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Resoconto dell'Assemblea

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XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 665 di giovedì 12 luglio 2012

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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MAURIZIO LUPI

La seduta comincia alle 10,05.

GUIDO DUSSIN, Segretario, legge il processo verbale della seduta di ieri.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Bongiorno, Boniver, Brugger, Commercio, D'Alema, Della Vedova, Donadi, Dozzo, Fallica, Fava, Gregorio Fontana, Tommaso Foti, Franceschini, Giancarlo Giorgetti, Iannaccone, Lucà, Mecacci, Melchiorre, Misiti, Moffa, Mussolini, Nucara, Pisacane, Pisicchio, Stucchi e Valducci sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente cinquantaquattro, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.
Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Preavviso di votazioni elettroniche (ore 10,10).

PRESIDENTE. Poiché nel corso della seduta potranno aver/avranno luogo votazioni mediante procedimento elettronico, decorrono da questo momento i termini di preavviso di cinque e venti minuti previsti dall'articolo 49, comma 5, del Regolamento.

Annunzio della nomina di un Ministro.

PRESIDENTE. Comunico che il Presidente del Consiglio dei ministri ha inviato, in data 11 luglio, la seguente lettera: «Onorevole Presidente, informo la S.V. che il Presidente della Repubblica, con proprio decreto, in data odierna, adottato su mia proposta, ha nominato Ministro dell'economia e delle finanze il professore Vittorio Umberto Grilli il quale cessa dalla carica di sottosegretario al medesimo Dicastero. Cordiali saluti. Firmato: Mario Monti».

Seguito della discussione del disegno di legge: S. 3305 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 18 maggio 2012, n. 63, recante disposizioni urgenti in materia di riordino dei contributi alle imprese editrici, nonché di vendita della stampa quotidiana e periodica e di pubblicità istituzionale (Approvato dal Senato) (A.C. 5322) (ore 10,11).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 18 maggio 2012, n. 63, recante disposizioni urgenti in materia di riordino dei contributi alle imprese editrici, nonché di vendita della stampa quotidiana e periodica e di pubblicità istituzionale. Pag. 2
Ricordo che nella seduta di ieri si è concluso l'esame degli ordini del giorno.

(Dichiarazioni di voto finale - A.C. 5322)

PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto finale.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Pisicchio.
Prima di dargli la parola, però, credo di interpretare la felicità di tutti nel vedere l'onorevole Di Pietro non in Sardegna, ma, innanzitutto, non colpito da ischemia come qualcuno oggi ha scritto sui giornali. Credo che la preoccupazione da parte di tutti noi vi sia stata e siamo molto contenti di vederla «sano come un pesce», a proposito della Sardegna. Auguri ancora di buon lavoro. La vogliamo ancora molto tempo fra di noi. Scusate questo intermezzo, ma mi sembrava opportuno (Applausi).
Prego, onorevole Pisicchio.

PINO PISICCHIO. Signor Presidente, la ringrazio, lei ha parlato anche per noi che ci associamo alle sue opportune ed appropriate parole.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevole sottosegretario, mi è capitato, recentemente, di rileggere le pagine che i Costituenti ebbero modo di scrivere in occasione del dibattito sull'articolo 21 della Costituzione, dibattito, peraltro, riproposto dagli stessi protagonisti in occasione dell'approvazione della legge n. 29 del 1948 recante disposizioni sulla stampa. In quello storico dibattito si affacciavano le tesi di personalità come Moro, Dossetti, Basso, Togliatti, La Pira, impegnati a costruire il principio della responsabilità sociale quale pendant, dal lato dei doveri, del parallelo diritto di libertà di manifestazione del pensiero. In particolare, Moro parlò della finalizzazione sociale della libertà, pur all'interno della massima garanzia della latitudine di libertà della stampa, ma tale libertà, che trova nell'informazione il suo cardine e anche l'architrave dell'impianto democratico nell'ordinamento costituzionale, per potersi svolgere pienamente deve anche essere una libertà dal condizionamento economico.
Con una straordinaria lungimiranza, dunque, i Costituenti si ponevano il problema delle fonti di finanziamento e del ruolo dell'editore, questioni che ancora oggi restano al centro del dibattito sui media del nostro Paese.
Questo dibattito ritrova una sua ragione e una sua attualità quest'oggi, in occasione della nostra discussione sul decreto-legge in tema di editoria che, pur nell'apparente parzialità dei temi toccati, coinvolge una questione centrale per la nostra democrazia, una questione che denuncia fino in fondo la propria rilevanza costituzionale.
Certo è che il congegno del provvedimento - che si ispira al principio della razionalizzazione delle risorse attraverso meccanismi capaci di far corrispondere il contributo all'editoria agli effettivi livelli di vendite e di occupazione delle imprese editoriali - appare parziale. Può trovare una sua ragione solo all'interno di un'attuazione positiva del disegno di legge di delega in materia. In questo senso, in modo non inopportuno, si è parlato di «provvedimento ponte», né la natura del provvedimento stesso e l'esiguità del tempo a nostra disposizione ci consentono di prendere in considerazione altre modifiche, pure opportune.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

PINO PISICCHIO. Sto per concludere, signor Presidente.
Ci apprestiamo allora alla sua approvazione, dichiarando il voto favorevole dei deputati di Alleanza per l'Italia, volendo tuttavia chiamare il Governo all'impegno volto a trovare soluzioni legislative appropriate per affrontare con urgenza i nodi dell'editoria, facendoci illuminare - e concludo - anche dallo storico dibattito nell'Assemblea costituente, che rammentava l'essenzialità, per un regime democratico, di una stampa libera ed indipendente (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Alleanza per l'Italia).

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PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Giulietti. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE GIULIETTI. Signor Presidente, intervengo per annunciare un voto favorevole, che è nato - e questo mi sembra importante - dalla discussione in Aula, anche per la grande sensibilità con cui la presidente Ghizzoni ed il relatore hanno condotto questa discussione in Commissione e dopo. Ma intervengo anche per dare atto al sottosegretario Peluffo delle risposte che ieri ha dato a dei quesiti anche impegnativi.
La prima relativa al problema della copertura di bilancio. Noi votiamo un provvedimento che ha bisogno di continuità, altrimenti una vasta platea di emittenti, anche radiofoniche, signor sottosegretario, perché arrivano nuovi tagli, potrebbe sparire prima della riforma. La risposta data su questo, come sull'equo compenso, sono risposte che danno una credibilità alle parti.
Allora voglio solo segnalare all'Aula che da questo pomeriggio - il relatore sarà l'onorevole Levi - si apre la discussione sulla riforma dell'editoria e sulla delega al Governo. Questo è il vero passaggio per uscire dalle consuetudini, per aprirsi ai nuovi mondi dell'editoria, per incentivare nuove forme di impresa e per creare nuove occasioni di libertà.
Ho una richiesta però: proprio perché c'è una delega, tutto deve essere condotto in un rapporto permanente e trasparente con le Camere. Non ci può essere un momento in cui scompare o si chiude la discussione. Sarebbe in contrasto con l'articolo 21 e con la materia.
Quindi annuncio un voto favorevole, ma con la richiesta che il confronto su questi temi delicati, di bonifica e ristrutturazione del settore, sia condotto in un rapporto continuo e permanente con il Parlamento.
Si è impegnato su questo il sottosegretario Peluffo. Mi sembra giusto dargliene atto e chiedere di proseguire in questi termini il rapporto nelle prossime settimane (Applausi di deputati del gruppo Misto).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Iapicca. Ne ha facoltà.

MAURIZIO IAPICCA. Signor Presidente, noi di Grande Sud-PPA esprimiamo un giudizio positivo.
È chiaro che il provvedimento mira a determinare i requisiti di accesso ed i criteri di calcolo dei contributi con una connessa limitazione dei costi ammissibili. Il decreto-legge in esame ha come obiettivo quello di ridurre gli sprechi ed evidentemente di valorizzare tutte le aziende che non fanno sprechi e possono essere utili alla pluralità di opinioni ed alla diffusione della cultura attraverso l'editoria.
In particolare esso propone una disciplina transitoria, affidata ad un disegno di legge delega approvato dal Consiglio dei ministri (11 maggio 2012). Ricordiamo che l'articolo 29 ha disposto la cessazione del sistema di erogazione dei contributi diretti dal 31 dicembre 2014 con riferimento alla gestione 2013 ed ha stabilito che il Governo provvede alla revisione del regolamento di semplificazione e riordino dell'erogazione dei contributi all'editoria con effetti a decorrere dal 1o gennaio 2012.
Inoltre, per conseguire la razionalizzazione della spesa, il decreto-legge opera su più fronti ed in particolare: rideterminazione dei requisiti di accesso e dei criteri di calcolo dei contributi con connessa limitazione dei costi ammissibili, sostegno all'editoria digitale e modernizzazione del sistema di distribuzione e di vendita, acquisto di spazi sui media per le campagne di comunicazione istituzionali.
Questo decreto cerca quindi di individuare i nuovi requisiti per l'accesso ai contributi all'editoria. L'obiettivo complessivo è quello di dettare una disciplina volta a razionalizzare l'uso delle risorse attraverso meccanismi in grado di correlare il contributo erogato agli effettivi livelli di vendita e di occupazione professionale delle imprese editoriali. Pag. 4
In particolare esso incrementa le percentuali minime di vendita necessarie per potere accedere ai contributi che devono essere raggiunte dalle imprese editrici.
I soggetti indicati possono richiedere i contributi, purché la testata, nazionale o locale, sia venduta rispettivamente nelle misure di almeno il 25 per cento o il 35 per cento delle copie distribuite. Pertanto rispetto all'assetto normativo vigente, la percentuale minima per l'accesso ai contributi viene maggiorata del 10 per cento delle copie distribuite per le testate nazionale e del 5 per cento per le testate locali.
Importante è l'articolo 3, che reca misure per favorire il passaggio all'editoria digitale.
In particolare, questo articolo dispone che tutte le tipologie di imprese editrici che abbiano percepito i contributi per l'anno 2011 possano continuare a percepire gli stessi qualora la testata sia pubblicata anche non unicamente in formato digitale. Si potrebbe quindi supporre che anche per quanto disposto dall'articolo per le testate in formato digitale si prescinde dai requisiti di accesso. Infatti si potrebbe intendere che le imprese che editano in formato digitale, anche se non esclusivamente, possono continuare a percepire i contributi indipendentemente dal requisito percentuale minimo di vendita delle copie cartacee. Nell'ambito di questa lettura la pubblicazione in formato digitale rappresenterebbe dunque un requisito alternativo. Noi di Grande Sud quindi siamo per una lettura positiva di quanto contenuto nel decreto-legge però - attenzione - è pur vero che se, da un lato, si ridurranno i finanziamenti a testate inutili e inesistenti, dall'altro, si favorisce la disoccupazione. Questa è la nostra grande preoccupazione soprattutto nel Sud Italia.
Infatti noi seguiamo con attenzione il lavoro del Governo Monti che si sta impegnando nella sistemazione dei tagli e degli sprechi, ma è pur vero che di conseguenza il disagio occupazionale aumenta. Il difficile, caro Presidente Monti, è proprio questo, e la nostra massima attenzione per la quale ci stiamo battendo è la realizzazione di contratti di lavoro regionali che favoriscano gli investimenti di aziende al Sud. Insomma, al Sud dobbiamo essere attrattivi, altrimenti il problema dell'occupazione non si risolve. Che ben venga il riordino dell'editoria, ma, attenzione, tutto questo - ripeto - crea nuovo e preoccupante disagio occupazionale. Il discorso è anche lungo e si dovrebbe partire da come si diventa pubblicisti o giornalisti (questo è un discorso lungo che tralasciamo), però ci limiteremo a vedere questo provvedimento come un tentativo di mettere ordine in un campo così delicato e difficile come l'editoria. Pertanto la componente Grande Sud voterà a favore del provvedimento.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Borghesi. Ne ha facoltà.

ANTONIO BORGHESI. Signor Presidente, noi di Italia dei Valori abbiamo fatto una battaglia da soli contro questo provvedimento. Quando penso a un titolo da dare a questa mia dichiarazione di voto penso: zitti tutti, ci sono i contributi all'editoria da spartire; oppure, che cosa significa davvero conflitto di interesse. Perché se ci fosse una legge sul conflitto di interesse forse troppi non dovrebbero votare su questo provvedimento. La verità è che in un momento così difficile per la nostra economia, con tanti bisogni, con gli esodati da sistemare, con i disabili che chiedono aiuto, con le famiglie che fanno fatica ad arrivare alla fine del mese, quando c'è bisogno di trovare i soldi per la casta politica quelli si trovano subito e sempre, 120 milioni messi lì (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori). Solo che questa volta è proprio: zitti tutti, ci sono i contributi dell'editoria da spartire. Si ode a destra uno squillo di tromba. Il PdL: zitti tutti perché ci sono da proteggere i giornali di famiglia, intendo famiglia Berlusconi, ma non solo, c'è anche Il Secolo d'Italia da proteggere.
A sinistra risponde uno squillo. PD: zitti tutti perché anche lì ci sono contributi da incassare, l'Unità, Europa, milioni Pag. 5di euro che tutti gli anni se ne vanno a questo scopo. C'è la Lega, (beh, ci mancherebbe), la Padania incassa 4-5 milioni di euro all'anno di contributi (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori). Persino il gruppo Radicale che è sempre attento ai contributi ai partiti e ai finanziamenti ai partiti: zitti, ci sono i contributi dell'editoria da spartire. Se Radio Radicale non fruisse di 10 milioni di euro all'anno per sostenersi con i contributi pubblici non starebbe in piedi (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori). Persino il gruppo linguistico altoatesino: zitti tutti, ci sono i contributi da spartire, Il Dolomiten ed altri giornali in lingua tedesca che incassano almeno un milione di euro all'anno. Ma anche il gruppo sloveno (non so se è rappresentato qui) ha un giornale che incassa qualche milione ogni volta. Poi non ci sono solo i gruppi politici, ci sono anche i direttori dei giornali, questa volta: zitti tutti, perché ci sono i contributi da spartire. Penso a direttori come Vittorio Feltri o come Maurizio Belpietro che fanno battaglie contro le spese della politica, contro i costi della politica, contro la casta.
Sono quotidianamente con loro quando portano avanti queste battaglie, però, in questo caso, zitti tutti perché ci sono i contributi dell'editoria da spartire. Libero ha incassato qualcosa come 40 milioni di euro in questi anni e mi piacerebbe sapere da dove vengono l'indennità e il compenso mensile di questi direttori. Non c'è solo lui, penso a Giuliano Ferrara de Il Foglio con almeno 3-4 milioni di euro all'anno di contributi. Loro sono pagati dal settore pubblico, da tutti i contribuenti e questo i contribuenti lo devono sapere (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori). È ora che lo sappiano. Noi abbiamo portato avanti questa battaglia da soli e qualcuno qui continua a richiamare la protezione della libertà di informazione garantita dalla Costituzione. Ma che c'entra la libertà di informazione con un mezzo delinquente - non lo dico io - come tale Lavitola che dal 1997 al 2009 ha preso 23 milioni di euro di finanziamenti pubblici all'editoria? 2,5 milioni di euro all'anno per una vendita complessiva di 200 copie al giorno. Ma che c'entra con la libertà di informazione (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori)? E, poi, la libertà di informazione è altra cosa. Può darsi che questo c'entri con la pluralità, ma non significa nulla. La pluralità è una cosa, la libertà di informare è una cosa, il messaggio che arriva è cosa ben diversa, e nel nostro Paese noi non dobbiamo andare a guardare a quanti messaggi partono verso la gente, ma quanti ne arrivano, e se andiamo a guardare quelli che arrivano, allora ritorniamo di fronte al duopolio dell'informazione Mediaset-RAI. Duopolio? Non so. Se andiamo a guardare com'è stato formato il consiglio di amministrazione della RAI ritorniamo a parlare quasi di monopolio, non più di duopolio. Posizioni dominanti che il Parlamento europeo ha condannato tantissime volte. Ma che c'entrano 120 milioni di euro dati all'editoria, compresa l'editoria di partito, con la libertà di informazione? Che c'azzecca, direbbe Antonio Di Pietro che sta qui e rassicuro tutti che sta bene, come vedete, ed è qui insieme a noi.
Per non parlare poi di finte cooperative, di situazioni varie. Pensate che ci sono dei giornali che per il fatto di essere in cooperativa, come Cavalli e Corse, hanno visto 2,5 milioni di euro. Altre sigle come Il Salvagente, piuttosto che sigle di carattere sconosciuto, di carattere sportivo che incassano milioni di euro. Sapete che sta prendendo ancora dei soldi Linea quotidiano del Movimento Sociale-Fiamma Tricolore che è qualcosa di assolutamente scomparso? 2,5 milioni di euro qualche anno fa ha preso di contributi all'editoria. E, allora, finiamola, perché qui è ora di dire le cose come stanno: anche questi sono costi della politica che devono essere eliminati dal panorama del nostro Paese, che non hanno nulla a che vedere con la libertà di informazione e che servono soltanto ad alimentare ancora i costi della politica. Per questo noi avevamo portato avanti una battaglia contro questo provvedimento. Credo che dobbiamo informare i cittadini contribuenti. Potevamo dedicare questi 120 milioni di euro a chi ne ha Pag. 6bisogno, magari ai terremotati (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori). Ieri abbiamo approvato il decreto-legge sui terremotati e ci chiedevamo dove prendere i soldi. Forse era meglio darli a loro, forse era meglio darli per la crescita del Paese che ne ha tanto bisogno e certamente non farli finire ancora una volta nelle tasche dei giornali di partito e da lì poi chissà dove (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Catone. Ne ha facoltà.

