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Resoconto dell'Assemblea

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XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 676 di giovedì 2 agosto 2012

Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ANTONIO LEONE

La seduta comincia alle 9,35.

GREGORIO FONTANA, Segretario, legge il processo verbale della seduta di ieri.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Barani, Laganà Fortugno, Laura Molteni, Nucara, Palagiano, Patarino, Porfidia e Nunzio Francesco Testa sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente cinquanta, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Sull'ordine dei lavori (ore 9,37).

WALTER VERINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

WALTER VERINI. Signor Presidente, ho chiesto la parola, anche in una seduta non particolarmente affollata e per pochissimi minuti, perché credo che sia giusto che rimanga agli atti di questa seduta un ricordo dell'Aula su un anniversario, che cade proprio oggi.
Tra pochi minuti, a Bologna, inizierà la manifestazione che ricorda la strage alla stazione, quando alle 10,25 quell'orologio si fermò, scoppiò quella bomba, morirono 85 persone. Era il 2 agosto 1980. Ci furono anche 200 feriti, molti dei quali portano, ancora oggi, nel fisico e nel cuore, i segni di quella terribile giornata. Soltanto, credo che sia giusto onorare il ricordo di quelle vittime, dei loro familiari, il ricordo di quella gente che, in una giornata estiva, calda, com'è quella di oggi, andavano in vacanza o al lavoro, e si trovavano alla stazione. Fino a quello scoppio.
C'è stata, in questi anni, una verità giudiziaria affermata: è una strage, una strage eversiva, alcuni neofascisti sono stati condannati con sentenza definitiva; una strage, che si inserisce in quella catena che ha insanguinato questo Paese - da piazza Fontana a piazza della Loggia a Brescia, al treno «Italicus», alla stazione di Bologna, appunto -, quando un mix, un intreccio di poteri eversivi e criminali, anche criminalità comune, pezzi dello Stato sleali allo Stato e alla Costituzione, servizi deviati, e forse anche forze estere, cercavano di insanguinare l'Italia per deviare il legittimo corso politico e democratico e ogni ipotesi di cambiamento. Lo stragismo per fermare i cambiamenti possibili in un Paese democratico, impressionare il Paese e imprimere svolte autoritarie, con la paura e Pag. 2con il terrore: questa è la verità che tutti conoscono.
Oggi - e mi avvio a concludere, signor Presidente -, credo che sia giusto non solo ricordare quella strage e quelle vittime e prendere atto della verità giudiziaria, ma fare ancora di più, come molti chiedono, come chiede l'Associazione dei familiari delle vittime, perché venga eliminato il segreto di Stato, perché accanto alla verità giudiziaria ci sia la verità politica e di contesto, perché l'Italia ha il diritto - e io dico anche il dovere - di sapere cosa successe.
Ho concluso, signor Presidente. Voglio solo ricordare, per tutte le 85 vittime, una persona. L'altro giorno, c'è stata una polemica incredibile sulla possibilità o meno che i dirigenti dell'Associazione dei familiari potessero essere rappresentativi dell'Associazione stessa in quanto titolari di un dolore di secondo grado: una polemica incredibile. Io non avevo parenti, ma avevo un amico che è morto quel giorno. Si chiamava Sergio Secci, aveva 24 anni: con lui condividevo viaggi, vacanze, lettere e speranze, che a quell'età - aveva la mia stessa età allora - si potevano condividere. Era laureato al DAMS, era nato a Terni e si trovava alla stazione perché andava a Verona per un incontro di lavoro. Non c'è più arrivato, è morto dopo qualche giorno. Il suo papà, Torquato, che oggi non c'è più, è stato per lunghi anni presidente dell'Associazione dei familiari delle vittime, e per quel figlio e per gli altri 85 morti si è sempre battuto.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

WALTER VERINI. Io credo che queste persone, che hanno dato all'Italia la loro vita inconsapevolmente, ma dolorosamente, debbano essere rispettate, facendo di tutto non solo per tenere viva la loro memoria, ma anche perché la verità venga finalmente affermata (Applausi).

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Verini. Naturalmente la Presidenza e i colleghi presenti in Aula si associano al ricordo e alle sue parole.

Discussione del disegno di legge: S. 3396 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, recante disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini (Approvato dal Senato) (A.C. 5389) (ore 9,42).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, recante disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini.
Avverto che il termine per la presentazione degli emendamenti è fissato alle ore 17 di domani, venerdì 3 agosto.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 5389)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari Lega Nord Padania, Italia dei Valori e Partito Democratico ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che la V Commissione (Bilancio) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, onorevole Nannicini, ha facoltà di svolgere la relazione.

ROLANDO NANNICINI, Relatore. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, colleghi presenti, una prima riflessione necessaria: ho letto con attenzione - e anche la Commissione - il parere del Comitato per la legislazione. Rincresce di non avere i tempi per entrare nel merito, perché come sempre i colleghi del Comitato svolgono un'azione molto attenta, e inizierò la mia riflessione e la mia relazione proprio citandolo: «esaminato il disegno di legge n. 5389 e rilevato Pag. 3che, sotto il profilo dell'omogeneità del contenuto, il provvedimento reca un contenuto estremamente vasto e complesso, in quanto i suoi 25 articoli, ai quali si aggiungono gli ulteriori 14 articoli approvati nel corso dell'esame del provvedimento al Senato, incidono su un ampio spettro di settori normativi e recano un complesso di misure finalisticamente orientate a favorire la riduzione della spesa pubblica mediante (...)»; segue l'elenco che non cito, altrimenti ruberei tempo alla mia relazione. Quindi, come sempre, dei colleghi svolgono un lavoro meritevole e, come sempre, la nostra situazione ci suggerisce di accelerare i tempi e, quindi, non appieno utilizzare il lavoro del Parlamento.
Questa è una premessa che vogliamo fare anche come Commissione bilancio, interpretando anche le parole del suo presidente quando abbiamo affrontato questo tema al suo interno: cioè, potremmo dare di più, potremmo fare di più, se la situazione dei tempi e dei rapporti Senato-Camera ci consentisse un lavoro più preciso e più spedito. Ritengo che il mandato al relatore sia un mandato preciso della Commissione: dopo un dibattito serio anche con le opposizioni e non solo della maggioranza, alcuni temi sono emersi nella discussione della Commissione bilancio e credo sia interessante riportarli nel dibattito in Aula.
Quindi, un provvedimento - ripeto - così voluminoso e complesso, quale quello oggi al nostro esame, poco si presta a valutazioni sintetiche e sembra piuttosto caratterizzarsi per l'eterogeneità e non di rado la frammentarietà dei contenuti. Ad un'idea di questo tipo si prestano, del resto, non pochi provvedimenti di manovra adottati negli anni più recenti nel tentativo di ottenere, in tempi brevissimi, risultati estremamente ambiziosi, al fine di fronteggiare la crisi e i debiti sovrani, la quale crisi, alimentata dalla speculazione finanziaria e contrastata con eccessiva titubanza ed incertezza a livello dell'Unione europea, continua ad affliggere con particolare intensità il nostro Paese.
Tuttavia, nella fattispecie, il significato politico, in particolare, di politica economica e finanziaria del provvedimento in esame è estremamente chiaro e va valutato senz'altro positivamente. Da un lato, infatti, il decreto-legge conferma l'indirizzo politico di fondo, volto al risanamento della finanza pubblica, ma, in coerenza con le dichiarazioni più volte rese dal Governo, non dà corpo ad un'ulteriore manovra finanziaria, limitandosi a correggere l'orientamento di quelle effettuate in precedenza.
Un'ulteriore manovra non solo non appare necessaria per il conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, ma avrebbe un effetto chiaramente prociclico nei confronti dell'economia nazionale, ancora preda, per quest'anno, di una spirale recessiva. Il provvedimento, infatti, è ispirato alla volontà di avviare un processo di riduzione della pressione fiscale, spostando il peso delle manovre già attuate sul versante della spesa pubblica attraverso misure di razionalizzazione e riduzione delle spese superflue e inefficienti, definite sinteticamente, ormai, nel linguaggio comune, come spending review.
Di tale approccio siamo debitori al Ministro dell'economia e delle finanze del Governo di centrosinistra in carica nella scorsa legislatura, Tommaso Padoa-Schioppa, che, per primo, aveva ravvisato la necessità di mettere mano con intelligenza e - se così posso esprimermi - precisione chirurgica alla spesa pubblica a livello nazionale e locale. Vorrei citare però anche la legge n. 42 del 2009 sul federalismo fiscale, perché tutta improntata sui costi e i fabbisogni standard, ed effettivamente si va a incidere nei comparti degli enti locali sotto il profilo di quella che oggi chiamiamo spending review. Si tratta di un patrimonio che dobbiamo riassumere nella discussione prima della chiusura della legislatura.
L'obiettivo immediato del decreto-legge è quello di evitare ormai l'imminente aumento dell'IVA, realizzando economia per circa 4,3 miliardi di euro, ma che a regime risulterebbe pari a circa 10 miliardi di euro, consentendo, verosimilmente, ulteriori Pag. 4diversi interventi volti ad alleviare il peso del carico fiscale. Un ulteriore aumento dell'IVA nella fase attuale avrebbe significato deprimere in misura ancora più accentuata i consumi, con conseguenze pesantemente negative per l'intera economia. Evitare che ciò avvenga favorirà, al contrario, la ripresa dell'economia, che già gli osservatori non ritengono imminente, ma che, senz'altro, sarebbe stata procrastinata da un ulteriore inasprimento della tassazione, influendo assai negativamente, fra l'altro, sulla fiducia delle famiglie e delle imprese. Anche qui bisogna essere molto chiari: il tema del prelievo fiscale, che va a risanamento dei conti pubblici, è più recessivo dei tagli. Quindi, anche i tagli possono avere elementi di recessività, ma sono necessari. Questo è un indirizzo credo unanime anche della Commissione bilancio, ed è emerso anche durante la discussione di questo provvedimento. Del resto, più volte, nel corso delle audizioni svolte in Commissione, i rappresentanti delle istituzioni europee ed internazionali hanno sottolineato come il risanamento della finanza pubblica vada attuato agendo prevalentemente sul lato della spesa, piuttosto che sul versante delle entrate, al fine di attenuare l'effetto recessivo di manovre finanziarie di dimensioni imponenti e attuate in tempi estremamente brevi, nel tentativo di rasserenare i mercati e attenuare i fenomeni di speculazione finanziaria.
Proprio l'urgenza e la necessità di provvedere hanno reso inevitabile procedere, in una prima fase, ad un incremento della pressione fiscale, che ha raggiunto, tuttavia, livelli tali da poter ostacolare la stessa competitività del nostro sistema produttivo, già fortemente colpito dal calo della domanda interna. Il provvedimento in esame non contraddice, pertanto, ma è coerente con la scelta del Governo e della maggioranza di favorire e di dare un'assoluta priorità in questa fase alla crescita economica, senza una ripresa della quale nessuna politica di risanamento finanziario può essere possibile e risultare efficace. Sotto tale profilo, lo stesso vertice europeo del 28 e 29 giugno scorso va valutato positivamente, perché sul piano dei principi - anche se, onestamente, non su quello quantitativo e delle misure concretamente assunte - ha riconosciuto come la crescita economica debba ora rappresentare l'obiettivo fondamentale della strategia europea volta a contrastare gli effetti della crisi economica e finanziaria. In tal senso, le decisioni assunte in materia di project-bond rappresentano la spia di una correzione di rotta che l'Italia, forte della coerenza con la quale sta attuando la politica del rigore, deve concorrere a sostenere e a sviluppare. Come Parlamento dobbiamo avere il coraggio di dirlo con molta chiarezza: si è ormai esaurito lo spazio per politiche di nuovo prelievo fiscale e di contenimento non giustificato da obiettivi di razionalizzazione della spesa, salvaguardando la spesa sociale; principio anche contenuto nei titoli del provvedimento: senza effetti sui servizi alle famiglie e alle imprese. Questa è la sfida che poi, nel corso della relazione, preciserò meglio. Alle famiglie e alle imprese sono stati richiesti sacrifici e occorre ora adottare provvedimenti in grado di aprire nuove prospettive sul fronte dell'occupazione e dello sviluppo, stimolare la fiducia e creare opportunità, intervenendo in modo intelligente nei settori della ricerca, dell'istruzione, dell'energia e delle infrastrutture.
Permettetemi un piccolo inciso. Questo nostro dibattito, sempre ideologico e formale, è stato incentivato anche da molti articoli che ritroviamo nella stampa, che si chiedevano se fosse necessaria l'istituzione di un Governo tecnico con forte indirizzo politico del Parlamento in quella fase e quale sia stato il risultato. Si polemizza sempre su questo spread, si alza e si abbassa la fiducia o la non fiducia. Noi dobbiamo segnalare un primo fatto, ossia che nel novembre 2011 avevamo un'inversione di tendenza per quanto riguarda il tasso di interesse a breve e lungo termine: pagavamo più il breve del lungo. Questo è l'elemento fondamentale perché sapevamo che, di fronte alle incertezze di alcune misure richieste dall'Europa, il Parlamento Pag. 5e le forze politiche avevano avviato un dibattito che non portava a quel livello di scelta.
Quindi, il primo elemento non è solo misurare il 460, il 585, il 422. Il primo elemento è che lo sforzo di questo Parlamento e della maggioranza delle forze politiche ha fatto sì che nascesse un Governo che desse più credibilità nella dimensione internazionale e nella dimensione della tutela del debito sovrano. Quindi, questo lo possiamo dire con certezza a tutti, perché si è invertita la tendenza. Ricordo che allora pensare di pagare il breve con tassi di interesse del 6 o 7, superiori a quelli decennali, creava forse preoccupazione e non si aveva nemmeno la fiducia che si potessero pagare in un anno i prestiti ricevuti.
Ma non voglio dirlo in termini politici. È una fotografia, è un fatto su cui le forze politiche di questo Parlamento hanno reagito e hanno dato la possibilità di ricostruire poi delle condizioni di credibilità del nostro Paese.
Con riguardo alle principali linee di intervento del decreto-legge, il decreto-legge al nostro esame si muove, in estrema sintesi, su quattro linee principali di intervento al fine di conseguire i risultati di contenimento della spesa, necessari essenzialmente per evitare l'aumento dell'IVA, secondo la ripartizione dei differenti titoli del provvedimento stesso.
In particolare, esso reca preliminarmente disposizioni di carattere generale e procedurale, volte alla razionalizzazione dei processi di spesa e alla più corretta gestione del patrimonio immobiliare. Seguono, quindi, disposizioni precipuamente indirizzate alla riduzione delle spese, rispettivamente, delle amministrazioni centrali, degli enti non territoriali, in campo sanitario e degli enti territoriali. In particolare, nell'ambito del primo filone di interventi rientrano gli articoli da 1 a 6.
L'articolo 1, modificato dal Senato, reca disposizioni in materia di riduzione della spesa per l'acquisto di beni e servizi e trasparenza delle procedure, incidendo sulla disciplina del mercato, degli acquisti della pubblica amministrazione e prevedendo un programma per l'efficientamento delle procedure di dismissione di beni mobili nonché obiettivi di riduzione della spesa in tale campo delle pubbliche amministrazioni. In tal senso, le modifiche introdotte dal Senato riguardano essenzialmente novelle al codice degli appalti coerenti con gli obiettivi di razionalizzazione.
Però è anche qui il tempo di pensare che Consip non può stare rinchiusa nella realtà solo nazionale, ma anche trovare decentramento e rafforzamento nel raccordo con gli enti locali. Infatti, questo è lo stimolo perché dobbiamo trovare una rete che partecipa seriamente al tema della razionalizzazione e non lo rinvia sempre.
L'articolo 2, modificato dal Senato, reca disposizioni per la riduzione delle dotazioni organiche delle pubbliche amministrazioni, prevedendo forme di mobilità e pensionamento nel caso di personale in soprannumero. Disposizioni particolari introdotte dall'altro ramo del Parlamento recano la riduzione delle dotazioni organiche per l'Amministrazione della difesa e dell'interno.
L'articolo 3, modificato dal Senato, detta disposizioni circa l'utilizzo degli spazi da parte delle pubbliche amministrazioni e i relativi costi, spazi edilizi e spazi di immobili.
L'articolo 4, modificato dal Senato, concerne essenzialmente disposizioni relative allo scioglimento o privatizzazione di società, che svolgono servizi, nei confronti della pubblica amministrazione, in house, alla composizione dei consigli di amministrazione di tali società, all'applicazione del principio della selezione competitiva per l'individuazione di beni e servizi strumentali all'attività della pubblica amministrazione, ai limiti di assunzione nelle stesse società pubbliche, al divieto di arbitrati nei contratti di servizio tra lo Stato e le società partecipate.
L'articolo 5 reca diverse disposizioni volte al contenimento di alcune voci di spesa delle pubbliche amministrazioni, fra cui ricordo: l'ulteriore riduzione delle auto di servizio, la riduzione dei buoni pasto Pag. 6per i dipendenti pubblici, il divieto di monetizzazione delle ferie. Sottolineo che anche la Banca d'Italia sarà chiamata ad applicare nel proprio ordinamento i principi di razionalizzazione della spesa recati dalle richiamate disposizioni.
L'articolo 6, modificato dal Senato, reca disposizioni finalizzate al rafforzamento della funzione statistica e del monitoraggio dei conti pubblici, con diverse disposizioni essenzialmente volte a rafforzare gli obiettivi informativi e i controlli relativi ai bilanci delle amministrazioni pubbliche e degli enti controllati. Consentitemi su questo articolo 6 una piccola divagazione. Ne abbiamo discusso in Commissione bilancio e il sottosegretario Polillo mi ha detto che io forse do delle statistiche «alla Trilussa». Vorrei rafforzare, invece, questo articolo 6, perché finalmente ci toglie questo dibattito formale sulle cifre. Ho presentato, come relatore, col sostegno dei Servizi Studi e Bilancio dello Stato della Camera, che ringrazio, uno studio semplicissimo: dove si applica la spending review? Quale è lo spettro complessivo delle spese e quale è il rapporto, come ci dicono Eurostat e ISTAT, delle spese complessive del conto economico consolidato della pubblica amministrazione (spese complessive)? Abbiamo avuto la fortuna di discutere nel 2009 dell'«albero storto» di Tremonti, sul quale si è detto molto, perché era questo concetto di fondo: lo Stato tassa, gli enti locali spendono. Questo era grosso modo il principio di quella filosofia, come l'onorevole Simonetti ieri ci ricordava.
Vorrei dare dei dati precisi. Nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione (spese complessive) del 2009 abbiamo 798 miliardi e 436 milioni. Se analizzo sempre i dati ISTAT che si inviano il 10 febbraio ad Eurostat, nel 2011 abbiamo 798 miliardi e 565 milioni. Quindi, diciamo uguali o in diminuzione, perché siamo in questi parametri e siamo in due anni in cui l'inflazione ha fatto il 4 per cento (l'1,7 e il 2,6 per cento). Ma cosa è cambiato di queste cifre? La spesa per il reddito da lavoro dipendente è passata da 171 miliardi e 578 milioni a 170 miliardi e 52 milioni, quindi un miliardo e mezzo di minor costo del personale nel conto allargato della pubblica amministrazione.
La spesa per interessi passivi è passata da 70 miliardi e 863 milioni a 78 miliardi e 21 milioni, quindi con un incremento di 7,3 miliardi. Quindi, in questa prima pagina vediamo che abbiamo avuto una riduzione del costo complessivo e lo dobbiamo dire, ma forse non lo troviamo mai in qualche prima pagina, anche per quanto riguarda il sacrificio che viene fatto all'interno della pubblica amministrazione allargata, in un periodo nel quale io non ero al Governo e nemmeno lo appoggiavo (2009-2011).
Proseguo: la cosa interessante è dove sono stati gli aumenti. Se noi andiamo a valutare questo conto economico allargato, qualcuno si dispiacerà, ma dal 2009 al 2011 la spesa in conto economico da parte degli enti di previdenza - dove ci sta tutto, ammortizzatori, dove è presente il sistema previdenziale senza andare nel micro - da 298 miliardi e 310 milioni è passata a 310 miliardi e 935 milioni, quindi con un incremento di 13 miliardi.
Quindi, se trovo 7 miliardi di interessi e 13...

PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Nannicini.

ROLANDO NANNICINI, Relatore. Il tempo a mia disposizione è già finito? Mi rincresce.

PRESIDENTE. Le regole sono regole!

ROLANDO NANNICINI, Relatore. Va bene, le regole sono regole, non sono dialettica. Concludo subito, signor Presidente, e mi scuso.
Noi abbiamo, inclusa la sanità, che è implementata di un miliardo e 600 milioni di euro, i comparti dove abbiamo registrato l'implementazione per gli anni 2009-2011. Nell'agenda del Governo il decreto «salva Italia» ha posto il tema della previdenza come primo elemento; il secondo elemento è stato la riforma del Pag. 7mercato del lavoro; il terzo la spending review dove dobbiamo stare molto attenti. Faccio l'ultimo esempio e concludo. Stavo parlando dell'articolo 7, ma consegnerò il testo integrale della mia relazione scritta, quindi spero che rimanga allegata. Dunque, l'esempio è classico. Si tratta degli studenti fuori corso, del sistema della tassazione e del rapporto tra studenti e tasse universitarie. Si fa una campagna in cui si criminalizzano gli studenti fuori corso e poi si dice che è per attuare l'implementazione. Ma, se leggo attentamente l'articolo 7 è più articolato, perché dice che entro il 31 marzo ci sarà il decreto, tenendo presenti gli studenti lavoratori come primo punto. Però, siamo conservatori, perché nessuno vuol discutere del rapporto tra università e tasse. Lo dirò con molta franchezza che questo va discusso, perché avere esenzioni sotto gli 8 mila euro...

PRESIDENTE. Deve proprio concludere, onorevole Nannicini. Mi dispiace.

ROLANDO NANNICINI, Relatore. Non si fanno pagare le tasse a chi non paga le tasse - questo è il tema - e si richiedono a giovani che lavorano, che pagheranno le tasse e che non avranno mai la possibilità di accedere a studi superiori. Su di loro vi è un'ingiustizia di fondo, all'interno della stessa generazione.
Signor Presidente, mi scuso, lei è stato troppo tollerante. Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale della mia relazione. Sapete come mi diverto e come vi annoio (Applausi).

PRESIDENTE. Lei sa che l'ho ascoltata con piacere! Onorevole Nannicini, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire in sede di replica.
È iscritta a parlare l'onorevole Lanzillotta. Ne ha facoltà.

LINDA LANZILLOTTA. Signor Presidente, noi siamo ormai in una sorta di sistema costituzionale che definirei di bicameralismo asimmetrico, per cui i provvedimenti vengono esaminati nel merito solo dal primo ramo a cui vengono presentati, mentre il secondo ramo ha un potere di presa d'atto. Tuttavia, almeno la consapevolezza della complessità e della rilevanza del provvedimento che è al nostro esame penso che la Camera la debba acquisire.
Credo che questo sia centrale, perché non a caso questo provvedimento, nell'agenda del Governo, viene dopo una serie di altre iniziative che hanno senza dubbio sollecitato discussioni, confronti politici, ma che a me sembra che non abbiano incontrato in Parlamento quei contrasti, quelle difficoltà, quelle resistenze che, invece, ha incontrato questo decreto-legge. Si tratta del decreto-legge a cui credo facesse riferimento il Presidente del Consiglio quando diceva che il nostro Paese ha cominciato un percorso che è prima di tutto un percorso che deve modificare profondamente la sua cultura, una cultura politica e del Paese, che si è alimentato di spesa pubblica, molto spesso inefficiente e per troppo tempo finanziata attraverso il debito.
Tuttavia, anche rispetto alle considerazioni macroeconomiche che venivano svolte dal relatore, penso che proprio questi ultimi dieci anni della nostra storia economica e sociale ci devono dimostrare - e stanno lì a confermarlo - che nel nostro Paese non è stato vero che la maggiore spesa pubblica ha generato maggiore crescita. Questo non è vero e non può esserlo se è una spesa pubblica non destinata a creare le condizioni di una maggiore competitività, ma se è una spesa improduttiva, clientelare e che in molti casi cela sacche, ampie e profonde, di corruzione.
Se guardiamo solo l'andamento della spesa per acquisto di beni e servizi che c'è stato nell'ultimo decennio, credo che nessuno potrà sostenere che il volume e la qualità dei servizi pubblici è aumentato in proporzione perché saremmo, altrimenti, Pag. 8in un Paese scandinavo e qualsiasi cittadino può constatare tutti giorni che, invece, nel rapporto con la pubblica amministrazione siamo molto lontani da questo livello.
Dunque, credo che la discontinuità culturale che dobbiamo acquisire e che questo provvedimento incomincia a porre sul tappeto è che l'equazione «meno spesa, meno servizi» non corrisponde a verità, almeno nel nostro sistema e che, anzi, una riduzione della spesa pubblica può stimolare una maggiore efficienza e quindi una maggiore qualità. Penso anche, però - e, per questo mi appello al Governo - che non è la prima volta che scriviamo norme così complesse e anche così barocche, se posso permettermi, che riguardano aree molto rilevanti della spesa e strumenti per il suo controllo (quello relativo agli acquisti di beni e servizi, quello relativo alla gestione, riduzione e razionalizzazione del personale e delle strutture, quello relativo alla logistica).
Direttamente, o indirettamente ho vissuto molte stagioni: penso, per esempio, a tutta la vicenda Consip, che nasce nel 1999 - personalmente l'ho vissuta - e che oggi diventa centrale, tuttavia bisognerebbe fare una verifica - anche per avere una bussola per gestire e applicare questo nuovo corpus normativo - di cosa non ha funzionato, perché norme che imponevano alla Consip la centralizzazione degli acquisti, che imponevano alle pubbliche amministrazioni di avvalersi della Consip, di immettere sui siti Internet i prezzi di riferimento comparati a quelli Consip come benchmarking e di rispondere sul piano della responsabilità amministrativa e contabile in caso di difformità ci sono da molti anni. Allora, noi rischiamo di replicare delle norme senza gestirle. Credo che questo sia uno dei punti chiave di qualsiasi operazione di spending review: la gestione dei processi di razionalizzazione.
Abbiamo una stratificazione di manovre di finanza pubblica, che hanno inciso tutte sulle medesime aree. Occorre fare una valutazione delle norme che sono state applicate, del loro impatto, una metodologia di verifica di quello che è stato fatto, non per smentire quanto è in questo decreto-legge. Penso che forse non tutti sanno ed hanno letto l'evidenza della documentazione portata in Parlamento dal commissario Bondi, per quanto riguarda gli enti autonomi, territoriali e non territoriali, rispetto alla metodologia di applicazione dei prezzi mediani alle categorie merceologiche selezionate, circa 40. In essa si evidenzia che ci sono sprechi potenziali di circa 13 miliardi e mezzo distribuiti, in massima parte, nei comuni - per 7, 8 miliardi - e poi nelle province e negli enti di ricerca.
Questi sono dei dati molto, ma molto rilevanti, che sono poi la guida attraverso cui si farà l'operazione dei tagli che, questa volta, prego il Governo di illustrare, in tutte le occasioni in cui può, che non saranno lineari, perché saranno fatti in proporzione agli sprechi che emergono. Per cui, per esempio, solo nel comune di Roma emerge un differenziale di spesa rispetto alla spesa standardizzata di un miliardo 400 milioni. Pertanto, quando il sindaco Alemanno si mette la striscia tricolore e viene a manifestare davanti a Montecitorio, gli chiederei, intanto, di operare su quel miliardo 400 milioni, perché il sistema repubblicano, che abbiamo scritto nell'articolo 114 della Costituzione, impone a tutti i livelli istituzionali di assumersi, in una fase come quella della nostra storia, la responsabilità di concorrere al risanamento nazionale. Difatti, trovo veramente inappropriato l'approccio antagonista, rivendicativo con cui le rappresentanze istituzionali delle regioni, dei comuni e delle province si sono rapportati in questa vicenda con il Governo.
Dai dati che sono stati portati emergono aree di inefficienza molto, molto grandi e l'autonomia - che è stata ed è rivendicata - e la responsabilità come principio cardine del federalismo dovrebbe portare esattamente a ridurre questa operazione. Peraltro è molto interessante, per esempio a proposito delle regioni, vedere che la retorica dell'efficienza concentrata al nord e dell'inefficienza concentrata al sud è smentita dai dati, perché a livello regionale la regione più inefficiente rispetto Pag. 9agli standard di prezzo medio è la Lombardia, alla quale nella sanità spetterebbe un taglio di 450 milioni di euro, il che vuol dire che quando si hanno molte entrate - come ha la Lombardia, perché ha una base imponibile molto alta - e quindi non si va in disavanzo con la spesa non per questo si è efficienti, bisogna vedere il rapporto tra costi, ricavi e indicatori di efficienza. Quindi, non basta essere in equilibrio finanziario per essere efficienti.
Naturalmente a proposito di questa parte del decreto vorrei semplicemente segnalare una questione che si intreccia poi con l'attuazione del federalismo fiscale, a cui questa operazione di spending review dà una forte accelerazione, assolutamente opportuna, cioè che oltre ai beni ci sono i servizi, e che i bilanci pubblici, con i processi di esternalizzazione e acquisto dei servizi dalle società in house sono sempre più bilanci che acquistano servizi. Allora, nei servizi non bastano gli indicatori merceologici, ma occorre andare nei modelli di produzione e qui l'operazione di analisi sarà - credo - molto più complessa e chiama in causa un altro tema che è trattato nel decreto dall'articolo 4, quello delle società in house, delle società strumentali. Anche qui vorrei chiedere al rappresentante del Governo - che vedo impegnato al telefono - che fine ha fatto l'articolo 13 del cosiddetto decreto-legge Bersani che prevedeva due cose: lo scorporo della parte non strumentale delle attività delle società che gestiscono attività di supporto - le società che fanno le pulizie, che gestiscono l'informatica o la logistica - e la devoluzione al mercato di quelle parti di società, perché qui si parte come se non ci fosse stato nulla. Quindi, l'invito è a verificare se quello che già è legge e che forse in alcuni casi è più stringente e più forte di quello che c'è nel decreto non sia dato per desueto semplicemente perché è stato ignorato, e non vada invece in primo luogo applicato, con le relative sanzioni.
Qui vorrei fare anche una riflessione, vedete noi siamo in una fase a livello europeo in cui si bilanciano le ragioni del risanamento con quelle della rivendicazione di autonomia e di sovranità dei singoli Stati, penso che questo tema riguardi i rapporti tra Europa e Stati sovrani, ma anche fra Stati e livelli sub-statali in ciascun ordinamento nazionale. Guardiamo quello che sta succedendo in Spagna con la Catalogna. La Catalogna, che era il simbolo del federalismo autonomistico, sta mettendo in discussione la sua autonomia per salvare le sue finanze. Allora, credo che noi, forse riflettendo anche sul quadro costituzionale, dobbiamo cominciare a introdurre questo elemento e cioè che l'autonomia, se è stata gestita ed esercitata in modo non virtuoso, per essere sanata deve cedere poteri e sovranità, quindi lo Stato potrà risanare regioni o comuni in default solo a condizione di una sorta di commissariamento strutturale, e non episodico, solo fino allo svolgimento di successive elezioni. No, qui ci vuole un'operazione tipo quella che fa la troika in caso di intervento del Fondo monetario internazionale o in caso di intervento degli strumenti europei, nello stesso modo nei rapporti interni.
Altrimenti si afferma un principio di irresponsabilità assoluta, perché il trasferimento semplice della responsabilità da chi si dimette all'eletto del ciclo successivo non è sufficiente, poiché i sistemi politici sottostanti hanno invece una loro assoluta continuità. Un altro tema che vorrei toccare è quello delle province e delle città metropolitane, ma vorrei richiamare un attimo l'attenzione del Governo su un punto: sempre nell'articolo 4 si affronta un tema di cui mi sono molto occupata, quello dell'acquisto nel settore delle spese informatiche; si definiscono dei rapporti tra Consip e nuova Agenzia per l'innovazione digitale.
Qui bisogna avere una certa cautela e definire i ruoli, perché l'Agenzia digitale avrà o dovrebbe avere come sua missione quella di definire la domanda, cioè di capire quali sono le caratteristiche dei sistemi informatici delle singole amministrazioni o dell'amministrazione nel suo complesso, proprio per ottimizzare, integrare e dare interoperabilità ai sistemi. La Pag. 10Consip deve essere solo un operatore sul mercato. Occorre cioè capire qual è la migliore offerta a fronte di una domanda che viene definita dall'Agenzia digitale. Se si intrecciano e si sovrappongono queste due funzioni, credo che si faccia un errore e che si tolga all'Agenzia per l'innovazione digitale una delle funzioni centrali di razionalizzazione sia della spesa che dei sistemi informatici, che a loro volta generano spesa e ottimizzano le capacità operative dell'amministrazione.
Passando al tema delle province e delle città metropolitane, riconosciamo al Governo di avere avuto la capacità di intervento, prima con il decreto-legge «salva Italia» e adesso con questo decreto-legge, a fronte della paralisi del Parlamento. Infatti, il Parlamento, dopo aver respinto in Aula, forse anche in modo condivisibile, una pura soppressione, poi però non è stato capace di proporre un modello alternativo, ma addirittura negli ultimi cinque anni non è stato capace di dire, in applicazione del quadro costituzionale vigente, cosa dovesse fare ciascun livello di Governo. Credo che ci sia una prima considerazione che va condivisa oggi, perché l'agenda del Governo Monti dovrà proiettarsi nella prossima legislatura con scelte molto impegnative. La cosa che oggi dobbiamo dirci è che questo quadro costituzionale, quello definito dall'articolo 114, non è sostenibile sul piano finanziario e non è sostenibile sul piano dell'efficienza.
Non ci possiamo permettere sette o otto livelli, che partono dall'Europa e proseguono con lo Stato, la regione, la provincia, il comune, le comunità montane, gli ATO, i consorzi e via dicendo. Dobbiamo semplificare il sistema, sia in termini numerici che in termini di bacini di utenza. Questo deve essere un obiettivo di riforma costituzionale, che a me appassiona assai più di altri temi che sono oggi sul tappeto. Ciò detto, a Costituzione vigente, fermo restando che l'intervento sulle province a mio avviso è assolutamente coerente come attuazione del nuovo Titolo V, in quanto la ridefinizione delle funzioni che fa il Titolo V implica anche una ridefinizione degli ambiti operativi di ciascun ente, senza che ci sia necessità di legge costituzionale, in questo caso rilevo che, pur dando atto dell'avvenuto intervento sul tema - e già questo è un atto di determinazione e di coraggio - tuttavia le scelte vengono rinviate. Mi auguro che questa deliberazione del Consiglio dei ministri non sia né rinviata né timida né incerta e che si proceda secondo quei parametri che sono stati annunciati, ma che non sono scritti nella legge. L'altro punto su cui, a mio avviso, c'è ancora una carenza riguarda il problema delle funzioni delle province, perché uno dei punti chiave per dare sia chiarezza al rapporto tra cittadini e amministrazione che razionalità al sistema è quello di affidare in via esclusiva a ciascun livello alcune funzioni.
Ora, qual è il punto nodale che ha impedito di qualificare l'istituto provinciale? Il fatto che le cosiddette funzioni di area vasta, come le chiamava Giannini, sono funzioni che rappresentano il cuore del potere dei comuni, e cioè la gestione sia della programmazione territoriale sia dei servizi a rete, quelli a cui i comuni non vogliono rinunciare perché hanno tante valenze, come il rapporto con i cittadini, il rapporto con le imprese del territorio, un potere economico e politico molto rilevante.
Se non si scrive in modo esplicito che questa è la funzione della provincia, noi le riduciamo, ma non facciamo quel salto di qualità nella razionalizzazione del sistema. La prova, se mi consente, signor sottosegretario, sta nel testo che riguarda le città metropolitane. Infatti, qui, invece, se ne parla. E perché? Perché il sindaco della città metropolitana è il sindaco del comune capoluogo, perché così andrà a finire.
Quindi, di fatto, il comune non si spoglia di quelle funzioni che, anzi, il comune capoluogo gestirà in modo più ampio e più aggregato con riferimento al bacino metropolitano. Questa è un'indicazione positiva, da apprezzare, ma la stessa operazione va fatta per le province, dove, Pag. 11invece, non vi è questa indicazione delle funzioni, perché questa costituisce la diatriba tra province e comuni.
Per quanto riguarda la città metropolitana, vi è un rischio: è nota la storia di questo istituto, molto contrastato, perché i piccoli comuni che stanno intorno al comune capoluogo dell'area metropolitana non accettano l'egemonia del grande comune. Allora, o si ha il coraggio di rendere un vincolo quello che qui è una facoltà, e cioè l'articolazione per comuni del comune capoluogo, in modo che la «grande testa» si metta alla pari con gli altri comuni, o questo sistema, a mio avviso, non funzionerà: non si attiverà o, in realtà, le cose non andranno secondo un vero cambiamento.
Infine, voglio affrontare un ultimo tema, uno dei temi importantissimi che sono stati introdotti dagli emendamenti presentati dal Governo al Senato (non mi soffermo su altri, su cui ci sarebbe da dire, onestamente, ma sorvolo). Quello su cui vorrei, infine, soffermarmi è la creazione del Fondo per la dismissione del patrimonio immobiliare. Anche qui, la cosa non è nuova, perché è almeno dal 1994 che si tenta di fare un'operazione di costituzione di fondi a cui conferire questi immobili. Io credo che anche qui bisogna mettere delle tagliole più stringenti, per cui chi ha debito deve conferire patrimonio oppure perderà il diritto ad avere qualsiasi forma di trasferimento o finanziamento pubblico.
Infatti, noi sappiamo benissimo che non solo deve conferire, ma deve esercitare i propri poteri urbanistici in modo che i beni di altri soggetti pubblici che gravano in quel territorio siano valorizzati e dismessi, perché sappiamo benissimo che tutta la vicenda dei fondi relativi alle caserme si blocca non solo perché vi è la resistenza del Ministero della difesa, ma perché i comuni non valorizzano quegli immobili, perché vi sono una serie di motivazioni di convenienza economica e politica che fanno sì che le destinazioni d'uso siano date piuttosto a beni di privati che non a beni di enti pubblici, che poi devono dismettere.
Allora, qui non si può più negoziare alla pari e non si può più nemmeno andare per incentivi, perché sono circa vent'anni che ci proviamo. A questo punto, come per l'esercizio dell'autonomia e il salvataggio dei comuni in default, deve valere lo stesso criterio.
Se i comuni che sono in una situazione critica non mettono al servizio di un processo di risanamento generale della finanza pubblica l'esercizio dei loro poteri, allora vi rinunceranno, l'operazione di risanamento dei singoli bilanci sarà totalmente sulle loro spalle.
Credo che un Governo che nasce per l'emergenza finanziaria e anche per creare una piattaforma che sia la proiezione dell'azione futura dei Governi che devono dare una prospettiva strutturale e permanente di equilibrio al Paese, da qui alla fine della legislatura, dovrebbe mettere in campo delle operazioni - che la politica non ha saputo fare negli scorsi decenni o che si sono sempre bloccate a metà - anche per agevolare e creare un solco per il lavoro futuro.
In seguito a queste osservazioni, il giudizio, naturalmente, sarà assolutamente favorevole al provvedimento in esame.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bitonci. Ne ha facoltà.

MASSIMO BITONCI. Signor Presidente, condividiamo assolutamente lo spirito di questa manovra, la spending review.
È anche vero però che, storicamente, forse la Lega Nord è il primo partito che ha cominciato a parlare dei costi della pubblica amministrazione, del peso elefantiaco di questo Stato e a dire che l'unica soluzione poteva essere - come avviene un po' in tutta Europa, ma anche in molte parti del mondo - il federalismo, ossia un controllo diretto della spesa pubblica fatto dai cittadini.
Questo è un percorso importante cominciato con la legge n. 42 del 2009, una legge quadro a cui è seguita una serie di decreti attuativi. Potevano essere migliori, potevano essere perfezionati, sì, questo è vero, però, comunque, è stato l'inizio di un Pag. 12processo che noi pensavamo irreversibile e che andava verso una vera spending review. La revisione della spesa pubblica non può passare attraverso dei tagli lineari, ma attraverso un processo virtuoso che passa attraverso i costi standard. Solamente così si può attuare la spending review.
Quindi, questa manovra - parliamo di una piccola manovra finanziaria - riceve da parte nostra un giudizio estremamente negativo perché, in effetti, si poteva sicuramente fare di più, mentre sono stati fatti dei tagli generalizzati. Nel testo del Senato, anzi, sono stati inseriti alcuni elementi che non c'entrano assolutamente nulla con la spending review. Oggi, quindi, ci troviamo a parlare di un provvedimento monco, che sicuramente poteva essere molto più importante. La razionalizzazione della spesa pubblica, questo è il tema importante.
Arriviamo a questo dopo decenni in cui, come è stato ricordato anche dai colleghi, vi è stato un aumento a dismisura, dagli anni Sessanta in poi, della spesa pubblica. Il massimo storico precedente si è avuto nel 1991, quando si è raggiunto il 121 per cento del debito pubblico rispetto al PIL. Adesso viaggiamo su percentuali più alte. Le previsioni del Fondo monetario internazionale per il prossimo anno e per l'anno successivo portano la percentuale anche al di sopra del 123, 124, 125 per cento. Siamo arrivati ad una soglia troppo elevata, estremamente elevata. Questo ce lo ricorda continuamente l'Europa e, forse, dobbiamo pensare di compiere delle azioni efficaci per la riduzione di questo immenso debito pubblico. Allora, quali sono le azioni possibili che non abbiamo visto in questa manovra?
Uno dei capitoli del bilancio pubblico di cui si parla poco è quello relativo ai residui passivi. Abbiamo scoperto, con l'audizione che si è tenuta con la Ragioneria generale dello Stato, che vi sono dai 100 ai 150 miliardi di residui passivi e che probabilmente, buona parte di questi residui, non potranno essere poi escussi.
La manovra della riduzione dei residui da tre anni a due anni, in termine di perenzione, ha sinceramente dato una piccola indicazione, ma comunque l'intervento doveva essere un intervento importante. Bisogna verificare se questi residui sono effettivamente esistenti. Da questo punto di vista, un'azione importante del Governo potrebbe portare ad una prima riduzione del debito pubblico.
Un altro capitolo importante è sicuramente quello relativo al Patto di stabilità per gli enti locali. Questo sicuramente è un problema importante per tutte le amministrazioni e gli enti. Noi tutti sappiamo che ciò deriva da una scelta fatta dalla Comunità economica europea e dal nostro Stato, che ha riversato l'intero Patto di stabilità sugli enti locali, a differenza di quello che hanno fatto magari altre nazioni, dove è stato equamente distribuito tra i vari livelli dello Stato.
È un problema estremamente grave questo, perché con il Patto di stabilità sugli enti locali siamo andati a ridurre la possibilità di investimento dei nostri comuni, abbiamo limitato in maniera forte la possibilità di effettuare i pagamenti, mettendo in crisi tutto il sistema produttivo. Si valuta che i debiti dello Stato e degli enti locali nei confronti delle imprese sia talmente elevato da raggiungere i 70-80 miliardi. Questi sono dati importanti e dati che vanno a toccare in maniera pesante quello che è il sistema dei pagamenti della pubblica amministrazione e della liquidità delle nostre imprese, tanto che vi sono comuni, amministrazioni comunali, ma anche altri enti - in questi facciamo rientrare anche le unità sanitarie locali ed anche altre società comunque statali - che pagano i prestatori di servizi anche con un anno o un anno e mezzo di ritardo.
Questo provoca ovviamente un'azione perversa nel senso che le aziende a questo punto vanno a finanziarsi presso le banche con un problema gravissimo di liquidità. Abbiamo avuto dei casi eclatanti, non solamente in Veneto, ma anche in tutta Italia. I più eclatanti forse sono stati proprio in Veneto, dove imprenditori hanno dovuto rivolgersi alle banche e altri imprenditori hanno visto nella contrazione e nel credit crunch un problema che ha Pag. 13portato fino alla chiusura e al fallimento delle proprie attività. Ciò ha portato in molti casi anche - purtroppo e bisogna dirlo - a delle situazioni che dal punto di vista personale si sono trasformate anche in casi di suicidio.
Quindi, questa è una di quelle situazioni che si potevano risolvere attraverso una manovra di questo tipo. Un'indicazione, che abbiamo sempre dato come Lega Nord, è quella che questo Patto di stabilità per gli enti locali deve essere sicuramente trasformato in un patto non più per cassa e per competenza, ma sicuramente in un patto di stabilità solamente per cassa, dando la possibilità di effettuare investimenti soprattutto con l'inserimento dei parametri di virtuosità, che devono essere dei parametri effettivi. Non possono essere dei parametri uguali per tutti gli enti in Italia.
Uno di questi, che è stato suggerito assieme all'autonomia finanziaria dei comuni, è sicuramente quello relativo alle spese del personale.
Se noi vogliamo contenere le spese del personale degli enti locali bisogna che inseriamo parametri che siano strettamente collegati alla popolazione di quel comune e di quella amministrazione, in base quindi a delle medie e senza andare a cercare indici di altro tipo. Se facciamo la media dei dipendenti dei comuni del Nord rispetto ai comuni del Sud, troviamo delle differenze eclatanti: troviamo comuni delle stesse dimensioni - quindi di 15 o 20 mila abitanti - che invece di avere 100, 110 dipendenti, magari ne hanno 200, 250 o anche 300. Con erogazione di servizi migliori? Direi proprio di no, anzi molte volte con erogazione di servizi peggiori. Abbiamo casi eclatanti - lo abbiamo detto visto anche sui giornali nelle scorse settimane - di alcuni comuni. Un comune per tutti: Godrano in Sicilia, un comune di un migliaio di abitanti dove c'è il sindaco, tutta la giunta e nove abitanti su dieci che sono forestali, quindi sono dipendenti statali e regionali, e dove effettivamente i parametri sui dipendenti pubblici rispetto al Nord sono veramente difformi rispetto a tutto il resto del territorio.
Abbiamo audito ieri - ed è stata la seconda audizione - la Corte dei conti della Regione siciliana. Non ci siamo certamente stupiti quando abbiamo sentito alcuni dati. Parliamo sempre in termini di spending review, quindi non pensate che stiamo andando fuori argomento, ma se parliamo di tagli effettivi, bisogna cercare di andare a pescare e tagliare dove effettivamente ci sono le storture e dove ci sono questi sprechi che sono sotto gli occhi di tutti. In Sicilia c'è un numero di dipendenti regionali che supera le 17 mila unità. Abbiamo scoperto che il 96 per cento di questi sono a tempo indeterminato, e quindi che nel corso degli anni c'è stata tutta una serie di stabilizzazioni, e che quindi il rapporto dei dipendenti rispetto ad altri contesti regionali del Nord è da due a tre volte superiore, e in alcuni casi anche molto di più. Io penso che siano questi gli ambiti dove noi effettivamente dobbiamo colpire e dove l'azione dello Stato deve essere decisa e assolutamente risolutiva.
Per quanto riguarda sempre la regione Sicilia, ieri abbiamo scoperto che i residui attivi sono pari a 15 miliardi e 372 milioni di euro, il 90 per cento dei quali sono residui estremamente vecchi e quindi anche qui esiste, come dicevo prima, un problema di esigibilità dei residui attivi. La Corte dei conti ci ha detto che di tutti questi residui, l'effettiva inesigibilità ammonterebbe a circa 400-450 milioni di euro. Il nostro dubbio allora è questo: ma se di questi 15 miliardi di euro - ho parlato nelle scorse settimane di questo buco nel bilancio regionale della regione Sicilia - il 22 per cento sono tributi - e se sappiamo che a livello nazionale, quindi a livello italiano, l'Agenzia delle entrate riscuote dal 15 al 20 per cento di questi tributi residuali - allora i calcoli sono presto fatti: parliamo di circa altri quasi tre miliardi di tributi che saranno inesigibili.
È così anche per quanto riguarda le entrate in conto capitale della regione Sicilia. Le entrate in conto capitale della regione Sicilia sono il 47 per cento di questi residui, di questi 15 miliardi di Pag. 14residui; sono fondi vincolati, derivano da finanziamenti di carattere europeo e finanziamenti di carattere nazionale, probabilmente su progetti (alcuni in corso, alcuni ancora da iniziare) di carattere infrastrutturale, richiesti quindi dalla regione. Anche qui abbiamo scoperto che molti di questi progetti o sono di difficile realizzazione, oppure sono progetti che neppure inizieranno. Anche questa grande quota di residui attivi presenti nel bilancio della regione Sicilia, probabilmente si tradurrà in residui perenti che dopo, un po' alla volta, usciranno dal bilancio e diventeranno un vero e proprio ammanco, un vero e proprio buco.
Questo per dire che questa spending review sicuramente non è andata a toccare quelli che sono i punti fondamentali, però ha fatto una cosa: ha ripartito, nel tentativo di dare una mano alle amministrazioni comunali, una quota importante del Patto di stabilità degli enti locali. Questo - noi lo abbiamo ripetuto fin da subito - è da considerare sicuramente un bluff (questo Patto di stabilità). Si dice innanzitutto che sono 800 milioni, ma in realtà sono soltanto 500, perché 300 milioni vengono dalla cancellazione di un precedente provvedimento sul Patto di stabilità che è quello verticale. Qui parliamo di un patto orizzontale e quindi con il trucco del cappello sono stati spostati i soldi da una parte all'altra in maniera surrettizia, tra l'altro peggiorativa perché - sentite - la divisione tra le regioni avviene ovviamente in modo virtuoso. È talmente virtuoso che i nostri cari amici siciliani riceveranno 171 milioni di questi 800 (abbiamo detto che in realtà sono 500 milioni) che sono stati dati ai comuni, e quindi è un vero e proprio scippo del Nord. Mentre il nostro caro Veneto, poco virtuoso, con un residuo fiscale - lo dico in maniera scherzosa - riceve ben 29 milioni a fronte della Calabria che ne riceve 32, la Campania 58, il Lazio 79, e la Sardegna 82. Questo tanto per dire quanto riuscirà questa suddivisione del Patto di stabilità a dare una mano agli enti locali virtuosi del Nord.
Ricordiamo anche qualcos'altro di quello che è successo nei mesi scorsi, perché non dimentichiamoci che questa spending review, avviene in un momento in cui si sono effettuati dei piccoli tagli, però questo Governo ha provveduto abbondantemente ad aumentare la tassazione. Probabilmente questa spending review e questi piccoli tagli riusciranno a sterilizzare, forse per pochi mesi, l'aumento previsto dell'imposta sul valore aggiunto, però se andiamo a vedere i saldi effettivi, si scopre che c'è una riduzione della spesa di 4 miliardi di euro - come dicevo, sufficienti solamente forse per sterilizzare l'effetto sull'IVA a breve termine - ma la spesa pubblica quest'anno, secondo il bilancio presentato dal Governo Monti, aumenta di ben dieci miliardi. Quindi una vera e propria riduzione della spesa pubblica non c'è, o meglio la spesa pubblica aumenta solo di 6 miliardi. Questo è il risultato netto di quello che si sta facendo nel 2012.
Vorrei ringraziare anche il collega Nannicini, che è il relatore, per la sua onestà intellettuale: non è così facile trovare colleghi che, nonostante stiano dalla parte opposta, dichiarino ciò che ha dichiarato lui prima e, cioè che, effettivamente, gli anni tra il 2009 e il 2012 - dunque, quando vi era il Governo precedente - sono stati gli anni in cui c'è stata un'effettiva riduzione del costo della pubblica amministrazione, se a questo, però, togliamo i due comparti della sanità e della previdenza.
Noi della Lega Nord Padania avevamo presentato numerosi emendamenti al Senato, quando il testo era effettivamente modificabile, e un solo emendamento in Commissione qui alla Camera. Lo abbiamo fatto perché non volevamo assolutamente intralciare i lavori della Commissione e dell'Aula, dando la possibilità al Governo di non passare, come al solito, attraverso il voto di fiducia.
Con i pochissimi emendamenti che, comunque, sono stati presentati non solo dal nostro gruppo, ma anche dagli altri gruppi di opposizione, come l'Italia dei Valori, ed anche dalla stessa maggioranza, poteva tranquillamente essere effettuata una trattazione in Commissione e in Aula. In definitiva, questo provvedimento ci occupa Pag. 15per due settimane, cioè questa settimana ed anche i primi giorni della prossima. Vi erano, dunque, tutti i tempi per discutere un provvedimento importante, che non può essere lasciato solo alla trattazione dei senatori, se questo è un sistema bicamerale. Ma, ormai, siamo andando verso un sistema monocamerale: non può sempre accadere che sia solamente una Camera - e, fatalità, si parte sempre dal Senato - a trattare importanti provvedimenti, come questo.
Noi potevamo dare il nostro contributo, e abbiamo tentato di farlo: l'abbiamo fatto attraverso un emendamento in cui abbiamo cercato, tra le maglie della spending review, tutta una serie di ulteriori tagli, oppure i tagli non effettuati. Tra questi, per esempio, vorrei ricordare, all'articolo 2, la soppressione del comma 20-bis, che esonera fino a fine anno: l'agenzia fiscale ha l'obbligo di rendere conoscibili, anche mediante pubblicazione di apposito avviso sul sito istituzionale, il numero e la tipologia dei posti di funzione; oppure, all'articolo 12, dopo il comma 23, il ripristino della soppressione dell'ente per il microcredito; e così, anche per quanto riguarda la società ARCUS, di cui era prevista la soppressione entro fine anno: i relatori hanno posticipato tutto al 2014. Ebbene, questo è uno Stato, questa è una nazione, dove non si riesce a chiudere assolutamente nulla, neanche la più piccola società, neanche la più piccola società a partecipazione pubblica, neanche il più piccolo ente, perché le pressioni sono talmente forti che, alla fine, si predispone un provvedimento, ma poi si torna continuamente indietro. Ciò è successo anche per l'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali AGENAS, di cui era presidente, fino a pochi mesi fa, il Ministro Balduzzi: anche in questo caso, ne era prevista la soppressione, ma poi si è tornati, ovviamente, indietro.
Anche con riferimento all'articolo 16, abbiamo proposto di sopprimere l'assegnazione che vi è stata a Roma Capitale di tutti i fondi rimanenti dal piano di rientro dei comuni - uno scandalo assoluto vi è all'articolo 23, concernente l'emergenza per il Nord Africa -, con cui questo Governo ha destinato ulteriori 495 milioni di euro, insieme ad altri 30 milioni di euro, per trasferimenti aggiuntivi sempre alla solita città, sempre a Roma, sempre alla città capitale.
Quindi, il nostro unico emendamento, molto semplice, era volto alla verifica di tutti questi tagli, che andavano in una sola direzione, ossia quella di dare una mano ad un problema importante che sembra essere sentito da tutte le componenti politiche, anche se poi, alla fine, non fa niente nessuno. Noi riteniamo molto negativo il fatto che sia stato bocciato questo emendamento alla spending review, dimostrando così la non volontà politica di risolvere il problema degli esodati.
Pertanto, non si presentano emendamenti, né si cerca di risolvere il problema in altro modo. L'ultima di questa mattina viene da un'agenzia che dice: per risolvere il problema degli esodati, bisogna inventarsi un altro gioco, bisogna aumentare nuovamente i giochi. Non basta quello che fa questo Stato nei confronti di molti contribuenti e molte famiglie! Sappiamo come la ludopatia, la malattia di chi gioca in maniera compulsava, sia diventata un problema importante di molte famiglie, però questo Stato deve finirla di fare il proprio bilancio attraverso entrate di questo tipo, cioè mettendo in difficoltà famiglie (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania), persone che prendono lo stipendio e il giorno dopo se lo sono già mangiato attraverso i nuovi giochi che voi avete creato. Noi della Lega Nord Padania siamo sempre stati contrari - assolutamente contrari - a finanziare i buchi di bilancio attraverso l'aumento e la creazione di nuovi giochi. Adesso poi, su Internet, è diventato talmente facile che, oltre a rovinare intere famiglie, stiamo rovinando anche i giovani che passano dalle macchinette al gioco via Internet.
In conclusione, quali sono le proposte della Lega Nord Padania, quali sono state le proposte anche in Commissione bilancio al Senato e che, purtroppo, non hanno trovato l'adesione da parte del Governo? Come ho detto prima, assolutamente Pag. 16quella di portare avanti il progetto federale attraverso i costi standard, nonché il taglio delle spese.
Io spero che vi sia anche un'effettiva revisione - spending review - non solamente nei comuni, nelle amministrazioni provinciali o, come è stato fatto con taglio dei tribunali, che, in molti casi, come vedrete nei prossimi mesi e il prossimo anno, non porterà vere riduzioni di spesa.
Spero che vi siano tagli effettivi anche qui alla Camera, al Senato e nei Ministeri. Cominciamo con le auto blu, magari eliminandole tutte (in tal senso c'era un nostro emendamento) e indicando solamente i singoli soggetti - e quindi facendo anche un'operazione di trasparenza con l'indicazione, magari, in un sito internet, di nomi e cognomi - che utilizzano le auto blu e, quindi, vietandole in maniera totale, solo con alcune indicazioni espresse.
E ancora, il taglio dei dipendenti della pubblica amministrazione: il taglio si fa su piante organiche effettive e non, come avete fatto voi, su piante a carattere teorico. Troppo facile farlo così! Ci sono amministrazioni del Sud che hanno piante organiche teoriche che sono il doppio rispetto a quelle effettive e, quindi, il taglio effettivamente non verrà fatto. Il taglio, quindi, dev'essere fatto sulle piante organiche effettive. Inoltre, il taglio del personale pubblico dev'essere effettuato cercando e applicando criteri di virtuosità, come abbiamo detto, non previsti poi nel federalismo fiscale.
Inoltre, circa il tetto agli stipendi dei dirigenti statali e dei manager pubblici, così come le pensioni d'oro, ne parliamo da molto, nulla ancora è stato fatto. L'equiparazione dei contratti del personale della pubblica amministrazione a quelli del settore privato so essere una scelta molto difficile da fare, però la gente si aspetta un passaggio di questo tipo: bisogna cercare di avere contratti tutti uguali, nel privato come nel pubblico. I dipendenti della pubblica amministrazione devono essere uguali ai dipendenti privati e, anche qui, con l'inserimento di criteri di virtuosità. Concludo dicendo che il nostro parere è assolutamente negativo: poteva essere fatto di più. Vi sono, nel bilancio dello Stato, parecchie voci che possono essere tagliate e colpite, ma la realtà è che questo Governo non ha alcuna intenzione di cambiare le cose (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Borghesi. Ne ha facoltà.

