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Resoconto dell'Assemblea

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XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 682 di lunedì 10 settembre 2012

Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROSY BINDI

La seduta comincia alle 15.

RENZO LUSETTI, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 5 settembre 2012.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Bratti, Brugger, Buonfiglio, Caparini, Cicchitto, Cirielli, Colucci, Commercio, D'Alema, Della Vedova, Donadi, Dozzo, Renato Farina, Franceschini, Guzzanti, Iannaccone, Leone, Lupi, Maran, Mecacci, Melchiorre, Migliavacca, Migliori, Misiti, Moffa, Mura, Nucara, Pecorella, Pisacane, Pisicchio, Rigoni, Stefani, Togni, Valducci, Vitali e Volontè sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente quarantadue, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 7 agosto 2012, n. 129, recante disposizioni urgenti per il risanamento ambientale e la riqualificazione del territorio della città di Taranto (A.C. 5423) (ore 15,05).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 7 agosto 2012, n. 129, recante disposizioni urgenti per il risanamento ambientale e la riqualificazione del territorio della città di Taranto.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 5423)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare Partito Democratico ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che le Commissioni VIII (Ambiente) e X (Attività produttive) si intendono autorizzate a riferire oralmente.
Il relatore per la Commissione ambiente, onorevole Ghiglia, ha facoltà di svolgere la relazione.

AGOSTINO GHIGLIA, Relatore per la VIII Commissione. Signor Presidente, onorevoli colleghi, prima di dare conto del contenuto dell'articolo 1, di più stretta competenza della VIII Commissione, desidero ricordare che il sito di Taranto era stato inserito tra i siti di bonifica di interesse nazionale (SIN) dall'articolo 1, comma 4, della legge n. 426 del 1998 e che con successivo decreto ministeriale del 10 gennaio 2000 ne è stata disposta la perimetrazione, per una superficie complessiva pari a circa 115 mila ettari, di cui 83 mila di superficie marina che interessa l'intera area portuale.
Con il programma nazionale di bonifica e ripristino ambientale, approvato con il Pag. 2decreto ministeriale n. 468 del 18 settembre 2001, in attuazione della citata legge n. 426 del 1998, il Governo aveva provveduto all'individuazione degli interventi giudicati, per le loro caratteristiche, di interesse nazionale e ammessi a beneficiare del concorso pubblico di finanziamenti per la loro realizzazione. Ricordo inoltre che il Protocollo di intesa per interventi urgenti di bonifica, ambientalizzazione e riqualificazione di Taranto, stipulato in data 26 luglio 2012 tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministero dello sviluppo economico, il Ministero per la coesione territoriale, la regione Puglia, la provincia di Taranto, il comune di Taranto e il commissario straordinario del porto di Taranto, prevede come obiettivi la revisione della complessiva strategia di bonifica del sito di Taranto, lo sviluppo di interventi infrastrutturali complementari alla bonifica, l'individuazione di misure volte al mantenimento e al potenziamento dei livelli occupazionali, l'individuazione di incentivi per le imprese insediate che intendono utilizzare tecnologie dotate di migliori caratteristiche ambientali, l'individuazione di incentivi per l'attrazione di investimenti, anche nell'ottica della riqualificazione dell'area, la realizzazione e/o il completamento di studi e analisi relativi agli impatti sull'ambiente e la salute, al fine di individuare e realizzare interventi di mitigazione.
Il Protocollo indica, all'articolo 5, un quadro complessivo degli interventi pari a 336,7 milioni di euro, di cui 329,5 milioni di euro di parte pubblica e 7,2 milioni di euro di parte privata, TCT (Taranto Container Terminal Spa). In particolare, dei complessivi 336,7 milioni di euro considerati, 119 milioni sono destinati alle bonifiche, 187 milioni agli interventi portuali e 30 milioni al rilancio e alla riqualificazione industriale.
Ciò premesso, evidenzio che l'articolo 1, comma 1, del decreto-legge in titolo demanda a un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri la nomina di un commissario straordinario, al fine di assicurare l'attuazione degli interventi previsti nel Protocollo, compresi quelli che fanno riferimento alle risorse stanziate con le delibere CIPE del 3 agosto 2012 per un importo specificato nella norma pari a 110.167.413 euro a valere sulle risorse della regione Puglia del Fondo per lo sviluppo e la coesione.
Il commissario, la cui nomina non dà diritto ad alcun compenso e non comporta oneri aggiuntivi per la finanza pubblica, resta in carica per la durata di un anno, prorogabile con un ulteriore DPCM. La norma autorizza, inoltre, il commissario ad esercitare i poteri di cui all'articolo 13 del decreto-legge 25 marzo 1997, n. 67, che ha introdotto la figura del commissario straordinario per far ripartire un numero circoscritto di opere avviate da anni, ma bloccate per vari motivi. La norma consente ai commissari stessi di provvedere in deroga ad ogni disposizione vigente, salvo il rispetto della normativa comunitaria sull'affidamento di appalti di lavori, servizi e forniture, delle norme di tutela del patrimonio storico ed artistico-ambientale e dei principi generali dell'ordinamento.
L'articolo 1, comma 2, precisa poi che restano fermi gli interventi previsti nel Protocollo di intesa con oneri a carico dell'Autorità portuale di Taranto (si tratta di risorse pari a 52 milioni di euro) e che, a tal fine, è assicurato il coordinamento tra il commissario straordinario nominato ai sensi del comma 1 e il commissario straordinario dell'Autorità portuale di Taranto.
L'articolo 1, comma 3, prevede che all'attuazione degli altri interventi previsti nel Protocollo sono altresì finalizzate risorse disponibili (anche in conto residui) dello stato di previsione del Ministero dell'ambiente e della del tutela del territorio e del mare per l'esercizio finanziario 2012, nel limite massimo di 20 milioni di euro. Si tratta, in particolare, dei capitoli 7085 e 8532, entrambi relativi all'attuazione del federalismo amministrativo. La norma specifica che si tratta di risorse destinate a trasferimenti alle regioni per interventi di carattere ambientale e per la Pag. 3tutela del territorio contro il rischio idrogeologico ai sensi del decreto legislativo n. 112 del 1998.
Per quanto riguarda gli aspetti procedurali contabili, il comma 4 prevede che le risorse di cui ai commi 1 e 3 sono trasferite alla regione Puglia per essere destinate al commissario, al quale è intestata un'apposita contabilità speciale aperta presso la tesoreria statale.
Sulla base di quanto disposto dal successivo comma 7, per quanto concerne invece i controlli e la rendicontazione, si applicano le disposizioni di cui all'articolo 2, commi 2-septies e 2-octies, del decreto-legge n. 225 del 2010, a norma dei quali i provvedimenti commissariali adottati in attuazione delle ordinanze conseguenti alla dichiarazione dello stato di emergenza diventano esecutivi dopo sette giorni, e non più sessanta, dalla ricezione da parte della Corte dei conti senza che sia intervenuta una pronuncia della sezione di controllo.
Ricordo poi che il comma 2-octies estende le norme in materia di rendicontazione delle attività svolte per il superamento dell'emergenza da parte dei commissari delegati introdotte dal comma 5-bis dell'articolo 5 della legge n. 225 del 1992, istitutiva del Servizio nazionale di protezione civile, anche ai funzionari e ai commissari delegati autorizzati alla gestione di fondi statali titolari di contabilità speciali per la realizzazione di interventi, programmi e progetti o per lo svolgimento di particolari attività, e prevede, inoltre, che i rendiconti vengano inviati all'Ufficio centrale per il bilancio presso il Ministero dell'economia e delle finanze, all'ISTAT e alla competente sezione regionale della Corte dei conti.
L'articolo 1, comma 6, prevede che il commissario possa avvalersi, per gli interventi di cui ai commi 1 e 3 e per quelli ad essi connessi, di un soggetto attuatore - previa delega delle funzioni - e degli uffici e delle strutture delle amministrazioni pubbliche centrali, regionali e locali nell'ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. La norma, nel precisare che al soggetto attuatore non spetterà alcun compenso, prevede che il commissario possa avvalersi, inoltre degli organismi partecipati nei termini di cui all'articolo 4, comma 2, del Protocollo, che fa riferimento alla società in house Puglia sviluppo.
Il comma 6 dell'articolo 1 del decreto precisa, infine, che al funzionamento delle strutture di attuazione del Protocollo elencate al comma 1 dell'articolo 4 (comitato dei sottoscrittori e cabina di regia coordinata dalla regione Puglia) del Protocollo medesimo si provvederà nell'ambito delle risorse finanziarie delle amministrazioni sottoscrittrici del Protocollo già disponibili a legislazione vigente.
Sulla base di quanto disposto dall'articolo 1, comma 5, il commissario è individuato quale soggetto attuatore per l'impiego delle risorse, per un importo pari a 30 milioni di euro, del Programma Operativo Nazionale (PON) Ricerca e Competitività, da utilizzare mediante gli ordinari e nuovi strumenti di programmazione negoziata, nonché delle risorse già assegnate nell'ambito del Programma Operativo Nazionale Reti e Mobilità, per un importo pari a euro 14 milioni per la realizzazione della nuova diga foranea di protezione del porto di Taranto. Tali importi trovano riscontro nella tabella delle fonti di finanziamento del Protocollo sopra riportata.
Il comma 8 prevede, infine, che i finanziamenti a tasso agevolato, a valore sul cosiddetto Fondo Kyoto, di cui all'articolo 57, comma 1, del decreto-legge n. 83 del 2012, possono essere concessi, secondo i criteri e le modalità definiti dal medesimo articolo 57, anche per gli interventi di riqualificazione e di ambientalizzazione compresi nell'area del sito di interesse nazionale di Taranto. Per tale finalità, nell'ambito del fondo rotativo, è destinata una quota di risorse fino a un importo massimo di 70 milioni di euro (Applausi).

PRESIDENTE. Il relatore per la Commissione attività produttive, onorevole Vico, ha facoltà di svolgere la relazione.

Pag. 4

LUDOVICO VICO, Relatore per la X Commissione. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, il decreto-legge in titolo, di cui ha già accennato il collega Ghiglia, si compone di due articoli e reca misure urgenti per il risanamento ambientale e la riqualificazione del territorio della città di Taranto, individuato come sito di preminente interesse pubblico.
Il decreto-legge in titolo ha lo scopo di fronteggiare l'emergenza ambientale e sanitaria, di dare attuazione agli interventi di bonifica e di riqualificazione previsti dal Protocollo di intesa del 26 luglio scorso, stipulato tra Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, Ministero dello sviluppo economico, Ministero per la coesione territoriale, la regione Puglia, la provincia di Taranto, il comune di Taranto e il commissario straordinario del porto di Taranto.
Desidero ricordare che in data 14 agosto ultimo scorso il Governo aveva reso comunicazione alle Commissioni riunite ambiente e attività produttive sulla situazione dell'Ilva di Taranto e sulle prospettive di riqualificazione del territorio. In quella sede, il Ministro dell'ambiente aveva fornito puntuali elementi conoscitivi circa la procedura di riesame dell'autorizzazione integrata ambientale, ovvero l'AIA, che era stata rilasciata in data 4 agosto 2011 per l'esercizio degli impianti dell'Ilva. Tale procedura di riesame si era resa necessaria alla luce delle risultanze acquisite dal Ministero in merito all'inquinamento da benzopirene e a seguito delle nuove disposizioni adottate dalla Commissione europea in data 8 marzo 2012, riguardanti le nuove tecnologie che devono essere utilizzate dalle imprese industriali siderurgiche europee.
La suddetta procedura di riesame dell'autorizzazione, secondo il Ministro Clini, dovrebbe concludersi entro il 30 settembre 2012. È opportuno, colleghi, signor rappresentante del Governo, Presidente, ricordare che in tale contesto sono intervenute prima l'ordinanza del GIP finalizzata al risanamento ambientale e alla protezione della salute delle popolazioni, che aveva previsto la chiusura degli impianti e del ciclo integrato a caldo e, successivamente, la decisione del tribunale del riesame di Taranto che ha affidato ai custodi giudiziari la strategia di risanamento degli impianti, in data 7 agosto.
Successivamente sono state adottate due nuove ordinanze dal GIP (10 e 11 agosto) che hanno disposto nuovamente il sequestro degli impianti e che hanno di fatto estromesso il presidente dell'Ilva, dottor Ferrante, dal ruolo di custode degli impianti a caldo. Il tribunale del riesame di Taranto ha poi nuovamente annullato nel merito tale ordinanza, stabilendo che l'obiettivo prioritario debba essere quello del risanamento ambientale e la sua compatibilità con l'impianto.
Prima di illustrare il contenuto del decreto-legge oggetto dell'esame dell'Aula, desidero anche qui segnalare che l'apparato manifatturiero e logistico, insidiato localmente nell'area di Taranto, è costituito non solo da Ilva, ma anche da Eni Raffineria, Arsenale Marina Militare, Cementir, il Gruppo Evergreen e Hutchison, terminalisti del porto hub, Alenia-Finmeccanica, Edison, Vestas Marcegaglia, Selex Sistemi, Heineken e così via.
Allo stesso modo desidero segnalare - in verità ciò è stato già richiamato dal collega Ghiglia - che, a partire dal 1990, i territori comunali di Taranto, Crispiano, Massafra, Statte e Montemesola sono stati definiti area ad elevato rischio ambientale. Successivamente, nel 1998, Taranto e Statte sono stati inclusi tra i primi quattordici siti di interesse nazionale per la bonifica, con decreto del Presidente della Repubblica n. 196 del 1998.
Dicevo che il decreto-legge in esame si compone di due articoli e novella una serie di interventi parziali, benché emergenziali, che agiranno prioritariamente su tre dei diciotto siti inquinati catalogati a Taranto, catalogati negli ultimi due lustri, e ovviamente sul territorio esterno allo stabilimento dell'Ilva, dal momento che gli interventi sulle fonti di inquinamento industriale Pag. 5sono assegnati alle risultanze del riesame dell'autorizzazione integrata ambientale.
L'articolo 1 ovviamente recepisce, come già descritto dall'onorevole Ghiglia, il Protocollo d'intesa e stanzia 336 milioni di euro, di cui 119 milioni per l'avvio delle bonifiche di Mar Piccolo, Statte e quartiere Tamburi, ai quali la regione Puglia compartecipa con 58 milioni di euro, ex FAS, mentre della restante parte, ossia 61 milioni di euro a carico dello Stato, il decreto-legge in oggetto rende disponibile 20 milioni di euro. Le altre risorse, che concorrono alla somma di 336 milioni di euro, sono ascrivibili a 120 milioni di euro che riguardano l'accordo Governo-Autorità portuale di Taranto, siglato il 5 novembre 2011 e formalmente legittimato il 17 aprile ultimo scorso, relativo ai dragaggi, alle vasche di colmata, al completamento del molo polisettoriale del porto hub.
Le restanti risorse afferiscono il PON Ricerca e Competitività, indirizzate con importanza all'obiettivo della smart city, e il PON Reti e Mobilità relativo all'obiettivo della diga foranea. Ovviamente nell'articolo 1 si assicura il coordinamento degli interventi assegnati al commissario straordinario e nell'articolo 2 riconosce l'area industriale di Taranto quale area in situazione di crisi industriale complessa ai fini dell'applicazione del decreto-legge n. 83 del 2012, particolarmente con riferimento alle disposizioni di cui all'articolo 27 di quel decreto-legge, più noto come «decreto crescita», recante il riordino della disciplina in materia di riconversione e riqualificazione produttiva di aree di crisi industriale complessa.
A tale riguardo, per assegnare importanza all'articolo 2, così come è giusto, ricordo che l'articolo 27 del suddetto decreto-legge n. 83 del 2012 prevede che, in caso di situazioni di crisi industriale complessa, possano essere attivati progetti di riconversione e riqualificazione industriale, la cui finalità è di agevolare gli investimenti produttivi, anche di carattere innovativo, nonché la riconversione industriale e la riqualificazione economica e produttiva dei territori interessati.
Le disposizioni di cui all'articolo 27 precisano che si configurano situazioni di crisi industriale complessa quando specifici territori siano soggetti a recessione economica e perdita occupazionale e venga riscontrata la crisi di una o più imprese di medie o grandi dimensioni con effetti sull'indotto o la crisi di uno specifico settore industriale con elevata specializzazione del territorio. Concluderei questa valutazione, aggiungendo che, sempre l'articolo 27 del decreto-legge summenzionato, stabilisce che tutte le opere e gli impianti richiamati all'interno dei progetti sono dichiarati di pubblica utilità, urgenti ed indifferibili.
Il valore del decreto-legge oggi posto in discussione sulle linee generali consiste nel fatto che è un decreto importante, utile, che ha assunto valore di urgenza e, come tale, di profilo - come dicevo prima - importante. È, però, altrettanto evidente che le misure contenute nel decreto sono separate dagli interventi che riguardano l'autorizzazione integrata ambientale, perché l'AIA agirà esclusivamente sulle fonti di inquinamento industriale. È inoltre evidente che l'obiettivo di avviare un piano di risanamento ambientale e di riqualificazione di quell'area non risiede assolutamente in questo importante atto che la Camera auspico licenzierà domani. Infatti, per raggiungere tale obiettivo fondamentale vi è bisogno (come dicono i colleghi, domani o dopodomani, ma non si tratta di un problema temporale) della costruzione di un piano di risanamento ambientale e di riqualificazione dell'area. Sicuramente questo decreto-legge, è un punto di partenza, ma l'impegno altrettanto in contemporanea è che si avvii uno strumento - l'unico in effetti disponibile anche rispetto al «cresci-Italia» - di un accordo di programma che, se vuole agire su fattori di risanamento e di riqualificazione, abbia un profilo temporale molto più lungo, acquisito l'intervento sulle fonti di inquinamento industriale. Pag. 6
È, quindi, con questo spirito positivo che mi avvio alle conclusioni. Ovviamente auspico che l'Assemblea e i gruppi parlamentari intenderanno chiedere al Governo, che si predispongano per l'immediato futuro nuovi atti nella direzione di strumenti, già attivati nel nostro Paese, sia dal punto di vista metodologico che di percorso dal profilo lungo, quale l'accordo di Porto Marghera. Occorre comporre un quadro di pianificazione della spesa pubblica, che, benché contenuta, faccia leva sulle reali risorse disponibili nel futuro, accanto al Ministero dell'ambiente, ai grandi problemi che il Paese ha in direzione delle bonifiche dei siti SIN, ai Ministeri dello sviluppo economico e della difesa che a Taranto, è titolare del demanio militare una risorsa molto importante nell'ambito della riqualificazione.
Mi riferisco anche alle autonomie locali, come è evidente, nonché ad una ricomposizione dell'intero tessuto industriale e delle loro grandi aziende, Ilva, ENI, Cementir, Ministero della difesa.
Lungo questo percorso bisogna operare e sono personalmente convinto che questo decreto-legge sia l'inizio di una strada positiva in tutti i sensi (Applausi).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

CORRADO CLINI, Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Signor Presidente, voglio ringraziare l'onorevole Ghiglia e l'onorevole Vico per le loro relazioni che illustrano, in maniera completa, i contenuti del provvedimento ed anche il contesto nel quale questo provvedimento si colloca.
Ho poco da aggiungere se non ricordare, ancora una volta, che il risanamento di Taranto non è una questione locale ma è un intervento di interesse nazionale, perché siamo in un contesto strategico per l'industria italiana, da un lato, e per il sistema della logistica, dall'altro. Dunque, gli interventi per il risanamento ambientale dell'area di Taranto rappresentano uno strumento importante, anche nella strategia della crescita del nostro Paese, della salvaguardia dell'occupazione ma anche uno strumento molto importante per sviluppare l'economia italiana in settori strategici a livello europeo.
Infine, voglio ricordare che il risanamento di Taranto si colloca nel contesto delle direttive europee e degli obiettivi europei per lo sviluppo sostenibile. La Strategia europea per lo sviluppo sostenibile prevede in maniera molto chiara che le misure economiche devono essere guidate dai criteri, dagli obiettivi e dalle tecnologie per la salvaguardia dell'ambiente. Dunque, a Taranto stiamo mettendo in pratica e sperimentando anche, nel più grande centro siderurgico d'Europa, quello che le direttive europee e le strategie europee hanno indicato per tutti gli Stati membri.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Zazzera. Ne ha facoltà.

PIERFELICE ZAZZERA. Signor Presidente, signor Ministro, onorevoli colleghi, il decreto-legge che ci accingiamo a discutere oggi è stato definito «decreto salva Taranto», «decreto Ilva», ma in realtà rappresenta una chemioterapia, somministrata a dosi blande, in un corpo malato di cancro e ormai con metastasi. In questi casi non si ha alcun effetto terapeutico e i danni sarebbero persino maggiori.
È un provvedimento che arriva tardi, con cifre ridicole e insufficienti per affrontare la gravità della situazione di Taranto. Bisognava farlo prima, per tempo, anzi bisognava controllare che l'Ilva adeguasse l'impianto alle norme e alle nuove tecnologie, per rendere sicuri gli impianti e con l'obiettivo di garantire, nel contempo, il diritto al lavoro e il diritto alla salute. Si è lasciato fare. Si sono chiusi gli occhi, non uno ma entrambi, e nessuno ha controllato. Questi due diritti possono essere tenuti insieme solo se vi è il rispetto della legalità, che nella vicenda dell'Ilva, però, è la grande assente. Ecco perché non potete costringerci a scegliere tra salute e lavoro, a scegliere tra due diritti costituzionali, a scegliere tra vivere o morire.
Il Governo ha detto che l'Ilva non può chiudere, altrimenti si mette a rischio Pag. 7l'intera politica industriale del Paese. Il Governo ha detto anche che la politica industriale del Paese non la decidono i magistrati. La vicenda di Taranto, invece, è il fallimento della politica industriale del nostro Paese, che è rimasta ferma alla rivoluzione industriale. Siamo fuori dalla globalizzazione, non siamo competitivi e siamo fuori dalla modernità.
Una politica industriale seria sarebbe intervenuta, tenendo la propria industria al passo con la modernità, spingendo gli imprenditori ad ammodernare i loro impianti, garantendo controlli efficienti e rispetto della legalità, facendo investimenti nelle infrastrutture del territorio.
Per comprendere il perché di questo fallimento, bisogna andare indietro nel tempo, all'origine di una scelta assurda: mettere i camini di un'acciaieria a ridosso di una città, affacciati sui balconi di un intero quartiere. La scelta di localizzare a Taranto, sui polmoni dei tarantini, l'acciaieria più grande d'Europa - ammettiamolo, signor Ministro - è stata una scelta sbagliata.
Taranto è come se avesse respirato per anni con il naso poggiato sui camini, respirando diossina, benzopirene, polveri sottili ed altre schifezze. Nel 1995, l'Ilva viene venduta a Riva, forse svenduta. Si parlò di occasione per rilanciare Taranto, di occupazione, di nuova era dell'acciaio quando già l'acciaio era in crisi. A quale prezzo? In realtà, bisognerebbe rivedere quel giudizio positivo sulla vendita. Riva ha comprato l'Ilva senza investire un centesimo in sicurezza e tecnologia. In cambio, però, ha ottenuto profitti, enormi profitti, ma nella vendita allo Stato si è badato bene dal mettere paletti a garanzia dei due diritti costituzionali di salute e lavoro. Uno Stato forte e serio avrebbe dovuto dire a Riva: ti do il mio acciaio, tu però mi garantisci la messa a norma dell'impianto, il continuo ammodernamento, il rispetto della legge. E lo Stato si doveva sempre riservare il diritto di nazionalizzare, quando quei paletti fossero stati abbattuti a discapito dei cittadini, paletti che in questi anni sono stati non solo abbattuti, ma travolti. Riva e l'Ilva hanno creato a Taranto una sorta di zona franca, fuori dalla legge, dove è stato possibile fare tutto senza alcun controllo. Oggi gli atti giudiziari ci dicono cosa è stato fatto: sono state violate le norme di sicurezza, non è stata rispettata la legge, sono stati alterati i dati delle emissioni - i controlli venivano preannunciati - sono stati corrotti (c'è un'inchiesta in corso) giornalisti, politici, sindacati, persino preti perché si potesse non ficcare il naso in quel mostro d'acciaio e perché si tenesse buona l'opinione pubblica.
Nell'ordinanza del GIP di Taranto si scrive: «Chi gestiva e gestisce l'Ilva ha continuato nell'attività inquinante con coscienza e volontà per la logica del profitto, calpestando le più elementari regole di sicurezza». L'Ilva e Riva sono persino riusciti a farsi fare leggi ad hoc per continuare ad inquinare e ad avvelenare nella legalità. L'Italia continua ad avere limiti, per le emissioni di diossina, altissimi, nonostante l'Unione europea e l'Organizzazione mondiale della sanità vi chieda di adeguare i parametri e, nel 2010, Riva ha ricevuto in regalo dal Governo precedente e dal Ministro Prestigiacomo, una legge che gli permettesse di sforare i limiti di benzopirene senza finire sotto processo. L'Ilva ha inquinato, avvelenato, ammazzato lavoratori e inermi cittadini, nel nome della legge e con la complicità dello Stato. Taranto è la città più inquinata d'Europa, dove si trova il 90 per cento della diossina prodotta in Italia. In questi anni sono state riversate su Taranto e tarantini tonnellate di diossina, di cancerogeni, di polveri; grazie all'impegno della società civile ed al controllo democratico dei cittadini e delle associazioni abbiamo potuto conoscere che il latte materno delle mamme di Taranto contiene diossina, che il formaggio delle capre contiene diossina, che il sangue delle pecore contiene diossina, che i mitili sono alla diossina.
Lo Stato ha nascosto questi dati, non li ha mai divulgati, non ha mai informato i cittadini. Lo Stato, fino a pochi giorni fa, ha nascosto che su Taranto l'incidenza dei tumori è del 15 - 30 per cento maggiore. Pag. 8Lo Stato si è reso in questo modo responsabile del genocidio. E poi, l'abbattimento di 1.600 pecore contaminate da diossina: uno Stato serio si sarebbe chiesto se quella diossina non fosse finita anche nel sangue dei propri cittadini.
Invece, ha nascosto i dati, omesso la verità, cancellato tutto.
Ancora oggi lo Stato italiano, a differenza di altri Stati europei avanzati, non indica limiti per la presenza di diossina nei campi destinati al pascolo; significa che in quei campi inquinati si può ancora pascolare e che non si possono bonificare perché non c'è una legge, nonostante un rapporto dell'Istituto superiore di sanità ve lo chiedesse espressamente, perché state nascondendo ancora dati, state nascondendo altre verità.
Dov'è lo Stato a Taranto? Oggi siamo alla resa dei conti e dobbiamo ringraziare i magistrati di Taranto che, con coraggio, hanno rotto silenzi ed omertà, sapendo di iniziare un cammino difficile, impervio, lastricato di ostacoli e trabocchetti. Non possiamo prendercela con i magistrati di Taranto né con il GIP; la magistratura non è intervenuta sulla politica industriale del Paese né in questo caso e neppure in altri, ma si è comportata in modo esemplare quale custode della legge, perché non si può mettere sullo stesso piano la politica industriale di un Paese e il diritto. Sopra ogni cosa c'è il diritto, c'è la legge e quindi guai a pensare che, nel nome dello sviluppo, dei posti di lavori, del PIL e del profitto, si possa violare la legge, si possa non rispettare il diritto, si possa avvelenare. Significa che il Paese è sotto ricatto, significa che il Paese non è democratico.
Come ho potuto raccontare, i danni sono stati fatti nel tempo; il Governo in Commissione ambiente ha annunciato che parte dei soldi inseriti in questo decreto-legge saranno utilizzati per bonificare Taranto. Mi permetto di suggerire al Governo che, proprio di fronte alla drammatica crisi occupazionale di Taranto, strettamente legata alla vicenda dell'Ilva, serve un salto di qualità, un'azione di speranza. Le risorse pubbliche non devono finire a Riva, devono servire a riqualificare i lavoratori nei processi di bonifica per avviare una nuova fase a Taranto, perché la crisi dell'Ilva, con questo decreto-legge, è solo rinviata.
Il Governo ha dichiarato che la riapertura dell'AIA è un successo; mi permetto di ricordare che quella stessa AIA è stata approvata durante il precedente Governo quando lei, Ministro, era direttore generale, ed oggi è Ministro. Anche allora la chiusura dell'AIA fu considerata un successo: i cittadini di fronte a queste contraddizioni come possono fidarsi dello Stato? Come possono controllare i processi decisionali? Come si può garantire l'azione di controllo? L'azione di controllo si garantisce in un solo modo: con la partecipazione attiva dei cittadini. Le chiedo pertanto a proposito del procedimento dell'AIA, gentile Ministro, che possano partecipare le associazioni di liberi cittadini di Taranto. A loro va riconosciuto l'impegno civile e la competenza, sono i cittadini, soggetti legittimati, a sedere al tavolo dell'AIA, lo dice persino la normativa comunitaria e lo dice il protocollo di Aarhus.
Taranto non può vivere per sempre con il naso ficcato nei camini dell'Ilva, dovete programmare un altro modello di sviluppo, dobbiamo programmare un altro modello di sviluppo per la città, che possa prescindere anche dalla sopravvivenza o meno dell'Ilva e questo decreto-legge ovviamente non lo fa, non poteva farlo. Ecco perché le chiedo di utilizzare i fondi per riqualificare il personale, quei lavoratori da impegnare nei processi di bonifica, perché non si perda neppure un posto di lavoro. Questo sarebbe uno Stato serio, che sa guardare al futuro e che non abbandona i propri cittadini.
Ma andiamo a vedere meglio la sostanza di questo decreto-legge, che arriva con pochi soldi in tasca, assolutamente inadeguato, una scatola vuota. Proviamo a fare un po' di conti, signor Ministro: sono 336 milioni di euro che dite di mettere a disposizione per il sito di interesse nazionale di Taranto; di questi, 7 milioni li mette un privato e 329 milioni li mette il pubblico. Dei 329 milioni di euro pubblici, Pag. 9119 milioni sono quelli destinati alle bonifiche ma ad oggi in cassaforte, di soldi veri per le bonifiche, ce ne sono appena 79 milioni, e di questi 79 milioni 59 milioni sono della regione Puglia perché erano già destinati alla regione Puglia. Il Ministro ne mette appena 20 di milioni.
Quindi, questo è un decreto-legge bluff. Secondo alcune valutazioni approssimative, per la bonifica del sito di interesse nazionale di Taranto, servirebbero non meno di 4 miliardi di euro. Altri 4 miliardi di euro - secondo fonti sindacali - servirebbero per ambientalizzare l'Ilva, che ad oggi ha messo 146 milioni. Non dico una novità: per Porto Marghera, le stime del business plan, prevedevano un miliardo 800 milioni di euro per la bonifica; ad oggi ne sono stati spesi 5 di miliardi e i lavori non sono terminati. Le do alcune cifre: secondo uno studio di Vincenzo Popio, dottore di scienze marine e ambientali, per bonificare Taranto teoricamente servirebbero 15 miliardi di euro, cui vanno aggiunti 13 miliardi di euro per la bonifica dei due mari. Comunque, anche prendendo in considerazione la relazione tecnica della regione Puglia, per la bonifica della falda superficiale del sito di interesse nazionale Taranto, del quartiere Tamburi e del Mar Piccolo, servirebbero 116 di milioni di euro, cioè ben al di sopra dei 79 milioni che voi, di fatto, prevedete in questo provvedimento.
Voi ci state portando, cioè, un decreto-legge inutile, rispetto all'enormità dei danni, all'inquinamento delle falde acquifere, all'avvelenamento da diossina di metalli pesanti, al costo sociale e sanitario che ogni giorno Taranto paga e che carica sullo Stato. Poi, in questo decreto-legge dov'è quel principio dell'Unione europea che dice che chi inquina paga? Alla fine, a pagare sono sempre i cittadini con la salute, con il lavoro che perdono e con maggiori tasse. Vorremmo conoscere come controllerete i milioni di euro di questo decreto-legge, e con quali garanzie di trasparenza e impermeabilità a cricche e organizzazioni criminali. Possiamo fidarci di questo Stato? Possiamo fidarci di chi avrebbe dovuto controllare l'Ilva e non l'ha fatto? Possiamo fidarci di chi afferma che prima della legge e del diritto ci sono il profitto e la politica industriale? No Ministro, non possiamo fidarci di voi. Questo decreto-legge è un bluff, arriva tardi, senza soldi, non garantisce trasparenza e, quindi, non risolve nessun problema di Taranto.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Peluffo. Ne ha facoltà.