GIAMPIERO CATONE. Signor Presidente, egregi colleghi, illustre sottosegretario, ci troviamo ad esprimere un voto su un provvedimento rispetto al quale la decisione da assumere è prendere o prendere. I tempi strettissimi imposti dalla conversione del decreto-legge non ci hanno consentito di aprire la discussione su un tema che investe interessi costituzionalmente tutelati. Comunque, va dato atto al sottosegretario Peluffo che aver scelto di ricorrere a un decreto-legge per la disciplina del periodo transitorio e a un disegno di legge delega per quello a regime, nonostante la possibilità di avocare a sé la funzione regolamentare o addirittura legislativa, va visto come un atto di rispetto nei confronti di quest'Aula.
Dicevamo che avremmo dovuto discutere e avremmo dovuto avere il tempo di discutere sul testo del decreto, al fine di renderlo compatibile con la realtà su cui intervengono in maniera incisiva tutte quante le norme previste.
Due esempi semplici semplici: le nuove modalità di calcolo del contributo, fortemente diverse da quelle precedenti, entrano in vigore dal 2012, ossia da sei mesi fa. Una retroattività inconcepibile, inconcepibile se viviamo in uno Stato di diritto, inconcepibile perché incostituzionale. Le imprese per sei mesi hanno operato sulla scorta di regole diverse da quelle che sono, anche se sarebbero diventate. Se serve trasparenza nell'erogazione delle risorse pubbliche - e serve - serve anche un sistema che faccia rientrare questo tipo di sostegno nell'ambito dei diritti e delle relative certezze. Si tratta di una norma retroattiva che sicuramente comporterà molti risparmi, è vero, ma molti risparmi non perché ci saranno minor costi, non per i tagli che sono effettuati, ma per il fallimento di molte imprese che hanno esercitato la propria attività pianificando investimenti e flussi finanziari, ma che non hanno tenuto conto di una norma futura. Credo che rimarcare questi atteggiamenti sia, in quest'Aula, una funzione tipica ed è un dovere specifico del Governo tener conto di quanto stiamo dicendo.
Siamo passati da 7 anni fa, con 700 milioni di fondi destinati all'editoria, a meno di 60 milioni. Bene, abbiamo dovuto tagliare, è vero. Si diceva - e lo hanno detto anche i colleghi che mi hanno preceduto - che ci sono state tante testate false, tanti abusi sull'editoria, tante relazioni che poi alla fine con tutto avevano a che vedere tranne che con l'editoria. Ma in ogni caso il diritto al pluralismo e l'editoria sono garantiti in tutte le nazioni europee, l'editoria è garantita ancora oggi, nonostante tutto, in Spagna: in Spagna si tagliano le tredicesime, ma c'è il diritto all'informazione.
Allora, di fronte ad un fatto di questo genere, noi dobbiamo realmente valutare se vogliamo o non vogliamo contribuire a che ci siano voci molteplici, molteplici voci che possano dare una corretta informazione. Sulla base di quello che abbiamo detto, è vero che vigono anche le regole del mercato e quindi il principio del mercato, sempre e in ogni contesto richiamato come curatore di tutti i mali; ma va comunque rispettata la certezza delle regole. Noi dobbiamo viaggiare sulle regole. Non si possono cambiare le regole in corsa. Non si possono fare favoritismi o propendere per questi o per quegli altri. Siamo sempre tutti uguali, siamo uguali davanti alla legge e siamo uguali davanti alle regole. Ma se ognuno, ognuno che sale, ognuno che prende potere, cambia la regola, cambiando la regola in corsa con la retroattività, chiaramente noi veniamo meno a quello che fondamentalmente credevamo Pag. 7fossimo: uno Stato di diritto. Noi siamo uno Stato di diritto e vorremmo continuare ad esserlo.
Io penso e non contesto che il fattore occupazione dei giornalisti è chiaro che sia un elemento principale, un elemento principale che tutti noi dobbiamo sostenere per la veridicità di quei giornali che oggi sono ancora presenti. Bene, io credo che fondamentalmente la nuova disciplina che è entrata in vigore a metà maggio sarà efficace sino al 2013. Ma nel 2013 cambieremo o cambieremo ancora prima del 2013? Noi questo vogliamo sapere: vogliamo sapere se questa nuova disciplina durerà per poco più di un anno e mezzo o se magari fra sei mesi dovremmo provare a confrontarci ancora con nuove regole.
Le norme richiedono l'assunzione di giornalisti con contratti a tempo pieno e indeterminato. Siamo d'accordo, non contesto e non contesto che il fattore occupazionale come uno dei principali elementi qualificanti del rapporto sia una circostanza condivisibile.
Anzi, deve essere - doveva essere, da tempo - la base di partenza per evitare gli sprechi di risorse del settore. Abbiamo già detto che per fare i giornali, servono i giornalisti, ma introdurre l'obbligo di fare assunzioni a tempo indeterminato o di trasformare i contratti in corso richiede una prospettiva temporale di medio periodo. Questo regime di contribuzione, tuttavia, termina tra meno di 18 mesi e, quindi, ci troveremo a dover convertire contratti a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato per, poi, vedere che, fondamentalmente, fra 18 mesi non ci sarà più nulla.
Allora, cosa succederà? Una cosa molto, molto semplice, cioè che, trasformando i contratti in contratti a tempo indeterminato, alla fine, avremo una difficoltà incredibile nel continuare a sostenere i costi. Si tratta di fare in modo - e lo faremo, come fanno le grandi aziende editoriali -, che le grandi aziende editoriali ricorrano agli ammortizzatori sociali: infatti, se non c'è certezza di diritto, non c'è certezza di continuità e, quindi, finiremo per far ricorso agli ammortizzatori sociali. Quindi, cambieremo semplicemente il cappello dell'intervento pubblico, o meglio, ciò che si risparmia con la mano sinistra, si spende, con gli interessi, con la destra.
Questi esempi servono a spiegare la perplessità su un provvedimento che, per quanto condivisibile nei principi - e penso anche allo stimolo della multimedialità -, si trasforma nell'ennesimo tampone in attesa della legge che verrà, che è sempre la prossima. Noi abbiamo sempre una prossima legge: quattro nuove leggi sull'editoria, quattro nuovi regolamenti negli ultimi quattro o cinque anni. Mi auguro che il provvedimento che dovremo approvare da qui a qualche giorno sia quello definitivo.
C'è sempre il rischio che il futuro sia caratterizzato dall'esiguità dei gruppi editoriali presenti sul mercato: pochi e potentissimi editori - questa è la realtà vera delle continue riforme -, che hanno interessi anche in altri settori, ma che avranno comunque il monopolio dell'informazione. Il problema è che, come disse qualcuno, i giornali sono troppi, quando ci sono, ma che se ne sente dannatamente la mancanza quando sono pochi.
Abbiamo presentato alcuni ordini del giorno, che il Governo ha approvato, relativi al passaggio alla multimedialità e al riconoscimento di costi direttamente connessi. Alla fine, il Governo ha approvato questi ordini del giorno: ebbene, speriamo che ciò si tramuti in un reale impegno da parte del Governo stesso a rivedere quelle norme che, comunque, sono essenziali per la sopravvivenza dell'informazione. Pertanto, confidando nell'impegno del Governo, Popolo e Territorio voterà a favore (Applausi dei deputati del gruppo Popolo e Territorio).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Barbaro. Ne ha facoltà.

CLAUDIO BARBARO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, nell'annunciare, a nome di Futuro e Libertà, il voto a Pag. 8favore del disegno di legge di conversione del decreto-legge 18 maggio 2012, n. 63, vorrei sottoporre all'Assemblea alcune riflessioni.
Il nostro «sì» risiede principalmente nella condivisione dell'assunto per cui il provvedimento è stato varato dal Governo, ossia la razionalizzazione dell'uso delle risorse destinate all'editoria mediante meccanismi che correlino il contributo erogato per le imprese editoriali agli effettivi livelli di vendita e di occupazione professionale. Diciamo, quindi, «sì» alla scelta di legare rigorosamente il contributo pubblico ad un dato di realtà - le copie veramente vendute - per evitare che possano ripetersi casi, come quelli recenti, di testate sopravvissute con lauti finanziamenti, pur non vendendo quasi nessuna delle copie in edicola; episodi responsabili delle ombre che gravano su un comparto culturalmente strategico per l'Italia.
Diciamo anche «sì» al tentativo di vincolare il finanziamento pubblico all'occupazione effettiva delle testate editoriali, in linea con l'esigenza di una stabilizzazione di professionalità che rischiano di venire svilite da contrattualizzazioni inadeguate dal punto di vista retributivo e precarie in prospettiva.
Al lavoro intellettuale deve, infatti, essere garantito il giusto riconoscimento e la dignità che gli spetta, specialmente in un momento di crisi economica che rischia di penalizzarlo a vantaggio di attività considerate più remunerative.
Riteniamo necessario che nel settore dell'editoria, come in altri, si tenti di ottimizzare e razionalizzare l'impiego di risorse pubbliche erogate a supporto, destinandole a quelle imprese che operano funzionalmente e correttamente nel mercato, e che rappresentano voci di un reale pluralismo informativo a tutela della libertà di espressione costituzionalmente sancita. Questo perché pensiamo che il sostegno dello Stato a un ramo strategico quale quello in oggetto non rappresenti un'anomalia da combattere, ma una necessità da disciplinare, in linea con quanto accade in Europa, dove, come si evince dal recente rapporto elaborato dall'università di Oxford, pressoché in tutti gli Stati membri esistono forme dirette o indirette di sussidio all'editoria.
Quindi, la rideterminazione dei requisiti di accesso ai contributi, la rideterminazione dei criteri di calcolo dei contributi con connessa lievitazione dei costi ammissibili, il sostegno all'editoria digitale e la modernizzazione del sistema di distribuzione e vendita, nonché l'acquisto di spazi sui media per le campagne di comunicazione istituzionale delle pubbliche amministrazioni sono alcune delle misure contenute nel provvedimento in esame che vanno nella giusta direzione.
Semplificando all'estremo, spendere meno ma meglio, con un occhio di riguardo verso nuovi protagonisti di area e con sensibilità nei confronti di un patrimonio intellettuale e culturale da supportare, in un contesto di fondamentale garanzia delle libertà di espressione dei singoli e di incentivazione e attualismo informativo. Dobbiamo aggredire l'idea di un'editoria assistita, che viola le regole del libero mercato e finisce, per lo più, per essere al servizio del mantenimento di uno status quo improduttivo e culturalmente non stimolante.
Questo provvedimento rappresenta un primo passo importante per raggiungere tale obiettivo, in attesa che vengano ridefinite in modo sistematico e organico forme di sostegno al settore con una disciplina a regime per cui il Consiglio dei ministri ha già predisposto un distinto provvedimento legislativo. Crediamo, infatti, che la crescita e lo sviluppo del nostro Paese dipendano anche dalla possibilità di scardinare meccanismi improduttivi, purtroppo stabilizzatisi in un settore cruciale come quello in oggetto e dalla volontà di adeguarsi a trasformazioni ormai consolidatesi e divenute un dato di realtà dell'epoca post moderna. Mi riferisco all'importanza assunta dal web attraverso cui viene messa in circolo la conoscenza moderna: educazione, formazione, cultura e business, con forme nuove e in continua evoluzione, complementari e integrative rispetto alle tradizionali. A tal proposito, il provvedimento su cui siamo Pag. 9chiamati ad esprimerci tenta di sostenere l'editoria digitale, incentivando anche la diversificazione delle politiche editoriali delle imprese e, sebbene della disciplina a regime possano essere approntate misure più incisive rispetto a quelle contenute nel provvedimento in esame, l'intenzione è evidente e ben delineata.
La stagione delle riforme passa anche da qui: dal coraggio di intervenire in ambiti apparentemente non direttamente connessi con la ripresa economica del nostro Paese, ma in realtà estremamente funzionali ad essa, e dal senso di responsabilità con cui le forze politiche scelgono di salvaguardare le realtà in serie difficoltà con un provvedimento perfettibile, ma chiaro nei propositi e nell'indirizzo politico. Pertanto, ci auguriamo che nella disciplina di settore a regime, l'Esecutivo abbia la forza e l'intraprendenza di affrontare senza esitazioni il tema del conflitto di interessi, giunto a livelli tali da rendere difficile per chiunque la garanzia dei principi di libertà di espressione e di pluralismo informativo.
Siamo sicuri che anche il problema rappresentato dalla mancanza parziale di copertura finanziaria del provvedimento, in base al quale alcune imprese editoriali potrebbero vedersi negati i finanziamenti bancari richiesti per proseguire l'attività, sia superabile con la volontà del Governo, più volte dichiarata, di trovare le risorse necessarie in tempi e modi ben definiti e condivisi.
Per questi motivi, signor Presidente, Futuro e Libertà è a favore del testo in esame. Si tratta di un importante segnale da parte dell'Esecutivo di voler combattere quelle «incrostazioni» che hanno contribuito a rendere il nostro Paese poco competitivo, nonché a soffocare una vivacità intellettuale e culturale, dunque una crescita tanto auspicabile, quanto necessaria (Applausi dei deputati del gruppo Futuro e Libertà per il Terzo Polo - Congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Enzo Carra. Ne ha facoltà.

