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Resoconto dell'Assemblea

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XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 729 di mercoledì 5 dicembre 2012

Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROSY BINDI

La seduta comincia alle 10.

GREGORIO FONTANA, Segretario, legge il processo verbale della seduta di ieri.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Bocci, Boniver, Borghesi, Brugger, Commercio, D'Ippolito Vitale, Della Vedova, Dozzo, Fallica, Tommaso Foti, Franceschini, Ghizzoni, Giancarlo Giorgetti, Leo, Mecacci, Melchiorre, Migliavacca, Misiti, Moffa, Osvaldo Napoli, Nucara, Picchi, Pisacane, Pisicchio, Romani, Paolo Russo, Strizzolo, Valducci, Vitali e Volontè sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente settantasei, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Sull'ordine dei lavori (ore 10,07).

PAOLA GOISIS. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PAOLA GOISIS. Signor Presidente, la ringrazio per la sua sensibilità nel darmi la parola. Purtroppo devo comunicare, ancora una volta, che abbiamo avuto, sempre nel nostro Veneto, altri due suicidi e sempre per i motivi che conosciamo già, cioè per problemi economici. Il primo è Emanuele Barbisan, un ragazzo di 37 anni di Treviso che, temendo il pignoramento della casa, ha concluso la propria vita impiccandosi nel proprio bar, per il quale aveva anche accumulato dei prestiti quindi dei debiti. Non riuscendo a portare a termine la questione e a pagare questi debiti, ha risolto la questione in questo modo.
L'altro suicida è un uomo rumeno, questa volta, anche lui accomunato dalla stessa situazione, dalla stessa questione: un ragazzo di 32 anni, a Mestrina in provincia di Padova. Presidente, io mi sono sentita in dovere di intervenire, perché purtroppo stiamo assistendo a questa ecatombe e voglio lasciare due domande.
Monti che cosa ha fatto e che cosa fa per queste imprese, per queste piccole imprese? Questa gente non ha nessuna forma di assistenza e, quindi, non trova altra soluzione che rispondere in questo modo tragico. Perché non detassare - chiedo - le imprese e lasciare uno spazio? Ancora, perché le banche non vengono penalizzate quando non concedono fidi o sono così severe nel richiedere il pagamento dei fidi?

PRESIDENTE. Onorevole Goisis, ci uniamo a lei, naturalmente, nell'esprimere la solidarietà alle famiglie degli imprenditori che si sono tolti la vita, ai quali lei ha fatto riferimento.

Pag. 2

Seguito della discussione del disegno di legge: S. 3271 - Delega al Governo per la revisione dello strumento militare nazionale e norme sulla medesima materia (Approvato dal Senato) (A.C. 5569); e dell'abbinata proposta di legge: Reguzzoni ed altri (A.C. 4740).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato, n. 5569: Delega al Governo per la revisione dello strumento militare nazionale e norme sulla medesima materia; e dell'abbinata proposta di legge d'iniziativa dei deputati Reguzzoni ed altri.
Ricordo che nella seduta di ieri hanno avuto luogo gli interventi dei relatori, mentre il rappresentante del Governo si è riservato di intervenire in sede di replica.

(Ripresa discussione sulle linee generali - A.C. 5569)

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Gidoni. Ne ha facoltà.

FRANCO GIDONI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor Ministro, il provvedimento di ridimensionamento e razionalizzazione giunge a tempo di record in quest'Assemblea dopo una lunga permanenza al Senato, dove è stato approvato in prima lettura agli inizi del mese, anche con il voto favorevole della Lega.
Per noi si è trattato di una scelta politica in un certo senso obbligata; nelle sue linee guida, infatti, il suo disegno di legge è piuttosto vicino all'ispirazione di una nostra proposta di legge, che avevamo presentato qui alla Camera già ad ottobre del 2011, con l'evidente intento di offrire al Paese un'alternativa alla stretta fiscale che lo avrebbe avvinto quest'anno con gli effetti a tutti visibili sotto forma di caduta del PIL e dell'occupazione.
Però, venendo al provvedimento, l'elemento di maggiore spicco è certamente la contrazione degli organici, che è sensibile. Si passa infatti dai 190 mila effettivi previsti dalla legge vigente ai 150 mila stabiliti dal disegno di legge. Negli alti gradi si fa persino meglio, giacché si prevede di tagliare il numero degli ufficiali generali ed ammiragli del 30 per cento in sei anni, come anche noi prospettavamo con la vostra iniziativa legislativa, anche se, dopo il taglio, comunque gli ufficiali generali e gli ammiragli in servizio delle nostre Forze armate rimarranno praticamente appena un terzo in meno di quelli presenti nella difesa americana, che lei mi insegna, signor Ministro, disporre di ben altri effettivi ed avere una capacità di proiezione internazionale e mondiale ben diversa.
Ci sembrano interessanti e promettenti le disposizioni, in verità introdotte a Palazzo Madama, che all'articolo 4 conferiscono al Parlamento più penetranti poteri di controllo sul processo di acquisizione degli armamenti, oggi in realtà piuttosto opaco, giacché i pareri delle Commissioni sui vari programmi di procurement diventeranno obbligatori e vincolanti e non solo per la parte finanziata dalla difesa, ma anche per quella che ricade nel bilancio dello sviluppo economico.
Durante le audizioni, che dobbiamo dire essersi svolte in fretta e furia negli ultimi dieci giorni, stanti i suoi pressanti inviti a far presto, signor Ministro, abbiamo tuttavia appreso che era forse possibile fare ancora di più. Cito, ad esempio, l'audizione del direttore della rivista RID (Rivista Italiana Difesa), che ha ipotizzato un modello a 90 mila uomini, ma dotato alle spalle di una seria riserva operativa. È questo un argomento del quale, in questi anni, per quanto riguarda la Lega Nord Padania, si è rilevato impossibile parlarne in modo adeguato senza pregiudizi ideologici perché, come certamente si ricorderà, una nostra proposta sulla riserva mobilitabile sollevò un clamore tale a suo tempo che, alla fine, venne accantonata.
Ci lascia poi perplessi la debolezza delle tutele accordate agli ex militari volontari cessati dal servizio, che potranno vedersi negare il posto promesso nelle forze dell'ordine perché queste hanno visto, purtroppo, strozzato ad un quinto fino Pag. 3al 2015 il turnover dei propri organici. Questo fa venire meno il rispetto da parte dello Stato dell'obbligazione contratta con i giovani che hanno liberamente scelto di servirlo in armi, spesso in teatri ad alto rischio, come Afghanistan, Iraq o Libano. Le diciamo, purtroppo, chiaramente, che abbiamo l'impressione che li stiamo tradendo.
Signor Ministro, cosa accadrà in futuro alle campagne di reclutamento, giacché viene demolita la stessa credibilità del regime di incentivi che, dal 2004, assicura il gettito dei militari volontari arruolati dalla Difesa?
Se poi a questo aggiungiamo i tempi lunghi di implementazione del ridimensionamento, che sarà completato solo nel 2024, se non più tardi, vista la possibilità di deroga e di posticipo prevista dalla legge, è reale il rischio di un sensibile invecchiamento degli effettivi, mentre pare rimanere irrisolto uno dei nodi che sono il cuore dello squilibrio della macchina militare italiana, in cui i comandanti, purtroppo, prevalgono largamente sui comandati, ossia la persistenza di un sistema di avanzamento normalizzato per anzianità che determina fatalmente l'affollamento dei ruoli dei marescialli e nei gradi di colonnello e tenente colonnello, lasciando scoperte posizioni cruciali ai livelli inferiori. È un fenomeno negativo per lo stesso prestigio della professione militare, giacché l'inflazione negli alti gradi diminuisce il loro valore oggettivo. Non accade da noi ciò che si verifica, ad esempio, in Gran Bretagna, dove non è raro che brillanti comandanti militari lascino la carriera al grado di colonnello per diventare prestigiosi commentatori televisivi o sulla carta stampata. È una cosa su cui invitiamo anche i nostri ufficiali a riflettere, non perché siamo contro di loro, signor Ministro, ma proprio perché non vogliamo che vengano presi in giro.
Nella relazione introduttiva premessa al provvedimento originario, inoltre, il Governo ha precisato come ad orientare le scelte dell'Esecutivo sia stata la necessità di contemperare le concorrenti esigenze di tagliare le spese e mantenere comunque l'efficacia operativa dello strumento, tenendo conto dei presumibili scenari di impiego delle nostre Forze armate.
A nostro avviso, non è proprio così, signor Ministro: l'atto al nostro esame pare essere quasi esclusivamente il frutto della necessità di risparmiare un certo quantitativo predeterminato di soldi, intorno al quale è stata successivamente costruita un'ipotesi di ristrutturazione dello strumento militare. Si è fatta, in pratica, di necessità virtù. Lo ha detto lo stesso generale Abrate in audizione: se ci date 7 miliardi di euro per il personale, 150 mila sono quelli che ci possiamo permettere. Ma, allora, le chiedo: se i miliardi di euro fossero stati 14, il modello sarebbe stato a 300 mila?
È questo, signor Ministro, che maggiormente ci divide. Noi restiamo convinti che il corretto modo di procedere sarebbe dovuto essere un altro, quello per così dire a budget zero. È dall'inizio, o quasi, di questa legislatura che la Lega Nord Padania, in più occasioni, ha chiesto l'elaborazione della discussione di un nuovo modello di difesa che sia l'espressione della volontà politica del Governo, un documento che ci dica a chiare lettere quali missioni si intendano affidare in futuro alle Forze armate, quale livello di ambizione esse saranno chiamate a soddisfare e di quali capacità sarà necessario dotarle. Parliamo di qualcosa che ci faccia sapere perché, ad esempio, è necessario per noi avere due portaerei e due linee di caccia e meno soldati e meno carri armati. Può essere anche giusto - per carità, non siamo qui a dire che non lo sia -, ma occorre avere chiaro il perché; se è perché si pensa che dobbiamo andare ad aiutare gli statunitensi in Asia e nel Pacifico, come qualcuno sostiene alla NATO, bene, basta solo che anche gli italiani lo sappiano.
È così che si è fatto ad esempio in Francia con il Libro bianco del 2008 o in Gran Bretagna con la pubblicazione della National Security Strategy o in Germania con la pubblicazione nel 2010 del Rapporto della Commissione dell'ufficio federale del lavoro. Noi, invece, signor Ministro, tutto quello che abbiamo avuto in Pag. 4questa legislatura è stata la costituzione di un'Alta commissione di consulenza e studio presso il Ministero della difesa, le cui conclusioni, però, purtroppo, non sono mai state né comunicate né dibattute in queste aule.
Questa esigenza rimane sul terreno e resta da parte nostra l'auspicio che il prossimo Governo vi dia una qualche risposta.
Dunque, lo stato d'animo con il quale ci presentiamo a questo confronto è il seguente: meglio di niente, ma si poteva fare di più.
Ci lasciano perplessi anche altri fattori, ad esempio, la chiusura a qualsiasi proposta di miglioria o di integrazione imposta in questo ramo del Parlamento per non rischiare di perdere per strada il provvedimento, sul quale incombe la tagliola dell'imminente fine della legislatura. Comprendiamo le preoccupazioni del Governo, ma il Governo comprenda anche le nostre.
Abbiamo appreso, a latere delle audizioni, che i decreti attuativi del disegno di delega sarebbero già pronti e, se consideriamo le disposizioni concernenti la tempistica stretta concessa alle Commissioni di merito per l'emanazione del prescritto parere - è previsto, lo ricordo, un termine di sessanta giorni, decorso il quale sarà comunque acquisito il placet -, l'impressione che si ricava è quella di un Governo che non solo vuole portare a casa l'approvazione della sua riforma da parte del Parlamento, ma che intende anche completarla dal punto di vista dell'esercizio della delega senza interferenze da parte delle Camere, che saranno ovviamente presto silenti perché sciolte. Si perfezionerà così, anche nel campo della politica di difesa, quella sospensione della democrazia che sembra la caratteristica essenziale di questa esperienza di tecnocrazia, che vede l'autorità conferita in base al principio di competenza in luogo di quello di rappresentatività.
Noi, a dire il vero, signor Ministro, ci abbiamo provato, ma invano, ad ottenere delle modifiche che ci garantissero rispetto a questa nuova preoccupazione e, quando abbiamo capito che la nostra presenza in Commissione era praticamente inutile, non devo nascondere che abbiamo levato il disturbo. Siamo orientati a mantenere comunque un atteggiamento simile anche oggi, optando per un'astensione che risulta dalla ponderazione tra il giudizio nei confronti degli aspetti positivi, che questo provvedimento innegabilmente ha e mostra, e le obiezioni concernenti il metodo prescelto per condurlo in porto, non molto rispettoso del Parlamento e meno ancora di questo ramo del potere legislativo.
Noi speriamo ardentemente che accada qualcosa in grado di farci cambiare idea nelle prossime ore. A dire il vero ci crediamo pochino, però a voi, onorevoli colleghi della maggioranza e signori membri del Governo, il compito di convincerci del contrario.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Mogherini Rebesani. Ne ha facoltà.

FEDERICA MOGHERINI REBESANI. Signor Presidente, su una cosa sono d'accordo con il collega della Lega, cioè sul fatto che effettivamente questo provvedimento di riforma dello strumento militare avrebbe meritato di essere preceduto da un'analisi organica del quadro internazionale e da una revisione del modello del nostro sistema di difesa, ovvero da un ragionamento che, partendo dalla strategia di sicurezza nazionale, dai rischi internazionali dello scenario globale, dai rischi per il nostro Paese, dagli obiettivi di sicurezza e di azione di politica internazionale che il nostro Paese si pone in questo quadro e conseguentemente, analizzato lo scenario ed analizzati gli obiettivi nazionali, arrivasse allo strumento militare.
Vorrei, però, ricordare all'onorevole Gidoni che il Partito Democratico ha avanzato questa proposta all'inizio di questa legislatura, cinque anni fa, e in quel momento la Lega era al Governo insieme al PdL. Era stata una scelta di quel Governo, che è precedente a questo Governo - e per fortuna, è finita quell'esperienza -, che ha deciso di affidare questo tipo di ragionamento Pag. 5e di riflessione non ad un meccanismo parlamentare trasparente e politicamente responsabile, ma ad un meccanismo interno al Ministero della difesa, che oltretutto non ha neanche consegnato al Parlamento il suo risultato.
Soltanto un anno fa il gruppo del Partito Democratico, sia alla Camera sia al Senato, ha proposto alle altre forze parlamentari di fare un ultimo tentativo (un anno forse sarebbe stato sufficiente per farlo): una piccola bicamerale che, in tempi seppur brevi, che però comunque credevamo sufficienti, potesse far assumere al Parlamento quel ruolo di responsabilità che gli compete e quindi provare a procedere ad una revisione del modello di difesa degna di questo nome, così come tutti gli altri Paesi europei, e non soltanto europei, hanno fatto in questi anni, ossia ovviare all'errore della procedura dei tagli lineari che il Governo precedente ha messo in campo anche sul settore della difesa, elaborando una vera e propria strategia di sicurezza nazionale.
L'Italia è l'unico Paese, a quanto io sappia, almeno in Europa, a non essere dotato di un documento elaborato dal Parlamento di strategia di sicurezza nazionale: credo che sia imperativo per il prossimo Parlamento ovviare a questa lacuna. Per quanto riguarda il gruppo del Partito Democratico - lo abbiamo sempre detto - ribadiamo il nostro impegno - non soltanto ci sarebbe piaciuto poterlo fare in questa legislatura - a riportare questa stessa proposta nella prossima legislatura.
Nel frattempo, però, dati i quattro anni di tagli lineari, che hanno inciso in modo molto pesante anche sul settore della difesa, producendo effetti del tutto irrazionali sul funzionamento dello strumento militare, non credo che in quest'anno il Governo avrebbe potuto fare altro, che non - nell'assenza della disponibilità di alcuni gruppi parlamentari, tra cui anche quelli della Lega e del PdL - procedere, comunque, ad una revisione dello strumento militare. Certo, non sarebbe stata la revisione del modello militare o l'analisi strategica di come saranno la nostra politica estera e la nostra politica di difesa nei prossimi anni o nei prossimi decenni, ma credo che il Governo non potesse certamente stare con le mani in mano ad aspettare che gli effetti irrazionali di quei tagli lineari continuassero a prodursi.
Quindi, credo che la riforma fosse urgente: infatti, il sistema, con la grandissima parte (più del 70 per cento) delle risorse del bilancio della difesa mangiate, tra virgolette, dalle spese per il personale e le spese via via decrescenti per l'esercizio, che vuol dire manutenzione, addestramento e anche sicurezza dei militari italiani, credo che non fosse più sostenibile. Non lo ritengo soltanto io - cosa che sarebbe poco rilevante -, ma credo che lo ritengano tutti coloro che abbiamo ascoltato in questi anni in Commissione e anche tutte le forze politiche che fanno parte di questo Parlamento.
Quale sarebbe l'alternativa, oggi, al non approvare una riforma dello strumento militare? O la paralisi totale del sistema o un aumento delle spese militari, cosa che, evidentemente, non siamo in condizione di poter fare né, probabilmente, molti di noi di voler fare.
Dunque, credo che questa riforma sia indispensabile per motivi interni di funzionamento e di efficacia dello strumento militare e, come soltanto pochi giorni fa ci ha ricordato il Consiglio supremo di difesa, presieduto dal Presidente Napolitano, è indispensabile anche per raggiungere quell'obiettivo, che per il Partito Democratico è stato sempre prioritario - forse, per altre forze politiche no, ma per noi sì -, di procedere speditamente sulla strada di un'integrazione europea del sistema di difesa. È impossibile pensare che sistemi che dedicano non soltanto bilanci molto diversi, ma anche ripartizioni interne al bilancio molto diverse, riescano ad integrarsi. Quindi, credo che dobbiamo essere tutti consapevoli di questo. Parlare di integrazione europea della difesa senza compiere quei passi e quelle scelte che, a livello nazionale, rendono questa scelta possibile, significa sapere benissimo - a meno che non si sia in malafede - che è soltanto un richiamo retorico e non una Pag. 6volontà politica vera. Allora, se vogliamo veramente un'integrazione europea della difesa, il passaggio per un abbassamento delle risorse disponibili per il personale e un aumento delle risorse disponibili per l'esercizio è indispensabile.
Consapevoli del poco tempo a disposizione - perché il Senato ha iniziato a lavorare a questa riforma a giugno, se non ricordo male -, il nostro gruppo alla Camera ha lavorato fin da allora, fin da prima dell'estate, insieme al gruppo del Partito Democratico al Senato, per fare in modo che le modifiche a questo provvedimento, che per noi erano prioritarie, fossero inserite nel testo già al Senato. Questo è il motivo per cui il Partito Democratico non ha presentato emendamenti alla Camera ed è il motivo per cui, alla fine, non soltanto noi voteremo convintamente a favore, ma anche il nostro gruppo al Senato ha votato all'unanimità a favore della misura, poiché siamo riusciti, effettivamente, ad introdurre modifiche sostanziali, per noi prioritarie, durante l'analisi del provvedimento al Senato.
Vorrei citare due modifiche, che penso siano fondamentali anche per una parte di opinione pubblica che sta seguendo l'analisi di questo provvedimento: in primo luogo, l'eliminazione - forse, non è piaciuta troppo al Ministro, ma per noi era un punto fondamentale - della possibilità per il Ministero della difesa di svolgere attività negoziali nella vendita di sistemi d'arma prodotti dall'industria nazionale; e, soprattutto - cosa che è sempre stata un nostro cavallo di battaglia, un nostro punto politicamente molto forte, che siamo riusciti ad introdurre in questo provvedimento credo in modo molto importante e che dovremmo valorizzare anche di più -, abbiamo rafforzato in modo molto consistente il controllo parlamentare sull'acquisto dei sistemi d'arma. Abbiamo avuto una lunga discussione, anche qui alla Camera in Commissione difesa, negli anni precedenti, sul modo di rafforzare e di rendere veramente trasparente ed efficace il controllo parlamentare sull'acquisizione dei sistemi d'arma, con un superamento della «legge Giacchè».
In questo provvedimento, grazie a modifiche introdotte al Senato su nostra iniziativa, il controllo parlamentare sull'acquisto di sistemi d'arma è effettivamente molto rafforzato, attraverso due misure.
La prima misura consiste nella disposizione che il Governo proponga e renda disponibile al Parlamento un bilancio consolidato che, quindi, consenta al Parlamento di avere un quadro complessivo delle risorse allocate all'acquisto di sistemi d'arma: quindi, risorse facenti capo non soltanto al Ministero della difesa, ma anche al Ministero dell'economia e delle finanze, ad esempio. Uno dei problemi principali che abbiamo è avere il quadro complessivo, e non soltanto parziale, degli investimenti: cosa che rende difficile seguire nel tempo - e a volte sono tempi molto lunghi, dieci, quindici, vent'anni - i programmi di investimento.
La seconda misura, più importante, consiste nell'introduzione di un doppio parere da parte delle Commissioni competenti, le quali, a certe condizioni, con una maggioranza qualificata, possono anche portare alla sospensione dei programmi di acquisto di sistemi d'arma. Credo che il rafforzamento del ruolo del Parlamento e, quindi, del controllo democratico e trasparente di questa parte del lavoro del Ministero della difesa, sia un punto fondamentale che non ci stancheremo mai di sottolineare abbastanza.
Un ultimo punto: c'è un rischio, direi, politico. Istituzionalmente è difficile pensare che non si possa esercitare il diritto-dovere del Governo a produrre decreti attuativi, perciò c'è un rischio politico, ossia che i decreti attuativi - che veramente riempiranno di contenuto questo provvedimento, che è una delega - vengano assunti a Camere sciolte o nel periodo in cui il Parlamento non potrà esprimersi sui contenuti dei decreti attuativi stessi, per la previsione del silenzio assenso.

PRESIDENTE. Onorevole Mogherini Rebesani, la invito a concludere.

Pag. 7

FEDERICA MOGHERINI REBESANI. Concludo, signor Presidente.
Ora, il Ministro ha già riferito in Commissione - ed è a verbale - il suo impegno a non avvalersi di questa possibilità del silenzio assenso delle Camere durante il periodo di scioglimento. Credo che sia utile ribadire questo punto in quest'Aula durante la discussione sulle linee generali: per noi è fondamentale che il Parlamento abbia una parola, una voce, una decisione finale sul contenuto dei decreti attuativi, che sia questo Parlamento o, forse meglio, anche perché i tempi sono anche molto stretti, il futuro Parlamento. La cosa fondamentale è che i decreti attuativi, che saranno veramente l'anima di questa riforma, passino attraverso il Parlamento, per un passaggio di democrazia e di trasparenza, e anche per chiarezza rispetto all'opinione pubblica. Credo che nella volontà del Governo (sicuramente nella nostra non c'è), non vi sia alcuna intenzione di far passare sotto banco alcune decisioni che sono così rilevanti e così cruciali per il Paese, ed anzi con questo provvedimento potremo aumentare sensibilmente il ruolo e la consapevolezza del Parlamento e anche dell'opinione pubblica sulle scelte che responsabilmente saremo tenuti a compiere.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Di Stanislao. Ne ha facoltà.

AUGUSTO DI STANISLAO. Signor Presidente, sarò chiaro sin dall'inizio, così evitiamo fraintendimenti tra il dire e il fare e tra il predicare e il praticare, perché altrimenti non riusciremo mai a capire chi ha fatto che cosa e non avremo mai memoria storica non solo dei nostri intendimenti, ma anche delle nostre azioni e, soprattutto, delle votazioni che si mettono in campo a distanza di tempo, perché veramente io non ho la memoria a scatti, il Paese nemmeno ce l'ha, mentre forse quest'Aula delle dimenticanze ce le ha. Chiarisco subito.
Questa è una riforma necessaria, lo riteniamo anche noi, ne sono convinto anch'io, ma mi sono convinto oltremodo - in questi giorni di dibattito fatto, come dire, con il cronometro in mano - che bisogna evidentemente fare una riforma, ma non basta farla, bisogna farla bene, anzi, a questo punto e dopo tanti anni, bisogna farla meglio di un recente passato. E su questo punto assolutamente non ci siamo.
E voglio parlare anche di un altro aspetto, che a voi sfugge sicuramente, perché credo che - così impegnati a fare questo rush finale e a stabilire un primato - piuttosto che dare risposte durature di prospettiva, profonde e organiche, come si suol dire strutturali, siete invece impegnati a conseguire un risultato sull'immanenza, piuttosto che sulla strategia.
Allora, vi voglio ricordare un aspetto, e non vorrei che magari il Ministro possa poi rappresentare nell'immaginario collettivo, ma non solo, il Bolt della difesa, colui che raggiunge un risultato stabilendo dei record; non vorrei che questo record poi non si spalmasse sui bisogni, sull'incrociare i bisogni odierni e di prospettiva dell'intero comparto e, soprattutto, del personale della difesa. Speriamo che ciò non avvenga, perché piuttosto che di primati abbiamo bisogno di leggi importanti che facciano passare alla storia il Ministro e il Parlamento per le cose fatte bene, piuttosto che per le cose fatte nonostante tutto. Non vorrei che fosse una manovra fatta contro qualcuno, piuttosto che per qualcuno e per qualcosa; per qualcuno intendo il comparto Difesa e per qualcosa intendo lo Stato, la nazione e l'opinione pubblica nazionale, evidentemente.
In me è maturata una convinzione e una consapevolezza; dopo questo dibattito cronometrato, ho maturato la consapevolezza e la convinzione di essere certamente e indubbiamente, purtroppo, minoranza in questo Parlamento - lo ripeto, purtroppo, visto che non si è potuto sviluppare un dibattito ampio, sereno, approfondito e con i tempi necessari, visto che questa doveva essere una riforma epocale - ma di essere, certamente, maggioranza nel Paese e nell'opinione pubblica e sicuramente anche maggioranza tra il personale del comparto Difesa. Non perché io debba Pag. 8fare il paladino di queste esigenze, perché loro sono bravissimi e consapevoli nel rappresentare le loro istanze; ce lo hanno dimostrato quando sono venuti in audizione, che peraltro sono state audizioni che noi abbiamo fatto anche con poco rispetto perché mettiamo in campo audizioni formali, riconosciute, per i «big», e mettiamo in campo audizioni informali per tutto ciò che resta; non va bene, bisogna lasciare anche traccia formalmente delle cose che si dicono, perché altrimenti la gente, l'opinione pubblica, il comparto stesso che ne dovrebbe beneficiare, nel bene e nel male, non riescono ad avere un'informazione diretta e corretta delle cose che si vengono a produrre sulla loro pelle e sulla loro testa. Credo che, rispetto ad un personale che in questo momento è terrorizzato e demotivato da questa riforma, che per molti aspetti rappresenta veramente una controriforma, ben altre dovevano essere le considerazioni messe in campo dal Ministro e anche dal suo staff.
Bisogna ripartire da alcuni elementi che fanno perno su questa legge di cornice, perché poi è vero che il tema reale, profondo, la sostanza vera è nei decreti attuativi. Allora, procedendo per gradi e cercando di riallineare e ricucire un po' le cose che ho capito, gli approfondimenti che ho fatto, le cose che ho sentito, le riflessioni che ho potuto fare e maturare insieme al comparto, insieme a tante gente dentro e fuori il comparto, dentro e fuori quest'Aula, dentro e fuori le audizioni, mi limito a definire l'articolo 1 nelle sue finalità. Quando si dice che la riforma viene messa in campo «al fine di realizzare un sistema nazionale di difesa efficace e sostenibile, informato alla stabilità programmatica delle risorse finanziarie e a una maggiore flessibilità nella rimodulazione delle spese, che assicuri i necessari livelli di operatività e la piena integrabilità dello strumento militare nei contesti internazionali e nella prospettiva di una politica di difesa comune europea, per l'assolvimento dei compiti istituzionali delle Forze armate», evidentemente sono belle intenzioni, degli intenti meravigliosi ma che cedono immediatamente dopo quando si mette in campo che cosa? Il senso vero di questa riforma fatta di pochissimi articoli, quando si dice che bisogna procedere attraverso una «revisione, in senso riduttivo». È qui il cedimento forte delle finalità di questa legge, quando si dice che, per poter conseguire qualità e risultati, bisogna venir meno al potere di approvvigionarsi e alla possibilità di far riferimento a quella che è la vera forza che è il personale, il patrimonio umano e professionale, la competenza, l'esperienza, la voglia di sfide, tutte quelle cose che attraverso questo provvedimento vengono azzerate e vengono messe in un cantuccio, perché tutto il resto si gioca diversamente, e lo spiegherò dopo.
Anche al successivo punto, la lettera a), quando si parla dell'assetto strutturale, anche con riferimento all'Arma dei carabinieri limitatamente ai compiti militari, ci vuole spiegare il Ministro quali compiti intende ridurre in questo caso? Ancora, quando si parla dell'ottica di questa finalità: come si mette insieme la valorizzazione se poi si riduce il personale? Non le sembra un paradosso dire che lei mette in campo, tra le finalità, la valorizzazione e la tutela del personale e poi dopo ottiene tali obiettivi attraverso una riduzione degli stessi e una revisione? Evidentemente, poi, si parla di strumenti quali la razionalizzazione, l'armonizzazione e l'ottimizzazione, ma tutti questi termini fanno il paio con un dato: il taglio del personale, che è l'unica voce chiara e limpida che esce fuori e che si capisce da questo provvedimento.
E poi, sui vincoli e sui pareri, non ce ne sono su quelli di sostanza, su altri sì, perché mi sembra evidente e anche il minimo che si possa fare se non rinforzare un tema che riguarda la legge Giacchè; sarebbe paradossale se non fosse così. Il controllo parlamentare sui sistemi d'Arma è una cosa normale in un Paese normale. Qui sembra un fatto straordinario che il Parlamento si interessi ed entri nel merito delle scelte. Non succede in nessuna democrazia matura e consapevole, e non parlo degli Stati Uniti: lì il Governo propone Pag. 9e il Parlamento dispone. È solo qui in Italia che viene fuori che quando ci si rimette in regola e si parla di normalità tutto ciò sembra straordinarietà. Questo è un dato normalissimo. E allora, quando si insiste sul fatto che bisogna mettere insieme i pareri vincolanti, come al comma 3 dell'articolo 1, e quando si chiede in che modo e in che misura gli interventi di riorganizzazione e razionalizzazione vengono messi in campo, vi è una nebulosa, perché non si riesce a capire in che modo vengano attivate queste modalità. Si parla di rimettere insieme il riordino della sanità militare, quando invece il Ministro, senza rispetto per il Parlamento, ha già avviato questo procedimento. Lo ha fatto, con una serie di interventi, per quanto riguarda il servizio di medicina militare a Firenze, nella scorsa estate. Allora, qual è il tema del rispetto del Parlamento, se già si attivano modalità che fanno parte di un'operatività che sfugge al controllo del Parlamento? Di che cosa parliamo? Lei, a Firenze, ha proceduto al riordino del settore della difesa con una nota del 9 agosto 2012. Quindi, se lei si è già mosso prima ancora che noi possiamo esprimere un parere, prima ancora che noi possiamo entrare nel merito, di cosa stiamo parlando? Di quale rispetto parliamo?
È pensabile e possibile che questi elementi, che sono costitutivi in un rapporto tra Governo e Parlamento, tra Commissione e Governo, vengano saputi attraverso documenti di altri? È pensabile che tutti questi elementi vengano contenuti in una serie di scenari che vedono protagonista il Parlamento? Qui, invece, non succede, e non è solo una scorrettezza, credo sia una mancanza di rapporti politici e istituzionali da cui dovrebbe trarre forza il Governo, da cui dovrebbe trarre forza il Ministro, che invece sfugge volutamente a questo dato, perché ritiene che, forse, il Parlamento, oltre che a ratificare e votare, non possa e non debba fare altro. Noi non siamo dei convitati di pietra, siamo quelli che devono decidere in nome e per conto di uno Stato su cosa bisogna fare in prospettiva. Non vorrei essere fuorviante in ciò che dico, ma ogni aspetto che metto in campo nel mio ragionamento poi viene sostenuto. Infatti, se vediamo i pareri delle Commissioni che sono stati espressi ieri, essi sono pareri vincolanti, con osservazioni e con condizioni, che dicono: attenzione, state commettendo degli errori, se continuate in questo modo.
Alcune Commissioni si riferiscono anche al tema che riguarda la pianificazione dei programmi di ammodernamento e si afferma: «parere favorevole con le seguenti condizioni». Ma di queste condizioni tenete conto oppure no? O pensate che qui stiamo facendo della pedagogia militare, come dico sempre? Questi pareri sono vincolanti per voi, e non basta dire che non farete niente fino a quando non ci sarà il nuovo Governo. Non mi accontento di questo dato, perché se ci si spinge così facilmente e senza dare ascolto alle persone, ai comparti e a tutte quelle persone che poi, di fatto, dovrebbero fare la qualità e la quantità dello strumento militare, evidentemente avete un'idea tutta vostra di come risolvere le problematiche.
I pareri vincolanti delle Commissioni vi dicono che dovete stare attenti perché, da un lato, voi incrociate e vi scontrate con la spending review e, dall'altro, vi incrociate e vi scontrate fortemente con l'armonizzazione del sistema previdenziale. Ma volete tener conto di queste cose che sono arrivate prima? Non vi siete posti per niente questo tipo di problema. Le condizioni e le osservazioni messe in campo dalle Commissioni sono per voi dei paletti insormontabili.
Credo che non si possa andare avanti in questo modo e credo che, anche sui sistemi d'arma, forse avete trovato un cavallo di Troia, pensando di poter superare le esigenze del Parlamento e gli indirizzi che noi vogliamo mettere in campo. Per quanto riguarda l'ultimo aspetto del provvedimento vado, come dire, «a spanne», perché il tempo non mi consente - dovrei parlare qualche giorno di seguito - di poter entrare nel merito anche delle decisioni, però credo che su alcune decisioni, quale quella di mettere in campo questo provvedimento, noi o voi Pag. 10avreste dovuto fare una cosa semplicissima per andare incontro alle esigenze dette da alcuni colleghi di vari schieramenti.
Se veramente pensate che il provvedimento debba anche maturare nelle prossime settimane e cogliere gli obiettivi attraverso i decreti delegati, evidentemente bisognava fare una cosa dentro lo schema di legge che voi portate, ossia prevedere, dopo l'articolo 5, l'articolo 6 e, per tranquillizzare l'universo mondo (e si poteva anche tornare al Senato, perché non ci corre dietro nessuno, sono state fatte tante di quelle cose inutili e questa è una cosa importantissima che poteva trovare spazi, tempi e modi per tornare al Senato), scrivere una cosa sola, almeno questa, per tranquillizzare il comparto, per tranquillizzare tutte le forze politiche che a mezza bocca, oppure tacendo, vogliono che si faccia questo, ossia scrivere all'articolo 6 - se era possibile, e secondo me è indispensabile - che la presente legge entra in vigore dal primo giugno 2013.
Ciò avrebbe dato tono e forza alla proposta del Ministro, nel senso di dire: bene, abbiamo messo in campo un riferimento forte e importante, oggi poi abbiamo tutto il tempo per definire i percorsi che i decreti delegati possono agire, dando sostanza e tranquillità al prossimo Parlamento. Infatti, non credo che voi oggi abbiate la legittimità necessaria per poter mettere in campo un provvedimento così importante.
Lei, signor Ministro, avrebbe dovuto mettere in campo questa modalità, ossia incrociare, incontrare, quanto più e meglio, le Commissioni e il Parlamento per poter definire nella struttura e l'architettura la legge, per poi dire: il mio compito è fatto, non c'è più fretta, a meno che - allora a questo punto viene fuori un pensiero cattivo (e a volte a pensar male si fa peccato, ma ci si azzecca) - all'interno di questo provvedimento le prerogative del Parlamento non vorrei che venissero esautorate perché noi dobbiamo rispondere a qualcos'altro che è fuori dal Parlamento.
Se così fosse, sarebbe assolutamente grave, perché significa che gli obiettivi da raggiungere sono altri e sono tutti in barba al personale e al Parlamento. Voglio anche aggiungere alcune questioni. Noi su questo provvedimento siamo in perfetta sintonia con quanto detto dai Cocer, tant'è che probabilmente noi, oltre agli emendamenti che ripresentiamo in Aula tutti quanti interi, proporremo anche un ordine del giorno che va in quel senso. Quelle messe in campo dai Cocer, e anche dalle associazioni che abbiamo ascoltato, sono richieste sacrosante che non sono state ascoltate, sentite, ma anzi sono state in qualche modo anche messe da parte, perché non rientranti in questo schema di lavoro che è un lavoro - insisto nel dire - contro le esigenze dell'intero comparto e ancora perché, su alcuni temi che richiamano le finalità dell'articolo 1, avete anche fallito.
Infatti, gli elementi di criticità rimangono tali e quali tutti quanti interi. Come è pensabile che la riforma, che deve agire su quattro punti (la riorganizzazione del Ministero della difesa, la riduzione del personale militare e civile, la rimodulazione dei programmi di ammodernamento e il rinnovamento degli armamenti e l'introduzione di misure di flessibilità nel bilancio) possa conseguire questi obiettivi, se sganciati da altri elementi che sono fondamentali per mettere in campo una legge così importante e così gravosa per l'intero comparto che può avere risultati importanti o può definire - come dire? - la morte, altrimenti, dell'intero comparto?
Allora ricordo alcuni aspetti critici. All'interno di questa riforma vi è la mancata inclusione di un più ampio processo di riflessione sulla politica italiana di difesa.
Ciò manca assolutamente, e, invece di partire dagli obiettivi della nostra politica e poi eventualmente commisurare, rispetto a questi, lo strumento necessario ai finanziamenti, siete partiti dai fondi disponibili per poi «cucire» lo strumento su misura di questi. E non basta la crisi a definire questo aspetto. Non basta la crisi a definire questo aspetto perché chi vi parla è convinto che gli elementi costitutivi di una nazione moderna, di uno Stato serio, maturo e consapevole, soprattutto democratico, Pag. 11passino attraverso due gambe: il welfare e la difesa. In questo modo avete impoverito sicuramente la difesa nella sua struttura, togliendogli qualità e quantità, e non avete dato profondità né in senso di politica italiana di difesa né tantomeno agganciandola agli schemi di politica europea. Evidentemente poi nei decreti delegati troveremo la giusta commisurazione del rapporto tra Governo, Ministero e Parlamento, soprattutto tra Ministero e classe politica che dovrà portare avanti queste iniziative.
Credo che un altro aspetto che è mancato, e si tratta di un aspetto fortemente critico, ma quando dico critico evidentemente sto usando un eufemismo ulteriore, è che la riforma avrebbe dovuto essere in grado di essere armonizzata, se non concordata, ma con questo chiedo troppo evidentemente, con gli altri Paesi membri dell'Unione europea, al fine di coordinare gli interventi che ciascuno Stato sta attuando e renderli complementari in questo modo all'Unione europea, soprattutto per avere la capacità di guardare oltre, a un futuro dove la politica estera comune e la politica di difesa e sicurezza comune sono il punto di riferimento e la stella polare per tutte le nazioni.
Voglio anche dirvi, Ministro, Governo e amici della Commissione e del Parlamento, che chi interviene e parla in questo momento si è fatto carico di una serie di necessità e di esigenze, si è fatto carico di un silenzio assordante che viene fuori dallo stesso Ministero, anche dall'Aula e dalla Commissione. Ma c'è un dato. Oltre ad una serie di criticità evidenziate, che abbiamo messo a fuoco, che abbiamo tolto dal grigiore, dall'opacità o dal buio, abbiamo anche fatto delle iniziative importanti in tempi non sospetti, prima ancora che il Ministro arrivasse a proporre, a febbraio, il suo disegno di legge delega per quanto riguarda la riforma dello strumento militare. A dicembre 2011 chi vi parla ha proposto un disegno di legge che istituiva una Commissione parlamentare per l'elaborazione di un nuovo modello di difesa e di sicurezza nazionale. Cosa voglio dire con questo? Voglio dire che c'è stato un tentativo, non solo mio, ma anche di altri gruppi parlamentari, di dare un contributo prima ancora che si mettesse in campo un'idea di legge che non trovasse riscontro all'interno del comparto difesa. Era come dire di rientrare giustamente nell'alveo parlamentare di una maturazione legislativa che desse un sostegno alle prossime iniziative per quanto riguarda il Governo, che peraltro nella sua mission non aveva queste caratteristiche. A questo Governo non è stato chiesto di fare gli interventi straordinari, come abbiamo visto in queste settimane, e nemmeno questo è stato chiesto di mettere in campo. È stato chiesto di traghettare il Parlamento e una maggioranza che era agonizzante fino alle elezioni. Quindi, non sono stati chiesti assolutamente degli elementi straordinari, che cambiassero, disegnassero o stravolgessero gli assetti, e questa è una di quelle cose che non è stata chiesta assolutamente.
Allora, in quel caso, il Ministro avrebbe dovuto tener conto delle proposte in essere e cercare di capire in che modo e in che misura avessero lavorato le Commissioni, quali erano le proposte in campo, e avrebbe avuto tutto il tempo per poter avere una conoscenza approfondita, al di là delle conoscenze che ha per competenza, esperienza e professionalità. Ma non basta. Noi qui abbiamo bisogno di politica e di meno tecnicismo, perché dopo lei i voti al suo provvedimento li prende attraverso la politica. Quindi, qui mancano tutti quegli aspetti caratterizzanti un disegno di legge di profondità, di prospettiva, che sia finalmente di carattere europeo e che tenga conto di quegli aspetti che anche l'Agenzia di difesa europea ci ha chiesto e che vengono bellamente disattesi, al di là di quello che lei ci dice e ci racconta. Pertanto, credo che noi in qualche modo stiamo facendo un lavoro totalmente inutile.
Infatti, stiamo lavorando su un disegno di legge che in qualche modo rappresenta una architettura vaga sugli aspetti e sui percorsi che lei vuole intraprendere.
Dopodiché, i decreti delegati, che sono il tema centrale, sfuggono al nostro controllo Pag. 12e tornano nelle mani complete del Ministero e del Governo che può farne quello che vuole nel momento in cui non c'è più il Parlamento che può mettere in campo azioni importanti. Allora, non basta che ci siano, come dire, delle disponibilità parolaie e sono necessarie delle disponibilità in termini legislativi. Perché si fanno le leggi? Perché si fanno gli emendamenti? Perché c'è un percorso che tiene conto di una proposta e poi qualcuno cerca di migliorarla, senza «tirare per la giacchetta», come magari può succedere in questo momento al Governo e al Ministero.
Non vorrei insistere sull'aspetto che ho citato prima: non vorrei che questa riforma venisse sollecitata non dall'interno del Parlamento come esigenza del comparto, ma da qualcun altro, da qualcun altro che vuole orientare le scelte e insisto anche perché in questo provvedimento due sono gli aspetti caratterizzanti al di là di quello che io ho detto. Gli aspetti caratterizzanti sono: il taglio del personale e l'utilizzo di risorse per investimenti, per gli armamenti e in questo caso evidentemente avere le mani libere per fare un «salto nel vuoto» attraverso gli F35.
Dico questo per semplificarlo e farmi capire dagli italiani, perché so che voi non mi ascoltate. La semplificazione dice questo: tagliare per comprare, tagliare personale per comprare gli F35. Così l'Italia intera la capisce questa cosa. Non torno sul tema dei Cocer perché saranno oggetto di miei emendamenti e, quindi, non voglio rubare tempo per questo, ma io sono totalmente d'accordo con loro. Però credo che noi non abbiamo fatto un buon lavoro quando ci costringete ad orientare le nostre riflessioni su alcuni aspetti che poi non ci vedono protagonisti, perché il tema che riguarda un nuovo, moderno, efficace ed efficiente disegno della difesa e dello strumento militare non passa attraverso i percorsi che voi avete disegnato. Non ci convince assolutamente che una moderna esigenza di uno strumento militare passi attraverso il taglio del personale. Non si fanno le guerre e la difesa con i video game. Si fanno diversamente. Allora, rispetto a questi, quando voi vi tenete le mani libere sulla flessibilità sta a significare che voi rispetto alla flessibilità, per non ripassare più dal Parlamento, volete utilizzare quelle risorse diversamente e non è vero, come lei ci ha detto (e a più riprese ce lo hanno detto anche altri), che solo lo 0,84 per cento del PIL viene utilizzato per la difesa. Viene utilizzato l'1,84 per cento ed è tra il tema che riguarda la Germania e quello che riguarda la Spagna.
Le risorse vengono utilizzate in questo modo e noi siamo i secondi in Europa utilizzando questo. Perché non riusciamo a capire questo dato? Perché noi siamo l'unico comparto di difesa, ma non solo forse, che abbiamo i dati disaggregati. Mentre altri, come la Germania, la Francia e la Spagna, hanno dati aggregati per cui si capisce bene, se tu vai a vedere bene nel quadro economico e finanziario come sono appostate le risorse, da noi non si capiscono, perché sfuggono al controllo e non si riesce a mettere in campo e a decifrare dove le risorse sono stanziate nelle poste di bilancio.
Credo che su questo dovremo fare anche una riflessione perché queste cose non le dico io, ma i documenti che vengono fuori dall'Unione europea, dall'EDA e da quant'altro dicono che noi utilizziamo queste risorse e siamo alla pari di questi, tant'è che ci dicono che la spesa è maggiore dello 0,84 per cento, ma è superiore al dato di Germania e Spagna. L'Italia è all'1,4 per cento come la Germania e più della Spagna (1,1 per cento), mentre la media NATO dei paesi europei è l'1,7 per cento, di poco superiore a quella italiana.
Poi c'è un altro aspetto: l'Italia paradossalmente, al di là delle cose che voi dite, è uno dei paesi europei che ha meno ridotto il peso delle spese militari in rapporto al PIL. Ancora: quei dati che non riusciamo a trovare aggregati per gli impegni che ci sono sapete bene che ci porteranno ad un esborso di 230 miliardi in 12 anni evidentemente per quanto riguarda la parte della difesa. In 12 anni 230 miliardi di euro, per quanto riguarda questo dato. Pag. 13
Gli altri dati che ci sfuggono nel disegno, nell'impostazione del bilancio, evidentemente sono quelli legati al Fondo per le missioni internazionali ascritto al Ministero dell'economia e delle finanze, che sono 1 miliardo 640 milioni, i fondi ascritti al Ministero dello sviluppo economico per finanziare programmi ai nuovi sistemi d'arma, 2,248 miliardi di euro. Evidentemente questi messi insieme fanno «volume» e ci dicono che quelle risorse appartengono a questi numeri piuttosto che a quelli che ci vengono dati. Evidentemente io non posso pensare che vi siano degli errori quando ci vengono messi in campo tali numeri e penso che sia questo il dato più inquietante e penso ancora una volta che rispetto a questo dato io ho avuto modo di sentire, vedere, verificare e non è questo il Paese che ha bisogno di riarmarsi, non è questo il Paese che ha bisogno di novanta F35, questo è un Paese che ha bisogno di trovare finalmente una propria dimensione di politica di difesa nazionale ed europea stando dentro alcuni canoni che sono la modernizzazione, l'efficacia, l'efficienza e cercando di fare leva su alcuni aspetti che altri Paesi hanno già messo in campo, sulla formazione, quindi destinando risorse che qui non si vedono, sono solo descritte le disponibilità; sull'equipaggiamento; sulla sicurezza del personale; sull'utilizzo di risorse da mettere in campo per far sì che queste persone ritrovino motivazione e quella professionalità smarrita e soprattutto che si dia finalmente una possibilità...