VINICIO GIUSEPPE GUIDO PELUFFO. Signor Presidente, rappresentanti del Governo, signor Ministro, colleghi deputati, credo che in quest'Aula siamo tutti consapevoli del contesto in cui svolgiamo questa discussione sulle linee generali, per l'attenzione mediatica, per la pressione legittima dell'opinione pubblica, che insiste su una preoccupazione per la propria salute, per gli interrogativi che a Taranto ci sono sugli effetti delle emissioni dell'Ilva nel passato e nel presente, per le domande irrisolte sull'efficacia della vigilanza. Sono sentimenti che costituiscono una fonte di angoscia crescente nella comunità tarantina, cui si aggiungono le domande sul futuro dei lavoratori dell'Ilva e dell'indotto. Qui è giusto e utile ricordare il rilievo economico dell'Ilva, che rappresenta il 75 per cento del PIL di Taranto e il 40 per cento della produzione dell'acciaio italiano. Quindi, parlare dell'Ilva significa parlare degli effetti sulla filiera dell'acciaio, sugli altri siti siderurgici e delle conseguenze sull'intero assetto della produzione industriale nel nostro Paese. Le scelte compiute in questo frangente saranno allora anche da esempio per altri siti in attesa di bonifica, che guardano con attenzione e speranza perché si trovi la via concreta per coniugare ambiente, diritto alla salute e diritto al lavoro, evitando contrapposizioni tra diritti, tutti tutelati dalla Costituzione. Non possiamo fare peraltro un salto indietro di alcuni decenni e tornare nella trappola dell'alternativa tra ambiente e lavoro, ossia a quella cultura da cui è nata anche l'Italsider, che ha prodotto tanti disastri e non ha più ragione di essere, per le innovazioni tecnologiche di questi decenni e per la continua Pag. 10innovazione legislativa sulla tutela della salute e l'incentivazione alle soluzioni più avanzate.
Lo ha ricordato il Ministro nell'audizione alle Commissioni congiunte del 14 agosto, dicendoci che tutte le direttive europee in materia ambientale, dalla metà degli anni Ottanta ad oggi, in tutti i settori, dall'automobile alla siderurgia, alla chimica, alla carta e ai trasporti in generale, hanno avuto come obiettivo la modificazione delle tecnologie e hanno cambiato il sistema industriale europeo.
Le tecnologie che ci sono oggi nelle fabbriche, che si usano per produrre le automobili e quant'altro, non sono il risultato di un disegno industriale, bensì della scelta di assumere gli obiettivi di qualità ambientale come driver per lo sviluppo industriale. Voglio ricordare, inoltre, che anche l'interessamento economico, opportunamente indirizzato, è una potente molla per il risanamento.
Cito ancora il Ministro Clini che, sempre in quell'audizione, ricordava che è vero che chiudere gli impianti vuole dire creare un effetto ambientale difficilmente governabile, soprattutto nel ciclo della siderurgia di Taranto; la chiusura degli impianti vuole dire, prima di tutto, l'apertura di una vertenza, che non si sa quando possa finire, tra l'impresa e le amministrazioni locali e tra l'impresa e la magistratura, ma significa anche non avere più la leva della produzione, cioè dell'interesse ad investire.
Se poi non vi fosse l'impresa ad investire, occorre considerare se vi sia la possibilità che il pubblico subentri per fare il risanamento. Lo dico anche per esperienza personale a proposito di quanto sia fondamentale l'interesse economico come molla per il risanamento, riferendomi all'esperienza di chi, come me, è nato, cresciuto e risiede nel nord-ovest milanese, dove ci siamo abituati a vedere, nel corso dei decenni, le tante aziende metalmeccaniche, con le eccellenze come l'Alfa Romeo, con il comparto della chimica, e, tra queste, quella raffineria di Rho-Pero che insisteva su un milione e 200 mila metri quadri, che è stata bonificata.
Quella bonifica è stata resa possibile dalla realizzazione su quel sito del Polo Esterno di Fiera Milano. Ossia, nel momento in cui era finita una storia produttiva, la possibilità concreta di risanamento è stata data da scelte delle istituzioni e dall'interesse economico alla realizzazione del Polo Esterno di Fiera Milano.
Si sono fatte allora delle scelte di altre produzioni, di altre vocazioni, come quella del terziario avanzato. Per l'Ilva la strada è ancora più difficile: si tratta di innovare producendo, di mantenere l'interesse per il risanamento ambientale.
Adesso vorrei citare il Ministro non per l'audizione del 14 agosto, ma per una sua dichiarazione, non in sede istituzionale, che ho visto riportata su alcuni quotidiani, quando egli ha dichiarato che forse - sottolineo forse - a Taranto riusciremo a fare, per la prima volta in Europa, un'operazione di risanamento ambientale in un centro siderurgico, garantendo la competitività della produzione e la continuità delle attività produttive.
Ecco, dobbiamo lavorare su quel «forse». Il lavoro di quest'Aula, senza proclami, ma con ragionamenti, con impegni, con scelte e con l'attenzione continua, deve andare in questa direzione, senza sviare, senza farsi prendere da altre discussioni, altrettanto importanti, ma che non costituiscono l'elemento centrale in questo momento.
Lo dico perché credo sia importante mettere un punto fermo sul fatto che la magistratura fa il suo dovere: è stata in questa vicenda custode della legge e della sua applicazione per accertare e punire violazioni, interferenze, omissioni, ieri come oggi, ed è stata anche potente acceleratore della ricerca di soluzioni definitive.
E se anche dovessero emergere delle diversità nei provvedimenti di diversi organi della magistratura, dovrebbe essere sempre quest'ultima, autonomamente, a districare questo nodo. Lo dico perché è stato ripetuto, a partire dal Ministro, «no» Pag. 11ai conflitti con la magistratura. Io dico anche «no» a un dibattito ripiegato su questi elementi, come è stato, a tratti, quello in Commissione. Concentriamoci, dicevo allora, sul percorso per dare soluzioni a tutela del diritto alla salute e alla possibilità di mantenere, innovando, un presidio industriale fondamentale come l'Ilva a Taranto.
Un percorso fatto dal lavoro dei custodi nominati dal tribunale, che vedo stanno ora definendo il programma impianto per impianto. A loro sono affidate le soluzioni tecniche che la procura dovrà poi vagliare, ma un punto fermo i magistrati lo hanno già messo riguardo al parco minerario.
Stop ai nuovi arrivi di materie prime, riduzione dei cumuli in giacenza, adozione di rimedi che evitino la diffusione delle polveri. Credo sia giusto il rilievo fatto dai sindacati che osservano che bloccare le materie prime vuol dire creare le condizioni perché poi si fermi tutta la fabbrica.
Quindi è necessario accelerare, così come è stato detto, a partire dal riesame della procedura di autorizzazione integrata ambientale - così come descritta anche prima dal Ministro - con il recepimento delle nuove direttive europee in materia di best available techniques, anticipandole di tre anni rispetto al 2016, recependo le leggi regionali, recependo le disposizioni del GIP nella parte che riguarda il risanamento degli impianti, ossia quella parte dove gli obiettivi individuati riguardano l'integrazione dell'Aia del 4 agosto 2011, con le disposizioni per il monitoraggio delle emissioni, con la registrazione documentale dei fenomeni di slopping e con gli interventi nella sezione delle cokerie, finalizzati all'attivazione della videosorveglianza e alla riduzione delle emissioni di benzoapirene, soprattutto con riferimento, ovviamente, all'esposizione del quartiere Tamburi di Taranto. Questo definirà gli impegni dell'Ilva.
In buona sostanza, si tratta di scelte vere. Spero che questo corrisponda anche ad un abbandono definitivo da parte dell'azienda di quella politica dei ricorsi che aveva utilizzato per anni prima dell'arrivo del presidente Ferrante. Credo che la partita vera si giocherà proprio sulle cose che deciderà di fare Ilva.
Le considerazioni finora svolte, signor Presidente, mi consentono di mettere a fuoco, infine, alcuni elementi dell'atto parlamentare in corso, ossia del disegno di legge di conversione del decreto-legge 7 agosto 2012, n. 129, con la consapevolezza, come ha detto prima il relatore Vico, che si tratta solo dell'inizio di un percorso per fornire una soluzione, per togliere quel «forse» dalla dichiarazione del Ministro Clini che ho citato in precedenza.
Nel merito dell'articolato, sull'articolo 1 intendo rilevare, signor Presidente, che, per quanto riguarda il commissario - come hanno già detto diversi colleghi in sede di discussione in Commissione - è necessario accelerare sulla nomina ed è necessario anche, credo, considerare con maggiore attenzione l'elemento della proroga prevista che deve avere anch'essa tempi certi.
Per quanto riguarda l'articolo 2, su cui si è soffermato l'onorevole Vico in qualità di relatore, vorrei anche sottolineare che, tra gli obiettivi elencati dallo stesso articolo e dal richiamato Protocollo d'intesa, sono individuati determinati interventi di politica industriale quali lo sviluppo di misure infrastrutturali e anche complementari alla bonifica, azioni volte al mantenimento e al potenziamento dei livelli occupazionali - garantendo in questo modo lo sviluppo sostenibile dell'area -, l'incentivazione per le imprese già insediate che intendano utilizzare tecnologie dotate di caratteristiche ambientali migliori rispetto ai limiti posti dalla normativa settoriale e comunitaria e, infine, incentivi per l'attrazione di investimenti al fine della riqualificazione dell'area.
In conclusione, si tratta di un provvedimento certamente limitato, che fa leva su risorse già previste. Non si tratta di un decreto-legge per l'Ilva, perché questa dovrà mettere le risorse in ragione della revisione operata dall'AIA e del lavoro dei custodi degli impianti. È un decreto-legge per Taranto. Recuperiamo con questo il Pag. 12tempo perduto e affrontiamo l'esame del disegno di legge di conversione del decreto-legge in oggetto, con questo spirito (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Abrignani. Ne ha facoltà.

IGNAZIO ABRIGNANI. Signor Presidente, signor Ministro, onorevoli colleghi, il presente provvedimento ha lo scopo di intervenire, con tempestività ed urgenza, al fine di fronteggiare le gravi situazioni di criticità ambientale e sanitaria venutesi a verificare di recente in relazione al sito di bonifica di interesse nazionale di Taranto - individuato altresì, al punto 2, come sito di preminente interesse pubblico per la riconversione industriale - e di dare attuazione agli interventi previsti dal Protocollo d'intesa del 26 luglio 2012.
Questo importante protocollo di intesa, come sappiamo, ha avuto degli sviluppi successivi. Vi sono state numerose attività, a cominciare, non ce lo possiamo certo nascondere, da quella dei giudici penali che, con attività, secondo loro, suppletiva, hanno previsto la chiusura degli impianti del ciclo integrato a caldo, successivamente affidati ai custodi giudiziari come strategia di risanamento degli impianti, e i successivi interventi del GIP del 10 e dell'11 agosto. Ci sono state attività anche del Parlamento - ricordiamo la nostra riunione del 14 agosto - e, infine, in data 17 agosto, il Ministro dello sviluppo economico e il Ministro dell'ambiente hanno incontrato - lo ricordiamo tutti - a Taranto, le parti sociali e gli enti locali coinvolti.
Anche io ricordo come questo decreto-legge, molto semplice, sia contenuto fondamentalmente in due articoli: l'articolo 1 e l'articolo 2. Nell'articolo 1 - proprio al fine di fronteggiare le connesse ricadute sociali e occupazionali - si è ritenuto opportuno immediatamente nominare un commissario straordinario a cui affidare l'attuazione urgente, con i poteri straordinari previsti dalle nostre leggi, anche al fine di accelerare il risanamento ambientale del succitato sito di Taranto e nel contempo di sviluppare interventi di riqualificazione produttiva e infrastrutturale, anche complementari alla bonifica, nonché di individuare misure volte al mantenimento e al potenziamento dei livelli occupazionali, garantendo in tal modo lo sviluppo sostenibile dell'area. È stata assegnata al medesimo commissario, in via di urgenza, la somma di 20 milioni di euro e le risorse sono state assegnate alla regione Puglia per i successivi interventi. Sono stati fatti salvi anche gli interventi di carattere portuale previsti con risorse proprie dalle relative Autorità portuali in coordinamento con il nuovo commissario.
All'articolo 2, forse di maggiore interesse per quanto riguarda la nostra X Commissione (Attività produttive), si prevede proprio il riconoscimento dell'area industriale di Taranto quale area di crisi industriale complessa. Tra l'altro, tra gli obiettivi elencati all'articolo 2, sono individuati determinati interventi di politica industriale, quale lo sviluppo di misure infrastrutturali, il mantenimento e il potenziamento dei livelli occupazionali, l'incentivazione delle imprese già insediate che intendono utilizzare tecnologie dotate di caratteristiche ambientali e infine incentivi - questo è importante - per l'attuazione di investimenti al fine della riqualificazione dell'area. Complessivamente, com'è stato ora ricordato da chi mi ha preceduto - sono interventi per circa 336 milioni di euro da parte dello Stato, di cui 30 milioni finanziati attraverso il polo ricerca.
Ebbene, questo è un po' il testo del decreto-legge che quest'Aula si prepara a votare da oggi nei prossimi giorni, ma sappiamo che il problema siderurgico non è solo un problema di Taranto ma, come prima il Ministro nel suo breve intervento ha ricordato, è un modo di sviluppo del nostro Paese. Il giro d'affari dell'acciaio - che gira sicuramente intorno all'Ilva di Taranto ma non solo - con tutto il suo procedimento e il suo indotto, vale circa otto miliardi. E allora, di fronte a questa ricchezza che il nostro Paese riesce a Pag. 13produrre, di fronte a questo primato, sorge ancora una volta una domanda e viene da chiedersi: perché, cari colleghi, dobbiamo regalare questo valore ai nostri competitor europei e mondiali? Perché, poi, alla fine, questo succederebbe: chiusa l'Ilva di Taranto si chiuderebbe il ciclo produttivo della siderurgia del nostro Paese. È dell'altro ieri un provvedimento del giudice penale che prevedeva l'impossibilità da parte dell'Ilva di procurarsi materia prima. Voi sapete bene che qualsiasi azienda che non è in grado di procurarsi materia prima, dopo poco cessa l'attività e le conseguenze sarebbero lo stesso devastanti. Allora dobbiamo intervenire rapidamente perché, come sappiamo, il problema non è un problema solo siderurgico o industriale. Non possiamo certamente trascurare o sottovalutare il problema ambientale.
Ma non è, a mio parere, impoverendo ancora una volta il nostro Paese, che risolveremo questo problema. Nessuno, penso, che scientificamente voglia il male dei tarantini. È chiaro che poi le tecnologie, che lo sviluppo di un Paese e la modernità devono riuscire a risolvere quei problemi che si evidenziano man mano. Allora bisogna indubbiamente investire per riqualificare l'ambiente. E, al riguardo, direi, che il Governo si è espresso più volte e non ha soltanto promesso questi interventi.
Il Governo ha già cominciato a lavorarci, stanziando fondi e predisponendo procedure. Più volte, segnalando l'attenzione al problema, i Ministri si sono recati in Puglia ed hanno parlato con gli enti locali e con la regione, prevedendo attività. Per esempio, abbiamo visto l'intervento di bonifica attraverso il polo ricerca (circa 30 milioni), o il Fondo rotativo per Kyoto. Le somme non sono state soltanto promesse, sono state anche individuate e mi auguro che saranno anche messe a disposizione. Però c'è anche un altro aspetto che non possiamo sottovalutare: il precedente Governo Berlusconi (tra l'altro l'attuale Ministro in qualche modo ci lavorava come direttore) aveva previsto severe prescrizioni per quest'Ilva (qualcuno lo ha ricordato), però sicuramente ad oggi queste prescrizioni non sono state rispettate. Pertanto chiediamo ulteriormente, oltre ad intervenire direttamente stanziando fondi, operando in seno alla proprietà, di svolgere anche una severa attività di controllo. La proprietà fa parte sicuramente del ciclo produttivo che crea ricchezza, ma certamente deve fare la propria parte in relazione alla sicurezza dell'ambiente, per cui quelle prescrizioni che - mi sembra - erano un numero abbastanza considerevole devono essere assolutamente rispettate. Occorre controllare che la proprietà sviluppi e si occupi di queste prescrizioni.
Vi è un difficile equilibrio - lo riconosco, è il primo che cito come equilibrio - a Taranto. Qualcuno lo ha ricordato, non possiamo certamente mettere il diritto al lavoro e quello alla salute sullo stesso piano, perché è il diritto alla salute che sicuramente, a mio parere, viene prima. Però in un Mezzogiorno così ridotto male da un punto di vista del lavoro anche il diritto al lavoro diventa (non solo costituzionalmente, ma dal punto di vista della stessa sopravvivenza) un diritto fondamentale. Allora è su questo che noi dobbiamo operare. Non è un diritto di secondo piano, è un diritto che dà sviluppo ai tarantini e ai loro figli. Allora quello che chiediamo al Governo (oggi qui rappresentato dal Ministro) è operare per questo punto. È una sfida difficile, ma in un momento in cui il nostro Paese sta sicuramente affrontando, con questo Governo, sfide difficili, dobbiamo cercare di dare dimostrazione di vincere anche questa. Sicuramente il Parlamento - ho sentito prima anche l'intervento del collega del PD -, questa maggioranza che vi sostiene vi saranno vicini, per aiutare in questo lavoro ma anche per controllare che il lavoro parta, il vostro lavoro, le procedure, i fondi, che i soldi arrivino e che non vadano perduti magari in altri rivoli. Lo dobbiamo sicuramente ai tarantini che ci guardano con attenzione, con speranza per loro e per i loro figli, ma lo dobbiamo anche un po' a tutti noi, a tutti gli altri. Dobbiamo dimostrare come Paese di essere in grado di sovvertire situazioni difficili, Pag. 14che siamo ancora un Paese industriale e industrializzato e vogliamo continuare ad esserlo. Non vogliamo certo uscire ancora da un campo; in troppi campi negli ultimi anni il nostro Paese ha abbandonato l'industria. Cito i telefonini, ma potrei citarne tanti altri. La siderurgia che vale per noi almeno otto miliardi non è certamente un campo (e migliaia di occupati) da abbandonare. Sono convinto che questo equilibrio lo riusciamo a raggiungere.
Il signor Ministro, che ci ha fatto compagnia in questo 14 agosto qui alla Camera, ci ha detto che è possibile bonificare quel sito, che è possibile andare avanti con il lavoro. Certo, ha detto che sicuramente sarà un lavoro difficile, sarà un lavoro duro, la proprietà dovrà svolgere il suo compito, ed è questo che noi dobbiamo controllare. Dobbiamo tutelare il diritto al lavoro dei tarantini e dobbiamo tutelare la loro salute. Certo (permettetemi di dirlo da siciliano così faccio contento qualcuno qui della Lega presente), non dobbiamo noi al Sud soltanto aspettare la soluzione da Roma, noi dobbiamo rimboccarci le maniche. I tarantini stessi devono insieme alla proprietà operare per questo e lavorare per le soluzioni più giuste sia per il lavoro sia per la salute. Questo è il secondo equilibrio che chiedo al Governo di realizzare: tra quelli che sono i soldi pubblici, che sicuramente sono stati promessi, stanziati e arriveranno, e che quelli che sono i soldi dei privati. Non vorremmo mai tra qualche tempo scoprire che i soldi pubblici sono stati spesi e quelli privati no. Dev'essere un incontro tra due soggetti, pubblico e privato, che deve funzionare per arrivare ad una soluzione. Certamente gli utili dell'Ilva non vanno ai tarantini.
Ma, certamente, gli stipendi che l'Ilva paga tutti i mesi servono per mandare avanti tante famiglie e la città di Taranto. E allora, è per questo soprattutto che l'Ilva non può chiudere; per questo noi chiediamo che il Governo operi, sia sul fronte delle procedure, sia sul fronte dell'attività, ma soprattutto sul fronte dei controlli, in maniera da poter dare una speranza ai tarantini che i loro stipendi continueranno ad essere pagati, che il loro lavoro non verrà perso, ma che piano piano quel sito verrà bonificato e non ci saranno più problemi per i loro figli. È per questo che oggi ritengo, signor Ministro, che il nostro deve essere un augurio di buon e difficile lavoro ed è per questi motivi che il mio partito, il PdL, seguirà con attenzione l'iter in Aula del decreto-legge, augurandoci una veloce approvazione, per la quale sicuramente noi esprimeremo un voto favorevole (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Mondello. Ne ha facoltà.

GABRIELLA MONDELLO. Signor Presidente, signor Ministro, colleghi, intervengo come rappresentante del gruppo Unione di Centro su un provvedimento inerente la conversione in legge del decreto-legge 7 agosto 2012, n. 129, recante disposizioni urgenti per il risanamento ambientale e la riqualificazione del territorio della città di Taranto. Lo faccio animata da sincera partecipazione ed interesse perché da sempre ritengo, e non solo da ora in piena crisi occupazionale, che il lavoro sia di fondamentale importanza nella società e perché, come componente dell'VIII Commissione, da sempre mi stanno a cuore i temi ambientali. Di quanto sia importante la questione lavoro, anzi l'emergenza lavoro, lo dimostrano in queste ore gli operai dell'Alcoa, a cui esprimo personalmente la mia vicinanza, con l'auspicio che si trovi una soluzione. La questione Ilva è deflagrata nel cuore di un'estate già densa di problemi economici, mettendo l'uno contro l'altro due valori come l'occupazione e la salute, tanto che si è arrivati al punto di vedere manifestazioni contrapposte di cittadini, gli uni in difesa dell'occupazione, gli altri in difesa del diritto alla salute.
Vanno svolte alcune considerazioni in merito. La bonifica dell'area di Taranto deve fronteggiare un inquinamento che deriva da circa cinquant'anni di industrializzazione pesante, ben antecedente alla Pag. 15privatizzazione dell'Ilva. Si afferma che, con il sequestro dell'Ilva, 5 mila lavoratori andrebbero a casa, ma, in realtà, sarebbero molti di più, forse il doppio, se si calcola tutto l'indotto e anche il porto di Taranto alimentato al 75 per cento dall'Ilva. È un intero sistema produttivo che rischia, perché l'Ilva è la più grande acciaieria europea ed ha grande importanza per l'economia nazionale. La siderurgia italiana è un sistema che esprime 30 mila posti di lavoro e ci sono pezzi importantissimi dell'economia e del manifatturiero alimentati dalle produzioni di Taranto. Se venisse confermato il sequestro dell'Ilva di Taranto, financo la chiusura dell'impianto - e pongo questo concetto in assoluto rilievo come parlamentare ligure -, sarebbero a rischio pure gli stabilimenti di Genova e Novi Ligure, che dipendono da Taranto. Il presidente dell'Ilva, Bruno Ferrante, ha affermato nel corso dell'audizione presso la Commissione parlamentare bicamerale sui rifiuti che chiudere Taranto significa chiudere anche Genova e Novi Ligure. Questo annuncio evidenza l'effetto domino che sarebbe un evento tragico e decisivo, con più di 20 mila posti di lavoro che rischierebbero di scomparire.
Le ripercussioni sullo stabilimento genovese sarebbero gravissime e si assisterebbe ad una vera ingiustizia perché si pagherebbero colpe altrui, visto che a Genova, grazie ad un accordo di programma del 2005, ci fu una riconversione della produzione che permise di salvaguardare molti posti di lavoro e al tempo stesso di tutelare ambiente e salute. Ribadisco la fiducia nell'operato della magistratura che ha sollevato il problema e posto le istituzioni e la proprietà di fronte alle proprie responsabilità eluse per tanto, troppo tempo.
Tuttavia non si può e non si deve affrontare il problema arrivando a decisioni drastiche per gli effetti dirompenti sull'economia e sull'occupazione che lo stop forzato alla più grande acciaieria europea può provocare. L'ambientalizzazione della fabbrica, insieme alla bonifica dei guasti del passato, resta la richiesta che viene avanzata. L'arcivescovo di Taranto, Filippo Santoro, ha detto: saluto con favore l'accellerarsi dell'azione politica di questi giorni ed il coinvolgimento del Governo, che risponde alla necessità di far assurgere il caso Taranto a questione nazionale.
Per giungere alla conciliazione tra diritto al lavoro e quello alla salute sarà necessaria la disponibilità ed il sacrificio di tutte le parti in causa, che devono mostrare senso di responsabilità nella direzione del bene comune. Di fronte alle manifestazioni dei dipendenti - a cui come gruppo Unione di Centro, particolarmente sensibile alle tematiche sociali, siamo vicini -, all'apprensione delle famiglie, alle preoccupazioni delle altre attività anche il Presidente Napolitano è intervenuto e ha dichiarato che deve essere possibile, nel pieno rispetto dell'autonomia della magistratura e delle sue valutazioni ai fini dell'applicazione della legge, giungere a soluzioni che garantiscano la continuità e lo sviluppo dell'attività in un settore di strategica importanza nazionale, fonte rilevantissima di occupazione, in particolare per Taranto e la Puglia, e insieme procedere senza ulteriori indugi agli interventi spettanti all'impresa e alle iniziative del Governo nazionale e degli enti locali che risultino indispensabili per un pieno adeguamento alle direttive europee e alle norme per la protezione dell'ambiente e la tutela della salute dei cittadini.
Il Ministro Clini, che ringraziamo per l'intenso lavoro che ha svolto, in un periodo fra l'altro anche molto difficile per il reperimento delle persone, ha dichiarato: «All'Ilva non regaliamo nulla: l'azienda dovrà affrontare investimenti ambientali impegnativi per allinearsi ai migliori standard europei». In ogni caso, il Ministro Clini precisa che i danni causati dagli impianti non è detto che siano stati causati dagli impianti attuali. Bisogna considerare che l'impianto siderurgico ha avuto evidenti impatti sull'ambiente e sulla salute, ma, come ha sostenuto sempre il Ministro dell'ambiente, gli effetti negativi vanno messi in relazione alle normative Pag. 16del tempo ed alle autorizzazioni nel tempo ricevute dagli impianti, come è accaduto per tutti gli impianti del genere in Europa. Inoltre, se pensiamo al quartiere Tamburi, così a ridosso degli impianti, la responsabilità è da ricercarsi nel passato, nella scelta, compiuta nella seconda parte degli anni Sessanta, della collocazione, così vicina alle case delle rione dell'area parchi. Allora si pensava soprattutto all'occupazione, a creare reddito, e non c'era ancora una coscienza ambientale, che è andata maturando solo nei decenni successivi. Ora bisogna procedere con celerità ed impegno: questo a parer nostro sta accadendo, come dimostrano l'impegno del Governo con moltissimi incontri e molti suoi esponenti in prima linea, a cominciare dal Premier Mario Monti, che in occasione dell'inaugurazione della Fiera del Levante ha sottolineato l'impegno finanziario del Governo per la bonifica.
Il decreto concernente disposizioni urgenti per il risanamento ambientale e la riqualificazione del territorio della città di Taranto, composto da due articoli, è stato oggetto di approfondito esame da parte delle Commissioni competenti VIII e X ed ha ricevuto parere positivo dalle Commissioni I, V, IX, XI, XII, XIV. Dagli interventi in sede di Commissione si evince che si condivide la nomina del commissario straordinario con il compito di coordinare gli interventi, ma con compiti definiti e precisa scadenza.
A nostro parere il finanziamento previsto favorisce l'inizio di una seria politica che verrà completata dalla nuova AIA che verrà rilasciata, presumibilmente, entro il 15 ottobre, anche sulla base delle nuove norme emanate dalla Commissione europea. Qualche perplessità la suscita il fatto che vengano utilizzate risorse disponibili nello stato di previsione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per l'esercizio finanziario 2012 previste per interventi contro il dissesto idrogeologico, e quindi si invita il Governo a sostituire prontamente queste risorse che sono utilissime ed atte a prevenire disastri in un Paese esposto come il nostro.
A conclusione dell'intervento, esprimo, come gruppo Unione di Centro, la soddisfazione per il fatto che il decreto-legge sia approdato in Aula, segnando un'efficace inizio per risolvere un gravissimo problema che sta tenendo in apprensione tantissima gente (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro per il Terzo Polo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Di Biagio. Ne ha facoltà.

