dipendente, contribuendo alla riduzione della competitività del sistema produttivo;
il calo delle imposte indirette può essere attribuito solo in minima parte alla crisi, mentre è invece per lo più da collegare all'espandersi delle attività in nero ed a meccanismi elusivi, se non truffaldini, come quelli, per quanto concerne l'IVA, delle società «carosello» o delle società «cartiere» create al solo scopo di emettere fatture false;
sebbene si preveda una sostanziale stabilità delle entrate (resta costante la pressione tributaria e si riducono leggermente i contributi sociali, in buona parte per il congelamento delle retribuzioni pubbliche), in realtà, le entrate vanno peggio di quanto si poteva prevedere a giugno: tale peggioramento ha vanificato un quarto della correzione effettuata con la manovra (che valeva 0,8 punti percentuali di PIL l'anno), in quanto, nei primi sei mesi dell'anno, le entrate tributarie sono calate del 3,5 per cento; tale riduzione di circa 3 miliardi delle entrate appare molto preoccupante, soprattutto ove si consideri che la manovra adottata dal Governo in primavera contava sulla possibilità di recuperare più di 8 miliardi di evasione fiscale da qui al 2012;
la crescita del Paese viene inoltre frenata dal fenomeno del sommerso, che, secondo un recente rapporto del Centro Studi di Confindustria, è bruscamente accelerato nel 2009, superando il 20 per cento del PIL (oltre il 27 per cento se non si considera la Pubblica Amministrazione, e senza tenere conto che tale percentuale raggiunge al Sud un valore doppio): tale dato porta l'ammontare dell'evasione fiscale su valori molto superiori ai 125 miliardi stimati dal Centro studi Confindustria lo scorso giugno, ed anche la stima della pressione fiscale effettiva è rivista in crescita, ad un livello ben sopra il 54 per cento nel 2009, più del 51,4 per cento stimato dal Centro studi Confindustria lo scorso giugno e del 43,2 per cento della «pressione apparente contenuta nei documenti ufficiali»;
nella situazione attuale i costi dell'evasione fiscale e della corruzione divengono ancor più insopportabili: in particolare, il 30 per cento della base imponibile dell'IVA viene regolarmente evaso. per oltre 30 miliardi di euro l'anno. cifra che sale vertiginosamente ad oltre 100 miliardi se si aggiunge l'evasione di altre imposte come l'IRPEF o l'IRAP;

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secondo lo stesso Governatore della Banca d'Italia «l'evasione fiscale è un freno alla crescita perché richiede tasse più elevate per chi le paga e riduce le risorse alle politiche sociali»;
fra il 2000 e il 2010 i lavoratori italiani hanno perso mediamente - secondo il Centro studi della CGIL, l'IRES - 5.453 euro in termini di potere d'acquisto, in parte a causa di un livello di inflazione più elevato di quanto previsto e conteggiato in sede di rinnovo dei contratti di lavoro (3.384 euro), ed in parte in ragione della mancata restituzione del «fiscal drag», che ha comportato per ogni lavoratore un prelievo aggiuntivo medio di 2.000 euro, dovuto al progressivo aumento delle aliquote sui redditi per effetto dell'aumento del costo della vita;
in totale, nei dieci anni presi a riferimento, la perdita del potere di acquisto sulla somma di tutte le retribuzioni ha raggiunto la quota di 44 miliardi, che sono stati sottratti alle famiglie, diminuendo la domanda interna, riducendo i consumi e alimentando la crisi;
di fronte a questa incontestabile situazione, appare prioritaria la necessità di procedere urgentemente al riequilibrio del carico tributario, per ridurre la pressione fiscale sui redditi da lavoro, sulle pensioni e sugli investimenti delle piccole e medie imprese, misure che sono invece totalmente assenti nella manovra di finanza pubblica da ultimo impostata dal Governo.
2) relativamente al settore del lavoro:
ad agosto 2010 erano oltre 669.540 i lavoratori in cassa integrazione a zero ore, con una perdita di reddito, dall'inizio dell'anno, di oltre 4.000 euro;
l'osservatorio nazionale CIG della CGIL nazionale rileva che di questi lavoratori circa 170.000 sono in cassa integrazione in deroga, e l'aumento calcolato sullo stesso periodo di riferimento per il 2009 (gennaio-luglio) è del 217 per cento: i settori più colpiti sono il metallurgico (+760,44 per cento), il legno (+519.57M, il meccanico (+369 per cento), l'edilizia (+564.24 per cento) e il commercio di (+225,29 per cento), e per molti dei lavoratori interessati la cassa integrazione è semplicemente l'anticamera della mobilità, senza considerare il dato relativo alle partite IVA, che sfugge a qualsiasi rilevazione;
la produzione ha subito un crollo del 25-30 per cento e il fatturato si è ridotto mediamente di oltre il 40 per cento mentre il PIL italiano cresce la metà di quello tedesco;
l'assenza di interventi strutturali di sostegno allo sviluppo ed al riposizionamento strategico prolunga l'agonia di moltissime imprese, partite IVA, commercianti, artigiani, soprattutto quelle rispettose dei contratti delle leggi e spesso in ulteriore difficoltà a causa della richiesta di rientro dei crediti ottenuti dalle banche: più di 100.000 attività commerciali sono saltate a causa della riduzione dei consumi, essendo il potere d'acquisto delle famiglie sceso dell'1,9 per cento secondo l'ISTAT, mentre i prezzi di benzina, gas, assicurazione, trasporto pubblico, sono aumentati per effetto della manovra finanziaria posta in essere con il decreto - legge n. 78 del 2010;
presso il Ministero dello sviluppo economico sono aperti numerosissimi tavoli per altrettante vertenze di rilievo nazionale, decine e decine sono le imprese in amministrazione straordinaria o controllata (basti pensare ad Agile ex Eutelia o alla Tirrenia) la cui prospettiva occupazionale allo stato attuale è assolutamente incerta per i circa 200.000 lavoratori e lavoratrici interessati;
risultano drammatici alcuni dati strutturali come la forbice tra i ricchi (il 10 per cento della popolazione che detiene il 44,5 per cento della ricchezza) e i poveri (il 50 per cento delle famiglie con il 9,8oA della ricchezza complessiva): per la prima volta dal dopoguerra salari e pensioni sono più bassi del 30 per cento rispetto alla media europea e si riducono rispetto

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all'aumento dei prezzi, mentre la pressione tributaria sul lavoro rimane stabile al 46,5 per cento;
restano inoltre ancora drammaticamente attuali tre grandi questioni: il Mezzogiorno, il basso tasso di occupazione delle donne e la disoccupazione giovanile:
il divario tra Nord e Sud porta a disparità salariali del 25 per cento, e un tasso di disoccupazione doppio rispetto tante aree del Nord Italia;
la questione meridionale è una grande questione nazionale: il Sud ha risentito pesantemente della spoliazione da parte del Ministero dell'economia dei fondi FAS e del fondo sociale europeo, la cui finalità non è quella di pagare le politiche passive, cioè gli ammortizzatori sociali finanziati ovunque in Europa da risorse nazionali, ma le politiche attive per l'occupazione, prima fra tutte la formazione e l'apprendimento permanente di giovani e dei lavoratori per renderli utilizzabili sul mercato del lavoro;
il CIPE ha stabilito inoltre una serie di priorità per i grandi investimenti che non tiene minimamente conto delle programmazioni regionali, a partire da quelle del Sud, ma risponde soltanto a equilibri determinatisi dopo le elezioni regionali di marzo scorso e rende dunque necessaria una ridiscussione complessiva del pacchetto grandi opere, come peraltro già chiesto dalle organizzazioni sindacali;
è necessaria un'offensiva decisa contro la criminalità organizzata e l'economia illegale, poiché il ripristino della legalità dentro e fuori i luoghi di lavoro è la precondizione non eludibile per rilanciare la filiera corta, la green economy, l'economia sociale e del riuso dei beni sottratti alle mafie, insieme a tanti settori della società civile, primi fra tutti i giovani;
il tasso di occupazione femminile a livello nazionale è stato del 46,4 per cento contro l'obiettivo del 60 per cento fissato dalla strategia di Lisbona al 2010 e soltanto Trentino-Alto Adige ed Emilia Romagna superano l'obiettivo comunitario: al Sud il medesimo dato si attesta mediamente sul 30 per cento, ma Campania, Puglia e Sicilia sono inferiori;
va rilevato inoltre che al Sud la manodopera femminile alimenta pesantemente il sommerso: il lavoro delle donne è stato colpito nel settore industriale (-7 per cento sul 2008), nell'agricoltura (-7,9 per cento) e nel commercio (3.3 per cento) e la permanenza delle donne nei contratti atipici ha gravi effetti su salari e tutele;
nel 2009 la percentuale di uomini con contratto a termine è diminuita del 5,6 per cento rispetto la 2008 ed attualmente sono circa 700.000 coloro che hanno una tale forma di rapporto contrattuale: le aziende hanno cominciato a ridurre il personale a partire da quello femminile e contemporaneamente aumentano le violazioni amministrative sulla tutela economica delle lavoratrici madri (+67 per cento) e le ipotesi di reato in ordine alla tutela fisica delle stesse (+155 per cento);
rimane strutturale il dato della disparità salariale rispetto ai colleghi uomini (attestata mediamente intorno al 26 per cento) a parità di mansione e nonostante il maggior successo scolastico e formativo, e l'Italia continua ad essere ultima tra i paesi europei per quanto riguarda l'accesso delle donne ai ruoli dirigenziali, sia nel pubblico impiego che nel privato, e la presenza nei consigli di amministrazione;
aumentano le donne inattive (a marzo 2010 erano circa 9.600.000 in maggioranza di età superiore ai 45 anni) e sono donne, spesso ancora in età lavorativa, la metà degli 8 milioni di poveri in Italia: secondo l'ultimo rapporto INPS le donne percepiscono inoltre pensioni inferiori del 35,2 per cento rispetto agli uomini, diseguaglianza che aumenta ancor maggiormente si considerano le pensioni di vecchiaia;
il tasso di disoccupazione giovanile globale continua a salire: secondo i dati Eurostat, nei paesi dell'Unione europea