ANTONIO BORGHESI. Signor Presidente, vorrei partire da una considerazione che riguarda la costituzionalità del decreto-legge di cui stiamo discutendo. Lo dico perché abbiamo ritenuto di non presentare questioni pregiudiziali di costituzionalità per permettere all'Assemblea di lavorare più rapidamente, però ciò non toglie che vi siano molti elementi cruciali sui quali noi dovremmo riflettere. Lo dico perché la relazione, perlomeno quella svolta in Commissione - e mi spiace che non vi sia il relatore, perché credo che egli abbia il dovere di assistere ai lavori dell'Aula, anche quando si svolge la discussione sulle linee generali, su un provvedimento di questo genere; comunque, pazienza - inizia esattamente con queste parole: «un provvedimento così voluminoso e complesso, quale quello oggi al nostro esame, poco si presta a valutazioni sintetiche, e sembra piuttosto caratterizzarsi per l'eterogeneità e non di rado la frammentarietà dei contenuti». Si tratta di un'affermazione che è già significativa del fatto che siamo al di fuori di quanto previsto dall'articolo 77 della Costituzione.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROSY BINDI (ore 11)

ANTONIO BORGHESI. Vorrei anche ricordare che vi sono, sotto questo profilo, moltissime situazioni che sono state esaminate in questa legislatura e, ancora più, il fatto che possa capitare una situazione di questo genere quando, in aggiunta, venga posta la questione di fiducia. Infatti, il ricorso alla decretazione d'urgenza reiterato si acuisce in quanto - e così recita una sentenza della Corte costituzionale - Pag. 17coniugato alla posizione della questione di fiducia, coniugio che dovrebbe risultare innaturale ed estraneo rispetto ai principi e al dettato costituzionale di cui agli articoli 70 e 77 della Costituzione. Oltre che lesivo delle prerogative del Parlamento, il suddetto abbinamento - cioè decreto-legge, magari su argomenti, come abbiamo visto, riconosciuti dal relatore come frammentari e poco omogenei, e posizione della questione di fiducia -, è in grado di alterare gli equilibri istituzionali, ravvisabili, oltre che nel dettato della nostra Carta fondamentale, nei pronunciamenti della Corte costituzionale. Veramente trovo ciò singolare, poiché già è noto che lunedì il Governo porrà la questione di fiducia. Mi trovo di fronte ad una situazione, anticipando già oggi quello che diremo lunedì, che pone il Governo in una posizione di ridicolo. Infatti, sappiamo già che vi sono solo tre proposte emendative dell'opposizione, e un Governo che pone la questione di fiducia di fronte a tre proposte emendative dell'opposizione è un Governo che si copre di ridicolo, permettetemi di dirlo, e a nulla vale il fatto che i gruppi di maggioranza siano obbligati a presentare un certo numero di proposte emendative. Vi è qualche gruppo - non faccio nomi - che ha dichiarato in Commissione che non ha presentato in quella sede proposte emendative, ma che le presenterà in Aula.
Ma che strano, quindi, l'eventuale posizione di fiducia sarà sugli emendamenti, immagino, della maggioranza. Il Governo si copre di ridicolo in una situazione di questo genere, aggravata, nella fattispecie, dal fatto che, come abbiamo visto, saremo di fronte ad una richiesta di posizione della questione di fiducia su un decreto-legge che già altera, secondo il dettato della stessa Corte costituzionale, gli equilibri voluti degli articoli 70 e 77 della Costituzione.
Quindi, dico che c'è un Governo che si copre di ridicolo, ma io mi aspetto, e non mi vergogno a dirlo, che il Presidente della Repubblica su questo punto intervenga. Lo dico perché siamo stati aggrediti per averlo ricordato in questa legislatura, ma il 18 maggio 2007 il Presidente della Repubblica è intervenuto dicendo: «l'adozione di criteri rigorosi, diretti ad evitare la sostanziale modificazione del contenuto dei decreti-legge, è infatti indispensabile perché sia garantito» e così via. Qui ci sono trenta pagine di emendamenti di modifica introdotti al Senato. Trenta pagine, quindi, contro questo messaggio fatto dal Presidente della Repubblica il 18 maggio.
Il 15 luglio 2009 vi è stato un altro intervento del Presidente della Repubblica sull'eterogeneità dei contenuti, frutto di un clima di concitazione e di vera e propria congestione, che sfuggono alla comprensione dell'opinione pubblica e rendono sempre più difficile il rapporto tra il cittadino e la legge. Così ha dichiarato il Presidente della Repubblica in un messaggio il 15 luglio 2009. Reiteratamente ha riportato questa cosa il 22 febbraio 2011 e il 23 febbraio 2012. Pertanto, mi aspetto che intervenga nel corso dell'iter che riguarda questo provvedimento o, altrimenti, credo di aver tutti i diritti di critica nei confronti di chi ha inviato messaggi come questi e dopo non dà corso a questi messaggi.
Francamente credo che sia assolutamente inopportuno che poi sia attaccato chi si permette di ricordare questi fatti e chi richiama l'articolo 77 della Costituzione, che in questo caso viene assolutamente dimenticato. Vado al merito del provvedimento, signor Presidente, per dire che noi avevamo contato molto sulla spending review e la proponevano da almeno tre anni perché riteniamo che l'intervento sulle spese inutili della pubblica amministrazione sia un intervento necessario. Abbiamo, inoltre, applaudito quando il Governo ha ritenuto di incamminarsi su questa strada.
Ma, mi permetta, signor Presidente, siamo di fronte ad un risultato assolutamente deludente perché qui dentro, più che di spending review, ancora una volta siamo in presenza di una logica di tagli lineari anziché quella di una revisione strutturale dei meccanismi che alimentano Pag. 18le spese. Addirittura ho sentito il relatore dire: siamo riusciti ad evitare l'aumento dell'IVA. No, forse il relatore si è sbagliato o forse non ha letto bene il provvedimento. L'aumento dell'IVA è spostato al 1o gennaio, non è che sia stato eliminato dall'orizzonte temporale che abbiamo di fronte. Anzi, si è fatta un'altra operazione, e lo dico al sottosegretario, se ascolta, ma vedo che il telefono evidentemente è più importante di altre questioni in questo momento.
Io dico che un mio studente del primo anno non si sognerebbe mai di spezzare un aumento dell'IVA in due tranche, una dell'1,5 e una dello 0,5. Infatti, tutti sanno che quando c'è un aumento dell'IVA ci sono gli arrotondamenti, che portano sempre ad aumentare ulteriormente il prezzo finale del consumatore. Addirittura in questo caso lo spezziamo in due tranche con il risultato di ottenere due volte gli arrotondamenti a danno dei cittadini e favorendo così anche l'aumento dell'inflazione, oltre che una nuova ulteriore riduzione della capacità di spesa dei cittadini e quindi un effetto depressivo sull'economia.
L'aumento dell'IVA scatterà il 1o gennaio. Altro che, relatore, si è evitato l'aumento dell'IVA. È solo spostato di qualche mese, non è stato evitato, mi spiace dirglielo.

ROLANDO NANNICINI, Relatore. Non qualche mese, sono nove i mesi.

ANTONIO BORGHESI. Quindi, ancora una volta, come dicevo, la logica è simile a quella dei tagli lineari e si ottiene, di fatto, attraverso la centralizzazione degli acquisti di beni e i tagli sul pubblico impiego, sanità, trasferimenti agli enti locali, quasi che non sapessimo tutti che, nel momento in cui facciamo i tagli agli enti locali, a pagarli saranno i cittadini.
Non a caso ogni volta nel corso di questo anno abbiamo assistito ad un ulteriore aumento della tassazione anche a livello locale. Aumenteranno i contributi, i servizi scadranno in qualità e questo sarà l'effetto che noi otterremo.
Questa non è la spending review, che dovrebbe colpire le spese inutili e ce ne sono tante a partire dai costi della politica che questo Governo non ha toccato. Anzi, a questo proposito, vi è stato un nuovo rinvio sulle province. Ma chiamiamo le cose con il loro nome: non ne veniamo fuori, perché ogni volta che c'è un rinvio ci sarà sempre qualcuno che potrà fermare quel processo, tanto più che i rinvii portano - chissà perché - vicino al mese di dicembre e alla fine dell'anno quando poi ci sarà un decreto-legge, che si chiama «milleproroghe», dove tutto verrà prorogato di chissà quanto altro tempo.
Quindi, ancora una volta, quando c'erano da tagliare i costi della politica il Governo si tira indietro. Le lobby, come si è visto in molti altri casi, qui all'interno hanno fatto sentire la loro voce e così in moltissimi casi vi è stata la marcia indietro del Governo. Vorrei ricordarne qualcuna. Magari ricordo le questioni che riguardano alcune strutture e alcuni enti inutili e anche gli interventi sulle authority. La Covip si salva, così come la Cineteca nazionale. È slittata la soppressione di Arcus e di Fondaziona Valore Italia. Quindi, ci sono nuove proroghe, avanti così.
Tutte le volte che si toccano interessi particolari scattano le lobby e il Governo non si tira indietro. Perché il Governo permette cose di questo genere? Si presenti qui e dica: «Noi siamo contrari». E sia l'Assemblea poi a deliberare e a decidere, così che sia chiaro chi vuole mantenere questi enti inutili presenti. Anche persino sulle società in house, è diventata una possibilità: ma quando mai in Italia si fa una cosa quando da obbligata diventa possibile? Non si farà mai!
È un altro modo, un'altra marcia indietro ancora una volta da parte del Governo, è un rinvio di interventi che, invece, dovevano essere fatti su province, enti locali, eccetera. Dico francamente poi un'altra delle cose più gravi che c'è in questo decreto-legge, stigmatizzato sempre da tutti i costituzionalisti (mi piacerebbe sentire l'intervento dell'onorevole Zaccaria, che sempre è intervenuto nel corso di questa legislatura sulle pregiudiziali di Pag. 19costituzionalità) sull'inserimento di un decreto-legge dentro un altro decreto-legge. Anche questa è una aberrazione che il Presidente della Repubblica ha già condannato più volte in passato. Ora voglio vedere se ritiene di sollevare una critica contro un atto come questo che è una aberrazione costituzionale.
Quindi, all'interno di questo inserimento di un decreto-legge dentro un altro decreto-legge c'è la questione del salvataggio del Monte dei Paschi. Ma è possibile che noi facciamo i salvataggi? Per carità, facciamoli pure, però perché non poniamo mai dei vincoli su questi salvataggi? Negli Stati Uniti e persino in Spagna come primo momento in cui hanno dato aiuti alle banche hanno imposto una riduzione fortissima di tutte le indennità degli amministratori. Qui non se ne parla. Non si parla di nessun limite a indennità milionarie di personaggi che già hanno creato danni da una parte.
Parlando del Monte dei Paschi, abbiamo un presidente cacciato da Unicredit e che è riuscito a farsi dare 40 milioni di euro di buonuscita ed ora ce lo ritroviamo a fare il presidente del Monte dei Paschi, mentre l'ex presidente del Monte dei Paschi va a fare il presidente dell'ABI a prendersi altri milioni di euro di indennità e noi diamo aiuti, salviamo queste banche e non poniamo un limite alle indennità? Permettetemi di dire che è scandaloso, così come è scandaloso che, quando si danno gli aiuti, non si stabilisca la percentuale di credito che obbligatoriamente devono poi concedere alle imprese.
Sto andando alle conclusioni, anche perché non è che ci sia poi molto da dire oltre a ciò che ho già detto. Noi ci aspettavamo molto dalla spending review, anche perché - come ho già detto prima - qualche luce in mezzo a tante ombre c'è, anche se noi avremmo chiesto tagli ben più rigorosi e ben più forti sulle auto blu, sulle consulenze e sui consigli di amministrazione delle società partecipate. Vorrei ricordare che in questi dieci anni la spesa pubblica in valore assoluto è cresciuta di 200 miliardi di euro e ne porta in pieno la responsabilità chi ha governato in questi dieci anni.
Ma, per otto anni su dieci quel centrodestra, che oggi fa finta di accogliere gli interventi sulla spending review ma che è il primo responsabile di questa situazione, diceva: non parliamo di spending review, fatela alla Presidenza del Consiglio, dove Berlusconi ha raddoppiato gli incarichi e le consulenze. Ha portato dentro gli amministratori delle sue aziende, dando loro lo stesso rango e la stessa indennità prevista per gli alti dirigenti pubblici. Fate davvero voi l'intervento sulla spending review all'interno della Presidenza del Consiglio, perché sarebbe ora.
Quindi, ribadisco che noi ci contavamo molto, ci speravamo molto, ma ci troviamo di fronte...

PRESIDENTE. Onorevole Borghesi...

ANTONIO BORGHESI. Sì, signor Presidente. Ho chiesto che mi venisse segnalato il tempo. Avrei la possibilità di andare avanti, ma ho chiesto la segnalazione.

PRESIDENTE. È per questo che sono intervenuta.

ANTONIO BORGHESI. Signor Presidente, stavo comunque concludendo. È una grande delusione perché contavamo molto su questo intervento, che fosse capace davvero di porre rimedio al problema delle spese inutili. Non vi è quasi nulla sui costi della politica, che è la più inutile di tutte le spese. Ma, vi è molto poco anche per quanto riguarda l'intervento sulle spese inutili della pubblica amministrazione e degli enti locali, enti che continuano a sopravvivere ad onta della loro inutilità, enti posti in liquidazione decine di anni fa. Vi è un elenco di almeno trenta enti fatto dal Presidente Prodi nel 2006 ma sono ancora tutti lì e mangiano ancora tutti i soldi dei contribuenti. Non è questa la spending review che il popolo italiano si attende.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Armosino. Ne ha facoltà.

Pag. 20

MARIA TERESA ARMOSINO. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, colleghi, non ho il tempo né mi interessa dare sfoggio di conoscenza di questo provvedimento e ancor meno mi interessa farlo in quest'Aula, dove nulla può essere cambiato, poiché è chiaro a tutti che il provvedimento è entrato in quest'Aula, così come modificato dal Governo, e tale e quale uscirà.
Però, intendo porre al Governo due domande secche e ritengo di avere diritto a una risposta in occasione dell'esame di questo provvedimento. Ricordo l'antefatto, quando arrivò il Governo Monti presentandosi in Aula. Ebbene, quando il Presidente Monti fece la sua prima conferenza stampa disse: «Poi vi è il tema della province. Ma, tranquilli! Quelle non siamo proprio riusciti a toglierle, perché potrebbe esserci un problema di costituzionalità, ma le abbiamo svuotate. State tranquilli, stiamo operando in quel senso».
Allora, mi rivolgo a questo Governo, che deve avere - o dovrebbe avere - il presupposto della riscrittura di un nuovo modello delle autonomie locali e di un nuovo modello sociale, ma anche di Stato sociale, indicandoci quale Stato ci possiamo permettere, qual è il suo perimetro e su che cosa andare a incidere. Chiedo, dunque, al Governo Monti nella sua interezza - e in primis al suo Presidente - di essere coerente con le cose che ha detto. Ebbene, non può pretendere credibilità e appoggio su azioni falsamente rappresentate, non potendo io neanche lontanamente pensare che si tratti di incompetenti al timone di una nave.
Entro nel merito. Se vogliamo eliminare le province e se, come questo Governo ha detto, le dobbiamo abolire, le si aboliscano. Trasformarle in enti di secondo grado mi ricorda i comprensori di vecchia memoria, ma Dio ce ne scampi e liberi! Ma quello che sta accadendo - e vengo subito alla questione secca - è che, in realtà, le si sono fatte morire e le si fanno morire sottraendo le risorse. Poi, al popolo, al quale si è data la falsa risposta della soluzione di un problema, cioè il costo della politica attraverso l'abolizione delle province, gli si va a dire: «Avete visto? Comunque noi siamo riusciti!».
Certo, siete riusciti in cosa? A non aprire a settembre le scuole superiori. Questo voglio che venga verbalizzato, questo dirò quando sarò chiamato dalla Corte dei conti, questo dirò - tornando nella mia terra - al prefetto, al questore ed a tutti gli organismi di pubblica sicurezza.
Come gestiamo l'ordine pubblico a partire dal 1o settembre? Colleghi, non lobby delle province, ma lobby dei padri e delle madri, ai quali bisogna dire che non c'è il diritto all'istruzione secondaria, che non è gratis, perché il taglio che è stato fatto è un taglio che porta tutti gli enti in dissesto. Do un dato: provincia che pareggia a 95, 5 milioni di euro, 46 milioni di spese correnti, il resto in conto capitale. Come vi è noto, nelle spese correnti, ci sono i fondi di formazione lavoro non usufruibili in altro modo, i fondi europei, e ci sono i fondi del trasporto pubblico locale. Con questo provvedimento, dite: guai a toccare quei fondi! Ebbene, chi ha amministrato bene e chi vorrebbe avere dei parametri e dei suggerimenti di migliore efficienza, cosa deve fare per recuperare, su 46 milioni di spesa corrente, di qui a fine anno, 3,7 milioni di euro? Due cose può fare. Non aggravare il dissesto ed aprire le scuole con il riscaldamento significa aggravare il dissesto.
Offro un'altra soluzione: dica il Governo che, di qui a fine anno, dobbiamo pagare solo il 50 per cento degli stipendi. Faremo una scelta tra interessi contrapposti: apriamo le scuole o paghiamo gli stipendi? Credo che questo problema debba essere posto. Credo che la sabbia negli occhi degli stupidi sia intellettualmente disonesta, moralmente inaccettabile. Non penso che questo Governo possa avere la fiducia degli elettori se agli elettori arrivassero le percezioni della schizofrenia tra il detto ed il praticato. Ripeto: lo richiedo, la risposta è secca. Per aprire le scuole e rientrare di 3,7 milioni, su 46 milioni di spesa corrente, cosa dobbiamo Pag. 21fare? Non posso pensare che non ci si renda conto che questa è la non erogazione di un servizio.
Allora, mi fa ribrezzo questo provvedimento, mi fa ribrezzo che entri nelle Aule parlamentari un provvedimento che impone la privatizzazione e la dismissione di 3 mila 300 società pubbliche, a meno che qui sì ci siano delle lobby molto potenti - e ce ne sono in tutti i partiti e gruppi politici - ma non ci sia anche l'altra consapevolezza più sottile, ma profonda che andremmo ad evidenziare quale sia davvero il debito degli enti locali. Perché così continuiamo a tenerlo fuori.
Auspico che si intervenga su questo tema immediatamente. Le scuole si aprono a settembre: noi non possiamo garantire l'apertura, non ci avete dato neanche i fondi per la manutenzione delle scuole. Non sappiamo neanche che fine hanno fatto i 758 milioni di euro della delibera CIPE, destinati all'edilizia scolastica.
Sono due anni che in queste Aule io personalmente, ma per le province, porto avanti un discorso: la sicurezza delle scuole. Ebbene non sarò io quella che aprirà una scuola non sicura per un Governo che blocca financo le opere di adeguamento di un quadro elettrico. A voi i padri e le madri del Paese.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Calgaro. Ne ha facoltà.

MARCO CALGARO. Signor Presidente, questo provvedimento di fatto è la conversione in legge di due decreti-legge diversi che sono stati unificati durante il percorso al Senato del provvedimento stesso ed è un provvedimento, quindi, che contiene un ampio, frammentario e piuttosto eterogeneo insieme di interventi, la cui comune finalità dichiarata è il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica.
La ratio del provvedimento e insieme il suo limite è quella di ottenere in tempi brevissimi risultati estremamente ambiziosi. Ciascuno dei grandi capitoli del provvedimento stesso meriterebbe un'appropriata disamina, ma mi interessa adesso inserirlo nel contesto generale in cui è stato assunto.
Da anni ci troviamo immersi nell'epocale riassetto di equilibrio commerciale, produttivo, sociale, finanziario ed economico causato dalla globalizzazione che, semplificando, produce nei fatti un aumento della ricchezza dei Paesi tradizionalmente poveri e una diminuzione della ricchezza dei Paesi tradizionalmente ricchi, il tutto associato a un enorme ampliarsi, e non ridursi, delle disuguaglianze all'interno di entrambe queste realtà. Questo cambiamento epocale, che da solo basterebbe a causare una mezza rivoluzione nel mondo occidentale, si è accompagnato a partire dal 2008 ad una crisi finanziaria, partita dagli Stati Uniti e allargatasi a tutta Europa, causata sostanzialmente dalla completa deregulation dei mercati finanziari, cui ad oggi non è stato posto alcun rimedio, che continua a causare i suoi disastrosi effetti e che è la principale e permanente icona della totale impotenza della politica nel confronto con lo strapotere finanziario.
L'Europa si dibatte tra questi due problemi che, a parer mio provvidenzialmente, pongono in estrema evidenza due inconfutabili realtà che definiscono un paradosso. La prima è costituita dal fatto che appare sempre più chiaro che la possibilità di superare questa crisi richiede a livello globale un'Europa più forte, che sappia contemporaneamente impostare politiche di rigore finanziario e di rilancio economico, ritrovando lo sviluppo, ma allo stesso tempo proporre al mondo globalizzato un modello di società positivo che può essere sintetizzato in un welfare state rinnovato che ha tre perni di rielaborazione: la centralità dell'uomo e della sua dignità, la riscoperta del senso di appartenenza ad una comunità e la sussidiarietà.
La seconda realtà inconfutabile è che il modello di ampliamento scelto dall'Unione europea, quello tutto imperniato sui mercati, sulla moneta comune e su una burocrazia tecnocratica priva di un'anima politica, ci ha fatto totalmente perdere di vista le ragioni profonde dello stare insieme, Pag. 22quelle ragioni forti - un modello comune di sviluppo e di welfare, l'Europa dei popoli, un approdo federale con una Costituzione comune - che costituiscono l'unica ragione per cui non solo gli uomini, ma anche gli Stati possono affrontare sacrifici condivisi nella speranza di un futuro migliore e comune di pace e prosperità per i propri figli.
L'Italia, in questo terremoto causato dalla globalizzazione e dalla crisi finanziaria, pone in evidenza, insieme alla forza e all'orgoglio costituiti da un sistema manifatturiero ancora robusto, da un sistema bancario che nel suo complesso e con delle eccezioni ha retto meglio di altri alla crisi, e da un welfare che ha consentito di mantenere un'invidiabile coesione sociale, i limiti costituiti in estrema sintesi da un enorme debito pubblico che è la causa principale della difficoltà di reperire risorse per lo sviluppo, da una mai risolta e ingravescente forbice di sviluppo e di funzionamento della burocrazia e del sistema di welfare tra il centro-nord e il sud del Paese e da una corruzione e un sistema malavitoso che, oltre a condizionare la presenza dello Stato e la sua percezione in molte regioni, pare, anziché estinguersi, diffondersi in modo molto preoccupante al resto del Paese.
Questo complesso scenario globale e locale che ho delineato è indispensabile per comprendere l'importanza del provvedimento di cui stiamo discutendo, infatti la spending review non è il titolo di un singolo provvedimento, ma l'espressione di un progetto complesso.
Se un'osservazione si può muovere e un consiglio si può dare al Governo è quello di presentare e valorizzare la spending review non come un insieme di tagli - e peggio ancora di tagli lineari, come a volte verrebbe da evincere leggendo il provvedimento - ma come la prima urgente decisione presa in un contesto progettuale di vero piano industriale delle pubbliche amministrazioni centrali e periferiche, che ha come obiettivo la complessa riqualificazione della spesa pubblica e, come ricaduta secondaria, un risparmio di risorse finalizzato a due risultati essenziali per far ripartire il Paese: a breve scongiurare l'aumento dell'IVA, spada di Damocle regalataci dal Governo Berlusconi e sempre pendente sulla nostra testa, con la sua ricaduta recessiva dovuta all'inevitabile contrazione della domanda interna; a medio termine, ridurre la pressione fiscale sulle famiglie e sulle imprese.
Considerando il fatto che, come di consueto in questa legislatura, ci troviamo di fronte ad un monocameralismo di fatto, che per l'ennesima volta ci impedisce di modificare un provvedimento ampiamente modificabile a saldi invariati e che, quindi, rende inutili proposte emendative nel merito, mi limiterò a fare osservazioni generali sui principali capitoli di questo articolato che, considerato come l'inizio di un percorso, assume comunque connotati positivi. Come ho già accennato, se si vuole davvero rendere efficiente un'amministrazione pubblica che oggi, a causa di una serie di sprechi e inefficienze, è obiettivamente un fattore recessivo, è necessario effettuare un'approfondita analisi Ministero per Ministero e missione per missione, che porti ad una profonda riorganizzazione della macchina pubblica. Solo un criterio di minuziosa valutazione organizzativa di questo tipo può permettere di raggiungere l'ambizioso obiettivo annunciato nel titolo del provvedimento: rivedere e diminuire la spesa con invarianza dei servizi offerti ai cittadini.
È chiaro come in una situazione di difficoltà sociale diffusa, come quella attuale, se le amministrazioni riducono certi servizi ai più deboli e alle famiglie, rischiano di compiere azioni pro-recessive. Ho già fatto notare come in più punti, ma soprattutto nei capitoli riguardanti gli enti locali e la sanità, si abbia la sensazione di trovarsi di fronte a tagli lineari e non alla revisione dei meccanismi strutturali che determinano la spesa, con la conseguenza di fatto che i tagli suddetti, anziché incidere sul funzionamento della macchina amministrativa, si scaricano sulle spalle dei cittadini, sotto forma di aumento della pressione fiscale locale, tasse e tariffe, e diminuzione della quantità e della qualità dei servizi forniti. È chiaro come, fatti Pag. 23salvi alcuni vizi di fondo sul concetto stesso di federalismo e sulla sua attuazione, di cui non è questa la sede di approfondimento, l'attuazione della legge n. 42 del 2009, per la parte riguardante i costi e i fabbisogni standard e, quindi, la valutazione dei servizi effettivamente offerti ai cittadini e della loro qualità, avrebbe consentito di evitare il rischio, attualmente molto elevato, di penalizzare di fatto le amministrazioni virtuose ed efficienti, a vantaggio di quelle con una elevata e incontrollata spesa storica.
La sostanziale insostenibilità di alcuni interventi su enti locali e regioni, che contribuiscono per più del 60 per cento alla spending review, rischia di ripercuotersi su servizi essenziali per i cittadini, quali l'assistenza e la scuola, al termine di un circuito perverso sulla legge di stabilità. È ancora forte la sensazione che non venga mai valutata la performance di ogni amministrazione, con un reale regime premiale per quelle virtuose e sanzionatorio, di affiancamento e responsabilizzazione di quelle inefficienti, fino al loro effettivo commissariamento.
Naturalmente, è molto positiva la mia valutazione sui tagli alle auto blu, alle consulenze, ai consigli di amministrazione delle aziende partecipate, ma non altrettanto positivo è il giudizio sul comportamento ondivago tenuto sulle privatizzazioni delle società in house, che evidenzia la carenza di una riflessione approfondita nel merito, con una decisione non più rinviabile su quali siano i servizi pubblici locali così rilevanti per il cittadino da dover essere gestiti direttamente dall'ente locale e quali debbano essere privatizzati e lasciati al libero mercato in tempi certi e senza ulteriori tentennamenti.
Un'ulteriore riflessione critica va fatta sulle province e sull'eccessivo numero delle città metropolitane. Siamo sicuri che il meccanismo individuato con questo provvedimento non ci conduca a nulla di fatto o, peggio, al rinvio associato ad uno strano aumento di competenze e ad un taglio di trasferimenti tali da condurre al default, con relativo crollo di servizi per i cittadini? Non era meglio eliminare le province e immediatamente riorganizzare e devolvere i servizi da queste prestati?
Per quanto riguarda il salvataggio del Monte dei Paschi di Siena, perché di questo si tratta, faccio solo tre osservazioni.
La prima è che tutte le cose vanno chiamate con il loro nome e rese pubbliche, con questo consentendo di riflettere sulle tragicamente sbagliate scelte gestionali e di governance del passato, la seconda è che si tratta di un precedente pericoloso e la terza è che, dato che il salvataggio avviene producendo debito, i cittadini, con un ragionamento che riconosco eccessivamente semplificante, potrebbero chiedersi perché è lecito indebitarsi per salvare una banca e non per favorire lo sviluppo e la ripresa economica.
Anche all'interno di questo provvedimento vi sono misure che, di fatto, tendono a trasformare la Cassa depositi e prestiti nell'IRI degli anni Duemila ed è chiaro che, se questa tendenza verrà confermata - non sono pregiudizialmente contrario - bisogna pensare, comunque, a meccanismi di trasparenza e controllo parlamentari rafforzati, soprattutto a tutela dei risparmiatori.
Non posso approfondire tutto il capitolo riguardante la spesa sanitaria, ma, sommariamente, mi viene da pensare a un'operazione che porterà i risultati voluti in termini di saldi, ma in nessun modo produrrà risultati dal punto di vista dell'efficienza e della qualità della spesa. Il nostro Servizio sanitario necessita di una riflessione urgente e approfondita da parte del Governo, di cui, per brevità, illustro solo i capisaldi. Se il Paese vuole mantenere i livelli di assistenza attuali, deve rilanciare la propria economia, e, da questo punto di vista, è a un bivio: deve decidere se il rilancio passa attraverso una distrazione delle risorse dal settore sanitario, in quanto ritenuto inefficiente, o se, invece, il settore sanitario e il suo indotto non possano essere, anche in termini di posti lavoro, un vero volano di crescita. In questi termini, sanità e welfare non sono una spesa a supporto della coesione sociale, Pag. 24ma un investimento a supporto dell'economia del Paese. Questo non esclude un'approfondita riflessione sulla necessità di apportare innovazioni al sistema di finanziamento del Servizio sanitario, sul modello di altri Paesi europei che si dibattono nelle nostre stesse difficoltà. È chiaro che, per programmare e ritrovare efficienza, bisogna riequilibrare l'eccessiva regionalizzazione del sistema, ridistribuendo le competenze, poiché si sta pericolosamente accentuando la tendenza ad avere 21 sistemi sanitari diversi, che, in buona parte, non garantiscono uniformi livelli elementari di assistenza su tutto il territorio nazionale. La spesa sanitaria pro capite è paradossalmente più elevata proprio in quelle regioni caratterizzate da maggiore inefficienza del sistema e minore qualità delle prestazioni. La separazione tra politica e gestione del sistema sanitario non può prescindere da scelte organizzative e operative che individuino percorsi totalmente innovativi per la formazione, l'individuazione e la valutazione dell'alta dirigenza amministrativa del sistema sanitario. Questa ed altre sono riflessioni e susseguenti decisioni che possono incrementare l'efficienza, anche economica, del sistema.
Vorrei ancora esprimere un plauso sul tema degli esodati: con questo provvedimento ne vengono salvati altri 55 mila. Questo, naturalmente, non esime il Governo dal farsi carico di una riflessione che porti all'esaurimento del problema.
Invito, infine, il Governo a fare una riflessione ulteriore sulla dismissione patrimoniale prevista e sul fatto se questa possa costituire quell'operazione shock sullo stock del debito di cui avremmo estremamente bisogno. Se così non fosse, bisognerebbe cercare di implementarla, perché mi pare evidente che la priorità assoluta dei prossimi mesi sia quella di recuperare risorse per lo sviluppo.
Il Governo Monti, da novembre a oggi, ha prodotto risultati che non possono non essere sottolineati e che spingono il mio partito a un appoggio convinto e a ribadire che, anche dopo la tornata elettorale, non si potrà derogare dal percorso di responsabilità delineato da questo Governo e dalla sua maggioranza, che, per quanto attiene l'UdC, può essere sintetizzato nel motto «più credibilità internazionale, rigore e riforme per far ripartire lo sviluppo e far crescere la solidarietà e la coesione». Il Presidente Monti e il Governo italiano hanno avuto un ruolo determinante, grazie alle azioni intraprese e alla credibilità e al rispetto riconquistati, nel portare a un rovesciamento di posizioni tra Italia e Spagna, sia nello spread rispetto alla Germania sia nella incomoda posizione di primo grande Paese europeo a rischio default, e nel creare le condizioni che tutti ci auguriamo portino l'Europa a un probabile processo di maggiore integrazione e solidarietà fiscale e politica.
Riassumendo e concludendo, penso che le stelle polari dei prossimi mesi di Governo debbano essere il proseguimento del percorso di spending review come riqualificazione della spesa pubblica, anche mediante il riassetto organizzativo della pubblica amministrazione; il proseguimento del cammino delle riforme, con particolare riferimento alla riforma fiscale e al federalismo; la dismissione massiccia di patrimonio pubblico finalizzata all'abbattimento del debito; la tassazione, anche limitata nel tempo, dei grandi patrimoni immobiliari e mobiliari finalizzata al reperimento di risorse per la crescita e il proseguimento della lotta all'evasione e all'elusione fiscale.
Su questo percorso virtuoso io e il mio partito continueremo a sostenere, con convinzione, questo Governo (Applausi dei deputati dei gruppi Unione di Centro per il Terzo Polo e Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Marchi. Ne ha facoltà.

MAINO MARCHI. Signor Presidente, da un anno siamo di fronte a provvedimenti di emergenza che, è innegabile, comprimono il lavoro parlamentare, però questa non è una novità dell'ultimo anno. Praticamente dall'inizio della legislatura abbiamo assistito ad un monocameralismo alternato di fatto, anche quando non vi Pag. 25era l'emergenza, anche quando si negava la crisi. Da un anno questa esigenza di approvare velocemente i provvedimenti è certamente più motivata. Vi è un'emergenza che ha portato anche ad un cambio di Governo. Non siamo usciti dall'emergenza, ma ciò non significa che con il Governo Monti non sia cambiato nulla rispetto al Governo Berlusconi, o che lo spread sia paragonabile ad allora. Vi è una credibilità internazionale dell'Italia che allora non c'era.
L'Italia è stata protagonista dell'avvio del cambiamento delle politiche europee. È solo l'avvio, il traguardo è lontano. Questo avvio non sarebbe stato possibile senza la vittoria di Hollande in Francia che il Partito Democratico e il segretario Bersani hanno sostenuto con convinzione già molti mesi prima delle elezioni francesi. Monti e Hollande, quindi, protagonisti dell'avvio del cambiamento.
Rigore sì, ma anche politiche per lo sviluppo e la crescita. Rigore sì per ciò che ogni Paese deve fare, ma insieme a strumenti comuni europei per fermare la speculazione finanziaria contro l'euro e ricostruire una risorsa fondamentale per l'Europa, ossia la solidarietà per un destino comune. Solo così l'Europa, l'Italia e l'euro possono salvarsi.
L'Italia non è poi più il primo Paese dopo la Grecia nel mirino della speculazione. Il nostro spread è molto migliorato rispetto alla Spagna, quasi 300 punti. Questo vuol dire che, per certi versi, anche i mercati hanno riconosciuto un'azione tesa a mettere al sicuro i conti, a confermare l'obiettivo del pareggio di bilancio con il decreto «salva Italia», che ha visto azioni per la crescita, interventi sulle liberalizzazioni, la riforma del mercato del lavoro, il decreto per lo sviluppo, una serietà di fronte ad emergenze come quelle del terremoto e che vede adesso interventi sulla spesa.
Devo dire che, con tutti questi provvedimenti, si poteva fare di più e meglio, soprattutto ascoltando di più il Partito Democratico, ma la direzione fondamentale è giusta e l'andamento delle aste sui titoli di Stato - che ha un riflesso diretto sulla finanza pubblica, mentre lo spread misura ciò che avviene sul mercato secondario - è lì a dimostrarlo. Le aste sono andate bene in questi mesi, con tassi di interesse decrescenti rispetto a novembre.
Quindi, l'azione del Governo Monti è stata utile per l'Italia e il provvedimento al nostro esame è parte rilevante di questa azione. Un provvedimento che, non lo nascondiamo, ha luci ed ombre. Non nego che il Partito Democratico avrebbe voluto modifiche più forti rispetto a ciò che si è riuscito ad ottenere al Senato. Ugualmente, per ragioni di contesto e di merito, riteniamo si tratti di un provvedimento che deve essere approvato.
Parto dalle ombre, a cominciare dal titolo. Il termine spending review, o, in italiano, revisione della spesa pubblica, dopo questo decreto-legge rischia di non essere più letto dagli italiani come l'aveva proposto il Ministro Padoa-Schioppa, ma semplicemente come tagli. La spending review dovrebbe essere una revisione della spesa con un piano industriale di ogni comparto della pubblica amministrazione a base zero, il che significa valutare ogni euro di spesa, ogni azione, ogni intervento, le motivazioni normative alla base di questi interventi e, successivamente, le proposte normative dovrebbero derivare da una valutazione trasparente sul contesto di ogni pezzo della pubblica amministrazione. Quindi è innanzitutto spendere meglio e, per questa via, spendere meno.
Ciò non è avvenuto e anche per questo ogni proposta di intervento spesso non è stata sufficientemente motivata, quando va a tagliare e sopprimere, e, quindi, ciò ha dato anche più forza alle resistenze. In certi casi non si è utilizzato un lavoro che noi avevamo svolto. Per esempio, nel campo dell'agricoltura, i nostri gruppi di Camera e Senato avevano avanzato proposte in questa direzione già prima di questo provvedimento.
Non dico che c'è la semplice riproposizione dei tagli lineari. In parte è ancora così, soprattutto per regioni ed enti locali, in parte, invece, ci sono anche rilevanti novità, azioni mirate e trasversali a tutta la pubblica amministrazione, come ad Pag. 26esempio per quanto riguarda l'acquisto di beni e servizi e come altre che ha messo in rilievo il relatore, sulle dotazioni organiche, sull'utilizzo degli spazi o azioni mirate per quanto riguarda la Presidenza del Consiglio dei ministri e alcuni Ministeri.
Il sottosegretario Polillo, in Commissione bilancio, ha sostenuto che questo è un primo intervento, che c'era l'urgenza per evitare l'aumento dell'IVA, che non potevamo che fare così e che i prossimi interventi avranno già un lavoro più corposo alle spalle.
Il rischio è che nel frattempo si faccia qualche danno rilevante. Per regioni, province e comuni si è continuato per la vecchia strada: vi sono tagli più consistenti che per la spesa centrale, non si allenta il Patto di stabilità interno, che era un impegno del «salva Italia», e vi sono interventi pesanti sulla sanità. Tagli alla sanità, azzeramento del Fondo sociale, tagli a regioni, comuni e province, insieme all'aumento dei bisogni sociali derivanti dalla crisi, possono portare a qualche cortocircuito. Se anche fosse vero che non tutte le risorse - in effetti è vero - date a regioni ed enti locali si trasformano in welfare, tuttavia con tagli così pesanti l'effetto è che proprio gli enti che investono di più nel welfare e sprecano meno sono quelli messi più in difficoltà.
A tale proposito c'è la seconda parte del titolo che non va del tutto. Questa non è una revisione della spesa pubblica «con invarianza dei servizi ai cittadini», perché alcuni servizi sono a rischio ed alcuni tagli sono al limite della sostenibilità, in particolare per le province, e per di più questi tagli si sommano a quelli delle precedenti manovre del 2010 e 2011, con effetti sul 2011 e sugli anni successivi, e con la mancata attuazione della legge sul federalismo fiscale da parte del Governo Berlusconi.
In particolare, non si è dato attuazione a quanto prevedeva la legge n. 42 del 2009 sui livelli essenziali delle prestazioni, sui livelli essenziali di assistenza e su quanto riguardava i fabbisogni standard. Si è individuato solo un metodo per i costi standard, chiamandoli fabbisogni standard e, se a settembre dovessimo arrivare all'applicazione di questi costi in un contesto di questo genere, c'è il rischio di qualche altra iniquità.
Dobbiamo stare attenti ad evitare di arrivare ad avere meno servizi, perché anche questo pesa sull'occupazione femminile e, se si abbassa l'occupazione femminile, avremo complessivamente meno occupazione, mentre noi dobbiamo fare un'operazione contraria, anche per aumentate l'occupazione e il PIL.
Da ultimo, sempre per quanto riguarda le ombre, vi è il comma 42 dell'articolo 7 sull'aumento delle tasse universitarie. Le decisioni dell'università dovranno collocarsi entro limiti massimi e secondo criteri individuati dal Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. Il decreto-legge indica, tra l'altro, di considerare la specifica condizione degli studenti lavoratori. Invitiamo il Governo a considerare questo aspetto con la massima attenzione: non sono fannulloni, ma giovani sottoposti ad un doppio impegno e non vanno penalizzati.
Un altro aspetto problematico riguarda le province. Giustamente non c'è l'abolizione. Si ridefiniscono le funzioni e si interviene sulla dimensione. Il Senato ha fatto un buon lavoro: non più riduzione e accorpamento, buoni e cattivi, vivi e morti, ma riordino complessivo di tutte le province sulla base di un processo che vede protagonisti dal basso gli enti locali e poi le regioni. Solo se questi non adempiono scatta il potere sostitutivo dello Stato.
È condivisibile. È un processo che va bene. Credo, invece, che i criteri che il Governo ha poi individuato con un proprio atto, non siano del tutto definiti. Sarebbe stato meglio definire degli obiettivi. Prendo ad esempio la mia regione, l'Emilia Romagna. Con questi criteri si potrebbe teoricamente passare, da nove province, ad una città metropolitana e sette province: non sarebbe una grande riforma. Non faremo così, ovvero, in Emilia Romagna, certamente non faremo così, ma non è detto che in qualche regione non capitino cose simili. Sarebbe stato meglio Pag. 27porre obiettivi, ad esempio, di dimezzamento delle province nel loro complesso.
Veniamo alle luci di questo decreto-legge. Sono soprattutto quattro a mio avviso. In primo luogo, si comincia ad affrontare seriamente il tema della spesa.
Le critiche che ho avanzate non intaccano un punto di fondo: non si può aumentare la pressione fiscale in questo Paese. Si può modificarne la sua composizione, ad esempio un'IMU più bassa insieme ad una patrimoniale sui grandi patrimoni, ma non possiamo più permetterci un aumento complessivo. Con l'aumento dell'IVA, invece, saremmo stati di fronte ad un aumento della pressione fiscale. Nemmeno possiamo aumentare le entrate, ad esempio, con i giochi. Ricordo, tra l'altro, al collega Bitonci della Lega Nord, che ne ha parlato, che il proliferare di nuovi giochi è avvenuto soprattutto con il Governi di cui la Lega ha fatto parte in questi anni. Occorreva quindi agire sulla spesa: si è iniziato a farlo, superando almeno in parte i tagli lineari. Anche l'inserimento in questo decreto-legge di misure su partecipazioni societarie dello Stato, sulla valorizzazione e dismissione di immobili pubblici e altre misure contenute nel decreto-legge 27 giugno 2012, n. 87, vanno in questa direzione.
Poi vi sono tre misure che hanno tutto il carattere dell'urgenza: la prima è quella sul rinvio dell'aumento dell'IVA, con l'obiettivo di annullarlo, è scritto esplicitamente. Si è detto da qualche parte che l'aumento dell'IVA lo ha deciso il Governo Monti. No, è stato deciso ed è un'eredità della manovra estiva del 2011, che prevedeva entrate per 4 miliardi nel 2012, 16 miliardi nel 2013 e 20 miliardi nel 2014, con tagli dell'assistenza o riduzione delle agevolazioni e detrazioni fiscali, in particolare per l'IRPEF, o l'aumento dell'IVA: una situazione di incertezza che il Governo Monti ha prima tolto ed ora sposta un aumento di due punti dal 1o ottobre 2012 al 1o luglio 2013 e riduce da 2,5 punti a un punto solo l'aumento dal 1o gennaio 2014. Si prevede però che con la legge di stabilità si debba raggiungere l'obiettivo di eliminare completamente questo aumento, con la possibilità di trovare risorse con la delega fiscale e assistenziale o con altre modalità. Questo perché l'aumento dell'IVA avrebbe certamente un impatto negativo sui consumi. È l'operazione di maggior impatto finanziario del decreto: 3.280 milioni di euro sul 2012, 6.560 milioni di euro sul 2013 e 9.840 milioni di euro sul 2014.
Il secondo aspetto è quello relativo agli esodati: c'è un secondo rimedio agli errori commessi nel decreto-legge «salva Italia» e dal Partito Democratico subito denunciati allora; i primi 65 mila sono stati salvaguardati e con questo decreto-legge se ne aggiungono 55 mila. Ne avremmo voluti già da subito altri 2.000 ma non è stato possibile. Lavoriamo per una legge che risolva complessivamente la questione. Per il Partito Democratico nessuno deve rimanere senza lavoro, ammortizzatori e pensione. Quindi ciò che è stato fatto non è sufficiente, ma ciò che c'è in questo decreto-legge è un passo avanti nella direzione di risolvere il problema.
In terzo luogo, il terremoto in Emilia Romagna, Lombardia e Veneto. Con il decreto-legge originario si finanziavano 2 miliardi dei 2,5 miliardi di euro del Fondo previsto già dal decreto-legge 6 giugno 2012, n. 74, sul terremoto. Ora con l'articolo 3-bis inserito al Senato si fa un'operazione più ampia e completa: si mettono in movimento 6 miliardi di contributi per la ricostruzione di abitazioni e immobili per le attività produttive, con mutui con le banche a carico dello Stato, con rate annuali di 450 milioni, che per i primi due anni vengono attinti dal Fondo complessivo già previsto, mentre dal 2015 ci saranno altre risorse statali. Quindi i soldi ci sono e le modalità sono chiare e potranno permettere di avviare velocemente la ricostruzione. Oltre a ciò si potranno fare assunzioni extra Patto di stabilità interno per 170 unità per tutti i comuni interessati e 50 unità per la struttura commissariale della regione Emilia Romagna.
C'è infine un altro elemento positivo: le ultime leggi finanziarie o leggi di stabilità cosiddette «light» o «solo tabellari» o definite con altri termini di fantasia, venivano Pag. 28presentate dal Governo senza alcuna risorsa per funzioni essenziali, che poi dovevano essere finanziate successivamente in corso di approvazione nell'iter parlamentare o con successivi provvedimenti. Qui c'è una novità: già da agosto, quindi da adesso, nell'approvare questo decreto-legge, si finanziano interventi sul 2013 per il 5 per mille con 400 milioni, il Fondo prestiti di onore e borse di studio con 90 milioni, per le missioni di pace con un miliardo di euro e il Fondo per il finanziamento di interventi urgenti e indifferibili con 658 milioni di euro.
Poi ci sono 9 milioni più altri 6 per i danni causati dalla neve; poi i libri di testo, 103 milioni per il 2013 e altrettanti per il 2014; viene quasi raddoppiato per il 2013 il Fondo per la tutela dell'ambiente (da 50 a 90 milioni), e vi sono nel 2012 500 milioni per l'emergenza Nord Africa e l'accoglienza di minori stranieri non accompagnati, cioè provvedimenti per cui non si rincorrono le esigenze ma si cerca di prevenirle affrontandole già ancora prima della legge di stabilità. Quindi luci ed ombre, ma in un contesto di sforzo del Governo che ha il nostro pieno sostegno per affrontare l'emergenza che questo Governo ha ereditato. Per tutti questi motivi il Partito Democratico, pur non nascondendo le critiche e pur dicendo che avrebbe affrontato in modo diverso alcune questioni, ritiene che questo provvedimento sia meritevole di approvazione (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cambursano. Ne ha facoltà.