ALDO DI BIAGIO. Signor Presidente, signor Ministro, non è un eccesso di sintesi ma, da questa prospettiva, quanto si sta verificando in merito allo stabilimento dell'Ilva di Taranto appare come una metafora purtroppo tutta italiana nella quale si concretizzano più drammi del nostro Paese; non è facile collegare questo intervento a quella scelta politica ma sono il frutto innanzitutto di una mentalità sbagliata e di un approccio al sistema che, pur regnando da anni, hanno prodotto danni incalcolabili. Il decreto-legge in esame si inserisce in questo quadro drammatico e malgrado i limiti di questo provvedimento, soprattutto sul versante delle risorse stanziate, lo riteniamo necessario e inderogabile; per questo abbiamo voluto affrontare la questione dell'Ilva con lucidità e con la concretezza che le situazioni come queste meritano. È importante che anche quest'Aula continui con lo stesso spirito il lavoro che abbiamo svolto in Commissione; in questa prospettiva un ruolo determinante è stato svolto da lei, Ministro Clini, il cui impegno nei confronti dell'impianto tarantino e del futuro dell'area va riconosciuto e sostenuto, e certo in maniera decisa, insieme a tutto il Governo, ha contribuito ad accelerare le dinamiche di intervento nei confronti della struttura.
Appare opportuno evidenziare che ci sono tutte le condizioni affinché si avvii un meccanismo di analisi e di revisione di quella scelta, di quelle superficialità e di quella connivenza che conducono al risultato dell'Ilva. Quanto si è verificato lo scorso luglio, attraverso l'intervento della magistratura, ha evidenziato in tutta la Pag. 17sua drammaticità un insieme di carenze strutturali, di inadempienze e di superficialità che per anni ha caratterizzato gli impianti di Taranto, e malgrado l'irruenza della magistratura, questo intervento dobbiamo e vogliamo leggerlo come un'occasione irripetibile per mettere ordine, sia sul versante della gestione degli enti locali, sia sul versante delle politiche industriali del nostro Paese. Purtroppo la discussione che è andata animandosi in queste settimane sembra inquadrare intorno a Taranto una sorta di paradosso: da un lato le esigenze di tutela della salute, dell'ambiente, dei lavoratori e dei cittadini e dall'altro la salvaguardia delle attività produttive e di migliaia di posti di lavoro. Tuttavia non è così semplice. Certo, ci si trova di fronte ad un pianto antico che rimescola insieme questioni mai risolte e problemi sempre attuali ma al centro si colloca il futuro dei cittadini e di un importante distretto industriale. Fanno riflettere le parole del GIP scritte sull'ordinanza secondo le quali chi gestiva e gestisce l'Ilva ha continuato nell'attività inquinante con coscienza e volontà per la logica del profitto, calpestando le più elementari regole di sicurezza. Dinanzi a questa evidenza appare imprescindibile avviare anche una corretta riflessione su quelle che sono le priorità che il Paese, in questo momento, deve rispettare. Sicuramente la politica industriale rappresenta un tassello peculiare del sistema economico di un Paese, ma non si può assolutamente pensare che l'esasperazione di questo avvenga in deroga al diritto legittimo alla tutela della salute dei cittadini di oggi e di quelli che verranno.
La priorità, per un Paese moderno, sarebbe quella di garantire efficienti sistemi di produzione industriale in armonia con livelli adeguati di sostenibilità ambientale. Non è fantascienza, è quanto si verifica nei Paesi virtuosi, dove lo sviluppo economico va di pari passo con il benessere dei cittadini: una prospettiva quasi assente nel nostro Paese, ma che abbiamo la possibilità di cominciare a costruire da oggi. Fosse, davvero, non tutti i mali vengono per nuocere, ma lo stabilimento dell'Ilva, per rientrare nei parametri di non inquinamento e, dunque, di sostenibilità, dovrebbe essere completamente riadeguato. Servono a poco le misure tampone, ma di pari passo dovrebbe essere avviata una revisione del modus operandi della classe dirigente, e parliamo tanto sul versante della proprietà quanto della politica nazionale e locale. Sappiamo che la staticità di questi protagonisti è stata evidente quanto dannosa. Vogliamo che il nostro Paese non continui a soffrire sotto i colpi di una politica industriale basata sulle connivenze, sulle clientele e senza un briciolo di programmazione, lungimiranza e visione del futuro.
Cosa vogliamo fare del nostro Paese? Impianti come quello di Taranto sono vitali per l'economia. In Italia, gli impianti di produzione e trasformazione dell'acciaio da materie prime, attraverso il cosiddetto ciclo integrale, hanno rappresentato una voce imprescindibile del sistema economico-industriale degli ultimi decenni, una filiera che oggi merita di essere tutelata, rafforzata e migliorata, cosa che non è stata fatta negli ultimi anni. Una potenziale competitività del Paese si fonda proprio su queste filiere e sulla capacità di queste di essere valide e operative. Ma cosa è stato fatto in questa direzione? Vi è l'urgenza di mantenere in Italia la produzione e la trasformazione dell'acciaio, garantendo, nel contempo, adeguati investimenti in innovazione e tecnologia, che vadano di pari passo con il rispetto dell'ambiente.
Come ha suggerito il Presidente Monti: il sito deve continuare a produrre e farlo in modo sostenibile, tecnologicamente avanzato e rispettoso dell'ambiente. Non si possono assolutamente scindere i due versanti. In tal senso, mantenere una visione di insieme rappresenta, in questo momento, un valore aggiunto. Ma ci rendiamo conto delle condizioni in cui versano gli impianti e i macchinari dell'Ilva? Sono rimasti gli stessi da molti anni, senza un minimo di rinnovamento e di riadeguamento agli standard tecnologici che, sappiamo bene, si evolvono a notevole velocità. Il paradosso sta nel fatto che i Pag. 18nostri giovani, nelle università italiane e anche all'estero, fanno ricerca e sperimentano nuove tecnologie, che fanno grandi le industrie dei Paesi esteri e che da noi restano un'illusione e spesso sulla carta, in assenza di adeguati investimenti delle classi dirigenti.
Peccato, poi, che queste risorse non siano state spese per l'innovazione e per creare anche occupazione giovanile, e vengono poi urgentemente sbloccate per tamponare le emergenze. Questa, ahimè, continua a essere l'italian way: tirare a campare fino a quando il castello di carte non crolla, e lì intervenire con misure straordinarie.
Dovremmo avere la capacità di trarre una lezione da tutto questo: sarebbe un'occasione per lasciare alle spalle anni di decadentismo, per procedere a una fase nuova, una fase operativa fatta di scelte chiare e di armonia tra i diversi attori coinvolti e di progetti validi e innovativi, ma anche un'occasione per ragionare su tutti gli errori del passato e sul ruolo avuto dalla classe dirigente in questi siti, oggi dichiarati di interesse nazionale per le bonifiche e a cui dovrebbero essere destinate risorse per la riqualificazione ambientale. Ricordiamo che, attualmente, sono 57 i siti compresi nella programmazione nazionale di bonifica, che corrispondono con i maggiori agglomerati industriali del Paese. Questo dato allarmante dovrebbe farci riflettere. Le richieste di intervento e di approfondimento parlamentare sull'argomento non sono mancate in questi anni, ma purtroppo a nulla hanno condotto.
Sicuramente le risorse, non proprio cospicue, sono da considerarsi un limite, e sicuramente il fatto che siano state detratte da capitoli come quello della tutela del suolo non ci rallegra. L'Ilva è la metafora di una politica industriale malata e del fallimento degli interventi finora auspicati e delineati.
Tuttavia, come abbiamo detto più volte, non esiste solo l'Ilva e le opere di riqualificazione, comprese quelle per l'Ilva, sono difficili a farsi con gli stanziamenti programmati, per cui molto ancora bisogna fare e certamente non bisogna abbassare la guardia una volta calati i riflettori.
Il nostro Paese ha gli strumenti e le idee per poter fare di più, ripartendo dal risanamento di quanto è stato deturpato e ricreando sulle ceneri degli errori le possibilità del futuro. Le opere di bonifica devono essere all'ordine del giorno della politica di risanamento industriale e ambientale del nostro Paese. Non devono spaventare per gli alti costi e non devono essere ricettacolo per i soliti noti imprenditori, ma trasformarsi da urgenza ad opportunità, una opportunità per creare sviluppo e posti di lavoro, per mettere la lungimiranza e la meritocrazia al centro di una rinnovata politica industriale chiudendo finalmente il capitolo delle commesse clientelari e dei dati sanitari falsati.
Parafrasando quanto recentemente ha evidenziato lei, signor Ministro, in una intervista a proposito dell'Iva e che possiamo estendere a tutte le aree a rischio in Italia, la soluzione migliore sta nella realizzazione di impianti ad alta tecnologia, che hanno sicuramente un grande costo, ma questo costo deve inquadrarsi in un investimento, perché metterebbe l'Italia in grado di avere una tecnologia all'avanguardia, vendibile a livello internazionale.
Ciò conferma che prima delle risorse, prima degli stanziamenti e prima ancora dei progetti di risanamento, il principale intervento va fatto sulla mentalità del Belpaese. Noi crediamo che tutto questo sia possibile, perché crediamo in un'Italia migliore, che sia un'eredità sana e costruttiva per le generazioni future. Per questo il mio gruppo, Futuro e Libertà, si impegna a fare in modo che questo decreto trovi una rapida attuazione (Applausi dei deputati del gruppo Futuro e Libertà per il Terzo Polo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Morassut. Ne ha facoltà.

ROBERTO MORASSUT. Signor Presidente, il provvedimento in esame traduce nel concreto quanto stabilito già dal Protocollo di intesa sottoscritto il 26 luglio da vari Ministeri, enti locali ed amministrazioni Pag. 19pubbliche per il risanamento ambientale e la riqualificazione del territorio dell'area metropolitana di Taranto e per la prosecuzione della attività produttiva del complesso siderurgico dell'ILVA. Si tratta di interventi che, pur nella loro immediatezza emergenziale e anche nella loro parzialità, condividiamo, e che mettono in campo risorse e procedure eccezionali, tra cui la nomina di un commissario straordinario, per dare una risposta rapida alla grave situazione determinatasi nel corso degli ultimi mesi nella città e nella provincia.
Tuttavia, pur sostenendo e condividendo la linea e l'azione del Governo, implementata in questi mesi dal contributo dei gruppi parlamentari e dal Partito Democratico in particolare, vanno messi in rilievo alcuni punti partendo da considerazioni generali - molte delle quali fatte dai colleghi che mi hanno preceduto - e di principio che debbono guidare l'azione dei prossimi anni in una ottica strategica, e non di mero contenimento dell'emergenza.
In primo luogo, si deve partire dalla constatazione, abbastanza eccezionale nei suoi dati numerici, che stiamo parlando di un'area vastissima che si estende per oltre 100 mila ettari di superficie, di cui circa 80 mila riguardano la superficie marittima dell'area portuale di Taranto. Calcolando quest'ultimo dato, si può dire in qualche modo che questa dimensione - che è poi quella che corrisponde alla perimetrazione del sito di bonifica di interesse nazionale di Taranto stabilito dal decreto ministeriale del settembre 2001, in attuazione della legge n. 426 del 1998 - rappresenta per vastità e per complessità l'area metropolitana più grande d'Italia, seconda solo a Roma, che è pari a circa 130 mila ettari di territorio. Nell'area sono presenti, oltre all'Ilva, industrie manifatturiere di vario livello, il porto, i cantieri militari e impianti di raffineria dell'ENI.
Si tratta, quindi, di una delle principali priorità in materia ambientale, produttiva e industriale del Paese, per la quale occorre, e occorreva da tempo, agire con una costante attenzione all'evoluzione della tecnologia, delle nuove acquisizioni scientifiche mirate ad una riconversione, alla riqualificazione del territorio e degli apparati industriali su di esso insediati per garantire la necessaria tutela sia del diritto alla salute che del diritto al lavoro dei cittadini e dei lavoratori di Taranto. Oggi possiamo dire che questa attenzione, questa visione strategica, questa considerazione di quell'area come priorità per la politica industriale e di tutela ambientale e nazionale non c'è stata nel passato.
La magistratura naturalmente ha il compito, e avrà il compito ancora, di verificare dove e come vi sono state illegalità, anche da parte di soggetti privati, e non è il caso di entrarvi qui. Ma resta il fatto che sul fronte della politica non vi è stata la necessaria attenzione, soprattutto considerando che l'industria siderurgica italiana, che a Taranto esprime quasi 40 per cento della produzione nazionale, è da tempo uno dei temi centrali e più complessi della ridefinizione di un profilo industriale di un Paese competitivo e, al tempo stesso, moderno e ambientalmente sostenibile.
C'è da chiedersi, per esempio, il motivo della cancellazione, nel 2009, dei 3 miliardi di euro stanziati dal Governo Prodi e dal Ministro Bersani per le bonifiche e mai più rifinanziati o, in scala molto più ridotta e molto più contenuta, ci sarebbe anche modo di chiedere conto - cosa che l'occasione ci consente di ribadire - dell'uso dei 20 milioni di euro, all'epoca circa 40 miliardi di lire, assegnati alla SIN di Taranto proprio in occasione del varo del già citato decreto ministeriale del settembre 2001. Oggi ci troviamo di fronte ad un'emergenza che, vista quindi questa non felice eredità, richiede rigore e attenzione più certa.
Come ribadisco, al Governo va il sostegno del PD alle misure adottate con il Protocollo e oggi attuabili con il presente decreto-legge, ma porgendo alcune domande. In primo luogo, i fondi stimati, che sono circa 370 milioni di euro per un articolato piano di interventi, sono quasi totalmente di provenienza pubblica, e in un'ottica di emergenza questo è comprensibile Pag. 20e chiaramente giustificabile. Ma cosa si può fare tutti insieme, si intende fare tutti insieme per muoversi più energicamente in un'azione di più lungo respiro, e non solo emergenziale, e per spingere anche investitori privati ad intervenire, non solo con la leva degli incentivi, a fare la loro parte sul rilancio produttivo dell'area, in un'ottica di green economy?
In secondo luogo, comprensibilmente il Governo, in assenza di risorse immediatamente disponibili, ha ritenuto necessario accedere anche alle risorse del Fondo rotativo per l'attuazione del Protocollo di Kyoto o delle risorse disponibili allo stesso Ministero per l'esercizio 2012-2013, risorse che rappresentano tuttavia una fondamentale, benché insufficiente, garanzia per la protezione del suolo in presenza di eventi naturali o climatici in situazioni di rischio idrogeologico. Si è più volte lamentata, da parte del precedente Governo, un'assenza di risorse, un'insufficienza di risorse per garantire con efficacia interventi in materia.
Ci fa quindi piacere scoprire che, invece, qualche risorsa c'era, era disponibile. È giusto quindi ora concentrarle sull'emergenza di Taranto, ma chiedere al tempo stesso a questo Governo, che in sede di Commissioni lo ha assicurato, che tali fondi possano essere rapidamente recuperati per non trovarci, soprattutto con l'incedere della stagione autunnale, in una situazione di ulteriori e nuove possibili emergenze senza disponibilità funzionali per la difesa del suolo e dei rischi idrogeologici da parte delle amministrazioni dello Stato.
In terzo luogo, infine, chiediamo con forza che l'azione del Governo non si esaurisca in questo decreto-legge, che è solo il primo passo verso la risoluzione o l'avvio della soluzione della situazione dell'Ilva di Taranto.
Occorre considerare, infatti, che il cuore del problema non potrà che essere affrontato nella nuova autorizzazione integrata ambientale, che dovrà necessariamente insistere sull'uso delle nuove tecnologie per la sostenibilità ambientale, ponendo, quindi, gli operatori privati di fronte ad una responsabilità che ad oggi, da quanto emerge, non è stata assolutamente esercitata.
Ci auguriamo, dunque, che da oggi prenda avvio per Taranto - e visto il valore, come ripeto, nazionale di questo sito - per l'intero Paese una storia nuova e una nuova politica di innovazione e di responsabilità, sia della parte pubblica che della parte privata per garantire - in un'ottica di sviluppo sostenibile - il diritto al lavoro, alla salute, la tutela, la salvaguardia e la valorizzazione dell'ambiente e delle risorse naturali (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Torazzi. Ne ha facoltà.

ALBERTO TORAZZI. Signor Presidente, la prima considerazione da fare di fronte di questo decreto-legge è che tutti i viaggi in Germania non sono serviti a niente. La lezione della Merkel della razionalità e del buon governo è andata completamente a vuoto. Tra l'altro, in questi giorni i giornali tedeschi dicono espressamente - il dibattito è molto forte - che l'Italia vuole i soldi, ma non ha adempiuto agli impegni presi. Il primo impegno era quello di risanare i conti pubblici con tagli e risparmi e non con l'aumento delle tasse.
Comunque, entrando in questo provvedimento, la prima osservazione è che si tratta di un provvedimento che non risolve il problema, ma che anzi non c'entra con l'Ilva di Taranto. Tocca tutti altri temi e se il problema non è drammatico oltre misura è soltanto perché l'Ilva, che è una signora azienda, in dieci anni - lo dico anche per i colleghi che mi sembra non siano molto documentati - ha investito quasi 6 miliardi di euro in quell'impianto, di cui 1,3 solo per il risanamento ambientale. Se qualcuno ha una vaga idea di lavoro e di industria e magari qualche volta di sfuggita è stato in una fabbrica dovrebbe capire che cosa vuol dire questo volume di investimenti per l'ammodernamento dei macchinari e per il miglioramento industriale. Purtroppo, qui di gente Pag. 21che ha a che fare con il lavoro ce n'è veramente poca e, quindi, non so se queste parole potranno essere compiutamente comprese.
Dopodiché, c'è stata una pesante contestazione di questo provvedimento da parte della Lega, per il suo carattere discriminatorio. Ci sono 57 siti di interesse nazionale da risanare, la maggior parte di questi sono in Padania, l'area del Paese che ha visto devastare il suo territorio negli ultimi trent'anni per pagare le tasse e creare lo sviluppo di tutta questa bella Repubblica. Tutti questi 56 siti sono andati in coda a quello di Taranto dove - lo ripeto - l'Ilva, con gli interventi che ha fatto, ha già risolto la stragrande maggioranza del problema. Infatti, l'inquinamento che c'è è un residuo del passato.
In tutto questo aggiungiamo che ci sono 20 milioni che vengono presi - grazie a Dio sono gli unici che arrivano dal Fondo dello Stato diretto - dal rischio idrogeologico. Noi abbiamo avuto disastri, con morti e problemi recentemente in Liguria, in Toscana, in Piemonte e lì non c'è una lira. Però poi si fa casino, si crea il caso e qui viene in mente la storia dei rifiuti di Napoli, dove ad un certo punto si capiva quando si alzava il polverone che la camorra, tutti gli apparati dello Stato, i giornalisti e i comitati di quartiere erano tutti dalla parte per dare i soldi a Napoli senza contarli e d'altra parte a dire che, invece, era il caso di fare i conti e di tenere in considerazione la risoluzione dei problemi c'era solo la Lega Nord.
Allora, viene da chiedersi: ci sono delle vite e dei morti che contano e altri che non contano o contano di meno. Quindi, questo è un provvedimento razzista, perché noi abbiamo assistito recentemente al diniego dell'aiuto richiesto per risolvere il problema di Casale Monferrato. Faccio uno dei tanti esempi, però quello più drammatico, quello dell'amianto. Lo Stato non ha potuto, non si poteva e, invece, per Taranto è scattata improvvisa, rapidissima la soluzione, che, in realtà, non è una soluzione perché non tocca il problema dell'Ilva, ma un altro che vedremo successivamente, ovvero dell'import cinese nel nostro Paese.
Se noi vogliamo applicare questo meccanismo - l'ho detto in Commissione - allora dobbiamo inserire nei codice di legge un vecchio proverbio lombardo che dice: «Chi vusa püsè, la vaca l'é sua», ovvero «chi urla di più si prende la vacca». Perché questa è la realtà: ci sono 57 siti, ci sono centinaia di problemi occupazionali in questo Paese. Ma l'occupazione di 400 portuali di Taranto passa davanti - e vedremo con quali effetti futuri devastanti - a quella di tanti altri posti.
Posti, nei quali la gente ha sempre pagato le tasse e contribuito al mantenimento di questo carrozzone che continuiamo a chiamare Repubblica, ma che di res publica ha veramente poco. Dall'altra parte, invece, vi sono coloro che sono tagliati fuori.
Allora, pongo altre domande al Ministro: chi ha lasciato costruire un quartiere con 100 mila abitanti? La vera differenza rispetto alle norme europee è che in Germania le acciaierie non hanno i quartieri attaccati al muro e anche l'Ilva, ex Italsider, non li aveva, ma adesso ci sono. Dicono che vi siano 100 mila abitanti. Chi ha lasciato costruire tutte queste case? Inoltre, queste case godono di quell'interessante caratteristica, che è tipica delle case costruite in Padania, e, cioè, sono registrate in un catasto? Quanti di questi pagano l'IMU, oltre a manifestare per dire che ci sono tantissimi problemi, che lo Stato non funziona, che non vi è moralità, che vi è corruzione e che non vi è il rispetto delle regole? Tra l'altro, in questo modo sarebbe anche interessante capire quanto sia facile magari trasferire, come è stato detto, il quartiere piuttosto che spostare l'Ilva, come ha immaginato qualcuno che non sa che per gli altiforni, solo per farli partire, ci vogliono sei mesi (però, noi lo perdoniamo lo stesso). Dunque, da questo punto di vista sarebbe interessante che, nel progetto di riqualificazione, invece di impiegare 400 portuali per importare merci cinesi più rapidamente, li avessimo Pag. 22utilizzati per creare un catasto a Taranto e magari in tutta la regione Calabria. Sicuramente, lì ci sono dei soldi da recuperare di questa vituperata evasione di cui si parla sempre. Ma, tranne aumentare le tasse a chi le paga già in Padania, poi in sostanza si fa poco o niente.
Arriviamo, poi, al punto più dolente, di cui dicevamo. Si tratta del discorso che questi soldi servono per il risanamento, o meglio, per il rilancio del porto di Taranto. Il porto di Taranto ha un problema: vi sono due società, una di Taiwan e l'altra cinese, che dicono che, se il porto non verrà ammodernato, passeranno dal Pireo. Mi chiedo, se delle merci dovessero passare per il Pireo, se abbiamo ben presente - come ho già detto in Commissione - quali sono i canali da seguire, perché la ferrovia che dal Pireo va a Salonicco e poi attraversa l'ex Iugoslavia è impraticabile (evitiamo di dire i dettagli, per carità di Dio). L'altra, la gomma, passerebbe per l'Albania e poi anche per il Kosovo (quindi, sempre meglio). Dunque, l'unica soluzione è che si arriva al Pireo, si sbarcano le merci, si mettono sul TIR, il TIR va a Patrasso dove viene imbarcato, va ad Ancona e deve essere sbarcato ancora.
Dunque, stiamo facendo un investimento che serve a facilitare l'ingresso delle merci cinesi e questi 400 dipendenti li pagheremo con decine di migliaia di posti di lavoro in meno, perché è noto a tutti che dove vi è la porta di ingresso e arrivano tutte queste merci automaticamente là si genera una convenienza per la distribuzione. Quindi, si venderanno molte più merci cinesi in Italia che negli altri Paesi europei. Ma, queste merci cinesi hanno anche un'altra caratteristica: hanno un elevatissimo tasso di irregolarità per quanto riguarda la salute, i permessi doganali e altro ancora (tasse e quant'altro, per rispetto dei brevetti). Allora, questi 400 bravi portuali potevamo utilizzarli per fare i controlli. Ma sembra che in questo Paese, dove si parla di equità e di sviluppo, vi sia il problema delle imprese che perdono decine di miliardi all'anno, perché sono soggette a una concorrenza sleale che, per una parte, non riusciamo ancora a governare, perché gli scienziati, amici del Presidente del Consiglio, che sono tutti sostenitori del WTO, ci dicono che non è contestabile se si utilizzano gli schiavi, cioè il basso costo di manodopera, o se si inquina rispetto all'ambiente. Il WTO ha detto che questi due aspetti non si possono toccare, ma sarebbe ora che qualcuno cominciasse a dire anche al WTO che vorremmo anche discutere di queste regole, che non ci possono cadere sulla testa visto che non le ha fatte il Padreterno ma degli uomini in carne e ossa.
Dopo di ciò, vi sono le famose barriere non tariffarie, che i cinesi utilizzano per bloccare il nostro, per quanto ridotto, export in Cina. Cosa sono le barriere non tariffarie? Sono sistemi che tengono la merce per sei mesi nel porto - sei mesi! - perché, intanto, si devono pagare le banche, perché si ha un problema di liquidità di cassa, di deperibilità delle merci e non si può fare niente, anche perché abbiamo firmato un bell'accordo per il quale, nel caso di ricorso o problema con le autorità cinesi portuali, l'ente terzo che decide è ancora l'ente portuale che ha dato la sanzione o che ha bloccato le merci.
In queste condizioni ridicole, mi dispiace notarlo, il Ministro che ha portato avanti questo progetto - Ministro Clini mi rivolgo a lei - è un consulente del comitato internazionale di esperti che assiste il Premier cinese sulle politiche della Cina per la protezione dell'ambiente globale (vi sarebbe anche una versione inglese, ma l'ho pronunciato in questo modo perché così va bene per tutti) e che, tra l'altro, ha portato investimenti in Cina nell'ambito di un programma da 1,2 miliardi cofinanziati con 180 milioni del nostro Ministero. Magari questi 180 milioni sarebbe stato meglio usarli per tutti i siti del Mezzogiorno e non, che hanno dei problemi. Lei mi dirà che così è stato trascinato anche l'export di alcune nostre imprese. Può anche darsi, ma il problema è che non possiamo fare il nostro business favorendo l'import della Cina che ci massacra con queste barriere non tariffarie. Visto che siete tecnici, vi chiedo di tornare, quando farete i compiti Pag. 23la prossima volta, come dice la Merkel, a guardare cosa fanno i tedeschi per pararsi da queste barriere non tariffarie e quello che non facciamo noi.
A questo punto, il problema è: siamo di fronte ad un Governo che ci ha detto che avrebbe portato lo sviluppo e che adesso dice che lo sviluppo lo devono realizzare i privati, che si rapporta rispetto ai privati cittadini soltanto come un ente esattore, che prende soldi per tappare un buco, che è quello dell'euro, che noi non riusciamo più a sostenere, per un motivo molto semplice, ossia perché non creiamo valore, non creiamo sufficiente valore, signor Ministro. Di conseguenza, non possiamo mantenere quel cambio perché ci massacrerà: è una spinta ai consumi di una parte del Paese che è assolutamente lontanissima da quegli standard e distrugge l'altra parte del Paese, che è quella che mantiene le famiglie e lo Stato.
Allora, concludo, visto che abbiamo questi quattrocento posti che vogliamo mettere al servizio dell'import cinese, danneggiando tutte le nostre imprese, visto che spendiamo dei soldi dicendo che servono per l'Ilva, mentre invece non servono per l'Ilva, visto che prendiamo 20 milioni per rischio geologico e quei 20 milioni verranno magari rimpolpati quando ci scapperà qualche altro morto - questa è la logica: un po' diversa da quella che propone la Merkel - se continuiamo così, al prossimo provvedimento (non è la prima volta, da quando andate dalla Merkel, che tornate e fate cose di questo genere) ci presenteremo in Aula con un bel cappello con le orecchie da somaro perché, all'esame della Merkel, voi non siete assolutamente passati e passate semplicemente perché entrate in un gioco dove qualcuno vuole continuare ad invadere il nostro Paese con merci di un certo tipo, dove qualcuno vuole portarci alla privatizzazione forzata dei gioielli di famiglia, quale l'ENEL, l'ENI e Finmeccanica - e ci arriveremo anche se avete detto che non ci arriveremo - e dove l'ultimo provvedimento di Mario Draghi, se lo avesse adottato con il Governo Berlusconi, avrebbe avuto un risultato molto migliore. Il Governo Berlusconi non aveva inchiodato questo Paese, con tutti i difetti che aveva, mentre voi ci siete riusciti. Adesso aspettiamo, visto che avete detto che non ci saranno altre manovre, cosa succederà con il fiscal compact.
Adesso noi forse, molto difficilmente, raggiungeremo il pareggio di bilancio, visto che il Paese si sta già avvitando e le entrate fiscali crollano anche se c'è un aumento della pressione specifica. Cosa faremo quando dovremo raggiungere il 3 per cento all'anno, 48 miliardi all'anno di ulteriori tasse? Li realizzeremo senza una manovra finanziaria? Mi sembra che il Presidente del Consiglio ci abbia detto chiaramente che ci ha preso in giro quando ha parlato di occuparsi delle sviluppo perché ha detto alle imprese che ci devono pensare loro. Mi sembra che qualcuno di quelli che hanno fatto della delocalizzazione la fortuna di famiglia, a Cernobbio, dicono che ci vuole ancora Monti per altri cinque anni.
Quindi, mi aspetto di vedere il risultato di questa vostra politica che purtroppo sarà un disastro per questo Paese e quindi, il Presidente del Consiglio, non racconti barzellette. Non dica che ha salvato l'Italia, ma dica che l'Italia semmai rimarrà a galla per un po' perché Mario Draghi le ha dato dei soldi. Però quei soldi dati sui titoli a breve tempo temo vi porteranno ad aumentare l'indebitamento sui titoli a breve e ci metteranno nelle condizioni di ricattabilità per le quali poi svenderemo l'ENI, l'ENEL e Finmeccanica e non ci rimarrà più niente per ripartire.
Poi, quando non avremo più niente, ci diranno che hanno fatto il massimo per noi e ci metteranno fuori dall'euro. Probabilmente, in quel momento, il Presidente del Consiglio Monti sarà al Quirinale e quindi sarà tranquillo.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Misiti. Ne ha facoltà.

AURELIO SALVATORE MISITI. Signor Presidente, signor Ministro, signor sottosegretario, noi riteniamo che il decreto-legge del Governo sul risanamento della Pag. 24città e dell'area di Taranto risulti quanto mai opportuno perché mette insieme diversi provvedimenti precedenti, del tutto settoriali, facendo diventare l'insieme un primo tentativo di bonifica territoriale che, finora, purtroppo, nel nostro Paese ha avuto scarso successo. È vero che anche gli altri 56 siti di interesse nazionale non hanno brillato per essere andati avanti nella bonifica, in quanto è molto difficile la bonifica di un sito inquinato perché non è inquinato sempre allo stesso modo; ogni sito ha le sue caratteristiche tant'è vero che molte di queste bonifiche si sono fermate al secondo passo. Il primo passo è la perimetrazione - a Taranto è avvenuta - mentre il secondo passo è la caratterizzazione - in molto casi anche questo si è concretizzato, in altri neanche questo - quindi vi è una oggettiva difficoltà ed è comprensibile il fatto che, anche a Taranto, qualche difficoltà di questo tipo c'è stata e quindi i risultati di Taranto sono analoghi grosso modo alla media degli altri siti inquinati di interesse nazionale.
Certamente, si è proceduto con lentezza, anche da parte di chi, dal punto di vista tecnico-scientifico, avrebbe dovuto dare un supporto, ma non solo nel nostro Paese. Credo che noi dobbiamo parlare di queste cose, avendo la conoscenza generale anche dei siti dello stesso tipo - tipo Ilva di Taranto - siti simili che esistono negli altri Paesi, anche della comunità europea. È vero che, in qualche caso, i siti, per esempio in Germania, non hanno i 100 mila abitanti che magari l'Ilva ha, però l'inquinamento dell'area è analogo a quello dell'Italia; è per questo motivo che, a livello europeo, si procede con varie direttive e utili indicazioni devono essere acquisite, fatte proprie e anche utilizzate da parte del nostro Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per poter alla fine concedere all'Ilva di Taranto l'autorizzazione integrata ambientale. Tale autorizzazione è stata data l'anno scorso ma prima che la Commissione europea, in data 8 marzo 2012, avesse dato delle indicazioni da utilizzare da parte dalle imprese industriali siderurgiche europee, quindi dopo la data del 4 agosto 2011, data dell'autorizzazione integrata ambientale concessa all'Ilva nel 2011.
Entro il 30 settembre di quest'anno, quindi entro la fine di questo mese, bisogna che il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare concluda la procedura, riesamini quell'autorizzazione e ne dia un'altra che tenga conto delle indicazioni dell'Europa. L'Europa però non ha dato queste indicazioni per l'Ilva ma per tutte le situazioni che sono presenti in Europa e quindi anche per il nostro Paese.
In precedenza, i relatori, Vico e Ghiglia, hanno illustrato abbastanza bene, con dettagli e particolari, il contenuto del decreto-legge, l'articolo 1 e l'articolo 2, il primo con una valenza più ambientale e il secondo di sviluppo, quindi su questo non mi dilungo anche se si possono sempre fare delle osservazioni e degli approfondimenti, però credo che l'informazione che ci è stata data dai relatori sia esaustiva. Rivolgo a me stesso solo alcune domande.
Per esempio, è mai possibile che per ogni attività, anche meramente ordinaria, nel nostro Paese debba essere nominato un commissario? Che cosa fanno? Non lo chiedono gli organi elettivi. Possibile che la regione Puglia si accontenti di questo e non pensi invece di essere protagonista direttamente? Credo che lo Stato, insieme alla regione Puglia, debba passare dalla straordinarietà all'ordinarietà anche sull'Autorità portuale. Anche in quel caso c'è un commissario, perché è evidente che non si è potuto nominare ancora il presidente dell'Autorità portuale. Però c'è un commissario, perché evidentemente nemmeno lì c'è ancora la normalità, perché se è commissario non è il presidente, ma può darsi che poi alla fine sia lo stesso. Quindi, è necessario che, a partire dall'Autorità portuale, si limitino i commissari. Vi è anche il commissario per attuare un accordo di programma. Praticamente questo fatto per chi dirige gli enti locali riduce non dico la possibilità di intervento, ma un po' anche la responsabilizzazione. Credo che occorra che gli enti locali, a partire Pag. 25dall'ente più importante, che è la regione, si debbano sentire protagonisti ed essere loro a realizzare quanto, ad esempio, viene indicato dalle leggi. Sono d'accordo con chi sostiene - in questi giorni l'hanno sostenuto in molti in campo europeo, ma anche italiano; l'ha sostenuto ieri autorevolmente l'ex presidente della Commissione europea Romano Prodi - che l'Italia e l'Europa si debbano concentrare molto sul settore manifatturiero e non basarsi sullo sviluppo dovuto alle attività finanziarie oppure sullo sviluppo dovuto all'attività dell'industria virtuale. L'acciaio anche in Italia e in Europa è ancora fortunatamente importantissimo. In Italia rappresenta un valore estremamente importante, perché gestisce oltre 9/10 miliardi di euro, che costituiscono una ricchezza. Quindi, è al centro della scelta del manifatturiero, perché senza l'acciaio evidentemente il manifatturiero dovrebbe importare dall'estero anche queste materie semilavorate, che evidentemente fa molto più comodo che siano prodotte in Italia. Ciò anche perché non dimentichiamo che, se andiamo a paragonare la qualità dell'acciaio, il nostro tipo di acciaio non è secondo a nessuno, tant'è vero che molte ditte straniere vi fanno ricorso, anche per grandi infrastrutture. Basti pensare alla struttura che è stata costituita proprio a Taranto, il meraviglioso ponte che unisce due Paesi del nord Europa, che è stato realizzato a Taranto, è stato assemblato a Livorno e poi trasferito lì. Lo Storebælt così è nato e così si è sviluppato. Quindi, ritengo che proprio per il fatto che l'Italia ha un'industria del manifatturiero che è la seconda in Europa, dovrà continuare a concentrarsi su questa, ad alimentarla ed a migliorarla. Devo dire che, grazie anche ad un lavoro, svolto molto bene in passato, di dialogo con la stessa Ilva e con gli altri produttori di acciaio, molti cambiamenti tecnologici negli impianti sono stati effettuati, quindi oggi ci troviamo evidentemente in una situazione migliore di quella in cui ci trovavamo qualche anno fa, un quinquennio fa.
Certo, la magistratura, come ha fatto a Taranto, potrebbe svolgere questa stessa funzione anche in altri parti del Paese, dobbiamo essere attenti. Ha avuto un ruolo positivo, nel senso che ha fatto concentrare l'attenzione di tutti sull'Ilva e proprio sull'importanza della produzione dell'acciaio di qualità in Italia.
Ha sicuramente questo merito, però ritengo che in Italia - forse, difettiamo proprio noi - la magistratura si serva, per prendere le sue decisioni, non di istituti pubblici strutturati e di grande peso nazionale e internazionale nel campo tecnico e scientifico, come possono essere il CNR, l'ISPO o altri istituti, che darebbero una maggiore garanzia di imparzialità nelle scelte, ma si serve, purtroppo, di periti che sono spesso pensionati, gente che sta fuori della produzione, che, evidentemente, non dà le stesse garanzie degli istituti di cui parlavo prima.
Quindi, molte volte le decisioni della magistratura, che noi rispettiamo, possono essere influenzate da questo tipo di consulenze e di perizie. Io ritengo che sia bene, per i provvedimenti più importanti che devono prendere i magistrati, che questi si fondino su perizie di istituti ad hoc, che in Italia non mancano. Allora si possono prendere provvedimenti gravissimi, come sono quelli, per esempio, del carcere per i dirigenti e i proprietari di un'azienda come l'Ilva.
Tanto è vero che la stessa magistratura ha avuto molti dubbi e molte difficoltà al suo interno; c'è stata una discussione a seguito della quale, evidentemente, se fosse avvenuta in un'altra zona, la magistratura avrebbe preso posizioni diverse, dipendendo molto dai periti.
Noi abbiamo un sistema per cui consideriamo - solo in Italia questo avviene - il giudice come il peritus peritorum. Quindi, egli diventa il perito dei periti e prende i provvedimenti in base a questa normativa, che, a mio avviso, è obsoleta e bisognerebbe assolutamente cambiare.
Ritornando, invece, all'argomento al centro della nostra attenzione, credo che il decreto-legge che è stato presentato, sia un primo passo molto importante, che, però, ha bisogno di essere seguito da altri passi. Certamente, l'Ilva ha inquinato, ha causato Pag. 26la sua parte di inquinamento esterno. Vi sono, però, tante altre aziende che operano dentro quella perimetrazione, e quindi è necessario avere la capacità di distinguere le influenze dell'una e dell'altra.
L'Ilva ha certamente avuto una sua responsabilità, quando ancora non era privata, su questo inquinamento esterno, ma, in particolare, deve affrontare investimenti sia dal punto vista tecnologico sia dal punto di vista scientifico-tecnologico della bonifica, soprattutto nell'area direttamente interessata dall'impianto.
In questo caso, già mi pare che il consiglio di amministrazione della stessa Ilva abbia autorizzato un investimento abbastanza rilevante per avviare, non dico la bonifica, ma le procedure che precedono la bonifica, che possono arrivare alla bonifica finale, in un'azienda che certamente deve continuare a produrre. Non tutti i 57 siti di interesse nazionale comprendono un'azienda che continua a produrre e che è così strategica per il nostro Paese. Lo sa bene il Ministero.
È più facile lavorare in una zona dove vi è un'azienda dismessa, dove si può lavorare con più tranquillità e si riesce ad avanzare molto più concretamente, con meno affanno, mentre nel caso di un'azienda che deve continuare a lavorare, la magistratura deve contribuire a rendere questo lavoro possibile perché la magistratura è una parte dello Stato e non può giocare «allo sfascio». La magistratura deve dare la possibilità di salvaguardare la salute dei cittadini, come le istituzioni, ma, nello stesso tempo, punire se vi sono dei responsabili - individuati dopo un vero accertamento - e non intralciare l'attività che deve essere portata avanti.
È interesse di tutti che l'Ilva non chiuda. Quindi, vanno evitate decisioni contrastanti tra i giudici, o che possono portare ad una difficoltà per il futuro nell'approvvigionamento - mi pare che vi sia un tempo limitato per l'approvvigionamento dell'impianto - e che possono determinare la chiusura della parte fondamentale dell'impianto stesso, la cosiddetta parte della gestione a caldo (forni, altiforni e così via), che non si può certamente bloccare.
Allora, se così è, credo che la questione che riguarda l'Ilva possa aiutare il sistema industriale nazionale. Mi meraviglia che vi siano dei colleghi che pensano che l'intervento sull'Ilva sia limitato all'Ilva stessa o al Mezzogiorno d'Italia. Si tratta, invece, di un intervento che, visto complessivamente, interessa l'Italia e l'Europa. Ho voluto citare il ponte Storebælt. L'Ilva di Taranto fornisce semilavorati a tutte le industrie del Nord. Immaginate cosa succederebbe nella Pianura padana se l'Ilva chiudesse.
Sono assolutamente convinto che si tratta di dialettica politica, ma se ci si riflette fino in fondo dobbiamo pensare che l'Ilva rappresenta un motore dell'economia. È quindi necessario fare in modo che migliori, che diventi il primo degli impianti d'Europa dal punto di vista qualitativo, anche della qualità degli effluenti verso l'esterno, in modo tale che non inquini come in passato. E non è l'ultimo nemmeno adesso. Quindi tutti, in particolare lo Stato, il Governo, il Parlamento, la regione Puglia, il comune di Taranto e la provincia, devono darsi da fare nella stessa direzione perché questo significa rilanciare l'Italia.
Io, ripeto, concordo con chi - come il commissario Rehn, Barroso e Prodi - ha detto che l'Italia deve assolutamente basare la propria ripresa, il proprio sviluppo, soprattutto sull'industria principale del nostro Paese - concorrenziale a quella tedesca, ma anche a quella asiatica - che è quella manifatturiera che, a mio avviso, va incrementata, aiutata, sostenuta da tutti.
Perciò ritengo che l'iniziativa del Governo di presentare il decreto-legge in esame all'approvazione delle Camere sia un atto dovuto, ma molto importante che, certamente, seguiremo. Il Parlamento chiede di essere informato sugli sviluppi, ma già questo indica che il Governo si sta muovendo bene in questa situazione. Perciò la componente Grande Sud-PPA del gruppo Misto, con i suoi deputati, poi anche con i suoi senatori, voterà convintamente Pag. 27a favore del provvedimento in esame, chiedendo al Governo di tornare in Aula, o in Commissione, a riferire sugli sviluppi di una situazione che riguarda tutti i cittadini italiani (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Grande Sud-PPA).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Zamparutti. Ne ha facoltà.

