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Resoconto dell'Assemblea

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XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 713 di lunedì 5 novembre 2012

Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROSY BINDI

La seduta comincia alle 12,05.

GREGORIO FONTANA, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 31 ottobre 2012.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Barbieri, Bergamini, Brugger, Buonfiglio, Caparini, Cicchitto, Colucci, Commercio, Gianfranco Conte, D'Alema, D'Amico, D'Antoni, Della Vedova, Donadi, Dozzo, Dussin, Franceschini, Giancarlo Giorgetti, Guzzanti, Iannaccone, Lombardo, Lupi, Mecacci, Melchiorre, Migliavacca, Migliori, Milanato, Misiti, Moffa, Mogherini Rebesani, Mura, Nucara, Picchi, Pisacane, Pisicchio, Stefani e Valducci sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente quarantuno, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

In ricordo di Gae Aulenti (ore 12,10).

GIOVANNI BATTISTA BACHELET. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIOVANNI BATTISTA BACHELET. Signor Presidente, vorrei brevemente ricordare Gae Aulenti, architetto, donna di cultura, impegnata nella società, morta lo scorso 1o novembre.
A mezzogiorno meno cinque di ieri il Ridotto dei palchi del Teatro alla Scala aveva già superato il limite di sicurezza. Gli addetti, gentilmente, ma inesorabilmente, impedivano l'accesso al piano di sopra, invitando le frotte di ultimi arrivati per la commemorazione di Gae Aulenti - tra i quali ho riconosciuto e salutato Michele Salvati - a seguirla a distanza, attraverso alcuni grandi schermi situati al piano di sotto.
Mi sono detto: «Pazienza, vi sarà senz'altro qualcuno più importante di me che, oltre agli enormi meriti professionali ed artistici, ricorderà anche il suo coraggioso impegno civile». È stato così. Dopo doverosi omaggi e riconoscimenti da parte di autorità e di grandi personalità del teatro e dell'architettura di tutto il mondo, Giulia Maria Crespi - socio onorario di «Libertà e giustizia» - ha detto cose che non avrei saputo dire meglio. Ha parlato di modestia, a cominciare dai vestiti neri e dalle scarpe basse, e di coraggio non solo professionale, ma anche civile. Ha arditamente concluso con un invito postumo - che le ha attribuito, certa che lo avrebbe condiviso - diretto all'avvocato Umberto Ambrosoli a rivedere la propria posizione e considerare di nuovo la possibilità di contribuire alla rinascita della Lombardia.
In qualità di deputato che ha avuto l'onore di essere, insieme a Gae Aulenti, fondatore e garante di «Libertà e giustizia», Pag. 2tocca, però, a me ricordarla qui, alla Camera, nella prima occasione possibile. Certamente altri colleghi lo faranno, anche meglio di me, in seguito.
Ricordo che il 18 novembre 2002 - quasi dieci anni fa, mentre la pioggia scrosciava sui molti che, anche quella volta, non riuscivano ad entrare - Gae Aulenti, insieme ad altri come Umberto Eco e Claudio Magris, era sul palco del piccolo Teatro Studio di Milano. Si trovava tra me e Simona Peverelli. Capii già da allora, la seconda volta che la vedevo, che era una vera signora. Chiacchierava e sorrideva a me e a Simona Peverelli trattandoci da vecchi amici, proprio come se fossimo la stessa cosa di Umberto Eco, Claudio Magris o Guido Rossi. «Una vera signora» avrebbe detto mia nonna.
Da allora, malgrado il suo status di star mondiale, che le avrebbe consentito di farsi vedere se e quando le pareva, non ha mai mancato una riunione dei garanti, dando ogni volta contributi indimenticabili in sé, ma anche per l'enorme divario tra la sua statura artistica e morale e la modestia con cui si esprimeva, il coraggio e l'intelligenza delle osservazioni e la nonchalance con la quale le esternava.
Gae va a raggiungere coloro che del gruppo dei fondatori ci hanno già lasciato: Alessandro Galante Garrone, che Umberto Eco chiamava scherzosamente «il garante Garrone», Enzo Biagi, Claudio Rinaldi, Riccardo Sarfatti, Giovanni Ferrara e Vittorio Grevi, altro socio onorario come Giulia Maria Crespi. Spero di non aver dimenticato nessuno.
Gae Aulenti, come loro, ci ha insegnato con l'esempio - Giulia Maria Crespi ricordava il valore dell'esempio - che, in tempi di prepotenza e volgarità, è possibile essere liberi, giusti e forti, ma, anziché stare con i più forti, stare dalla parte dei deboli, che è possibile fare politica senza averne bisogno e senza trarne guadagno, che è possibile rispondere alla cattiva politica con la buona politica, cercando di colmare, anziché allargare, il gap tra società e politica ufficiale.
Per questo coraggioso servizio civile e politico, oltreché per il suo straordinario talento artistico che ha dato così tanto all'Italia ed al mondo, la Camera dei deputati dovrebbe ricordare Gae Aulenti con speciale gratitudine (Applausi).

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Bachelet, ci uniamo con grande partecipazione alle sue parole per ricordare una grande donna. Sicuramente la Presidenza della Camera non mancherà di dedicare a Gae Aulenti un altro momento di questa Assemblea ma è giusto che, chi come lei ne ha condiviso una parte importante dell'impegno civile, avesse la possibilità di ricordarla il primo giorno utile dei nostri lavori.

Discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174, recante disposizioni urgenti in materia di finanza e funzionamento degli enti territoriali, nonché ulteriori disposizioni in favore delle zone terremotate nel maggio 2012 (A.C. 5520-A) (ore 12,15).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174, recante disposizioni urgenti in materia di finanza e funzionamento degli enti territoriali, nonché ulteriori disposizioni in favore delle zone terremotate nel maggio 2012.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 5520-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari Partito Democratico e Lega Nord Padania ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che le Commissioni I (Affari costituzionali) e V (Bilancio) si intendono autorizzate a riferire oralmente. Pag. 3
Il relatore per la I Commissione (Affari costituzionali), onorevole Ferrari, ha facoltà di svolgere la relazione.

PIERANGELO FERRARI, Relatore per la I Commissione. Signor Presidente, dico subito che mi sembra ragionevole e scontato che, essendo due i relatori e, quindi, contenuto il tempo, ed avendo preparato una relazione corposa, leggerò una parte della relazione, rimandando ovviamente il resto al testo scritto che verrà consegnato.
Come relatore per la I Commissione mi soffermerò sugli articoli di più stretta competenza, anche se, come tengo a dire, abbiamo lavorato in stretto rapporto con la collega relatrice della V Commissione, l'onorevole Moroni.
Nel corso dell'esame - voglio ricordarlo prima di arrivare al testo - vista la complessità e l'ampiezza della materia affrontata dal decreto-legge in esame, le Commissioni hanno deliberato un'indagine conoscitiva, così da poter svolgere una serie di audizioni sui temi oggetto del provvedimento.
In particolare nel corso di quattro sedute sono state svolte audizioni rispettivamente del presidente della Corte dei conti, di rappresentanti dell'UPI, dell'ANCI, della Conferenza dei presidenti delle assemblee legislative regionali, nonché di numerosi docenti universitari esperti in materia. Le audizioni hanno consentito di acquisire preziosi elementi per l'elaborazione di proposte emendative, finalizzate ad una nuova formulazione del testo, che rispondesse a un maggiore equilibrio costituzionale.
Ricordo poi che sul testo del provvedimento sono stati acquisiti i seguenti pareri: favorevole con condizioni e osservazioni del Comitato per la legislazione; favorevole della V Commissione (Bilancio) e della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea); favorevole con osservazioni della VI Commissione (Finanze) e dell'XI Commissione (Lavoro); favorevole con condizioni e osservazioni della II Commissione (Giustizia), della VII Commissione (Cultura), della VIII Commissione (Ambiente) e della IX Commissione (Trasporti); favorevole con condizioni della XII Commissione (Affari sociali) e parere contrario della Commissione parlamentare per le questioni regionali.
L'articolo 1 prevede controlli della Corte dei conti nei confronti delle regioni. L'articolo è stato sostanzialmente riscritto, d'intesa con il Governo, dalle Commissioni di merito. Mentre la disciplina originaria attribuiva alla Corte dei conti compiti di controllo sia preventivo sia successivo su atti delle regioni, nella riscrittura operata dalle Commissioni di merito prevale il rafforzamento delle forme di controllo di gestione. In particolare è stato soppresso il controllo preventivo di legittimità sugli atti delle regioni.
Qui comincio a saltare, prima brevi parti poi più ampie, e leggo quello che ritengo opportuno venga detto in Aula. È stato introdotto un esame della Corte dei conti sui bilanci preventivi e sui rendiconti consuntivi delle regioni o degli enti che compongono il Servizio sanitario nazionale. Si prevede poi la trasmissione ogni dodici mesi alla sezione regionale di controllo della Corte dei conti di una relazione del presidente della regione sui sistemi dei controlli interni.
Quanto ai gruppi consiliari delle assemblee regionali, le modifiche introdotte al testo ed al decreto in sede referente attribuiscono alla Conferenza Stato-regioni anziché alla Corte dei conti - questa è una modifica sostanziale - il compito di definire le linee guida per la redazione dei rendiconti dei gruppi consiliari al fine di garantire l'uniformità di redazione.
Infine - dico infine per ciò che leggo ma con ampie altre parti scritte che potranno essere lette - le modifiche prevedono la trasparenza dei dati contabili attraverso la pubblicazione del rendiconto non solo in allegato al conto consuntivo del consiglio regionale ma anche sul sito istituzionale della regione. Se la Corte dei conti riscontra che il rendiconto di esercizio del gruppo consiliare o la documentazione trasmessa a corredo dello stesso non è conforme alle prescrizioni, trasmette alle regioni una comunicazione, Pag. 4fissando un termine per l'adeguamento da parte del gruppo, non superiore a 30 giorni.
La comunicazione sospende la decorrenza del termine per la pronuncia della sezione. Nel caso in cui il gruppo non provveda alla regolarizzazione entro il termine fissato, decade per l'anno in corso dal diritto all'erogazione di risorse da parte del consiglio regionale. La decadenza comporta l'obbligo di restituire le somme ricevute a carico del bilancio del consiglio regionale, non rendicontate. Dico fuori relazione che ho voluto leggere questa parte perché si interviene su vicende che hanno coinvolto alcune regioni nelle settimane scorse e su cui il decreto-legge in esame, anche per intervento, diciamo correttivo ed integrativo, del lavoro delle Commissioni, interviene con puntualità.
L'articolo 1-bis - lo cito rapidamente - integralmente nuovo, introdotto dalle Commissioni, prevede modifiche alla disciplina sanzionatoria e premiale degli enti territoriali, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 149, con riguardo in particolare alla relazione di fine legislatura prevista dal medesimo decreto per le regioni e gli enti locali, per la quale si prevede la trasmissione anche alla Corte dei conti.
L'articolo 2 - che è l'articolo direi politicamente più rilevante su cui si è concentrata molto l'attenzione anche della stampa - è stato anch'esso modificato nel corso dell'esame in sede referente, sempre d'intesa con il Governo, ovviamente ciò è scontato, se arriviamo in Aula, tuttavia, ci tengo a sottolineare questo aspetto.
Gli articoli 1 e 2 sono stati l'uno integralmente riscritto, il secondo sostanzialmente modificato in punti fondamentali d'intesa con il Governo, nel corso di lunghe giornate di lavoro e di confronto.
L'articolo 2 è stato modificato nell'intento di conferire alle misure di contenimento dei costi della politica nelle regioni un carattere di maggiore concretezza ed efficacia, anche con l'introduzione di norme più cogenti.
Si confermano l'obbligo delle regioni alla riduzione del numero dei consiglieri e degli assessori, delle loro indennità, dei contributi ai gruppi consiliari e si introduce un tetto agli assegni di fine mandato, non previsto nel testo originario. Si conferma il divieto di cumulo di indennità ed emolumenti, l'introduzione dell'anagrafe patrimoniale degli amministratori regionali, l'istituzione di un sistema informativo dei finanziamenti dei gruppi politici, l'applicazione delle misure di riduzione di spesa già previste per le pubbliche amministrazioni centrali dai decreti-legge n. 78 del 2010, n. 201 del 2011 e n. 95 del 2012.
Si conferma l'introduzione di limiti severi ai vitalizi dei consiglieri. Le misure devono essere attuate entro il 23 dicembre ovvero se occorrono modifiche statutarie, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge in esame. Si conferma che l'applicazione di gran parte delle disposizioni è condizione per la concessione dell'80 per cento dei trasferimenti erariali alle regioni, al di fuori di quelli dovuti a titolo di finanziamento del trasporto pubblico locale e del Servizio sanitario nazionale, a decorrere dal 2013.
Inoltre si prevede il commissariamento delle regioni in caso di mancata attuazione delle misure di risparmio. Si esclude, infine, la possibilità che il presidente di regione dimissionario o impedito nello svolgimento delle sue funzioni possa continuare a ricoprire l'incarico di commissario ad acta per la gestione del piano di rientro.
Il comma 7 estende anche alle elezioni regionali l'interruzione dell'erogazione delle quote di rimborso delle spese elettorali nel caso di elezioni anticipate. Per quanto riguarda in particolare la riduzione degli emolumenti e l'anagrafe patrimoniale degli amministratori locali, la lettera b) del comma 1, modificata in sede referente, prevede che le regioni ridefiniscono l'importo dell'indennità di funzione, dell'indennità di carica e delle spese per l'esercizio del mandato - categoria di spese quest'ultima aggiunta in sede referente - dei consiglieri e degli assessori Pag. 5regionali entro un limite massimo costituito dagli importi vigenti nella regione più virtuosa.
Si demanda alla Conferenza Stato-regioni il compito di individuare la regione più virtuosa, operazione che dovrà essere compiuta entro il 10 dicembre 2012, termine ampliato rispetto alla data del 30 ottobre indicata dal testo vigente e su cui le regioni sono già intervenute - ma qui il termine si sposta al 10 dicembre -, in modo da consentire alle regioni che non lo abbiano già fatto di provvedere ad applicare le norme entro il 23 dicembre.
La lettera g) del comma 1, già lettera f), prevede un meccanismo analogo per i contributi dei gruppi consiliari.
La lettera c) del comma 1 - introdotta in sede referente - include tra le misure di risparmio che le regioni devono adottare anche la riduzione dell'assegno di fine mandato dei consiglieri regionali, che dovrà essere parametrato anche in questo caso alla regione più virtuosa, da individuarsi da parte della Conferenza Stato-regioni entro il 10 dicembre, come previsto dalla lettera b).
La lettera d), già lettera c), non modificata in sede referente, introduce il divieto di cumulo di indennità o emolumenti, comunque denominati (comprese le indennità di funzione o di presenza) in commissioni o organi collegiali derivanti dalle cariche di presidente della regione, di presidente del consiglio regionale, di assessore o di consigliere regionale. In tali casi, il titolare di più cariche deve optare per uno solo degli emolumenti o indennità.
La lettera e), già lettera d), prevede, per i consiglieri, la gratuità della partecipazione alle commissioni permanenti e - aggiunto in sede referente - a quelle speciali, con l'esclusione anche di diarie, indennità di presenza e rimborsi spese comunque denominati.
La lettera f), già lettera e), dispone che ciascuna regione disciplini le modalità di pubblicità e trasparenza dello stato patrimoniale dei titolari di cariche pubbliche elettive e di governo di competenza, prevedendo la pubblicazione periodica sul sito istituzionale dell'ente di una serie di dati rituali e patrimoniali.
Quanto al finanziamento dei gruppi consiliari e alla trasparenza dei finanziamenti ai partiti, la lettera g), già lettera f) - modificata in sede referente -, prevede la riduzione dei contributi ai gruppi consiliari: le norme regionali in materia devono essere ridefinite in modo tale che tali contributi non eccedano complessivamente l'importo riconosciuto dalla regione più virtuosa ridotto della metà.
Sono fatti salvi i rimborsi delle spese elettorali previsti dalla normativa nazionale; sono esclusi da ogni contribuzione i gruppi composti da un solo consigliere, salvo quelli che risultino così composti già all'esito delle elezioni. L'individuazione della regione più virtuosa, anche in questo caso, come per gli altri casi, è demandata alla Conferenza Stato-regioni.
Signor Presidente, i miei 10 minuti forse stanno arrivando al termine, se non si sono già raggiunti. Lo chiedo, così farei riferimenti rapidi e rimanderei, poi, al testo.

PRESIDENTE. Onorevole Ferrari, ora mi informerò attraverso gli uffici, tuttavia, a me risulta che lei abbia 20 minuti.

PIERANGELO FERRARI, Relatore per la I Commissione. Così mi è stato detto.

PRESIDENTE. Sono 20 minuti a testa.

PIERANGELO FERRARI, Relatore per la I Commissione. Allora proseguo, signor Presidente.

PRESIDENTE. Prego, onorevole Ferrari.

PIERANGELO FERRARI, Relatore per la I Commissione. Le Commissioni hanno introdotto nella lettera in esame - quella relativa al finanziamento dei gruppi consiliari - le seguenti modificazioni: dalla definizione omogenea dell'importo dei contributi sono escluse le spese per il personale, oggetto di una specifica norma Pag. 6recata dalla successiva lettera h). Faccio un inciso: non siamo intervenuti sul personale perché, nella decisione della Conferenza delle regioni, questa discussione deve essere ancora assunta e verrà presa in una prossima riunione della Conferenza stessa.
Per il finanziamento dei gruppi viene introdotto un vincolo di destinazione dei contributi ai gruppi che dovranno essere impiegati ai soli fini istituzionali dei consigli regionali, per le funzioni di studio, editoria e comunicazione. Vengono introdotti alcuni criteri aggiuntivi per la ridefinizione dell'entità dei contributi. Il più importante è il seguente: le dimensioni territoriali e la popolazione residente della regione, poiché si è ritenuto che non tutte le regioni sono uguali. Cito qui l'argomento principale che è circolato al nostro interno: la differenza tra la Lombardia e il Molise è rilevante: 10 milioni di abitanti la prima, 300 mila la seconda. Cito un esempio che credo colpisca: per fare una Lombardia servono 33 Molise. Ecco perché abbiamo introdotto, a proposito del finanziamento dei gruppi, una formula blanda, non vincolante, un inciso che dica «tenendo conto delle dimensioni territoriali e della popolazione».
Viene posticipato al 10 dicembre il termine per l'individuazione (il solito termine, che viene di nuovo richiamato); è soppressa la clausola di chiusura che rimetteva l'individuazione della regione più virtuosa, decorso inutilmente il termine per la definizione in Conferenza, a un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri adottato nei successivi 15 giorni, su proposta del Ministro dell'interno, di concerto - abbiamo aggiunto - con i Ministri per la pubblica amministrazione e la semplificazione e dell'economia e delle finanze.
Riprendo con lettere dell'articolo 2. La nuova lettera h), introdotta in sede referente, prevede che, al fine di salvaguardare i contratti in essere almeno per la legislatura corrente - si intende -, l'ammontare delle spese per il personale dei gruppi consiliari sia ridefinito, per le legislature regionali successive a quella in corso, secondo parametri omogenei che tengano conto del numero dei consiglieri, delle dimensioni del territorio e dei modelli organizzativi delle regioni.
La lettera l), già lettera h), non modificata in sede referente, prevede l'istituzione di un sistema informativo nel quale siano raccolti dati relativi al finanziamento dell'attività dei gruppi politici.
La lettera i), già lettera g) estende alle regioni diverse misure di contenimento della spesa prevista dalla normativa vigente e dirette prevalentemente alle amministrazioni centrali.
La lettera m) ha una certa rilevanza e reca disposizioni in ordine alla riduzione dei vitalizi degli amministratori regionali, recependo, con modifiche, quanto disposto nel comma 2 del testo originario. Lo spostamento della norma nel comma 1 implica che, in caso di mancato ottemperamento da parte delle regioni sulla questione dei vitalizi, si applicano sia la decurtazione dei trasferimenti erariali, sia il commissariamento, come negli altri casi previsti dal comma 1 e fin qui descritti. In altre parole, faccio rilevare, anche la questione dei vitalizi viene sottoposta a sanzioni: cosa che, prima, nel testo originario, non era prevista.
Nel merito, si prevede innanzitutto il passaggio al sistema contributivo per il calcolo dei vitalizi, direi anzi che si conferma, perché era già previsto dal decreto-legge Tremonti dello scorso anno; viene poi mantenuto sostanzialmente l'impianto del comma 2, con un'importante integrazione: i requisiti dei sessantasei anni di età e dei dieci anni di consiliatura si applicano ai trattamenti maturati dopo l'entrata in vigore del decreto-legge, ossia l'11 ottobre 2012 in questo caso: non, quindi, con riferimento all'entrata in vigore della legge di conversione, ma proprio al decreto-legge.
La nuova lettera n), introdotta nel corso dell'esame in sede referente, prevede una nuova misura, che dev'essere attuata dalle regioni, consistente nell'esclusione dall'erogazione del vitalizio per coloro che hanno subito una condanna in via definitiva per delitti contro la pubblica amministrazione, Pag. 7ai sensi degli articoli 28 e 29 del codice penale. Faccio rilevare la novità non prevista dal testo originario di questa norma: la perdita del diritto al vitalizio per una condanna definitiva per delitti contro la pubblica amministrazione.
Il comma 2 introduce una sanzione ulteriore rispetto a quella già detta per le regioni che non adottino le misure richieste. La sanzione consiste nella decurtazione di metà delle somme destinate per l'esercizio 2013 al trattamento economico complessivo spettante ai membri del consiglio regionale e di quelli della giunta. Anche questa è una novità frutto del lavoro di intesa con il Governo nelle Commissioni riunite: si introduce una sanzione ulteriore, oltre al taglio dei trasferimenti erariali, non prevista dal testo originario.
Il comma 3 prevede che giunte e consigli regionali inviino una comunicazione alla Presidenza del Consiglio dei ministri e al Ministero dell'economia e delle finanze, che documenti il rispetto delle condizioni di cui al comma 1. La comunicazione dev'essere inviata entro i quindici giorni successivi alla scadenza dei termini di cui al comma 1, che - si ricorda - sono stati modificati in sede referente, ossia entro il 7 gennaio 2013, oppure entro sei mesi e mezzo dalla data di entrata in vigore della legge di conversione, se si tratta di interventi che presuppongono modifiche statutarie.
In secondo luogo, un termine diverso è previsto per le regioni nelle quali, alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge, il presidente della regione abbia presentato le dimissioni, ovvero si debbano svolgere le consultazioni elettorali entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione. In tali casi, cioè quando il presidente si è dimesso o si debbano tenere elezioni entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione, il termine di sei mesi decorre dalla data della prima riunione del nuovo consiglio regionale.
In ogni caso, la riduzione del numero dei consiglieri si applica da subito per tutte le regioni, quindi anche per quelle che vanno al voto. Si prevede, infatti, che, qualora al momento dell'indizione delle elezioni per il rinnovo del consiglio regionale le regioni non abbiano provveduto alla riduzione dei consiglieri, le elezioni sono indette per il numero massimo dei consiglieri regionali previsto in rapporto alla popolazione dal decreto-legge n. 138 del 2011. Questo significa che la Lombardia non ha visto modificare il numero dei consiglieri con il decreto-legge Tremonti, ma le altre due regioni che vanno al voto sì, e con la nuova normativa del decreto-legge Tremonti, dovranno andare al voto prevedendo un numero di consiglieri ridotto.
Il comma 4 introduce, con riferimento alle disposizioni recate dal comma 1 dell'articolo 2, la clausola di compatibilità con l'ordinamento delle regioni a statuto speciale e delle province autonome, in quanto non contrastino con le speciali attribuzioni di quegli enti.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

PIERANGELO FERRARI, Relatore per la I Commissione. Signor Presidente, mi avvio a concludere e mi limito alle ultime due questioni. Innanzitutto cito semplicemente l'oggetto dell'articolo 3, su cui le Commissioni hanno lavorato a lungo; è stato un lavoro che si è proposto di rivedere le forme di controllo sugli enti locali in modo da ispirarle a una logica maggiormente collaborativa e meno intrusiva.
Inoltre, signor Presidente, mi dica lei se devo affrontare ora la seconda questione relativa al fatto se vi sia stato o meno un errore nella pubblicazione: la medesima formula è stata usata diversamente a proposito dei vitalizi e a proposito degli assegni di mandato; è banale, dove si dice: «La presente norma non si applica alle regioni che abbiano abolito i vitalizi o già abolito gli assegni a fine mandato», quel «già» è ultroneo, mi dica lei se è una questione tecnica e se va tolto per metterla in sintonia con la formula più corretta: «che abbiano abolito».

Pag. 8

PRESIDENTE. Mi risulta che il testo vada bene così com'è. È quello approvato dalle Commissioni, quindi verificheremo se si tratta di un semplice aggiustamento tecnico.

PIERANGELO FERRARI, Relatore per la I Commissione. Signor Presidente, chiedo inoltre che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale della mia relazione.

PRESIDENTE. Onorevole Ferrari, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
Il relatore per la V Commissione (Bilancio), onorevole Moroni, ha facoltà di svolgere la relazione.

CHIARA MORONI, Relatore per la V Commissione. Signor Presidente, seguendo il metodo del collega relatore per la I Commissione, rimanderei al testo scritto per l'intera relazione, che è evidentemente molto corposa e anche tecnica, soffermandomi invece sulle modifiche intervenute al testo durante l'esame in Commissione.
In particolare, per quel che riguarda le competenze specifiche della V Commissione, nel corso dell'esame in sede referente si sono introdotte disposizioni in favore dei comuni in stato di dissesto con un intervento articolato in tre diverse misure, rinvenibili agli articoli 3 e 3-bis del decreto-legge. È stata introdotta nel comma 1 dell'articolo 3 una nuova lettera i-bis) che integra le disposizioni recate dal testo unico sugli enti locali in materia di concessioni di anticipazioni di tesoreria da parte del tesoriere su richiesta dell'ente locale, innalzando i limiti massimi di anticipazione per gli enti locali in dissesto da tre a cinque dodicesimi delle entrate correnti accertate nel penultimo anno precedente. Per accedere a tale incremento, è necessario che siano state incrementate fino al massimo consentito le aliquote e le tariffe di base per le imposte e tasse locali e che il responsabile del servizio finanziario e l'organo di revisione contabile abbiano certificato una condizione di grave indisponibilità di cassa. L'innalzamento è concesso per la durata di sei mesi a decorrere dalla data in cui è stata certificata l'indisponibilità.
Sono stati introdotti tre nuovi commi nell'articolo 3, finalizzati a favorire il ripristino dell'ordinata gestione di cassa del bilancio corrente dei comuni che abbiano dichiarato lo stato di dissesto attraverso l'anticipazione di somme da parte del Ministero dell'interno, da destinare ai pagamenti in sofferenza di tali enti.
L'articolo 3-bis, inserito nel corso dell'esame in sede referente con l'approvazione di una proposta dei relatori, reca disposizioni volte ad ampliare il complesso di risorse che costituiscono la massa attiva della gestione liquidatoria degli enti locali il cui stato di dissesto sia stato deliberato dopo la data del 4 ottobre 2007 fino alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge in esame.
Segnalo poi che le lettere p) e q) del comma 1 dell'articolo 3, non modificate nel corso dell'esame in sede referente, recano alcune novelle al testo unico degli enti locali, modificando le disposizioni relative alla disciplina degli enti locali strutturalmente deficitari.
La lettera r) introduce tre articoli che disciplinano una nuova procedura per il riequilibrio finanziario pluriennale degli enti per i quali sussistano squilibri strutturali di bilancio in grado di provocarne il dissesto, istituendo al contempo un apposito fondo di rotazione per la concessione di anticipazioni agli enti locali in situazioni di squilibrio finanziario. Questa procedura, che è stata definita di pre-dissesto, costituisce una nuova fattispecie che si aggiunge alle altre due previste dall'ordinamento per gli enti strutturalmente deficitari e per gli enti in stato di dissesto finanziario.
La procedura di pre-dissesto ha carattere facoltativo ed è finalizzata ad evitare situazioni di crisi che possono alterare l'ordinato andamento delle attività che fanno capo alle amministrazioni locali, mettendo a repentaglio i servizi da assicurare Pag. 9ai cittadini e, in qualche caso, la possibilità del regolare pagamento delle retribuzioni al personale dipendente.
Nel corso dell'esame in sede referente la modifica di maggiore portata ha riguardato l'ambito di applicazione della procedura, che è stato limitato alle province e ai comuni con popolazione superiore a 20 mila abitanti, mentre nel testo originario era applicabile a tutti i comuni.
Il medesimo emendamento dei relatori ha introdotto alcune precisazioni rispetto al testo iniziale del decreto-legge, mantenendone però intatto l'impianto.
Per quanto attiene alla disciplina del Fondo di rotazione, il nuovo articolo 243-ter del testo unico degli enti locali precisa che il Fondo è finalizzato alla concessione di anticipazioni a sostegno del risanamento degli enti locali che abbiano deliberato la procedura di riequilibrio finanziario. Nell'esame in sede referente si è a lungo discusso sui criteri per determinare l'importo massimo attribuibile a ciascun ente locale a titolo di anticipazione, prima con un emendamento dei relatori e poi con un emendamento del Governo successivamente riformulato in corso di seduta. Con l'approvazione di tale ultima riformulazione, il limite ammonta a 200 euro per abitante per i comuni, a 20 euro per abitante per le province e le città metropolitane, mentre nel testo iniziale era previsto un limite unico di 100 euro per abitante.
Il nuovo articolo 243-quater del testo unico degli enti locali reca la disciplina procedurale per l'approvazione e il successivo monitoraggio e controllo dell'attuazione del piano di riequilibrio finanziario. Il comma 1 dispone che, entro dieci giorni dalla data della delibera del piano da parte del consiglio dell'ente locale, il piano stesso sia trasmesso alle competente sezione regionale di controllo della Corte dei conti, nonché alla Commissione per la finanza e gli organici degli enti locali che opera presso il Ministero dell'interno.
L'istruttoria è svolta entro sessanta giorni dalla trasmissione da un'apposita sottocommissione, che al termine dei propri lavori redige una relazione finale trasmessa alla sezione regionale della Corte dei conti. Il prolungamento di questo termine da trenta a sessanta giorni è l'unica modifica sostanziale introdotta dalle Commissioni.
L'articolo 4, che è strettamente connesso ai nuovi articoli 243-bis e 243-ter del testo unico sugli enti locali, prevede la formale istituzione e il finanziamento del fondo previsto da tale disposizione. La disposizione è stata oggetto di marginali modifiche nel corso dell'esame in sede referente, con correzioni di carattere essenzialmente formale.
L'articolo 8 reca disposizioni in materia di Patto di stabilità e il comma 3, modificato nel corso dell'esame in sede referente, modifica l'articolo 16 del decreto-legge n. 95 del 2012, al fine di evitare il taglio delle risorse per l'anno 2012 previsto dal comma 6 del medesimo articolo per i comuni assoggettati nel 2012 al Patto di stabilità interno, vale a dire quelli con popolazione superiore ai 5 mila abitanti, allo scopo di consentire a tali enti di procedere all'estinzione anticipata o alla riduzione del proprio debito attraverso l'utilizzo delle suddette risorse, che vengono a tal fine escluse dai vincoli del Patto di stabilità.
Il comma 6-quater, introdotto nel corso dell'esame in sede referente, stabilisce che, per le finalità di cui al comma 6-bis, ossia di consentire l'estinzione anticipata o, secondo quanto previsto in sede referente, alla riduzione anticipata del debito degli enti locali, ai comuni non si applica l'indennizzo previsto per l'estinzione anticipata dei prestiti sottoscritti con la società Cassa depositi e prestiti Spa. Per le medesime finalità, inoltre, è consentita ai comuni l'estinzione parziale dei mutui e dei prestiti con lo stesso istituto anche in deroga ai contratti già sottoscritti.
Per questa ultima norma mi corre l'obbligo di ricordare che è stata approvata con il parere contrario del Governo e anche dei relatori, perché crea qualche problema rispetto anche alla legislazione precedente in merito a norme imperative sulla Cassa depositi e prestiti, che risulta essere una Spa a tutti gli effetti e rispetto Pag. 10alla quale anche le norme bancarie, che sono state approvate nei mesi e negli anni precedenti, hanno sempre rinviato ad accordi fra l'ABI e il Governo con la supervisione della Banca d'Italia.
Riguardo all'articolo 9, recante disposizioni in materia di differimento di termini per la verifica degli equilibri di bilancio degli enti locali, nonché modifica alla disciplina dell'imposta provinciale di trascrizione, dell'IMU, della riscossione delle entrate e del 5 per mille, segnalo in particolare che il comma 1, modificato nel corso dell'esame in sede referente, differisce al 30 novembre 2012 il termine entro il quale il consiglio dell'ente locale provvede ad effettuare la ricognizione sullo stato di attuazione dei programmi, dando atto del permanere degli equilibri generali di bilancio.
Nel corso dell'esame presso le Commissioni riunite è stata soppressa la previsione secondo la quale, con il differimento al 30 novembre, il termine per l'adozione della delibera sulla ricognizione dello stato di attuazione dei programmi dovesse essere contestuale alla deliberazione di assestamento del bilancio previsionale dell'ente.
Il comma 3, modificato in sede referente, posticipa alcuni termini in materia di IMU.
Il comma 4, modificato durante l'esame del provvedimento in sede referente, conferma la proroga per la riscossione alla società Equitalia, ma sopprime il divieto per i comuni di procedere alle gare per i nuovi affidamenti delle attività di gestione e riscossione delle entrate.
Il comma 6, modificato anch'esso in sede referente, interviene sulla disciplina IMU applicabile gli immobili degli enti non commerciali, in particolare in relazione agli immobili a utilizzazione mista, per i quali non è possibile individuare la frazione su cui si svolge l'attività non commerciale esente da imposta.
All'articolo 11, anch'esso modificato dalle Commissioni riunite, che reca ulteriori disposizioni per i territori colpiti da eventi sismici nel maggio 2012, in particolare, le disposizioni introdotte dal comma 1, lettera a), numeri da 1) a 4), modificano alcuni articoli del decreto-legge n. 74 del 2012 allo scopo di favorire una rapida attuazione dell'articolo 3-bis del decreto n. 95 del 2012, che riguarda la concessione di finanziamenti agevolati e di un credito di imposta destinati alla ricostruzione degli immobili ubicati nei territori colpiti dagli eventi sismici del 20 e del 29 maggio 2012. In particolare, i citati numeri da 1) a 4) incidono sulle modalità di svolgimento delle funzioni attribuite dai presidenti delle regioni interessate sui contratti stipulati dai privati per lavori e servizi connessi agli interventi di ricostruzione, sulla costruzione di edifici scolastici, nonché sui controlli antimafia.
Il numero 5) della lettera a) introduce un comma aggiuntivo all'articolo 7 del richiamato decreto n. 74 del 2012 al fine di escludere i comuni delle province di Bologna, Modena, Ferrara, Mantova, Reggio Emilia e Rovigo, interessate appunto dagli eventi sismici, dall'applicazione delle sanzioni per il mancato rispetto del Patto di stabilità interno.
Il numero 5-bis) della lettera a), aggiunto nel corso dell'esame in sede referente, posticipa infine dal 6 giugno al 30 settembre 2012 la data entro la quale devono essere stati autorizzati gli impianti alimentati da fonti rinnovabili ubicati nelle zone colpite dal sisma per poter accedere agli incentivi vigenti alla data della richiesta.
Il comma 1-bis, introdotto nel corso dell'esame in sede referente, proroga dal 30 novembre 2012 al 31 maggio 2013 il termine previsto ai fini della dichiarazione al catasto edilizio urbano dei fabbricati rurali iscritti al catasto terreni limitatamente ai fabbricati rurali situati nei territori dei comuni interessati dagli eventi sismici.
Il comma 1-ter proroga di ulteriori sei mesi, fino all'8 giugno 2013, il termine per effettuare la verifica di sicurezza ai sensi delle norme vigenti previste dall'articolo 3, comma 9, del decreto-legge n. 74 del 2012.
Il comma 1-quater, anch'esso introdotto nel corso dell'esame in sede referente, estende l'applicabilità delle disposizioni in Pag. 11favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici al comune di Motteggiana.
Il comma 3-bis novella il decreto-legge n. 74 del 2012, aggiungendo l'articolo 17-bis, che disciplina l'utilizzo delle terre e delle rocce da scavo nei territori colpiti dagli eventi sismici del maggio 2012.
Il comma 3-ter, anch'esso introdotto in sede referente, estende l'applicazione - ove risulti l'esistenza del nesso causale tra i danni e gli eventi sismici - delle disposizioni di cui agli articoli 2, 3, 10, 11 e 11-bis del decreto-legge n. 74 del 2012 e all'articolo 3-bis del decreto n. 95 del 2012 alle imprese ricadenti in alcuni comuni indicati dalla norma.
Il comma 6-bis aggiunge i comuni di Ferrara e Mantova all'elenco dei comuni colpiti dal sisma.
I commi da 7 a 13, parzialmente modificati dalle Commissioni, disciplinano la procedura per concedere ai titolari di reddito di impresa che hanno i requisiti per accedere ai contributi per la ricostruzione degli immobili danneggiati, in aggiunta ai predetti contributi, la possibilità di chiedere ai soggetti autorizzati all'esercizio del credito un finanziamento assistito dalla garanzia dello Stato della durata massima di due anni.
Ciò per provvedere al pagamento dei tributi, dei contributi e dei premi sospesi, nonché di quelli da versare dal 1o dicembre 2012 al 30 giugno 2013. Nel corso dell'esame in sede referente è stato aggiunto che il predetto finanziamento può essere chiesto, oltre che da tali soggetti, anche dagli esercenti attività commerciali o agricole, limitatamente ai danni subiti in relazione alle attività effettuate nell'esercizio di dette imprese, e dai titolari di reddito di lavoro dipendente proprietari di un immobile adibito ad abitazione principale e dichiarato inagibile.
I soggetti finanziati dovranno restituire la sola quota capitale del finanziamento a partire dal 1o luglio 2013 secondo un piano di ammortamento, mentre le spese e gli interessi saranno accollati dallo Stato. Le modifiche introdotte in sede referente estendono, inoltre, la possibilità di accedere al finanziamento anche a tutti i soggetti che abbiano subito danni in relazione alle attività effettuate nell'esercizio di impresa, oltre che ai titolari di reddito di impresa che hanno i requisiti per accedere ai contributi per la ricostruzione degli immobili danneggiati.
Il comma 13 reca la norma di copertura finanziaria degli oneri e il comma 13-bis, introdotto nel corso dell'esame in sede referente, prevede che la presentazione da parte dell'affidatario della richiesta di subappalto, di cui all'articolo 118 del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, unitamente alla documentazione ivi prevista, costituisce in ogni caso titolo sufficiente per l'avvio da parte del subappaltatore delle prestazioni oggetto di subaffidamento e del suo ingresso nel cantiere. La disposizione si applica agli interventi per la ricostruzione, l'assistenza alle popolazioni e la ripresa economica, avviati entro il 31 dicembre 2012, nei territori dei comuni interessati dagli eventi sismici.
Per finire, il comma 13-ter precisa che le detrazioni IRPEF del 36 e del 50 per cento per le spese di ristrutturazione edilizia si applicano ai soggetti danneggiati dagli eventi sismici, beneficiari del contributo per la ricostruzione, per la parte relativa alle spese di ricostruzione sostenute dai medesimi.
Per terminare, Presidente, anche in questo caso mi corre l'obbligo di ricordare all'Aula che nel corso dell'esame dell'articolo 11, come citato, è stato approvato un emendamento che estende la possibilità di finanziamento per i pagamenti di contributi ai dipendenti delle aziende nei comuni danneggiati dal sisma, cosiddetto - lo dico tra virgolette - «busta pesante», con parere contrario del Governo, sul quale vi è stata una discussione piuttosto approfondita sui termini della copertura.
La norma risulterebbe allo stato essere scoperta, e significativamente scoperta. Quindi, mi corre l'obbligo, anche in quanto membro della V Commissione (Bilancio), di fare presente all'Aula che è stato approvato un emendamento, sul quale politicamente c'è un accordo unanime e trasversale, che va nella direzione Pag. 12di agevolare le popolazioni così duramente colpite dal sisma, in particolare in un territorio altamente produttivo per tutto il Paese, ma è evidente che ai controlli della Ragioneria generale dello Stato deve conseguire il rispetto della volontà politica nel trovare le opportune coperture che allo stato sembrerebbero non esserci.

PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire in sede di replica.
Prima di dare la parola all'onorevole Borghesi, pensavo di condividere con i presenti l'ordine dei nostri lavori. Dopo l'intervento dell'onorevole Borghesi, che ha a disposizione 30 minuti, potremmo fare una breve pausa di una mezz'ora e riprendere intorno alle ore 14.
È iscritto a parlare l'onorevole Borghesi. Ne ha facoltà.

ANTONIO BORGHESI. Signor Presidente, a questo punto le chiedo, poiché incombe la riunione della Conferenza dei presidenti di gruppo, alla quale dovrei intervenire, se fosse possibile dare la parola a chi mi segue e io intervenire all'orario che lei ha già indicato.

PRESIDENTE. Se l'onorevole Bressa è pronto a intervenire possiamo accogliere la sua richiesta. L'onorevole Borghesi interverrà dopo la pausa, evidentemente. Tutti d'accordo? Sta bene.
È iscritto a parlare l'onorevole Bressa. Ne ha facoltà.

GIANCLAUDIO BRESSA. Signor Presidente, questo decreto-legge, che reca disposizioni urgenti in materia di finanza e funzionamento degli enti territoriali, nonché ulteriori disposizioni in favore delle zone terremotate del maggio del 2012, è un provvedimento estremamente complesso e delicato per le materie che affronta. Ci sono seri problemi - o meglio c'erano, nella versione arrivata alla discussione alla Camera - di legittimità costituzionale.
Non voglio attardarmi a lungo su questa questione. Mi limito a riportare l'affermazione del professor Ugo De Siervo, presidente emerito della Corte costituzionale, che nella sua audizione presso le Commissioni I e V si è così espresso: «Il Governo vuole intervenire in materia di controlli per regioni ed enti locali. Benissimo: lo può fare, ma usi le tecniche giuridiche e legislative secondo legalità costituzionale».
Oltre a problemi di legittimità costituzionale, il testo che è arrivato alle Camere aveva anche seri problemi di merito. Mi riferisco soprattutto alla questione del controllo preventivo di legittimità, che è uno strumento della fine dell'800, che come è ormai ampiamente risaputo e provato, non serve ai fini del controllo della finanza pubblica. Il controllo preventivo di legittimità ignora il sistema dei controlli per integrazione, che è il modello adottato dall'Unione europea e da quei paesi che hanno riconosciuto un'effettiva autonomia ai governi locali.
Il controllo per integrazione sollecita un adeguamento mediante la correzione degli errori e la rimozione delle cause e, quindi, ha una dimensione collaborativa e non ordinatoria. Il controllo per integrazione si differenza proprio per questo dal controllo per conformazione. Il controllo per conformazione dice: «Tu ti devi adeguare. Questo è quello che devi fare». Per carità, è del tutto evidente che alcune forme di controllo per conformazione siano non solo possibili, ma anche necessarie. Come una per tutte valga il patto di stabilità: chi sfora il patto di stabilità è costretto ad adeguarsi e ad uniformarsi. Sui singoli atti dei vari soggetti che compongono la Repubblica, il controllo per conformazione rappresenterebbe un'intrusione e un'invasione nei campi delle rispettive autonomie.
Infatti, il giudizio politico sintetico che poteva essere dato del testo che era pervenuto al dibattito e alla valutazione delle Camere, poteva essere così riassunto: un attacco alla cultura e all'organizzazione costituzionale delle autonomie che ci avrebbe consegnato a uno stato burocratico-centralista e, guardate, non al modello francese di uno stato centrale forte, ma un Pag. 13modello proprio burocratico-centralista. Faccio due esempi che sono in qualche modo la chiave di lettura della difficoltà che il testo trasmesso alle Camere da parte del Governo portava con sé.
C'era una norma del tutto eccentrica, che prevedeva che, in caso di necessità o di volontà di revoca del dirigente finanziario di un singolo comune o di una provincia, fosse necessario il parere conforme del Ministero dell'interno e del Ministero dell'economia e delle finanze, o meglio della Ragioneria generale dello Stato. È del tutto evidente che, se la preoccupazione era quella di evitare comportamenti fortemente irregolari, la soluzione che era stata proposta e approvata, era assolutamente priva di significato e di contenuto costituzionalmente corretto, perché era un'invasione non solo nella cultura autonomistica, che da sempre regge le sorti delle istituzioni della nostra Repubblica da quando c'è la Costituzione, ma era, anche dal punto di vista culturale, estremamente preoccupante.
Allo stesso modo, si immaginava che in sede di controlli intermedi delle attività di gestione delle regioni e degli enti locali, la Corte dei conti potesse (lo ripeto: non sui controlli veri e propri, ma sugli atti intermedi) avvalersi dello strumento della Guardia di finanza con i poteri propri che la Guardia di finanza ha quando fa gli accertamenti sull'IRPEF o sull'IVA.
Era del tutto evidente che una logica di questo tipo non poteva essere condivisa e da noi accettata.
Non poteva da noi essere accettata per valutazioni di tipo politico - sulle quali mi dilungherò successivamente - ed anche perché era in contraddizione evidente col titolo V della Costituzione, il cui articolo 114 definisce la pari dignità costituzionale tra comuni, province, regioni e Stato; ma soprattutto quel tipo di approccio, quel tipo di impostazione, ignorava che il primo comma dell'articolo 125 e l'articolo 130 della Costituzione, che prevedevano i controlli preventivi di legittimità, sono stati espressamente abrogati con la riforma del titolo V, quindi non è che sono rimasti e poi in qualche modo ermeneuticamente si poteva definire che erano stati superati, no, sono stati espressamente abrogati, segno evidente che quel tipo di controllo non veniva considerato più degno della protezione costituzionale.
Il controllo della Corte dei conti è pacificamente un controllo successivo, sulla gestione non sugli atti. Il secondo comma dell'articolo 100 della Costituzione parla di questo e ce lo dice anche la giurisprudenza costituzionale conforme e consolidata. Allora qual è il problema? Non si devono fare i controlli? No, assolutamente no, si tratta di immaginare controlli ulteriori, anche più efficaci, approfonditi e intensi, ma conformi alle previsione della Costituzione. L'effetto pratico di questo decreto-legge, se non fosse stato corretto, sarebbe stato la paralisi del Paese; la Corte dei conti avrebbe dovuto preventivamente controllare centinaia di migliaia di atti, e avrebbe dovuto farlo con una realtà che è quanto mai significativa. Questa forma di controllo preventivo era affidata alle sezioni di controllo regionale, che sono 21 e contano 122 magistrati, con una media di meno di sei magistrati per sezione di controllo. La sezione regionale che ha più giudici addetti al controllo è quella della Lombardia, dove ci sono 10 milioni di abitanti e svariate centinaia di enti, per decine e decine, se non centinaia di migliaia di atti che solo in Lombardia avrebbero dovuto essere controllati preventivamente.
È del tutto evidente che in un'ipotesi di questo genere, nonostante le affermazioni - a mio modo di vedere - un po' avventurose, rese dal presidente della Corte dei conti in audizione, la Corte dei conti non sarebbe stata in grado di assumere questo tipo di nuovi poteri e vorrei citare, uno per tutti, un documento che l'Associazione nazionale dei magistrati contabili, all'unanimità, ha prodotto e reso disponibile all'attenzione delle due Commissioni I (Affari costituzionali) e V (Bilancio), laddove i magistrati della Corte dei conti, cioè quelli a cui sarebbe stato affidato questo tipo di controllo, così dicevano: dal complesso quadro normativo emergente dal decreto-legge, scaturisce l'attribuzione alle Pag. 14sezioni regionali di controllo di un insieme di compiti minuti e non coordinati, che rischiano di determinare disorientamento e dispersione di risorse, inficiando il perseguimento degli obiettivi sostanziali di rafforzamento dell'efficacia dei controlli, dichiaratamente posto a motivo ispiratore della normativa esaminata.
Gli stessi diretti interessati, dunque, chiamati in causa, si esprimevano in questo modo, cioè non solo facendo riferimento al fatto che essi erano troppo pochi per poter svolgere quei controlli, ma anche al fatto che quel tipo di controlli sarebbe stato inutile e avrebbe inficiato la capacità della Corte dei conti di svolgere un controllo efficace.
Vedete, qualcuno - anche qualche illustre professore ascoltato e audito dalle due Commissioni I (Affari costituzionali) e V (Bilancio) - ha parlato dell'inevitabilità di questo decreto-legge per effetto dello stato di necessità, lo stato di eccezione in cui si trova il Paese. La crisi economica e finanziaria è tale da dover imporre scelte così draconiane. Ora, non voglio scomodare categorie della filosofia politica e citare Agamben che diceva che lo stato di eccezione si presenta in questa prospettiva come una soglia di indeterminazione fra democrazia e assolutismo.
Molto più puntualmente e propriamente, citiamo la sentenza della Corte costituzionale, una sentenza recentissima, la n. 151 del 6 giugno del 2012, che dimostra come lo stato di eccezione e di necessità, per quanto riguarda questi termini e queste questioni, non è in nessun modo richiamabile per modificare la Costituzione. La difesa dello Stato ha affermato - cito testualmente - che le norme impugnate trovano giustificazione nell'esigenza di far fronte con urgenza ad una gravissima crisi finanziaria, che mette in pericolo la stessa salus rei publicae. La gravità della situazione consentirebbe allo Stato, sempre ad avviso della parte resistente, di derogare alle regole costituzionali di riparto delle competenze legislative tra Stato e regioni. La Corte dice - rispondendo a questo tipo di affermazioni - che tale assunto non può essere condiviso, in quanto le norme costituzionali, menzionate dalla parte resistente, non attribuiscono allo Stato il potere di derogare al riparto delle competenze fissato dal Titolo V della parte II della Costituzione, neppure in situazioni eccezionali. In particolare, il principio salus rei pubblicae suprema lex esto, non può essere invocato al fine di sospendere le garanzie costituzionali di autonomia degli enti territoriali stabilite dalla Costituzione.
Quindi, nessuno stato di eccezione può consentire di fare le cose che, in qualche modo, venivano da più parti evocate come necessarie, e che erano all'origine delle scelte di questo decreto-legge. Allora, se questo decreto-legge, per come era nato e per come è arrivato alla Camera, presentava queste enormi difficoltà di legittimità costituzionale e di merito, cosa bisognava fare? Esattamente quello che le due Commissioni hanno fatto: con un lavoro molto complicato e molto difficile - e deve essere dato merito ai due relatori per la qualità del lavoro svolto - l'hanno profondamente modificato e cambiato, soprattutto per quanto riguarda i primi tre articoli. Il primo, che è stato integralmente riscritto, e gli altri due, che sono stati sostanzialmente corretti, con l'abrogazione dell'articolo 7, quell'articolo 7 che, proprio perché c'era il retropensiero, da parte del Governo, come probabilmente anche da parte della Corte dei conti, della insufficienza del numero dei magistrati che erano messi a disposizione di controlli così minuziosi, puntuali e pervasivi, proponeva di associare alla funzione di controllo anche qualche magistrato addetto alla funzione giurisdizionale, evidentemente contravvenendo a qualsiasi principio costituzionale sulla terzietà del giudice, perché chi avrebbe fatto il controllo sarebbe stato poi chiamato a giudicare del controllo che lui stesso aveva fatto. È del tutto evidente che una norma di questo genere non era in alcun modo accettabile, ed infatti non è stata accettata e l'articolo 7, per volontà unanime dei membri delle Commissioni I e V, è stato soppresso.
Nel mio intervento vorrei distinguere le questioni relative agli articoli 1 e 3 e Pag. 15all'articolo 2. L'articolo 1 e l'articolo 3 riguardano i controlli e l'articolo 2 riguarda i costi della politica. Non mi soffermerò su altre questioni. Partiamo dai controlli: credo che sia importante valorizzare la funzione ed il ruolo della Corte dei conti, ma è possibile farlo potenziando il controllo collaborativo della Corte dei conti, ed è esattamente quello che si è deciso e si è fatto durante i lavori della Commissione, partendo dalla previsione dell'articolo 7 della «legge La Loggia», la n. 131 del 5 giugno 2003.
Il controllo sulla sana gestione finanziaria ha per oggetto i bilanci preventivi ed il rendiconto consuntivo e definisce a i profili contabili dell'azione amministrativa. Non c'è quindi un controllo preventivo sugli atti, ma c'è un controllo successivo sulla gestione, mettendo in relazione tra loro il bilancio preventivo ed il rendiconto consuntivo, recuperando anche - questo è stato il lavoro della Commissione - le previsioni degli articoli 4, 5 e 6 del decreto legislativo n. 149 del 6 settembre 2011, in attuazione della legge sul federalismo fiscale, quello cosiddetto «premi e sanzioni», recuperando la funzione ispettiva del Ministero dell'economia e delle finanze, che si esercita - come si dice - secondo il metodo fire alarm, cioè quando si evidenziano spostamenti anomali sui conti delle amministrazioni.
Questo è un controllo, in un certo senso, non successivo, ma che avviene in contemporanea. È un controllo contemporaneo che avviene nel momento in cui scatta l'allarme, perché con il sistema SIOPE questo è possibile verificarlo e vi sono alcuni elementi che possono far immaginare che la situazione finanziaria di un comune, di un ente, di una provincia, della regione possa essere, in qualche modo, soggetta di attenzione e di allarme. Ad esempio, un uso smodato o non giustificato degli anticipi di tesoreria. Sono tutti strumenti che mettono in condizione di far partire la funzione ispettiva del Ministero dell'economia e delle finanze, cosa che era stata in qualche modo - a mio modo di vedere incomprensibilmente - negata dal decreto-legge che il Governo aveva presentato. È stata recuperata la relazione di fine mandato, ed è stato recuperato lo spirito e il senso dell'articolo 14 della legge n. 196 del 2009, sulla contabilità e finanza pubblica e sul servizio ispettivo del Ministero dell'economia e delle finanze. Si è dimostrato come fosse possibile avere controlli migliori e più efficaci anche rinunciando al controllo preventivo di legittimità, valorizzando nelle sue funzioni la Corte dei conti e nelle proprie funzioni il Ministero dell'economia e delle finanze.
Resta aperta, perché è stata solo parzialmente corretta anche perché non è stato possibile fare di più per estraneità di materia, la questione dei controlli interni che, con la riforma del Titolo V della Costituzione, sono previsti ma che si sono rivelati spesso privi di effettività. Il riconoscimento del principio di autonomia comporta, di conseguenza, il principio di responsabilità, come imputazione di effetti giuridici per ogni azione o inazione. La tutela dell'autonomia non può significare la tutela del non fare e, quindi, l'accettazione di controlli finti e inefficaci.
Attraverso questo decreto-legge, soprattutto all'articolo 3, si corregge in parte la questione dei controlli interni e si rivede parzialmente la funzione del segretario comunale, con una sua ricollocazione che è ancora più presunta che reale sul versante dei controlli. Per esempio, per effetto di un emendamento, al segretario generale viene affidata la presidenza o la direzione dell'organismo che svolge il controllo strategico. Ma si potrebbe fare di più! Si potrebbe, a mio modo di vedere, ritornare a quella che era la funzione propria del segretario comunale, come un dipendente del Ministero dell'interno, e affidare a questa funzione, riscoperta e ridisegnata del segretario comunale, una vera e propria funzione di controllo, che è una funzione di controllo che lo Stato centrale esercita ma con forme e modi che sono compatibili con il rispetto dell'autonomia degli enti locali. Si tratta di un segretario generale la cui nomina e la cui revoca dovrebbero essere, in qualche Pag. 16modo, sottoposti a misure meno, diciamo così, gradevoli o gradite da chi è chiamato a farle.
Nel recuperare questa figura del segretario generale, si potrebbe assegnare ad esso anche la funzione di garante rispetto alle minoranze degli enti territoriali, perché non dimentichiamoci che l'effetto della riforma del Titolo V della Costituzione, distorto come nella realtà è venuto manifestandosi nel corso di questi anni, ha fatto del segretario generale più uno strumento al servizio del sindaco e della giunta che non al servizio dell'ente nel suo complesso e, quindi, con una sorta di difficoltà, per quanto riguarda le minoranze, a poter esercitare fino in fondo il proprio ruolo di controllo; un controllo politico che credo invece dovrebbe essere restituito a piena dignità e a piena efficacia. Tutto questo sempre nella convinzione che, comunque, obiettivo dei controlli non è l'atto ma l'attività dell'amministrazione.
Vengo, poi, all'ultima questione che voglio affrontare, la questione politica più delicata, quella che era contemplata nell'articolo 2, ossia la riduzione dei costi della politica nelle regioni. È una questione delicata per le implicazioni politiche e costituzionali che essa aveva. Gli effetti delle modifiche sono stati puntualmente ricordati nella relazione da parte dell'onorevole Ferrari, nella sua qualità di relatore. Vorrei occuparmi di alcune questioni, in un certo senso, più generali, più di sistema, sul come e sul perché il testo che è stato prodotto non sia anch'esso, come da parte di qualcuno potrebbe essere paventato, un provvedimento che confligge con la nostra Costituzione.
Il principio secondo il quale la determinazione dell'indennità dei consiglieri regionali spetta ai singoli consigli regionali interessati è, oramai, relativamente consolidato nell'ordinamento italiano, ma non è privo né di incertezze né di limiti, specie alla luce di alcune evoluzioni più recenti della giurisprudenza costituzionale.
Un primo intervento legislativo statale in materia risale addirittura alla legge Scelba, alla n. 62 del 1953, il cui articolo 17 rimetteva la determinazione dell'indennità dei consiglieri regionali alla legge regionale.
Un secondo intervento ebbe luogo con la legge n. 1084 del 1970 che dichiarò cedevoli e destinate a valere solo sino all'entrata in vigore dei nuovi statuti le norme contenute nella legge Scelba. Dal 1971 la materia è stata stabilmente occupata da norme statutarie e legislative regionali. Se la competenza dei consigli a deliberare sul punto non può essere di per sé messa in discussione, si può forse dubitare che tale competenza sia esclusiva, tanto nel senso che essa sia priva di limiti, quanto in quello che essa sia escludente ovvero che impedisca interventi di altri atti normativi come legge statale.
La ragione di un'eventuale lettura forte dell'esclusività della competenza legislativa regionale starebbe, ovviamente, nella protezione delle autonomie e dei consigli. Questi ultimi, in quanto assimilati ai Parlamenti, dovrebbero godere delle prerogative tradizionalmente riconosciute ai Parlamenti stessi relativamente alla loro organizzazione interna. Ma è proprio quest'ultimo assunto che si presta ad essere revocato in dubbio. A differenza che in altri ordinamenti europei, ad esempio la Spagna e il Belgio, oltre ai federalismi mitteleuropei classici, nei quali la natura parlamentare degli organi rappresentativi regionali è stata da tempo pienamente riconosciuta, anche dal punto di vista onomastico, nella cultura giuridica italiana questa equiparazione ha sinora incontrato forti resistenze, le quali hanno trovato eco nella giurisprudenza costituzionale e così la sentenza n. 106 del 2002 ha escluso che i consigli regionali possano assumere la denominazione di Parlamenti regionali argomentando, in base all'articolo 67 della Costituzione, e sostenendo che solo le Camere del Parlamento nazionale rappresentano la Nazione e che vi è una corrispondenza biunivoca fra rappresentanza nazionale e utilizzazione della qualifica di parlamentare. Del resto, anche la giurisprudenza meno recente si era pronunciata contro l'automatica estensione a livello regionale degli strumenti concettuali Pag. 17utilizzati per ricostruire rapporti fra gli organi dello Stato. Si pensi alla sentenza n. 6 del 1970 relativa alla responsabilità penale degli assessori siciliani, pur prevista da una fonte di rango costituzionale come lo statuto della regione Sicilia.
Se ne può forse concludere che l'autonomia regionale, nella determinazione delle indennità, pur sussistente, non può essere qualificata come esclusiva. È come sottratta a delimitazioni esterne come quella che è stata invece chiaramente delineata con l'emendamento che poi è stato approvato. Due spunti evolutivi presenti nella giurisprudenza costituzionale più recente rafforzano questa osservazione. Da un lato, la recentissima sentenza n. 198 del 2012 della Corte costituzionale ha riconosciuto allo Stato il potere di intervenire in una materia sicuramente rientrante nella forma di governo regionale e, quindi, nella competenza degli statuti ordinari, per fissare tetti massimi e minimi al numero dei consiglieri e ha ritenuto che tale intervento legislativo fosse giustificato in ragione dell'obbligo degli statuti di essere in armonia con la Costituzione. Quest'ultima è stata intesa come obbligo di armonia anche con principi costituzionali impliciti che possono essere esplicitati dal legislatore ordinario statale.
In questa prospettiva, si può forse argomentare che, da un lato, il legislatore statale può stabilire limiti, purché non irragionevoli, all'ammontare dell'indennità dei consiglieri regionali e, dall'altro, che possono essere introdotti meccanismi di tipo premiale o sanzionatorio come quelli delineati nell'emendamento in questione. In tale prospettiva, il meccanismo proposto nell'emendamento appare giustificato. Esso è del resto preferibile a quello delineato nel decreto-legge del Governo per vari motivi. In primo luogo, in quanto, istituendo un meccanismo sanzionatorio, lo collega ai soggetti il cui comportamento esso intende sanzionare, i consiglieri regionali, cui spetta deliberare le modifiche agli statuti, anche nella versione del trasferimento dedicato alle competenze proprie di consiglieri ed assessori. In secondo luogo, poiché non incide sui servizi che le regioni devono erogare ai cittadini, ma solo sui costi dell'apparato istituzionale regionale e, in particolare, sui costi della politica. In terzo luogo, in quanto appare maggiormente rispettoso del principio di proporzionalità fra comportamento sanzionato, il mancato adeguamento degli statuti, e la conseguenza di esso, la riduzione dell'indennità e non ha altri svantaggi per i cittadini. E tutto questo è stato fatto a seguito di un passo politicamente molto importante e, cioè, di un accordo intervenuto tra Stato e regioni il 30 ottobre, tra la Conferenza dei presidenti e il Governo, accordo poi ratificato e fatto proprio dal Governo, dal Consiglio dei ministri il 30 ottobre.
Si tratta della modifica, apportata in sede di discussione nelle Commissioni e a seguito di questo importante accordo raggiunto tra Stato e regioni, di una riduzione chiara, definita e consistente, ma, soprattutto, di una chiara, definita e consistente riduzione rispettosa della volontà istituzionale delle regioni stesse.
Si poteva fare diversamente? Probabilmente sì, se non vi fosse stato il decreto-legge e l'accordo con la Conferenza dei presidenti. Quindi, non vi è stata alcuna compressione dell'autonomia legislativa del Parlamento, ma una decisione politica del Parlamento di rispettare un accordo interistituzionale tra Stato e regioni.
È stato, quello relativo a questo articolo, ma complessivamente a tutto il decreto-legge, un lavoro complesso, lungo e delicato per le implicazioni politiche e costituzionali che ha comportato, ma un lavoro positivo, che ha saputo esaltare l'autonomia del Parlamento, soprattutto laddove si è parlato di controlli e si sono cambiate le previsioni originarie del decreto-legge, ma che ha coinvolto e ha messo in evidenza anche la responsabilità del Parlamento, proprio in questo articolo 2 sui costi della politica.
Credo che il Parlamento, questa volta, abbia fino in fondo esercitato il proprio dovere e la propria responsabilità. Lo ripeto, è stato un lavoro difficile, che è stato più agevole compiere grazie anche Pag. 18alla qualità del lavoro svolto dai relatori (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Come preannunziato, sospendo a questo punto la seduta, che riprenderà alle ore 14.

La seduta, sospesa alle 13,20, è ripresa alle 14,10.

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che non vi sono ulteriori deputati in missione alla ripresa pomeridiana della seduta.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente quarantuno, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Modifica nella composizione di gruppi parlamentari.

PRESIDENTE. Comunico che con lettera pervenuta in data odierna il deputato Lorenzo Ria, già iscritto al gruppo parlamentare Unione di Centro per il Terzo Polo, ha dichiarato di aderire al gruppo parlamentare Misto, cui risulta pertanto iscritto.

Si riprende la discussione (ore 14,12).

(Ripresa discussione sulle linee generali - A.C. 5520-A)

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Borghesi. Ne ha facoltà.