PRESIDENTE. Onorevole Di Stanislao, la invito a concludere.

AUGUSTO DI STANISLAO. Signor Presidente, il tempo è già finito?

PRESIDENTE. Onorevole Di Stanislao, un minuto.

AUGUSTO DI STANISLAO. Un minuto? Siamo già arrivati a trenta?

PRESIDENTE. Sì.

AUGUSTO DI STANISLAO. Perfetto, cercherò in questo ultimo minuto di fare un auspicio e un augurio, che è quello di poter vedere questo provvedimento riprendere la sua dimensione di concertazione, contrattazione, confronto e dibattito nella prossima legislatura, perché è quello il posto vero e di legittimazione di questo provvedimento, è quello il posto vero all'interno del quale bisogna decidere le sorti future dell'intero comparto difesa e penso - di questo me ne deve dare atto il Ministro - che l'intero comparto del personale merita ben altra considerazione, dev'essere rimotivato piuttosto che terrorizzato ed ho la convinzione che tutto questo personale rappresenta per noi il miglior auspicio, il miglior patrimonio da mettere in campo rispetto alle cose che sono state lette all'interno del disegno di legge, e penso che su questo noi potremmo giocare una partita importante e decisiva e soprattutto ridare ruolo e dignità al Parlamento che in questo momento forse è impegnato più in altre cose, quindi siete facilitati nell'approvare questo strumento.
Io darò ancora battaglia la settimana prossima attraverso gli emendamenti e cercando di convincere qualcuno all'interno del Parlamento perché quel qualcuno servirà a mettere insieme e in sintonia, riagganciarlo e incrociarlo con i bisogni dell'intera collettività nazionale che, ripeto e concludo, oggi è maggioranza con me, mentre oggi io sono minoranza in questo Parlamento (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bosi. Ne ha facoltà.

FRANCESCO BOSI. Signor Presidente, signor Ministro, colleghi, io credo davvero che questo di cui noi stiamo parlando sia un provvedimento legislativo di grandissimo rilievo, soprattutto di una grande complessità. È ovvio che quando noi andiamo a riorganizzare lo strumento militare, peraltro dopo pochi anni, relativamente pochi anni, rispetto alla costituzione del modello 190 mila, per passare a questo modello 150 mila, che obbedisce ad Pag. 14un'esigenza di contrazione della spesa, mantenendo l'ambizione del nostro Paese di avere Forze armate che anche nel contesto delle alleanze internazionali siano all'altezza del nostro Paese sulla base dei parametri che ci contraddistinguono, noi ci troviamo in una situazione delicatissima, difficile.
Basti citare il caso del rapporto tra la spesa del comparto militare ed il prodotto interno lordo - che ci vede allo 0,9 per cento, contro una media dei maggiori Paesi dell'1,6 per cento - per capire quali e quante siano le difficoltà alle quali noi siamo chiamati, in modo particolare è chiamato il Ministero della difesa. Io, che conosco e stimo il Ministro non lo invidio perché si viene a trovare in una situazione assolutamente difficile. Certo è che, essendo persona competente, cerca e ha cercato di lavorare a questo provvedimento legislativo di cui stiamo parlando, che sicuramente contiene ampie deleghe e che contiene, però, anche alcune indicazioni che riteniamo utili e condivisibili, rispetto alle quali le forze politiche ed i gruppi parlamentari che sostengono questo Governo hanno ritenuto di dover avallare e, quindi, di accorciare i tempi e assentire a questo provvedimento che noi andremo ad approvare.
È ovvio che però - come è stato ricordato dai vari colleghi, in primis dal presidente Cirielli nella sua relazione di ieri - noi non possiamo non essere preoccupati e, nello stesso tempo, non possiamo non dare delle indicazioni circa gli elementi di criticità che questo provvedimento contiene, non in quanto tale, ma in quanto collocato in una cornice di altri provvedimenti, alcuni dei quali sono venuti prima, mentre altri, tipo il regolamento sull'armonizzazione del sistema previdenziale, devono venire dopo. Tali provvedimenti sono talvolta contraddittori e comunque talvolta scollegati tra di loro perché qualcosa è scritto nella spending review, qualcosa nella riforma dei codici, qualcosa nella riforma dello strumento militare. Probabilmente, se non vi fossero state le emergenze finanziarie, si sarebbe potuto discutere con maggior cognizione di causa e con maggiori tutele e garanzie, qualora noi avessimo potuto affrontare la questione in termini meno precipitosi e soprattutto per descrivere con maggiori garanzie e maggiori particolari quello che noi vorremmo fosse uno strumento militare riformato.
Qui non discutiamo tanto del numero, cioè del passaggio dal modello dei 190 mila al modello dei 150 mila, quanto vogliamo essere garantiti sul fatto che, pur passando ad uno strumento militare già così fortemente ridotto, non si riduca la potenzialità, l'efficienza, la funzionalità, la credibilità di questo strumento militare, lo ripeto in una nazione che ha un'ambizione di politica estera, quale quella che noi abbiamo e che dobbiamo difendere.
Qui ci sono anche dei punti interrogativi di non poco conto. Credo che qualunque Ministro della difesa, in modo particolare uno che di difesa se ne intende, se avesse dovuto mettersi a scriversi «a tavolo imbiancato» quello che sarebbe dovuto essere, probabilmente avrebbe fatto anche cose diverse.
Lo stesso Ministro in Commissione, con molta onestà, ha detto che noi spendiamo poco e male, nel senso che con i tagli che abbiamo avuto non siamo riusciti o non siamo in condizione di spendere bene, vale a dire di avere la possibilità di non alimentare sprechi. Quel vecchio proverbio, non so se toscano o nazionale, che dice «chi più spende meno spende» è pur sempre valido, nel senso che quando si vanno a fare determinati tagli si incide su alcuni settori di una organizzazione - e, devo dire, che lo strumento militare è una organizzazione per eccellenza - ed è ovvio che si vanno a, come dire, creare delle sacche di spreco, determinate dal fatto che non dando risorse sufficienti a certi segmenti di questa organizzazione se ne lasciano altre in decozione.
Si pensi, uno per tutti, ai tagli progressivi che hanno portato a questo sbilanciamento del 70 per cento - il costo del personale - anziché al 50, 25 e 25, che è considerato il modello classico. Questo alimenta sprechi e spesa inutile. Inoltre, disattiva e rende inefficace - inefficiente, Pag. 15per meglio dire - la struttura. Ho letto dei rendiconti dello Stato Maggiore dell'Esercito e, per esempio, nelle spese relative all'addestramento vi è stato un crollo, perché si è passati dal 100 al 15 per cento della spesa rispetto agli anni precedenti. Ma è ovvio che quando non si fa addestramento e formazione a sufficienza si crea un disservizio, un vulnus, nella struttura organizzativa.
Ora, questo fatto che deve essere affrontato, ossia quella questione della riduzione, nel più rapido tempo possibile, diciamo, dell'organico, per rientrare nel modello «50-25-25», invece non trova alcuna garanzia, perché chi può affermare che questo personale può essere ricollocato? E dove? Con la mobilità? Presso quale altra struttura? Io, che ho un po' di esperienza, essendo sempre vissuto nella pubblica amministrazione, so che oggi nessuna amministrazione usufruisce delle questioni della mobilità, semplicemente perché tutti hanno, come dire, gli organici bloccati e quando hanno bisogno di qualche soggetto vanno a ricercare il soggetto magari più fresco, che ha una professionalità della quale non si dispone momentaneamente.
Quindi, le previsioni che si possono fare sono abbastanza, come dire, incerte. Io credo che, per esempio, due commi - il comma 5 dell'articolo 1 e il comma 2 dell'articolo 5 - consentano al Governo di poter prorogare determinati termini e, quindi, giostrare questa materia in modo da non doversi ritrovare, come dire, con le mani legate rispetto a queste esigenze di fondo, per dare una vera riforma allo strumento militare. È apprezzabile lo sforzo che è stato fatto in questo testo, che contiene anche alcuni elementi sicuramente di grande positività, segnalati nel dibattito in Commissione e ribaditi in Aula anche dal Presidente. Io non sto a ripeterli, ma sicuramente è apprezzabile. Io ho solo questa preoccupazione, che ci possiamo venire a trovare in questo ingorgo normativo.
Soprattutto bisogna valutare le tempistiche e se conviene far slittare i termini di queste facoltà, che il Governo si riserva in un provvedimento di delega, ad un momento in cui ci sono maggiormente chiariti tutti gli aspetti della vicenda oppure no. Ormai questa legislatura volge al termine e volge al termine anche il mandato del Governo, e mi chiedo se forse non sia il caso di dare il compito a chi verrà dopo di noi, tanto in Parlamento quanto nel Governo, di dirimere alcune di queste questioni, sospendendo alcuni provvedimenti. So che ancora non è arrivato all'esame della Camera né del Senato, ma per esempio il regolamento sulla cosiddetta armonizzazione può essere veramente dirompente ed andrebbe sospeso. Rivolgo un invito al Ministro, ma tramite lui a tutto il Consiglio dei Ministri, a valutare se non sia opportuno ritirare questo regolamento sull'armonizzazione, approvato con un decreto, perché se venisse al nostro esame, noi non potremmo fare altro che esprimere un parere negativo. Infatti, nel momento in cui si debbono ridurre gli organici, nel momento in cui si blocca o comunque si riduce fortemente il turn over e si allunga anche l'età pensionabile, qualunque persona di buon senso si rende conto che questi sono fatti in assoluta contraddizione fra loro. Che almeno non si abbia una visione distorta di quello che deve essere lo strumento militare o le stesse forze di polizia e le stesse forze dell'ordine. Vogliamo alimentare davvero gli sprechi, davvero un invecchiamento che fa crollare l'efficienza, la funzionalità e la potenzialità di questo strumento? Allora, noi oggi arriveremo all'approvazione, respingendo gli emendamenti che verranno presentati, però presenteremo - e siamo tutti d'accordo - un ordine del giorno nel quale saranno indicati alcuni punti fermi nell'esercizio delle deleghe, ma soprattutto faremo riferimento anche alla questione del regolamento sulla armonizzazione. Così come vogliamo andare incontro anche ad alcune, non tutte ma molte, delle questioni che sono state poste dai CoCeR, che hanno posto questioni a mio giudizio ragionevoli, che naturalmente dovrebbero essere gestite non a livello di stesura di un provvedimento legislativo, ma tenute in massima Pag. 16considerazione da parte del Governo - questo o quello che verrà - che dovrà gestire, attraverso i propri decreti, questo esercizio di delega. Le questioni che sono state poste hanno una valenza generale, ma hanno anche, a maggior ragione, una valenza specifica, nel momento in cui si vengono a determinare condizioni di straordinaria amministrazione, dovendosi ristrutturare così radicalmente lo strumento militare. Concludo dicendo che sicuramente devono essere tenute in conto e apprezzate anche queste esigenze di riqualificazione della spesa, che sono contenute nel testo.
Allo stesso modo si debbono sicuramente apprezzare anche i ruoli maggiori che si intendono attribuire al Parlamento per la massima trasparenza nella gestione soprattutto in ordine alle forniture militari che sono uno degli elementi di maggiore qualificazione, e anche per una riqualificazione della spesa nella quale tanto la formazione, quanto l'addestramento, quanto gli armamenti siano punti di assoluta certezza e di assoluto riferimento. Non credo di dovere aggiungere niente di più perché questo provvedimento viene approvato e noi ci rendiamo conto che è necessitato, però non vorremmo che il nostro Paese dovesse essere troppo indebolito nel proprio strumento militare che è la condicio sine qua non per poter - questo è sempre bene dircelo chiaramente - svolgere funzioni di politica estera, di politica internazionale, a cominciare dall'Europa ma per finire poi anche in una dimensione più vasta che è quella dell'Alleanza atlantica nella quale i nostri militari stanno svolgendo missioni importanti anche dando del nostro Paese una grande immagine, un'immagine di serietà, di correttezza e anche di efficienza.
Questo è davvero uno dei fiori all'occhiello che il nostro Paese può vantare grazie alle nostre Forze armate.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Holzmann. Ne ha facoltà.

GIORGIO HOLZMANN. Signor Presidente, signor Ministro, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, negli ultimi anni le politiche dei vari Governi che si sono succeduti hanno determinato delle manovre economiche straordinarie che hanno inciso soprattutto sul fronte della riduzione della spesa pubblica, e il settore della difesa è stato uno dei più colpiti dai tagli di bilancio che sono avvenuti negli ultimi anni. Si è preferito considerare la difesa un settore non strategico evitando tagli sulla spesa sociale, ad esempio, però questa impostazione ha determinato nel tempo - come altri colleghi giustamente hanno sottolineato prima di me - uno squilibrio nel bilancio del comparto della difesa, ovvero quel famoso rapporto 50-25-25 tra spese di personale, acquisto di sistemi d'arma e addestramento si è squilibrato a favore soprattutto della spesa corrente per il personale, che è arrivata al 70 per cento.
Ora è chiaro che se si vuole avere un modello di efficienza si deve pensare di incidere su quella parte di spesa che in questo momento è eccedente e purtroppo è quella che riguarda il personale. Ecco perché non comprendo alcune critiche di colleghi che mi hanno preceduto che vorrebbero andare ad incidere ancora di più sulla spesa per l'acquisto dei sistemi d'arma che implicherebbe come conseguenza un ulteriore e maggiore sbilanciamento sul fronte della spesa corrente. Il riequilibrio, per quanto doloroso ma in presenza di tagli di bilancio, è necessario e quindi questo disegno di legge delega del Governo prevede appunto una profonda revisione dello strumento di difesa incidendo proprio su questa voce. È chiaro che quando si parla di riduzione del personale si debbono affrontare dei tagli dolorosi, ma sono anche convinto che attraverso l'accorpamento di reparti di strutture e di infrastrutture che è già previsto in questo disegno di legge si possa arrivare ad un risultato accettabile. Colgo l'occasione, forse anche un po' impropriamente, anche per richiamare l'attenzione del Ministro sulla situazione delle truppe alpine che sono un fiore all'occhiello delle Forze armate italiane e che sono anche largamente impiegate nei teatri internazionali, Pag. 17anche quelli difficili, dove siamo attualmente presenti. Le truppe alpine hanno subito drastiche riduzioni negli ultimi anni con la soppressione di due brigate (la Tridentina è una brigata che esiste soltanto a livello di quadri) quindi, insomma, io auspico che si possa a procedere anche ad un accorpamento dei supporti come era così in precedenza sotto il comando delle truppe alpine.
Mi riferisco ai reparti logistici, all'aviazione leggera dell'Esercito, alle trasmissioni che anni fa erano sotto il comando delle truppe alpine e che auspicherei potessero ritornare. Fatta questa breve parentesi, vorrei anche soffermarmi sul fatto che l'Italia, contrariamente a quanto si è detto, spende soltanto l'1 per cento del proprio PIL per la difesa, anche considerando ciò che viene dato dal Ministero dello sviluppo economico per i sistemi d'arma, contro una media europea che è dell'1,6 per cento. Siamo stati, quindi, molto parchi negli stanziamenti al settore della difesa che è, comunque, un settore strategico. Non si può improvvisare la difesa, non si può pensare di correre ai ripari quando è necessario. La difesa, proprio per la propria struttura e tipologia, richiede investimenti e programmazioni molto lunghe; non è che ci si può procurare una nave o un aereo ordinandoli una settimana prima come si fa con un'automobile dal concessionario. Quindi, il nostro strumento deve essere ben calibrato, ma, soprattutto, pensato. Noi abbiamo la necessità di ammodernare le nostre Forze armate con i mezzi terrestri, navali ed aeronautici e questa è una scelta imprescindibile.
Il discorso dei nuovi caccia F35, che tanto appassiona i miei colleghi e scatena anche magari un po' troppo la demagogia, è un progetto che va sostenuto. Innanzitutto, dobbiamo anche dire - si dice poco - che, rispetto alla previsione iniziale di 137 velivoli, siamo a 90 e, quindi, c'è una riduzione già di un 30 per cento di questa spesa. Questo è bene che lo si dica. Inoltre, il progetto rappresenta il caccia del futuro, per i prossimi decenni. Noi siamo in uno scenario, anche come Paese, con alcune criticità; non possiamo nasconderci che alcuni Paesi non lontanissimi da noi stanno cercando di dotarsi anche di armi nucleari e, quindi, dobbiamo pure pensare di poter affrontare queste possibili future minacce partendo per tempo, anche dotando la nostra aeronautica dei mezzi più moderni. Non si può pensare di rinunciare ai sistemi d'arma supplendo a questi con l'addestramento del personale come è stato detto. Non è che possiamo far fare i corsi di volo ai piloti senza gli aerei. L'F35, tra l'altro, rappresenta una grande opportunità anche per l'Italia perché coinvolge la nostra industria, che partecipa a questo progetto, creerà nuovi posti di lavoro - si calcola circa 10 mila - e sarà un'attività che durerà nel tempo perché avremo anche la possibilità di effettuare la manutenzione di tutti questi velivoli che saranno schierati in Europa dai vari Paesi. L'Italia diventerà un punto di riferimento importante. E, soprattutto, verrà rilasciata alta tecnologia di cui siamo in questo momento sprovvisti e questo sarà sicuramente un grande beneficio per la nostra industria. Quando si parla dell'acquisizione di nuovi sistemi d'arma, quindi, bisogna tenere anche in considerazione questi aspetti che spesso vengono poco considerati e si pensa soltanto all'uscita di bilancio immediata, ma non si pensa sufficientemente alle positive ricadute che ci potranno essere.
Certo, sarebbe possibile risparmiare ancora di più nel bilancio della difesa e credo che il Ministro lo sappia molto bene, ma per questo ci vorrebbe una politica comune europea nel settore della difesa. Se questo fosse, allora si potrebbe pensare per tutti i Paesi ad un'ulteriore riduzione delle Forze armate, ma una politica comune della difesa è subordinata soprattutto a una politica estera comune che in questo momento non esiste. La recente posizione, a mio avviso inspiegabile, del Governo italiano sulla questione del riconoscimento dello Stato palestinese come Stato osservatore all'ONU, peraltro posizione diversa rispetto ad altri Paesi europei importanti come Francia e Germania che si sono astenuti su questa questione - Pag. 18tra l'altro, non eravamo neppure determinanti e, quindi, potevamo assumere una posizione molto più cauta e prudente visto che siamo nelle more anche di un importante contratto di fornitura con lo Stato di Israele -, dimostra quanta strada ancora ci sia da percorrere.
Visto che anche nel Governo sotto questo profilo le posizioni sono abbastanza diverse, figuriamoci quando potremo avere una visione di politica estera comune a livello di Unione europea. Fino a quando questo non ci sarà, ogni Paese sarà costretto a provvedere da sé e naturalmente gli stanziamenti per la difesa devono mantenere una certa consistenza e una certa entità. Non è colpa certamente del Governo italiano, ma credo che andrebbe fatta qualche riflessione.
Credo che questo disegno di legge contenga tutti gli elementi necessari per affrontare la situazione, in vista appunto anche dei prossimi bilanci, che certamente non daranno maggiori risorse al comparto della difesa. Si possono fare ancora alcune cose. Prendo atto anche positivamente dell'accoglimento di numerosi emendamenti presentati al Senato dal gruppo del Popolo della Libertà, che mirano anche a tutelare e salvaguardare il personale in esubero: si parla di quasi 50.000 persone, in un periodo di tempo ragionevolmente lungo fortunatamente. Non sono preoccupato, perché questo Paese ha dato altre prove, ben più importanti in passato, con operazioni molto più consistenti, che hanno riguardato aziende private come la FIAT, la Telecom, o anche pubbliche, come le Ferrovie, che hanno dovuto avviare processi di ristrutturazione che hanno sacrificato decine di migliaia di posti di lavoro.
Quindi, vanno individuati certamente gli strumenti anche dal punto di vista previdenziale e in futuro ci dovrebbe essere una maggiore sinergia tra il comparto della difesa e l'industria pubblica e privata, dando anche una possibilità ai giovani italiani, che si offrono volontari per periodi più o meno brevi, di poter poi avere un reimpiego nell'industria nazionale collegata alla difesa oppure nel comparto pubblico, come in parte avviene attraverso l'arruolamento nelle forze di polizia.
Quindi, qualcosa può sicuramente essere fatto. Io non credo che il Governo sia fatto da persone irresponsabili: credo che tutti abbiano a cuore la situazione di questo personale, che deve essere valorizzato anche nell'appartenere ad un sistema che, nel suo complesso, garantisca efficienza. Se invece non dovessimo affrontare questo processo di ristrutturazione delle Forze armate, evidentemente ci troveremmo in una situazione in cui si sono trovate molte altre amministrazioni e come si è comportato in passato anche qualche Governo, di mantenere uno status quo a scapito dell'efficienza e non ce lo possiamo permettere.
Ci sono state delle operazioni molto ben fatte per quanto riguarda dismissioni di patrimonio non utilizzato, di strutture ed infrastrutture di proprietà dell'Esercito. Cito soltanto i casi della Val d'Aosta e quello dell'Alto Adige, che conosco molto meglio: un'operazione da 140 milioni di euro, che ha portato alla dismissione, a favore della provincia, di alcune caserme non più utilizzate e in cambio si è ottenuta la ristrutturazione delle caserme, che invece resteranno sul territorio, la costruzione di nuovi 400 nuovi alloggi di servizio, la ristrutturazione di altri 200 alloggi di servizio. Quindi, questa operazione ha garantito alle Forze armate di operare in futuro in un territorio con tutte le strutture necessarie nuove.
Spero che questo possa avvenire in futuro anche in altre zone d'Italia, anche se gli enti pubblici hanno meno disponibilità rispetto alle province e alle regioni a statuto speciale, ma certamente possono essere utilizzate anche strutture militari che non si riescono a collocare per altri usi. Penso, ad esempio, a strutture di servizio per il personale delle Forze armate, agli asili, alla creazione quindi di posti di lavoro di contorno che possono essere interessanti soprattutto per il personale che è costretto a frequenti trasferimenti per ragioni di servizio e che non sempre riesce a collocare nel mondo del Pag. 19lavoro il proprio coniuge. Quindi, vi sono sicuramente tante cose che possono essere pensate e fatte.
Dunque, nel complesso il mio è un giudizio positivo. Prendo anche atto delle spiegazioni dell'altro giorno in Commissione difesa del Ministro, che non intende procedere con i decreti attuativi contro l'opinione del Parlamento e delle Commissioni, quindi lo vuol fare in sintonia con queste.
Nell'esprimere, quindi, il mio giudizio sostanzialmente positivo, anche se in maniera un po' irrituale, vorrei fare un appello affinché ci sia da parte del nostro Governo una maggiore determinazione nella risoluzione di questa vertenza, che, purtroppo, vede due nostri soldati sostanzialmente detenuti in uno Stato straniero che, fino a questo momento, non ha ancora affrontato seriamente questa situazione. Io mi auguro che, in tempi molto brevi, si possa arrivare anche alla soluzione di questo problema.

PRESIDENTE. Saluto gli studenti della scuola media «Esopo» di Roma, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).
È iscritto a parlare l'onorevole Giacomelli. Ne ha facoltà.

ANTONELLO GIACOMELLI. Signor Presidente, l'intervento del collega precedente mi obbliga a fare un inciso in apertura che non riguarda il merito del provvedimento.
A differenza di lui - e credo che vada detto in quest'Aula -, ritengo di dover esprimere un grande apprezzamento per la scelta del Governo italiano in relazione al ruolo dell'Autorità palestinese come osservatore all'ONU. Credo che questa scelta, che richiama il principio dei «due popoli, due Stati», vada nel segno della migliore politica estera italiana e credo che ne vada dato atto.
Ora ci occupiamo, invece, di una riforma rispetto alla quale faccio mia la riflessione che ieri ha svolto, in quest'Aula, il collega Garofani, non solo nei punti di apprezzamento, ma anche nella segnalazione di criticità. È una riforma se non epocale, certamente, non rinviabile; una non rinviabilità che è determinata dall'incompleta attuazione di riforme precedenti - diciamo che in un decennio di transizione, tante scelte e provvedimenti non hanno, poi, prodotto interamente i loro effetti -, ma anche dalla stretta determinata dalla crisi finanziaria.
È condivisibile l'assunzione, almeno a me così pare, di due punti di riferimento nell'intervento: l'idea di migliorare la qualità della proiettabilità della forza, insistendo sulla fase formativa e, dunque, sul fattore umano, e favorire l'integrabilità europea. Così come mi sembra che l'assunzione del principio dell'efficienza della spesa per recuperare efficacia dello strumento evidentemente trovi un'attuazione compiuta.
È evidente, rispetto alla proiettabilità, che il riferimento non è all'aumento della capacità, del numero di interventi, ma, semmai, alla qualità complessiva dell'intervento stesso, all'attenzione alla fase formativa che diventa determinante per la complessità e la diversità degli scenari in cui, di volta in volta, si è chiamati ad operare.
Come dicevo, la crisi ha accelerato il provvedimento e la sua urgenza e ha lasciato aperte, evidentemente, alcune questioni che andranno inevitabilmente riprese. La prima - per la verità, è più un invito che devo esplicitare - e altri colleghi lo hanno fatto - riguarda l'opportunità che venga qui ribadito l'impegno politico che i decreti attuativi siano affidati al confronto con le Commissioni nella prossima legislatura. La seconda, che andrà anche questa ripresa con la nuova legislatura, è l'esigenza di una riflessione complessiva sul modello di difesa.
Certo, sarebbe stato preferibile che questa riflessione avesse preceduto la riforma dello strumento. Sappiamo i motivi per cui questo non è possibile, ma ciò non toglie la necessità, l'importanza e il valore di un ragionamento complessivo sulla politica della difesa. Mi riferisco anche alla necessità che questa riflessione si svolga in un raccordo più intenso con gli altri Paesi Pag. 20europei, perché l'integrabilità non rimanga solo un punto di riferimento teorico, ma sia anche fatta di un concreto confronto.
Per la verità, anche sui temi della riforma sarebbe stato ed è auspicabile - con gli altri Paesi alle prese con provvedimenti se non di questa portata, certamente analoghi quanto alle finalità - un miglior raccordo per trasformare l'integrabilità in effettiva integrazione.
Un altro punto è quello che riguarda il ruolo del nostro Paese rispetto ad una tecnologia che assume un'importanza crescente nelle politiche di difesa. Questo punto non è eliminabile, semmai credo che vada sottolineata l'esigenza che il nostro Paese si presenti sempre più come capace di protagonismo nella fase di ricerca e di produzione, e non soltanto nella fase di acquisizione. Abbiamo tradizione e know how per essere, da questo punto di vista, all'altezza anche in uno scenario internazionale.
E poi vi è l'esigenza che si rafforzi una cooperazione anche operativa tra i Paesi europei. Parallelamente all'integrazione dello strumento militare, però, credo che vada segnalata la necessità di un'accelerazione del processo politico. Un vertice politico per l'Europa, nel campo della difesa, è un'esigenza indifferibile, ma anche un potenziamento delle prerogative, dei poteri e della rappresentatività delle istituzioni democratiche, che siano il contraltare e l'effettiva sede della decisione e della scelta per le politiche di tutta la comunità.