ELISABETTA ZAMPARUTTI. Signor Presidente, durante la discussione in Commissione si è molto criticata la disinformazione, sotto vari punti di vista, sulla vicenda Ilva per come è stata trattata dai mezzi di informazione questa estate.
Ma devo dire che anche questo decreto-legge contribuisce, a mio giudizio, ed alimentare questa disinformazione, perché è stato presentato come un provvedimento sull'Ilva, quando in realtà riguarda sostanzialmente altro. Basta leggere il titolo di questo provvedimento: stiamo parlando di disposizioni urgenti per il risanamento ambientale e la riqualificazione del territorio della città di Taranto. Se poi che si guarda al significato esatto di queste parole, ma soprattutto alla ripartizione delle somme stanziate per Taranto, si vede che praticamente solo un terzo di esse va al risanamento ambientale, cioè alle bonifiche, e ben due terzi vanno invece ad interventi di riqualificazione del territorio, che consistono sostanzialmente in opere di infrastrutturazione portuale.
Allora la prima considerazione che io voglio fare è che per le bonifiche del territorio di Taranto serve molto di più dei 119 milioni di euro previsti, perché non vi sono solo le opere di bonifica indicate nel protocollo del 26 luglio, che sostanzialmente questo decreto-legge recepisce, ma occorre intervenire in particolare sul sottosuolo con la messa in sicurezza di emergenza della falda acquifera. Serve poi anche individuare le responsabilità che i privati hanno avuto nell'inquinamento di quest'area, che non è responsabilità sicuramente soltanto dell'Ilva.
Quindi per noi della componente dei Radicali tutte le risorse individuate con questo decreto-legge dovrebbero essere destinate al solo risanamento ambientale, senza peraltro andare ad intaccare il Fondo per il dissesto idrogeologico, come invece si fa. Non credo che manchino altri fondi cui attingere. Con delle proposte emendative noi proponiamo di recuperare queste risorse dal Fondo per la crescita sostenibile o dai fondi di riserva speciali contenuti nello stato di previsione del Ministero dell'economia per l'anno 2012.
La seconda considerazione che voglio fare è che se grazie al fatto che finalmente possiamo dire che c'è un giudice a Taranto, che con le sue decisioni ha posto la dovuta attenzione sullo stabilimento dell'Ilva e sul degrado ambientale e sanitario in cui versa l'intera città, e lo ha fatto senza cedere al ricatto occupazionale, non è qui, con questo decreto-legge che, a mio giudizio, si devono infilare risorse per opere portuali. Non a caso l'unico privato coinvolto in questo provvedimento è la società Taranto Container Terminal Spa, tanto per dare l'idea di dove vanno prevalentemente le risorse e chi ne trae prevalentemente vantaggio. Dicevo che non si devono infilare risorse per opere portuali funzionali ad un'area che necessita di un'ampia e profonda riflessione circa il destino dei suoi impianti industriali, a partire sicuramente da quello dell'Ilva. A questo proposito penso che l'intero comparto siderurgico del nostro Paese vada ripensato, perché da un lato ci sono gli impianti obsoleti dell'Ilva, ma dall'altro ci sono quelli foraggiati dagli aiuti di Stato come l'Alcoa. Personalmente penso che la produzione di acciaio nel nostro Paese, oltre ad essere obsoleta è anche costosa, e bene faremmo a riflettere, ad avviare una ampia e profonda riflessione sul senso del mantenimento di veri e propri monumenti all'industria pesante che non reggono alle sfide del mercato e che ci ostiniamo a mantenere in vita come fossero una medaglia che vogliamo tenere appesa ad un petto che, se ai costi monetari che tale medaglia comporta aggiungiamo quelli sanitari e ambientali, va verso un vero e proprio collasso.
Penso che sia ancora attuale la proposta che Marco Pannella lanciò ancora nel Pag. 281993, quando già si prospettava un taglio della produzione dell'acciaio, dicendo che Taranto non è l'Ilva, che è sbagliato appiattire la città sul suo stabilimento, e che Taranto deve esigere il salario minimo garantito per tutti i disoccupati con la contestuale eliminazione di tutte le casse integrazioni, ordinarie e straordinarie, e che quello che serve è un rilancio economico di alto profilo, con la liberazione di risorse per investimenti e non solo per la monocultura Ilva, e che - aggiungo io - ben può consistere questo rilancio dell'area di Taranto anche in ampie e radicali opere di bonifica di questo territorio.
Si è parlato molto della Cina e della concorrenza cinese su questa vicenda; penso che il prezzo che si è fatto e che si sta facendo pagare ai tarantini farebbe inorridire persino il principale gruppo siderurgico di Pechino, visto che questo gruppo, che si chiama Shougang, non ha esitato, quando ci furono le Olimpiadi a Pechino, a spostare un impianto che distava 17 chilometri da piazza Tienanmen, trasferendolo a 200 chilometri di distanza da Pechino, oltre ad impegnarsi a ridurre la produzione di acciaio e a dismettere le fabbriche in città.
C'è un'attenzione di questo tipo in Cina e invece da noi su tutto questo continua a regnare una sovrana indifferenza. È una sovrana indifferenza da parte di uno Stato che non si è mai accorto o ha finto di non accorgersi di quanto oggi le perizie epidemiologiche - ci tengo a sottolinearlo - stanno dimostrando che i danni ambientali causati dall'Ilva al territorio di Taranto non sono solo quelli riferibili ai decenni passati ma comprovano invece un nesso con le emissioni degli anni più recenti. Dicevo, non ci si è accorti o si è fatto finta di non accorgersi di questa situazione epidemiologica, delle immissioni chimiche, che ora ha a disposizione la procura, che nonostante numerose segnalazioni fatte nei confronti delle varie amministrazioni coinvolte, di fronte all'indifferenza, ha poi alla fine deciso di applicare il codice penale. Non posso non ricordare ad esempio anche il fatto che il precedente Governo Berlusconi aveva ben pensato di allentare i vincoli sulle emissioni di benzo(a)pirene a tutto vantaggiato dell'Ilva, e non posso non far presente come la regione Puglia, che pure ha fatto una legge sulla diossina, poi non ha imposto quei controlli delle emissioni 24 ore su 24, come prevede la legge, anche se in cambio il governatore Nichi Vendola ha prontamente espresso la propria disponibilità a costruire a Taranto una succursale del San Raffaele del Mediterraneo.
Allora credo che a Taranto ci sia stato uno scempio di legalità e proprio per questo non penso che sia accettabile, tanto più da parte di un Governo che con il recente provvedimento sulla riforma della Protezione civile aveva deciso di porre fine entro l'anno ai vari commissari legati a questo settore, che invece questa figura continui a proliferare in altri ambiti, come quello appunto delle opere pubbliche, perché si tratta di commissari, di figure che operano in deroga ad ogni norma vigente. E a Taranto, che in questo momento diventa emblema della condizione in cui versa l'intero Paese, serve innanzitutto un rientro nella legalità e da questo punto di vista, a mio giudizio, l'ennesimo commissario straordinario, non aiuta di certo. Aiuta invece prestare attenzioni alle perizie dei tecnici della procura, e da questo punto di vista saranno importanti le previsioni indubbiamente che conterrà la nuova autorizzazione integrata ambientale, rispetto alla quale per noi Radicali occorre che il Ministro sia attenga a quanto stabilito dall'articolo 8 del decreto legislativo della cosiddetta direttiva europea sull'aria, prevedendo non soltanto quelle misure rigorose ottenibili con le migliori tecnologie disponibili, dove l'Ilva per disponibile ha imposto una interpretazione di propria disponibilità economica, ma occorre che questa autorizzazione integrata ambientale imponga le migliori tecnologie in assoluto.
Infatti, va detto che finora questo articolo 8 è stato disatteso e anche la precedente AIA ha previsto tecnologie che sono al di fuori di questi criteri, fatto a mio giudizio gravissimo perché vuol dire che i vari tecnici della commissione AIA, Pag. 29compresi quelli degli enti locali, non hanno vigilato o hanno vigilato al contrario. Tant'è che, se si esaminano le perizie dei chimici della procura, si nota come, per esempio, le emissioni della cokeria dell'Ilva con l'attuale AIA sarebbero circa 70 volte superiori a quanto consentirebbe la migliore tecnologia. Lo stesso per le emissioni di polveri del camino E-312, quello noto per l'emissione di diossina, che si attestano su quantitativi di polvere 25 volte superiori rispetto ai minimi emissivi consentiti con la miglior tecnologia. Insomma, credo che per Taranto sono più che mai attuali le parole di Salvemini e di Ernesto Rossi quando affermavano che occorre abolire la miseria senza demagogia. Quella di Taranto è anche una storia di miseria. Credo che questa però non sia materia di un decreto-legge e che meriti un'ampia riflessione e proposte di segno contrario, mentre un decreto-legge deve proprio individuare appunto maggiori risorse per quella che è effettivamente l'emergenza su cui dobbiamo riflettere cioè quella del risanamento ambientale (Applausi di deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pili. Ne ha facoltà.

MAURO PILI. Signor Presidente, il comune di Taranto dista in linea d'aria 770 chilometri dall'area industriale di Portovesme in Sardegna, sede dello stabilimento Alcoa, dell'Eurallumina, delle miniere e della Carbosulcis. In realtà, questo provvedimento che oggi esaminiamo ci dimostra come questa distanza è abissale quando si parla di Taranto e della Sardegna. In realtà, stiamo parlando di due Stati diversi, di due modi di intendere il rapporto tra territori e istituzioni. A Taranto, seppur in ritardo, lo Stato interviene e lo fa con un decreto urgente, seppur tardivo e con molti limiti. Ma interviene per salvare posti di lavoro, di uno stabilimento ancora in esercizio, tentando di arginare - cosa non facile - la grave situazione ambientale di quel territorio. Nel Sulcis, invece, lo Stato non esiste e il Governo, questo Governo in particolar modo, ma non faccio sconti nemmeno ai precedenti, non ha fatto niente per arginare l'avanzare del deserto economico, sociale ed ambientale. Per l'Ilva ha emanato un decreto-legge e lo fate urgente, lo fate ad agosto, mentre, invece, per il Sulcis avete disposto manganelli e violenza. La repressione della grave situazione sociale del Sulcis è un atteggiamento gravissimo - e mi rivolgo all'esponente del Governo - che condanno senza se e senza ma. Mai prima d'oggi ho visto uno spiegamento di forze così consistente come quello per arginare i lavoratori, che rischiano di perdere il proprio lavoro e il proprio stipendio, in terra romana. Avete perseguito la strada di due pesi e due misure: per l'Ilva e Taranto emanate un decreto urgente, per il Sulcis, non solo non avete fatto niente, ma avete messo in campo un'azione dilatoria di perdita di tempo e una gestione della vertenza da dilettanti allo sbaraglio, altro che professori. Il Sulcis, come Taranto, è area ad elevata crisi ambientale. Quel decreto del Presidente della Repubblica che ne declinava l'attuazione richiamava e disponeva interventi urgenti, puntuali e precisi, a partire dalla questione energetica.
Niente o quasi niente è stato fatto ed oggi quelle mancate decisioni stanno mettendo in ginocchio una parte importante del Paese, seppure qualcuno la ritiene marginale sul piano geografico, ma è una parte del Paese che produce piombo e zinco, che produce alluminio primario, materie prime fondamentali nell'economia industriale del nostro Paese che, con atteggiamenti come quello che mettete in campo oggi, dividendo il Paese, cercate invece di far venir meno.
Le statistiche dicono che stiamo parlando dell'area più povera d'Italia. A mio modesto vedere stiamo parlando dell'area con più alta ed elevata tensione sociale ed è per questo che vi invito a valutare se questo decreto deve rimanere un decreto per l'Ilva o deve trovare, nei suoi contenuti e nelle sue modalità, modi di intervento anche sulle questioni che riguardano altri territori, per esempio quello del Sulcis. Pag. 30Per Taranto si fa un provvedimento per l'ambiente e per il lavoro. Per il Sulcis non si fa niente, né per il lavoro né per l'ambiente. A Taranto si produce acciaio, ma nel Sulcis c'è la più importante attività produttiva che riguarda l'alluminio primario, ovvero quella materia prima fondamentale per una delle grandi industrie, quella automobilistica, del nostro Paese. Chiudendo quella realtà si chiuderà una capacità produttiva indispensabile per una filiera strategica del nostro Paese. Ma trattate queste due realtà con due pesi e due misure: da una parte decreto per evitare la chiusura e risanare l'ambiente, dall'altra nessun barlume di un benché minimo provvedimento che possa indicare una strada per dare una soluzione.
Il Ministro Passera dice che ci vorrà del tempo. In realtà il tempo è trascorso inesorabile per otto mesi senza che questo Governo mettesse in campo qualsiasi minimo segnale di un percorso concreto che consentisse di dare delle risposte compiute. Mi rivolgo al rappresentante del Governo, che ha la responsabilità del Dicastero dell'ambiente, per ricordare che esiste un decreto del Presidente della Repubblica del 28 gennaio del 1994 che recita: «Attuazione del piano di disinquinamento del territorio del Sulcis Iglesiente». Non spiego la scala gerarchica delle fonti, ma sicuramente capisce bene il rappresentante del Governo che stiamo parlando di un decreto che ha una rilevanza tale che merita di trovare tutte quelle risposte che invece in queste settimane il Governo non solo non ha tentato di dare, ma ha cercato in qualche modo di manipolare. Stiamo parlando di un decreto del Presidente della Repubblica che non bisogna discutere, ma che bisogna semplicemente attuare, che diceva quattro cose sostanziali e che sono di pari livello rispetto a quelle che oggi si affrontano per l'Ilva di Taranto: lo sviluppo minerario ed energetico con carbone Sulcis. Lo decide un decreto del Presidente della Repubblica del 1994, che sancisce la definizione di quel percorso. Dice quel decreto: «Concessione ai privati», quindi non più sulla groppa dei finanziamenti pubblici e una clausola di massimo ribasso sul costo energetico della nuova centrale a carbone da realizzare. Quindi si diceva in maniera molto chiara in quel decreto che per affrontare la questione ambientale bisogna realizzare una nuova centrale, che possa sul piano tecnologico e sul piano energetico garantire energia a basso costo in quel territorio per affrontare il tema dello sviluppo e dell'occupazione. E dice - terzo punto - adeguamento degli impianti dell'ENEL.
Mi domando: per quale motivo questo Governo interviene con questa sollecitudine (ma non dimentico gli altri Governi, per essere chiari), ed invece sulla centrale ENEL del Sulcis non fa niente per capire quello che realmente succede? E perché ci sono costi che sono quasi doppi rispetto a qualsiasi altra realtà italiana ed europea? Per quale motivo quei finanziamenti - finanziamenti pubblici - utilizzati per migliorare quella centrale non hanno prodotto quel risultato in termini di potenza energetica e di capacità produttiva e di abbattimento del costo dell'energia? E poi il quarto punto, e su questo vorrei essere molto chiaro, perché parliamo di incentivi che vengono dati all'ILVA, ma ci dimentichiamo che c'è una clausola che vale per tutti: tempus regit actum, cioè la norma - quella del 1994 - regge l'azione che il Governo deve perseguire su un percorso che è lineare.
Nel 1994, il Presidente della Repubblica sancì che il prezzo energetico della centrale da costruire in base alla concessione mineraria del carbone era regolato dal provvedimento del CIP6. Chiunque, dentro questo Governo, che sia Ministro o sottosegretario, persegua strade diverse - e cioè tenti di limitare i costi per la centrale rendendola magari davvero inefficiente sul piano economico, per favorire altro tipo di energie, cito quella eolica per tutte, che vanno molto spesso a finanziare non attività produttive o di produzione elettrico-energetica ma finiscono per finanziare quelle mafie che la Commissione antimafia del Parlamento italiano ha definito come attrattori degli incentivi del CIP6 proprio sul versante dell'eolico - faccia attenzione Pag. 31a non confondere ciò che è buono, ciò che serve al Paese con quello che invece è negativo e nefasto. Tutto ciò con questo decreto-legge sull'IVA non avviene; si persegue una strada unilaterale, bieca sul piano della concezione e della coesione nazionale; lo ha richiamato qualcuno prima di me: ci sono 58 aree del Paese declinate come aree ad elevato rischio ambientale e solo una ha l'attenzione solo perché la magistratura è intervenuta. Dobbiamo quindi auspicare che in tutte le realtà intervenga la magistratura perché ci sia un provvedimento compiuto, un declinare di quelle priorità in maniera puntuale. Lo richiamava qualcuno prima di me: l'Ilva ha uno stabilimento in funzione. Ma non è l'unico stabilimento in funzione, resta in funzione perché c'è un provvedimento legislativo che voi state adottando. Nel Sulcis stanno chiudendo unità produttive per oltre cinquemila posti di lavoro che proporzionalmente rispetto all'Ilva sono molto, molto di più perché concentrati in una realtà piccola, povera e marginale rispetto al nostro Paese. Quindi, non possiamo accettare che il Ministro Passera continui a disertare, come ha fatto oggi, e come fa da otto mesi, la strada delle risposte per seguire invece quella «strabica» verso una parte marginale o comunque parziale del Paese. A fermare il Sulcis però, mi permetta, Presidente della Camera, ci sono anche altre realtà, non solo il Governo. Ci sono, per esempio, le lobby, quelle che agiscono a Taranto, ma anche quelle che aggirano e che perseguono, attraverso i canali istituzionali più strani, le logiche dell'ENEL. Un soggetto, l'ENEL, che tiene sotto ricatto un'intera regione e che sta facendo chiudere tutte le industrie del Sulcis, sta condizionando - ed è di oggi l'annuncio della chiusura della centrale elettrica di Ottana che regge il sistema industriale di Ottana - l'accordo fatto per tenere sotto scacco il gruppo EON a Porto Torres.
È evidente che ci sono degli atti che sono stati distribuiti, qualcuno brevi manu e qualche altro via mail, con cui l'ENEL ha fatto arrivare alle più alte cariche dello Stato, dal Governo per arrivare alle istituzioni parlamentari, documenti falsi, manipolati, dove si diceva, sostanzialmente, che vi erano degli oneri per quanto riguarda gli interventi nell'area del Sulcis che erano destituiti di fondamento, falsi nel merito, manipolati nei dati, ingannevoli sul versante giuridico. Cito solo tre dati che quel dossier manipolato e falso ha fatto circolare negli uffici dei ministeri: innanzitutto, i signori dell'ENEL hanno scritto, in particolare tale signor Francesco Barbagianni, responsabile delle relazioni istituzionali dell'ENEL, che, per esempio, il costo annuo, per otto anni, della centrale prevista dal decreto del Presidente della Repubblica del 1994 è di 400 milioni di euro all'anno, c'è scritto in quel documento; in realtà si tratta di 200 milioni di euro. Il secondo punto è quello del costo della cattura e dello stoccaggio della CO2 che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e il Ministero delle attività produttive hanno imposto per quella centrale nel Sulcis dicendo che l'Europa perseguiva attraverso la cattura e lo stoccaggio della CO2 tecnologie avanzate in grado di abbattere l'inquinamento e rendere produttivo il consumo di quel carbone. Ebbene, l'ENEL scrive che il costo è di un miliardo e 200 milioni di euro, quando invece i costi depositati al Ministero delle attività produttive sono di 600 milioni di euro; altro dato falso, manipolato e ingannevole. Infine, il terzo punto riguarda la centrale; si dice in quel documento velina, falso trasmesso agli organi dello Stato che la centrale di 660 megawatt non sarebbe produttiva.
In realtà, tutti sanno che anche la quantità di potenza della centrale è disciplinata dal decreto del Presidente della Repubblica che individua un range di 350-450 MW, soglia da proporre al mercato per la concessione e per valutare se i privati ritengono concorrenziale e competitivo un impianto di quel genere. Quarto punto: dice l'ENEL, nel documento che qualche Ministro ha fatto proprio in quelle ore drammatiche dell'occupazione delle miniere del Sulcis, che il CIP6 è inattuabile perché l'Europa avrebbe in animo sanzioni. Strano che la stessa ENEL Pag. 32persegua per altre realtà - cito per tutte Porto Tolle - lo stesso tipo di incentivo, lo stesso tipo di finanziamento. Dati falsi, dunque, per fuorviare e condizionare le istituzioni, per tracciare una strada istituzionale per affrontare i problemi, cosa che non sta avvenendo con questo provvedimento, appunto, sull'Ilva. Le istituzioni non possono bloccare un provvedimento declinato da un decreto del Presidente della Repubblica come quello del 1994, e non possono nemmeno venir meno a quelle norme che, in qualche modo, meritavano di essere attuate preventivamente, in maniera precedente rispetto anche a questo decreto sull'Ilva. Vi è il progetto Carbosulcis: 50 milioni di tonnellate sancite di presenza nel giacimento; una nuova centrale che può e deve essere fatta in base a quei criteri; lo stoccaggio e la cattura della CO2, che rappresenta una tecnologia per il Paese, proprio anche in virtù di quello che succede all'Ilva, per precedere con soluzioni tecnologiche avanzate un inquinamento, e renderci non inseguitori, ma apripista di nuove soluzioni che possono creare competitività anche sul piano ambientale e non solo energetico-produttivo.
Nel Sulcis l'ENEL fa pagare la corrente elettrica al 60-70 per cento in più del contesto nazionale ed europeo. Alcoa ha ricadute come l'Ilva in termini di occupati e in termini di input rispetto ai settori produttivi del nostro Paese. Vi sono migliaia di licenziamenti in atto, vi sono prodotti che possono subire, davvero, un taglio competitivo, come appunto l'alluminio, che vedrebbe la Sardegna e l'Italia priva di quel materiale necessario per approvvigionare gran parte dell'industria automobilistica del nostro Paese. In merito alla «questione Sulcis» - e vengo al motivo del mio intervento concernente il decreto per l'Ilva - vi sono diverse posizioni. Vi è chi, come il Governo e altri, insegue la strada - perversa, per quanto ci riguarda - di individuare un nuovo compratore per l'Alcoa. È una strada perversa perché tutti sanno che vi è un nodo, una questione fondamentale, che non si risolve cambiando l'insegna, non la si risolve con i manganelli di stamattina, ma trovando soluzioni per dare l'energia a quel costo non di incentivo e di agevolazione, ma di riequilibrio, rispetto alle condizioni nazionali ed europee, che in quel territorio vengono meno. In quel territorio vi è un costo dell'energia - per errori tecnologici messi in campo dall'ENEL nella centrale che, appunto, ha realizzato con gli stessi fondi del decreto per quanto riguarda il disinquinamento di quel territorio - che portano ad essere fuori mercato qualsiasi prodotto venga realizzato con, appunto, industrie energivore. Vi è poi chi persegue, insieme al nuovo acquirente, anche la strada dei percorsi legislativi. Ho detto più volte di essere assolutamente critico su nuovi provvedimenti legislativi in questa materia, perché basta richiamare il fatto che lo Stato italiano, e per esso l'Alcoa, è stato sanzionato dall'Unione europea per 300 milioni di euro in base ad una legge dello Stato che è stata ritenuta illegittima, ma anche attuata per tre anni.
Allora è evidente che se il Governo ritiene, come ha detto qualcuno, che vi possa essere un barlume di provvedimento legislativo, questo è il momento, questa è l'ora, perché si presenti un proposta emendativa, che consenta di dire se il Governo sta facendo sul serio o sta, anche in questo caso, venendo meno alle sue responsabilità ed evitando, come potrebbe essere fatto, invece, oggi, di presentare una proposta emendativa che possa accedere a quell'indicazione legislativa che il Governo stesso, nelle parole del Ministro Passera, ha lasciato, seppur in una nebulosa, far comprendere e spiegare ai lavoratori. Io penso che, proprio perché non bisogna disperdere le energie e tanto meno quelle legislative, occorre che si eviti una nuova Ilva. Quella del Sulcis può essere un'Ilva molto più grave sul piano ambientale, sul piano economico, sul piano produttivo, ma molto più grave su quello sociale.
Bisogna fare subito un accordo bilaterale con l'ENEL, tra lo stabilimento produttivo delle energivore del Sulcis e l'ente (che è anche a compartecipazione statale) che non può continuare a sfuggire alle sue responsabilità. Il Governo ha il compito Pag. 33supremo, con atti di persuasione o anche qualcosa di più energico, per costringere l'ENEL a fare quello che ha fatto in Spagna. L'ENEL ha comprato l'Endesa e la controlla totalmente. Ebbene, l'Endesa, cento per cento ENEL, ha concesso l'accordo bilaterale ad analoga fabbrica produttiva di alluminio in Spagna. Mi domando: perché in Spagna sì e in Italia no? Per quale motivo in Sardegna no e nell'altra parte dell'Europa l'ENEL, attraverso l'Endesa, riesce a realizzare questo tipo di contratti? Questo Governo deve dire, insomma, cosa vuole fare. Se ritiene che ci sia un percorso legislativo da fare, non perda altro tempo. Colga questo treno che sta passando dell'Ilva e lo aggiunga alla coesione territoriale, lo dico perché anche il Ministro Barca è qui presente. Si colga l'occasione per trasformare questo provvedimento, che è parziale, rispetto all'ILVA, in un provvedimento nazionale. Si aggiunga quello che serve per evitare che nel Sulcis si consumi un dramma occupazionale e sociale. Questo decreto dell'Ilva, se il Governo ha qualche minimo percorso legislativo in testa, lo faccia diventare lo strumento per tentare di dare quelle risposte. Lo faccia nelle prossime ore. Lo faccia per evitare che quella tensione diventi guerra sociale. Io penso che in pochi sappiano misurare qual è lo stato sociale in questo momento nel Sulcis e in Sardegna.
Vi posso dire, per quel poco che la posso conoscere, che si sta rischiando davvero grosso. Fate in fretta, evitate che ci sia una chiusura drammatica delle fabbriche di quel territorio della Sardegna, perché altrimenti ci sarebbe un responsabile e quel responsabile sarebbe un Governo latitante, complice delle lobby dell'ENEL, che sarà contrastato in tutti modi, perché risulta davvero inaccettabile questa discriminazione, questo doppio percorso, questo doppio binario, questo doppio peso tra Taranto e un'altra parte, più povera ancora, dell'Italia. Sarebbe gravissimo sul piano giuridico, su quello economico, su quello istituzionale e su quello sociale (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. Onorevole Pili, non l'ho interrotta data la drammaticità e la serietà del problema del quale lei ha parlato, però non le sfugge che, a norma di Regolamento, il suo intervento non era nel merito del provvedimento di cui stiamo discutendo, quindi come Presidenza non posso che richiamare questo aspetto, pur avendole consentito di svolgere appieno il suo pensiero.
Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche dei relatori e del Governo - A.C. 5423)

PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore per la Commissione ambiente, onorevole Ghiglia, rinuncia alla replica. Prendo altresì atto che il relatore per la Commissione attività produttive, onorevole Vico, rinuncia alla replica. Prendo atto infine che il rappresentante del Governo rinuncia alla replica. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
Sospendo brevemente la seduta, che riprenderà fra dieci minuti, esattamente alle ore 18, per lo svolgimento la discussione generale della mozione Bersani ed altri n. 1-01118, concernente iniziative a favore della Calabria.

La seduta, sospesa alle 17,50, è ripresa alle 18.