ENZO CARRA. Signor Presidente, signor sottosegretario, credo che questo decreto-legge abbia una sua ragione d'essere, a cominciare da una riflessione che dobbiamo fare, qui, questa mattina. Un tempo, in Italia si sequestravano i giornali e ciò era gravissimo; come abbiamo detto, tutti quanti avremmo fatto delle manifestazioni contro la censura; oggi si sequestrano i soldi che lo Stato dà per stampare giornali finti. Ecco, questo mi sembra ancora peggio, molto peggio di qualunque altro tipo di censura. Da questo punto di vista, credo sia importante un decreto-legge che arrivi a distinguere un po' di più, che per approssimazioni successive vada verso quella forma più virtuosa consistente nel dare il meno possibile a giornali inesistenti e nel non dare più niente a movimenti politici o a organi di movimenti politici che non si vedono, non ci sono, sono morti.
Non si capisce per quale motivo ci deve essere una mano misericordiosa dello Stato che deve soccorrere delle idee che non ci sono; al contrario, possiamo dire che aiutare, non dico finanziare, ma almeno dare degli strumenti a delle idee che ci sono e che esistono, a dei piccoli giornali, insomma, con molta prudenza e con molti controlli, credo che si possa continuare a fare e questa in fondo è anche la ratio di questo decreto-legge.
Tuttavia, credo che, in futuro, i giornali politici si dovranno fare soltanto on-line e saranno giornali politici quelli che fanno politica e non fanno i comodi di qualcun altro. Questo è un altro di quegli aspetti sui quali credo voi dovrete riflettere perché è ovvio che ci sarà una futura legge ed è quella che noi ci aspettiamo da voi, e che ci aspettiamo di fare e studiare con voi sulla riforma dell'editoria, però quella legge dovrà guardare, davvero, al futuro; non potrà rimandare sempre ad un futuro indeterminato l'avvento, per esempio, delle nuove tecnologie. Questo è il settore più tecnologico e in cui la tecnologia sempre ha avuto il primo impatto e il primo banco di prova; ecco, se qui lo Stato volesse investire un po' sarebbe più che giustificato; lo ha fatto in altri tempi, ai tempi, Pag. 10non meravigliosi, della P2, quando salvò la Rizzoli e gran parte del comparto editoriale grazie a quella che fu chiamata la legge Rizzoli. Vediamo un po', credo che non siamo in condizioni tanto migliori, anche da un punto di vista morale, rispetto a quelle del venerabile maestro Gelli, purtroppo.
Signor sottosegretario, con questo decreto-legge avete studiato un po' di tagli; le faccio presente, data la sua gentilezza e la sua attenzione, che, per esempio, un po' di tagli a un servizio pubblico che è quello delle cronache parlamentari si potrebbero fare. Qui c'è un servizio pubblico che si chiama RAI, ha due redazioni, una per la televisione e una per la radio, non fa servizio d'Aula e la fa fare a Radio Radicale, ma allora li chiami e vedete un po' perché i redattori della RAI sono cento, dovrebbero fare la stessa cosa, ma la fanno fare a Radio Radicale, con tre redattori. Mi scusi, ma perché dobbiamo continuare a tenere in piedi questa specie di allegro caravanserraglio del parlamentare? Se ne occupi, signor sottosegretario, la prego.
A proposito, poi, della copertura finanziaria sulla quale ho sentito le parole accurate e, mi sembra, molto giuste del collega Giulietti, vorrei riassumere la questione in questi termini: voi dovete pensare a una mutualità ineguale. Una legge del 2004, che io considero e continuerò sempre a considerare sciagurata, piegata agli interessi personali di un gruppo, ha fatto sì che da una qualche perequazione nel mercato pubblicitario, sempre meno ricco e sempre meno forte, quel mercato pubblicitario andasse al 70 per cento alle televisioni. Quindi, da un qualche equilibrio che c'era stato fino allora, quella legge ha stroncato una volta per tutte questo equilibrio. Ma allora, sul campo delle televisioni, è necessario cominciare dall'asta delle frequenze, alle autorizzazioni fatte a fari spenti da questo Governo, e non si capisce perché, non si capisce perché, e anzi sarebbe bene che qualcuno ce lo venisse a spiegare in quest'Aula perché se no i sospetti saranno sempre più forti e sempre più stringenti.
Ecco, da questi due capitoli, che significano tanto per i concessionari, per gli autorizzanti o gli autorizzati, dei soldi arrivano. Una parte di quei soldi cercherei di utilizzarli, se fossi in lei, per la stampa e per investimenti da fare in questo settore, non per altro.
Infine, in questo provvedimento - lo sapete benissimo - mancano delle sanzioni, una delle quali non riguarda soltanto quella dei cinque professionisti con cui si deve partire, ma si deve anche arrivare. Cioè nelle cooperative (quelle finte sono un bel capitolo di cui, purtroppo, questo provvedimento finisce per occuparsi) si dice che devono esserci perlomeno cinque giornalisti: ma cinque giornalisti devono esserci il giorno dell'assegnazione del vostro contributo o anche alla fine? Vorrei che qualcuno controllasse questo aspetto.
Signor sottosegretario, le do anche un'idea: perché non parla un po' meglio e un po' più energicamente con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali? Infatti, l'ultima annotazione che le devo fare è che in questo ramo del Parlamento, in Commissione, in sede legislativa, abbiamo approvato una legge sull'equo compenso. Quella poteva essere un'altra delle sanzioni da comprendere in questo provvedimento, perché non si può schiavizzare e sfruttare pagando 3 euro delle persone che fanno il giornale, mentre i cooperatori stanno da un'altra parte.
Tra l'altro, anche sulle cooperative, sarebbe utile che il Ministero del lavoro e delle politiche sociali controllasse e vigilasse meglio, insieme a voi. Forse non è competenza vostra, ma del Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Vi sono finte cooperative di giornalisti e, dunque, l'equo compenso sarebbe stato bene che fosse in questo provvedimento, ma non vi è.
Lei ci ha assicurato che farà quanto possibile perché sia sbloccata al Senato l'apertura del famoso tavolo. È una figura talmente bella e talmente retorica che non voglio usarla: non usi il tavolo, usi il telefono, faccia quello che vuole, ma ci porti l'equo compenso. Su questo noi voteremo Pag. 11convintamente questo decreto-legge (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro per il Terzo Polo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Goisis. Ne ha facoltà.

PAOLA GOISIS. Signor Presidente della Camera, signor Presidente del Consiglio, onorevoli colleghi, il settore dell'editoria, in particolare la stampa, sta attraversando un periodo molto difficile in termini di vendita e di introiti pubblicitari. A questa difficoltà si accompagna, tuttavia, un notevole aumento di quotidiani in circolazione. Questo fatto è frutto dei forti contrasti che caratterizzano la lotta politica sul piano nazionale e su quello locale e delle possibilità offerte dalle moderne tecnologie. Si stimano 260 testate sull'intero territorio nazionale, di cui 11 testate politiche, 137 testate di giornali diocesani e 112 cooperative, per un totale di 1.600 giornalisti regolarmente assunti.
I grandi quotidiani hanno subito un arresto della crescita: Il Sole 24 Ore, nell'ultimo triennio, ha perso 100 milioni di euro, 10 dei quali nel 2011. Il Corriere della Sera, da gennaio 2011 a gennaio 2012, ha perso 7.904 copie; La Gazzetta dello Sport oltre 30 mila copie. Non va meglio La Repubblica, che se prima piaceva ai suoi elettori, in genere critici verso Berlusconi, con l'arrivo del Presidente Monti ha subito un crollo, nonostante il rincaro varato ad inizio d'anno. Il gruppo L'Espresso ha assistito ad una contrazione dei profitti tanto da annunciare un'ondata di tagli che non ha impedito agli azionisti di acquisire una cedola da 24 milioni di euro, quasi la metà dei profitti, a dispetto di qualunque manuale di economia, che suggerisce, in tempi di crisi, di investire nella propria azienda.
Sono aumentate le presenze on-line, ma nessuno degli editori italiani è riuscito a monetizzare, tant'è che, nel dubbio, sull'iPad, gli editori hanno deciso compattamente di dare vita all'Edicola Italiana.
Anche le edicole, che giocano un ruolo di tutela del pluralismo, in quanto hanno l'obbligo di diffondere qualsiasi giornale che voglia portare la propria voce al pubblico dei suoi lettori, sono state private dell'obbligo di licenza per vendere i giornali.
Cancellando tale obbligo non si apre al mercato, ma si creano le condizioni perché l'intera rete sia ostaggio dei gruppi editoriali più forti. Solo il 10 per cento di ciò che va in edicola riceve il contributo dello Stato. Ridefinire il sistema dell'informazione, per consentire un ampio pluralismo attraverso un processo di equilibrio tra i diversi media, è sicuramente un dovere democratico.
Il Governo ha scelto di seguire il criterio di correlare tre aspetti importanti: i contributi, l'occupazione e le vendite effettive. La salvaguardia del pluralismo significa tornare allo spirito della contribuzione selettiva, individuando strumenti che possano moralizzare, razionalizzare e bonificare il settore, portandolo a criteri più virtuosi, vincolandoli a criteri più severi e a dati oggettivi certificabili, ponendo fine alle tirature gonfiate.
La contribuzione selettiva è comunque un ambito molto sensibile e con fondi che vanno progressivamente diminuendo: 120 milioni di euro contro i 47 sono apprezzabili; tuttavia la soglia di sopravvivenza è attorno ai 155-160 milioni di euro. Dal 2014 il decreto prevede la cessazione del contributo diretto. È comprensibile, quindi, la posizione di chi sostiene che le imprese editoriali dovrebbero rinunciare ai contributi statali, ma la cessazione immediata dei fondi porterebbe ad una débâcle dei posti di lavoro e metterebbe in pericolo la sopravvivenza dei piccoli quotidiani locali.
In proposito, critichiamo fortemente la distinzione che l'articolo 2 adotta in relazione al limite massimo del contributo che risulta inferiore per i quotidiani locali, soprattutto perché questo è calcolato sui costi e il medesimo decreto si colloca nell'ambito del sostegno alle iniziative di minori dimensioni. Servirebbe, quindi, una moratoria volta a salvaguardare la maggior Pag. 12parte delle aziende in crisi, proprio per evitare che l'entrata in vigore della riforma le trovi impreparate.
È utile dunque interrogarsi in questo particolare momento sulle condizioni di sopravvivenza e sulle modalità del sostegno pubblico, anche se per molte testate esistono pochi dati affidabili. I livelli di resa sono elevati. In particolare, per ogni copia venduta ai lettori di un quotidiano politico ce ne sono tra le sette e le nove che tornano indietro. I giornali politici, con l'eccezione de La Padania, non hanno infatti una focalizzazione territoriale, né elettori omogenei, due caratteristiche che pesano sulla distribuzione e sulla raccolta pubblicitaria, a cui si aggiunge una costosa e forse inutile vocazione generalista.
Essi sopravvivono solo grazie ai contributi pubblici che, però, dovrebbero incentivarli ad adeguarsi maggiormente alle nuove forme di diffusione più adatte alle loro caratteristiche, come gli abbonamenti o i siti Internet.
È apprezzabile la promozione alla multimedialità. Auspichiamo che il Governo in sede di discussione dell'annunciata riforma ridefinisca la proprietà intellettuale, integri al meglio la carta stampata - che non deve perdere la sua peculiarità - con i mezzi di comunicazione digitale e telematica, prevedendo una riforma più organica sull'informazione on line. Inoltre, visto che entriamo nel campo dell'innovazione, sarebbe utile prevedere forti agevolazioni fiscali per tutti coloro che intraprendono una nuova iniziativa.
Relativamente all'occupazione nelle redazioni dei quotidiani maggiori, c'è un giornalista ogni 1.200-1.400 copie vendute al giorno, mentre nei buoni giornali provinciali la soglia è di un giornalista ogni 600-800 copie. Le copie dei quotidiani politici portano un contributo ai costi fissi che è di circa un terzo rispetto a quelle dei giornali commerciali. Per essere in equilibrio queste testate dovrebbero avere mediamente un giornalista ogni 1.500-2.000 copie giornaliere vendute.
La disposizione recata dal provvedimento per favorire lo sviluppo all'occupazione risulta lacunosa. Il riferimento ad un numero di dipendenti per l'intero anno di riferimento del contributo postula la presenza di tali dipendenti nell'arco di tempo considerato senza soluzione di continuità. Tenuto conto della rotazione dei dipendenti e dei fatti imprevisti o volontari che possono determinarne la fuoriuscita dall'impresa, la penalizzazione del contributo, se non addebitabile alla volontà imprenditoriale, appare eccessiva.
Il coefficiente di correlazione tra occupazione giornalistica e contributi si presta alle solite ostentazioni da parte dell'editore di personaggi impiegati in altre mansioni, ma in rendita di posizione ai fini contributivi per lo stesso editore. In questa prima fase, se il fine è quello di togliere possibilità agli abusi, si sarebbe dovuto rinviare la questione delle risorse umane, poiché in campo cooperativistico non è difficile far figurare un ammasso indifferenziato di soci giornalisti per ottenere, ai fini dei contributi, quanto diversamente non sarebbe possibile dimostrare.
Indipendentemente da ciò, l'occupazione richiede che il tetto del finanziamento si alzi un po' altrimenti diventa contraddittorio. Due milioni di euro non sono un limite adeguato. Solo tra i giornalisti, senza contare poligrafici e indotto, ci sono già adesso 384 cassintegrati, 450 persone in contratto di solidarietà, 1.370 in disoccupazione e molti precari, che potrebbero essere definiti i «giornalisti invisibili», che lavorano al proprio domicilio percependo 4 euro ad articolo.
Il provvedimento contiene segnali positivi sul terreno del controllo e dell'individuazione di accesso ai contributi, ma che va affrontato in maniera più organica e rigorosa e mancano riferimenti importanti.
L'auspicio è che i limiti presenti nel testo in esame siano superati nell'annunciato disegno di legge di riforma organica dell'editoria, tenendo conto di alcuni aspetti di primaria importanza per la Lega Nord. Mi riferisco alla riammissione dell'emittenza locale tra i soggetti aventi diritto ai benefici dell'editoria al fine di Pag. 13garantire un efficiente servizio di informazione sul territorio, nonché pluralismo e libertà di informazione.

PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Goisis.

PAOLA GOISIS. Quindi, impegniamo il Governo ad affrontare e risolvere le problematiche di cui all'emendamento 3.200 con riguardo al riparto dei contributi a favore di tutte le iniziative editoriali in formato esclusivamente digitale, diffuse - concludo subito, signor Presidente - gratuitamente a mezzo computer, tablet e smartphone.
L'integrazione tra edizione on line ed edizione cartacea è, infine, il requisito della periodicità minima, come quotidiano è il tema delle radio politiche poiché il finanziamento ancora una volta ha premiato con 4 milioni di euro solo Radio Radicale.
Detto tutto questo, è chiaro che il nostro sarà un voto favorevole. Voglio concludere ringraziando il relatore, che ha svolto un ruolo ed un compito veramente esimio (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Levi. Ne ha facoltà.