RENATO CAMBURSANO. Signor Presidente, fra qualche minuto - come tutti sappiamo - inizierà una riunione importante a Francoforte, quella del board della BCE, e quindi ci attendiamo con ansia che ci siano notizie positive perché sicuramente tanto dipenderà anche da quello che deciderà la Banca centrale europea. Per intanto noi siamo chiamati ancora una volta a fare i nostri compiti (una volta si sarebbe detto: a casa), e proviamo a farlo al meglio anche perché la razionalizzazione della spesa pubblica non è certamente un'operazione semplice.
La maggior parte della spesa pubblica va in interessi, pensioni e stipendi, capitoli sui quali vari Governi si sono già cimentati con interventi, compreso l'attuale naturalmente con il «salva Italia», e quello precedente sulla questione del blocco delle retribuzioni dei dipendenti pubblici. Questo Governo poi, con il decreto-legge n. 52 e la formazione della task force ministeriale, ha voluto superare le resistenze in atto razionalizzando la spesa per acquisti di beni e servizi da parte della pubblica amministrazione, migliorando la quantità e la qualità delle procedure di acquisto centralizzate, di trasparenza negli appalti e di semplificazione amministrativa e di razionalizzazione di talune spese sempre della pubblica amministrazione.
Con questo provvedimento c'è più revisione della spesa di quanto non possa sembrare a prima vista. Alcuni sono spunti interessanti in considerazione anche dei tempi lunghi che un processo completo di ridefinizione delle aree e dei servizi ad intervento pubblico richiede. Sussistono però ancora delle perplessità circa le disposizioni che riguardano soprattutto la spesa degli enti territoriali. Non mi riferisco certo alle province, per le quali ero e sono convinto sostenitore della loro soppressione o quanto meno per una corposa concentrazione e riduzione numerica, mentre invece mi pare di poter dire apertamente (l'ho detto in discussione in Commissione Bilancio) che non altrettanto ottimismo e valutazione positiva esprimiamo per quanto riguarda i comuni, i tagli che vengono effettuati sulle amministrazioni comunali.
La spending review si propone di superare la spesa storica ovvero il finanziamento inerziale di tutti i programmi di spesa delle amministrazioni pubbliche ottenendo un approccio di tipo selettivo che si contrappone invece ai tagli lineari o all'introduzione di tetti di spesa che risultano certamente più semplici e anche di immediata attuazione, che però in parte ci troviamo ancora, anche in questo decreto, Pag. 29anche da come è stato modificato dal Senato della Repubblica, che lo ha certamente migliorato, ma rimangono ancora ampie aree di tagli lineari.
Molte disposizioni non sono il risultato di un vero e proprio processo completo di revisione della spesa. Guardiamo per intanto gli aspetti positivi. Il primo, la riduzione della spesa per la l'acquisto di beni e servizi dell'amministrazione centrale dello Stato: i risparmi sui costi di gestione delle diverse strutture amministrative ma anche operative sono commisurate all'eccesso di spesa, cioè valutate anno-persona di ciascuna amministrazione, rispetto al valore mediano dei costi stessi.
Secondo, la riduzione degli organici. Dato l'obiettivo generale, la riduzione può non essere della stessa proporzione per tutte le amministrazioni. E questo è un passo avanti. In altri termini, è consentito che riduzioni di organico inferiori alle percentuali indicate, in alcune amministrazioni, siano compensate da riduzioni superiori degli organici di altre, sulla base della loro specifica esigenza.
Terzo, soppressione e razionalizzazione delle province. L'obiettivo è quello di individuare una sorta di dimensione ottimale dal punto di vista territoriale e di popolazione. Un obiettivo analogo persegue la norma che introduce l'obbligo per i comuni di modeste dimensioni, cioè quelli più piccoli, di costituire unioni di comuni.
Vi sono, poi, anche altre misure, cosiddette minori, che rientrano a pieno titolo nella spending review, sia pure, appunto, di impatto finanziario non così consistente. La prima è l'introduzione di un tetto massimo al valore dei buoni pasto, a cui si aggiunge anche l'impossibilità di compensare ferie e riposi; finalmente, poi, si pone per davvero un limite e si taglia il 50 per cento delle cosiddette auto blu, cominciando da quelle blu appunto, fino a scendere a quelle di servizio semplice.
Riteniamo altresì positivo il riordino per l'acquisto dei servizi per i pagamenti degli stipendi - i famosi cedolini -, che impone a tutte le amministrazioni di acquistare tali servizi dal Ministero dell'economia e delle finanze o, comunque, ad un prezzo non superiore a quello praticato dal Ministero stesso. E ancora: la riduzione dei costi delle locazioni passive, con la possibilità che lo Stato e gli enti locali compensino, appunto, gli attivi e i passivi. Si tratta, dunque, di misure che consentono di risparmiare, senza incidere sui servizi resi ai cittadini, questi ultimi naturalmente.
Perplessità, invece, vi sono sulla riduzione della spesa degli enti territoriali. Vengono tagliati i trasferimenti alle regioni a statuto ordinario: 700 milioni di euro nel 2012, un miliardo di euro nel 2013; vengono tagliati i fondi per le regioni a statuto speciale: 600 milioni di euro in questo anno, un miliardo e 200 milioni di euro nel 2013 e un miliardo e mezzo nel 2014; viene ridotto anche il fondo sperimentale di riequilibrio a favore dei comuni. E qui punto dolens, così come per le regioni: 500 milioni di euro nel corrente esercizio e due miliardi di euro a partire dal 2013. Altrettanto dicasi per le province: ecco perché valeva la pena intervenire in modo più drastico con un intervento di riforma della Costituzione.
Tutto questo, poi, si riflette sugli obiettivi del Patto di stabilità interno, che viene ulteriormente inasprito. La logica è quella di applicare dall'alto, tagliando i fondi ex ante, una sorta di spending review in relazione ai consumi intermedi degli enti territoriali. I tagli, infatti, non dovrebbero essere lineari all'interno di ciascun comparto. La riduzione dei trasferimenti dovrebbe essere ripartita tra gli enti di ciascun livello di Governo in base alle analisi della spesa effettuate dal commissario straordinario per la razionalizzazione della spesa per l'acquisto di beni e servizi, ma anche dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano.
Per quanto riguarda i comuni, il decreto-legge è più esplicito. La riduzione dei trasferimenti dovrebbe tener conto anche dei dati raccolti nell'ambito della procedura Pag. 30per la determinazione del fabbisogno standard. Qui, però, ci poniamo una domanda: se vi sono, cioè, i tempi per la deliberazione della Conferenza, perché in assenza di detto parere della Conferenza, il Ministero dell'interno può, ad una scadenza definita, intervenire comunque e, quindi, adottare il decreto di riparto della riduzione dei trasferimenti. Come verranno distribuiti, quindi, questi tagli in questo caso? Questa è la domanda importante. La norma parla di riduzione in proporzione alle spese per i consumi intermedi sostenuti nel 2011, rilevato dal SIOPE.
Va bene, purché i tagli non siano effettuati linearmente, cioè nella stessa percentuale per tutti gli enti.
Il comparto degli enti territoriali è quello da cui derivano i maggiori risparmi: 2 miliardi e 300 milioni di euro su 4,4 complessivi, vale a dire il 52 per cento nell'esercizio corrente che si riduce, ma di poco, nel 2013-2014, quando i tagli complessivi, però, saliranno a 10 miliardi e mezzo di euro per il 2013 e a 11 miliardi di euro per il 2014.
Nulla da obiettare se questi tagli si trasformeranno in riduzione di sprechi. Molto da obiettare se i tagli si tradurranno in minori servizi per i cittadini. Gran parte delle risorse recuperate sono destinate, per un aumento pari a 3,2 miliardi di euro per il 2012, a 6,56 miliardi di euro per il 2013 e, addirittura, a circa 10 miliardi di euro per il 2014, al fine di evitare l'aumento dell'aliquota dell'IVA dal 21 per cento al 23 per cento, che, altrimenti, sarebbe scattato dal primo ottobre di quest'anno, anche se rimane in vigore, per il 2013, la previsione di un ulteriore aumento dell'aliquota dello 0,5 per cento.
Le altre risorse concorreranno ad affrontare l'emergenza terremoto in Emilia Romagna, Lombardia e Veneto: 1 miliardo di euro per il 2013 e altrettanto per il 2014, le quali, come ricorderanno tutti i colleghi, vanno ad aggiungersi ai 500 milioni di euro stanziati per l'emergenza.
Allo stesso modo, verranno destinate risorse agli esodati per 190 milioni di euro a copertura per il 2014, così come all'estensione della clausola di salvaguardia in materia pensionistica prevista dal decreto-legge «salva Italia» per 55 mila soggetti, nonché alla copertura del 5 per mille per complessivi 400 milioni di euro per il 2013 e del fabbisogno per l'emergenza Nord Africa, come veniva ricordato, per altri 500 milioni di euro. Poi vi sono destinazioni cosiddette minori, ma comunque significative: fondo interventi urgenti indifferibili, per l'autotrasporto, per l'acquisto di libri di testo, per le strade sicure.
Dal lato dei risparmi di spesa, una quota consistente dei risparmi sono stati posti a carico del Servizio sanitario nazionale per 900 milioni di euro nel 2012, il doppio nel 2013 e 2 miliardi di euro nel 2014, che vanno ad aggiungersi a quelli degli enti territoriali ricordati prima. Queste misure, più che non i tagli al numero delle province, hanno sollevato e continueranno a sollevare forte perplessità e anche opposizione tra gli amministratori locali.
Anche i tagli alle dotazioni di bilancio dei singoli Ministeri sono consistenti - 1 miliardo e mezzo per ciascuno degli anni 2012, 2013 e 2014 - come pure dalla razionalizzazione delle spese per acquisto di beni e servizi della pubblica amministrazione e dal fondo dei contributi pluriennali.
Il decreto-legge interviene massicciamente poi sulle società a partecipazione pubblica, sui loro consigli di amministrazione, sulle loro prestazioni di servizi alla pubblica amministrazione, sulle clausole arbitrali che vengano vietate e sulle prestazioni in house (per brevità di tempo non entro, ovviamente, nelle singole misure. Il provvedimento in esame interviene anche, poi, sull'accorpamento di istituti e società, così come sull'università e sugli enti ricerca.
Signor Presidente, rappresentante del Governo, il ciclo economico va peggiorando e la recessione sarà più dura e più profonda di quanto non fosse previsto e prevedibile a novembre. La maggiore caduta del prodotto, produrrà minori entrate e maggiori spese, per esempio per gli ammortizzatori sociali, visto come sta andando Pag. 31la questione della produttività, della produzione e, quindi, dell'occupazione.
Sorge, dunque, spontanea una domanda: se le cose stanno così, perché non intervenire per una correzione di saldi?
La risposta la troviamo nel fatto che, sia il fiscal compact - il così deprecato fiscal compact, anche in quest'Aula -, sia il Patto di stabilità e crescita, ma anche la modifica all'articolo 81 della Costituzione, che questo Parlamento ha adottato anticipando addirittura anche altri Stati, tutte e tre queste iniziative, quindi - fiscal compact, Patto di stabilità e modifica dell'articolo 81 della Costituzione - obbligano a definire obiettivi in termini strutturali, cioè al netto degli effetti sul bilancio pubblico del ciclo economico. Quindi, ora sono possibili politiche anticicliche. Forse a dicembre scorso non si poteva fare diversamente, ma ora, che si profila il rischio dell'aumento dell'IVA sui consumi, che già languono, non si poteva e non si doveva non intervenire, per evitare questo baratro che l'aumento dell'IVA sui consumi avrebbe potuto produrre. Di qui l'adesione ai due decreti, anzi a uno, perché di fatto, come i colleghi sanno, due erano i decreti distintamente all'esame del Senato che poi, con il maxiemendamento, sono stati accorpati. Tale adesione viene - parlo a titolo personale - da lontano, da quando, discutendo di fiscal compact e prima ancora della già ricordata modifica dell'articolo 81, sostenevo allora che non sarebbero stati preclusi percorsi verso politiche anticicliche e queste, che passano dalla volontà di avviare un processo di riduzione della pressione fiscale, spostando il peso delle manovre, già attenuato sul versante della spesa pubblica, attraverso misure di razionalizzazione e riduzione delle spese superflue o comunque inefficienti, per arrivare ad agire in profondità e intervenire ora, e non a ridosso del 1o ottobre, opprimendo sempre più i consumi, più ci fossimo avvicinati a quella scadenza. Il Governo, quindi, ha agito subito, e lo farà ancora di più a settembre, non solo per scongiurare la scadenza del 1o luglio 2013, ma per intervenire per alleggerire la pressione fiscale sui produttori, sulle imprese e sui lavoratori.
Pochi minuti, gli ultimi, Presidente, li dedico ai due temi che prima erano oggetto del decreto-legge n. 87 del 2012 che, come ricordato, confluiscono nel decreto-legge n. 95 del 2012, recante - il decreto-legge n. 87 - il titolo di «Misure urgenti in materia di efficientamento, valorizzazione e dismissione del patrimonio pubblico, di razionalizzazione dell'amministrazione economico-finanziaria, nonché misure di rafforzamento del patrimonio delle imprese del settore bancario».
Due sono i temi, quindi, di questo decreto-legge confluito nell'articolo 23 del decreto-legge in esame. Il primo riguarda la dismissione di partecipazioni azionarie detenute dallo Stato in FINTECNA, SACE e SIMEST, con diritto di opzione all'acquisto entro 120 giorni riservato alla Cassa depositi e prestiti. Da queste dismissioni si prevedono maggiori entrate per l'Erario di 9-10 miliardi di euro. Si tratta di un'operazione, quindi, positiva, certamente, ma la domanda che ci poniamo - per la verità me la sono posta anche altre volte - è se stiamo parlando di una Cassa depositi e prestiti come una nuova IRI? Non sono aprioristicamente contrario a una nuova IRI, purché sia nuova, in un momento come questo, ma il Parlamento deve vigilare a che non segua le orme della vecchia IRI e, soprattutto, affinché non si vedano più quelle cose disastrose a cui abbiamo assistito come, per esempio, in EFIM.
Per ora, Cassa depositi e prestiti non sta facendo queste operazioni, cioè quei percorsi non positivi, e questo va sicuramente a giovamento degli azionisti, il Ministero dell'economia e delle finanze, ma anche alle fondazioni bancarie. Il secondo tema, toccato dal decreto-legge 87, confluito nel decreto-legge al nostro esame, riguarda il rafforzamento patrimoniale del nostro sistema bancario, che si può anche tradurre in rafforzamento di una banca, che ha rappresentato per troppi anni, e ancora rappresenta, la quasi totalità del patrimonio della Fondazione azionista, che oggi detiene poco meno del 50 per Pag. 32cento, ma che rappresenta oltre il 75 per cento del patrimonio della stessa. Tale Fondazione ha chiuso, come sappiamo, in profondo rosso il proprio bilancio, per sottoscrivere l'aumento di capitale della società conferitaria, cioè la banca.
Essa, per rispettare i parametri patrimoniali previsti da Basilea 3 e dall'EBA, deve fare ricorso a nuovi strumenti di indebitamento, emettendo titoli obbligazionari per 3,9 miliardi di euro - di questi, 1,9 è un rinnovo di quelli in scadenza, e 2 miliardi in nuovi strumenti - che verranno sottoscritti dal Ministero dell'economia e delle finanze. La copertura finanziaria, dice una nota del gruppo PD del Senato, presenta aspetti problematici e li elenca anche, questi aspetti problematici: riduzione lineare delle dotazioni finanziarie, delle emissioni di spesa di ciascun Ministero, in sostanza di spese rimodulabili, poste correttive e compensative degli enti territoriali aventi natura obbligatoria, risorse destinate al fondo ordinario dell'università, alla ricerca, finanziamento del 5 per mille, spese dipendenti da parametri stabiliti dalla legge o derivanti da accordi internazionali, ma anche riduzione delle singole autorizzazioni legislative di spesa, utilizzo mediante versamento in entrata di disponibilità esistenti sulle contabilità speciali, emissioni del titolo di debito.
Questo è il documento che ho trovato e non posso che convenirne. Forse non si poteva fare diversamente per far rinascere il terzo gruppo bancario italiano. Il tutto si potrebbe tradurre in una parola molto rapidamente: prima rinazionalizzazione di una banca italiana. Intanto valuto positivamente ciò che è accaduto di recente, cioè che siano stati nominati ai vertici due grandi banchieri, che certamente devono assumersi una responsabilità non da poco, quella di far uscire questa banca dalle secche in cui si trova con un piano di ristrutturazione conforme alle disposizioni comunitarie in materia di aiuti di Stato.
Questa operazione si doveva e si deve fare. Quindi, nonostante tutte le valutazioni, anche non positive, che ho fatto rispetto alle coperture, ma che non ho fatto soltanto io ma anche il Partito Democratico, dico però che questa operazione s'ha da fare. Perché s'ha da fare? Basta leggere i giornali di ieri, e sicuramente ciò è avvenuto da parte dei colleghi presenti e assenti. Ci sono attenzioni del sistema bancario tedesco, che, come sappiamo, può disporre di risorse finanziarie quasi illimitate e a costo tendente a zero, per allungare le mani sia su imprese produttrici italiane, ma anche su banche italiane che magari si trovano in difficoltà.
Ecco perché credo sia doveroso provvedere a mettere in sicurezza questa banca e a mettere in sicurezza però anche i nostri conti pubblici. Questi decreti-legge, il n. 95, e il n. 87, nel loro insieme, vanno in questa direzione e, quindi, personalmente giudico positivamente quanto si sta facendo.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Nicco. Ne ha facoltà.

Testo sostituito con errata corrige volante ROBERTO ROLANDO NICCO. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, colleghi, lo Stato italiano è diventato nel tempo un moloch, pesante, elefantiaco, con apparati sovradimensionati che si autoalimentano in un circolo vizioso e tutto questo a carico della collettività. Ciò vale a tutti i livelli: il Quirinale, su cui abbiamo letto confronti impietosi con altre istituzioni simili; il Parlamento (quando la faremo la tanto sbandierata riduzione del numero dei parlamentari?); i Ministeri, con le loro mille articolazioni e i loro meandri; le regioni, con riguardo alle quali come non citare le recenti vicende della Sicilia con l'assunzione di nuovi camminatori e la nomina in extremis di due nuovi assessori; fino ai comuni, di qualcuno dei quali ci siamo occupati direttamente in quest'Aula per tapparne i buchi di bilancio.
Una revisione della spesa o spending review che incida profondamente, con una salutare cura dimagrante, è dunque quanto mai necessaria e ognuno, guardando in casa propria, potrebbe portarvi un concreto contributo Ovviamente si devono colpire ed eliminare sprechi ed inefficienze. Pag. 33
Se, invece, i tagli sono indiscriminati, non risolvono nulla, anzi peggiorano la situazione, specie in servizi essenziali per i cittadini, quali la sanità e i trasporti. Le cronache quotidiane ci dicono che vi sono regioni e comuni virtuosi ed altri che sperperano il denaro pubblico e sono sull'orlo della bancarotta. A questo proposito, con questo decreto-legge non solo di revisione della spesa si tratta.
Il Presidente del Consiglio ha più volte ribadito che non occorreva una nuova manovra. A nostro avviso, questo decreto-legge almeno per regioni ed enti locali lo è a tutti gli effetti con le ricadute preoccupanti che hanno ricordato sia l'ANCI che la Conferenza delle regioni. Serviranno almeno questi ulteriori tagli, che si tradurranno inevitabilmente in nuove contrazioni nei servizi per i cittadini? Il dubbio diventa sempre più insistente.
Il quadro generale rimane di grave, anzi di crescente, preoccupazione. La luce in fondo al tunnel, noi proprio non la intravediamo. Sul punto critico da cui deriva gran parte delle difficoltà attuali del Paese - e cioè l'abnorme mole del debito pubblico - non solo non si è invertita la rotta, ma prosegue inesorabile e inarrestabile l'incremento ogni mese con un nuovo massimo storico ormai verso i 2 mila miliardi.
Noi non abbiamo la presunzione di fornire ricette, ma non possiamo non constatare che la cura proposta in questi mesi non ha dato gli esiti che ci saremmo aspettati. Non siamo riusciti, nemmeno il Governo tecnico fin qui è riuscito, a sciogliere il cappio dello spread, ritornato anzi oltre il livello di guardia e talvolta nelle sue oscillazioni non lontano da dove era prima dell'insediamento di questo Governo. È un cappio che la speculazione internazionale continua cinicamente a stringere attorno all'Italia.
Per rallentare la morsa e invertire la tendenza, riteniamo non vi sia altra strada che indirizzare imperativamente la riduzione incisiva e improcrastinabile del debito pubblico sia a quelle risorse che stiamo spremendo dal Paese, sia a quelle che potrebbero derivare da quegli interventi straordinari ed eccezionali di cui si incomincia a vociferare.
In questo contesto, signor Presidente, si sta sviluppando un clima di crescente ostilità e di avversione - peraltro non nuovo - verso le regioni a Statuto speciale. Ricordo la campagna di Libero e soprattutto la risposta del Ministro Patroni Griffi che si è tradotta - sono parole sue - in un taglio bello e deciso già con questo decreto-legge. Nei momenti di crisi grave c'è sempre la caccia alle streghe e agli untori.
In quanto rappresentante in quest'Aula di una di queste regioni - la Valle d'Aosta - non nominato come tutti gli altri, ma eletto in un collegio uninominale (questa è una prima positiva conseguenza della nostra autonomia), ricordo ancora una volta le parole del Capo dello Stato nel corso dello sua visita nella mia regione nell'ottobre scorso: vorrei esprimere - ha affermato il Presidente Napolitano - il mio apprezzamento per la creatività e l'originalità con cui avete costruito il vostro modello di autonomia. Sono assolutamente consapevole della necessità che a livello nazionale si accresca la considerazione per le vostre peculiarità, per le vostre esigenze di sviluppo, per la vostra identità. Sono parole sulle quali invito i nostri critici estemporanei a meditare.
Noi riconosciamo certamente di poter disporre di un'importante autonomia finanziaria, che poi è la base stessa della possibilità di autogovernarsi, una conditio sine qua non, ma vorrei ricordare che con quelle risorse copriamo settori e servizi che altrove sono a carico totale o parziale dello Stato: dalla spesa sanitaria a quella del personale delle infrastrutture della scuola, dal finanziamento degli enti locali ai Vigili del fuoco, al Corpo forestale, dalle spese per l'erogazione delle pensioni e per gli assegni agli invalidi civili e di accompagnamento agli oneri connessi alle funzioni prefettizie, fino a gran parte della viabilità. Essendo poi la Valle d'Aosta una regione interamente montana, dobbiamo aggiungere i maggiori oneri derivanti da questa condizione, essendo di tutta evidenza Pag. 34che costruire un chilometro di strada su un versante alpino comporta costi supplementari.
Così come assicurare un servizio di trasporto, o scolastico o sanitario, comporta costi supplementari in una realtà costituita da piccoli villaggi di montagna.
Signor Presidente, lei conosce bene questa nostra realtà valdostana. La Valle d'Aosta, come altre regioni a Statuto speciale del Nord, ha responsabilmente sottoscritto con lo Stato un accordo, in attuazione dell'articolo 27 della legge n. 42 del 2009 sul cosiddetto federalismo fiscale, per concorrere al conseguimento degli obiettivi di perequazione e di solidarietà nonché al Patto di stabilità e agli obblighi posti dall'ordinamento comunitario. Si tratta di un accordo molto oneroso, che comporta una riduzione delle risorse disponibili, per quella regione, di 118 milioni di euro per il 2012 e, a regime a decorrere dal 2017, di 211 milioni di euro. A ciò si sono aggiunti i tagli disposti dalle manovre del 2010 e del 2011, per un totale di 179 milioni di euro per il 2012 e di 201 a decorrere dal 2013. Per il 2012 si sommano quasi 300 milioni, su un bilancio regionale che si aggira sui 1.500 milioni: dunque, il 20 per cento! Per le sole manovre del 2010 e del 2011 Il Sole 24 Ore ha calcolato un onere pro capite per ogni valdostano di 1.389 euro, contro una media nazionale di 252 euro.
Ecco, su tutto ciò vorremmo richiamare l'attenzione in particolare del commissario straordinario Bondi, in vista di quel redde rationem che è stato annunciato per settembre. Ci sembra francamente di aver dato e di dare il nostro contributo o, per usare un'espressione oggi di moda, di aver fatto e di stare facendo i compiti a casa. Non ci siamo sottratti all'impegno di partecipare attivamente al risanamento della finanza pubblica e non vogliamo oggi sottrarci alla revisione e razionalizzazione della spesa pubblica. Ciò che contestiamo fortemente a questo Governo, come a quello precedente, è la palese violazione di quel percorso di codecisione che è espressamente sancito dalla citata legge n. 42 del 2009 e dalle norme statutarie in essere; ovvero, contestiamo la volontà, pervicace e centralista, di imporre unilateralmente i propri diktat. Questo non possiamo accettarlo! È una questione di dignità istituzionale.
Dunque, la codecisione non pare proprio essere nelle corde di questo Governo, su questo come su altri terreni. In questo caso, poi, non si tratta solo di sensibilità istituzionale. Alcune sentenze della Corte costituzionale stanno tracciando un indirizzo importante nei rapporti tra Stato ed enti ad autonomia speciale. In particolare, la sentenza n. 178 del 2012 rileva che «la previsione di una procedura pattizia al fine di applicare agli enti ad autonomia speciale una normativa in materia di sistemi contabili e di bilancio implica necessariamente una determinazione paritetica del contenuto di detta normativa» e che «deve essere esclusa la diretta applicazione agli enti ad autonomia speciale delle disposizioni dei decreti delegati, dovendosi attuare il coordinamento della finanza pubblica nei confronti di tali enti solo mediante la normativa di attuazione statutaria». Aggiunge la sentenza n. 179 del 2012 che «allorquando, invece, l'intervento unilaterale dello Stato viene prefigurato come mera conseguenza automatica del mancato raggiungimento dell'intesa, è violato il principio di leale collaborazione con conseguente sacrificio delle sfere di competenza regionale».
Per venire al testo in discussione, non ci pare proprio un esempio di leale collaborazione il comma 3 dell'articolo 16 in cui, nel disporre le nuove riduzioni di spesa per le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano, si fa, sì, un cenno alle procedure previste dall'articolo 27 della legge n. 42 del 2009, forse proprio per tentare di prevenire un nuovo ricorso alla Corte costituzionale, ma si dispone poi furbescamente un accantonamento coattivo delle stesse somme a valere sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali, che significa inficiare e vanificare un virtuoso confronto di merito.
Per tutte queste ragioni la componente politica delle Minoranze linguistiche voterà contro questo decreto-legge.
ROBERTO ROLANDO NICCO. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, colleghi, lo Stato italiano è diventato nel tempo un moloch, pesante, elefantiaco, con apparati sovradimensionati che si autoalimentano in un circolo vizioso e tutto questo a carico della collettività. Ciò vale a tutti i livelli: il Quirinale, su cui abbiamo letto confronti impietosi con altre istituzioni simili; il Parlamento (quando la faremo la tanto sbandierata riduzione del numero dei parlamentari?); i Ministeri, con le loro mille articolazioni e i loro meandri; le regioni, con riguardo alle quali come non citare le recenti vicende della Sicilia con l'assunzione di nuovi camminatori e la nomina in extremis di due nuovi assessori; fino ai comuni, di qualcuno dei quali ci siamo occupati direttamente in quest'Aula per tapparne i buchi di bilancio.
Una revisione della spesa o spending review che incida profondamente, con una salutare cura dimagrante, è dunque quanto mai necessaria e ognuno, guardando in casa propria, potrebbe portarvi un concreto contributo Ovviamente si devono colpire ed eliminare sprechi ed inefficienze. Pag. 33
Se, invece, i tagli sono indiscriminati, non risolvono nulla, anzi peggiorano la situazione, specie in servizi essenziali per i cittadini, quali la sanità e i trasporti. Le cronache quotidiane ci dicono che vi sono regioni e comuni virtuosi ed altri che sperperano il denaro pubblico e sono sull'orlo della bancarotta. A questo proposito, con questo decreto-legge non solo di revisione della spesa si tratta.
Il Presidente del Consiglio ha più volte ribadito che non occorreva una nuova manovra. A nostro avviso, questo decreto-legge almeno per regioni ed enti locali lo è a tutti gli effetti con le ricadute preoccupanti che hanno ricordato sia l'ANCI che la Conferenza delle regioni. Serviranno almeno questi ulteriori tagli, che si tradurranno inevitabilmente in nuove contrazioni nei servizi per i cittadini? Il dubbio diventa sempre più insistente.
Il quadro generale rimane di grave, anzi di crescente, preoccupazione. La luce in fondo al tunnel, noi proprio non la intravediamo. Sul punto critico da cui deriva gran parte delle difficoltà attuali del Paese - e cioè l'abnorme mole del debito pubblico - non solo non si è invertita la rotta, ma prosegue inesorabile e inarrestabile l'incremento ogni mese con un nuovo massimo storico ormai verso i 2 mila miliardi.
Noi non abbiamo la presunzione di fornire ricette, ma non possiamo non constatare che la cura proposta in questi mesi non ha dato gli esiti che ci saremmo aspettati. Non siamo riusciti, nemmeno il Governo tecnico fin qui è riuscito, a sciogliere il cappio dello spread, ritornato anzi oltre il livello di guardia e talvolta nelle sue oscillazioni non lontano da dove era prima dell'insediamento di questo Governo. È un cappio che la speculazione internazionale continua cinicamente a stringere attorno all'Italia.
Per rallentare la morsa e invertire la tendenza, riteniamo non vi sia altra strada che indirizzare imperativamente alla riduzione incisiva e improcrastinabile del debito pubblico sia quelle risorse che stiamo spremendo dal Paese, sia quelle che potrebbero derivare da quegli interventi straordinari ed eccezionali di cui si incomincia a vociferare.
In questo contesto, signor Presidente, si sta sviluppando un clima di crescente ostilità e di avversione - peraltro non nuovo - verso le regioni a Statuto speciale. Ricordo la campagna di Libero e soprattutto la risposta del Ministro Patroni Griffi che si è tradotta - sono parole sue - in un taglio bello e deciso già con questo decreto-legge. Nei momenti di crisi grave c'è sempre la caccia alle streghe e agli untori.
In quanto rappresentante in quest'Aula di una di queste regioni - la Valle d'Aosta - non nominato come tutti gli altri, ma eletto in un collegio uninominale (questa è una prima positiva conseguenza della nostra autonomia), ricordo ancora una volta le parole del Capo dello Stato nel corso dello sua visita nella mia regione nell'ottobre scorso: «Vorrei esprimere - ha affermato il Presidente Napolitano - il mio apprezzamento per la creatività e l'originalità con cui avete costruito il vostro modello di autonomia. Sono assolutamente consapevole della necessità che a livello nazionale si accresca la considerazione per le vostre peculiarità, per le vostre esigenze di sviluppo, per la vostra identità». Sono parole sulle quali invito i nostri critici estemporanei a meditare.
Noi riconosciamo certamente di poter disporre di un'importante autonomia finanziaria, che poi è la base stessa della possibilità di autogovernarsi, una conditio sine qua non, ma vorrei ricordare che con quelle risorse copriamo settori e servizi che altrove sono a carico totale o parziale dello Stato: dalla spesa sanitaria a quella del personale e delle infrastrutture della scuola, dal finanziamento degli enti locali ai Vigili del fuoco, al Corpo forestale, dalle spese per l'erogazione delle pensioni e per gli assegni agli invalidi civili e di accompagnamento agli oneri connessi alle funzioni prefettizie, fino a gran parte della viabilità. Essendo poi la Valle d'Aosta una regione interamente montana, dobbiamo aggiungere i maggiori oneri derivanti da questa condizione, essendo di tutta evidenza Pag. 34che costruire un chilometro di strada su un versante alpino comporta costi supplementari.
Così come assicurare un servizio di trasporto, o scolastico o sanitario, comporta costi supplementari in una realtà costituita da piccoli villaggi di montagna.
Signor Presidente, lei conosce bene questa nostra realtà valdostana. La Valle d'Aosta, come altre regioni a Statuto speciale del Nord, ha responsabilmente sottoscritto con lo Stato un accordo, in attuazione dell'articolo 27 della legge n. 42 del 2009 sul cosiddetto federalismo fiscale, per concorrere al conseguimento degli obiettivi di perequazione e di solidarietà nonché al Patto di stabilità e agli obblighi posti dall'ordinamento comunitario. Si tratta di un accordo molto oneroso, che comporta una riduzione delle risorse disponibili, per quella regione, di 118 milioni di euro per il 2012 e, a regime a decorrere dal 2017, di 211 milioni di euro. A ciò si sono aggiunti i tagli disposti dalle manovre del 2010 e del 2011, per un totale di 179 milioni di euro per il 2012 e di 201 a decorrere dal 2013. Per il 2012 si sommano quasi 300 milioni, su un bilancio regionale che si aggira sui 1.500 milioni: dunque, il 20 per cento! Per le sole manovre del 2010 e del 2011 Il Sole 24 Ore ha calcolato un onere pro capite per ogni valdostano di 1.389 euro, contro una media nazionale di 252 euro.
Ecco, su tutto ciò vorremmo richiamare l'attenzione in particolare del commissario straordinario Bondi, in vista di quel redde rationem che è stato annunciato per settembre. Ci sembra francamente di aver dato e di dare il nostro contributo o, per usare un'espressione oggi di moda, di aver fatto e di stare facendo i compiti a casa. Non ci siamo sottratti all'impegno di partecipare attivamente al risanamento della finanza pubblica e non vogliamo oggi sottrarci alla revisione e razionalizzazione della spesa pubblica. Ciò che contestiamo fortemente a questo Governo, come a quello precedente, è la palese violazione di quel percorso di codecisione che è espressamente sancito dalla citata legge n. 42 del 2009 e dalle norme statutarie in essere; ovvero, contestiamo la volontà, pervicace e centralista, di imporre unilateralmente i propri diktat. Questo non possiamo accettarlo! È una questione di dignità istituzionale.
Dunque, la codecisione non pare proprio essere nelle corde di questo Governo, su questo come su altri terreni. In questo caso, poi, non si tratta solo di sensibilità istituzionale. Alcune sentenze della Corte costituzionale stanno tracciando un indirizzo importante nei rapporti tra Stato ed enti ad autonomia speciale. In particolare, la sentenza n. 178 del 2012 rileva che «la previsione di una procedura pattizia al fine di applicare agli enti ad autonomia speciale una normativa in materia di sistemi contabili e di bilancio implica necessariamente una determinazione paritetica del contenuto di detta normativa» e che «deve essere esclusa la diretta applicazione agli enti ad autonomia speciale delle disposizioni dei decreti delegati, dovendosi attuare il coordinamento della finanza pubblica nei confronti di tali enti solo mediante la normativa di attuazione statutaria». Aggiunge la sentenza n. 179 del 2012 che «allorquando, invece, l'intervento unilaterale dello Stato viene prefigurato come mera conseguenza automatica del mancato raggiungimento dell'intesa, è violato il principio di leale collaborazione con conseguente sacrificio delle sfere di competenza regionale».
Per venire al testo in discussione, non ci pare proprio un esempio di leale collaborazione il comma 3 dell'articolo 16 in cui, nel disporre le nuove riduzioni di spesa per le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano, si fa, sì, un cenno alle procedure previste dall'articolo 27 della legge n. 42 del 2009, forse proprio per tentare di prevenire un nuovo ricorso alla Corte costituzionale, ma si dispone poi furbescamente un accantonamento coattivo delle stesse somme a valere sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali, che significa inficiare e vanificare un virtuoso confronto di merito.
Per tutte queste ragioni la componente politica delle Minoranze linguistiche voterà contro questo decreto-legge.

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PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Mancuso. Ne ha facoltà.

GIANNI MANCUSO. Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Mancuso, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritto a parlare l'onorevole Iannaccone. Ne ha facoltà.

ARTURO IANNACCONE. Signor Presidente, ancora una volta, il Parlamento è chiamato ad assumere un provvedimento in virtù di quanto reclamato dall'Europa. Non decidiamo e non operiamo scelte in virtù dell'interesse nazionale, ma inseguendo questo fantasma che, ormai, si aggira nel vecchio continente, che è la sovrastruttura europea, che ha determinato ed imposto delle scelte a Paesi, come la Grecia, come la Spagna e l'Italia, che hanno determinato degli elevati costi sociali, senza raggiungere alcun risultato perché noi stiamo assumendo provvedimenti che - come hanno ricordato i colleghi che mi hanno preceduto - penalizzano fortemente i cittadini e tagliano servizi, però non abbiamo ottenuto i risultati che ci aspettavamo da questa opera miracolosa, da questi demiurghi e taumaturghi - come li vogliamo definire - che sono stati sottratti alle cattedre universitarie ed ai centri di cultura per governare il nostro Paese mentre, in realtà, tutti i parametri dell'Italia stanno peggiorando. Abbiamo perso 800 mila posti di lavoro in un anno, lo spread rimane attestato sui 500 punti e, quindi, questo parametro non è molto distante da quello del precedente Governo, che però non aveva assunto quei provvedimenti dolorosi e ingiusti che, invece, sono stati assunti dall'attuale Governo, con una forte penalizzazione del sud, dell'economia nazionale e con una perdita di competitività del nostro Paese. Tutto a vantaggio evidentemente dei nostri concorrenti, in modo particolare della Germania, che aumenta il suo export, il tasso non di disoccupazione - come avviene in Italia - ma di occupazione, gli stipendi dei lavoratori, degli operai e dei dipendenti pubblici, le pensioni e non fa i tagli che, invece, questo Governo ha fatto, a partire dai diritti dei lavoratori, con la cosiddetta riforma Fornero, che consente di licenziare e, certamente, non consentirà nuove assunzioni.
Registriamo questo fallimento totale di un Governo, che è stato imposto all'Italia da manovre portate avanti in maniera dissennata all'interno di questo Parlamento. Bisogna distinguere tra opposizione e destabilizzazione. In questo Parlamento è stata portata avanti molto spesso dai gruppi di occupazione una forte campagna di destabilizzazione. È stata chiaramente utilizzata in maniera cinica, in modo particolare dal Partito Democratico, Di Pietro e l'Italia dei Valori. È stato spinto in avanti Di Pietro, che ha posto in essere tutto quello che poteva fare. Oggi l'Italia dei Valori e Di Pietro vengono scaricati dal Partito Democratico perché questo partito è ritenuto eccessivamente aggressivo ed estremista.
Il Governo precedente stava portando avanti un'azione di risanamento dei conti pubblici senza mettere in discussione la crescita nel nostro Paese; il Governo Berlusconi aveva gettato le basi per risanare l'Italia senza però metterne in discussione la sua capacità di competere nel contesto dell'economia europea e dell'economia globale. Questo Governo ha messo in ginocchio il nostro Paese e in modo particolare ha messo in ginocchio la parte che più di altre aveva bisogno di provvedimenti a sostegno e a favore della crescita: le regioni meridionali, che registrano un tasso di disoccupazione giovanile ben oltre il 50 per cento e che evidentemente nulla si possono attendere da provvedimenti come questo sulla revisione e sul contenimento della spesa, che oggettivamente è un provvedimento che un onesto ragioniere avrebbe potuto assumere, che impone tagli in alcuni servizi essenziali come quello della sanità. Pag. 36
Non si può continuare a colpire il settore della sanità con la riduzione della spesa farmaceutica, della spesa ospedaliera e delle spese per la specialistica e immaginare di mantenere un livello adeguato di assistenza, di cura e di prevenzione per il cittadino ma soprattutto sono stati fatti tagli ai comuni e alle province che saranno costretti evidentemente a ridurre i servizi ai cittadini, in modo particolare quei servizi sociali per le fasce più deboli che sono fondamentali in uno Stato che voglia garantire equilibrio e giustizia al proprio interno.
Voglio segnalare tra l'altro alcuni paradossi che in un provvedimento come questo fanno quanto meno gridare alla sprovvedutezza di chi ha deciso di assumere misure così sbagliate e così errate e che una persona dotata di buonsenso non avrebbe assunto, innanzitutto la punizione per gli studenti universitari fuori corso. Senza valutare le ragioni per le quali uno studente è fuori corso, si prevede una punizione con il raddoppio delle tasse di iscrizione; mi sembra una punizione ed una discriminazione non accettabili e non tollerabili per un Paese che deve guardare sempre ad un principio di uguaglianza tra i propri cittadini.
Per non parlare poi del taglio e del riordino delle province: si tratta di un Governo che non è previsto dal nostro ordinamento costituzionale perché un Governo, per svolgere legittimamente la sua funzione, deve avere il consenso popolare e a questo Governo manca la legittimazione del consenso popolare, che non avrà, perché se questo Governo, come io ho letto, si dovesse presentare alle elezioni con una super lista allestita dal Presidente del Consiglio in carica e se come io mi auguro dovessero essere inserite le preferenze, vorrò vedere quanti dei componenti dell'attuale Governo con le preferenze saranno eletti in Parlamento. Vedremo.
Sulle province andava fatta una valutazione di riduzione dei costi nell'ambito delle stesse ed una valutazione sulla storia. Un ente provincia non è solo un ente burocratico, ma ha una storia, rappresenta una cultura, rappresenta l'identità di un territorio e di una comunità. Quindi, quando si abolisce una provincia non si abolisce, come dire, «il palazzo», ma si abolisce molto di più: si fa correre il rischio ad una comunità di perdere la propria identità.
Poi, c'è un'aggravante, che è stata introdotta al Senato: se si uniscono due province, una che continua a sopravvivere, perché ha la dimensione territoriale e il numero di abitanti previsti, ed una che invece scompare, perché mancano questi due parametri, il capoluogo di provincia può essere quello della provincia soppressa e non quello della provincia che continua ad esistere. È un altro paradosso, che determinerà degli scompensi sui territori. È per questo che noi, con un nostro emendamento, proponiamo al Governo che ci sia l'autodeterminazione dei territori e delle comunità: se si abolisce una provincia, sia data facoltà ai cittadini di quella provincia di decidere sul loro futuro. Quindi, il nostro emendamento prevede che una provincia possa decidere attraverso la consultazione dei propri cittadini di confluire anche in una provincia di una regione diversa, purché confinante, perché riteniamo che non si possa mettere assolutamente in discussione il principio dell'autodeterminazione dei cittadini e delle comunità.
So che praticamente - lo ha ricordato anche qualche collega che è intervenuto prima di me - dire che il nostro è un bicameralismo perfetto ormai è un eufemismo. Non so nemmeno se possiamo definirci un sistema parlamentare, visto che il Governo decide sulla base di quello che viene stabilito in Europa e poi, con la fiducia, di fatto scavalca l'Aula parlamentare. Possiamo definirsi un bicameralismo zoppo o un monocameralismo alternato. Dipende dal caso, se un provvedimento viene assegnato prima alla Camera o al Senato, si pone la fiducia, si blinda quel provvedimento e, quando arriva nell'altro ramo del Parlamento, quel provvedimento deve essere approvato così com'è, con il ricorso alla fiducia. Anche in questo caso praticamente approveremo - noi no, perché voteremo contro - questo provvedimento Pag. 37così come è stato votato al Senato, e diventa un puro esercizio retorico discutere di questo decreto-legge, presentare emendamenti, che poi evidentemente saranno bocciati o fatti decadere dal ricorso al voto di fiducia, e rimane l'amarezza per questo doppio strappo che viene fatto rispetto al nostro regime costituzionale e parlamentare.
Noi voteremo contro questo provvedimento, perché è un altro provvedimento inutile, iniquo e dannoso, è un provvedimento che produrrà ulteriori danni, non ci consentirà di avere un regime di maggiore favore per il tasso di interesse del nostro debito pubblico.
Dobbiamo, purtroppo, avere ancora per alcuni mesi questo Governo. Noi siamo per il voto a ottobre, a novembre, siamo per una legge elettorale che consenta ai cittadini di scegliersi direttamente il proprio rappresentante, quindi siamo per le preferenze. Ci auguriamo che la legge elettorale consentirà, soprattutto, ai cittadini di tornare ad essere arbitri del nostro sistema politico, ma non perché la legge elettorale, come ha detto Monti, serva per raffreddare lo spread (Monti ne inventa tante). Per raffreddare lo spread serve un'Europa che assuma consapevolezza, innanzitutto, dei propri doveri nei confronti dei popoli che hanno compiuto una scelta così coraggiosa e ardita di mettersi insieme, a differenza del passato, per collaborare per un futuro pacifico di benessere e di giustizia dei diversi popoli. Invece, gli egoismi nazionali, ma in modo particolare l'egoismo tedesco, stanno mettendo fortemente in discussione il futuro dell'Europa e dei popoli dei singoli Stati. Ci vuole, quindi, un Governo politico, che abbia, però, dentro di sé la coerenza di un disegno, e quello che noi vediamo profilarsi all'orizzonte mi sembra che ci faccia correre il rischio di un'ulteriore stagione di confusione politica.
Per questo, poi, i tecnici prendono il sopravvento senza avere il voto, perché i politici si vogliono mettere insieme e vogliono fare accordi che vanno al di là dei propri presupposti. Pensiamo all'accordo che si profila tra la nuova versione del vecchio Partito comunista e la nuova versione di quella che una volta che era un partito serio, la Democrazia cristiana, un accordo che, evidentemente, non ha alla base una seria piattaforma programmatica. Sarà un accordo di potere, evidentemente, almeno questo si dice sui marciapiedi della politica, che, in genere, direbbe Di Pietro, «ci azzeccano» rispetto alle previsioni; un accordo spartitorio tra la sinistra e il minuscolo «centrino» rappresentato da Casini, senza avere alcuna piattaforma programmatica comune. Probabilmente, siccome questo accordo segnerà il fallimento, ancora una volta, della politica, avremo altri tecnici al nostro orizzonte, che si dovranno far carico di quella responsabilità di cui la politica non riesce a farsi carico.
Noi avremmo voluto - concludo, signor Presidente - esercitare fino in fondo la nostra funzione parlamentare, presentando emendamenti, correggendo il testo, mitigando i tagli troppo netti ai comuni, alle province, alla sanità. Non ci piace affatto questa riforma, questa rivisitazione e riorganizzazione delle province, perché si sconvolge il nostro tessuto di comunità, però non ci è consentito intervenire. Allora, potremo solo votare contro.
Lo faremo con grande fermezza, con grande determinazione, auspicando che possa ritornare presto il tempo di una politica seria e coerente, che restituisca ai cittadini la possibilità di scegliersi il proprio futuro attraverso la scelta diretta dei propri rappresentanti.