Discussione della mozione Bersani ed altri n. 1-01118, concernente iniziative a favore della Calabria.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Bersani ed altri n. 1-01118, concernente iniziative a favore della Calabria (Vedi l'allegato A - Mozioni).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario). Pag. 34
Avverto che sono state presentate le mozioni Misiti ed altri n. 1-01124, Angela Napoli e Della Vedova n. 1-01125, Nucara ed altri n. 1-01126, Casini ed altri n. 1-01127, Cicchitto ed altri n. 1-01128 e Di Pietro ed altri n. 1-01129 (Vedi l'allegato A - Mozioni) che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente. I relativi testi sono in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni presentate.
È iscritto a parlare l'onorevole Minniti, che illustrerà la mozione Bersani ed altri n. 1-01118, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

MARCO MINNITI. Signor Presidente, signor Ministro, non è usuale che si presenti una mozione su una singola regione, non è usuale che lo faccia un grande partito nazionale, come il Partito Democratico, non è usuale che il primo firmatario sia il segretario di quel partito. La ragione di una scelta così impegnativa sta tutta nelle condizioni della regione Calabria, condizioni che a lei sono sicuramente note, come sono note ai colleghi parlamentari qui presenti, e che tuttavia hanno in sé una loro drammaticità, una drammaticità che ci viene ogni giorno ricordata da tutti quanti gli istituti di ricerca, che a volte divergono, ma sulla Calabria sono purtroppo spesso concordi.
Un punto vorrei richiamare alla sua attenzione, che costituisce anche un riferimento importante della nostra mozione, ed è lo studio che è stato fatto di recente da Il Sole 24 ore, nel quale, facendo un'analisi della capacità di reazione dei singoli territori alla crisi economica, si fa una graduatoria delle venti regioni italiane e, in quella graduatoria, la Calabria è ultima. Ma vede, signor Ministro, quello che mi preoccupa non è il fatto che la Calabria sia l'ultima, è la distanza che c'è tra l'ultima e la penultima, tra l'ultima e la terz'ultima. Per essere più chiari, la Calabria è ultima mentre la penultima ha il doppio di indice di valutazione rispetto alla Calabria, la terzultima ha quasi il triplo.
In altre parole, siamo di fronte ad una condizione che ci dice una cosa in sostanza, ossia che in questi anni, soprattutto negli ultimi tre anni e mezzo, che sono stati drammatici per tutto quanto il Mezzogiorno e in cui abbiamo avuto il Governo a trazione nordista, più nordista della storia della Repubblica italiana, si è non soltanto accresciuto il divario tra il nord e il sud del Paese, ma è manifestatamente emersa una differenziazione all'interno dello stesso Mezzogiorno, e la Calabria oggi costituisce una realtà del tutto particolare all'interno della stessa realtà del Mezzogiorno. È questo il segnale che noi vogliamo dare con questa mozione, cioè di una assoluta specificità, un'assoluta specificità che appunto ha bisogno di un intervento organico che guardi alla regione nella sua interezza, nella sua complessità.
Se posso permettermi, c'è un'altra ragione un po' più di fondo. La ragione sta in questo, signor Ministro, ossia che noi abbiamo in Calabria un apparente paradosso. L'apparente paradosso sta in questo: abbiamo una regione debolissima economicamente e molto esposta socialmente e, dall'altro lato, nella stessa regione noi abbiamo l'organizzazione criminale più importante d'Italia, abbiamo la 'ndrangheta. Ho detto che si tratta dell'organizzazione criminale più importante d'Italia, forse sarebbe più giusto dire più importante d'Europa. È un'organizzazione criminale che è diffusa in tutto il territorio nazionale, che ha basi dappertutto.
È arrivata a Roma, è arrivata a Milano, è arrivata a Torino, è arrivata in Liguria, è arrivata in Emilia Romagna. Si tratta di una organizzazione criminale che oggi è il player principale del traffico internazionale di stupefacenti per tutta l'Europa, una grande organizzazione criminale che ha «internazionalizzato» in questi anni. Ecco, in questo apparente paradosso, nel Pag. 35fatto che abbiamo una economia fragilissima e una società molto esposta in Calabria e, insieme, l'organizzazione criminale più importante d'Europa, sta il cuore della questione, che fa della Calabria una questione del Paese. In questo apparente paradosso c'è la ragione per cui noi chiediamo all'Italia di occuparsi della Calabria.
La mozione è impegnativa. In questa mozione noi analizziamo i singoli aspetti, le singole sofferenze e le singole proposte sul terreno dello sviluppo, della crescita economica, della coesione sociale di quel territorio. I miei colleghi calabresi del gruppo parlamentare illustreranno i singoli aspetti. A me preme soltanto citare due ragioni di fondo che animano la mozione.
La prima ragione è il lavoro. La mozione ha un forte orientamento. L'idea è cioè quella di creare e costruire le condizioni per creare nuovo lavoro in Calabria. La situazione è drammatica: gli ultimi dati ISTAT sono agghiaccianti nella loro drammaticità. La disoccupazione in Calabria tra il 2011 e il 2012 cresce del 7,8 per cento. Non c'è nessuna regione italiana che ha questo tipo di trend di crescita, pure in un Paese in cui la disoccupazione aumenta, ad un tasso del 7,8 per cento: praticamente quasi raddoppiato. La disoccupazione è a livello quasi del 20 per cento e quella giovanile è al 50 per cento. Così una regione non regge: con il 50 per cento di disoccupazione giovanile e il 20 per cento di disoccupazione generale una regione non regge.
La seconda questione, il secondo fil rouge, filo rosso, che lega la mozione è l'isolamento della Calabria. La cosa che si avverte è l'idea di un isolamento quasi fisico della Calabria. Raggiungere la Calabria è difficilissimo, muoversi dentro la Calabria è ancora più difficile. È difficile per un comune cittadino, è difficile per un'impresa che vuole produrre e soprattutto che vuole esportare fuori dalla Calabria: se non sono certi i tempi di percorrenza, se non sono certi i tempi di consegna di un prodotto come si può pensare di avere competitività?
La situazione è sotto gli occhi di tutti. C'è un collasso infrastrutturale di fronte anche a potenzialità straordinarie che ha quella terra, per la sua collocazione geografica, per la sua collocazione geopolitica. Per il fatto che ha anche una grande infrastruttura di valore internazionale come il porto di Gioia Tauro. Però la sensazione che si avverte è di un abbandono della Calabria. I grandi vettori nazionali, le grandi imprese che si occupano di trasporti e che dovrebbero impegnarsi - penso, fra tutte, le Ferrovie dello Stato - danno la sensazione di ritirarsi dalla Calabria.
Noi, nella mozione, avanziamo una proposta semplicissima. Noi siamo persone che ci siamo impegnate e conosciamo il Mezzogiorno ormai da un certo periodo, e la cosa che colpisce è che noi siamo oggi di fronte al quarantennale della società Ponte sullo Stretto. La società Ponte sullo Stretto è stata fondata nel 1972. Per quarant'anni ha inseguito un mito, forse un miraggio: che si sarebbe forse fatto domani un ponte sullo Stretto. Oggi mi pare una questione abbastanza risolta: se qualcuno dovesse dire in questo momento di congiuntura interna ed internazionale che qualcuno possa impegnare 10 miliardi di euro per fare il ponte sullo Stretto, insomma chiamano il 118 e il problema si risolve molto facilmente. Ma c'è un punto delicato, e il punto è che dopo quarant'anni è lecito chiedere in Parlamento, è lecito chiedere anche al Governo di poter fare un punto sulla società Ponte sullo Stretto e di sapere perché e per quale ragione debba andare avanti o se forse non sia giusto dire: «Basta, fermiamoci qui e impegniamo le risorse lì investite per le infrastrutture calabresi e siciliane».
Siamo di fronte a una drammatica mancanza di risorse. Non possiamo non pensare seriamente a tutto ciò. Lo dico, guardate, con pacatezza e in punta di piedi. Lo dice uno che non ha mai avuto un'avversione ideologica al ponte sullo Stretto. Basta soltanto guardare i lavori parlamentari. Ma, oggi vi è un problema di realismo e di misurarsi concretamente con queste questioni. La storia del Mezzogiorno Pag. 36è purtroppo una storia drammatica, di cose incompiute e di miraggi che hanno portato il Mezzogiorno ad essere in una condizione difficilissima e di difficile prospettiva.
Infine, due ultime considerazioni. La prima è questa: signor Ministro, la mozione è una mozione complessa, molto articolata. Mi ha fatto molto piacere e fa molto piacere che anche le altre forze politico-parlamentari abbiano presentato le mozioni, forse superando anche un po' qualche ritardo, qualche sottovalutazione che vi era stata. È bene che si sviluppi in Parlamento un confronto aperto e, mi auguro, anche unitario. La mozione è una mozione complessa. Vi è un punto, però, che chiedo al Governo e, cioè, che pur avendo chiaro che l'orizzonte della mozione è un orizzonte che va ben oltre questa legislatura e, quindi, anche ben oltre l'orizzonte del Governo, vi sia la volontà di scegliere alcuni punti, alcuni elementi che diano il segno di un'inversione di tendenza e che facciano comprendere alla Calabria che si comincia a cambiare. È questo può farlo questo Governo.
Infine - e termino -, mi si consenta di concludere con questa notazione. In questa mozione vi è un elemento, se mi consente, anche di fortissima rabbia. La mia convinzione profonda, signor Ministro, e la prego di credermi, così come prego i colleghi parlamentari, è che se si avanti così la Calabria muore. È un grido, è un grido d'allarme e anche, se mi è consentito, un grido di dolore. La Calabria, se si avanti così, muore, si spezza, si rompe il tessuto connettivo di questa regione.
E se la Calabria non può fare a meno dell'Italia vi deve essere una consapevolezza comune e, soprattutto, vi deve essere in lei, signor Ministro, che è il Ministro per la coesione territoriale, due termini molto belli e molto forti. Se la Calabria ha bisogno dell'Italia, l'Italia non può fare a meno della Calabria, perché la Calabria oggi consente di avere quell'unità del Paese che, altrimenti, si spezzerebbe. Dobbiamo essere consapevoli tutti che se si spezza la Calabria si spezza un pezzo dell'unità dell'Italia (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Misiti, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-01124. Ne ha facoltà.

AURELIO SALVATORE MISITI. Signor Presidente, non posso non essere contento che in quest'Aula si discuta della mia regione. Ringrazio anche chi ha spinto di più per arrivare a una discussione di questo tipo. Ringrazio, in particolare, quelli che hanno presentato la mozione testé illustrata dall'onorevole Minniti, ma anche gli altri colleghi che hanno presentato diverse altre mozioni, spero, con punti di vista convergenti, lasciando da parte eventuali scelte ideologiche oppure scelte legate all'attività politica di ogni giorno.
È chiaro che parlare di una regione è già avvenuto qualche volta in questo Parlamento ed è avvenuto proprio sulla Calabria, tanto è vero che a suo tempo è stata approvata una legge che si riferiva a questa regione. Oggi è più che mai importante parlare di questo, perché è possibile forse, partendo da una delle 4-5 regioni meridionali, arrivare, magari nella prossima legislatura, a prendere dei provvedimenti che possano aiutare tutto il Mezzogiorno a rinascere.
È evidente che, se rinasce la Calabria, ciò aiuta anche le altre regioni. Infatti, la possibilità di sviluppo e di crescita si ha proprio in quei territori di maggiore arretratezza - questo lo devo dire - anche se ritengo che il centro più importante di sviluppo dell'Italia meridionale si trovi proprio in questa regione: è proprio ciò che avviene in questo momento nel porto di Gioia Tauro, dove effettivamente viene recapitata una parte importante della ricchezza che attraversa il Mediterraneo da un quindicennio a questa parte. Naturalmente non riusciamo a sfruttarla per diversi motivi e, soprattutto, per il fatto che le Ferrovie dello Stato - parlo dello Stato - non sono in grado di poter assicurare il passaggio dal porto al centro dell'Europa in tempi compatibili con la concorrenza. Pag. 37
Voi sapete che i container che arrivano a Gioia Tauro sono circa 3 milioni, sono tanti i TEU che sono gestiti nel porto, fortunatamente ripresosi negli ultimi sei mesi per iniziativa del Governo di un anno, un anno e mezzo fa; eppure questa ricchezza deve essere poi caricata su altre navi e portata attraverso il Mediterraneo in altri luoghi dell'Europa, con perdita di tempo. Mentre il porto di Gioia Tauro sarebbe il porto favorito per far transitare la merce dalle navi al centro dell'Europa in ventiquattro o trentasei ore, mentre per andare a Berlino, attraverso Amburgo, attraverso Rotterdam o altri porti dell'Atlantico, ci impiega una settimana.
Questo è il punto fondamentale e Gioia Tauro potrebbe diventare porto di sette, otto o dieci milioni di TEU e potrebbe portare ad una occupazione e ad una ricchezza di decine di milioni di euro per la regione e di decine di migliaia di posti per i disoccupati calabresi.
Detto questo, credo che vi siano tutte le ragioni per parlare specificatamente della regione e ciò soprattutto perché, in questo momento, trova quasi la conclusione la più grande arteria che sia stata costruita negli ultimi dieci anni da parte dello Stato italiano: la Salerno-Reggio Calabria tende a completarsi nel 2013, ad esclusione di una sessantina di chilometri, che possono anche rimanere per un po' di tempo così come sono perché la grande arteria può funzionare anche senza questa parte rinnovata.
Tuttavia, il sistema della viabilità e del trasporto merci e passeggeri in Calabria risulta monco perché la conformazione del territorio calabrese è tale che ha bisogno di rinnovare l'arteria ionica e di rinnovare e soprattutto di completare il sistema delle trasversali.
Naturalmente, la cosa principale a cui dovremmo aspirare in futuro è il quadruplicamento ferroviario da Salerno a Reggio Calabria, ma anche poi proseguire verso la Sicilia. Questo quadruplicamento ferroviario comporterebbe anche l'avvicinamento tra il Sud ed il Nord ed impedirebbe a chi gestisce le Ferrovie dello Stato in queste condizioni, senza una riforma ormai indispensabile, di poter continuare a privilegiare il Centro-nord ed a fare business con la Torino-Milano-Napoli, oppure con la Napoli-Roma-Venezia, solo concentrando gli investimenti su queste due arterie ferroviarie. Invece nel Mezzogiorno vengono aboliti anche i treni tradizionali che, in gran parte, comportavano anche un aumento della produzione e del PIL nel Mezzogiorno, che purtroppo oggi sono destinati ad essere soppressi.
Pensate a quanti treni sono stati aboliti da Trenitalia. Oggi Trenitalia dipende da FS, che invece non dovrebbe essere una holding ma solo una società di servizi, mentre Trenitalia e RFI, che sono le due grandi strutture, dovrebbero essere direttamente gestite e indipendenti l'una dall'altra, in modo tale che Trenitalia sia sul mercato e molti operatori italiani possano essere concorrenti di Trenitalia e portare i convogli anche nella regione Calabria e nella regione Sicilia. Detto questo, però, mi sembra opportuno ricordare che il punto focale ricordato da tutte le mozioni è quello del contrasto netto alla 'ndrangheta, che deve venire già prima degli investimenti. Dobbiamo investire su questo e mi pare che la richiesta al Governo di finanziare quello che ha chiesto la Commissione parlamentare antimafia nella seduta del 25 gennaio 2012 debba accomunare tutte le mozioni. Bisogna utilizzare anche la nuova situazione che si è determinata in Europa con la riduzione dal 50 al 25 per cento della quota nazionale di investimento dei fondi strutturali e soprattutto sbloccare i fondi, 220 milioni di euro per la sicurezza del territorio, che sono stati già approvati dal CIPE il 20 gennaio 2012. È chiaro che poi bisogna lavorare su altri temi. Non c'è dubbio. Il Governo deve fare uno sforzo per accelerare la bonifica delle aree industriali dismesse, tipo quella di Crotone, che compete all'Ente Nazionale Idrocarburi (ENI), che è il maggiore responsabile dell'inquinamento dell'area del sito di Crotone. Infine, in Calabria dovremmo sfruttare di più il turismo: il Governo ha infatti una funzione importante per far funzionare bene il turismo e incentivare l'agricoltura. Molte questioni Pag. 38riguardano l'accoglienza dei siti archeologici - e ce ne sono di valore e d'importanza nazionale - e in qualche misura occorre predisporre un piano che possa riportare al quadruplicamento ferroviario e alla ripresa economica, quando si potranno recuperare i fondi FAS, che generosamente il Mezzogiorno ha dato al Centro-nord per affrontare la crisi economica che è partita dal 2007; fondi che sono utilizzati soprattutto per scopi diversi dalla loro natura, soprattutto per la cassa integrazione guadagni, che in quel momento era ed è ancora un elemento importante, perché i lavoratori del Nord che sono andati fuori dagli impianti e sono andati a casa sono stati sostenuti da questi fondi. Credo che alla ripresa questi fondi dovrebbero tornare al Mezzogiorno ed essere utilizzati coerentemente per portare il Mezzogiorno d'Italia allo stesso livello del Centro-nord. Infine - concludo, signor Presidente - auspico che le mozioni, avendo sicuramente un tessuto e un obiettivo comuni, possano diventare una sola mozione unitaria, rinunciando ciascuno alle polemiche e ai giudizi sommari su questioni che sono state portate avanti e magari non sono state completate in passato. Comunque, rinunciando a qualcosa, si può ottenere qualcosa di più grande se presenteremo un'unica mozione che possa parlare ai calabresi, al Mezzogiorno e all'Italia (Applausi del deputato Ossorio).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Angela Napoli, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-01125. Ne ha facoltà.

ANGELA NAPOLI. Signor Presidente, signor Ministro, onorevoli colleghi, l'annosa questione del Mezzogiorno d'Italia è stata da sempre il grande problema nazionale dell'Italia unita.
Ma, all'interno della questione del Mezzogiorno d'Italia, oggi non si può fare a meno di considerare la questione Calabria, che, personalmente, mi sento di definire regione Mezzogiorno nel Mezzogiorno d'Italia.
La grave congiuntura economico-finanziaria che sta attraversando l'intera area dell'euro sta avendo un profondo e significativo impatto sul tessuto economico-produttivo delle singole regioni italiane. Le manovre correttive di finanza pubblica rese necessarie per contribuire gradualmente ad una correzione dei conti determinano, però, notevoli squilibri territoriali dal punto di vista della concreta ed effettiva ripartizione tra i diversi livelli di governo dei costi sostanziali dell'avviato processo di risanamento finanziario.
Infatti, il prezzo più alto della crisi lo stanno pagando proprio quelle zone che, già strutturalmente deboli, versano in condizioni di difficoltà e di estremo disagio sociale, economico e infrastrutturale. Come ricordava prima l'onorevole Minniti, una recente indagine del Centro studi Sintesi per Il Sole 24 Ore sull'andamento economico delle regioni italiane tra il 2007 e il 2011 ha messo in luce un quadro socio-economico estremamente sconfortante per il Mezzogiorno: Molise, Basilicata, Puglia, Campania e Calabria occupano gli ultimi posti della graduatoria stilata incrociando una serie di fattori indispensabili per comprendere la dinamicità e lo sviluppo economico di un territorio.
I dati statistici, confermati da altri autorevoli centri di ricerca, certificano una condizione economico-strutturale, in particolare per la regione Calabria, estremamente drammatica e preoccupante. La filiale di Catanzaro della Banca d'Italia, il 20 giugno 2012, in una nota redatta sull'economia calabrese, ha evidenziato: un deciso rallentamento dell'attività economica rispetto all'anno precedente, un significativo calo del fatturato nel 53 per cento delle aziende con sede in Calabria, un'evidente contrazione degli investimenti da parte delle imprese per effetto del permanere di ampi margini di capacità inutilizzata, i segnali di un ulteriore rallentamento della domanda e delle tensioni sulle condizioni di finanziamento, una sostanziale diminuzione delle esportazioni di prodotti regionali per effetto di un forte calo delle vendite verso l'Unione europea e, in particolare, verso i Paesi in cui è in atto una crisi di debito, una forte riduzione Pag. 39della produzione e dell'occupazione, circa il 15 per cento, nel settore delle costruzioni e delle produzioni manifatturiere.
Ancora, un importante studio di Confindustria Cosenza, presentato il 16 luglio 2012, evidenzia come dalla sintetica ricostruzione delle condizioni di contesto socio-economico che caratterizzano la Calabria sono emersi chiaramente i rilevanti ritardi di natura strutturale che bloccano l'intera economia territoriale, le difficoltà e le lungaggini burocratiche che quotidianamente si trovano ad affrontare le imprese, nonché i forti divari nei livelli di crescita e di sviluppo rispetto al quadro di riferimento nazionale e comunitario.
Italcementi di Vibo Marina ha chiuso i battenti, la Contship-Mct, società terminalista monopolista del porto di Gioia Tauro, dopo un anno ha riposto nuovamente in cassa integrazione per ulteriori due anni circa 550 unità lavorative.
A rendere estremamente fragile un contesto territoriale quale quello calabrese, duramente provato dal punto di vista socio-economico, e a peggiorare le stime circa una possibile ed effettiva capacità di ripresa e di crescita dell'attività economico-produttiva regionale contribuiscono decisamente numerosi altri fattori, per così dire, politico-istituzionali che, di fatto, hanno creato nel tempo delle gravi e perduranti situazioni emergenziali che, in molti casi, hanno reso necessaria la nomina, da parte del Governo centrale, di commissari straordinari delegati per l'espletamento delle procedure relative alla realizzazione degli interventi risolutivi programmati.
La Calabria è commissariata da oltre quattordici anni nel settore dell'ambiente e da oltre tre anni in quello della sanità. Basti pensare alla presenza di un sistema di viabilità e di trasporto merci e passeggeri altamente inefficiente, alla soppressione, da parte di Trenitalia, di molti treni a lunga percorrenza che, di fatto, pongono la Calabria in una condizione di vero e proprio isolamento geografico. Non vi è settore, in quella regione, che non viva uno stato emergenziale: occupazione, ambiente, rifiuti, sanità, trasporti, viabilità, infrastrutture, agricoltura. A tutto questo aggiungiamo il dominio e la pervasività della 'ndrangheta. A molti è servita anche come alibi, questo va detto. Purtroppo, vi è anche il dominio della corruzione, del malaffare, dell'illegalità diffusa, dell'iniquità e dell'ingiustizia.
Il Presidente del Consiglio, Mario Monti, nei giorni scorsi a Bari ha dichiarato, in modo del tutto condivisibile, che il Mezzogiorno è centrale per lo sviluppo del Paese, ma proprio queste situazioni locali, quali quella della Calabria, rischiano di compromettere seriamente l'intero sistema economico nazionale in quanto alimentano un clima di assoluta incertezza per le imprese circa l'evolvere delle condizioni del mercato, determinando un forte ridimensionamento della credibilità in termini di effettiva e complessiva capacità di ripresa, con conseguente contrazione degli investimenti e rallentamento dell'attività produttiva nel suo complesso.
La Calabria, oltre ad essere un territorio con grandi potenzialità per la ricchezza delle sue risorse umane, culturali e ambientali, riveste un ruolo strategico per la sua particolare posizione geopolitica che, di fatto, ne fa l'area più avanzata di una piattaforma logistica che unisce l'Europa ai Paesi del mediterraneo con sempre più grandi traffici.
È vero - richiamo ancora un passo dell'intervento svolto a Bari dal Presidente Monti - che il Sud deve cambiare mentalità. Aggiungo che ancor più lo deve fare la Calabria. Basta illegalità, irresponsabilità e corruzione. Noi di Futuro e Libertà per il Terzo Polo non chiediamo ciò che spesso viene racchiuso, più che mai durante le campagne elettorali, nei libri dei sogni. Chiediamo un decisivo impegno da parte di tutti i soggetti istituzionali e socio-economici attivi sul territorio per l'attivazione di un serio e concreto percorso di condivisione delle scelte programmatiche, delle politiche di sviluppo, nonché delle connesse responsabilità.
Siamo consapevoli, signor Ministro, che in Calabria sono arrivate parecchie risorse finanziarie. Il problema è stato la mancanza Pag. 40di un'adeguata programmazione, utile a supportare realmente gli stati emergenziali che precedentemente ho richiamato e che, purtroppo, sovrastano l'intera Calabria. Abbiamo dunque bisogno dell'intervento del Governo centrale, di un Governo che dimostri una particolare attenzione non solo al Mezzogiorno d'Italia, ma, in particolare, alla regione che, all'interno dello stesso Mezzogiorno, presenta ancora problematiche veramente preoccupanti.
Pertanto non abbiamo la pretesa di elencare una serie di interventi che, se pur necessari, però avrebbero sicuramente bisogno di tempi molto più lunghi. Chiediamo dei punti di partenza e quindi chiediamo al Governo di assumere ogni iniziativa, anche economica, utile a rilanciare e a rendere efficace una vera politica di coesione territoriale volta a colmare significativamente i divari territoriali determinati dalla crisi economica e finanziaria in atto, che vedono in particolare le regioni meridionali, e ancor più, tra queste, la Calabria, sempre più lontane dagli standard nazionali medi di efficienza, produttività ed occupazione.
Chiediamo l'impegno a sviluppare e a implementare un piano organico di selezionati investimenti anche infrastrutturali per le regioni meridionali che, tenendo principalmente conto del ruolo geopolitico strategico della Calabria, favorisca lo sviluppo di un ambiente economico realmente in grado di accrescere la produttività degli investimenti, la competitività complessiva del sistema produttivo e di trainare l'intera attività economica nazionale; ad attivare nel più breve tempo possibile un tavolo di programmazione pubblico e privato - credo che questo sia il punto di partenza, signor Ministro, e mi permetto di chiedere l'attenzione proprio su questo come impegno del Governo - con lo scopo principale di monitorare e controllare lo stato delle situazioni emergenziali e delle criticità che investono da anni la regione Calabria e ad avviare un programma strategico e condiviso di sviluppo e crescita territoriale che abbia tra i suoi obiettivi in particolare l'individuazione e l'attivazione di strumenti organici ed integrati di programmazione, in grado di razionalizzare e finalizzare l'insieme delle risorse e degli strumenti di intervento disponibili; il superamento dei ritardi strutturali e infrastrutturali, al fine di far recuperare efficacia ed efficienza all'intero sistema economico produttivo regionale; il potenziamento e l'ammodernamento della dotazione infrastrutturale viaria e il trasporto merci e passeggeri regionale e l'attivazione di un piano organico di prevenzione delle calamità naturali e del dissesto idrogeologico.
Accanto all'impegno che noi chiediamo come gruppo di Futuro e Libertà per il Terzo Polo al Governo di assumere per la Calabria, chiediamo altresì di continuare nell'impegno, che anche in questi giorni il Presidente del Consiglio Monti e il Ministro della giustizia Severino stanno elargendo, per portare a compimento il disegno di legge anticorruzione. Perché è verissimo quello che dice il Ministro Severino quando fa notare: l'anticorruzione, l'abbattimento della corruzione dilagante ed imperante anche e soprattutto in Calabria - lo abbiamo visto come i fondi europei, con i fondi nazionali, con i fondi regionali - è necessaria per implementare davvero l'economia. Anche su questo tema l'appello che mi sento di rivolgere al Governo è che continui con questa sua volontà e determinazione di portare a compimento il disegno di legge anticorruzione, ma lo stesso appello mi sento anche di rivolgere alle forze politiche presenti in Parlamento, quelle forze politiche che hanno rappresentanze della regione Calabria, perché sollecitino il compimento e la definizione di questa normativa anticorruzione.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ossorio, che illustrerà anche la mozione Nucara ed altri n. 1-01126, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE OSSORIO. Signor Presidente, ringrazio il signor Ministro per la sua presenza in Aula, ma voglio ricordare l'azione che il Ministro Barca svolge perché Pag. 41le regioni meridionali possano affrontare con maggiore decisione e con forza tutta la questione della spesa che può essere attivata con i fondi europei. Devo sottolineare questo aspetto perché lo condivido. È vero, noi oggi discutiamo una mozione importante, le nostre mozioni importanti, ma dobbiamo anche farci carico di quello che le regioni possono e devono fare. C'è una grande occasione, quella di attivare i fondi europei e finora - diciamolo con molta franchezza - poco abbiamo fatto. Voglio anch'io associarmi a quello che ha detto poc'anzi il collega Misiti per quanto riguarda l'auspicio che si possa concludere questo dibattito importante con una mozione unica. Un problema così importante come quello sollevato oggi in questa Aula non può trovare divise le forze politiche. L'ha detto poc'anzi - credo - un altro autorevole componente di questa Aula, e io lo sottolineo: noi dovremmo tentare di pervenire ad un'unica mozione.
Intanto illustro la mozione della componente Repubblicani-Azionisti del gruppo Misto il cui primo firmatario è appunto l'onorevole Francesco Nucara, e voglio ricordare una frase eloquente di un grande calabrese, Corrado Alvaro: egli affermava come la disperazione più grande che possa impadronirsi di una società è il dubbio che essere onesti sia inutile (una frase terribile). Ecco perché l'auspicio dei Repubblicani è che si esca uniti su questo argomento, che è un argomento dello Stato. Il problema della regione Calabria è un argomento che riguarda lo Stato. Dicevo, è una frase terribile e in un certo senso premonitrice, alla quale deve rispondere lo Stato con le sue leggi. È importante l'esortazione del Presidente Mario Monti nei confronti del Sud perché cambi nel Sud la mentalità. Ci pare di capire che ciò al Sud non sia prioritario (lo vorrei mettere in evidenza); a noi è parso di capire che non fosse prioritario per il Governo l'aiuto dello Stato alla Calabria; invece deve essere prioritario, affinché quella mentalità che deve cambiare trovi la grande azione di uno Stato forte nei confronti di questa regione (vi sono patti verbali che volteggiano nel limbo delle parole e la politica degli incentivi non è una terapia per una ripresa economica). La maggioranza, la larga maggioranza dei cittadini della Calabria, e più in generale del Sud, coltiva la pratica di un grande disegno di risorgimento ma in questo senso l'appello del Presidente Monti non può preludere - e noi crediamo che non preluda - ad una evidenza minore. Non vorremmo che l'appello alla mentalità che deve cambiare nel Sud possa preludere invece ad una evidenza e ad una ritirata dello Stato nei confronti del Mezzogiorno e della Calabria in particolare.
Non vi sarebbe una tenuta forte degli aspetti civili e morali, se si affievolisse la presenza dello Stato. La questione calabrese è la prova importante di come questo Governo voglia affrontare la ripresa, come è stato detto anche da altri colleghi, dell'economia nazionale. Esistono specificità in Calabria, non solo economiche, che ne fanno un caso assolutamente particolare. Signor Ministro, la costa ionica settentrionale, come lei sa bene, è profondamente diversa dal vicino marchesato crotonese. Questo lo dico per ricordare come esiste un problema delle Calabrie, non della Calabria. Ed è anche molto diverso dalla realtà del reggino. Sono tre condizioni diverse. Ed è una condizione questa di disparità territoriale, che in fondo è la drammaticità storica di una regione che diventa sempre più, nei secoli, una regione di passaggio e di transito. Ci sono due grandi egemonie, l'egemonia di Napoli e l'egemonia di Palermo. Dobbiamo evitare che queste egemonie stritolino ancora di più la regione Calabria.
Concludo innanzitutto richiamando l'attenzione del Governo sugli impegni. Prima di tutto, la grande lotta alla criminalità, che è stata già ricordata. Istituire appunto un confronto permanente tra il Governo, la regione, le istituzioni e i privati, sviluppare l'area portuale della provincia di Reggio Calabria, completare finalmente - annoso problema - l'autostrada Salerno-Reggio Calabria, potenziare e mettere in sicurezza le strade 106 ionica e 18 tirrenica e l'aeroporto dello Stretto a Pag. 42servizio di due città importanti, Reggio Calabria e Messina. Infine, il problema dei centri storici, problema non solo della Calabria, ma dell'intero Mezzogiorno. Il Governo in un certo senso ha accennato a questo problema e credo che lo debba affrontare ancora di più. Inoltre, un intervento perché si giunga finalmente a una fiscalità di vantaggio. Dobbiamo vedere come e in che modo renderci partecipi di questa lotta nei confronti anche dell'Unione europea. Sappiamo che lì esiste un problema. Di una fiscalità di vantaggio bisogna tenere conto. Lo dico per la Calabria questo pomeriggio, ma immagino che il Ministro Barca, che di questi argomenti ne fa una regione anche di presenza forte, debba essere in grado di affrontare questo problema per l'intero Mezzogiorno (Applausi del deputato Misiti).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tassone, che illustrerà anche la mozione Casini ed altri n. 1-01127, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