PRESIDENZA VICEPRESIDENTE ANTONIO LEONE (ore 11,35)

ANTONELLO GIACOMELLI. Abbiamo visto, a proposito della finanza, quante difficoltà si sono prodotte per lo sfasamento di tempi e percorsi. È evidente che questi processi non possono che procedere parallelamente perché si abbia una progressione armonica.
Una parola, infine, va spesa - io credo - per le critiche e i dubbi espressi fuori da quest'Aula. Non mi riferisco ai «tatticismi» e alle «furberie» che ho sentito da qualche collega; mi riferisco invece alla forte contrarietà espressa da tante voci del mondo pacifista, che, mettendo in relazione stretta e in qualche modo impropria questo intervento con il programma di acquisto degli F35, hanno sollecitato tutti i colleghi a un voto contrario.
Io credo che sia giusto non ignorare queste voci, dare una risposta e misurarci con esse. Il nostro è un consenso a questo disegno di legge, ma non è un consenso che considera fastidiose o rilevanti le voci che si sono levate dal mondo pacifista. Non è questa la sede per riprendere il tema della necessità dell'uso della forza, per confermare la necessità che l'Italia si assuma la propria responsabilità negli organismi internazionali. Semmai, è giusto ricordare qui che questa riforma prevede, sui programmi d'arma, un controllo del Parlamento più ampio e cogente che in passato.
Ecco, io credo che stia in questo concetto, più che nel numero e nella quantità degli armamenti, il valore e l'espressione di un sentimento di attenzione alla politica e all'uso della forza come estrema ratio, nell'idea che, cioè, vi sia un controllo e un confronto del Parlamento e dei Parlamenti. Mi riferisco anche alla sede europea, in cui sarà necessario che questo principio trovi spazio e applicazione.
Tuttavia, credo che, alle voci che si sono levate, occorra prestare attenzione in questa fase, non tanto perché sia giusta la sollecitazione a opporsi a questo progetto di riforma - rispetto al quale ripeto che, come hanno già detto tanti altri colleghi, il nostro giudizio è positivo - quanto perché sono crescenti nell'opinione pubblica l'attenzione e la sensibilità rispetto a questi temi.
Allora, se per la responsabilità che abbiamo verso il nostro Paese dobbiamo compiere le scelte necessarie rispetto all'efficacia dello strumento militare, alla cooperazione con gli altri Paesi europei e alla necessità che il nostro ruolo sia all'altezza negli organismi internazionali e nelle responsabilità che abbiamo, noi non dobbiamo mai considerare irrilevante il Pag. 21ripetere quanto queste ragioni non solo non siano in contrasto, ma siano, per come noi lo intendiamo, a servizio di una politica effettiva di cooperazione, di pace e di aiuto a una convivenza pacifica.
In sostanza, signor Ministro, credo che questo strumento militare che abbiamo esaminato in fretta, ma non in modo superficiale, bensì in modo intenso, sia un intervento che debba trovare il nostro consenso, insieme all'avvertenza e alla nota che lasciamo una traccia importante di lavoro per la prossima legislatura, fatta dei punti ancora aperti e della necessità che l'intervento, oggi determinato sulla base dell'urgenza, trovi una sua compiutezza nelle scelte dei prossimi anni (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Laganà Fortugno. Ne ha facoltà.

MARIA GRAZIA LAGANÀ FORTUGNO. Signor Presidente, signor Ministro, è da tanti anni che la questione riguardante la revisione dello strumento militare ha acquisito un carattere non solo di grandissima importanza, ma anche di massima urgenza, sia per gli aspetti di carattere economico-finanziario, sia per quelli attinenti alla funzionalità e all'efficacia dello strumento stesso. Questi aspetti sono correlati agli obiettivi di sicurezza e difesa nazionale e internazionale, in virtù degli accordi di alleanza sottoscritti dal nostro Paese.
L'attuazione di una idonea revisione, a fronte, da un lato, della mutata situazione geopolitica strategica e, dall'altro, del subentrare di una situazione di crisi economica che ha pervaso, in maniera sempre più pesante, i Paesi occidentali e che fino ad ora ha visto, purtroppo, soltanto l'adozione di tagli lineari al bilancio della difesa, che ovviamente hanno avuto notevoli ripercussioni negative, è diventata ora indilazionabile per il perdurare e per l'aggravarsi della crisi stessa.
Il documento proposto dal Ministro Di Paola conferisce al Governo la delega per l'adozione di decreti legislativi finalizzati a disciplinare nel dettaglio la revisione dello strumento militare, al fine di renderlo sia più sostenibile per quanto riguarda una razionale ed equa assegnazione dei fondi, sia più rispondente agli obiettivi prefissati in termini di rapporto costo-efficacia. È prevista una più razionale organizzazione di tutto il Ministero della difesa, attraverso l'accorpamento di enti che svolgono funzioni simili in un'ottica interforze - e qui, signor Ministro, mi permetto di dirle di vigilare perché questa integrazione interforze non sia solo di facciata, ma consenta un ottimale impiego delle risorse senza duplicazioni inutili - e l'eliminazione e la riduzione di quelle componenti le cui funzioni non sono più necessarie o basilari come in passato perché non più rispondenti alle nuove esigenze.
Si prevede, anche, di operare una significativa riduzione degli organici del personale militare, che vede una notevole esuberanza in alcuni ruoli e in alcuni gradi; si tratta di un taglio di circa 35 mila uomini. Infine, è stabilito che si riveda sulle base delle possibili minacce e delle strategie, ma anche dei bacini di provenienza del personale militare, la dislocazione sul territorio nazionale degli enti, dei reparti e dei rispettivi supporti logistici.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

MARIA GRAZIA LAGANÀ FORTUGNO. Mi avvio a concludere, signor Presidente. Auspico che il Governo tenga conto di tutte le questioni che non ho potuto approfondire e che garantisca al Parlamento la possibilità di svolgere la sua funzione fondamentale, stabilita, tra l'altro, dalla Costituzione (Applausi di deputati del gruppo Partito Democratico).
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Laganà Fortugno, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti. Pag. 22
È iscritto a parlare l'onorevole Recchia. Ne ha facoltà.

PIER FAUSTO RECCHIA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor Ministro, siamo chiamati, in queste ore, a discutere e a licenziare la delega al Governo per procedere alla revisione dello strumento militare. Si tratta di una delega importantissima vista la portata del provvedimento e considerati gli effetti che esso produrrà sulla struttura delle nostre Forze armate e sulla loro organizzazione.
Prima di entrare nel merito del provvedimento penso sia utile ricordare all'Aula come siamo arrivati fino a qui, perché sento, in alcuni interventi dei colleghi, la voglia di porre, oggi, al Governo questioni relative alle grandi scelte, quelle «di scenario», per poter dire poi quali sono le Forze armate che servono a questo Paese.
Sarebbe una discussione che meriterebbe di essere fatta, ma che oggi mi pare un po' fuori tempo. Non è difficile, infatti, riconoscere come questo provvedimento si sia reso necessario a partire dalla carenza delle risorse che il Governo e il Parlamento hanno inteso destinare a questo settore ben prima del manifestarsi della crisi economica che stiamo attraversando. La contabilità ci dice che le risorse destinate alla Difesa sono andate decrescendo dal 2007 ad oggi, e che la percentuale sul PIL sia molto al di sotto della media europea (0,84 per cento contro 1,61). La congiuntura, invece, ci dice come questi numeri non possono crescere nell'immediato futuro; rischiano, viceversa - e noi speriamo di no - di doversi contrarre ulteriormente. Consentitemi, tuttavia, di ricordare a tutti voi, anche a quelli che oggi sembrano un po' distratti, come praticamente all'inizio della legislatura, attraverso il decreto-legge n. 112 del 2008, il Ministro Tremonti impose un taglio lineare alla Difesa di tale entità che tutti - e dico tutti, compresa gran parte della maggioranza - dicemmo che tale taglio rischiava di mettere in ginocchio le Forze armate. Sto parlando del 2008, cioè, lo ripeto, prima che la crisi si manifestasse con tutta la sua forza. Non sto qui a ricordare i numeri, oggi non avrebbe più senso, ma da quel momento in poi noi del Partito Democratico lanciammo un grido di allarme: un taglio di risorse di questa dimensione - dicemmo - produrrà degli effetti impliciti sullo strumento militare, modificandone la sua capacità operativa. «Modificherà il modello di difesa», dicemmo allora in modo un po' improprio, e manifestammo la preoccupazione di non ridurre l'efficienza delle nostre Forze armate partendo dalle risorse messe a disposizione senza che una decisione di tale portata fosse affidata ad un dibattito profondo nel Parlamento e nel Paese, che affrontasse il tema nella sua complessità. Chiedemmo, allora, che venisse rovesciata l'impostazione: facciamo come si dovrebbe fare, come fanno gli altri Paesi, quelli a noi comparabili, quando si occupano di questa materia, cioè partire dalle minacce per definire gli obiettivi, e poi vengono uomini, mezzi e risorse. Diciamo quello che secondo noi serve al nostro Paese in termini di sicurezza all'interno del contesto internazionale, della situazione geopolitica, dell'irrilevanza dei confini nazionali per effetto della globalizzazione. Diciamo quello che pensiamo rispetto al ruolo che vogliamo giocare sulla scena mondiale, se e come intendiamo giocare il nostro ruolo, assumerci le nostra parte di responsabilità per garantire quella sicurezza.
Diciamo quello che pensiamo del nostro rapporto con la NATO, con l'Europa, senza infingimenti, confermando la scelta di appartenere al Patto atlantico sapendo che il problema non è starci o non starci, ma come ci si sta, e anche in Europa, ponendoci come obiettivo strategico quello di rafforzare la cooperazione e l'integrazione nel campo militare, per giungere nel più breve tempo possibile alla difesa europea, certo imprescindibile. Riconoscendo, però, anche l'insufficienza e l'arretratezza di questo processo, per non far riferimento a falsi miti o inesistenti modelli di difesa europei di cui ho sentito parlare oggi, qui, nel nostro dibattito, e che non esistono, perché purtroppo - lo ripeto, purtroppo - non esistono ancora. Pag. 23Abbiamo detto: dateci una sessione parlamentare per discutere di questo; ma dalla maggioranza di allora non c'è stata alcuna risposta, e in quella maggioranza c'era anche la Lega Nord. Poi, ad un certo punto, il Ministro La Russa costituì la commissione di alto profilo, che mise intorno ad un tavolo vertici militari, di Governo ed esperti, per tirare fuori una riforma. Sui lavori di quella commissione si creò un'attesa, dico anche una preoccupazione per il mancato coinvolgimento del Parlamento, ma comunque un'attesa, e invece la montagna partorì il topolino. Nel corso di un'audizione di fronte alle Commissioni difesa di Camera e Senato riunite, il Ministro La Russa ci raccontò degli esiti di quel lavoro e apparve chiaro subito come le attese erano state tradite. Della riforma del modello, come si diceva allora, era rimasta una piccola riorganizzazione interna al Dicastero. L'audizione fu poi sospesa, con l'impegno del Ministro di riconvocare le Commissioni per concluderla, ma non fummo mai più convocati. Allora decidemmo di riprovarci noi, mettendo a disposizione del Parlamento uno strumento, la bicamerale, capace di far svolgere in Parlamento quel dibattito e quel confronto sul ruolo e sulla funzione di Difesa che io e che tutti noi riteniamo indispensabili per il nostro Paese, ma nulla fu fatto.
Presidente, mi sono dilungato, e me ne scuso, sul passato recente, ma l'ho fatto non solo perché penso che abbiamo perso un'occasione, ma perché oggi, lo ammetto, mi sorprende sentir parlare di scenari geopolitici, nuove minacce e vedere improvvisamente fiorire soluzioni alternative forse solo per poter dire che questa delega non va bene, che andrebbe fatto diversamente.
Colleghi, abbiamo avuto tutto il tempo per fare bene e nell'ordine giusto. Abbiamo avuto una legislatura a disposizione. Ora dobbiamo dire, francamente, che il tempo è scaduto. E sto alle cose che ha detto il Ministro ripetutamente e che condivido: alle condizioni date, e cioè con le risorse che lo Stato destina alla funzione Difesa, e immaginando che queste non potranno crescere nei prossimi anni, noi non siamo in grado di mantenere le nostre Forze armate allo stesso livello di capacità operativa. Il problema è tutto qua. È semplice ed è complicato, ma è tutto qua.
Non si tratta di una riforma del modello di Difesa, e noi oggi qui non siamo chiamati a discutere del livello di ambizione del Paese, che rimane quello, delle minacce e degli obiettivi, che rimangono intatti, e delle nostre scelte strategiche, che ci vedono impegnati in Europa e nella NATO, oltre che con le Nazioni Unite, e che rimangono le medesime. Oggi, mantenendo fermi i compiti che affidiamo alle Forze armate e con le risorse date, non possiamo non intervenire. Non possiamo, nell'immobilismo, rischiare di far perdere capacità operativa al nostro strumento militare.
Noi, signor Ministro, ci sentiamo di condividere questa impostazione ed è per questo che abbiamo lavorato sodo al Senato e, per quel che ci riguarda, insieme al Senato, per apportare alcune modifiche al testo originario, modifiche di assoluto rilievo, e lo abbiamo fatto sempre con l'impegno di completare l'iter, perché ne comprendiamo l'urgenza. Certo, sappiamo bene che ci troviamo di fronte ad una revisione consistente, una revisione che cerca di riportare in equilibrio un sistema che in equilibrio non riesce ad essere per problemi strutturali.
Il peso che il personale ha sul bilancio della Difesa è evidentemente troppo pesante rispetto ad un modello di riferimento riconosciuto in ambito europeo e in cui al personale dovrebbe essere destinato il 50 per cento delle risorse. In Italia, lo sappiamo, siamo sopra di 20 punti, così come sappiamo - perché lo sappiamo da anni - che le spese di esercizio sono ormai sotto il livello di guardia e nel campo della Difesa l'esercizio è decisivo. Senza addestramento, senza manutenzione dei mezzi e senza equipaggiamento lo strumento non funziona, anche in termini di sicurezza del personale.
È quindi necessaria la riduzione delle dotazioni organiche, necessaria quanto dolorosa. Pag. 24È vero che tocca al personale il sacrificio più grande di questa revisione, sia quello militare, che quello civile, e che tutto è reso più complicato - come hanno detto anche i colleghi - dalla spending review e soprattutto dalla riforma pensionistica. Non possiamo, tuttavia, non considerare quanto si è fatto nella delega e quanto si potrà fare attraverso i decreti delegati.
Noi ci apprestiamo ad indicare le linee guida di una riforma che si articolerà nel tempo, un tempo che ci appare congruo (si realizza nel 2024), ma che contiene una norma, una sorta di clausola di salvaguardia, che consente di allungare il termine più avanti, venendo incontro a molte delle preoccupazioni espresse dai militari coinvolti e rappresentata con forza dai CoCeR. La cornice è sufficiente, quindi, e flessibile per consentire l'emanazione di provvedimenti che diano sostanza alla specificità del comparto, cercando di ridurre al minimo gli effetti negativi sul personale attraverso i decreti delegati.
Ed è proprio sui decreti delegati che vorrei dire una cosa sul punto relativo al rapporto tra il Governo e il Parlamento, al quale il Ministro non si è mai sottratto. Noi prendiamo atto delle parole che il Ministro ha voluto ribadire, una volta in più, in Commissione, durante la discussione di questo provvedimento, confermando l'intenzione del Governo di non procedere ai decreti senza avere acquisito il parere delle Commissioni competenti. Questo impegno ci porta al di fuori dal rischio di applicare le regole del silenzio-assenso. Se non saremo noi a dare il parere, sarà il prossimo Parlamento.
Fatemi dire un'ultima cosa sul tema degli investimenti e dei programmi d'arma che ha suscitato diverse polemiche. Questa delega contiene una novità di rilievo, diretta conseguenza dell'indagine conoscitiva sui sistemi d'arma che abbiamo condotto in Commissione difesa qui alla Camera in questa legislatura. Il Senato, infatti, ha approvato una norma che modifica di fatto la «legge Giacché», rafforzando il ruolo di controllo del Parlamento sui sistemi d'arma, prevedendo il doppio parere obbligatorio delle Commissioni competenti e consentendo che la maggioranza qualificata possa determinare la sospensione del programma. Anche questa è un'innovazione di assoluto rilievo. Noi pensiamo sia stato fatto un buon lavoro.
Certo, tutto si può migliorare e questo vale sempre, ma il passaggio è obbligato. Il resto lo faremo insieme, con i decreti che discenderanno dalla delega. Chiudo, signor Presidente, con una speranza, un auspicio: che prima o poi anche qui da noi, in Italia, come avviene in altri Paesi a noi comparabili per impegno e assunzione di responsabilità, riusciremo a dedicare a questo settore di importanza fondamentale per lo Stato lo spazio che merita (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Sarubbi. Ne ha facoltà.

ANDREA SARUBBI. Signor Presidente, parto da lontano: due anni e mezzo fa, Savino Pezzotta ed io presentammo una mozione, che chiamammo mozione Colomba e che arrivò in quest'Aula il 28 marzo scorso. La mozione approvata - poi, in realtà, divenuta risoluzione per qualche inghippo procedurale, però il senso rimane quello - era un po' più morbida di quella inizialmente presentata, ma ci sembrò comunque un bel passo in avanti perché impegnava il Governo - leggo testualmente - a «subordinare qualunque decisione relativa all'assunzione di impegni per nuove acquisizioni nel settore dei sistemi d'arma al processo di ridefinizione degli assetti organici, operativi e organizzativi dello strumento militare italiano». Per dirla con le parole della «Tavola della pace», della «Rete disarmo» e di tutte le associazioni che invitavano in quei giorni il Parlamento a resistere alla tentazione di giocare a risiko con i cacciabombardieri, prima discutiamo compiti e obiettivi delle nostre Forze armate e poi decidiamo gli acquisti di cui abbiamo bisogno.
Oggi, in teoria, dovrebbe essere una bella giornata: è il giorno in cui, appunto, discutiamo tutti insieme compiti e obiettivi Pag. 25delle nostre Forze armate. La realtà è invece diversa. Innanzitutto, per quanto non ignori la richiesta del Consiglio supremo di difesa, formulata pochi giorni fa, di approvare questa riforma entro fine legislatura, mi riesce molto difficile spiegare ai miei quattro elettori, e anche a me stesso, come mai questo Parlamento riesca a marciare così veloce quando si tratta di spese militari e poi si impantani sulle riforme più attese. Inoltre, ed è questa la mia critica principale, io davvero pensavo che avremmo discusso il modello di difesa tutti insieme. Tutti insieme: lei, signor Ministro ammiraglio, ed io, obiettore di coscienza a mani nude, provvisoriamente deputato della Repubblica. Non avevo capito, perché non c'era scritto da nessuna parte, che il Parlamento avrebbe firmato una carta quasi in bianco - e se non è proprio in bianco il merito è del Partito Democratico - al Ministro della difesa, quando ormai la legislatura sta per finire, e che gli avremmo detto di pensarci lui. No, non era questo che noi intendevamo quando parlavamo di revisione dello strumento militare.
Come gli addetti ai lavori ricorderanno e come tutto il mondo pacifista sa bene, la proposta iniziale del PD, più di un anno fa, era quella di formare addirittura una «bicameralina». La revisione dello strumento militare è una cosa seria e quindi bisognava farla bene, affidando al Parlamento il compito di procedere ad una revisione complessiva del modello militare, partendo dagli scenari internazionali e dai nostri obiettivi strategici. Perché il Parlamento rappresenta tutta la nazione, tutte le sensibilità che, in modo particolare sulla difesa, nell'opinione pubblica sono davvero variegate. L'idea della «bicameralina» è purtroppo saltata per colpa di chi qua dentro è ancora maggioranza, fortunatamente ancora per poco, ma non viene meno l'esigenza che sia appunto il Parlamento a riscrivere una strategia di sicurezza nazionale. E dovrà avvenire nella prossima legislatura.
Non solo il Parlamento qui rischia di non toccare palla, ma all'inizio questa revisione dello strumento militare assomigliava terribilmente a un blitz, che per fortuna al Senato è stato ridimensionato. Mi riferisco alla possibilità di acquistare armi da parte del Ministero della difesa. Inizialmente si pensava a un parere solo consultivo delle Commissioni parlamentari, ora - e di questo ringrazio davvero i miei colleghi senatori che ci hanno lavorato - si dà la possibilità al Parlamento di bloccare un programma d'acquisto deciso dal Governo, se questo programma non convince. Finalmente arriva un po' di trasparenza, anche se la maggioranza richiesta è qualificata e anche se, come ho cercato di argomentare finora, mi sarebbe piaciuto che questo criterio valesse per tutto il contenuto del provvedimento, per tutta la revisione dello strumento militare.
L'ultimo punto di grande preoccupazione, da parte mia, riguarda la tempistica. Non voglio sminuire il ruolo del Governo - anche se ha una data di scadenza prossima, è un Governo nella pienezza dei poteri -, ma mi pare una leggerezza la previsione del silenzio-assenso, il fatto, cioè, che prima il Ministro uscente scriva da solo i decreti attuativi e poi, nel momento in cui le Camere si sciolgono, questi decreti attuativi entrino in vigore perché il Parlamento è stato zitto. So che il Ministro si è impegnato ad accogliere un ordine del giorno del Partito Democratico che lo impegna a non avvalersi di questo silenzio-assenso, ma un ordine del giorno, come sappiamo, è cosa diversa da un testo di legge. E in ogni caso, per quanto mi riguarda, rimane un motivo di opportunità. Con un Governo e una legislatura ormai agli sgoccioli, con una maggioranza - e, dunque, mi auguro, anche una linea politica - che è in procinto di cambiare, noi mettiamo mano oggi allo strumento militare, rischiando poi di dover ricominciare da capo tra qualche mese. Ha senso tutto questo, in un momento così difficile per l'Italia? Secondo me no, signor Presidente e signor Ministro, e per questo motivo - pur riconoscendo davvero al mio partito un ruolo importante nel miglioramento del testo - sto pensando seriamente di non votare questo provvedimento.

Pag. 26

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche dei relatori e del Governo - A.C. 5569)

PRESIDENTE. Prendo atto che i relatori, onorevoli Cirielli e Garofani, rinunziano alla replica.
Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

GIAMPAOLO DI PAOLA, Ministro della difesa. Signor Presidente, onorevoli deputati, vi ringrazio per i vostri interventi e per i vostri commenti, che ho ascoltato con estrema attenzione. Questo disegno di legge, che è oggi in Aula e che auspico possa trovare l'approvazione dell'Assemblea, è un provvedimento di estrema importanza. Credo che le cose che ha ricordato l'onorevole Recchia inquadrino esattamente la natura del programma. Però, prima di fare dei commenti e rispondere alle osservazioni che sono state fatte, vorrei ringraziare i due relatori: l'onorevole Cirielli, presidente della IV Commissione (Difesa), e l'onorevole Garofani che è stato correlatore, per il lavoro importante che hanno fatto.
È vero che è stato un lavoro condotto in tempi contratti, però è stato approfondito e sono state fatte notevoli obiezioni. Non dobbiamo dimenticare, al di là della sovranità ovviamente di ciascun ramo del Parlamento, il grande lavoro di interazione che c'è stato durante la discussione in Senato. Il provvedimento, se verrà approvato anche da quest'Aula, non sarà il frutto soltanto del dibattito che è avvenuto in Commissione difesa alla Camera e che sta avvenendo in quest'Aula, ma è anche il risultato del grande lavoro che è stato fatto in Commissione difesa prima e in Aula dopo al Senato. Credo che questo non dobbiamo dimenticarlo.
Perché ora, perché questo modello, perché questa riforma? Questa non è una revisione del modello. Io ho sempre detto che sono sempre stato favorevole all'attuazione di un «libro bianco», che però è un qualcosa che fanno il Parlamento e il Governo. Non è un qualcosa che fa il Ministro della difesa, non è un documento del Ministro della difesa, ma è un documento di massima del Governo e del Parlamento e, se non ci sono state le condizioni, me ne rammarico come italiano e come Ministro, ma credo di non potermene assumere la responsabilità.
Questa è una revisione dello strumento che tiene conto del modello che il Parlamento ha approvato con i suoi compiti e, fin quando non ci saranno un nuovo modello e nuovi compiti, per me, come Ministro della difesa, sono in vigore e validi i compiti e le realtà che sono nella legge attuale. A proposito dell'articolo 1, vorrei rispondere all'onorevole Di Stanislao, che ha messo in dubbio il fatto che si voglia costruire uno strumento più efficace e che anzi il disegno di legge sia contraddittorio; vorrei dire che questa riforma tiene esattamente conto dei compiti dell'attuale legge istitutiva del modello di difesa da 190 mila, che premette compiti e responsabilità (e, quindi, funzioni), con le risorse che questo Parlamento, e i Parlamenti che l'hanno preceduto (perché questo è un trend che dura da almeno un decennio o giù di lì) gli hanno destinato. Cerca, quindi, di portare in coerenza, in efficienza e in efficacia, il sistema con i compiti che questo Parlamento sovrano ha affidato alle Forze armate.
Si parla molto e giustamente di riferimento europeo e transatlantico. Non mi risulta che questi riferimenti concettuali siano cambiati. Anzi, sono tuttora validi, ma posso assicurare che quando io vado in Europa o sempre a Bruxelles o alla NATO, i riferimenti che ci vengono dati sono relativi all'avere delle Forze armate che siano in grado di operare con gli altri strumenti europei. Gli strumenti europei, che sono lo strumento francese, inglese, tedesco, olandese, norvegese, sono strumenti che si stanno muovendo in questa direzione, cioè in una direzione di coerenza e di qualità della spesa militare. Pag. 27
Se oggi abbiamo questa riforma, se voi la approverete e se ne arriverà naturalmente all'attuazione con i decreti delegati, è perché ci vogliamo proprio collocare in questo quadro di integrazione dentro l'Unione europea.
Il Presidente Monti tra due giorni sarà a Bruxelles, al Consiglio europeo; certo il Consiglio europeo avrà centrali altri temi - i temi della finanza ed i temi dell'economia -, però questa volta e per la prima volta al Consiglio europeo - ho davanti a me le bozze, la proposta di quello che sarà il testo approvato poi dai presidenti e non credo che avrà, almeno su questo aspetto, profondi cambiamenti - si parla e ci sono tre pagine dedicate alla difesa, alle capacità di difesa europee, alla necessità di rafforzare le capacità di difesa europee. Quando si parla di capacità militari - lo dico con il massimo rispetto all'onorevole Sarubbi - si parla di capacità militari, si parla di capacità operative per l'oggi e per il domani, si parla quindi di quelle capacità che richiedono tecnologia, richiedono investimenti e richiedono quindi anche strumenti militari efficaci, e quando giustamente è stato ricordato - credo dall'onorevole Giacomelli - che la forza è l'ultima ratio, certamente l'uso della forza è l'ultima ratio, ma quando quella ratio viene decisa dal Parlamento la forza ci deve essere, la forza non si va a comprare in quel momento al supermercato, la forza è il risultato di una programmazione di lungo termine, di una programmazione che richiede chiarezza di indirizzi e chiarezza e stabilità di risorse.
È questo che si cerca di fare, un provvedimento che cerca di portare in coerenza lo strumento militare italiano di domani, perché qui nel piano c'è lo strumento militare di domani, non quello di oggi, così come oggi, se noi - come è stato riconosciuto da tanti onorevoli qui presenti - siamo in grado di fare dignitosamente la nostra parte insieme agli alleati europei ed atlantici è perché dieci o quindici anni fa sono state fatti le scelte e gli investimenti che hanno permesso oggi di fare questo, ma nessuno più di me - nessuno più di me - ricorda e ritiene la risorsa umana - lo dico all'onorevole Di Stanislao - come fondamentale, ma la risorsa umana è fondamentale non per i numeri, è fondamentale se quella risorsa che ho e che posso sostenere la formo, la educo, la addestro e le dò i mezzi per poterlo fare. Se oggi in Afghanistan o ieri in Libia certe cose - sopra la Libia - sono state fatte, è perché quegli uomini che hanno volato, quegli aerei o quegli uomini che oggi sono in Afghanistan e conducono quelle missioni lo fanno perché sono stati addestrati, sono stati formati, ci sono delle risorse anche per il loro benessere e ci sono i mezzi perché loro possano operare con gli altri. Senza tutto questo possiamo avere pure 300 mila uomini o 400 mila, non servirebbe a niente. Quindi io dico, partiamo proprio da quegli uomini a cui noi tanto teniamo e che sono la nostra risorsa, mettiamoli in condizione di essere risorsa, e non soltanto una presenza fisica. Questo è quello che stanno facendo gli altri Paesi europei come la Francia; certo, sono orgoglioso che la Francia abbia fatto un «libro bianco», io non lo nego, ma la Francia, la Germania, la Gran Bretagna, l'Olanda su queste linee si stanno muovendo, quindi diciamo che non mi arrogo nessun merito, forse sono soltanto uno che guarda, sente e sa giudicare laddove gli altri Paesi prima di noi e meglio di noi la direzione l'hanno presa.
Dico questo perché questo è il senso profondo del provvedimento. Questo è il senso profondo del provvedimento: portare in coerenza ciò che noi abbiamo, ciò che possiamo permetterci con le grosse linee di sviluppo europee ed atlantiche. Io riconosco che il personale richiede l'attenzione, ma è proprio perché io voglio essere attento a quel personale che domani sarà il cuore delle nostre Forze armate che ritengo questa riforma necessaria.
Sono state apportate modifiche importanti nel dibattito in Senato, gli emendamenti fatti e che l'Aula ha approvato, e ricordo con piacere che l'Aula ha approvato a grande maggioranza questo provvedimento.
Certamente, il controllo sui programmi di investimento. A volte sento dire che il Pag. 28Governo si vuole sottrarre, che il Governo vuole avere mano libera e vuole fare quello che vuole, ma io non credo - certamente parlo per questo Governo - che sia così. Fino a ieri, anzi fino ad oggi, c'è una legge, la «legge Giacché», che peraltro è stata approvata da questo Parlamento, e al quale i programmi venivano portati, perché non ci sono mai state acquisizioni di nascosto e sotto il tavolo. I programmi sono sempre stati portati all'attenzione del Parlamento nell'ambito e nelle forme che la legge fino ad oggi consente. Questo vale per me e per tutti i Ministri ed i Governi che mi hanno preceduto.
Con l'assunzione di maggiore controllo ed incisività io sono favorevole e dico anche - ma questa è un'ovvietà - che questo Parlamento, nell'assumere, giustamente, una maggiore intensità di controllo, ne assume anche una maggiore responsabilità, perché c'è corresponsabilità anche nell'assunzione di scelte difficili su sistemi che a volte possono sembrare inutili, ma che sono importanti per lo strumento militare di un Paese come l'Italia. Noi non siamo - e lo dico con il massimo rispetto - né il Liechtenstein, né l'Andorra, e cito Paesi che non appartengono né all'Unione europea né alla NATO, così non tocco la suscettibilità di nessuno. Noi siamo l'Italia, siamo uno dei Paesi fondatori dell'Unione, siamo uno dei grandi Paesi dell'Unione, siamo un Paese che ha anche una sua tradizione e una sua storia di operatività militare. Questo comporta anche scelte che, a volte, possono sembrare non popolari, ma che vanno nel solco di queste esigenze di questa intensità. Quindi, ben venga un più ampio controllo del Parlamento, ben venga, con una correlativa consapevolezza maggiore su scelte che, a volte, possono risultare non facilmente popolari.
Così come ben venga la flessibilità, che peraltro - devo dire almeno questo - era già inserita nella proposta del Governo ed è stata rafforzata in Parlamento. Mi riferisco alla flessibilità nella programmazione temporale di questo provvedimento. Nessuno può pensare, da qui a dieci anni, esattamente quali saranno le dinamiche che coinvolgeranno il nostro personale in termini di uscita, di persone che volontariamente chiederanno di lasciare le Forze armate, che per altri motivi saranno costrette a lasciare o che magari sceglieranno altri tipi di lavoro. Quindi, ci sono dinamiche, nell'arco di dodici anni, non prevedibili, a parte - e giustamente apprezzo quello che hanno detto al riguardo gli onorevoli Bosi e Mogherini - che ci sono provvedimenti che sono intervenuti, quali non tanto la spending review, che ha - tutto sommato - una sua coerenza, quanto il provvedimento sull'armonizzazione, o i provvedimenti sul turnover, che creano delle dinamiche di interrelazione. Quindi, la flessibilità è necessaria.
Su questi punti vorrei ricordare che, per il turnover, il Governo si è adoperato, e nel disegno di legge di stabilità - perlomeno nella versione approvata - è stata inserita una modifica al Senato, che consente di allentare la durezza della norma del turnover, che era nel provvedimento sulla spending review, e questo grazie all'intervento di tanti onorevoli e senatori che hanno lavorato e grazie all'azione del Governo e di questo Ministro che vi parla.
Quanto al provvedimento di armonizzazione, questo deve ancora passare: è un regolamento che questo Parlamento ha disposto che venisse preparato - lo sapete meglio di me - dai Ministri competenti, è un regolamento sul quale ci siamo confrontati anche nell'ambito del Governo, è un regolamento che adesso va all'attenzione - passato il Consiglio di Stato - delle Commissioni, e voi avrete in quella sede l'occasione di esprimere le vostre valutazioni e il Governo, nella sua totalità, farà le sue valutazioni.
Ma proprio perché c'è anche questo provvedimento che ancora non è finito, che ancora è in apertura, è giusto che ci sia nel disegno di legge di delega una flessibilità, proprio per tenere conto di quelle che potranno essere le eventuali incidenze e implicazioni.
E lo dico con chiarezza, e lo dico, in particolare, all'onorevole Di Stanislao, a cui mi lega un grande rispetto, anche Pag. 29quando abbiamo dissenso nelle idee: lui ha usato una parola che, se mi permette - lo so, forse gli è scappata -, mi ha leggermente toccato. Io non sono un parolaio! Io posso dare la parola, la mia parola può essere creduta o meno, ma io non sono un parolaio e la mia parola l'ho data in Commissione e la do in quest'Aula, che i provvedimenti, i decreti, non saranno da me proposti in assenza delle Camere e, quindi, approfittando del silenzio assenso. Questo non avverrà mai, e se non avverrà con me inevitabilmente avverrà con un altro Governo e, quindi, su questo punto di vista non vi può essere dubbio.
Detto questo, noi ci stiamo adoperando molto, come Governo, per cercare di portare avanti una maggiore integrazione europea. Però, l'integrazione europea è un percorso che nel campo della difesa, al di là delle dichiarazioni, è un percorso ancora all'inizio. È un percorso che richiederà il lavoro dei Parlamenti nazionali, il lavoro dei Governi e la volontà di tutti quanti gli europei, di costruire una realtà di difesa europea, ma una realtà di difesa europea, effettivamente, non si costruisce se non vi è una più grande realtà politica, perché nel momento in cui vi fosse una difesa europea, intesa come una difesa dell'Europa, allora vorrà dire che vi sarà un'autorità politica, un Parlamento europeo che decide l'uso o il non uso della forza. Oggi, in questo momento, i percorsi della dimensione della sicurezza e della difesa sono ancora percorsi intergovernativi, intergovernativi! Quindi, i percorsi che bisogna portare insieme a fusione sono la volontà, il sentire e le differenze di 27 - diconsi 27 - Paesi, che hanno storie e visioni non sempre coincidenti.
L'Italia è sulla linea del fronte della spinta a una dimensione europea, in un quadro di forte legame transatlantico. Oggi questo strumento, mentre si realizza questo percorso politico - se e quando si realizzerà -, cosa tende a fare? Tende a creare le condizioni perché, quando vi sarà questo percorso politico, gli strumenti militari siano sufficientemente omogenei per poter allora facilmente arrivare all'integrazione. Quindi, questo disegno di legge, che io sottopongo alla vostra attenzione, è in questa direzione, questo intende perseguire. Vi ringrazio (Applausi).

PRESIDENTE. Secondo quanto precisato in sede di Conferenza dei presidenti di gruppo, il seguito dell'esame del provvedimento sarà iscritto all'ordine del giorno della seduta di martedì prossimo, 11 dicembre, con priorità rispetto agli altri argomenti.
Dovremmo sospendere, a questo punto, la seduta, che riprenderà alle ore 15, con lo svolgimento di interrogazioni a risposta immediata, e alle ore 16 per l'esame del decreto-legge recante disposizioni urgenti in materia di finanza e funzionamento degli enti territoriali.

Sull'ordine dei lavori (ore 12,18).