PRESIDENTE. Colleghi, per l'organizzazione dei nostri lavori proporrei che, dopo l'intervento dell'onorevole Simonetti, sospendessimo i lavori per 10, 15 minuti, per poi riprendere.
È iscritto a parlare l'onorevole Simonetti. Ne ha facoltà.

ROBERTO SIMONETTI. Signor Presidente, il tema della spending review di oggi va a certificare quanto questo Governo ha cambiato, attraverso questa nuova maggioranza, le tematiche sul tappeto della politica nazionale. Da temi sempre federalisti, Pag. 38di iniziativa della Lega Nord, si è arrivati ad una fase centralista di questo Parlamento, delle azioni politiche che si traducono poi in atti anche amministrativi del Governo, attraverso provvedimenti che ledono sempre di più le autonomie degli enti locali, le autonomie degli enti regionali, a favore di un centralismo sempre più corposo e sempre più pregnante.
Il provvedimento sulle province è una di queste concretizzazioni, da un punto di vista ideologico, politico ed economico. Il taglio delle province è la cancellazione delle identità territoriali di un popolo, di un'identificazione territoriale che però avviene, questo accorpamento, questo ridisegno, questa riorganizzazione, in maniera subdola, perché è troppo comodo, da parte del Governo, andare in televisione a sorridere per compiacere il populismo strisciante dell'antipolitica dicendo: «Noi abbiamo cancellato, abolito, le province» senza però, poi, nell'attualità, nella concretezza, farlo, senza però nella concretezza di dover veramente decidere di fare delle scelte mirate, perché queste vengono poi calate sulla pelle degli amministratori provinciali. Perché l'unica cosa certa che questo Governo fa è quella di togliere fondi agli enti locali, fondi e risorse agli enti-provincia, tanto da arrivare, sia attraverso l'applicazione del «salva Italia» sia con l'introduzione di nuovi tagli, allo svuotamento, attraverso la spending review, del Fondo perequativo, tanto che l'anno prossimo è previsto il taglio di un miliardo di euro, 1.000 milioni, che significa uno svuotamento totale dei capitoli del Fondo perequativo che, peraltro, sono composti - erano composti, a questo punto - da 800 milioni di euro derivanti dall'addizionale dell'energia elettrica, che era un tributo proprio delle province. Quindi, vi è, di fatto, un'espropriazione proletaria di risorse proprie degli enti locali che vengono ad essere cancellati così, per decreto-legge, senza un dibattito, con l'Aula vuota, con un voto di fiducia, da questo Governo iper-centralista.
Ma la documentazione di questa nuova fase antifederalista è documentata dalla introduzione dell'IMU prima casa, dell'IMU seconda casa portata al 50 per cento a favore dello Stato, dalla cancellazione della compartecipazione IVA a favore degli enti locali. Il federalismo demaniale viene ad essere completamente distrutto. Doveva essere una partita di favore degli enti locali, che potevano, attraverso la valorizzazione dei beni demaniali e statali - diventati, quindi, di proprietà senza costo per gli enti locali - avere una fonte di reddito e, soprattutto, una fonte di valorizzazione dei beni propri che, gestiti dallo Stato, sono squisitamente un costo e non certo un profitto. Questi, invece, vengono ad essere adesso messi all'incanto per l'abbattimento del debito pubblico, ma non solo quelli statali, anche quelli degli enti locali, senza che questi lo sappiano. Quindi, devono poi cedere a favore dell'appianamento del debito che, ovviamente, non hanno creato gli enti locali, ma ha creato questa struttura, faraonica e burocratica, del centralismo nazionale.
Così anche i costi e fabbisogni standard, che sarebbero la vera spending review di cui ha bisogno l'Italia. Cambiare il trasferimento delle risorse della spesa da una concezione di costo storico di spesa storica a quello di costo e fabbisogno standard.
Su questo capitolo ci siamo completamente arenati ed abbiamo seguito quello dei trasferimenti a piè di lista a quelle realtà che certamente non sono virtuose. Di fatto, nel provvedimento viene ad essere prevista una devoluzione di 800 milioni per i comuni - nella realtà sono 500 milioni, perché 300 di questi 800 provengono da capitoli che già erano destinati, attraverso altre norme legislative, agli enti locali stessi - per l'abbattimento del debito.
È chiaro che bisogna anche poi vedere dove vengono presi questi ulteriori 500 milioni. Vengono presi dal capitolo 1778 dell'Agenzia delle entrate, che è il capitolo che riguarda il rimborso alle imprese. I fondi, quindi, sono praticamente un maquillage di facciata, che il Governo vuole fare per dirsi vicino agli enti locali, ma nella realtà sono solo partite di giro. Infatti, se questi nuovi 800 milioni devono Pag. 39essere utilizzati nella riduzione del debito per la riduzione dei residui passivi finalizzati al pagamento delle imprese che attendono appunto i soldi dagli enti locali - dopo avere ovviamente lavorato per gli enti locali e su incarico degli enti locali stessi - ecco che questi soldi vengono presi dagli stessi capitoli, che sarebbero stati comunque destinati ai rimborsi delle stesse imprese. Praticamente le imprese prenderebbero gli stessi soldi, che sono già a loro destinati. Ecco perché dico che siamo di fronte ad una spending review di facciata.
Dico anche che si ritorna a premiare gli enti non virtuosi, perché di questi 800 milioni una semplice tabella, allegata al provvedimento, ne stabilisce la ripartizione: 171 milioni vanno alla Sicilia. Della Sicilia, in Commissione bilancio, abbiamo udito, per così dire, le virtù, in sede di audizione del presidente della sezione regionale della Corte dei conti, che ci ha illustrato lo stato di insolvenza e lo stato di difficoltà strutturale del bilancio della regione Sicilia, soprattutto causato dall'innumerevole presenza di spese correnti, derivanti da un eccessivo utilizzo dell'assistenzialismo penoso e dell'assunzione, per così dire, à la carte, nel senso che vi sono tantissimi dipendenti che, in percentuale, rispetto al numero di abitanti vanno a raggiungere il massimo della classifica delle regioni italiane.
Come dicevo, 171 milioni vanno alla Sicilia, contro gli 83 milioni alla Lombardia, che ha il doppio degli abitanti, e i 47 milioni al Piemonte. Non abbiamo neanche capito con quali parametri il Governo abbia definito questa griglia per la destinazione di tali fondi e per eseguire questo riparto. Si tratta quindi di enti locali che vengono uniti attraverso tagli sostanziosi.
Vengono, invece, salvaguardati tutte le società partecipate: poteva essere veramente un grandissimo risparmio, in termini di consigli di amministrazione, di strutture, di sprechi e di lungaggini amministrative. Purtroppo, quanto previsto dal Governo, che aveva avuto un barlume di coraggio nell'emanare il decreto-legge, questi 3.300 posti di partecipate sono stati esclusi dall'obbligatorietà di scioglimento. Molto probabilmente ciò è avvenuto, perché non si è voluto incidere drasticamente in questi posti di sottogoverno, mantenendo quindi lo status quo e dei posti di potere - logiche di conservazione appunto della realtà politica territoriale - probabilmente perché queste società partecipate hanno talmente tanti debiti che, se venissero consolidati direttamente nei capitoli di bilancio degli enti locali, questi andrebbero probabilmente in dissesto, una logica forse di salvaguardia, però non risolutiva delle problematiche legate all'esistenza stessa di queste partecipate.
Vi è un altro escamotage, un altro maquillage, che il Governo utilizza per far fronte a nuova liquidità, che è quello della vendita delle proprie partecipazioni e delle proprie quote in alcune società pubbliche. Faccio per esempio riferimento alla Fintecna Spa. Il problema, però, è che si vendono alla Cassa depositi e prestiti, non le vende a terzi, a privati o a realtà che possano offrire liquidità vera, fresca, nuova ai capitoli di bilancio: per la Cassa depositi e prestiti, di fatto, sono anch'essi soldi praticamente pubblici.
Si è aiutato il Monte dei Paschi di Siena. Non voglio aprire il capitolo legato intrinsecamente alla situazione di questa banca che ha sempre avuto una governance derivante da una situazione politica, perché il core business della sua governance deriva per statuto dalla giunta, dal sindaco di Siena, dalla provincia di Siena che, proprio attraverso le nomine alla fondazione del Monte dei Paschi di Siena, in quanto deteneva almeno il 51 per cento della banca, ne determina la governance. Quindi è una governance di fatto politica, forse il Monte dei Paschi è la banca più politica d'Italia che si è ridotta nello stato che oggi tutti noi conosciamo ed ha chiesto ovviamente i Tremonti bond. Io non sono contro i Tremonti bond, era il Partito Democratico che era contro i Tremonti bond e adesso li vota con estrema facilità e con estrema contentezza, facendo debito, tra l'altro. Si continua quindi a salvare le banche e probabilmente ciò è anche giusto, perché ci sono dei correntisti, però se Pag. 40si aiuta la banca attraverso il debito, perché non aiutare, attraverso il debito, le imprese, le famiglie e tutti gli imprenditori che hanno necessità di liquidità? Aiutare le banche a debito sì, aiutare le famiglie e gli imprenditori, no. Ecco, questo è il grande limite di questo Governo tecnico, troppo vicino ai poteri forti e troppo forte con i deboli.
Quello degli esodati è un altro capitolo di quelli che lasciano l'amaro in bocca, anche se politicamente può essere un vantaggio per le forze di opposizione ma certamente non si può lucrare politicamente sulle difficoltà altrui. È chiaro che c'era la possibilità di implementare di altre 2 mila unità il numero delle persone che potevano essere inserite nei piani degli esodati. Bastava semplicemente non fare ulteriori spese che noi riteniamo assistenzialistiche e superflue. Duemila esodati hanno un valore economico di 38 milioni di euro circa. Se ricordiamo che in questo provvedimento vengono riassegnati ulteriori 30 milioni di euro a Roma Capitale, che è semplicemente un pozzo senza fondo, vergognoso, del capitolo di questo Stato centralista, ecco che dei 38 milioni necessari, 30 sarebbero stati già trovati.
Gli altri 8 milioni li avremmo potuti prendere, per esempio, nel capitolo che è stato dedicato alla sistemazione di 340 posizioni organizzative dell'Agenzia delle entrate, che vale 13,8 milioni di euro. Ecco, se di queste posizioni organizzative se ne fossero regolarizzate un po' meno, ci sarebbe stata la possibilità di dare soddisfazione a 2 mila esodati che non hanno nessuna colpa se non quella di essere incappati nel periodo storico nel quale la riforma Fornero li ha costretti a non poter più avere un lavoro e a non poter percepire la pensione.
Un altro maquillage tipico di Totò e Peppino che il Governo Monti sta portando avanti è quello del taglio dei dipendenti pubblici che si può considerare davvero una gag di comicità estrema, perché se il 20 per cento dei dirigenti e il 10 per cento del personale vengono ad essere calcolati sulle piante organiche e non sui dipendenti effettivi, è chiaro che non ci sarà un licenziamento, non ci sarà una revisione e non ci sarà un euro di risparmio.
È noto infatti a tutti che le piante organiche sono decisamente superiori alla effettiva presenza di dipendenti negli enti locali. Poi addirittura si sarebbe dovuta fare una spending review sui dipendenti pubblici facendo riferimento non ad una percentuale uguale per tutti ma andando a colpire essenzialmente quegli enti che, a parità, per esempio, di numero di abitanti, erano al di sopra della media. È inutile infatti andare a colpire tutti gli enti in maniera simile, quando un comune di 6 mila abitanti al Nord ha una pianta organica di 50 unità con 25 dipendenti effettivi, mentre al Sud un comune con le stesse unità di abitanti, ha 100 unità in pianta organica e 50 dipendenti effettivi, quindi avendo il doppio, se non a volte il triplo, dei dipendenti.
Quindi, se non si fa una spending review mirata attraverso una certificazione che non guardi solo alle piante organiche che sono squisitamente teoriche ecco che lo spirito, che noi condividiamo, di una reale spending review fatta sui costi standard diventa squisitamente un manifesto di facciata che, di fatto, certifica degli avanzi di risparmi di spesa che molto probabilmente servono squisitamente a spostare il periodo storico in cui sarà obbligatorio l'aumento dell'IVA per riuscire ad ottenere il pareggio di bilancio.
Questo è lo spirito del vostro approccio: squisitamente spostare da settembre, da questo autunno, all'anno prossimo, a dopo le elezioni politiche, l'obbligatorietà, la coercizione da parte del sistema dell'aumento dell'IVA. È chiaro che si entra in una logica di debito pubblico e del perché si è arrivati in questa situazione. Si è arrivati in questa situazione perché benché ci sia un avanzo primario del 4 per cento questo avanzo primario viene ad essere fagocitato dai costi esagerati del debito pubblico, degli interessi sul debito che fanno sì che ogni tipo di sforzo può rimanere lontano.
Lo stesso spread a 500 contro uno spread a 250-300, che era quello che si Pag. 41aveva nel momento in cui si era redatta la finanziaria, raddoppia i costi degli interesse ed elimina ogni tipo di risparmio, di quantificazione di risparmio in maniera corretta. È chiaro che bisogna capire come colpire questo debito pubblico. Il nostro governatore Zaia dice: il Nord non si tira indietro, si prende la sua quota di debito pubblico, se la paga, però dopo ognuno è libero di muoversi autonomamente, tanti saluti e un ognuno si aggiusta. Un federalismo avanzato, molto avanzato che ha una sua logica, che ha una sua identità, che ha una sua finalità, quella della risoluzione del debito pubblico. Non venite a dirmi - come leggo sulle agenzie di stampa - che il Presidente Monti indica la mancata realizzazione della legge elettorale come motivo per il quale i mercati fanno aumentare lo spread.
Lo spread aumenta perché la situazione burocratica, la situazione istituzionale, il sistema centralista dello Stato italiano impedisce alle imprese di poter essere competitive e la mancata competitività dei nostri territori, la mancata possibilità di essere attrattivi di impresa, di risorse economiche fa sì che i mercati non credano che nel futuro lo Stato abbia la possibilità, attraverso un aumento del PIL, di far fronte ai propri debiti. È questo il problema. Il problema non è fare una legge elettorale che avrebbe come scopo quello di creare stabilità. Anzitutto la legge attuale è quella che dà più stabilita di tutti perché il proporzionale con premio di maggioranza e addirittura l'indicazione preventiva del premier dà stabilità. Ma poi, maggiore stabilità di quella che c'è oggi? C'è un Governo che ha il 90 per cento dei parlamentari a suo favore. È il periodo storico con maggiore stabilita possibile se non quello del ventennio in cui probabilmente c'era obbligatoriamente il 100 per cento di vicinanza degli eletti verso l'azione di Governo. Se però in questo periodo con questa stabilità lo spread aumenta non è un problema di stabilità. Il punto è che non sono state fatte le riforme istituzionali tali per cui il sistema Italia avrebbe potuto uscire dalle secche dove lo hanno portato questi anni di centralismo. Oggi parliamo di bicameralismo imperfetto o di bicameralismo a senso alternato. Questa è una di quelle riforme che era necessario fare da subito, ma che non si è voluto mai fare se non poi andando davanti al popolo a farle bocciare attraverso la bocciatura del referendum sulla devolution che già prevedeva questo. Queste Camere non riescono più ad essere al passo con i tempi dell'economia che decide a livello immediato, ad horas, mentre noi abbiamo delle lungaggini burocratiche che non consentono più una vicinanza e un parallelismo tra l'azione governativa e parlamentare e l'azione economica e finanziaria.
Queste sono le grandi riforme che bisogna fare: snellire lo Stato, dare più peso ai territori e alle regioni, creare delle sinergie affinché queste regioni abbiano la possibilità di competere veramente, in termini fiscali, finanziari ed imprenditoriali, con le altre regioni, che sono quelle produttive dell'Europa, e arrivare, quindi, ad una struttura efficiente dello Stato, che, ovviamente, ora non c'è più.
Noi non siamo, di fatto, contrari alla spending review: siamo contrari a questa che, secondo me, è una spending rewind, perché ripercorre gli errori del passato, come quello di tagliare sempre e solo agli enti locali (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. Sospendo a questo punto la seduta, che, secondo gli accordi intercorsi, riprenderà alle 13,30.

La seduta, sospesa alle 13,10, è ripresa alle 13,30.

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che non vi sono ulteriori deputati in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente cinquanta, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Pag. 42

Si riprende la discussione.

(Ripresa discussione sulle linee generali - A.C. 5389)

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Binetti. Ne ha facoltà.

PAOLA BINETTI. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, colleghi, nella mia riflessione sulla spending review mi concentrerò praticamente soltanto su un articolo - l'articolo 15 - che riguarda in modo più intensivo il mondo della sanità.
L'articolo 15 di fatto interviene sulla spesa sanitaria, conseguendo una riduzione del livello del fabbisogno del Sistema sanitario nazionale e del correlato finanziamento, pari a 900 milioni di euro per il 2012 - stante il fatto che ci troviamo un po' oltre la metà del 2012, suppongo che questi 900 milioni di euro si concentreranno nei prossimi sei mesi e vorrei richiamare l'attenzione su questo aspetto -, 1,8 miliardi per il 2013, 2 miliardi per il 2014 e 2,1 miliardi a decorrere dall'anno 2015. Sono cifre che potrebbe anche essere difficile riuscire ad immaginare, ma sicuramente sono cifre importanti.
Le riduzioni sono da recepire dalle regioni e dalle province autonome con intesa di riparto del fabbisogno e delle disponibilità finanziarie del Sistema sanitario nazionale, da stipularsi entro il 30 settembre 2012. Questo è un primo punto su cui voglio richiamare l'attenzione: il 30 settembre per noi è domani, se teniamo conto che i prossimi giorni sono quelli del mese di agosto. Quindi, le regioni avranno a loro disposizione una manciata di giornate per riuscire ad operare tagli di questo spessore e, in un certo senso, di questa grave conseguenza nella vita e nella salute di tutti i cittadini.
Adesso cercherò di andare un po' per parti e citerò i titoli delle cose perché poi, ovviamente, sarà pressoché impossibile andare in profondità su tutto.
La prima cosa su cui il decreto-legge si sofferma sono i servizi di base in sanità. I servizi di base in sanità, nell'analisi dei costi e di qualità, sono quel sistema di attività che il documento concentra sotto due termini: quello del global service e quello del facility management, intendendo per global service lo strumento di gestione e manutenzione dei complessi immobiliari e per facility management la gestione integrata dei servizi e dei processi a supporto delle attività primarie di un'impresa, per intenderci: la mensa, la lavanderia, la pulizia, tutti i servizi che ruotano intorno al corretto funzionamento di un ospedale e che non sono immediatamente riconducibili all'attività sanitaria in senso proprio.
In materia, quindi, di razionalizzazione della spesa per l'acquisto di questi beni e servizi, le misure proposte si applicano in via immediata per il 2012 e continuano ad applicarsi per gli anni successivi attraverso una serie di rimodulazioni ma contemplate all'interno di una eventuale intesa per il patto della salute. Si applicano in via immediata e questo significa che da subito andranno rinegoziate le condizioni con le imprese che gestiscono questi servizi.
Ora io credo che sia chiaro a tutti quanto questo possa rappresentare un fattore di allarme importante. Infatti, questi servizi sono di una tale efficacia quando, come si dice in gergo, non si vedono e non si sentono. La pulizia è un servizio tale di cui tu ti accorgi proprio perché non te ne accorgi. La mensa è un servizio che funziona quando i malati non si lamentano. Noi abbiamo raggiunto degli standard di qualità non indifferenti in molti ospedali, ma sappiamo anche che esiste una sorta di pregiudizio per cui i familiari portano il pranzo ai malati perché i malati non apprezzano il pranzo dell'ospedale. Perché sottolineo questo? Perché non si tratta soltanto di procedere all'immediata applicazione della riduzione del 5 per cento degli importi e delle prestazioni dei contratti in essere di appalto di servizi e di forniture di beni e servizi stipulati, ma si tratta anche di rinegoziare il termine della qualità. Sarebbe veramente drammatico che questa operazione avesse un carattere Pag. 43prevalentemente ragionieristico e che le imprese, al sentirsi decurtato questo 5 per cento da subito, si ritenessero a questo punto giustificate a fornire servizi di minore qualità. Per esempio, il servizio delle pulizie in un ospedale non è solo un servizio estetico, ma è un servizio che fa un riferimento assoluto, immediato e diretto alla salute dei pazienti.
Il secondo capitolo che mi interessa prendere in considerazione è quello che riguarda i dispositivi medici. Per quanto riguarda i dispositivi medici, fino al 31 dicembre 2012, è prevista una riduzione del 5 per cento degli importi relativi a tutti i contratti di fornitura; dal 2013 il tetto per l'acquisto dei dispositivi è rideterminata al 4,9 per cento del fabbisogno sanitario e, a decorrere dal 2014, al valore del 4,8 per cento. Voglio dire che esiste un trend che è in diminuzione, però può essere interessante per noi ragionare e riflettere un attimo su qual è il ruolo dei dispositivi medici nel settore sanitario. Vorrei segnalare alcuni passaggi in merito, caso mai sfuggissero a qualcuno dei colleghi. Questi dispositivi medici sono essenziali nella diagnosi, nella prevenzione, nel controllo e nel trattamento della malattia e sono fondamentali per il miglioramento della qualità della vita delle persone affette da disabilità. La valutazione dei dispositivi medici pone problemi specifici per l'ampia variabilità dei prodotti che ne fanno parte: dal semplice materiale sanitario alle complesse apparecchiature di diagnostica per immagini, ai dispositivi impiantabili. Secondo una ricerca del Censis, gli italiani che utilizzano nella loro quotidianità almeno un dispositivo medico sono 11,5 milioni, potremmo dire un 20 per cento degli italiani. Il monitoraggio dei dispositivi medici e della spesa ad esso associata è stata avviato di recente con un sistema di controllo, come, per esempio, il repertorio dei dispositivi medici.
Vista la numerosità dei prodotti e l'importanza del loro utilizzo, numerosi studi hanno evidenziato che il cambiamento tecnologico connesso ai dispositivi medici, è un motivo di spesa più rilevante dell'invecchiamento stesso della popolazione. Cioè, comprare una TAC nuova o comprare una risonanza magnetica nuova, rappresenta un investimento molto importante. Potrebbe scattare in qualcuno l'idea che, tutto sommato, essi non sono necessari, però, se vogliamo fare una diagnosi precoce, per esempio del tumore del polmone, abbiamo bisogno di strumenti molto sofisticati e molto efficaci, in grado di svelare anche delle realtà molto piccole, le quali potrei dire non solo che sfuggono all'occhio umano, ma che sfuggono alla tecnologia fino a quel momento utilizzata. Il progresso della scienza e della tecnica, l'allungamento della nostra vita e il miglioramento della sua qualità passano anche per questo incremento della qualità tecnologica dei dispositivi di cui noi disponiamo.
Il terzo capitolo riguarda più direttamente l'assistenza sanitaria. Per l'assistenza ospedaliera viene prevista una riduzione dello standard di posti letto: dai 4 posti letti per mille abitanti si passa a un livello non superiore a 3,7 posti letto per mille abitanti. Di questi 3,7, lo 0,7 sono posti letto per la riabilitazione e la lungodegenza post acuzie. Vorrei richiamare l'attenzione su questo punto. Se vi è oggi una condizione di emergenza, rispetto ai posti letto, è proprio l'emergenza legata alla riabilitazione, tenendo conto che la riabilitazione riguarda mediamente due fasce di popolazione particolarmente interessanti: da un lato i giovani, che sono quelli che sono vittime di incidenti, e sappiamo tutti, perché abbiamo recentemente anche approvato un provvedimento che riguarda la sicurezza sulla strada, quanti e quanto frequenti sono gli incidenti, di cui sono non esclusivamente, ma prevalentemente, vittime i giovani. Per questi giovani, poter contare su una riabilitazione di alta qualità significa cambiare totalmente le prospettive della loro vita. L'altra grande fascia che, in qualche modo, dovrebbe confluire in questo 0,7 per cento, è formata dagli anziani: persone che hanno un ictus, persone che hanno un'emorragia cerebrale, persone che cadono e subiscono la frattura del femore, persone per le quali la qualità di vita che Pag. 44segue alla possibilità di avere una riabilitazione degna di questo nome e all'altezza, ancora una volta, dei progressi tecnici e scientifici che la medicina ha fatto, è determinante. Noi, su questo 0,7 per cento, facciamo passare una parte importantissima delle nuove patologie a cui siamo in grado di dare risposte positive, ma in questo caso potremmo avere delle risorse senza riuscire ad utilizzarle.
L'altro aspetto importante è quello che riguarda il tasso di ospedalizzazione, che è stato ridotto dall'attuale valore di 180 per mille abitanti, al valore di 160 per mille abitanti, di cui il 25 per cento riferito ai ricoveri diurni (day hospital). Perché interessa questo dato, che viene anch'esso ridotto? Perché, nella misura in cui riduco i letti ospedalieri, in automatico debbo spostare la richiesta di assistenza dal ricovero del paziente alla possibilità di seguirlo in day hospital.
Cito un esempio per tutti. Il paziente che fa una chemioterapia, soprattutto un paziente che viene a fare una chemioterapia a Roma, ma in qualunque altro posto spostandosi da lontano, abitualmente gode di un ricovero per poter affrontare quella che è la complessità a volte degli effetti di terapie che sono pesanti. Queste terapie possono essere anche fatte in day hospital e questo potrebbe permettere di liberare letti, dedicandoli ed altri tipi di richieste. Ma se io riduco anche i letti del day hospital è molto difficile poter fronteggiare ancora una volta un livello crescente di richiesta, di domanda di salute da parte dei pazienti.
Un altro aspetto che mi sembra interessante esaminare è questo. Si dice che entro il 31 ottobre 2012 - vorrei segnalare la data, perché il 31 ottobre è veramente domani -, previa intesa in sede di Conferenza Stato-regioni, un regolamento, adottato con decreto interministeriale, fissa gli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi, relativi all'assistenza ospedaliera. Come dire, io taglio, che è quindi un indicatore quantitativo, e rimando la possibilità di definire l'indicatore qualitativo al 31 ottobre, all'interno di questo accordo.
Mi chiedo se sarà di fatto possibile, ma non vorrei trovarmi di fronte ad uno di quei casi in cui le deleghe, e quindi anche i rimandi progressivi, si moltiplicano fino ad aggiungere mesi a mesi, come abbiamo visto recentemente anche in un decreto-legge che abbiamo approvato proprio con la questione di fiducia, e relativo all'incapacità di mantenere quelle date che noi stessi ci siamo dati. In ogni caso nulla viene detto circa il processo di individuazione degli standard europei relativi ai servizi distrettuali e alle cure primarie. In altre parole è come dire che, in questo senso, noi non ci confrontiamo con quelli che saranno gli standard qualitativi di livello europeo. Abbiamo operato veramente quello che potremmo, a questo punto, definire un taglio lineare.
Nell'ambito del processo di riduzione, le regioni e le province autonome opereranno una verifica, sotto il profilo assistenziale e gestionale, della funzionalità delle piccole strutture pubbliche. Stiamo parlando di quei famosi piccoli ospedali che da tempo si dice che dovrebbero essere chiusi perché non rispondono né a standard di corretta gestione economica, ma molto spesso, disgraziatamente, non rispondono nemmeno a standard di adeguata qualità di tipo assistenziale. Anche in questo caso però non vengono specificate le conseguenze, per le regioni e per le province autonome, per la mancata attuazione delle norme in tema di riduzione dei posti letto e neppure se l'attuazione delle norme in oggetto rientra tra gli adempimenti a cui è subordinato l'accesso alla quota integrativa del finanziamento del servizio sanitario a carico dello Stato. Come dire, si corre il rischio di porre una norma senza indicare contestualmente quali potrebbero essere, per le regioni inadempienti, le conseguenze che possono ricadere su di loro.
L'altro aspetto interessante, sempre nel capitolo sull'assistenza sanitaria, è quello che il disegno di legge, su incoraggiamento da parte del Senato, o perlomeno su pressione da parte del Senato, promuove la sperimentazione di nuovi modelli di assistenza, nell'ambito delle forme in cui Pag. 45questa è garantita, al fine di realizzare effettive finalità di contenimento della spesa sanitaria, anche attraverso specifiche sinergie tra strutture pubbliche e private, ospedaliere ed extra ospedaliere. Questa sperimentazione ci sembra davvero una delle speranze, perché è evidente che il nostro sistema sanitario nazionale non ha bisogno solo o, perlomeno, non ha bisogno tanto di tagli, quanto ha bisogno anche di ripensare una serie di modelli, modelli di organizzazione ospedaliera, il famoso governo clinico, ma anche di modelli di organizzazione dell'assistenza territoriale e dell'integrazione tra entrambi.
È difficile però che una sperimentazione che si innesta in un processo di cambiamento, possa essere portata avanti in una condizione di forte penuria in un senso e nell'altro. Di fatto le misure di contenimento della spesa del personale della pubblica amministrazione si applicano anche al personale convenzionato con il Servizio sanitario nazionale. Questa storia del personale convenzionato con il Servizio sanitario nazionale potrebbe sembrare una formula astrusa se non servisse semplicemente ad identificare i medici di famiglia. Quindi attenzione: riduciamo i posti letto, riduciamo i letti in day hospital, riduciamo quelle che sono in un certo senso le risorse che vengono rappresentate dai medici di famiglia e non diciamo in che modo, in questa riduzione totale, davanti a bisogni di salute crescenti, come è, per esempio, l'allungamento dell'età media per tutti quanti noi, possiamo davvero continuare a dare risposte soddisfacenti perché abbiamo tagliato a trecentosessanta gradi dappertutto.
Vorrei fare soltanto un rapido passaggio. Il disegno di legge si sofferma anche ad analizzare l'ambito dei privati accreditati. A tal proposito, si dice che, per ridurre la spesa annuale delle prestazioni specialistiche ospedaliere fornite dai privati accreditati, il livello di spesa del 2011 (ragazzi, stiamo parlando del livello di spesa dello scorso anno) è diminuito dello 0,5 per cento e sarà diminuito di un ulteriore 1 per cento nel 2013 e di un ulteriore 2 per cento a decorrere dal 2014.
Anche lì, dovremmo chiederci se il sistema sanitario accreditato debba godere di vita e di qualità di assistenza che presta al sistema o se, invece, noi ci stiamo muovendo verso un orientamento che, più o meno implicitamente, si rivela statocentrico e, in qualche modo, tende a mortificare quella grande ricchezza di esperienze presente sul territorio. Dico questo perché tra le funzioni essenziali elencate in questo articolo 8 ci sono (vorrei l'attenzione sul concreto delle cose) programmi a forte integrazione tra assistenza ospedaliera e territoriale, sanitaria e sociale, con particolare riferimento all'assistenza per le patologie croniche, di lunga durata e recidivanti.
A nessuno sfugge che la stragrande maggioranza negli ospedali o delle realtà che si occupano di questi pazienti, sono praticamente comprese in questo grande campo delle strutture sanitarie accreditate. Sono cliniche che si dedicano davvero molte volte all'accoglienza di questi pazienti e a garantire un servizio che il sistema ospedaliero nella sua struttura ad alta tecnologia e complessità, tende ad attribuire di meno anche in virtù di questa riduzione del 3,7 per cento.
Ci sono anche attività con rilevanti costi di attesa, compresi il sistema di allarme sanitario, il trasporto di emergenza, il funzionamento della centrale operativa, programmi sperimentali di assistenza, programmi di trapianto di organo, di midollo osseo, di tessuto, il mantenimento e il monitoraggio del donatore, l'espianto degli organi da cadavere. Voglio dire che ci sono cose molto importanti, molto più di quello che noi possiamo immaginare così ad una lettura fredda e asciutta di questo articolo 8-sexies.
Un altro passaggio riguarda il sistema della farmacia. Il tetto per la spesa farmaceutica ospedaliera non può superare, a livello nazionale e di ogni singola regione, la misura percentuale del 2,4 per cento del finanziamento a cui concorre ordinariamente lo Stato. Negli ultimi anni il tetto per la spesa farmaceutica è stato ripetutamente sforato attestandosi intorno al 4 per cento. Allora, il 2,4 rispetto al 4 per Pag. 46cento, è un po' meno di un taglio del 50 per cento. Il 2, 4 è un po' più della metà di 4, ma ciò significa che l'investimento in termini di terapie farmacologiche va incontro ad un processo quasi di dimezzamento. Questo dice il disegno di legge.
È vero che nelle aziende ospedaliere molte volte il costo è determinato da farmaci molto costosi e innovativi: si tratta dei farmaci per i pazienti oncologici. Questo vorrà dire che noi dovremmo dire ad un paziente affetto da tumore: «Guarda che non possiamo darti questo farmaco perché costa troppo». Voi potete immaginare che cosa scatta nella mente delle persone quando sanno che un farmaco c'è, ma che non lo possono avere perché il costo è inaccessibile al sistema? Sarà molto dura. I rapporti medico-paziente e medico-istituzione saranno molto duri in questo clima, perché non stiamo parlando dell'effimero, ma praticamente, per questi pazienti, di salvavita, perché per questi pazienti significa questo, prendere o meno tale farmaco.
Noi abbiamo vinto molti anni di lavoro nel campo della medicina. Quando ero più giovane e studiavo si considerava in cinque anni il termine massimo di sopravvivenza di un paziente con un tumore. Oggi la gente si chiede perché si muore ancora di tumore, tanto ormai ci si è anche abituati alla possibilità che il tempo di vita dopo la diagnosi possa essere molto lungo, ma è grazie a questi trattamenti, che sono cari, e che in qualche modo noi fino ad ora abbiamo garantito.
Un passaggio rapido sui farmaci innovativi ancora più significativo però lo voglio fare sui medicinali orfani, che sono quelli che toccano ai pazienti affetti da malattie rare. Sono farmaci sui quali le case farmaceutiche non vogliono sperimentare perché non c'è un ritorno economico immediato e diretto: sono troppo pochi i pazienti che consumano quel farmaco per meritare, anche sul piano della ricerca, un investimento adeguato.
In questo caso la norma, però, migliorata nel passaggio al Senato, prevede che in caso di superamento del budget attribuito all'azienda titolare di farmaci in possesso della qualifica di medicinali orfani non innovativi, la quota del superamento del budget riferibile a tali farmaci sia ripartita, al fine del ripiano e al lordo dell'IVA, tra tutte le aziende titolari. Questa mi sembra una buona cosa, perché non ne fa pagare il prezzo al malato affetto da malattia rara, ma distribuisce il costo di questo prezzo tra diverse aziende.
Mentre mi avvicino davvero alla conclusione, voglio ricordare quei numeri che ho letto proprio all'inizio. Per effetto delle disposizioni presenti nell'articolo in esame, il finanziamento vigente del sistema sanitario nazionale è ridotto di 900 milioni per il 2012. Ripeto le cifre: 1.800 milioni di euro per il 2013; 2.000 milioni di euro per il 2014; 2.100 milioni di euro per il 2015. Non poco!
Dedico gli ultimi minuti che mi restano per fare un riferimento agli studenti fuori corso. Non c'entra con il mondo della sanità ma è, forse, un argomento più legato all'esperienza universitaria. Si è detto che gli studenti fuori corso devono essere penalizzati e portati a pagare anche il doppio delle tasse. Nihil obstat se si tratta davvero di studenti lavativi, demotivati, che vanno all'università così, un po' per sport. Può essere anche un incentivo il dover pagare più tasse e può fungere anche da fattore di motivazione. Però attenzione, perché noi dobbiamo chiederci se davvero funziona la qualità della didattica che offriamo a questi studenti, se davvero funziona quello che prevede la famosa legge di riforma dell'università, se davvero il sistema tutoriale funziona e se questi studenti possono contare su un orientamento in itinere per poter superare quelli che sono gli scogli che molte volte gli si presentano.
Inoltre, dobbiamo chiederci che attenzione diamo noi alla qualità e all'impegno didattico dei docenti. Tutti noi sappiamo che l'attività docente praticamente non è oggetto di valutazione, non pesa assolutamente nel momento concorsuale. Ciò che importa a un professore, con i suoi upgrade, è semplicemente quello di aver prodotto scientificamente articoli pubblicati su riviste ad alto impact factor, perché Pag. 47sono questi che gli permettono di avere dei grant di ricerca, sono questi anche che gli permettono di vincere più facilmente un concorso, sono questi che gli permettono davvero obiettivi concreti di progressione nella sua carriera accademica. Di quello che lui faccia con gli studenti, del tempo che dedica loro, della qualità della sua attività di formazione, non vi è traccia tra gli indicatori di valutazione. Ora, se noi vogliamo davvero che gli studenti fuori corso paghino il doppio delle tasse, prima di rendere operativa questa cosa, interroghiamoci fino a che punto la didattica che si fa nelle università sia adeguata ad aiutare gli studenti davanti ai primi ostacoli, a correggerli, a modificarli, ad acquisire metodologie di studio, a cambiare ritmo e, se necessario, a riorientarsi verso una diversa facoltà. Non basta far pagare solo agli studenti, anche in questo caso, il costo complessivo di un'operazione che vuole essere di grande economia, ma che vuole essere anche una maniera per aumentare le risorse all'interno dell'università.
Con tutto ciò e con tutte le critiche che ho fatto, noi voteremo a favore di questo disegno di legge. Ma, voteremo a favore perché ci auguriamo che possa davvero, al di là dei suoi tagli, mantenere - che sono il come dell'obiettivo - alti i suoi obiettivi, che restano la tutela della salute, per quello che riguarda tutti quanti noi e, in particolare per quello che riguarda gli studenti, una tutela del loro profilo di professionalità futura e, quindi, anche una tutela di quella formazione a cui gli anni universitari contribuiscono in un modo che va ben oltre quello che certe volte il singolo esame può far pensare.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pili. Ne ha facoltà.

MAURO PILI. Signor Presidente, mi perdonerà in apertura un richiamo agronomico. Questo decreto-legge sulla revisione della spesa pubblica è pari a quelle nefaste conseguenze di chi, per eliminare l'erba infesta e superflua, fa un uso dissennato di diserbante, facendo morire le colture produttive, intaccando le radici e, in qualche caso, inquinando anche le falde acquifere.
Questo decreto-legge ha preferito la strada facile del taglio orizzontale. Tutto si taglia senza una puntuale analisi di ciò che si va a tagliare. È l'ennesimo decreto-legge - mi perdonerà il rappresentante autorevole del Governo - senza la cosiddetta valutazione ex ante, cioè la capacità di prevedere gli effetti del taglio rispetto all'economia e rispetto al quadro generale del bilancio dello Stato. Abbiamo invece toccato con mano in questi mesi, in questi dieci mesi del Governo Monti, che non si può - e non si deve - legiferare al buio senza una benché minima previsione e analisi di ciò che può accadere rispetto ad ogni singolo provvedimento che si adotta in quest'Aula. In discussione, non è il provvedimento di revisione della spesa pubblica, ma la strategia economica che il Governo sta mettendo in campo, sulla quale penso di dover proporre alcune riflessioni.
Basterebbe, per esempio, comparare il testo di questo decreto-legge nella sua interezza con l'articolo 23-ter dello stesso decreto-legge, quello sulle dismissioni dei beni immobili pubblici, un decreto consistente in decine di articoli, con un piccolo comma dedicato al debito pubblico, cioè alla dismissione del patrimonio immobiliare dello Stato. È questo che rende evidente lo squilibrio di una tesi e di un progetto economico del Governo, tutto sbilanciato sulle politiche del deficit e sicuramente distratto rispetto a quelle del debito. Stiamo cioè continuando ad affrontare il problema in termini di deficit, senza affrontare il cuore del problema economico-finanziario del rapporto rispetto ai mercati internazionali, ovvero quello del debito.
Nonostante i tagli, nonostante l'incremento del prelievo fiscale, nonostante l'incremento dell'IVA dell'1 per cento, registriamo due elementi che sono ineludibili e che sono davanti a tutti. Cresce il debito pubblico e decrescono i consumi e, conseguentemente, decrescono le entrate dello Stato. Sono questi due elementi sostanziali Pag. 48di quello che stiamo registrando in questi primi mesi del Governo che sta caratterizzando questa fase della storia repubblicana. È, dunque, la visione dell'economia in discussione. Ha senso perseguire la psicosi della spesa e la psicosi della fiscalità? Ha senso che il padre padrone di Equitalia dica pubblicamente in pubblico convegno: dobbiamo fare azioni spettacolo per intimorire? Credo che questa logica finisca per confliggere con l'esigenza di rilanciare l'economia attraverso l'incremento dei consumi, delle produzioni e, conseguentemente, dell'occupazione.
Per questo motivo sostanziale, questo provvedimento finisce per aggiungersi, nei fini e nei risultati, a quelli che hanno caratterizzato i mesi scorsi. Incide sul deficit, lasciando teoricamente - ed anche sostanzialmente - immutato, anzi incrementando il debito, ma fermando ulteriormente i consumi e, conseguentemente, produzioni ed entrate: il classico cane che si morde la coda. Ci sono tagli forse utili in questo decreto-legge, ma - lo ripeto - è le strategia in discussione.
I molti colleghi che mi hanno preceduto hanno espresso critiche anche più pesanti delle mie, ma, alla fine, hanno annunciato il proprio voto favorevole. Non sarà così per me. In coscienza, ancor prima della mia appartenenza, voterò contro questo provvedimento. È una valutazione sulla strategia, sull'economia e sul rispetto di alcuni dettati fondamentali della Costituzione, sulla quale mi soffermerò più avanti.
Voglio citare solo alcuni dati per tentare di sostanziare la parola responsabilità di cui, in molti, in questi mesi, hanno abusato.
Credo che sia questo il dato emblematico: il debito. Il debito, a giugno del 2012, era di 1.948,6 miliardi, +2,6 rispetto al mese precedente e +56 miliardi rispetto al 2011.
Le entrate nei primi tre mesi erano del -0,5 rispetto allo stesso periodo del 2011 e, nel marzo 2012, del -3,6 rispetto al marzo del 2011. È un dato eloquente: bisogna evitare - lo ribadisco - e bisogna guardare alla logica strategica di questi provvedimenti. Occorre andare oltre la logica - mi riferisco anche alla mia parte politica - in cui molti tentano di richiamare l'assunzione di responsabilità di ognuno di noi.
La responsabilità sta anche nel rendersi conto che la speculazione internazionale resta comunque in agguato - nelle ultime giornate lo abbiamo verificato e toccato con mano - e che niente è cambiato in questi mesi di Governo Monti. La strada indicata negli ultimi giorni dal Popolo della Libertà è quella corretta e da tempo sostengo che quella sia anche l'unica strada percorribile, l'unica in grado di affrontare con concretezza un vero piano di rilancio del Paese ovvero tagliare il debito pubblico in maniera decisa e consistente, facendo ricorso in maniera chiara alla cessione del patrimonio immobiliare dello Stato. È censito, qualcuno dice 1.500 miliardi, qualcuno dice che sono molti di meno, io parto dal presupposto che, rispetto anche ai dati che il Governo ha fornito, potrebbero essere cedibili 300-400 miliardi di euro di patrimonio immobiliare dello Stato, ciò vuol dire che andremo sicuramente sotto la soglia del rapporto debito/PIL al 100 per cento e avremmo un ricavo immediato anche sul rapporto internazionale di circa 13-14 miliardi di recupero annuale immediato. Questo significherebbe azioni immediate, come per esempio la cancellazione di una tassa assolutamente inaccettabile che sta bloccando un settore economico come quello dell'edilizia - mi riferisco all'IMU - e che sta gravando le famiglie di un onere assolutamente ingiusto come appunto quello che abbiamo voluto con l'IMU.
Se queste sono le ragioni di fondo che mi inducono a non votare questo provvedimento, che reputo anacronistico ed incapace di risolvere le questioni di fondo, ce ne sono alcune che senza tema di smentita rappresentano - mi perdonerà il Presidente della Camera - un vero e proprio golpe costituzionale perché cancellano di fatto le regioni a statuto speciale e lo fanno nel modo più bieco e violento della storia repubblicana. Si tratta di un agguato vero alla Sardegna e alle regioni a Pag. 49statuto speciale perché è previsto un taglio per la sola Sardegna di oltre 1 miliardo nei prossimi quattro anni, fondi che il Governo prevede di accantonare a prescindere dalle modifiche statutarie. L'introduzione dell'articolo 27 di salvaguardia è pleonastico e assolutamente inutile rispetto alla previsione che se ne fa all'articolo 15 e 16 dove si dice sostanzialmente: noi comunque accantoniamo. Quella è una violazione palese della Costituzione sulla quale la Corte costituzionale già puntualmente si è espressa, respingendo attacchi precedenti non soltanto del Governo Prodi e Berlusconi ma anche di altri nel suo pregresso, quando si è tentato di aggredire il rapporto tra lo Stato e le regioni a statuto speciale. Questa aggressione è ancora più violenta e nel merito e nella sostanza economica diventa lesiva appunto dei dettati costituzionali.
Il decreto-legge contiene infatti un articolo tutto dedicato alle regioni a statuto speciale con il quale si decide di congelare i trasferimenti alla Sardegna e di prevedere nel contempo un taglio di oltre 1 miliardo alle casse della regione e dei comuni e delle province sarde. Con questa operazione maldestra si cancella di fatto quel rapporto pattizio; la Costituzione ha previsto all'articolo 116 che gli statuti che regolano le regioni a statuto speciale fossero un accordo pattizio fra lo Stato e le stesse regioni e bisognava disciplinare la modifica attraverso norme di rango costituzionale che modificassero in quest'Aula, con il doppio passaggio costituzionale, appunto la revisione dei nostri statuti. Lo si fa invece a colpi di decreto, si tenta di farlo perché è chiaro che poi ci sarà da parte delle regioni, così come già abbondantemente annunciato, l'impugnativa, ma si tratta di un golpe che cancella le parole che il Capo dello Stato ha reso pubbliche nelle settimane scorse in Sardegna dicendo che occorre tutelare in tutti i modi la specialità autonomistica della Sardegna perché è una di quelle regioni che ancora esistono e sono fondanti sul tema dell'insularità, sulla quale mi soffermerò dopo.
Questo decreto-legge se ne infischia, taglia con meccanismi di coercizione finanziaria e contabile che di fatto commissariano le risorse ed i bilanci della regione autonoma della Sardegna ma soprattutto c'è un dato emblematico, la comparazione dei tagli alle regioni a statuto ordinario e a quelle a statuto speciale. Basti questa comparazione per capire la violenza e l'aggressione che questo Governo tecnicista e assolutamente distante dagli interessi della coesione nazionale sta mettendo in campo. Cito soltanto un dato: per le regioni a statuto speciale viene tagliata una risorsa pari a 600 milioni di euro per l'anno 2012, per le regioni a statuto ordinario 700 milioni, cioè cinque regioni a statuto speciale pagano quasi quanto tutte le regioni ordinarie.
Nel 2013 il rapporto diventa ancora più ampio: si taglia un miliardo per le regioni a statuto ordinario e 1 miliardo e 200 milioni per quelle a statuto speciale. Nel 2014, si tagliano 1 miliardo e 50 milioni per quelle ordinarie, che diventano un miliardo e mezzo per le regioni a statuto speciale. Nel 2015, non vi è alcun taglio per le regioni a statuto ordinario, mentre si taglia 1 miliardo e 575 milioni per quelle a statuto speciale. Si tratta di una vera e propria aggressione istituzionale e costituzionale alle regioni a statuto speciale. Per i primi tre anni la Sardegna quindi avrà un taglio netto di circa un miliardo, ma viene anche richiamata quella accezione di accantonamento in attesa della variante e della modifica degli statuti. È un'aberrazione costituzionale e giuridica che si preveda di bloccare, con un provvedimento di decretazione d'urgenza, un provvedimento che avrebbe avuto invece un percorso costituzionale. È il meccanismo perverso che mi fa richiamare la violazione costituzionale, perché si tratta della violazione della coesione nazionale. Questo Governo non è soltanto con questo provvedimento che mostra questo atteggiamento. Cito per tutti il Documento di economia e finanza, che ha previsto la cancellazione di tutti gli investimenti per la Sardegna. Quando dico tutti, non uso una parola demagogica o retorica; uso la parola tutti perché nel DEF non c'è il richiamo ad una sola opera Pag. 50che riguardi la Sardegna, ma anzi c'è una previsione che dice che tutte le opere infrastrutturali strategiche del Paese saranno fondate su quattro assi prioritari, che riguardano quelli approvati dall'Europa e che l'Italia subisce, dimenticandosi che esiste una regione insulare ultraperiferica che in quegli assi doveva essere inserita, da quelli energetici a quelli trasportistici dell'autostrada del mare e quant'altro. Ma basta un dato per dire che la specialità della Sardegna si può misurare: se è cento la base di calcolo delle infrastrutture dell'Italia, sulle strade la Sardegna ha quarantacinque, sulle ferrovie ha quindici, sull'energia trentacinque, cioè esiste un divario sostanziale che non può essere richiamato da nessuno come una richiesta di favore, di solidarietà o di cortesia. Noi abbiamo rivendicato e chiediamo la misurazione e la compensazione di questo divario e lo facciamo in ragione di una legge che questo Parlamento ha approvato, la legge sul federalismo fiscale che, all'articolo 22, lettera g), dice sostanzialmente che bisogna misurare e compensare quel divario. Guai se quel processo di attuazione di quel passaggio non venisse portato avanti. Sarebbe una violazione dell'articolo 116 della Costituzione, che individua appunto le cinque regioni a statuto speciale. Il federalismo altrimenti sarebbe incostituzionale, perché portato avanti soltanto in parte, in quanto esso va di pari passo con il termine costituzionale fondamentale della coesione. Se c'è il primo e manca la coesione siamo in piena violazione del dettato costituzionale che ha previsto le regioni a statuto speciale. Se quelle ordinarie fanno un passo in avanti, quelle speciali invece ne fanno uno indietro. Si inverte il principio costituzionale e la ragione per la quale i costituenti hanno riconosciuto la valenza di regione a statuto speciale per le cinque regioni così inquadrate. È una specialità che è attuale e cogente, ed è sempre più rilevante. In Sardegna non si arriva con il treno o con l'autostrada. Lo sapete tutti colleghi: per la coesione servono la nave e l'aereo. In questo decreto-legge, per restare in tema, vi è un altro passaggio che mi induce non soltanto a votare contro, ma a battermi contro questo provvedimento. Sostanzialmente con l'articolo 6 si approvano quelle convenzioni-capestro che hanno consentito di regalare alla Tirrenia, ad un socio privato, 560 milioni di euro di denaro pubblico per una continuità territoriale che non esiste. Anzi, in queste ultime ore è dimostrato che la Tirrenia prende i soldi - 72 milioni di euro l'anno - e sulle tratte da e per la Sardegna ha prezzi superiori a qualsiasi altra compagnia di navigazione che non prende contributi. Ci si dovrebbe spiegare dove vanno a finire quei 72 milioni di euro l'anno per otto anni, rispetto ad un tema così importante come quello della continuità territoriale e della coesione nazionale.
Signor Presidente, è una regalia alle lobby, a partire da quelle napoletane, che si sono battute perché questa privatizzazione venisse fatta con l'unico obiettivo di tutelare quelle lobby a scapito della Sardegna e dei sardi, e noi, con questo provvedimento, le approviamo.
Questo mi pare l'ulteriore elemento che mi induce a dire che noi, e io personalmente, non possiamo votare questo provvedimento. Va contro una ragione imponente, cioè quella dell'esigenza di una strategia economica diversa, sostanzialmente diversa, ma è anche un'inversione di tendenza rispetto alle specialità autonomistiche, che non vanno violate, non vanno offese; bisogna, semmai, misurarle e, conseguentemente, compensarle, ma vanno rispettate.
Questo decreto-legge non le rispetta e affonda la coesione nazionale. Per questo, io voterò contro.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Froner. Ne ha facoltà.