Testo sostituito con errata corrige volante MARIO TASSONE. Signor Presidente, illustro questa mozione il cui primo firmatario è l'onorevole Casini, poi c'è la firma anche dell'onorevole Cesa. Casini ha svolto ieri proprio a Chianciano un importante e interessante intervento sul Mezzogiorno, anche con riferimenti molto precisi a tutte le politiche del gruppo e su altri problemi di carattere generale. E poi ci sono tutti gli altri colleghi. Svolgo una riflessione, signor Presidente, anche nei confronti del Ministro. Si chiedeva qualche collega tempo fa, ma poi sono valutazioni e giudizi reiterati: servono a qualcosa queste mozioni, questi atti di indirizzo parlamentare? Girandomi, guardando un po' questi banchi vuoti, vedo che ci sono soltanto i colleghi della Calabria e qualche altro, che ovviamente ringrazio, qualche amico, qualche collega, come se i problemi della Calabria dovessero riguardare semplicemente questa regione.
È la solita storia, anche sul piano culturale, che si ripropone e viene ad essere reiterata nel tempo, in cui i calabresi discutono tra di loro e non riescono a oltrepassare quelli che sono i confini della regione: qualcuno parlava di congiura del silenzio e della reattività nei confronti delle istanze e delle attese della regione calabrese. Noi nella nostra mozione abbiamo indicato tutti i dati negativi relativi allo sviluppo, alla disoccupazione, al numero che aumenta sempre dei disoccupati, anche qualificati e laureati, ai problemi delle infrastrutture, a quelli del credito, ai grandi ritardi e alle grandi distanze. È un problema di carattere economico e noi non chiediamo, almeno per quanto ci riguarda e per quanto mi riguarda, così come hanno fatto del resto i colleghi, nessun intervento taumaturgico al Governo, perché gli interventi taumaturgici, caro Ministro Barca, sono stati nel tempo richiesti, e noi siamo coscienti e consapevoli di qual è la nostra storia: una storia fatta di interventi straordinari per il Mezzogiorno; una rottura, che venne fuori anche rispetto ad arretratezze ataviche, isolamenti delle aree di montagna. Io credo che l'intervento straordinario della Cassa per il Mezzogiorno riuscì ad avere un ruolo, ma poi quando si dovette passare dall'intervento straordinario emergenziale allo sviluppo, c'è stato uno stacco e ci sono stati problemi anche in Calabria. Nel 1970 i fatti di Reggio ed il pacchetto Colombo non sono fatti inventati: ci fu una rottura sul piano culturale e sul piano sociale, il richiamarsi alle Calabrie e il richiamarsi alle vecchie culture delle divisioni, e noi divisioni ne abbiamo in Calabria come ne abbiamo nel nostro Paese, ma questo pone certamente la questione dell'unità d'Italia.
Inoltre, per fare una battuta, io mi sono espresso sempre contro le regioni a statuto speciale: io direi che tutte le regioni dovrebbero essere ordinarie. Questa veramente è un'anomalia gravissima che esiste ancora all'interno del nostro Paese. Se si dovesse parlare di regioni a statuto speciale, io parlerei certamente di regioni arretrate. Ma non chiedo nemmeno la specialità, anche perché ci sono state nel tempo delle leggi speciali per quanto riguarda la Calabria, non è che non ci sono state: ci sono state le leggi speciali per la Pag. 43Calabria, c'è stata una legge speciale per Reggio Calabria, c'è stata una serie di interventi. Dove sono andate a finire queste risorse? Pertanto c'è stata nel tempo una storia antica anche di questa nostra regione, che è passata attraverso vari momenti storici incredibili. Allora che cosa chiediamo in questo particolare momento? Assistenza? Carità? Se noi dovessimo vedere quali sono stati gli interventi per la Calabria, l'equilibrio fra costi e benefici non c'è, non esiste. C'è la vicenda di Gioia Tauro, che è stata qui richiamata, ma quella di Gioia Tauro è nata così per un fatto occasionale, eventuale: si voleva fare il quinto centro siderurgico, e si è fatto il porto per l'attracco delle petroliere. Ma poi Gioia Tauro è andata in mano ai privati, che hanno preso il monopolio. Gioia Tauro, anche se vengono 8 milioni di euro, non va da nessuna parte se non si fa un'area di sviluppo soprattutto della produttività delle merci. Altrimenti non ci capiamo, e questa Calabria sembra essere «appaltata» pezzo per pezzo, con ritardi enormi sul piano infrastrutturale.
Allora il quesito che io mi pongo in questo momento, e lo pongo, signor Presidente, certamente al Ministro Barca e anche ai colleghi è: non è più il tempo di essere semplicemente interlocutori e a volte anche controparte, ma di essere sia controparte, sia interlocutori di questo Governo, che sta certamente dimostrando una capacità di intervento e, in questo momento di situazione particolare per il nostro Paese, nel fronteggiare anche la crisi economica?
Oppure dobbiamo fare un discorso di carattere generale che vale per quello che può valere perché la legislatura fra sei mesi è finita. Che mandato, che compito, diamo al Governo? Già ci siamo sentiti ripetere che aveva i compiti a casa, fare un surplus di assegnazione di compiti a casa credo sia un po' eccessivo. Il Governo sa che senza la Calabria non si risolve il problema del Mezzogiorno dell'Italia; anche nel quadro europeo, anche rispetto ad alcune regioni dell'Europa la Calabria è sempre all'ultimo posto; ovviamente il riferimento è ai dati che noi abbiamo. Siamo ovviamente superiori solo alle Canarie e alla Corsica, ma siamo arretrati rispetto al resto dei territori e delle altre zone. Che cosa dobbiamo dire, allora? Che bisogna organizzare un tavolo di concertazione, o meglio ancora, un tavolo perché possa essere definita una programmazione, un disegno, una strategia. Ma da parte di chi? Perché non c'è dubbio che in un sistema democratico ci sono una pluralità di responsabilità. Allora, se c'è un degrado della Calabria, se c'è una situazione di violenza perpetrata anche nei confronti delle nostre coste, del nostro ambiente, questo abbandono continuo, complessivo, è un indicatore preoccupante e allora la responsabilità è diffusa: riguarda le autonomie locali, riguarda le regioni, riguarda una nuova cultura e riguarda le forze politiche. Perché dobbiamo aver paura di dire queste cose? Se il dato è culturale di unificazione così come è un dato culturale tutta la problematica che riguarda il Paese, non c'è dubbio che manca l'impatto e manca una gestione anche a livello locale. Il Governo, se ha la forza di essere un Governo nazionale dovrebbe guidare i processi ed è inutile parlare di ambiente o di sanità. Io sono stato sempre attestato sulla posizione che tenderebbe a ricomporre e a restituire le competenze primarie, per quanto riguarda la pubblica istruzione, l'ambiente, la sanità, in capo allo Stato. Perché non dobbiamo dire queste cose? Perché non ce la facciamo più; è inutile che ci si venga a dire continuamente che ci sono situazioni economiche complessive di dispendio di risorse e poi delle regioni non parliamo. Non si fa nessun cenno alla situazione delle regioni; e poi dobbiamo dire soprattutto come ci si pone per quanto riguarda i progetti, la progettualità in Europa, perché alcuni progetti non sono andati avanti. Parliamo giustamente delle ferrovie, perché questo è un altro problema. Le ferrovie hanno dei proprietari; purtroppo ci sono dei gruppi di potere, di gestione che bypassano il Governo e il Parlamento; se non abbiamo una legge seria per esempio per quanto riguarda la gestione delle ferrovie, l'amministratore delegato delle ferrovie Pag. 44è il proprietario assoluto delle ferrovie anche sul piano delle scelte. Parliamoci con molta chiarezza, qual è il potere del Governo nei confronti delle ferrovie? Qual è il potere del Governo? Quando ero viceministro delle infrastrutture e dei trasporti dicevo: contiamo tutto; anzi non lo dicevo perché ho cercato sempre di mantenere un ruolo di serietà e di onestà intellettuale nei confronti degli atti; ma qual è il potere del Governo? Oggi il problema è la centralità del Parlamento e il ruolo dell'Esecutivo, in termini seri. Ma qual è il potere del Governo rispetto a quella che è la situazione del credito in Calabria? Gli istituti di credito hanno racimolato, «raccattato» in termini di rapina, a volte, le risorse di quella regione. Poi gli investimenti sono stati fatti altrove. Ritengo che c'è un dato, un problema che bisogna affrontare. La mozione serve. Minniti diceva che tale mozione è stata firmata da Bersani la prima volta; ma altre mozioni nel tempo sono state votate. Noi lo abbiamo applaudito, ci siamo trovati anche con Marco e con altri colleghi, in altre zone, nel territorio; siamo stati sulla Locride dove c'è un bravo presidente dell'associazione di quei comuni imperituri che sta portando avanti un suo progetto, anche se ci siamo trovati «sul terreno». Siamo d'accordo, siamo tutti sulla stessa barca - senza ovviamente fare riferimento al cognome del Ministro - ma certamente siamo sulla stessa barca un po' in difficoltà nella navigazione. Io so che c'è un intendimento - lo hanno detto anche i colleghi - da parte del Governo di «stoppare» dopo la discussione sulle linee generali e di prendersi un momento di riflessione per vedere di poter ricomporre una mozione unitaria. Non siamo in disarmonia con gli atti, non è che non siamo d'accordo.
Noi siamo d'accordo per comporre una mozione unitaria, ma attraverso un filone di serietà, perché l'elencazione dei problemi, signor Presidente, signor Ministro e carissimi onorevoli colleghi, la possiamo fare tutti: sono i vecchi problemi e le vecchie situazioni che si reiterano continuamente e si ripropongono anche nel tempo. Oggi vi è bisogno di qualcosa di nuovo, di una rottura rispetto al passato, e i soggetti interessati sono più di uno, non soltanto il Governo. Infatti, nei suoi Ministeri si possono allocare delle risorse, ma quanta allocazione di risorse ha avuto la Calabria di cui, poi - l'ho detto -, l'utilizzazione e il significato dell'autorizzazione non abbiamo colto nella sua vera importanza? Anzi, facevo poco prima una valutazione dello squilibrio esistente fra costi e benefici. L'ultima parte del mio intervento, signor Presidente, è rivolta alla criminalità organizzata.
MARIO TASSONE. Signor Presidente, illustro questa mozione il cui primo firmatario è l'onorevole Casini, poi c'è la firma anche dell'onorevole Cesa. Casini ha svolto ieri proprio a Chianciano un importante e interessante intervento sul Mezzogiorno, anche con riferimenti molto precisi a tutte le politiche del gruppo e su altri problemi di carattere generale. E poi ci sono tutti gli altri colleghi. Svolgo una riflessione, signor Presidente, anche nei confronti del Ministro. Si chiedeva qualche collega tempo fa, ma poi sono valutazioni e giudizi reiterati: servono a qualcosa queste mozioni, questi atti di indirizzo parlamentare? Girandomi, guardando un po' questi banchi vuoti, vedo che ci sono soltanto i colleghi della Calabria e qualche altro, che ovviamente ringrazio, qualche amico, qualche collega, come se i problemi della Calabria dovessero riguardare semplicemente questa regione.
È la solita storia, anche sul piano culturale, che si ripropone e viene ad essere reiterata nel tempo, in cui i calabresi discutono tra di loro e non riescono a oltrepassare quelli che sono i confini della regione: qualcuno parlava di congiura del silenzio e della reattività nei confronti delle istanze e delle attese della regione calabrese. Noi nella nostra mozione abbiamo indicato tutti i dati negativi relativi allo sviluppo, alla disoccupazione, al numero che aumenta sempre dei disoccupati, anche qualificati e laureati, ai problemi delle infrastrutture, a quelli del credito, ai grandi ritardi e alle grandi distanze. È un problema di carattere economico e noi non chiediamo, almeno per quanto ci riguarda e per quanto mi riguarda, così come hanno fatto del resto i colleghi, nessun intervento taumaturgico al Governo, perché gli interventi taumaturgici, caro Ministro Barca, sono stati nel tempo richiesti, e noi siamo coscienti e consapevoli di qual è la nostra storia: una storia fatta di interventi straordinari per il Mezzogiorno; una rottura, che venne fuori anche rispetto ad arretratezze ataviche, isolamenti delle aree di montagna. Io credo che l'intervento straordinario della Cassa per il Mezzogiorno riuscì ad avere un ruolo, ma poi quando si dovette passare dall'intervento straordinario emergenziale allo sviluppo, c'è stato uno stacco e ci sono stati problemi anche in Calabria. Nel 1970 i fatti di Reggio ed il pacchetto Colombo non sono fatti inventati: ci fu una rottura sul piano culturale e sul piano sociale, il richiamarsi alle Calabrie e il richiamarsi alle vecchie culture delle divisioni, e noi divisioni ne abbiamo in Calabria come ne abbiamo nel nostro Paese, ma questo pone certamente la questione dell'unità d'Italia.
Inoltre, per fare una battuta, io mi sono espresso sempre contro le regioni a statuto speciale: io direi che tutte le regioni dovrebbero essere ordinarie. Questa veramente è un'anomalia gravissima che esiste ancora all'interno del nostro Paese. Se si dovesse parlare di regioni a statuto speciale, io parlerei certamente di regioni arretrate. Ma non chiedo nemmeno la specialità, anche perché ci sono state nel tempo delle leggi speciali per quanto riguarda la Calabria, non è che non ci sono state: ci sono state le leggi speciali per la Pag. 43Calabria, c'è stata una legge speciale per Reggio Calabria, c'è stata una serie di interventi. Dove sono andate a finire queste risorse? Pertanto c'è stata nel tempo una storia antica anche di questa nostra regione, che è passata attraverso vari momenti storici incredibili. Allora che cosa chiediamo in questo particolare momento? Assistenza? Carità? Se noi dovessimo vedere quali sono stati gli interventi per la Calabria, l'equilibrio fra costi e benefici non c'è, non esiste. C'è la vicenda di Gioia Tauro, che è stata qui richiamata, ma quella di Gioia Tauro è nata così per un fatto occasionale, eventuale: si voleva fare il quinto centro siderurgico, e si è fatto il porto per l'attracco delle petroliere. Ma poi Gioia Tauro è andata in mano ai privati, che hanno preso il monopolio. Gioia Tauro, anche se vengono 8 milioni di euro, non va da nessuna parte se non si fa un'area di sviluppo soprattutto della produttività delle merci. Altrimenti non ci capiamo, e questa Calabria sembra essere «appaltata» pezzo per pezzo, con ritardi enormi sul piano infrastrutturale.
Allora il quesito che io mi pongo in questo momento, e lo pongo, signor Presidente, certamente al Ministro Barca e anche ai colleghi è: non è più il tempo di essere semplicemente interlocutori e a volte anche controparte, ma di essere sia controparte, sia interlocutori di questo Governo, che sta certamente dimostrando una capacità di intervento e, in questo momento di situazione particolare per il nostro Paese, nel fronteggiare anche la crisi economica?
Oppure dobbiamo fare un discorso di carattere generale che vale per quello che può valere perché la legislatura fra sei mesi è finita. Che mandato, che compito, diamo al Governo? Già ci siamo sentiti ripetere che aveva i compiti a casa, fare un surplus di assegnazione di compiti a casa credo sia un po' eccessivo. Il Governo sa che senza la Calabria non si risolve il problema del Mezzogiorno dell'Italia; anche nel quadro europeo, anche rispetto ad alcune regioni dell'Europa la Calabria è sempre all'ultimo posto; ovviamente il riferimento è ai dati che noi abbiamo. Siamo ovviamente superiori solo alle Canarie e alla Corsica, ma siamo arretrati rispetto al resto dei territori e delle altre zone. Che cosa dobbiamo dire, allora? Che bisogna organizzare un tavolo di concertazione, o meglio ancora, un tavolo perché possa essere definita una programmazione, un disegno, una strategia. Ma da parte di chi? Perché non c'è dubbio che in un sistema democratico ci sono una pluralità di responsabilità. Allora, se c'è un degrado della Calabria, se c'è una situazione di violenza perpetrata anche nei confronti delle nostre coste, del nostro ambiente, questo abbandono continuo, complessivo, è un indicatore preoccupante e allora la responsabilità è diffusa: riguarda le autonomie locali, riguarda le regioni, riguarda una nuova cultura e riguarda le forze politiche. Perché dobbiamo aver paura di dire queste cose? Se il dato è culturale di unificazione così come è un dato culturale tutta la problematica che riguarda il Paese, non c'è dubbio che manca l'impatto e manca una gestione anche a livello locale. Il Governo, se ha la forza di essere un Governo nazionale dovrebbe guidare i processi ed è inutile parlare di ambiente o di sanità. Io sono stato sempre attestato sulla posizione che tenderebbe a ricomporre e a restituire le competenze primarie, per quanto riguarda la pubblica istruzione, l'ambiente, la sanità, in capo allo Stato. Perché non dobbiamo dire queste cose? Perché non ce la facciamo più; è inutile che ci si venga a dire continuamente che ci sono situazioni economiche complessive di dispendio di risorse e poi delle regioni non parliamo. Non si fa nessun cenno alla situazione delle regioni; e poi dobbiamo dire soprattutto come ci si pone per quanto riguarda i progetti, la progettualità in Europa, perché alcuni progetti non sono andati avanti. Parliamo giustamente delle ferrovie, perché questo è un altro problema. Le ferrovie hanno dei proprietari; purtroppo ci sono dei gruppi di potere, di gestione che bypassano il Governo e il Parlamento; se non abbiamo una legge seria per esempio per quanto riguarda la gestione delle ferrovie, l'amministratore delegato delle ferrovie Pag. 44è il proprietario assoluto delle ferrovie anche sul piano delle scelte. Parliamoci con molta chiarezza, qual è il potere del Governo nei confronti delle ferrovie? Qual è il potere del Governo? Quando ero viceministro delle infrastrutture e dei trasporti dicevo: contiamo tutto; anzi non lo dicevo perché ho cercato sempre di mantenere un ruolo di serietà e di onestà intellettuale nei confronti degli atti; ma qual è il potere del Governo? Oggi il problema è la centralità del Parlamento e il ruolo dell'Esecutivo, in termini seri. Ma qual è il potere del Governo rispetto a quella che è la situazione del credito in Calabria? Gli istituti di credito hanno racimolato, «raccattato» in termini di rapina, a volte, le risorse di quella regione. Poi gli investimenti sono stati fatti altrove. Ritengo che c'è un dato, un problema che bisogna affrontare. La mozione serve. Minniti diceva che tale mozione è stata firmata da Bersani la prima volta; ma altre mozioni nel tempo sono state votate. Noi lo abbiamo applaudito, ci siamo trovati anche con Marco e con altri colleghi, in altre zone, nel territorio; siamo stati sulla Locride dove c'è un bravo presidente dell'associazione di quei comuni Imperitura che sta portando avanti un suo progetto, anche se ci siamo trovati «sul terreno». Siamo d'accordo, siamo tutti sulla stessa barca - senza ovviamente fare riferimento al cognome del Ministro - ma certamente siamo sulla stessa barca un po' in difficoltà nella navigazione. Io so che c'è un intendimento - lo hanno detto anche i colleghi - da parte del Governo di «stoppare» dopo la discussione sulle linee generali e di prendersi un momento di riflessione per vedere di poter ricomporre una mozione unitaria. Non siamo in disarmonia con gli atti, non è che non siamo d'accordo.
Noi siamo d'accordo per comporre una mozione unitaria, ma attraverso un filone di serietà, perché l'elencazione dei problemi, signor Presidente, signor Ministro e carissimi onorevoli colleghi, la possiamo fare tutti: sono i vecchi problemi e le vecchie situazioni che si reiterano continuamente e si ripropongono anche nel tempo. Oggi vi è bisogno di qualcosa di nuovo, di una rottura rispetto al passato, e i soggetti interessati sono più di uno, non soltanto il Governo. Infatti, nei suoi Ministeri si possono allocare delle risorse, ma quanta allocazione di risorse ha avuto la Calabria di cui, poi - l'ho detto -, l'utilizzazione e il significato dell'autorizzazione non abbiamo colto nella sua vera importanza? Anzi, facevo poco prima una valutazione dello squilibrio esistente fra costi e benefici. L'ultima parte del mio intervento, signor Presidente, è rivolta alla criminalità organizzata.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

MARIO TASSONE. Concludo, signor Presidente, ma avevo chiesto qualche minuto in più.

PRESIDENTE. Onorevole Tassone, sono già passati.

MARIO TASSONE. Signor Presidente, ho superato anche quelli: sono un impunito, come dicono qui a Roma. Chiedo scusa, signor Presidente, ma mi conceda di fare una riflessione finale.

PRESIDENTE. Sta bene, per un minuto.

MARIO TASSONE. Signor Presidente, noi abbiamo presentato, come Commissione antimafia, delle relazioni, che sono state ricordate anche qui: la criminalità organizzata non è una delle componenti del problema, ma è il problema principale dell'assenza di sviluppo. Infatti, se dobbiamo dire un'altra cosa o dobbiamo seguire qualche giudizio e qualche valutazione che viene ad essere riproposta, anche in questi tempi, da qualche personaggio, è che se non vi fosse il sottobosco dell'economia gestito dalla criminalità organizzata, la regione Calabria sarebbe, ovviamente, ormai, affondata del tutto. Faccio questa riflessione perché è un territorio controllato dalla criminalità organizzata, che controlla per competenza i lotti e il chilometraggio delle autostrade e Pag. 45dove la criminalità cerca di piegare anche i bravi sindaci e i bravi amministratori comunali. Ritengo che il pacchetto, certamente, è complesso, e che tali problematiche rientrino nelle responsabilità del Governo, ma anche nella responsabilità dei cittadini, per una reattività. Allora, in questo caso, possiamo, certamente, come Parlamento, avere una capacità soprattutto di reazione e di indicazione di un percorso di novità. Almeno in questa scorcio di legislatura diamoci un metodo di lavoro da lasciare alle altre legislature e agli altri Governi. Facciamo in modo che sia questo un metodo serio, forte, ma soprattutto che faccia ricomporre una storia, anche sul piano politico e sul piano culturale, e restituisca al Parlamento la sua centralità nell'indirizzare il Governo, e per fare in modo che il Governo, ovviamente, si faccia carico di quelli che sono i problemi che riguardano la sua competenza, nonché di sollecitare gli enti regionali e non solo che hanno altri tipi di competenza e altri tipi di responsabilità.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Galati, che illustrerà la mozione Cicchitto ed altri n. 1-01128, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE GALATI. Signor presidente, signor Ministro, colleghi, le mozioni che oggi si discutono sulla Calabria, seppure con le differenti visioni e anche con accezioni politiche diverse, mostrano una comune attenzione a quello che possiamo definire un «caso Calabria». Vi sono difficili condizioni recessive che appartengono a tutto il Paese, ma certamente in Calabria esiste la necessità di interventi di medio e lungo termine per ridare, più che una speranza, anche una prospettiva di sviluppo. Il gruppo del PdL partecipa convintamente, con una sua mozione, alla promozione di iniziative che possano agevolare lo sviluppo economico della Calabria. Vi è, altresì, anche da parte nostra, un auspicio e un desiderio che il lavoro finale comune possa portare ad una mozione unitaria. Ciò in base proprio al contrasto recessivo che vi è e agli indicatori che abbiamo di fronte a noi, se pensiamo che soltanto nella prima parte del 2012 è diminuita del 5 per cento l'occupazione e, d'altra parte, siamo in presenza del reddito pro capite più basso di tutto il Paese. Ma soprattutto, quello che ci preoccupa è che il tasso di disoccupazione è circa il doppio della media nazionale. Vi è in Calabria una giunta impegnata in un processo di riforma necessario, per marcare, anche attraverso un taglio di sprechi nel settore sanitario ed enti subregionali a volte inutili, una controtendenza a politiche che, di fatto, sono state negli anni anche di spot, più che complessive.
C'è la necessità, evidenziata anche ultimamente dal Presidente del Consiglio, che ha ribadito che il Mezzogiorno è una parte determinante in questa strategia di crescita ed equità, soprattutto per evitare una lesione del contratto sociale in questa parte del Paese, di risolvere diversi problemi che sono di fronte a noi.
Infrastrutture e trasporti: c'è la necessità su questo terreno di realizzare nel sud un sistema ferroviario stradale moderno che - lo ripetiamo da anni - sia più efficace e in grado di unificare il Paese, ma soprattutto di sviluppare le potenzialità del mercato interno. Questa situazione non soltanto evidentemente limita le imprese e deprime le condizioni sociali, ma riteniamo sia anche in questo senso non un problema della regione, ma un problema di criticità per la crescita dell'intero Paese. All'interno di questo evidentemente ci sono situazioni che rimarcano una difficoltà fortissima.
Innanzitutto, noi abbiamo grosse difficoltà rispetto ad un'azienda pubblica quale Ferrovie dello Stato che molto spesso immagina e pensa soltanto di guardare alla redditività e poco al servizio che è equamente distribuito, soprattutto se guardiamo la qualità e la quantità dei vettori che percorrono le regioni meridionali. Abbiamo difficoltà che riguardano l'economia della Calabria. Il porto di Gioia Tauro, inserito tra i porti che saranno connessi al sistema ferroviario europeo e Pag. 46all'ERMTS, ha bisogno di interventi strutturali, finalizzati proprio a questo ammodernamento entro il 2015.
È stato già ricordata - e non mancheremo neanche noi di rilevare - la necessità di una veloce accelerazione di completamento della Salerno-Reggio Calabria. La Calabria deve essere al centro di alcune politiche del Paese, soprattutto per la sua funzione rispetto all'area del Mediterraneo ed in questo senso deve esserci anche una coerenza da parte del Governo circa l'implementazione di pochi hub aeroportuali, dei quali certamente può spiccare il ruolo dell'aeroporto internazionale di Lamezia Terme, che deve essere a servizio della Calabria, ma soprattutto in grado di collegare uomini e merci calabresi con il resto del mondo. D'altra parte ha le stesse potenzialità e le stesse caratteristiche strutturali e tecniche dei più grandi aeroporti italiani.
C'è bisogno anche - lo ricordiamo - di un intervento del Governo che preveda la necessità dell'alta velocità sino a Reggio Calabria. Ma un'attenzione particolare - non a caso lo ha ammesso in questi ultimi periodi anche la regione Calabria, con l'efficiente guida del presidente Scopelliti - che riguarda l'idea di realizzare una zona economica speciale (ZES) per il porto di Gioia Tauro - Ministro Barca - con l'obiettivo di attirare nuovi investimenti all'interno del sostegno allo sviluppo produttivo di quell'area e del sistema portuale. Ben conosciamo poi le difficoltà anche non meno eclatanti, ma non meno urgenti, della viabilità intorno alla statale 18 e alla 106 jonica.
C'è un altro settore importante rispetto a questa regione che è quello del turismo. Ci troviamo, in questo caso, di fronte a una frammentazione turistica, una frammentazione che riguarda anche l'attività alberghiera, a fronte di una regione che pur rientra fra quelle che hanno potenzialità di bellezze non soltanto del clima, dei mari e dei monti, ma anche di tradizioni storico-culturali che evidentemente vanno potenziate.
Quindi, anche in questo senso, è necessario un potenziamento. Se questa estate la federalberghi ha annunciato che la Calabria era al primo posto della volontà delle prenotazioni turistiche, allora questo significa che ci sono le potenzialità, ma evidentemente occorre creare le condizioni ottimali per favorire il turismo. Il turismo richiede professionalità, programmazione di medio e lungo periodo e in questo senso crediamo ci sia la necessità anche di un'efficienza tra servizi pubblici e privati che altrimenti il turista richiederà altrove.
In questo senso, ci permettiamo di immaginare anche un'altra scuola meridionale del turismo che dovrebbe puntare a istruire gli operatori del settore con tanto anche di stage all'estero. La scuola potrebbe essere finanziata con contributi pubblici, ma anche da privati, un mix di risorse che garantirebbe anche maggiore possibilità di sbocco per i giovani che sceglieranno di specializzarsi in questo settore.
Un capitolo a parte credo debba essere dedicato ai giovani. Su di essi è necessario puntare per gettare le basi di un futuro sostenibile della Calabria. Positivo, Ministro, il suo recente annuncio insieme al Ministro Profumo, circa le motivazioni che stanno alla base della cosiddetta «operazione Messaggeri»: due bandi per cento ricercatori italiani ed europei chiamati a diffondere la loro professionalità a chi intravede un futuro pieno di incognite.
In questo senso, meritorio questo intervento che, come ha ben ricordato nei giorni scorsi anche l'ex Ministro Fitto, si muove anche in continuità con l'azione del precedente Governo Berlusconi. Si potrebbe immaginare, signor Ministro, anche di associare l'idea di una green card, una carta di credito ricaricata dallo Stato per un importo predeterminato.
Lo scopo dovrebbe essere prioritariamente quello di portare nel Mezzogiorno giovani laureati o specializzati che magari hanno alle spalle uno stage o un corso di studio presso un'istituzione universitaria o un'impresa straniera. È auspicabile che il Governo conceda ai nostri territori, però, e alle nostre imprese la fiscalità di vantaggio, la quale può generare quel rapporto Pag. 47tra cittadino e burocrazia e rappresentare uno strumento di crescita che è già sperimentato in altri Paesi. Forse sarebbe utopistico immaginarlo in tutta la regione, ma sarebbe opportuno iniziare con l'applicazione, in via sperimentale, quantomeno nelle aree della Calabria che hanno più possibilità di essere definite come industriali.
Per la crescita sana è certamente necessario combattere contro il lavoro sommerso e l'evasione fiscale. Potremmo immaginare, nella lotta all'evasione fiscale, come leva per lo sviluppo, anche la creazione di una sorta di fondo ad hoc, alimentato proprio da una quota della lotta contro l'evasione fiscale per ridurre complessivamente le tasse sulle imprese sane, incentivando quei progetti industriali con un'alta presenza di innovazione tecnologica nelle aree del sud.
La Calabria è una terra di due milioni di abitanti, ma allo stesso tempo ben sappiamo che esiste anche una Calabria di altre centinaia di milioni di persone che vivono all'estero. Per troppo tempo questo è stato associato anche ad un'emigrazione di lavoro, di braccia. Sappiamo che così non è da diverso tempo e, in questo senso, credo sarebbe necessario - la regione già sta operando in tal senso attraverso una mission dedicata alla Fondazione dei calabresi nel mondo - instaurare una comunicazione reattiva tra tutte le comunità dei calabresi nel mondo, in particolare con le nuove generazioni, quelle figlie di emigrati all'estero che oggi sono e possono essere degli «agenti» sociali della Calabria.
Al di là di tutto questo, ovviamente ben sappiamo che non c'è sviluppo senza legalità. È stata già ricordata prima la necessità di questo contrasto in una regione che evidentemente soffre diversi mali. In questo senso crediamo di ribadire che probabilmente la scelta di accorpare il tribunale di Rossano a quello di Castrovillari non è stata una scelta felice. Riteniamo che il mantenimento del tribunale di Rossano avrebbe permesso anche in quel territorio, che soffre di problemi legati ad enormi flussi anche di traffico lecito ma anche illecito, il controllo della criminalità organizzata. Sosteniamo, quindi, la necessità di poter rivedere questa scelta che può, invece, permettere una presenza in tutto il territorio di questi presidi.
Infatti, forte è la richiesta di giustizia, di legalità in una regione che, però, è maglia nera nella terribile classifica delle intimidazioni che colpiscono l'apparato amministrativo. Ricordiamo, tra i vili attentati, quelli a due donne sindaco, Maria Carmela Lanzetta di Monasterace e Luisa Brosio di Parghelia, che dimostrano come non soltanto la viltà si riferisce all'istituzione sindaco, in questo caso rafforzata anche da due donne che esprimono anche la necessità di una Calabria diversa.
Tuttavia ci sono fenomeni in questo periodo che riguardano la città di Lamezia Terme, che vive da parte della magistratura una stagione felice di lotta alla criminalità. Ma questo ovviamente porta a una reazione dura e anche ai recenti attentati ad un'azienda gloriosa, come Caffè Guglielmo, in una zona del catanzarese che aveva goduto finora di una minore presenza della criminalità. La necessità è evidente e, a tal proposito, il gruppo del PdL prende l'impegno con se stesso prima che con gli altri che ci debba essere anche in questa campagna elettorale del 2013 una forte attenzione e anche una grande mobilitazione politica per evitare che la 'ndrangheta condizioni il voto.
Abbiamo in Calabria un problema forte, duro, che è quello del ripristino di una condizione sanitaria efficiente. La Calabria fa parte del piano di rientro dal disavanzo del settore sanitario. In due anni vi è stato uno sforzo dell'attuale commissario ad acta, che è il presidente della regione, che ha praticamente dimezzato il debito attraverso anche i piani di razionalizzazione e il potenziamento delle strutture esistenti. Grazie a questi risultati è stata erogata alla regione l'anticipazione della premialità per gli anni pregressi in relazione al debito ante 2007, è stato autorizzato un mutuo contratto con la Pag. 48Cassa depositi e prestiti ed è stato, altresì, autorizzato l'utilizzo dei Fondi FAS per la copertura del debito sanitario.
Quindi, di fatto, è stato posto un drammatico freno a quello che è stato uno dei settori che ha prodotto un grosso disavanzo. Oggi c'è una necessità però, signor Ministro, di avvio concreto delle attività legate alla realizzazione dei nuovi ospedali previsti dall'Accordo di programma integrativo sottoscritto dal Ministro della salute e dal presidente della regione Calabria in data 6 dicembre 2007. Quindi, vi è la necessità che questo percorso di miglioramento dell'offerta sanitaria possa avvenire dopo un'azione di serietà sui conti della sanità.
Per quanto riguarda l'agricoltura, signor Ministro, la Calabria è tra le prime tre regioni italiane per numero di aziende agricole. Ciò garantisce anche la manutenzione e un governo del territorio difficile da un punto di vista orografico e paesaggistico e certamente ha una sua ricaduta fortissima anche sul piano del connubio con il turismo. Il territorio regionale rappresenta un elemento fondamentale per l'agricoltura, ci sono l'effetto del microclima, le condizioni morfologiche ed identitarie del territorio. Quindi, l'agricoltura calabrese è sostanzialmente un'agricoltura di nicchia e di prodotti di grande qualità, ma tutto quello che rappresenta ricchezza può venire meno se in futuro non si sapranno rappresentare in sede di revisione della PAC le istanze di questi territori e di queste specificità di prodotti agricoli. Pertanto, il fatto stesso che la PAC porterà alla diminuzione dei pagamenti diretti può rappresentare un elemento di debolezza per il futuro dell'agricoltura calabrese.
In tutto questo, lo sguardo deve essere rivolto al futuro e, quindi, alle politiche di innovazione. Dato il contesto europeo, nonché quello nazionale, che vede proprio l'Agenda digitale (in questo periodo il Governo ha preso un impegno fortissimo, che speriamo possa essere anche tra gli argomenti principali), la Calabria non può non esserne destinataria, ma soprattutto deve essere protagonista di questa stagione di progettazione nel settore dell'innovazione, dell'economia della conoscenza, dello sviluppo di nuove infrastrutture e materiali.
Le aree strategiche su cui al Popolo della Libertà appare opportuno definire le azioni di intervento sono le politiche e le azioni a sostegno delle smart city finalizzate all'adozione di modelli integrati di sviluppo urbano, che debbono essere poggiati su criteri di sostenibilità ambientale e sulle tecnologie dell'informazione e della comunicazione. Occorrono politiche ed azioni a sostegno dell'ormai noto paradigma dell'«Internet delle cose». Dobbiamo cioè dotare questo territorio - come sta avvenendo in altre regioni europee - di sensori e di oggetti intelligenti finalizzati alla governance del territorio e queste sono politiche ed azioni a sostegno delle prescrizioni dell'Agenda digitale italiana.
Signor Ministro, è evidente che questo sforzo è difficile, ma le condizioni di questa regione richiedono un più ampio senso di solidarietà del Paese, non immaginando che sia la Calabria una terra soltanto critica e marginale, ma frutto di tante intelligenze e potenzialità, che debbono innestarsi per lo sviluppo della terra di Calabria, ma che certamente hanno una ricaduta per l'intero Paese.
Noi vogliamo che ci siano investimenti e che si crei innovazione. Di fronte a noi ci deve essere l'impegno di un Paese e di un Governo che possa dire ai giovani calabresi che c'è un futuro e che quel futuro loro appartiene.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Zazzera, che illustrerà anche la mozione Di Pietro ed altri n. 1-01129, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