ETTORE ROSATO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ETTORE ROSATO. Signor Presidente, signor Ministro, approfitto di questa precisazione, che mi è data dalla possibilità di intervenire sull'ordine dei lavori, per dirle una cosa, signor Ministro. Io sono molto soddisfatto, noi siamo molto soddisfatti del lavoro fatto sullo sblocco del turnover. Però, vorrei ricordare che lo sblocco del turnover è passato in quest'Aula con il parere contrario del Governo. Quindi, sarebbe utile, veramente utile, per riuscire a far sì che lo sblocco del turnover sia efficace ed effettivo, che al Senato vi sia una collaborazione da parte del Governo.
So che lei si era impegnato personalmente, e di questo bisogna darle atto. Tuttavia, auspico che, nella collegialità, il Governo esprima una valutazione positiva e che questo ci consenta di assumere tanti ragazzi che, come lei ben sa e come ha bene ricordato nel suo intervento, hanno diritto ad avere l'assunzione, anche perché vincitori di concorso (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Sospendo la seduta.

Pag. 30

La seduta, sospesa alle 12,20, è ripresa alle 15.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROSY BINDI

Svolgimento di interrogazioni a risposta immediata.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di interrogazioni a risposta immediata, alle quali risponderanno il Ministro per i rapporti con il Parlamento, il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca e il Ministro dello sviluppo economico, delle infrastrutture e dei trasporti.

(Intendimenti del Governo in merito all'ipotesi di svolgimento nella stessa data delle elezioni regionali del Molise e di altre regioni - n. 3-02637)

PRESIDENTE. L'onorevole Di Pietro ha facoltà di illustrare la sua interrogazione n. 3-02637, concernente intendimenti del Governo in merito all'ipotesi di svolgimento nella stessa data delle elezioni regionali del Molise e di altre regioni (Vedi l'allegato A - Interrogazioni a risposta immediata).

ANTONIO DI PIETRO. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, questa è la terza volta che chiediamo al Governo di rispettare le leggi e le sentenze fatte in nome del popolo italiano. Il 17 maggio 2012, con sentenza dichiarata immediatamente esecutiva, il TAR ha annullato le elezioni regionali del Molise. Nonostante fosse esecutiva, voi avete detto: dobbiamo aspettare l'appello. L'appello c'è stato il 29 ottobre 2012 e il Consiglio di Stato ha confermato che le elezioni erano illegittime. La seconda volta che vi abbiamo chiesto per quale ragione non rispettavate quella sentenza e quelle leggi ci avete detto: i giorni delle votazioni saranno stabilite dal Consiglio dei ministri e occorrerà coinvolgere anche il presidente della regione Lazio. Ma avete anche aggiunto che effettivamente il giorno delle elezioni per la regione Molise è una eventualità da porre in essere effettivamente, perché ci sono una sentenza e una legge che vanno rispettate. La domanda è: avete deciso di rispettarla? Quando convocherete e farete in modo che nella regione Molise i cittadini possano tornare a votare e scegliere democraticamente chi deve governare quella regione? È un anno che aspettiamo.

PRESIDENTE. Il Ministro per i rapporti con il Parlamento, Dino Piero Giarda, ha facoltà di rispondere.

DINO PIERO GIARDA, Ministro per i rapporti con il Parlamento. Signor Presidente, onorevoli deputati, l'interrogazione dell'onorevole Di Pietro chiede di conoscere quali sia l'orientamento del Governo in merito allo svolgimento delle consultazioni regionali nel Molise. La questione, come ha ricordato lo stesso onorevole interrogante, consegue alla necessità di dare esecuzione alla sentenza con la quale il Consiglio di Stato, nel confermare la decisione di primo grado, ha annullato le ultime votazioni regionali. In effetti, questa pronuncia rende assai peculiare la situazione del Molise rispetto a quella delle altre regioni, pure chiamate al rinnovo degli organi elettivi, soprattutto sotto il profilo della legittimità della prorogatio degli organi regionali. Il Governo, quindi, è ben consapevole della necessità di restituire quanto prima la parola agli elettori entro un termine tecnicamente compatibile con gli adempimenti di natura procedimentale che sono previsti dalle norme vigenti. In mancanza di specifiche norme regionali, il decreto di indizione delle elezioni dovrà essere adottato dal prefetto non oltre il cinquantesimo giorno antecedente la data fissata per la votazione. Queste considerazioni porterebbero ad individuare nel prossimo 27 gennaio la prima data utile per lo svolgimento delle consultazioni. Tuttavia, tenuto conto che taluni adempimenti elettorali verrebbero a Pag. 31coincidere con giornate festive o prefestive è bene valutare anche altre soluzioni che comporterebbero o potrebbero comportare un lieve differimento della data di votazione, sempre alla luce del principio prioritario dell'urgenza di risolvere la questione. Sono queste dunque le coordinate all'interno delle quali il Governo si muoverà per decidere al più presto la data delle consultazioni.

PRESIDENTE. L'onorevole Di Pietro ha facoltà di replicare.

ANTONIO DI PIETRO. Signor Presidente, signori del Governo, questo è il Governo dei professori, il Governo cioè di coloro che ci capiscono qualcosa. È quasi un anno che stiamo aspettando che il Governo ci dica quando deve indire queste elezioni. Questa idea, cioè che dovete riflettere su quando farle perché non riuscite a fare i calcoli, è una presa in giro.
L'ultima volta che noi ve lo abbiamo chiesto, all'inizio di novembre, ci avete risposto, testualmente (glielo leggo, signor rappresentante del Governo): Italia dei Valori, avete ragione! Siccome, però, si devono svolgere anche le elezioni per la regione Lazio, quando si faranno queste ultime faremo anche quelle per la regione Molise. Per la regione Lazio avete indetto, con un provvedimento governativo, il giorno delle elezioni; per le elezioni in Molise perché non lo avete indetto? Qui non si tratta di fare calcoli, ma si tratta di non sapere che pesci prendere, perché qualcuno, fuori dal Governo... non vi sta governando.
Voi non siete un Governo tecnico: siete un Governo asservito alle lobby dei partiti politici, e siccome questi non riescono a mettersi d'accordo fra di loro su come fare la legge elettorale, su chi deve fare il candidato presidente, su chi deve vincere a tutti i costi con il trucco, come è stato fatto la scorsa volta nella regione Molise, voi state prendendo tempo, affinché si trovi una soluzione, non per ridare ai cittadini il diritto di andare a votare, ma per sistemare quella casta che non vuole andare a casa.
Allora, io le ricordo che, nel frattempo, da un anno a questa parte, il governatore del Molise e la giunta molisana stanno prendendo provvedimenti in ordine ai quali sta agendo la procura della Repubblica per usurpazione di potere. Stanno cioè prendendo...sì, sì, non lo sa lei? Glielo dico io! Se lo ricordi: stanno facendo dei provvedimenti che non possono fare, vietati dalla legge, e voi state qui non a guardare... a fare i complici.
La prego, signor rappresentante del Governo, lo dica al Governo Monti: è un anno che c'è una regione non governata da chi legittimamente deve essere eletto dal popolo (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

(Misure per garantire le risorse necessarie al fabbisogno delle regioni per la copertura della cassa integrazione in deroga - n. 3-02638)

PRESIDENTE. L'onorevole Occhiuto ha facoltà di illustrare la sua interrogazione n. 3-02638, concernente misure per garantire le risorse necessarie al fabbisogno delle regioni per la copertura della cassa integrazione in deroga (Vedi l'allegato A - Interrogazioni a risposta immediata).

ROBERTO OCCHIUTO. Signor Presidente, signor Ministro, come sa bene lei, ma come sanno bene i cittadini italiani, le condizioni di recessione nelle quali versa il nostro Paese stanno producendo preoccupanti incrementi nei tassi di disoccupazione e nelle richieste di cassa integrazione in deroga.
Proprio per far fronte all'aumento di tali richieste, le regioni, qualche giorno fa, hanno siglato un'intesa con il Governo per finanziare appunto le autorizzazioni alla cassa integrazione in deroga. In quell'occasione, però, hanno denunciato che le risorse appostate per questa finalità sarebbero estremamente sottoutilizzate. Inoltre, molte regioni lamentano gravi ritardi nell'erogazione dei sussidi ai lavoratori e, soprattutto, vi sarebbe l'impossibilità di garantire sussidi anche per gli ultimi mesi del 2012. Pag. 32
Con questa interrogazione chiediamo cosa il Governo intenda fare per assicurare l'integrale copertura della cassa integrazione in deroga sia per il 2013 sia per il 2012.

PRESIDENTE. Il Ministro per i rapporti con il Parlamento, Dino Piero Giarda, ha facoltà di rispondere.

DINO PIERO GIARDA, Ministro per i rapporti con il Parlamento. Signor Presidente, onorevoli deputati, al fine di garantire la transizione verso il nuovo sistema di ammortizzatori sociali delineato dalla legge n. 92 del 2012, di riforma del mercato del lavoro, la normativa sugli ammortizzatori in deroga è stata prorogata per il periodo transitorio 2013-2016 e, a tale fine, è stato rifinanziato il Fondo sociale per occupazione e formazione per i seguenti importi: un miliardo per ciascuno degli anni 2013 e 2014, 700 milioni per l'anno 2015 e 400 milioni per il 2016.
Con riferimento all'annualità 2013, lo stanziamento di un miliardo di euro attualmente previsto dalla legge di riforma del mercato del lavoro è anche destinato ad interventi di sostegno delle imprese in crisi ed a tutela del reddito dei lavoratori entro un limitato ammontare, di poco superiore ai 150 mila euro.
Con riferimento alle risorse per l'anno in corso, si fa presente che per il 2012 risultano già stanziati un miliardo 300 milioni complessivi, di cui un miliardo per accordi regionali e circa 300 milioni per accordi stipulati direttamente presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
Tale dotazione complessiva verrà inoltre incrementata grazie alle risorse residue relative alle annualità 2009-2010-2011, al momento quantificabili in circa 350 milioni di euro.
A conferma dell'attenzione che il Governo rivolge al tema sollevato dagli onorevoli interroganti, si assicura l'impegno del Governo a valutare, con la massima disponibilità, eventuali iniziative parlamentari che, nell'ambito della legge di stabilità, siano volte a consentire che in sede di riprogrammazione degli interventi cofinanziati dai fondi strutturali per il periodo 2007-2013 oggetto del piano di azione e coesione, parte delle relative risorse sia destinata al finanziamento di ammortizzatori sociali in deroga nelle regioni, in tal modo andando nella direzione auspicata dagli onorevoli interroganti.
Con il medesimo impegno il Governo sta individuando ulteriori possibilità di intervento, anche attraverso la riutilizzazione e riallocazione di risorse, già presenti a legislazione vigente, per il rafforzamento degli ammortizzatori in deroga, in considerazione dei profili di criticità connessi all'attuale situazione occupazionale. In ogni caso, il Governo assicura, garantisce il massimo impegno perché possano essere assicurate le risorse necessarie a dare tutele e certezze ai lavoratori, alle parti sociali, ai territori, così come a rendere più tempestiva e veloce la definizione dei procedimenti, al fine di consentire una sollecita erogazione dei trattamenti, anche a fronte del loro evidente e notevole incremento legato all'andamento dell'economia.

PRESIDENTE. L'onorevole Occhiuto ha facoltà di replicare.

ROBERTO OCCHIUTO. Signor Presidente, Ministro, noi abbiamo avuto sempre un atteggiamento di grande disponibilità nei confronti del Governo, anche in ragione del fatto che ci rendiamo perfettamente conto delle difficoltà all'interno delle quali il Governo è chiamato ad operare, attese appunto le condizioni della finanza pubblica del Paese, però questa volta debbo dirmi solo parzialmente soddisfatto della sua risposta perché lei dice, in sostanza, che il Governo ha previsto una spesa di un miliardo di euro per il 2013, di un miliardo di euro per il 2014 e che nel 2012 ha impegnato già 1,3 miliardi di euro. Beh, le regioni, che autorizzano le procedure di cassa integrazione in deroga, sostengono che nel 2012 la spesa occorrente è stata di circa 2 miliardi di euro. È prevedibile che, siccome le condizioni di crisi del Paese sono destinate a protrarsi Pag. 33anche almeno per gran parte del 2013, questa spesa ci debba essere anche nel 2013, quindi le risorse sono assolutamente insufficienti.
Noi avevamo proposto, nella nostra interrogazione, che, per l'appunto, si riprogrammasse quota parte delle risorse del Fondo sociale europeo. Il Commissario europeo per l'occupazione e per le politiche sociali più volte ha lamentato la difficoltà del nostro Paese a spendere e a spendere bene queste risorse. Da un lato vi sono le risorse del Fondo sociale europeo, che spesso sono impegnate dalle regioni in progetti per le politiche attive del lavoro di dubbia efficacia, dall'altro vi sono migliaia di lavoratori che attendono un sussidio che è loro diritto avere.
Eravamo confortati dal fatto che il Viceministro Martone ci avesse assicurato l'impegno del Governo a proporre nella legge di stabilità la riprogrammazione di questi fondi, almeno per le regioni obiettivo convergenza. Avremmo voluto che anche lei ce lo confermasse oggi, perché guardi, Ministro - e concludo - quando si ha davanti una famiglia che lega la propria sussistenza al sussidio della cassa integrazione è difficile rispondere che il Ministero del lavoro e delle politiche sociali sta valutando cosa fare (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro per il Terzo Polo).

(Iniziative per garantire criteri trasparenti ed omogenei con riguardo al sistema d'accesso ai corsi di laurea a numero chiuso - n. 3-02639)

PRESIDENTE. L'onorevole Maggioni ha facoltà di illustrare l'interrogazione Dozzo n. 3-02639 concernente iniziative per garantire criteri trasparenti ed omogenei con riguardo al sistema d'accesso ai corsi di laurea a numero chiuso (Vedi l'allegato A - Interrogazioni a risposta immediata), di cui è cofirmatario.

MARCO MAGGIONI. Signor Presidente, signor Ministro, nei test di ingresso che si sono svolti il 4 settembre scorso si è evidenziato come, per accedere alle facoltà di medicina e chirurgia nei vari atenei del Paese, sia estremamente più facile accedere al sud rispetto al nord.
Ora, noi, con questa interrogazione, vogliamo chiedere se e come il Governo intende intervenire per porre fine a questa differenza.

PRESIDENTE. Il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, Francesco Profumo, ha facoltà di rispondere.

FRANCESCO PROFUMO, Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. Signor Presidente, onorevoli, sull'argomento oggetto della presente interrogazione, relativa alle prove di selezione per l'accesso ai corsi di laurea di medicina e chirurgia, è stato già riferito in occasione di precedenti risposte ad atti di sindacato ispettivo.
La questione viene oggi riproposta dagli onorevoli interroganti, i quali ritengono che il sistema in uso penalizzi gli studenti di alcune regioni del Paese e che l'aggregazione di sedi universitarie limitrofe, regolate dal decreto ministeriale n. 196 del 28 giugno 2012 non rappresenti una soluzione adeguata. A proposito si ricorda che, allo scopo di perfezionare il sistema di selezione per l'ammissione ai corsi di laurea ad accesso programmato, dallo scorso anno sono state adottate due innovazioni: primo, la sperimentazione di aggregazioni delle sedi; secondo la graduatoria unica per le aggregazioni.
Nell'anno accademico 2012-2013 il sistema delle aggregazioni è stato reso obbligatorio per tutte le sedi. Attraverso questi meccanismi l'assegnazione degli studenti al corso ed alla sede richiesti avviene secondo l'ordine di merito della graduatoria, formata al livello di sede aggregata. Il punteggio viene determinato dal Ministero per tutti i candidati con la stessa procedura, con ciò escludendo il rischio di una diversa valutazione della prova. L'ampliamento della graduatoria alle sedi aggregate consente di ridurre il fenomeno della non ammissione ai corsi di laurea di candidati che hanno conseguito un punteggio Pag. 34superiore rispetto a quello che risulta sufficiente in un altro ateneo.
Un ulteriore perfezionamento del sistema descritto potrebbe avvenire con la formazione di un'unica graduatoria nazionale. Questo non è stato fatto in questo anno accademico per le difficoltà economiche del Paese e per le difficoltà di spostamento degli studenti. Tale innovazione, che il Ministero ha intenzione di apportare, deve essere tuttavia introdotta gradualmente. Lo svolgimento della procedura selettiva richiederebbe, infatti, tempi più lunghi, che debbono essere resi compatibili con l'inizio delle lezioni e questo con riferimento alla scelta successiva degli studenti rispetto alla sede, alla quale potrebbero partecipare come studenti.
Quanto alla garanzia della certezza e trasparenza delle modalità di svolgimento della prova di accesso, tali esigenze appaiono pienamente assicurate dalle dettagliate regole dettate dal decreto ministeriale n. 196 del 2012.

PRESIDENTE. La prego di concludere, Ministro Profumo.

FRANCESCO PROFUMO, Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. Giova infine ricordare che la determinazione del numero dei posti disponibili per l'accesso ai corsi di laurea magistrale di medicina e chirurgia è effettuata secondo una prassi rigorosa, che coinvolge vari soggetti istituzionali, deputati alla rilevazione e valutazione sia dell'offerta formativa degli studenti sia del fabbisogno del Servizio sanitario nazionale.

PRESIDENTE. L'onorevole Maggioni ha facoltà di replicare.

MARCO MAGGIONI. Signor Presidente, signor Ministro, entrando nel dettaglio di quanto esponevo prima, ebbene, per accedere alla facoltà di medicina e chirurgia: a Napoli il punteggio minimo è stato di 36,74; 37 invece a Cagliari, Sassari, Perugia e Roma; 42 (ben 42!) a Milano, Varese e in Piemonte Orientale e 43 a Padova, Trieste, Udine e Pavia.
Quindi pur intervenendo, come lei diceva, con il decreto - vale a dire aggregare aree limitrofe - andremo comunque ad aggregare aree del nord, che premiano l'efficienza e la capacità, ed aree del sud che invece vanno costantemente quindi nella direzione diametralmente opposta.
Quindi, noi riteniamo che il Governo debba intervenire subito con la graduatoria unica, perché diversamente assisteremo ad un sistema che continua ad essere discriminatorio ed inefficiente. Sarà discriminatorio, perché ha studenti del nord, che vengono discriminati rispetto agli studenti del sud. Noi non siamo d'accordo affinché ci siano studenti «di serie A» e studenti «di serie B». Ed un sistema poi inefficiente perché, se si allargano troppo le maglie, come è accaduto in questo caso nell'ambito sanitario e negli atenei del sud, ebbene, il rischio è di avere dei medici domani mediamente meno preparati rispetto ai medici del nord.

PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Maggioni.

MARCO MAGGIONI. Poi non stupiamoci se la sanità al sud fa acqua, se la sanità è inefficiente e soprattutto se centinaia di migliaia di cittadini devono arrivare nei nostri territori, nei nostri ospedali, facendo poi fare code interminabili ai cittadini del nord, che lavorano e pagano le tasse.
Per questo motivo riteniamo insufficiente la sua risposta (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

(Iniziative per assicurare la continuità della produzione dello stabilimento Irisbus di Flumeri (Avellino) - n. 3-02640)

PRESIDENTE. L'onorevole Mosella ha facoltà di illustrare la sua interrogazione n. 3-02640 concernente iniziative per assicurare la continuità della produzione dello stabilimento Irisbus di Flumeri Avellino (Vedi l'allegato A - Interrogazioni a risposta immediata).

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DONATO RENATO MOSELLA. Signor Presidente, signor Ministro, è trascorso più di un anno da quando la FIAT ha manifestato la sua intenzione di procedere alla chiusura dello stabilimento Irisbus di Flumeri. Una scelta motivata dalle difficoltà derivanti dalla crisi economica, come il calo delle immatricolazioni, e quello conseguente della produzione. Tuttavia Irisbus resta una realtà industriale strategica non solo per il territorio campano ma per l'intera economia italiana, una realtà che il nostro Paese non può permettersi di perdere. Chiediamo pertanto al Governo quali azioni intenda intraprendere per scongiurare la chiusura dello stabilimento Irisbus e salvaguardare l'occupazione dei dipendenti e per valorizzare questa realtà produttiva nell'ottica del rilancio di una regione, la Campania, duramente provata dalla crisi economica e dalle difficoltà in cui versano le imprese sul suo territorio.

PRESIDENTE. Il Ministro dello sviluppo economico e delle infrastrutture e dei trasporti, Corrado Passera, ha facoltà di rispondere.

CORRADO PASSERA, Ministro dello sviluppo economico e delle infrastrutture e dei trasporti. Signor Presidente, il Ministero dello sviluppo economico sta seguendo con molta attenzione le vicende relative alla Irisbus ed in particolare dal 7 luglio 2011, data in cui FIAT Industrial ha annunciato la volontà di cessare la propria attività nel sito di Flumeri cedendola ad un imprenditore terzo. Pertanto a partire da quella data si sono tenuti diversi incontri con l'obiettivo di favorire, attraverso la mediazione del Mise e del Ministero del lavoro, il raggiungimento di un'intesa tra le parti. Nel dicembre del 2011, preso atto della definitiva decisione di FIAT, presso il Ministero del lavoro è stato quindi siglato un accordo che prevede il ricorso agli ammortizzatori sociali (CIGS per cessazione) per i dipendenti della Irisbus e contestualmente l'avvio della ricerca di possibili nuovi investitori. L'accordo prevede inoltre il ricorso a strumenti quali la mobilità volontaria finalizzata al raggiungimento dei requisiti pensionistici e la ricollocazione dei dipendenti in altre unità produttive del gruppo in Italia.
L'impegno per la ricerca di soluzioni di reindustrializzazione è stato sancito anche in un incontro tenutosi il 16 gennaio presso il Mise. Nella stessa sede FIAT Industrial si è impegnata ad istituire al proprio interno una task force con il compito di valutare le manifestazioni di interesse pervenute. L'azienda inoltre si è dichiarata disponibile a porre in essere tutte quelle misure che possono favorire l'insediamento di nuove attività produttive nel sito, anche qualora le stesse provengano da imprese attive nel settore automotive e quindi di potenziali concorrenti.
Dal mese di gennaio sono state presentate alcune manifestazione di interesse ma la maggioranza delle stesse però, a seguito di una prima accurata verifica, si è rivelata impraticabile. Allo stato attuale si sta esaminando una manifestazione di interesse proveniente da una azienda italiana. Sarebbe però prematuro esprimere un giudizio sulla praticabilità del progetto produttivo, essendo ancora in corso i necessari approfondimenti sia di natura industriale che finanziaria. Nel frattempo pertanto proseguirà la ricerca di investitori che dimostrino interesse ad insediarsi nel sito, valutando con priorità le eventuali proposte dirette a conservare l'attuale vocazione industriale dello stabilimento di Flumeri. Non mancheremo comunque di tenere nella dovuta considerazione anche le richieste provenienti da aziende attive in altri settori che ugualmente garantiscano la piena alla tutela occupazionale. Il Ministero metterà a disposizione di eventuali imprenditori interessati tutte le misure incentivanti consentite a fronte della presentazione di un serio piano di investimenti e al fine di facilitare l'insediamento di nuove attività produttive nel sito Irisbus.
Comunico infine che il tavolo di confronto verrà riconvocato subito all'inizio del 2013.

PRESIDENTE. L'onorevole Mosella ha facoltà di replicare.

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DONATO RENATO MOSELLA. Signor Presidente, signor Ministro, la gravità della situazione in Campania esige un intervento concreto e risolutivo, perché sono in gioco il lavoro di centinaia di persone e il sistema produttivo ed economico di questa regione. Pertanto non posso dirmi del tutto soddisfatto della sua risposta. Noi crediamo si debba andare oltre gli incontri e le manifestazioni di intenti delle parti in causa. Occorre un'azione di politica industriale seria e lungimirante, che affronti finalmente con strumenti validi una questione che deve essere la prima di una serie, nell'ottica dello sviluppo economico della Campania e del Meridione in generale.
Sono molte, forse troppe, le grandi e piccole aziende del sud del Paese che stanno attraversando la fase più acuta della crisi. L'importanza dell'Irisbus è data dalla sua unicità, dato che è la sola azienda produttrice di autobus nel nostro Paese e sappiamo tutti che la gran parte di quelli in dotazione al parco mezzi del trasporto pubblico locale sono vetusti e fortemente inquinanti, e andrebbero sostituiti nel segno di un ammodernamento ormai necessario. Non è accettabile l'eventualità che si tralasci una simile potenzialità e si acquistino prodotti esteri. Occorre invece puntare alla valorizzazione dell'Irisbus tutelando il lavoro e garantendo l'occupazione e il futuro delle famiglie che dipendono dallo stabilimento di Flumeri e delle numerose aziende dell'indotto. La questione peraltro non è solo economica; infatti, esiste il rischio concreto che si acuiscano le difficoltà e le tensioni sociali che già trovano terreno fertile in un territorio martoriato dalla disoccupazione e dal mancato sviluppo.
Cito solo due dati. Il tasso di disoccupazione reale in Campania nel 2011 è pari al 15,5 per cento, e rispetto all'anno precedente ci sono stati ben 29 mila 800 nuovi disoccupati, con un aumento dello 11,5 per cento. Concludo, auspicando che in questo scorcio di legislatura il Governo attui ogni intervento possibile per dare nuove opportunità all'Irisbus e con essa alle altre realtà produttive che possono contribuire alla crescita e al rilancio del sistema Italia.

(Iniziative di competenza volte al contrasto delle posizioni dominanti nel mercato pubblicitario, anche al fine di assicurare il pluralismo del sistema dell'informazione - n. 3-02641)

PRESIDENTE. L'onorevole Raisi ha facoltà di illustrare l'interrogazione Della Vedova 3-02641 concernente iniziative di competenza volte al contrasto delle posizioni dominanti nel mercato pubblicitario, anche al fine di assicurare il pluralismo del sistema dell'informazione (Vedi l'allegato A - Interrogazioni a risposta immediata), di cui è cofirmatario.

ENZO RAISI. Signor Presidente, signor Ministro, un anno e mezzo fa in una interrogazione lamentai un evidente concentrazione del mercato pubblicitario ai danni della trasparenza e concorrenzialità in un settore che muove il 2 per cento del PIL nazionale. Il Ministro allora aveva risposto che la questione non riguardava l'Esecutivo ma le Autorità indipendenti di controllo. Ora una prima parziale risposta finalmente è arrivata dall'Agcom che chiudendo l'indagine sul tema avviato due anni fa raggiunge queste conclusioni. Primo, c'è un problema di concentrazione, che è elevata e soprattutto crescente più che in ogni altro Paese industriale avanzato. Secondo, il mercato italiano dell'intermediazione pubblicitaria è dominato dalla presenza di un operatore, il gruppo WPP, che da solo ne controlla oltre il 40 per cento. Terzo, c'è un doppio problema di concentrazione, perché c'è anche un problema di concentrazione in capo al mercato televisivo, ai pochi operatori lì operanti. Quarto, l'elevata concentrazione determina, tra l'altro, esiti inefficienti sia rispetto alla concorrenzialità dell'offerta che alla trasparenza delle dinamiche di prezzo.
L'opacità del mercato crea - diciamo così - poi relazioni pericolose. Allora io chiedo, non pensa il Governo che sia Pag. 37necessario riportare ordine in un mercato che è delicato anche perché finanzia direttamente quello dell'informazione e quindi la prima infrastruttura della democrazia in un Paese?

PRESIDENTE. Il Ministro dello sviluppo economico e delle infrastrutture e dei trasporti, Corrado Passera, ha facoltà di rispondere.

CORRADO PASSERA, Ministro dello sviluppo economico e delle infrastrutture e dei trasporti. Signor Presidente, devo necessariamente premettere - cosa che è già stata detta - che la materia oggetto dell'interrogazione rientra nelle competenze specifiche dell'Autorità garante per le comunicazioni che vigila sui profili attinenti al pluralismo del sistema dell'informazione ed è l'Autorità garante della concorrenza e del mercato per quanto riguarda appunto la tutela della concorrenza. Per queste ragioni devo necessariamente riferirmi alle conclusioni dell'indagine conoscitiva condotta dall'Agcom sulla raccolta pubblicitaria cui fa riferimento anche l'onorevole interrogante.
Quanto all'intermediazione pubblicitaria l'Autorità ha rilevato l'esistenza di fallimenti nel mercato nazionale legati sia agli assetti competitivi sia alla struttura delle relazioni negoziali. Al riguardo è emersa una forma di mercato contraddistinta da un elevato e crescente livello di concentrazione, dovuta sia alla presenza di un operatore che detiene una posizione di assoluta leadership (la WPP) sia alla perdita dell'offerta di operatori indipendenti di minori dimensioni avvenuta negli ultimi anni. Per quanto concerne i rapporti negoziali è risultato che l'attuale struttura triangolare (inserzionisti, centri media e concessionarie) non soddisfa criteri di efficienza né di corretto funzionamento del mercato. Per quanto riguarda il settore della comunicazione-pubblicità classica ossia veicolata su mezzi di comunicazione di massa l'indagine ha evidenziato la forte capacità di tenuta della televisione nonostante la crisi economica degli ultimi anni, però il declino sulla carta stampata che appare di natura strutturale e lo straordinario percorso di crescita di Internet il cui mercato pubblicitario già nel 2006 ha superato per dimensioni la radio e dal 2011 è divenuto il secondo mezzo in Italia, oltrepassando quotidiani e periodici.
Infine per i mercati pubblicitari sul mezzo televisivo e on line sono stati riscontrati assetti particolarmente concentrati con la presenza di soggetti in posizione dominante (Mediaset e Google) e in tali contesti l'inefficiente assetto competitivo che spesso assume carattere di stabilità e di strutturalità rischia di riflettersi sull'intero sistema pubblicitario.
L'Agcom è, pertanto, impegnata a valutare i risultati ottenuti dall'indagine al fine di assumere, ove ritenuto, le opportune iniziative. Il Governo, nel rispetto dell'autonomia e dell'indipendenza delle autorità, continuerà a sostenere con forza la loro azione al fine di consentire alle stesse di intervenire su quei mercati, come quello della raccolta pubblicitaria, che non presentano un grado di concorrenza tale da consentire di cogliere i benefici del libero mercato.

PRESIDENTE. L'onorevole Raisi, ha facoltà di replicare.

ENZO RAISI. Signor Presidente, voglio ringraziare il signor Ministro, anche perché mi ritengo soddisfatto della risposta nel senso che la nostra era poi una sensibilizzazione nei confronti del Governo di un problema che c'è. Infatti, se il mercato della pubblicità è concentrato, occorre ovviamente provvedere a riportare concorrenza e trasparenza e la concentrazione non è un fatto che può essere solo rilevato, ma è un problema che deve essere risolto e, quindi, è giusto anche indicare in che modo, come ha fatto poc'anzi il Ministro. C'è un problema di regolazione, è vero, ma non solo di regolazione, in quanto ci sono competenze delle autorità indipendenti, certo, ma ci sono anche ritardi non privi di conseguenze. È paradossale, infatti, che la posizione dominante della Wpp è stata a lungo negata, almeno Pag. 38fino a mesi fa, dall'Antitrust che non ha avviato alcuna istruttoria formale dopo una denuncia depositata, mentre ora è chiaramente affermata dall'Agcom che non ha, però, poteri d'intervento.
Peraltro, posso anche osservare in modo malizioso che l'indagine dell'Agcom ha visto la luce dopo due anni, anziché nei sei mesi previsti, e dopo il cambio ai vertici nell'organizzazione della struttura. Questi sono fatti che ci fanno un po' riflettere. È evidente che nella gran parte dei Paesi europei sono in vigore leggi e regolamenti che disciplinano il mercato pubblicitario e, dunque, indirettamente quello dell'informazione che ha anche delle ricadute nella politica. Ma se poi aggiungiamo anche il tema economico, oggi è chiaro ed evidente che per un ente in crisi il tema della pubblicità è molto importante. Pubblicità e marketing sono una delle chiavi per rilanciare il nostro sistema imprenditoriale. Se abbiamo degli impedimenti, anche a livello di monopoli, in un settore così strategico com'è la pubblicità radiotelevisiva, è evidente che questo provoca anche delle contrazioni sul mercato pubblicitario stesso e pure delle nostre imprese. Per cui, anche rispetto a quello che ho detto ed evidenziando che, peraltro, ci accingiamo ad avvicinarci ad un'importante campagna elettorale, spero ci sia da questo punto di vista, da parte delle autorità competenti, una sollecitazione nel prendere i provvedimenti sulla base anche di quello che ha poc'anzi detto il Ministro e che voglio ancora una volta ringraziare.

(Intendimenti del Governo in merito alla realizzazione del rigassificatore nell'area di Porto Empedocle e allo sviluppo infrastrutturale dell'intera provincia di Agrigento - n. 3-02642)

PRESIDENTE. L'onorevole Ruvolo ha facoltà di illustrare la sua interrogazione n. 3-02642, concernente intendimenti del Governo in merito alla realizzazione del rigassificatore nell'area di Porto Empedocle e allo sviluppo infrastrutturale dell'intera provincia di Agrigento (Vedi l'allegato A - Interrogazioni a risposta immediata).

GIUSEPPE RUVOLO. Signor Presidente, signor Ministro, del rigassificatore di Porto Empedocle se ne parla da oltre otto anni. Si sono accavallate una serie di voci, se questa realizzazione potesse essere nei piani del Governo e realizzata in tempi europei. Dalle notizie assunte non ci sono queste possibilità concrete. Vorrei sapere dal Governo se è sua intenzione, per la competenza ovviamente del Governo medesimo, che il rigassificatore venga alla luce.

PRESIDENTE. Il Ministro dello sviluppo economico, e delle infrastrutture e dei trasporti Corrado Passera, ha facoltà di rispondere.

CORRADO PASSERA, Ministro dello sviluppo economico e delle infrastrutture e dei trasporti. Signor Presidente, l'autorizzazione alla costruzione ed esercizio del progetto di terminale di rigassificazione di Porto Empedocle è stata rilasciata alla società Nuove Energie dalla regione Sicilia, in quanto di sua esclusiva competenza, in data 22 ottobre 2009. Contro il provvedimento è stato proposto ricorso al TAR Lazio da parte del comune di Agrigento e di alcuni soggetti locali per vizi procedurali. Il tribunale amministrativo ha accolto il ricorso il 14 dicembre 2010. La società ha proposto appello al Consiglio di Stato che, nel luglio 2011, ha invece confermato la legittimità del provvedimento di autorizzazione alla costruzione e all'esercizio del terminale di rigassificazione. Il 6 giugno 2012 il Ministero, anche su parere dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas, notificato e confermato dalla Commissione europea, ha rilasciato il decreto con cui la società proponente ha ottenuto l'esenzione dall'obbligo di dare accesso ai terzi alla capacità di rigassificazione del terminale. Il progetto, pur avendo subito per i citati motivi delle fasi di sospensione, dovrà essere realizzato nel tempo previsto dal decreto autorizzativo della regione, che è fissato in sei anni. Pag. 39
I lavori di realizzazione sono già iniziati. Ritengo di ribadire in questa sede che la realizzazione di terminali di rigassificazione rimane di importanza strategica e di interesse nazionale, come d'altra parte ampiamente illustrato nel documento riguardante la Strategia energetica nazionale, per il quale si è appena chiusa la consultazione pubblica on line. Per quanto riguarda lo sviluppo delle opere di infrastrutturazione, evidenzio che l'area della provincia di Agrigento è interessata da progetti che attengono al corridoio Ten Helsinki-La Valletta, esaminati dal Parlamento in occasione del parere espresso sull'allegato infrastrutture.

PRESIDENTE. L'onorevole Ruvolo ha facoltà di replicare.

GIUSEPPE RUVOLO. Signor Ministro, io mi ritengo soddisfatto della risposta che ella ha dato non solo a me, ma ad un intero territorio e soprattutto anche al Paese. Io colgo l'occasione per ribadire ancora una volta, essendo forse uno dei pochi parlamentari convinti dell'opportunità e della necessità di questa straordinaria opera, che per me è sentire buona musica.
Vorrei in questa occasione far sì ancora una volta - pur se è stato sottoscritto un protocollo di legalità: noi siamo in una realtà ad alta intensità mafiosa - che non si possano annidare quelle preoccupazioni che ha ognuno di noi. Vorrei chiedere al Governo, anzi raccomandare al Governo, di porre un'attenzione particolare non solo per le infiltrazioni mafiose, ma anche per i comitati di affari che aleggiano attorno a questa opera. Questo è un momento straordinariamente critico se non ci si dovesse attenzionare particolarmente su tali questioni, perché queste finirebbero poi nel tempo per bloccare questa straordinaria opera.
Per quanto riguarda l'infrastruttura era una subordinata, perché un'opera di così grande e straordinaria importanza è impensabile senza un'infrastrutturazione efficace e necessaria per quella zona; stiamo parlando ancora di viabilità che risale al 1950, dove non ci sono né autostrade, né porti, né aeroporti: quello sarebbe aiutare questa opera affinché si realizzi e dall'indomani possa iniziare davvero una speranza per quel territorio.

(Problematiche riguardanti il progetto di realizzazione di un impianto di rigassificazione in provincia di Trieste - n. 3-02643)

PRESIDENTE. L'onorevole Rosato ha facoltà di illustrare la sua interrogazione n. 3-02643, concernente problematiche riguardanti il progetto di realizzazione di un impianto di rigassificazione in provincia di Trieste (Vedi l'allegato A - Interrogazioni a risposta immediata).