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raggiunge il 20,2 per cento, il livello più alto degli ultimi 20 anni e si stima che salirà ulteriormente nel prossimo triennio. In Italia il dato sfiora il 26 per cento con picchi drammatici in vaste aree del meridione. La precarietà, che coinvolge oltre 4 milioni di lavoratori, è la cifra che contraddistingue la condizione giovanile in Italia. Le misure contenute nel decreto 78/2010, i tagli ai servizi e talune disposizioni contenute nella proposta di riforma universitaria si dimostrano assolutamente inadeguate ed assai distanti da provvedimenti anticiclici adottati in molti paesi europei i quali hanno invece puntato sugli investimenti sulla conoscenza, l'innovazione e la ricerca come leva strategica per il rilancio del sistema produttivo;
3) relativamente alle politiche dell'istruzione, dell'università e della ricerca:
nella sezione 3.2 «Capitale Umano» del PNR, sono contenuti una serie di obiettivi - alcuni dei quali indicati come già raggiunti - in merito alla valorizzazione del capitale umano, con particolare riferimento al settore scolastico ed universitario: si citano testualmente «le riforme attuate - quella scolastica - e quelle in corso di attuazione - quella universitaria», indicate come «riforme che si sostanziano in misure di sistema. che contemperano l'esigenza di contenimento della spesa pubblica e di razionalizzazione delle risorse con la ridefinizione delle filiere formative a tutti i livelli... volte al riallineamento della media europea del rapporto studenti/insegnanti»; il paragrafo 3.2.1 del PNR, relativo alla «Politica regionale e l'Istruzione» indica "investimenti dedicati all'istruzione per circa 4,3 miliardi di euro», dei quali: 3,8 destinati alla riforma dei sistemi di istruzione ed a misure volte a diminuire l'abbandono scolastico mentre poco meno di 500 milioni vengono indicati per investimenti per le infrastrutture dedicate all'istruzione»;
in netta controtendenza rispetto a quanto indicato nel PNR, dall'inizio della XVI legislatura ad oggi non è stata introdotta nell'ordinamento alcuna legge di riforma del sistema scolastico: al contrario, al fine di raggiungere il mero contenimento delle spese, così come peraltro ampiamente riferito dal PNR, l'unico atto normativo, dal quale sono discesi decreti legislativi di riordino dell'istruzione secondaria, risulta oggi essere il famigerato articolo 64 del decreto - legge n. 112 del 2008, il quale è volto esclusivamente al contenimento delle spese, volto a deprimere ulteriormente il già precario sistema formativo italiano, mentre continua ad esser indicato dal Governo quale «riforma della scuola»;
anche il decreto - legge n. 137 del 2008, lungi dal rappresentare una riforma del settore dell'istruzione, ha introdotto poche e discutibili norme riguardanti l'istruzione primaria, tra le quali l'inserimento del maestro unico - che rappresenta un ritorno al passato di almeno 40 anni in termini di scienza della formazione - la cui applicazione è stata poi nei fatti disattesa dall'assenza di copertura economica, contenuta nella norma stessa;
riguardo alla cosiddetta riforma dell'università - il cui «obiettivo primario è quello di eliminare la frammentazione degli indirizzi», al fine di usare più «efficacemente le risorse», così come indicato nella medesima sezione 3.2 del PNR - dall'inizio della legislatura ad oggi risulta approvato dal Parlamento il solo decreto - legge n. 180 del 2008, riguardante «disposizioni urgenti per il diritto allo studio e la valutazione del merito nell'università»;
oltre al citato decreto - legge n. 180, il solo Senato è pronunciato su quella che può esser indicata come una riforma dell'università (Atto Senato n. 1905) - peraltro osteggiata per mesi da migliaia di studenti, intere categorie di ricercatori, assistenti e professori universitari, criticato dalla Conferenza dei Rettori Italiani e dal Consiglio Universitario Nazionale -, che è attualmente fermo alla Camera per assenza di copertura finanziaria e contiene oltre 150 disposizioni, molte delle quali rappresentano deleghe,

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da attuare con altre norme future che andranno ad aggiungersi ad un quadro normativo già particolarmente ampio e complesso;
dal 2008 ad oggi tutte le leggi finanziarie sin qui approvate, non ultima la legge di stabilità 2011 in corso di approvazione, hanno previsto e prevedono ancora significativi tagli dei trasferimenti dallo Stato alle regioni, da destinarsi al settore dell'istruzione: la legge finanziaria 2009, oltre che confermare tutti i macroscopici tagli introdotti dal decreto - legge n. 112 del 2008, ha anche provveduto a ridurre il Fondo per l'offerta formativa di ben 29 milioni di euro, portandolo a soli 150 milioni, contro i 274 milioni della sua consistenza originaria, prevista per sostenere anche la formazione del personale, l'assistenza ai portatori di handicap, l'innovazione e l'alternanza scuola-lavoro: progressivamente il Fondo in questione è stato ulteriormente ridotto a 130 milioni nel 2010 ed è prevista una dotazione di soli 99,5 milioni sia per il 2011 che per il 2012;
per le borse di studio i trasferimenti dallo Stato alle Regioni, per l'anno 2010/2011 sono stati ridotti del 25 per cento, con una riduzione media per regione di circa 1,5 milioni sui 6 milioni trasferiti in precedenza, mentre per l'anno 2011/2012 è ancor più preoccupante il taglio del tondo nazionale per le borse di studio, che sarà ridotto a meno di 26 milioni di euro contro i 246 milioni, destinati al finanziamento del medesimo Fondo, prima dell'avvento dell'attuale Governo;
riguardo all'edilizia scolastica, la previsione del PNR di destinarvi «quasi 500 milioni», non collima con le esigenze del settore, che ammontano ad almeno 12 miliardi di euro, così come più volte sostenuto ufficialmente dal Sottosegretario Bertolaso;
a seguito dei già citati tagli agli organici stabiliti dalla legge n. 133 del 2008 - il cui ammontare complessivo è stimabile in oltre 40.000 unità sul personale docente e di 15.000 unità sul personale ALA - il cosiddetto decreto legge «salva precari», che per salvare gli stessi non ha previsto alcuno stanziamento finanziario, ha invece previsto «la facoltà, per l'amministrazione scolastica, di promuovere - in collaborazione con le regioni e a valere su risorse finanziarie messe a disposizione dalle regioni medesime - specifici progetti inerenti ad attività di carattere straordinario, anche ai fini dell'adempimento dell'obbligo dell'istruzione»: si è perciò previsto per legge che, a seguito dei tagli, le regioni che vogliano adempiere all'obbligo dell'istruzione possano finanziare detto obbligo autonomamente;
in riferimento al disegno di legge di bilancio per il 2011 attualmente in discussione, lo stato di previsione del Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca reca, per l'esercizio finanziario 2011, spese in conto competenza per 52.492.795.475 milioni di euro, di cui 50.236.610.611 milioni di euro per spese correnti e 2.256.184.864 milioni di euro per spese in conto capitale: complessivamente, rispetto ai 55.280.143.205 euro delle previsioni iniziali della legge di bilancio 2010, le previsioni per il 2011 evidenziano una diminuzione di 2.787 milioni di euro; rispetto invece alle previsioni della legge di assestamento 2010, pari a 55.319 milioni di euro, la diminuzione delle spese è pari a 2.826 milioni di euro;
la Missione «Istruzione scolastica», vede un taglio rispetto alle previsioni assestate 2010, di oltre 2.106 milioni di euro. Taglio ancora più drastico se si considerano le risorse stanziate per il 2012 e 2013;
la Missione «Istruzione universitaria», subisce una diminuzione di circa 821 milioni di euro rispetto all'assestamento 2010 e di circa 806 milioni di euro rispetto al bilancio 2010. Si registra negli ultimi due anni un taglio ai finanziamenti per le borse di studio di circa il 90 per cento: in due anni, infatti, l'ammontare delle borse da erogare è passato da 246 milioni a 25,7 milioni, e nel 2012 si