LAURA FRONER. Signor Presidente, nel mio intervento farò qualche considerazione di carattere generale, con qualche cenno agli argomenti di competenza della X Commissione, e concluderò con alcune riflessioni sulle autonomie speciali.
Come noto, il decreto-legge in esame rappresenta la seconda fase dei provvedimenti Pag. 51dedicati alla revisione della spesa pubblica. In precedenza, è stato adottato il decreto-legge 7 maggio 2012, n. 52, contenente un complesso di disposizioni la cui finalità è quella di consentire, accanto alle norme già in vigore, l'eliminazione di inefficienze e sprechi nella spesa pubblica, in modo da ridurne l'ammontare e reperire risorse da destinare alla crescita economica.
All'interno del decreto-legge in discussione oggi è confluito anche il testo del decreto-legge n. 87 del 2012, recante disposizioni in materia di valorizzazione e dismissione del patrimonio pubblico. Il testo risulta, quindi, corposo e complesso. Nonostante i tempi per l'esame del provvedimento siano stati molto ristretti, vorrei esprimere una valutazione politica positiva ed un parere favorevole da parte del mio gruppo sul complesso delle misure recate dal decreto-legge.
Vorrei chiarire subito che, se il provvedimento in esame fosse stato presentato dai parlamentari del Partito Democratico, sarebbe stato sicuramente diverso in molte parti, ma dobbiamo considerare la situazione contingente del Paese e l'obiettivo principale, che è il risanamento dell'economia.
Ecco perché, nonostante alcuni punti deboli e non soddisfacenti contenuti nel testo, riteniamo prioritario dare un segnale forte e responsabile all'Unione europea e ai mercati, coscienti che questo sia l'unico modo serio per prenderci cura dell'interesse del Paese e, soprattutto, della sua parte più debole. Siamo consapevoli che un vero e proprio processo completo di ridefinizione delle aree e dei settori di intervento pubblico avrebbe richiesto tempi molto più lunghi, ma nel provvedimento che stiamo esaminando vi è senza dubbio più revisione di spesa di quanto possa sembrare a prima vista.
Le scelte effettuate nel decreto-legge si muovono nella condivisibile direzione di riqualificazione della spesa per ridurre gli eccessi della pressione fiscale e destinare le risorse a favore della crescita e della coesione sociale. Ricordo che la riduzione della spesa si rende necessaria, tra l'altro, per impedire che, dal prossimo mese di ottobre, l'IVA venga aumentata di due punti percentuali, aumento che contribuirebbe ad aggravare la tendenza depressiva del quadro economico.
Tra gli aspetti qualificanti vi sono anche l'ulteriore destinazione di oltre un miliardo di euro alle zone colpite dagli eventi sismici (550 milioni per la ricostruzione per ciascuno degli anni 2013 e 2014 e 450 milioni a partire dal 2013 in crediti di imposta e finanziamenti bancari agevolati), l'attivazione di strumenti creditizi agevolati e garantiti dallo Stato a favore di cittadini e imprese, nonché l'estensione a 55 mila lavoratori della salvaguardia dall'incremento dei requisiti di accesso al sistema pensionistico disposto dalla recente legge di riforma delle pensioni.
In riferimento a questo punto, rilevo che con questa norma non riteniamo ancora risolta la questione dei cosiddetti esodati, in quanto il loro numero è, in realtà, più ampio della platea delle 120 mila persone che risulterebbero finora coperte.
Ma, tornando alle riflessioni generali, è sicuramente necessario procedere ad una profonda revisione e riqualificazione della spesa pubblica italiana che a confronto con quella di altri Paesi europei è meno funzionale nel rapporto con la qualità dei servizi offerti, soprattutto in considerazione del fatto che, come risulta anche dalla recente relazione al Parlamento del Ministro Giarda, negli ultimi cinque anni è aumentata di cinque punti percentuali. Il nostro auspicio è, quindi, che si possa proseguire sulla strada intrapresa con un'azione costante nel tempo che si basi sulla cultura della buona amministrazione.
Per quanto di merito della X Commissione, tra le norme finalizzate alla razionalizzazione e al riassetto industriale delle partecipazioni detenute dallo Stato, cito l'articolo 23-bis che attribuisce a Cassa depositi e prestiti Spa il diritto di opzione per l'acquisto delle partecipazioni azionarie detenute dallo Stato in Fintecna Spa, Sace Spa e Siemens Spa, da esercitare entro 120 giorni dall'entrata in vigore del decreto-legge. Entro i 10 giorni successivi Pag. 52dall'esercizio del diritto di opzione, la Cassa depositi e prestiti verserà al Ministero dell'economia e delle finanze un corrispettivo provvisorio pari al 60 per cento del valore, al 31 dicembre 2011, del patrimonio netto delle società e, una volta determinato il valore definitivo di trasferimento, la parte restante. La somma versata, al netto degli oneri, sarà destinata al Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato o al pagamento dei debiti dello Stato.
Questa misura risulterà sicuramente utile per le casse dello Stato, ma non deve andare a detrimento delle azioni che possono e devono essere messe in campo dal Governo nel contrastare il calo dell'export - rilevato, in particolare, nell'anno in corso - e, invece, favorire l'internazionalizzazione delle nostre imprese, di qualsiasi dimensione esse siano.
Un'altra norma interessante è quella che introduce l'obbligo per i medici di indicare nella ricetta, in modo esplicito, il principio attivo del farmaco con la possibilità, comunque, di indicare anche il farmaco di marca. È un passo significativo che nel medio e lungo termine può contribuire ad abbassare il prezzo dei farmaci equivalenti, con un risparmio anche per il Servizio sanitario nazionale.
Ancora, è stato fissato un tetto massimo di 300 mila euro per gli stipendi dei manager delle aziende partecipate dallo Stato, non quotate, compresa la RAI.
È stato inoltre cancellato l'Isvap, l'Istituto che vigila sulle assicurazioni, e le sue funzioni saranno trasferite al nuovo ente, l'Ivas, la cui governance rientrerà nell'ambito della Banca d'Italia.
Qualche perplessità mi suscitano, invece, le disposizioni che riguardano le spese degli enti territoriali. Non risultano chiari i criteri per la ripartizione delle riduzioni dei trasferimenti. In base all'obiettivo generale di riduzione delle spese per l'acquisto di beni e servizi, vengono tagliati i trasferimenti alle regioni a statuto ordinario di 700 milioni di euro nel 2012 e di un miliardo di euro a partire dal 2013, e alle regioni e province autonome di 600 milioni di euro nel 2012, 1,2 miliardi di euro nel 2013 e 1,5 miliardi di euro nel 2014. Viene ridotto anche il Fondo sperimentale di riequilibrio a favore dei comuni di 500 milioni di euro nel 2012 e di 2 miliardi di euro a partire dal 2013, e delle province di 500 milioni di euro nel 2012 e di 2 miliardi di euro a partire dal 2013.
Va sottolineato che il comparto degli enti locali è quello da cui derivano i maggiori risparmi associati alle disposizioni di questo decreto-legge, con 3 miliardi su 4,4 miliardi di euro complessivi, cioè il 52 per cento nel 2012. Non sono assolutamente convinta che ciò implichi solo riduzioni di sprechi, mentre temo che si possa tradurre in minori servizi ai cittadini, a dispetto di quanto affermato nel titolo del decreto-legge.
Arrivo, quindi, all'ultima parte del mio intervento che dedicherò al rapporto tra il Governo e le autonomie speciali. Io sono stata eletta nella circoscrizione Trentino Alto Adige-Südtirol e faccio riferimento, in particolare, alle misure adottate e al metodo usato dal Governo nei confronti delle province autonome di Trento e Bolzano. Non penso che mettere in crisi una porzione di territorio delicata come il Trentino Alto Adige sia una questione da sottovalutare.
A prescindere dal fatto che la sua speciale autonomia è fondata su un accordo internazionale, il patto De Gasperi-Gruber, è necessario tenere conto di quattro circostanze, che fanno di una questione locale, quella del Trentino Alto Adige, una questione nazionale.
Innanzitutto la speciale autonomia del Trentino Alto Adige-Südtirol ha consentito di superare un conflitto etnico, le cui proporzioni sono state di fatto rimosse. Ricordo solo che tra la metà degli anni Cinquanta e la metà degli anni Sessanta sono stati compiuti 350 attentati. All'inizio degli anni Sessanta, in Alto Adige, c'era il coprifuoco, gli ingressi dall'Austria richiedevano il visto e i sei alberghi di Bolzano erano stati requisiti e occupati dai battaglioni mobili. Ora la convivenza è pacifica e collaborativa e questo non è un risultato da poco. Pag. 53
In secondo luogo, in questi ultimi sessant'anni, una regione povera e segnata dai ricorrenti flussi migratori di grandi proporzioni, è divenuta una realtà solida e si ritrova tra le prime posizioni nelle graduatorie nazionali del benessere. Anche questo ha un suo preciso significato, che non può prescindere dalla speciale autonomia di cui si gode.
In terzo luogo il Trentino Alto Adige ha esercitato in toto, con senso di responsabilità, competenze di estrema delicatezza, dall'istruzione superiore all'università, dalle soprintendenze storico-artistiche all'ispettorato del lavoro, dal governo del territorio e del paesaggio alla protezione civile. Ricordo che accanto al Corpo permanente dei vigili del fuoco ci sono in Trentino circa 5 mila volontari, che danno prova di sé in ogni frangente in cui il nostro Paese è stato investito da terremoti o da altre calamità. La capacità di gestire la cosa pubblica non è un valore che può essere mortificato da scelte poco accorte o rispettose.
Infine l'esercizio della speciale autonomia per oltre sessant'anni ha dato forma e sostanza non solo ad un'architettura istituzionale del tutto peculiare, ma anche ad un modo di essere della comunità, un modo di essere pregiato ma delicato. Un'azione legislativa e amministrativa da parte del Governo non rispettosa del nostro impianto statutario e i tagli di bilancio non appropriati e, di fatto, incompatibili con la particolare situazione della regione metterebbero a serio rischio le nostre capacità di tenuta. Non credo che l'Italia tutta troverebbe giovamento dall'entrata in crisi di un territorio che ha dimostrato di sapersi autogovernare e di sapersi assumere le proprie responsabilità.
Per questo, nel ribadire che il concorso al risanamento del Paese è un obiettivo primario e condiviso, cerchiamo però di perseguirlo con la consapevolezza della posta in gioco e con modalità che non creino danni inutili ed irreparabili (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Froner, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritto a parlare l'onorevole Polledri. Ne ha facoltà.

MASSIMO POLLEDRI. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, questa musica che propongo - e che spengo - vuole essere un tributo che vorrei dedicare ad un grande uomo e alla mia terra: «Dies irae, dies illa solvet saeclum in favilla, teste David cum Sybilla».
Si tratta, signor Presidente, di un grande, un uomo che dovremo festeggiare il prossimo anno sicuramente. Era un patrimonio dell'umanità ed è un uomo della mia terra. Decide di comporre quest'opera il 13 novembre 1868 alla morte di Gioacchino Rossini. Si tratta del senatore Verdi, che ebbe a dire: un grande personaggio è scomparso del mondo. Il suo nome era il più diffuso, il più popolare del nostro tempo ed era una gloria per l'Italia. Quando anche l'altro (Manzoni) non ci sarà più, che cosa ci rimarrà? I nostri ministri e le imprese di Lissa e Custoza (dove eravamo stati umiliati).
Più avanti dice: non leggo più i giornali dal 1868. Non voglio più sentire parlare delle nostre miserie. Non vi è nulla da sperare per noi quando i nostri uomini di Stato sono stati pettegoli e vani.
Nel maggio 1873, il 22 maggio, muore Manzoni. Verdi decide allora di completare l'opera, scrive al sindaco di Milano e la performerà nel 1874. Incomincia a scriverla a Parigi e nel settembre continua a scriverla nella villa a Sant'Agata, a Piacenza, dove risiedeva.
Verdi era un figlio di piacentini da sei generazioni e decide di vivere a Sant'Agata, dove tra l'altro c'è la sua bellissima residenza, ancora nelle condizioni dell'epoca per merito di un nipote, non per merito dello Stato. Nel 1879 diventa consigliere comunale a Villanova fino al Pag. 541884. Munifico, decide di destinare parte dei suoi proventi ad un ospedale, che funziona ancora adesso, dedica dei soldi a chi non ha mezzi e agli anziani che andavano in pensione e che non avevano un sistema protettivo della famiglia dava un pezzo di terra e la casa. Viene nominato nel 1889 consigliere provinciale a Piacenza - proprio quella provincia che noi oggi andiamo a tagliare - fino al 1890, dove si occupa anche di una strada, di un collegamento tra Villanova e Cremona. Non riusciva ad andarci, perché aveva più di ottant'anni, ma era stato nominato: c'è un busto nella provincia di Piacenza e dopo l'articolo 17 non sapremmo più dove metterlo. Era un tributo, un atto in qualche modo di dolore, a una terra meravigliosa che lo ricorda, lo ama e che ha avuto il privilegio di poter in qualche modo offrire anche agli altri.
Si tratta quindi di un provvedimento che non ci fa risparmiare sull'articolo 17, lo abbiamo già visto al Senato. Io parlerò un po' delle linee di massima economiche e poi toccherò due o tre argomenti che magari i colleghi non hanno ancora toccato, tenendo presente che questa delle province è anche un'offesa ad una identità di un popolo. Cosa succederà? Si darà la possibilità di unire, di aggregare? Si poteva aspettare il termine normale di due anni. Non si risparmia niente, si arriverà solo a dissolvere il territorio. Noi siamo una provincia che confina con altre quattro: una parte vuole andare a Cremona, una parte vuole andare a Lodi, una parte a Genova. Si farà la «macroprovincia»? È una confusione, un pantano da cui difficilmente potremo emergere. Si tratta di una manovra da 26 milioni di euro, quindi una manovra importante che genera però un topolino nel saldo di bilancio finale di 26 o 27 milioni di euro, quindi impatta poco. Ha alcuni vantaggi: sicuramente taglia alcuni sprechi, lo hanno già detto, 4 miliardi di euro utili per poter fermare l'aumento dell'IVA che arriverà il prossimo anno, ma, ahinoi, le spese della pubblica amministrazione sono aumentate di 6 miliardi. Ci è stato chiesto il sangue in questi mesi, dicendo che lo spread ne avrebbe in qualche modo risentito. Oggi leggiamo sul giornale che forse dovremo chiedere l'intervento delle misure antispread, consegnandoci completamente alle varie «troike» che verranno qui a decidere. Si tratta di una misura fatta in inglese. Il latino è il linguaggio con cui si parlava con l'Altissimo, il dialetto è la misura dei sentimenti, l'italiano del comune parlare, quando sento parlare in inglese sento una fregatura. Spending review è già una fregatura, così il termine «disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica»: ovvero si tratta di tagli, lo ha detto la Binetti - medicine e quant'altro, poi lo andremo a vedere - con invarianza dei servizi. Ma questo è il provvedimento del Mago Zurlì, che riesce a tagliare da matti e dice agli enti locali, quindi gli altri, che devono mantenere i servizi. Un'alchimia poco facile, di sicuro da questa non arriva molto.
Sì, perché siamo nell'epoca dell'inglese: abbiamo inventato il meccanismo di payback, il meccanismo dell'extrasconto. Abbiamo in una legge l'extrasconto, mi sembra un po' il mondo che cambia. Ieri in un incontro pubblico si è presentata la dottoressa Pinco Pallino Twitter. Ma com'è? Abbiamo in questo Parlamento gente che fa il blogger di professione. Una volta c'erano i capelloni, c'erano i disoccupati, c'erano quelli che tiravano a campare. Adesso abbiamo i blogger, bellissimo mestiere. Quindi quando c'è l'inglese sento un po' puzza di fregatura, signor Presidente.
Quando sento parlare in inglese giustamente le fregature c'erano. Mi riferisco a un argomento che non è stato ancora toccato, all'MPS. Quando si vuol fregare la gente si parla in inglese. Mi riferisco a Banca 121, che poi è stata scagionata - non ci fu truffa - per carità, però la sentenza della Corte di Cassazione dello scorso maggio ha detto in qualche modo che per chi aveva sottoscritto in qualche modo i prodotti My way, For you, Bot strike, Bot reverse (delle fregature bestiali) la gente non le doveva leggere delle cose sotto (c'era la frenatura), per cui dico a chi ci ascolta: state attenti, prendete prodotti italiani, BOT, BTP, e quant'altro, quelli lì Pag. 55lasciamoli perdere perché nelle pieghe c'era una maggiorazione del 30 per cento quando compravano - dovevano vendere - quindi il povero che non fa il blogger, ma fa il pensionato veniva regolarmente fregato. Qualche cosina è stata pagata, dopodiché - non per farmi gli affari di MPS - noi, sottosegretario abbiamo una banca. Potremmo gridare tutti assieme: noi abbiamo una banca! Di fatto abbiamo l'MPS perché se andiamo a vedere costa 2,2 miliardi oggi la capitalizzazione di marchi. Noi gliene diamo 3,9, è nostra in qualche modo.
Che cosa gli chiediamo? Gli chiediamo forse la governance? Gli mandiamo un ispettorino? Un magrissimo funzionario del tesoro che va là ogni tanto? Controlla due conti? Bussa alla porta del sindaco? Va alla fondazione e dice: scusate, visto vi abbiamo pagato il doppio di quello che valete, magari i 14 milioni di euro che diamo (non me ne vogliano gli amici del calcio) alla squadra di calcio o di basket, vediamo di dargliene un po' meno. Qualcuno che vada a vedere le auto blu, qualcosa? No, non gli chiediamo assolutamente niente. È vero che ci sono delle colpe non loro. Lasciamo perdere la Banca 121 e qualcuno con i baffi che si aggirava nelle vicinanze. Lasciamo perdere altri della Deutsche Bank, ma per carità, sull'operazione di Antonveneta - non sono un economista - se due mesi prima valeva 6,6 miliardi e dopo ne vale 10,2, qualcosa si può dire. Se la fondazione ha elargito in questi anni, in questi ultimi dieci anni qualcosa come un miliardo e mezzo, è andato tutto (l'85 per cento) al territorio di Siena (negli ultimi anni si sono ridotti: negli ultimi 4 anni 40 milioni) adesso perché deve pagare Duilio, perché devo pagare io?
O se paghiamo andiamo a vedere come funziona. Mettiamo un omino. Non vogliamo nazionalizzare la banca? Non lo so? In Scozia hanno fatto in maniera diversa. L'Inghilterra ha fatto in maniera diversa. Gli Stati Uniti in qualche modo qualche garanzia l'hanno fatta, ma questo è frutto anche della raccomandazione dell'EBA che (visto che l'Europa ci vuole molto bene) ha considerato la valutazione a prezzo di mercato dei titoli di Stato italiani, mentre invece i For you e le altre amenità non venivano considerati perché titoli tossici. Quindi, Presidente, mi riferisco ai 2 miliardi più l'1,9 dei titoli Tremonti Bond. Questi ultimi erano aborriti dalla sinistra. Oh, ma come gli facevano schifo i Tremonti Bond! Come gli facevano schifo! E adesso invece vanno bene. Ma come gli facevano schifo i tagli lineari? Ma come gli facevano schifo i tagli lineari? Anna Finocchiaro: non siete stati all'altezza (manovra del luglio 2011, dove anche noi tagliavamo e tenevamo attaccato il malato con lo scotch).
Per carità, non sono io a dire che eravamo dei fenomeni e dei maghi del cambiamento strutturale di questo Stato, ma ribadiva con enfasi: non siete stati all'altezza, non avete avuto il coraggio, durante la speculazione annaspavate. Invece, adesso navighiamo tra acque tranquille e spread meravigliosi che ci fanno bene ai capelli, quasi quasi questi spread! Vi abbiamo opposto l'Italia intera unita, l'Italia di Giorgio Napolitano; francamente, un po' tirato per i pochi capelli anche il povero Presidente della Repubblica.
Ma questi conti torneranno? Saranno alla fine giusti? Siamo sicuri, per esempio, che l'operazione di alienazione dei beni immobiliari - Fintecna, la SACE e quant'altro - non sia solamente un gioco, una partita di giro? Una partita di giro per chi ci sta ascoltando, per chi ha la fortuna di non essere ancora un blogger, ma di rimanere nel mondo reale, nel mondo delle parole, dei sentimenti ed anche delle istituzioni? Aveva ragione il collega Iannaccone: ormai, questo Parlamento conta pochissimo, contano già poco i Governi nazionali, figuriamoci il Parlamento. Però noi siamo stati mandati dal popolo e sentiamo fortemente - tutti coloro che sono qui, ma anche, ne sono sicuro, coloro che sono a casa, le istituzioni, il Presidente ed altro - questo importante ruolo.
Il passaggio è ben più complicato, perché la Cassa depositi e prestiti li anticipa con i soldi del risparmio postale, con i Pag. 56soldi della signora Maria, con i soldi che sessantenni e i settantenni hanno risparmiato per una vita, mettendoli nei buoni postali. E adesso li rigirano, in qualche modo, allo Stato per prendere la SACE a determinati prezzi. Anche qui, a quale condizione? Cosa faremo di questi gioielli di famiglia? Li consiglieremo, magari, come Ansaldo energia, agli inglesi? Consegneremo un patrimonio ai tedeschi, che mi sembra che premano per poter entrare? Cosa faremo di MPS, e perché non si è comportata come altri? Sette erano le banche che potevano chiedere solo questo.
Quindi, questo è già qualcosa che dovrebbe farci pensare: non solo le banche e Goldman Sachs, in qualche modo, mettono gli uomini nel Governo, ma, quando sono al Governo, non gli restituiscono neanche il favore. Almeno restituitegli il favore! Non penso che avreste messo l'onorevole Nannicini, non ce l'avreste messo: avreste messo qualcuno dei giovani talenti, qualcuno dei giovani emergenti, di quelli che chiamano i giovani fannulloni. Certo, ci saranno pure un sacco di fannulloni, ma c'è un sacco di gente che non ha la fortuna di essere figlio di qualcuno importante e di poter, magari, accedere a carriere universitarie avvantaggiate. Saranno anche molto intelligenti, ma il dubbio che qualcuno, a circa vent'anni, perché magari ha la mamma alla fondazione, che magari sponsorizza l'ospedale, arrivi non dalla porta, passando normalmente attraverso tutta la fatica, ma magari con una procedura un po' avvantaggiata, scusatemi, ma a cinquant'anni, mi viene. Almeno, non parliamo male di quelli che, magari, si laureeranno dopo: c'è ancora qualche giovane che lavora, che studia e lavora. Ecco, questi giovani dobbiamo ricordarli.
Quindi, abbiamo già visto - lo hanno già detto i colleghi - gli 800 milioni di euro per gli enti locali, che, poi, sono 500 milioni, che vengono distribuiti, ovviamente, con il solito meccanismo: quelli che sono pochi euro per il Veneto, pochi euro per l'Emilia, pochi euro per la Lombardia, vengono invece spesi di più per regioni che conosciamo. È qual è il valore, appunto, del risparmio, dei tagli al personale? Intanto, abbiamo già detto che si calcola sulla pianta organica, e la pianta organica, già oggi, è coperta poco. Ma io non capisco perché il Veneto, che ha 5 milioni di abitanti e circa 18 mila dipendenti della regione, quindi uno ogni 1.666 abitanti, debba avere lo stesso taglio - poi voglio vedere se riuscirete a tagliare qualcosa anche là - della Sicilia, che ha 30 mila dipendenti, ovviamente tutti stabili, e quindi uno ogni 260 abitanti.
Abbiamo una percentuale di dirigenti enorme - lo abbiamo visto ieri - e vale la stessa cosa? Cioè, noi dobbiamo tagliare la regione Veneto così come dobbiamo tagliare la Sicilia?
E dobbiamo poi intervenire sulla sanità. Ho sentito, poc'anzi, la Lanzillotta dire che la Lombardia sprecava. Ma, insomma, io inviterei la Lanzillotta a vedere quali sono le regioni che hanno un disavanzo e poi scegliere dove andarsi a curare. Infatti, le regioni che più sprecano o mal spendono sono quelle che danno i servizi peggiori.
Sei regioni hanno un disavanzo del 94,5 per cento, in totale 10 miliardi 407 milioni di euro: 45 per cento è il disavanzo del Lazio, ossia 5 miliardi di euro, la Campania ha 2,3 miliardi di euro, e così via. Ai cittadini di questa regione dobbiamo dire che potranno avere un aumento dell'IRPEF, il quale toccherà circa - stando ai consumatori - sui 900-1000 euro, quindi non solo sono curati peggio, non solo c'è chi spreca, ma in qualche modo il costo si riversa, ovviamente, sui cittadini e questo è l'effetto depressivo.
Uno degli altri temi discussi in Commissione è se le varie misure abbiano o non abbiano un effetto depressivo. Il sottosegretario ci ha detto che l'hanno studiata, l'hanno vista, ma non si sa di quanto: la manovra «salva Italia» ha avuto un effetto depressivo di mezzo punto di PIL, quindi 9 miliardi di euro. Una manovra sulla sanità andava fatta. È stata fatta nel 1994, mantenendo dei livelli accettabili: allora il peso venne sopportato soprattutto dal settore di produzione dei servizi, quindi in qualche modo le ASL riuscirono ad integrare. Pag. 57
Oggi si dà una «mazzata» ancora forte sui beni monetizzabili, come ad esempio sul prezzo dei farmaci. A tal riguardo, vi è stato un accanimento secondo noi inutile ed eccessivo. Nell'ambito del settore della ricerca farmacologica, oggi noi abbiamo la seconda produzione europea, quindi la seconda tecnologia che produce, ma produce brand, cioè produce marchi. In questo modo, noi abbiamo perso già con una serie di manovre che ci hanno coinvolto tutti, da Prodi fino a noi, perché poi la scure si è sempre abbattuta sul settore farmaceutico.
Il settore farmaceutico quest'anno ha 10 mila persone in meno, ha circa 60-70 mila persone impiegate nel settore del brand, ossia dei marchi, e solamente 1000 persone nel settore dei galenici. E cosa fa il Governo? Dà una mano enorme ai galenici! In altre parole, noi apriamo le porte a prodotti che provengono sicuramente dalla Cina e dall'India. Non voglio augurare un uso di tipologie farmaceutiche non dovute, ma se volete scegliere tra una supposta cinese o una compressa italiana, io scelgo la compressa italiana. Se qualcun altro, invece, volesse dare una dimostrazione (Commenti del deputato Giancarlo Giorgetti)... Ovviamente è una battuta, ma per parlare anche della qualità. Signor Presidente, lei è stata Ministro e sicuramente sa che, rispetto al prodotto di marca, il prodotto galenico ha una possibilità di un più meno 20 per cento, quindi riusciamo ad avere anche un quaranta per cento di principio attivo. Non è un caso se noi medici, che notoriamente non contiamo niente ormai perché dobbiamo prescrivere quello che dicono il Governo e i direttori delle ASL, prescriviamo un determinato farmaco perché vediamo che funziona bene e magari il vecchiettino vorremmo continuare a tenercelo come cliente a lungo.
Quindi, un intervento sulla spesa. Punti critici ne abbiamo già visti. Interventi che non funzionano e che arrivano dalla pancia della burocrazia, ma che arrivano dritti alla gola dei cittadini e non sono ancora rimbalzati sul blog, perché li vedo un po' stanchetti, qui i blogger non vengono a perdere tempo.
E ancora, 30 milioni per Roma capitale: ma volete la burocrazia che taglia il federalismo fiscale? Non è un caso che il federalismo fiscale non arrivi.
Infatti, al di là della simpatia per il sottosegretario Polillo, è evidente che siamo, ormai, a un Governo degli uffici, siamo ormai ad un Governo delle direzioni. Secondo voi le direzioni dei Ministeri di Roma perdono potere per dare la possibilità di spendere alla provincia di Varese, presidente Giorgetti, perché la mia non c'è più?

GIANCARLO GIORGETTI. Neanche la mia c'è più!

MASSIMO POLLEDRI. Assolutamente no! E quindi 30 milioni di euro glieli diamo. All'Agenzia delle entrate, beneamata e benemerita, diamo un po' di vicedirigenti! Diamogliene un po'! Diamogli 14 milioni! Ma tutto ciò lo debbono sapere e lo debbono scrivere i blogger e i twitter, al maschile e al femminile. Qualcuno scriva queste cose.
Scrivano, per esempio, che abbiamo dato un colpo fortissimo al volontariato sociale, con l'articolo 4. Infatti, andate a vedere come il Terzo settore, tra poco, non parteciperà neanche alle sedute sul volontariato. Non vi parteciperà perché con il meccanismo dell'in house rischiamo di lasciarli a casa. Mentre non lasciamo a casa, molte volte, la cooperativa terribile che non funziona e lasciamo a casa invece le cooperative dove magari vi sono i disabili, i carcerati e una serie di nuove povertà.
Questo è un vulnus su cui invito il Governo a porre mano, in special modo ai commi 6, 7 e 8 che, in qualche modo, intervengono in merito. Si tratta di un provvedimento difficile, un provvedimento che noi avversiamo, un provvedimento che ha dato fortemente poche soddisfazioni anche ai lavoratori esodati. Dobbiamo ricordare questi nuovi poveri, perché di questo stiamo parlando: di nuovi poveri; Pag. 58mentre si continua a rincorrere le solite tipologie e le spese dei comuni sono fortissime per i cittadini extracomunitari. Oggi vi sono italiani per i quali vi è il balletto di cifre: sono 65 mila o 390 mila? Con il Ministro che si offende e ieri ha detto: ce l'hanno con me perché donna! Stia tranquilla, non ce l'hanno con lei perché donna, ma ce l'hanno con lei perché ha cambiato loro la vita. Sette anni! Lei ha ammazzato le nonne, perché una volta avevamo le nonne cui portavamo i nipoti, mentre adesso continuano a lavorare fino a settant'anni.
Non so in che condizioni vi potranno arrivare. In questo decreto-legge, all'articolo 22, abbiamo una delega al Governo per 65 mila unità. Oggi, se tutto va bene, 270 mila lavoratori potranno trovare una soluzione, ma rimane una città grande come Parma o come la provincia di Piacenza.
Signor Presidente, concludo ricordando una frase di Giuseppe Verdi, che è politico sbandierato ovunque, ma che è uomo molto pratico, che diceva quello che pensava, un uomo unitario ma critico. Mi scuso con la Presidenza per il termine, ma già all'epoca, il 16 giugno 1867, all'Arrivabene disse: «Cosa faranno i nostri uomini di Stato? Coglionerie sopra Coglionerie! Ci vuole altro che mettere delle imposte sul sale e sul macinato e rendere ancora più misera la condizione dei poveri. Quando i contadini non potranno più lavorare ed i padroni dei fondi non potranno, per troppe imposte, far più lavorare, allora moriremo tutti di fame. Cosa singolare! Quando l'Italia era divisa in tanti piccoli Stati, le finanze di tutti erano fiorenti! Ora che tutti siamo uniti, siamo rovinati». Togliete le imposte sul sale e sul macinato e metteteci l'IMU, metteteci le altre imposte e l'aumento dell'IRPEF. Togliete i contadini - ma lasciateceli, perché abbiamo aumentato anche loro - e metteteci gli artigiani, metteteci i piccoli imprenditori e troverete la fotografia del nostro tempo.

PRESIDENTE. Onorevole Polledri, non commento la citazione, non si può. Si possono scegliere anche diversamente le citazioni, però.
È iscritto a parlare l'onorevole Ciccanti. Ne ha facoltà.

AMEDEO CICCANTI. Signor Presidente, onorevole sottosegretario, onorevoli colleghi, il 30 aprile scorso il Ministro Giarda ha presentato al Consiglio dei ministri un rapporto per la revisione della spesa pubblica. In esso si evidenzia una crescita dei costi di produzione dei servizi pubblici senza un corrispondente livello di qualità e forti carenze nell'organizzazione del lavoro con ingiustificate differenze retributive non collegate ai risultati. Un'ulteriore criticità riscontrata sono gli elevati costi per l'acquisto di beni e servizi rispetto al settore privato.
Queste disfunzioni, inquadrate all'interno del Documento di economia e finanza del quale ho avuto l'onore di essere il relatore in quest'Aula, registrano nel quinquennio 2011-2015 una sostanziale stabilità di spesa sia per il personale e sia per i consumi intermedi, a fronte di una crescita di circa 6 miliardi di euro per le spese sanitarie che altera gli equilibri di bilancio.
Attenzione, queste dinamiche di spesa incrementano il debito pubblico che, invece, deve ridursi. Il Six pack, ossia i regolamenti comunitari sottoscritti dal Governo Berlusconi nel marzo 2011 e poi trasferiti nel Trattato europeo che va sotto il nome di fiscal compact, prevede che l'Italia dal 1o gennaio 2015 dovrà ridurre il proprio debito pubblico di un ventesimo del proprio PIL, ossia di una media pari a circa 30-40 miliardi di euro l'anno. Ciò significa mille miliardi di euro in vent'anni, posto che il debito ad oggi è di 2 mila miliardi.
È chiaro che ciò non si ottiene in una settimana, ma che fin da oggi dobbiamo cominciare a limare la prima fonte che alimenta il debito pubblico, cioè la spesa pubblica. Siamo ben consapevoli che il debito si alimenta con gli attuali alti tassi di interesse sui titoli di Stato, ma lo scudo anti spread, concordato nel Consiglio europeo del 28 e 29 giugno scorso, dovrebbe Pag. 59raffreddare la speculazione finanziaria sui nostri titoli di Stato. Siamo consapevoli che una parte della spesa è dovuta agli incentivi e ai fondi persi dati al sistema industriale, ma anche qui è già in atto un processo di revisione che il professor Giavazzi, a ciò incaricato dal Premier Monti, ha definito e sarà oggetto di valutazione delle Camere a settembre.
Siamo consapevoli che c'è una spesa che va sotto il nome di costi della politica, che riguarda partiti e sindacati e che può essere confusa con i costi della democrazia, ma anche in questo caso il professor Giuliano Amato, a ciò incaricato, ha definito una ricognizione per una proposta che sarà presentata il prossimo mese di settembre alle Camere. Siamo consapevoli che sui costi della politica molto è stato fatto per lo status dei parlamentari, allineandoli ai costi dei maggiori Paesi europei, degli amministratori locali, dell'editoria politica, ma sappiamo che molto c'è da fare e si farà.
Siamo consapevoli anche che il debito può essere ridotto con la vendita del patrimonio pubblico, soprattutto immobiliare, acquistato a debito a suo tempo, del quale però se ne può fare a meno perché non più utile ai fini istituzionali. Sappiamo, quindi, che non è solo immaginabile trasferire dalle tasche dello Stato alle tasche degli italiani mille miliardi di euro in vent'anni per adempiere agli impegni europei di ridurre il debito pubblico dall'attuale 120 per cento al 60 per cento del PIL, ma è anche immaginabile pensare ed ottenere che almeno 500 miliardi di euro potranno essere recuperati attraverso l'eliminazione di sprechi e spesa improduttiva, oltre alla vendita di immobili che costano e non rendono.
Attenzione, questa mission politica per i prossimi vent'anni non è solo perché c'è stata chiesta dalla Commissione europea, ma perché comunque avremmo dovuto farla sul piano etico e politico. Non è giusto, infatti, lasciare alle future generazioni, ai nostri figli e nipoti un debito così alto.
Compito dei politici e delle generazioni che si susseguono è di lasciare alla generazione che viene dopo, una società migliore di come l'hanno trovata. Lasciare debiti ai figli non mi sembra un grande regalo.
La riduzione del debito impegna la classe politica su tre scelte. La prima è l'eliminazione degli sprechi e qui siamo tutti d'accordo. La seconda è la riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni, rendendole più efficienti e meno costose. Vale il motto «spendere meglio per spendere meno», ma qui il discorso si fa più complicato perché bisogna vincere resistenze corporative e logiche conservative di interessi e culturali molto radicate. Però è quello che anche in questo decreto-legge si è cominciato a fare. La terza è ridurre l'intervento dello Stato nell'economia, come nel caso dei servizi pubblici statali e locali.
Questo disegno è più complesso. È iniziato con la nuova legge sulla golden share, dove l'Italia ha rinunziato a ritenere un'impresa strategica per gli interessi nazionali in base al controllo societario, ma tale valutazione può essere fatta caso per caso per tutte le aziende private nazionali. Lo Stato, quindi, ha già iniziato un arretramento strategico nell'economia, anche privilegiando il project financing come strumento di implementazione infrastrutturale in coerenza con la Strategia europea 2020, che prevede l'utilizzo dei project bond sulle grandi reti transeuropee. Lo Stato arretra anche quando esce dalla gestione della proprietà della rete SNAM come ha fatto con il decreto-legge «libera Italia» e come viene fatto con l'articolo 4 di questo decreto-legge n. 95 del 2012 con le società in house a partecipazione totalitaria pubblica e a totale committenza pubblica.
Scopo della riduzione della spesa pubblica però non è solo riduzione del debito pubblico, ossia una manovra meramente finanziaria. Ci sono altri due obiettivi. Il primo è il miglioramento dell'efficienza della pubblica amministrazione, che non diventa più un costo per l'economia italiana e un fattore di deterrenza per gli investimenti stranieri. Il secondo obiettivo è la riduzione della pressione fiscale. Oggi Pag. 60è al 46,5 per cento, ovvero il livello più alto raggiunto dal dopoguerra, che rappresenta un costo per lo sviluppo e determina l'attuale bassa crescita che dura da più di un decennio, dal momento che è ferma su una media dello 0,2 per cento nell'ultimo decennio.
Quindi, l'Italia dovrà marciare nel breve e medio periodo sul binario riduzione della spesa-riduzione della pressione fiscale, riduzione della spesa-riduzione del debito pubblico, perché debito e PIL sono un rapporto e, quindi, riducendo il primo e migliorando il secondo, si soddisfano i due parametri che renderanno meno sacrificale il prossimo futuro degli italiani. Definito lo scenario di riferimento, va focalizzato il perimetro entro il quale si muove la strategia del Governo Monti. Il perimetro della spesa aggredibile - secondo il Ministro Giarda - è quantificabile in circa 100 miliardi tra Stato, enti previdenziali ed enti territoriali. La spesa per beni e servizi dello Stato ed enti territoriali ammonta a 136 miliardi. Riorganizzando in termini di economie di scala attraverso i contratti CONSIP questa tipologia di spesa, è ipotizzabile ottenere un risparmio del 2-3 per cento annuo, pari a circa 4-5 miliardi l'anno.
Va detto che l'ultima gara CONSIP che ci ha trattenuto dell'esame del decreto-legge n. 52 del 2012 in quest'Aula su un miliardo e mezzo di affidamento, aveva ottenuto ribassi di media pari al 15 per cento per circa 321 milioni di economie. È un buon segnale e si sollecita il Governo, signor sottosegretario Polillo, attraverso lei, a rendere operativo con la firma delle convenzioni che non risulta ancora avvenuto e non si sa perché.
La revisione della spesa non è un'operazione illuministica che si risolve a tavolino, ma richiede una riconversione culturale del dipendente pubblico. Non è neanche un provvedimento di tagli. È un programma, un processo di miglioramento continuo delle performance gestionali in termini di costi e benefici.
L'analisi della spesa voce per voce, attraverso un controllo di gestione tra previsioni e risultati, è il presupposto indispensabile per raggiungere gli obiettivi politici previsti. Come il settore privato, in cui le aziende private hanno ridotto i costi di produzione di beni e servizi ricorrendo alle nuove tecnologie, così devono fare anche i segmenti operativi della pubblica amministrazione. Qualità, produttività, affidabilità, reingegnerizzazione dei processi e riduzione dei costi, senza tagliare prestazioni ancora attuali e utili al cittadino, sono gli ingredienti della sfida che abbiamo di fronte.
Bisogna creare valore nell'erogazione dei servizi, prefigurando il cittadino utente come cliente, ossia non un fastidio davanti allo sportello, ma una fonte di ricchezza nazionale. Questa cultura significa non organizzare la sanità per i medici, ma per i malati, la scuola non per i docenti, ma per gli studenti, gli uffici non per i dipendenti pubblici ma per i cittadini. Vi sono esperienze di revisione della spesa in atto, che stanno diventando buone pratiche da valutare ed imitare. Penso ad alcune esperienze maturate all'interno dell'INPS, del comune di Torino, del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, della provincia di Trento, ossia di un campione di enti a cui si può chiedere come, perché e con quali risultati.
La partita è cominciata. Dai tagli lineare ai tagli selettivi, ragionati, dove la medicina non ammazza il malato. È con questo spirito che oggi affrontiamo la discussione e il voto dei due decreti-legge, il n. 87 e il n. 95 del 2012. Essi vanno nella direzione di quell'orizzonte che ho descritto, così come in piena sintonia di intenti si è espresso anche l'ottimo relatore Nannicini, al quale esprimo e rinnovo i più convinti sentimenti di stima e gratitudine per l'ottima relazione.
Il decreto-legge n. 95 del 2012 realizza i tagli lineari del Governo Berlusconi, che hanno avuto un effetto cumulato sui tre anni di 200 miliardi di euro. Esso riduce la spesa per l'acquisto di beni e servizi attraverso la centralizzazione delle gare, migliora le procedure delle gare per la dismissione dei beni mobili attraverso la rete Internet, riduce le dotazioni organiche delle pubbliche amministrazioni, Stato, regioni Pag. 61ed enti locali, attraverso mobilità e pensionamenti nel caso di personale in soprannumero. Inoltre, si sciolgono o si privatizzano società in house che svolgono servizi per il 90 per cento del fatturato solo per la pubblica amministrazione, si riducono ulteriormente la auto di servizio, le cosiddette auto blu, e si riducono i buoni pasto per i dipendenti pubblici, uniformandone i prezzi e rendendoli effettivamente necessari. Si pone fine alla monetizzazione delle ferie, rendendole effettive anche per la Banca d'Italia.
Vi è poi l'accorpamento di enti, agenzie e organismi che esercitano funzioni fondamentali o funzioni amministrative per gli enti locali; la riduzione di due miliardi al Servizio sanitario nazionale, con l'introduzione di misure di risparmio per la spesa farmaceutica; infine, la ricetta medica non potrà più indicare il marchio del farmaco, ma solo il principio attivo della molecola. Finisce così la promozione, presso i medici, di farmaci da parte delle case farmaceutiche. La farmacia dovrà, poi, dare il farmaco a minor costo e con la stessa efficacia.
Su alcune misure, però, va detto qualcosa in più. Sono state aumentate le tasse universitarie agli studenti fuori corso, con particolare riguardo agli studenti lavoratori. Sono d'accordo su questa misura, perché premia il merito. Tuttavia, non condivido l'aumento delle tasse anche agli studenti in regola con il calendario degli esami, introdotto dal Governo con il maxiemendamento, ma senza l'avallo della Commissione bilancio del Senato e che saremo costretti ad approvare con il voto di fiducia. Questa azione - lo dico con amarezza - il Governo poteva evitarla. Forzature sui principi, al di là del merito che regolano i rapporti tra Parlamento e Governo, è bene evitarle.
L'altra questione è il taglio dei trasferimenti agli enti locali. Agli enti locali vengono tagliati, nel triennio 2012-2014, ben 7,6 miliardi di euro, mentre l'amministrazione centrale, lo Stato, taglia, nello stesso triennio, solo 4,4 miliardi di euro. Non va bene, non ci siamo! In primo luogo, i sacrifici delle pubbliche amministrazioni devono essere proporzionati. In secondo luogo, se un trattamento di favore vi deve essere, esso deve riguardare i comuni che erogano servizi più vicini al cittadino, a cominciare dai servizi sociali che sono cresciuti di importanza e di volume in una fase di grave crisi sociale.
Siccome ci saranno futuri interventi di riequilibrio di finanza pubblica, si dovrà ripristinare l'equità violata, signor sottosegretario.
Una riforma in particolare da esaltare è quella del riordino delle province. La determinazione dei requisiti minimi di superficie - 2.500 chilometri quadri - e di popolazione - 350 mila abitanti - cancella 64 province su 110, determinandone l'accorpamento.
Noi dell'Unione di Centro per il Terzo Polo eravamo per l'abrogazione, con la cancellazione dell'articolo 133 della Costituzione. Meglio così che niente, comunque, viste le resistenze ed i condizionamenti del Partito Democratico e del Popolo della Libertà, che abbiamo visto anche in quest'Aula.
Per quanto mi riguarda, questo accorpamento avrebbe dovuto essere più coraggioso, avrebbe dovuto essere di 500 mila abitanti, in un quadro di riforma costituzionale di macro regioni non inferiore a quattro o cinque milioni di abitanti. Non ha senso tenere in vita regioni al di sotto dei due milioni di abitanti, quando ci sono province con altrettanta popolazione. Troppa la burocrazia, troppi i costi della politica, troppi i costi di funzionamento, che il Paese non si può più permettere.
Le procedure di riordino delle province sono discutibili e potevano essere migliori: sono esposte a rischi di ricorso alla Corte Costituzionale. Quello che conta, comunque, è il dato politico generale rispetto agli aspetti particolari. Siamo soddisfatti per come si è composto il sistema di interventi a sostegno delle popolazioni terremotate dell'Emilia Romagna e a favore di 55 mila esodati, oltre ai 65 mila già previsti, ma tutti gli altri - si sa -, come ha detto il Ministro Fornero, non rimarranno fuori. Pag. 62Si poteva fare di più e meglio, ma con le condizioni finanziarie esistenti, si è dato il meglio che si poteva dare.
Sul decreto-legge n. 87 esprimiamo soddisfazione per due motivi. Il primo perché c'è un rafforzamento patrimoniale di SACE e SIMEST, attraverso l'acquisto di quote azionarie da parte della Cassa depositi e prestiti. Il secondo perché la SACE, che dà copertura finanziaria alle società italiane che operano all'estero e la SIMEST, che invece compartecipa alle iniziative imprenditoriali all'estero per la conquista di quote di mercato, complessivamente potenziano l'attivo della bilancia commerciale italiana.
La forza economica della Germania e della Cina è determinata dall'attivo dell'export rispetto all'import. Per il nostro Paese, il rafforzamento della competitività a livello globale è condizione di crescita e benessere delle future generazioni. Quindi, non c'è solo l'aspetto finanziario di una riduzione della spesa pubblica, ma anche quello di un rafforzamento degli asset competitivi del nostro Paese. Va sottolineato di questo decreto-legge anche l'incorporazione dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato nell'Agenzia delle dogane e l'incorporazione dell'Agenzia del territorio nell'Agenzia delle entrate. Si tratta di una semplificazione e razionalizzazione delle agenzie fiscali, già decisa dalle manovre estive del Governo Berlusconi. Posto che le funzioni di ciascuna agenzia rimangono intatte, non ho capito le valutazioni critiche della Lega Nord Padania e di qualche esponente del PdL espresse nella V Commissione (Bilancio), così come non capisco come la soppressione dell'Agenzia per lo sviluppo del settore ippico desti tanto scalpore, quando le risorse, le finanze e le funzioni esercitate, rimangono in vita attraverso un riparto di competenze tra la nuova Agenzia delle dogane e dei monopoli, che si occuperà di giochi e scommesse, ed il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali.
Non si può chiedere di ridurre la spesa pubblica e poi tenere in vita agenzie, enti, società e carrozzoni vari a carico del contribuente, lamentandosi, nel contempo, che si è gravati dalle tasse. Qualche collega in cerca di fortune elettorali deve mettersi in pace con la coerenza tra desideri e mezzi. Perplessità desta il salvataggio del Monte dei Paschi di Siena. L'opinione pubblica si interroga non tanto sul salvataggio - perché a pagare sarebbero centinaia di imprese e risparmiatori, se l'istituto fallisse - quanto per le responsabilità di gestione che ne hanno determinato la crisi.
A tutti è rimasto impresso il servizio di Report sull'operazione discutibile tra Monte dei Paschi di Siena e la banca Santander, relativa all'operazione di acquisto e vendita della Banca Antonveneta. È vero che le procedure di patrimonializzazione delle banche europee stabilite dall'EBA sono forse la causa del dissesto del Monte dei Paschi di Siena, ma a tali regole sono riuscite a sottostare tutte le banche italiane, rafforzando così il loro profilo di solidità, sicurezza, solvibilità.
Credo che faccia bene lo Stato a salvare il Monte dei Paschi di Siena con un'operazione che costa ben 3 miliardi e mezzo, e ha fatto bene il Senato a chiedere limiti e condizionamenti ai benefici di amministratori e dirigenti, però qualche azione di responsabilità sugli errori passati andrebbe sollecitata e la sollecito al Governo con questo intervento, per quanto possa pesare e condizionare. Spero che si sollevi la protesta degli azionisti e dei risparmiatori contro chi ha sbagliato senza pagare pegno.
Concludo l'esame del decreto-legge con alcune considerazioni di carattere generale sulle dismissioni immobiliari alla luce delle considerazioni iniziali. L'Italia ha un patrimonio pubblico di valore inestimabile, palazzi storici, opere d'arte, uffici, scuole, caserme, ospedali, terreni, aree ferroviarie, portuali e aeroportuali. Dobbiamo capire quello che serve ancora e quello che è inutilizzato ed inutilizzabile e se è il caso di dismettere alcuni beni ed altri valorizzarli per ribaltare il rapporto costi-benefici.
Il decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, con l'articolo 58, aveva provato a definire Pag. 63un piano delle alienazioni che la Corte costituzionale ha ritenuto lesivo delle prerogative regionali in materia di gestione del territorio; si tratta di mettere insieme strategie comuni tra Stato ed enti locali, che sappiano quantizzare in termini finanziari immediatamente le operazioni di dismissione in quanto valutabili ai fini delle poste di bilancio computate nei saldi di finanza pubblica.
Dalla ricognizione del patrimonio immobiliare di proprietà e in locazione, sono state rilevate oltre 543 mila unità immobiliari di proprietà dello Stato e 776 mila terreni per oltre 13 miliardi di metri quadri; secondo il Ministero dell'economia e delle finanze di questo patrimonio sarebbe dismissibile solo il 40 per cento. La destinazione d'uso delle unità immobiliari è per il 72 per cento per attività istituzionali e per il 10 per cento per uso abitazione; sia l'uso abitazione sia il 28 per cento delle unità immobiliari è pertanto da mettere sul mercato.
La stima del Ministero dell'economia e delle finanze delle unità immobiliari oscilla tra 239 e 319 miliardi, mentre per i terreni oscilla tra 11 e 49 miliardi. Si tratta di metterci mano prima possibile, l'Agenzia del demanio si sta già muovendo in questa direzione, incontrando il sistema delle autonomie locali e delle organizzazioni imprenditoriali per definire procedure e limiti nelle attività di dismissione, che sappiano coniugarsi con l'economia e gli assetti urbanistici e con gli attuali mercati finanziari che soffrono il ristagno degli investimenti immobiliari. Da una parte non si può svendere e dall'altra non si può sostenere il peso dei costi di immobili inutili; l'urgenza di collocare sul mercato 15 miliardi di beni pubblici nel triennio 2012-2014 programmati dal Governo Berlusconi, e recepiti da questo Governo per garantire il pareggio di bilancio, deve trovare subito, da parte del Ministro Grilli, già nel prossimo mese di settembre, una strategia realizzativa al fine di evitare la svendita di altri asset mobiliari in una fase di crisi della Borsa, ovvero di speculazione da parte dei fondi sovrani stranieri.
Le aste on line per velocizzare le dismissioni di proprietà immobiliari e dei terreni in lingua inglese e tedesca, per attrarre investitori stranieri, ci fa piacere da una parte, ma ci preoccupa dall'altra, perché ciò avviene in una logica meramente di profitto di Stato e non di valorizzazione urbana o ambientale. 500 miliardi di asset di patrimonio immobiliare pubblico, tra quello dello Stato e quello degli enti locali, sono un'opportunità da considerare con grande impegno e oculatezza, soprattutto se l'alibi del tempo consiglia scorciatoie sul piano della trasparenza e dell'imparzialità.
Dobbiamo fare in fretta e stare con gli occhi aperti, la ripresa autunnale è decisiva per sviluppare il secondo tempo della prima fase da destinare alla crescita. L'impegno dell'Unione di Centro per il Terzo Polo è arrivare al 2013 avendo fatto bene i compiti che la situazione richiede, e per questo siamo soddisfatti dell'azione fin qui compiuta dal Governo Monti, che sosteniamo con convinzione, anche se, come tutte le cose, potrebbe essere realizzata meglio.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Duilio. Ne ha facoltà.