PIERFELICE ZAZZERA. Signor Presidente, onorevole Ministro, onorevoli colleghi, l'onorevole Tassone precedentemente faceva notare come su un argomento così cruciale, che riguarda un pezzo del nostro Paese, quest'Aula sia vuota e in fondo, per la quasi totalità, a parlare della Calabria siano i calabresi. Ciò dimostra, anche Pag. 49all'interno di quest'Aula, l'isolamento di questa regione. Non sono un calabrese e sono un pugliese, però sento mia questa mozione, da persona del Sud, da confinante della regione Calabria. Ed è, la Calabria, una regione che sta dentro la drammaticità del momento storico che viviamo, fortemente legata alla Puglia, perché molti sono i calabresi che lavorano a Taranto nell'Ilva (ne abbiamo parlato poche ore fa). La crisi della Calabria non è lontana dalla crisi della Sardegna, del sistema produttivo dell'Alcoa, dei lavoratori che protestano. In tal senso mi sento di dire al Governo che le crisi non si affrontano con le repressioni e non si affrontano con i manganelli, per cui esprimo solidarietà nei confronti dei lavoratori.
Infatti, se questo è il metodo di affrontare le crisi il rischio è che ogni situazione di crisi possa determinare interventi di manganello e interventi di repressione. E cosa dovremmo fare per una situazione come quella della Calabria? Dovremmo mandare l'esercito? La storia forse ci insegna qualcosa: lo hanno già fatto i piemontesi quando hanno cercato di sottomettere il popolo calabrese, che ha reagito, come sa chi ha studiato la storia, con i briganti e con la reazione di difesa del territorio. Lì si è creato anche, penso, un ritardo non solo per la Calabria ma un ritardo per l'intero Mezzogiorno rispetto alle grandi potenzialità che aveva e che ha. Ora, però, compito nostro e vostro, del Governo e di chi verrà dopo di voi, è di rompere l'isolamento della Calabria e di utilizzare le potenzialità di questa regione per rimettere in moto l'economia. Il Presidente Monti, venendo nella mia regione, all'inaugurazione della Fiera del Levante, ha, in un certo senso, invitato il Sud a riprendersi in mano il suo destino. Per la verità, lo ha anche rimproverato, dicendo di non averlo fatto.
Però, credo che il rimprovero che va fatto al Mezzogiorno e alla Calabria in generale non va fatto ai calabresi o al popolo del Mezzogiorno. Va fatto, invece, a una classe politico-imprenditoriale e a scelte politico-imprenditoriali che hanno rapinato l'economia della Calabria, che hanno rapinato l'economia del Sud. Non starò qui a citare la storia anche di situazioni processuali che hanno raccontato quello che è accaduto in questi anni in Calabria, di come sono stati utilizzati i finanziamenti pubblici che dovevano servire a creare sviluppo, a creare occupazione, a mettere in moto l'economia e che sono finiti, invece, nelle tasche della politica o che sono finiti nelle tasche di qualche imprenditore spregiudicato.
Tutto questo ha portato e porta al dominio, anche in Calabria, di fenomeni di degenerazione che sono la corruzione, la malapolitica e anche la criminalità, che si chiama 'ndrangheta, e che di fatto rischiano, se non è già accaduto, di fare la resa dello Stato e di consegnare una regione nelle mani dell'antistato. Non si può, quindi, accusare il popolo calabrese di scelte sbagliate e sbagliate dai Governi, sbagliate da chi ci ha governato.
Dunque, noi dell'Italia dei Valori con questa mozione vi chiediamo, insieme alle mozioni che abbiamo ascoltato qui, di invertire la china delle scelte, di invertire la china del declino. Non starò qui a elencare tutti gli indici che danno di questa regione la contraddizione tra le enormi potenzialità e le degenerazioni che, per scelte politiche e di Governi passati, si sono determinate, che hanno favorito la politica clientelare, che hanno male utilizzato le risorse pubbliche, che pure sono arrivate e che stanno portando in questa condizione, di grande crisi economica per il Paese, alla negatività di indici che la stessa Banca d'Italia ha individuato, così come riportiamo nella mozione. Sappiamo, infatti, che il 53 per cento delle aziende con sede in Calabria ha registrato, di fatto, un calo di fatturato; che vi è una riduzione delle esportazioni; che vi è una disoccupazione, come già detto da altri, a due cifre, del 20 per cento.
Vi è poi una disoccupazione giovanile del 40 per cento, una disoccupazione delle donne del 41 per cento, una cassa integrazione guadagni che, nel 2011, vola alle stelle; vi è una vicenda che riguarda 5 mila e 200 precari della Calabria. Vi è poi un Pag. 50meccanismo, quel meccanismo che avrebbe potuto aiutare la Calabria, la parte sana della società imprenditoriale a rimettersi in cammino, ma che oggi trova le porte chiuse: le banche continuano a tenere le loro porte chiuse rispetto all'accesso al credito ed i tassi di interesse continuano ad essere - basta citare due estremi - del 9 per cento per i calabresi e del 5 per cento per i trentini. L'accesso al credito, quindi, è una delle situazioni da sbloccare, così come vanno sicuramente sbloccate tutte quelle tendenze che si hanno con la pubblica amministrazione perché imprenditori che devono ricevere il dovuto non lo ricevono, per esempio, dalle ASL da almeno quattro anni per la regione.
Poi chiedo - e chiediamo - a questo Governo di invertire la rotta sulla scelta e sul modello di sviluppo di questa regione, con scelte che ancora, fino ad oggi, sono contrarie alla capacità naturale di questa terra di avere una ricchezza che si chiama territorio. Invece, le scelte sono ancora quelle di determinare il dissesto idrogeologico, le scelte sono ancora quelle, in materia di ambiente, contrarie alla difesa del territorio, le scelte sono ancora quelle di una regione che ha 700 depuratori ed un livello d'inquinamento del mare incommensurabile; sono scelte, come il decreto del Presidente del consiglio dei ministri del 5 giugno 2012, che prevede che l'unica via d'uscita allo sviluppo sia una centrale a carbone alle Saline Joniche.
Ma riusciamo a guardare oltre? Riusciamo a capire che lo sviluppo di una regione si basa oggi sull'innovazione tecnologica, sulla ricerca, sulla capacità di investire sulla formazione, sulle università, sulla competizione, su come si sta nel sistema della globalizzazione? Invece, in Calabria, non c'è un piano che connette la Calabria al resto del Paese. Penso al sistema viario, che non è solo quello delle strade, ma anche quello delle ferrovie e dei porti. Penso alla necessità, quando si parla di salute, di non parlare solo di salute, pensando al rigore di «tagliare» e di mettere a posto i bilanci perché, nella regione Calabria, il sistema pubblico è sottomesso al sistema sanitario privato. Sono più accreditate le strutture private di quanto lo siano, invece, le strutture pubbliche. Ma oggi paga il diritto alla salute il cittadino calabrese, paga alla Calabria, paga un sistema pubblico che è costretto a tagliare.
Allora, per concludere, con questa mozione cosa chiediamo al Governo? In una regione così difficile come la Calabria, che è anche etichettata come regione ad alta densità di criminalità organizzata, intrisa di 'ndrangheta, la risposta migliore all'illegalità non può che essere nello sviluppo, nel lavoro e nella cultura, facendo una scelta di campo e, soprattutto, tenendo insieme queste cose con una sola parola che è: «riscatto etico» e che significa investire in una classe dirigente credibile e non inquinata.
Allora, chiediamo al Governo di aprire un tavolo per la Calabria, che metta intorno, con gli stessi obiettivi, più soggetti della Calabria, che però - attenti - non sono solo i soggetti chiusi nel palazzo, non sono solo i soggetti istituzionali. Un tavolo aperto è un tavolo che sa dialogare con i cittadini e che permette alle associazioni, al mondo della società civile e al volontariato, che è il motore trainante di quella regione, di sedere ai tavoli decisionali. Perché, per esempio, non si fa un referendum popolare, lasciando scegliere i calabresi se vogliono o meno la centrale a carbone alle Saline Joniche? Questo significa invertire un percorso decisionale dove le scelte non vengono imposte dall'alto, ma sono scelte decise dal territorio e dai cittadini. Al tavolo per la Calabria devono starci i cittadini, insieme alle istituzioni, insieme agli enti locali, insieme al Governo e alla regione. Ovviamente non mi dilungherò su tutti i punti che noi abbiamo messo all'ordine del giorno del tavolo della Calabria, che certamente non sarà questo Governo a poter affrontare, ma che devono segnare una direttrice anche per il prossimo Governo che guiderà il Paese. Tre cose però mi sento di dire, che possono anche essere oggetto di confronto affinché si arrivi ad una mozione unitaria in questa Aula. Tre cose: rilancio del porto Pag. 51di Gioia Tauro, fiscalità di vantaggio e rinuncia definitiva al Ponte sullo Stretto, perché anche su questo dobbiamo fare una scelta, per non sperperare i soldi per fare a valle quello che invece non si fa a monte. Prima bisogna riconnettere la Calabria all'Italia e quindi all'Europa, poi possiamo pensare di riconnettere la Calabria anche alla Sicilia.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cesare Marini. Ne ha facoltà.

CESARE MARINI. Signor Presidente, le chiedo di poter consegnare il testo del mio intervento, perché vorrei rimanere nei sette minuti assegnati. Riassumo quindi brevemente quello che avevo intenzione di dire. Mi ritrovo nelle parole già pronunciate sull'argomento dal collega Minniti e ritengo che l'aggravamento della situazione economica della Calabria che vi è stato lo si debba senz'altro alla dimensione della crisi economico-finanziaria che ha investito il nostro Paese, ma anche all'azione del Governo precedente, a partire dal 2008. Ne è prova significativa la decisione presa dal Governo Berlusconi di far fronte alle minori entrate dovute all'abolizione dell'ICI, con la soppressione del finanziamento deciso dal Governo Prodi per le strade provinciali di Calabria e Sicilia. Si può dire che l'azione del Governo, che correttamente può essere definito Berlusconi-Bossi-Tremonti, sia stata un'azione antimeridionalista, di disattenzione completa verso i problemi del Mezzogiorno. Soprattutto è un Governo che ha guardato in senso unico. Quindi, è stato un Governo partigiano perché ha guardato verso il Nord. Eppure, il Mezzogiorno presentava condizioni favorevoli di risorse da sviluppare. Anche in questo caso, lo stesso governatore della Banca d'Italia, in diverse risoluzioni finali, ha fatto riferimento alle risorse del Mezzogiorno come ad una delle condizioni che potevano rappresentare lo sviluppo e quindi la speranza di un Paese che camminasse.
È stato Draghi a fare riferimento al Mezzogiorno come ad un'area suscettibile di sviluppo, che, però, presuppone alcune azioni. La Calabria, si sa, era l'area più disastrata: si sa che aveva problemi maggiori, quello che è il massimo dei problemi, una delinquenza organizzata che è la più feroce d'Italia, che opprime il territorio, che impedisce qualsiasi ipotesi di sviluppo civile ed economico e che, per la verità, richiama lo Stato ad un impegno sempre maggiore.
Vi sono stati successi da parte della magistratura e delle forze dell'ordine che vanno segnalati, ma ancora bisogna fare molto per cercare di estirpare questo male assoluto, che toglie ogni speranza ai giovani per un domani migliore.
Voglio puntualizzare una questione: vi sono stati in alcune procure dei conflitti interni che, in una situazione come quella calabrese, di gravità dell'ordine pubblico, non si giustificano e per i quali credo ci voglia una maggiore attenzione; comunque, la disattenzione avuta al riguardo dal CSM e dallo stesso Guardasigilli appare del tutto non giustificata, stante la gravità della situazione, anche perché esistono dei movimenti all'interno della società civile che vogliono partecipare a quelle che sono le questioni che pone la società calabrese e che vogliono partecipare attivamente per dare un contributo e una collaborazione verso il progresso.
La mozione del Partito Democratico individua i punti nevralgici. Credo che noi dobbiamo pensare a quello che è un percorso che viene sottovalutato, e cioè quello che rappresenta la Calabria nel grande quadro geo-politico mediterraneo. Sappiamo che esiste una sponda rappresentata dal Nord Africa e verso questa sponda vi sono fondate speranze di poter ampliare il mercato per il nostro sistema produttivo.
Questa sponda non potrà essere utilizzata se si prescinde dallo stato delle infrastrutture e dei servizi in Calabria, che sono fatiscenti e che richiedono un intervento dello Stato. Non possiamo immaginare di poter partecipare a quello che sarà un discorso futuro. Non dobbiamo dimenticare che le rotte internazionali, probabilmente, si stanno modificando a seguito Pag. 52dell'ingresso nel mercato globale dei Paesi del Sud-est asiatico, e che quindi è necessario che l'Italia si attrezzi per essere presente nel Mediterraneo.
E lo può fare solo se provvede a fare quello che non ha fatto finora per la Calabria, cioè infrastrutture, servizi, dotazione di maggiori interventi per quanto riguarda le università meridionali calabresi, che possono assolvere ad un grande compito per la formazione dei giovani dei Paesi emergenti dell'area del Nord Africa.
Noi non chiediamo la luna nel pozzo, non stiamo qui a chiedere cose che non sono possibili. Chiediamo, però, che verso la regione più disastrata del nostro Paese, vi sia una maggiore attenzione. Ci sembra che i Governi precedenti siano stati, da questo punto di vista, disastrosi.
Si pensi a quella che è stata la trattativa per la PAC, che penalizza tutti i prodotti del Mediterraneo. Per giunta, la Calabria, l'agricoltura calabrese è aggredita da quella che è la concorrenza di identici prodotti che provengono dalla Turchia, dalla Grecia e dal Nord Africa, e contemporaneamente, però, vengono tagliati i contributi per il Mezzogiorno.
Queste cose sappiamo che non vanno bene e che andrebbero corrette, se ancora vi è la possibilità di correggerle. Soprattutto, vorremmo che lo Stato, quando si tratta della Calabria, capisse fino in fondo che vi è un'emergenza Calabria, che la prima emergenza è l'organizzazione delinquenziale della 'ndrangheta, e, riguardo a questa organizzazione, ha fatto bene il Ministro a soprassedere all'idea iniziale di sopprimere i tribunali minori calabresi.
Purtroppo, secondo me, ha sbagliato nel sopprimere, poi, un solo tribunale, il tribunale di Rossano, che, per giunta, è collocato in un'area decentrata; ma non solo, il comune maggiore dell'area che fa parte della circoscrizione, Corigliano Calabro, il secondo comune della provincia di Cosenza, un anno fa è stato sciolto per infiltrazione mafiosa.
Allora, se il Ministro, giustamente, ha tenuto conto di una richiesta generalizzata - sto per concludere - circa la soluzione del tribunale, avrebbe dovuto fare un ultimo sforzo e salvare Rossano.
Con questo termino il mio intervento e, signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Cesare Marini, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritto a parlare l'onorevole Laratta. Ne ha facoltà.

FRANCESCO LARATTA. Signor Presidente, secondo i dati Svimez negli ultimi dieci anni quasi 600 mila persone hanno lasciato il Meridione.
Mi rivolgo soprattutto al Governo. Se i giovani vanno via è perché il sistema delle imprese meridionali non è in grado di competere con quello settentrionale quanto a capacità di assorbire forza lavoro. Tutti conosciamo i problemi che interessano i giovani: l'accesso al credito, il costo del denaro, l'eccesso di burocrazia, i ritardi storici della regione, le infrastrutture inadeguate. Eppure tutti sappiamo anche che le aree deboli del Paese sono da considerarsi la più grande opportunità di rilancio economico e sociale di tutto il Paese.
I provvedimenti varati durante gli anni dei governi Berlusconi-Bossi-Tremonti hanno, di fatto, azzerato il Mezzogiorno nell'agenda di Governo, cancellando tutti gli investimenti previsti. Mi riferisco soprattutto a quelli del Fondo per le aree sottoutilizzate; circa 35 miliardi di euro distratti verso tutt'altra destinazione. Questo con il voto anche dei parlamentari calabresi del centrodestra.
Così è successo che in una fase di prerecessione, invece di supportare lo sviluppo del Sud, i Governi dell'epoca hanno annullato l'operatività, ad esempio, del credito di imposta, della fiscalità di sviluppo. Abbiamo visto, anche sul versante degli interventi per le infrastrutture, come siano state sottodimensionate le risorse per ANAS, Ferrovie dello Stato, Enel, per Pag. 53cui questi enti e queste aziende hanno abbandonato il Mezzogiorno.
Parlo di ferrovie, di strade, di autostrade, dove noi registriamo ritardi paurosi. Pensiamo all'alta velocità, all'autostrada, agli investimenti di Trenitalia al Sud, che sono appena del 18 per cento di quelli per l'ammodernamento della rete, mentre vengono tagliati tutti i treni. Lasciamo perdere l'autostrada Salerno-Reggio Calabria, su cui non sappiamo più cosa dire. Molte cose sono state dette dall'onorevole Minniti, per cui io procedo velocemente.
È indispensabile sbloccare le risorse finanziarie. La Ragioneria dello Stato afferma che 2 miliardi di euro utilizzati sul credito di imposta per gli investimenti, possono favorire la creazione di oltre 200 mila posti di lavoro nelle zone deboli del Mezzogiorno.
Il 13 gennaio 2010 una mozione presentata dal PD, che venne approvata con il parere contrario del Governo, impegnava l'Esecutivo su tre capitoli fondamentali: il rientro delle risorse distratte dal Fondo FAS, il ripristino degli strumenti di fiscalità, il credito di imposta, le zone franche, l'attivazione di un piano di occupazione per gli incentivi al lavoro produttivo nelle aree più deboli, il miglioramento delle infrastrutture.
Vorrei ricordare che il Governo Berlusconi cancellò i 450 milioni di euro che il Governo Prodi aveva destinato alle infrastrutture e alle strade provinciali e secondarie, che sono in condizioni di abbandono e che rendono impossibili i collegamenti. Ecco perché protestiamo quando si chiudono i piccoli ospedali, quando si chiude il tribunale di Rossano, quando abbiamo bisogno di avere garanzia della presenza dello Stato. Per noi anche fare 10 chilometri diventa una cosa veramente preoccupante e disperata.
Ricordiamo anche 1 miliardo e 400 milioni di euro destinati da Fintecna per il Ponte sullo Stretto. Per coprire la tassa, l'ICI, abolita sulla prima casa, queste risorse per le infrastrutture della Calabria e della Sicilia vennero tolte, con il silenzio del Presidente Scopelliti. Questi fondi avrebbero dovuto, secondo il piano del Governo Prodi, segnare una svolta per le infrastrutture in Calabria e nel Mezzogiorno.
Oggi viene presentata una mozione dal PD. È una cosa molto importante il fatto che se ne parli. A noi fa piacere che, dopo, si siano inseriti anche gli altri gruppi, gli altri partiti, perché credo che sul Mezzogiorno e sulla Calabria tutti possiamo trovarci d'accordo e impegnare il Governo a promuovere la costituzione di un tavolo tecnico nazionale pubblico per il miglioramento della dotazione infrastrutturale viaria, del trasporto delle merci, dei treni, delle ferrovie, dello sviluppo logistico, dell'ammodernamento dell'autostrada Salerno-Reggio Calabria, dell'alta velocità che è giusto, necessario e indispensabile che arrivi anche al Mezzogiorno e alla Calabria, fino a Reggio Calabria, abbandonando definitivamente il progetto del Ponte sullo Stretto per finanziare altre opere, come, per esempio, il porto di Gioia Tauro, il completamento della Salerno-Reggio Calabria, delle strade statali 106 e 18, di tutte le strade interne, regionali e provinciali che rendono impossibile creare condizioni di sviluppo, complicatissimo in una regione come la nostra, nelle condizioni in cui si trovano queste infrastrutture.
La mozione impegna il Governo, quindi, a varare un piano, a riqualificare anche i centri storici, ad intervenire e a fare prevenzione per quanto riguarda le alluvioni, il dissesto idrogeologico, la difficoltà ancora una volta di una regione che vive in una situazione terribile. Con questa mozione, noi, signor Presidente, signor sottosegretario, Governo, chiediamo che si intervenga con estrema urgenza per salvare la Calabria dall'abisso economico-sociale in cui è sprofondata dopo che per un decennio è stata cancellata dall'agenda nazionale. Le condizioni della Calabria sono drammatiche: siamo l'ultima regione, ma non siamo qui a piangere come si fa di solito e come si accusa noi calabresi di fare, perché piangiamo e vogliamo interventi e risorse. Il nostro problema è quello di una regione che è davvero allo sbando, anche per colpa della sua classe dirigente Pag. 54e della sua regione che ha esaurito ogni forma di interessamento produttivo, se non quello di interessarsi alla pura propaganda. Nessuno obiettivo è stato raggiunto: ci troviamo con il 30 per cento delle famiglie calabresi in condizioni di povertà, il 50 per cento dei giovani che non lavorano ed è una situazione di emergenza. Non siamo qui per piangere, non siamo qui con i cappelli in mano, non chiediamo l'elemosina. Chiediamo interventi ed investimenti, chiediamo che la regione Calabria venga messa alla pari di tutte le altre regioni d'Italia, in modo tale da poter competere, stare sul mercato, potere fare buon turismo, buona agricoltura, ottima impresa, essere all'altezza delle altre regioni italiane. Quindi non chiediamo nulla, non vogliamo - e nemmeno gli imprenditori lo vogliono - risorse a fondo perduto, a pioggia. Molte di queste sono state un errore, uno spreco e non hanno prodotto nulla. Chiediamo investimenti veri, chiediamo che la Calabria torni al centro dell'agenda di questo e del futuro Governo, chiediamo che si dia alla Calabria la possibilità di competere in termini di infrastrutture, di nuove tecnologie, di alta velocità, di rete informatica, di nuovi strumenti tecnologici che ci possano aiutare ad uscire dall'isolamento. Questo chiediamo, signor Presidente, e lo chiediamo con l'orgoglio di essere calabresi, cittadini italiani di una grande regione.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Lo Moro. Ne ha facoltà.

DORIS LO MORO. Signor Presidente, dico subito che mi ritrovo negli interventi di colleghi del gruppo del Partito Democratico e anche in tanti discorsi che sono stati fatti in Aula dai colleghi degli altri gruppi. Penso anche che il fatto che tutti i gruppi parlamentari abbiano condiviso l'importanza di presentare una mozione sulla Calabria sia un grande successo per la Calabria e per la politica in generale, come penso anche che sul piano istituzionale sia di fondamentale importanza il momento che stiamo vivendo. Qualche giorno fa il Presidente del Consiglio ha partecipato, dopo anni di assenza, all'inaugurazione della Fiera del Levante a Bari ed ha parlato di sud. Oggi parliamo in Parlamento di una mozione che è stata sottoscritta anche dai leader dei vari partiti politici e sembrerebbe quasi che, di fatto, nell'agenda della politica nazionale, siano entrati il sud e la Calabria come protagonisti, dopo anni di assenza e di sottovalutazione. Mi preparavo e riflettevo in questi giorni su cosa dire, perché avevamo scelto di essere tutti presenti e partecipi nella discussione ed ho seguito anche il dibattito nazionale per vedere come la nostra mozione si incrociava con quello che succedeva nel Paese, per esempio con il disegno di legge sull'anticorruzione. Mi sono detta: ma c'entra qualcosa con la Calabria? Rispondo subito che penso che c'entri molto con la Calabria, non solo perché la corruzione fa parte del costume italiano ed anche del costume calabrese, del malcostume, della mala amministrazione e della cattiva politica, ma anche per un altro fatto. Se si può affermare, come fa il Ministro Severino, come fa il Capo dello Stato e come fa il Premier, il Presidente del Consiglio Mario Monti, che l'anticorruzione è una priorità per rendere credibile il nostro Paese rispetto all'Europa anche per la conseguenze economiche che la corruzione ha sul reddito e quindi sull'economia del nostro Paese, una rilevanza ancora maggiore dovrebbe averla la lotta contro la criminalità organizzata che è una priorità tutta italiana ed una priorità fortemente calabrese, dal momento che la 'ndrangheta ha il triste primato di essere probabilmente la più potente e sanguinaria d'Europa.
Quindi c'entra molto anche con questo discorso di moralizzazione, perché se vogliamo veramente essere credibili all'esterno dobbiamo essere in grado di sposare la causa contro la corruzione, ma soprattutto e prima ancora, contestualmente quanto meno, la causa contro la criminalità organizzata, e parlo sul serio. Quando Monti a Bari ha parlato della Calabria ho molto riflettuto sulle sue parole. Qualcuno - mi pare l'onorevole Napoli, Pag. 55ma anche altri - ha ripreso le parole di Monti e il fatto che Monti ha denunciato la mancanza di qualità nei servizi. Questo si può dire per la Calabria, per la Campania, probabilmente per la Sicilia. Non serve dire del male comune, ma è una verità che la Calabria ha questo problema della non qualità dei servizi più importanti. Mi ha colpito un fatto di quello che ha detto Monti. Monti ha invocato un cambio di mentalità e mi sono chiesta e vi chiedo, e chiederei virtualmente - se fosse presente - a lui: ma perché, è proprio un fatto di mentalità quello per cui siamo diventati ultimi in tutte queste cose, con tutti i parametri che abbiamo inserito in tutte le mozioni e nella prima mozione che abbiamo presentato come gruppo del Partito Democratico?
È un fatto di mentalità quello per cui i nostri giovani devono andare via? È un fatto di mentalità quello per cui la disoccupazione (quella giovanile, quella femminile e quella in generale) della popolazione calabrese è così alta? È un fatto di mentalità quello per cui il PIL calabrese è inferiore a tutti gli altri PIL, anche delle regioni meridionali? È un fatto di mentalità del sud quello che vede un Meridione piegato rispetto ad un nord che oggi come oggi ha difficoltà anche nella crescita? Mi sono data una risposta. Un problema di mentalità della classe dirigente ce l'ha il sud, quindi anche la Calabria, ma non può esser la mentalità quella che ha creato il divario all'interno del Meridione. Se è vero quello che abbiamo scritto (e sono dati statistici, dati controllabili), come diceva prima con molta precisione Minniti, il fatto più allarmante non è soltanto il dato storico statistico, numerico, ma è la distanza con le altre regioni meridionali. Allora qui viene fuori che non ci può essere soltanto un fatto di mentalità, che il cambio di mentalità è necessario, ma che la mentalità, anche quella di rassegnazione, di cui in Calabria ha parlato anche il Papa in occasione della sua visita, è un dato da sovvertire, da cambiare, da cancellare, ma è l'effetto o la concausa, non può essere la causa di quello che noi stiamo vivendo.
Se la Calabria è nelle situazioni in cui versa tristemente in questo momento è un po' il frutto della cattiva politica del passato e soprattutto degli ultimi anni, che ha cancellato il sud dall'agenda politica, ma è anche il frutto di una cattiva politica che ha abbandonato il sud. Perché lo Stato nel sud - diciamolo veramente - non c'è stato in questi anni. Certo, si dice: lo Stato siamo noi. Ma se la criminalità organizza controlla l'economia calabrese, se la criminalità organizzata controlla dal porto di Gioia Tauro ai consigli comunali, di cui sempre più numerosi sono quelli sciolti per mafia, si può affermare veramente che lo Stato c'è in una Calabria in cui la criminalità organizza e controlla persino le elezioni, visto che abbiamo anche tanti processi per voto di scambio e addirittura tre consiglieri regionali in carcere e avremmo avuto il quarto, se Cherubino (il quarto politico arrestato) fosse stato eletto e invece è stato il primo dei non eletti?
Allora è questo il problema dei problemi. Ne segnalerei due in questo mio breve intervento: la criminalità organizzata e la necessità di essere conseguenti. Il Ministro Severino lo ha fatto parzialmente, salvo il caso Rossano, con la revisione delle circoscrizioni giudiziarie anche se però adesso vanno potenziati uffici giudiziari e polizia giudiziaria. L'altra priorità che segnalo soltanto perché il mio tempo è scaduto è quella dei giovani. Non può esserci soltanto un fatto di mentalità se i nostri giovani emigrano, se i nostri giovani fanno la fortuna delle altre regioni. Allora l'impegno a far restare i nostri giovani significa rendere la Calabria vivibile, competitiva, arricchire di contenuti i programmi di governo che riguardano il sud, significa in una parola tornare ad essere uno Stato nazionale. La Calabria ha bisogno di credere nello Stato così come nell'Europa, e questo nostro Stato, questo nostro Governo, questo nostro Parlamento, devono recuperare credibilità anche rispetto alla loro gente, oltre che rispetto agli altri Stati e all'Europa intera (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

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PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Oliverio. Ne ha facoltà.