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arriverà a 13 milioni scarsi, con l'80 per cento degli studenti meritevoli e bisognosi che non percepirà l'assegno;
la Missione «Ricerca e innovazione», passa da 2.299 milioni delle previsioni assestate 2010 a 2.227 milioni del bilancio in esame, con un taglio è di oltre 72 milioni di euro;
il finanziamento delle Università e della Ricerca, a causa dei pesanti tagli apportati dal Governo ha portato il sistema, già pesantemente sottofinanziato, al di sotto della soglia di sostenibilità;
tutto ciò conferma il disinteresse del Governo per un settore fondamentale per la crescita del Paese quale quello dell'istruzione in generare e di quella universitaria in particolare, che purtroppo non potrà non continuare a risentire di una politica di tagli i quali, anno dopo anno, producono dissesto ed una situazione economica inammissibile: basti pensare che, proprio per la mancanza di risorse adeguate è ferma la riforma dell'università che, secondo le intenzioni dei proponenti, avrebbe dovuto ispirarsi a principi di autonomia e di responsabilità (finanziaria, scientifica, didattica);
i proclami non possono bastare, mentre è indiscutibile che l'investimento nella formazione delle nuove generazioni rappresenta un parametro vitale per qualunque Paese voglia elaborare un positivo progetto di crescita per il proprio futuro: è necessario investire risorse per valorizzare le immense risorse culturali e le competenze professionali che risiedono nel Paese;
5) relativamente alle politiche per l'ambiente:
risulta evidente la situazione drammatica in cui si trova il Ministero dell'Ambiente, al quale vengono sottratte ingenti risorse finanziarie, ben oltre il taglio del 10 per cento imposto nella manovra della scorsa estate, con il decreto legge n. 78 del 2010: lo stesso Ministro Prestigiacomo, nel corso dell'audizione svoltasi il 20 ottobre presso la Commissione Ambiente della Camera, ha segnalato la sua preoccupazione al riguardo, auspicando un reintegro delle risorse, specie quelle relative al dissesto idrogeologico;
appare in tutta la sua drammaticità, proprio in questi giorni, lo stato di degrado del territorio e la totale assenza di una politica di tutela e salvaguardia del patrimonio ambientale, culturale e paesaggistico del Paese;
la legge finanziaria 2010, all'articolo 2, comma 240, ha destinato 900 milioni di euro ai piani straordinari diretti a rimuovere le situazioni a più elevato rischio idrogeologico: nel corso della predetta audizione, il Ministro per l'ambiente ha riferito di aver chiesto al Ministro dell'economia l'istituzione del relativo capitolo di spesa, ma di non aver ancora avuto risposta;
le risorse destinate ai parchi e alle aree marine protette sono ormai praticamente azzerate;
l'esame dello stato di previsione del Ministero dell'ambiente per il 2011 indica uno stanziamento complessivo di competenza pari a 513,9 milioni di euro, con una drastica e insostenibile riduzione rispetto al dato assestato 2010, di 232,7 milioni di euro pari a - 31,2 per cento;
il continuo ripetersi di drammatici eventi alluvionali e franosi che anche recentemente hanno colpito aree del territorio nazionale. causando la perdita di vite umane e danni ingentissimi, dovrebbe indurre le istituzioni ad abbandonare le logiche di intervento meramente emergenziale sin qui seguite, in favore di una politica strutturale integrata tra lo Stato, le Regioni e gli enti locali, mettendo al bando la prassi di risolversi ad intervenire solo successivamente al verificarsi di gravi fatti calamitosi, per tamponare, con ordinanze emergenziali di protezione civile in deroga alla normativa vigente, le conseguenze della fragilità territoriale una volta che esse si sono prodotte;
il Programma «Prevenzione e riduzione integrata dell'inquinamento», le

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cui risorse ammontano a 29,4 milioni di euro, viene ridotto di 42.3 milioni di euro - ossia del 59 per cento rispetto al dato assestato 2010;
il Programma «Sviluppo sostenibile», le cui spese preventivate risultano pari a circa 69 milioni di euro, registrano un'ennesima riduzione di 27 milioni di euro, pari a -28,2 per cento;
il Programma «Tutela e conservazione del territorio e delle risorse idriche, trattamento e smaltimento rifiuti, bonifiche» dispone di risorse di competenza pari a 164,3 milioni di euro, con una riduzione di oltre 81 milioni di euro, pari a una riduzione del 33 per cento: i capitoli interessati al suddetto taglio riguardano: il servizio idrico integrato, il risparmio idrico e il riuso delle acque reflue; il rischio idrogeologico; la manutenzione di opere idrauliche e per interventi di sistemazione del suolo; il piano straordinario di completamento dei sistemi di collettamento e depurazione; il programma nazionale di bonifica dei siti inquinati; i contratti di programma relativi al ciclo di gestione dei rifiuti; l'attuazione del protocollo di Kyoto;
il Programma «ricerca in materia ambientale», prevede uno stanziamento di competenza pari a 82 milioni di euro, con una riduzione di 8.3 milioni di euro rispetto alle previsioni assestate 2010 (pari a -9.2 per cento).
6) relativamente alle politiche energetiche:
in riferimento al nucleare, nel PNR la convenienza economica della produzione di elettricità con le centrali nucleari è ritenuta un'ovvietà e a tal fine non viene fornito alcun dato in termini di costi. Il medesimo approccio è rinvenibile nelle bozze elaborate dal Ministero dello Sviluppo economico del «Nuovo Programma nucleare italiano», ove si afferma che «la costruzione delle nuove centrali elettronucleari consentirà di fornire elettricità a prezzi più convenienti, a tutto vantaggio delle famiglie e del sistema produttivo»;
il Governo utilizza come base per il suo Programma nucleare solo lo studio della NEA, l'Agenzia per l'energia nucleare dell'OCSE, che, essendo nata per promuovere il nucleare, non può essere considerata fonte del tutto indipendente: secondo quanto emerge dal Rapporto della Fondazione per lo sviluppo sostenibile sui costi del nucleare, vi sarebbero ben sette altri studi recenti, realizzati in Paesi dove il nucleare è già utilizzato e dove vi sono istituti e istituzioni indipendenti, in grado di cambiare completamente la valutazione dei costi dell'elettricità prodotta da nuove centrali nucleari;
il Programma nazionale di riforma del Governo sostiene che il ricorso al nucleare «può affrancare il Paese da un'eventuale futura ondata di speculazione finanziaria sui mercati delle materie prime ed, in particolare, sul gas come avvenne nel 2007-2008», derivante dall'aumento del costo del gas o a causa di una maggiore scarsità o di una difficoltà di approvvigionamento: si tratta tuttavia di previsioni del tutto infondate e non documentate, visto che, con tutte le criticità ad esso legate, il recente utilizzo di gas non convenzionale sta cambiando lo scenario del mercato mondiale e aumentando notevolmente la stima delle riserve utilizzabili;
occorre domandarsi se un Paese debba avere necessariamente un portafoglio diversificato di fonti che garantisca l'autosufficienza nazionale, visto che, a rigore, l'obiettivo non si addice ad uno stato membro dell'Unione, una volta che questa ha scelto il mercato unico e il principio della libera circolazione di merci e servizi: a ciò occorre aggiungere che la necessità di ridurre la dipendenza energetica dall'estero non verrebbe comunque realizzata, in quanto anche il nucleare italiano dipenderebbe fortemente dall'estero, segnatamente dall'uranio importato, dal combustibile arricchito importato, da una tecnologia importata (francese o americana), nonché da reattori le cui parti più importanti non saranno certo costruite in Italia;

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l'affermazione relativa ai presunti costi inferiori del nucleare non tiene conto del fatto che in Italia le condizioni di realizzazione sono più onerose a causa di costi di avvio del sistema più elevati rispetto ad altri Paesi ove il nucleare è già sviluppato: oltre a ciò è opportuno tenere presente che in Italia le opposizioni al nucleare sono forti e non vi è alcuna larga intesa politica sul «ritorno all'atomo», per cui il rischio che la costruzione di centrali sia in futuro interrotta è piuttosto concreto, con conseguenti oneri sui cittadini;
sul fronte delle compensazioni ambientali praticamente tutto si risolve nella promessa di future concessioni economiche e, ancor prima, nell'opera di convincimento di una campagna di informazione unilateralmente definita e passivamente acquisita, senza spazi per la partecipazione pubblica;
con riferimento alle fonti energetiche rinnovabili invece, l'attuale contesto internazionale attribuisce una grande importanza allo sviluppo delle fonti rinnovabili: l'Italia è tuttavia ancora molto lontana dal tener fede agli impegni assunti in campo internazionale e la direttiva 2009/28/CE ci richiede, infatti, di soddisfare nel 2020 il 17 per cento dei consumi interni lordi di energia attraverso le energie rinnovabili, avendo come riferimento il 4.91 per cento del 2005;
sulla base del Piano di azione nazionale per le energie rinnovabili, a cui rinvia il PNR, ciò significa quasi raddoppiare l'energia elettrica verde prodotta nel 2008, passando dai 5 milioni di tonnellate di petrolio equivalente (Mtep) ai 9,1 del 2020 e triplicare la produzione di calore da rinnovabili, da 3.2 a 9,5 Mtep, oltre che quadruplicare l'utilizzo dei biocombustibili nei trasporti, da 0,92 a 3.4 Mtep, per soddisfare lo specifico target comunitario del 10 per cento di rinnovabili sul totale dei combustibili per la mobilità;
secondo quanto emerge dal Piano di azione nazionale, l'unico problema da affrontare sembrerebbe essere quello relativo alla necessità di accelerare la crescita, attraverso il riordino del sistema di incentivazione, la semplificazione degli iter autorizzativi e la responsabilizzazione delle Regioni nel conseguimento degli obiettivi;
sono invece numerose le lacune rintracciabili nella strategia sinora seguita: ad esempio, il documento ribadisce la necessità di dare sostegno alla creazione di una industria «verde» nazionale sia attraverso poli tecnologici avanzati, sia attraverso una rete di piccole e medie imprese, diffusa sul territorio, di servizio integrato anche sul versante dell'efficienza energetica: tuttavia, nel sostenere l'impegno alla creazione di poli tecnologici, ci si dimentica che sul rapido arretramento dell'Italia nella competizione tecnologica internazionale nel corso dell'ultimo ventennio ha pesato in maniera significativa la progressiva riduzione delle risorse destinate agli enti di ricerca pubblici e privati;
l'originalità delle scelte intraprese nel nostro Paese è imbarazzante, soprattutto se messa a confronto con quelle sin qui seguite a livello internazionale da quei paesi, come la Germania, che hanno intrapreso percorsi di cambiamento nella direzione di una maggiore sostenibilità ambientale e che hanno adottato un'impostazione rigorosa rispetto alle azioni e agli interventi necessari all'evoluzione e all'avanzamento del processo tecnologico e scientifico delle energie rinnovabili;
con riguardo all'efficienza energetica, il PNR afferma che l'efficienza rappresenta uno strumento efficace nella lotta ai cambiamenti climatici, essendo altresì il naturale complemento degli obiettivi relativi alle tonti rinnovabili condizionando, in molti casi, il raggiungimento degli stessi: a fronte di tali considerazioni, non viene prevista alcuna proroga delle detrazioni fiscali del 55 per cento per gli interventi di risparmio energetico oltre il 2010;