ETTORE ROSATO. Signor Ministro, chi oggi amministra il comune e la provincia di Trieste non ha nessuna posizione preconcetta contro il rigassificatore, così come gli amministratori degli altri comuni coinvolti, da Muggia a Dolina. Il nostro, quello di Trieste, è il primo porto italiano per petroli, con oltre 36 milioni di tonnellate. Chi amministra ha invece a cuore gli interessi della città sotto il profilo della sicurezza, dello sviluppo economico del territorio, e queste sono premesse indispensabili per capire l'approccio nella valutazione del rigassificatore fatto, rigassificatore che si colloca all'interno della città.
Il mio quesito è semplicissimo: intende lei proseguire nell'iter sapendo dei vizi di illegittimità contenuti negli atti della regione? Si tratta di vizi molto chiari, poiché non si è tenuto conto delle motivazioni tecniche esposte dal comune e dalla provincia di Trieste; il documento nonostante questo si è concluso con un parere favorevole della regione. Inoltre, sapendo delle gravi incompatibilità che esistono tra il posizionamento del rigassificatore e la mobilità che serve ad un grande porto come quello di Trieste, ritiene lei che quegli investimenti, finanziati anche dal suo Dicastero, siano messi a rischio?

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PRESIDENTE. Il Ministro dello sviluppo economico e delle infrastrutture e dei trasporti, Corrado Passera, ha facoltà di rispondere.

CORRADO PASSERA, Ministro dello sviluppo economico e delle infrastrutture e dei trasporti. Signor Presidente, a seguito del parere del Consiglio di Stato che ha riconosciuto la competenza statale ai fini del rilascio dell'autorizzazione unica sul progetto, la regione Friuli Venezia Giulia ha proceduto al ritiro dell'avvio del procedimento autorizzativo, trasferendo gli atti al Ministero dello sviluppo economico e delle infrastrutture e dei trasporti quale autorità competente al rilascio dell'autorizzazione. In tale occasione è stata espressamente fatta salva la validità degli atti emanati ai fini della formazione del parere unico regionale, ivi incluse le determinazioni assunte dalla conferenza di servizi interna alla regione, con le quali è stato espresso un parere favorevole alla realizzazione del progetto.
Il Ministero, in base al nuovo riparto di competenze, ha avviato il procedimento, convocando in data 28 novembre una conferenza di servizi di carattere istruttorio, al fine di acquisire i pareri di tutte le amministrazioni ed enti interessati. Nell'ambito della conferenza sono stati acquisiti numerosi pareri favorevoli, peraltro già espressi nel precedente procedimento regionale, nonché i pareri espressi dai rappresentanti del comune e della provincia di Trieste, i quali hanno ribadito la loro contrarietà al progetto. Evidenzio, comunque, che la conferenza dei servizi è un metodo procedimentale utilizzato dalle amministrazioni al fine di valutare i differenti interessi pubblici coinvolti e in tale sede la determinazione finale non viene assunta a maggioranza ma secondo il criterio della prevalenza. Inoltre, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha confermato la validità della valutazione di impatto ambientale già effettuata sul progetto del terminale di rigassificazione, alla luce delle modifiche intervenute, e la non necessità di una valutazione di impatto ambientale sull'elettrodotto connesso al terminale, informando che era nella fase conclusiva anche il procedimento di VIA per il metanodotto di allacciamento del terminale alla rete nazionale dei gasdotti.
Per quanto riguarda l'avvio della procedura, evidenzio che gli avvisi hanno avuto la massima diffusione e, in conformità alla normativa, sono stati pubblicati, oltre che su un quotidiano locale, anche su un quotidiano a diffusione nazionale, nonché sul sito Web della regione e presso l'albo pretorio del comune. Preciso, inoltre, che non si tratta di un esproprio ma solo di un asservimento delle aree interessate all'elettrodotto interrato, destinate ad essere restituite ai proprietari conservando l'originale destinazione d'uso.
Relativamente a quanto evidenziato dagli interroganti in merito alla consultazione della Repubblica di Slovenia, preciso che la stessa è stata ampia ed approfondita e che nel procedimento di VIA il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, in conformità alle procedure previste dalla Convenzione ESPOO sull'impatto transfrontaliero delle infrastrutture nei confronti dei paesi confinanti, ha consultato il Ministero dell'ambiente sloveno che ha, in più occasioni, formulato le proprie osservazioni e valutazioni sul progetto.
Sulla sicurezza marittima si sono espressi in modo favorevole sia il Registro italiano della navigazione, sia la capitaneria di porto, i quali hanno chiarito che la navigazione delle navi gasiere è assimilabile a quella delle navi petroliere per cui il porto è già attrezzato, né risultano incompatibilità tra i progetti avviati e l'infrastruttura di cui trattasi.
Alla luce di quanto sopra, allo stato, non sussistono motivi ostativi alla prosecuzione dell'iter amministrativo, sottolineando che la sua conclusione potrà avvenire solo dopo l'acquisizione dei pareri espressi da tutti i soggetti interessati e ove prevalga un orientamento favorevole.

PRESIDENTE. L'onorevole Rosato ha facoltà di replicare.

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ETTORE ROSATO. Signor Presidente, signor Ministro, la ringrazio, ma non mi posso considerare soddisfatto. Non mi considero soddisfatto perché, nel merito, da parte sua mi attendevo una valutazione più approfondita di quello di cui stiamo discutendo. L'ho detto prima, e lo ribadisco, noi non siamo contrari pregiudizialmente ai rigassificatori, ma ribadisco che, all'unanimità, i consigli comunali e provinciali di Trieste hanno espresso un parere contrario su quel rigassificatore e su quel progetto, e noi ci attendiamo che ci sia una attenzione nella valutazione da parte del Governo nella prevalenza che lei ha richiamato, nella prevalenza dell'interesse, non solo nella prevalenza numerica. Continuo poi ad avere una grandissima preoccupazione: quando lei si è insediato come Ministro, io sono venuto da lei e le ho chiesto un aiuto a sbloccare il finanziamento per la piattaforma logistica e lei, cortesemente, in poche settimane, ha fatto quello che il Governo precedente non aveva fatto, sbloccando il finanziamento per la piattaforma logistica. Un finanziamento, questo, che è illogico rispetto al posizionamento del rigassificatore a poche centinaia di metri da lì, sono soldi pubblici che andranno sprecati.
Signor Ministro, sempre il suo Ministero sta autorizzando un rigassificatore a pochi chilometri da questo, nel golfo di Trieste, un altro rigassificatore proposto da Endesa; non è pensabile che ci sia una compatibilità tra due investimenti di questo tipo, e in questo senso penso che al Governo spetti una decisione e spetti una scelta.
Concludo, signor Ministro, dicendo che noi abbiamo bisogno sia del lavoro del Governo, sia, in particolare, del suo personale lavoro, perché su Trieste c'è bisogno di un investimento che consenta uno sviluppo industriale, marittimo e urbano e in questo, la compatibilità del rigassificatore lì posto, mal si scontra con una crisi siderurgica che lei ben conosce e che fa soffrire tutti noi quando si parla di Taranto, di Terni e di Piombino e mai degli oltre mille dipendenti che sono a rischio a Trieste.
Signor Ministro, chiedo a lei e al Governo di fare un ragionamento complessivo su quello che è lo sviluppo industriale, urbano e marittimo della città di Trieste.

(Iniziative volte ad individuare un'idonea sede istituzionale di confronto con le associazioni dei familiari delle vittime della strada, nel contesto delle politiche di prevenzione e contrasto all'incidentalità stradale - n. 3-02644)

PRESIDENTE. L'onorevole Lunardi ha facoltà di illustrare la sua interrogazione n. 3-02644, concernente iniziative volte ad individuare un'idonea sede istituzionale di confronto con le associazioni dei familiari delle vittime della strada, nel contesto delle politiche di prevenzione e contrasto all'incidentalità stradale (Vedi l'allegato A - Interrogazioni a risposta immediata).

PIETRO LUNARDI. Signor Presidente, signor Ministro, purtroppo la sicurezza stradale, nonostante i progressi conseguiti negli ultimi anni, continua a costituire una delle principali criticità sociali ed economiche per il nostro Paese. Sono infatti circa 4 mila le persone che ogni anno muoiono sulle nostre strade, più di 200 mila i feriti e quasi 20 mila gli invalidi permanenti. Anche se l'intenso impegno fino ad oggi profuso, in particolare nella legislatura 2001-2006, ha consentito di raggiungere importanti risultati di miglioramento, l'incidentalità sulle nostre strade determina ancora oggi troppi decessi, troppi feriti, troppo dolore e sofferenza. Le drammatiche conseguenze sanitarie sono, infatti, spesso accompagnate da altrettanti drammatici quanto immediati effetti, che si manifestano sulla vita delle vittime e delle loro famiglie. È proprio sotto questo profilo che, nell'insieme delle attività legate al tema della sicurezza stradale, riveste particolare importanza, anche per gli aspetti sociali sottesi, il rapporto con le vittime di incidenti e con i loro familiari. Questo rapporto dovrebbe concretizzarsi realizzando un metodo di ascolto atto, da un lato, a focalizzare gli Pag. 42strumenti idonei a garantire un supporto sempre più sentito, concreto ed efficace per le persone che hanno avuto un coinvolgimento negli effetti dei fenomeni incidentali e, dall'altro, per ottenere nuovi suggerimenti per quanto riguarda le normative.

PRESIDENTE. Il Ministro dello sviluppo economico e delle infrastrutture e dei trasporti, Corrado Passera, ha facoltà di rispondere.

CORRADO PASSERA, Ministro dello sviluppo economico e delle infrastrutture e dei trasporti. Signor Presidente, la sicurezza stradale rappresenta uno dei temi prioritari nelle politiche del Governo. La considerazione e l'impegno che ne hanno caratterizzato l'azione, trovano riscontro nelle numerose attività poste in essere negli ultimi anni e che hanno contribuito a raggiungere importanti risultati - come si diceva - di riduzione dell'incidentalità, in adesione agli obiettivi posti all'Unione europea. In particolare, segnalo l'adozione e l'attuazione del Piano nazionale della sicurezza stradale, un'azione diretta a contrastare i comportamenti ad alto rischio, l'incremento dei controlli, una costante attività di informazione e comunicazione svolta attraverso campagne nazionali, nonché la promozione e l'effettuazione di interventi di educazione stradale nelle scuole.
Nello stesso tempo si è sempre cercato di tenere attiva l'interlocuzione con le principali associazioni rappresentative dei familiari e delle vittime della strada, e le relative istanze sono sempre state esaminate con la dovuta sensibilità e considerazione. Ricordo, tra l'altro, che il Ministero dello sviluppo economico vigila sull'amministrazione del Fondo vittime della strada gestito da Consap con l'assistenza di un apposito comitato, allo scopo di provvedere al risarcimento dei danni causati a persone o a persona e a cose da veicoli non assicurati o non identificati, ovvero in altri specifici casi previsti.
Ad ogni modo, con specifico riferimento alla richiesta degli onorevoli interroganti, il Governo è senz'altro favorevole alle più ampie forme di tutela delle vittime della strada e dei loro familiari, anche attraverso l'individuazione di una sede istituzionale di confronto tra le amministrazioni interessate e con la partecipazione delle associazioni più rappresentative. La sede potrebbe essere individuata nella Consulta nazionale per la sicurezza stradale istituita presso il CNEL, la quale ha, fra le altre, proprio la finalità di promuovere la partecipazione all'attuazione del Piano nazionale della sicurezza stradale e, in generale, al processo di miglioramento della sicurezza stessa da parte delle istituzioni, delle associazioni di categoria, del sistema delle imprese e delle rappresentanze sociali. Assicuro, in ogni caso, che il Governo avrà cura di adottare ogni iniziativa necessaria, al fine di diminuire maggiormente il tasso di incidentalità e garantire ogni ulteriore forma di tutela alle vittime della strada.

PRESIDENTE. L'onorevole Lunardi ha facoltà di replicare.

PIETRO LUNARDI. Signor Presidente, signor Ministro, la ringrazio e desidero dichiararmi pienamente soddisfatto per le sue parole. Vorrei approfittare di questa occasione per ricordare rapidamente a tutti quanto sia necessario investire per vincere questa cultura dell'indifferenza e della rassegnazione che caratterizza il tema della sicurezza stradale. Cultura che dimentica che succedono cose incredibili: in Europa ogni giorno muoiono cento persone per incidenti stradali; è come se cadesse un aereo tutti i giorni, e in Italia ogni anno sparisce un Paese di 4 mila persone. Questi sono dati su cui bisogna riflettere, su cui bisogna lavorare. Abbiamo fatto sicuramente un buon lavoro di prevenzione in questi anni.
È stata fatta tutta una serie di cose, grazie anche all'intervento della patente a punti, del patentino per i minori, dei giubbetti per i rifrangenti, dell'eliminazione degli incroci pericolosi, sostituiti con le rotonde. L'incidentalità, dal 2001 ad oggi, è diminuita di 4 mila persone. Si Pag. 43tratta di vittime, quindi questo è un dato importantissimo, ma dobbiamo fare ancora di più: ancora prevenzione, ma soprattutto - questo è un fatto a cui lei ha dato risposta - assistenza ai familiari delle vittime, che tutte le volte subiscono dei danni maggiori dell'incidente stesso perché vengono trascurati e poco assistiti.

PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento delle interrogazioni a risposta immediata.
La seduta è sospesa. Riprenderà alle ore 16 con l'esame del decreto-legge recante disposizioni urgenti in materia di finanza e funzionamento degli enti territoriali, nonché ulteriori disposizioni in favore delle zone terremotate nel maggio 2012.

La seduta, sospesa alle 15,50, è ripresa alle 16.

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Benamati, Bruno, Ferranti, Anna Teresa Formisano, Mantini, Paniz, Touadi e Zaccaria sono in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente ottantaquattro, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Convalida di un deputato.

PRESIDENTE. Comunico che la Giunta delle elezioni, nella seduta odierna, ha verificato non essere contestabile l'elezione del deputato Francesco Verducci, proclamato dal Presidente della Camera nella seduta dell'8 novembre 2012, in sostituzione del deceduto deputato Massimo Vannucci, per la lista n. 5 - Partito Democratico nella XIV circoscrizione Marche.
Concorrendo nell'eletto le qualità richieste dalla legge, la Giunta ha deliberato di proporne la convalida.
Il Presidente della Camera dà atto alla Giunta di questa proposta e dichiara convalidata la suddetta elezione.
Saluto gli studenti e i docenti dell'Istituto alberghiero turistico Gaetano Filangieri di Cava de' Tirreni e di Siano, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).

Discussione del disegno di legge: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174, recante disposizioni urgenti in materia di finanza e funzionamento degli enti territoriali, nonché ulteriori disposizioni in favore delle zone terremotate nel maggio 2012. Proroga di termine per l'esercizio di delega legislativa (Approvato dalla Camera e modificato dal Senato) (A.C. 5520-B) (ore 16,03).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dalla Camera e modificato dal Senato: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174, recante disposizioni urgenti in materia di finanza e funzionamento degli enti territoriali, nonché ulteriori disposizioni in favore delle zone terremotate nel maggio 2012. Proroga di termine per l'esercizio di delega legislativa.
Avverto che, a pagina 31 dell'A.C. 5520-B, la dicitura: «Identico», collocata per un errore tipografico accanto alla rubrica del capoverso articolo 148-bis, deve intendersi riferita solo ai primi tre commi del medesimo capoverso, avendo il Senato trasfuso il contenuto del comma 4 in un nuovo comma 1-bis dell'articolo 3 del decreto-legge, come del resto risulta dallo stesso stampato.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 5520-B)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali. Pag. 44
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare della Lega Nord Padania ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto che le Commissioni I (Affari Costituzionali) e V (Bilancio) si intendono autorizzate a riferire oralmente.
Il relatore per la Commissione Affari costituzionali, onorevole Ferrari, ha facoltà di svolgere la relazione.

PIERANGELO FERRARI, Relatore per la I Commissione. Signor Presidente, affrontiamo oggi, in terza lettura, la conversione in legge del decreto-legge del 10 ottobre 2012, n. 174, recante disposizioni urgenti in materia di finanza e funzionamento degli enti territoriali, nonché ulteriori disposizioni in favore delle zone terremotate nel maggio 2012.
Io mi concentrerò, signor Presidente, su una parte del decreto-legge, anche perché si tratta di una terza lettura di un testo tornato dal Senato senza sostanziali modifiche.
Mi concentrerò su una questione che ha avuto una certa rilevanza sulla stampa nelle settimane scorse, rispetto alla quale penso che si debba dare una risposta esplicita e trasparente in difesa del nostro lavoro, della buona fede con la quale abbiamo affrontato questo testo e del risultato che abbiamo ottenuto.
Mi riferisco alla questione dei vitalizi dei consiglieri regionali, contenuta nella lettera m) dell'articolo 2 del decreto-legge. Voglio rapidamente ricostruire la questione. Il decreto-legge è del 10 ottobre: siamo a cavallo, dunque, di quei mesi di settembre e ottobre nei quali scoppiarono, con un'ovvia rilevanza, casi di malcostume in alcune regioni, come il Lazio e la Lombardia in particolare.
Il 27 settembre la Conferenza delle regioni assume un'iniziativa inedita: decide, in presenza di una difficoltà a concordare al proprio interno delle decisioni, di chiedere al Governo un decreto-legge che intervenga per ridurre i costi di funzionamento dei consigli regionali, i cosiddetti costi della politica, e che intervenga per ridurre indennità, in particolare, e risorse a disposizione dei gruppi consiliari. Nel giro di pochi giorni, il Governo, il 10 ottobre, adotta questo decreto-legge. Ebbene, qual è la questione su cui voglio intervenire? Dopo un lavoro rilevante durato parecchi giorni nel Comitato ristretto delle Commissioni congiunte affari costituzionali e bilancio, dopo un confronto all'interno della maggioranza, con la maggioranza e l'opposizione, che ringrazio fin d'ora perché ha contribuito in un modo proficuo al miglioramento del testo del decreto-legge, in piena sintonia con il Governo per ogni modificazione intervenuta, il decreto-legge viene approvato dalla Camera. Su quel testo, in uscita dalla Camera, alcuni giornali ed alcuni giornalisti, male informati, hanno scritto che la Camera avrebbe reintrodotto i vitalizi per i consiglieri regionali che, nel testo del Governo, erano stati cancellati, o comunque riportati alla soglia dei sessantasei anni.
Ebbene, io voglio essere preciso, perfino pedante su questa questione, perché è una questione di rilevanza politica su cui è giusto rivendicare il nostro lavoro e respingere le interpretazioni che sono state date. Ho sottomano il testo originario del decreto-legge, cioè il testo uscito dal Consiglio dei ministri. Ebbene, all'allora comma 2, poi cambiato nella lettera m), del provvedimento in esame, che è, in sostanza, il punto in cui si fa riferimento ai vitalizi dei consiglieri regionali, il decreto-legge del Governo richiama un precedente decreto-legge, il cosiddetto decreto-legge «Tremonti» del 13 agosto 2011, n. 138. Lo dico prima perché lì si fa riferimento a commi, ma voglio rendere esplicito che quel «decreto Tremonti», all'articolo 14, lettera f), prevedeva che le regioni dovessero passare al sistema contributivo dei vitalizi, che ovviamente è molto meno vantaggioso del sistema retributivo, a partire dalla prossima legislatura. È un primo punto su cui faccio una sottolineatura: a partire dalla prossima legislatura.
Ebbene, fatta questa premessa, il testo del decreto-legge afferma: Ferma restando, Pag. 45in ogni caso, l'abolizione dei vitalizi già disposta dalle regioni (...), fino all'adeguamento da parte delle regioni a quanto ivi previsto, le regioni possono, dalla data di entrata in vigore del decreto-legge - poi noi abbiamo modificato specificando «dall'entrata in vigore della legge di conversione» -, erogare i vitalizi soltanto a favore di chi abbia compiuto 66 anni ma ricoperto per 10 anni la carica di consigliere regionale.
Faccio notare - è un passaggio importante, per capire cosa è accaduto - che qui sono contenute, dunque, due condizioni: la prima è la transitorietà, perché le regioni debbono adeguarsi al «decreto Tremonti» e deliberare il passaggio al sistema contributivo. Finché non lo fanno vale la nuova norma, ossia 66 anni più 10 anni. Finché non lo fanno - transitorietà -, e non d'ora in avanti comunque. Il secondo riferimento preciso della norma - che, comunque, dice il Governo - è che resta ferma, in ogni caso, l'abolizione dei vitalizi già disposta dalle regioni. Dunque, le regioni che hanno abolito i vitalizi sono fuori da questa norma. È già stato abolito il vitalizio e non chiediamo a queste regioni di applicare il passaggio al contributivo, poiché hanno già abolito il medesimo istituto del vitalizio.
Ebbene, una questione si è posta subito, in sede di discussione ristretta. Quali sono le regioni che rientrano sotto l'applicazione di questa norma e che sono interessate a questa norma? Abbiamo chiesto agli uffici un'informazione precisa, regione per regione, legge per legge, e abbiamo scoperto che ben 19 regioni su 20 non erano interessate a questa norma, perché o avevano abolito il vitalizio o avevano già deliberato il passaggio al contributivo. Dunque, soltanto la Valle d'Aosta era interessata all'applicazione di questo decreto-legge. Qui, in base a una mia valutazione personale - e, quindi, non voglio coinvolgere altri - si è posto un problema che io ho vissuto con un certo, come dire, rammarico. Ho rilevato la difficoltà politica nostra. Che cosa avremmo dovuto fare di fronte a questa circostanza di una norma che sembrava incalzare le regioni ma che, in realtà, riguardava soltanto la Valle d'Aosta? La scelta normale sarebbe stata quella di abrogare questa norma. Che senso ha la norma per la Valle d'Aosta che, tra l'altro, è tutelata da uno Statuto speciale? Quindi, vi sono anche problemi di costituzionalità circa il recepimento di questa norma. Quindi, avremmo dovuto abrogare questa norma, mantenendo ferma la funzione legislativa propria del Parlamento.
Invece, abbiamo fatto un'altra scelta, per il timore di abrogare una norma che sembrava imporre a tutti i consigli regionali - sembrava, ma così non è - l'accesso al vitalizio a 66 anni, e per non apparire come quelli che abrogavano quell'ipotesi, del tutto infondata, che tutti i consiglieri regionali avrebbero avuto accesso al vitalizio a 66 anni. Dunque, per evitare tale ipotesi abbiamo preferito mantenere quella norma.
Ma io qui trovo personalmente un elemento di avvilimento, perché sento in questa decisione - che anche io ho preso con i colleghi - il peso di un'opinione pubblica rispetto alla quale non riusciamo a rispondere con trasparenza, con decisioni legittime.
Abbiamo mantenuto la norma. L'abbiamo resa più cogente, poiché ci è stato detto, poiché sapevamo delle intenzioni dell'Esecutivo e poiché è stato dichiarato che questa norma doveva, però, almeno impedire, a chi si è reso responsabile di malcostume politico nel Lazio e in Lombardia, di accedere ai vitalizi. Abbiamo aggiunto - noi, Camera dei deputati - la norma che davvero blocca l'accesso al vitalizio per chi si è reso responsabile di reati contro la pubblica amministrazione, aggiungendo che perde il vitalizio colui che appunto è condannato per reati contro la pubblica amministrazione. Era il solo modo per venire incontro a una legittima richiesta dell'opinione pubblica.
Ma, certo, abbiamo registrato il fatto che quella norma non era affatto quello che è stato dichiarato volesse perseguire, che quella norma non era affatto una norma che riguardava la maggior parte delle regioni o un numero significativo di Pag. 46esse perché - lo ripeto - ciò che le regioni venivano incalzate a fare lo avevamo già fatto. Sedici regioni su venti hanno già deciso l'abolizione del vitalizio e altre tre su venti hanno già deliberato il passaggio al contributivo.
Ma ci è stato imputato, anche da giornalisti solitamente ben informati, che noi abbiamo introdotto una formula, riscrivendo la norma; alla fine della discussione tutta la norma è stata, di intesa con il Governo, riscritta secondo quello che, mi pare, i colti o i funzionari chiamino drafting legislativo, e ci è stata rimproverata questa formula: «Le disposizioni di cui alla presente lettera non si applicano alle regioni che abbiano abolito i vitalizi».
A parte il fatto che è la stessa sostanza di quanto è scritto nel testo del Governo: «ferma restando, in ogni caso, l'abolizione dei vitalizi già disposta dalle regioni». La sostanza è la medesima, ma perché quella formula? A chi voglio raccontarlo questo? Perché, strada facendo, percorrendo tutto l'articolo 2, abbiamo introdotto significative misure che hanno reso più severa l'operazione di taglio di costi della politica.
Per esempio, per citarne soltanto una (ma non è l'unica scelta che abbiamo fatto), abbiamo (articolo 1, comma 1, lettera c), disciplinato l'assegno di fine mandato. L'assegno di fine mandato dei consiglieri regionali è - per così dire - una risorsa non indifferente a disposizione dei consiglieri regionali che il Governo non aveva affrontato. L'abbiamo disciplinato in modo tale che essa non ecceda l'importo riconosciuto dalla regione più virtuosa, e la regione più virtuosa è individuata dalla Conferenza Stato-regioni.
Qualcuno ha fatto notare che, introducendo questa nuova norma, almeno dovessimo riconoscere alle regioni (poche, in minor numero) che avevano giù abolito l'assegno di fine mandato, che lì - almeno lì, avendo già preso questa decisione diciamo coraggiosa, rispettabile, virtuosa - non si applicasse la norma.
Perciò, alla fine, abbiamo uniformato questa formula scritta alla fine della lettera c) che riguarda l'assegno di fine mandato e che leggo: «Le disposizioni di cui alla presente lettera non si applicano alle regioni che abbiano abolito gli assegni di fine mandato» e l'abbiamo usata per uniformare il testo anche laddove si parla di vitalizi, mantenendo la sostanza. E la sostanza è esattamente quella: che se tu regione hai già abolito i vitalizi, non possiamo importi di erogare i vitalizi a 66 anni fin che tu non applichi il passaggio al contributivo perché, invece di fare un passo in avanti, quelle regioni ne hanno fatti due di passi in avanti.
Lo dico con puntiglio questo, con una qualche ostinazione e anche con una qualche enfasi, perché non accetto - io personalmente, io che sono alla fine della mia esperienza parlamentare, che uscirò di qua tra qualche mese e non tornerò - e non mi faccio piegare la schiena da versioni di stampa che fanno passare me e l'onorevole Moroni come dei furbacchioni che nottetempo hanno modificato il testo del Governo. Io esco di qui a testa alta.
C'è un dovere, che abbiamo presso l'opinione pubblica, di venire incontro al bisogno di moralizzazione, di tagli dei costi della politica.
Presidente Bindi, non sarebbe stato più opportuno che la Presidenza della Camera in questi anni con maggiore determinazione riferisse all'opinione pubblica di tante decisioni prese (Applausi), che giustamente hanno ridotto benefici, costi di funzionamento, indennità, rimborsi spese, di cui l'opinione pubblica non è a conoscenza? Giustamente, ma chi lo sa in questo Paese che, benché sotto la sferza dell'opinione pubblica indignata, benché sollecitati e non, magari, in modo nostro virtuoso, questi passi sono stati fatti?
Non accetto che su questo decreto-legge si dica che abbiamo reintrodotto i vitalizi per i consiglieri regionali, perché è falso e io difendo la mia buona fede e il lavoro fatto da me e dall'onorevole Moroni, dal Comitato ristretto, dalle Commissioni congiunte e da questa Camera. Va respinto l'attacco di una stampa sciatta e populista, quando abbiamo la schiena dritta e siamo in grado di rispondere a questi attacchi. Questa è la mia intenzione, ma voglio fare una considerazione finale. Pag. 47
Certamente ci si potrebbe dire: ma voi potevate, se volevate, decidere che passassero tutti, voi potevate innovare la norma sui vitalizi. Ne abbiamo parlato, ma perché non l'abbiamo fatto? Per la natura di questo decreto-legge e per il suo percorso. Questo provvedimento, come ho detto, nasce da una richiesta della Conferenza delle regioni. Nella dichiarazione della Conferenza del 27 settembre, si chiede al Governo di intervenire sui costi di funzionamento dei gruppi, sulle risorse dei gruppi, ma non si chiede al Governo di intervenire sui vitalizi. E il Governo interviene tagliando indennità e risorse ai gruppi sulla base delle richieste delle regioni, ma non va oltre sulla questione dei vitalizi, se non con una formula che, come abbiamo visto, è del tutto ininfluente e inapplicabile. E perché le regioni non chiedono al Governo di intervenire anche sui vitalizi? Perché sono già intervenute loro. Lo ripeto fino alla noia. Al decreto Tremonti - io sono stato all'opposizione del Ministro Tremonti e l'ho criticato - va riconosciuto un bel passo in avanti sulla strada dei tagli dei costi della politica, perché è al decreto Tremonti che dobbiamo la riduzione del numero dei consiglieri regionali. Se il Lazio andrà a votare per le elezioni di cinquanta e non di settanta consiglieri regionali, lo dobbiamo al decreto Tremonti. Ma le regioni hanno applicato il decreto Tremonti anche per il passaggio al contributivo. Il passo in avanti le regioni l'hanno già fatto. Perché non dirlo? Noi non potevamo dunque intervenire su una materia su cui le regioni stesse erano già intervenute, rispettando la richiesta del decreto Tremonti e, in sedici casi su venti, andando oltre, abolendo addirittura l'istituto del vitalizio.
Voglio fare un'ultima considerazione politica a proposito del vitalizio, che giustamente - lo riconosco - è diventato elemento di grande sensibilità presso l'opinione pubblica, perché noi siamo comunque dei privilegiati e dobbiamo sentire il polso di un Paese alle prese con una crisi difficile. Giustamente, ma perché non dire anche che, rispetto ai passi in avanti che abbiamo fatto e che dobbiamo ancora fare, rispetto a tante questioni che abbiamo ancora da risolvere, tuttavia sulla questione dei vitalizi in questo Paese si sono fatti passi in avanti non paragonabili ad altri Paesi europei, dove esiste l'istituto del vitalizio, a cominciare dal Parlamento europeo?
Perché non dire che dal 1o marzo di quest'anno di fatto i vitalizi, così come sono stati conosciuti dal dopoguerra in poi, cioè quelli legati alla retribuzione, non esisteranno più e che dal 1o marzo di quest'anno anche per noi deputati ci sarà il contributivo? Era giusto, siamo arrivati in ritardo, ma è così. Perché non dire che le regioni, le tre che andranno al voto, vedranno la fine dei vitalizi fin dalle prossime elezioni di primavera e che per le altre regioni finiranno tra un paio d'anni? Lì la questione dei vitalizi è arrivata al termine, in questo Paese sta finendo. Perché non dirlo e valorizzare quei passi in avanti, magari prudenti, magari non sufficienti, che sono stati fatti? Un'ultima osservazione.
Nella discussione in Commissione di questa mattina alcuni parlamentari della Lega hanno giustamente rilevato che sul testo del decreto-legge tornato dal Senato vi è un insieme di osservazioni, con richieste anche di condizioni del Comitato per la legislazione. Sono osservazioni fondate, le condizioni che ci vengono chieste sono legittime; tuttavia, come ho risposto questa mattina all'onorevole Volpi, ripeto qui che noi oggi scegliamo non in condizione desiderate, ma in condizioni date.
Le condizioni date sono queste: o noi ratifichiamo il testo uscito dal Senato oggi oppure il decreto-legge decade. Ci possiamo permettere, anche per le cose che ho detto, di fare decadere un decreto-legge che interviene in modo significativo sui tagli dei costi della politica? Io dico di no!
In quel caso, davvero avremmo contro l'opinione pubblica. Dando ragione e riconoscendo all'onorevole Volpi la fondatezza - credo che vorrà riprenderle in Aula - delle sue osservazioni, credo che comunque, pur ancora con limiti e incongruenze, soprattutto sull'articolo 11 che riguarda interventi nelle zone terremotate, Pag. 48noi siamo oggi in condizione di dire che è un dovere per la Camera ratificare questo decreto-legge. Grazie per l'attenzione (Applausi).

PRESIDENTE. Grazie a lei, onorevole Ferrari. Mi consenta di dirle che condivido lo spirito del suo intervento. Durante una riunione dell'Ufficio di Presidenza è stato anche sollecitato lo stesso Presidente perché al lavoro fatto in questa materia, in questa legislatura, sia data maggiore conoscenza esterna. Il Presidente ha assicurato che lo farà durante la cerimonia di consegna del Ventaglio. Penso che anche l'approvazione di questo provvedimento potrà, in questo senso, essere di aiuto.
Il relatore per la V Commissione (Bilancio), onorevole Moroni, ha facoltà di svolgere la relazione.

CHIARA MORONI, Relatore per la V Commissione. Signor Presidente, farò solo una brevissima premessa per ringraziare il collega onorevole Ferrari per il suo intervento, che, ovviamente, rispecchia integralmente il mio pensiero rispetto al nostro lavoro e a come sia stato poi, invece, traslato all'opinione pubblica attraverso la stampa e i mezzi di comunicazione, e la ringrazio per quello che ha detto rispetto al fatto che anche la Presidenza ha ritenuto e ritiene di doversi far carico non già della difesa delle nostre persone, ma del ruolo del Parlamento e delle istituzioni di questo Paese in un momento politico molto delicato.
Io sarò molto breve e cercherò di sintetizzare molto velocemente la mia relazione rispetto alle modifiche apportate dal Senato al decreto-legge per quello che attiene gli elementi di competenza della Commissione bilancio, rimandando i colleghi che volessero avere maggiori dettagli alla relazione scritta che consegnerò agli uffici.
Partendo dall'articolo 3, nel corso dell'esame al Senato sono state apportate alcune modifiche, in particolare alla lettera l) del comma 1 dell'articolo 3, che introduce nel testo unico delle leggi degli enti locali una serie di disposizioni che disciplinano una nuova procedura per il riequilibrio finanziario pluriennale degli enti per i quali sussistono squilibri strutturali di bilancio in grado di provocarne il dissesto, istituendo un apposito fondo di rotazione diretto ad assicurare la stabilità finanziaria degli enti locali.
Il Senato ha modificato la disciplina della nuova procedura di riequilibrio finanziario pluriennale prevedendo che i soggetti legittimati ad attivare la procedura siano tutti i comuni per i quali sussistono squilibri strutturali di bilancio, modificando l'accesso alla procedura per i comuni con popolazione superiore ai 20 mila abitanti che aveva licenziato la Camera ed estendendo da cinque a dieci anni, compreso quello in corso, la durata massima del piano di riequilibrio finanziario pluriennale.
Ha modificato anche il comma 6, recante l'elenco dei contenuti necessari del piano di riequilibrio deliberato dall'ente locale, prevedendo che il ripristino dell'equilibrio strutturale di bilancio e il ripiano del disavanzo di amministrazione di eventuali debiti fuori bilancio, da realizzare con misure individuate nel piano, avvenga entro il periodo massimo di dieci anni a partire da quello in corso alla data di accettazione del piano, in luogo dei cinque previsti dal testo approvato dalla Camera.
Nel corso dell'esame è stato altresì modificato il nuovo articolo 243-ter del testo unico degli enti locali recante la disciplina del Fondo di rotazione per assicurare la stabilità finanziaria degli enti locali, attraverso il quale lo Stato può concedere anticipazioni a sostegno del risanamento degli enti locali.
È stato modificato il comma 3, che specifica i criteri per la determinazione dell'anticipazione attribuibile a ciascun ente locale, elevando da 200 a 300 euro per abitante il limite dell'importo massimo dell'anticipazione attribuibile ai comuni. Inoltre il Senato ha apportato una modifica al nuovo articolo 243-quater del TUEL, recante la disciplina procedurale per l'approvazione ed il successivo monitoraggio e controllo dell'attuazione del Pag. 49piano di riequilibrio prevedendo che, oltre ai Ministri dell'interno, e dell'economia e delle finanze, anche l'Associazione nazionale dei comuni italiani concorra alla scelta dei rappresentanti della sottocommissione della Commissione per la finanza e gli organici degli enti locali, tenuta a svolgere l'istruttoria del piano di riequilibrio.
Infine, nel corso dell'esame del Senato, è stato introdotto nel testo unico un ulteriore nuovo articolo, 243-quinquies, recante una specifica disciplina volta a garantire la stabilità finanziaria degli enti locali sciolti per fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso.
È stato modificato il comma 5-ter dell'articolo 3 al fine di ridurre da 40 a 20 milioni di euro la misura massima di risorse destinate a favorire il ripristino dell'ordinata gestione di cassa del bilancio corrente dei comuni che abbiano dichiarato lo stato di dissesto finanziario, attraverso l'anticipazione di somme da parte del Ministero dell'interno da destinare ai pagamenti in sofferenza di tali enti.
Il Senato ha introdotto il comma 7-bis, che interviene sul decreto legislativo n. 216 del 2011, recante disposizioni in materia di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard degli enti locali, in particolare sull'articolo 3 del medesimo, che provvede ad individuare in via provvisoria le funzioni fondamentali degli enti locali, fino a che non intervenga la legge statale che stabilisca a regime le funzioni medesime.
All'articolo 4 è stata ridotta di 10 milioni di euro, sia per il 2013, sia per il 2014, la dotazione del Fondo di rotazione per assicurare la stabilità finanziaria degli enti locali, al fine di compensare gli oneri relativi all'esclusione dal Patto di stabilità interno per tali anni delle spese sostenute dai comuni delle province di Bologna, Modena, Ferrara, Mantova, Reggio Emilia e Rovigo interessati dagli eventi sismici del maggio 2012, finalizzate a fronteggiare gli eccezionali eventi sismici e la ricostruzione finanziata con risorse proprie dei comuni provenienti da erogazioni liberali e donazioni da parte di cittadini privati ed imprese, ai sensi del successivo articolo 11, comma 1, lettera a), numero 5.1. Conseguentemente la dotazione del Fondo viene fissata in 30 milioni di euro per il 2012, 90 milioni per il 2013, 190 milioni per il 2014 e in 200 milioni per ciascuna annualità dal 2015 al 2020.
All'articolo 9 è stato, quindi, modificato il comma 6-bis e introdotti i nuovi commi da 6-ter a 6-quinquies. In particolare, il 6-bis riguarda la regolazione dei rapporti finanziari tra lo Stato e i comuni in seguito alla verifica del gettito IMU dell'anno 2012. Tale registrazione avverrà, secondo quanto approvato al Senato, nell'ambito delle dotazioni del Fondo sperimentale di riequilibrio e dei trasferimenti erariali previsti dalla legislazione vigente.
Il comma 6-ter individua nel decreto del Ministro dell'economia e delle finanze del 19 novembre 2012, n. 200, le disposizioni di attuazione delle norme sull'esenzione dell'imposta comunale sugli immobili degli enti non commerciali. Si osserva che l'articolo 91-bis, comma 3, del decreto-legge n. 1 del 2012, come integrato dall'articolo 9, comma 6, del decreto-legge in esame, di per sé rinvia alla norma regolamentare per l'individuazione dei requisiti atti a qualificare le attività svolte con modalità non commerciali, oltre che degli elementi volti a definire il rapporto proporzionale tra uso commerciale e uso non commerciale dell'immobile. Di conseguenza, il decreto ministeriale n. 200 del 2012 sembra già configurarsi quale norma di attuazione della disciplina primaria. Non appare pertanto chiara la portata normativa della disposizione in commento.
Il comma 6-quinquies sottrae poi gli immobili delle fondazioni bancarie dall'esenzione IMU disposta in favore degli enti non commerciali. Di conseguenza, anche per gli immobili delle fondazioni bancarie su cui insistono attività non qualificabili come commerciali sarà dovuta l'imposta municipale, in deroga alle citate disposizioni generali.
Il Senato ha introdotto poi un articolo 10-bis recante disposizioni relative alla gestione della casa da gioco di Campione d'Italia ed alla quantificazione e ripartizione Pag. 50del contributo individuato a valere sui proventi annuali da assegnare alle province di Como, Varese e Lecco, nonché al Ministero dell'interno, che sostituiscono la disciplina vigente in materia.
All'articolo 11 vi sono poi alcune modifiche apportate relativamente ad ulteriori interventi per le zone terremotate nel maggio 2012. Per queste modifiche rimando per il dettaglio al testo scritto, facendo semplicemente osservare che sono alcune norme che da un lato vanno a specificare alcuni degli interventi che sono stati fatti alla Camera e, in particolare, la sottrazione dal Patto di stabilità interno, di cui ho parlato prima, per i comuni interessati agli eventi sismici che vanno a valere sul Fondo di rotazione del dissesto dei comuni.
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale della mia relazione.