ANTONIO BORGHESI. Signor Presidente, premesso, come probabilmente è noto, che nella Conferenza dei presidenti di gruppo testé svoltasi è stato annunciato che il provvedimento in oggetto avrà qualche problemino che verrà affrontato domani nel prosieguo del dibattito e che, quindi, stiamo discutendo di un testo che potrebbe subire ulteriori modificazioni rispetto a quello conosciuto, credo di poter dire che vi era sicuramente bisogno di un provvedimento che riguardasse, da un lato, i controlli sulle regioni e sui bilanci delle stesse e, dall'altro, un serio intervento sui tagli ai costi della politica. Quindi, da questo punto di vista è bene avere finalmente un testo sul quale confrontarci per quanto attiene sia ai controlli, sia alla questione dei costi della politica a livello regionale e degli altri enti territoriali, benché, come in tutte le cose, naturalmente, si sarebbe potuto fare di più e meglio.
Vi sono state svariate nostre proposte che, in generale, sono state anche accolte all'interno di questo testo. Vorrei ricordare, innanzitutto, la questione concernente l'articolo 1 che riguarda il controllo della Corte dei conti. Rispetto al testo originario presentato dal Governo sono stati, a mio giudizio, giustamente, soppressi i controlli preventivi di legittimità sugli atti normativi e amministrativi delle regioni. Personalmente, avendo ricoperto il ruolo di amministratore proprio in una fase di passaggio per cui svolsi metà del mio mandato con i controlli dei comitati regionali di controllo e metà senza, so bene che se un organismo non è realmente terzo - in quel caso, ovviamente, non si trattava della Corte dei conti -, ma, di fatto, assume poi connotazioni politiche, è evidente che i controlli preventivi diventano altra cosa rispetto ad una reale verifica sulla legittimità delle decisioni e dei provvedimenti assunti.
Peraltro, ritengo che il controllo preventivo a tappeto sia spesso inutile e farraginoso, che può avere certamente un effetto che impedisce lo svolgimento dell'azione amministrativa e, quindi, è bene che ci si sia limitati ad un controllo di tipo diverso; così come è bene che siano state soppresse - vi era una nostra proposta emendativa anche a questo proposito - le disposizioni che prevedevano persino il coinvolgimento della Guardia di finanza a fianco della Corte dei conti nell'opera di controllo. Questo coinvolgimento appariva Pag. 19del tutto fuori contesto ed estraneo alle mansioni che l'ordinamento affida alla Guardia di finanza quando opera a fianco della Corte dei conti, in quanto la Finanza interviene nel momento e nei casi in cui la Corte ha già riscontrato motivo di approfondimento e avvia un vero e proprio procedimento. Diventava, quindi, assolutamente improprio il coinvolgimento in via preventiva e non dopo che il controllo era stato esercitato.
Ritengo anche che questi controlli sulla gestione delle regioni siano stati meglio precisati. Appare anche interessante il fatto - in particolare sui rendiconti di esercizio dei gruppi consiliari delle assemblee regionali - che ove i gruppi non adottassero le misure che fossero indicate dalla Corte per sanare le irregolarità, ne conseguirebbe la decadenza dal diritto, un obbligo di restituzione delle somme e in più, però, anche un obbligo di trasparenza che potrebbe portare alla riduzione dei contributi ai gruppi, in caso appunto di mancanza di adeguamento alla richiesta della Corte.
È interessante anche il fatto che le disposizioni valgano anche per le ragioni a statuto speciale, seppure abbiano un anno di tempo per adeguarsi. Riguardo alle sanzioni, invece, viene meno quello che vale negli altri casi e cioè l'eventuale riduzione dei trasferimenti o comunque dei contributi dello Stato.
L'altra questione, sulla quale ci eravamo anche impegnati noi dell'Italia dei Valori, riguarda i meccanismi sanzionatori e premiali relativi a regioni, province e comuni. In particolare si prevede la relazione di fine legislatura; per gli enti locali si dispone appunto che la relazione di fine mandato sia redatta dal responsabile del servizio finanziario e che venga trasmessa alle sezioni di controllo della Corte dei conti. Qui è stato approvato anche un nostro emendamento specifico, che prevede anche una sorta di obbligo di relazione di inizio mandato per comuni e province, che noi volevamo intendere come una sorta di due diligence. Si tratta cioè di attività che il sindaco o il presidente di provincia devono svolgere all'inizio per verificare se quella relazione di fine mandato che hanno ricevuto sia effettivamente corrispondente al vero, per partire, fatta questa verifica, con una situazione reale e non con una situazione che magari, come dicevo, può non essere veritiera.
Noi avevamo cercato anche di agganciare a questa relazione l'eventuale responsabilità civile e penale, ritrasferendola, nel caso in cui fosse accertata una differenza, e prevedendo che l'eventuale responsabilità fosse retrocessa a chi ha preceduto il nuovo eletto. Questa parte non è stata accolta però è un problema che noi riteniamo vada tenuto in considerazione.
Sulla questione dei tagli ai costi della politica delle regioni, riteniamo sia stata fatta un'operazione di indubbia importanza. Ci spiace che sulla questione dei vitalizi sia stata introdotta una norma che in qualche modo - e soltanto per le regioni che non li abbiano già aboliti - sembri accettare l'idea che le regioni possano legiferare in modo anche del tutto diverso, o apparentemente diverso, andando persino a modificare la questione dei sessantasei anni e la questione dei dieci anni di mandato per poter fruire di quel vitalizio.
Rimane poi aperta, a nostro giudizio, la questione del passato e, così come noi la poniamo per i parlamentari, la poniamo anche per i consiglieri regionali. Infatti la vera svolta sarebbe stata quella di un passaggio al contributivo fin dall'inizio, modificando quindi gli assegni vitalizi in base alle somme effettivamente versate dai parlamentari nel caso del Parlamento e, ovviamente, dai consiglieri regionali nel caso dei consigli regionali.
Per quanto riguarda gli altri aspetti, un'altra cosa che riteniamo sia stata modificata correttamente riguarda la questione che un componente del collegio dei revisori dei conti degli enti territoriali fosse designato dal prefetto e scelto dai Ministri dell'interno e dell'economia e che avesse funzione di presidente del collegio.
Ritengo - oltre che per esperienze viste assolutamente negative non negli enti locali Pag. 20ma in società partecipate dagli enti locali sotto la vigilanza del Ministero delle infrastrutture - che ci sia un problema di autonomia; non si capisce perché - dato che ci può essere una logica nella scelta dei professionisti che fanno parte del collegio dei revisori - non si sia proceduto a prevedere, se si fosse potuto, ad un'estrazione a sorte tra coloro che ne hanno diritto. Ciò avrebbe slegato totalmente la nomina dei revisori da qualunque valutazione politica.
L'altra questione che ci interessava particolarmente era quella dell'anagrafe patrimoniale degli eletti. Non comprendiamo perché sia stata limitata ai comuni sopra i quindicimila abitanti. Io credo che il giorno che si andrà a fare una verifica e un censimento dei contenziosi che hanno riguardato comportamenti impropri da parte di amministratori, in molti casi si scoprirà che questi comportamenti sono riscontrabili proprio nei comuni sotto i quindicimila abitanti, dove è capitato e capita che ci siano geometri che di mattina fanno i consiglieri comunali, dando le concessioni, e nel pomeriggio poi vanno a lavorarci come professionisti.
Sono casi tutt'altro che isolati e nella massa sono numeri importanti, per questo noi avremmo preferito che quella soglia fosse abbassata almeno fino a cinquemila abitanti. Credo sostanzialmente di aver dato un'indicazione, sia pure succinta, di alcune delle problematiche che noi abbiamo sollevato.
Nell'articolo 8 c'era anche una cosa sulla quale noi concordavamo, cioè la nuova disposizione che per finalità di estinzione e riduzione del debito non venisse applicato l'indennizzo in caso di anticipata estinzione dei prestiti sottoscritti con la Cassa depositi e prestiti da parte dei comuni e che fosse consentito ai comuni l'estinzione parziale di mutui e prestiti con quell'istituto, anche in deroga ai contratti già sottoscritti.
Per il resto ho segnalato, in generale, che ritengo che il provvedimento sia positivo. Ci sono alcune nostre riserve su alcune questioni, vorremmo ancora capire prima di esprimere un giudizio definitivo che cosa succederà domani e quali saranno la modifiche eventualmente introdotte. Per il momento mi limito a considerazioni di natura qualitativa. Esporremo poi domani alla fine dell'iter legislativo la nostra posizione ai fini della votazione.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Pastore. Ne ha facoltà.

MARIA PIERA PASTORE. Signor Presidente, innanzitutto occorre evidenziare come il testo del decreto-legge n. 174 del 2012 sia stato profondamente e sostanzialmente modificato dal lavoro delle Commissioni I (Affari costituzionali) e V (Bilancio) della Camera. Ma prima di esprimermi nel merito del provvedimento ritengo necessario svolgere alcune considerazioni di carattere generale. Questo Governo ha l'abitudine di dare un titolo ai propri provvedimenti. Il primo, ce lo ricordiamo, era il decreto «salva Italia», ora arriva, tra gli altri, anche il decreto-legge sui costi della politica. Rispetto poi ai titoli il contenuto è un pochino diverso ma tant'è che così è stato presentato all'opinione pubblica che subito ne ha enfatizzato il contenuto.
In realtà, il decreto-legge, così come approvato dal Consiglio dei ministri, ripristinava i controlli della Corte dei conti, prevedeva una pesante invadenza dello Stato nei confronti delle regioni e delle autonomie locali, negava ancora una volta il principio d'autonomia previsto dalla Costituzione, affossava ogni tentativo di premiare gli enti virtuosi.
Inoltre, il testo originario del decreto-legge era palesemente anticostituzionale: non l'abbiamo detto solo noi, l'hanno detto anche i colleghi che mi hanno preceduta. Le Commissioni hanno svolto anche delle interessanti audizioni, che hanno proprio evidenziato incongruenze e incostituzionalità. Anche oggi vorrei ricordare che i controlli preventivi di legittimità sugli atti delle regioni sono stati aboliti dalla riforma del Titolo V della Costituzione approvata dal Parlamento nel 2001 e non si comprende come possano essere introdotti con un decreto-legge, cioè con un atto Pag. 21caratterizzato dalla straordinaria necessità ed urgenza.
L'articolo 1 del decreto-legge prevedeva, infatti, il controllo preventivo di legittimità delle sezioni regionali della Corte dei conti su tutti gli atti normativi, gli atti amministrativi, gli atti di programmazione e pianificazione delle regioni. Un controllo, quindi, che avrebbe bloccato qualsiasi attività, qualsiasi iniziativa, qualsiasi investimento. Di conseguenza, per queste ed altre motivazioni, l'articolo 1 è stato completamente riscritto. Anche rispetto alla straordinaria necessità ed urgenza che caratterizza un decreto-legge, si tratta di motivazioni comprensibili per quanto attiene alle disposizioni in favore delle aree colpite dal terremoto del maggio 2012, ma assolutamente incomprensibili e non condivisibili per le altre norme contenute nel provvedimento.
Stiamo, in ogni caso, discutendo di un provvedimento profondamente centralista. Di fatto, questo Governo è il Governo che premia la burocrazia e i burocrati, che crede che i Ministeri e gli impiegati pubblici siano meglio della politica e dei politici o degli amministratori locali. Tra le disposizioni poi modificate dalle Commissioni, ricordo quella che prevedeva che il presidente del collegio dei revisori dei conti fosse nominato dal prefetto su indicazione del Ministero dell'interno; quella secondo la quale il responsabile del servizio finanziario poteva essere allontanato dall'incarico solo con il consenso del Ministero dell'economia e delle finanze; quella che prevedeva l'utilizzo della Guardia di finanza per i controlli.
Quindi, è un decreto che determina la prevalenza della burocrazia sulla politica, politica che, invece, è espressione della sovranità popolare e, dunque, non può non avere preminenza in un ordinamento democratico. È un provvedimento, poi, che non semplifica, che aumenta gli adempimenti, che stabiliva per numerosi adempimenti il termine del 30 novembre; termine che ricade nei 60 giorni che la Costituzione prevede per la conversione in legge dei decreti-legge. Questo costituisce una mancanza di rispetto istituzionale nei confronti del Parlamento. Tali termini hanno perciò costretto la Conferenza Stato-regioni ad esprimersi ancor prima che le Commissioni iniziassero la fase emendativa al testo.
È un provvedimento che colpisce le autonomie territoriali affermando la loro dipendenza dal potere centrale, che ignora il principio di autonomia previsto dalla Costituzione, così come la pari dignità costituzionale attribuita agli enti costitutivi della Repubblica dall'articolo 114 della Costituzione. Un provvedimento che non aiuta i comuni virtuosi, ma aiuta, invece, gli enti in pre-dissesto e, soprattutto, premia gli enti in dissesto. Un provvedimento che nega i principi del federalismo fiscale previsti dall'articolo 119 della Costituzione e che ancora non dà attuazione ai decreti legislativi attuativi della legge n. 42 del 2009. È vero che è stato inserito l'articolo 1-bis che modifica uno dei decreti legislativi attuativi del federalismo fiscale, ma si tratta di una modifica minima, che riguarda solamente la relazione di fine mandato.
Dicevo che il contenuto del decreto è stato sostanzialmente modificato. L'articolo 1 è stato totalmente riscritto - quello relativo ai controlli -, così come è stato completamente riscritto anche l'articolo 2, riguardante i costi della politica nelle regioni.
Ora, il nuovo articolo 2 pone dei limiti all'importo dell'indennità di funzione e dell'indennità di carica, pone dei limiti alle spese di esercizio del mandato, alla disciplina dell'assegno di fine mandato, all'importo dei contributi in favore dei gruppi consiliari, oltre a prevedere forme di pubblicità e maggiore trasparenza.
Il contenuto dell'articolo 2 è senz'altro stato migliorato, anche se mantiene una pesante sanzione nei confronti delle regioni che non provvedono, dato che, in caso di mancato adeguamento, viene a cessare la corresponsione dell'80 per cento dei trasferimenti erariali a favore della regione.
Sono, inoltre, stati modificati, anche in modo significativo, gli articoli successivi. Pag. 22
Circa il merito del provvedimento, per correttezza devo dire che i relatori hanno affrontato i temi contenuti nel decreto-legge con decisione e forte senso critico e, nel corso dei lavori delle Commissioni affari costituzionali e bilancio, sono stati approvati alcuni importanti emendamenti.
Con il parere contrario del Governo è stato approvato un emendamento della Lega Nord che, sopprimendo il secondo periodo del comma 4 dell'articolo 9, consente ai comuni di procedere a nuovi affidamenti dell'attività di gestione e riscossione dei tributi. Ciò consente di revocare la riscossione affidata a Equitalia, consente ai comuni di scegliere il modo di riscossione che sia meno oneroso per i propri cittadini e consente all'amministrazione di creare con i cittadini un rapporto che sia più attento alle loro difficoltà economiche. Inoltre, con una riscossione diretta e più attenta si avranno entrate più consistenti; infatti, la riscossione coattiva arriva oggi al 15-30 per cento e il non incassato si mantiene intorno al 70-80 per cento.
Abbiamo cercato di intervenire anche sulla lettera c) del comma 1 dell'articolo 3, che prevedeva che il responsabile del servizio finanziario potesse essere revocato esclusivamente in caso di gravi irregolarità, previo parere obbligatorio del Ministero dell'interno e del Ministero dell'economia e delle finanze. Si tratta di una disposizione talmente assurda che comunque è stata eliminata e il nostro emendamento è stato considerato assorbito.
Ora la revoca è disposta con ordinanza previo parere obbligatorio del collegio dei revisori dei conti; si tratta di una precisazione, a mio parere, un po' esagerata, che mina, anche qui, l'autonomia dell'ente e comunque la decisione dell'organo politico, ma in ogni caso c'è stato un netto miglioramento rispetto al testo originario del decreto-legge.
Un'altra assurda disposizione prevedeva che negli enti locali il presidente del collegio dei revisori dei conti fosse designato dal prefetto e scelto di concerto dai Ministri dell'interno e dell'economia e delle finanze tra i dipendenti dei rispettivi ministeri. Su questo punto abbiamo presentato un nostro emendamento che, nonostante il parere non favorevole del Governo, che si è rimesso alle Commissioni, è stato approvato ed è perciò stata soppressa una disposizione veramente anacronistica.
Con un nostro emendamento, identico ad altri presentati dai partiti di maggioranza, è stato poi soppresso l'articolo 7, avente ad oggetto ulteriori disposizioni in materia di Corte dei conti, articolo che contrastava con l'autonomia attribuita alla magistratura.
Grazie, poi, ad un altro nostro emendamento è stata inserita una clausola di invarianza finanziaria all'articolo 1. Tale clausola di invarianza nelle nostre intenzioni dà seguito alle affermazioni del presidente della Corte dei conti Giampaolino, che in audizione è venuto a dirci che, nonostante che i magistrati della Corte dei conti non riempiano tutto l'organico, non sono necessarie ulteriori assunzioni per dare luogo ai controlli, così come erano previsti nell'articolo 1 come approvato dal Consiglio dei ministri. Quindi, a maggior ragione, non saranno necessarie nuove assunzioni di magistrati per la Corte dei conti, visto che il controllo preventivo di legittimità è stato cancellato.
Sempre grazie ad un nostro emendamento è stato stabilito che non è applicato ai comuni l'indennizzo previsto per l'estinzione anticipata dei prestiti sottoscritti con la Cassa depositi e prestiti Spa e che è consentita ai comuni l'estinzione parziale di mutui e prestiti con lo stesso istituto, anche in deroga ai contratti già sottoscritti. Nonostante il parere contrario dei relatori e del Governo l'emendamento, con ampia dimostrazione di buon senso, è stato approvato.
Con un nostro ulteriore emendamento si è anche provveduto a sopprimere il comma 1 dell'articolo 10, in base al quale, fino al 31 luglio 2013, si prorogava il contributo degli enti locali a favore della soppressa Agenzia autonoma per la gestione dell'albo dei segretari comunali e provinciali. Pag. 23
Anche in questo caso, nonostante il parere contrario del Governo, l'emendamento è stato approvato.
Chiaramente, su alcuni emendamenti dei colleghi, abbiamo espresso la nostra contrarietà. In particolare, voglio ricordare l'emendamento con il quale sono stati attribuiti 40 milioni di euro, da restituire in tre anni, ai comuni che, nel 2012, hanno dichiarato lo stato di dissesto. Con questo emendamento, riformulato dal Governo, si danno di fatto, senza citarlo, 40 milioni di euro al comune di Alessandria: una decisione che contrasta con l'obiettivo di premiare gli enti virtuosi, una decisione che, ancora una volta, pone a carico di tutti i cittadini il dissesto di un comune.
Era già successo in passato, ma speravamo che non succedesse più. Speravamo che il punto di partenza per attuare una politica di rigore nei confronti delle autonomie locali fosse la virtuosità degli enti, ma, nonostante le nostre battaglie e i provvedimenti che sono già stati approvati da questo Parlamento, non è ancora così.
Qualche breve considerazione va fatta rispetto all'articolo 11, dedicato al sisma del maggio 2012: un articolo importante, un tema rispetto al quale le Commissioni hanno voluto, da un lato, dare un segnale al Governo e, dall'altro, dimostrare attenzione nei confronti delle popolazioni interessate.
Su questa materia è stato approvato, con il parere contrario del Governo, un emendamento presentato dalla Lega Nord che consente la proroga delle scadenze fiscali nelle zone dell'Emilia e della Lombardia colpite dal terremoto. Il sottosegretario Polillo ha annunciato che sull'articolo 11 il Governo potrebbe rivedere il contenuto, ma vorrei evidenziare al Governo come tutti i gruppi abbiano approvato questo emendamento e che tutti i gruppi si sono adoperati per modificare il testo del decreto-legge in modo da apportare dei concreti vantaggi alle popolazioni interessate.
Detto questo, è vero che il decreto-legge è stato decisamente modificato, ma rimane comunque invasivo. Così come approvato dal Consiglio dei ministri, mi sembra di poter dire che rientra in un disegno generale di questo Governo, che ha l'obiettivo di distruggere l'architettura istituzionale dello Stato così come prevista dalla nostra Costituzione: prima si sopprimono le province, le si privano dell'organo esecutivo, si prevede l'elezione di secondo livello; ora si interviene, o si voleva intervenire, ancora più pesantemente sulle regioni, sulla loro autonomia e pure sull'esercizio di una funzione legislativa riconosciuta loro dalla Costituzione. Il prossimo passo sarà probabilmente un intervento pesante sui comuni, sul numero dei comuni, prevedendo magari l'unione o la fusione obbligatoria. Tutto questo, comunque, avviene bloccando riforme che sono state valutate, studiate e già approvate dal Parlamento.
Tutto è possibile, tutto è plausibile, ma in mezzo a tutti questi provvedimenti vorrei far notare che la Lega Nord, che è una forza di cambiamento che cerca di riformare questo Paese da anni, cerca di farlo attraverso le riforme costituzionali, ordinamentali e fiscali, perseguendo una via all'insegna della legalità. Questo Governo di tecnici, invece, cambia il Paese attraverso decreti-legge. Questo è nella sostanza e nella forma assolutamente inconcepibile.
Un'ultima riflessione riguarda il fatto che anche su questo decreto-legge potrebbe essere posta la questione di fiducia: sarebbe l'ennesima, sarebbe un ulteriore affronto all'attività delle Commissioni e del Parlamento, ma questo Governo ci ha abituati alla fiducia.
Il sottosegretario Polillo ha pure avvisato che il testo approvato dalle Commissioni potrebbe essere modificato in seguito alla verifica della copertura finanziaria, ma se, come ha affermato lo stesso sottosegretario Polillo, la prassi è quella di apporre la fiducia sul testo approvato dalle Commissioni, allora mi auguro che la prassi non venga modificata proprio in questa occasione e che il Governo dimostri la volontà di trovare le coperture finanziarie. E mi auguro, soprattutto, che il Governo e parte della maggioranza non cerchino di usare le Commissioni per Pag. 24evitare delle assunzioni di responsabilità (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tassone. Ne ha facoltà.

MARIO TASSONE. Signor Presidente, ho seguito con molta attenzione i due relatori e li ringrazio non soltanto per le relazioni e le riflessioni che ci hanno consegnato quest'oggi, ma anche per il lavoro che hanno svolto, non soltanto in sede di Commissioni riunite, ma anche in una fase preliminare, di commento e di narrazione, rispetto ai temi, ai problemi e ai nodi che questo provvedimento presentava e presenta.
Volevo fare, proprio ascoltando i colleghi e poi lasciando anche agli amici e colleghi del mio gruppo gli ulteriori approfondimenti, una riflessione di fondo, chiedendo ovviamente il conforto di chi mi ascolta in questo particolare momento.
Questo provvedimento sembrava che dovesse nascere semplicemente per affrontare una situazione contingente, con non troppa ambizione per alcuni, ma anche per corrispondere ad una vicenda certamente poco chiara e poco esaltante che ha coinvolto alcune regioni.
Il tema predominante era quello delle spese della politica. In un clima di antipolitica generalizzato, certamente è un dato che è stato tenuto presente da parte del Parlamento e delle forze politiche. Però, leggendo, valutando ed esaminando il provvedimento, non c'è dubbio che io lo ritengo un po' discostante rispetto a un dato che poteva sembrare scontato e marginale. A seconda di come la si vede, signor Presidente, un provvedimento di questo genere può essere un adempimento dovuto per dare delle soluzioni e per intervenire sui costi della politica (articolo 2) o può essere una forte riflessione sulla natura e sull'identità di questo nostro Paese, dove le varie vicende e le varie storie che lo riguardano (il suo assetto, la forma di Governo, la forma di Stato e le autonomie) devono ancora essere risolte.
Io vedo questo provvedimento come una continuità o, meglio ancora, un tentativo di dare delle risposte, sia pure limitate, alla problematica delle regioni e alla loro autonomia. Quante volte abbiamo discusso in questo Parlamento se dovevamo andare verso una federazione o una confederazione? Si può parlare di federazione e di confederazione - lo si sa - in varie accezioni. Ci sono vari significati. Nel nostro Paese per un certo linguaggio, per una certa filosofia o per una certa scuola di pensiero la federazione ha un significato e per altre scuole di pensiero altri.
Il nostro gruppo parlamentare in questo Parlamento è quello che ha detto «no» al federalismo fiscale. Avevamo chiesto anche una riflessione in più. Avevamo detto di no al federalismo fiscale perché capivamo e comprendevamo - ma credo anche gli altri gruppi - che si sarebbe andati verso un assetto e una definizione diversi del nostro Paese che si discostava grandemente dalle premesse culturali e dai principi che questo Paese si era dato e dai valori su cui si fonda anche il dettato costituzionale. Il «no» era motivato.
Oggi, quando parliamo di controlli da parte della Corte dei conti, leggendo il primo testo, la prima stesura - hanno detto bene sia i relatori, sia i colleghi che mi hanno preceduto, perché l'articolo 1 è stato riscritto completamente e l'articolo 2 è stato revisionato in gran parte -, quando parliamo ovviamente di questi aspetti e di questo dato, soprattutto dei controlli, qualcuno mi dice che siamo passati da un eccesso ad un altro. Nell'esaltazione delle autonomie locali, ma soprattutto dell'autonomia regionale, abbiamo rimosso i controlli. Abbiamo rimosso i controlli delle regioni, abbiamo rimosso i controlli delle province e abbiamo rimosso i controlli dei comuni. In altre parole, c'è una concezione dell'autonomia, e quindi della responsabilità, che viene ad essere, secondo alcuni, esaltata e affermata se non ci sono controlli.
Ma poi c'è un dato, che voglio anche evidenziare in questo particolare momento, ossia che all'articolo 117 della Costituzione abbiamo creato una condizione di surplus di materie e di competenze delle regioni. Certamente queste Pag. 25competenze per materia non hanno determinato una situazione facile relativamente alla gestione delle materie e delle competenze che le leggi e soprattutto il dettato costituzionale attribuiscono loro.
Ma c'è un altro aspetto, a mio avviso. Ci può essere autonomia e ci può essere competenza senza controllo? Credo che questo sia il dato: non ci può essere una competenza gestita nella responsabilità se non c'è un controllo.
Poi bisogna vedere come si esercitano i controlli e certamente io non mi rifaccio a quelli che furono i controlli dopo l'istituzione delle regioni. Ricordo il commissario di Governo e, dopo la fase delle GPA, dopo gli anni Ottanta, i Co.re.co. e quant'altro: una situazione di controlli, alcuni dei quali erano di legittimità, non c'è dubbio, rispetto agli obiettivi e ai traguardi che le amministrazioni sia regionali, sia locali, intendevano raggiungere.
Ma c'è un altro aspetto importante. Signor Presidente, abbiamo celebrato ieri, in tutta Italia, il 4 novembre. È la giornata dell'Unità d'Italia e, allora, questo fa venire in mente, fa inserire anche nei nostri pensieri, nella dialettica e nel confronto, tutta una problematica delle materie per quanto riguarda certamente la vita e l'attività delle regioni. Quante volte ci siamo chiesti e ci siamo posti alcune questioni: la pubblica istruzione può essere una materia semplicemente posta in capo alle regioni per avere venti diverse politiche della formazione e dell'istruzione, che è il corpo fondante, è l'elemento fondante della specificità, dell'identità e dell'unità del Paese? Accanto all'istruzione ci sono anche altri problemi, certamente la materia sociale e quella della sanità.
Ritengo che siano aspetti che devono essere trattati partendo proprio da questo provvedimento d'urgenza, che qualche collega criticava ovviamente nella forma con cui nasce, ossia come decreto-legge. Ritengo che questo provvedimento apra e debba aprire alcuni temi, alcuni argomenti, altrimenti, certo, il discorso dei controlli, sul quale oggi interviene la Corte dei conti, è un argomento sul quale ci siamo confrontati. Abbiamo detto «no» ai controlli preventivi, perché anche noi avevamo ravvisato qualche profilo di incostituzionalità sul controllo preventivo da parte della Corte dei conti. Il controllo della Corte dei conti è su altro, è una parentesi. In questo Paese, anche nel dibattito, la discussione è proseguita molte volte in termini non lineari.
Non parlo dei tagli lineari, ma dei ragionamenti lineari. Ricorderanno i colleghi che ci fu un momento nel quale si parlava della inutilità, della soppressione e del superamento della Corte dei conti. Se ne è parlato e qualcuno aveva caldeggiato e coltivato questo obiettivo e questo aspetto.
Ritengo che oggi, certo, il dato della Corte dei conti è importante ed è fondamentale rispetto ai limiti che il lavoro parlamentare ha costituito, costruito e garantito e che siano limiti e controlli più cogenti. C'è un problema che ho sollevato: ma la Corte dei conti ha l'organico idoneo per svolgere tutto questo lavoro e queste competenze che, quando il decreto-legge verrà convertito, dovrà assolvere? Ritengo che questo sia un interrogativo da porsi. Ci sono stati ovviamente degli atti e dei documenti, c'è stata una audizione del presidente della Corte dei conti Giampaolino che ci ha consegnato alcune sue valutazioni, alcuni dati e chiarito alcuni aspetti. Ci sono altri documenti, invece, dell'Associazione nazionale dei magistrati della Corte dei conti che fanno altre valutazioni.
Questo è un problema, tanto è vero che noi abbiamo posto qualche difficoltà quando qualcuno - qualcuno ancora ne parla - ha proposto che anche su tutta la materia degli organici della Corte dei conti ci sia invarianza della spesa. Abbiamo spostato alcuni termini sia per il rispetto che si deve ad un organo di rilevanza costituzionale come la Corte dei conti e anche perché non possiamo prefigurare dei limiti, ma soprattutto un condizionamento all'agibilità nell'autonomia e nella responsabilità della Corte dei conti. Questo è un lavoro che abbiamo fatto e che hanno fatto la I e la V Commissione. Pag. 26
Vi è stata anche la soppressione dell'articolo 7, nel quale ovviamente si prefigurava un certo tipo di organizzazione e il legislatore interveniva con legge ordinaria sull'organizzazione della Corte dei conti, su aspetti e su dati che attengono a regolamenti e ad atti interni della Corte stessa. Questo dato e questo aspetto sono stati ovviamente superati grazie al senso di responsabilità e all'impegno sia dei relatori - lo debbo dire con estrema chiarezza - sia di tutti i colleghi.
Se ci sono queste questioni che riguardano ovviamente le autonomie e il controllo delle regioni, se noi finissimo a limitare il nostro ragionamento all'oggi, certamente andremmo a commentare tutti gli articoli che sono contenuti in questo provvedimento e avremmo finito. Ma dobbiamo anche capire che cosa si farà in prospettiva. Ritengo che questo sia l'inizio di un ragionamento, perché si è dato spazio ad una valutazione e ad visione un po' parziale dell'attività della regione anche dal punto di vista dell'attività economica. Quante volte noi abbiamo parlato in quest'Aula di deficit, di esposizione, di debito pubblico, di difficoltà economiche del Paese, senza tenere conto della gestione delle regioni. Per lungo tempo si è evitato di fare riferimento all'attività delle regioni. Ci sono stati qualche pudore e qualche riservatezza in più, visto e considerato, però, che le regioni hanno delle competenze importanti e fondamentali. Voglio fare riferimento alla sanità. Si andava avanti con valutazioni certamente importanti e fondamentali, senza grandi riferimenti all'attività anche delle regioni.
Quando si interviene anche sui costi della politica, discorsi importanti e che io accetto, sia per quanto riguarda i vitalizi, sia per quanto riguarda la riduzione delle risorse dei gruppi, si mette un po' d'ordine in una vicenda che è apparsa anche in questi giorni molto confusa, tanto per usare un eufemismo; ma questo non è sufficiente per risolvere i problemi a monte, relativi alle competenze e alle attività delle regioni.
Da tutto questo, signor Presidente, emerge anche un altro argomento, quello dell'Europa. Ci dobbiamo porre il problema dell'Europa, lo dico ai colleghi, nel momento in cui parliamo di controllo; nelle autonomie regionali non ci possono essere - come non ci può essere per materia - venti politiche dell'istruzione e della formazione, venti politiche sociali e così via. Nell'Europa non ci possono essere diversificazioni rispetto alle competenze di autonomie regionali che esistono in altri Paesi. Io ritengo che se dobbiamo fare uno sforzo e avere una visione di insieme, dobbiamo guardare anche a questi aspetti e a questi dati che ritengo importanti e fondamentali. Si tratta di un aspetto che certamente non è insignificante, se il processo di integrazione in Europa non è asimmetrico ma si armonizza ed è coordinato e raccordato, non c'è dubbio che dobbiamo sempre più tener presente questa problematica con i problemi ed i temi che ci sono e che riguardano anche lo Stato rispetto all'Europa, e l'esigenza di cedere parte della sua sovranità, dove ovviamente le competenze esclusive dello Stato nelle materie tradizionali - la sicurezza, la difesa, l'economia, la politica estera - certamente vanno ad essere comprese in una prospettiva ed in una proiezione, come un dato di riferimento per una politica di integrazione europea che dia senso e dignità alla concezione europeistica che noi abbiamo.
Questi sono agli aspetti ed i dati che riguardano questo provvedimento che verrà ad essere approvato - non so se il Governo porrà la fiducia sulla base di un maxiemendamento che terrà presente, me lo auguro, gran parte del lavoro egregio ed encomiabile che hanno svolto le Commissioni I (Affari costituzionali) e V (Bilancio) - ma io ritengo che questo aspetto e questo dato aprano anche ad altri tipi di problemi e di temi; in base agli interventi che ho ascoltato, quando qualcuno diceva che in questo momento certamente le regioni non sono un Parlamento, ebbene certamente le regioni non sono il Parlamento, pur avendo una potestà; le regioni non esprimono un governo, esprimono un esecutivo, ma oggi nell'accezione comune si parla di governi regionali e di governatori, Pag. 27e questo dato l'abbiamo fatto passare, ma poi attraverso una serie di altri provvedimenti abbiamo trasformato le leggi delle regioni, dapprima con l'elezione diretta del presidente. Ricordate la prima elezione diretta del presidente che dava ad esso la possibilità, per i primi due anni, di non cambiare maggioranza? Poi invece l'abbiamo estesa a tutti e cinque gli anni, e poi abbiamo introdotto il principio del simul stabunt simul cadent, con un affievolimento del ruolo del consiglio regionale. Sempre questa è la mia preoccupazione, questo affievolimento e questa marginalità degli organi deliberanti sia dei comuni, sia delle province, sia delle regioni; e quando qualcuno ha voluto introdurre, anche nei lavori delle Commissioni, la sfiducia costruttiva per garantire in quel momento anche la continuità e la sopravvivenza di tale ente, c'è stata una mezza rivolta nel nome dell'autonomia. Un'autonomia senza controllo e senza responsabilità, al di fuori certamente di una cultura, che pure si è affermata nel nostro Paese, che si discostava comunque anche da quelle tipologie di elezione che, al confronto con il Parlamento, appaiono differenti in maniere sempre più profonde e marcate. Credo che siano questi i temi e gli argomenti che dobbiamo tenere certamente presenti anche per quanto riguarda il futuro, nella prossima legislatura.
Noi inseguiamo da molto tempo, attraverso Commissioni bicamerali e di merito, un'era costituente, non dico una fase costituente, ma un'era ed una legislatura costituenti. Oggi ritengo che sia il momento di considerare e di recuperare tutto questo - visto che abbiamo ritrovato l'esigenza del controllo e della responsabilità - ma anche di rivedere le materie di competenza delle regioni. Lo ripeto per la terza volta: non è possibile mantenere nella competenza legislativa esclusiva la sanità, l'istruzione, il sociale e, per alcuni versi, anche l'ambiente; non è possibile parlare di regionalismo senza avere questo riferimento all'accostamento e soprattutto all'armonizzazione, che io ritengo un'esigenza fondamentale, con le altre autonomie regionali. Lo Stato deve riappropriarsi della sua forza e della sua dignità rispetto alla continuità ed alla forza delle realtà locali che bisogna garantire.
L'ultimo aspetto, signor Presidente, riguarda i segretari comunali. Anche a tal proposito - leggevo da qualche parte e lo condivido - c'è stato un momento in cui abbiamo considerato gli enti locali come delle società e si è affermato un certo linguaggio: avevamo bisogno non di bravi funzionari e di bravi dirigenti, ma di manager, tanto è vero che poi anche nei Ministeri ci siamo adattati su una situazione parastatunitense - ma gli Stati Uniti hanno una diversa storia, con lo spoil system - e abbiamo, di fatto, rimosso ogni certezza. Infatti, con lo spoil system, nei Ministeri abbiamo mortificato i dirigenti di carriera - non c'è dubbio - e i direttori generali nominati sono direttori generali, ma - molte volte - sono più vicini all'entourage gestionale e collaborativo del Ministro. Il dato che viene fuori è il ruolo e la riscoperta dei segretari comunali e, anche nei comuni, vi è stato un momento in cui si è esaltata la figura del city manager e del direttore generale, perciò non si capiva qual'era il ruolo del direttore generale e quello del segretario comunale. Non si è mai ovviamente evidenziato con molta forza - e soprattutto con evidenza - il ruolo di un responsabile degli uffici, che non può che essere il segretario comunale. Questo viene ad essere riproposto e recuperato da questo provvedimento, visto e considerato che con le trasformazioni che ci sono state anche nel passato, i segretari comunali scelti dal sindaco erano diventati, più che altro, segretari particolari del sindaco, ed i comuni venivano ad essere affidati ai consulenti o ai direttori generali. Non c'è dubbio che anche questo significa certezza. Il segretario comunale è un notaio, certamente il capo degli uffici, è apicale: il controllo va fatto certamente dal segretario comunale ed i rilievi del controllo non devono essere mandati ai capi dipartimento dei comuni per poi tornare al segretario comunale. O il capo del vertice comunale ha una potestà direzionale nella direzione del comune, Pag. 28oppure questa figura viene ad essere un po' condizionata ed offuscata.
Ritengo che questo provvedimento faccia giustizia di alcune incertezze del passato, ma questo concetto deve essere - a mio avviso - illustrato e soprattutto affermato con grande forza. Qualcuno diceva anche che i segretari comunali sono dipendenti del Ministero dell'interno. Questo non è dato da capire: i segretari comunali hanno avuto sempre una posizione «ibrida», erano funzionalmente dipendenti dal Ministero dell'interno, tant'è vero che i trasferimenti, le revoche e le nomine le faceva il prefetto. Poi c'è stato l'albo, dal quale sceglieva il sindaco. I segretari comunali non si sa cosa sono.
Se posso in questo momento, in sede di discussione sulle linee generali, approcciare e tentare una proposta, non vi è dubbio che dovremmo prevedere, per i segretari comunali, un ruolo, che sia ovviamente sotto il controllo del Ministero dell'interno. Dovrebbe valere la situazione precedente, ma con una maggiore definizione dei contorni, dei limiti e, soprattutto, delle competenze. Ritengo che questo sia un aspetto importante che non può essere sottovalutato.
Signor Presidente, ho voluto, in termini confusi, porre alcune questioni che più volte abbiamo richiamato anche nel corso dei nostri lavori. Questa è l'occasione, certamente, per esaltare il regionalismo, perché se vi è qualcuno - e su questo riprendo anche un concetto che avevo un po' esternato poc'anzi - che pensa che i controlli possano mortificare l'autonomia regionale, questo certamente non è nel vero nella proiezione, a meno che non chiariamo - questo è un altro aspetto che voglio ancora un po' affermare e sottolineare - che noi non abbiamo un'altra e diversa visione dello stato del nostro Paese. Questo fa capire certamente che non si può legiferare sull'onda delle emozioni o sulle contingenze. Questo è un tema - e un problema - molto grosso, di grande portata, che riguarda gli equilibri futuri del nostro Paese, anche nel concerto e, soprattutto, nella realtà più ampia che è quella europea.
Questo credo che sia il significato - e il dato - che viene fuori dicendo di sì a tante situazioni, che sono state anche sottolineate, e rispetto alle modifiche che sono state apportate dalle Commissioni. Faccio riferimento a una di esse: la revoca degli incarichi alle organizzazioni per la riscossione dei tributi, che può essere data anche dai comuni. Questo credo che sia anche un fatto importante per evitare dei condizionamenti dall'alto, delle ipoteche, che ci sono state. Ritengo opportuno che le autonomie locali vivano pienamente in un clima diverso e senza avere coercizioni di nessun genere e senza subire nessun tipo di ricatto. Ritengo che la sempre maggiore affermazione delle autonomie sia il sale della democrazia.
Poi, ci troviamo in presenza, signor Presidente, dell'ultimo provvedimento, quello che riguarda l'accorpamento delle province. Questa può essere certamente un'altra storia, ma è una storia che rientra anch'essa in questa problematica delle autonomie locali e regionali. Ritengo - e vado a conclusione -, riaffermando questo concetto iniziale, che non vi possa essere autonomia senza, controllo. Non vi può essere autonomia, rispetto alle competenze che sono anche proliferate nel tempo, se non vi è un controllo forte e cogente, visto e considerato, per esempio, che i revisori dei conti, di cui poi sono stati dotati i comuni, erano soltanto una «piccola farsa», perché si trattava di organismi interni che venivano fuori attraverso le mediazioni politiche, e che dovevano controllare le amministrazioni locali. Sono anche d'accordo, su quella che è stata un'iniziativa assunta dalle Commissioni I e V, sulla figura del revisore dei conti che doveva svolgere funzioni di presidente, nominato dal prefetto. Questi sono dati che certamente vengono ad essere importanti; ma vi è il dato più significativo che è quello proprio dell'istituto della revisione dei conti.
Signor Presidente, ritengo che questo provvedimento, per le cose che abbiamo detto, e che ho tentato di dire, sia importante non per la materia che tratta attualmente, ma per una serie di problemi Pag. 29che apre, per i temi che affronta. Se chiudessimo con l'articolo 1, con l'articolo 2 e con gli altri provvedimenti - la Corte dei conti, il controllo e, abbiamo detto, il costo della politica e altri provvedimenti che sono poi contenuti nei successivi articoli - sarebbe stato certamente un buon lavoro, da parte del Governo e da parte di tutti noi, ma non sarebbe stato esaustivo. Se, invece, prendiamo questo provvedimento come una serie di problemi e di temi che vengono consegnati al futuro legislatore e al Paese intero, ritengo che questo sia un provvedimento importante e, oserei dire, per alcuni versi storico, che può rappresentare la linea di demarcazione rispetto a una diversa concezione, che non è una concezione nuova, ma la più realistica e la più vera, che fa parte del bagaglio della storia della e cultura del nostro Paese.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Nicco. Ne ha facoltà.