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la direttiva europea prevede che, sempre al 2020, in ogni Stato sia assicurata un quota di copertura dei consumi nel settore trasporti mediante energie da fonti rinnovabili pari al 10 per cento, nessun intervento è stato sinora attuato relativamente ai fabbisogni di mobilità, che al contrario hanno registrato un significativo peggioramento nel loro impatto ambientale: le emissioni associate al trasporto sono infatti cresciute di quasi il 32 per cento nel periodo 1990-2007, con una percentuale di incremento sostanzialmente simile dei consumi energetici;
in relazione alle procedure autorizzative per gli impianti da fonti rinnovabili, si evidenzia prima di tutto come il sistema autorizzativo locale sia frammentato e spesso burocratizzato: i procedimenti autorizzativi per le fonti rinnovabili sono gestiti a livello locale con significative differenze da regione a regione e non esistono ancora regole nazionali per l'approvazione e la valutazione dei progetti.
7) in riferimento alle politiche delle infrastrutture, dei trasporti e delle comunicazioni:
in base al disegno di legge di bilancio per il 2011 lo stanziamento di competenza relativo alla Missione «Comunicazioni» nell'ambito dello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico per il 2011 reca previsioni di spesa per complessivi 130,7 milioni di euro (1,2 milioni di euro per parte capitale, 129,5 milioni di euro per la parte corrente) con un decremento, rispetto alle previsioni assestate 2010, di 21,5 milioni di euro, mentre lo stanziamento di competenza relativo alla Missione «Sviluppo sostenibile e tutela del territorio e dell'ambiente» reca previsioni di spesa per complessivi 1 milione di euro (0,1 milioni di euro per parte capitale, 0,9 milioni di euro per la parte corrente), con una riduzione, rispetto alle previsioni assestate 2010, di 0,5 milioni di euro;
secondo la graduatoria del World Economie Forum, l'Italia si posiziona nel 2010 al 73o posto su 133 paesi per la qualità del sistema infrastrutturale di trasporto: l'infrastrutturazione, oltre che, dalle minori risorse investite, è stata penalizzata anche dalle procedure che ritardano la realizzazione delle opere pubbliche, per la quale occorrono dai 3.483 ai 4.173 giorni a seconda che il loro valore sia inferiore o superiore ai 50 milioni di euro;
il recupero del divario infrastrutturale italiano passa necessariamente per l'aumento della spesa pubblica destinata agli investimenti, che negli ultimi quindici anni è stata inferiore alla media dei paesi europei: il 2, 2 per cento del PIL nel 1995-1999 contro il 2,5 nella UE27, il 2,3 per cento del PIL nel 2005-2009 ha speso il 3,9 per cento del PIL e l'Irlanda il 4,3 per cento;
siamo al di sotto della media UE per diffusione della banda larga e lo stesso dicasi per il numero di famiglie connesse a internet, il che fa dell'Italia un Paese che ancora non pensa digitale;
è emblematico il fatto che l'ICT contribuisce in maniera modesta al PIL, che il nostro Paese è il fanalino di coda nel commercio e nei servizi elettronici, che le nostre imprese vendono poco sul web, che la quota di esportazioni legate all'ICT e pari al 2,2 per cento e relega l'Italia al penultimo posto in Europa;
l'esportazione delle nostre imprese contribuisce per il 125 per cento al valore aggiunto del PIL: dai dati ISTAT risulta che le ditte esportatrici italiane sono 189.000, ma 116.000 contribuiscono all'esportazione soltanto per lo 0,6 per cento, e il 43 per cento esporta su un unico mercato;
un Paese membro dell'Unione europea non può non avere un piano delle frequenze: tutti i precedenti piani delle frequenze in Italia sono stati adottati per poi essere messi in soffitta o congelati, generando come sostenuto dal Presidente dell'AGCOM - un «Far West» dell'etere.

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8) in riferimento alle politiche di sostegno alle imprese:
i ritardi di pagamento costituiscono una delle piaghe dell'economia europea, sono all'origine di un fallimento su quattro e, secondo le stime, della perdita di 450.000 posti di lavoro all'anno: le piccole imprese sono le più vulnerabili, perché solo la puntualità dei pagamenti può permettere loro di mantenere sufficienti disponibilità di cassa, specie ora che le banche sono restie a concedere crediti;
ammonta a circa 70 miliardi di euro la massa creditizia che pesa sulle spalle delle imprese: tra coloro che conoscono meglio il problema vi sono sicuramente i beneficiari di commesse pubbliche perché, quando si tratta di pagare le fatture in ritardo, le amministrazioni pubbliche sono particolarmente solerti;
in risposta alle crescenti proteste, la Commissione europea ha presentato norme che introducono penali più onerose in caso di ritardi di pagamento;
in Italia il problema ha superato la soglia della tollerabilità: per incassare il dovuto dalla Pubblica amministrazione le imprese devono aspettare anche ventiquattro mesi, come nel caso della sanità: nel Sud Italia il 70 per cento del PIL delle aziende è dato dai rapporti lavorativi con gli enti pubblici e il 30 per cento da attività manifatturiere ed uno dei motivi principali della crisi delle imprese meridionali è dato, dunque, proprio dal ritardo dei pagamenti da parte degli enti;
alcune amministrazioni hanno problemi di solvibilità, altre, invece, soffrono di una eccessiva lentezza burocratica, che rende inefficiente lo svolgimento dei compiti;
secondo quanto emerge dall'indagine annuale dell'ISTAT su struttura e competitività delle imprese industriali e dei servizi, pubblicata a fine ottobre 2010, la struttura produttiva italiana si conferma «caratterizzata da una larga presenza di microimprese»: le aziende con meno di dieci addetti rappresentavano nel 2008 il 94,7 per cento sul totale degli oltre 4,4 milioni di imprese attive e pertanto la dimensione media «risulta pertanto estremamente bassa, pari a 3,9 addetti per impresa»;
la situazione in cui versano le PMI italiane è ancora più difficile se confrontata con il dato che emerge dalle ultime rivelazioni OCSE del 2009, in cui si conferma che l'Italia si colloca sotto la media in materia di investimenti per l'innovazione, unica leva per restare competitivi a fronte delle piccole dimensioni che caratterizza il nostro tessuto imprenditoriale;
l'innovazione nel campo delle PMI non può essere solo uno slogan mediatico, ma solamente innovando i cicli produttivi e sviluppando nuovi prodotti, un'azienda è in grado di assicurarsi la continuità e il rafforzamento competitivo sul proprio mercato, nonché sui mercati nuovi nei quali si affaccia: un'economia e un Paese che non investono in ricerca - e non innovano - difficilmente potranno crescere;
con la manovra finanziaria operata con il decreto - legge n. 78 del 2010 l'attuale Governo non ha fatto niente che potesse recuperare il gap sopra descritto;
valutato inoltre che:
la domanda mondiale di investimenti in energia, ambiente e infrastrutture è enorme: nel solo campo dell'energia si calcola che sarebbero necessari investimenti per 26 trilioni di dollari entro il 2030 e, per quanto riguarda l'Europa, la Banca Mondiale stima la necessita di investimenti annui di 40 miliardi di euro in nuove infrastrutture (produzione energetica, telecomunicazioni e trasporti) e 60 miliardi per la manutenzione e il rimpiazzo di quelle già esistenti, mentre il Centre for European Policy Studies calcola che, ogni anno per 40 anni, nell'UE serviranno 50 miliardi di euro di investimenti nelle infrastrutture dei trasporti e dell'energia soltanto per far fronte ai cambiamenti climatici;