RICARDO FRANCO LEVI. Signor Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, la materia del provvedimento che siamo chiamati ad esaminare è delicata - stiamo parlando di informazione - è, dunque, una materia così attinente alle condizioni fondamentali di una democrazia attiva, partecipata e informata da avere meritato una garanzia di ordine costituzionale nell'articolo 21 della nostra Carta fondamentale.
L'altro paletto grande che delimita il campo di gioco delle norme fondamentali che regolano questa materia è dato dalle leggi dell'Unione europea, che prevedono espressamente una deroga alla disciplina della concorrenza quando si tratta di pluralismo dell'informazione e di difesa della lingua nazionale.
Dunque, questo è il grande campo di gioco sul quale si opera non solo in Italia, e vorrei dirlo a coloro che si sono alzati in questo dibattito affermando o facendo intendere che il sostegno pubblico all'informazione e all'editoria sia una peculiarità italiana. In tutti i Paesi e in tutte le democrazie c'è un sostegno all'informazione, in forme diverse, certo, che vanno dall'azzeramento dell'IVA nel Regno Unito, alle tariffe postali agevolate da sempre del grande mercato americano, alle varie forme di sostegno diretto e indiretto dei Paesi dell'Unione europea. È, dunque, un tratto comune, giustificato per l'appunto dal sostegno a quel libero dibattito che deve innervare una partecipazione democratica alla vita civile.
Se questo è il quadro di riferimento normativo dei grandi principi, la realtà del nostro Paese, quale si è venuta svolgendo negli ultimi decenni della nostra storia, è una vicenda onestamente abbastanza confusa, composta e regolata da norme succedutesi nel tempo, con una stratificazione di leggi spesso dettate da esigenze di urgenza, per cui non sempre tra loro bene coordinate.
Peraltro, si tratta di una realtà che ha visto ormai da molti anni presente nelle amministrazioni succedutesi al Governo una volontà di risanamento e di riconduzione a una gestione efficiente, a tal punto che le cifre del sostegno pubblico all'editoria segnalano una contrazione dell'impegno pubblico estremamente forte, quale in pochissimi altri settori si è verificato. Siamo passati nell'arco di non molti anni da un sostegno pubblico che viaggiava nell'ordine dei 700 milioni di euro l'anno a quello di quest'anno, che è di circa 100 milioni. Per cui siamo scesi da 700 a 100 milioni più o meno in un numero equivalente di anni da 7 a 1. Davvero è stata una contrazione del sostegno pubblico che credo non abbia riscontro in altri settori. Quindi, invito tutti a tenere presenti queste cifre, questi ordini di grandezza e questi principi quando si parla di tali argomenti.
Peraltro, così evidenti rimangono ancora non tanto e non solo le criticità Pag. 14dell'intervento pubblico ad oggi, quanto l'inadeguatezza dell'impianto concettuale che ci ha guidati fino ad ora ad affrontare il futuro del mondo dell'editoria, segnato certo dalla carta, che continuerà ad essere l'elemento essenziale sul quale si veicoleranno le informazioni nel prevedibile futuro, ma sempre di più dalle informazioni che viaggeranno sulle nuove piattaforme, in rete, in Internet, con la necessità, rispetto a quella che è sempre stata la logica sino ad ora, di difendere l'esistente che dovrà essere in larga parte quella anche del sostenere l'ingresso di nuove voci nel mercato e nell'agorà della discussione pubblica.
Dunque, su questa logica si giustifica l'intervento, di certo drastico ma per tanti versi anche salutare, in quanto ci induce tutti ad una riflessione di fondo. Il provvedimento legislativo con il quale nei mesi scorsi è stato deciso che l'intervento pubblico di sostegno all'editoria (i contributi, per dirla in modo ancora più semplice) terminerà una volta per tutte nella sua forma contrattuale a partire dal 2014.
Il decreto-legge che, dunque, oggi siamo chiamati a convertire, cos'è? È una passerella, un decreto-ponte, un provvedimento che ci consente di passare da questa riva di un terreno ormai prossimo a vedere la sua conclusione, all'altra riva di quello che dovrà essere dal 2014, ossia da domani in avanti, la nuova struttura, la nuova filosofia, la nuova logica, i nuovi principi, la nuova applicazione di quel sostegno pubblico all'informazione, che - lo ripeto - è tratto costante di tutte le democrazie.
Non è un caso che, proprio in questi giorni, in un Paese che qualche dubbio sulla propria natura democratica lo consente, su Internet siano state applicate leggi tese evidentemente a limitare la possibilità della libera espressione dei voti, e mi sto evidentemente riferendo alla Russia di Vladimir Putin.
Dunque, non è un caso che, in questa medesima giornata nella quale l'Assemblea è chiamata ad esprimersi con il proprio voto sulla legge che consentirà la traduzione in atto del decreto-legge che abbiamo di fronte a noi, si aprirà nella Commissione cultura il percorso legislativo della nuova legge delega.
Terminerò su questa legge delega ma, dunque, lasciatemi motivare il voto favorevole del Partito Democratico su questo decreto-legge con due o tre riferimenti molto concreti adesso.
Questo decreto-legge, abbiamo detto, è una passerella gettata al 2014 e che consente un ulteriore passo in avanti nella ridefinizione, ristrutturazione e se volete anche nella pulizia del sistema che prevede la concessione dei contributi pubblici, quella pulizia che gli ultimi Governi avevano già avviato. Dunque, cosa dice il decreto-legge oggi? Sostanzialmente aiuta a delimitare in forma definitiva per il vecchio sistema l'attribuzione di contributi a quelli che possiamo tranquillamente e onestamente definire giornali veri; dunque giornali che vendano effettivamente le loro copie e non solo le distribuiscono in modo più o meno fittizio sul territorio nazionale. Questi contributi prevederanno un parametro di riferimento e un metodo di calcolo legato al numero delle copie vendute e non solo a quelle distribuite. Parlo di giornali veri in quanto i costi - per i giornali che hanno possibilità di avere un ristorno complessivo e diretto sui propri costi - sono strettamente limitati all'attività espressamente e specificamente editoriale, dunque limitati al numero dei giornalisti e ai costi di produzione veri del giornale.
Per finire solo un'ultima riflessione sul disegno di legge delega. Tale disegno di legge, che oggi verrà discusso in Commissione cultura, che incardineremo oggi e del quale io sarò relatore, è ancora sostanzialmente di principi, tutti condivisibili, i medesimi che abbiamo richiamato ora. Al Parlamento spetterà riempire quel disegno di legge delega di contenuti e di prescrizioni più precise in quanto laddove si parla di informazione si deve aprire ai nuovi contenuti. Uno degli elementi positivi di questo decreto-legge che - vorrei aggiungerlo - siamo chiamati a convertire oggi è proprio l'apertura intelligente a Internet, alla lettura su codice a barra Pag. 15nelle edicole e alla moneta elettronica. Il disegno di legge delega di oggi è un provvedimento che il Parlamento dovrà riempire di contenuti perché quando si parla di informazione è bene che gli Esecutivi, tutti gli Esecutivi, non abbiano piena discrezionalità ma possano agire sotto il controllo del Parlamento sulla base di leggi approvate in modo specifico dal Parlamento. Questa è dunque la sfida che ci attende (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico - Congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Barbieri. Ne ha facoltà.

EMERENZIO BARBIERI. Signor Presidente, signor sottosegretario, noi non abbiamo nessuna difficoltà a riconoscere che probabilmente il testo licenziato dal Governo era obiettivamente migliore di quello che è stato approvato dal Senato, glielo abbiamo detto in Commissione e lo vogliamo riconfermare anche qui. Io però esprimo un grande rammarico perché quando abbiamo cominciato ad esaminare questo decreto-legge c'era una disponibilità da parte di tutti gruppi parlamentari, dico tutti, sia quelli di maggioranza sia quelli di opposizione, a migliorarlo sensibilmente per i suoi limiti. Anche se presenta degli aspetti assolutamente positivi da questo punto di vista - credo che prosegua l'azione che ha prima di lei svolto con proficua solerzia il sottosegretario Bonaiuti - c'era la volontà di cambiare alcune cose.
Devo dire che io sono fra coloro - ma non sono l'unico - che non ha ancora capito perché al Senato - non tutti i gruppi del Senato, come lei ben sa - qualche gruppo in modo particolare non abbia dato la disponibilità a poter riesame in terza lettura il decreto-legge entro il 20 luglio, cosa che dal punto di vista del calendario era assolutamente possibile. Quindi chiunque di noi abbia ascoltato lunedì la relazione dell'onorevole Mazzuca - anche noi, il Popolo della Libertà, ringraziamo il relatore per il lavoro egregio che ha svolto - si è reso conto che c'erano alcune questioni in questo decreto-legge che avrebbero potuto e dovuto essere ritoccate.
Non lo si è fatto, commettendo un errore, ma vedremo, anche alla luce dell'accoglimento che lei ieri ha fatto di tutti gli ordini del giorno, di intervenire in sede di disegno di legge per la delega al Governo. Qui, durante le dichiarazioni di voto - mi riferisco, in modo particolare, all'intervento dell'onorevole Catone a nome del gruppo Popolo e Territorio - si è messo in evidenza che le difficoltà economiche incidono, anche pesantemente, sulla disponibilità che il Paese ha nei confronti dell'editoria.
Ma tant'è, non è che possiamo pensare di avere delle aree protette, nelle quali non cala la scure dell'intervento teso a ridurre le spese. Quindi, devo dire che questo è un decreto-legge in cui le ombre sono molte, ma le luci sono, dal punto di vista quantitativo, di gran lunga superiori alle ombre. Ecco perché la cosa va affrontata.
Noi cogliamo alcuni segnali positivi sul terreno di un maggior controllo e di una più puntuale individuazione di alcuni limiti e soglie di accesso. Devo dire che da questo punto di vista - lo dico senza fare alcuna polemica - non ho molto apprezzato l'atteggiamento che ieri ha tenuto l'onorevole Zazzera del gruppo dell'Italia dei Valori, perché tutti gli emendamenti presentati erano tutti tesi a scalare, nel senso che non il 35, ma il 25, non il 50, ma il 22, non le otto regioni, ma le tre, senza che, da questo punto di vista, vi fosse una filosofia alternativa rispetto a questo provvedimento.
Però, ribadiamo che, probabilmente, era possibile affrontare in modo più puntuale, con maggior rigore, una revisione, che si impone, di tutta questa complessa materia, che, per sua natura, necessita di una disciplina diversa rispetto a quella della comune impresa commerciale.
Credo che da questo punto di vista dobbiamo essere molto chiari: chi, in quest'Aula e fuori, sostiene che un'impresa editoriale debba avere le stesse logiche di un'impresa commerciale credo che commetta, Pag. 16francamente, un errore, che, da questo punto di vista, nessuno può in alcun modo giustificare.
Però, tale impresa deve essere vincolata da elementi oggettivi. Ecco perché nelle novità che noi individuiamo in questo decreto-legge vediamo un maggiore legame del contributo alla qualità, allo sforzo relativo alla diffusione in rete e all'utilizzo di tecnologie, all'assunzione di giornalisti. Lei sa, signor sottosegretario, che, su questo, in Commissione siamo stati molto rigidi: bisogna che nel prossimo provvedimento rimediamo a quello che potrebbe essere davvero un vulnus rispetto alle finalità del decreto-legge.
Nel momento in cui l'azienda chiede il contributo e segnala la presenza di cinque giornalisti, bisogna che noi mettiamo al riparo quei giornalisti dalla possibilità che dieci giorni dopo la domanda di contributi essi diventino quattro, poi semmai tre e così via. Bisogna essere nella condizione di riuscire ad avere dei controlli oggettivi.
Siamo in tempi di tagli della spesa, e allora anche il contributo diretto ai quotidiani deve rientrare in tale logica, mettendo un tetto alla spesa e facendo chiarezza tra contributi diretti, che si basano sui costi reali, e, signor sottosegretario, contributi indiretti, che corrispondono alle agevolazioni fiscali, tariffarie e quant'altro.
Infatti, non si può negare che, in questa materia, senza responsabilità specifica di alcuno, sono stati commessi degli abusi grazie ad una legge ad ampie maglie, che favoriva la pratica della crescita fittizia delle copie distribuite per spuntare maggiori contributi.
Da questo punto di vista, è necessario ribadire che da oggi questo non sarà più possibile, tant'è che da domani, probabilmente - questo non è un auspicio, ma è la mia previsione - la metà delle testate non entrerà più nelle griglie, finalmente più rigorose, previste dal testo.
Questo è un successo per il Governo, ma anche per il Parlamento che asseconda questo sforzo.
Possiamo dire che abbiamo raggiunto un accettabile compromesso tra la necessità di svecchiare un impianto che risaliva alla legge Mammì - perché di questo si tratta - e quella di mantenere vive le testate e coloro che vi lavorano. Questo è un compromesso, un passaggio, che prelude ad una riforma di un settore che, nel giro di trenta anni, ha dimezzato il numero delle copie vendute; ciò non lo dobbiamo mai dimenticare. Oggi, rispetto a trent'anni fa, vengono vendute la metà delle copie di giornali, esattamente la metà, e il trend, a mio giudizio e come ha già ricordato l'onorevole Enzo Carra, è sicuramente in discesa.
Ecco perché per ora è stato utile, oltre che morale, rimodulare i parametri per l'erogazione dei contributi alle imprese editrici. Per anni abbiamo taciuto e assistito a comportamenti poco onesti. Chi ci ha rimesso, come sempre, sono state, in definitiva, le aziende sane. Bisogna dare atto a questa maggioranza e a questo Governo che si sono attivati su questa materia con un primo, necessario, intervento.

PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Barbieri.

EMERENZIO BARBIERI. Sto per concludere, signor Presidente.
Voteremo con convinzione a favore del provvedimento in esame, ricordando sempre quello che, durante l'esame di un decreto avvenuto nelle settimane scorse, ha detto in quest'Aula il mio Presidente di gruppo, l'onorevole Cicchitto: il PdL è disponibile ad esaminare con attenzione i decreti-legge che questo Governo adotta, a non porsi in mezzo.
Proprio perché sul decreto-legge in esame vi è stata una grande disponibilità del Governo, il voto del PdL sarà favorevole (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Bernardini. Ne ha facoltà, per due minuti.

RITA BERNARDINI. Signor Presidente, mi corre l'obbligo di dare una risposta ai Pag. 17due deputati intervenuti oggi in Aula e che hanno ritenuto di rivolgere un attacco sconsiderato e inaudito nei confronti di Radio Radicale.
Bene, mentre pronunciavano le loro parole, Radio Radicale le stava trasmettendo. La stessa cosa accadeva per Rai GrParlamento, con una piccola differenza: Rai GrParlamento ha meno della metà degli impianti di Radio Radicale e, se mi consentite, ha anche meno della metà degli ascolti, perché il prestigio che Radio Radicale ha guadagnato in trentacinque anni di questo servizio pubblico, rivolto ai cittadini, certamente Rai GrParlamento non lo ha.
Questo la RAI lo ha dimostrato non volendo fare quegli investimenti che avrebbero consentito di coprire l'intero territorio nazionale, investimenti molto costosi. Ebbene, Radio Radicale da sempre ha detto che è pronta a partecipare ad una gara che però sia onesta, che non sia truccata come, purtroppo, accade spesso nel nostro Paese, perché siamo convinti che questa gara possiamo vincerla, ne abbiamo tutti i requisiti.
Conoscere per deliberare è un fondamento della democrazia al quale Radio Radicale ha sempre corrisposto in trentacinque anni (Applausi di deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Sono così esaurite le dichiarazioni di voto finale.