ROBERTO ROLANDO NICCO. Signor Presidente, il decreto-legge oggi all'esame dell'Aula ci ha lasciati alquanto perplessi, sin dalla sua genesi. Secondo noi, è singolare, paradossale ed anche un po' ridicolo che i governatori delle regioni abbiano chiesto al Presidente Monti di intervenire con un decreto-legge su un tema, quello dei costi della politica, su cui le regioni hanno competenza diretta. I governatori si sono probabilmente mossi nel timore di essere travolti dall'onda di indignazione e di disgusto che ha scosso il Paese a seguito delle note vicende di scandalosa appropriazione di risorse pubbliche per usi personali, i più incredibili, assurdi e finanche trimalcioneschi, culminate con la crisi della regione Lazio. Ma il loro agire a noi è sembrato una pubblica dichiarazione di incapacità ed impotenza. Se fossero coerenti, dopo aver invocato l'intervento del Governo centrale avrebbero dovuto trarne le conseguenze e magari anche dimettersi.
La riduzione dei costi della politica è certamente un tema oggi centrale ed ineludibile, su cui vorremmo tuttavia fare due considerazioni di ordine generale. La prima: la Corte dei conti, per bocca del suo Presidente Giampaolino, ci ha ricordato più volte che il maggior onere e il maggior costo improprio, tra virgolette, determinato dalla politica sta nella corruzione, nell'intreccio perverso tra politica ed affari, in questo macigno che condiziona e talvolta soffoca l'economia. «Una delle principali emergenze nella vita civile ed economica del Paese», ha scritto il Consiglio superiore della magistratura. E quindi, intanto, è lì che dovremmo intervenire con il bisturi e senza nessuna esitazione. Purtroppo, il disegno di legge recentemente approvato dal Parlamento è stato ancora assai tiepido proprio su questo punto. «Un'occasione mancata» ha titolato un diffuso quotidiano nazionale, mentre, cito ancora il Consiglio superiore della magistratura, su uno dei punti nodali, la concussione per induzione, siamo in presenza di un «arretramento particolarmente significativo nell'attività di contrasto» dagli effetti «esiziali» su numerosi procedimenti in corso. Dal canto suo, l'Associazione nazionale magistrati parla di «effetti di parziale amnistia» e sottolinea l'assenza di norme su altri due punti cardine, il voto di scambio e quel falso in bilancio che poi è lo strumento attraverso il quale si costituiscono le riserve di liquidità occulta da destinare agli amministratori infedeli, politici e funzionari.
La seconda considerazione, signor Presidente: malaffare, corruzione e uso distorto delle risorse pubbliche non sono una prerogativa degli enti territoriali. Purtroppo allignano ovunque, nei gangli fondamentali tanto delle regioni quanto dello Stato centrale, infettano tutti i livelli istituzionali. Non ci sono solo i Fiorito e compagnia. Se qualcuno se ne è dimenticato, ricordiamo noi le vicende della «cricca» che ruotava attorno alla Protezione civile, il Gentiluomo di sua Santità, Balducci, Diego Anemone e quant'altri. E che dire dei Belsito e dei Lusi? E chissà quali altri squarci si apriranno attorno a Finmeccanica. Quindi, non solo gli enti territoriali. Pag. 30
Ciò detto, ben vengano specifiche norme che colpiscano e riducano gli eccessi connessi all'esercizio del mandato nei consigli delle regioni e che ridimensionino gli apparati istituzionali. Ma, signor Presidente, cari colleghi, prima di chiedere alle regioni di ridurre il numero dei consiglieri, per non rischiare di essere grotteschi, avremmo dovuto - e da gran tempo - procedere intanto noi, concretamente, a quella riduzione del numero dei parlamentari di cui parliamo, a vuoto, da troppi anni.
Dal canto suo, il Governo ha colto la palla al balzo offerta dai governatori e l'ha usata strumentalmente per introdurre norme ordinamentali che, nella versione iniziale, colpivano tutto il sistema autonomistico. Su questo punto il parere contrario al decreto-legge espresso dalla Commissione bicamerale per le questioni regionali è molto chiaro. L' impianto complessivo del provvedimento, nei termini proposti dal Governo, prima delle modificazioni introdotte dalla Commissione, è stato ritenuto «insufficiente e di non piena compatibilità con le prescrizioni del Titolo V della Costituzione». In particolare, il nuovo sistema di controlli da parte della Corte dei conti sugli atti delle regioni presentava «specifici profili di criticità» e rischiava di determinare la paralisi dell'attività amministrativa.
Quella del Governo è una posizione che ci preoccupa, ma che non ci stupisce. È questo, dal nostro punto di vista, un Governo che ha imboccato, in modo sempre più marcato, la strada di un neocentralismo, che è esattamente l'opposto di quanto da noi auspicato. L'esempio più clamoroso di questa direzione: a questo Governo il Parlamento ha affidato il compito di risanare i conti pubblici. Non capiamo proprio a quale titolo abbia assunto l'iniziativa di proporre un disegno di legge di revisione del Titolo V della Costituzione che va a modificare la ripartizione delle competenze tra Stato e regioni, tanto più che non ci sono neppure i tempi per discuterlo e approvarlo.
Così come riteniamo grave e provocatoria la proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, Patroni Griffi di riesumare il progetto delle 12 macroregioni, avanzato nel 1992 dalla Fondazione Agnelli, che, sulla base di indici puramente quantitativi, senza tenere in alcun conto gli aspetti storici, linguistici, culturali e territoriali, vorrebbe cancellare regioni come la Valle d'Aosta, inglobandole in astratte entità costruite a tavolino. Altre erano le indicazioni programmatiche espressamente enunciate dal Presidente Monti all'atto del suo insediamento: dal «riconoscimento del valore costituzionale delle autonomie speciali», alla «leale collaborazione tra i diversi livelli istituzionali», alla «volontà di rafforzare il lavoro comune con le autonomie territoriali» (ho citato testualmente dal suo discorso). Siamo oggi su un terreno molto distante da quelle indicazioni e non potremo che trarne le conseguenze sul piano politico (Applausi del deputato Cambursano).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole La Loggia. Ne ha facoltà.

ENRICO LA LOGGIA. Signor Presidente, mi consenta, innanzitutto, una piccola osservazione di carattere metodologico. Non è un problema neanche nuovo: è un problema che abbiamo già cercato di risolvere in tanti modi, anche negli anni passati. Mi riferisco al calendario dei lavori: continuo a ripetere, ogni volta che mi capita di intervenire in queste circostanze, che la discussione sulle linee generali di un provvedimento legislativo, qualunque esso sia, ma in particolare su argomenti di questa rilevanza, meriterebbe di essere fatta in modo tale che il numero dei parlamentari presenti sia quanto più possibile numeroso, e non limitato ad alcuni amatori o cultori della materia, magari perché se ne sono già interessati in Commissione ed intervengono ognuno per ripetere le proprie considerazioni, già spesso, tra di noi, in qualche modo, approfondite e discusse appunto durante i lavori della Commissione.
Vero è che restano comunque sempre gli atti parlamentari per i ricercatori di Pag. 31domani, per altri cultori della materia, per qualcuno che voglia scriverci sopra una tesi di laurea o fare una pubblicazione. Lo ripeto per scrupolo: so bene che la responsabilità non è sua, signor Presidente, e però il problema resta e involge sicuramente la divisione dei tempi, nel corso della settimana, tra i lavori di Commissione e i lavori d'Aula, nel presupposto che bisognerebbe stare qui a lavorare, come parlamentari, almeno cinque giorni alla settimana, cosa che purtroppo, come sappiamo bene, non accade, se non in casi estremamente rari.
Forse c'entra anche questo o, comunque, anche su questo si appunta talvolta la critica, più che giustificata, di milioni e milioni di cittadini che ritengono, e hanno ragione nel ritenere, che il nostro sia un lavoro, non sia soltanto, come dire, una passione, un modo per interessarsi dei problemi del proprio territorio e di suggerire soluzioni, talvolta anche utili, talvolta meno, ma sia un lavoro da espletare per tutto il periodo del nostro mandato, con l'impegno che normalmente si richiede per chiunque svolga qualunque altro tipo di lavoro.
Detto questo - questo sì è bene che resti agli atti, almeno tra anni e anni qualcuno potrà rileggere che qualcun altro, negli anni passati, ha provato, ma senza successo, a migliorare questo stato di cose -, passiamo a questo decreto-legge. Qui mi consentirà, Presidente, di fare una piccola memoria che risale a molti anni fa, ahimè, cioè all'ultimo anno dei miei studi della facoltà di giurisprudenza, quando ebbi la fortuna, e così anche gli altri che frequentarono quell'ultimo anno di giurisprudenza - eravamo nel 1969 - di ascoltare un luminare del diritto, il professore Gioacchino Scaduto il quale, avendo insegnato diritto civile per tutta la sua carriera universitaria, ci confessò in quell'ultimo anno di suo insegnamento che avrebbe voluto fare un corso completamente diverso, un po' era stato il suo sogno, il sogno della sua vita accademica, cioè quello di intrattenerci sui principi fondamentali dell'ordinamento giuridico. Io ricordo quelle lezioni come una delle esperienze più esaltanti, più belle, più gratificanti della mia vita, non solo della mia vita universitaria.
Un particolare voglio ricordare di quelle lezioni, cioè la definizione di «legge», cos'è una legge. Ci ricordava il professore Scaduto che la legge nasce da un'esigenza avvertita, su una determinata parte del territorio, da un numero cospicuo di persone. Quando questa esigenza è avvertita sull'intero territorio nazionale da una moltitudine molto ampia di persone, su tutte le parti del territorio, ecco che nasce nel legislatore il dovere di intervenire per regolamentare in modo diverso e più appropriato una o più fattispecie, in maniera tale che l'esigenza avvertita dai cittadini possa trovare piena soddisfazione. Questo è il compito, ricordava, del legislatore e il compito per il quale noi siamo chiamati ad operare.
Se è così, ecco, questa di cui ci stiamo occupando oggi è una di quelle esigenze. È un'esigenza larghissimamente avvertita, larghissimamente condivisa, da una moltitudine di cittadini e, certamente, sull'intero territorio nazionale, cioè quali sono i compiti delle regioni, qual è il compito dello Stato, qual è il compito del legislatore nell'ambito delle competenze attribuite alle regioni e allo Stato. Per fare cosa? Per soddisfare al meglio le esigenze che i cittadini man mano esprimono nel loro vivere quotidiano.
Quindi, non c'è un confine o un limite alle possibilità di intervento del legislatore nazionale, ovvero del legislatore regionale nei confini della competenza regionale, se non quello del rispetto, appunto, dei principi generali dell'ordinamento e segnatamente della Carta costituzionale. Quello è il limite: non possono esserci altri limiti.
Proprio su questo voglio lasciare traccia nel mio intervento, perché tutto il decreto-legge, che qui ci occupa, ha una caratterizzazione specifica - lasciatemelo dire - che potrebbe essere totalmente superflua. Mi spiego meglio. Se tanto il legislatore nazionale quanto il legislatore regionale, ma soprattutto gli amministratori statali e gli amministratori regionali, si fossero attenuti al principio fondamentale, Pag. 32che fa parte del nostro ordinamento giuridico ed è sancito in modo chiaro nella Costituzione e cioè il principio di sana amministrazione, tutto questo sarebbe perfettamente inutile. Certo, il legislatore avrebbe il compito di specificare meglio, di chiarire talvolta, di prevedere una sanzione, ma tutto questo nel presupposto che chi si occupa nella cosa pubblica se ne occupi male. Infatti, se chi si occupa della cosa pubblica se ne occupasse bene e cioè secondo i principi dell'ordinamento e quindi della Carta costituzionale, nulla sarebbe necessario di tutto quello che è inserito in questo decreto-legge. Ma sappiamo bene che non è così.
Signor Presidente, io sono tra i pochi che sostengono che non esiste l'antipolitica. Perché non esiste l'antipolitica? Perché come si fa ad essere «anti» rispetto ad un concetto così alto, ad un concetto così puro, ad un concetto così universale come quello della buona politica? Ma, vede, già l'aggettivazione «buona» o «cattiva» è fuor di luogo, perché la politica è esattamente quella che io ho già definito in maniera sommaria, rispetto ai compiti che sono assegnati al legislatore nazionale, al legislatore regionale, così come all'amministratore statale ed all'amministratore regionale.
Cos'è che è «anti»? In cosa si concretizza l'essere «anti»? Forse antisprechi? Certo. Antiprivilegi? Certo. Antiruberie? Certo. E che c'entra questo con la politica? Altrimenti dovremmo partire dal presupposto, assolutamente inaccettabile, politica uguale privilegi, politica uguale sprechi, politica uguale ruberie e via di seguito. Non lo accetto questo, e credo che nessuno lo possa accettare con un minimo di ragionamento, con un minimo di buon senso e con un minimo di sincerità. Nessuno lo può accettare. Allora cos'è alla base della cosiddetta antipolitica, se non la cattiva amministrazione? Bastano queste due sole parole per definire esattamente a cosa ci stiamo riferendo. E allo stesso tempo, che tipo di democrazia vogliamo? Una democrazia dei privilegi? Una democrazia degli sprechi? Una democrazia che consente agli amministratori di fare qualunque tipo di scelta senza nessun controllo in ordine alla gestione, in ordine al rispetto dei principi di bilancio, al rispetto del Patto di stabilità, al rispetto dei vincoli europei, al rispetto dell'articolo 81 della Costituzione, ancor più dopo la modifica effettuata solo qualche mese fa anche per corrispondere a precise direttive europee? È ovvio che questo non è possibile. Ma che tipo di democrazia vogliamo?
Una democrazia per la quale si ritorna in epoca pregiolittiana nella quale qui in Parlamento, e segnatamente in questa Camera, così come al Senato, arrivavano solo coloro i quali potevano dimostrare di avere un reddito superiore ad una certa cifra e quindi potevano svolgere questo mandato senza nessuna indennità, senza nessun rimborso spese, senza nessuna diaria, senza nulla, tranne la possibilità di viaggiare in treno gratuitamente dal luogo di residenza a Roma e viceversa? È questo che vogliamo? Vogliamo tornare a questo? O, al contrario, vogliamo una democrazia non solo di ricchi ma al contrario addirittura solo di poveri e cioè di persone che, quando arrivano a Roma e prendono un'indennità anche molto più modesta di quella che a noi viene assegnata, considerano di avere risolto i problemi della loro vita? È di questo tipo di democrazia che noi vogliamo occuparci e che vorremmo, come dire, ritenere preferibile rispetto all'attuale? O vorremmo una democrazia così com'è e come è sancita nella nostra Costituzione? Ricordiamo l'articolo 1, per cui tutti possono venire qui, ovviamente sulla scorta di un consenso, di una scelta, di un mandato che ricevono da parte dei cittadini per sostenere determinati principi, determinati valori, determinate scelte legislative, per corrispondere, come ho detto all'inizio, a quell'esigenza di regolamentazione che nasce da una parte del territorio ovvero da un'intera nazione quando un problema matura sino al punto da meritare l'attenzione del legislatore.
Mi piace ricordare qui Bissolati, mi piace ricordare Einaudi, mi piace ricordare don Sturzo, tutti e tre - non appaia strano - sostenevano che il valore di una classe dirigente si misura nella capacità di Pag. 33guidare i processi di trasformazione della società nelle molteplici e variegate esigenze che man mano vengono espresse in tutte le parti del territorio nazionale. Tutti e tre stranamente, anche se in tre periodi storici diversi, sostennero esattamente questo concetto, esattamente con le parole che mi sono permesso di riferire. E allora? Allora sappiamo bene che non sempre le migliori intenzioni vengono seguite dai migliori comportamenti, tutt'altro. Sappiamo che casi di privilegi, di sprechi, di ruberie si sono moltiplicati sino a suscitare una profonda indignazione da parte di cittadini e, allora, anziché richiamare il principio dell'ordinamento ad effettuare una sana selezione della classe dirigente - compito dei partiti, nel nostro ordinamento - ebbene, si è lasciato, purtroppo, un po' da parte di tutti, che tutto questo potesse accadere e ancora di più - ed è purtroppo la cronaca di questi ultimi mesi - a livello delle regioni, a livello dei gruppi parlamentari delle regioni, a livello degli amministratori delle regioni, a livello delle scelte di bilancio delle regioni. Quindi, si è preferita la via di un forte richiamo alla responsabilità. In che modo? Accentuando i controlli, con qualche difficoltà, come sappiamo bene. Abbiamo dovuto discutere a lungo in sede di Commissioni riunite I (Affari costituzionali) e V (Bilancio), abbiamo dovuto discuterne molto, perché la Costituzione nel frattempo è cambiata; nel frattempo i controlli sono stati eliminati, nel frattempo si è modificato anche lo stesso ruolo della Corte dei conti, il ruolo del segretario comunale, come ricordava il collega Tassone, così come del segretario provinciale, dell'amministrazione provinciale.
È evidente che tutto questo ha portato quasi all'idea che, senza controllo, tutto fosse possibile. Questa è cattiva amministrazione, è autoreferenzialità, è privilegiare il localismo più becero, il clientelismo più esasperato. E i veri costi della politica sono aumentati per far fronte a queste esigenze, non nell'interesse dei cittadini, ma nell'interesse della stessa classe dirigente. Bastava il richiamo alla Costituzione? Certo, bastava il richiamo alla Costituzione, ma il legislatore, in questo caso, ha voluto privilegiare la risposta all'esigenza che veniva manifestata diffusamente a livello di opinione pubblica nazionale.
E qui si è aperto un altro problema. Ma qual è il confine di competenza tra lo Stato e le regioni? Da quando, nel 2001, è entrato in vigore il nuovo Titolo V della Parte seconda della Costituzione - sono oltre dieci anni che ne discutiamo - si sono posti problemi, perché non è chiaro il confine di competenza, soprattutto, per quell'enorme quantità di materie in legislazione cosiddetta concorrente, dove lo Stato dovrebbe esprimere i principi e le regioni la legislazione di dettaglio. Poi, si è tentato di rimediare un po' con la legge del 14 gennaio 1994: cioè, non poi, ma facendo riferimento a quella legge e, poi - qui correttamente -, all'articolo 7, comma 7, della legge 5 giugno 2003, n. 131. È da lì che siamo partiti: nell'esame del decreto-legge abbiamo voluto reinterpretarlo, per tante parti riscriverlo, dopo aver sentito numerosi docenti di diritto costituzionale, di diritto pubblico, di diritto amministrativo che hanno escluso, hanno tutti escluso, praticamente all'unanimità, che fosse possibile attribuire alla Corte dei conti un controllo preventivo di legittimità sugli atti normativi, così come il decreto-legge avrebbe voluto nella sua prima parte, forse, la più significativa.
Questo non abbiamo potuto farlo, ma abbiamo accentuato, per quanto è stato possibile, il controllo sugli atti di gestione, sugli atti di bilancio, sul rendiconto, su tutto ciò che può essere da base per la lettura quanto più appropriata e precisa possibile di ciò che accade all'interno di un'amministrazione regionale, estendendo questo controllo, in maniera un po' più appropriata rispetto alla stesura originaria del decreto-legge, anche all'interno dei consigli regionali e, addirittura, all'interno dei gruppi parlamentari. Ciò attraverso una procedura che vede, comunque, il presidente della regione protagonista dello scambio di informazioni e, allo stesso tempo, del controllo della sezione regionale Pag. 34della Corte dei conti, perché è lui a raccogliere i dati dal consiglio regionale e dai gruppi parlamentari attraverso l'ufficio di presidenza del consiglio regionale per trasmetterli alla Corte dei conti, così come è sembrato essere certamente più corretto.
Ma c'è un «ma», anzi due «ma». Ma perché non si è accelerata da parte del Governo l'emanazione dei decreti attuativi del decreto legislativo sull'armonizzazione dei bilanci? Io ho il dovere di porre questa domanda. E l'altro «ma»: perché non si è accelerata da parte del Governo l'emanazione dei decreti attuativi del decreto legislativo sui premi e sulle sanzioni? La Commissione bicamerale per l'attuazione del federalismo fiscale, che ho l'onore di presiedere, da oltre un anno ha emanato questi decreti legislativi, come ricorderà bene il collega Nannicini, che fa parte della Commissione.
Ci avevamo provato, anche, a costruire un meccanismo tale da consentire al Governo nazionale, per un verso, ma soprattutto alla Corte dei conti, di effettuare questi controlli. Sentivo il collega Borghesi giustamente accalorarsi sulla proposta della relazione di inizio mandato, ma la relazione di fine mandato ce l'eravamo inventata noi, non c'era neppure quella; eppure, già ora sarebbe estremamente utile se avessero emanato il decreto attuativo della legge delega sul federalismo fiscale relativo alla relazione di fine mandato, in parte all'interno della questione relativa all'armonizzazione dei bilanci e in parte in quella relativa ai premi e alle sanzioni per gli enti locali, perché quello sì, fa da base rispetto alla relazione di inizio mandato. Il riscontro sui fatti, sui dati, o c'è, o non c'è; se non c'è, qualcuno ci racconta una bugia; sulla bugia, sui fatti e sui dati non è difficile trovare la verità. Ciò non si è fatto; e allora, anche se è un rimedio, signor Presidente, anche se non è la scelta che avremmo voluto fare, è la scelta che, alla fine, siamo stati, in qualche modo costretti a fare, ci è sembrato opportuno anticipare il Governo sul decreto attuativo e portare all'interno di questo decreto-legge esattamente quello che è stato possibile; non tutto, ma abbiamo inserito quello che è stato possibile per compatibilità di materia nel decreto-legge con riferimento ai premi e alle sanzioni. Ma sull'armonizzazione dei bilanci poco, niente. Come si fa a leggere due bilanci in parallelo se ogni bilancio è fatto in maniera diversa l'uno dall'altro, un comune dall'altro, una provincia dall'altra, una regione dall'altra? Signor Presidente, sa l'osservazione che ci fecero in Commissione? La voglio riferire perché mi ferì, come ferì tutti gli altri componenti della Commissione; ci dissero: è troppo complesso, è troppo difficile, ci vuole tempo. Ma come, ai cittadini, anche al meno istruito, si impone un modello su cui costruire la propria dichiarazione dei redditi, a tutti i cittadini, commercialisti e non, tributaristi e non, professionisti e non, e a un ente pubblico territoriale non si può chiedere di attrezzarsi per poter corrispondere ad un modello che sia tale da poter essere letto con chiarezza, messo on line, tale da consentire che da parte dei cittadini l'amministrazione di questo comune venga messa a paragone con l'amministrazione di quello accanto, di questa provincia con quella accanto, di questa regione con quell'altra? Ma come: è difficile! Perché è difficile? Purtroppo quella fu la risposta e, allora, mille altre cose bisognerebbe dire su questo decreto-legge, io l'ho preso un po' alla lontana e tutto sommato non me ne pento perché credo che il ragionamento che sto cercando di sviluppare abbia un senso nel mettere a paragone ciò che dovrebbe essere e ciò che siamo stati, in qualche modo, costretti a fare. Non si è voluto affermare - ancora una volta tra lo Stato apparato e lo Stato società, è lì che si crea una frattura - che occorrono solo dei buoni amministratori così come peraltro vorrebbe la nostra Costituzione repubblicana.
È questo un buon disegno di legge? Alla fine poi è questo che interessa sapere ai cittadini. È questo un buon disegno di legge? Sarà una buona legge di conversione del decreto-legge? Voglio rispondere con estrema sincerità perché lo devo ai cittadini e lo devo a chi mi ha mandato qui. No, non è un buon disegno di legge, Pag. 35signor Presidente; ma non ho rimorsi perché, alle condizioni date, è il migliore tra i disegni di legge possibili; dobbiamo avere questa consapevolezza, con molta umiltà. Si sarebbe potuto fare di più? Certo.
Si sarebbe potuto fare di meglio? Assolutamente sì. Siamo soddisfatti del lavoro che abbiamo svolto? Ebbene, non appaia contraddittorio: sì, siamo soddisfatti, e io ho motivo di ringraziare molto i relatori, l'onorevole Ferrari e l'onorevole Moroni, che si sono spesi per poter trovare insieme con il Governo e con alcuni di noi, che ci hanno messo un po' del proprio, cercando di mediare tra mille possibili soluzioni e mille possibili difficoltà, una sintesi di ciò che è il meglio, alle condizioni date. Ancora una volta citerò Winston Churchill, Presidente, grande statista inglese che diceva: «non esistono buone leggi, per la semplice ragione che occorre una maggioranza che le approvi in Parlamento».
E non fa differenza il Parlamento inglese dal Parlamento italiano: siamo tutti alla ricerca di fare qualcosa di più e di meglio per i nostri cittadini. Non sempre ci riusciamo al meglio delle nostre intenzioni, ma certamente ci riusciamo al meglio delle nostre capacità (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cambursano. Ne ha facoltà.