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la qualità del sistema delle reti infrastrutturali strategiche, materiali e immateriali, è uno dei fattori cruciali dello sviluppo e della crescita di ogni Paese: incide in modo determinante sui costi della produzione di beni e servizi, sulla competitività delle imprese, sul loro accesso ai mercati, sugli scambi commerciali, ed è un fattore cruciale per la qualità della vita e per la coesione sociale: dalla qualità delle reti infrastrutturali e dei servizi di rete dipende la mobilità delle persone (trasporti), la fruizione di beni essenziali (l'acqua, l'energia elettrica, il gas), le relazioni interpersonali (telefono, poste), la diffusione delle informazioni e delle conoscenze (internet), il monitoraggio dei fattori di rischio ambientale e sociale;
le criticità del nostro carente sistema infrastrutturale limitano, sino a pregiudicarla, la competitività del nostro sistema economico e il perseguimento dei fondamentali beni pubblici quali la coesione sociale, la qualità della vita, la sicurezza del paese e delle persone, mentre i ritardi e le carenze delle infrastrutture finiscono per limitare di fatto la nostra economia;
la crisi economico-finanziaria che ha investito il Paese nell'ultimo biennio non relega in secondo piano il problema della infrastrutturazione del Paese, al contrario, tra i principali strumenti per superare la recessione e rilanciare la crescita vi è - notoriamente - la realizzazione di grandi programmi pubblici di sviluppo e ammodernamento degli impianti e delle infrastrutture strategiche: non a caso, importanti investimenti di lungo periodo in infrastrutture, nei settori dei trasporti, dell'ambiente, della produzione e distribuzione dell'energia e della infrastrutturazione urbana, rappresentano una componente fondamentale delle strategie di diversi tra i maggiori Paesi (LISA, Cina, Giappone, Brasile. Australia, Corea del Sud, Canada in primis);
il Presidente degli Stati Uniti, proprio poche settimane fa, ha deciso di investire 50 miliardi di dollari sulle infrastrutture e sui trasporti, nella consapevolezza che da questi settori passa il rilancio dell'economia e dell'occupazione nonché della qualità ambientale degli Stati Uniti;
in un momento di difficoltà è però altrettanto necessario dimostrare la capacità di investire in modo razionale sul sistema infrastrutturale, avvalendosi di una dotazione finanziaria appropriata: a tal fine sembrerebbe opportuno iniziare a spostare le risorse destinate alla costruzione del Ponte sullo Stretto (2,5 miliardi di euro pubblici, più i 3,85 miliardi di euro provenienti da finanziamenti privati) e alla realizzazione del programma nucleare verso interventi che permettano di recuperare il gap infrastrutturale esistente tra il Nord e il Sud del paese;
si potrà raggiungere il completo rilancio dell'economia nazionale solo quando anche il Mezzogiorno sarà messo nelle condizioni di avere un sistema della mobilità appropriato e moderno, la cui inadeguatezza è un fattore importante di diversificazione dello sviluppo: in un momento di crisi economica come quella attuale, appare ragionevole investire le limitate risorse pubbliche in opere che siano realizzabili in tempi certi e con modalità sostenibili, sia in termini di vincoli di bilancio, sia, soprattutto, dal punto di vista ambientale e sociale;
dopo decenni di annunciate politiche straordinarie per il Sud, il Mezzogiorno resta la più arretrata tra le aree in ritardo di sviluppo ex Obiettivo 1 dell'intera Unione europea: nell'attuale fase di crisi è nel Mezzogiorno che si registrano gli effetti più devastanti in termini economici e sociali, aggravando così l'acuirsi del divario tra lo stesso Mezzogiorno e il resto dell'Italia;
come ha rilevato la Banca d'Italia in uno studio pubblicato nel luglio 2009, tutte le debolezze economiche e sociali del Paese - dall'occupazione alla povertà, dalla disuguaglianza sociale alla mancanza di competitività - si manifestano con maggior intensità nelle regioni deboli del Sud;

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in contrasto con questa indicazione, finora sono state assunte solo decisioni riconducibili ad una strategia sostanzialmente antimeridionalista, ed i provvedimenti adottati sin qui dal Governo hanno di fatto azzerato ogni intervento a favore del Mezzogiorno sia in termini di risorse stanziate sia di strumenti specifici: il continuo ricorso al Fondo per le aree sottoutilizzate per la copertura di provvedimenti di carattere generale ha determinato nei fatti un'ulteriore divaricazione tra le condizioni economiche e sociali delle zone forti e quelle delle zone deboli;
tale sistematica distrazione di fondi, oltre a compromettere il rispetto dell'originario vincolo di ripartizione delle risorse del Fondo, ha di fatto azzerato ogni possibilità per le regioni del Sud di realizzare politiche di sviluppo;
la Commissione europea ha additato l'Italia come esempio negativo di Paese che ha rinviato le riforme e si trova ora a gestire un'eredità della crisi economica più grave rispetto a chi ha invece agito per tempo: in questa particolare situazione economica anche gli investimenti legati alle infrastrutture immateriali, come la banda larga, potrebbero sicuramente dare all'azione di Governo un volano nell'affrontare la situazione di crisi;
la Commissione europea ha affidato agli Stati la libera scelta di provvedere o meno alla connettività universale, con la conseguenza che tale scelta è suscettibile di dividere i cittadini europei in due categorie: quelli a cui la banda larga sarà assicurata a spese del proprio Stato e quelli ai quali sarà negata perché lo Stato non potrà pagargliela;
il Governo italiano ha assunto al riguardo una posizione di sostanziale immobilismo: congelamento in sede CIPE degli 800 milioni di euro destinati a investimenti nella rete; mancato investimento nell'alfabetizzazione informatica; nessun incentivo per gli investimenti degli operatori di telefonia mobile nella banda; assenza di un modello unitario di intervento per compensare il divario digitale; sostegno ad un piano di riparto delle frequenze digitali che tiene fuori gli operatori del mobile; annuncio di un piano di e-government, che rischia di rimanere una promessa mancata, in assenza di risorse di banda;
nel resto d'Europa, in Francia e nel Regno Unito è stato invece intrapreso un cammino opposto a quello scelto dal nostro Paese, ed il Presidente dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, nel corso di un'audizione presso Commissione ha affermato che: «Rinunciare a un tale progetto non comporta dunque solo la rinuncia del nostro Paese a svolgere un futuro da protagonista nell'innovazione, ma anche una sua minore capacità di reazione alla crisi economica contingente, realizzando dei risparmi. Un rigore senza investimenti rende asfittica la ripresa, che infatti in Italia è più debole che in altri Paesi d'Europa»;
risulta necessario ed urgente concentrare l'azione del Governo e del Parlamento su riforme strutturali e provvedimenti mirati al rilancio dell'economia e della crescita economica del nostro Paese, anche al fine di superare gli squilibri del sistema economico Italiano individuati dal PNR;
l'Italia, contrariamente a quanto affermato dal Presidente del Consiglio, si colloca tra i Paesi più colpiti dalla crisi, ed inoltre le difficoltà del nostro Paese non solo legate solo alla recente crisi mondiale, ma hanno natura strutturale;
in questi due anni di governo nulla si è fatto per riformare il mercato del lavoro, per creare nuovi sistemi di protezione sociale, per accrescere la concorrenza delle imprese e per tutelare i cittadini consumatori, per ridurre la spesa corrente e per ridurre il debito pubblico, per combattere la povertà diffusa, per accrescere la capacità innovativa del sistema e per favorire la crescita dimensionale delle piccole imprese, per migliorare le infrastrutture, per favorire lo sviluppo del Mezzogiorno, per attirare maggiori investimenti diretti all'estero, per ristrutturare

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settori fondamentali come il turismo, il settore agro-alimentare e per salvaguardare il nostro territorio;
la disoccupazione è, e resta, insieme ad una ripresa troppo lenta dell'economia, il vero problema dell'Italia: secondo i dati diffusi dall'ISTAT all'inizio di settembre il numero dei senza lavoro a luglio è cresciuto di ben 121.000 unità rispetto allo stesso mese del 2009, inoltre, sempre a luglio 2010, è diminuito il totale delle persone occupate: 18.000 in meno rispetto a giugno, e 172.000 in meno rispetto a luglio 2009, poiché sono aumentate le persone che a causa delle troppe difficoltà rinunciano a cercare un'occupazione;
il problema del lavoro è tanto più grave se si considera la situazione dei giovani tra i 15 e i 24 anni, tra i quali, sempre secondo l'ISTAT, quasi il 27 per cento (circa 1 su 4) non riesce a trovare un impiego - una vera emergenza nazionale - e, cosa più grave, molti di essi hanno rinunciato a cercarne uno: i pochi giovani che hanno un lavoro, tendono a concentrarsi in quei tre milioni di individui (maschi e femmine di ogni età) che compongono il bacino dei precari;
particolarmente drammatica risulta la situazione al Sud, dove è disoccupato un giovane su tre;
in tale quadro occorre inoltre considerare i 670.000 lavoratori che nei primi sette mesi del 2010 sono finiti in cassa integrazione: un dato in calo del 25 per cento, ma che è tornato a salire del 9,8 per cento proprio a luglio;
è dunque necessario operare un potenziamento del ricorso ai contratti di solidarietà, disporre ammortizzatori sociali a favore di tutti coloro che ne sono privi a partire dai precari, abbattere il costo del lavoro per favorire le assunzioni a tempo indeterminato, stabilire un salario minimo d'ingresso per i giovani, pari ad almeno 1.000 euro al mese;
per tornare a crescere serve un serio piano di risanamento della finanza pubblica che fissi degli obiettivi credibili di riduzione del deficit e per un abbattimento progressivo del debito pubblico: lo stato dei conti pubblici, il livello del debito, l'inefficienza e il sovradimensionamento della Pubblica Amministrazione e dei suoi livelli di governo territoriali impongono interventi strutturali verso un riequilibrio del deficit e della pressione fiscale ed un miglioramento della qualità della spesa;
occorre che il Governo ponga in atto ogni iniziativa necessaria, già a partire dalla manovra economica attualmente in discussione alla Camera, per superare gli ostacoli alla crescita dell'Italia e avviare il processo per raggiungere gli obiettivi al 2020 su occupazione, conoscenza, energia e clima, povertà;
occorre adottare politiche di bilancio che, in termini quantitativi, si pongano l'obiettivo di mantenere l'impegno alla riduzione della pressione fiscale, compatibile con il sentiero di riduzione del deficit concordato in sede UE;
è dunque necessario, oltre ad adottare di una seria politica di recupero dell'evasione fiscale e di allargamento della base imponibile, procedere ad una riduzione strutturale della spesa corrente che consenta almeno di mantenere, se non addirittura di aumentare marginalmente, la quota di spesa destinata agli investimenti e al riequilibrio infrastrutturale del Paese e ad un adeguato sistema di Welfare: a tal fine è necessario:
a) ridurre la pressione fiscale per ridare stimolo e all'economia e sollievo alle famiglie, adottando una severa e rigorosa politica di lotta all'evasione fiscale e contributiva e recuperando risorse in seguito alla riduzione della spesa corrente, il che significa, volendo mantenere almeno gli stessi livelli di spesa sociale e di spesa in conto capitale rispetto al PIL, attuare un taglio drastico (3-5 punti di PIL) della spesa più improduttiva ma anche riduzioni di programmi non prioritari: ciò dovrà avvenire anche attraverso una revisione generalizzata della spesa pubblica