NICODEMO NAZZARENO OLIVERIO. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, limiterò il mio intervento, compatibilmente al tempo disponibile, alle tematiche agricole, ittiche, e alle gravissime emergenze che vive il crotonese.
La profonda trasformazione dell'agricoltura calabrese degli ultimi decenni deve guidarci ad una forte riflessione. Ne hanno necessità le imprese, ne ha necessità la politica agraria che deve accompagnare le imprese medesime del territorio nelle sfide del futuro. Il primo dato, puramente economico, è il ridimensionamento del ruolo dell'agricoltura nell'economia della regione, segno vistoso di questa trasformazione. Il peso del settore agricolo nell'economia regionale è passato dal 43 per cento del 1951 al 7,2 per cento del 2010. In termini di valore aggiunto, il comparto rappresenta il 5,5 per cento dell'economia regionale. In Calabria il peso dell'agricoltura in termini di occupazione e di reddito è pari a circa il doppio di quello medio nazionale. Agricoltura e Calabria sono un binomio inscindibile. Le specificità più rilevanti della produzione agricola regionale sono l'olivicoltura (circa il 34 per cento della produzione vendibile regionale), l'agrumicoltura (il 16 per cento) e la viticoltura, che è di grande qualità. Basti pensare alla contea del Cirò e del Melissa. In Calabria si produce più della metà delle clementine italiane, più di un terzo delle arance, più di un quarto dei mandarini, la totalità dei bergamotti e dei cedri.
Il futuro dell'agroalimentare calabrese è condizionato però dallo scarso collegamento con il mercato. La commercializzazione è strutturalmente debole e il rapporto con la grande distribuzione è particolarmente squilibrato. Ciononostante, il peso dell'esportazione agroalimentare sull'esportazione regionale è pari al 36 per cento. La politica agricola comune resta una risorsa fondamentale per l'agricoltura della Calabria con 290 milioni di euro annui per i pagamenti diretti agli agricoltori, a cui si aggiungono 150 milioni di euro annui per il Piano di sviluppo rurale. Con la nuova riforma la Calabria rischia di perdere il 43 per cento delle risorse dei pagamenti diretti, 125 milioni di euro, mentre una totale incertezza regna sul Piano di sviluppo rurale. Il Governo deve impegnarsi, nell'ambito del negoziato della PAC, a non far penalizzare i pagamenti diretti, a promuovere l'inserimento del green nell'olivicoltura e nell'agrumicoltura e a costituire per quest'ultima un tavolo con tutti i principali attori della filiera per contenere i costi di produzione, riorganizzare la commercializzazione, migliorare la qualità dei prodotti, rivedere la politica dei prezzi e sostenere misure per la conversione e la diversificazione agrumicola. A tale proposito, abbiamo molto apprezzato il provvedimento dell'ottimo Ministro della salute Balduzzi che, recependo una nostra proposta, ha innalzato al 20 la percentuale di frutta nelle bibite analcoliche.
Il Governo dovrà inoltre impegnarsi, compatibilmente con le risorse disponibili e con la normativa europea, a ridurre il prezzo del gasolio e a promuovere una politica per abbattere i costi di produzione. Il settore ittico calabrese vanta una flotta di circa 900 imbarcazioni, pari al 6 per cento del naviglio nazionale, con una netta prevalenza della piccola pesca e occupa 5 mila addetti, di cui circa 3 mila imbarcati dei quali 2 mila nella piccola pesca. Le catture ammontano a oltre 11 mila tonnellate e i ricavi sono superiori ai 57 milioni di euro. Il settore però sta attraversando una profonda crisi testimoniata dalla riduzione consistente del naviglio, degli occupanti e del fatturato. Secondo le stime del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali il ricavo che deriverebbe dalla pesca, oggi proibita del bianchetto, il cosiddetto caviale calabrese, è stimabile in 17 milioni di euro. Il rapporto d'iniziativa europarlamentare «Una nuova strategia per l'Adriatico e lo Ionio nel settore della pesca» costituisce un'opportunità da non mancare per rivedere la situazione in modo più attento e per valorizzare la specificità della pesca mediterranea. Pag. 57
Signora Presidente, a Crotone il mancato avvio della bonifica impedisce il naturale sviluppo della città costringendola a crescere in una condizione di marginalità e a non valorizzare le straordinarie potenzialità offerte dall'ambiente e dal suo posizionamento geopolitico. È necessario che il Governo si impegni a trasformare l'attuale emergenza ambientale - e lo dico a lei, sottosegretario - in una storica opportunità per promuovere un'economia sostenibile che favorisca sviluppo e occupazione.
La situazione delle infrastrutture poi nel crotonese e nell'intera fascia jonica calabrese è drammatica: sono stati soppressi tutti i treni a lunga percorrenza, la strada statale 106, la mulattiera della morte, è insicura e sull'aeroporto di Crotone, unico vero collegamento con il resto del Paese, nonostante le sue positive performance di traffico, pende la spada di Damocle della chiusura, perché non inserito negli scali nazionali. Il Governo deve impegnarsi a far vivere lo scalo di Crotone, perché svolge un ruolo strategico straordinario, anche in funzione di una maggiore accessibilità al territorio. I programmi Corridoio Meridiano e Corridoio 1 rappresentano poi un'opportunità irripetibile per risolvere i problemi di marginalità e di insufficiente infrastrutturazione. A tale scopo risulta fondamentale anche che il Governo, in raccordo con la regione, preveda la realizzazione della metropolitana leggera che colleghi Crotone con Sibari e con Catanzaro.
Per la Calabria è urgente ripartire. Il comparto agricolo, come ho provato ad illustrare, ha in sé opportunità e potenzialità decisive ai fini dello sviluppo dell'intera economia regionale. La nostra agenda è già pronta, è in attesa, attende quegli atti del Governo che oggi siamo qui a chiedere. Sappiamo di parlare ad orecchie attente, ma sappiate, voi del Governo, che continuerete ad ascoltare le nostre voci fino a quando gesti e decisioni concreti non saranno da voi adottati (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Laganà Fortugno. Ne ha facoltà.

MARIA GRAZIA LAGANÀ FORTUGNO. Signor Presidente, onorevole sottosegretario e onorevoli colleghi, la mozione che abbiamo presentato sulla preoccupante condizione della regione Calabria è a mio avviso un atto politico di responsabilità rispetto ad una realtà di territorio nazionale che più di ogni altra nel Mezzogiorno d'Italia sembra condannata ad un'inesorabile condizione di sottosviluppo, isolamento e marginalità. Oggi questa regione paga un prezzo pesantissimo, soprattutto per le opportunità mancate e per una politica, quella del precedente Governo nazionale, fatta solo di annunci di imponenti opere pubbliche che poi nei fatti non sono state mai realizzate (qualcuna anche per fortuna). In questo solco, anche l'attuale Governo regionale dimostra di non avere un'idea precisa e credibile del futuro della Calabria. Così il tempo passa e con esso va via anche l'ultima grande chance di crescita, che è rappresentata dai fondi comunitari dell'obiettivo convergenza che questa regione è incapace di impegnare e spendere.
I dati macroeconomici, che sono parte integrante della nostra mozione e che non hanno bisogno di commenti, rappresentano in maniera chiara la situazione e spiegano perché la Calabria è per il nostro Paese l'emergenza delle emergenze. Mi sia permesso di richiamare solo due cifre, perché gli altri colleghi che mi hanno preceduto l'hanno fatto meglio di me: quella sulla disoccupazione, che sta sfiorando il 20 per cento, quasi il doppio della media nazionale, e quella sul calo del PIL, che a fine anno si attesterà al 3,2 per cento. Sono numeri spaventosi, che evocano i peggiori scenari di crisi che l'Europa abbia conosciuto negli ultimi mesi. Di fronte a questa situazione occorre capire cosa fare. È per questo che abbiamo deciso di portare la questione Calabria in Parlamento, perché la Calabria è un problema dell'intero Paese. Tuttavia, siamo ben consapevoli che l'epoca dell'assistenzialismo, Pag. 58degli aiuti a pioggia e della «politica piagnona» è finita. La crisi in atto è gravissima, nonostante gli sforzi che l'Italia sta compiendo per uscirne e che vengono riconosciuti al Governo dalla comunità internazionale. Non è questo il tempo delle richieste sul piano economico, ne siamo ben consapevoli, ma è il tempo di sfruttare le opportunità che ci vengono concesse affinché la Calabria riesca a risollevare la sua condizione e in questo modo da problema dell'Italia si trasformi in leva per il rilancio del Mezzogiorno, che oggi continua a costituire la più drammatica questione nazionale, forse - va riconosciuto con onestà - anche il più grave limite alla ripresa del sistema Paese.
Ma permettetemi di parlare della vera occasione di sviluppo futuro per la Calabria, che è il porto di Gioia Tauro. Il terminal container tirrenico è una delle più importanti realtà del Mediterraneo, sia per la sua posizione strategica, sia per l'elevato numero di merci movimentate.
Nonostante tutto questo, in oltre quindici anni non è stato sufficiente a trasformare l'economia calabrese che continua ad essere asfittica. I problemi di Gioia Tauro, ed è su questi che si può e si deve intervenire, sono molto chiari. Innanzitutto va affrontata la questione dell'insufficiente collegamento di quest'area con i principali assi paneuropei, per l'inadeguatezza delle infrastrutture ferroviarie e autostradali. Si pensi alla Salerno-Reggio Calabria che dopo anni di lavoro costituisce ancora, in parte assai consistente, un cantiere e comunque, una volta che le opere saranno terminate, il risultato sarà assai modesto con un'autostrada che quando, pare, verrà consegnata nel 2013, sarà di gran lunga meno moderna e sicura della media europea. In secondo luogo, è cruciale il tema del polo logistico dell'area retroportuale. Solo la realizzazione di insediamenti produttivi nella vasta porzione di territorio che si trova alle spalle delle banchine può garantire una produzione di valore aggiunto che porti ricchezza alla Calabria, ma per attrarvi investimenti è necessario creare condizioni favorevoli che rendano appetibile la piana di Gioia Tauro. Sotto questo profilo è indispensabile colmare l'esistente gap di competitività attraverso la realizzazione di una zona economica speciale, con l'abbattimento delle accise sul carburante in ambito portuale e la fiscalizzazione degli oneri sociali. Riteniamo che questo sia il principale supporto che dallo Stato possa, e debba, arrivare a favore del porto, oltre naturalmente alla prosecuzione dell'azione di contrasto nei confronti della 'ndrangheta e della criminalità organizzata che costituisce il presupposto indefettibile per consentire a Gioia Tauro di divenire oggetto di interesse da parte degli investitori, e soprattutto di quegli Stati che fanno parte dell'area dei BRICS e che in questo momento registrano elevatissimi tassi di crescita. La legalità tuttavia è una precondizione dello sviluppo anche per altri comprensori del territorio calabrese come quello della Locride, una terra di grande cultura, autentico giacimento di beni archeologici dotata di importanti potenzialità dal punto di vista turistico. Questo territorio, però, continua a soffrire di mali atavici, su tutti l'isolamento, dovuto ad un sistema di trasporti assolutamente carente per la pericolosità e l'inadeguatezza della strada statale 106 e per la condizione della tratta ferroviaria ionica che ormai può essere definita una linea fantasma. Se la Calabria è l'emergenza dell'Italia, la Locride è l'emergenza della Calabria, con i gravissimi problemi legati allo smaltimento dei rifiuti, al sistema della depurazione, che in tutta la regione è al collasso e al settore della sanità dove l'attuazione del piano di rientro dal debito regionale sta procurando un inaccettabile depauperamento dei servizi offerti ai cittadini. Anche questa è la Calabria oggi, lontana anni luce dall'Europa e vicina ad un baratro dal quale non risalirebbe più se dovesse cadervi andando più a fondo dal punto già bassissimo in cui è scivolata fino ad ora, ma se ciò accadesse allora le conseguenze sarebbero pesantissime non solo per i calabresi ma per tutti gli italiani. Questo noi dobbiamo impedirlo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

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PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Villecco Calipari. Ne ha facoltà.

ROSA MARIA VILLECCO CALIPARI. Signora Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, mi trovo a chiudere dopo aver ascoltato i miei colleghi che hanno giustamente fatto emergere una situazione di grande disagio che anche noi come dirigenti nazionali del Partito Democratico abbiamo voluto porre all'attenzione di questo Governo. L'attenzione su un territorio che purtroppo in questo momento forse è quello che sta peggio in questo Paese. In una situazione che sicuramente è grave all'interno di tutto il territorio nazionale, la Calabria è l'emergenza nell'emergenza. Discutere, oggi, soprattutto parlando alla fine, si rischia veramente di ripetersi e di ripetere alcuni dei giusti argomenti che i miei colleghi hanno voluto sottolineare.
Per cui, vorrei dire soprattutto una cosa, che ciò che ha espresso oggi il Partito Democratico in quest'Aula si pone in termini ovviamente complessivi, su tutti i punti della mozione, non solo in maniera propositiva, e quindi auspica che in quest'Aula, con la presentazione delle altre mozioni, si arrivi a creare dei presupposti che mettano in moto un processo di sviluppo economico e sociale di questo territorio. Quindi l'auspicio è che si possa arrivare ad una unificazione delle varie mozioni, che soprattutto consentano anche di rimettere in moto un meccanismo di positività in un territorio che è stato per anni abbandonato, non considerato e mal governato, soprattutto negli ultimi tre anni e mezzo. Molti dei miei colleghi lo hanno sottolineato, non lo ribadisco, ma credo che per un Governo come quello Monti - un Governo tecnico che ha il nostro appoggio, e lo ha avuto fin dal primo momento - ancor di più si ponga un tema, quello che le grandi democrazie - e lo sottolineano ultimamente anche tutti gli economisti - si differenziano proprio nel momento in cui riducono i loro gap territoriali. Questo lo hanno dimostrato grandi Paesi del mondo come gli Stati Uniti e la stessa Germania in Europa. Questo gap, che è diventato nella storia del nostro Paese la questione meridionale, mai risolta, oggi è ancora tutto qui, davanti agli occhi di quest'Aula e davanti agli occhi di questo Governo. È, purtroppo, la situazione di una regione che è come un territorio che sta andando alla deriva, ma è come se qualcuno, però, non lo vedesse. È questo forse uno dei motivi principali per cui noi abbiamo sentito l'esigenza di ridefinire e anche di proporre delle soluzioni per un territorio così abbandonato. Infatti, la Calabria, come hanno detto anche prima i miei colleghi, è una regione che è all'ultimo posto, con un gap incredibile - lo diceva Minniti nell'illustrare la mozione - rispetto alle ultime regioni di questo Paese, rispetto a regioni come la Sicilia stessa o la Sardegna che, in questo momento, sicuramente versano in altrettante difficili situazioni. Lo è per tutti i suoi dati, non vorrei ripetermi, ma mi sovvengono quelli preoccupanti che riguardano la disoccupazione, soprattutto di quello che è il futuro di una regione, cioè la disoccupazione giovanile e delle donne.
Siamo in un Paese in cui abbiamo una Costituzione che prevede l'efficace presenza della partecipazione di tutti i cittadini e, quindi, la rimozione di quelli che sono gli ostacoli alla partecipazione del contesto economico e sociale, ma le donne in Calabria sono quelle che pagano per prime e più di tutte il prezzo di un lavoro che non c'è o, comunque, sono le prime ad essere licenziate e, comunque, non nel mercato legale del lavoro.
Si tratta di una percentuale - quella che riguarda le donne, visto che quella relativa alla disoccupazione in generale è stata ricordata precedentemente - ancora più alta, ed è aumentata del 7 per cento dal 2011 al 2012. Lo voglio ricordare perché giovani e donne, in un Paese, sono, per lo più, il futuro di un Paese, ed è su questi elementi più deboli di una società - ma anche più forti, nella prospettiva futura - che bisognerebbe investire. Questo, purtroppo, invece, in Calabria, è l'esplosione di un dato che è anche nazionale ma che, in qualche modo, infrange questo Pag. 60specchio e ci permette di guardare con maggiore preoccupazione a un territorio già fortemente penalizzato.
Tornando poi, per esempio, ad un altro elemento di riflessione penso anche a quelli che sono definiti, in una formula, in un acronimo che non mi piace molto, i NEET, cioè coloro che non studiano, non lavorano e non sono in cerca di occupazione. Anche questo è un dato che preoccupa ulteriormente, perché è il dato del fenomeno dello scoraggiamento, cioè di coloro che a questo punto non cercano più neanche le soluzioni, perché sanno di non poterle trovare. Anche qui siamo di fronte a una situazione peggiore rispetto a quella del territorio nazionale.
Quindi c'è, nel contempo, anche una forte inadeguatezza del sistema produttivo calabrese, che però richiede, da parte del Governo, una spinta e un'incentivazione che non può essere eguale rispetto al territorio nazionale.
C'è bisogno di fare uno sforzo in più perché il sistema produttivo sia un sistema produttivo che ottenga, per esempio, credito dalle banche, che possa incentivare l'occupazione giovanile e quella delle donne, che consenta anche ai grandi gruppi industriali di ritornare ad essere interessati al territorio calabrese. Su questo purtroppo, fino ad ora, abbiamo avuto invece soltanto segnali negativi.
Molte sono le proposte che abbiamo messo in campo, ma come si può non parlare - la mia collega Lo Moro poco prima sottolineava la necessità di far sì che ci sia un cambio culturale all'interno della Calabria - di un cambio culturale che veda lo Stato vicino e che porti a una coscienza forte, anche nei giovani, dell'essere un cittadino prima di ogni altra cosa? Questo significa anche, però, dare maggiori risorse a quelle che sono le università e a quel meccanismo che dovrebbe essere un meccanismo positivo che mette insieme il sistema produttivo e universitario.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

ROSA MARIA VILLECCO CALIPARI. L'università della Calabria ha, tra l'altro, in molti anni (ha iniziato la sua attività nel 1972) dato molti laureati e anche molti brillanti laureati, ma purtroppo quel fenomeno di scoraggiamento di cui parlavo prima, porta o alla fuga, o all'abbandono. Questa è la cosa più grave: non investire sulla formazione, non investire sulla cultura in un territorio che - come prima dicevano anche i miei colleghi - è devastato da una potente criminalità organizzata, la più forte - come diceva anche Minniti - forse in Europa.
Ebbene, di fronte a questo dato non basta soltanto finanziare - pur essendo ovviamente una delle nostre richieste - il progetto sicurezza per la Calabria, ma soprattutto rafforzare quello che è il sentimento di essere cittadini in uno Stato che si occupa anche di te e della qualità dei servizi che ti vengono offerti. È solo così che si può avvicinare il cittadino calabrese allo Stato.

PRESIDENTE. Deve concludere.

ROSA MARIA VILLECCO CALIPARI. Concludo, signora Presidente, dicendo quello che anche il collega Zazzera richiamava, ossia il fatto che mi ha colpito che il Presidente Monti alla Fiera del Levante, parlando di Mezzogiorno, abbia detto che bisogna riavvicinare il Mezzogiorno al resto del Paese, affermando che i servizi sono scarsi e di qualità più bassa rispetto al resto del Paese.
Io non posso immaginare, come diceva Levi, che l'Italia si fermi ad Eboli, o in qualunque altro posto. Oggi chiedo, quindi, a questo Governo - che ho sostenuto, come tutto il mio partito, fino ad oggi con grande forza e convinzione - che ponga per l'appunto quelle che sono le condizioni preliminari perché domani questa regione non sia più la più povera d'Italia (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel Pag. 61prosieguo del dibattito. Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

Sull'ordine dei lavori (ore 20,15).

ROBERTO GIACHETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, torno a porre una domanda che ho posto anche nell'ultima riunione della nostra Assemblea, semplicemente per chiederle se ha notizie del collega Barbato il quale, a ridosso di Ferragosto, il 9 agosto, aveva fatto richiesta di una convocazione della Camera a Ferragosto per discutere della situazione dell'Ilva. Addirittura, subito dopo Ferragosto, egli aveva occupato la Presidenza della Camera perché riteneva indispensabile che la Camera si riunisse per discutere della questione dell'Ilva e oggi, che abbiamo avuto la discussione sull'Ilva, una discussione ovviamente così importante, dell'onorevole Barbato non abbiamo avuto né traccia, né parola, né visione. Allora semplicemente volevo sapere - visto che l'onorevole Barbato ci ricorda sempre e ci richiama sempre sul fatto che, quando lui parla, quest'Aula è vuota - come mai l'onorevole Barbato ha perso l'occasione per fare quello che ci aveva chiesto di fare il 9 agosto.

PRESIDENTE. Ovviamente la risposta gliela darà l'onorevole Barbato, onorevole Giachetti.

PIERFELICE ZAZZERA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PIERFELICE ZAZZERA. Signor Presidente, ovviamente e certamente la risposta la darà l'onorevole Barbato. Io credo che l'onorevole Barbato fosse degnamente rappresentato dall'Italia dei Valori in questo consesso parlamentare, come tutti i parlamentari dell'Italia dei Valori che hanno parlato dell'Ilva, dei problemi di Taranto, anche se materialmente e fisicamente Barbato non era presente, e di questo non gliene possiamo fare una colpa.

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Zazzera, basta che l'onorevole Barbato non lo faccia agli altri quando non ci sono.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Martedì 11 settembre 2012, alle 11:

1. - Svolgimento di interpellanze e di interrogazioni.

(ore 15)

2. - Seguito della discussione del disegno di legge:
Conversione in legge del decreto-legge 7 agosto 2012, n. 129, recante disposizioni urgenti per il risanamento ambientale e la riqualificazione del territorio della città di Taranto. (C. 5423)
- Relatori: Ghiglia, per la VIII Commissione; Vico, per la X Commissione.

3. - Discussione delle mozioni Dozzo ed altri n. 1-01117 e Messina ed altri n. 1-01131 concernenti iniziative di competenza in relazione alla situazione finanziaria della Regione siciliana.

4. - Seguito della discussione delle mozioni Bersani ed altri n. 1-01118, Misiti ed altri n. 1-01124, Angela Napoli e Della Vedova n. 1-01125, Nucara ed altri n. 1-01126, Casini ed altri n. 1-01127, Cicchitto ed altri n. 1-01128 e Di Pietro ed altri n. 1-01129 concernenti iniziative a favore della Calabria.

La seduta termina alle 20,20.

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TESTO INTEGRALE DELL'INTERVENTO DEL DEPUTATO CESARE MARINI IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DELLE MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE A FAVORE DELLA CALABRIA.

CESARE MARINI. Esiste una questione Calabria all'interno del Mezzogiorno? E se esiste in che cosa si differenzia dalle altre regioni del Sud del Paese? Tutti gli indicatori evidenziano l'esistenza di condizioni sociali ed economiche ben più gravi rispetto al resto del Mezzogiorno, segnalate dal mercato del lavoro, dall'estensione dell'area della povertà, dal prodotto interno lordo, dall'arretratezza delle infrastrutture e dei servizi, dalla debolezza delle istituzioni e dal dominio della delinquenza organizzata.
L'ampiezza della crisi che ha investito le economie di mercato ha avuto effetti più dirompenti in Calabria per la sua storica debolezza, che ha determinato una disastrosa ricaduta sui giovani e le donne e ha avuto, come conseguenza un'accentuazione della rassegnazione e del degrado sociale. Vi sono, senza dubbio, responsabilità del governo dopo il 2008, denunciate dalla caduta occupazionale del 7% dopo il 2009 rispetto al 2006, e ha provocato nel 2010 l'espulsione dai cicli produttivi di 13000 lavoratori, preceduta da una autentica emorragia negli anni precedenti.
È mancato durante la fase dei governi Berlusconi-Bossi-Tremonti lo spirito unitario nazionale per la preminenza data alla visione partigiana nell'utilizzazione delle risorse pubbliche dirottate verso il Nord. Questa linea di politica economica è apparsa chiara fin dai primi atti dell'ultimo Governo Berlusconi allorquando alla fine dell'estate del 2008, in applicazione del provvedimento di abolizione dell'ICI sulla prima casa, le risorse necessarie per coprire le minore entrate furono rinvenute prelevando i fondi destinati dal Governo Prodi alle strade provinciali di Calabria e Sicilia, imponendo, in tal modo, una ingiusta penalizzazione alle popolazioni calabresi. Si ha motivo di sostenere che la regione più debole del Paese ha pagato l'inaudito tributo all'asse del Nord. Anche i tagli lineari del ministro Tremonti hanno avuto conseguenze diseguali tra le diverse aree, gli enti territoriali del Mezzogiorno ricevono entrate tributarie non sempre sufficienti a coprire i servizi, la cronica debolezza del comparto produttivo e la contrazione degli occupati, unitamente ai tagli dei trasferimenti si sono riflesse negativamente sulle prestazioni pubbliche delle istituzioni locali. In questo quadro si può immaginare quale effetto deflattivo ha determinato la politica di Tremonti. Inesorabilmente il lavoro di difesa del suolo fatto nei decenni passati è stato vanificato e sono ripresi i fenomeni di disgregazione di un territorio, definito, all'indomani dell'Unità, da Giustino Fortunato «sfasciume pendulo sul mare». La mozione, pertanto, si giustifica ampiamente e un disegno nazionale di politica economica, diretto ad eliminare gli ostacoli che impediscono il completo dispiegarsi delle risorse umane e materiali, è quanto mai necessario. In primo luogo lo Stato deve affermare con forza il principio della legalità. Non vi potrà essere speranza di rinascita e di riscatto economico fintanto che la ndrangheta non sarà debellata. Quali speranze di un futuro migliore potranno avere i giovani se l'impero del male non sarà sconfitto! Le forze dell'ordine e la magistratura hanno conseguito notevoli successi, ma molto rimane da fare. Bisogna continuare ad aggredire i patrimoni delle 'ndrine e stroncare gli innaturali rapporti tra delinquenza e politici, burocrazia, imprese, in alcuni casi magistrati e forze dell'ordine. Ancora molti sono i segreti che avvolgono crimini e fatti inquietanti sui quali non si può rinunciare all'impegno per renderli palesi. Certi contrasti in alcune procure sono inspiegabili per la confusione, il rallentamento e gli intralci che arrecano alle indagini. Non si comprendono i mancati tempestivi interventi del CSM e del ministro competente. L'attuale ministro di Grazia e Giustizia ha recepito le osservazioni sollevate, da più Pag. 63parti, di evitare di sopprimere tribunali in Calabria per affermare la volontà ferma del Governo di volere continuare con sempre maggiore impegno il contrasto alle mafie e di questo la ringrazio, lamento, però, ritenendola una decisione sbagliata, la sola soppressione del tribunale di Rossano, che ha un territorio decentrato, una notevole popolazione costituita da venti comuni con la città maggiore, Corigliano Calabro, sciolto, circa un anno fa, per infiltrazione mafiosa. Se la motivazione posta a base del mantenimento dei tribunali minori in Calabria è la presenza di una delle più pericolose mafie operanti nel Paese, il tribunale di Rossano meritava di continuare ad esistere come presidio giudiziario. La società civile manifesta la volontà di voler partecipare, per la parte di propria competenza, alle iniziative di risanamento della società, lo Stato non deve dare l'impressione di minore convinzione nell'affermare il suo dovere di garante della sicurezza e dell'ordine pubblico. Se la lotta incisiva e prioritaria alle delinquenze è la condizione per la crescita, lo sviluppo economico è difficile immaginarlo se non si rimuovono gli ostacoli che lo impediscono. La mozione del PD avanza una serie di proposte in grado di alimentare un processo economico virtuoso. Io mi limiterò ad alcune considerazioni per segnalare carenze e distrazioni che vanno risolte nei prossimi anni. Il sistema delle infrastrutture e dei servizi è obsoleto e chiunque può osservare come le comunicazioni tra nord, sud e il Mediterraneo subiscono una strozzatura non appena si supera il confine della Calabria. Questa circostanza penalizza l'intero Paese e rende più onerosi i rapporti commerciali del sistema produttivo con la sponda del nord Africa. I processi, sebbene confusi e tumultuosi, dei Paesi che hanno iniziato i processi di democratizzazione dischiudono mercati nuovi e opportunità economiche ieri non immaginabili. Sarà possibile coglierne le occasioni di protagonismo a condizione che si attrezzi la Calabria di adeguate infrastrutture e comunicazioni, affidando alle università del Mezzogiorno il compito della formazione dei giovani dei Paesi che si avviano alle relazioni con l'Occidente. Siamo in ritardo sebbene ancora in tempo per non perdere l'opportunità offertaci. La politica di Trenitalia verso la parte estrema del Mezzogiorno è criticabile per la riduzione delle corse e i mancati investimenti nella rete. Il treno veloce, con un certo numero di corse, non può avere come terminale Salerno, né può continuare ad ignorare la linea Jonica che congiunge il corridoio adriatico con la parte terminale del Paese. La vocazione naturale della regione per il settore turistico viene vanificata se non si risolvono le attuali difficoltà delle comunicazioni. Un altro gigante dello Stato, l'Enel, non è da meno nell'ignorare il suo ruolo che non può limitarsi solo ad ottenere profitti. Che fine ha fatto l'obbligo legislativo di eliminare le linee aeree ad alta tensione? È tollerabile la ragnatela di fili elettrici che deturpa i centri abitati della Calabria? Non sarebbe opportuno che il ministro Passera chiami ai suoi obblighi il colosso elettrico?
Con la mozione abbiamo inteso porre all'attenzione del Parlamento e del Governo la questione Calabria per la sua specificità che presenta anomalie molte volte non conosciute. Non chiediamo la luna nel pozzo se avanziamo la proposta di politiche attive del lavoro per la crescente disperazione di una generazione rimasta fuori dai processi produttivi. Nel dopoguerra i calabresi come i lavoratori del Mezzogiorno hanno sorretto lo sviluppo industriale del Nord, oggi non è più possibile per la riduzione generalizzata dell'apparato produttivo, per la delocalizzazione industriale e per la concorrenza delle massicce migrazioni umane. Il dibattito sulla Calabria dovrà dare risposte se non immediate quanto meno dovrà servire ad avviare una maggiore attenzione dei poteri centrali per le aree dimenticate. Per quale ragione in Calabria il denaro debba costare di più rispetto alle altre regioni a parità di rischio non si capisce. Eppure questa circostanza non favorisce l'impresa Pag. 64e appesantisce i conti delle aziende di costi impropri. Si può correggere questa intollerabile sopraffazione con una disposizione di legge o basta un discreto intervento della banca centrale? Gli incentivi vanno riconsiderati, come sarebbe consigliabile rivedere gli accordi sulla PAC definiti dai precedenti governi per la consistente riduzione dei contributi e per l'introduzione di criteri che prescindono ovvero ignorano le problematiche dell'agricoltura mediterranea. Il capo del Governo, professor Monti, parla di un nuovo tempo della politica economica, finalizzata alle azioni per la crescita. Mario Draghi in più di una Risoluzione finale ha indicato il Mezzogiorno come la risorsa del Paese, non ancora utilizzata, che merita, nell'interesse generale, di ricevere gli investimenti necessari per promuovere lo sviluppo. Il Presidente del Consiglio fa bene a ricordare l'impegno dei compiti fatti a casa, tra questi, però, è bene ricordarlo, vi è, dopo il rigore dei conti, la crescita. Ed allora è interesse nazionale risolvere il problema del costo dei trasporti in Calabria o quello della mancata utilizzazione delle aree industriali attrezzate con incisive defiscalizzazioni per i nuovi insediamenti. Il tempo a disposizione è limitato, già la concorrenza della Grecia, della Turchia e delle nuove realtà del nord Africa insidia il settore primario, potendo godere di costi di produzione minori. Molti altri sono i problemi che andrebbero discussi e affrontati, i tempi del dibattito parlamentare sono limitati e rimandano la continuazione del confronto ad altri momenti.

ERRATA CORRIGE

Nel resoconto stenografico della seduta del 6 settembre 2012:

- a pagina III, seconda colonna, sesta riga, il numero «953» si intende sostituito dal seguente: «5061»;

- a pagina 2, prima colonna, dopo la nona riga inserire: NICOLA MESSINA, da Mascalucia (Catania), chiede l'abolizione dell'IMU sulla prima casa (1608) - alla VI Commissione (Finanze);

- a pagina 67, seconda colonna, diciannovesima riga, il numero «5» si intende sostituito dal seguente: «6»; ventesima riga, il numero «4» si intende sostituito dal seguente: «3»;

- a pagina 68, seconda colonna, diciottesima riga, il numero «5» si intende sostituito dal seguente: «6»; diciannovesima riga, il numero «4» si intende sostituito dal seguente: «3»;

- a pagina 70, seconda colonna, ventunesima riga, il numero «5» si intende sostituito dal seguente: «6»; ventiduesima riga, il numero «4» si intende sostituito dal seguente: «3».