RENATO CAMBURSANO. Signor Presidente, ho seguito con estrema attenzione l'intervento del collega La Loggia e inizierò dalle sue conclusioni, quando lui si interrogava - e lo faccio anch'io - se questo sia un buon provvedimento. La risposta che ha dato mi trova assolutamente d'accordo: è quello che in questo momento questo Parlamento ci consente di approvare e di fare. Ma ha detto anche un'altra cosa, ossia che la differenza che ci troviamo di fronte è quella tra il dover essere e l'essere, tra ciò che dovrebbe essere questo Paese, questa classe dirigente, queste istituzioni e ciò che, invece, si trova ad essere. Io credo che bene ha fatto il Governo a dare la risposta che doveva partire dal Parlamento, dal Paese nelle sue varie sfaccettature di classe dirigente. Un Governo di emergenza come quello attuale ha dato anche su questo fronte una risposta di emergenza. E da che cosa derivava l'emergenza? Dalla situazione di cattiva e buona politica, anche se non si dovrebbe distinguere, come ci ha ancora ricordato La Loggia, perché è la definizione stessa di politica che dovrebbe contenere in sé i germi, senza aggettivazione, di quella che pensa unicamente al bene dei cittadini. Ma così non è! E le situazioni di degenerazione sono andate moltiplicandosi sia a livello locale, a livello regionale, che a livello nazionale, dentro le istituzioni e gli apparati affini e attigui alle istituzioni. Qualcuno citava prima - credo il collega Nicco - la questione oggi emergente di Finmeccanica, che se esploderà, come è presumibile che accada, ovviamente ci dipingerà e ci metterà di fronte un quadro terribile, perché, per come venivano gestite le nomine dentro quel contesto, ossia a prescindere dalle qualità e soltanto in base alle appartenenze, probabilmente ci troveremo a dover affrontare - e mi auguro che il Governo l'affronti prima che non scoppi il caso per davvero - anche quell'emergenza. Oggi abbiamo questa, abbiamo dei livelli istituzionali che hanno fatto abuso di risorse, che hanno fatto un uso distorto e anche fraudolento delle risorse dei gruppi (ma abbiamo anche visto gli apparati della Protezione civile che facevano un uso distorto di ben più ampie risorse pubbliche) oppure delle risorse dei partiti; vi è stato un uso fraudolento di queste risorse. Quindi bene ha fatto il Governo, di fronte ad una esigenza d'urgenza, a rispondere con un decreto-legge.
Ma attenzione, limitatamente - io questo l'ho detto in discussione generale nelle Commissioni riunite - alla questione dei costi della politica, ben venga e benvenuto il decreto!
Lo ripeto: questo è un decreto che va a coprire un vuoto che noi Parlamento avremmo dovuto - in tempi non così emergenziali - affrontare. Peraltro, ad onor del vero, va ricordato che alcuni Pag. 36gruppi parlamentari avevano proposto dei progetti di legge che già andavano in quella direzione.
La parte, invece, relativa ai controlli, che il decreto-legge, così come è uscito dal Consiglio dei ministri il 10 ottobre, affida alla Corte dei conti, avrebbe dovuto essere fatta in un altro modo. Avrebbe dovuto essere usato un altro strumento, non quello dell'urgenza, ma quello del confronto, entrando nel merito più approfonditamente di quanto non abbiamo potuto fare in questi giorni nelle Commissioni e, a maggior ragione, in Aula, se - come pare - verrà posta la questione di fiducia.
Lo strumento da utilizzare era quello di un disegno di legge ordinario. Hanno fatto un grande lavoro le Commissioni riunite e, in particolare, il mio personale ringraziamento va ai due presidenti e ai due relatori. Si è voluto, con questo decreto-legge, affastellare il tutto, in modo anche affrettato, in un unico strumento. Il testo, così come emanato dal Governo - lo ricordava prima il collega Bressa, che lo ha fatto anche in modo egregio ed io sottoscrivo integralmente quanto da lui detto -, poneva dei seri problemi di legittimità costituzionale. Non a caso, la Commissione bicamerale per gli affari regionali nel suo parere ha espresso un diniego rispetto al testo così come era stato emanato.
Non ci sono controlli migliori di altri, togliamocelo pure dalla testa. Anche per quanto riguarda - sarà l'età, evidentemente - la mia esperienza politica e amministrativa, ho vissuto i due momenti: il primo come sindaco di una città di trentamila abitanti, quando ancora esistevano i comitati regionali di controllo, e sappiamo che nella cosiddetta «Prima Repubblica» sono successe le cose che tutti conosciamo. Poi si è pensato bene di cancellare quell'organismo, prevedendo i controlli interni, affidandoli cioè ad una istituzione, il collegio dei revisori dei conti, e anche qui sappiamo che le cose hanno lasciato un segno, alcune volte positivo e altre volte, nelle maglie dei mancati controlli, dei controlli superficiali o anche dei controlli addomesticati (in quanto le nomine dei collegi dei revisori avvengono, sono avvenute e stanno avvenendo per appartenenze politiche), le cose negative si sono ripetute.
Certo, però, non si poteva immaginare, se non con una fantasia un po' troppo spigliata - mi consentirà il rappresentante del Governo qui presente in Aula - che alle carenze strutturali di organico della Corte dei conti si potesse sopperire addirittura coinvolgendo la Guardia di finanza in questi controlli. Ma voi potete immaginare che in un comune di due-tremila abitanti o anche in un comune più grande, da un giorno all'altro, per dei controlli preventivi si presenti la Guardia di finanza, con tutte le conseguenze che ciò può provocare in termini di immagine? Per poi verificare che cosa, in via preventiva, sui controlli di legittimità?
Ecco, allora, che bene hanno fatto le Commissioni, anche su questo fronte, ad intervenire in modo deciso, sopprimendo la parte che riguardava per l'appunto il coinvolgimento della Guardia di finanza.
Allora la domanda che mi pongo e che si sono posti altri colleghi già in quest'Aula, ma ancora prima nelle Commissioni, è esattamente questa: con tutti i nuovi compiti che vengono affidati alla Corte dei conti e con l'organico che la medesima ha, sarà in grado di svolgere queste competenze aggiuntive che le vengono affidate?
Io ho qui in mano, come hanno avuto modo di vedere i colleghi delle Commissioni, una lettera a firma del presidente dell'associazione magistrati della Corte dei conti, datata 31 ottobre, il quale, riferendosi al presidente della Corte dei conti, Luigi Giampaolino, dice che è stata trasmessa una nota in cui il presidente Giampaolino riteneva che la Corte dei conti fosse in grado di adempiere ai nuovi compiti che le sono stati attribuiti dal medesimo decreto-legge con il personale attualmente in servizio, mentre l'associazione dei magistrati, facendo una fotografia esatta di quali sono le risorse umane a disposizione, soprattutto nelle sezioni re Pag. 37gionali, afferma che assolutamente questa disponibilità, questa capacità di rispondere ai nuovi compiti non esiste.
Infatti, il presidente aggiunge che, pur raccogliendo tale sfida e ponendo con dedizione al servizio dell'intera collettività la professionalità e l'impegno dei magistrati, perché tale sfida possa essere vinta, è necessario valutare realisticamente le forze di cui si dispone, al fine di contribuire fattivamente alla realizzazione del disegno a cui mira il provvedimento legislativo. Poi entra nel merito delle quantità numeriche.
La conclusione è che per realizzare le finalità di presidio delle risorse pubbliche, a cui mira il provvedimento legislativo in esame, è necessario - concludeva il presidente dell'associazione - non solo apprestare controlli più efficaci, ma presidiare la giurisdizione di responsabilità perché dal suo depauperamento non si attenui quel messaggio di deterrenza che evita, in alcuni casi, il sopraggiungere di patologie e colpisce in modo esemplare quelle individuate.
Ecco, questa è la situazione in cui si trova in questo momento la Corte dei conti. Quindi, noi scriviamo delle norme, ma sappiamo che molto probabilmente, se non si interverrà anche sull'altro fronte, non riusciremo a dare quegli strumenti a disposizione della Corte medesima per esercitare tutte le funzioni qui previste.
Questo provvedimento in buona sostanza è stato riscritto e, in particolare, è stato soppresso e riscritto totalmente l'articolo 1. Personalmente avevo presentato un emendamento che voleva essere un segnale forte, cioè prevedeva la soppressione per intero dell'articolo, proprio perché c'erano delle incongruenze rispetto alla legittimità costituzionale.
Il testo al nostro esame, quindi, riscritto è difendibile, è quello che in questo momento - come ho detto in apertura - oggi questa Camera mette a disposizione del Paese, soprattutto per mettere a disposizione strumenti nuovi per rafforzare il coordinamento della finanza pubblica. A tale finalità è stata anche affiancata quella di garantire il rispetto dei vincoli finanziari derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea.
Allora, permettetemi di dire anche qui, come ho già detto in una riunione al Senato della Repubblica, in un incontro con gli europarlamentari della Commissione bilancio di quell'istituzione sovranazionale, che ci chiedeva a che punto fosse la nostra legge di riforma della Costituzione per evitare che ci fossero deficit di bilancio, che il nostro Paese, questo Parlamento, con tutti i suoi difetti, era riuscito ad emanare una legge di riforma costituzionale ben prima ed esattamente nei termini voluti, ma successivamente, dalla Commissione europea e dal Parlamento europeo stesso.
Quindi, se si vogliono davvero utilizzare tutte le risorse e le intelligenze che questo Parlamento è in grado di mettere a disposizione, sicuramente riusciamo a fare delle cose positive, così come in questo caso.
La natura dell'intervento normativo rimane quella di adeguare il regime dei controlli già previsti dall'ordinamento, confermando il giudizio di parificazione sui rendiconti regionali già in essere secondo la logica dei controlli di gestione.
La Consulta con varie sentenze ha riconosciuto una posizione di indipendenza e di neutralità alla Corte dei conti. Si tratta di un ruolo complesso di organo posto al servizio dello Stato-comunità e non dello Stato-Governo, quale garante imparziale dell'equilibrio economico-finanziario del settore pubblico, sia esso a livello statale, regionale e locale e, in particolare, della corretta gestione delle risorse collettive sotto il profilo dell'efficacia, dell'efficienza e dell'economicità.
Da qui discende la natura collaborativa del controllo esercitato dalla Corte nei confronti delle autonomie territoriali. Nella nuova formulazione, quindi, dell'articolo 1 risulta soppresso il controllo preventivo di legittimità sugli atti delle regioni, ma viene confermato quello sul rendiconto regionale, che rappresenta una novità assoluta per le regioni ad autonomia speciale. Viene mantenuta la previsione Pag. 38dell'intervento semestrale della Corte dei conti sulla tipologia delle coperture finanziarie adottate dalla legge regionale e sulle tecniche di quantificazione degli oneri, riferendole alle leggi approvate nel semestre precedente, ricalcolando quanto già previsto per la legislazione di spesa statale dall'articolo 17 della nuova legge di contabilità (legge n. 196 del 2009).
Viene introdotto l'esame della Corte sui bilanci preventivi e sui rendiconti consuntivi, con i relativi allegati, delle regioni e degli enti che compongono il Servizio sanitario nazionale, al fine di verificarne il rispetto degli obiettivi annuali posti dal Patto di stabilità interno, l'osservanza del vincolo previsto in materia di indebitamento, l'assenza di irregolarità suscettibili di pregiudicare, anche in prospettiva, gli equilibri economico-finanziari degli enti. La verifica della Corte si estende anche alla partecipazione in società controllate.
Per quanto riguarda i gruppi consiliari delle assemblee regionali, il compito di garantire uniformità di redazione dei rendiconti viene demandato dalla nuova formulazione alla Conferenza permanente per i rapporti Stato-regioni, la quale dovrà approvare le linee guida, che poi saranno oggetto di un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri. È stata, invece, giustamente soppressa la disposizione che estendeva al rendiconto generale dell'assemblea regionale le disposizioni in tema di rendiconti dei gruppi: infatti, una cosa sono i controlli sulla gestione dei gruppi, altra cosa è l'assemblea regionale.
Con l'articolo 1-bis, come ci ricordava il relatore, viene introdotta una modifica alla disciplina sanzionatoria premiale degli enti territoriali. Particolare attenzione, proprio per le cose dette in premessa, è da porre all'articolo 2 relativo alla riduzione dei costi della politica: viene confermata la riduzione del numero dei consiglieri e degli assessori regionali; viene ridotta l'indennità a loro spettante; viene prevista una riduzione dell'assegno di fine mandato e, altresì, anche il divieto di cumulo di indennità ed emolumenti. Viene introdotta l'anagrafe patrimoniale degli amministratori regionali. È prevista la riduzione dei contributi ai gruppi consiliari. A questo proposito, il parametro che viene adottato è quello della regione più virtuosa, ovviamente con l'abbattimento anche rispetto alla regione più virtuosa del 50 per cento del costo. Viene istituito un sistema informativo di finanziamento dei gruppi politici e, infine, viene introdotto un limite ai vitalizi dei consiglieri. Le misure devono essere attuate entro fine anno, salvo per quelle regioni che debbono provvedere a modifiche statutarie.
Con l'articolo 3, invece, viene introdotta l'anagrafe patrimoniale degli amministratori degli enti locali con più di quindicimila abitanti.
Anch'io mi trovo in quest'occasione in linea con quanto detto dal collega Borghesi, cioè che l'anagrafe doveva essere estesa a tutti gli amministratori, a prescindere dall'entità di popolazione dei comuni amministrati, perché anche nei comuni minori si annidano delle malversazioni e dei comportamenti non corretti.
È prevista l'obbligatorietà dei pareri di regolarità tecnica dei responsabili dei servizi. Su questo, forte dell'esperienza - come tanti di noi - di amministratore locale, non vorrei che questa norma, seppur doverosa, così com'è scritta diventasse un ostacolo per rendere operativa l'attività delle amministrazioni locali, cioè che ci fosse una volontà di non assumersi delle responsabilità da parte della struttura perché ne diventerebbero corresponsabili.
Sulla revisione e revoca della responsabilità del servizio finanziario in presenza di gravi motivi e previo parere obbligatorio del collegio dei revisori dei conti, è ben fatto che sia stato sottratto al Ministero dell'interno, d'intesa con il Ministero dell'economia e delle finanze e, più in particolare, con la Ragioneria generale dello Stato. In merito ai controlli interni sono previsti, oltre a quelli di regolarità amministrativa e contabile, anche quelli sugli equilibri finanziari dell'ente e sugli organismi gestionali esterni all'ente stesso, in particolare il controllo sulle società partecipate non quotate.
In merito, invece, ai controlli esterni sulla gestione degli enti locali, viene effettuato Pag. 39un rafforzamento dei poteri già in capo alla Corte dei conti e un controllo da parte della Ragioneria generale dello Stato, che potrà procedere ad effettuare verifiche sulla regolarità della gestione amministrativo-contabile in presenza di specifici indicatori di squilibrio finanziario: in altri termini, la Ragioneria potrà intervenire esclusivamente in quei casi.
Concludo con un'ultima osservazione in merito all'articolo 8, relativo al Patto di stabilità interno: con il comma 3 vengono introdotti due commi aggiuntivi all'articolo 16 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, più comunemente noto come «spending review 2», consentendo ai comuni assoggettati nel 2012 al Patto di stabilità interno l'estinzione anticipata del debito o la riduzione anticipata dello stesso attraverso l'utilizzo delle suddette risorse, tornate nella disponibilità dei comuni medesimi, che vengono a tal fine esclusi dai vincoli del Patto. È buona cosa? Ai comuni non si applica quindi l'indennizzo previsto per l'estinzione anticipata dei prestiti sottoscritti con la Cassa depositi e prestiti, ma permettetemi qui almeno di sollevare un interrogativo, di porre una domanda, se non addirittura di esprimere un dubbio: la Cassa depositi e prestiti è un soggetto privato nell'accezione del diritto societario, soggetto alla vigilanza della Banca d'Italia, quindi una deroga ope legis dei contratti già sottoscritti, valida solo per la Cassa depositi e prestiti e non per altri istituti bancari, è legittima?
La domanda ha una sua risposta negli atti legislativi adottati da questa stessa Camera dei deputati in anni molto ravvicinati, molto vicini a noi, cioè quando furono previsti analoghi provvedimenti circa l'estinzione totale o parziale dei mutui aperti con Cassa depositi e prestiti, ma allora fu previsto altresì un contributo da parte dello Stato per il pagamento degli indennizzi per l'estinzione anticipata.
Io non vorrei che si scivolasse su questo fronte. Lo dico al Governo perché - ho letto gli atti della Commissione di venerdì, alla quale purtroppo non ho potuto partecipare, e un quesito se l'è posto -, oltre che porsi un quesito, sarebbe opportuno che, presumibilmente per la giornata di domani, quando verrà posta - così si sente dire - la questione di fiducia, risolvesse anche questo problema.
Non si può scrivere una norma che poi non può essere attuata o che sollevi delle difficoltà e dei problemi per chi ha provveduto ad estinguere totalmente o parzialmente i mutui con quell'istituto, ossia con la Cassa depositi e prestiti.
Io mi fermo qui, signor Presidente, ed esprimo ancora un'ultima valutazione - questa volta decisamente positiva - sugli interventi che sono previsti in questo decreto-legge a favore dei comuni terremotati nello scorso maggio: bene ha fatto - lo dico pubblicamente perché rimanga agli atti - il collega Marchi nell'aver previsto che le agevolazioni di natura fiscale e i rinvii delle scadenze fiscali, possano trovare da parte del Governo quelle coperture necessarie che non sono di grossa entità. Non possiamo dimenticare quei territori e quelle popolazioni.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Nannicini. Ne ha facoltà.

ROLANDO NANNICINI. Signor Presidente, molti colleghi si sono già soffermati su alcuni aspetti. Io vorrei fare una premessa, signor Presidente e membri della Governo, sulla condizione del nostro Paese. Noi abbiamo la forte esigenza di conoscere di più ciò che abbiamo fatto - e che possiamo fare - e di incidere e di cambiare nel rapporto con l'opinione pubblica e nella funzionalità del nostro Stato.
Porto un esempio: venerdì 26 ottobre 2012 La Stampa, in prima pagina, parlando del decreto n. 174 del 2012, titola: «Costi della politica, no ai tagli», come se il Parlamento avesse lavorato per non tagliare e non riportare ad una migliore disciplina, in base all'articolo 2 del decreto-legge n. 174, il costo degli organi istituzionali e politici. Addirittura, l'articolo parte così: «I partiti smontano la manovra. Stop al decreto del Governo sui tagli ai costi della politica. La Commissione bicamerale - non si sa quale, lo preciso io: si tratta di quella prevista dall'articolo 126 Pag. 40della Costituzione, la Commissione bicamerale sugli affari regionali - manda un segnale all'Esecutivo: le regioni sono autonome, decidono da sole (...)».
Questo dice tutto sull'esigenza di cambiamento perché, se un Parlamento ed un Governo lavorano e trovano strumentalità nell'opinione pubblica e in chi porta il nostro lavoro a conoscenza dell'opinione pubblica, forse il nostro lavoro non trova un clima favorevole e non ha incisività, come io spero di precisare poi meglio anche nel prosieguo dell'intervento.
Si continua. Sabato 3 novembre 2012, il Corriere della Sera, sempre in prima pagina, titola: «il Governo battuto tre volte sui costi della politica». Se andiamo a leggere oltre: «la Lega vince su Equitalia. Il Governo è stato battuto tre volte durante l'esame del decreto-legge sui tagli dei costi della politica. Uno degli stop su un emendamento della Lega che consente da subito ai comuni di cambiare rispetto ad Equitalia».
Se guardiamo gli emendamenti, uno è relativo alla Cassa depositi e prestiti, dove c'è l'estinzione del mutuo, e quindi deve esserci la soluzione, e l'altro, l'emendamento Marchi rammentato dall'intervento Cambursano e dai relatori, verte sul problema del terremoto in Emilia Romagna.
Il cambiamento è necessario nello stile. Noi dobbiamo assumere un atteggiamento di conoscenza dei problemi, rivendicare nell'informazione la conoscenza del problema e risolvere i problemi in una situazione così importante per l'economia mondiale, europea e nazionale. Questo è il «taglio» dell'intervento delle due Commissioni e del Governo. Però anche i rappresentanti del Governo - ma mai il Presidente del Consiglio dei ministri, Mario Monti, che in verità, quando si rivolge a noi italiani e a noi parlamentari, fa un'operazione di verità - non sempre fanno un'operazione di verità.
Cadono ben volentieri in questa lusinga della stampa, in cui il Governo sa fare le sue cose e il Parlamento è fatto dai partiti, aumenta i costi e non lavora per ridurli.
Dunque, vorrei entrare un attimo nel merito del decreto-legge, con molta più attenzione e con un'utopia. Io, che avevo creduto al socialismo in modo utopico, posso chiedere e pensare all'utopia e che nel mio Paese cambi il modo di fare politica e il modo di fare informazione. Quanto sarebbe bello trovare sulla stampa in prima pagina una notizia sul cambiamento e su ciò che si può fare sui controlli di gestione e sui controlli finanziari degli enti locali. E fate attenzione perché si parla di controllo di gestione e perché è così che dice l'articolo 100 della Costituzione. Quanto sarebbe bello che in una prima pagina, in un occhiello di un mio giornale utopico, leggessi, a proposito della Corte dei conti, che «partecipa, nei casi e nelle forme stabilite dalla legge, al controllo sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce (...)» e fornisce i vari contributi. Quanto sarebbe utopico leggere questo. Leggo e sento sempre altro. Me ne dia atto il sottosegretario Polillo, che riconosco per la sua vivacità nell'ascoltare il cellulare ma anche nel presentarsi alle varie trasmissioni televisive in cui prende sempre la fonte ISTAT del conto economico consolidato delle pubbliche amministrazioni, per gli anni dal 1990 al 2011. Si tratta di 21 anni, 21 anni! Tavole di dati diffusi il 24 maggio 2012.
Noi ci siamo sforzati di capire cosa sia successo in questa legislatura e, anche qui, sui conti, perché non troviamo mai, in questa informazione dei giornali, l'utopistica informazione sui conti dello Stato italiano. Nel 2009, in modo complessivo, avevamo una spesa, come risulta nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, di 798 miliardi e 436 milioni, così suddivisa: 298 miliardi e 471 milioni nella previdenza; 255 miliardi e 472 milioni per gli enti locali (e negli locali vi sono anche le università, le camere di commercio, i parchi, nella classificazione ISTAT del bilancio consolidato della pubblica amministrazione); 244 miliardi e 493 milioni dello Stato, nelle funzioni di sicurezza (magistratura, giustizia, temi della scuola ed altri). Quindi, gli enti locali erano la seconda voce.
È chiaro che abbiamo avuto, dal 2009 al 2011, l'implementazione del pagamento Pag. 41del servizio del debito, ed essenzialmente anche la cassa integrazione e gli ammortizzatori sociali. Se vado a vedere il conto consolidato del 2011, vedo che lo Stato è rimasto, nonostante l'inflazione, allo stesso livello di spesa - cioè, non lo Stato ma la pubblica amministrazione, la pubblica amministrazione allargata -, con un ammontare pari a 798 miliardi e 565 milioni. Gli enti locali hanno diminuito la loro capacità di spesa di 13 miliardi e sono a 242 miliardi e 905 milioni. Lo Stato spende 244 miliardi e 726 milioni, cioè è rimasto nello stesso livello del 2009. Non «attacco» lo Stato - dico correttamente lo Stato -, perché ha speso più nel servizio del debito e negli ammortizzatori. Questo lo dimostra il fatto che spesa per la previdenza è passata a 310 miliardi dai 298 del 2009 (gli ammortizzatori e la condizione economica reale).
Questo è il quadro del rapporto della spesa. Sempre nella mia utopia, non del socialismo, sarebbe bene leggere, nella stampa, questi dati, perché i cittadini, conoscendo, comprendono di più.
Comprendono il grave danno che hanno fatto due regioni, la regione Lazio, dove si è diminuita la spesa sociale e si è aumentata la spesa di rappresentanza, dando a quello quel valore, a quegli amministratori quella domanda, e anche la regione Lombardia, in cui un buon assessore si è rafforzato comprando e ricevendo l'aiuto della 'ndrangheta nel suo rapporto elettorale. Ma da qui, arrivare ad estendere questi episodi a tutta l'organizzazione dello Stato, è un grave danno ai servizi dei cittadini, perché si comprimono i trasferimenti, aumentando le difficoltà. Sembra che i comuni spendano solo nella rappresentanza, mentre essi gestiscono servizi: servizi mensa, trasporti, assistenza sociale e servizi sanitari. Su tutto questo incide profondamente l'esigenza di un dibattito per una maggiore conoscenza.
Mi soffermerò solo sull'articolo 1-bis, di modifica del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 149, che avevamo approfondito e che giustamente il presidente della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale, La Loggia, ricordava prima, per comprendere che cosa abbiamo fatto e inteso fare. Prima di tutto do un'informazione, che non rileggo nell'informazione della stampa, che vorrei vedere in quel giornale utopico che io da cittadino e da parlamentare vorrei leggere. In Italia vi è un sistema, il Siope, Sistema informativo sulle operazioni degli enti pubblici, che è un sistema di rilevazione telematica degli incassi e dei pagamenti effettuati dai tesorieri di tutte le amministrazioni pubbliche, che nasce in collaborazione fra la Ragioneria generale dello Stato, la Banca d'Italia - poi ricorderò dei passaggi - e l'ISTAT, in attuazione dell'articolo 28 della legge n. 289 del 2002, che è la legge finanziaria per il 2003, e poi successivamente disciplinato dall'articolo 14, commi 6 e 11, della legge n. 196 del 2009, approvata con un voto unanime di questo ramo del Parlamento e del Senato. Guardate, cito leggi di questo Parlamento e dei Governi senza distinguere, perché qui si dice che abbiamo fatto tutti male; ma anche se si è fatto male, chiedo all'opinione pubblica e alla riflessione generale di tutti noi, di tirar fuori ciò che nel periodo degli ultimi dieci anni, può essere stato fatto bene e che può essere, implementandone la conoscenza, al servizio dei cittadini. Quindi, il Siope che cosa fa? Il Siope ha una disponibilità e dà a tutti modalità di accesso - perché è stato varato un nuovo decreto del Ministro dell'economia e delle finanze il 3 febbraio, con particolare riferimento all'articolo 6 - a cui questi giornali dell'utopia potrebbero ricorrere, chiedendo i dati di tutta la pubblica amministrazione, di ogni singolo comune degli 8100 e di ogni singola provincia delle 106 esistenti, ora giustamente accorpate e trasformate, delle venti regioni, di tutte le amministrazioni pubbliche che sono nell'elenco ISTAT e nel consolidato del bilancio della pubblica amministrazione. Tutto si potrebbe conoscere, anche di quanto è aumentato il codice delle spese di rappresentanza di ogni singolo ente. E lo vogliamo conoscere e lo stiamo facendo. Non si può dire sempre che i controlli finanziari e di gestione sono impossibili. Abbiamo messo Pag. 42in moto un sistema informatico vasto al quale hanno già richiesto accesso - l'ISTAT ce l'ha già - l'IRES, Dexia e Svimez, che per conoscenza di questo già hanno rapporti. Il cambiamento nasce dall'aumento della conoscenza. Le azioni di Governo non si possono fare solo in risposta all'opinione pubblica e basta, ma si devono fare anche con una funzione di Governo e di indirizzo.
Certo, il Senato ha sbagliato, perché non ha differenziato i compiti di Camera e Senato, e non si è proceduto alla riforma vera della riduzione del numero dei parlamentari e alla relativa differenziazione. Stiamo sempre a pensare a quello che succede nella Conferenza Stato-regioni, e quindi anche noi abbiamo bisogno di cambiare, ma ragionando su questo strumento, e non introducendo il controllo, come era nella prima versione del decreto-legge n. 174 del 2012, su singoli atti della pubblica amministrazione.
In merito a premi e sanzioni, dall'articolo 1-bis sono stati levati tutti quegli orpelli che non lo rendevano attuale, perché le relazioni di fine mandato del presidente della provincia e del sindaco dovevano essere scritte con un atto di natura non regolamentare, adottato, di intesa con la Conferenza Stato-regioni, dal Ministro dell'interno di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, entro 90 giorni da settembre.
Capisco il cambiamento tra Governo e Governo, però il Governo in carica non ha fatto questo, non ha fatto l'atto regolamentare che dava la possibilità a tutti gli enti in fase di rinnovo, anche nel 2012, di presentare la relazione di fine mandato. Guardate che la relazione di fine mandato, oltre che un fatto di controllo, è indispensabile, perché chi viene dopo dice sempre che quello che c'era prima ha fatto i debiti e che lui è più bravo di quello c'era prima.
Non è così che si fa politica! Si fa nella conoscenza. L'articolo 1-bis prevede che, quando vi sarà l'atto, si farà come lì è previsto; invece, richiede che la relazione di fine mandato sia fatta come al punto 4, con riferimento specifico a un sistema e agli esiti dei controlli interni, perché, quando uno smette di svolgere un mandato, deve necessariamente elencare il sistema e gli esiti dei propri controlli interni, eventuali rilievi della Corte dei conti, azioni intraprese per il rispetto dei saldi e così via.
Sono indicati fino alla lettera f) i criteri per cui vi sia oggi la relazione di fine mandato. Se il Senato non cambia questo provvedimento, in Gazzetta Ufficiale va l'obbligo che entro 90 giorni dall'indizione delle elezioni vi sia la relazione di fine mandato dei sindaci e dei presidenti della provincia; lo stesso per le regioni.
È altrettanto chiaro che per le regioni vi è anche la sanzione, nel caso non venga presentata la relazione entro 90 giorni, di una riduzione dell'indennità sia del responsabile del sistema finanziario della regione, sia del presidente.
Un altro aspetto è l'articolo 5 del decreto legislativo n. 149 del 2011, novellato e modificato da questo decreto-legge, perché anche in esso vi erano le modalità di attuazione del comma 1. Il Siope e il sistema ispettivo del Ministero dell'economia e delle finanze potevano intervenire, ma ci volevano le modalità indicate con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze.
Abbiamo proposto di sopprimere tale previsione - lo hanno fatto i relatori, con il consenso del Governo - perché si può benissimo già attivare il controllo Siope dal sistema ispettivo del Ministero in merito al ripetuto utilizzo dell'anticipazione di tesoreria, al disequilibrio consolidato della parte corrente del bilancio (quando aumentano le spese e diminuiscono sempre le entrate, mettendo quell'ente in condizioni di difficoltà), ad anomale modalità di gestione dei servizi per conto di terzi.
Abbiamo aggiunto, sempre con l'iniziativa dei relatori, del Governo e delle due Commissioni, anche la rilevazione delle spese, come ricordavo prima, di rappresentanza istituzionale e politica, perché, se vi è un'anomala implementazione di queste spese, parte l'intervento ispettivo, che va alla Corte dei conti e che dovrà trovare l'unita con l'Ispettorato centrale della Ragioneria generale dello Stato. Pag. 43
Spero di aver chiarito che è possibile svolgere funzioni di controllo e di gestione finanziaria anche con lo strumento, moderno, partito dagli elementi della legislazione che ricordavo prima, dal lontano 2001-2002, senza rimpiangere quelle forme, vecchie, di controllo preventivo sui singoli atti, perché è possibile il cambiamento, ma il cambiamento avviene se tutti noi e anche l'opinione pubblica del Paese siamo informati sulle possibilità di intervento.
Io ricordo una lettera del 21 luglio 2001 dell'allora Governatore della Banca d'Italia, Antonio Fazio, che scrive a Tremonti e gli dice: «Signor Ministro, negli ultimi anni l'attuazione del decentramento amministrativo e fiscale ha spostato il baricentro della finanza pubblica verso le regioni, le province ed i comuni». Penso ci sia un po' d'errore, perché i dati che dico io sono equivalenti, escluso la previdenza. Però, al di là di questo, richiedeva e dava disponibilità ad un atto convenzionale perché il Siope funzionasse e si arrivò nel marzo 2003 alla convenzione, con ben sei articoli, tra Banca d'Italia e tesorieri per far funzionare bene il controllo attraverso il Siope e la conoscenza, perché ogni tesoriere del bilancio dello Stato, esclusa la Presidenza della Repubblica, la Camera, il Senato e la Corte costituzionale, ha l'obbligo di mandare incassi e pagamenti al sistema Siope. Il sistema Siope, lo voglio pubblicizzare in questo intervento, perché è anche aperto dal decreto del febbraio 2002 alla conoscenza di studiosi, di enti e di soggetti che vogliono capire realmente come vanno le funzioni dello Stato. Guardate, questo dibattito può sembrare troppo tecnico, ma vi è la sostanza. Noi abbiamo davanti i servizi, i cittadini, che, in tranquillità, anche nelle grandi difficoltà economiche del Paese, possano essere portati avanti.
L'altra novità, prima di chiudere questa legislatura, sarà l'attuazione dell'articolo 81 sul problema dell'indebitamento netto, sul deficit e sul pareggio di bilancio. Anche su questo, sempre nell'informazione di un giornale ideale, sarebbe bene anche dire cos'è il pareggio. È un pareggio strutturale in cui nelle condizioni di crisi come queste non è obbligatorio che sia zero l'indebitamento netto. Noi matematici diciamo intorno allo zero, intorno all'«x zero», con una variabile più o meno di 1,5 di prodotto e di PIL. Quindi, lo dirà anche poi la stessa legge di stabilità che il pareggio 2013 è un pareggio strutturale, ma non nominale, perché anche quando facciamo le norme, discutiamo le norme, sul piano europeo non è che stiamo sempre a dormire, non è che non sappiamo che l'Europa soffre e ha queste difficoltà anche di rilanciare gli investimenti. Quindi, anche su questo attenzione, perché quella legge di attuazione costituzionale dell'articolo 81 modificato dovrà trovare modo diverso di informazione nella stampa dell'utopia, perché non possiamo più sopportare un'attenzione non basata sulla conoscenza e sul cambiamento che dobbiamo fare tutti insieme nel Paese.
L'ultimo appello, mi scusi Presidente. Ho dovuto ritirare un emendamento sulle sanzioni del Patto di stabilità dei comuni, delle province e degli enti locali perché correvamo il rischio di riavere un'altra notizia che il Governo andava in minoranza, però anche su questo attenzione, perché noi stiamo condannando tanti amministratori locali a presentarsi come in dissesto quando non abbiamo il Patto di stabilità serio e coerente rispetto al rapporto sul saldo netto e l'indebitamento netto, competenza e cassa.
E, però, troppo facilmente - dico anche noi in generale - abbiamo pensato che il risanamento dello Stato passi attraverso la flessibilità del bilancio degli enti locali. Infatti è facile intervenire su 8.100 soggetti che sono i comuni, 20 che sono le regioni e 106 che sono le province, perché c'è più flessibilità. E si sono colpite essenzialmente le spese di investimento, quindi si colpiscono alcuni elementi di crescita del nostro Paese.
Spero proprio che con questo dibattito e con la serietà che ho trovato sia nei relatori che negli altri componenti della I Commissione e della V Commissione, vi sia la possibilità di affrontare successivamente, fino alla fine della legislatura, i Pag. 44temi. Però attento, Governo, a non strumentalizzare gli articoli e a far passare che il Governo è serio e che noi siamo dalla parte dei costi, perché questo sarebbe un grave errore e noi troveremmo sempre nel Parlamento il modo di denunciare questo atteggiamento (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Marchi. Ne ha facoltà.