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centrale e decentrata (spending review), volta a valutare l'efficacia e l'efficienza dei singoli programmi di spesa per il raggiungimento degli obiettivi e mediante una riallocazione delle risorse in base al livello dei risultati e alle priorità delineate; il confronto con le migliori pratiche interne e internazionali, il monitoraggio degli indicatori, il controllo dei risultati e la valutazione dei processi amministrativi, al fine di garantire un migliore utilizzo delle risorse pubbliche;
b) adottare interventi efficaci per la riduzione dei costi della politica, riducendo i livelli di governo (Province e Comunità montane) e il numero dei componenti delle assemblee elettive e del costo delle giunte amministrative, riducendo le società partecipate dallo Stato e dagli Enti decentrati e contenendo la proliferazione dei servizi «esternalizzati», riducendo le cariche di governo e le istituzioni pubbliche, provvedendo alla contrazione e alla revisione dei compensi per i rappresentanti politici, nonché alla riduzione del finanziamento pubblico ai partiti;
c) provvedere al finanziamento e al mantenimento di una quota costante di spesa in conto capitale in rapporto al PIL: devono ripartire sia le grandi opere pubbliche sia le opere di riqualificazione del tessuto infrastrutturale del Paese (la messa in sicurezza di scuole, carceri ed altri edifici pubblici, la ristrutturazione degli immobili pubblici nelle zone sismiche, la manutenzione delle infrastrutture e delle strade), attraverso un grande piano di manutenzione e ristrutturazione del territorio con criteri di sostenibilità ambientale, con particolare riferimento alla messa in sicurezza dal rischio idrogeologico, sviluppando altresì un piano di incentivi per le aziende che investono in ricerca e nuove tecnologie sul risparmio energetico;
d) intervenire sul sistema sociale italiano, al fine di ridurre le disuguaglianze e le disparità di trattamento: l'Italia è infatti un Paese a bassa crescita economica, nel quale permane un grave problema di povertà, soprattutto nelle regioni meridionali, e tale scarsa crescita si è tradotta in un aggravamento delle condizioni sociali delle famiglie italiane: la già grave rottura generazionale, prodotto da quindici anni di precarizzazione selvaggia, è stata infatti appesantita, da un lato, dalla mancanza di strumenti di sostegno al reddito per i periodi di non lavoro, e, dall'altro dall'involuzione del sistema pensionistico italiano (peggiorato dall'ultima finanziaria) che farà percepire ad un giovane neoassunto, dopo 40 anni di lavoro, il 40 per cento dell'ultimo stipendio; in tale contesto è necessario, rilanciare l'efficienza del sistema produttivo italiano e la crescita della produttività, favorendo una rinnovata coesione sociale ed una maggiore responsabilizzazione di tutti gli attori sociali attraverso le seguenti misure:
1) una profonda riforma del sistema delle relazioni industriali anzitutto attraverso una legislazione che regoli in maniera democratica la rappresentatività sindacale, imponga la misura della reale rappresentanza su base proporzionale e la legittimità degli accordi subordinandola al voto libero e democratico dei lavoratori;
2) la definizione di un nuovo sistema contrattuale, attraverso una drastica semplificazione a livello nazionale in quattro grandi aree contrattuali di validità triennale (industria, pubblico impiego, artigianato, servizi) che stabiliscano il salario minimo, l'orario massimo, i diritti non negoziabili, la previsione obbligatoria della formazione permanente e le norme di sicurezza sul lavoro, mantenendo altresì la contrattazione di secondo livello, aziendale territoriale o di comparto, per affrontare le problematiche specifiche;
3) rendere il contratto di lavoro a tempo indeterminato il rapporto di lavoro ordinario, in linea con quanto avviene nella maggior parte d'Europa, procedendo a tal fine al superamento definitivo delle 42 fattispecie contrattuali attualmente previste dal decreto legislativo n. 276 del 2003;
4) una seria riforma degli ammortizzatori sociali che preveda un investimento

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significativo sulla formazione, accompagnata (come avviene in molti Paesi europei) da un'indennità di sostegno a favore di tutti coloro che ne sono privi a partire dai precari;
5) abbattere il costo del lavoro per favorire le assunzioni a tempo indeterminato;
6) stabilire un salario minimo d'ingresso per i giovani, pari ad almeno 1.000 euro al mese;
7) mettere in bilancio il finanziamento ordinario delle strutture istituzionalmente preposte alle politiche pubbliche per la formazione e l'occupazione, a partire dai Centri per l'impiego, anche in vista della riduzione di fondi comunitari a partire dal 2013;
8) favorire l'integrazione orizzontale delle politiche sociali, formative e del lavoro, nel rispetto delle diverse competenze assegnate ai vari livelli istituzionali, dallo Stato, regioni ed enti locali attraverso l'integrazione della formazione pagata dall'azienda ai lavoratori con quote di formazione aggiuntiva (a carico del FSE) destinata a quelle imprese che ricorrono ai contratti di solidarietà pur di non licenziare;
9) riconoscere remunerazione e contribuzione previdenziale a forme surrettizie di lavoro dipendente quali gli stage non finalizzati all'assunzione ed i rapporti di collaborazione professionale, non rispondenti ai requisiti di libertà ed autonomia professionale ma imposti dai committenti per non pagare gli oneri sociali;
10) assicurare per l'anno in corso e per tutto il 2011 il pagamento dell'IVA per le piccole e medie imprese all'atto effettivo dell'incasso;
11) intervenire finalmente sul Patto di stabilità interno, che spesso impedisce agli enti locali di saldare i prestatori di opere pubbliche pur avendo a disposizione i fondi e dunque di pagare gli stipendi alle maestranze;
12) rimuovere i fattori degenerativi della concorrenza, quali il dumping sociale, giocato sullo sfruttamento del lavoro, al fine di favorire le imprese rispettose delle leggi e dei contratti;
13) investire sulle macropolitiche individuate in sede comunitaria quali il sostegno alla filiera agroalimentare, al turismo legato alla cultura dell'accoglienza con la valorizzazione del patrimonio culturale e ambientale, alla green economy, alla diffusione della banda larga su tutto il territorio nazionale, prevedendo l'accesso ad internet gratuito per le nuove generazioni, alla manifattura di qualità, ai settori innovativi ad alto contenuto tecnologico, ai grandi progetti di riconversione industriale, alla ricerca ed all'innovazione;
e) intervenire con urgenza per assicurare a ciascun individuo, nell'interesse della collettività, secondo quanto prescritto dall'articolo 32 della Costituzione, parità di trattamento da parte del servizio sanitario in ogni parte d'Italia, affrontando l'evidente problema della qualità e della disomogeneità sul territorio dei servizi sanitari: in particolare, è necessario operare una razionalizzazione della spesa sanitaria attraverso l'eliminazione di sprechi ed inefficienze delle strutture, anzitutto intervenendo sul diffuso malcostume della elargizione di posti di lavoro e concessioni in maniera clientelare; a tal proposito si deve rilevare come nel cosiddetto processo di aziendalizzazione del Servizio sanitario nazionale, che avrebbe dovuto indirizzare l'organizzazione sanitaria pubblica verso una maggiore autonomia ed efficienza, applicando logiche e strumenti manageriali, l'elemento fondamentale sia certamente costituito dalla figura del direttore generale, rispetto al quale l'attuale legislazione lascia ampi margini di autonomia nella definizione sia dei requisiti professionali necessari per la nomina, sia degli indicatori di performance per la valutazione successiva; in tale ambito l'esigenza, in passato considerata legittima, di un rapporto fiduciario tra dirigenza politica e gestionale, ossia tra assessori e direttori generali delle ASL, ha consentito,