PRESIDENTE. Onorevole Moroni, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire in sede di replica.

RAFFAELE VOLPI. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RAFFAELE VOLPI. Signor Presidente, innanzitutto mi permetta di ringraziare - ma credo che questo sia sentimento comune - il collega Ferrari per quanto ha voluto con fermezza, e lucida fermezza, dichiarare in quest'Aula rispetto a quello che facciamo, quello che facciamo veramente, non quello che qualcuno scrive e pensa che noi facciamo. Credo che sia stato un momento importante. Peraltro è argomento che avevo già sollecitato anch'io in Aula, chiedendo che vi fosse una comunicazione istituzionale più precisa rispetto all'attività parlamentare.
Signor Presidente, prendo la parola sull'ordine dei lavori perché, come ha detto prima l'onorevole Ferrari, stamattina in Commissione ho sollevato una questione che veniva rilevata dal Comitato per legislazione. Ovviamente il Comitato per la legislazione fa molte precisazioni, ma io mi soffermavo su quelle che il Comitato propone come condizioni.
Il Comitato per la legislazione dice che l'articolo 1 del disegno di legge di conversione interviene a modificare un termine di esercizio di delega legislativa e ricorda che questo incappa con l'articolo 15, comma 2 lettera a), della legge n. 400 del 1988, secondo cui il Governo non può intervenire mediante decreto nel conferimento di deleghe legislative, ai sensi dell'articolo 76 della Costituzione.
Vi è poi, peraltro, un'ulteriore specificazione che riguarda l'articolo 10, comma 6, che - devo dire - era stato inserito correttamente in questa Camera, già nella proposta del Governo. Non era stato modificato alla Camera dei deputati, ma è stato modificato al Senato, per cui si cambia il soggetto che esercita una delega, cosa che evidentemente non è possibile attraverso questa forma di delegazione.
Le questioni incappano anche in qualcosa di abbastanza serio, perché il Comitato per la legislazione ci dice cosa riterrebbe opportuno e, se mi permette, lo riporto: «si sopprima la disposizione introdotta dal Senato nell'articolo 1 comma 2 del disegno di legge di conversione» - insisto su «si sopprima» - «con la quale si modifica il termine di esercizio della delega legislativa finalizzata» a questo tipo di materia.
Signor Presidente, c'è un ulteriore aspetto. Si chiede anche di tener conto della recente sentenza della Corte costituzionale, per la precisione la sentenza n. 22 del 2012, in quanto «non appare corrispondente» - quello che viene fatto - «ad un corretto utilizzo dello specifico strumento normativo rappresentato dal disegno di legge di conversione» l'inserimento di questa materia.
Ora io ringrazio il collega Ferrari, che ha voluto richiamarlo, ma ringrazio anche il sottosegretario D'Andrea, che stamattina ha voluto darmi una sua autorevole risposta. Pag. 51Mi rimane, però, un dubbio, fatto salvo che il Comitato per la legislazione fa questo documento ed il nostro Regolamento, all'articolo 16, ripercorre quelle che sono le tappe per cui questo parere viene portato prima alle Commissioni e poi all'Aula. C'è ovviamente la possibilità di emendare ulteriormente quello che arriva e che non è corretto rispetto all'indirizzo del Comitato per la legislazione in Commissione. Qualora la Commissione non si adegui, attraverso i suoi relatori lo dice in Aula. In Aula è stata detta dal collega Ferrari la motivazione ed io non voglio entrare nella motivazione, che ovviamente è una motivazione politica.
Stamattina il Governo si è adeguato a questa motivazione politica. Il collega Ferrari ha guardato ancora all'esterno e ha detto che se noi non convertiamo questo decreto-legge ci saranno ovviamente delle risultanze all'esterno di questo Parlamento che potrebbero essere negative.

PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Volpi.

RAFFAELE VOLPI. Sto per concludere, signor Presidente. Adesso le faccio una richiesta. Le chiedo solo, dal momento che il Governo, né, mi pare, i relatori, credo intendano presentare emendamenti correttivi, se la Presidenza vuole continuare sull'iter di questo provvedimento sapendo che è addirittura contrario ad una indicazione della sentenza della Corte costituzionale. Se qui ci sentiamo tutti così tranquilli nel fare una cosa che sia una legge che una sentenza della Corte costituzionale dicono che non si può fare, se la Presidenza è tranquilla, io sono tranquillo, ma non penso che sia esattamente la forma migliore per legiferare.

PRESIDENTE. Onorevole Volpi, lei ha già sollevato tale questione sia nella seduta del 16 marzo scorso che in quella del 23 luglio 2012, con riferimento ad altri provvedimenti all'esame dell'Assemblea. Il Comitato per la legislazione ha formulato le sue osservazioni ed è a discrezione dei relatori accoglierle o meno, trattandosi di autorevoli pareri, ma non vincolanti. Men che meno può la Presidenza sostituirsi al merito dei relatori che ne hanno dato conto nell'intervento anche di questo pomeriggio. Non è certo alla Presidenza che spetta un sindacato preventivo di costituzionalità sui provvedimenti, stando anche alla sua ultima osservazione.

RAFFAELE VOLPI. C'è comunque il comma 7, signor Presidente...

PRESIDENTE. L'esame del provvedimento procederà. Ne è prevista la discussione sulle linee generali e poi l'esame a seguire, secondo le modalità che sono previste dal nostro Regolamento.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Borghesi. Ne ha facoltà.

ANTONIO BORGHESI. Signor Presidente, signor sottosegretario, colleghi, ebbene, non ho fatto interventi sull'ordine dei lavori, però è evidente che il primo punto di partenza non può essere quello che è stato testé sollevato sull'ordine dei lavori dal collega Volpi, perché il tema è non solo delicato, ma lo è di più, perché tra un'ora, mezz'ora o quando sarà, il Governo porrà la questione di fiducia, l'ennesima questione di fiducia, ed io mi dovrò alzare per l'ennesima volta per contestare al Governo non quello che il mio gruppo dice, ma ciò che dice il Presidente della Repubblica, e che è continuamente ignorato dal Governo, perché il Presidente della Repubblica è stato molto chiaro sui casi, sulle modalità, sulle situazioni nelle quali porre la questione di fiducia. Quindi, ci troviamo di fronte ancora una volta certamente ad una situazione di difformità rispetto alle indicazioni del Presidente della Repubblica da un lato, tanto più quando addirittura ci troviamo, all'interno, all'ignoranza, nel senso di superamento, di non consapevolezza di avere introdotto al Senato una norma in palese contrasto, come rileva il Comitato per la legislazione, con la sentenza, recente peraltro, della Corte costituzionale. Pag. 52
Allora, Presidente, capisco - mi riferisco alla Presidente Bindi - che non sia competenza, e non so se la Presidenza della Camera di fronte ad una violazione palese della Carta costituzionale, di una sentenza della Corte costituzionale, possa non sollevare il problema, però oggettivamente è un problema che c'è.
Così come ricordo che il Comitato per la legislazione ha anche chiesto il rispetto di altre condizioni per quanto attiene le questioni dello strumento normativo, cioè l'esercizio della delega finalizzato al completamento della revisione della struttura di bilancio, per cui c'è più di una condizione che a parere del Comitato viene ignorata, non considerata, in questo decreto-legge. Dopodiché prendo atto anch'io che siamo al giorno 5 dicembre, che il decreto scade il 9, e che bisogna dare tempo anche al Presidente della Repubblica di poterlo valutare per quanto di sua competenza. Certo che quanto di sua competenza attiene anche appunto alle considerazioni, che sempre ha fatto il Presidente, sulla decretazione d'urgenza e anche al contenuto della decretazione d'urgenza. Perché si è parlato persino di innesto di altri decreti-legge all'interno del decreto-legge, cosa che è inverosimile e che già è stata censurata in modo rilevante nel passato, quando purtroppo questo fatto si è già verificato e ha dato proprio luogo, in quella occasione, ad un intervento puntuale del Capo dello Stato.
Comunque lasciamo al Capo dello Stato il suo lavoro di valutazione. Capisco che anche lui si troverà nella morsa di non avere il tempo tecnico, ma forse invece l'avrà, per pretendere dal Governo - come è stato già fatto in passato - una qualche modifica per rispettare la Carta costituzionale.
Ciò detto, in realtà molte delle modifiche introdotte al Senato tendono oggettivamente a migliorare il provvedimento, ma vorrei prima di tutto partire dalla questione e dare atto al collega relatore Ferrari di aver chiarito in modo molto preciso e puntuale come sono andate le cose affinché ciascuno si assuma le sue responsabilità e affinché non si incolpi la Camera di una decisione, di una soluzione data ai costi della politica sulla questione dei vitalizi da parte del Governo. Gliene do atto, io stesso mi rammarico di non avere inizialmente compreso appieno la scansione dei fatti e delle modifiche che sono state qui introdotte alla Camera in prima lettura.
Ciò non toglie però che la Camera avrebbe potuto fare meglio di quanto non sia stato fatto. Questo io lo devo dire, ne approfitto per dirlo e per ribadirlo, perché è vero che molte regioni hanno legiferato in materia e molte l'hanno abolito, ma cominciamo a dire che l'hanno abolito intanto dalla prossima legislatura, quasi sempre. Quindi, questo significa che per chi si trova in questa legislatura, consiliatura regionale, spesso valgono norme che sono persino in contrasto con quelle che, in via temporanea, il Governo ha ritenuto di indicare per le regioni che ancora non hanno deliberato, e addirittura norme sui vitalizi che sono persino migliori di quanto non abbia previsto addirittura il Parlamento, in parte almeno. Infatti, il passaggio al contributivo è stato per il Parlamento immediato.
In molte regioni, il passaggio al contributivo avrà luogo probabilmente dalla prossima consiliatura, ma, soprattutto, non risultano spesso modificate le condizioni di età per fruire del vitalizio stesso, per cui non c'è quel vincolo che il Governo immaginava dei 66 anni di età, così come non c'è il vincolo di avere almeno dieci anni completi di incarico per poterne usufruire a quell'età. Il risultato, secondo anche una mia idea personale, è che questi vitalizi dovevano essere, tanto per il Parlamento, quanto per i consigli regionali, modificati anche per coloro che li stanno ricevendo ed anche per coloro che ne avessero già maturato il diritto alla percezione, dove «diritto» lo metto tra virgolette perché continuo a ribadire che siamo di fronte al fatto che delle leggi dello Stato, quindi approvate pure da questa Camera, hanno modificato le regole del gioco per i semplici pensionati e, talvolta, in modo stravagante, inusitato e incredibile, basti guardare cosa comporta Pag. 53e pretende ora la norma per chi ha in parte contribuzioni versate all'INPS e in parte versate all'INPDAP. Abbiamo cambiato le regole del gioco per cui, per una persona che ha gli anni di versamento complessivi richiesti dalla legge (vedevo ieri alcune simulazioni e alcuni conteggi), si pretendono per un vitalizio, che poi sarebbe di 1.500 euro, versamenti di 240 mila euro. E riteniamo che questo vada bene e non riteniamo, invece, che si dovesse intervenire anche per quanto riguarda i vitalizi già percepiti e quelli percepiendi da chi li ha maturati.
Credo che si dovesse fare un lavoro di passaggio al contributivo per tutti, anche per chi li percepisce già perché questo avrebbe avuto il significato reale di andare a modificare le cose in modo deciso. E vorrei ricordare - lo dico qui - che, per i parlamentari, si tratta di 200 milioni di euro all'anno che almeno per i prossimi vent'anni continueranno a pesare sulle tasche dei contribuenti. Uniti a quelli dei consiglieri regionali, significa ogni anno una somma che, secondo calcoli che noi abbiamo effettuato, si avvicina al miliardo di euro a carico dei contribuenti. Ecco perché andava fatto qualcosa di più e la Camera ha avuto la possibilità eventualmente di essere più rigorosa almeno prevedendo che, anche per le regioni che avessero già legiferato, i vincoli dei 66 anni e dei dieci anni dovevano comunque valere.
Detto questo, ribadisco che, per quanto riguarda gli altri interventi, sono sostanzialmente degli interventi che in qualche modo sono migliorativi. Mi pareva di dover sottolineare il fatto, che giudico significativo, della norma che introduce la tassazione IMU anche per le fondazioni bancarie. Ciò era, a giudizio di tutti, inaccettabile, non tanto perché le fondazioni bancarie non svolgessero anche un'attività importante per il territorio, ma perché vi è una differenza con le associazioni senza fini di lucro. Evidentemente anche le fondazioni bancarie sono, come le ha definite una sentenza della Corte costituzionale del 2003, persone giuridiche private senza fini di lucro; per carità, rispetto sempre le sentenze della Corte costituzionale.
Tuttavia certamente non era priva di fini di lucro per i consiglieri di amministrazione di queste fondazioni, per gli amministratori e per i presidenti, riguardo ai quali, al di là di ogni limite di accettabilità e nonostante una legge sulla trasparenza, io almeno non sono ancora riuscito a capire le cifre; infatti, ci si rifiuta di comunicare quanto percepiscono i presidenti e i consiglieri di amministrazione delle fondazioni bancarie. Credo sia scandaloso, perché ho ragione di ritenere che si tratti di somme assolutamente rilevanti. Poi queste fondazioni non le vogliono comunicare, ma credo sia indubbio che i presidenti e i consiglieri abbiano dei lucri estremamente rilevanti. Allora io dico che prevedere che paghino l'IMU sui loro immobili sia assolutamente un atto di equità.
Così come il fatto che per gli enti non commerciali si faccia ora riferimento al decreto ministeriale n. 200, quello di novembre, anche se mi chiedo se fosse necessario precisarlo, perché dato che quel decreto era comunque già applicativo forse si poteva addirittura sopprimere. Sappiamo che è nato un piccolo pasticcio, anzi un grande pasticcio sulla questione delle agevolazioni per i territori colpiti dal sisma. Il Governo rassicura sul fatto che interverrà a breve. Ci auguriamo che lo faccia davvero rapidamente, perché non possiamo lasciare nell'incertezza chi si trova ad affrontare i problemi dopo essere stato colpito da una calamità così grave.
Per il resto, in conclusione, voglio dire che noi una riserva ce l'abbiamo e voglio segnalarla, che è quella che prevede l'applicazione dei controlli interni in modo graduale per i comuni. Noi avremmo preferito che tutti i comuni sopra i 15 mila abitanti attuassero fin da subito i controlli interni. Il fatto che quelli addirittura vadano ad attuarli nel 2015 e solo dal 2015 ci pare sbagliato, perché se effettivamente c'è una motivazione, come io credo ci sia, per controllare e per un controllo più Pag. 54stretto sugli enti locali, quella norma doveva essere lasciata così come era stata licenziata dalla Camera.
In conclusione ribadisco che comunque complessivamente le modifiche sono migliorative. Per questo in sede di voto finale alla prima lettura ci eravamo astenuti e confermo che sul voto finale ci asterremo, ma naturalmente diremo un «no» molto forte per quanto riguarda invece la fiducia al Governo, quando la fiducia sarà posta (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. Onorevole Borghesi, siccome anche lei è ritornato sul tema del controllo di costituzionalità dei provvedimenti, rinvio, e per brevità non ne do lettura, alla decisione assunta in proposito dalla Giunta per il Regolamento nella seduta del 7 marzo del 2002 - che magari farò avere sia a lei sia all'onorevole Volpi - dalla quale risulta con molta chiarezza che i poteri sono circoscritti ai principi generali dell'ordinamento costituzionale e ad alcune prerogative che riguardano la Camera dei deputati.
È iscritto a parlare l'onorevole Mantini. Ne ha facoltà.

PIERLUIGI MANTINI. Signor Presidente, onorevole sottosegretario e colleghi, il nostro, quello dell'Unione di Centro, è invece un «sì» molto forte, al contrario del collega Borghesi dell'Italia dei Valori, alla fiducia a questo Governo, nel caso in cui la fiducia venga posta su questo provvedimento.
Ma partiamo da qui perché le disposizioni urgenti in materia di finanza e di funzionamento degli enti territoriali, il provvedimento al nostro esame, rappresentano un'altra tappa di una faticosa opera che il Governo sta portando avanti con l'utile collaborazione del Parlamento, lungo una strada difficile che è fatta di risanamento e anche di ripresa di fiducia per il futuro. Quest'opera, naturalmente, si articola in varie tappe e oggi siamo solo all'esame della nuova riscrittura, solo in punti limitati, del provvedimento e quindi non mi soffermo sulle ragioni generali che già ci hanno portato sia in prima lettura alla Camera che al Senato ad un voto favorevole. Le modifiche sono state illustrate bene dal collega Ferrari e dalla relatrice Moroni; sono modifiche più che altro funzionali. Mi riferisco all'articolo 1 dove è stato mutato, in parte, solo il controllo delle sezioni regionali della Corte dei conti sui rendiconti dei gruppi consiliari e sono state introdotte, appunto, al Senato, alcune nuove misure che riguardano il termine entro il quale questa competente sezione deve pronunciarsi sulla regolarità del rendiconto, ridotto da 60 a 30 giorni dal ricevimento, e l'introduzione, anche, di un silenzio-assenso in caso di inutile decorso del termine.
Altre modifiche riguardano il sistema informativo sulle operazioni degli enti pubblici, sistema cosiddetto SIOPE; altre ancora, all'articolo 3, riguardano il sistema dell'anagrafe patrimoniale degli amministratori degli enti locali con più di 15 mila abitanti; una innovazione a nostro avviso utile è quella che concerne il controllo di regolarità amministrativo-contabile che, a seguito delle modifiche apportate dal Senato, ci sembra più efficace: è stato soppresso il controllo di regolarità contabile, è stato mantenuto il solo controllo di regolarità amministrativa nella fase preventiva di formazione dell'atto; è stato precisato che questo controllo di regolarità «è effettuato» anziché «è inoltre effettuato» dal responsabile del servizio finanziario e quindi responsabilizzando di più la dirigenza; sono, poi, stati soppressi dall'elenco delle tipologie di atti assoggettati al controllo amministrativo contabile gli atti di accertamento di entrate e gli atti di liquidazione della spesa. Insomma, torna il ruolo, anche, del direttore generale nei comuni che lo prevedono; è stata data una configurazione più efficace al piano esecutivo di gestione nel quale sono unificati organicamente sia il piano della performance che il piano dettagliato degli obiettivi gestionali. Si tratta di aspetti tecnici, e non solo, che però sono di grande rilievo se vogliamo dare una nuova configurazione alla spesa pubblica secondo i nuovi parametri che abbiamo iscritto Pag. 55nella riforma dell'articolo 81 della Costituzione; una riforma costituzionale votata in meno di un anno dall'intero Parlamento, voglio sottolinearlo perché talvolta la polemica politica finisce per offuscare anche i risultati positivi che il Paese produce nei momenti di collaborazione e di unità. Voglio ricordare che su quel voto vi sono state poche astensioni di alcuni gruppi ma un voto unanime dell'intero Parlamento italiano. Dunque, c'è la necessità di un controllo della spesa pubblica, innanzitutto più efficiente, cosa che si realizza con questo provvedimento e anche con altri, un controllo e un coordinamento della spesa pubblica che si attuano riportando anche un po' più di statualità nel sistema esploso delle nostre autonomie locali.
Certamente noi siamo contrari ad un ritorno al centralismo statalista. Abbiamo ben forte la cultura delle autonomie locali, ma non c'è dubbio che ascriviamo ciò al merito politico del gruppo dell'Unione di Centro e dei pochi, non molti, che in questi anni hanno avuto il coraggio di opporsi ad una certa Weltanschauung federalista, ad una deriva federalista, perché se il federalismo deve essere, appunto, la moltiplicazione irresponsabile dei centri di spesa e dei costi e delle barriere normative allora davvero ben venga una nuova stagione. Non so se la dovremo chiamare Terza Repubblica, ma certamente tra le riforme istituzionali e costituzionali necessarie vi è quella della ripresa dell'unità del Paese intorno a politiche nazionali, non statali o stataliste, ma nazionali, dove tutti gli attori sono in campo, e al ritorno anche ad un concetto ben presente negli altri ordinamenti costituzionali, cioè la supremazia dell'interesse nazionale quando questo è necessario. Dunque, lungo questo percorso, quest'azione di riforma, si colloca questo provvedimento, che però contiene anche altre misure, e mi riferisco in particolare a quelle per il terremoto. È stato un po' faticoso anche in merito arrivare a risultati positivi, ma la collaborazione, l'insistenza e il suggerimento da parte delle forze parlamentari sono state utili al Governo, a conferma del fatto che questo Governo non è un Governo che siede nel cesto, separato dalla società, ma al contrario vive i problemi del Paese attraverso la dialettica con il Parlamento, la fiducia delle forze parlamentari e anche le proposte che dal Parlamento pervengono. Sul tema del terremoto si potrebbero dire davvero tante cose, siamo in una situazione in cui la necessità di controllo e anche di contenimento della spesa pubblica prevalgono su altre ragioni, ma non certo in materia di calamità e di aiuto, di presenza dello Stato dinanzi alle disgrazie. Quindi, mi sia solo consentito dire, a proposito del fatto che pende qualche questione in relazione agli aiuti ai terremotati dell'Abruzzo e non solo, che quando si stabiliscono misure di dilazione nel pagamento dei contributi INPS e INAIL, per esempio, di restituzione e così via, sì, siamo di fronte a delle forme di provvidenza motivate esattamente dalla calamità. L'Italia e questo Governo devono avere la forza di spiegare in sede europea che non si tratta di aiuti di Stato, ma si tratta di normali e doverosi aiuti post calamità, peraltro anche graduati e ragionati e quindi assoggettati a un principio di proporzione. Quindi, non vorremmo su questi capitoli subire una «mala Europa», ossia un'interpretazione sbagliata dell'Europa per cui dinanzi al primo funzionario anche un Governo autorevole, qual è il Governo Monti, il Governo del nostro Paese, indugi oppure abbia delle perplessità. No, i provvedimenti che riguardano il terremoto non sono aiuti di Stato purché rientranti in parametri di proporzionalità. D'altra parte, l'Europa stessa ha dato aiuti alle zone terremotate. Il problema è stato una rendicontazione un po' allegra che vi è stata nel passato. Si tratta di sanare alcune procedure, però non confondiamo il miglioramento delle prassi che finora abbiamo tenuto e che sono state in qualche misura osservate dall'Europa con il concetto sostanziale che non sono aiuti di Stato per i terremotati. D'altra parte, siamo in un'epoca che vede, per esempio - cito solo tra parentesi un fatto -, la Francia finanziare abbondantemente Peugeot Pag. 56come impresa di Stato, e lì forse non si sollevano tante questione sugli aiuti di Stato.
Dunque, questo è un capitolo che non può riguardare i terremotati ed è un grande capitolo della costruzione dell'Europa politica unita, su cui il Governo Monti saprà, come sa, essere protagonista. Questo provvedimento contiene naturalmente molte altre cose. È stata ricordata l'IMU, che non riguarda solo le fondazioni, adesso riguarderà anche la questione degli enti, come ONLUS ed enti no profit. Anche questo è un grande capitolo su cui dovremo tornare e su cui ci sono i pareri del Consiglio di Stato, che abbiamo letto.
Credo ci sia davvero la necessità, su questa materia, di una legislazione più avanzata, di evitare le zone grigie, di valorizzare tutte le attività di volontariato in nome della sussidiarietà, ma di capire che ad un certo punto - e questo deve dirlo il legislatore - c'è un limite entro cui si entra invece nell'area dei servizi alla persona resi in forma imprenditoriale, su cui ci sono le gare, ci sono i principi della concorrenza, ci sono anche le tasse, e dove ci sono le tasse c'è un profitto. Credo davvero che su questo punto dobbiamo fare qualcosa in più e non lasciare che il tema sia oggetto di interpretazioni e, a volte, di sterili speculazioni.
Insomma, dobbiamo andare avanti con decisione, con forza, direi persino con entusiasmo, sulla via del risanamento e anche della ripresa economica, senza vendere favole - il termine, mi pare, sia entrato in una certa moda nel linguaggio politico -, ma gli italiani non vogliono ascoltare le favole, vogliono la serietà da parte di chi li governa, vogliono capire le ragioni, partecipare, fare i sacrifici, a patto che naturalmente i sacrifici siano riposti in buone mani. I tagli che sono stati fatti dei costi della politica - lo diceva bene il collega Ferrari - sono un inizio e anche una tappa in questa direzione.
Se è vero che ci sono stati molti ritardi e ci sono stati anche i cosiddetti privilegi di casta, è anche vero che negli ultimi mesi, forse con un certo colpevole ritardo, l'Italia ha iniziato a tagliare, dimezzare il finanziamento pubblico ai partiti, che attualmente è un po' inferiore alla media europea, a eliminare i vitalizi per i deputati, e adesso anche per i consiglieri regionali, a ridurre insomma i costi della politica in modo sensibile e ad inserire controlli da parte della Corte dei conti e di altri organismi specifici qui, alla Camera, e anche di società di revisione, secondo i principi di mercato e di trasparenza; quindi si è messa sulla strada giusta.
Occorre che queste cose siano dette, riconosciute, ribadite e anche, naturalmente, comunicate meglio da parte dei vertici istituzionali, perché non è dalla demagogia e dal populismo che traiamo forza per le riforme necessarie anche in tema di risanamento etico. Dunque, dobbiamo andare avanti. Noi dell'Unione di Centro, con le fondazioni liberali, le associazioni cattoliche che si sono con noi impegnate nella formazione di una grande Lista per l'Italia alle prossime elezioni del 2013, abbiamo, lungo questa strada, un sogno e un progetto per l'Italia e per gli italiani.
Il sogno è quello realistico di riprendere con l'Europa la via della crescita, di non disperdere i buoni risultati del Governo Monti, di proseguire e vincere le sfide del cambiamento per dare più tranquillità alle famiglie, più forza alle imprese e ai lavoratori, più futuro ai giovani, più dignità ai cittadini. Il progetto è quello che fu di Moro in un altro momento difficile della nostra storia, quello di un incontro tra le culture politiche del nostro Paese, dell'ampliamento della base della democrazia e di Governo, quindi quello di un'alleanza di Governo tra nuovo centro e Partito Democratico.
È un incontro tra riformismi di ispirazione liberale, cattolica e socialdemocratica. Certo, non è possibile tornare indietro sulla riforma delle pensioni, anzi occorre andare avanti, risolvendo il problema degli esodati, sulla strada della flexsecurity e degli accordi sulla produttività, delle liberalizzazioni e della realizzazione di grandi infrastrutture europee, come la TAV. Pag. 57
L'Italia - e concludo, signor Presidente - è un Paese meraviglioso e ricco di profumi. Certo, solo quello di sinistra non credo sia sufficiente per la maggioranza degli italiani e per quel nuovo respiro che dobbiamo e vogliamo assicurare al futuro del nostro Paese (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro per il Terzo Polo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rubinato. Ne ha facoltà.

SIMONETTA RUBINATO. Signor Presidente, le chiedo l'autorizzazione a depositare l'intervento scritto che è un po' più ampio di quello che cercherò di sintetizzare a voce.
La conversione delle misure del provvedimento in esame nel testo arrivato dal Senato, anche agli occhi dell'opinione pubblica, appaiono necessarie per porre una serie di limiti ai costi del funzionamento delle istituzioni e della politica, nonché per rendere operative le disposizioni in favore delle zone terremotate, anche se non del tutto soddisfacenti ed anzi da integrare e rafforzare, come peraltro il Governo si è impegnato a fare.
Ciò premesso, non possiamo tacere una serie di limiti che questo provvedimento, che è l'ultimo di una serie di provvedimenti in materia di ordinamento degli enti territoriali, porta: i limiti di una visione centralistica e, tutto sommato, anche poco efficiente nell'effettività dei controlli. Vorrei partire da un esempio: da due norme, una norma che non c'è più nel provvedimento e una norma che c'è e che è stata allargata.
Questo provvedimento, oltre che dei costi della politica, si occupa del funzionamento degli enti locali e, in particolare, di quegli enti locali che versano in una situazione di squilibrio strutturale di bilancio, in grado di provocarne il dissesto. Il provvedimento in esame ha istituito ed introdotto una nuova procedura di cosiddetto predissesto ed ha istituito un apposito fondo di rotazione per concedere anticipazioni agli enti locali a determinate e severe condizioni che - tutto sommato - ci auguriamo rimangano effettive, tra le quali un piano di rientro, l'aumento al massimo delle aliquote delle imposte locali, al fine della restituzione delle anticipazioni stesse, al massimo in dieci anni.
Il fondo ha sostanzialmente a sua disposizione, dopo il passaggio al Senato, 518 milioni di euro nel 2012, 220 nel 2013, 190 nel 2014 e, a regime, 200 milioni dal 2015.
C'è poi un'altra norma, che era uscita dal lavoro delle Commissioni qui alla Camera, ma che è stata cancellata su diktat del Governo, ed era una norma che invece mirava a dare una premialità agli enti virtuosi. In questo caso, per enti virtuosi intendo quelli che raccolgono l'invito-obbligo del Governo ad utilizzare i 500 milioni di riduzione della spending review prevista per il 2012 e per l'estinzione anticipata dei mutui. La norma premiale, approvata dalle Commissioni riunite all'unanimità, stabiliva l'esenzione di questi comuni, che contribuiscono alla riduzione dell'indebitamento del sistema Paese, e la cancellazione delle penali. Visto che lo Stato chiede loro di estinguere anticipatamente i mutui, è iniquo che debbano anche sopportare il pagamento delle penali, anzi dovrebbero essere premiati perché riducono il debito pubblico del Paese.
Questa norma è stata cancellata già nel passaggio alla Camera e nel passaggio in Aula, mentre rimane ed è stato allargato l'accesso al fondo di predissesto per gli enti locali in difficoltà, anche per quelli sciolti per infiltrazioni di tipo mafioso.
La domanda che faccio è questa: in questo modo, continuando nei percorsi di norme «ad entem», per le gestioni per così dire allegre, e invece sempre a spese dei comuni che hanno una gestione sana e virtuosa, non si incentiverà mai la responsabilizzazione degli amministratori degli enti locali. Questo è un punto fondamentale se si vuole davvero cambiare il sistema Paese.
Mi permetto qui, con spirito leale e costruttivo, di citare il recentissimo intervento fatto dal professor Pezzani, ordinario di programmazione e controllo nelle pubbliche amministrazioni alla «Bocconi», dal titolo: Pubblica amministrazione: perché Pag. 58i conti non tornano. Vado in sintesi, perché ho già avvertito che consegnerò il testo del mio intervento ma, sostanzialmente, si pone questa domanda: perché, in tema di riforme contabili, continuiamo a produrre norme e continuiamo a sbagliare? Il primo motivo, che il professor Pezzani individua, è che vi è un approccio culturale al controllo di tipo giuridico, per cui di fronte a un problema si fa costantemente ricorso alla formulazione di una nuova norma, all'inasprimento di quelle esistenti, all'introduzione di un nuovo organo di controllo, ma mai una volta che ci si domandi perché quelle regole in essere non hanno funzionato.
Mi permetto di citare la spending review che docet in questo. Ma docet anche il caso della regione Sicilia, dove pure il controllo della Corte dei conti vi era già, a differenza delle regioni a statuto ordinario, e che viene introdotto in questo provvedimento. Va bene, ma bisogna farlo funzionare. Docet il caso delle città: Napoli, Catania, Palermo, Alessandria, in modo bipartisan, e chi più ne ha più ne metta, che pure già inviavano e inviano ogni anno rapporti, bilanci di previsione e consuntivi al Ministero dell'economia e delle finanze, al Ministero dell'interno e alla Corte dei conti.
Vi è, poi, una distanza abissale tra amministrazioni centrali e periferiche. Le prime vedono la realtà sotto forma astratta di dettati normativi, nell'astrattezza giuridica; le seconde, invece, vedono i problemi concreti, i bisogni delle comunità e sono ormai ossessionate dal problema del rispetto di normative che non tengono conto della realtà di fatto.
Ancora. Il nostro assetto istituzionale è perennemente in mezzo a un guado, tra modello centrale e federale. Sono 10-15 anni che si parla di attuare il federalismo, ma nel 2009 il 56 per cento dei dipendenti pubblici era ancora nelle amministrazioni centrali e i controlli sono pensati con una logica di uniformità, in un Paese profondamente diverso da territorio a territorio. E se vi è un fallimento e se vi è qualcuno che non ha funzionato in questi anni, non sono solo gli enti non virtuosi, ma anche il controllore, visto che l'efficacia dei controlli statali sulle autonomie locali ci ha portati qui e, cioè, a dover costituire un fondo predissesto.
Tralascio la questione del Patto di stabilità, che pure è rilevantissima, e tralascio il fatto che gli enti locali non vengono messi in condizione di fare una programmazione efficace, con delle regoli stabili. Ricordo che il Governo ha dato quest'anno il termine per l'approvazione del preventivo al 31 ottobre. Come si pensa, con un programma per due mesi e con continui cambiamenti in corso, anche nelle entrate dei bilanci comunali, di poter rendere il sistema stabile e responsabilizzarlo?
Allora, sappiamo bene che la recessione in atto, la crisi economica che vive il Paese, la necessità dei tagli, è una malattia le cui cause sono state incubate almeno negli ultimi 15 anni e sarebbe sciocco e disonesto attribuirne la responsabilità all'attuale Governo, guidato dal Presidente Monti che, anzi, ha salvato il Paese dal baratro. E sappiamo anche che questo provvedimento, così come il disegno di legge di stabilità, in corso di esame al Senato, si inserisce in una serie di atti normativi molto lunga in materia di enti territoriali, per lo più di decreti-legge adottati nel corso della crisi dal precedente Governo, intensificatisi poi nel 2011 e nel 2012. Ma, siamo giunti a un punto di non sostenibilità. Il problema vero non sarà più solo il controllo degli «enti allegri», dalla gestione allegra. Il problema vero è che molti enti locali, che pure arrivano da decenni di sana e corretta gestione, di buoni livelli di servizi, di investimenti virtuosi in opere pubbliche, il prossimo anno rischiano di non poter pareggiare il bilancio e di andare in predissesto, se non aumentano le imposte locali, non per propria responsabilità ma per i tagli lineari e i vincoli assurdi imposti dalla normativa statale negli ultimi anni.
Mi permetto, al riguardo, di rilevare una preoccupazione relativa alla ulteriore limitazione introdotta nel passaggio al Senato al comma 6-bis dell'articolo 9, in materia di regolazione dei rapporti finanziari tra Stato e comuni in materia di Pag. 59imposta municipale per il 2012. Ancora una volta non si dà certezza sul fatto che lo Stato garantisca ai comuni, peraltro ormai a gestione di bilancio 2012 chiusa e come, peraltro, sempre affermato dai rappresentanti del Governo a parole, l'invarianza di gettito ad aliquote base dell'IMU rispetto a quanto hanno incassato i comuni nel 2011 a titolo di ICI e di trasferimenti compensativi per l'abrogazione dell'ICI sull'abitazione principale. Questo è un dato di certezza e di programmazione che va dato ai comuni. In questo provvedimento vi è un ulteriore limitazione al fatto che, comunque, bisogna restare nei limiti del Fondo di riequilibrio. Ma, questa non è invarianza.
Concludo. Mentre sul piano internazionale, grazie all'opera del Presidente Monti, abbiamo riacquistato credibilità e avuto un dividendo che si chiama stabilità finanziaria, che è fondamentale perché il Paese possa pensare di riprendersi e di ripartire anche con un minimo di crescita uscendo dalla recessione, all'interno la condizione ordinamentale della Repubblica è diventata contraddittoria. Lo Stato non eroga servizi ai cittadini, se non alcuni - penso solo alla giustizia, che non funziona - e taglia la spesa degli enti che erogano servizi, che molte volte funzionano. Non riforma i propri apparati, ma riduce l'organizzazione e la rappresentatività delle regioni e degli enti locali. L'autonomia finanziaria regionale e locale è incisa dallo Stato, che prende i gettiti dei tributi regionali e locali, ma non svolge i compiti di perequazione che gli spettano. Allora, credo che sia arrivato il momento di andare oltre quella che un costituzionalista ha definito stagnazione istituzionale, con una visione istituzionale riformatrice e finalmente in linea con il dettato della Costituzione, e di ragionare sì di principi, ma anche della loro reale applicabilità, attraverso meccanismi effettivi di responsabilizzazione degli amministratori locali, di controlli non solo formali e di sanzioni certe e sostenibili.
Occorre riprendere il percorso federalista, perché un assetto regionalista è l'ordinamento più consono ad una comunità politica organizzata nell'ambito di un processo di integrazione europea e di un sistema di economia internazionalizzata, nel quale è normale e naturale che i compiti dello Stato crescano sul versante esterno - negoziazioni internazionali ed europee - e si riducano su quello interno, dove deve limitarsi sostanzialmente a funzione perequativa e di promozione dei territori, garantendo il funzionamento degli enti che devono erogare i servizi ai cittadini. Ce lo insegna l'esempio di altri Paesi europei, in primis la Repubblica federale tedesca (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Rubinato, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
Saluto gli studenti e i docenti dell'Istituto comprensivo San Giovanni Bosco di Gioia dei Marsi in provincia dell'Aquila, così come gli studenti e i docenti dell'ITIS Ettore Majorana di Milazzo in provincia di Messina, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).
È iscritto a parlare l'onorevole Simonetti. Ne ha facoltà.