LINO DUILIO. Signor Presidente, intervengo anche io quasi alla conclusione di questa discussione nella quale sostanzialmente è stato detto tutto, per cui cercherò di essere sintetico, peraltro riagganciandomi ad alcune considerazioni che avevo svolto circa un mese fa, alla fine di giugno, allorquando abbiamo esaminato il primo decreto-legge n. 52 del 7 maggio 2012, laddove si cominciava ad entrare nel merito della razionalizzazione della spesa, attraverso quelle che costituivano il titolo di quel decreto-legge, cioè disposizioni urgenti per la razionalizzazione della spesa. Questo processo sarà lungo, complicato e delicato e dovrebbe rappresentare un punto di svolta e un'inversione di tendenza rispetto ad una situazione che ha visto nel nostro Paese, diciamolo in metafora, la spesa, in particolare quella primaria, all'interno di quello che sembra essere diventato Pag. 64un mostro ingovernabile, cioè la spesa pubblica, continuare a correre, mentre la parte delle entrate ha continuato a rincorrere la spesa, arrivando ad una tassazione complessiva elevatissima, ormai insostenibile, che costituisce un grande problema per il nostro Paese. Parlo evidentemente della pressione fiscale, il cui livello elevato ormai richiede che ci si adoperi tutti per abbassarlo e che impegna tutti, in presenza di un volume di spesa così rilevante e di un debito pubblico così mastodontico, come quello che abbiamo nel nostro Paese, sia a livello intellettuale che a livello pratico, ad esercitarci con pax construens per cercare di capire come possiamo concretamente abbassare il livello di spesa, razionalizzarla, spendere meno e, come dirò tra un attimo, spendere meglio, perché, come è stato detto in modo autorevole, spendere meglio significa anche spendere meno. Tutto questo evidentemente lo facciamo non solo per esprimere buone intenzioni, come sappiamo, ma anche perché siamo all'interno di una crisi internazionale che non ha precedenti e siamo all'interno di un'agenda, che ci è stata scritta e prescritta dall'Unione europea, con l'indicazione di una serie di compiti a casa che dobbiamo svolgere, tra i quali c'è anche quello di agire sul versante della spesa per razionalizzarla e per diminuirne l'entità, al fine di reperire risorse che si possano utilizzare per incrementare il volume degli investimenti. Ciò anche in considerazione del fatto che sempre in quell'agenda c'è scritto, come sappiamo, che dobbiamo perseguire e conseguire il pareggio di bilancio e, dunque, che le classiche e tradizionali politiche keynesiane di deficit spending non sono più utilizzabili, quanto meno non sono utilizzabili come prima per favorire il discorso della crescita. Dentro questo quadro esaminiamo adesso questo provvedimento, di nuovo un decreto-legge, il n. 95 del 2012, il cui contenuto è stato brillantemente illustrato dal collega Nannicini, per cui non mi soffermerò sui punti che ne costituiscono la consistenza. È un provvedimento che ha una portata finanziaria anche significativa, come è scritto in quella relazione. Vorrei ricordare qualche dato che riprendo dal Senato: è una consistenza che vede in questo provvedimento la destinazione principale dei risparmi di spesa, che sono conseguiti con 3,28 miliardi di euro nel 2012, 6,56 miliardi di euro nel 2013, 9,84 miliardi di euro nel 2014 per evitare l'aumento dell'IVA, che era stato programmato lo scorso anno nel decreto-legge n. 98 del 2011, che adesso viene rimandato, grazie ai risparmi di spesa che sono contenuti in questo provvedimento, al secondo semestre dell'anno prossimo. Oltre a queste destinazioni e a questa consistenza, in questo provvedimento troviamo poi - è stato anche questo ricordato da alcuni colleghi - 2 miliardi di euro per il biennio 2013-2014 per affrontare le problematiche del terremoto in Emilia Romagna, un miliardo e mezzo di euro complessivi per le missioni di pace e per l'emergenza umanitaria e 190 milioni di euro per gli esodati, perché ai 65 mila se ne aggiungono adesso 55 mila, numero che non esaurisce la problematica, ma che comunque rappresenta un passo in avanti rispetto alla situazione preesistente.
Vi sono, poi, circa 800 milioni di euro per altri interventi ritenuti indifferibili. Quindi, stiamo parlando di un provvedimento di peso, di una certa consistenza, anche finanziaria, che, però, presenta anche qualche problema, delle luci e delle ombre, per essere obiettivi. Lo dico all'indirizzo del Governo, perché credo che si tratti di notazioni di cui si debba tenere conto per il futuro.
Una prima notazione la definirei di carattere estetico-istituzionale, evidentemente. Mi riferisco alla qualità del legiferare che caratterizza questo decreto e che, in verità, ha caratterizzato anche i precedenti decreti-legge. Parlo di una qualità che lascia piuttosto a desiderare, non solo per quanto riguarda la chiarezza del linguaggio, ma anche per il contenuto del decreto stesso, che, di fatto, non tiene in alcun conto la sentenza n. 22 del febbraio scorso della Corte costituzionale, che ha invitato, anzi, ha sentenziato che i decreti-legge non debbano essere eterogenei e non Pag. 65debbano contenere elementi estranei a quello che è l'oggetto del decreto-legge.
Pur trattandosi, in questo caso, di un decreto-legge che ha un titolo genericissimo, perché reca disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini, vi sono alcune cose per cui, anche con la mano di Dio, se uno è credente, si fa fatica a capire come mai siano finite in questo decreto-legge, tanto è vero che il Comitato per la legislazione invita ad espungerle dal decreto.
Mi riferisco alla proroga del commissario straordinario dell'Aero Club d'Italia, al fine di adeguare lo statuto dell'Aero Club ai principi in materia sportiva, così come all'articolo 23, laddove si parla di disposizioni di carattere finanziario relativamente a finalizzazioni dei risparmi di spesa; ci si mette dentro una serie di cose, dalla gestione liquidatoria del Policlinico Umberto I di Roma all'intervento per quanto attiene a problematiche dell'isola di Lampedusa e così via.
Questa cosa ci tenevo a dirla perché credo che il rigore anche estetico-istituzionale nella produzione dell'attività di normazione sia qualcosa che è dovuto da parte di chi scrive i testi e anche di chi li approva. Noi adesso ci troviamo a commentare questo testo perché il Parlamento sta esercitando una funzione fondamentalmente di ratifica dei decreti, allorché si pone la questione di fiducia.
Questo diventa scontato, però non è il caso di ignorare questo dato di carattere qualitativo, perché, fra le altre esigenze che il nostro sistema ha, vi è anche quella di avere una buona legislazione, che sia chiara, comprensibile, intellegibile e non eccessivamente eterogenea.
Il Governo, anche il Governo dei professori, forse addirittura più dei Governi precedenti, sta continuando in questa pratica, nonostante la sentenza della Corte costituzionale, emanando decreti-legge i cui contenuti sono assolutamente eterogenei e che spesso contengono elementi che, alla luce anche della recente sentenza della Corte che richiamavo, dovrebbero essere espunti.
La seconda considerazione che vorrei fare è di carattere più politico e la liquido telegraficamente: riguarda il ruolo del Parlamento, che è un poco annichilito, perché siamo qui a celebrare tutti questa pratica di un assecondamento della decretazione d'urgenza, che, soprattutto con la questione di fiducia, non consente al Parlamento di esercitare bene la sua funzione.
Abbiamo ormai questa sorta di monocameralismo alternato, per cui, quando un decreto-legge viene approvato da un ramo del Parlamento, l'altro ramo, fondamentalmente, ne prende atto. Succede a noi oggi con il provvedimento sulla spending review, sta succedendo al Senato con il decreto-legge che abbiamo approvato alla Camera sullo sviluppo.
Ebbene, penso che sia il caso, almeno, di lasciare agli atti che noi dovremmo riflettere su come superare questa situazione, perché il Parlamento, certo, non deve essere considerato come un inciampo o un ingombro, perché io credo, e non solo io, che sia comunque utile il lavoro che il Parlamento svolge. Chi la pensa in modo diverso, evidentemente, ha in testa principi che considero poco democratici.
In ogni caso, a prescindere da questa discussione, credo che, a partire dal prossimo provvedimento e sicuramente a partire dalla prossima legislatura, si dovrà intervenire per evitare che si continui con questa prassi che, oramai, vede trasferire, di fatto e surrettiziamente, il potere legislativo all'Esecutivo e il Parlamento ratificare ciò che fa l'Esecutivo stesso. Certo, questo avviene in nome del «fare», dell'urgenza del «fare» e così via, ma è una situazione che credo, per chi ama la democrazia e i processi democratici, non può durare in eterno.
Detto questo, veniamo al merito del provvedimento in esame, rapidamente. Come dicevo in precedenza, si tratta di un commento che svolgiamo, perché non possiamo che commentare, visto che non possiamo modificare nulla. Un primo commento positivo ha a che fare con la filosofia di approccio del decreto-legge in esame che, finalmente, interviene sul versante della spesa e non più su quello delle Pag. 66entrate. Intervenire sul versante della spesa, con questa attività di revisione della spesa stessa, come dicevo all'inizio, è un'operazione complicata, delicata, che sarà di lungo periodo perché inerisce a profili di quantità della spesa che bisogna ridurre, ma anche a profili di qualità, perché bisogna distinguere tra la spesa buona e la spesa cattiva, tra le spese utili e le spese inutili. Quindi, inerisce anche ad un profilo di efficienza e di efficacia della spesa perché non è vero che tutto ciò che è spesa è spreco, concetto che sta passando nel nostro Paese.
Questo lavoro quantitativo e qualitativo, però, si potrà fare spendendo meglio per spendere meno - come accennavo poc'anzi -, distinguendo tra spese utili e spese inutili, andando oltre la logica dei tagli lineari - come abbiamo già detto -, ma andando anche oltre una pratica che si chiama revisione di spesa, ma somiglia un po', in molti casi, a quella dei tagli lineari perché si procede senza un lavoro minuzioso, certosino, che intervenga dentro la realtà e stabilisca dove si deve intervenire per eliminare la spesa e dove invece non si deve intervenire.
Anzi, in alcuni casi bisogna forse addirittura aumentare la spesa. Potrei citare l'esempio dell'Inghilterra dove il Governo ha dato vita ad una spending review riducendo per dieci missioni istituzionali la spesa e aumentandola nel caso della sanità, proprio perché la spending review portava a ridurre - nella maggior parte dei casi, ma in un caso anche ad aumentare - la spesa. Noi dovremmo porci in questa condizione, dovremmo arrivare ad una situazione del genere.
Per fare questo, evidentemente, abbiamo bisogno di tempo e di misure, peraltro, in progress. Infatti, già si annuncia la presentazione di un altro decreto-legge alla ripresa dei lavori parlamentari, in settembre, che dovrebbe fare riferimento ai costi e ai fabbisogni standard perché dobbiamo intervenire per evitare che per le stesse prestazioni vi siano spese molto diverse nella realtà e nella geografia del nostro Paese.
Abbiamo bisogno di utilizzare al meglio gli strumenti di bilancio. L'altro giorno, in Commissione bilancio, abbiamo svolto un'audizione sul rendiconto. Dobbiamo valorizzare il bilancio intervenendo ex post per vedere che cosa è successo. Abbiamo bisogno di coinvolgere le amministrazioni anche in Parlamento. Dovremmo arrivare a chiamare i responsabili dei programmi di spesa a rendere conto e per dirci non solo che hanno speso la somma stanziata, ma anche come l'hanno spesa, quali effetti si sono determinati, quali conseguenze ne hanno tratto, in modo da porre il Parlamento nella condizione di poter decidere se rifinanziare quella spesa o no. Bene, tutto questo avverrà.
Mi limito a concludere il mio intervento con una lamentazione su un aspetto del decreto-legge in esame che riguarda i tagli e la riduzione di spesa che intervengono in materia di amministrazioni centrali e locali. Gli enti locali risentono più delle amministrazioni centrali dei tagli stessi. Ho studiato la relazione esposta al Senato perché, di fatto, non potevamo che commentarla. Si evidenzia come le amministrazioni locali hanno una riduzione dell'1,4 per cento quest'anno, del 3 per cento l'anno prossimo e del 3,2 per cento nel 2014, mentre le amministrazioni centrali dello 0,6 per cento quest'anno, dell'1,8 per cento nel 2013 e del 2 per cento nel 2014. Quasi la metà di quello che si taglia a livello degli enti locali.
Questa soluzione non va bene: bisogna ripristinare un equilibrio nei tagli tra amministrazioni centrali e amministrazioni locali, perché le amministrazioni locali sono già in una condizione di estrema difficoltà.
Un punto a favore - e mi avvio alla conclusione, signor Presidente - del lavoro che è stato fatto, sempre sul decreto, riguarda la ricerca. Sulla ricerca si è intervenuti e si è migliorata la situazione, nel senso che, rispetto a ciò che era originariamente previsto nel decreto, si sono incrementate le risorse o meglio, se si preferisce, detto più correttamente, si è relativizzata la diminuzione di stanziamenti all'interno di una situazione che ci Pag. 67vede in difficoltà anche sul fronte comunitario. Infatti, la percentuale di risorse del PIL destinate alla ricerca è troppo bassa, anche rispetto all'obiettivo del 2020. In questo caso, per così dire, si è operato bene in Parlamento, a conferma di quanto dicevo prima circa il fatto che il lavoro parlamentare è utile.
Concludo, signor Presidente, con un giudizio complessivamente positivo rispetto ad un provvedimento, un decreto, che presenta delle luci e delle ombre. Le luci superano, tuttavia, le ombre rispetto al contenuto che analiticamente è stato illustrato. Si tratta di un lavoro lungo, come dicevo, meticoloso, ma fondamentale, che, se sarà perseguito con cocciutaggine, con coerenza e in modo illuminato - mi permetto di dire - potrà portare a risparmiare molte risorse, a recuperarne altre da mettere al servizio dello sviluppo del nostro Paese, ma anche a presentare un volto dello Stato - che pure è il volto della politica nei riguardi del cittadino - che sarà più amico.
Questo, evidentemente, potrà migliorare la nostra democrazia ed anche il livello di unità del nostro Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole D'Amico. Ne ha facoltà.

CLAUDIO D'AMICO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor rappresentante del Governo, oggi siamo riuniti per una discussione sulle linee generali di un provvedimento di grandissima importanza, che riveste quasi le caratteristiche di una finanziaria, una mini finanziaria.
Devo dire che oggi si sta aprendo un'ulteriore pagina nera per il nostro Parlamento e per la democrazia di questo Paese e non tanto perché, come ormai di norma, i ministri non partecipano a queste sedute della Camera. Infatti anche oggi non sono in Aula né il Presidente del Consiglio dei ministri, né il Ministro dell'economia e delle finanze, che almeno fu presente per la discussione sul Meccanismo europeo di stabilità, ma non oggi. Questo dispiace, perché dà la dimostrazione di un Governo che è sempre più slegato dai rappresentanti del popolo - e, quindi, dal popolo - di un Governo che non tiene conto delle prerogative costituzionali del Parlamento, di un Governo che continua su un'azione che poi esamineremo, anche in base a quello che è stato detto dagli oratori precedenti, da molti oratori precedenti, e appena prima di me, dall'onorevole Duilio, il quale ha rimarcato alcuni aspetti, che io desidero sottolineare anche nel mio intervento, proprio sulla mancanza della centralità del Parlamento.
Un Governo, quindi, che continua su questa linea, è un Governo che si dimentica alcune cose. Forse bisogna ricordarle, per questo inizierò leggendo alcuni articoli della nostra Costituzione, signori rappresentanti del Governo.
C'è l'articolo 70 della Costituzione: «La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere». E poi «Ogni disegno di legge,» - è l'articolo 72 - «presentato ad una Camera è, secondo le norme del suo regolamento, esaminato da una commissione e poi dalla Camera stessa, che l'approva articolo per articolo e con votazione finale (...)».
E poi c'è l'articolo 77 che dice: «Quando, in casi straordinari di necessità e d'urgenza, il Governo adotta, sotto la sua responsabilità, provvedimenti provvisori con forza di legge, deve il giorno stesso presentarli per la conversione alle Camere». Questi tre articoli li ho voluti rileggere perché penso che il Governo se li sia completamente dimenticati. Perché? Partiamo dall'ultimo articolo secondo cui il Governo può adottare dei provvedimenti legislativi che devono essere poi ratificati dalle Camere entro 60 giorni, ma solo in casi straordinari di necessità e d'urgenza. Quindi, signori, forse dobbiamo rivedere quello che ha fatto il Governo nei sette mesi o poco più che è stato in carica: praticamente per il 95 per cento i provvedimenti che sono stati approvati in questi mesi sono provvedimenti di conversione di decreti-legge. Ormai il Governo ha l'abitudine di utilizzare uno strumento previsto dalla Costituzione solo per casi di estrema Pag. 68urgenza e quindi ha fatto diventare un caso particolare il metodo legislativo ordinario. Ma non doveva essere così. Non solo, l'articolo 70 afferma che la funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere, anche questo articolo è stato disatteso completamente, perché noi abbiamo avuto una prassi, anche qui sconcertante, che si esplicita in un modo disastroso e dirompente con la conversione di questo decreto-legge, che ci fa discutere per quel poco che si può discutere nelle Commissioni ed eventualmente esaminare qualche emendamento, che poi viene magari in parte recepito solo in una delle due Camere. Per l'approvazione di questo decreto-legge il Senato ha avuto, in modo molto limitato, la possibilità in sede di Commissione di approvare, verificare ed esaminare qualche emendamento, di apportare qualche modifica e qualche miglioramento ad un provvedimento che contiene un sacco di cose negative e un sacco di errori. Il Senato lo ha potuto fare, lo ripeto, in modo molto limitato, solo in sede di Commissione, perché poi è stata posta la questione di fiducia e quindi si è tagliato il dibattito in Aula e non si è votato più nulla, si è andati con un testo chiuso. Ma almeno il Senato ha avuto una minima possibilità di agire e di fare in modo che l'opera di un Governo che non è stato eletto da nessuno passasse al vaglio reale del Parlamento, la sede dove siedono i rappresentanti del popolo. Alla Camera questo non è stato permesso e quindi qui è stato anche disatteso l'articolo 72 - formalmente è stato rispettato, ma nei fatti è stato disatteso - secondo cui ogni disegno di legge presentato alla Camera è esaminato da una Commissione e poi dalla Camera stessa che l'approva articolo per articolo e con votazione finale. Quindi noi in sede di Commissione abbiamo potuto in una giornata unica esaminare questo provvedimento che ha un fascicolo di centinaia di pagine con schede di lettura che sono di altre centinaia e centinaia di pagine. Il lavoro dei commissari della V Commissione (Bilancio) si è concentrato in una sola giornata, praticamente senza poter esaminare nessun emendamento. Da parte del gruppo della Lega Nord non c'era stato un atteggiamento ostruzionistico, anzi, ci siamo proposti addirittura di limitarci ad una sola proposta emendativa, quella sugli esodati: noi chiedevamo, invece di buttar via soldi ancora a chi li sperpera, per Roma Capitale, di sistemare un po' di pasticci fatti sempre da questo Governo sugli esodati.
Niente, neanche questo ci è stato permesso, quindi la Camera non ha potuto esaminare il decreto sulla revisione della spesa. Noi non abbiamo rispettato, non stiamo rispettando quello che prevedono gli articoli della Costituzione. Lo stiamo facendo informalmente ma neanche tanto, perché, si, ci sarà un voto di questa Camera, ma ci sarà un voto di fiducia su un testo arrivato dal Senato blindato sul quale non abbiamo neanche potuto presentare emendamenti e farceli bocciare dalla maggioranza, come si è sempre fatto: si esaminano gli emendamenti, la maggioranza se ha i numeri boccia quelli dell'opposizione, approva i suoi, e se c'è qualcosa sulla quale ci si mette d'accordo la si può approvare tutti assieme. In questo caso nulla, c'è stato solo un attacco violento alle prerogative del Parlamento È un attacco ancora più grave perché mentre nel Paese c'è un sentimento di antipolitica, probabilmente con qualcuno che ci soffia su (qualcuno fuori dal Parlamento in questo momento soffia sul Parlamento in continuazione), il Governo si comporta allo stesso modo, non considera il Parlamento.
Ma perché questo? Perché noi ci troviamo - e dobbiamo ribadirlo - di fronte a un Governo non politico, un Governo non voluto dai cittadini di questo Paese, un Governo di tecnocrati che forse è un miscuglio di tecnici e burocrati dei Ministeri che sta causando danni enormi. Un Governo di tecnocrati che ha affrontato la difficoltà economica con provvedimenti che ci stanno facendo sprofondare ancora di più rispetto a dove eravamo. Perché come abbiamo visto da quando questo Governo si è insediato ad oggi nulla è migliorato, anzi la situazione economica è peggiorata, perché siamo entrati in un Pag. 69periodo di recessione, lo spread che adesso è diventato tanto popolare non è migliorato, ma sono migliorate forse le condizioni di alcune banche europee, non certo dei cittadini che subiscono una crisi molto forte. Migliaia e migliaia di cittadini italiani, non solo padani, italiani di tutte le parti della penisola, perdono il lavoro e di fronte a questo il Governo non sta facendo nulla, anzi sta facendo - lo vediamo in questi giorni - dei provvedimenti sconsiderati, folli per un Governo tecnocrate (che non è voluto da nessuno) di regolarizzazione di centinaia di migliaia di immigrati, mentre si stanno prendendo gli ultimi averi dalle tasche dei cittadini.
Vi faccio solo l'esempio del comune di Cassina de' Pecchi in provincia di Milano dove sono sindaco (lo posso fare perché lo conosco bene): su 13 mila abitanti 930 cittadini sono stati licenziati da dicembre ad oggi. Di fronte a questo il Governo cosa fa? Vuole regolarizzare centinaia e centinaia di immigrati che non so cosa dovrebbero fare qui visto che sono i nostri che perdono il lavoro, e con la spending review invece di fare i veri tagli dove ci sono gli sperperi si va a fare qualcosa che sulla carta potrebbe sembrare un taglio, ma in effetti non lo è. In più si danno soldi per l'emergenza in nord Africa, e quindi ancora questa idea di dover aiutare tutto il mondo quando invece dovremmo essere aiutati noi, quindi forse sarebbe ora di dire: pensiamo a casa nostra, pensiamo prima ai nostri cittadini prima di pensare agli altri; pensiamo ai nostri cittadini che hanno bisogno di lavorare; pensiamo ai nostri commercianti che hanno bisogno di lavorare. Oggi sono uscite delle statistiche, signor rappresentante del Governo, su quanto gli stranieri inviano nei Paesi di origine: inviano miliardi di euro (solo in provincia di Milano è un miliardo e mezzo di euro all'anno) che escono in rimesse dei cittadini stranieri che vivono in questo Paese. Sa cosa vuol dire, signor sottosegretario? Che era qui che bisognava andare a toccare, è qui che bisognava vietare che questi soldi vadano all'estero.
Questi soldi devono essere investiti sul nostro territorio, perché se quel miliardo e mezzo di euro fosse investito a Milano, in Lombardia, se quel miliardo e mezzo di soldi - che sono soldi di persone straniere che lavorano qui, ricevono uno stipendio e lo mandano in un altro Paese, a sostenere un altro Paese, mentre ne abbiamo bisogno noi - fosse reinvestito nelle attività commerciali, andando ad acquistare qualcosa, e rimesso in circolo nel nostro territorio, sarebbe un enorme volano per la ripresa economica. Ma, anche in questo caso, non si è andati a toccare questo sistema, anzi, con uno dei provvedimenti precedenti, è stata tolta quella minima tassa che avevamo messo sui money transfer.
Dunque, di fronte a questi grossi problemi, il Governo cosa fa? Dice: devo tagliare la spesa, voglio ridurre le nostre spese. Allora, approva una prima spending review, una prima parte - atto uno -, in cui si individua un comitato ministeriale che deve cercare di affrontare il tema e un super commissario. In quella parte, già lì, avevamo detto che, probabilmente, ciò si poteva fare senza spendere niente, perché il commissario poteva essere uno degli stessi Ministri o dei sottosegretari e, quindi, si poteva anche non dover pagare una nuova persona. Qui si fanno provvedimenti di tagli alla spesa che poi non lo sono, perché ci sono, invece, nuove spese, come nel provvedimento di oggi.
Quindi, quella fu una prima parte, una parte interlocutoria, che istituiva solo questi soggetti, più un'aggiunta fatta dai tecnocrati. Infatti, in tutti questi provvedimenti - poi arriveremo a quello di oggi -, il connubio tecnici-burocrati è dirompente, ma dirompente in senso negativo. Troppo spesso, accade - e lo vediamo in ciò che viene scritto in questi tomi enormi che ci arrivano e abbiamo solo poche ore per leggerli (però li vediamo lo stesso, state tranquilli, li vediamo e sottolineiamo le cose) -, e ci rendiamo conto che i tecnici, probabilmente, hanno idee generali, perché sono professori, perché fanno ragionamenti molto ampi, e poi chiedono ai burocrati dei Ministeri di applicarle.
Ma tra il dire e il fare c'è di mezzo il burocrate, perché il burocrate mantiene la Pag. 70burocrazia, anzi, mantiene lo sperpero. Infatti, uno dei problemi di questo Paese è stato lo sperpero di denaro causato dall'enorme burocrazia romana - e noi della Lega l'abbiamo sempre sottolineato -, l'enorme burocrazia dei Ministeri, che si autoincensa e si automantiene in ogni provvedimento. E si trovano tantissimi esempi di questo in tutto ciò che ha fatto il Governo in questi mesi: cioè, il via libera ai burocrati, che hanno inserito norme, normine e normette che non sono sicuramente frutto dei tecnici di Governo, ma probabilmente, della loro inesperienza politica. Infatti, quando si ha un cavallo molto sveglio, se il cavallerizzo non è esperto, il cavallo va dove vuole lui. Ed è quello che sta succedendo con questo Governo, un Governo di tecnici non politici, che non sono esperti nel mandare avanti questa macchina burocratica che hanno sotto.
Questo è uno dei problemi che ci troviamo ad affrontare, questo è un problema che il Paese sta affrontando, proprio perché, poi, i provvedimenti che vengono presi sono provvedimenti che al loro interno, a volte, fanno il contrario di quello che dicono. Per fare un esempio, arriviamo alla seconda spending review, che è questa, quella che doveva tagliare tutto, fare risparmi di spesa, permettere di diminuire il debito. Qui non si diminuisce nessun debito, perché si riduce solo un po' l'aumento di spesa: se la previsione di aumento della spesa era 10, adesso si arriverà a 5, forse. Quindi, qui si diminuisce un po' l'aumento della spesa, non si va certo a sanare il debito, che - lo ricordo - è stato aumentato, e sarà aumentato da questo Governo, non diminuito. Infatti, la scorsa settimana, abbiamo esaminato i trattati internazionali sulla riduzione del debito pubblico e il fiscal compact, che ha passato all'Europa una parte della nostra potestà nel settore economico e ha stabilito che l'Italia deve ridurre, ogni anno, del 2 per cento il proprio debito.
Ebbene, nello stesso momento si è approvata la seconda ratifica, quella che istituisce il meccanismo europeo di stabilità, questo ectoplasma con sede a Lussemburgo creato da persone che saranno nominate, che saranno inviolabili, e non solo loro, ma anche tutti quelli che lavoreranno per loro, che avranno un'inviolabilità dei loro uffici e di tutto, perché non potranno essere arrestate e inquisite per niente. Quindi, si è creato questo olimpo di persone alle quali noi dovremo dare 125 miliardi di euro, di cui 12,5 quest'anno. Ma in che modo? Facendo debito, perché questo era scritto, e lo devo ribadire, perché è giusto dire queste cose. Si provvederà facendo debito e istituzionalizzandolo, come ormai si è istituzionalizzato che il Parlamento non abbia più alcuna voce in capitolo e debba solo ratificare in modo molto asettico tutto quello che viene dal Governo. Nel caso citato si è istituzionalizzato anche il falso in bilancio, perché si dice che è vero che con il fiscal compact dobbiamo ridurre del 2 per cento all'anno il rapporto debito/PIL, però, dall'altra parte copriamo i 125 miliardi di euro - di cui 12,5 adesso - emettendo nuovi titoli. Ma come facciamo? Facciamo che il nuovo debito per il meccanismo non venga contabilizzato, e quindi abbiamo istituzionalizzato il falso in bilancio. Questo è un altro provvedimento di questo Governo che ci lascia stupefatti!
Arrivando al provvedimento in esame, esso è il secondo di revisione della spesa. Non chiamiamolo di spending review, perché essendo un termine inglese sembra più importante, invece no. Chiamiamolo di revisione della spesa, anche se non è una revisione della spesa, perché per tanti versi essa è solo fittizia, come per i dipendenti pubblici. Infatti, si dice - e lo ribadisco, anche se lo hanno già sottolineato dei miei colleghi della Lega Nord - che il taglio viene fatto dalla pianta organica, ma come tutti sapete le piante organiche, in questi anni, sono sempre superiori al numero effettivo dei dipendenti. Quindi, alla fine non si taglia niente. Non solo, si fa credere che vi saranno dei tagli, ma in effetti si aumentano i costi, o almeno si mantengono le stesse spese di prima. Infatti, mentre la spending review veniva approvata al Senato, ci è arrivata la bozza di Pag. 71decreto del Presidente della Repubblica di riordino degli uffici di diretta collaborazione del Ministro dell'ambiente e, un mese fa, era arrivata quella di riordino degli uffici di diretta collaborazione del Ministro della salute, le quali non sono assolutamente in linea con una revisione della spesa, anzi, hanno riorganizzato i loro uffici di diretta collaborazione, cioè quelli che in parte sono di nomina del Ministro e quindi anche composti con persone esterne che vengono prese e messe lì perché il Ministro ritiene che siano brave, le quali hanno uno stipendio molto alto. Inoltre, una buona parte del personale del Ministero o di altri enti pubblici che viene presa e distaccata presso il Gabinetto del Ministro ha un'indennità aggiuntiva. Sono mantenute sempre più di cento persone per ognuno. Questi due Ministri hanno più di cento persone che lavorano direttamente per loro, con un'indennità aggiuntiva.
La cosa più assurda è per alcuni organismi come l'OIV - istituito dal precedente Governo proprio per creare un organismo di valutazione interna -, dal costo quasi nullo, perché questo era lo spirito che l'allora Ministro Brunetta aveva imposto a quel provvedimento; ci rendiamo conto che, invece, anche quei due Ministeri, nella riorganizzazione, che doveva tener conto di una riduzione del 20 per cento almeno della spesa totale del personale, hanno degli OIV che costano uno 550 mila euro all'anno e l'altro 660 mila euro. Spese folli! Spese folli! Spese folli! L'OIV del comune dove sono sindaco costa 7 mila euro all'anno, non 660 mila. Quindi, spese folli, che non sono ridotte, anzi, con faccia tosta, i Ministri stessi dicono che si riorganizzano gli uffici di loro diretta collaborazione senza risparmiare un centesimo, nel momento in cui il loro stesso Governo presenta il documento di revisione della spesa. Se ne strafregano se vi è la revisione della spesa, anzi, mantengono le stesse spese e le aumentano. Infatti - e porto sempre l'esempio del Ministro dell'ambiente -, sapete cosa vi è scritto? Si tratta di un esempio semplice, che sembra cosa piccola nel grosso, ma testimonia quanto questo Governo sta facendo.
Vi è scritto che il Ministro avrà quattro vicecapi di gabinetto, un capo di gabinetto e quattro vicecapi di gabinetto. Chi conosce l'andamento dei Ministeri sa benissimo che quando c'è un capo di gabinetto e un vice è già abbastanza. Quelle sono posizioni, nomine che vengono fatte ad hoc di persone che guadagneranno al minimo 100 o 150 mila euro l'una, persone quindi che vanno a costare. Con il provvedimento si dice che però la spesa complessiva, non solo degli uffici di diretta collaborazione, ma complessiva del Ministero non dovrà aumentare. Quindi, probabilmente si è aumentato il costo degli uffici di diretta collaborazione diminuendo qualche altra voce all'interno del Ministero. Questo è ciò che sta facendo il Governo che parla bene, dice che taglia, e razzola male, perché invece per se stesso non taglia un bel niente, anzi magari aumenta.
Andando avanti, in questo provvedimento troviamo che viene intaccato ciò che funziona, come i tribunali minori. Noi sappiamo come la giustizia sia uno dei problemi più grossi di questo Paese, come i tempi della giustizia siano uno dei problemi più grossi di questo Paese, che limitano gli investimenti stranieri perché tanti hanno paura a venire ad investire in Italia in quanto se gli capita una vertenza legale sanno che non avranno mai giustizia. E noi cosa facciamo? Tagliamo gli unici tribunali che sono quelli che funzionano, che sono quelli piccoli, quelli di provincia, quelli che hanno una gestione più snella, per accorparli a quelli più grossi, quelli che hanno anni e anni di ritardo nell'arrivare a sentenze. È sconcertante.
Allo stesso modo, un'altra operazione che va a danno degli enti locali, perché questo Governo sappiamo che sta massacrando gli enti locali, è quella del patrimonio pubblico. Con una mossa veramente astuta, ma proprio astuta negativamente, cosa succede? Ci sono delle strutture, degli immobili di pregio che sono nei centri delle città, di proprietà comunale o Pag. 72provinciale, che spesso ospitano la prefettura o uffici governativi e molto spesso lo Stato è in ritardo con i pagamenti degli affitti e, quindi, gli enti locali li reclamano.
Noi con il federalismo fiscale, che questo Governo ha fermato, avevamo messo in cantiere di devolvere questi beni agli enti locali, si chiamava federalismo demaniale. Adesso invece cosa succede? Il Governo, probabilmente perché non vuole pagare gli affitti agli enti locali e metterli ancora di più alla canna del gas, dice: va bene, questi beni li prendo in proprietà io e all'ente locale gli do in cambio qualcos'altro che vale uguale. Quindi, ci troveremo ad avere che il bellissimo palazzo della prefettura, che era magari di proprietà del comune e che poteva rendere un bell'affitto se il Governo avesse pagato, quel bel palazzo diventerà di proprietà dello Stato e in cambio al comune verrà dato un rudere in periferia, magari una caserma distrutta chissà dove o la cima di una montagna inutilizzabile o qualcos'altro di questo tipo.

PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole D'Amico.

CLAUDIO D'AMICO. Vado a concludere, signor Presidente. Non solo, poi si vogliono valorizzare i beni dello Stato e venderli. Il meccanismo di vendita, così come previsto, comporterebbe mezz'ora di discussione solo su quello, ma il meccanismo che è previsto in questo provvedimento è a rischio di truffa, ve lo dico, perché rischia di far concludere allo Stato un cattivo affare in quanto si utilizzano delle strutture esterne allo Stato, si rischia di svendere i nostri beni buoni, svenderli a qualcuno che poi li rivende a dieci volte tanto. Attenzione anche su questo, perché si leggono queste cose e i dubbi ci vengono anche su questo.
Quindi, in questo provvedimento si trovano spese comunque maggiori, si vanno a tagliare le cose che funzionano e le cose buone, si vogliono svendere i beni pregiati a cifre che non si sa neanche quali saranno utilizzando delle società di mediazione e non si vanno a tagliare veramente gli sprechi. Concludo, Presidente. Non si vanno a tagliare davvero gli sprechi, non si vanno a toccare veramente gli sprechi di questo Paese che si annidano non solo nei Ministeri, ma si annidano nelle regioni, dove si sperperano ancora denari.
Invece, qui si danno denari, perché si danno quasi 150 milioni alla Sicilia non si sa neanche perché e se ne promettono 20 al Veneto, quando hanno più o meno gli stessi abitanti. Perché? Ve lo dico io: perché in Sicilia nessuno sta facendo niente, ma la Sicilia ha sulla sua busta paga più di 50 mila persone, quando il Veneto ne ha 2 mila. Allora, questi sono gli sprechi di questo Paese.

PRESIDENTE. Onorevole D'Amico, la prego di concludere.

CLAUDIO D'AMICO. Questi sono gli sprechi che noi vorremmo cessassero e non facendo, con questi provvedimenti, dei finti tagli.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 5389)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, onorevole Nannicini.

ROLANDO NANNICINI, Relatore. Signor Presidente, non ho intenzione di replicare, ma ho solo intenzione di integrare alcuni aspetti che nella relazione iniziale non ho potuto affrontare. Avevo dato con precisione il conto economico consolidato della pubblica amministrazione (spese complessive) redatto dall'ISTAT per gli ultimi due anni (2009-2011), in cui risulta che la sanità italiana ha avuto un incremento di spesa di 1,5 miliardi. Il servizio del debito ha avuto un incremento di 7,158 miliardi, la previdenza di 12,563 miliardi e non poteva che Pag. 73essere così per la cassa integrazione. Quindi, abbiamo avuto un aumento di spesa di 21,225 miliardi.
Al contrario, abbiamo avuto una diminuzione di spesa, sarebbe corretto dirlo, del conto economico dello Stato per 10,731 miliardi essenzialmente sulla scuola italiana, perché la parte essenziale è la scuola. Sul conto economico delle amministrazioni locali 13,568 miliardi di cui 2,236 miliardi (prima della manovra di oggi della spending review) per i comuni, 800 milioni per le province, 10,605 miliardi per le regioni. Questo in Commissione bilancio è stato discusso e ridiscusso.
È un segnale al Governo che non può non verificare in questa fase (settembre-ottobre perché i tagli sono impostati). C'è anche da riutilizzare il Fondo 1778, quindi sul debito di 800 milioni per i comuni e i 100 per le province. Al di là di quello che dice D'Amico non sono alle regioni, ma ai comuni delle regioni a statuto ordinario più Sicilia e Sardegna. Occorre prestare molta attenzione a questo aspetto, perché, a nome della Commissione bilancio (già discusso con forza), siamo certi che questo si regge senza toccare i servizi.
Tuttavia, in alcuni casi e in alcuni elementi, dove c'è meno grasso perché la spesa è già stata ridotta e ci sono servizi realizzati, prestate la necessaria attenzione. Il Parlamento è a disposizione del Governo per tutti gli aspetti relativi al rapporto con i comuni e con le regioni e complessivamente diamo un giudizio positivo del provvedimento. Grazie, perché la replica altrimenti sarebbe stata più lunga.