GIANCARLO MAZZUCA, Relatore. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIANCARLO MAZZUCA, Relatore. Signor Presidente, intervengo solo per ringraziare i componenti della Commissione cultura per il lavoro di squadra che abbiamo svolto e anche il sottosegretario Peluffo per l'impegno preso di recepire le nostre proposte entro settembre, nel decreto del Presidente della Repubblica e nel DPCM.
Vorrei dire che il nostro non è stato un lavoro inutile. Purtroppo abbiamo avuto i tempi contingentati, quindi non abbiamo potuto lavorare come si sarebbe dovuto, però vi è l'impegno da parte del Governo di recepire le nostre proposte, anche con la legge delega che verrà incardinata oggi.
In ogni modo questa misura serve a moralizzare un settore che risente molto della crisi e, quindi, è comunque una misura tampone sufficientemente positiva.

MANUELA GHIZZONI, Presidente della VII Commissione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MANUELA GHIZZONI, Presidente della VII Commissione. Signor Presidente, intervengo solo per ringraziare il personale dell'amministrazione che ha lavorato in tempi strettissimi, ma in modo impeccabile.

(Votazione finale ed approvazione - A.C. 5322)

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione finale.
Indìco la votazione nominale finale, mediante procedimento elettronico, sul disegno di legge di conversione n. 5322, di cui si è testé concluso l'esame.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).

Onorevoli Vignali, Tortoli, Brandolini, Cicchitto... Cicchitto, abbassi pure la mano e non si arrenda... onorevole Cicchitto... aspettiamo che l'onorevole Cicchitto voti...
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione:
S. 3305 - «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 18 maggio 2012, n. 63, recante disposizioni urgenti in materia di riordino dei contributi alle imprese editrici, nonché di vendita della Pag. 18stampa quotidiana e periodica e di pubblicità istituzionale» (Approvato dal Senato) (5322):

Presenti 491
Votanti 476
Astenuti 15
Maggioranza 239
Hanno votato 454
Hanno votato no 22

(La Camera approva - Vedi votazioni).

Seguito della discussione del disegno di legge: S. 3331 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 maggio 2012, n. 67, recante disposizioni urgenti per il rinnovo dei Comitati e del Consiglio generale degli italiani all'estero (Approvato dal Senato) (A.C. 5342) (ore 11,28).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 maggio 2012, n. 67, recante disposizioni urgenti per il rinnovo dei Comitati e del Consiglio generale degli italiani all'estero.
Ricordo che nella seduta dell'11 luglio 2012 si è conclusa la discussione sulle linee generali ed il rappresentante del Governo è intervenuto in sede di replica, mentre i relatori vi hanno rinunciato.

(Esame dell'articolo unico - A.C. 5342)

PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'articolo unico del disegno di legge di conversione, nel testo recante le modificazioni apportate dal Senato (Vedi l'allegato A - A.C. 5342).
Avverto che le proposte emendative presentate sono riferite agli articoli del decreto-legge nel testo recante le modificazioni apportate dal Senato (Vedi l'allegato A - A.C. 5342).
Avverto, altresì, che è stato presentato un emendamento riferito all'articolo unico del disegno di legge di conversione (Vedi l'allegato A - A.C. 5342).
Ricordo che le Commissioni I (Affari costituzionali) e V (Bilancio) hanno espresso i prescritti pareri (Vedi l'allegato A - A.C. 5342), che sono distribuiti in fotocopia.
Avverto che la Presidenza non ritiene ammissibili, ai sensi dell'articolo 96-bis, comma 7, del Regolamento, alcuni emendamenti, già dichiarati inammissibili in sede referente, in quanto volti a modificare la disciplina generale dei Comites e del CGIE, ovvero aspetti della stessa non oggetto delle disposizioni del decreto-legge in esame.
Si tratta delle seguenti proposte emendative: Evangelisti 1.1 e Picchi 1.6, 1.8, 1.7, 1.9 e 1.10.
Nessuno chiedendo di parlare, invito il relatore ad esprimere il parere della Commissione.

MARIO BARBI, Relatore. Signor Presidente, a parte la procedura forse un po' troppo accelerata, visto che stiamo ancora prendendo posto, la Commissione formula un invito al ritiro, altrimenti il parere è contrario, sulle proposte emendative presentate.

PRESIDENTE. Il Governo?

STAFFAN de MISTURA, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Signor Presidente, il parere del Governo è conforme, fortemente conforme, a quello espresso dal relatore.

PRESIDENTE. Grazie, sottosegretario De Mistura, anche per il «fortemente conforme»: c'è grande sintonia.
Passiamo dunque all'emendamento Evangelisti Dis. 1.1.
Prendo atto che il presentatore dell'emendamento Evangelisti Dis 1.1 non accede all'invito al ritiro formulato dal relatore ed insiste per la votazione. Passiamo ai voti. Avverto che è stata chiesta la votazione nominale mediante procedimento elettronico. Pag. 19
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Evangelisti Dis 1.1, non accettato dalla Commissione né dal Governo.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).

Onorevole Bruno... onorevole Mazzuca... onorevole Carfagna... onorevole Pelino... onorevole Ruben... onorevole Peluffo... onorevole Casero... onorevole Casini... onorevole Tassone...
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).

(Presenti 480
Votanti 476
Astenuti 4
Maggioranza 239
Hanno votato
66
Hanno votato
no 410).

Prendo atto che i deputati D'Antoni e Cosentino hanno segnalato che non sono riusciti ad esprimere voto contrario e che la deputata Coscia ha segnalato di aver espresso voto favorevole mentre avrebbe voluto esprimere voto contrario.
Prendo atto che il presentatore dell'emendamento Evangelisti 1.2 non accede all'invito al ritiro formulato dal relatore ed insiste per la votazione. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Evangelisti 1.2, non accettato dalla Commissione né dal Governo, e sul quale la V Commissione (Bilancio) ha espresso parere contrario.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).

Onorevole Misiani... onorevole Cicu... onorevole Vignali... onorevole Crolla... onorevole Cossiga... onorevole Ferranti... onorevole Mondello...
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).

(Presenti 482
Votanti 479
Astenuti 3
Maggioranza 240
Hanno votato
62
Hanno votato
no 417).

Prendo atto che i deputati Realacci, D'Antoni e Cosentino hanno segnalato che non sono riusciti ad esprimere voto contrario.
Prendo atto che il presentatore dell'emendamento Evangelisti 1.3 non accede all'invito al ritiro formulato dal relatore ed insiste per la votazione. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Evangelisti 1.3, non accettato dalla Commissione né dal Governo, e sul quale la V Commissione (Bilancio) ha espresso parere contrario.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).

Onorevole Mondello... onorevole Crolla... onorevole Carfagna... onorevole Scalera... onorevole Cicu... onorevole Castagnetti... onorevole Garofani...
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).

(Presenti 482
Votanti 477
Astenuti 5
Maggioranza 239
Hanno votato
62
Hanno votato
no 415).

Chiedo ai presentatori se accedano all'invito al ritiro dell'emendamento Picchi 1.4. formulato dal relatore.

GUGLIELMO PICCHI. Signor Presidente, vorrei brevemente illustrare questo emendamento per far capire a tutta l'Aula, compreso il mio gruppo di appartenenza, come in un momento di grosse ristrettezze economiche in cui non si trovano fondi per niente, potrebbe essere estremamente utile e benefico per le casse dello Stato Pag. 20accorpare l'elezione dei Comites non sine die, ma contemporaneamente alle elezioni politiche.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROCCO BUTTIGLIONE (ore 11,33)

GUGLIELMO PICCHI. In questo modo si permette a degli enti elettivi di poter svolgere le prove elezioni e le casse dello Stato possono beneficiarne perché accorpando le due elezioni c'è assolutamente un risparmio, che è il motivo (la mancanza di fondi) per cui queste elezioni si rimandano sine die. Credo che sia importante per la democrazia e per questa Aula far sì che i Comites possano avere le proprie elezioni. Non si può sospendere (per far l'equivalente l'Italia) l'elezione dei consigli comunali per mancanza di fondi. Per questi motivi chiedo il voto sul fatto di poter accorpare con questo emendamento l'elezione dei Comites insieme alle elezioni politiche del 2013.

PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Picchi 1.4, non accettato dalla Commissione né dal Governo, e sul quale la V Commissione (Bilancio) ha espresso parere contrario.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).

Onorevole Mondello... onorevole Gianni...
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).

(Presenti 484
Votanti 476
Astenuti 8
Maggioranza 239
Hanno votato
106
Hanno votato
no 370).

Prendo atto che i deputati D'Antoni, Monai e Cosentino hanno segnalato che non sono riusciti ad esprimere voto contrario.
Avverto che, consistendo il disegno di legge di un solo articolo, non si procederà alla votazione dell'articolo unico, ma, dopo l'esame degli ordini del giorno, si procederà direttamente alla votazione finale a norma dell'articolo 87, comma 5, del Regolamento.

(Esame degli ordini del giorno - A.C. 5342)

PRESIDENTE. Passiamo all'esame degli ordini del giorno presentati (Vedi l'allegato A - A.C. 5342). Nessuno chiede di intervenire per illustrare gli ordini del giorno presentati e, quindi, invito il rappresentante del Governo ad esprimere il prescritto parere.

STAFFAN de MISTURA, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Signor Presidente, tutti gli ordini del giorno sono, di fatto, accettabili per il Governo, eccetto l'ordine del giorno Porta n. 9/5342/2, a meno che non ci si limiti alle prime due righe. In poche parole, il Governo si impegna a considerare l'opportunità di non distogliere dal finanziamento delle politiche migratorie la parte residua dei fondi destinati al rinnovo dei Comites e del CGIE. Se, invece, si insiste nel mantenere invariato il contenuto dell'ordine del giorno Porta n. 9/5342/2, il parere è contrario.

PRESIDENTE. Onorevole Porta, accetta la riformulazione del suo ordine del giorno n. 9/5342/2?

FABIO PORTA. Signor Presidente, accetto la riformulazione proposta dal sottosegretario.

PRESIDENTE. Prendo atto che i presentatori non insistono per la votazione Pag. 21dei rispettivi ordini del giorno accettati dal Governo. È così esaurito l'esame degli ordini del giorno presentati.

(Dichiarazioni di voto finale - A.C. 5342)

PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto finale.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Evangelisti. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, ho già svolto ieri in discussione sulle linee generali una sorta di pre-dichiarazione di voto, annunciando che noi davvero come gruppo dell'Italia dei Valori non potremmo mai votare un provvedimento tanto «sgarrupato» e mi perdoni la citazione letteraria. Infatti, è davvero un provvedimento nato male, pensato peggio e, anche attraverso la discussione che c'è stata al Senato, non è stato possibile assolutamente migliorarlo. Per dirlo e far capire ai colleghi che magari non hanno avuto modo di approfondire la tematica, di che cosa si sta parlando? Si sta parlando del rinvio per l'ennesima volta di quelle che sarebbero dovute essere le elezioni dei Comitati degli italiani all'estero e del Consiglio generale degli italiani all'estero, due benemerite istituzioni che hanno avuto un'importanza notevole negli anni passati per garantire la rappresentanza democratica dei nostri connazionali all'estero, nel rapporto con i nostri consolati, con le nostre sedi diplomatiche, per quanto riguarda la promozione della lingua e la cultura italiana nel mondo, ma che in qualche modo oggi sono superati da un fatto di qualche significato. Con una legge costituzionale, infatti, abbiamo provveduto, negli anni passati, ad eleggere direttamente alla Camera e al Senato i rappresentanti degli italiani all'estero. Qui con noi siedono 12 deputati e nell'altro ramo del Parlamento italiano, al Senato, ci sono 6 senatori eletti all'estero e, quindi, in qualche modo la rappresentanza legittima delle istanze degli italiani all'estero era stata risolta in questo modo.
Per cui, noi abbiamo chiesto, a fronte di un decreto-legge specifico, che ci potesse essere almeno il superamento del Consiglio generale delle italiani all'estero, magari ridiscutendo la composizione, la forma, la funzione dei Comites stessi e, invece, di tutto questo non vi è stata assolutamente traccia di una volontà. E questo per quanto attiene al provvedimento nel merito che, sempre nel merito, è così pasticciato.
All'inizio per questo rinnovo - che doveva essere fatto nel 2009, lo ricordo, dopo che l'ultima elezione vi era stata nel 2004 - erano stati stanziati ben 21 milioni di euro. A fronte delle difficoltà economiche e finanziarie in cui versa il nostro Paese, si è pensato di rinviare questa scadenza e intanto di tagliare questa previsione di spesa. La previsione da 21 milioni iniziali è passata a 6 milioni, ma quando siamo andati all'esame al Senato si è visto che in verità neanche questi 6 milioni di euro risultavano a bilancio, ma soltanto un milione e mezzo. Allora che cosa si è pensato? Si è pensato che non potendo avere noi la possibilità, con un milione e mezzo, di fare le elezioni, si è deciso di rinviarle. Allora è iniziata una trattativa tra gli italiani all'estero, i senatori, i rappresentanti del Governo e alla fine si è addivenuti a questa formula un po' bizzarra: la democrazia un tanto al chilo. Avremmo bisogno di un chilo di democrazia; siccome non abbiamo i soldi ci accontentiamo di tre etti di democrazia. Allora si rinvia al 2014 questa scadenza e si dà mandato al Governo di fare un'invenzione per cui gli italiani all'estero - quattro milioni e trecentomila, lo voglio ricordare - potranno votare attraverso il computer, con una fantasia enorme, immaginando che i quattro milioni e trecentomila nostri concittadini all'estero abbiano tutti un tablet o un PC e una chiavetta o un codice criptato per poter assicurare il loro voto personale, diretto e segreto per questi organismi.
Va da sé che questa è davvero una bizzarria, se soltanto si pensa a quei nostri connazionali over settanta o anche soltanto over sessanta, pertanto questo davvero Pag. 22non potrà succedere. Però intanto si accantona un tesoretto che alla fine è diventato di 3 milioni e 539.464 euro, sulla cui reale consistenza lo stesso presidente della Commissione bilancio al Senato ha avanzato non pochi dubbi e perplessità. Insomma, davvero come ha detto il relatore al Senato siamo di fronte ad un provvedimento sgradevole nella sostanza e sgraziato nella forma (non lo dico io, lo ripeto, lo ha detto un senatore del Partito Democratico).
Ma come abbiamo sentito anche qui nel dibattito, prima in Commissione poi in aula, sono molti gli esponenti del Partito Democratico e del Popolo della Libertà che esprimono dubbi e criticità rispetto a questo provvedimento, ma si apprestano comunque a votarlo, nonostante si vada verso una sospensione di democrazia che non ha precedenti nel nostro Paese. Infatti stiamo parlando comunque di organismi democraticamente eletti.
Riprendo qui, rilancio e concludo, signor Presidente, l'esagerazione, il paradosso caricaturale che ho usato ieri: sarebbe come se questi nostri tecnici che oggi ci governano, arrivati a gennaio o febbraio dell'anno prossimo, di fronte alle difficoltà finanziarie dello Stato italiano decidessero di sospendere e rinviare le elezioni della Camera e del Senato e prorogare noi stessi per altri tre o quattro anni. È esattamente quello che sta succedendo, è una sospensione della democrazia, è un vulnus della democrazia. Ovviamente spero che la mia sia soltanto un'immagine caricaturale, un brutto sogno e nulla più (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Di Biagio. Ne ha facoltà.