ROBERTO SIMONETTI. Signor Presidente, la Lega Nord è fortemente critica con il metodo seguito dal Governo e da questa maggioranza nell'affrontare i problemi importanti e seri di questo provvedimento, che sono alla base di riflessioni importanti. I media hanno utilizzato i vari casi Fiorito per attaccare il Parlamento e le istituzioni locali e regionali, invece noi abbiamo creato un testo maggiormente rigoroso rispetto a quello del decreto-legge iniziale, però nessuno ha difeso le prerogative del Parlamento. Quando dico nessuno, intendo proprio nessuno, soprattutto chi ci rappresenta all'esterno, cioè l'autorevole Presidente di questo ramo del Parlamento, lo ha già ricordato il collega relatore (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania). La Presidenza a volte Pag. 60è troppo silente, quando invece bisogna difendere il ruolo e la dignità dei deputati, soprattutto all'esterno.
Venendo al provvedimento, non si può non evidenziare che lo stesso limita l'autonomia degli enti territoriali, non garantisce un sistema di controlli realmente efficace e stanzia ulteriori risorse in favore dei comuni in situazioni di dissesto finanziario. La politica centralista del Governo Monti sta portando al fallimento gli enti territoriali, generando le legittime rimostranze degli amministratori, che non dispongono più delle risorse necessarie per garantire i servizi e le funzioni essenziali. Proprio domani i sindaci e l'Ufficio di Presidenza dell'ANCI si incontreranno nuovamente e probabilmente - dicono - alla presenza e con la supervisione del Presidente della Repubblica, per definire la loro posizione in merito ai mortali tagli ai trasferimenti che nella legge di stabilità addirittura voi aumentate rispetto al testo del decreto-legge n. 95 del 2012: ai comuni ulteriori 500 milioni sui 2 miliardi già previsti; alle province ulteriori 200 milioni sul miliardo già previsto.
I sindaci della Lega sono pronti alle dimissioni di massa, affinché i commissari prefettizi provino loro, da tecnici istituzionali o come credono, a riuscire a pareggiare i bilanci, dando i servizi, senza, però, ovviamente, aumentare vertiginosamente le tasse locali, anche perché anch'esse sono al limite, così come sono al limite le tasche dei cittadini.
Sono, inoltre, criticabili le norme relative ai territori colpiti dal sisma del 2012: essendo estese le prerogative dei benefici a soggetti che, secondo noi, non avrebbero titolo per poter accedere a queste suddivisioni, esse non offrono il giusto ristoro alle popolazioni veramente vittime del sisma, che già da fine mese di dicembre saranno costrette a effettuare esborsi cospicui per adempiere agli obblighi fiscali.
La politica economica del Governo ha portato ad un aumento della disoccupazione, alla crescita del numero dei pignoramenti, al peggioramento del ciclo economico e all'aumento del rapporto tra debito e PIL, addirittura superiore a quello che si è registrato negli anni del cosiddetto pentapartito. Questi sono numeri, che, quindi, sono oggettivi, e non soggettivi e di parte (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).
È un provvedimento che fa il paio con il «salva Italia» e la spending review, nel senso che entra anch'esso a gamba tesa nell'autonomia degli enti locali, così come tutti i provvedimenti di questo Governo. Si fa un passo indietro di trent'anni, partendo dal presupposto che i nostri sindaci e amministratori siano, sostanzialmente, degli incapaci oppure persone atte a fare delle malversazioni un giorno sì e l'altro pure, se vi sono tutte queste nuove regole da sopportare.
Fortunatamente, grazie alla Lega, qualche stortura è stata limitata, ovviamente non nell'impianto principale. Faccio l'esempio dei pareri, i quali adesso devono essere dati entro 30 giorni e dopo i quali parte il meccanismo del silenzio assenso (prima erano 60 giorni più altri 60 e si arrivava a sei mesi, con delle lungaggini burocratiche che avrebbbero impedito agli enti regionali di poter lavorare).
Noi lo avevamo proposto anche qui alla Camera. La risposta del Governo e dei relatori e della maggioranza è stata più di scherno che volta ad entrare nel merito della proposta. Vedo che al Senato essa è passata, fortunatamente; molto probabilmente, la saggezza dell'età dell'altro ramo del Parlamento ha portato più giudizio rispetto a questo ramo.
Sul fondo per gli enti in dissesto o pre-dissesto è bene fare chiarezza da subito: grazie alla Lega Nord si è evitato che i fondi ad esso dedicati fossero prosciugati dalle sanguisughe dei comuni in dissesto del Sud. Le sempreverdi Napoli e Reggio Calabria, che sono le «maglie rosa» nazionali dello sperpero di denaro pubblico, avrebbero svuotato, solo loro due, tutti i capitoli dedicati alle sussistenze per tutti gli enti in dissesto.
Ricordo che può essere che l'anno prossimo vadano in dissesto degli ex comuni virtuosi proprio perché, vistisi tagliati i trasferimenti da parte dello Stato, non avranno più le sussistenze per poter Pag. 61riuscire ad arrivare al pareggio di bilancio. Quindi, non vi saranno dei comuni colpevoli, ma dei sindaci incolpevoli, capaci, ma che, a causa dei minori trasferimenti, si troveranno in situazioni di dissesto, mentre altri, veramente incapaci e colpevoli, avranno, molto probabilmente, maggiori sussistenze economiche rispetto ai nostri sindaci, che si trovano, anche di fronte ai propri cittadini, colpevoli di situazioni non loro (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).
La proposta, poi cancellata, presente nel testo qui alla Camera in prima lettura, di raddoppiare, addirittura, gli stanziamenti pro capite per le città capoluogo di regione grida ancora adesso vendetta e, per la verità, anche un po' di vergogna. Inoltre, sarebbe anche interessante sapere: ma lo Stato che strangola le imprese del Nord, lo Stato che tassa i cittadini, che taglia i trasferimenti agli enti locali virtuosi del Nord, dov'era quando tutti questi enti creavano i dissesti e dilapidavano il patrimonio pubblico? Dov'era? Noi non lo abbiamo visto, nessuno è mai intervenuto. Si interviene sempre e solo al Nord, dove lo Stato cerca di intervenire in maniera troppo vigorosa.
Perché si è sempre taciuto sugli sprechi del Sud e non si è mai intervenuti? Perché si è consentito alla Sicilia di avere 25 mila forestali contro i 500 della Lombardia? Perché vi sono 21 mila dipendenti nella città di Palermo, quando tutto il Piemonte ne ha 3 mila? E poi venite a tagliare le province, venite a tagliare i piccoli comuni del Nord.
È chiaro che se la risposta alle mie domande è: «tanto c'è Pantalone che paga», lasciamo perdere. Vi è già qualcuno che paga, perché dare una risposta diversa? Io dico che, se la risposta è questa, anch'essa è una risposta classificabile come una vergogna.
Per via di queste politiche economiche gli enti locali si troveranno, come dicevo prima, in dissesto, stavolta incolpevolmente, per i tagli. I sindaci minacciano le dimissioni, non certo perché non vogliono rispondere all'impegno preso con l'elezione diretta, ma proprio per riuscire a dare una dimostrazione di forza nei confronti del Governo, dello Stato e, soprattutto, dei loro cittadini, che vanno sempre nelle case comunali a chiedere risposte ai problemi della loro quotidianità.
Questo è uno Stato che, di fatto, è fallito - con tutto ciò che abbiamo non si può non dire che non sia uno Stato in fallimento - che però, piuttosto che riformarsi nei suoi centri di spesa maggiori, ossia i Ministeri e la burocrazia statale, strangola e abbatte gli enti locali.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ANTONIO LEONE (ore 17,35)

ROBERTO SIMONETTI. Tra l'altro, oggi la Banca d'Italia era presente in audizione in Commissione dove si è discussa la legge rafforzata sul raggiungimento del pareggio di bilancio e ha detto che, giustamente, il peso del debito pubblico in carico agli enti locali è pari al 6 per cento. Strano poi però che nelle manovre di questo Governo gli enti locali paghino il 70 per cento di tutte le manovre finanziarie per il raggiungimento del pareggio di bilancio (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania). C'è qualcosa che non funziona se a loro carico dovrebbe essere il 6 per cento, mentre pagano il 70 per cento di tutte le manovre fiscali da voi fin qua introdotte.
Le politiche economiche colpiscono la società reale, non solo gli enti locali, intendo l'impresa, i commercianti, gli artigiani, le piccole e medie imprese, le imprese nel loro complesso. Tutti i giorni chiudono centinaia e centinaia di aziende, abbiamo raggiunto il record mondiale della pressione fiscale, il record storico per quanto riguarda i disoccupati e quindi anche le famiglie, purtroppo, vanno in fallimento. Questi sono i risultati, anch'essi oggettivi, di un anno del vostro Governo. Chiaramente ci rivolgiamo a voi, però, sostanzialmente e politicamente, ci rivolgiamo al PD e al PdL che sono coloro che politicamente dovranno pagare, alle prossime elezioni, la venuta del Governo Monti e di tutte le vostre politiche economiche. Pag. 62
La perla del provvedimento in oggetto è anche il pasticcio fatto a proposito del terremoto. Il Governo sbaglia, come dicevo prima, nell'allargare i benefici fiscali anche a chi non vi ha diritto perché così si esauriranno, in breve periodo, i 6 miliardi di euro a disposizione, e poi non vi saranno più i soldi per eliminare quella tragedia che porterà le famiglie terremotate dell'Emilia-Romagna e della Lombardia a vedere azzerate non solo la tredicesima, che già se ne andrà con il pagamento dell'IMU, ma anche l'intera mensilità di dicembre, in termini, ovviamente, di dare-avere del bilancio familiare.
La ciliegina sulla torta in materia di terremoto è che nella legge di stabilità riusciamo a stanziare ancora dei soldi per il terremoto del Belice. Era il 1968, penso che molte persone qui presenti all'epoca non erano neppure nate. I problemi del Belice dopo quarant'anni vi sono ancora, mentre altre realtà nazionali, si vede nelle fotografie e nei filmati, appena successa la tragedia si sono messe in moto per risolvere i loro problemi senza piangere e chiedere costantemente fondi. Anche questo si può inserire nella rubrica delle vergogne.
La risposta ai problemi legati al terremoto, mi dicono, la troverete attraverso il solito metodo del bicameralismo quasi perfetto: «Lo inseriremo in un'altra norma, in un'altra legge». Pare che si aggiusterà al Senato, nella legge di stabilità, già votata alla Camera e che, quindi, arriverà qui in Aula in terza lettura.
Penso che con questo metodo del «cuci e scuci», del «fai e disfa», del «tanto le Camere ci sono» si possono benissimo adottare decreti-legge e porre questioni di fiducia come se fossero dei ciclostili. Noi facciamo una legislatura a ciclostile, a quantità, quasi a metro cubo. Adottiamo leggi a nastro, con una collegata all'altra, a quella precedente, creando una confusione legislativa che anche il Comitato per la legislazione ci evidenza ma che, ahimè, è inascoltata. L'intervento dell'onorevole Volpi, ad inizio della seduta pomeridiana, ha certificato la preoccupazione, la concretezza e la fondatezza di quanto sto dicendo.
Concludo evidenziando anche alcuni aspetti di incostituzionalità del decreto-legge in esame. Infatti, nell'impianto normativo costruito, il testo non distingue tra enti virtuosi ed enti inefficienti. Si conferiscono poteri di controllo sulla gestione di regioni ed enti locali eccessivamente invasivi delle prerogative e delle autonomie poiché si arriva fino al controllo dei servizi ispettivi di finanza sugli enti locali, senza che, oltretutto, siano state valutate le effettive capacità delle amministrazioni coinvolte, dalla Corte dei conti ai servizi di finanza della Ragioneria generale dello Stato, di rispondere ai compiti a loro già assegnati. Andiamo a creare un ulteriore perimetro di controllo. Ai sensi, infatti, dell'articolo 6, tali servizi ispettivi di finanza affiancano il commissario straordinario per la revisione della spesa pubblica previsto dal decreto-legge n. 52 del 2012, con il compito di svolgere analisi sull'attività degli enti locali relativa alla razionalizzazione della spesa pubblica, ma non sono stati considerati i gravi problemi di mancanza di organico che pesano sull'amministrazione.
Al fine di risolvere un problema reale quindi - quello del controllo sulla spesa degli enti territoriali - il Governo ha scelto una risposta più emotiva e di impatto di fronte all'opinione pubblica, piuttosto che organica e ponderata, tanto per voler così nuovamente dimostrare che i tecnici sono meglio dei partiti, che i partiti sono il male dell'Italia (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania) e che la politica deve essere schiacciata dal fattore tecnico, dal fattore populista (ci avviciniamo alle elezioni).
Noi consideriamo invece la politica - ovviamente con la «p» maiuscola - l'unica in grado di risolvere il vero problema di questo Paese, che è quello di essere inseriti in una logica comunitaria in cui l'Europa è dei banchieri, in cui l'Europa fa politiche prettamente economiche, Pag. 63in cui non vi è uno spirito, non vi è un'anima, in cui non c'è la persona al centro come tale, ma c'è una persona come partita IVA o codice fiscale, da considerare così, appunto, come «un'oca da spennare».
Diciamo che si potevano utilizzare e potenziare altri strumenti normativi già in essere. Come dicevo prima, c'è una «legislazione a nastro» che non sta più a guardare quanto già si è fatto, quanto già si è legiferato. Faccio riferimento, per esempio, alla relazione di fine mandato, prevista dal decreto legislativo n. 149 del 2011, collegato ovviamente alla legge n. 42 del 2009 sul federalismo fiscale.
Voi avete voluto cancellare, di fatto, in tutte le maniere, quanto di bello e di buono era già stato votato da questo Parlamento, ma ovviamente questa era una parte legata all'attuazione del federalismo fiscale: l'ha proposto la Lega e la Lega deve essere anch'essa cancellata, perché fa politica con l'anima, fa politica con il cuore e, pertanto, non può essere presa in considerazione da chi vuole distruggere le identità territoriali, da chi vuole distruggere tutto ciò che non è tecnicismo e tutto ciò che non è materiale e ha un'anima.
Il federalismo fiscale della Lega è stato distrutto. Questo era stato uno dei vostri compiti primari. Lo avete quasi centrato, speriamo che con questa fine legislatura si possa, nella prossima legislatura, riprendere in mano questo cammino, che è utile ed è indispensabile per il risanamento dei conti pubblici e per far sì che lo Stato non vada ad indebitarsi maggiormente nel futuro.
Ovviamente non può che esserci un commento negativo su questo provvedimento e io dico: avanti tutta con questa «legislazione a nastro» contro gli enti locali, vedremo in campagna elettorale chi vincerà (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche dei relatori e del Governo - Posizione della questione di fiducia - Articolo unico - A.C. 5520-B)

PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore per la I Commissione (Affari costituzionali), onorevole Ferrari, e la relatrice per la V Commissione (Bilancio), onorevole Moroni, rinunziano alla replica.
Ha facoltà di parlare il Ministro per i rapporti con il Parlamento, Dino Piero Giarda.

DINO PIERO GIARDA, Ministro per i rapporti con il Parlamento. Signor Presidente, onorevoli deputati, a nome del Governo pongo la questione di fiducia sull'approvazione, senza emendamenti ed articoli aggiuntivi, dell'articolo unico del disegno di legge di conversione del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174, recante disposizioni urgenti in materia di finanza e funzionamento degli enti territoriali, nonché ulteriori disposizioni in favore delle zone terremotate nel maggio 2012. Proroga di termine per l'esercizio di delega legislativa, Atto Camera 5520-B, approvato dalla Camera e modificato dal Senato, nel testo delle Commissioni riunite I (Affari costituzionali) e V (Bilancio), identico a quello approvato dal Senato.

RAFFAELE VOLPI. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RAFFAELE VOLPI. Signor Presidente, Ministro Giarda anche oggi il «gran Consiglio» l'ha autorizzata a chiedere la fiducia davanti al Parlamento. Io, se fossi in lei, comincerei ad essere imbarazzato: è solo, credo, la quarantanovesima volta che viene qua a chiedere la fiducia.
C'è un passaggio: non è vero che voi sapete governare bene; voi non sapete governare. Perché a governare come fate voi, siamo capaci tutti. Anche il mio segretario di sezione, che fa di mestiere l'elettrauto, potrebbe venire al suo posto, fare le leggi e chiedere la fiducia ogni settimana. La vostra dignità la state perdendo in questo modo. Pag. 64
Stamattina in Commissione ho chiesto una cosa su questo provvedimento. Ho letto sul titolo del provvedimento i ministri che erano interessati: il Presidente Monti (ovviamente), il Ministro Cancellieri (quella che non si è accorta che la settimana scorsa le hanno assaltato una prefettura) ed il Ministro Grilli (che non si degna di venire in Parlamento).
Io, Giarda, le dico una cosa: mi faccia la cortesia di riferire che dopodomani, quando ci saranno le televisioni, non voglio vedere i Ministri lì schierati. Che vengano nelle Commissioni a fare il loro mestiere, perché è ora di smetterla di fare la sfilata quando c'è la televisione!
Questo provvedimento doveva essere licenziato dal Senato la scorsa settimana e, grazie alla vostra incapacità legislativa, abbiamo perso quattro giorni che ci avrebbero consentito di fare delle modifiche necessarie anche per rimediare agli errori contenuti nel provvedimento e che sono contro la Costituzione. Voi, la settimana scorsa, al Senato, avete fatto la figura non dei professori ma degli scolari di prima elementare, non conoscendo nemmeno le prassi parlamentari. Lei se ne rende conto? Io spero che se ne renda conto, perché non è che poi tutte le settimane può venire nelle aule del Parlamento a chiedere scusa.
State governando un Paese, non state giocando a Monopoli. Qui non ci sono Vicolo stretto, Vincolo largo, hotel, alberghetti e casine da mettere su una mappa. Se lei non è in grado di fare questo, ovviamente non personalmente ma come rappresentante del Governo, faccia il favore di riferire al Presidente Monti che, al posto di venire domani, dia le dimissioni, perché ci state facendo vergognare! Altro che autorevolezza! Altro che autorevolezza! Non conoscete nemmeno le regole minime! La scorsa settimana al Senato avete impiantato una tale situazione per cui vi siete messi ad emendare informalmente il maxiemendamento che avevate sbagliato portandolo in Aula, quando era già stata posta la questione di fiducia. Altro che i parlamentari che dovevano andare a casa perché era festa! Voi non siete stati capaci di presentare qualcosa di decente, sbagliando addirittura le prassi e i modi in cui bisognava presentarlo.
Allora faccia un favore, Ministro Giarda: smettetela di dire di esser bravi e dite che cosa sapete fare veramente, magari riconoscendo anche voi qualche volta che il Parlamento vi ha corretto purtroppo errori madornali.
Concludo. Mi richiamo e conosco la sua dignità personale. La prego di trasmettere l'ultimo messaggio. Quando, dopodomani - domani ci sarà la votazione sulla questione di fiducia - i Ministri si presenteranno, magari dica loro di venire la prossima volta in Commissione senza fare le belle statuine qua. Anche perché non serve, serve invece che rispondano ai parlamentari. Non si facciano trovare informalmente al telefono di notte nelle Commissioni. Ci vengano, nelle Commissioni.

ANTONIO BORGHESI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANTONIO BORGHESI. Signor Presidente, penso che, come opposizione, in questo momento, una nuova richiesta di fiducia sia come sparare sulla Croce rossa. Io mi limito semplicemente a ricordare le parole del Capo dello Stato nel 2007: L'adozione di criteri rigorosi diretti a evitare sostanziali modificazioni del contenuto dei decreti-legge è indispensabile perché sia garantito in tutte le fasi del procedimento, dall'iniziale emanazione alla definitiva conversione in legge, il rispetto dei limiti posti dall'articolo 77 della Costituzione, alla utilizzazione di una fonte normativa connotata da evidenti caratteristiche di straordinarietà e che incide sui delicati profili del rapporto Governo-Parlamento, maggioranza-opposizione. Già qui siete in contrasto pieno con quello che ha affermato il Presidente della Repubblica nel 2007.
Il Presidente è andato avanti e nel 2009 ha detto che l'emendabilità dei decreti-legge nel corso dell'iter di conversione deve mantenersi rigorosamente nei limiti Pag. 65imposti dalla natura straordinaria della fonte prevista dall'articolo 77 della Costituzione, richiamando il Governo alle conseguenze che la sottoposizione di una legge di conversione, in prossimità della scadenza dei termini, comporta per lo stesso esercizio dei poteri presidenziali.
Siamo al 5 dicembre per un decreto-legge che scade il 9 dicembre. Ancora una volta siamo contro una richiesta espressa, un parere espresso dal Capo dello Stato. Se poi andiamo a vedere, sul piano dell'emendabilità avete lasciato che venisse inserita la questione del casinò di Campione, che assolutamente è in pieno contrasto con qualunque emendabilità citata e richiesta dal Presidente della Repubblica.
Persino il Capo dello Stato precisa: « (...) le situazioni che si verificano potrebbero giustificare il ricorso alla facoltà attribuita al Presidente della Repubblica dall'articolo 74 della Costituzione di chiedere alle Camere una nuova deliberazione», questo avveniva in un caso specifico. Vorrei andare avanti, ma è inutile che lo faccia. Siamo di fronte a richiami espressi più volte dal Presidente della Repubblica è totalmente disattesi dal Governo e questo è l'ultimo dei casi in cui il Governo dimostra di non seguire richieste specifiche del Capo dello Stato. Io mi posso solo appellare ancora una volta al Capo dello Stato, non solo per la moral suasion che credo sicuramente cercherà e cerca di esercitare, ma perché di fronte alla palese violazione dell'articolo 77 della Costituzione si faccia promotore, come ha già fatto in passato, di un nuovo intervento che potrebbe già prevedere in sede di promulgazione della legge di togliere alcune cose che sono state inserite al di là di qualunque possibile logica, di qualunque possibile aderenza non solo alla Costituzione, ma anche alle richieste già espresse più volte dal Capo dello Stato.

ROBERTO GIACHETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, sarò rapidissimo, ovviamente non do lezioni a nessuno ma credo che stando qui dentro un minimo di garbo parlamentare dovremmo tutti conservarlo, anche perché le considerazioni che sono state fatte, a me colpiscono, nel senso che io mi sono trovato all'opposizione in quest'Aula e ovviamente mi è capitato spesso di svolgere considerazioni di questo tipo. Avevamo allora a che fare con un Governo politico, ci troviamo ora ovviamente in una condizione diversa, ma non c'è dubbio che l'utilizzo dei decreti e della fiducia, che è una questione che si è sempre posta nel tempo, in qualche modo prosegua in un evolversi che, a mio avviso, pone dei problemi al Parlamento. Credo che però tutti quanti, prima e dopo, in maggioranze diverse abbiamo sempre detto che al di là della volontà politica c'è anche un'esigenza di modifica del Regolamento affinché sia possibile per il Governo poter giungere attraverso un processo, il più democratico e approfondito possibile, a conclusione. Noi lo sappiamo benissimo, lo si sapeva prima quando io ero all'opposizione, con un'attività di opposizione molto dura e molto ferrea con la quale noi puntavamo a non far arrivare in porto determinati provvedimenti.
La stessa cosa, per ragioni magari non legate al rapporto maggioranza-opposizione, ma alla difficoltà delle questioni che affrontiamo, capita in questa. Vorrei anche dire che penso che sarebbe probabilmente utile, in un rapporto più proficuo tra Parlamento, Camera e Senato, e Governo, che anche il Governo ogni tanto avesse la forza di riconoscere quanto sia importante, non per dare un contentino ma perché è la realtà che constatiamo tutti i giorni, il passaggio parlamentare per migliorare dei provvedimenti che sicuramente entrano in un modo e spesso e volentieri escono in un altro magari - come ci ricordava il collega Ferrari - non per fare chissà cosa, ma perché abbisognano di essere corretti, magari anche dalla forza e dall'esperienza parlamentare.
Detto questo, e concludo, signor Presidente, mi rivolgo all'onorevole Volpi, al quale mi lega anche un rapporto di amicizia, che dice: ma non potete pensare che Pag. 66venite qui, sono tutti capaci a governare facendo i decreti e mettendo la fiducia. Onorevole Volpi, negli ultimi periodi in particolare in cui voi avete governato, governavate facendo decreti e mettendo la fiducia e purtroppo però non siete stati capaci, non è bastato perché siete andati a casa, avete lasciato un Paese a pezzi con lo spread a 570, e ci troviamo per fortuna, grazie all'azione del Governo Monti (questa è la nostra opinione), sorretto responsabilmente da una maggioranza anche diversa, in una condizione nella quale alcuni punti di riferimento sono leggermente diversi da quelli che avevamo solo un anno fa, grazie non a Monti, ma al Governo che è andato a casa perché, nonostante i decreti e nonostante le fiducie, ci ha messo in ginocchio. Quindi, riconosciamo anche un po' obiettivamente la realtà dei fatti e non descriviamola cadendo dal cielo come se fossimo tutti fanciullini, perché sappiamo perfettamente come stanno le cose.

PRESIDENTE. A seguito della posizione della questione di fiducia, secondo quanto precisato nella riunione della Conferenza dei presidenti di gruppo svoltasi ieri, la votazione per appello nominale inizierà domani, giovedì 6 dicembre, alle ore 17,45. Le dichiarazioni di voto sulla fiducia dei rappresentanti dei gruppi e delle componenti politiche del gruppo Misto avranno inizio a partire dalle ore 16,10 di domani. Il termine per la presentazione degli ordini del giorno è fissato alle ore 12 di domani, giovedì 6 dicembre. Sempre secondo quanto convenuto in sede di Conferenza dei presidenti di gruppo, le dichiarazioni di voto finale dei rappresentanti dei gruppi e delle componenti politiche del gruppo Misto avranno luogo, con ripresa televisiva diretta, venerdì 7 dicembre, a partire dalle ore 12. Seguirà la votazione finale.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Giovedì 6 dicembre 2012, alle 16,10:

Seguito della discussione del disegno di legge:
Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174, recante disposizioni urgenti in materia di finanza e funzionamento degli enti territoriali, nonché ulteriori disposizioni in favore delle zone terremotate nel maggio 2012. Proroga di termine per l'esercizio di delega legislativa (Approvato dalla Camera e modificato dal Senato) (C. 5520-B).
- Relatori: Ferrari, per la I Commissione; Moroni, per la V Commissione.

La seduta termina alle 17,55.

TESTO INTEGRALE DELL'INTERVENTO DEL DEPUTATO MARIA GRAZIA LAGANÀ FORTUGNO IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE N. 5569

MARIA GRAZIA LAGANÀ FORTUGNO. Signor Presidente, è da tanti anni che la questione riguardante la revisione dello strumento militare ha acquisito un carattere non solo di grandissima importanza ma anche di massima urgenza sia per gli aspetti di carattere economico-finanziario sia per quelli attinenti alla funzionalità ed all'efficacia dello strumento stesso, aspetti questi che sono correlati agli obiettivi di sicurezza e difesa nazionale e internazionale, in virtù degli accordi di alleanza sottoscritti dal nostro Paese. L' attuazione di una idonea revisione a fronte, da un lato, della mutata situazione geopolitica e strategica, e dall'altro del subentrare di una situazione di crisi economica che ha pervaso in maniera sempre più pesante i paesi occidentali, e che fino ad ora ha visto purtroppo soltanto l'adozione di tagli lineari al bilancio della difesa, che ovviamente hanno avuto notevoli ripercussioni negative, è diventata ora indilazionabile per il perdurare e per l'aggravarsi della crisi stessa. Pag. 67
Durante il Governo Berlusconi, che in effetti aveva iniziato ad esaminare il problema senza riuscire tuttavia a proporre alcun provvedimento programmatico, i tagli poco razionali della spesa, in quanto non specificamente finalizzati, avevano determinato una sensibile riduzione dell'efficienza e della capacità di operare in molti settori delle forze armate.
Il documento ora proposto dal Ministro Di Paola, che conferisce al Governo una delega per l'adozione di decreti legislativi finalizzati a disciplinare nel dettaglio la revisione dello strumento militare al fine di renderlo sia più sostenibile, per quanto riguarda una razionale ed equa assegnazione di fondi, sia più rispondente agli obiettivi prefissati in termini di rapporto costo/efficacia.
È prevista una più razionale organizzazione di tutto il Ministero della difesa, attraverso l'accorpamento di enti che svolgono funzioni similari in un'ottica interforze e l'eliminazione o riduzione di quelle componenti le cui funzioni non sono più necessarie o basilari come in passato, perché non più rispondenti alle nuove esigenze. Si prevede, anche, di operare una significativa riduzione sia degli organici del personale militare, che vede una notevole esuberanza in alcuni ruoli ed in alcuni gradi - si tratta di un taglio di circa 35.000 uomini sia del personale civile in cui si prevede un esubero di circa 10.000 unità. In sintesi è previsto che si passi gradualmente nel tempo fino al 2024 da un totale di 183.000 a 150.000 militari e da 30.000 a 20.000 civili.
Infine, è stabilito che si riveda, sulla base delle possibili minacce, delle strategie, ma anche dei bacini di provenienza del personale militare, la dislocazione sul territorio nazionale degli enti, dei reparti e dei rispettivi supporti logistici.
Il testo del disegno di legge presentato al Senato ha subito significative modifiche migliorative, che consentono innanzitutto di disporre di un quadro di situazione completo e globale degli impegni previsti nei tre settori: personale, esercizio e sopra tutto degli investimenti, e poi di assicurare una più efficace possibilità di controllo della spesa inerente all'acquisizione dei sistemi d'arma da parte del Parlamento, con la capacità delle Commissioni difesa della Camera e del Senato di determinare, attraverso una maggioranza qualificata, anche la sospensione di un programma.
Rimangono ancora, tuttavia, altre questioni, tra le più significative, che necessitano particolare attenzione soprattutto in fase di emanazione dei decreti legislativi delegati.
Mi riferisco in particolare alla riduzione di un terzo del personale civile che, anche a giudizio delle organizzazioni sindacali, potrebbe determinare una penalizzazione nella funzionalità e nell'efficienza dei settori amministrativi e logistici della difesa.
Va poi considerato il problema del turn-over e del precariato correlato al settore del personale volontario che corre il rischio di trovarsi senza un impiego o un lavoro dopo alcuni anni - anche 5 o 6 tra ferme annuali, quadriennali e rafferme - dedicati al servizio nelle forze armate e in particolare nei delicati e impegnativi teatri operativi fuori area (Balcani, Libano ed Afganistan); per tutti i volontari che hanno operato senza demerito, anzi rimettendoci anche la vita. A questi uomini e donne andrebbe assicurato in alternativa o il transito nelle forze di polizia o nel servizio permanente delle forze armate.
Infine, altra questione molto importante è quella attinente all'approvazione dei decreti delegati; il disegno di legge prevede infatti che il Governo presenti i provvedimenti entro 12 mesi dalla entrata in vigore della legge in esame e che trascorsi 60 giorni dalla presentazione gli stessi siano considerati approvati sulla base del principio del silenzio-assenso. Ora se la presentazione dovesse avvenire durante il periodo di scioglimento delle Camere in attesa delle votazioni legislative, si verificherebbe il fatto che il Parlamento sarebbe di fatto impedito nell'esercitare il suo ruolo fondamentale in questa fase delicata del procedimento. Mi auguro che il Governo voglia ascoltare in fase dei decreti attuativi la voce dei Cocer, i quali Pag. 68mi sembra - avendoli ascoltati in Commissione - che fanno richieste ragionevoli.
Auspico pertanto che il Governo tenga conto di queste questioni e che garantisca al Parlamento la possibilità di svolgere la sua funzione fondamentale, stabilita dalla Costituzione.