PRESIDENTE. Il relatore aveva terminato il tempo a disposizione, però una replica era doverosa. Allo stesso modo, prima di dare la parola al Governo per l'eventuale replica, mi corre l'obbligo di sottolineare un aspetto, per interloquire con molti colleghi che hanno ripetutamente fatto riferimento al fatto che non ci sarebbe stato il tempo né la possibilità di esaminare gli emendamenti presentati a questo provvedimento. Al di là delle considerazioni politiche sostanziali, formalmente questo non è corretto.
Infatti, come è possibile verificare dal resoconto dei lavori della Commissione bilancio, gli emendamenti sono stati presentati. Alcuni sono stati ritirati, altri sono stati considerati inammissibili o respinti. Quindi, formalmente il Parlamento ha esaminato gli emendamenti e ha preso in esame il provvedimento. Al di là, ripeto, onorevole D'Amico, delle considerazioni politiche, però non può restare agli atti che questo Parlamento non ha avuto la possibilità di esaminare il provvedimento che poi dovrà votare. Quindi, questo era doveroso da parte mia sottolinearlo, d'altra parte i resoconti delle Commissioni e della Commissione bilancio lo dimostrano.
Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

GIANFRANCO POLILLO, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Signor Presidente, onorevoli deputati, volevo ringraziare per lo sforzo fatto innanzitutto il relatore Nannicini, il presidente Giancarlo Giorgetti, che ha diretto con grande accortezza i lavori della Commissione, e tutti coloro che sono intervenuti tanto nel dibattito in Commissione quanto oggi in Aula. Vi è stato un dibattito intenso in entrambe le occasioni. Quindi, ringrazio sia coloro che poi voteranno a favore del Governo, sia coloro che voteranno contro la posizione del Governo, sia coloro che hanno espresso adesioni forti al provvedimento, sia coloro che, invece, hanno sottolineato elementi di criticità che costituiranno, per il Governo, elemento di riflessione nei futuri e prossimi provvedimenti.
Vorrei, innanzitutto, sottolineare come in un mese noi abbiamo approvato, tra Camera e Senato, un provvedimento molto complesso, come è stato detto più volte nel corso del dibattito parlamentare. Ricordo che questo rappresenta, tra l'altro, non uno ma due provvedimenti che, come sappiamo, sono poi confluiti entrambi in un solo provvedimento finale.
Quindi, vi è stata un'accelerazione dei tempi. Non voglio fare riferimenti alle nostre Olimpiadi, perché non rappresenta certo un guinness dei primati. Tuttavia, questa concentrazione della decisione parlamentare Pag. 74in un lasso di tempo così stretto è un fatto che deve essere sottolineato. Allo stesso modo, deve essere sottolineato il lavoro molto intenso fatto al Senato nell'esaminare il complesso del provvedimento e nel presentare proposte emendative. Ma va anche sottolineato il lavoro fatto dalla Camera, che ha concentrato molto i tempi di esame e di approvazione del provvedimento stesso e che, in qualche modo - consentitemi di dirlo ma in termini positivi -, ha anche rinunciato all'esercizio pieno, anche se in modo volontario, delle sue prerogative costituzionali, concentrando al massimo la decisione politica, soprattutto se consideriamo che approveremo il provvedimento in meno di una settimana qui alla Camera.
Questo lo abbiamo fatto perché sappiamo che il Presidente Monti è alle prese con una settimana di passione, come scrivono i giornali, impegnato in una complessa partita che lo vede andare in giro per l'Europa a cercare di sollecitare provvedimenti e interventi che non sono tanto a favore dell'Italia perché, come abbiamo detto molte volte, i nostri conti sono a posto, i compiti a casa li abbiamo fatti e la situazione del Paese è una situazione che, dal punto di vista finanziario, non desta il minimo delle preoccupazioni. Si tratta, piuttosto, di una partita molto più impegnativa, che ha come obiettivo direttamente la salvezza dell'euro di fronte a una posizione di possibile inerzia che, anche a prescindere dalle volontà dei singoli Stati, potrebbe avere effetti assolutamente deleteri.
Questo si contrappone, del resto, rispetto ad una risposta dei mercati che non solo non fa sconti a nessuno ma che approfitta della debolezza dei singoli Stati per cercare di realizzare profitti ingenti nel meccanismo infernale della speculazione. Voglio soltanto accennare a questo fenomeno nuovo che è di fronte ai nostri occhi, che è la dissociazione tra il capitale finanziario e quello direttamente produttivo. Si tratta di un dibattito che ritorna, un dibattito che vi fu nella fase della prima globalizzazione che, come sapete, fu quella che cominciò agli inizi del Novecento e che, purtroppo, si concluse in modo tragico, con il susseguirsi di guerre e di rivoluzioni che sconvolsero l'Europa. Ebbene, anche allora questa dissociazione era intuita in un dibattito teorico di grandissimo spessore, che vide principalmente coinvolta la sinistra europea. Vi era da un lato Hilferding, economista che era esponente della socialdemocrazia tedesca, e, dall'altra, gli esponenti della Terza internazionale.
Devo dire che, alla luce delle considerazioni di oggi, forse chi ha ragione, nel rappresentare quella realtà, è proprio Hilferding. Questa dissociazione tra gli aspetti produttivistici e gli aspetti connessi con un capitale finanziario, che si autoalimenta di profitti realizzati con pure manovre di carattere monetario, oggi rischiano di introdurre elementi di distruzione in tutti gli assetti complessivi non soltanto del nostro Paese ma, più in generale, di tutto l'Occidente.
Sembrerebbe un dibattito lontano da noi, molto ideologico, eppure non è così, se consideriamo le ricerche non di singoli studiosi, ma del Fondo monetario internazionale quando sottolinea che oggi la dimensione degli spread non è giustificabile rispetto all'andamento dei fondamentali della maggior parte dei Paesi. Questa differenza tra l'andamento dello spread e l'andamento dei fondamentali è la dimostrazione del peso crescente che ha la speculazione internazionale.
Di questi fenomeni complessi si è fatto carico il Parlamento - e di questo gliene va dato atto - accelerando al massimo il processo decisionale e facendosi carico di un sovraccarico di decisioni che, in altri momenti, potevano essere più distese, ma proprio di fronte ad un'emergenza o al pericolo - Annibale alle porte - c'è stata una forte accelerazione ed il Parlamento ha dimostrato, nel suo complesso, un grandissimo senso di responsabilità. Questo va detto proprio nel momento in cui le suggestioni dell'antipolitica rischiano invece di introdurre ulteriori elementi di delegittimazione. Quindi, questo è un riconoscimento che per il Governo era doveroso fare. Pag. 75
Nel merito, soltanto alcune riflessioni: questo di oggi è il primo passo di una lunga marcia, come si diceva negli anni passati. È l'inizio di un processo che si svilupperà nei mesi successivi; è stato anche il momento più difficile, perché ci trovavamo di fronte un convitato di pietra, che era rappresentato dal fatto che, in mancanza di un intervento di spending review o di controllo della spesa avremmo dovuto aumentare l'IVA, e quindi questo ci ha costretto ad accelerare al massimo ed anche ad non andare troppo per il sottile. L'importante era, in questa fase, poter avere quei quattro miliardi a disposizione che scongiurassero l'aumento dell'IVA e - come sapete - quando la casa brucia, non si pensa che l'acqua possa rovinare la tappezzeria, ma l'importante è spegnere l'incendio.
Questo lo abbiamo fatto ma, come dicevo, è il primo passo perché, nei prossimi mesi, invece, la spending review dovrà continuare, secondo una cadenza - se volete - più distesa, in cui ritorneranno in primo piano temi come i costi e fabbisogni standard, frontiere di efficienza, insomma si tratterà di scavare in quel grande coacervo che è la spesa pubblica italiana e che - se la dovessimo rappresentare - dovremmo utilizzare la frase che usavano i cartografi romani, quando dipingevano e disegnavano le mappe: «hic sunt leones». Noi, nei prossimi mesi, cercheremo invece di sceverare e di cercare di capire dove si annidano ancora gli elementi di inefficienza, di spreco e così via. Quindi, passeremo dalle forbici al bisturi e questo lo faremo con l'aiuto del Parlamento e con le risorse che lo stesso Parlamento ci metterà a disposizione.
Un'ultima osservazione, che non vuole essere assolutamente un elemento polemico. Sono debitore al relatore di alcuni dati e li consegnerei alla Presidenza, con preghiera di pubblicazione sul Bollettino, spiegando l'antefatto. Sei o sette mesi fa in Conferenza Stato-regioni, su proposta del presidente Errani, chiesi al Governo di avere il quadro macroeconomico dell'andamento della spesa per quanto riguardava i rapporti tra i vari centri istituzionali. Il Ministero dell'economia e delle finanze disse che era disponibile ad un confronto serrato e disse anche che non voleva essere lui, come Ministero, a fornire questi dati, ma che preferiva lo facesse l'ISTAT che, per l'imparzialità del compito istituzionale, è l'elemento deputato a farlo. L'ISTAT ha svolto questo compito. Consegnerò anche la lettera di trasmissione dell'ISTAT, che viene indirizzata al direttore dell'ufficio di segreteria della Conferenza unificata: c'è una tabella interessante, che riguarda l'evoluzione della spesa complessiva dal 1990 al 2010, che ci permette di capire qual è il trend di fondo di ciò che è successo nella realtà italiana. La dividiamo tra spesa corrente e spesa in conto capitale: è una spesa, tratta dalla contabilità nazionale, che non tiene conto di due elementi: non tiene conto della spesa per la previdenza, perché ovviamente non rientra in questo, e della spesa per interessi.
Vi dico solo alcuni dati relativi alla spesa corrente: nel 1990 le amministrazioni centrali spendevano il 57,5 per cento, nel 2010 il 51,6 per cento, quindi abbiamo una caduta di circa 6 punti; le amministrazioni locali nel loro complesso spendevano il 22,2 per cento nel 1990 e siamo ora al 31,9 per cento, con aumento di 10 punti. Dove è stata questa maggiore dinamica della spesa? Le regioni passano dal 6,7 per cento al 7,8 per cento, le province dall'1,9 per cento al 3 per cento, quindi quasi raddoppiano la spesa...

ROLANDO NANNICINI. Non è comparabile con la mia!

GIANFRANCO POLILLO, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze.. .. i comuni dal 12,2 al 15,7 per cento. Questo è sul trend; naturalmente questi sono numeri che nascondono il fatto che c'è stato molte volte un trasferimento di funzioni e quindi in qualche modo tale andamento è giustificato, però dimostra un po' che noi abbiamo perso il controllo della spesa a livello centrale, perché abbiamo avuto un forte contenimento della spesa a livello centrale, mentre si è dilatata a livello Pag. 76locale; questo naturalmente può essere considerato anche come un trionfo implicito dell'andamento federalista, che è una cosa estremamente positiva - io non do un giudizio di valore su questo -, però questo è il dato di partenza.
Questo ha fatto sì che negli ultimi due anni - qui c'è per esempio il documento Giarda che, come sapete, è stato da tutti apprezzato - abbiamo dovuto fare delle manovre, allora, per fare in modo di avere dei tagli che tenessero conto della gestione della spesa da parte di vari centri di spesa, e quindi abbiamo fatto tagli proporzionali sullo Stato centrale, le regioni, i comuni e le province; questa è stata la dinamica. Oggi ci siamo trovati invece di fronte, nell'ultimo atto di spending review, a fare un'operazione un po' più difficile, in parte perché i tagli sulle amministrazioni centrali li avevamo fatti già in precedenza ed eravamo arrivati proprio alla carne viva dell'amministrazione centrale, e in parte perché i dati che abbiamo a nostra disposizione sottovalutano il fatto che, come sapete, nella relazione tecnica una serie di risparmi sono stati quantificati in modo approssimato, perché non avevamo elementi tali per valutarli, però non sono stati contenuti direttamente nei quadri riassuntivi che danno copertura alla manovra. Quindi questo cosa ci dice? Che i risparmi saranno forse molto più forti e peseranno prevalentemente sulle amministrazioni centrali dello Stato.
Termino qui, non mi dilungo su tutti i mille rivoli della discussione, che è una discussione che è in atto e andrà avanti nei prossimi mesi, perché, come dicevo, la spending review non è un atto soltanto, ma è l'inizio di un processo, e quindi non mancheranno le occasioni di un ulteriore confronto. Termino ringraziando di nuovo il Parlamento, io credo che abbia dato una grande prova di coesione nazionale; torno a dire anche che - di questo va dato atto - sia la maggioranza sia anche l'opposizione, sia al Senato che alla Camera, hanno mostrato un grandissimo senso di responsabilità, non rinunciando ad illustrare le proprie posizioni, com'era giusto che facesse, però rinunciando anche a poter utilizzare i Regolamenti parlamentari in modo tale da ritardare il processo decisionale. Questo non è avvenuto e quindi va dato atto che poi di fronte, quando si ha la consapevolezza di quello che è la crisi ed i rischi fatali che il Paese sta correndo, c'è un momento di grande coesione nazionale che fa ben sperare.

PRESIDENTE. Signor sottosegretario, per quanto riguarda la documentazione, come lei ben sa, può depositarla presso la Presidenza ed è a disposizione dei parlamentari ma non potrà entrare a far parte del resoconto. Il seguito del dibattito è rinviato alla seduta di lunedì 6 agosto.

Svolgimento di interpellanze urgenti (ore 16,20).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di interpellanze urgenti.

(Tempi per l'adozione del decreto previsto dall'articolo 23-bis del decreto-legge n. 201 del 2011 relativo ai compensi per gli amministratori con deleghe delle società partecipate dal Ministero dell'economia e delle finanze e iniziative di competenza in relazione al compenso stabilito dal consiglio di amministrazione della RAI per il nuovo direttore generale - n. 2-01614)

PRESIDENTE. Prendo atto che l'onorevole Giachetti rinuncia ad illustrare la sua interpellanza n. 2-01614, concernente tempi per l'adozione del decreto previsto dall'articolo 23-bis del decreto-legge n. 201 del 2011 relativo ai compensi per gli amministratori con deleghe delle società partecipate dal Ministero dell'economia e delle finanze e iniziative di competenza in relazione al compenso stabilito dal consiglio di amministrazione della RAI per il nuovo direttore generale (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti).
Il sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze, Gianfranco Polillo, ha facoltà di rispondere.

Pag. 77

GIANFRANCO POLILLO, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Signor Presidente, sarò brevissimo. Ricapitolo brevemente l'evoluzione della legislazione. Con la legge finanziaria del 2008 fu deciso di mettere un tetto sulle retribuzioni per quanto riguardava gli emolumenti in carico alle finanze pubbliche, quindi per quanto riguardava tutte le società controllate in modo diretto e indiretto dallo Stato, che faceva riferimento alla retribuzione massima del primo presidente della Corte di Cassazione, regola che non si applicava però all'importo globalmente percepito.
Con decreto-legge n. 201 del 2011, è stato stabilito in particolare, all'interno di questi parametri che, per le società non quotate in Borsa e controllate dal Ministero dell'economia e delle finanze, vi fossero due fasce di livelli retributivi per quanto riguardava i membri del consiglio di amministrazione, che tenevano conto di una serie di parametri oggettivi, quali l'entità del capitale sociale, l'importanza della società e così via.
Con il decreto-legge cosiddetto salva-Italia abbiamo esteso questo tetto, che è pari appunto alla retribuzione del primo presidente della Corte di Cassazione, a tutti i dirigenti dello Stato.
Infine, con il decreto-legge sulla spending review, di cui abbiamo discusso fino a poco fa, abbiamo esteso questo tetto a tutti i membri del consiglio di amministrazione di società partecipate in modo diretto o indiretto dalla pubblica amministrazione. Questa norma scatterà con il rinnovo del prossimo consiglio di amministrazione, come definito nel decreto-legge, e si applicherà a tutte le società, ad esclusione di quelle quotate in Borsa. Con questo credo di aver fornito una risposta all'interpellante.

PRESIDENTE. L'onorevole Giachetti ha facoltà di replicare.

ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, sono soddisfatto, ma non tanto per merito del Governo, quanto per il fatto che il dottor Gubitosi ha autonomamente preso una decisione, cioè quella di rinunciare, anche a fronte di quella che sappiamo essere la situazione alla RAI - e non soltanto alla RAI, ma nel campo dei media e dei giornali, che è la situazione dei precari, che sono tantissimi e vivono condizioni difficilissime all'interno delle aziende, in particolare della RAI - all'idea di un contratto a tempo indeterminato per la cifra di 650 mila euro l'anno, che appariva obiettivamente non solo in contrasto con quanto previsto dalle norme cui ha fatto riferimento il sottosegretario, che però sarebbero entrate in vigore per il prossimo consiglio di amministrazione e non per questo, ma credo anche rispetto a quello che si sta facendo, e che da tutte le parti si sta tentando di fare, per riequilibrare, in ragione delle difficoltà che stiamo attraversando, gli stipendi non po' di tutti. Credo che la decisione, anche quella del presidente della RAI, oltre che del direttore generale, di ridurre il proprio compenso, sia non solo una cosa positiva di cui ringraziarli, ma anche un segnale importante.
Mi consenta di dirle, signor sottosegretario, visto che evidentemente il Ministero dell'economia e delle finanze, in quanto azionista, un rapporto con la RAI ce l'ha, che questo risolve sicuramente simbolicamente un problema di oggi ma, ahimè, non risolve invece il problema di un riordino generale e di un riequilibrio di ciò che accade all'interno della RAI, cui sarà bene - auspico - che la nuova dirigenza della RAI metta mano. Non v'è dubbio infatti che se questi ultimi stipendi, così come venuti fuori, hanno sollevato un certo stupore, ci si augura che questo sia un segnale anche di ciò che la nuova dirigenza vuole fare per mettere mano al riordino della RAI, se è vero, com'è vero, anche solo per citare degli esempi, che ci sono cose abbastanza strane che accadono in RAI, a partire - ma solo perché è significativo, visto che ormai è una nostra collega - dalla liquidazione della dottoressa Deborah Bergamini, che se non sbaglio ha percepito 390 mila euro per cinque anni di attività, oppure dal più famoso e noto, per varie vicende, ex direttore del Pag. 78Tg1 Augusto Minzolini, che se ne va per modo di dire, perché avrà uno stipendio a vita che, se non erro, è di circa 22 mila euro netti al mese per tredici mensilità.
Potrei continuare a parlare anche di quella che è stata la maxi liquidazione del dottor Santoro, che ha percepito una liquidazione di appena 2 milioni e 300 mila euro. Potremmo parlare anche di tanti altri, che, magari, non si sa perché, si sono dimessi dalla RAI... non so se oggi è proprio la mia giornata. Grazie, onorevole Binetti!
Vi è il caso di tanti che si sono, magari, dimessi dalla RAI e poi sono rientrati con compensi molto maggiori. Penso, per esempio, ad un compenso, se non sbaglio, decennale del dottor Bruno Vespa. Insomma, vi sono cose che, magari, non si conoscono, la gente non le conosce, perché nessuno ha avuto la voglia di metterle in evidenza come, magari, è successo con il direttore generale o con il presidente della RAI, ma che non sono meno scandalose di quelle che abbiamo visto.
Mi auguro che questo auto-intervento della dirigenza della RAI su se stessa sia anche propedeutico ad un chiaro e netto indirizzo anche per quel che riguarda il resto del panorama dell'azienda (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

(Elementi in merito a documenti o atti ufficiali relativi al rinvenimento della carta di identità e di un diario di una delle vittime della strage di Bologna del 2 agosto 1980 - n. 2-01620)

PRESIDENTE. L'onorevole Raisi ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-01620, concernente elementi in merito a documenti o atti ufficiali relativi al rinvenimento della carta di identità e di un diario di una delle vittime della strage di Bologna del 2 agosto 1980 (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti).

ENZO RAISI. Signor Presidente, sarò velocissimo, anche perché la domanda è molto chiara. Da alcune ricerche che ho fatto nel corso della preparazione di un libro che sto scrivendo sulla strage di Bologna, mi sono accorto che vi sono incongruenze sul riconoscimento del giovane Di Vittorio, che, purtroppo, ha perso la vita in quell'evento.
Visto che vi sono cinque o sei versioni diverse, vorrei sapere, in base agli atti ufficiali, quale sia la versione del Governo rispetto ai documenti che sono in suo possesso, perché, ripeto, fino adesso ho trovato, per lo meno, quattro versioni diverse, anche cinque.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la giustizia, Sabato Malinconico, ha facoltà di rispondere.

SABATO MALINCONICO, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, onorevole Raisi, rispondo al quesito da lei sollevato premettendo che il Ministero dell'interno, espletata l'istruttoria di competenza, ha fatto conoscere di non disporre di elementi informativi da riferire in merito all'argomento specificamente trattato nel presente atto di sindacato ispettivo.
Il Dipartimento della pubblica sicurezza, interpellato al riguardo, ha, infatti, segnalato che sulla vicenda sono in corso attività di indagine, che sono state delegate alla DIGOS di Bologna dalla competente autorità giudiziaria nell'ambito del procedimento penale n. 13225/11, relativo all'attentato alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980, sul conto di Mauro Di Vittorio nel corso dell'attentato.
Ebbene, limitatamente all'anzidetta attività di indagine, il Ministro della giustizia ha richiesto le necessarie informazioni alla magistratura inquirente bolognese, la quale, nell'evidenziare l'attuale vigenza del segreto investigativo, ha comunicato i soli elementi, allo stato, ostensibili.
Il capo dell'ufficio requirente ha, invero, precisato che la procura bolognese, in data 7 maggio 2012, dopo che l'onorevole Raisi aveva prospettato in un articolo de Il Resto del Carlino l'opportunità di approfondire i motivi della presenza nel capoluogo bolognese di un giovane originario di Roma, tragicamente perito nella strage del 2 agosto 1980, ha ascoltato il parlamentare quale persona informata dei fatti, al fine di poter svolgere con pienezza ogni accertamento su circostanze utili alle Pag. 79indagini in corso nell'ambito del procedimento penale n. 13225/11, iscritto a carico di soggetti noti per il reato di strage.
In ragione dei contenuti dell'audizione fonoregistrata, nel corso della quale l'onorevole Raisi ha indicato l'origine soggettiva delle sue informazioni, la procura bolognese ha incaricato la DIGOS di Bologna di verificare, tramite la DIGOS di Roma, tutti gli aspetti relativi alla storia personale del giovane Di Vittorio Mauro.
Al riguardo, il suddetto procuratore ha precisato che le indagini, disposte con sollecitudine, mirano ad approfondire, anche con audizioni testimoniali, ogni profilo relativo al diario personale e alla carta di identità del Di Vittorio.

PRESIDENTE. L'onorevole Raisi ha facoltà di replicare.

ENZO RAISI. Signor Presidente, mi permetto, ovviamente, di dichiararmi molto soddisfatto, nel senso che ciò vuole dire che allora i dubbi che ho sollevato presso la procura di Bologna hanno un contenuto e un fondamento, per lo meno dal punto di vista investigativo. Dico questo perché, pur volendo essere veloce, desidererei, però, che rimanesse agli atti quanto segue.
C'è qualcosa di strano in questa vicenda. Non sto qui a spiegare come ho saputo di episodi che poi, giustamente, la procura ha ritenuto importanti per avviare una serie di inchieste parallele rispetto all'inchiesta principale, che stanno già svolgendo, sulla nuova indagine sulla strage di Bologna, però è evidente che vi è qualcosa che non quadra, perché Mauro Di Vittorio è rimasto non riconosciuto fino alla sera dell'11 agosto. In realtà, lo riconosce poi la madre il 12 agosto. La sorella, in un libro di Fasanella, dice che ricevette una telefonata il 6 agosto dalla stazione, pare dalla Polfer, in cui le dicevano di avere ritrovato lo zainetto con dentro questo documento e il famoso diario, molto importante per capire l'intera vicenda. La cosa è molto strana. Il 6 agosto trovano questi oggetti e questa persona rimane, poveretta, sconosciuta nell'obitorio. Vi è qualcosa che non ha funzionato nel sistema di comunicazione.
Non solo. Se guardate le immagini del 4 agosto, la stazione di Bologna era stata ripulita da tutte le macerie. In un articolo era stato detto che, invece, il ritrovamento era avvenuto sotto le macerie. Sono andato a vedere tutti i documenti dell'epoca. Allora la procura aveva dato disposizione ai militari di prendere queste macerie, raccoglierle presso i prati di Caprara, zona militare, e setacciarle. Ho esaminato il verbale dei militari da cui non risulta alcuno zainetto, alcun diario e alcun documento di Di Vittorio. Quindi vi sono diverse cose che non coincidono.
Se poi andiamo a leggere le cronache dei giornali o, addirittura, la scheda che appare nel sito ufficiale dei familiari delle vittime, la versione è un'altra ancora. Dicono che il 10 agosto i carabinieri, tra le macerie, hanno trovato questo documento, e quindi hanno chiamato la madre. Questa è l'ultima versione, probabilmente quella più falsa, perché è impossibile che le macerie fossero state raccolte. L'elenco delle cose trovate è qua, se volete controllare posso lasciarlo agli atti.
Quindi mi fa piacere che la procura di Bologna stia facendo questa verifica. D'altra parte, ho detto che, per la prima volta, apprendo con piacere che la procura di Bologna va fino in fondo rispetto ad alcune notizie che ho apportato come contributo alla chiarezza e alla verità.
Oggi è l'anniversario della strage di Bologna. Credo che questa sia una risposta bella ed importante per chi, come me, vuole cercare la verità su quella maledetta strage del 2 agosto 1980 (Applausi di deputati del gruppo Popolo della Libertà).

(Iniziative volte a garantire l'omogeneo svolgimento presso i diversi atenei delle prove di ammissione ai corsi di laurea magistrale in medicina e chirurgia e in odontoiatria e protesi dentaria per l'anno accademico 2012-2013 - n. 2-01619)

PRESIDENTE. L'onorevole Pagano ha facoltà di illustrare la sua interpellanza Pag. 80n. 2-01619 concernente iniziative volte a garantire l'omogeneo svolgimento presso i diversi atenei delle prove di ammissione ai corsi di laurea magistrale in medicina e chirurgia e in odontoiatria e protesi dentaria per l'anno accademico 2012-2013 (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti).

ALESSANDRO PAGANO. Signor Presidente, signor sottosegretario, il 28 giugno 2012 il decreto n. 196 del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, ha fissato i contenuti e le regole delle prove di ammissione ai corsi di medicina. Regole nuove che, ovviamente, assumono una valenza diversa rispetto al passato, perché siamo passati da 38 università, che prima svolgevano la propria selezione in maniera autonoma, a 12 aggregazioni di tipo territoriale, sedi vicine l'una all'altra e che, su per giù, per numero di posti messi a disposizione, avevano certe caratteristiche e, quindi, sono state aggregate.
Questa decisione non è stata casuale, ma è nata perché il Consiglio di Stato, con un'ordinanza della VI sezione del 18 giugno 2012, ha invocato espressamente l'intervento della Corte costituzionale per sancire il principio della graduatoria unica nazionale, piuttosto che quello della graduatoria per ateneo. Quale era la logica secondo cui il Consiglio di Stato, giustamente, ha così sancito? Quella in base alla quale non era possibile che punteggi diversi avessero trattamenti diversi. Provi ad immaginare che vi sono state università che hanno avuto concorrenti rimasti fuori con un punteggio di 47 - quindi un punteggio notevole - e che, invece, in altre università sarebbero giunti non borderline, ma addirittura a metà classifica. Quindi è evidente che la graduatoria unica nazionale era lo strumento principe per garantire equità, giustizia e, soprattutto, per puntualizzare quella meritocrazia di cui tutti parlano, ma che poi difficilmente trova riscontro. Il merito scolastico, invece, in questa maniera, sarebbe stato adeguatamente valorizzato e pesato. Perché? Perché la selezione dello studente sarebbe avvenuta in un contesto più ampio.
Quindi, è chiaro, in base all'esempio di prima, che colui che aveva preso 47 e che magari rimaneva escluso in un determinato contesto territoriale, in quella facoltà o in quella università, scegliendo altrove avrebbe, invece, avuto l'opportunità di essere ammesso.
Il Ministro con il suo decreto del 28 giugno 2012, quindi dieci giorni dopo la sentenza del Consiglio di Stato, aveva tutto il tempo per organizzare le prove di ammissione per la graduatoria unica nazionale, così come succede in altri contesti (per esempio la magistratura già da tempo fa questo) oppure come succede nel mondo anglosassone dove, di fatto, questo tipo di selezione e di graduatoria unica nazionale è una regola.
Si è deciso di passare attraverso un'operazione, per così dire graduale, non traumatica o almeno immagino sia questo il senso, ma non capisco il perché. Infatti, detto francamente, era quella un'opportunità per mettere subito a regime qualcosa che tutti richiedono tranne i furbastri e, quindi, secondo il mio modesto parere, è stata un'opportunità persa. Ma tant'è e ormai bisogna prenderne atto.
Qual è allora il senso di questa interpellanza urgente, che ovviamente fa intendere che è stato perso un anno, ma che si va verso la buona prassi e verso una buona direzione? Riteniamo che vi saranno delle difficoltà non indifferenti con questo sistema, per cui bisogna porvi rimedio immediatamente. Signor sottosegretario, abbiamo fatto una sorta di simulazione di quanto potrebbe accadere e, poco più o poco meno, ci prenderemo, perché le statistiche, quando sono misurate su campioni ampi, raggiungono la quasi perfezione. Ebbene, lei provi ad immaginare una cosa, e vorrei riferirmi al fatto che la casualità continuerà ad essere un elemento preponderante anche con questo sistema e quindi quel principio di meritocrazia, che tanto è stato dichiarato a tutti i livelli, compresa la sentenza che ho appena citato, continua ad essere una chimera anche quest'anno. Provi ad immaginare da queste simulazioni il dato che segue, che è interessantissimo. Per esempio Pag. 81le università di Padova, Trieste, Udine, sedi aggregate, avranno a disposizione 660 posti di medicina. Statistiche alla mano, l'anno scorso i partecipanti sono stati 4.053, quindi si crea un rapporto di uno a sei, ovvero ogni sei partecipanti un posto. Soltanto per fare un paragone in termini proporzionali - e potrei citarne decine di esempi - l'aggregazione di Catania, Messina, Palermo, Catanzaro «Magna Grecia» avrà a disposizione 1.090 posti, ma il rapporto con gli studenti sarebbe in verità di uno a sette. Addirittura vi sono aggregazioni di università, come ad esempio Bari, Foggia e Molise dove il rapporto sarebbe di uno a dieci.
È quindi evidente che uno partecipa in una facoltà o in un Ateneo perché ritiene di avere più probabilità, in quanto i posti messi a disposizione sono di più, e poi però si ritrova talmente tanti partecipanti che, di fatto, le sue probabilità sono diminuite. Ecco quindi che quella statistica che proponevo poc'anzi non assume un valore teorico, ma pone una questione seria. Infatti è evidente che io partecipo in un'università, in questo caso in un'aggregazione di università, mi ritrovo un numero superiore di partecipanti per un fatto casuale e automaticamente mi si sballano i numeri e la mia preparazione, magari superiore a quella di un'altra aggregazione, viene fatta fuori per un fatto assolutamente casuale.
Non è giustizia e non va bene. Ecco perché ritengo che il dato debba essere evidenziato, perché so che c'è sensibilità da parte di codesto Ministero. Certamente, le sollecitazioni che sono arrivate sono giunte al momento giusto di valutazione, anche perché tra un mese esatto, cioè i giorni 4 e 5 settembre si svolgeranno le prove, il giorno 4 per coloro che sosterranno i test in lingua italiana ed il giorno 5 per quelli in inglese, perché l'Italia da questo punto di vista sta facendo finalmente dei passi in avanti e ben sette facoltà quest'anno sono attrezzate per fare i test anche in lingua inglese (questo è previsto per il giorno 5). È dietro l'angolo, cioè un mese esatto da oggi.
Quindi non potete perdere tempo: dovete stabilire le regole e questo so che sta già per accadere. Tuttavia il senso del mio intervento è chiedere quale tipo di regole. Non basta avere la sensibilità.
Provo ad essere ancora più preciso con un'altra statistica che vi aiuterà. Penso infatti che abbiamo fatto un buon lavoro e sono convinto che magari il Ministero sia attrezzato, ma forse non ha un focus ben preciso e non dispone del dato statistico. Lo mettiamo a disposizione noi, lo metto a disposizione con i firmatari che sono in Aula per questo. Le offro questo dato interessantissimo per dire come le sperequazioni sono davvero dietro l'angolo, un dato ricavato sempre facendo simulazioni. È, quindi, un dato che non è ufficiale, ma che assume la quasi certezza dell'ufficialità.
Ci sono delle aggregazioni, sono dodici, comincio ad elencarle: per Napoli «Federico II», Napoli Seconda Università e Salerno l'anno scorso il punteggio minimo per essere ammessi è stato 41,75; per Cagliari e Sassari, nuova aggregazione, il punteggio minimo è stato di 42,25; per Chieti, L'Aquila, Perugia e Roma «Tor Vergata», 43,50; per Roma «La Sapienza» con tutte le varie possibilità, 43.00; per Catania, Messina e Palermo, 43,50; per Firenze, Parma, Pisa e Siena, 44,25; per Bari, Foggia e Molise 45,25; per Genova, Torino I e Torino II, 45,75; per Bologna, Ferrara, Modena e Reggio Emilia, 46,50; per Padova, Trieste e Udine, 47,00; per Milano e Vercelli eccetera, 48,25; per Brescia, Pavia e Verona addirittura 48,50. Penso che un Paese serio abbia interesse ad avere un benchmark, quello di 48,50, in maniera tale che i migliori possano farcela, perché solo con i migliori si ricostruisce un Paese. Ecco il senso di questa interpellanza, ed ecco perché ci permettiamo di dire che accadrà quello che le sto dicendo, signor sottosegretario: accadrà che aggregazioni di università giocheranno ad essere campanilistiche, è nelle cose. Quindi non voglio mettere in discussione che ci saranno diversità tra una università e l'altra, questo è già conclamato, la statistica è questa, accadrà anche quest'anno. Pag. 82Sola la graduatoria unica nazionale potrà evitare tutto questo. Ma già all'interno delle stesse aggregazioni accadrà il dato della non parzialità, cioè in altre parole di un fenomeno non corretto. Provi ad immaginare all'interno della stessa aggregazione l'università A, l'università B e l'università C: la prima severissima nel controllo degli studenti, l'università B della stessa aggregazione molto meno severa, perché magari saranno indulgenti nel sistema dei controlli, il risultato è che ci saranno sperequazioni. Allora, ecco la mia interpellanza urgente che ovviamente ha un senso. La leggo per rafforzare ancora di più ed anche per dare più sensibilità al sottosegretario che, in questo caso, rappresenta il Ministro Profumo, con il quale indirettamente ci siamo sentiti nei giorni scorsi: si chiede a quali criteri - ci sono tre quesiti importantissimi - debba essere improntata l'assegnazione delle postazioni. A Cambridge, per esempio, li mettono a 2 metri l'uno dall'altro, davanti, dietro e lateralmente. E a Cambridge - che secondo me deve essere il benchmark di riferimento perché noi dobbiamo parametrarci con la quinta università del mondo, non con la 190o, che ovviamente magari ha una valutazione e un'impostazione di tipo diverso -, c'è l'invariabilità del posto, nel senso che viene estratto a sorte il talloncino, il candidato si va a sedere là, si può alzare per andare in bagno, ma si deve andare a risedere in quel posto. Le dico questo perché, le assicuro, molti episodi di indolenza nel controllo di questo tipo hanno prodotto effetti distorsivi nel risultato finale. Il secondo criterio è quello della vigilanza: la scelta del numero dei vigilanti in proporzione ai candidati deve essere uguale in tutte le università, specie in caso di uso di più aule, ciò al fine di evitare discrezionali assegnazioni di posto o arbitrari spostamenti. E arrivo al terzo punto, che è il più grave di tutti e lo sottolineo perché il giorno 24 luglio 2012 - così come riportato dalla «Gazzetta del Mezzogiorno» - la procura della Repubblica di Bari, non 12 anni fa ma una settimana fa, la procura di Bari ha arrestato una decina di persone, compresi alcuni docenti universitari, perché attraverso il sistema dei palmari e senza una adeguata schermatura, cosa che molte università fanno, al Nord come al Sud, è successo l'imponderabile. Le schermature le dico subito che assumono una valenza diversa: ci possono essere schermature minime, medie, alte. Se voi non siete attenti sull'omogeneo criterio, dovete stabilire anche la qualità della schermatura, il criterio elettronico con cui deve essere inibito non soltanto l'utilizzo del mezzo ma anche il sistema di controllo. Sono cose che costano, signor sottosegretario, quindi mi rendo conto che devono essere organizzate adeguatamente, a Bolzano, dove non esiste la facoltà, come a Ragusa, dove ugualmente non esiste, quindi sto citando due esempi in maniera tale che non possono essere oggetto di alcun tipo di polemica. Penso che avrà compreso il senso estremamente positivo della mia interpellanza urgente che però preoccupa quanti hanno a cuore la qualità dell'insegnamento e soprattutto in questo caso la qualità della selezione con cui i nostri prossimi medici interverranno nel futuro mercato del lavoro.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca, Marco Rossi Doria, ha facoltà di rispondere.

MARCO ROSSI DORIA, Sottosegretario per l'istruzione, l'università e la ricerca. Signor Presidente, ringrazio l'onorevole Pagano e gli onorevoli interpellanti che chiedevano chiarimenti giustamente sull'organizzazione e le modalità di svolgimento delle prove di ammissione ai corsi di laurea magistrale in medicina e chirurgia e odontoiatria e protesi dentaria, sollecitando l'adozione di iniziative volte ad assicurare che la fase esecutiva della selezione si svolga nelle varie sedi a ciò deputate, secondo criteri del tutto omogenei. Al riguardo si precisa che con il decreto ministeriale n. 196 del 2012 recante modalità e contenuti delle prove di ammissione ai suddetti corsi di laurea per l'anno accademico 2012-2013 sono state Pag. 83definite le procedure per l'ammissione alla laurea magistrale e alla laurea con graduatoria unica e per sedi aggregate. L'adozione in via sperimentale dallo scorso anno dell'aggregazione di più sedi universitarie, sia della graduatoria unica, è stata confermata e ampliata anche per il prossimo anno accademico 2012-2013 in quanto ritenuta funzionale a garantire una maggiore valorizzazione del merito nello scorrimento delle graduatorie.
Al riguardo si ricorda che nelle graduatorie di ateneo lo scorrimento procede secondo il punteggio conseguito dai candidati fino al limite del numero di posti disponibili in quella sede. Ciò può comportare che in un ateneo sia escluso un candidato con un punteggio superiore rispetto a quello che risulta sufficiente per accedere al corso di laurea in un altro ateneo, e l'ampliamento della graduatoria alle sedi aggregate consente proprio di ridurre questo fenomeno. Il Ministero in occasione del procedimento di immatricolazione per l'anno accademico 2012-2013 terrà nella dovuta attenzione anche la circostanza che il nuovo sistema non richieda tempi più lunghi per l'assegnazione degli studenti e l'inizio della didattica. Quanto sopra rappresentato spiega che il passaggio ad una graduatoria unica nazionale deve essere graduale, onde assicurare che non sia rallentato l'inserimento nelle aule degli studenti che hanno sostenuto il test.
Quanto alle procedure per lo svolgimento della prova selettiva (al centro dell'interpellanza) si rappresenta che le stesse sono descritte con estremo dettaglio nel documento allegato al citato decreto ministeriale n. 196. Giova a proposito ricordare che la stessa è predisposta dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, avvalendosi di una commissione di esperti e che il contenuto è il medesimo su tutto il territorio nazionale e per entrambi i corsi di laurea magistrale in medicina e chirurgia e in odontoiatria e protesi dentaria. Anche la correzione è gestita in forma accentrata per cui l'aggregazione di sedi universitarie non può inficiare i criteri di selezione. È da escludersi anche la paventata penalizzazione di alcune università rispetto ad altre. Come è noto, la determinazione dei posti per l'accesso ai corsi in esame è effettuata secondo una prassi rigorosa che coinvolge vari soggetti istituzionali deputati alla attenta rilevazione e valutazione sia dell'offerta formativa degli atenei sia del fabbisogno del Servizio sanitario nazionale.
Riguardo agli adempimenti da adottare in sede di svolgimento della prova in termini di assegnazione delle postazioni dei candidati, vigilanza delle aule di esame, inibizione di uso di attrezzature elettroniche e ogni altro accorgimento utile ad assicurare la trasparenza e il buon andamento della procedura, saranno i singoli bandi di concorso a definirli nel dettaglio. Ma - questo è importante perché ci tiene il Ministro e tutto il Ministero - in ogni caso oltre alle indicazioni sul punto già contenute nel citato documento allegato al decreto ministeriale n. 196, il Ministero provvederà a diramare in tempo utile un'ulteriore nota di indirizzo al fine di consentire la massima uniformità ed organicità della procedura di selezione.

PRESIDENTE. L'onorevole Pagano ha facoltà di replicare.

ALESSANDRO PAGANO. Signor Presidente, all'inizio mi ero preoccupato - lo dico con grande chiarezza - perché sembrava che l'impostazione data dal governo andasse in una direzione di una presa di posizione e nulla di più. Per fortuna ci sono stati gli ultimi 30 secondi che mi hanno fatto ritrovare il sorriso e quindi diciamo che sono parzialmente soddisfatto, soprattutto in considerazione di quello che è stato detto, cioè che il Ministero emanerà una apposita circolare a cui tutte le altre 12 aggregazioni e 38 università si dovranno adeguare.
Poiché ci saranno gli occhi puntati addosso da 70 mila studenti - perché questi saranno -, con relativi nuclei familiari e con relativi interessi legittimi, perché, ovviamente, stiamo parlando del futuro di 70 mila persone; poiché ci saranno gli occhi puntati da parte di università Pag. 84e di un mondo che, ovviamente, vuole sempre di più la qualità e il merito, il mio unico auspicio, glielo posso assicurare, signor sottosegretario, è che questa volta non ve la perdoneranno se i criteri saranno blandi e se verranno fuori maglie larghe su cui si inseriranno - poco fa li ho chiamati furbastri - soggetti che, poi, le procure inseguono o, peggio, ancora le diffidenze inseguono in maniera altrettanto pesante, anche se in maniera diversa.
Quindi, nel manifestare la soddisfazione per la risposta - probabilmente, non se lo aspettava nemmeno lei -, vorrei dire, però, che tutto è rimandato a questa circolare che avverrà da qui, immagino, ad una decina di giorni. Quindi, vi auguro veramente buon lavoro (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

(Elementi in merito all'impiego del contingente italiano in Afghanistan nell'ambito di operazioni di bombardamento - n. 2-01601)

PRESIDENTE. L'onorevole Di Stanislao ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-01601, concernente elementi in merito all'impiego del contingente italiano in Afghanistan nell'ambito di operazioni di bombardamento (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti).

AUGUSTO DI STANISLAO. Signor Presidente, illustrerò brevemente la mia interpellanza urgente, perché mi interessa molto la risposta del Governo. Vorrei solo dire che, nei giorni scorsi, sul portale di Emergency, è apparso un articolo che non è sfuggito a nessuno, credo, dal titolo: «Afghanistan: l'Italia in guerra al cento per cento», in cui viene riportata l'intervista al tenente colonnello Francesco Tirino, portavoce, peraltro, del contingente italiano in Afghanistan.
Nell'intervista il colonnello dichiara che i nostri assetti presenti in teatro, Amx compresi, oggetto dell'interpellanza urgente, vengono usati al 100 per cento della loro capacità a difesa delle nostre truppe sul terreno, dei nostri alleati e della popolazione afgana.
Rispondendo alle domande, il colonnello Tirino afferma, inoltre, che nell'ambito dell'operazione congiunta «Shrimp Net» (tradotto, sarebbe «rete per gamberi», una cosa bruttissima veramente), gli Amx vengono impiegati con sgancio di bombe per queste attività o per azioni preventive. Ad esempio, le bombe a guida laser sganciate dai nostri Amx hanno distrutto un'antenna collocata in una zona impervia di montagna e usata dagli insorti per le loro comunicazioni radio.
È, altresì, emerso dall'intervista che, secondo fonti di stampa afgane, ci sarebbero stati decine di militari afgani uccisi dal «fuoco amico» nel corso dei bombardamenti aerei alleati in Gulistan.
Si chiede, pertanto, se e quali decisioni siano state adottate in relazione agli indirizzi espressi dal Parlamento che non consentivano, e non consentono, di effettuare bombardamenti e se non si ritenga di dover riferire circa le operazioni nelle quali i contingenti italiani sono impegnati nell'utilizzo degli Amx con sgancio di bombe.
Concludo questa prima parte, dicendo che vi è stata una coerenza, in qualche modo, del Ministro tecnico della difesa, ammiraglio Di Paola, che aveva già annunciato, a gennaio, che i nostri cacciabombardieri schierati in Afghanistan sarebbero stati impiegati anche in operazioni di bombardamento. Questa, peraltro, è una decisione eminentemente politica che, quindi, non gli atterrebbe, e non gli attiene; una decisione, imposta anche in spregio all'articolo 11 della nostra Costituzione e, ancor di più, alle regole della nostra democrazia parlamentare. La modifica dei caveat decisi dal Parlamento, infatti, è stata solo notificata in un'audizione in Commissione, mentre doveva essere, e deve essere, sempre e comunque, dibattuta e votata in Aula. È stata una decisione tradotta subito in pratica, con il regolare impiego dei quattro Amx del Cinquantunesimo stormo dell'Aeronautica militare in azioni di bombardamento. Pag. 85
Quindi, su questo tema noi ci chiediamo e interroghiamo il Governo se vi siano elementi che portino una coerenza rispetto alla strategia di uscita che, in qualche modo, cozza con gli interventi. Questi ultimi, peraltro, dimostrano che noi siamo lì non per portare la pace, la cooperazione allo sviluppo e la democrazia, ma che, forse, siamo lì ad offendere, andando anche contro i nostri alleati: attraverso il «fuoco amico» abbiamo fatto tante e tali vittime che, forse, non solo su di noi, ma anche sulla coscienza degli alleati, rimarrà per tutto il resto della loro vita.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la difesa, Filippo Milone, ha facoltà di rispondere.

FILIPPO MILONE, Sottosegretario di Stato per la difesa. Signor Presidente, l'impiego dei nostri contingenti nelle missioni internazionali è sempre stato e rimane conforme alle decisioni del Governo, sottoposte all'avallo del Parlamento. In continuità con gli Esecutivi precedenti, anche l'azione di questo Governo è improntata alla massima trasparenza, nel rispetto della necessità di tenere tempestivamente e costantemente informato il Parlamento. Questo è accaduto anche per la missione ISAF e, in particolare, per l'impiego degli aerei, e mi riferisco in questo caso agli AMX attualmente dislocati in Afghanistan.
Al riguardo ricordo che, in concomitanza con la conversione del decreto-legge n. 215 del 2011, il 18 gennaio scorso si è svolta l'audizione del Ministro degli affari esteri e del Ministro della difesa presso le Commissioni riunite e congiunte esteri e difesa di Camera e Senato, nel corso della quale è stato illustrato al Parlamento il quadro complessivo della situazione e delle prospettive delle principali missioni internazionali per il corrente anno. In quella occasione il Ministro Di Paola si è ampiamente soffermato sulla necessità di garantire il massimo livello possibile di sicurezza e protezione, in primis, per i nostri militari, ma anche per i contingenti alleati e per le forze di sicurezza afghane. Ciò in relazione all'accresciuto rischio connesso con il progressivo avanzamento della transizione.
Di conseguenza il Ministro ha fatto presente la necessità di poter far ricorso a tutti i nostri mezzi schierati in teatro, compresi gli aerei per il supporto tattico ravvicinato, gli AMX, al meglio delle relative capacità operative. Gli assetti aerei, e i nostri AMX fra questi, sono i soli che possono garantire i requisiti di rapidità di intervento, efficacia e precisione che si rendono indispensabili in determinate situazioni operative. Non sono infrequenti i casi di azioni ostili improvvise, portate anche con armi pesanti dagli insurgents contro gruppi tattici NATO e afghani che operano isolati sul terreno, spesso a distanze considerevoli dalle basi - e quindi con inaccettabili ritardi d'intervento per le truppe che si muovono via terra - o contro i siti avanzati per il controllo del territorio o, ancora, contro le strutture per l'addestramento delle forze di sicurezza afgane.
In caso di attacco è indispensabile, proprio per tutelare le vite dei nostri militari, poter contare su tutte le capacità potenzialmente disponibili per ingaggiare direttamente - reagendo nel minor tempo possibile, con precisione ed efficacia - le sorgenti di fuoco e indirettamente - ma con effetti altrettanto determinati - i supporti operativi per le comunicazioni e le informazioni degli insurgents. Si tratta di interventi puntiformi. È questa la tipologia di impiego dei nostri assetti aerei, come chiaramente illustrato dal Ministro Di Paola alle competenti Commissioni parlamentari.
L'impiego dei nostri aerei si basa su esigenze e presupposti operativi che rimangono cardini consolidati della missione della NATO; non vi è alcun cambiamento rispetto ad essi, ma risponde all'esigenza di massima efficacia e flessibilità che deve connotare ogni operazione militare per far fronte anche ai rischi meno prevedibili e alle possibili situazioni di emergenza. Per l'Italia, che è la nazione leader della regione ovest ed uno dei maggiori contributori di ISAF, sarebbe Pag. 86improponibile dover contare solo sul supporto aereo degli altri Paesi, soprattutto nel caso in cui un nostro gruppo tattico o una nostra base venissero a trovarsi sotto attacco. Contribuire con i nostri assetti alla capacità di supporto aereo di ISAF significa, innanzitutto, poter contare sulla disponibilità immediata e diretta di nostri aerei per le esigenze di protezione dei nostri contingenti, ma anche sul supporto dei nostri partner, ovviamente su base di reciprocità, secondo i concetti di impiego integrato delle risorse operative applicati in ambito NATO.
L'utilizzo degli AMX avviene, come per tutti gli assetti dislocati in teatro, nel pieno rispetto delle norme di sicurezza e delle regole d'ingaggio (rules of engagement) della missione ISAF, approvate da tutti i Paesi partecipanti e applicate uniformemente e coerentemente dalle rispettive forze militari. Esse sono vincolate ai principi del diritto internazionale, pattizio e convenzionale, con particolare riguardo al diritto umanitario e sono appositamente studiate per prevenire al massimo il rischio di danni collaterali.
A valle di queste considerazioni, faccio presente che, secondo i dati disponibili, dal febbraio 2012 i velivoli AMX italiani rischierati ad Herat hanno effettuato, senza causare danni collaterali, interventi a supporto di alcune unità nazionali fatte oggetto di attacco da parte degli insorti e di neutralizzazione degli apparati di comunicazione utilizzati dagli insorti stessi nell'ambito di tali attacchi. In sintesi, la missione ISAF opera in applicazione della risoluzione del Consiglio delle Nazioni Unite per la sicurezza e l'assistenza all'Afghanistan; l'Italia partecipa alla missione nel pieno rispetto del dettato integrale, sottolineo integrale, dell'articolo 11 della Costituzione; le modalità di impiego dei nostri contingenti e dei mezzi, compresi quelli aerei, sono pienamente coerenti con le finalità della missione, così come condiviso in ambito NATO, e avvengono nel pieno rispetto delle regole di ingaggio, ovvero del diritto internazionale, e secondo criteri di necessità e proporzionalità nell'uso controllato della forza.
In questa missione, come in tutte, la tutela della sicurezza dei nostri contingenti è assolutamente prioritaria e il nostro senso di responsabilità ci impone di prevedere l'impiego al meglio di tutte le capacità operative disponibili per la loro difesa. Se così non fosse, non ci sarebbero scuse plausibili, di fronte ad una eventualità tragica che facesse sorgere il dubbio di non aver fatto tutto il possibile.
Non mi resta, per concludere, che citare testualmente la dichiarazione di uno degli onorevoli firmatari di questa interpellanza urgente che, come riportato dal resoconto stenografico della Camera della seduta di martedì 28 luglio 2009, dichiarò: «siamo assolutamente favorevoli a che i nostri soldati siano muniti dal punto di vista della dotazione dei mezzi (anche aerei), dal punto di vista della strumentazione logistica e dal punto di vista economico di tutto ciò che li possa mettere nelle migliori e più efficienti condizioni di sicurezza. Questo è qualcosa che noi crediamo doveroso nell'interesse del Paese, dei nostri militari e delle loro famiglie». Questa è esattamente la linea del Governo che il Ministro Di Paola ha doverosamente portato all'attenzione del Parlamento.

PRESIDENTE. L'onorevole Di Stanislao ha facoltà di replicare.