ALDO DI BIAGIO. Signor Presidente, il provvedimento in esame vuole inserirsi in una logica di razionalizzazione della spesa pubblica e di riorganizzazione dei meccanismi di rappresentanza degli italiani all'estero, con l'obiettivo di garantire una migliore operatività degli organismi di rappresentanza degli italiani all'estero, in attesa del generale riordino della normativa che disciplina la composizione e le modalità di elezione. Pertanto, il rinvio delle elezioni per il rinnovo dei Comitati degli italiani all'estero (Comites) e del Consiglio generale degli italiani all'estero (CGIE) vorrebbe collocarsi proprio in questa prospettiva.
Ma il mancato rinnovo di un organo di rappresentanza e la conseguente proroga del mandato dei suoi componenti, di certo, non si potrebbe configurare come un evento pregevole; anche perché ci si trova dinanzi ad una triplice proroga che, di fatto, legittima la permanenza in carica più che decennale dei componenti dell'organismo, svilendo le dinamiche democratiche che dovrebbero sottendere l'esercizio delle funzioni dell'organo e limitando le potenzialità rappresentative dell'organismo, congelato ad elezioni più che ormai datate. La nostra priorità dovrebbe essere quella di consentire l'evoluzione di questi organismi, ancorandoli all'evoluzione della società che loro rappresentano: è proprio questo il principio guida che ci animerà sul versante della riforma di questi organismi, attualmente in Commissione esteri.
Come è già stato ampiamente evidenziato, appare opportuno segnalare il ruolo importante e di riferimento che questi organismi svolgono per i nostri connazionali e per le nostre comunità: una sorta di collante sociale, oltre che amministrativo, che consente di rinnovare e rafforzare il legame che esiste tra l'Italia e gli italiani oltre confine. Pertanto, l'attenzione nei confronti delle dinamiche di organizzazione di questi Comitati, non può di certo essere tralasciata o ridotta, o considerata un'appendice delle politiche per gli italiani all'estero, come è sembrato, purtroppo, negli ultimi anni.
Come si diceva, attualmente, esiste una serie di progetti di legge abbinati, che recano nuove disposizioni sulla composizione e le modalità di elezione degli organismi di rappresentanza degli italiani all'estero. Sarebbe auspicabile consentire un'accelerazione dell'iter di queste proposte, proprio per consentire il raggiungimento Pag. 23dell'obiettivo prioritario del provvedimento in esame, signor sottosegretario: razionalizzazione e semplificazione, che non sono sinonimo di tagli o deficit democratico, ma una stagione nuova per la gestione politica ed amministrativa degli organi di rappresentanza. Auspichiamo di apportare le dovute modifiche alla normativa prima della fine della legislatura, dando, in questo modo, un senso al mancato rinnovo di Comites e CGIE.
Dobbiamo dare un senso a questa sorta di deficit democratico, e un senso noi lo ritroviamo soltanto nell'esigenza di dare priorità, in questo momento, al riordino della normativa generale. Lo dico a denti stretti: se inseriamo questo provvedimento nella più generale dinamica di riforma dei Comites, questo acquista una valenza diversa che ci consente di accettarlo, tenendo conto dell'empasse economica e sociale che attualmente condiziona il nostro Paese e spinge a formulare queste scelte, anche se non facili, e che vede enti e organismi di rappresentanza oggetto di sacrifici; purtroppo, la scelta che c'è dietro questa disposizione si inserisce proprio in questa direzione.
Malgrado tutto questo, voglio ribadire che l'attenzione di Futuro e Libertà per il Terzo Polo nei confronti di Comites e CGIE è alta e significativa. La consapevolezza del ruolo determinante ed imprescindibile di queste strutture democratiche e rappresentative sarà, di certo, la premessa per le attività riformatrici che ci vedranno impegnati nei prossimi momenti di discussione in Aula. Per questo, il nostro sarà un voto favorevole al provvedimento in oggetto, con la certezza che la normativa in materia, al momento oggetto di discussione alla Camera, sia rinnovata sulla base di principi di trasparenza, razionalizzazione e valorizzazione della rappresentanza. E siamo certi di trovare la condivisione del Governo.
Noi vogliamo credere nei Comites e nel CGIE, sempre più validi e operativi, espressione di una comunità italiana che cambia e si evolve, e che vuole essere parte integrante di un Paese che intendere rialzarsi e crescere. Noi vogliamo essere fautori di questa evoluzione culturale, prima ancora che politica ed amministrativa. Per questo, il nostro voto sarà favorevole (Applausi dei deputati del gruppo Futuro e Libertà per il Terzo Polo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Ciccanti. Ne ha facoltà.

AMEDEO CICCANTI. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, l'Unione di Centro per il Terzo Polo esprime un voto favorevole ragionato a questo provvedimento, che prevede il rinvio delle elezioni degli organismi di rappresentanza degli italiani all'estero, ossia i Comitati degli italiani all'estero, meglio conosciuti come Comites.
Perché voto ragionato? Perché si sommano due interessi: quello della necessità di un riordino della normativa che disciplina la composizione e le modalità di elezione dei Comites e la necessità di rivalutare la spesa destinata a garantire l'operatività degli stessi organismi, ivi compreso il Consiglio generale degli italiani all'estero, al fine di una migliore utilizzazione delle risorse pubbliche. Si tratta, quindi, di un rinvio e non di una cancellazione degli organismi democratici, che consideriamo con grande interesse.
Abbiamo ben chiara la differenza tra i costi della democrazia e i costi della politica. L'Italia sta facendo grandi passi avanti per ridurre la spesa pubblica, per ridurre la pressione fiscale e consentire, così, il rilancio di consumi e investimenti. In tutti i settori della pubblica amministrazione è in corso una revisione della spesa pubblica, senza tagliare servizi e democrazia. Anche in questa occasione si opera nella filosofia di spendere meglio per spendere meno.
Non nascondiamo le nostre difficoltà nel chiedere un ulteriore rinvio per le elezioni che si sarebbero dovute svolgere nel 2009, ma si tratta di un rinvio breve, che consentirà di favorire l'espressione dei diritti democratici con costi minori. Siamo convinti che questa responsabilità di contribuire al risollevamento delle sorti dell'economia Pag. 24italiana è comune anche agli italiani all'estero.
I Comites, come è stato ricordato, sono stati istituiti nel 1985 e svolgono un fondamentale ruolo di supporto e collegamento della comunità degli italiani all'estero con le autorità consolari. Essi contribuiscono ad individuare le esigenze di sviluppo sociale, culturale e civile della comunità di riferimento e hanno la cura di assicurare la partecipazione dei giovani, le pari opportunità, l'assistenza sociale e scolastica, la formazione professionale, il settore ricreativo, lo sport e il tempo libero. Cooperano, inoltre, con l'autorità consolare nella tutela dei diritti e degli interessi degli italiani all'estero, soprattutto quelli che fanno parte delle circoscrizioni consolari di riferimento.
A seguito delle elezioni dal marzo 2004, operano oggi 126 Comites in 38 Paesi: 69 in Europa, 23 in America latina, 4 in America centrale, 16 in Nord America, 7 in Asia e 7 in Africa. Essi sono espressione democratica diretta, come è stato detto, di 4 milioni e 200 mila italiani residenti all'estero: una comunità per numero superiore a quella di gran parte delle regioni italiane.
Questo ulteriore rinvio potrà anche generare qualche delusione nella collettività italiana residente all'estero, parzialmente compensata dal fatto che una parte del risparmio di spesa sarà destinato ad interventi per il sostegno degli enti gestori dei corsi di lingua e cultura italiana all'estero, al rifinanziamento delle attività di assistenza diretta e indiretta degli italiani residenti all'estero e, in condizioni di indigenza, al funzionamento dei Comites stessi, i quali, in questi anni, hanno subito tagli lineari superiori al 60 per cento dei fondi.
Noi comprendiamo, però, lo sforzo che sta compiendo questo Governo, come ricordavo. Quindi, nel confermare il voto favorevole del nostro gruppo, con le perplessità e le motivazioni che ho ricordato, allo stesso tempo vogliamo ribadire la nostra vicinanza a il nostro sostegno ai connazionali residenti all'estero, e sottolineare come proprio loro, anche in questa circostanza, sono in prima linea a sopportare, come tutti gli italiani, i sacrifici per il bene del nostro Paese (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro per il Terzo Polo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Allasia. Ne ha facoltà.

STEFANO ALLASIA. Signor Presidente, signor sottosegretario tecnico non eletto dal popolo, colleghe e colleghi, la conversione in legge di questo decreto-legge che ci accingiamo a votare, discute e vuole mettere ordine ad un istituto creato con la legge n. 285 nel 1985 e successivamente modificato, con la legge n. 172 del 1990. I Comites sono organi rappresentativi della nostra collettività, eletti direttamente dagli italiani residenti all'estero. Sono, quindi, organi preesistenti al sistema di voto previsto per i residenti all'estero dal 2001 che le comunità italiane desideravano per potere esprimere la propria voce presso la madrepatria. I rapporti diretti tra i concittadini all'estero e le istituzioni italiane sono mantenuti dal Consiglio generale degli italiani all'estero, istituito presso il Ministero degli esteri; attraverso i Comites vengono eletti 65 dei 94 membri del CGIE. Quest'ultimo formula pareri e proposte su iniziative legislative dello Stato e delle regioni concernenti le comunità all'estero sulle normative economiche e sociali che hanno riflessi sul mondo dell'immigrazione.
Con la legge n. 198 del 1998 è stata anche istituita la Conferenza permanente tra lo Stato e le regioni, le province autonome e il CGIE, convocata ogni tre anni. I membri eletti in ciascun Comites dovrebbero restare in carica per cinque anni, ma da molto tempo questa scadenza non viene rispettata e i Comites precedenti, eletti nel 1997, avrebbero dovuto essere rinnovati nel 2002, ma dopo tre provvedimenti di proroga, sono stati eletti nel 2004. Quelli attuali, scaduti già nel 2009, sono stati più volte prorogati, di solito con commi contenuti nel cosiddetto decreto milleproroghe o in qualche manovra Pag. 25di altro tipo. Questa volta si è dovuto ricorrere, addirittura, ad uno specifico decreto-legge alla vigilia delle elezioni del Comites stesso, intasando il Parlamento con un decreto-legge d'urgenza per colmare questa incresciosa svista.
Le motivazioni del rinvio sono state molteplici, di solito riconducibili o alla necessità di rinnovare i meccanismi di voto o perché il costo della tornata elettorale non era coperto. In sostanza, non si è riusciti a trovare i soldi, milioni di euro, difficili da giustificare sia all'interno del Paese dove i Comites non sono molto conosciuti, sia presso le comunità all'estero che preferirebbero che questi soldi fossero spesi per le comunità stesse e per le politiche attive anziché in procedure burocratiche. Con questo decreto-legge le due motivazioni si sommano perché siamo ancora in attesa della riforma dei Comites necessaria ad adeguarli alla legge del 2001, che dovrebbe comportare anche una riduzione permanente dei costi. La verità è che certamente in tutto questo c'è qualcosa che non funziona; i continui rinvii, che siano più o meno giustificati, denotano una scarsa attenzione da parte del Governo, del Ministero degli affari esteri e del Paese verso le comunità all'estero. D'altra parte, falsare così i meccanismi di rappresentanza delegittima gli stessi Comites, che sono in carica per decreto-legge, e non perché sono stati rieletti come prevede la legge. In questo modo il dialogo tra gli italiani all'estero ed il Paese diventa un po' una farsa e anche se cerchiamo di risparmiare e rinviamo le elezioni, anche un solo euro è sprecato se non serve allo scopo per cui i Comites sono nati.
Dal nostro punto di vista non solo il sistema dei Comites deve essere riformato, ma una profonda riflessione deve essere svolta sull'intero sistema di rappresentanza e di voto degli italiani residenti all'estero perché, al momento, il sistema non garantisce né trasparenza, né certezza, e ha dato luogo a veri e propri vulnus democratici. Forse di questi tempi gli attacchi al sistema democratico, anche in questo Paese, sono talmente gravi che ci stiamo abituando. Se possiamo accettare un Governo non eletto democraticamente, immagino che non ci scandalizzi più di tanto qualche incertezza nel voto che arriva dall'estero (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Tempestini. Ne ha facoltà.