TESTO INTEGRALE DELLA RELAZIONE DEL DEPUTATO CHIARA MORONI IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE DI CONVERSIONE N. 5520-B

CHIARA MORONI, Relatore per la V Commissione. Signor Presidente, all'articolo 3, la lettera q) - introducendo un nuovo comma 3-bis all'articolo 243 del TUEL relativo ai controlli centrali sugli enti strutturalmente deficitari - reca l'obbligo di inserire nei contratti di servizio tra gli enti locali e società da questi partecipate, apposite clausole volte a prevedere la riduzione delle spese di personale delle medesime società, laddove si verifichino condizioni di deficitarietà strutturale dell'ente.
In virtù delle modifiche apportate dal Senato, le società affidatarie dei contratti di servizio - cui la predetta disposizione si applica - non sono più le società partecipate dagli enti locali, bensì le società controllate dai medesimi enti, con esclusione di quelle quotate in borsa.
Inoltre, nel corso dell'esame in seconda lettura, è stato introdotta la lettera q-bis) la quale reca un'ulteriore modifica all'articolo 243 del TUEL.
Tale lettera ne modifica il comma 6, relativo agli enti locali assoggettati, in via provvisoria, ai controlli centrali previsti dal medesimo articolo 243 per gli enti strutturalmente deficitari.
In particolare, viene sostituita la lettera a) al fine di prevedere che l'applicazione in via provvisoria dei citati controlli opera - non più per gli enti locali che non presentano il certificato del rendiconto con l'annessa tabella di valutazione delle loro condizioni deficitarietà strutturale - bensì per gli enti locali che, pur risultando non deficitari dalle risultanze della tabella allegata al rendiconto di gestione, non presentino il certificato al rendiconto della gestione di cui all'articolo 161 del TUEL.
Nel corso dell'esame al Senato sono state apportate diverse modifiche alla lettera r) del comma 1 dell'articolo 3, che introduce nel Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali (TUEL), una serie di disposizioni aggiuntive che disciplinano una nuova procedura per il riequilibrio finanziario pluriennale degli enti per i quali sussistano squilibri strutturali di bilancio in grado di provocarne il dissesto, istituendo al contempo un apposito Fondo di rotazione diretto ad assicurare la stabilità finanziaria degli enti locali attraverso la concessione di anticipazioni agli enti locali che hanno deliberato la procedura di riequilibrio.
In particolare, il Senato, con riferimento al nuovo articolo 243-bis del TUEL, recante la disciplina generale della nuova procedura di riequilibrio finanziario pluriennale, ha:
modificato il comma 1, prevedendo che i soggetti legittimati ad attivare la procedura sono tutti i comuni e le province per i quali sussistano squilibri strutturali del bilancio in grado di provocare il dissesto finanziario; in tal modo è ripristinato il testo vigente del provvedimento, che era stato modificato nel corso dell'esame in prima lettura alla Camera al fine di circoscrivere l'accesso alla procedura, con riferimento ai comuni, ai soli enti con popolazione non inferiore a 20.000 abitanti;
modificato il comma 5, del articolo 243-bis del TUEL, estendendo da 5 a 10 anni, compreso quello in corso, la durata massima del piano di riequilibrio finanziario pluriennale che il consiglio dell'ente locale è tenuto a deliberare entro il termine di 60 giorni dalla data di esecutività della delibera di accesso alla procedura di riequilibrio;
modificato, conseguentemente, il comma 6, recante l'elenco dei contenuti necessari del piano di riequilibrio finanziario Pag. 69deliberato dall'ente locale, e in particolare la lettera c), prevedendo che il ripristino dell'equilibrio strutturale di bilancio, il ripiano del disavanzo di amministrazione e di eventuali debiti fuori bilancio, da realizzare con le misure individuate nel piano, avvenga entro il periodo massimo di 10 anni a partire da quello in corso alla data di accettazione del piano (in luogo del periodo massimo di 5 anni a partire da quello in corso previsto nel testo vigente del decreto-legge).

Nel corso dell'esame al Senato è stato altresì modificato il nuovo articolo 243-ter del TUEL, recante la disciplina del Fondo di rotazione per assicurare la stabilità finanziaria degli enti locali, attraverso il quale lo Stato può concedere anticipazioni, a valere sulla relativa dotazione, a sostegno del risanamento degli enti locali che abbiano deliberato la procedura di riequilibrio finanziario.
In particolare, è stato modificato il comma 3, che specifica i criteri per la determinazione dell'anticipazione attribuibile a ciascun ente locale, elevando da 200 a 300 euro per abitante il limite dell'importo massimo dell'anticipazione attribuibile ai comuni, fermo restando il limite di 20 euro per abitante previsto per le province o per, le città metropolitane (il testo vigente del decreto-legge prevede il limite unico di 100 euro per abitante).
Il Senato ha, inoltre, apportato una modifica al nuovo articolo 243-quater del TUEL, recante la disciplina procedurale per l'approvazione e il successivo monitoraggio e controllo dell'attuazione del piano di riequilibrio finanziario pluriennale, prevedendo, al comma 1, che oltre ai Ministri dell'interno e dell'economia e delle finanze anche l'Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI), concorra alla scelta dei rappresentanti della sottocommissione della Commissione per la finanza e gli organici degli enti locali, di cui all'articolo 155 del TUEL, tenuta a svolgere l'istruttoria del piano di riequilibrio finanziario presentato dall'ente locale e a redigere la relazione finale da trasmettere alla Sezione regionale di controllo della Corte dei Conti.
Infine, nel corso dell'esame al Senato è stato introdotto nel TUEL un ulteriore nuovo articolo 243-quinquies, recante una specifica disciplina volta a garantire la stabilità finanziaria degli enti locali sciolti per fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso.
In particolare, il comma 1 del predetto articolo 243-quinquies prevede, a favore degli enti locali sciolti per infiltrazione e condizionamenti di tipo mafioso ai sensi dell'articolo 143 del TUEL, per i quali sussistono squilibri strutturali di bilancio in grado di provocare il dissesto, la facoltà, da parte della commissione straordinaria per la gestione dell'ente, di richiedere, entro sei mesi dal suo insediamento, una anticipazione di cassa.
Ai sensi del comma 2, tale anticipazione, nel limite massimo di 200 euro per abitante, è destinata esclusivamente:
al pagamento delle retribuzioni al personale dipendente e ai conseguenti oneri previdenziali;
al pagamento delle rate di mutui e di prestiti obbligazionari;
all'espletamento dei servizi locali indispensabili.

Le somme a tali fini concesse non sono oggetto di procedure di esecuzione e di espropriazione forzata.
L'anticipazione è disposta decreto del Ministero dell'interno, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, nei limiti di 20 milioni di euro annui a valere sulle dotazioni del fondo di rotazione per assicurare la stabilità finanziaria degli enti locali di cui all'articolo 243-ter del TUEL introdotto dal provvedimento in esame (comma 3).
Il medesimo decreto ministeriale stabilisce, altresì, le modalità per la restituzione dell'anticipazione straordinaria in un periodo massimo di dieci anni a decorrere dall'anno successivo a quello in cui viene erogata l'anticipazione medesima (comma 4). Pag. 70
Il Senato ha introdotto all'articolo 3 un nuovo comma 1-ter, in base al quale qualora a seguito di apposito monitoraggio si verifichino o siano in procinto di verificarsi scostamenti rispetto alle previsioni in materia di Fondo di rotazione per la stabilità finanziaria degli enti locali, di cui all'articolo 243-ter del TUEL, introdotto dal provvedimento in esame, i Ministri competenti sono tenuti a proporre annualmente, in sede di predisposizione del disegno di legge di stabilità, gli interventi correttivi necessari per assicurare la copertura dei nuovi o maggiori oneri.
È stato modificato il comma 5-ter dell'articolo 3 - introdotto in prima lettura dalla Camera - al fine di ridurre da 40 a 20 milioni la misura massima di risorse destinate a favorire il ripristino dell'ordinata gestione di cassa del bilancio corrente dei comuni che abbiano dichiarato lo stato di dissesto finanziario, attraverso l'anticipazione di somme da parte del Ministero dell'interno da destinare ai pagamenti in sofferenza di tali enti.
Il Senato ha introdotto il comma 7-bis, che interviene sul decreto legislativo n. 216 del 2011, recante disposizioni in materia di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard degli enti locali (emanato in attuazione della legge n. 42 del 2009 recante la delega in materia di federalismo fiscale), ed in particolare sull'articolo 3 del medesimo, che provvede ad individuare in via provvisoria le funzioni fondamentali degli enti locali (ed esclusivamente ai fini della determinazione dei fabbisogni standard di spesa degli enti stessi, che dovrà concludersi entro il 2013) fino a che non intervenga le legge statale che stabilisca a regime le funzioni medesime.
Poiché sulla materia è successivamente intervenuto, per quanto concerne i comuni, il decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 che reca l'elencazione di tali funzioni all'articolo 19, comma 1, mentre, per le province, rimane tuttora ferma l'individuazione provvisoria contenuta nel D.Lgs. n. 216/2010, atteso che l'articolo 17 del predetto decreto-legge n. 95/2012 rinvia la determinazione a regime delle funzioni stesse all'esito della procedura di riordino (quali enti con compiti di area vasta) di tali enti, al momento non conclusa.
La norma in esame aggiunge un comma 1-bis all'articolo 3 del predetto decreto legislativo n. 216, stabilendo che «in ogni caso» ai fini della determinazione dei fabbisogni standard, le modifiche all'elenco delle funzioni fondamentali sono prese in considerazione dal primo anno successivo all'adeguamento dei certificati di conto consuntivo alle modifiche suddette, tenuto anche conto degli esiti dell'armonizzazione degli schemi di bilancio ai sensi del decreto legislativo n. 118/2011.
All'articolo 4, comma 1, è stata ridotta di 10 milioni sia per il 2013 che per il 2014 la dotazione del «Fondo di rotazione per assicurare la stabilità finanziaria degli enti locali» al fine di compensare gli oneri relativi all'esclusione dal patto di stabilità interno per tali anni delle spese sostenute dai comuni delle province di Bologna, Modena, Ferrara, Mantova, Reggio Emilia e Rovigo, interessati dagli eventi sismici dei giorni 20 e 29 maggio 2012, finalizzate a fronteggiare gli eccezionali eventi sismici e la ricostruzione finanziate con risorse proprie dei comuni, provenienti da erogazioni liberali e donazioni da parte di cittadini privati ed imprese ai sensi del successivo articolo 11, comma 1, lettera a), n. 5.1).
Conseguentemente la dotazione del Fondo viene fissata in 30 milioni di euro per il 2012, in 90 milioni per il 2013, in 190 milioni per il 2014 e in 200 milioni per ciascuna annualità dal 2015 al 2020.
Gli articoli 5, e 8 non sono stati modificati.
All'articolo 9 è stato modificato il comma 6-bis e introdotti i nuovi commi da 6-ter a 6-quinquies. In particolare:
al comma 6-bis - che prevede che entro febbraio 2013 si provveda alla verifica del gettito IMU dell'anno 2012 e che, in base alla suddetta verifica, si provveda all'eventuale, conseguente regolazione dei rapporti finanziari tra lo Stato e i comuni: Il Senato ha specificato che tale regolazione avviene nell'ambito delle dotazioni del fondo sperimentale di riequilibrio e dei Pag. 71trasferimenti erariali previste a legislazione vigente;
il comma 6-ter individua nel decreto del Ministro dell'economia e delle finanze 19 novembre 2012, n. 200 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 274 del 23 novembre 2012) le disposizioni di attuazione delle norme sull'esenzione dell'imposta comunale sugli immobili degli enti non commerciali, recate dal comma 3, dell'articolo 91-bis, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, come integrato dal comma 6 del presente articolo;
Si osserva che l'articolo 91-bis, comma 3, del citato decreto-legge n. 1 del 2012, come integrato dall'articolo 9, comma 6, del decreto-legge in esame, di per sé rinvia alla norma regolamentare per l'individuazione dei requisiti atti a qualificare le attività svolte con «modalità non commerciali» (in relazione alle quali sussiste l'esenzione), oltre che degli elementi volti a definire il rapporto proporzionale tra uso commerciale e uso non commerciale dell'immobile; di conseguenza, il DM n. 200 del 2012 sembra già configurarsi quale norma di attuazione della disciplina primaria. Non appare pertanto chiara la portata normativa della disposizione in commento.

Il comma 6-quater reca alcune modifiche all'articolo 23-quater del decreto- legge n. 95 del 2012, che ha disposto, a decorrere dal 1o dicembre 2012, l'incorporazione dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato (AAMS) nell'Agenzia delle dogane (che assume la denominazione di Agenzia delle dogane e dei monopoli) e dell'Agenzia del territorio nell'Agenzia delle entrate, fermi restando la data e gli effetti delle incorporazioni citate;
Il comma 6-quinquies sottrae gli immobili delle fondazioni bancarie dall'esenzione IMU disposta, in favore degli enti non commerciali, dall'articolo 7, comma 1, lettera i) del decreto legislativo n. 504 del 1992, in relazione allo svolgimento di determinate attività. Di conseguenza anche per gli immobili delle fondazioni bancarie su cui insistono attività non qualificabili come «commerciali» (ai sensi delle norme di legge e delle relative disposizioni attuative) sarà dovuta l'imposta municipale, in deroga alle citate disposizioni generali.
Il Senato ha introdotto l'articolo 10-bis recante disposizioni relative alla gestione della Casa da gioco di Campione d'Italia e alla quantificazione e ripartizione del contributo individuato a valere sui proventi annuali, da assegnare alle province di Como, Varese e Lecco nonché al Ministero dell'interno, che sostituiscono la disciplina vigente in materia.
In particolare, il comma 1 autorizza la costituzione, da parte del Ministero dell'interno, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze entro il 28 febbraio 2013, di una apposita società per azioni, soggetta a certificazione di bilancio e sottoposta alla vigilanza degli stessi Ministeri, per la gestione della casa da gioco di Campione d'Italia, al cui capitale sociale partecipa esclusivamente il comune di Campione d'Italia.
L'utilizzo dello stabile comunale della casa da gioco ed i rapporti tra la società di gestione ed il comune di Campione d'Italia, sono disciplinati da apposita convenzione stipulata tra le parti.
Il comma 2 reca disposizioni in merito alla quantificazione del contributo che deve essere annualmente costituito a valere sui proventi della casa da gioco, ai fini del finanziamento delle province di Como, Varese e Lecco. Una quota è altresì assegnata al Ministero dell'interno. In particolare, il comma dispone che a partire dall'inizio di attività della società, sul totale dei proventi annuali di tutti i giochi al netto del prelievo fiscale, qualora essi siano superiori a franchi svizzeri 130 milioni, viene individuato un contributo, entro il 3 gennaio dell'anno successivo, secondo un sistema percentuale e progressivo sui proventi medesimi.
Il contributo così determinato è ripartito secondo le seguenti percentuali: 40% alla provincia di Como, 20% alla provincia di Varese, 16% alla provincia di Lecco, 24% al Ministero dell'interno. Pag. 72
Le somme attribuite alle province potranno essere utilizzate anche per investimenti in favore dell'economia del territorio sentita la competente camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura.
Assai articolate risultano le modifiche apportate all'articolo 11 relativo ad ulteriori interventi per le zone terremotate nel, maggio 2012. In particolare:
Il Senato ha introdotto il comma 01, aggiungendo il comma 8-bis all'articolo 3-bis del decreto-legge n. 95/2012, che autorizza i comuni interessati dai fenomeni sismici iniziati il 20 maggio 2012 (individuati nell'allegato 1 al decreto-legge n. 74/2012) e le unioni di comuni a cui gli stessi aderiscono, per le annualità 2012 e 2013, ad incrementare le risorse decentrate fino ad un massimo del 5% della spesa di personale, calcolata secondo i criteri applicati per l'attuazione dell'articolo 1, commi 557 e 562, della legge finanziaria per il 2007.

Il successivo comma 1, lettera a), n. 1-bis dispone altresì l'obbligo, per le amministrazioni comunali, di assicurare il rispetto del Patto di stabilità interno, nonché delle disposizioni di cui all'articolo 76 del decreto-legge n. 112/2008, nella determinazione dello stanziamento integrativo. Gli stanziamenti integrativi sono destinati a finanziare la remunerazione delle attività e delle prestazioni rese dal personale in relazione alla gestione dello stato di emergenza conseguente agli eventi sismici ed alla riorganizzazione della gestione ordinaria.
Il comma 1, lettera a), n. 2) dell'articolo 11 novella l'articolo 3 del decreto legge n. 74 del 2012 introducendo il comma 1-bis che, di fatto, esclude i contratti stipulati dai privati beneficiari dei contributi per l'esecuzione di lavori o l'acquisizione di beni o servizi connessi agli interventi di ricostruzione e riparazione delle abitazioni private e di immobili ad uso non abitativo - previsti dal comma 1, lett. a), dello stesso articolo 3 - dall'applicazione di talune disposizioni riguardanti i contratti pubblici. Nel corso dell'esame al Senato è stato specificato che resta, comunque, ferma l'esigenza di assicurare criteri di controllo di economicità e trasparenza nell'uso delle risorse pubbliche.
Il punto 5-bis della lettera a) del comma 1 dell'articolo 11 reca un comma aggiuntivo all'articolo 7 del decreto legge n. 74 del 2012, volto ad escludere dal patto di stabilità interno per gli anni 2013 e 2014 le spese sostenute dai Comuni delle province di Bologna, Modena, Ferrara, Mantova, Reggio Emilia e Rovigo, interessati dagli eventi sismici dei giorni 20 e 29 maggio 2012, finalizzate a fronteggiare gli eccezionali eventi sismici e la ricostruzione finanziate con risorse proprie dei comuni, provenienti da erogazioni liberali e donazioni da parte di cittadini privati ed imprese.
La deroga è concessa per un importo massimo complessivo, per ciascun anno, di 10 milioni di euro. L'ammontare delle spese da escludere dal patto di stabilità interno è così ripartito tra i comuni delle regioni interessate:
comuni della regione Emilia-Romagna: nei limiti di 9 milioni per ciascun anno;
comuni della regione Lombardia: nei limiti di 0,5 milioni per ciascun anno;
comuni della regione Veneto: nei limiti di 0,5 milioni per ciascun anno.

La nuova lettera a) del comma 3-ter dell'articolo 11, introdotta nel corso dell'esame al Senato, esclude Motteggiana dall'elenco dei comuni a cui, ove risulti l'esistenza del nesso di causalità tra i danni e gli eventi sismici del 20 e del 29 maggio 2012, l'articolo 67-septies del decreto legge n. 83 del 2012 estende l'applicabilità delle disposizioni previste dal decreto legge n. 74 del 2012 dall'articolo 10 del medesimo decreto-legge n. 83 del 2012.
L'introduzione di tale disposizione è connessa a quanto previsto dal comma 1-quater dell'articolo 11, introdotto nel Pag. 73corso dell'esame alla Camera e non modificato dal Senato, che consente la diretta e integrale applicabilità delle disposizioni recate dal decreto-legge n. 74/2012 al territorio del comune di Motteggiana in quanto non si fa riferimento all'esistenza del nesso di causalità tra i danni e gli eventi sismici; con tale disposizione il predetto comune è stato inserito, altresì, nel decreto del Ministro dell'economia e delle finanze 10 giugno 2012 con cui è stato disposto il differimento dei termini per l'adempimento degli obblighi tributari, precisamente nell'allegato 1 che individua i comuni colpiti dal sisma.
Il comma 3-quater, inserito nel corso dell'esame al Senato, modifica le norme concernenti il credito d'imposta in favore di soggetti danneggiati dal sisma del 20 e del 29 maggio 2012 introdotte dall'articolo 67-octies del decreto-legge n. 83 del 2012. In particolare, il comma 3-quater inserisce un nuovo comma 1-bis al predetto articolo 67-octies volto ad estendere la platea dei beneficiari del credito di imposta alle imprese ubicate nei territori colpiti dal sisma, che pur non beneficiando dei contributi ai fini del risarcimento del danno, sono tenute all'esecuzione di interventi di miglioramento sismico finalizzati a garantire il raggiungimento della soglia di sicurezza stabilita dall'articolo 3, comma 10, del medesimo decreto n. 74 del 2012, vale a dire un livello di sicurezza non inferiore al 60% della sicurezza richiesta ad un edificio nuovo.
Il comma 5 prevede per i sostituti d'imposta operanti nelle aree colpite dal sisma del 20 maggio 2012 la regolarizzazione degli omessi adempimenti e versamenti delle ritenute sui redditi di lavoro, senza applicazione di interessi e sanzioni, attraverso la trattenuta sui dipendenti nei limiti del quinto dello stipendio.
Il comma 6 proroga il termine entro il quale effettuare, senza sanzioni e interessi, i pagamenti dei tributi, dei contributi previdenziali e assistenziali e dei premi per l'assicurazione obbligatoria.
Nel corso dell'esame al Senato la scadenza dei suddetti obblighi è stata spostata dal 16 al 20 dicembre 2012. I commi da 7 a 12, modificati nel corso dell'esame al Senato, disciplinano la procedura per concedere ai titolari di reddito di impresa che hanno i requisiti per accedere ai contributi per la ricostruzione degli immobili danneggiati, in aggiunta ai predetti contributi, la possibilità di chiedere ai soggetti autorizzati all'esercizio del credito un finanziamento, assistito dalla garanzia dello Stato, della durata massima di due anni per provvedere al pagamento dei tributi, dei contributi e dei premi sospesi, nonché di quelli da versare dal 1o dicembre 2012 al 30 giugno 2013.
Il predetto finanziamento può essere richiesto, oltre che da tali soggetti, anche dagli esercenti attività commerciali o agricole, limitatamente ai danni subiti in relazione alle attività effettuate nell'esercizio di dette imprese, e dai titolari di reddito di lavoro dipendente proprietari di un immobile adibito ad abitazione principale dichiarato inagibile per il pagamento dei tributi dovuti dal 16 dicembre 2012 al 30 giugno 2013.
I soggetti finanziati dovranno restituire la sola quota capitale del finanziamento, a partire dal 1o luglio 2012 secondo un piano di ammortamento, mentre le spese e gli interessi saranno accollati dallo Stato.
In particolare, nel corso dell'esame al Senato, il comma 7-bis è stato integrato al fine di chiarire, in primo luogo, che fra i titolari di reddito di impresa che possono accedere al finanziamento in oggetto già rientrano i titolari di reddito di impresa commerciale; in secondo luogo, viene precisato che previa integrazione della convenzione tra Cassa depositi e prestiti e Abi di cui al medesimo comma 7, il finanziamento può essere altresì richiesto dai titolari di reddito di lavoro autonomo, dagli esercenti attività agricole nonché dai titolari di reddito di lavoro dipendente, proprietari di una unità immobiliare adibita ad abitazione principale classificata nelle categorie B, C, D, E e F (già individuati dalle lettere a) e b)).
Per i titolari di reddito di lavoro autonomo e gli esercenti attività agricole è ulteriormente specificata la necessità di possedere requisiti di accesso analoghi a Pag. 74quelli delle altre attività di impresa (di cui al comma 7). Viene quindi soppresso il comma 9-bis contenente analoga disposizione.
Il comma 7-ter, interamente sostituito al Senato, stabilisce che tali soggetti devono presentare ai soggetti finanziatori la documentazione prevista dal comma 9.
Si segnala che tali modifiche recepiscono integralmente le disposizioni introdotte dal decreto-legge 16 novembre 2012, n. 194, recante disposizioni integrative per assicurare la tempestività delle procedure per la ripresa dei versamenti tributari e contributivi sospesi da parte di soggetti danneggiati dal sisma del maggio 2012.
Il comma 13-bis prevede che la presentazione da parte dell'affidatario della richiesta di subappalto di cui all'articolo 118 del decreto legislativo n. 163 del 2006 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture), unitamente alla documentazione ivi prevista, costituisce in ogni caso titolo sufficiente per l'avvio da parte del subappaltatore delle prestazioni oggetto di subaffidamento e del suo ingresso nel cantiere.
Nel corso dell'esame al Senato è stato specificato che la richiesta presentata dall'affidatario deve riguardare il subappalto di lavori.
Il comma 13-quater prolunga fino al 30 giugno 2013 (e dunque di ulteriori sei mesi rispetto al termine originario del 31 dicembre 2012) la sospensione dei termini processuali prevista dal decreto-legge 74/2012 sul terremoto del maggio scorso che ha interessato il territorio delle province di Bologna, Modena, Ferrara, Mantova, Reggio Emilia e Rovigo.
La disposizione in esame prolunga di sei mesi la sola sospensione dei termini processuali comportanti prescrizioni e decadenze da qualsiasi diritto, azione ed eccezione. Non viene prolungata la sospensione dei termini per gli adempimenti contrattuali, prevista dal primo periodo del comma 4 dell'articolo 6 del decreto-legge n. 74/2012, né vengono espressamente prolungati i termini previsti dal terzo periodo della disposizione richiamata (es. relativi alle procedure concorsuali).

TESTO INTEGRALE DELL'INTERVENTO DEL DEPUTATO SIMONETTA RUBINATO IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE DI CONVERSIONE N. 5520-B

SIMONETTA RUBINATO. La Camera è chiamata a convertire in via definitiva, nel testo arrivato dal Senato, senza ulteriori emendamenti, il decreto legge n. 174 in materia di finanza e funzionamento degli enti territoriali, più noto presso l'opinione pubblica come il decreto-legge sui costi della politica, in quanto adottato dal Governo su sollecitazione degli stessi Presidenti delle Regioni per introdurre dei controlli sugli enti locali e sulle Regioni, controlli necessari ed urgenti a fronte dei gravissimi abusi praticati da alcune Regioni - mi riferisco in particolare allo scandalo scoppiato nel Lazio - e da alcuni enti locali. Presidenti di Regione che, dopo aver fatto, un anno prima, ricorso alla Corte costituzionale lamentando la lesione delle proprie prerogative autonomistiche contro analoghe disposizioni contenute nel dl. n. 138 del 2011 (su riduzione consiglieri regionali, applicazione del sistema contributivo ai loro vitalizi e riduzione delle loro indennità e di quelle degli assessori, nonché l'istituzione di un collegio dei revisori dei conti), hanno così inopinatamente rinunciato a un profilo rilevante della loro autonomia, anziché cogliere l'occasione degli scandali per dimostrare la capacità di assumersi le responsabilità che giustificano l'esercizio dell'autonomia loro assegnata dalla Carta Costituzionale (che alcune peraltro avevano già esercitato).
Per questo la conversione delle misure del provvedimento, anche agli occhi dell'opinione pubblica, appaiono necessarie, per porre una serie di limiti ai costi del funzionamento delle istituzioni e della politica, nonché per rendere operative le disposizioni a favore delle zone terremotate, Pag. 75anche se non soddisfacenti e vanno integrate e rafforzate, come peraltro il Governo si è impegnato a fare.
Non possiamo però tacere i limiti di questo provvedimento. Un'altra serie di norme introduce una nuova procedura, di cosiddetto pre-dissesto, finalizzata al riequilibro finanziario pluriennale degli enti per i quali sussistono squilibri strutturali di bilancio in grado di provocarne il dissesto, istituendo un apposito Fondo di rotazione che concede anticipazioni agli enti locali a determinate e severe condizioni che ci auguriamo siano effettive, tra le quali un piano di rientro e l'aumento al massimo delle aliquote delle imposte locali al fine della restituzione delle anticipazioni stesse al massimo in dieci anni. A tale fondo, che vale 518 milioni nel 2012, 220 nel 2013, 190 nel 2014 e a regime 200 dal 2015, dopo il passaggio al Senato possono accedere tutti gli enti locali, di qualunque dimensione, nonché gli enti sciolti per infiltrazioni di tipo mafioso. È vero che, essendo cresciuto il numero degli invitati al banchetto (anche i comuni sotto i 20.000 abitanti e la regione Campania, cui è concessa un'anticipazione di 50 milioni) mentre la grandezza della torta a disposizione è rimasta la stessa, la fetta assegnata a ciascuno dei partecipanti diminuisce, ma non può tacersi che a risultare come sempre premiati sono gli enti locali che più di tutti in questi anni si sono distinti per gestioni finanziarie irresponsabili.
Per questo voglio ribadire quanto sia negativo e controproducente il segnale dato, oltre che l'ingiustizia fatta, a danno degli enti virtuosi dal Governo con la imposizione della cancellazione del comma 6-quater all'articolo 8 introdotto nell'esame in Commissione alla Camera. Per enti virtuosi intendo i comuni che anche quest'anno hanno contribuito alla diminuzione dell'indebitamento della PA andando ad estinguere anticipatamente ulteriori mutui (certamente per un importo superiore ai 500 milioni messi in palio dal Governo con la disapplicazione della riduzione prevista dalla spending review per il 2012). L'emendamento, a mia prima firma, che esentava i comuni dal pagamento della penale a CDP per l'estinzione anticipata dei mutui, e poteva essere coperto benissimo con una parte delle somme di cui all'articolo 4 comma 4 del decreto, destinate invece tutte al Fondo di rotazione, è stato cancellato!
In questo modo (approvando norme ad entem a favore delle gestioni allegre a spese delle gestioni virtuose) non si incentiverà mai la responsabilizzazione degli amministratori degli enti locali. Questo è un punto fondamentale se si vuole davvero cambiare il sistema Paese.
Con spirito leale e costruttivo mi permetto di citare un recentissimo intervento del prof. Fabrizio Pezzani, ordinario di programmazione e controllo nelle pubbliche amministrazioni alla Bocconi, pubblicato proprio ieri, dal titolo «Pa: perché i conti non tornano».
«Ho visto - scrive l'autorevole docente - susseguirsi la serie infinita di riforme contabili degli enti locali che hanno caratterizzato questo periodo storico, fino all'ultima recente. Ne emerge una continua asimmetria tra l'inarrestabile prolificità normativa e la progressiva inefficacia e inefficienza dei sistemi di controllo, fino ad arrivare al disastro del sistema attuale: più si facevano e si fanno norme, più il sistema di controllo peggiora sia nella incapacità di rilevare per tempo le criticità e le distorsioni nei meccanismi di spesa, sia nell'incapacità di indirizzare l'attività delle pubbliche amministrazioni verso un impiego efficiente e responsabile della spesa.»
Perché dunque in tema di riforme contabili l'Italia continua a sbagliare?
«Per una serie di motivi - continua Pezzani -. Il primo è che l'approccio culturale al controllo è di tipo giuridico, per cui di fronte a un problema si fa costantemente ricorso alla formulazione di una nuova norma, all'inasprimento di quelle esistenti e all'introduzione di un nuovo organo di controllo, ma mai che una volta ci si domandi perché quelle regole in essere non hanno funzionato».
Spending review docet, ma docet anche il caso della Regione Sicilia, dove il controllo Pag. 76della Corte dei Conti c'era già a differenza delle rso, e docet il caso delle città (Napoli, Catania, Palermo, Alessandria e chi più ne ha più ne metta) che pure già inviano ogni anno rapporti, bilanci di previsione e consuntivi al Mef, al Ministero degli Interni, alla Corte dei Conti.
«Secondo motivo: la distanza tra amministrazioni centrali e periferiche si è ingigantita. Le prime vedono la realtà dal desktop del pc, le seconde vivono i problemi reali sul campo e la visione che ne consegue è completamente diversa. Mentre le prime formulano i dettati normativi in un contesto di astrattezza giuridica, le seconde devono sforzarsi di applicarli ossessionate dal problema del rispetto delle normative e perdono di vista l'unitarietà della gestione, oltre che la possibilità di rispondere ai bisogni delle comunità. Forse chi fa le norme dovrebbe provare a scendere da Marte e farsi un periodo di sabbatico negli enti locali.
Terzo motivo, l'assetto istituzionale del paese è perennemente in mezzo a un guado, tra modello centrale e federale (nel 2009, il 56% dei dipendenti pubblici afferiva alle amministrazioni centrali) e i controlli sono pensati con una logica di uniformità in un paese profondamente diverso nei territori. Il modello di controllo non è coerente con il paese reale, quindi non funziona.»
E, aggiungo, non funziona per primo il controllore, visto che l'efficacia dei controlli statali sulle autonomie locali ci ha portati qui, cioè a dover costituire un Fondo pre-dissesto.
«Quarto motivo: il patto di stabilità come è pensato oggi è un insulto alla ragioneria. Ragiona sui tetti di spesa, gli input, e non si correla ai risultati, gli output. Aumenta la rigidità quando bisogna cercare l'elasticità, mentre il controllo deve andare su aree di risultato. Un tema questo rilevantissimo che non abbiamo corretto nella legge di Stabilità, che anzi interviene con un ulteriore e pesante inasprimento dei tagli e dei vincoli sugli enti territoriali.
Quinto: bisogna ridurre la spesa corrente, che è il vero problema. Per farlo servono un orizzonte a medio-lungo termine per una programmazione efficace e delle regole stabili per il patto di stabilità». Mentre - ricordo - il termine per l'approvazione del preventivo per l'anno in corso è stato portato dal Governo al mese di ottobre. Quindi un programma per 2 mesi, con continui cambiamenti in corso. Tutto il contrario di quello che serve.
Vedete io sono anche sindaco di un comune di oltre 14.000 abitanti della provincia di Treviso, non solo sto sul territorio, ma so cosa significa per gli amministratori locali dover rispettare le regole astratte che si fanno qui (con un taglio delle entrate a bilancio che ormai arriva anche oltre il 30-40% di quelle di dieci anni fa) dovendo in ogni caso garantire servizi essenziali a pena di responsabilità penali, amministrative, contabili e ricevere sempre più spesso le persone in carne ed ossa che vivono veri e propri drammi per le quali occorre inventarsi una qualche risposta, perché non basta citare la legge fatta qui o gli accordi in sede europea. Mentre oggi preparavo questo intervento, mi sono venuti in mente il sindaco di un comune confinante al mio, nel cui municipio ha dovuto far fronte, due giorni fa, ad un uomo senza lavoro da due anni e con tre figli che si è cosparso di benzina minacciando di darsi fuoco, e il sindaco della città capoluogo in cui ieri il gestore di un noto bar del centro si è impiccato all'interno del locale, perché non ce la faceva più a mandare avanti l'attività.
Sappiamo bene che la recessione drammatica in atto nel Paese è l'effetto di una malattia le cui cause sono state a lungo incubate almeno negli ultimi 15 anni, sarebbe sciocco e disonesto attribuirne la responsabilità all'attuale governo, guidato dal Presidente Monti, che anzi ha salvato il Paese dal baratro. E sappiamo anche che questo provvedimento, come la legge di stabilità, si inserisce nella lunga serie di atti normativi in materia di enti territoriali, perlopiù decreti legge, adottati nel corso della crisi dal precedente Governo, intensificatisi nel 2011 e 2012. Pag. 77
Ma siamo giunti ad un punto di non sostenibilità: molti enti locali che pure arrivano da decenni di sana e corretta gestione, di buoni livelli di servizi, di investimenti in opere pubbliche, il prossimo anno rischiano di non poter pareggiare il bilancio e di andare in pre-dissesto, se non aumentano le imposte locali, non per propria responsabilità, ma per i tagli lineari ed i vincoli assurdi imposti dalla normativa statale degli ultimi anni. Al riguardo solleva una certa preoccupazione la limitazione introdotta al comma 6-bis dell'articolo 9 in materia di regolazione dei rapporti finanziari tra Stato e comuni in materia di Imposta municipale propria per il 2012 «nell'ambito delle dotazioni del fondo sperimentale di riequilibrio e dei trasferimenti erariali previste a legislazione vigente». Ancora una volta, e a bilancio 2012 ormai in chiusura, non si dà certezza ai Comuni sul fatto che lo Stato garantisca effettivamente - come sempre affermato a parole dai rappresentanti del Governo - l'invarianza di gettito ad aliquote base dell'IMU rispetto a quanto incassato dai comuni nel 2011 a titolo di Ici e di trasferimenti compensativi per l'abrogazione dell'Ici sull'abitazione principale, come chiedevo con un mio emendamento, bocciato durante l'esame alla Camera.
Il costituzionalista Mangiameli ha definito l'attuale situazione come una «stagnazione istituzionale che sta determinando una disfunzione del sistema repubblicano». In questi anni, mentre si approvava nominalmente i principi del federalismo fiscale, parallelamente, nelle scelte finanziarie ed ordinamentali concrete, si attuava una legislazione nazionale improntata alla ricentralizzazione dei poteri e all'uniformità legislativa, sulla base di una visione che considera le regioni e le autonomie locali un problema della politica fiscale e di bilancio, da ridurre al minimo, con l'idea di fondo che rappresentino uno spreco di risorse finanziarie da eliminare, senza alcuna considerazione delle conseguenze sui cittadini e sui territori destinatari dei servizi erogati e soprattutto senza distinguere tra gli enti che hanno esercitato la loro autonomia con responsabilità e chi invece ha male gestito. «La contestazione sui costi e sull'utilità delle regioni - scrive Mangiameli - è tale peraltro, anche nell'opinione pubblica, che continua ad offuscare il tema dei costi dello Stato: apparati costituzionali (si pensi al pletorico parlamento), ministeri, magistratura, enti e società pubbliche, in relazione soprattutto alla resa di servizi alla collettività. Non è un caso che la costante discussione sui livelli di autonomia riconosciuti dalla Costituzione, a regioni ed enti locali, risulti di fatto funzionale a evitare la riforma del Parlamento, della giustizia e dell'amministrazione centrale e periferica dello stato, senza considerare che proprio queste strutture della Repubblica determinano una negativa immagine del Paese, anche a livello internazionale, comportando una mancanza di attrazione per gli investitori esteri.»
Così, mentre sul piano internazionale, grazie all'opera del Presidente Monti e ai sacrifici dei cittadini, l'Italia ha riconquistato credibilità e stabilità finanziaria, all'interno, la condizione ordinamentale della Repubblica è diventata contraddittoria: «lo Stato non eroga servizi ai cittadini e taglia la spesa degli enti che erogano servizi; non riforma i propri apparati, ma riduce l'organizzazione e la rappresentatività delle regioni e degli enti locali; l'autonomia finanziaria regionale e locale è incisa dallo Stato, che prende i gettiti dei tributi regionali e locali e non svolge i compiti di perequazione».
È arrivato il momento di andare oltre questa «stagnazione» con una visione istituzionale riformatrice in linea finalmente con il dettato costituzionale e ragionare non solo di principi, ma anche della loro reale applicabilità, attraverso meccanismi effettivi di responsabilizzazione degli amministratori locali e di controlli non solo formali e sanzioni certe e sostenibili.
Occorre perciò riprendere il percorso federalista: perché «un assetto regionalista Pag. 78è l'ordinamento più consono ad una comunità politica organizzata nell'ambito di un processo di integrazione europea e di un sistema di economia internazionalizzata, nel quale i compiti dello Stato crescono sul versante esterno (delle negoziazioni internazionali ed europee) e si riducono su quello interno (prevalentemente volti alla funzione perequativa e promozionale dei territori)».
Così come ci insegna l'esempio di altri Paesi europei, in primis la Repubblica federale tedesca.