MAINO MARCHI. Signor Presidente, colleghi deputati, rappresentanti del Governo, il decreto-legge al nostro esame tratta di disposizioni urgenti in materia di finanza e funzionamento degli enti territoriali, nonché ulteriori disposizioni in favore delle zone terremotate nel maggio 2012, ma è noto come decreto-legge sui costi della politica nelle regioni e negli enti locali.
Inizierò a valutare il provvedimento così com'è stato approvato dalle Commissioni riunite bilancio e affari costituzionali dall'ultimo articolo, l'articolo 11, che tratta di ulteriori disposizioni relative al sisma che ha colpito l'Emilia (le province di Modena, Ferrara, Bologna e Reggio Emilia) e le province di Mantova e Rovigo. Credo che si possa e si debba partire da un elemento di valutazione. Il Governo ha operato bene nei precedenti provvedimenti, prima quelli immediati di urgenza, poi il decreto-legge specifico - il decreto-legge n. 74 del 2012 - ed in seguito la parte sul terremoto contenuta nel decreto-legge sulla spending review.
Il Governo ha agito bene innanzitutto sulla governance del terremoto, non affidata a supercommissari, ma imperniata sui livelli istituzionali: i presidenti delle tre regioni, i presidenti delle province ed i sindaci. I risultati si sono visti: non ci sono più persone alloggiate nelle tende.
Voglio richiamare l'attenzione sulla priorità che ci siamo dati in Emilia Romagna: la scuola. Dopo il 29 maggio gli studenti di scuole colpite dal sisma in quell'area erano oltre 50 mila. Per loro in Emilia Romagna, per tutti, l'anno scolastico è iniziato sostanzialmente regolarmente, giorno più, giorno meno. In pochi mesi si sono fatti interventi di messa in sicurezza su oltre 200 edifici scolastici. Le scuole nuove, realizzate da agosto, sono state ben 28. Sono scuole belle, funzionali, che dureranno almeno cinquant'anni, fatte a costi contenuti, ovviamente antisismiche e - cosa non ovvia - nel rispetto pieno delle norme antimafia contenute nel decreto-legge sul terremoto.
È la dimostrazione di efficacia e competenza del presidente Errani, dei sindaci, dei presidenti delle province, di tutta la pubblica amministrazione interessata. Lo voglio dire mentre discutiamo di questo decreto sui costi della politica, che è scaturito sull'onda delle malefatte di Fiorito e altri: non c'è solo quella cattiva politica. C'è, in questo Paese, anche la buona politica, la politica utile ed indispensabile, che serve i cittadini, che è al loro servizio, le istituzioni che rispondono ai bisogni, come è avvenuto e sta avvenendo nelle zone terremotate.
Attenzione quindi a non fare di tutte le erbe un fascio. Ovviamente è proprio dalle istituzioni, a partire da quelle nazionali, che deve venire la risposta positiva ai problemi emersi in questi anni.
Ribadisco quindi la positività dei provvedimenti sul terremoto del 20 e 29 maggio. Mi riferisco all'insieme delle norme approvate - a dir la verità non senza problemi, come emerge dal parere della Commissione bilancio sul decreto-legge n. 74 del 2012, come modificato dalla Commissione ambiente e lavori pubblici nell'estate scorsa - norme positive, relative allo stanziamento di risorse, alle modalità di intervento ed in particolare per avviare la ricostruzione in continuità con gli interventi per l'emergenza.
Si è altresì sempre sottolineato - lo abbiamo fatto anche in questa Aula con diversi ordini del giorno - che rimaneva da affrontare in modo adeguato la parte relativa agli aspetti fiscali: la sospensione fino a novembre non era sufficiente. I primi quattro commi dell'articolo 11 del decreto-legge al nostro esame perfezionano ulteriormente i precedenti provvedimenti e gli emendamenti sugli impianti Pag. 45alimentati da fonti rinnovabili, sui tempi per le verifiche di sicurezza, sui comuni ricompresi nel cratere e su quelli cui si applicano le norme per situazioni puntali, sull'utilizzazione delle terre e rocce da scavo, sull'accatastamento dei fabbricati rurali così come quelli interpretativi delle agevolazioni fiscali per la parte di ricostruzione edilizia a carico dei proprietari e quelli sui subappalti. Si tratta di emendamenti, lo sottolineo, spesso di tutti i gruppi parlamentari, approvati dalle Commissioni con il parere favorevole del Governo, che migliorano ancora di più il testo e le norme, già positive, in particolare per quello che riguarda le questioni relative direttamente ai comuni coinvolti, cioè relative alle norme sui comuni e sugli enti locali.
La parte fiscale, invece, è certamente controversa. In linea generale si deve considerare l'elemento di fondo: le tasse e i contributi sospesi in precedenza vanno pagati dai cittadini entro il 16 dicembre. Questo vale per i sostituti di imposta relativamente a tasse e contributi per i loro dipendenti, così come per tutte le aziende e le imprese, anche quelle che abbiano subito danni conseguenti alla riduzione di fatturato per il fatto stesso di operare in quell'area, e vale per i cittadini in generale, pensiamo ad esempio all'IMU. È una cosa devo dire quanto meno discutibile, si badi bene non il fatto che le tasse vengano pagate. Non abbiamo chiesto nessun sconto, né per queste situazioni né per quelle più gravi. È discutibile che si debba pagare tutto e subito, senza alcuna rateizzazione. Il Governo ha detto «no» a proposte che andavano in tal senso. Riteniamo la questione più che meritevole di essere riesaminata a breve, ma abbiamo concentrato l'attenzione su altri aspetti.
Avevamo poi chiesto la revisione degli studi di settore: anche in questo caso il Governo ha detto «no». Non abbiamo insistito perché alla fine il fisco dovrà prendere atto della realtà, ma certamente a chi ha già tante preoccupazioni si poteva evitare di dover dimostrare di avere una riduzione di attività perché c'è stato il terremoto. Vi è poi nel decreto-legge un intervento per la rateizzazione del pagamento e un'ulteriore sospensione fino al 30 giugno 2013, ovviamente non per tutti, giustamente: riguarda le imprese che hanno avuto danni e possono accedere ai contributi per la ricostruzione. Vorrei fosse chiaro il meccanismo: le tasse al 16 dicembre andranno pagate, così come quelle che matureranno dal 1o dicembre 2012 al 30 giugno 2013, ma si potrà accedere a finanziamenti in base a contratti tipo definiti con convenzione tra Cassa depositi e prestiti ed ABI, fino a un massimo complessivo di 6 miliardi. La restituzione della quota capitale dovrà avvenire con tre rate semestrali costanti, posticipate, a decorrere dal 1o luglio 2013, quindi da parte dei contribuenti.
Sostanzialmente, lo Stato si fa carico degli interessi, il cui costo è comunque messo a carico del fondo già precedentemente finanziato per il 2013 e il 2014 con la spending review. In altri termini, con questo decreto, non si stanzia dalla parte fiscale alcuna nuova risorsa. Vorrei che fosse chiaro, anche se ribadisco che il meccanismo individuato è apprezzabile. Credo che sia stata un'operazione ben congegnata.
Fermo restando che una rateizzazione così breve, comunque, non è del tutto soddisfacente, gli emendamenti approvati sono andati in due direzioni: la prima, con l'accordo del Governo, ha chiarito che a questi finanziamenti accedono gli esercenti attività commerciali o agricole. Se non fosse stato così, se ci fosse stata una interpretazione riduttiva di ciò che significa «titolari di reddito d'impresa», ci sarebbe stata una discriminazione incomprensibile. Ma è bene sottolineare questo aspetto e anche che tutto ciò che riguarda gli agricoltori è stato accolto negli emendamenti approvati con il parere favorevole del Governo. Lo dico, perché vedo, ancora oggi, sulla stampa locale, associazioni di categoria che affermano il contrario.
L'altra direzione ha riguardato una parte dei lavoratori dipendenti, quelli proprietari di un immobile che sia la loro abitazione e che sia stato pesantemente danneggiato, in base alle certificazioni già Pag. 46avvenute. Si tratta di un'eventuale onere aggiuntivo, perché questo va fatto a richiesta, in termini di soli interessi, come tutto il meccanismo che ho descritto, in quanto la quota capitale viene restituita dai diretti interessati, riteniamo davvero di poco conto dal punto di vista quantitativo: nei calcoli che abbiamo fatto in proporzione all'insieme del provvedimento, così com'era previsto, non oltre 3 milioni di euro per il 2013 e circa la metà per il 2014. E, comunque, così come impostati il decreto e l'emendamento, anche queste risorse vanno a carico del fondo già finanziato con precedenti provvedimenti.
Quindi, a nostro avviso, non c'è alcuna scopertura, considerato altresì che si è precisato nel testo del decreto-legge, come emendato dalle Commissioni, tra l'altro, che sempre lì, su quel fondo, si attingerà in caso di scostamento tra le previsioni del comma 13 dell'articolo 11 - quelle che riguardano, appunto, la copertura finanziaria - ed eventuali maggiori oneri risultanti dall'attività di monitoraggio. E siccome quel fondo è di 550 milioni di euro nel 2013 e altrettanti nel 2014, riteniamo che, comunque, sia un fondo sufficiente.
Quindi, sono fortemente dispiaciuto di aver dovuto forzare per l'approvazione dell'emendamento in Commissioni riunite, per il parere contrario del Governo, in base agli elementi tecnici a sua disposizione, non per una volontà politica. Ricordo che è stato presentato a prima firma dell'onorevole Ghizzoni e approvato da parte di tutti i gruppi parlamentari. Invito il Governo a valutare questo aspetto, soprattutto dopo che con il disegno di legge di stabilità si è previsto di stabilizzare l'aumento dell'accisa sulla benzina in seguito al terremoto, cosa che darà entrate per circa un miliardo di euro l'anno, pari all'importo del fondo complessivo per il 2013 e il 2014, mentre dal 2015 restano solo le spese di circa 450 milioni annui per alcuni anni per la ricostruzione in base alle modalità di intervento previste dal decreto-legge sulla spending review. E, comunque - ci tengo a ribadirlo -, non era e non è un emendamento elettorale: risponde all'esigenza di farsi carico dei problemi di comunità ferite.
Sul decreto-legge nel suo complesso, alcune valutazioni. È un decreto diviso in due parti: una relativa alle regioni, una per comuni e province. Un dato comune alle due parti è quello sui controlli. Partendo dalla vicenda Lazio sui gruppi consiliari e sulla necessità di intervento immediato, richiesta tra l'altro dagli stessi presidenti delle regioni, il Governo ci ha presentato un insieme di norme, in diversi punti non condivisibili, come è stato sottolineato già da tanti altri interventi, e che sono state cambiate.
Leggendole, mi era venuto in mente che una volta c'era la GPA, la giunta provinciale amministrativa, che faceva un controllo asfissiante delle prefetture sui comuni, sembrava di ritornare, a quel punto, agli anni Sessanta. Faccio alcuni esempi: il controllo preventivo della Corte dei conti sugli atti, la necessità di avere l'autorizzazione del Ministero dell'economia e delle finanze per cambiare il dirigente finanziario di un comune da parte del sindaco, il presidente del collegio dei revisori dei conti dei comuni nominato dalle prefetture e scelto di concerto dal Ministero dell'interno e da quello dell'economia e delle finanze, il possibile uso della Guardia di finanza per i controlli della Corte dei conti sugli enti locali oppure gli indirizzi della Ragioneria generale dello stato ai responsabili dei servizi finanziari degli enti locali. Tutto questo e altri aspetti sono stati profondamente cambiati con norme che, a partire dal controllo di gestione, sono più rispettose dell'autonomia degli enti locali.
L'articolo 2 sulla riduzione dei costi della politica nelle regioni tiene conto, da un lato, dell'impostazione iniziale del Governo che era stata, lo ribadisco, richiesta dai presidenti delle regioni e, dall'altro, dell'accordo tra presidenti delle regioni e presidenti dei consigli regionali condiviso dal Governo, con alcune specificazioni che cercano di evitare situazioni che magari rispondono a logiche più che altro demagogiche, in particolare per il personale dei Pag. 47gruppi consiliari, e anche con ulteriori norme più restrittive, come quella che esclude l'erogazione del vitalizio, nel caso sia già stato maturato il diritto, a chi sia stato condannato in via definitiva per delitti contro la pubblica amministrazione; elemento, quest'ultimo, che è stato inserito nel corso del lavoro delle Commissioni riunite.
La parte finanziaria sugli enti locali non è certo risolutiva della difficile situazione di comuni e province, però ha introdotto dei miglioramenti, in particolare rispetto agli ultimi tagli previsti sempre dal decreto-legge sulla spending review. Sui comuni e sulle province, in questi anni, si sono abbattuti tagli e l'inasprimento del Patto di stabilità interno e, quindi, credo che occorra una forte attenzione da parte del Parlamento; anche perché nello stesso decreto «salva Italia» si diceva che si sarebbe dovuto andare alla revisione del Patto di stabilità interno.
L'emendamento sull'eliminazione delle penalità relative all'estinzione dei mutui, ancorché discutibile sul piano tecnico - lo è certamente, ne siamo consapevoli, per quanto concerne la Cassa depositi e prestiti - pone un problema che comunque credo debba essere affrontato e cioè quello di aiutare le azioni per la riduzione dell'indebitamento degli enti locali da parte dei comuni che intendono agire in tal senso. Anche perché la riduzione dell'indebitamento degli enti locali va a beneficio della finanza pubblica nel suo complesso.
È importante l'emendamento che ribadisce che, dopo il primo anno di applicazione dell'IMU, occorre verificare cosa sia successo e regolare conseguentemente i rapporti tra comuni e Stato centrale; parlo di emendamenti, ma sono tutte questioni che sono state approvate dalle Commissioni e quindi contenute nel testo al nostro esame. Aggiungo anche che gli interventi di tagli di questi anni hanno certamente, se non favorito, comunque determinato condizioni che hanno portato, più che in passato, al dissesto. A volte, questo è dipeso anche da cattive gestioni; riguarda, tuttavia, comuni di tutte le parti d'Italia e con governi di varia natura politica. Anche la Lega ha le sue responsabilità in tal senso; su questo è bene non faccia lezioni di virtuosità né rispetto al provvedimento che oggi abbiamo all'esame, né considerati e visti anche provvedimenti di anni scorsi con la Lega stessa al Governo. Tra l'altro, la soluzione individuata mi pare razionale ed equa per le anticipazioni sia sul piano temporale, tutto il 2012, sia sul piano delle risorse uguali per tutti i comuni e uguali per province e città metropolitane senza distinzioni tra enti paragonabili. In quest'Aula c'è stato anche un dibattito sul ruolo del segretario comunale. Penso che non si possa essere contemporaneamente direttore generale e controllore; soprattutto negli enti maggiori vi deve essere, credo, una distinzione di funzioni.
Penso che dobbiamo considerare gli enti locali non il problema del Paese - spesso appaiono così -, ma invece una risorsa per affrontare e risolvere i problemi del Paese. Il terremoto dell'Emilia è lì a dimostrarlo, ma tanti altri esempi dell'impegno degli amministratori locali vanno in quella direzione. Con il testo approvato dalle Commissioni questo aspetto credo sia complessivamente considerato e quindi credo che il decreto-legge meriti di essere approvato, considerato il contesto complessivo, certamente molto complesso e difficile, in cui lo esaminiamo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ciccanti. Ne ha facoltà.

AMEDEO CICCANTI. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, Pierfrancesco De Robertis, giornalista acuto e preparato, ha scritto recentemente un libro: La casta invisibile delle regioni. Costi, sprechi e privilegi. Questo libro anticipa con raro tempismo lo scandalo della gestione del danaro pubblico ad opera del consigliere Fiorito nella regione Lazio e dei tanti come lui in altre regioni. Quello che colpisce l'opinione pubblica è il meccanismo di sperpero del danaro pubblico ad opera di politici ed amministratori che, in un momento di Pag. 48grave crisi economica e sociale, ben altri comportamenti di rigore morale dovrebbero avere, sia nella vita privata sia in quella pubblica, soprattutto se si rappresenta istituzioni e forze politiche. La moralizzazione della spesa pubblica regionale non è la sola ragione di questo decreto-legge sui controlli della finanza regionale, questo dobbiamo però metterlo in chiaro. Lo scenario più serio da cui muove questo decreto-legge è il contenimento della spesa pubblica nel quadro del nuovo Trattato sul fiscal compact, quindi del nuovo articolo 81 della Costituzione, che impone nel 2014 e dal 1o gennaio 2015 la riduzione del debito pubblico di un ventesimo del PIL ogni anno. Oltre lo Stato, devono concorrere al raggiungimento di questi obiettivi anche le regioni e gli enti locali. La questione morale sul corretto uso del danaro pubblico non è solo un problema delle regioni, ma dell'intera pubblica amministrazione, se è vera la denuncia della Corte dei conti degli ultimi anni che la corruzione pesa sul nostro Paese per circa 60 miliardi di euro l'anno. Sul fenomeno della corruzione ci condannano anche le classifiche internazionali. Non basta quindi la repressione penale su cui si è lavorato in queste settimane, approvando la legge contro la corruzione, ma occorre rafforzare anche i meccanismi di prevenzione, per rendere impraticabile questa piaga sociale. Reprimere i fenomeni delinquenziali che corrodono la pubblica amministrazione nel suo complesso significa restituire efficienza, credibilità e dignità all'apparato pubblico e soprattutto alle tante persone oneste che vi operano. Spendere meglio per spendere meno: è stato il nostro motto per ridurre la spesa pubblica con la sua revisione, la cosiddetta spending review. Si tratta di riportare, quindi, ad un quadro unitario la spesa pubblica, sia quella delle amministrazioni centrali sia quella degli enti territoriali, che rappresentano quasi il 50 per cento degli enti che consumano spesa pubblica. La riforma del Titolo V della Costituzione ha impresso al nostro sistema delle autonomie, così come disegnato dal legislatore costituente nell'articolo 5 della stessa Costituzione, una forte connotazione federalista, soprattutto con gli articoli 114 e 119 della Costituzione, dove all'equiparazione dello Stato con gli enti territoriali segue anche l'autonomia finanziaria di entrata e di spesa. La legge n. 42 del 2009 sul federalismo fiscale ha rafforzato i livelli di autonomia finanziaria e di responsabilità amministrativa in via di principio, ma ha eluso il quadro di riferimento su cui tale autonomia si sarebbe dovuta esprimere, ossia un nuovo assetto di poteri e funzioni di regioni, province e comuni, sicché la gestione delle entrate e della spesa è risultata fine a se stessa, perché è mancato qualsiasi riferimento alle cose da fare da parte di ciascun ente. Ognuno faceva le cose dell'altro e molte volte non si facevano le attività che si dovevano fare. I costi erano alti, la pressione fiscale rimaneva alta e i risultati non si vedevano. Da qui una pubblica amministrazione costosa ed inefficiente.
Con l'abrogazione dell'articolo 125 della Costituzione nel 2001 i controlli sugli atti, sugli organi e sulle attività sono stati cancellati per le regioni e per gli enti locali. Sono rimasti i controlli della Corte dei conti sulla base della legge n. 20 del 1994. Il decreto-legge n. 174 in discussione del Governo ripristina tutti i controlli - compreso quello preventivo e di legittimità - sugli atti, chiamando la Corte dei conti ad esercitarli su un piano di dubbia legittimità costituzionale e comunque non condivisibili sul piano dell'opportunità politica.
Tutti i parlamentari della I Commissione (affari costituzionali) e della V Commissione (bilancio) che hanno esaminato congiuntamente il provvedimento del Governo hanno condiviso questa convinzione ed hanno riscritto i primi tre articoli sui controlli, eliminando il controllo preventivo di legittimità. Abbiamo prima ragionato sull'articolo 117 della Costituzione, laddove si parla di coordinamento della finanza pubblica come competenza esclusiva dello Stato dopo l'approvazione dell'articolo 81 della Costituzione e poi sull'articolo 100 della Costituzione e quindi sul ruolo della Corte dei conti, anche alla Pag. 49luce degli orientamenti della giurisprudenza della Corte costituzionale e soprattutto con l'ultima sentenza n. 198 del 2012.
Ci sono state utili le audizioni che hanno aperto un dibattito altrimenti relegato in altri ambiti extraparlamentari. Il confronto con il mondo accademico ha ricondotto il confronto in un alveo costituzionale, riposizionando i controlli verso la gestione finanziaria. Il ruolo della Corte dei conti, pertanto, è stato mantenuto sugli atti amministrativi limitatamente al rispetto dei vincoli finanziari derivanti dal Patto di stabilità.
È stata cancellata quella parte che estende il controllo anche al diritto europeo e al diritto costituzionale, dal momento che avrebbe significato il controllo a tutto campo su tutti gli atti che discendono dall'ordinamento giuridico generale, dal momento che questo discende da quello costituzionale. Quindi, è stato cancellato il controllo di legittimità, che è la forma più invasiva e acuta di controllo sulle istituzioni amministrative, anche nella considerazione della impraticabilità di tali controlli con l'attuale organico della Corte dei conti che si sarebbe tradotto in un maggiore rallentamento burocratico della nostra pubblica amministrazione.
Come più volte ricordato dalla Corte costituzionale, il controllo della Corte dei conti sul bilancio dello Stato diventa un controllo sul bilancio della Repubblica, dal momento che il bilancio dello Stato contempla il bilancio delle pubbliche amministrazioni così come elencate dall'ISTAT ogni anno, quindi sulle regioni, province e comuni ed altri enti pubblici.
Non solo: le fonti costituzionali, alle quali la Corte costituzionale riconduce il ruolo della Corte dei conti, sono quelle degli articoli 28, 81, 97 e 119, ossia sulla responsabilità dei funzionari pubblici, del pareggio di bilancio, del buon andamento della pubblica amministrazione e del finanziamento degli enti territoriali. Si tratta, quindi, di un controllo - come è stato detto - non sullo Stato-persona, ma sullo Stato-comunità, ossia sulle diverse fonti di spesa pubblica del diversificato sistema delle pubbliche amministrazioni.
Secondo la Consulta, la Corte dei conti è garante dell'equilibrio dell'intero settore pubblico, soprattutto perché è organo indipendente, neutrale e imparziale, capace di agire a tutela degli equilibri di tutta la finanza pubblica, così come ha sentenziato la Corte costituzionale con la sentenza n. 29 del 1995. Quindi, si tratta di controlli in un quadro di leale collaborazione tra Stato e sistema delle autonomie. Non uno Stato che ordina, ma uno Stato che coordina, è stato detto.
L'articolo 1, così come riscritto, non introduce novità sulle funzioni, ma cambia i compiti della Corte dei conti. Con il controllo di gestione si perseguono gli obiettivi di programma in rapporto al concorso degli enti pubblici al rispetto del Patto di stabilità e crescita, definito annualmente in sede europea e sottoposto a verifica nell'ambito del cosiddetto Semestre europeo. Va sottolineato, infatti, che già la Corte dei conti riferisce annualmente al Parlamento e al rispettivo consiglio regionale e poteva formulare in qualsiasi momento osservazioni. Se con l'articolo 1 viene richiesto di farlo ogni sei mesi non si è stravolto alcunché.
Nell'ambito dei controlli mi piace ricordare il comma 5 dell'articolo 1, che introduce la parificazione del rendiconto generale della regione, voluto dal sottoscritto. La parificazione richiesta è diversa da quella dello Stato perché si limita alle osservazioni della Corte dei conti sulla legittimità e regolarità della gestione e propone misure di correzione, indicando gli interventi di riforma, quindi modello parificazione regioni a statuto speciale e rispetto del principio di leale collaborazione.
Un'ultima annotazione di carattere generale sul decreto-legge. È stato eccepito un profilo di incostituzionalità perché interviene su una materia coperta in parte da una legge rafforzata in ragione del nuovo articolo 81 della Costituzione. Sul punto va osservato che gli effetti di tale norma costituzionale decorrono dal 2014 e quindi i rilievi sono privi di fondamento. Pag. 50Sta di fatto che la riscrittura dell'articolo 1 riporta nell'alveo della Costituzione i controlli, così come è stato sottolineato da altri colleghi che mi hanno preceduto.
Qualche perplessità desta l'articolo 2, laddove il comma 1 limita il trasferimento dell'80 per cento delle risorse dallo Stato alle regioni in relazione ad una serie di adempimenti di carattere legislativo, amministrativo e finanziario, concernente il contenimento della spesa pubblica, con particolare riguardo ai costi della politica. È stato fatto osservare che i trasferimenti a cui si fa riferimento sono conseguenti a funzioni attribuite dallo Stato alle regioni, quindi le regioni hanno un originario diritto al finanziamento, così come avviene per le quote di tributi territoriali derivanti dalle compartecipazioni. La regola «ti pago se ti conformi» è un modello già applicato alla sanità, e perciò viene ripreso ed allargato, ma questa formula dilata il potere sostitutivo del Governo oltre la tassatività prevista dall'articolo 120 della Costituzione, il quale prevede la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, quindi la sanità ma non i costi della politica.
Sul punto il Governo ha migliori strumenti di intervento infatti, soprattutto di moral suasion, come quello previsto dall'articolo 126, che è il potere di scioglimento per le ripetute, gravi violazioni di legge. Questa minaccia di per sé basta. Sta di fatto che sul punto le stesse Commissioni congiunte hanno ulteriormente dilatato i poteri sanzionatori con l'ulteriore riduzione dei trasferimenti pari all'importo complessivo delle indennità dei consiglieri regionali in caso di inadempienza, sorvolando sulla circostanza che la norma ricade sui cittadini ovvero sui consiglieri di opposizione che non hanno alcuna colpa.
Mi si consenta, pertanto, questo rilievo critico.
Come notazione politica voglio sottolineare il rafforzamento dei controlli interni attraverso l'adeguamento alle linee guida concordate con la Corte dei conti. Si tratta dell'affinamento di metodologie di controllo che servono a definire meglio i parametri di sensibilità degli equilibri di bilancio, affinché si prevengano situazioni patologiche.
Alla pari e con la stessa simmetria sono stati rafforzati i controlli sugli enti locali. È stato detto che è mancata la distinzione tra enti virtuosi ed enti inefficienti, ma l'innesto di tutta la normativa premiale e sanzionatoria del decreto legislativo n. 149 del 2011, di attuazione del federalismo fiscale, ha di fatto recuperato questa debolezza del testo governativo. Allo stesso modo, la procedura di rientro degli enti in pre-dissesto secondo la logica della legge fallimentare prevista in sede civilistica recupera a favore della continuità dei servizi pubblici erogati da comuni e province l'inefficienza colpevole di alcune gestioni politiche dissennate.
Il passaggio tra inefficienza e virtuosità è stato rafforzato con la responsabilizzazione e la trasparenza della gestione nella durata del mandato del sindaco. La relazione di fine mandato e la due diligence del sindaco entrante mettono a confronto le responsabilità politiche ed amministrative, dal momento che la sottoscrizione della relazione è del sindaco e del responsabile finanziario dell'ente. Finiscono così le polemiche come quelle che abbiamo visto al comune di Milano, quando il sindaco Pisapia ha denunciato un «buco» di 150 milioni, negato senza prove dal precedente sindaco Letizia Moratti.
Certamente la logica della responsabilità si è farfugliata sui commissariamenti delle regioni esposte al dissesto finanziario per la sanità. Personalmente ho salutato con favore la nomina di Enrico Bondi a commissario della sanità laziale, ma l'opzione di fare commissario il presidente della regione che ha procurato il dissesto è rimasta nella norma. Non ci rimane che sperare che venga ignorata. Faccio questa considerazione perché non riesco a capire come l'amministratore locale, cioè il sindaco, debba essere interdetto dalla funzione per causa di dissesto finanziario e il presidente della regione, invece, premiato con l'attribuzione di un commissariamento. Situazioni eguali trattate in modo diseguale costituiscono un'ingiustizia. Pag. 51
Ritengo sia stata fatta una buona norma per risolvere la questione del Fondo per il riequilibrio finanziario pluriennale dei comuni in pre-dissesto. La procedura di riequilibrio guidato con l'intervento della Corte dei conti è garanzia di rigore e buon andamento della gestione finanziaria in un arco di tempo ragionevole, se è quello indicato di dieci anni.
Allo stesso modo, ritengo sia stato fatto un buon lavoro sul Patto di stabilità interno, che rappresenta la questione più controversa nei rapporti tra Governo ed enti locali, soprattutto perché se ne contesta l'impatto negativo sulla crescita.
In tale ottica è stato modificato, come ricordato dalla relatrice Moroni, l'articolo 8 precludendo il taglio di risorse per il 2012 ai comuni superiori a cinquemila abitanti al fine di consentire l'estinzione anticipata dei mutui, con conseguente riduzione dell'indebitamento. In tale contesto, è stata approvata anche una norma con il parere contrario di Governo e relatori che cancella eventuali penalità contrattuali per l'estinzione anticipata di mutui contratti con la Cassa depositi e prestiti.
Ritengo utile, inoltre, la cancellazione sul testo del Governo del divieto per i comuni di procedere alle gare per l'affidamento di attività per la riscossione dei tributi locali a società diverse da Equitalia. Personalmente, ho votato a favore della rimozione del divieto, anche se il gruppo dell'Unione di Centro si è astenuto, in quanto è data facoltà al comune di valutare l'opportunità di servirsi o meno di Equitalia. Non è, quindi, una vittoria della Lega Nord, come è stato enfatizzato dalla stampa, ma una opportuna condivisione di maggiore libertà dei comuni che ha interessato trasversalmente entrambe le Commissioni.
Ritengo utile rivendicare anche per l'Unione di Centro la decisione di coprire, con la garanzia dello Stato, per la durata massima di due anni la richiesta di finanziamenti alle banche per pagare tributi e contributi sospesi. Tale misura è concessa alle imprese aventi diritto all'accesso ai benefici concessi per la ricostruzione a causa dei danni provocati dal terremoto che ha colpito l'Emilia-Romagna. Allo Stato sono caricati inoltre gli interessi sul prestito. Si tratta di una misura di giustizia e di equità, perché benefici ben maggiori erano stati riconosciuti ad altre zone terremotate. Era inaccettabile che i soggetti terremotati dovessero sostenere uno Stato che dichiarava la propria solidarietà e nel momento stesso si accingeva a riscuotere tributi e contributi.
Diverso è il ragionamento sull'emendamento che estende il finanziamento anche dei contributi ai dipendenti delle aziende terremotate, ossia del finanziamento alla cosiddetta «busta pesante». La volontà delle Commissioni è stata chiaramente favorevole a tale soluzione, ma va detto, come peraltro sottolineato dalla relatrice, che tale norma non è né quantificata dal punto di vista finanziario, né pertanto è stata coperta.
Va ricordato che si pone un problema di copertura da parte del Governo ovvero di cancellazione nel caso fosse posta la questione di fiducia su un maxiemendamento, così come oggi ha anticipato il Ministro Giarda in sede di Conferenza dei presidenti di gruppo. La questione è quindi rimasta aperta, forse è la questione politica di questo provvedimento che deve essere valutata in sede anche di legge di stabilità, perché l'onere è di qualche centinaia di milioni di euro.
In conclusione, l'Unione di Centro si ritiene soddisfatta del lavoro svolto e riconosce al Governo un positivo rapporto dialogico da sempre auspicato dal Parlamento, anche nei confronti del precedente Governo, benché non abbia avuto esito.
Voglio anche ringraziare i relatori per la passione che hanno messo nel loro lavoro e per come sono riusciti a rapportarsi con i membri delle Commissioni. Per queste ragioni, riteniamo di esprimere un giudizio complessivo molto favorevole, che sarà meglio espresso in sede di dichiarazione di voto finale.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

Pag. 52

(Repliche dei relatori e del Governo - A.C. 5520-A)

PRESIDENTE. Prendo atto che i relatori ed il rappresentante del Governo rinunziano alla replica.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione del testo unificato dei progetti di legge: Amici ed altri; Mosca e Vaccaro; Lorenzin ed altri; Anna Teresa Formisano e Mondello; d'iniziativa del Governo; Sbrollini: Disposizioni per promuovere il riequilibrio delle rappresentanze di genere nei consigli e nelle giunte degli enti locali e nei consigli regionali. Disposizioni in materia di pari opportunità nella composizione delle commissioni di concorso nelle pubbliche amministrazioni (Approvati, in un testo unificato, dalla Camera e modificato dal Senato) (A.C. 3466-3528-4254-4271-4415-4697-B) (ore 17,20).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del testo unificato dei progetti di legge, approvati, in un testo unificato, dalla Camera e modificato dal Senato: Amici ed altri; Mosca e Vaccaro; Lorenzin ed altri; Anna Teresa Formisano e Mondello; d'iniziativa del Governo; Sbrollini: Disposizioni per promuovere il riequilibrio delle rappresentanze di genere nei consigli e nelle giunte degli enti locali e nei consigli regionali. Disposizioni in materia di pari opportunità nella composizione delle commissioni di concorso nelle pubbliche amministrazioni.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali - A.C. 3466-B ed abbinati)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che la I Commissione (Affari costituzionali) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, onorevole Lorenzin, ha facoltà di svolgere la relazione.