AUGUSTO DI STANISLAO. Signor Presidente, ringrazio il sottosegretario, sono soddisfatto per la circostanziata relazione, ma credo che, in qualche modo, in alcune parti sia fuori tema. Infatti, non si discute sulla sicurezza dei nostri militari e su chi fa effettivamente attività di missione di pace, di ricostruzione e attività umanitarie. Chi vi parla è stato più volte in Afghanistan e quindi conosce di più e meglio di qualsiasi altro quello che può succedere in quel contesto.
Quello che si dice nell'interpellanza è qualcosa che è successo effettivamente, a fronte del quale vi sono stati diversi livelli di interpretazione e qualche depistaggio nella ricostruzione dei fatti, ma niente di più. Il tema è eminentemente Pag. 87politico perché viene utilizzato in maniera anche strumentale da un Ministro tecnico, che invece fa tutto meno che il Ministro tecnico.
Il tema è: si può, attraverso una comunicazione alle Commissioni, dire che il Parlamento è soddisfatto perché è stato informato? Io credo che un Parlamento non possa essere soddisfatto attraverso l'illustrazione di una relazione o degli intendimenti successivi, quasi a mettere le mani avanti. Il Parlamento deve essere chiamato, dopo l'illustrazione, a votare secondo scienza e coscienza al di là degli aspetti di sostegno di maggioranza e opposizione che stanno nell'Aula.
Il tema è proprio questo, ossia vedere se noi, all'interno sempre della Carta costituzionale, stiamo facendo riferimento all'articolo 11 al di là di quelli che sono i nostri impegni internazionali. Infatti, la nostra forte caratterizzazione nelle missioni internazionali è data dalla pace, sicurezza, interventi umanitari, ricostruzione, formazione, ma null'altro di questo, tant'è che noi oggi viviamo un particolare momento di schizofrenia tutto italiano rispetto a questo.
Mentre diciamo che ci accingiamo ad uscire, buttiamo bombe sull'Afghanistan. Mentre la società civile chiede al nostro Parlamento, lo ha fatto negli ultimi mesi a più riprese, e al Governo di fare chiarezza e fermare anche i bombardamenti proprio nella zona di Farah, ci si muove invece lungo un percorso ambiguo e pericoloso.
Perché nella nostra presenza da un lato vi sono le dichiarazioni di principio in ambito diplomatico con le quali ci si impegna ad una inversione di rotta (meno soldi per le attività militari e contestualmente un maggiore impegno per le attività civili, il sostegno alla ricostruzione economica del Paese e per la tutela dei diritti delle donne) e dall'altro i bombardamenti aerei effettuati dai 4 caccia bombardieri AMX.
Credo che questi siano ottimamente poi impegnati dal 27 giugno in queste operazioni di cui parlavo prima e fanno da contrasto rispetto agli intendimenti che vogliamo mettere in campo. La rete afghana da tempo è impegnata nella ricostruzione di percorsi comuni e condivisi tra la società civile italiana e quella afghana. Rivela e contesta fortemente la partita bifronte giocata dal Governo italiano. Chiede coerenza nelle scelte politiche e invita proprio noi, il Parlamento e i cittadini, ad esprimersi su quali strumenti sia più utile e legittimo adottare in Afghanistan. Le bombe e gli aiuti civile e umanitari sono incompatibili tra loro e dimostrano un atteggiamento contraddittorio e schizofrenico, cioè quello di un Paese che alla conferenza dei donatori di Tokyo dell'8 luglio si è speso con vigore per i diritti delle donne e della società civile afgana e che, alla vigilia del disimpegno delle truppe dall'Afghanistan, decide, invece, di mostrare i muscoli nel modo peggiore: armando i caccia.
È questa la contraddizione in termini che sentiamo sulla nostra pelle e non capiamo il motivo per cui un Ministro tecnico che dovrebbe far capire in che modo e in che misura uscire da questa fase di presenza in Afghanistan dando tutto il potere - nessuno escluso - alla società civile per uscirne finalmente in maniera autonoma e fortemente democratica, poi utilizza strumenti di morte. C'è una contraddizione che non è in termini. È una contraddizione culturale, politica, sociale e umanitaria che voi state portando all'interno del Parlamento e che noi vorremmo fosse oggetto di discussione.
Concludo, dicendo che all'incontro di quell'illustrazione in qualche modo - userò un eufemismo - pedagogica e scolastica dei due ministri per gli affari esteri e per la difesa di tutto si era parlato meno che entrare nel merito di alcune questione quali quelle degli AMX. Infatti, io c'ero e lì sono stato ancora molto più duro, diretto e puntuale rispetto ad alcune fasi di ricostruzione e chiedevo proprio al Governo e al Ministro Di Paola in che modo e in che misura intendesse portare avanti il proprio operato se non tenesse conto della presenza e delle prerogative del Parlamento che io in qualche modo, forse in solitudine, forse sbagliando, sto portando Pag. 88avanti da tantissimo tempo nella coerenza. Infatti, non mi sono mai rifiutato di andare in Afghanistan a vedere i nostri soldati e non mi sono mai rifiutato di andare a vedere le cose buone che abbiamo fatto, i modelli che abbiamo portato lì e di cui tutti parlano a livello internazionale.
Dico però che c'è un limite all'interno del quale bisogna dire «basta» e avviare una fase di transizione. Su questo noi stiamo lavorando e allora la schizofrenia è tutta qui. Se stiamo andando via e diamo in mano il proprio destino alla società afghana non possiamo dire che nel frattempo sganciamo un po' di bombe perché per la tranquillità di tutti dobbiamo fare in questo modo.
Chiudo dicendo che vi sono stati oltre 80 morti in questo periodo di tempo e che non esistono le bombe intelligenti. Esistono solo persone che muoiono perché qualcuno sgancia queste bombe. E ritengo che la nostra prerogativa e la nostra cultura ci facciano dire di no alle armi di offesa e ci facciano dire di sì, invece, a quelle che ci hanno per sempre contraddistinto e che sono le missioni internazionali di pace per le quali abbiamo un tratto distintivo a livello internazionale e che anche lì in Afghanistan ci hanno riconosciuto, salvo quando abbiamo sposato la causa di entrare in un contesto e in un teatro di guerra, laddove ci siamo spersonalizzati e abbiamo perso la vocazione e veramente la mission, per la quale anche il Capo dello Stato aveva difeso le prerogative di queste missioni internazionali e anche il Parlamento si era speso in questi termini.
Mi auguro ci sia il tempo di recuperare e che magari venga in Parlamento il Ministro a spiegare quale sarà l'evoluzione di questo percorso per la tranquillità di tutti e soprattutto per fare recuperare ad ognuno di noi la dignità e al Ministro la tranquillità delle proprie azioni.

PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento delle interpellanze urgenti all'ordine del giorno.

Ordine del giorno della prossima seduta.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

Lunedì 6 agosto 2012, alle 14:

Seguito della discussione del disegno di legge:
S. 3396 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, recante disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini (Approvato dal Senato) (C. 5389).
- Relatore: Nannicini.

La seduta termina alle 17,10.

TESTO INTEGRALE DELLA RELAZIONE DEL DEPUTATO ROLANDO NANNICINI IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE DI CONVERSIONE N. 5389

ROLANDO NANNICINI, Relatore. Un provvedimento così voluminoso e complesso quale quello oggi al nostro esame poco si presta a valutazioni sintetiche e sembra piuttosto caratterizzarsi per l'eterogeneità e, non di rado, la frammentarietà dei contenuti.
A rilievi di questo tipo si prestavano del resto non pochi provvedimenti di manovra adottati negli anni più recenti nel tentativo di ottenere, in tempi brevissimi, risultati estremamente ambiziosi al fine di fronteggiare la cosiddetta crisi dei debiti sovrani che, alimentata dalla speculazione finanziaria e contrastata con eccessiva titubanza ed incertezza a livello dell'Unione europea, continua ad affliggere con particolare intensità il nostro Paese.
Tuttavia, nella fattispecie, il significato politico e, in particolare, di politica economica e finanziaria del provvedimento in esame è estremamente chiaro e va valutato senz'altro assai positivamente. Pag. 89
Da un lato, infatti, il decreto-legge conferma l'indirizzo politico di fondo volto a risanamento della finanza pubblica ma, in coerenza con le dichiarazioni più volte rese dal Governo, non dà corpo ad un'ulteriore manovra finanziaria, limitandosi a correggere l'orientamento di quelle effettuate in precedenza.
Un'ulteriore manovra non solo non appare necessaria per il conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, ma avrebbe un effetto chiaramente prociclico nei confronti dell'economia nazionale, ancora preda per quest'anno di una spirale recessiva.
Il provvedimento, invece, è ispirato alla volontà di avviare un processo di riduzione della pressione fiscale spostando il peso delle manovre già attuate sul versante della spesa pubblica attraverso misure di razionalizzazione e riduzione delle spese superflue e inefficienti definite sinteticamente, oramai nel linguaggio comune, come spending review. Di tale approccio siamo debitori al Ministro dell'economia e delle finanze del Governo di centrosinistra in carica nella scorsa legislatura, Tommaso Padoa Schioppa, che per primo aveva ravvisato la necessità di mettere mano con intelligenza e, se così posso esprimermi, precisione chirurgica alla spesa pubblica a livello nazionale e locale.
L'obiettivo immediato del decreto-legge è quello di evitare l'ormai imminente aumento dell'IVA realizzando economie per circa 4,3 miliardi di euro ma che, a regime, risulterebbero pari a circa 10 miliardi di euro, consentendo verosimilmente ulteriori e diversi interventi volti ad alleviare il peso del carico fiscale.
Un ulteriore aumento dell'IVA nella fase attuale avrebbe significato deprimere in misura ancora più accentuata i consumi con conseguenze pesantemente negative per l'intera economia. Evitare che ciò avvenga favorirà, al contrario, la ripresa dell'economia che già gli osservatori non ritengono imminente ma che senz'altro sarebbe stata procrastinata da un ulteriore inasprimento della tassazione influendo tra l'altro assai negativamente sulla fiducia delle famiglie e delle imprese.
Del resto, più volte nel corso delle audizioni svolte in Commissione i rappresentanti delle istituzioni europee ed internazionali avevano sottolineato come il risanamento della finanza pubblica vada attuato agendo prevalentemente sul lato della spesa piuttosto che sul versante delle entrate, al fine di attenuare l'effetto recessivo di manovre finanziarie di dimensioni imponente ed attuate in tempi estremamente brevi nel tentativo di rasserenare i mercati e attenuare i fenomeni di speculazione finanziaria.
Proprio l'urgenza e la necessità di provvedere hanno reso inevitabile procedere, in una prima fase, ad un incremento della pressione fiscale che ha tuttavia raggiunto livelli tali da poter ostacolare la stessa competitività del nostro sistema produttivo già fortemente colpito dal calo della domanda interna.
Il provvedimento in esame non contraddice pertanto, ma è coerente con la scelta del Governo e la maggioranza di favorire e di dare un'assoluta priorità in questa fase alla crescita economica, senza una ripresa della quale nessuna politica di risanamento finanziario può risultare efficace.
Sotto tale profilo, lo stesso vertice europeo del 28 e 29 giugno scorso, va valutato positivamente perché, sul piano dei principi - anche se, onestamente, non su quello quantitativo e delle misure concretamente assunte - ha riconosciuto come la crescita economica debba ora rappresentare l'obiettivo fondamentale della strategia europea volta a contrastare gli effetti della crisi economica e finanziaria.
In tal senso, le decisioni assunte in materia di project bonds rappresentano la spia di una correzione di rotta che l'Italia, forte della coerenza con la quale sta attuando la politica del rigore, deve concorrere a sostenere e a sviluppare.
Come Parlamento dobbiamo avere il coraggio di dirlo con molta chiarezza. Si è oramai esaurito lo spazio per politiche di nuovo prelievo fiscale e di contenimento, non giustificato da obiettivi di razionalizzazione, della spesa sociale. Alle famiglie Pag. 90ed alle imprese sono stati richiesti sacrifici e occorre ora adottare provvedimenti in grado di aprire nuove prospettive sul fronte dell'occupazione e dello sviluppo, stimolare la fiducia e creare opportunità, intervenendo in modo intelligente nei settori della ricerca, dell'istruzione, dell'energia e delle infrastrutture.
Le principali linee di intervento del decreto-legge.
Il decreto-legge al nostro esame si muove, in estrema sintesi, su quattro linee principali di intervento al fine di conseguire i risultati di contenimento della spesa necessari essenzialmente per evitare l'aumento dell'IVA, secondo la ripartizione nei differenti titoli del provvedimento stesso. In particolare, esso reca preliminarmente disposizioni di carattere generale e procedurale, volte alla razionalizzazione dei processi di spesa e alla più corretta gestione del patrimonio immobiliare, seguono quindi disposizioni precipuamente indirizzate alla riduzione delle spese, rispettivamente, delle amministrazioni centrali e degli enti non territoriali, in campo sanitario e degli enti territoriali.
In particolare, nell'ambito del primo filone di interventi rientrano gli articoli da 1 a 6.
L'articolo 1, modificato dal Senato, reca disposizioni in materia di riduzione della spesa per l'acquisto di beni e servizi e trasparenza delle procedure, incidendo sulla disciplina del mercato degli acquisti della pubblica amministrazione e prevedendo un programma per l'efficientamento delle procedure di dismissione di beni mobili, nonché obiettivi di riduzione della spesa in tale campo delle pubbliche amministrazioni. In tal senso, le modifiche introdotte dal Senato riguardano essenzialmente novelle al codice degli appalti coerenti con gli obiettivi di razionalizzazione.
L'articolo 2, modificato dal Senato, reca disposizioni per la riduzione delle dotazioni organiche delle pubbliche amministrazioni, prevedendo forme di mobilità e pensionamento nel caso di personale in soprannumero. Disposizioni particolari, introdotte dall'altro ramo del Parlamento regolano le riduzioni delle dotazioni organiche per le amministrazioni della Difesa e dell'Interno.
L'articolo 3, modificato dal Senato, detta disposizioni circa l'utilizzo degli spazi da parte delle pubbliche amministrazioni e i relativi costi. L'articolo 4, modificato dal Senato, contiene essenzialmente disposizioni relative allo scioglimento o privatizzazione di società in house che svolgono servizi nei confronti della pubblica amministrazione; alla composizione dei consigli di amministrazione di tali società; all'applicazione del principio della selezione competitiva per l'individuazione di beni e servizi strumentali all'attività della pubblica amministrazione; ai limiti di assunzioni nelle società pubbliche; al divieto di arbitrati nei contratti di servizio tra lo Stato e le società partecipate.
L'articolo 5 reca disposizioni volte al contenimento di alcune voci di spesa delle pubbliche amministrazioni, tra cui ricordo la ulteriore riduzione delle auto di servizio, la riduzione dei buoni pasto per i dipendenti pubblici, il divieto di monetizzazione delle ferie. Sottolineo che anche la Banca d'Italia sarà chiamata ad applicare nel proprio ordinamento i principi di razionalizzazione della spesa recati dalle richiamate disposizioni.
L'articolo 6, modificato dal Senato, reca interventi finalizzati al rafforzamento della funzione statistica e del monitoraggio dei conti pubblici, con diverse disposizioni essenzialmente volte a potenziare gli obblighi informativi e i controlli relativi ai bilanci delle amministrazioni pubbliche e agli enti da esse controllati.
Gli articoli da 7 a 14, tutti modificati dal Senato, attengono invece alla riduzione delle spese delle amministrazioni centrali e degli enti non territoriali.
In particolare, l'articolo 7 reca disposizioni diverse volte al contenimento delle spese della Presidenza del Consiglio e dei Ministeri, attraverso la soppressione di strutture, la riduzione di contributi, nonché, per ciascun Ministero, le riduzioni di spesa ad esso relative. Vi sono, poi, diverse disposizioni in materia di razionalizzazione Pag. 91della spesa in materia di istruzione, in particolare attraverso l'assoggettamento al sistema di tesoreria unica, e l'aumento delle tasse universitarie per gli studenti fuori corso e l'accorpamento di consorzi interuniversitari.
L'articolo 8 persegue riduzioni di spesa da parte degli enti pubblici diversi da quelli territoriali, mediante una molteplicità di interventi, quali: l'ampliamento dell'utilizzo delle carte elettroniche istituzionali per pagamenti; la riduzione delle comunicazioni cartacee con gli utenti; la riduzione delle spese di telefonia; lo scambio gratuito di dati entro il settore pubblico allargato; la razionalizzazione degli uffici collocati nel medesimo comune; la dematerializzazione degli atti.
L'articolo 9 prevede che le autonomie territoriali intervengano, con procedure specificamente individuate, su enti, agenzie e organismi che esercitino funzioni fondamentali o funzioni amministrative spettanti agli enti locali, sopprimendoli o anche accorpandoli, in modo da garantire - in tal ultimo caso - almeno il 20 per cento di risparmi e dispone per l'avvenire il divieto di istituire gli stessi soggetti.
L'articolo 10 disegna una riconfigurazione della organizzazione dello Stato nel territorio, rafforzando ulteriormente il ruolo delle Prefetture, quali ufficio unico di garanzia dei rapporti tra i cittadini e lo Stato, seguendo di norma la territorializzazione delle nuove Province.
L'articolo 11 reca disposizioni volte al riordino delle Scuole pubbliche di formazione, attraverso l'eliminazione di sovrapposizioni e duplicazioni delle funzioni; l'individuazione precisa dei compiti di ciascuna struttura; la concentrazione in un'unica scuola centrale esistente delle funzioni di formazione generica dei dirigenti e dei funzionari statali e degli enti pubblici non economici.
L'articolo 12 reca un'articolata soppressione di enti ed organismi ovvero una riduzione degli amministratori.
L'articolo 13 reca l'assorbimento dell'ISVAP nel nuovo Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni (IVASS).
L'articolo 14 reca disposizioni relative alla riduzione di spese per il personale delle pubbliche amministrazioni, confermando in particolare i limiti assunzionali già previsti - anche con riguardo ai corpi di polizia e di Vigili del fuoco - e di mobilità, protraendo di un anno i limiti rispettivamente stabiliti con riferimento al 2013, al 2014 e al 2015 ed estendendo tali limiti ai corpi di polizia e ai Vigili del fuoco. Analoghe disposizioni vengono introdotte anche in riferimento alle università e agli enti di ricerca, che potranno procedere al turn-over nella misura del 20 per cento nel triennio 2012-2014, del 50 per cento nel 2015 e del 100 per cento dal 2016. Specifiche disposizioni riguardano anche il personale della scuola, introducendo in particolare una nuova disciplina a regime, riguardante l'utilizzo dei docenti che, al termine delle operazioni di mobilità, risultino in esubero.
Le disposizioni per il contenimento della spesa in campo sanitario sono recate dall'articolo 15, modificato dal Senato, che reca un'articolata serie di interventi a partire dall'incremento della percentuale che il Servizio sanitario nazionale trattiene, a titolo di sconto, sui farmaci. L'obbligo per il medico di prescrivere i farmaci, indicando, nella prescrizione del Servizio sanitario nazionale, la sola denominazione del principio attivo contenuto nel farmaco è mediato dalla facoltà dell'indicazione di un farmaco specifico. Si prevedono, tra le altre cose, la modifica della disciplina relativa ai contratti di acquisto di beni e servizi anche con specifico riferimento ai dispositivi medici - da parte di aziende o enti del Servizio sanitario nazionale; la procedura ed i termini temporali per la determinazione di nuove tariffe massime di remunerazione delle strutture sanitarie accreditate che erogano, in base ad accordi e contratti, assistenza ospedaliera ed ambulatoriale a carico del Servizio sanitario nazionale e le norme sul contenimento delle spese per il personale del Servizio sanitario nazionale; innovazioni alle norme sui posti letto ospedalieri. Pag. 92
L'ultimo campo di intervento per il contenimento delle spese riguarda gli enti territoriali ed è contenuto nelle disposizioni di cui agli articoli da 16 a 20, modificati dal Senato.
L'articolo 16 fissa, come sarà specificato nel prosieguo della relazione, il contributo degli enti territoriali al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, modificando all'uopo il patto di stabilità interno.
Il Senato ha poi introdotto l'articolo 16-bis recante l'introduzione di un patto tra Governo e regioni, disponendo che con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri si provveda alla definizione di criteri e modalità con cui ripartire e trasferire alle regioni a statuto ordinario le risorse del Fondo per il finanziamento del trasporto pubblico locale, anche ferroviario, nelle regioni a statuto ordinario di cui all'articolo 21, comma 3, del decreto-legge n. 98 del 2011 e all'30, comma 3, del decreto-legge n. 201 del 2011.
L'articolo 17 stabilisce il principio che le province delle regioni a statuto ordinario sono sottoposte a riordino sulla base di requisiti minimi di popolazione e territorio e di apposite proposte regionali che verranno riportate in un atto di iniziativa legislativa del Governo. L'articolo 18 sopprime le Province di Roma, Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria e istituisce contestualmente le «relative» città metropolitane a decorrere dal lo gennaio 2014 o da data precedente se se ne verificano le condizioni.
L'articolo 19 concerne le funzioni fondamentali dei comuni e le modalità di esercizio associato di funzioni e servizi comunali, con particolare riferimento all'esercizio associato di funzioni, già previsto dall'articolo 14 del decreto-legge n. 78 del 2010, dettando specifiche disposizioni per i comuni fino a 1.000 abitanti.
L'articolo 20 destina il 20 per cento dei trasferimenti erariali per il 2010 ai comuni che diano luogo a una fusione a partire dal 2012.
L'articolo 7, comma 21, e gli articoli da 21 a 23 sono volti a destinare i risparmi di spesa, rispettivamente, ad interventi per la ricostruzione delle aree colpite dal sisma del maggio 2012; al differimento dell'eventuale aumento dell'IVA al secondo semestre del 2013; ad ampliare il numero dei lavoratori che potranno godere della salvaguardia dei lavoratori dall'incremento dei requisiti di accesso al sistema pensionistico e ad interventi vari di carattere finanziario, legati ad esigenze diverse di carattere finanziario per il sostegno di determinati interventi o settori.
Le principali innovazioni introdotte dal Senato.
Presso il Senato il provvedimento è stato oggetto di una copiosa attività emendativa.
Innanzitutto, l'altro ramo del Parlamento, dopo aver svolto, attraverso le Commissioni bilancio e finanze, l'esame del decreto-legge 27 giugno 2012, n. 87, in materia di efficientamento, valorizzazione e dismissione del patrimonio pubblico, i razionalizzazione dell'amministrazione economica-finanziaria, nonché misure di rafforzamento del patrimonio delle imprese del settore bancario, l'ha fatto confluire, attraverso l'attività emendativa svolta presso la Commissione bilancio, nel decreto-legge al nostro esame.
La coerenza del contenuto dei due strumenti legislativi è del resto piuttosto evidente, posto che un'oculata gestione del patrimonio pubblico rappresenta un elemento fondamentale della spending review e che la razionalizzazione dell'amministrazione economico-finanziaria è ispirata a principi non difformi da quelli applicati alle altre pubbliche amministrazioni centrali e alle autonomie territoriali.
Tra le numerose proposte emendative approvate al Senato mi limito inoltre a segnalare, rinviando per il resto alla copiosa documentazione predisposta dagli uffici, quelle relative a due filoni di intervento.
In primo luogo il Senato ha introdotto una serie di disposizioni recanti interventi in favore delle aree del paese di recente colpite da calamità naturali di rilevante entità e, segnatamente, dell'Emilia-Romagna e dell'Abruzzo. Pag. 93
In particolare, l'articolo 3-bis, dopo aver previsto che i contributi già disponibili a legislazione vigente e destinati ad interventi di riparazione, ripristino e costruzione di immobili di edilizia abitativa o ad uso produttivo nelle aree colpite dal sisma del 20-29 maggio 2012 possano essere concessi anche sotto forma di finanziamenti agevolati, sotto il profilo fiscale, ha previsto la possibilità di fruire dei contributi in questione con le modalità del finanziamento agevolato da parte degli intermediari bancari. A tal fine la norma dispone che, in caso di accesso ai finanziamenti agevolati accordati dalle banche, in capo ai beneficiari maturi in credito di imposta fruibile in compensazione nei limiti di un'autorizzazione di spesa pari a 450 milioni di euro annui a decorrere dal 2013. Nonostante si provveda al relativo onere a valere su risorse già stanziate in favore dei medesimi territori, la misura in questione appare in grado di esercitare un impatto estremamente positivo sulle attività di ricostruzione del patrimonio edilizio delle famiglie e delle imprese, accelerando la completa ripresa delle attività economiche.
L'articolo 23 reca invece disposizioni relative al concorso dello Stato all'equilibrio finanziario del comune dell'Aquila e degli altri comuni del cratere.
Un terzo rilevante intervento effettuato dal Senato riguarda il Patto di stabilità interno. In particolare, l'articolo 16, senza alterare i saldi di finanza pubblica, prevede che gli obiettivi del patto di stabilità interno siano rideterminati per 700 milioni di euro per l'anno 2012 e di 1000 milioni di euro a decorrere dall'anno 2013. È inoltre previsto che le risorse statali a qualunque titolo dovute dallo Stato alle Regioni a statuto ordinario, escluse quelle destinate al finanziamento del Servizio sanitario nazionale e al trasporto pubblico locale, siano ridotte di 700 milioni nell'anno 2012 e di 1000 milioni di euro a decorrere dall'anno 2013. Vengono inoltre dettate una serie di disposizioni volte a rendere compatibili sotto il profilo finanziario il cosiddetto patto verticale incentivato con il patto nazionale orizzontale, prevedendo una riduzione dei contributi in favore dei comuni che cedono spazi finanziari. È inoltre previsto un contributo in favore delle regioni a statuto ordinario e delle regioni Siciliana e alla Sardegna destinato alla riduzione del debito pubblico pari a 800 milioni di euro. Viene, infine, consentito, attraverso una specifica procedura, ai comuni che non risultano beneficiari delle risorse del patto verticale incentivato di presentare nuove richieste di spazi finanziari da acquistare attraverso il patto nazionale orizzontale. Gli spazi finanziari ceduti da ciascuna regione vengono ripartiti tra i comuni, al fine di favorire i pagamenti dei residui passivi in conto capitale in favore dei creditori.
In conclusione segnalo che, con riferimento a tutte le modifiche del testo introdotte dal Senato, è stata redatta una relazione tecnica, debitamente verificata dalla Ragioneria generale dello Stato, volta a chiarirne i profili finanziari.
Riepilogo degli effetti finanziari.
Per quanto attiene agli effetti finanziari del provvedimento, osservo che nel testo iniziale le risorse utilizzate sono reperite esclusivamente dal lato delle spese ed ammontano in termini di indebitamento netto a 4,4 miliardi di euro nel 2012, a 10,3 miliardi di euro nel 2013 e a 11,2 miliardi di euro nel 2014. Per quanto riguarda i risparmi di spesa, essi sono determinati in larga parte dalla riduzione delle spese dei ministeri e degli stanziamenti del fondo speciale di parte capitale, mentre le amministrazioni locali contribuiscono al reperimento delle risorse in misura superiore alle amministrazioni centrali attraverso gli interventi sul patto di stabilità interno, sulla sanità e sul fondo perequativo per gli enti locali.
Sul fronte degli impieghi, le risorse sono invece destinate in misura prevalente alla compensazione delle minori entrate derivanti dal differimento dell'incremento dell'IVA, che determina oneri quantificabili in 3,3 miliardi di euro nel 2012, a 6,6 miliardi di euro nel 2013 e a 9,9 miliardi di euro nel 2014. Le maggiori spese previste nel testo iniziale del decreto sono, invece, pari a 500 milioni di euro nel 2012, Pag. 94a 3,7 miliardi di euro nel 2013 e a 1,24 miliardi di euro nel 2014 e comprendono, invece, gli interventi relativi all'emergenza per il terremoto in Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto, che ammontano ad un miliardo di euro nel 2013 e nel 2014, il rifinanziamento delle missioni di pace per un miliardo di euro nel 2013, il rifinanziamento del fondo per le esigenze indifferibili di cui all'articolo 7-quinquies del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 33 del 2009.
Il quadro complessivo degli effetti finanziari del decreto non è significativamente mutato a seguito dell'esame svolto dal Senato della Repubblica.
Le minori spese, a seguito delle modifiche, ammontano a 4,4 miliardi di euro nel 2012, a 10,9 miliardi di euro nel 2013 e 11,7 miliardi di euro nel 2014, mentre le minori entrate sono invariate. Sul piano degli impieghi, le maggiori spese si incrementano a 600 milioni di euro nel 2012, a 4,3 miliardi di euro nel 2013 e a 1,8 miliardi di euro nel 2014. La modifica di importo più rilevante è riconducibile all'articolo 16, comma 12-bis, che attribuisce un contributo di 800 milioni di euro nell'anno 2012 alle regioni a statuto ordinario e alle regioni Sicilia e Sardegna i cui comuni siano beneficiari di risorse erariali, da destinare alla riduzione del debito. Ai relativi oneri, che si manifestano solo in termini di saldo netto da finanziare, si provvede quanto a 300 milioni di euro mediante corrispondente riduzione degli incentivi per il patto di stabilità interno orizzontale nazionale e, quanto a 500 milioni di euro, mediante versamento all'entrata del bilancio dello Stato di quota parte delle risorse disponibili sulla contabilità speciale n. 1778. Un ulteriore intervento è previsto dall'articolo 17, comma 13-bis, che attribuisce un contributo di 100 milioni di euro nell'anno 2012 alle province delle regioni a statuto ordinario e delle regioni Sicilia e Sardegna, anch'esso destinato alla riduzione del debito. Anche in questo caso, all'onere, che si manifestano solo in termini di saldo netto da finanziare, mediante versamento all'entrata del bilancio dello Stato di quota parte delle risorse disponibili sulla contabilità speciale n. 1778. Sul punto, considerata anche la rilevanza dei riversamenti alle entrate previsti dal provvedimento, credo che potrebbe essere utile acquisire maggiori informazioni dal Governo in ordine alle disponibilità della contabilità speciale n. 1778 e alla possibilità di ridurne l'ammontare anche in assenza di interventi in materia di entrata.
Per quanto riguarda gli esercizi finanziari successivi, si segnala l'intervento di cui all'articolo 3-bis, comma 6, che concede un credito di imposta per il finanziamento degli interventi di ripristino e ricostruzione di immobili nelle zone interessate dal sisma del maggio 2012. Al riguardo, osservo che, per i primi due anni, la misura trova copertura nelle risorse già stanziate dal provvedimento per la ricostruzione, mentre a decorrere dall'anno 2015, le risorse sono reperite attraverso ulteriori riduzioni delle spese dei ministeri e l'incremento del concorso degli enti territoriali al contenimento degli oneri.
Per quanto attiene agli effetti complessivi del provvedimento sui saldi di finanza pubblica, rilevo preliminarmente che essi non sono stati alterati dall'esame presso l'altro ramo del Parlamento. Per il saldo netto da finanziare si registra un saldo positivo di 243,8 milioni di euro nell'anno 2012, mentre per fabbisogno ed indebitamento netto si registra un miglioramento di 1,5 miliardi di euro nel 2012, 15,8 milioni di euro nel 2013 e 27,3 milioni di euro nel 2014.
Come ho già segnalato, nel corso dell'esame presso l'altro ramo del Parlamento nel decreto-legge in esame è stato fatto confluire, negli articoli da 23-bis a 23-duodecies, il contenuto del decreto-legge n. 87 del 2012, recante misure urgenti in materia di efficientamento, valorizzazione e dismissione del patrimonio pubblico, di razionalizzazione dell'amministrazione economico-finanziaria, nonché misure di rafforzamento del patrimonio delle imprese del settore bancario. Le disposizioni recano in primo luogo, all'articolo 23-bis, Pag. 95norme volte alla razionalizzazione e al riassetto delle partecipazioni detenute dallo Stato, suscettibili di determinare maggiori entrate nell'ordine di 9-10 miliardi di euro, che potranno essere rilevati solo a consuntivo, da destinare, alternativamente, alla riduzione dello stock del debito pubblico o a migliorare i tempi dei pagamenti dello Stato verso i privati. Le altre disposizioni rilevanti sotto il profilo finanziario sono, poi, quelle relative all'incorporazione dell'Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato nell'Agenzia delle dogane e dell'Agenzia del territorio nell'Agenzia delle entrate e alla riduzione delle dotazioni organiche e riordino delle strutture del Ministero dell'economia e delle finanze e delle agenzie fiscali. In entrambi i casi, tuttavia, la relazione tecnica, pur fornendo alcuni dati riferiti a singoli aspetti della normativa, precisa che i risparmi per la finanza pubblica potranno essere quantificati con precisione solo a consuntivo. Di segno opposto sono, invece, gli interventi recanti misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario, che prevede la sottoscrizione da parte del Ministero dell'economia e delle finanze di strumenti finanziari emessi da Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.a. fino all'importo di 3,9 miliardi di euro. Ai sensi dell'articolo 23-undecies le risorse necessarie per finanziare la sottoscrizione degli strumenti finanziari sono individuate attraverso: la riduzione lineare delle dotazioni finanziarie, a legislazione vigente, delle missioni di spesa di ciascun Ministero, con esclusione di alcune categorie di spesa assimilabili in larga parte a spese di carattere obbligatorio o aventi natura obbligatoria, cui si aggiungono altre specifiche spese ritenute «indisponibili»; la riduzione di singole autorizzazioni legislative di spesa; l'utilizzo mediante versamento in entrata di disponibilità esistenti sulle contabilità speciali, nonché sui conti di tesoreria intestati ad Amministrazioni pubbliche ed enti pubblici nazionali, con esclusione di quelli intestati alle Amministrazioni territoriali, nonché di quelli riguardanti i flussi finanziati intercorrenti con l'Unione europea ed i connessi cofinanziamenti nazionali, con corrispondente riduzione delle relative autorizzazioni di spesa e contestuale riassegnazione ad un apposito capitolo dello stato di previsione del Ministero dell'economia; l'emissione di titoli del debito pubblico.
Il meccanismo di copertura individuato corrisponde a quello previsto dall'articolo 12, comma 9, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, nella legge 28 gennaio 2009, n. 2, con riferimento ai cosiddetti «Tremonti bonds» e presenta peculiarità già segnalate in occasione dell'esame di quel provvedimento, riferibili in particolare al possibile utilizzo con finalità di copertura finanziaria dell'emissione di titoli del debito pubblico e all'affidamento ad una norma di rango secondario del potere di ridurre risorse iscritte in bilancio in forza di una autorizzazione legislativa di spesa.

TESTO INTEGRALE DEGLI INTERVENTI DEI DEPUTATI GIANNI MANCUSO E LAURA FRONER IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE DI CONVERSIONE N. 5389

GIANNI MANCUSO. Grazie Presidente, intervengo sul provvedimento in oggetto, relativo a disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica, su cui il Governo ha posto la fiducia al Senato due giorni fa, per fare alcune sottolineature rispetto agli assurdi vincoli che si prevedono per gli Enti previdenziali dei professionisti.
Le Casse dei professionisti saranno chiamate a dare una mano nell'ambito del risanamento dei conti pubblici.
Infatti dovrebbero ridurre le spese per i consumi del 5 per cento nel 2012 e del 10 per cento nel 2013.
Ma la cosa veramente assurda è che dovrebbero versare queste somme risparmiate allo Stato.
È bene ricordare che le Casse subiscono già una doppia tassazione con la formula E.T.T. (Esenzione sui contributi, Pag. 96Tassazione sulle pensioni e Tassazione sui rendimenti).
Purtroppo non è la prima volta che il legislatore interviene per limitare l'autonomia gestionale degli Enti previdenziali, nonostante le privatizzazione voluta con il D. Lgs. 509/94 per professioni quali: medici, medici veterinari, farmacisti, giornalisti, ingegneri, architetti, notai, avvocati, dottori commercialisti, geometri, consulenti del lavoro e ragionieri.
L'autonomia gestionale è stata ribadita col D. Lgs.103/96 per le Casse degli psicologi, biologi, attuari, geologi, agronomi, infermieri e periti industriali.
Per effetto del controverso elenco ISTAT degli organismi pubblici non economici (L. 196/09), in cui sono state inopportunamente incluse anche le Casse, tutte le volte che lo Stato stringe i cordoni della borsa chiama in causa anche i professionisti.
Questo braccio di ferro va avanti da ormai 8 anni con alti e bassi.
Con la sentenza 224/2012, le Casse hanno ottenuto dal TAR Lazio il pieno riconoscimento dell'autonomia contabile, organizzativa, gestionale e finanziaria.
Successivamente il Consiglio di Stato ha sospeso l'esecutività della sentenza del TAR e rinviato al 30/10 p.v. l'udienza di merito.
I nuovi vincoli previsti da questo provvedimento sono numerosi, ma la misura più preoccupante è quella prevista dall'articolo 8.
Gli interventi di razionalizzazione per ridurre le spese sono già una realtà per le Casse dei professionisti; risulta incomprensibile la motivazione per cui questi risparmi debbano andare allo Stato; semmai dovrebbero andare a favore degli iscritti che con i propri contributi sostengono le Casse.
In un sistema pensionistico generale che soffre, solo la gestione separata INPS e le Casse dei professionisti presentano conti solidi.
Con patrimoni che si aggirano attorno ai 43 miliardi di euro, tra investimenti immobiliari e mobiliari, questo mondo aveva da poco raggiunto l'obiettivo dei 30 anni di sostenibilità e tra qualche settimana raggiungerà l'ulteriore assurdo obiettivo dei 50 anni, come imposto dalle ultime richieste ministeriali.
Se da un lato si può ben comprendere l'inclusione delle Casse dei professionisti nell'elenco ISTAT, in quanto con i loro bilanci in attivo e con i cospicui patrimoni di cui sono dotate, aiutano a migliorare la presentazione dei conti dello Stato italiano di fronte all'Europa, dall'altro è inaccettabile l'estensione ad esse delle disposizioni di razionalizzazione della spesa pubblica perché esse pubbliche non sono.
In considerazione del momento congiunturale tanto negativo come quello attuale, anche gli Enti di previdenza dei professionisti continueranno ad impegnarsi al massimo contenimento delle spese, ma auspico che gli eventuali risparmi vadano accantonati nei propri conti, in modo da incrementare l'utile e, di conseguenza, le riserve previste per legge, nell'interesse degli iscritti, unici finanziatori delle gestioni.

LAURA FRONER. Nel mio intervento farò qualche considerazione di carattere generale, con qualche cenno ad argomenti di competenza della decima Commissione, e concluderò con alcune riflessioni sulle autonomie speciali.
Come è noto, il decreto-legge in esame rappresenta la seconda fase dei provvedimenti dedicati alla revisione della spesa pubblica. In precedenza è stato adottato il decreto-legge 7 maggio 2012, n. 52, contenente un complesso di disposizioni la cui finalità è quella di consentire, accanto alle norme già in vigore, l'eliminazione di inefficienze e sprechi nella spesa pubblica, in modo da ridurne l'ammontare e reperire risorse da destinare alla crescita economica.
All'interno del decreto-legge in discussione oggi è confluito anche il testo del decreto-legge n. 87 del 2012, recante disposizioni in materia di valorizzazione e dismissione del patrimonio pubblico. Il testo risulta quindi corposo e complesso:
Nonostante i tempi per l'esame del provvedimento siano stati molto ristretti vorrei esprimere una valutazione politica Pag. 97positiva ed un parere favorevole sul complesso delle misure recate dal decreto-legge. Vorrei chiarire subito che se il provvedimento in esame fosse stato presentato dai parlamentari del Partito democratico sarebbe stato sicuramente diverso in molte parti. Ma dobbiamo considerare la situazione contingente del Paese e l'obiettivo principale che è il risanamento dell'economia. Ecco perché nonostante alcuni punti deboli e non soddisfacenti contenuti nel testo, riteniamo prioritario dare un segnale forte e responsabile all'Unione europea e ai mercati, coscienti che questo sia l'unico modo serio per prenderci cura dell'interesse del Paese e soprattutto della sua parte più debole.
Siamo consapevoli che un vero e proprio processo completo di ridefinizione delle aree e dei settori di intervento pubblico avrebbe richiesto tempi molto più lunghi, ma nel provvedimento che stiamo esaminando c'è senza dubbio più revisione di spesa di quanto possa sembrare a prima vista.
Le scelte effettuate nel decreto-legge si muovono nella condivisibile direzione di riqualificazione della spesa per ridurre gli eccessi della pressione fiscale e destinare le risorse a favore della crescita e della coesione sociale. Ricordo che la riduzione della spesa si rende necessaria, tra l'altro, per impedire che, dal prossimo mese di ottobre, l'IVA venga aumentata di 2 punti percentuali, aumento che contribuirebbe ad aggravare la tendenza depressiva del quadro economico.
Tra gli aspetti qualificanti vi sono anche l'ulteriore destinazione di oltre un miliardo di euro alle zone colpite dagli eventi sismici (550 milioni per la ricostruzione per ciascuno degli anni 2013 e 2014 e 450 milioni a partire dal 2013 in crediti d'imposta e finanziamenti bancari agevolati), l'attivazione di strumenti creditizi agevolati e garantiti dallo Stato a favore di cittadini e imprese, nonché l'estensione a 55 mila lavoratori della salvaguardia dall'incremento dei requisiti di accesso al sistema pensionistico disposto dalla recente legge di riforma delle pensioni. In riferimento a questo punto, rilevo che con questa norma non riteniamo ancora risolta la questione dei cosidetti «esodati», in quanto il loro numero è in realtà più ampio della platea delle 120.000 persone che risulterebbero finora coperte.
Ritornando alle riflessioni generali, è sicuramente necessario procedere ad una profonda revisione e riqualificazione della spesa pubblica italiana che, a confronto con quella di altri Paesi europei, è meno funzionale nel rapporto con la qualità dei servizi offerti, soprattutto in considerazione del fatto che - come risulta anche dalla recente relazione al Parlamento del Ministro Giarda - negli ultimi cinque anni è aumentata di 5 punti percentuali. Il nostro auspicio è, quindi, che si possa proseguire sulla strada intrapresa con un'azione costante nel tempo che si basi sulla cultura della buona amministrazione.
Per quanto di merito della X Commissione, tra le norme finalizzate alla razionalizzazione e al riassetto industriale delle partecipazioni detenute dallo Stato, cito l'articolo 23-bis che attribuisce a Cassa Depositi e Prestiti Spa (CDP Spa) il diritto di opzione per l'acquisto delle partecipazioni azionarie detenute dallo Stato in Fintecna Spa, Sace Spa e Simest Spa, da esercitare entro 120 giorni dall'entrata in vigore del decreto-legge. Entro i 10 giorni successivi dall'esercizio del diritto di opzione, la CDP Spa verserà al Ministero dell'economia e delle finanze un corrispettivo provvisorio pari al 60 percento del valore, al 31 dicembre 2011, del patrimonio netto delle società e, una volta determinato il valore definitivo di trasferimento, la parte restante; la somma versata, al netto degli oneri, sarà destinata al Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato o al pagamento dei debiti dello Stato. Questa misura risulterà sicuramente utile per le casse dello Stato ma non deve andare a detrimento delle azioni che possono e devono essere messe in campo dal Governo per contrastare il calo dell'export rilevato in particolare nell'anno in corso e per favorire invece l'internazionalizzazione delle nostre imprese, di qualsiasi dimensione esse siano. Pag. 98
Un'altra norma interessante è quella che introduce l'obbligo per i medici di indicare nella ricetta in modo esplicito il principio attivo del farmaco, con la possibilità comunque di indicare anche il farmaco di marca. È un passo significativo che, nel medio e lungo termine, può contribuire ad abbassare il prezzo dei farmaci equivalenti con un risparmio anche per il servizio sanitario nazionale.
Ed ancora, è stato fissato un tetto massimo di 300.000 Euro per gli stipendi dei manager delle aziende partecipate dallo Stato, non quotate, compresa la RAI.
E stato cancellato l'Isvap, l'istituto che vigila sulle assicurazioni, e le sue funzioni saranno trasferite a un nuovo ente, l'Ivass, la cui governance rientrerà nell'ambito della Banca d'Italia.
Qualche perplessità mi suscitano invece le disposizioni che riguardano le spese degli enti territoriali e non risultano chiari i criteri per la ripartizione delle riduzioni dei trasferimenti. In base all'obiettivo generale di riduzione delle spese per l'acquisto di beni e servizi, vengono tagliati i trasferimenti alle regioni a statuto ordinario (per 700 milioni nel 2012 e 1 miliardo a partire dal 2013) e alle regioni e province autonome (per 600 milioni nel 2012, 1,2 miliardo nel 2013 e 1,5 miliardo nel 2014); viene ridotto anche il fondo sperimentale di riequilibrio a favore dei comuni (500 milioni nel 2012 e 2 miliardi a partire dal 2013) e delle province (500 milioni nel 2012 e 2 miliardi a partire dal 2013).
Va sottolineato che il comparto degli enti locali è quello da cui arrivano i maggiori risparmi associati alle disposizioni di questo decreto, con 3 miliardi su 4,4 complessivi, cioè il 52% nel 2012: non sono assolutamente convinta che ciò implichi solo riduzioni di sprechi, mentre temo che ciò si possa tradurre in minori servizi ai cittadini, a dispetto di quanto affermato nel titolo del decreto legge.
E arrivo quindi all'ultima parte del mio intervento, che dedicherò al rapporto tra il Governo e le autonomie speciali. Io sono stata eletta nella circoscrizione Trentino Alto Adige/Südtirol e faccio riferimento in particolare alle misure adottate e al metodo usato dal Governo nei confronti delle Province autonome di Trento e Bolzano. Non penso che mettere in crisi una porzione di territorio delicata come il Trentino-Alto Adige sia una questione da sottovalutare. A prescindere dal fatto che la sua speciale autonomia è fondata su un accordo internazionale (il patto De Gasperi-Gruber), è necessario tenere conto di quattro circostanze che fanno di una questione locale (quella del Trentino-Alto Adige) una questione nazionale.
Innanzitutto la speciale autonomia del Trentino-Alto Adige/Adige/Südtirol ha consentito di superare un conflitto etnico le cui proporzioni sono state di fatto rimosse. Ricordo solo che tra la metà degli anni Cinquanta e la metà degli anni Sessanta sono stati compiuti 350 attentati. All'inizio degli anni Sessanta in Alto Adige c'era il coprifuoco, gli ingressi dall'Austria richiedevano il visto, e sei alberghi di Bolzano erano stati requisiti e occupati dai battaglioni mobili. Ora la convivenza è pacifica e collaborativa e questo non è un risultato da poco.
In secondo luogo, in questi ultimi sessant'anni, una regione povera e segnata dai ricorrenti flussi emigratori di grandi proporzioni è divenuta una realtà solida e si ritrova tra le prime posizioni nelle graduatorie nazionali del benessere. Anche questo ha un suo preciso significato che non può prescindere dalla speciale Autonomia di cui gode.
In terzo luogo, il Trentino-Alto Adige ha esercitato in toto, con senso di responsabilità, competenze di estrema delicatezza - dall'istruzione superiore all'università, dalle soprintendenze storico-artistiche all'ispettorato del lavoro, dal governo del territorio e del paesaggio (corpo forestale compreso) alla protezione civile (ricordo che accanto al corpo permanente dei Vigili del fuoco ci sono in Trentino circa 5.000 volontari, che hanno dato prova di sé in ogni frangente in cui il nostro Paese è stato investito da terremoti o da altre calamità).
La capacità di gestire la cosa pubblica non è un valore che può essere mortificato da scelte poco accorte o irrispettose. Pag. 99
Infine, l'esercizio della speciale autonomia per oltre sessant'anni ha dato forma e sostanza non solo ad un'architettura istituzionale del tutto peculiare ma anche ad un modo di essere della comunità. Un modo di essere pregiato ma delicato.
Un'azione legislativa e amministrativa da parte del Governo non rispettosa del nostro impianto statutario e tagli di bilancio non appropriati e di fatto incompatibili con la particolare situazione della Regione, metterebbero a serio rischio le nostre capacità di tenuta. Non credo che l'Italia tutta troverebbe giovamento dall'entrata in crisi di un territorio che ha dimostrato di sapersi autogovernare e di sapersi assumere le proprie responsabilità. Per questo, nel ribadire che il concorso al risanamento del Paese è un obiettivo primario e condiviso, cerchiamo però di perseguirlo con la consapevolezza della posta in gioco e con modalità che non creino danni inutili e irreparabili.
Concludo con un riferimento all'introduzione al Senato nel decreto-legge n. 95 del 2012 di una specifica disposizione di raccordo con gli ordinamenti delle autonomie speciali che, contrariamente a quanto richiesto dai rappresentanti delle stesse autonomie, è stata accolta dal Governo con un contenuto fortemente depotenziato.
Per quanto riguarda il percorso istituzionale delle regioni ad autonomia speciale dell'arco alpino, non posso non ricordare come, a partire dagli anni '90, esse abbiano sempre contribuito ai percorsi di risanamento della finanza pubblica nazionale, attraverso l'assunzione di compiti e funzioni, assumendone anche i relativi oneri finanziari. Ne è un esempio, con un evidente impatto sul bilancio dello Stato, l'assunzione a carico delle predette autonomie speciali degli oneri del servizio sanitario nazionale (1994-1997) e, recentemente, la revisione delle parti finanziarie dei rispettivi statuti speciali (2009-2010). Detto concorso al risanamento della finanza pubblica si è sempre responsabilmente svolto nell'ambito delle relazioni paritetiche con lo Stato e nel rispetto delle procedure di garanzia riconosciute dagli statuti speciali.
Anche recentemente, ben consapevoli della situazione finanziaria comunitaria e nazionale, le autonomie speciali dell'arco alpino hanno formulato proposte tendenti all'assunzione di competenze ed oneri ancora in capo allo Stato, per uno sviluppo responsabile della propria autonomia e per il concorso al risanamento della finanza pubblica.
Tornando alla norma introdotta dall'articolo 24-bis del decreto-legge, così come riformulata dal Governo in sede di conversione del decreto-legge con il maxiemendamento presentato al Senato, essa riafferma il potere unilaterale dello Stato di richiedere misure di concorso straordinario alle regioni ad autonomia differenziata (articolo 16, comma 5), e di disporre misure anche organizzative volte al contenimento della spesa pubblica, in particolare in ambito sanitario (articolo 15). Vorrei rilevare come tale richiamo si ponga in contrasto con il predetto sistema delle relazioni istituzionali e dei rapporti finanziari riconosciuti negli ambiti statutari.
Infatti, il richiamo nell'articolo 24-bis delle disposizioni contenute nell'articolo 15 relativo alla razionalizzazione e riduzione della spesa sanitaria, incide, per quanto specificamente attiene la potestà organizzativa del servizio sanitario regionale e provinciale, sugli ambiti di competenza riconosciuti alle medesime regioni a statuto speciale e province autonome e si pone in contrasto con il principio riconosciuto in più occasioni dalla Corte costituzionale proprio con riferimento alle autonomie speciali dell'arco alpino, secondo il quale «lo Stato, quando non concorre al finanziamento della spesa sanitaria, neppure ha titolo per dettare norme di coordinamento finanziario» (sentenza n. 341 del 2009 e 133 del 2010).