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nei fatti, ai primi di scegliere spesso persone del tutto inadeguate al ruolo e perciò stesso inclini a stabilire un rapporto di sudditanza o connivenza: per far saltare questa ferrea connessione è necessario rivedere l'attuale legislazione circa il potere di nomina o di scelta del direttore generale e definire nuove rigorose norme che scoraggino in partenza le possibili intrusioni e invadenze della discrezionalità politica, facendo sì, in particolare che:
siano più stringenti i requisiti necessari per accedere alla carica di direttore generale, tra i quali in particolar modo la comprovata competenza ed esperienza nella responsabilità gestionale diretta pregressa delle risorse finanziarie, requisito considerato prioritario e non più aggiuntivo, come invece previsto dalla legislazione vigente;
sia resa obbligatoria la frequenza di un corso accreditato di formazione in materia di sanità pubblica e di organizzazione e gestione sanitaria, antecedente alla eventuale nomina e quindi con valenza di prerequisito;
sia necessaria l'iscrizione ad un elenco-graduatoria nazionale, aggiornato con periodicità biennale dal Ministero della salute, dei titolari dei requisiti per l'accesso alla direzione generale;
tali requisiti siano valutati da una commissione nazionale di esperti nominata dal Ministero della salute, che approvi una graduatoria dei candidati, dopo aver compiuto un esame approfondito dei candidati medesimi attraverso un'analisi oggettiva preliminare dei loro curriculum ed una successiva valutazione;
il provvedimento di nomina, di conferma o revoca del direttore generale sia adeguatamente motivato e reso pubblico;
f) ad assicurare a tutti gli studenti ed alle loro famiglie un diritto allo studio che si concretizzi in docenti preparati a svolgere il proprio lavoro senza l'assillo della precarietà assoluta, in classi in cui svolgere le lezioni con non più di trenta alunni, nel cosiddetto tempo pieno che garantisca alle famiglie di poter svolgere tranquillamente il proprio lavoro, in quella qualità dei programmi e della didattica di cui molto poco il Governo si è interessato in questi anni: a tal fine occorre modificare i provvedimenti recentemente approvati volti a diminuire ulteriormente gli organici e le dotazioni da assegnare alla scuola pubblica, nonché adottare tutte le iniziative necessarie per garantire a tutti i precari del settore, rimasti già dall'anno scolastico in corso senza un posto di lavoro, di poter usufruire degli ammortizzatori sociali che permettano il loro sostentamento economico, nonché a garantire il rispetto del diritto allo studio per gli alunni in situazione di handicap, assicurando loro la possibilità di usufruire del sostegno di insegnanti specializzati per il maggior numero di ore possibile a settimana, al fine di assicurare loro una reale ed efficace azione di integrazione, adottando inoltre le seguenti iniziative:
1) assegnare risorse adeguate alle scuole pubbliche al fine di realizzare un piano nazionale per la messa a norma degli edifici scolastici, per la realizzazione di impianti energetici che nel tempo possano produrre grandi risparmi e rispettare l'ambiente, per la realizzazione di strutture utili al raggiungimento di una formazione completa degli alunni, quali palestre e laboratori tecnici, aule magne; a ripristinare la legalità con riferimento al rapporto del numero di alunni per classe e alla dimensione dell'aula, nel rispetto delle norme igieniche e di sicurezza secondo quanto disposto dal decreto legislativo n. 81 del 2008;
2) prevedere un significativo aumento delle risorse economiche da destinare alle università pubbliche al fine di migliorare l'offerta formativa oggi presente, permettendo al Parlamento un ulteriore approfondimento, volto ad apportare necessarie modifiche sostanziali al disegno di legge di riforma dell'università, attualmente «bloccato» alla Camera dei Deputati per mancanza di risorse finanziarie;

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g) adottare una strategia complessiva, dinamica e flessibile, di rilancio del Mezzogiorno. attraverso la costruzione di una solida filiera università, ricerca, credito, imprese, l'avvio di progetti di lite long learning per tutto l'arco della vita lavorativa, la definizione di una seria politica industriale, anche mediante l'attrazione di capitali esteri, la realizzazione di un programma di internazionalizzazione delle aziende presenti sul territorio: è inoltre necessario abbandonare la politica sinora seguita relativamente all'uso improprio delle risorse del Fondo per le aree sottoutilizzate (FAS), procedendo a reintegrare le risorse sottratte alla loro originale destinazione al fine di avviare un programma di rilancio del tessuto produttivo meridionale e, conseguentemente, dei livelli occupazionali del Mezzogiorno;
h) definire un piano di azioni di aiuto rivolte alle singole imprese, destinato sia al trasferimento di innovazione dal mondo della ricerca a quello della produzione, sia a favorire la ricerca e l'innovazione all'interno delle imprese stesse, intervenendo sul fondo per le agevolazioni alla ricerca (FAR) e sul fondo per l'innovazione tecnologica (FIT), ai quali si potranno poi aggiungere le misure di competenza regionale;
i) prevedere misure concrete volte a garantire il pagamento dei debiti delle pubbliche amministrazioni nei confronti delle imprese nei tempi previsti, e recepire nel nostro ordinamento, senza ritardi rispetto ai 24 mesi previsti dalla sua adozione (20 ottobre 2010), la direttiva comunitaria finalizzata a lottare contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali rendendo più stringenti gli impegni delle pubbliche amministrazioni e degli enti pubblici verso i privati;
l) supportare le piccole e medie imprese sul fronte del credito, con la creazione di un più stretto rapporto tra banche, imprese e Confidi, in grado di garantire maggiore liquidità e capitalizzazione alle piccole imprese;
m) ridurre il costo del lavoro nell'imponibile IRAP per le piccole e medie imprese;
n) restituire alle finalità previste dalla normativa vigente le risorse derivanti dalle revoche dei vecchi incentivi già accordati, per rinuncia o decadenza dal diritto dei destinatari, ai sensi della legge n. 488 del 1992 relativa agli strumenti di incentivo alle imprese: da ultimo, infatti, con la legge n. 99 del 2009, erano stati prescritti nuovi vincoli di utilizzo delle risorse citate, tra i quali il sostegno all'internazionalizzazione e al Made in Italy, la «valorizzazione dello stile e della produzione italiana», gli incentivi ai distretti industriali, mentre con decreto del Ministro dello Sviluppo economico, pubblicato in Gazzetta ufficiale il 17 settembre 2010, le risorse disponibili sono state invece destinate a due finalità estranee a qualunque prescrizione vigente di legge, rifinanziando il decreto-legge n. 149 del 1993, recante interventi urgenti in favore dell'economia, per il quale il legislatore aveva previsto una copertura finanziaria solo fino al 2001;
o) intervenire con misure a medio-lungo termine mirate a riavviare gli interventi di liberalizzazione dei mercati, favorire la libera concorrenza fra imprese e garantire la tutela del cittadino-consumatore, la parte più debole del sistema economico, in considerazione del fatto che la concorrenza è il motore della crescita e che, anche in un periodo di crisi, non si possono calpestare le regole che vi presiedono, in quanto ciò favorirebbe solo un ritardo nella ripresa: liberalizzare significa aprire i mercati a nuovi concorrenti, contrastare il potere dei monopoli ed assicurare prezzi più bassi agli utenti; al riguardo va sottolineato che nel nostro Paese spesso si è provveduto a privatizzare alcuni settori senza aver allo stesso tempo aperto (liberalizzato) il mercato nel quale l'ex impresa pubblica si trova ad operare, e che in situazioni del genere si finisce per trasferire rendite di monopolio dal bilancio pubblico a quello dei nuovi azionisti privati, sostituendo monopoli privati a monopoli

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pubblici, con scarsi benefici per i consumatori e gli utenti e con posizioni di rendita ingiustificate a favore delle lobby finanziarie: si tratta di un grave errore, al quale si deve porre rimedio rafforzando i poteri di regolamentazione delle Authority e spingendo verso una maggiore apertura dei mercati nei quali operano i nuovi semi-monopoli privati;
p) sottrarre alle regole della concorrenza e del profitto la gestione del servizio idrico che deve rimanere pubblico, in quanto le diverse esperienze privatistiche di gestione dell'acqua degli ultimi anni hanno dimostrato come esse siano incompatibili con la gestione dell'acqua intesa come bene comune, atteso che la finalità delle imprese commerciali, che deve essere ovviamente il profitto, tende necessariamente alla contrazione dei costi e all'aumento dei ricavi: ciò comporta, da un lato, l'aumento delle tariffe, dall'altro tagli ai costi del lavoro e della gestione, con conseguente peggioramento della qualità dei servizi: negli ultimi anni si è assistito ad una riduzione drastica degli investimenti per la modernizzazione degli acquedotti, della rete fognaria, degli impianti di depurazione;
q) presentare al più presto in Parlamento il disegno di legge sulla concorrenza, anche al fine di affrontare una questione fondamentale quale quella del livello di concorrenza nel settore dei trasporti e in quello postale, nonché giungere finalmente alla nomina del Presidente della CONSOB, considerato che in un momento come quello attuale il ruolo delle authority è determinante per far ripartire l'economia;
r) assumere come politica prioritaria nazionale l'attuazione di un programma per la sicurezza del territorio dal rischio idrogeologico, superando l'attuale frammentazione di competenze, fonti normative, fonti di finanziamento e di livelli di responsabilità, mediante l'individuazione di risorse pluriennali certe e costanti e l'effettuazione di puntuali verifiche sulla realizzazione di tale programma, alla luce degli indubbi risparmi che la prevenzione consentirebbe di conseguire rispetto alle politiche emergenziali post-evento sino ad ora seguite;
s) accantonare il Programma nucleare, come indicato nel PNR, in quanto privo di qualsiasi garanzia sia in termini di sicurezza per i cittadini sia di riduzione dei costi dell'energia, e frutto più di un'idea propagandistica che di politica industriale;
t) porre in essere una necessaria rivisitazione complessiva degli strumenti di incentivazione delle fonti rinnovabili in occasione del recepimento della direttiva 2009/28/CE; a tale riguardo è opportuno, nel rispetto degli obiettivi da raggiungere entro il 2020, anche al fine di attenuare l'impatto che gli oneri generali di sistema determinano sulle bollette di famiglie e imprese e rendere i meccanismi di incentivazione maggiormente efficienti:
rivedere il meccanismo dei certificati verdi, al fine di ripristinare la struttura d'origine;
rivedere il livello e la durata degli strumenti di incentivazione concessi alle fonti rinnovabili, con particolare riferimento al solare fotovoltaico, in quanto, atteso che l'attuale elevato livello di incentivazione era senza dubbio necessario nella fase di avvio della nuova tecnologia e nella prospettiva di realizzare livelli di efficienza significativamente più alti nell'arco di un certo numero di anni, appare opportuno rimodulare consistenza e modalità delle incentivazioni oggi esistenti, ponendo in essere un percorso graduale che porti ad azzerare le incentivazioni stesse nell'arco di un decennio;
spostare una parte significativa degli oneri legati ai meccanismi di incentivazione delle tonti rinnovabili dalla bolletta energetica alla fiscalità generale, così come segnalato dall'Autorità per l'energia elettrica e il gas con riguardo alla delineazione di una Strategia energetica nazionale, in modo da garantire criteri di progressività e proporzionalità nel finanziamento