BEATRICE LORENZIN, Relatore. Signor Presidente, onorevoli colleghi, siamo qui per esaminare la norma, come è stata modificata dal Senato, che noi abbiamo già licenziato l'8 maggio 2012, in materia di riequilibrio di genere e negli enti locali.
Le modifiche introdotte dal Senato al testo della Camera sono sostanzialmente due: la prima interviene sull'articolo 1, che novella l'articolo 6 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, per specificare che gli statuti comunali e provinciali stabiliscono norme per garantire, e non semplicemente per promuovere, come nel testo vigente, la presenza di entrambi i sessi, oltre che nelle giunte anche negli organi collegiali del comune e della provincia nonché degli enti, aziende ed istituzioni da essi dipendenti.
La modifica introdotta dal Senato limita la portata del principio ai soli organi collegiali non elettivi. Secondo quanto emerge dal dibattito presso la Commissione affari costituzionali del Senato, la modifica mira ad evitare che la presenza di entrambi i sessi diventi un requisito di regolare costituzione degli organi elettivi, con un condizionamento diretto del risultato elettorale.
Secondo i colleghi del Senato, l'obiettivo del rafforzamento della parità di genere negli organi elettivi e, in particolare, nei consigli comunali e circoscrizionali resta comunque affidato agli strumenti predisposti a tal fine dal provvedimento in esame, ossia le quote di lista e la doppia preferenza di genere.
La seconda modifica riguarda la sanzione, in caso di presentazione alle elezioni comunali di una lista elettorale in cui un genere sia rappresentato in misura superiore a due terzi, in contrasto con le disposizioni del nuovo comma 3-bis introdotto dal provvedimento in esame nell'articolo 71 del testo unico delle leggi sugli enti locali. Pag. 53
Il testo approvato dalla Camera modificava, infatti, gli articoli 30 e 33 del testo unico delle leggi per la composizione e l'elezione degli organi delle amministrazioni comunali, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570, prevedendo che, in caso di mancato rispetto del vincolo dei due terzi, la commissione elettorale dovesse cancellare dalle liste i nomi dei candidati del genere rappresentato oltre i due terzi, iniziando dall'ultimo della lista e che, qualora dopo tale operazione il numero dei candidati rimasti in lista fosse risultato inferiore a quello minimo prescritto, la commissione dovesse ricusare la lista.
Le modifiche apportate al testo dal Senato fanno venire meno la sanzione della ricusazione della lista, ma soltanto per le elezioni nei comuni più piccoli. In sostanza, a seguito delle modifiche del Senato, è previsto che nei comuni più piccoli, in caso di presentazione di una lista che non rispetti il vincolo dei due terzi, ossia il vincolo secondo cui nessun sesso può essere presente in oltre i due terzi della lista, la commissione dovrà cancellare i nomi dei candidati del sesso più rappresentato partendo dal basso, ma dovrà fermarsi quando la lista conterrà il numero minimo di candidati che una lista deve contenere. Se anche a quel punto la lista continuerà a non rispettare la regola dei due terzi, la commissione non potrà comunque ricusarla.
Dal dibattito presso la Commissione affari costituzionali del Senato, si ricava che la modifica è stata suggerita dalla considerazione che, nei comuni più piccoli, è previsto un collegamento necessario tra il candidato a sindaco e una sola lista, con la conseguenza che la ricusazione della lista comporterebbe anche il venir meno della candidatura a sindaco, con possibili implicazioni troppo estese sulla competizione elettorale comunale.
Sul provvedimento non sono previsti pareri di altre Commissioni.
Questa è la relazione tecnica che noi abbiamo presentato all'Aula ed ai colleghi in modo tale da poter aver presenti, in modo puntuale, le modifiche avvenute al Senato. Se il Presidente me lo permette, vorrei dare un giudizio sul lavoro che è stato fatto, perché le modifiche apportate al Senato, di fatto, non fanno venir meno il senso e la portata di questo testo unificato, che è estremamente innovativo e che interviene in un momento particolare della vita civile del nostro Paese e, soprattutto, interviene dopo - come abbiamo già sottolineato in gran parte del dibattito preparatorio a questo provvedimento - un'ampia riforma e ristrutturazione del testo unico degli enti locali e quindi andrà ad incidere sulla possibilità o meno della presenza femminile, che rischiava sinceramente l'estinzione negli enti locali italiani.
Credo che questo sia un provvedimento che, senza introdurre le quote nel senso stretto del termine, permetterà una più ampia partecipazione delle donne alla vita politica, garantendo dei meccanismi effettivamente paritari di accesso, e quindi possibilità di partecipazione alla vita amministrativa del Paese. Soprattutto, esso fa una vera e propria chiamata ai partiti politici, ai movimenti o comunque a chiunque decida di coordinare un'attività spontanea od organizzata sui territori, nel senso di una partecipazione attiva alla vita amministrativa, per non escludere uno dei due generi; in questo caso, ovviamente, al di là delle diciture, si tratta del genere femminile.
Penso che, se vogliamo inquadrare questo provvedimento, che cade in questo momento particolare, nell'ambito del dibattito che abbiamo fatto soltanto fino a pochi minuti fa sulla riorganizzazione dei costi della politica, sul senso stesso dell'organizzazione delle forze politiche sui territori e su come si riformano le istituzioni, esso appare parte integrante di un progetto di rinnovamento e di trasparenza nella partecipazione alla vita pubblica.
Per questo vi è stato un grande lavoro - e lo dico come relatore - fatto, al di là degli schieramenti, sia dalle colleghe e dai colleghi della Camera sia dalle colleghe e dai colleghi al Senato. Quindi, credo che il provvedimento intervenga, in modo importante, non solo a riequilibrare la presenza Pag. 54di genere nelle amministrazioni, ma anche a dare una nuova linfa alla partecipazione attiva alla vita sociale del Paese (Applausi).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

CECILIA GUERRA, Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali. Signor Presidente, intervengo solo per due minuti per confermare quanto già avevo dichiarato in quest'Aula, nelle Commissioni e al Senato, cioè per ribadire l'interesse e il sostegno che il Governo dà a questo provvedimento e l'apprezzamento per il lavoro di mediazione che è stato compiuto sia alla Camera sia al Senato.
Il Governo, ovviamente, si era rimesso all'Assemblea e alle Commissioni per la ricerca delle soluzioni tecniche più idonee ma, sicuramente, l'ispirazione di fondo del provvedimento è stata conservata. Credo, quindi, che sia importante che se ne discuta in Aula e auspico una veloce approvazione del provvedimento.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Pastore. Ne ha facoltà.

MARIA PIERA PASTORE. Signor Presidente, stiamo discutendo di un provvedimento che è già stato approvato dalla Camera l'8 maggio scorso. È stato, poi, modificato dal Senato con due piccoli emendamenti, uno all'articolo 1 e l'altro all'articolo 2, comma 2. Si tratta di emendamenti che, a mio personale parere, non sono così migliorativi del testo.
Circa il provvedimento in generale, che ha lo scopo di promuovere il riequilibrio delle rappresentanze di genere, capiamo l'obiettivo, che è quello di evitare che negli enti locali la politica sia non solo maschilista, ma maschile, nel senso che la rappresentanza del corpo elettorale sia, di fatto, affidata prevalentemente ad un genere. Capiamo, quindi, l'intenzione dei promotori di questo provvedimento, che ricordo essere il risultato di alcune proposte di legge di iniziativa parlamentare e di un disegno di legge dell'allora Ministro per le pari opportunità, Carfagna.
Condividiamo, comunque, la necessità che il fare politica sia declinato anche al femminile, che le caratteristiche di ascolto, empatia e concretezza, che sono attribuite alle donne, trovino spazio nella gestione della cosa pubblica. Sono, poi, personalmente convinta che le donne sappiano portare nella politica e nell'amministrazione un modo diverso di affrontare i temi generali e i problemi quotidiani.
È chiaro che la Lega Nord è favorevole al principio della pari rappresentanza di genere e questo testo, di fatto, è l'esplicitazione di quanto enunciato nell'articolo 51 della nostra Costituzione. Occorre, però, chiedersi se sia necessario procedere con provvedimenti precisi e puntuali, che regolano le singole fattispecie, o se, invece, sia più necessario un cambiamento culturale, un modo di educare il corpo elettorale a votare la rappresentanza femminile.
È chiaro, quindi, che noi crediamo, come già è stato detto, che la valorizzazione della presenza femminile nei luoghi decisionali e nelle istituzioni debba passare attraverso un cambiamento di mentalità. Auspichiamo, comunque, che la politica e la società in generale, al di là di questo provvedimento, sappiano, con altri strumenti, valorizzare la presenza e il ruolo delle donne nella vita politica, sociale ed economica di questo Paese.
Rimaniamo, comunque, del parere già espresso in occasione del primo passaggio del provvedimento in quest'Aula, ma non ci opporremo, chiaramente, all'approvazione di questo provvedimento.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Lo Moro. Ne ha facoltà.

DORIS LO MORO. Signor Presidente, signor sottosegretario, presidente della Commissione, il gruppo del Partito Democratico sostiene fortemente questo provvedimento ed io, che sono stata delegata qui a prendere la parola in sede di discussione sulle linee generali, non voglio minimizzare l'importanza anche di questo luogo e di questo momento, nonostante ci sia stata già la discussione sulle linee generali e ci sia stato anche un voto finale l'8 maggio, Pag. 55come ricordava la relatrice, alla cui relazione mi richiamo, perché sulle parti che lei ha trattato non credo veramente di dovere intervenire per rettificare o precisare alcunché. Ci troviamo però oggi in un momento particolare, e non soltanto per le riforme e i cambiamenti che sono intervenuti nella normativa che riguarda gli enti locali che ha richiamato la relatrice, che pure sono importanti, che per come si presentavano restrittivi rischiavano di mettere fuori le donne dalla vita amministrativa del nostro Paese.
Siamo anche all'indomani del voto della Camera sul provvedimento riguardante l'anticorruzione, che abbiamo votato quasi inseguiti da una popolazione che fortemente ha premuto dal punto di vista del dibattito e della pressione sociale, delle opinioni che sono espresse non soltanto dal corpo sociale in senso lato, non soltanto sui giornali o nelle aule dove si discute di politica. La popolazione ha voluto fortemente quel provvedimento. Ebbene, oggi facciamo un altro passo avanti sullo stesso sentiero, sullo stesso percorso.
Tra le cose che ho rivisto in queste ore, c'è una che mi sembra opportuno richiamare in questa Aula ed è la relazione della Banca d'Italia di quest'anno, che tra le centinaia di pagine in cui si illustra la situazione del Paese ha dedicato dieci pagine - dieci pagine - alle donne e all'apporto delle stesse nella vita economica del Paese, sostenendo - ed è bello ed importante che l'abbia sostenuto la Banca d'Italia e motivatamente - che una presenza maggiore delle donne non solo nel lavoro e nell'imprenditoria, ma specificamente nelle amministrazioni, questo è il termine utilizzato, funzionerebbe come deterrente, anche rispetto a quella battaglia, che è la battaglia delle battaglie della nostra Italia, per come si presenta oggi, che è la battaglia contro la corruzione. Le donne, infatti, anche per il fatto storico che sono rimaste fuori dalle stanze del potere - le donne come massa critica, la massa delle donne, non le singole donne, che magari ci sono arrivate e magari in qualche occasione hanno anche vissuto il potere nella stessa maniera degli uomini, perché la cooptazione produce anche degli effetti culturali, anche per questo, ma io credo che non solo per questo, per attitudini che sono proprie delle donne alla concretezza, ma anche alle buone pratiche - sono rimaste fuori da quella pratica della corruzione, che è una pratica che ha messo in ginocchio l'Italia. Quindi, anche da questo punto di vista, in un percorso culturale e politico che sta portando avanti l'Italia, dobbiamo pensare a questo momento, un momento in cui non si sta rivendicando qualcosa per le donne, ma si sta rivendicando qualcosa e si sta ricostruendo una democrazia unitaria, una rappresentanza unitaria.
Qui non si tratta di un riequilibrio delle rappresentanze, ma di un riequilibrio dei generi nella rappresentanza. La rappresentanza in sé come concetto è una: si rappresenta la popolazione, una popolazione che, tra l'altro, è al 50 e 50 per cento di uomini e donne, anzi con uno spostamento, perché la popolazione dai quindici ai sessantacinque anni è sicuramente - i dati statistici ci consegnano questo dato - soprattutto una popolazione femminile; c'è una maggioranza di donne. Allora questo dato, anche questo statistico, ci dice di una popolazione a maggioranza femminile che poi nei luoghi dove si assumono delle responsabilità, perché il potere è anche un'assunzione di responsabilità, non viene rappresentata adeguatamente dalle donne. È una democrazia, ma è una democrazia incompiuta anche da questo punto di vista, è una democrazia che ha bisogno di un'evoluzione necessaria.
Quindi, anche sotto questo profilo un salto culturale, come si leggeva anche nelle considerazioni della relatrice; non siamo qui per rivendicare maggiore presenza delle donne per le donne, ma per la società, perché siamo convinti - e non siamo solo noi ad essere convinti, ma sono le donne ad essere convinte - che l'apporto femminile sia necessario, ma che sia anche un fatto di responsabilità e anche un fatto di civiltà. Questo principio comincia a prendere piede non soltanto nel dibattito tra le donne siamo poche. Pag. 56
Qualche giornalista potrebbe approfittare di questa occasione per dire che, ancora una volta, la discussione sulle donne avviene ad Aule vuote, ma non è così. Noi sappiamo bene che le discussioni sulle linee generali avvengono così, ma sappiamo quanti dibattiti abbiamo dovuto affrontare nel Paese sulla rappresentanza unitaria, sulla democrazia paritaria e su questa proposta di legge che stiamo discutendo qui questa sera. Quindi, virtualmente, siamo in compagnia di tantissime donne, che premono perché tutto ciò si verifichi, e di tantissimi uomini, che, proprio perché vedono in questa evoluzione normativa un'evoluzione verso un miglioramento della civiltà del nostro Paese, sono, ovviamente, solidali sullo stesso sentiero.
Stavo dicendo che è un tema così pacifico che ormai si comincia a leggere persino nelle sentenze. Non mi riferisco alle sentenze della Corte costituzionale, alle sentenze storiche che ci hanno consentito anche di avere l'avallo della Corte costituzionale su questo sentiero, perché oggi non vi è dubbio che questa sia una legge costituzionalmente sana, non affetta da alcuna illegittimità o alcuna incostituzionalità, anzi, che sia un'applicazione, una giusta applicazione di quelle norme costituzionali che sono state introdotte e sono nella nostra Costituzione, dall'articolo 51 all'articolo 117 della Costituzione, così come rivisti dopo le riforme del 2001 e del 2003.
Ci sono sentenze di merito, del TAR e del Consiglio di Stato, in cui, quando si apre la discussione sulla rappresentanza di genere, su questo tema, non si fa più riferimento soltanto agli articoli 3, 51 e 117 della Costituzione, ma all'articolo 97, che riguarda il buon andamento della pubblica amministrazione, perché - mi piacerebbe leggerle testualmente: le avevo portate, ma le riporto sinteticamente - anche i giudici di merito sostengono che un apporto femminile, la concretezza femminile e una maggiore responsabilizzazione della popolazione femminile non possono che incidere positivamente sul buon andamento dell'amministrazione. Del resto, da questo punto di vista, non si tratta soltanto di affermare dei principi, ma si tratta anche di fare i conti con dati e studi che abbiamo agli atti, che ci dicono che questo sentiero, questo percorso e questa affermazione non sono destituiti di fondamento.
Nella discussione sulle linee generali dell'altra volta una collega, una deputata del PD, richiamava uno studio portato avanti da due donne, due docenti della Bocconi, che hanno analizzato gli effetti della riforma operata dalla legge elettorale del 1993 sull'elezione diretta, che prevedeva la barriera dei due terzi come limite massimo per la presenza di uno dei due generi, maschile o femminile, nelle liste (ma, ovviamente, il riferimento è a quello maschile, perché non si è vista ancora una presenza così massiccia delle donne). Hanno portato avanti, hanno potuto portare avanti questo studio perché, per due anni, quella legge ha avuto i suoi effetti ed è stata applicata; è stata, poi, bocciata dalla Corte costituzionale nel 1995, ma, per due anni, ha prodotto degli effetti e delle elezioni, è stata applicata in alcune elezioni. Ebbene, queste due donne, con la collaborazione di altre due donne, due ricercatrici, una della stessa università, la Bocconi, e una di un'altra università, hanno dimostrato, dati alla mano, che non vi era stata una riduzione della meritocrazia, non si era creata una riserva indiana per gente che non meritava, ma che, anzi, l'apporto delle donne aveva migliorato la qualità degli eletti, il che significa che aveva migliorato la qualità dell'amministrazione e della democrazia.
Allora, la posta in gioco è molto alta. Certo, la domanda che si poneva prima la collega Pastore, se vi sia veramente bisogno di una legge per ottenere tutto questo, è una domanda più che legittima, soprattutto quando si è molto giovani e quando si ha molta fiducia anche nelle capacità innovative della politica. Qualche anno fa, tantissimi anni fa, mi correggo, quando ero ragazza, pensavo che non ci dovesse essere una normativa a garanzia di una democrazia plurale, di una democrazia paritaria, che le donne si sarebbero fatte Pag. 57avanti, quelle donne che vincono i concorsi, che vanno benissimo a scuola, che sono impegnate. Laddove si entra per concorso, sono le prime, sono le più istruite, sono le più concrete, hanno tutte queste qualità, ma sono anche le più disoccupate - i dati e i risvolti negativi della situazione economica del Paese li conosciamo - e, soprattutto, sono le assenti della politica.
Da questo punto di vista vorrei riportare un'affermazione che non è la mia, ma di una donna importante in Europa, la Commissaria per la giustizia - che ho conosciuto quando ho rappresentato la Commissione affari costituzionali a Bruxelles recentemente, il 3 ottobre - la quale alla domanda «Serve una legge?» ha dato una risposta: serve una legge se non ci vogliamo mettere quarant'anni per ottenere qualche cambiamento. Infatti, nel nostro Paese il punto non è che non vi sia il percorso, il percorso c'è e si va avanti su quello stesso percorso, ma se la modifica dell'articolo 51 della Costituzione è del 2003, quella dell'articolo 117 è del 2001 e le sentenze sono ormai storiche, ci troviamo, a distanza di tanti anni, nel 2012, a discutere ancora se vi sia bisogno di una legge.
Se dobbiamo dare una risposta seria a questa domanda, dobbiamo guardare qual è la realtà, guardare nelle amministrazioni pubbliche e vedere quante donne sindaco ci sono, quante amministratrici ci sono, per scoprire che sono le più coraggiose delle volte, delle volte sono le più capaci, o, comunque, sono capaci, perché poi quando si è così poche ci si deve fare avanti per forza. Ma sono pochissime, nelle amministrazioni non si raggiunge il 15 per cento delle presenze. D'altra parte, nel Parlamento, dove vi sono state sicuramente delle novità, vi sono state tante donne, si è all'incirca intorno al 20 per cento. Nello stesso Governo vi sono donne sicuramente di qualità, ma vi sono poche Ministre e vi sono poche sottosegretarie.
Quindi, abbiamo bisogno di una democrazia in cui sia valorizzato l'apporto degli uomini e delle donne. Da questo punto di vista vogliamo incoraggiare questo percorso con leggi che incidano positivamente. Quando a Bruxelles ho potuto riferire sulla legislazione italiana ho dovuto parlare della legge che ha introdotto le quote nei consigli di amministrazione e scoprire, nel confronto con gli altri Parlamenti presenti, che l'Italia è stata tra i pochi Paesi ad applicare questa normativa e che la Commissaria anche oggi, in queste ore, ha avuto difficoltà ad introdurre questo principio, soprattutto in luoghi dove il potere è quello che si esercita non soltanto rispetto a singole nazioni, ma in un contesto anche sovranazionale ed internazionale. Quindi, siamo davanti ad una necessità.
È sufficiente questa normativa? È una normativa che capovolge e rivoluziona tutto? No, non è assolutamente così. Noi non pensiamo che sia rivoluzionaria, pensiamo che sia un passo avanti, ma pensiamo anche che sia sbagliato per la politica sottovalutarla, perché l'applicazione di questo provvedimento produrrà qualcosa di importante, ossia la creazione dal basso di nuove classi dirigenti. Non si potrà più procedere nel tempo, con l'applicazione massiccia del provvedimento in oggetto, a cooptazione, a nomine, a scelte delle donne da parte degli uomini, come si è verificato in gran parte fino a questo momento, perché quando vi sono tante donne che si impegnano in politica, poi, non è detto che debbano essere loro stesse ad impegnarsi in altri luoghi della politica, ma non vi è dubbio che l'effetto che si produce - questo lo dico soprattutto da donna che ha fatto il sindaco in una importante città del Meridione d'Italia - è che si moltiplica la voglia di fare politica nelle altre donne. Quindi, più donne nelle amministrazioni significa anche questo.
Il provvedimento, poi, ha i suoi limiti. Come sa bene la relatrice - che è stata straordinaria nella sua capacità di arrivare ad una sintesi, che è necessariamente una mediazione della quale possiamo comunque essere assolutamente soddisfatti - avremmo voluto avere una normativa più stringente rispetto agli Esecutivi, avremmo voluto fare passi avanti maggiori, non abbiamo neanche troppo gradito le norme Pag. 58introdotte dal Senato, ma tant'è. Oggi non si tratta di stabilire con un bilancino se andrà meglio la norma precedente o quella di adesso, si tratta invece di dire, partendo dalla Camera dei deputati, che questa Camera - questo però è un mio giudizio personale - in questi anni non si è distinta particolarmente né per laboriosità, né, soprattutto, per proposte. Abbiamo approvato pochissime proposte di provenienza parlamentare, certamente costretti da tutta una serie di cose che non è il caso di richiamare, però delle norme le ha introdotte e oggi, con il provvedimento in esame, concludiamo un iter che avrà degli effetti importanti. Abbiamo già votato la legge sui consigli di amministrazione, abbiamo votato una norma introdotta con un emendamento nostro nel provvedimento relativo ai finanziamenti pubblici dei partiti che indirettamente incide anche sulle liste, perché introduce delle penalizzazioni per i partiti che non rispettano il limite dei due terzi per la partecipazione alle liste di uno dei due generi.
Quindi, c'è una tendenza positiva. Abbiamo, del resto, approvato la legge sullo stalking e concludo proprio con questo perché non la voglio fare lunga.

PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Lo Moro.

DORIS LO MORO. Tutte queste cose sono legate e dico questo perché in conclusione vi racconto - e concludo - quello che è successo. Mi è successo in un dibattito proprio l'altra sera. Discutevamo di un caso di femminicidio - voglio chiamarlo così - della morte di una ragazza uccisa dalla persona che considerava il fidanzato, ex fidanzato. Ebbene, nel suo intervento, un criminologo che tutti noi conosciamo, Franco Bruno, mentre sosteneva che sono soprattutto gli uomini ad essere violenti, ha concluso dicendo: per tanti anni sono stato contrario alle quote rosa. Qui, con le quote rosa queste norme antidiscriminazione non c'entrano, ma riporto il pensiero di un altro. Per tanti anni - dice un criminologo - sono stato contro le quote rosa, ma a guardare che la società cambia così a rilento ed a guardare quanto è violenta, quanto il potere è violenza, allora io dico: più donne, magari con le quote, ma qualcuno intervenga, il Parlamento intervenga per fare in modo che ci siano più donne nella politica e nelle amministrazioni, perché se le donne non sono dove si condizionano la cultura di un Paese, la democrazia di un Paese, la civiltà di un Paese a rimetterci non sono le donne, ma l'intero Paese (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Borghesi. Ne ha facoltà.

ANTONIO BORGHESI. Signor Presidente, mi spiace un po' che a parlare di questo tema siano state soltanto delle donne, sia in veste di relatore che in veste di intervenute, perché io penso che in realtà dovrebbero essere gli uomini, che in qualche modo devono considerarsi sul banco degli imputati, perché il vero colpevole di questa situazione nel nostro Paese credo sia una maschilismo imperante e che non ha ceduto mai di un millimetro su questo tema.
Il provvedimento ci riporta anche un po' ad una discussione sulla questione «quote rosa sì, quote rosa no». Mi fa venire in mente che nel 1995, quindi diciassette anni fa, da presidente di provincia nell'insediare credo una delle prime commissioni, come si chiamavano allora, pari opportunità in un ente locale, mi sentivo contrario alle quote rosa, perché ritenevo che fossero uno strumento sbagliato per favorire la presenza delle donne in politica, ritenendo che in realtà il problema fosse un salto culturale che il nostro Paese ancora non aveva fatto.
Diciassette anni dopo dico che forse questa è l'unica strada per raggiungere l'obiettivo, che dovrebbe essere quello che vede le donne in politica avere una presenza esattamente pari alla loro presenza nella società e nella popolazione, quindi addirittura più degli uomini. Lo dico anche perché le evidenze sono che nei Paesi Pag. 59che hanno davvero realizzato il principio di parità non esiste una legge che imponga obblighi di questo tipo. Non esiste in Finlandia, non esiste in Svezia, che sono non a caso i Paesi dove le donne elette sono in numero più elevato che da tutte le altre parti.
Allora, credo che sia necessario un intervento attraverso forme di legge che obblighino, in Italia. Perché siamo più indietro? Non lo so, perché addirittura siamo più indietro di Paesi come la Spagna, che vedono in Parlamento, ad esempio, una presenza che mi pare superiore al 35 per cento, mentre nel nostro Paese siamo attorno al 20 per cento. Credo profondamente che sia un fatto essenzialmente culturale e credo che in qualche modo anche un malinteso, forse, senso di religione abbia troppo spesso relegato la donna al ruolo di madre, al ruolo di moglie - già di compagna un po' meno, ma sicuramente al ruolo di madre e di moglie sì - mentre invece credo che quella iconografia, quel modo di rappresentare la donna forse non ha giovato molto al fatto che vi fosse una reale modifica di questo modello culturale.
Il nostro Paese, lo ripeto, è un Paese fortemente maschilista, dove il genere maschile da solo e di per sé e per un fatto culturale non rinuncia ad un millimetro del potere che ha conquistato ed è un peccato, perché credo che le donne oggi abbiano, come dire, delle capacità, per le esperienze che ho fatto io, largamente superiori a quelle dell'uomo, perché, a differenza dell'uomo che spesso indulge nel filosofeggiare, le donne spesso, proprio per il ruolo che rivestono in famiglia, sono dotate del problem solving, della capacità di affrontare e risolvere problemi con concretezza e quindi prevedibilmente darebbero un contributo sicuramente superiore a quello che danno gli uomini. Devo anche dire, per la mia esperienza di professore universitario che dura da circa quarant'anni in una facoltà che vede al 50 per cento la presenza di genere maschile e femminile, che nelle migliaia di esami che ho fatto in questo periodo, ho trovato francamente che le donne siano più capaci anche nella preparazione. Non a caso, all'università, dei miei primi cinque collaboratori quattro sono donne e solo uno è uomo.
Credo quindi che vi sia realmente bisogno di una maggiore presenza delle donne e se non vi è altro strumento per togliere un po' di potere al genere maschile che il ricorrere a quote rosa o alla legge, allora ben venga la legge (anche se certamente non sarà questa a risolvere il problema); ben venga una legge che aiuti a mettere in moto un meccanismo che, successivamente, potrebbe autoalimentarsi per favorire davvero il raggiungimento di quella parità che è nei fatti e che, invece, purtroppo, da noi è ancora lontana dall'essere raggiunta.

PRESIDENTE. Constato l'assenza degli onorevoli Rampelli e Ciccanti che erano iscritti a parlare: si intende che vi abbiano rinunziato.
Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 3466-B ed abbinati)

PRESIDENTE. Prendo atto che la relatrice e il rappresentante del Governo rinunziano alla replica.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Martedì 6 novembre 2012, alle 15:

1. - Seguito della discussione del disegno di legge:
Conversione in legge del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174, recante disposizioni Pag. 60urgenti in materia di finanza e funzionamento degli enti territoriali, nonché ulteriori disposizioni in favore delle zone terremotate nel maggio 2012 (C. 5520-A).
- Relatori: Ferrari, per la I Commissione; Moroni, per la V Commissione.

2. - Seguito della discussione del testo unificato dei progetti di legge:
AMICI ed altri; MOSCA e VACCARO; LORENZIN ed altri; ANNA TERESA FORMISANO e MONDELLO; D'INIZIATIVA DEL GOVERNO; SBROLLINI: Disposizioni per promuovere il riequilibrio delle rappresentanze di genere nei consigli e nelle giunte degli enti locali e nei consigli regionali. Disposizioni in materia di pari opportunità nella composizione delle commissioni di concorso nelle pubbliche amministrazioni (Approvati, in un testo unificato, dalla Camera e modificato dal Senato) (C. 3466-3528-4254-4271-4415-4697-B).
- Relatore: Lorenzin.

3. - Seguito della discussione del disegno di legge (previo esame e votazione della questione pregiudiziale di costituzionalità e della questione pregiudiziale di merito presentate):
Delega al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili (Testo risultante dallo stralcio dell'articolo 2 del disegno di legge n. 5019, deliberato dall'Assemblea il 9 ottobre 2012) (C. 5019-bis-A).
e degli abbinati progetti di legge: PECORELLA ed altri; BERNARDINI ed altri; VITALI e CARLUCCI; D'INIZIATIVA DEL GOVERNO; FERRANTI ed altri; FERRANTI ed altri (C. 879-2798-3009-3291-ter-4824-5330).
- Relatori: Costa e Ferranti, per la maggioranza; Nicola Molteni, di minoranza.

4. - Seguito della discussione delle mozioni Dozzo ed altri n. 1-01146, Misiti ed altri n. 1-01158, Aniello Formisano ed altri n. 1-01159, Ossorio ed altri n. 1-01162, Fitto ed altri n. 1-01164, Boccia ed altri n. 1-01165 e Iannaccone ed altri n. 1-01167 concernenti criteri di riparto delle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione.

La seduta termina alle 17,55.