FRANCESCO TEMPESTINI. Signor Presidente, colleghi, nel merito del provvedimento mi rifaccio alle relazioni dei relatori, in particolare a quella dell'onorevole Barbi, che ha evidenziato in modo molto chiaro i limiti del provvedimento stesso e tutto ciò che è stato fatto per rendere questi limiti compatibili con un voto favorevole da parte del nostro gruppo e mi rifaccio in particolare, però, anche gli interventi dei nostri parlamentari rappresentanti delle nostre comunità all'estero.
Perché nel corso di quel dibattito vi è stata - credo - una testimonianza di coerenza da parte di parlamentari che, nel corso di questi anni, hanno tentato di mantenere una posizione, anche su questo punto, in un contesto molto difficile. Dico questo perché ormai ci stiamo avviando alla fine della legislatura e possiamo dire che il Parlamento è in debito con le nostre comunità all'estero. È in debito perché quella che è mancata non è stata soltanto attenzione, non è stata soltanto una vera e propria politica ma, anche - mi si passi il termine, ma l'abbiamo usato quando il Ministro era in carica e, quindi, non vedo perché dobbiamo dimenticare quelle parole -, vi è stata una vera e propria «rapina» perpetrata dal Ministro Tremonti nei confronti di capitoli «più sociali» della Farnesina. Ma non è tanto per questo che il Parlamento è in debito, è in debito perché - e lo testimonia anche la discussione sul punto - quello che manca e che è mancato è un'inversione, un cambiamento di approccio di visione rispetto al tema delle nostre comunità.
Caro sottosegretario, che ha una posizione molto chiara - è la sua storia, la sua vita che mi fa dire così -, ma nella Farnesina, nel corso di questi anni, abbiamo Pag. 26colto una «sostanziale sottovalutazione del tema», ma questa sottovalutazione nasceva da un errore prospettico e strategico, che penso non si possa imputare soltanto alla Farnesina, si deve imputare alla politica italiana nel suo complesso. Qual è questo limite strategico? È quello di aver pensato e di continuare a pensare - a differenza di quello che fanno e hanno fatto molti altri Paesi - alle nostre comunità all'estero semplicemente in termini di un rapporto che in questo caso regola la rappresentanza - naturalmente esercizio di democrazia che ha un enorme peso e un'enorme funzione -, ma qualunque esercizio di democrazia e qualunque esercizio che riguarda la rappresentanza naturalmente hanno senso e si difendono - lo voglio dire al collega Evangelisti - se il punto di sostanza viene sostenuto. Ma il punto di sostanza a cosa serve, e quale funzione noi gli attribuiamo, (e già così è detto male)? In realtà, quello che è mancato e continua a mancare è l'idea della necessità di lavorare come sistema Italia all'estero.
So di dire cose già dette, che si dicono quando si parla di altre cose, quando si parla della nostra proiezione economica internazionale e si parla di sistema, però è proprio così. Quello che manca è la capacità di vedere comunità che sono, poi, tra l'altro, anche disponibili; comunità che hanno in qualche modo il gene dell'intrapresa, perché così è, perché nei fatti di questo parliamo: di gente che si è data da fare e che ce l'ha fatta da sola, e che sarebbe disponibile a fare sistema con l'Italia. Siamo noi in debito con queste comunità, perché non siamo stati capaci di dare loro la possibilità di esprimere e di valorizzare questa capacità. Penso, poi, che vi sia anche un'intermediazione della politica nei confronti di queste comunità, su cui dobbiamo riflettere, per ridurla, perché questa intermediazione poi diventa, per qualche verso, riproposizione di un vecchio modello del rapporto «assistenziale» tra la politica in Italia e le comunità.
Tra l'altro, è un modello che non funziona più, perché non siamo più in grado sostanzialmente di fornire assistenza.
Ma quello che manca da parte nostra, quello per il quale siamo in debito nei confronti di queste comunità è dare loro quella dimensione e collocarli in quella funzione per la quale potrebbero dare davvero qualcosa al Paese, perché hanno le chance, hanno le possibilità, hanno le caratteristiche e hanno la storia per farlo.
Invece, non lo abbiamo fatto. Questi organismi non solo debbono essere strumenti di rappresentanza, ma avremmo dovuto - dico avremmo dovuto, perché è responsabilità nostra, se non lo abbiamo fatto in questa legislatura - valorizzarli per dare certamente ai Comites una funzione che va al di là della tutela della rappresentanza dei singoli, ma quello davvero di piccolo grande motore della presenza italiana.
È un tema delicato, un tema naturalmente che non posso affrontare qui, se non evocandolo, ma è il tema sul quale noi ci giochiamo il rapporto con queste realtà, perché queste realtà non hanno nei confronti dell'Italia una relazione come si poteva avere una volta. Sono partecipi ormai di mondi diversi e vogliono essere assieme italiani e qualcos'altro, vogliono essere insieme italiani e partecipi di un mondo globale. Noi dobbiamo assecondarli in questa possibilità che - lo ripeto - va al di là di un puro e semplice richiamo dell'italianità.
Chiudiamo questo capitolo come ci hanno detto i relatori e come ci ha consigliato il dibattito, prendendo in positivo ciò che davvero si fa fatica a considerare tale. È un provvedimento che consentirà di risparmiare. Rispetto al precedente approccio del Governo passato, che era un approccio sostanzialmente di dimenticanza del tema, in questo caso arriviamo a concludere con uno sbocco, che è quello di un tentativo di lavorare su soluzioni pratiche di gestione del voto più economiche e meno costose. Si vedrà, con tutti i rischi di questo «si vedrà», perché dietro questo «si vedrà» c'è un regolamento, c'è Pag. 27una Farnesina. Caro sottosegretario, torno al tema della necessità che la Farnesina capisca che, se vuole mantenere una centralità nella politica italiana e nella proiezione internazionale dell'Italia come nei nostri auspici, in questo campo, come nel campo della cooperazione e in molti campi nei quali la dimensione della Farnesina non è soltanto diplomatica ma anche sociale, occorre un altro occhio, occorre per qualche verso un'altra attenzione, ma ne parleremo nelle sedi opportune.
Concludo, signor Presidente. Ci avviamo a dare un voto. Lo facciamo senza entusiasmi e con scarsa soddisfazione, ma che ci serva almeno per ricordarci che, lo ripeto, il Parlamento di questa legislatura è in debito con le nostre comunità e la politica deve rapidamente cercare di ovviare a questa carenza e a questo punto di dèfaillance (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Pianetta. Ne ha facoltà.

ENRICO PIANETTA. Signor Presidente, la mia sarà una dichiarazione di voto molto breve, perché per considerazioni più ampie mi vorrei rifare a quanto ho detto ieri in discussione generale. Questo decreto prevede lo spostamento dell'elezione dei Comites e del CGIE dal 2012 al 2014 ed è stato questo un argomento non facile da affrontare. Del resto, i relatori sono stati molto esaustivi e anche gli interventi dei colleghi hanno particolarmente evidenziato la delicatezza di questo provvedimento. Però, voglio anche rimarcare che questo provvedimento prevede che l'elezione dei Comites siano svolte entro il 2014 con un sistema elettronico.
Questa modalità permetterà di realizzare un notevole risparmio, da 20 milioni di euro a 2 milioni di euro.
Il provvedimento, tra l'altro, prevede che quegli italiani che non potessero votare con il sistema elettronico avranno la possibilità di votare presso i consolati o in qualche altra sede, come definite dal comitato elettorale, e un apposito regolamento ne definirà le modalità, anche rispettando il principio di segretezza del voto.
Ma c'è un altro aspetto che ritengo positivo. Con i risparmi che derivano dalla mancata effettuazione dell'elezione del 2012 sono state messe a disposizione degli italiani all'estero delle risorse che sono interessanti e consistenti: 2 milioni di euro a favore dei gestori dei corsi di lingua e cultura italiana all'estero, 1 milione e 339 mila euro per gli italiani residenti all'estero in condizione di indigenza e anche 200 mila euro per il funzionamento dei Comites. Quindi, sono indubbiamente elementi interessanti a favore delle comunità che risiedono all'estero.
Dicevo, per concludere, che si tratta di un argomento non facile, ma per i risparmi che si sono definiti e anche per le provvidenze che sono state messe a favore degli italiani all'estero, previste appunto da questo provvedimento, lo ritengo senz'altro accettabile e, in tal senso, dichiaro il voto favorevole del gruppo del Popolo della Libertà (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Picchi. Ne ha facoltà.

GUGLIELMO PICCHI. Signor Presidente, colleghi, non posso uniformarmi alla dichiarazione di voto che ha fatto il collega Pianetta a nome del gruppo. Quindi, annuncio il mio voto contrario, come quello dei colleghi del mio gruppo eletti all'estero. Devo richiamare, però, il Parlamento alla propria responsabilità e, in particolare, alcuni gruppi.
Il Senato aveva già approvato la riforma dei Comites. Avevamo rinviato l'elezione dei Comites nell'attesa di fare questa riforma, che è bloccata qui alla Camera da oltre un anno e ci sono gruppi, con nome e cognome, che ne bloccano la discussione. Non è il Popolo della Libertà che blocca l'avanzamento dell'iter della riforma.
Quindi, invito per coerenza tutti coloro che votano per un altro rinvio, ossia il Pag. 28Partito Democratico, l'Unione di Centro, Futuro e Libertà, a prendere l'impegno in quest'Aula a discutere negli ultimi mesi della legislatura la riforma dei Comites e poi, una volta ripresa la discussione, vedremo che legge verrà fuori. Tuttavia, il fatto che il Partito Democratico si ostini a bloccare questa riforma è, per me, un'indecenza e il fatto che voti questo decreto-legge è la conferma che effettivamente dei Comites e del CGIE, al di là delle parole, non gli interessa proprio nulla.

PRESIDENTE. Sono così esaurite le dichiarazioni di voto finale.

(Votazione finale ed approvazione - A.C. 5342)

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione finale.
Indìco la votazione nominale finale, mediante procedimento elettronico, sul disegno di legge di conversione, già approvato dal Senato, n. 5342, di cui si è testé concluso l'esame.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).

Onorevoli Repetti, Capodicasa, Dionisi, La Russa, Aracri...
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazioni).

(S. 331 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 maggio 2012, n. 67, recante disposizioni urgenti per il rinnovo dei Comitati e del Consiglio generale degli italiani all'estero) (Approvato dal Senato) (5342):

(Presenti 455
Votanti 449
Astenuti 6
Maggioranza 225
Hanno votato
382
Hanno votato
no 67).

Prendo atto che i deputati Rivolta e Argentin hanno segnalato che non sono riusciti ad esprimere voto favorevole e che il deputato Simeone ha segnalato che non è riuscito a votare.

Sull'ordine dei lavori (ore 12,12).

GIULIANO CAZZOLA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIULIANO CAZZOLA. Signor Presidente, nei minuti che il Regolamento mi concede voglio adempiere a un mio dovere, cui ho già adempiuto durante i quattro anni di questa legislatura, in questi giorni. Infatti, quattro anni or sono, all'alba, veniva arrestato nella sua abitazione Ottaviano Del Turco, allora presidente della regione Abruzzo, ma prima di allora protagonista in tanti ruoli al servizio del Paese nel sindacato, nel Parlamento italiano ed europeo, nonché Ministro delle finanze in un Governo della Repubblica.
Sappiamo tutti quali conseguenze determinò sul piano politico quell'evento. Ebbene, signor Presidente, in tutti questi anni, come le dicevo, ho preso la parola per esprimere la mia solidarietà in quest'Aula a Ottaviano Del Turco. Lo faccio anche quest'anno per stigmatizzare soprattutto che quelle prove, che secondo i pubblici ministeri avrebbero dovuto essere inconfutabili, in realtà non sono ancora state trovate, tanto che il processo langue e a quattro anni di distanza non si è chiuso neppure il giudizio di primo grado.
È quello che volevo fare e penso che sarà l'ultima volta che lo faro in quest'Aula, perché nel prossimo luglio penso che in quest'Aula non ci sarò più. Però non ho voluto mancare a questo appuntamento con la verità e con l'amicizia (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà e di deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Onorevole Cazzola, tenendo ferma la presunzione d'innocenza, Pag. 29speriamo che si concluda positivamente la vicenda giudiziaria dell'onorevole Del Turco.
Sospendo la seduta, che riprenderà alle ore 15 con lo svolgimento di interpellanze urgenti.

La seduta, sospesa alle 12,15, è ripresa alle 15.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MAURIZIO LUPI

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Brugger, Caparini, Cicchitto, D'Alema, Donadi, Dozzo, Fava, Tommaso Foti, Giancarlo Giorgetti, Lucà, Moffa, Mura, Pisicchio e Valducci sono in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente cinquantadue, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Svolgimento di interpellanze urgenti (ore 15,01).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di interpellanze urgenti.

(Chiarimenti in merito ai motivi della prospettata soppressione del tribunale di Cassino nell'ambito della riorganizzazione degli uffici giudiziari - n. 2-01588)

PRESIDENTE. L'onorevole Anna Teresa Formisano ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-01588, concernente chiarimenti in merito ai motivi della prospettata soppressione del tribunale di Cassino nell'ambito della riorganizzazione degli uffici giudiziari (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti).

ANNA TERESA FORMISANO. Signor Presidente, signor sottosegretario, vorrei dirle che oggi parlo io perché sono parlamentare, ma non parlo in nome e per conto di una singola persona, ma in nome e per conto di un territorio che non è solo rappresentato dalla città di Cassino, ma da tutto il Lazio meridionale. In tribuna oggi - e li ringrazio per la presenza - abbiamo anche il sindaco della città di Cassino, il rettore, il direttore dello stabilimento FIAT, il presidente e il vicepresidente del tribunale, il presidente della Banca popolare del cassinate, folte rappresentanze degli ordini degli avvocati e dei comitati spontanei nati a difesa e a tutela del nostro tribunale.
Con la mia interpellanza urgente, che ho trasformato da interpellanza semplice che era stata presentata l'8 maggio, chiedo espressamente al Governo, in buona sostanza, se i criteri ispiratori della legge delega e, in particolare, i criteri del risparmio di spesa e dell'efficienza, con l'eventuale taglio e la chiusura del tribunale di Cassino, siano rispettati.
Signor sottosegretario, voglio dirle con molta franchezza che su questa legge si è creato un grande dibattito nel nostro Paese e, al di là dei campanilismi, mi permetto di fare una riflessione ed un'affermazione, consapevole di quello che dico. Credo che in materia di giustizia non si possa procedere con tagli lineari, ma che si debbano adottare criteri selettivi per arrivare oggettivamente a scelte giuste.
Allora, mi permetto di chiederle - e le chiedo - se i criteri della legge delega siano stati rispettati. È stato rispettato il riequilibrio territoriale, demografico e funzionale tra uffici limitrofi, in forza del quale sarebbe stato tassativo dovere del Governo operare tutti i possibili riequilibri territoriali, demografici e dei carichi di lavoro? Sono stati perseguiti i criteri di economicità e di efficienza, che impongono di considerare tra i criteri di cui tenere conto anche la presenza di moderne e funzionali strutture giudiziarie?
La legge prevede un riassetto della geografia giudiziaria fondato su due presupposti, che abbiamo detto prima: il Pag. 30risparmio di spesa e l'efficienza. Con i dati, che dopo - se mi permette - le consegnerò e le riflessioni che farò, desidero fornirle un modesto contributo. Il Ministro ha detto che era pronta, d'altronde, ad ascoltare il Parlamento sulla base di criteri oggettivi. Io sono qui proprio per questo.
Il tribunale di Cassino, in estrema sintesi, è l'ottantacinquesimo per popolazione su tutti i 165 tribunali italiani, compresi i trentasei tribunali capoluogo di provincia; sessantesimo per superficie, rispetto sempre a tutti i 165 tribunali e davanti a cinquantatre tribunali capoluogo di provincia; settantasettesimo per sopravvenienze e quarantadue tribunali capoluogo di provincia stanno dopo il tribunale di Cassino; ottantunesimo per numero di magistrati e quaranta tribunali capoluogo di provincia stanno dopo Cassino.
È il settantaseiesimo per procedimenti definiti medi e 41 tribunali sedi di capoluogo di provincia sono dopo; è il settantanovesimo per produttività e 46 tribunali capoluogo di provincia sono dopo.
Uno dei criteri della legge delega era l'economicità e l'efficienza: io le fornirò brevemente il dato sul raffronto fra Cassino e Frosinone, che sarebbe il tribunale accorpante. La fonte non è l'onorevole Formisano ma è la relazione dell'amministrazione della giustizia, presidente dottor Santacroce.
Questa tabella ci dice: nell'anno 2011, Cassino 12.307 procedimenti civili pendenti, Frosinone 10.211; cause di lavoro, Cassino 3.961, Frosinone 2.189; superficie chilometri quadrati, Cassino 1.887, Frosinone 1.539; mi fermo qui.
Quindi, anche secondo questa tabella, non riusciamo a capire dove sia l'efficienza, oltre ad un evidente problema logistico, in quanto la struttura di Frosinone, pur nuovissima, non ha la possibilità di ospitare l'eventuale tribunale di Cassino. Non parliamo poi dal punto di vista dell'economicità e credo che questo sia uno dei punti forti per il tribunale di Cassino, deboli per chi ha pensato di cancellare il tribunale di Cassino.
Come è stato più volte evidenziato, nel tribunale di Cassino sono stati investiti 9 milioni di euro, già spesi, per rendere funzionale ed efficiente al massimo il tribunale stesso; al contrario, ovviamente - penso che anche un ragazzino di terza media potrebbe fare questi conti -, l'accorpamento renderebbe l'esborso erariale altissimo, e le do solo un numero: da 857 mila euro che si spendono oggi, si passerebbe a 1 milione e 720 mila euro. Io le consegnerò la relazione dell'università di Cassino.
Ultima considerazione, ma non ultima per importanza: credo che ci sia stata una distrazione importante. Le sedi distaccate soppresse nel nostro territorio sono quattro, perché abbiamo Anagni e Alatri che andrebbero ad accorparsi a Frosinone, Sora che fa parte già del bacino di Cassino e Gaeta, che oggi è sede distaccata del tribunale di Latina, che per vicinanza, ma anche per tradizioni storiche, ha molto più interesse ad essere accorpata alla sede del tribunale di Cassino che non a Latina.
Signor Presidente, mi fermo qui su questa prima parte, ovviamente nella replica farò le altre considerazioni. Credo che già questi numeri, di per sé, basterebbero a dire di no alla chiusura del tribunale di Cassino.