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delle spese pubbliche: attualmente, infatti, tutte le incentivazioni (tariffe incentivate CIP 6/92 per fonti rinnovabili e assimilate; sistema dei certificati verdi per le fonti rinnovabili) non ricadono sulla generalità dei contribuenti, attraverso imposte dedicate, ma sullo specifico settore dei consumatori elettrici;
u) aggiornare lo strumento operativo del Piano nazionale di efficienza energetica del 2007, riferendolo alla scadenza del 2020, nonché elaborare un piano di ricerca e sviluppo in materia, con il coinvolgimento di tutti i settori interessati, al fine di assumere iniziative mirate a stanziare adeguate risorse per la sua implementazione, così da supportare la nascita e lo sviluppo di imprese nazionali che offrono tecnologie, prodotti e sistemi ad elevata efficienza energetica;
v) intervenire tempestivamente sullo stato del sistema infrastrutturale del Paese, al fine di invertire un'inerzia che ci ha portato sull'orlo del baratro sia dal punto di vista della competitività economica, ma soprattutto da quello della sostenibilità ambientale, in quanto nelle attuali condizioni non è possibile competere su scala internazionale;
z) individuare chiaramente gli interventi necessari a risolvere nel più breve tempo possibile le gravi difficoltà del nostro sistema di trasporto, con riguardo alla mobilità delle persone e delle merci, e procedere ad investire in modo efficace le scarse risorse disponibili: in una situazione economica come quella attuale occorre tenere presente che il traffico è prevalentemente di breve distanza e riguarda in gran parte l'accessibilità ai grandi centri urbani e si può quindi affermare che sono più utili «piccole opere» ed interventi di manutenzione, in grado di generare, tra l'altro, più occupazione in tempi più brevi, a parità di spesa;
aa) porre fine alla politica dello «stop and go» nel campo della realizzazione delle opere, strumento dannosissimo sia sul piano dei costi sia su quello della funzionalità delle opere stesse - come troppe esperienze hanno ormai mostrato - procedendo, invece, all'avvio dei cantieri solo quando le risorse necessarie al completamento dell'opera siano effettivamente allocate o quantomeno già stanziate;
bb) ridurre il divario tecnologico e culturale esistente nel Paese rispetto non solo agli Stati più avanzati, ma anche a quelli storicamente meno competitivi, che però hanno sfruttato l'occasione della crisi economica per puntare sugli investimenti nelle nuove tecnologie mirati a guidare la ripresa, definendo nel più breve tempo possibile un'agenda italiana per lo sviluppo della banda larga e dei servizi digitali contenente gli obiettivi fondamentali per un'azione rivolta a guidare la transizione verso uno Stato e un'economia digitale;
cc) mettere all'asta le frequenze non utilizzate, come giù avvenuto in Germania, dove le aste sono gia partite, con un buon risultato per le casse dello Stato, o come si apprestano a fare altri Paesi quali la Gran Bretagna, la Francia e la Spagna,

VALUTA NEGATIVAMENTE

il progetto di Programma.
Barbato.

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ALLEGATO 3

Progetto di Programma nazionale di riforma per l'attuazione della Strategia per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva - Europa 2020 (Doc. CCXXXVI, n. 1).

RILIEVI APPROVATI DALLA COMMISSIONE

La VI Commissione,
esaminato, per gli aspetti di competenza, il progetto di Programma nazionale di riforma per l'attuazione della Strategia per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva - Europa 2020 (Doc. CCXXXVI, n. 1), trasmesso dal Governo;
tenuto conto che l'esame del Programma costituisce la prima occasione di discussione parlamentare su tale tipologia di documento, il quale è stato inserito nel quadro di programmazione delle politiche economiche e di bilancio degli Stati membri dell'Unione europea a seguito delle modifiche recentemente apportate al meccanismo del Patto di stabilità europeo;
rilevato come la trasmissione alle Camere del Programma segua di poche settimane la discussione parlamentare sullo Schema di Decisione di finanza pubblica per gli anni 2011-2013,

VALUTA FAVOREVOLMENTE

il progetto di Programma e formula i seguenti rilievi:
a) si segnala innanzitutto l'esigenza di individuare modalità di coinvolgimento più effettivo delle Commissioni parlamentari nella predisposizione del Programma nazionale di riforma, al fine di valorizzare il ruolo del Parlamento nella definizione dei contenuti essenziali del documento, senza relegare l'esame parlamentare di tale atto al livello di mero adempimento burocratico;
b) si sottolinea l'esigenza che il rafforzamento della governance economica dell'Unione europea costituisca l'occasione, oltre che per garantire la stabilità di lungo periodo dei bilanci degli Stati membri dell'Unione, in particolare dell'area dell'Euro, anche per dotare i governi nazionali di strumenti di politica economica atti a raggiungere gli obiettivi competitività e di crescita definiti dalla Strategia Europa 2020, individuando politiche comuni all'Unione europea nel suo complesso;
c) in tale quadro, si ribadisce la necessità di proseguire, a livello nazionale, in un'impostazione di politica economica che coniughi la sostenibilità di lungo periodo degli equilibri di bilancio con l'individuazione di risorse da destinare al sostegno della domanda e ad interventi infrastrutturali;
d) si sottolinea l'esigenza fondamentale di proseguire nell'azione di contrasto all'evasione ed all'elusione fiscale, incentivando il coinvolgimento degli enti locali, soprattutto dei comuni, sia per incrementare il gettito erariale, sia, soprattutto, per realizzare una più equa ripartizione del carico tributario e reperire risorse aggiuntive da destinare al sostegno della crescita, senza aggravare la pressione fiscale sui contribuenti onesti;
e) si condivide pienamente l'obiettivo, indicato nel progetto di Programma, di avviare la riforma del sistema tributario, al fine di perseguire una migliore distribuzione del carico impositivo, attraverso il

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passaggio dalla tassazione diretta a quella indiretta, di adeguare l'ordinamento tributario ai nuovi modelli economici, sociali, ambientali ed istituzionali, di semplificare la normativa ed alleggerire gli oneri amministrativi gravanti sui contribuenti, nonché di ridurre gli effetti distorsivi sulla crescita delle imposte;
f) si concorda con l'esigenza di individuare strumenti innovativi per aumentare la disponibilità di credito in favore del sistema economico, in particolare nelle aree svantaggiate del Paese, e si segnala l'opportunità di verificare attentamente se l'attuazione del nuovo Accordo di Basilea 3, relativo all'adeguatezza patrimoniale delle banche, possa determinare effetti negativi sotto tale profilo per il sistema produttivo, soprattutto per quanto riguarda le piccole e medie imprese;
g) per quanto riguarda la formulazione tecnica del progetto di Programma, si segnala l'opportunità di apportare alcune correzioni al paragrafo 2.2.2, in materia di federalismo fiscale, eliminando il riferimento alla possibilità, per il Ministero dell'economia e delle finanze, di costituire fondi immobiliari presso i quali conferire gli immobili statali trasferiti alle regioni ed agli enti locali nell'ambito del federalismo demaniale, atteso che tale eventualità non è contemplata dal decreto legislativo n. 85 del 2010 in materia, nonché precisando che, ai sensi dell'articolo 9, comma 5, del medesimo decreto legislativo n. 85, i proventi derivanti dalle alienazioni dei predetti immobili, effettuate dalle regioni e dagli enti locali, sono acquisite, per il 75 per cento, dai predetti enti, che possono destinarli alla riduzione dei rispettivi debiti e, per la parte eccedente, in assenza di debito, a spese di investimento, e per il restante 25 per cento sono destinati al Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato;
h) con riferimento al paragrafo 2.2.3, relativo alla riforma del sistema fiscale, si evidenzia l'opportunità di precisare, in merito ai principi fondamentali della strategia di riforma, che il passaggio dalla tassazione sui redditi personali alla tassazione sulla proprietà e sui consumi dovrà comunque fare salva l'esenzione dall'imposizione tributaria della prima casa di abitazione già introdotta dal Governo.