TESTO INTEGRALE DELLA RELAZIONE DEL DEPUTATO PIERANGELO FERRARI IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE N. 5520-A

PIERANGELO FERRARI, Relatore per la I Commissione. Onorevoli colleghi, come relatore per la I Commissione mi soffermerò sugli articoli 1, 2 e 3 - ad eccezione delle lettere p), q) ed r) del comma 1 e del comma 5 dell'articolo 3 - nonché sugli articoli 6, 7, 10 e 11-bis, mentre sugli altri articoli riferirà la collega Moroni, come relatore per la V Commissione.
Ricordo preliminarmente che le Commissioni riunite I e V hanno esaminato il provvedimento, in sede referente, nelle sedute del 16, 17, 18, 23, 30, e 31 ottobre nonché nell'intera giornata del 2 novembre, data in cui è stato conferito il mandato ai relatori a riferire in senso favorevole all'Assemblea, sul testo risultante dalle modifiche approvate.
Nel corso dell'esame, vista la complessità e l'ampiezza della materia affrontata dal decreto-legge in esame, le Commissioni hanno deliberato una indagine conoscitiva così da poter svolgere una serie di audizioni sui temi oggetto del provvedimento.
In particolare, nelle sedute del 16, 17, 18 e 23 ottobre 2012, sono state svolte le audizioni, rispettivamente, del Presidente della Corte dei conti, di rappresentanti dell'UPI, dell'ANCI, della Conferenza dei presidenti delle assemblee legislative regionali nonché di docenti universitari esperti della materia. Le audizioni hanno consentito di acquisire preziosi elementi Pag. 61per l'elaborazione di proposte emendative finalizzate ad una formulazione del testo che rispondesse ad un maggiore equilibrio costituzionale.
Ricordo poi che sul testo del decreto-legge sono stati acquisiti la valutazione favorevole con condizioni e osservazioni del Comitato per la legislazione, i pareri favorevoli della X (Attività produttive) e della XIV (Politiche dell'Unione europea) Commissione, i pareri favorevoli con osservazioni della VI (Finanze) e della XI (Lavoro) Commissione, i pareri favorevoli con condizioni e osservazioni della II (Giustizia), VII (Cultura), VIII (Ambiente) e IX (Trasporti) Commissione, il parere favorevole con condizione della XII Commissione (Affari sociali), e il parere contrario della Commissione parlamentare per le questioni regionali.
L'articolo 1 prevede controlli della Corte dei conti nei confronti delle regioni. L'articolo è stato sostanzialmente riscritto dalle Commissioni di merito. Mentre la disciplina originaria attribuiva alla Corte dei conti compiti di controllo sia preventivo sia successivo su atti delle regioni, nella riscrittura operata dalle Commissioni di merito prevale il rafforzamento delle forme di controllo sulla gestione. In particolare, è stato soppresso il controllo preventivo di legittimità sugli atti delle regioni. È stata invece conservata la previsione dell'intervento semestrale della Corte dei conti sulla tipologia delle coperture finanziarie adottate nelle leggi regionali e sulle tecniche di quantificazione degli oneri nelle leggi approvate nel semestre precedente.
È stato introdotto un esame della Corte dei conti sui bilanci preventivi e sui rendiconti consuntivi delle regioni e degli enti che compongono il Servizio sanitario nazionale. Tali atti sono trasmessi alle competenti sezioni regionali di controllo della Corte dei conti dai presidenti delle regioni con propria relazione. In particolare, le Sezioni competenti accertano che i rendiconti delle regioni tengano conto anche delle partecipazioni in società controllate e alle quali è affidata la gestione di servizi pubblici per la collettività regionale e di servizi strumentali alla regione, nonché dei risultati definitivi della gestione degli enti del Servizio sanitario nazionale.
Qualora le competenti Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti accertino squilibri economico-finanziari, mancata copertura di spese, violazione di norme finalizzate a garantire la regolarità della gestione finanziaria, o mancato rispetto degli obiettivi posti con il patto di stabilità interno emettono pronuncia di accertamento dalla quale discendono precisi obblighi in capo alle amministrazioni cui l'accertamento si riferisce.
Si prevede poi la trasmissione, ogni dodici mesi, alla sezione regionale di controllo della Corte dei conti, di una relazione del presidente della regione sul sistema dei controlli interni.
Quanto al Rendiconto generale della Regione, si prevede che esso sia parificato dalla sezione regionale di controllo della Corte dei conti con le forme della parifica del bilancio dello Stato. Alla decisione di parifica è allegata una relazione nella quale la Corte formula le sue osservazioni in merito alla legittimità ed alla regolarità della gestione e propone le misure di correzione e gli interventi di riforma che ritiene necessari al fine, in particolare, di assicurare l'equilibrio del bilancio e di migliorare l'efficacia e l'efficienza della spesa. La decisione di parifica e la relazione sono trasmesse al Presidente della Giunta regionale e al Consiglio regionale.
Quanto ai gruppi consiliari delle assemblee regionali, le modifiche introdotte al testo del decreto in sede referente attribuiscono alla Conferenza Stato-regioni, anziché alla Corte dei conti, il compito di definire le linee guida per la redazione dei rendiconti dei gruppi consiliari, al fine di garantire l'uniformità di redazione. Le modifiche al testo tendono inoltre a stabilire una procedimentalizzazione della trasmissione del rendiconto alla Corte dei conti, che prevede, oltre ad un termine più ampio entro il quale l'atto deve pervenire alle competenti sezioni regionali (sessanta giorni dalla chiusura dell'esercizio anziché venti) e le sezioni si devono pronunciare (sessanta giorni dal Pag. 62ricevimento anziché venti), anche un raccordo ai fini della trasmissione che valorizza il rapporto tra il gruppo consiliare, il presidente del consiglio regionale e il presidente della regione. Infine, le modifiche prevedono la trasparenza dei dati contabili attraverso la pubblicazione del rendiconto, non solo in allegato al conto consuntivo del consiglio regionale, ma anche sul sito istituzionale della regione. Se la Corte dei conti riscontra che il rendiconto di esercizio del gruppo consiliare o la documentazione trasmessa a corredo dello stesso non è conforme alle prescrizioni, trasmette alla regione una comunicazione fissando un termine per l'adeguamento da parte del gruppo non superiore a trenta giorni. La comunicazione sospende la decorrenza del termine per la pronuncia della sezione. Nel caso in cui il gruppo non provveda alla regolarizzazione entro il termine fissato, decade, per l'anno in corso, dal diritto all'erogazione di risorse da parte del consiglio regionale. La decadenza comporta l'obbligo di restituire le somme ricevute a carico del bilancio del consiglio regionale e non rendicontate. Tali effetti conseguono anche alla mancata trasmissione in termini del rendiconto. È stata soppressa la disposizione di cui al comma 15 che estendeva al rendiconto generale delle Assemblee regionali le disposizioni in tema di rendiconti dei gruppi consiliari.
Si prevede che le autonomie speciali adeguino i rispettivi ordinamenti alla disciplina in esame, entro un anno, anziché sei mesi come previsto dal decreto. Infine, si prevede che all'attuazione delle disposizioni di cui a questo articolo 2 si provveda con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
L'articolo 1-bis, introdotto dalle Commissioni, prevede modifiche alla disciplina sanzionatoria e premiale degli enti territoriali di cui al decreto legislativo n. 149 del 2011, con riguardo in particolare alla relazione di fine legislatura prevista dal medesimo decreto per le regioni e gli enti locali, per la quale si prevede la trasmissione anche alla Corte dei conti; vengono inoltre estese anche alle autonomie speciali, in presenza di specifici presupposti, le verifiche di regolarità amministrativo-contabile previste nel medesimo decreto legislativo ed, infine, si introduce per gli enti locali la relazione di inizio mandato. In particolare, si prevede che la relazione di fine legislatura è redatta dal servizio bilancio e finanze della Regione e dall'organo di vertice dell'amministrazione regionale; l'attività affidata al Tavolo tecnico interistituzionale - tra cui, principalmente, la predisposizione del rapporto sulla regolarità ed attendibilità finanziaria di quanto riportato nella relazione - si svolge solo qualora tale Tavolo risulti effettivamente insediato; la relazione di fine legislatura è trasmessa entro dieci giorni dalla sottoscrizione del Presidente della Giunta alla Sezione regionale di controllo della Corte dei conti, le cui valutazioni sono comunicate entro i successivi trenta giorni al Presidente medesimo, e pubblicate entro il giorno successivo nel sito istituzionale della regione; in caso di mancata adozione, da parte del Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale, dello schema tipo previsto dal comma 5 dell'articolo 1 per la redazione della relazione di fine legislatura, il Presidente della Giunta regionale è comunque tenuto a predisporre la relazione di fine legislatura, sulla base dei contenuti della stessa esposti nel decreto legislativo n. 149 del 2011; qualora il Presidente della Giunta non proceda alla pubblicazione della relazione sul sito istituzionale, l'importo dell'indennità di mandato è ridotto della metà, con riferimento alle successive tre mensilità, ed in termini analoghi si riducono gli emolumenti del responsabile del servizio bilancio e finanze della regione e dell'organo di vertice dell'amministrazione regionale, qualora non abbiano predisposto la relazione, fermo restando comunque l'obbligo da parte del Presidente di dar notizia, motivandone le ragioni, della mancata pubblicazione della relazione sul sito istituzionale dell'ente.
In termini analoghi si procede nei confronti della relazione di fine mandato Pag. 63provinciale e comunale, che deve essere redatta dal responsabile del Servizio finanziario dell'ente e dal Segretario generale dello stesso. Anche qui l'attività affidata al Tavolo tecnico interistituzionale si svolge solo qualora il Tavolo stesso risulti insediato. La relazione di fine mandato va trasmessa entro dieci giorni dalla sottoscrizione del Presidente della Provincia o del Sindaco, alla Sezione regionale di controllo della Corte dei conti. Qualora non si proceda alla redazione ed alla pubblicazione della relazione di fine legislatura sul sito istituzionale, l'importo dell'indennità di mandato del sindaco è ridotto della metà, con riferimento alle successive tre mensilità, ed in termini analoghi si riducono gli emolumenti al responsabile del servizio finanziario del comune o al segretario generale, qualora non abbiano predisposto la relazione, fermo restando comunque l'obbligo da parte del sindaco di dar notizia, motivandone le ragioni, della mancata pubblicazione della relazione sul sito istituzionale dell'ente.
Si introduce l'istituto della relazione di inizio mandato comunale e provinciale, con la quale ciascun ente locale verifica la propria situazione patrimoniale e finanziaria e la misura dell'indebitamento. La relazione deve essere predisposta dal responsabile del servizio finanziario o dal segretario generale e sottoscritta dal presidente della provincia o dal sindaco entro novanta giorni dall'inizio del mandato; sulla base delle risultanze di tale relazione l'ente locale interessato può ricorrere, sussistendone i presupposti, alle procedure di riequilibrio finanziario vigenti.
L'articolo 1-bis interviene poi sulla disciplina delle verifiche della regolarità della gestione amministrativo-contabile, che è recata dall'articolo 5 del decreto legislativo n.149 del 2001. Le innovazioni riguardano, tra l'altro, i seguenti aspetti. Si prevede che le verifiche della regolarità della gestione amministrativo-contabile siano effettuate anche nei confronti delle Regioni e delle province autonome di Trento e Bolzano. Tra gli indicatori di possibili squilibri finanziari viene previsto anche l'aumento non giustificato delle spese in favore dei gruppi consiliari e degli organi istituzionali dell'ente interessato. Qualora si evidenzino situazioni di squilibrio finanziario rispetto agli indicatori medesimi, il Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato né dà immediata comunicazione alla Corte dei conti.
L'articolo 2 del decreto-legge in esame è stato anch'esso modificato nel corso dell'esame in sede referente, d'intesa con il Governo, nell'intento di conferire alle misure di contenimento dei costi della politica nelle regioni un carattere di maggiore concretezza ed efficacia, anche con l'introduzione di norme più cogenti. Si conferma l'obbligo delle regioni alla riduzione del numero dei consiglieri ed assessori, delle loro indennità, dei contributi ai gruppi consiliari. Si introduce un tetto per gli assegni di fine mandato. Si confermano il divieto di cumulo di indennità e emolumenti, l'introduzione dell'anagrafe patrimoniale degli amministratori regionali; l'istituzione di un sistema informativo dei finanziamenti dei gruppi politici; l'applicazione delle misure di riduzione di spesa già previste per le pubbliche amministrazioni centrali dai decreti-legge n. 78 del 2010, n. 201 del 2011 e n. 95 del 2012. Si conferma l'introduzione di limiti severi ai vitalizi dei consiglieri. Le misure devono essere attuate entro il 23 dicembre 2012, ovvero, se occorrono modifiche statutarie, entro 6 mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge.
Per quanto riguarda la riduzione del numero dei consiglieri, si dispone che, nel caso di mancato adeguamento alla data di indizione delle elezioni, le elezioni si svolgono considerando il numero massimo di consiglieri previsto dall'articolo 14 del decreto legge n. 138 del 2011.
Si conferma che a decorrere dal 2013 una quota pari all'ottanta per cento dei trasferimenti erariali alle regioni, al di fuori di quelli dovuti a titolo di finanziamento del trasporto pubblico locale e del servizio sanitario regionale, è erogata a condizione che le regioni abbiano adeguato i propri ordinamenti con la previsione Pag. 64delle misure di risparmio elencate nel comma 1 dell'articolo 2. Inoltre, in caso di mancata attuazione delle misure di risparmio entro il termine dato, alla regione inadempiente è assegnato un termine ulteriore di 90 giorni. La mancata attuazione delle misure di risparmio anche entro tale ulteriore termine costituisce grave violazione di legge ai sensi dell'articolo 126, primo comma, della Costituzione. Si esclude la possibilità che il presidente di regione dimissionario o impedito nello svolgimento delle sue funzioni possa continuare a ricoprire l'incarico di commissario ad acta per la gestione del piano di rientro. Infine, si estende anche alle elezioni regionali l'interruzione dell'erogazione delle quote dei rimborsi delle spese elettorali nel caso di elezioni anticipate.
Per quanto riguarda in particolare la riduzione degli emolumenti e l'anagrafe patrimoniale degli amministratori locali, la lettera b) del comma 1 - modificata in sede referente - prevede che le regioni ridefiniscano l'importo dell'indennità di funzione, dell'indennità di carica e delle spese per l'esercizio del mandato (categoria di spese, quest'ultima, aggiunta in sede referente) dei consiglieri e degli assessori regionali entro un limite massimo costituito dagli importi vigenti nella regione più virtuosa. Si demanda alla Conferenza Stato-regioni il compito di individuare la regione più virtuosa, operazione che dovrà essere compiuta entro il 10 dicembre 2012: termine ampliato rispetto alla data del 30 ottobre indicata dal testo vigente in modo da consentire alle regioni che non l'abbiano già fatto di provvedere entro il 23 dicembre. La lettera g) (già lettera f) prevede un meccanismo analogo per i contributi ai gruppi consiliari.
Peraltro la Conferenza Stato-Regioni del 30 ottobre 2012 ha provveduto a individuare la regione più virtuosa ai sensi della lettera b) e della lettera f) e indicato gli importi in - 13.800 lordi per i Presidenti delle regioni e dei consigli regionali; - 11.100 per i consiglieri regionali; - 5.000 lordi per ogni consigliere regionale a titolo di contributo per il finanziamento dei gruppi consiliari. Tuttavia, le Commissioni in sede referente hanno ugualmente provveduto a disporre l'ampliamento dei termini al 10 dicembre 2012 per l'individuazione della regione più virtuosa per dare la possibilità alle regioni di esprimersi eventualmente una seconda volta in quanto sono stati introdotti nuovi criteri (in particolare per quanto riguarda i contributi ai gruppi) ed è stata prevista anche la riduzione dell'assegno di fine mandato, sempre sulla base dell'importo della regione più virtuosa (nuova lettera c).
Una norma di chiusura prevede che, in caso di inadempienza della Conferenza, la regione più virtuosa sia individuata con decreto del Presidente del Consiglio o, su sua delega, del Ministro per gli affari regionali (tale alternativa è stata introdotta in sede referente), adottato nei successivi 15 giorni di concerto dei Ministri dell'interno, per la pubblica amministrazione, nonché dell'economia e delle finanze.
Quindi, oltre alla parametrazione alla «indennità massima spettante ai membri del Parlamento» degli emolumenti complessivi dei soli consiglieri regionali già prevista dall'articolo 14, comma 1, lett. c) del decreto-legge n. 138 del 2011, le regioni dovranno ridurre le indennità dei propri amministratori (assessori e consiglieri) adeguandosi alla regione più virtuosa, fermo restando, per i consiglieri, il principio di commisurazione del trattamento economico globale alla effettiva partecipazione ai lavori consiliari, come prescritto dall'articolo 14, comma 1, lett. d) del decreto-legge n. 138 del 2011, confermato e richiamato dalla lettera a).
La lettera c) del comma 1 - introdotta in sede referente - include tra le misure di risparmio che le regioni devono adottare anche la riduzione dell'assegno di fine mandato dei consiglieri regionali che dovrà essere parametrato anche in questo caso alla regione più virtuosa, da individuarsi da parte della Conferenza Stato-regioni, entro il 10 dicembre, come previsto dalla lettera b).
La lettera d) (già lettera c), non modificata in sede referente, introduce il divieto di cumulo di indennità o emolumenti, Pag. 65comunque denominati (comprese le indennità di funzione o di presenza) in commissioni o organi collegiali derivanti dalle cariche di presidente della regione, di presidente del consiglio regionale, di assessore o di consigliere regionale. In tali casi il titolare di più cariche deve optare per uno solo degli emolumenti o indennità.
La lettera e) (già lettera d) prevede, per i consiglieri, la gratuità della partecipazione alle commissioni permanenti e (come specificato in sede referente) a quelle speciali, con l'esclusione anche di diarie, indennità di presenza e rimborsi spese comunque denominati.
La lettera f) (già lettera e) dispone che ciascuna regione disciplini le modalità di pubblicità e trasparenza dello stato patrimoniale dei titolari di cariche pubbliche elettive e di governo di competenza prevedendo la pubblicazione periodica sul sito istituzionale dell'ente di una serie di dati reddituali e patrimoniali.
Quanto al finanziamento dei gruppi consiliari e alla trasparenza dei finanziamenti ai partiti, la lettera g) (già lettera f) - modificata in sede referente - prevede la riduzione dei contributi ai gruppi consiliari: le norme regionali in materia devono essere ridefinite in modo tale che i contributi in questione non eccedano complessivamente l'importo riconosciuto dalla regione più virtuosa ridotto della metà. Sono fatti salvi i rimborsi delle spese elettorali previsti dalla normativa nazionale; sono esclusi da ogni contribuzione i gruppi composti da un solo consigliere, salvo quelli che risultino così composti già all'esito delle elezioni. L'individuazione della regione più virtuosa è demandata alla Conferenza Stato-regioni e va effettuata nel termine, modificato in sede referente, del 10 dicembre 2012, anziché del 30 ottobre 2012 previsto dal testo in vigore.
Le Commissioni hanno introdotto nella lettera in esame le seguenti modificazioni: dalla definizione omogenea dell'importo dei contributi sono escluse le spese per il personale, oggetto di una specifica norma recata dalla successiva lettera h); viene introdotto un vincolo di destinazione dei contributi ai gruppi che dovranno essere impiegati ai soli fini istituzionali dei consigli regionali e alle funzioni di studio, editoria e comunicazione; vengono introdotti alcuni criteri aggiuntivi (ulteriori all'omogeneità) per la ridefinizione dell'entità dei contributi: le dimensioni territoriali e la popolazione residente della regione; viene posticipato al 10 dicembre 2012 il termine per l'individuazione da parte della conferenza della regione più virtuosa, proprio per poter tener conto dei nuovi criteri; viene chiarito che sono esclusi in ogni caso i contributi non solo ai monogruppi, ma anche i contributi ai partiti o movimenti politici, mentre la formulazione originaria sembrava ricomprendere tali contributi in quelli da ridefinire da parte delle regioni; è soppressa la clausola di chiusura che rimetteva l'individuazione della regione più virtuosa, decorso inutilmente il termine per la definizione in Conferenza, a un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri adottato nei successivi quindici giorni, su proposta del Ministro dell'interno, di concerto con i Ministri per la pubblica amministrazione e la semplificazione e dell'economia e delle finanze.
La nuova lettera h) - introdotta in sede referente - prevede che, al fine di salvaguardare i contratti in essere, almeno per la legislatura corrente, l'ammontare delle spese per il personale dei gruppi consiliari sia ridefinito, per le legislature regionali successive a quelle in corso, secondo parametri omogenei che tengano conto del numero dei consiglieri; delle dimensioni del territorio; e dei modelli organizzativi delle regioni.
La lettera i) (già lettera g) estende alle regioni diverse misure di contenimento della spesa previste dalla normativa vigente e dirette prevalentemente alle amministrazioni centrali.
La lettera l) (già lettera h), non modificata in sede referente, prevede l'istituzione di un sistema informativo nel quale sono raccolti i dati relativi al finanziamento dell'attività dei «gruppi politici». Pag. 66
La lettera m) reca disposizioni in ordine alla riduzione dei vitalizi degli amministratori regionali recependo, con modifiche, quanto già disposto nel comma 2 del testo originario. Lo spostamento della norma nel comma 1 implica che, in caso di mancato ottemperamento da parte delle regioni, si applicano sia la decurtazione dei trasferimenti erariali sia il commissariamento come negli altri casi previsti dal comma 1 e fin qui descritti. Nel merito, si conferma innanzitutto il passaggio al sistema contributivo per il calcolo dei vitalizi. Si prevede che le regioni debbano recepire quanto disposto dall'articolo 14, comma 1, lettera f), del decreto-legge n. 138 del 2011. Le regioni, a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto-legge e fatti salvi i relativi trattamenti già in erogazione a tale data, fino all'adozione dei provvedimenti di cui al primo periodo, possono prevedere o corrispondere trattamenti pensionistici o vitalizi in favore di coloro che abbiano ricoperto la carica di presidente della regione, di consigliere regionale o di assessore regionale solo se, a quella data, i beneficiari: 1) hanno compiuto sessantasei anni di età; 2) hanno ricoperto tali cariche, anche non continuativamente, per un periodo non inferiore a dieci anni. Fino all'adozione dei provvedimenti previsti dal decreto n. 138 del 2011, le regioni, in assenza dei requisiti di cui ai numeri 1) e 2), non corrispondono i trattamenti maturati dopo la data di entrata in vigore del presente decreto. Queste disposizioni non si applicano alle regioni che abbiano abolito i vitalizi.
La nuova lettera n), introdotta nel corso dell'esame in sede referente, prevede una nuova misura che deve essere attuata dalle regioni consistente nella esclusione dall'erogazione dei vitalizi per coloro che hanno subito una condanna in via definitiva per delitti contro la pubblica amministrazione, ai sensi degli articoli 28 e 29 del codice penale.
Il comma 2 introduce una sanzione ulteriore rispetto a quella già detta per le regioni che non adottino le misure richieste. La sanzione consiste nella decurtazione di metà delle somme destinate per l'esercizio 2013 al trattamento economico complessivo spettante ai membri del consiglio regionale e di quelli della giunta.
Il comma 3 prevede che giunte e consigli regionali inviino una comunicazione alla Presidenza del Consiglio ed al Ministero dell'economia e finanze che documenti il rispetto delle condizioni di cui al comma 1. La comunicazione deve essere inviata entro i 15 giorni successivi alla scadenza dei termini di cui al comma 1 (che si ricorda sono stati modificati in sede referente): ossia entro il 7 gennaio 2013, oppure entro sei mesi e mezzo dopo la data di entrata in vigore della legge di conversione, se si tratta di interventi che presuppongono modifiche statutarie.
In secondo luogo, un termine diverso è previsto per le regioni nelle quali, alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, il presidente della regione abbia presentato le dimissioni ovvero si debbano svolgere le consultazioni elettorali entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione. In tali casi, il termine per l'adozione dei provvedimenti decorre dalla data della prima riunione del nuovo consiglio regionale ed è di tre mesi per le modifiche da farsi con legge regionale e di sei mesi per le modifiche degli statuti. In ogni caso la riduzione del numero dei consiglieri si applica da subito per tutte le regioni. Si prevede infatti che, qualora al momento dell'indizione delle elezioni per il rinnovo del consiglio regionale, le regioni non abbiano provveduto alla riduzione dei consiglieri, le elezioni sono indette per il numero massimo dei consiglieri regionali previsto, in rapporto alla popolazione, dal decreto-legge 138 del 2011.
Il comma 4 introduce - con riferimento alle disposizioni recate dal comma 1 dell'articolo 2 - la clausola di «compatibilità» con l'ordinamento delle regioni a statuto speciale e delle province autonome, in quanto non contrastino con le speciali attribuzioni di quegli enti.
Il comma 5 contiene una misura sanzionatoria nei confronti delle regioni che non provvedono ad adeguare il proprio ordinamento entro il termine previsto. In Pag. 67questi casi alla regione viene assegnato il termine ulteriore di 90 giorni per provvedere. Il mancato rispetto di tale ulteriore termine è considerato grave violazione di legge ai sensi dell'articolo 126, comma 1, della Costituzione e dunque possibile causa di scioglimento del Consiglio regionale. La «sanzione» dell'eventuale scioglimento del Consiglio regionale si aggiunge quindi alle altre misure sanzionatorie previste dall'articolo in esame.
Il comma 6 incide sulle procedure relative ai piani di rientro sanitario escludendo la possibilità che il presidente di regione dimissionario o impedito nello svolgimento delle sue funzioni possa continuare a ricoprire l'incarico di commissario ad acta per la gestione del piano di rientro.
Il comma 7 interviene in materia di rimborsi per le spese sostenute dai partiti politici per le campagne elettorali, disponendo anche per le elezioni regionali l'interruzione dell'erogazione delle quote dei rimborsi in caso di scioglimento anticipato del consiglio regionale, analogamente con quanto previsto per le elezioni politiche.
Quanto all'articolo 3, le Commissioni hanno lavorato - come per l'articolo 1 - con l'intento di rivedere le forme di controllo sugli enti locali in modo da ispirarle ad una logica maggiormente collaborativa. La lettera a), modificata nel corso dell'esame in Commissione, introduce disposizioni in materia di anagrafe patrimoniale degli amministratori degli enti locali con più di 15.000 abitanti (10.000 nella versione originaria). Si tratta di una disposizione simile a quella introdotta per le regioni. La lettera b) amplia i casi in cui è obbligatorio il parere di regolarità tecnica dei responsabili dei servizi. In particolare, si prevede l'obbligatorietà della richiesta del parere anche per le delibere che comportino riflessi diretti o indiretti sulla situazione economico-finanziaria o sul patrimonio dell'ente. La lettera c), modificata nel corso dell'esame in sede referente, prevede che l'incarico di responsabile del servizio finanziario può essere revocato solo in caso di gravi irregolarità riscontrate nell'esercizio delle funzioni assegnate, previo parere obbligatorio del collegio dei revisori dei conti, e non più, come previsto dal decreto, previo parere obbligatorio del Ministero dell'interno e del Ministero dell'economia e delle finanze.
La lettera d), modificata in più parti nel corso dell'esame in sede referente, sostituisce l'articolo 147 del testo unico delle norme per l'ordinamento degli enti locali ridefinendo la materia dei controlli interni degli enti locali. L'intervento è sostanzialmente volto ad una implementazione del sistema dei controlli interni, che prevede, oltre ai controlli di regolarità amministrativa contabile, di gestione e di controllo strategico, anche il controllo sugli equilibri finanziari dell'ente e il controllo degli organismi gestionali esterni all'ente, in particolare il controllo sulle società partecipate, che nel corso dell'esame in sede referente è stato peraltro limitato alle sole società non quotate. Rispetto alla formulazione originaria, in sede referente il controllo dello stato di attuazione di indirizzi ed obiettivi gestionali e della qualità dei servizi erogati, il controllo strategico nonché i controlli sulle società partecipate è stato limitato ai soli enti locali con popolazione superiore a 15.000 abitanti (anziché 10.000 abitanti).
Si prevede che i controlli siano assicurati, nella fase preventiva della formazione dell'atto, da ogni responsabile di servizio, attraverso il parere di regolarità tecnica; e dal responsabile del servizio finanziario, attraverso il rilascio di parere di regolarità contabile e del visto sulla copertura finanziaria. Nella fase successiva, il controllo è assicurato secondo principi generali di revisione aziendale e le modalità definite nell'ambito dell'autonomia organizzativa dell'ente, sotto la direzione del segretario. Sono soggette al controllo le determinazioni di impegno di spesa, gli atti di accertamento di entrata e di liquidazione di spesa, contratti e altri atti amministrativi, scelti con selezione causale e a campione. Le risultanze del controllo sono periodicamente trasmesse, a cura del segretario, ai responsabili dei servizi, ai Pag. 68revisori dei conti, agli organi di valutazione dei dipendenti e al Consiglio comunale.
Nel corso dell'esame in sede referente è stato precisato che l'unità preposta al controllo strategico è posta sotto la direzione del segretario comunale.
Si prevede che i controlli interni riguardino anche le società partecipate. A seguito delle modifiche approvate nel corso dell'esame in sede referente, la disciplina di questi controlli è stata riferita alle sole società partecipate non quotate, in luogo di tutte le società partecipate come invece previsto nel testo originario del decreto-legge. La norma riguarda inoltre i soli comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti (in luogo di 10.000 abitanti, come previsto nel testo originario del decreto-legge).
La lettera e), come sostituita nel corso dell'esame in sede referente prevede una implementazione del sistema dei controlli esterni sulla gestione degli enti locali, in primis attraverso un rafforzamento dei poteri già in capo alla Corte dei Conti. Viene ampliata consistentemente la funzione di controllo della Corte, la quale viene a comprendere, anche in corso di esercizio, la regolarità della gestione finanziaria, gli atti di programmazione, nonché la verifica del funzionamento dei controlli interni di ciascun ente. Alla Corte è anche affidato un potere sanzionatorio nei confronti degli amministratori dell'ente locale.
Inoltre, i controlli esterni vengono esercitati, oltre che dalle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti, anche, autonomamente, dal Ministero dell'economia e finanze - RGS, il quale può procedere ad effettuare verifiche sulla regolarità della gestione amministrativo contabile in presenza di specifici indicatori di squilibrio finanziario.
Diversamente da quanto previsto nel testo originario del decreto-legge in esame, le verifiche da parte dei Servizi ispettivi di finanza pubblica sono attivate non più sulla base di apposite intese con la Corte dei Conti, bensì vengono esercitate secondo le modalità già previste dalla legislazione vigente, nonché, anche su attivazione di quest'ultima.
Inoltre, dopo l'esame in sede referente, è stata soppressa la previsione che la Corte può avvalersi, sulla base di apposite intese, del Corpo della Guardia di finanza.
Si prevede inoltre un rafforzamento del controllo della Corte dei conti sulla gestione finanziaria degli enti locali. Le Sezioni regionali di controllo della Corte esaminano i bilanci preventivi e i rendiconti consuntivi degli enti locali ai fini della verifica di specifici elementi suscettibili di pregiudicare gli equilibri economico-finanziari degli enti. L'accertamento ha anche ad oggetto la verifica che i rendiconti consuntivi tengano conto anche delle partecipazioni dell'ente locale in società il cui fatturato prevalente derivi da attività strumentali all'ente o dallo svolgimento di servizi pubblici. Sono previste specifiche conseguenze nell'ipotesi in cui la Corte riscontri irregolarità e l'ente locale non provveda a rimuoverle.
La lettera f) affida al responsabile del servizio finanziario dell'ente locale anche il compito di salvaguardare gli equilibri finanziari complessivi della gestione e dei vincoli di finanza pubblica.
Si dispone inoltre, con la finalità di rafforzare il suo ruolo di garante degli equilibri di bilancio, che nell'esercizio di tutte le proprie funzioni il responsabile agisca in autonomia, nei limiti dei principi contabili e dei vincoli di finanza pubblica. Le segnalazioni del responsabile finanziario in ordine al sussistere, nell'ambito della gestione delle entrate o delle spese correnti, di situazioni suscettibili di pregiudicare gli equilibri di bilancio dell'ente locale devono essere trasmesse, oltre che all'organo di revisione ed al legale rappresentante e al presidente del consiglio dell'ente, come ora previsto, anche alla sezione regionale di controllo della Corte dei conti.
La lettera g) prevede che almeno la metà della quota minima del Fondo di riserva degli enti locali sia riservata alla copertura di «spese non prevedibili», qualora ciò serva ad evitare danni certi all'amministrazione, Pag. 69e che si possa aumentare tale quota minima nel caso in cui l'ente abbia deliberato anticipazioni di tesoreria o l'utilizzo di entrate aventi specifica destinazione per il finanziamento di spese correnti.
La lettera h), modificata nel corso dell'esame in sede referente, vieta l'utilizzo dell'avanzo di amministrazione agli enti locali che abbiano deliberato anticipazioni di tesoreria o l'utilizzo di entrate aventi specifica destinazione per il finanziamento di spese correnti. Nel corso dell'esame in sede referente, è stato precisato che il divieto di utilizzo si riferisce soltanto all'avanzo di amministrazione non vincolato.
La lettera i), modificata nel corso dell'esame in sede referente, interviene in materia di regole per l'assunzione di impegni e per l'effettuazione di spese, con riferimento specifico alle spese relative ai lavori pubblici di somma urgenza, prevedendone l'approvazione da parte dell'organo consiliare.
La nuova lettera i-bis) integra le disposizioni recate dall'articolo 222 del testo unico, innalzando i limiti massimi di anticipazioni di tesoreria per gli enti locali in stato di dissesto economico-finanziario da tre a cinque dodicesimi delle entrate correnti accertate nel penultimo anno precedente.
La lettera l) prevede che nel caso di mancata approvazione del rendiconto di gestione entro i termini previsti si attivi la procedura per lo scioglimento dell'organo consiliare inadempiente con l'attribuzione al Prefetto dei poteri propulsivi e sostitutivi, già prevista nelle ipotesi di mancata approvazione nei termini del bilancio di previsione.
La lettera m-bis e il comma 4-bis dell'articolo 3 introducono una specifica disciplina per l'organo di revisione contabile nelle unioni di comuni. Si stabilisce che nelle unioni dei comuni il collegio sia composto da tre membri e che tale collegio svolga le medesime funzioni anche per i comuni che fanno parte dell'unione medesima. Conseguentemente, si prevede che all'atto della costituzione del collegio dei revisori secondo la nuova disciplina decadono i revisori in carica nei comuni che fanno parte dell'unione.
L'articolo 6, commi 1 e 2, è volto a rafforzare gli strumenti utilizzabili per la funzione di analisi della spesa pubblica affidata al Commissario straordinario per la razionalizzazione della spesa pubblica per acquisti di beni e servizi, istituito dall'articolo 2 del decreto-legge n. 52 del 2012 sulla cosiddetta spending review. A tale scopo le norme dispongono che per lo svolgimento di analisi sulla spesa pubblica il Commissario si avvale dei Servizi ispettivi di finanza pubblica della Ragioneria generale dello Stato, cui vengono affidate analisi su campione relative alla efficienza dell'organizzazione ed alla sostenibilità dei bilanci; tali analisi sono svolte ai sensi dell'articolo 14, comma 1, lettera b) della legge di contabilità n. 196 del 2009 - che consente al Ministero dell'economia e delle finanze di effettuare, tramite i predetti servizi ispettivi, analisi sulla regolarità della gestione contabile delle amministrazioni pubbliche - sulla base di appositi modelli concordati tra il Commissario e la Ragioneria generale dello Stato e deliberati dalla Sezione autonomie della Corte dei conti.
I commi 3 e 4 dell'articolo 6 intervengono su profili diversi delle funzioni di controllo della Corte dei conti.
Il comma 3 affida alle sezioni regionali della Corte dei conti il compito di svolgere i controlli per la verifica dell'attuazione delle misure dirette alla razionalizzazione della spesa pubblica degli enti territoriali, sulla base di metodologie appropriate definite dalla Sezione autonomie della stessa Corte di conti. Il comma 4 stabilisce che la Sezione autonomie emana delibere di orientamento in caso di interpretazioni difformi delle sezioni regionali di controllo.
L'articolo 7, che, nel testo originario del decreto-legge, recava norme di carattere organizzativo concernenti le sezioni regionali di controllo della Corte dei conti, è stato soppresso nel corso dell'esame presso le Commissioni. Pag. 70
L'articolo 10 è stato modificato nel corso dell'esame in sede referente, con la soppressione del comma 1, diretto a prorogare fino al 31 luglio 2013 l'attuale sistema di contribuzione diretta da parte delle province e dei comuni per il fondo finanziario di mobilità dei segretari comunali e provinciali; tale proroga, nella formulazione del comma 1 risulta connessa al processo di trasferimento delle funzioni già facenti capo all'Agenzia Autonoma per la gestione dell'Albo dei segretari comunali e provinciali.
Il comma 2 dispone la soppressione della Scuola Superiore per la formazione e la specializzazione dei dirigenti della pubblica amministrazione locale (SSPAL), trasferendo al Ministero dell'interno, che succede a titolo universale alla Scuola, le risorse strumentali e finanziarie e di personale in servizio. Una modifica introdotta in sede referente dispone la conseguente decadenza dei relativi organi, prevedendo, come già prescritto in precedenza nei riguardi dell'AGES, che il Ministro dell'interno succeda a titolo universale alla Scuola mediante trasferimento, in capo al dicastero, delle risorse strumentali, finanziarie e di personale ivi in servizio.
L'articolo 11-bis, introdotto dalle Commissioni, reca la clausola di compatibilità con l'ordinamento delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano.
La disposizione in oggetto, introdotta nel corso dell'esame parlamentare, reca il principio che tutte le disposizioni recate dal decreto-legge si applicano nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e di Bolzano nelle forme stabilite dai rispettivi statuti di autonomia e dalle relative norme di attuazione.