PRESIDENTE. Il Sottosegretario di Stato per la giustizia, Sabato Malinconico, ha facoltà di rispondere. Le esprimo anche il benvenuto alla Camera.

SABATO MALINCONICO, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, con l'atto di sindacato ispettivo in discussione gli onorevoli interpellanti, dopo avere richiamato il contenuto dell'articolo 1 della legge 14 settembre 2011 n. 148, di conversione del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, che delega al Governo la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari, e dopo avere sottolineato i criteri individuati dal legislatore per l'attuazione di tale importante intervento, pongono l'accento sulle specifiche caratteristiche geografiche, infrastrutturali, demografiche e sociali del Pag. 31tribunale di Cassino, che pur sopravanzando per popolazione, superficie, numero di magistrati e di amministrativi, diversi tribunali di capoluogo di provincia, sarebbe a rischio di soppressione.
A tale proposito si fa presente che con decreto ministeriale 13 ottobre 2011 è stato istituito un gruppo di studio incaricato di individuare i criteri oggettivi idonei a realizzare, mediante una riduzione del numero dei presidi giudiziari, una più razionale distribuzione sul territorio degli uffici di primo grado.
L'individuazione dei predetti criteri, finalizzata a conseguire una preventiva risoluzione di eventuali problematiche nell'esercizio della delega, con particolare riferimento alla necessità di contemperare l'esigenza di un'ottimale distribuzione e impiego delle risorse disponibili con la necessità di garantire all'utenza efficienti condizioni di fruibilità del servizio giustizia, è stata formalizzata nella relazione finale approvata nel marzo 2012.
Sulla base di ulteriori approfondimenti è stato poi elaborato il progetto di revisione delle circoscrizioni giudiziarie, recepito nello schema di decreto legislativo approvato in prima lettura il 6 luglio scorso dal Consiglio dei ministri.
La predisposizione del suddetto progetto ha, in primo luogo, tenuto conto degli specifici vincoli imposti dal legislatore in sede di conferimento della delega. Mi riferisco ai vincoli relativi a non meno di tre tribunali per distretto e alla intangibilità dei tribunali dei capoluoghi di provincia.
Sono stati, poi, utilizzati come linee guida - secondo quanto chiarito anche nella relazione illustrativa - i criteri come sopra individuati, al fine di conseguire una maggiore omogeneità tra le diverse sedi giudiziarie di primo grado, secondo parametri oggettivi di base indicanti: il numero di abitanti; l'estensione territoriale; i carichi di lavoro e l'indice delle sopravvenienze.
Inoltre, in ottemperanza alla previsione normativa di cui all'articolo 1, comma 2, lettera e), della legge 14 settembre 2011, n. 148, l'opera di revisione e razionalizzazione delle circoscrizioni doveva essere realizzata assumendo come linea prioritaria di intervento: «il riequilibrio delle attuali competenze territoriali, demografiche e funzionali tra uffici limitrofi della stessa area provinciale caratterizzati da rilevante differenza di dimensioni».
L'applicazione dei criteri guida generali sul territorio in funzione del conseguimento del predetto obiettivo è stata quindi realizzata tenuto conto della linea prioritaria di intervento fissata dalla medesima legge di delegazione, operando scelte in senso difforme soltanto qualora all'esito della verifica fosse emersa l'impossibilità di procedere ad un riequilibrio di competenze in ambito provinciale.
Le scelte operate dall'amministrazione, così come per la situazione rappresentata nell'interpellanza, devono pertanto essere valutate proprio sotto il profilo del carattere non prioritario delle modifiche extraprovinciali, come del resto può ricavarsi, con maggiore puntualità, dall'esame integrale della relazione esplicativa allegata allo schema di decreto legislativo.
In ogni caso, onorevole Anna Teresa Formisano, le problematiche evidenziate con riferimento alla sede di Cassino potranno essere ulteriormente rappresentate in occasione dei pareri che, secondo l'iter procedimentale previsto dalla legge di delegazione, potranno essere resi dalle Commissioni giustizia di Camera e Senato, nonché dal Consiglio superiore della magistratura.

PRESIDENTE. L'onorevole Anna Teresa Formisano ha facoltà di replicare, dichiarando se sia più o meno soddisfatta della risposta.

ANNA TERESA FORMISANO. Signor Presidente, se devo usare il termine matematico, dico meno, però cercherò di integrare la mia illustrazione prendendo due parole che ha usato il sottosegretario, omogeneità e riequilibrio, completando l'illustrazione con un aspetto che non è di minore importanza rispetto agli altri due e che è legato alla criminalità.
Signor sottosegretario, le frasi che le leggerò non le ha dette l'onorevole Anna Pag. 32Teresa Formisano e nessuno dei cittadini di Cassino: le ha dette il procuratore generale della Corte d'appello di Roma e non vent'anni fa, ma il 28 gennaio 2012. Leggo testualmente: «A dare la misura di queste infiltrazioni sono i numerosi provvedimenti di sequestro e confisca eseguiti nel Lazio, che hanno colpito ingenti patrimoni appartenenti a esponenti di noti clan mafiosi. Frosinone, centro della Ciociaria, continua ad essere area privilegiata della criminalità camorristica sia per la sua posizione baricentrica tra Roma e Napoli, sia per la vicinanza con territori controllati dai Casalesi, allo stesso modo del circondario di Cassino, che per la sua posizione geografica di zona di frontiera si configura come traiettoria di attraversamento lungo la fascia tirrenica nella dorsale sud-nord. Dalle regioni contigue la criminalità organizzata sconfina non di rado in Ciociaria e lì si insedia alla ricerca di adeguati ripari». Continuo, perché non si tratta solo di questo.
De Ficchy, nella relazione annuale della Direzione nazionale antimafia, già nel dicembre 2006, diceva che il circondario di Cassino risente particolarmente della vicinanza territoriale con le zone controllate dai gruppi di Casal di Principe. Alcuni esponenti dei clan casertani, direttamente o tramite affiliati, che fanno la spola tra le due regioni, appartenenti alle organizzazioni, si sono, difatti, insediati nel territorio cassinate.
Potrei citare decine di arresti e decine di custodie cautelari eseguiti a Cassino, ma gliene cito solo tre, che, forse, sono famosi non solo da noi: nel 2005, Giorgio Marano, affiliato alla camorra dei casalesi; nel 2006, Augusto La Torre, detto «Chiuovi»; nel 2007, Nicola Del Villano, braccio destro di Michele Zagaria. Potrei continuare, ma non mi sembra il caso, anche per il rispetto di quest'Aula.
Lo stesso procuratore generale presso la Corte di appello di Roma, nella relazione dell'anno giudiziario 2012, riferisce che: «Quanto al circondario di Cassino, viene segnalato che l'esposizione ad infiltrazioni della criminalità organizzata, soprattutto nel settore delle attività imprenditoriali e, secondariamente, degli appalti pubblici, è favorita dalla situazione economica e sociale del cassinate e dalla sua posizione geografica di zona di frontiera tra la Campania e il Lazio».
Devo fare un'altra considerazione, perché, se uno dei criteri fondamentali è stato la criminalità, signor sottosegretario, le chiedo di dimostrare che queste affermazioni non siano vere. L'area che resterebbe sguarnita, operate le soppressioni previste, avrebbe un'estensione territoriale superiore, complessivamente, ai 3 mila chilometri quadrati, di gran lunga superiore alla media nazionale, per una popolazione di circa 550 mila abitanti, creando una zona d'ombra nel presidio di sbarramento ai tentativi di infiltrazione camorristica. Non ci sarebbe né un tribunale né una procura da Santa Maria Capua Vetere a Frosinone - stiamo parlando di 120 chilometri - e lungo il litorale Domiziano - dove si passa per Casal di Principe, per essere precisi - da Santa Maria Capua Vetere a Latina.
Allora, io, sommessamente, voglio fare alcune riflessioni. Il cittadino utente sicuramente è disposto al sacrificio, se è certo di avere un miglioramento del servizio, ma se questo miglioramento, nella migliore delle ipotesi, non c'è, credo che i sacrifici comincino ad essere veramente duri.
Voglio dirle che, nel rapporto tra i dati statistici tra il tribunale di Cassino e i tribunali di provincia, Cassino è il primo in graduatoria, superando anche Isernia e Urbino (Isernia è capoluogo di provincia): in un caso, 82 tribunali hanno dimensioni inferiori, nell'altro, 105 tribunali hanno dimensioni inferiori; per magistrati, 84 tribunali sono inferiori a Cassino, e potrei continuare.
Ma la cosa che mi preme sottolineare sono i rapporti tra i dati statistici del nostro tribunale e i tribunali non soppressi, per quella benedetta o maledetta «regola del tre». Mi dice come si fa a spiegare ai cittadini del cassinate che Larino, 99.764 abitanti, 1.300 chilometri quadrati di superficie, 8 magistrati, è salva e Cassino no? Pag. 33
Abbiamo letto più volte di elenchi di tribunali da attenzionare e lei lo ha confermato. Mi permetto, ancora, di dimostrarle sommessamente che tra questi criteri che andrò a leggerle, circondario, popolazione, superficie, magistrati, sopravvenienze medie, definiti medi e produttività, Cassino è il primo della graduatoria.
Noi capiamo che parliamo di una legge delega che avete ereditato - ci mancherebbe - e che siete costretti a esercitare, però non possiamo tacere sulle incongruenze clamorose che stiamo registrando. Come possiamo spiegare ai cittadini che, da un lato, aboliamo e accorpiamo le province, ma salviamo i tribunali sede di provincia, anche se non hanno alcuno dei parametri previsti? È difficile da spiegare!
La nostra città, caro sottosegretario, e il nostro territorio sono famosi nel mondo - mi permetto di dire - per la presenza dell'abbazia di Montecassino, e la nostra tragica storia di distruzione e di ricostruzione è legata a doppio filo al monastero benedettino, che per tutti è un simbolo di europeismo e per noi cattolici cristiani è anche un simbolo di grande cristianità.
Ma sicuramente, senza voler paragonare il sacro con il profano - è il termine giusto per dirlo -, la stessa valenza per il Lazio meridionale e per i cassinati ha il tribunale! Il tribunale è un altro simbolo della ricostruzione! Saremmo distrutti per l'ennesima volta se il Governo decidesse di sopprimere questo tribunale.
Non so se posso permettermi di dirlo, ma lo faccio - e a questo proposito ringrazio il collega Rao, che siede alla mia sinistra, e il collega Orlando, che stanno seguendo, nella Commissione giustizia, passo dopo passo, il provvedimento che sto per citare -, oggi è stata presentata al Ministro e al presidente della Commissione giustizia, a firma di tutti i capigruppo, di maggioranza e di opposizione, la richiesta al Governo, ai sensi dell'articolo 79, di verificare il quadro degli immobili utilizzati attualmente come sede degli uffici giudiziari e suddivisi per distretto, con i relativi costi di gestione, l'indicazione degli edifici di nuova costruzione, di quelli in fase di realizzazione e di ultimazione, nonché delle ristrutturazioni effettuate negli ultimi dieci anni e l'analisi relativa alla capienza e potenzialità di accoglienza da parte degli uffici giudiziari accorpanti. Nemmeno se ci fossimo messi d'accordo.

PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Anna Teresa Formisano.

ANNA TERESA FORMISANO. Dunque, signor sottosegretario, signor Presidente - concludo - abbiamo letto che il Ministro è andato in visita a Chiavari a verificare di persona, e ha fatto bene. La invitiamo a fare altrettanto. Venga a Cassino, venga a vedere di che cosa parliamo, venga a vedere che cosa è quel tribunale. Siamo sicuri che né lei, né il Ministro, né il Governo ci deluderete perché siamo sicuri di avere un unico obiettivo comune, ossia l'efficienza della giustizia in questo Paese e Cassino fa parte di quell'efficienza (Applausi dei deputati dei gruppi Unione di Centro per il Terzo Polo, Partito Democratico e Futuro e Libertà per il Terzo Polo).

(Problematiche riguardanti decisioni assunte dalla Presidenza del Consiglio dei ministri in relazione al cosiddetto personale «fuori comparto» - n. 2-01572)

PRESIDENTE. L'onorevole Barani ha facoltà di illustrare l'interpellanza Moffa n. 2-01572 concernente problematiche riguardanti decisioni assunte dalla Presidenza del Consiglio dei ministri in relazione al cosiddetto personale «fuori comparto» (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti), di cui è cofirmatario.

LUCIO BARANI. Signor Presidente, signor sottosegretario, la Presidenza del Consiglio dei ministri, nel maggio scorso, nell'ambito degli obiettivi di spending review, ha disposto la restituzione, alle amministrazioni di provenienza, del personale di prestito cosiddetto fuori comparto nei confronti del quale sussiste a carico della Presidenza del Consiglio dei ministri l'onere, totale o parziale, di rimborsare gli Pag. 34emolumenti stipendiali. Il termine è stato fissato, come lei sicuramente saprà, al 1o novembre 2012. Il contingente complessivo di questi ultimi è veramente di poche unità, 132, e l'importo medio pro capite che la Presidenza del Consiglio dei ministri rimborsa alle amministrazioni di appartenenza è un'inezia rispetto a voci di spesa di maggiore aggredibilità in un'ottica di contenimento.
A giudizio degli interpellanti, si ritiene che questa disposizione sia carente di motivazione sul piano del principio di adeguatezza, tra i presupposti ispiratori della determinazione autoritativa del comando, e censurabile anche sotto il profilo della mancanza di proporzionalità tra il sacrificio imposto a detto personale - si pensi al raggiungimento per molti di loro di sedi lontane in un quadro reddituale pro capite ridimensionato - a fronte di un risparmio di spesa modesto, che produce il solo effetto di procurare un grave danno socioeconomico, con impatto su situazioni tendenzialmente consolidate.
Il provvedimento restitutorio, adottato iure imperii e al di fuori di un confronto istituzionale con le organizzazioni sindacali, svilisce in modo inequivocabile, secondo gli interpellanti, il principio di buon andamento previsto dall'articolo 97 della nostra Costituzione in quanto la sua adozione non costituisce la naturale conseguenza di una ponderata e preventiva valutazione delle risorse e dei fabbisogni delle singole articolazioni, in funzione dei rispettivi obiettivi da conseguire, ma si palesa avulsa da un congruo bilanciamento degli interessi in gioco e da un auspicabile criterio di selezione del personale da mantenere all'interno delle proprie strutture, basato sul merito - sottolineo il termine «merito» - e sulla professionalità individuale.
In una logica di ripartizione delle voci di costo da iscrivere in bilancio appare poi improprio tracciare una linea di differenziazione tra il bilancio della Presidenza del Consiglio dei ministri e quello delle amministrazioni, tra virgolette, «fuori comparto», atteso che lo stesso costo, senza variazioni sostanziali, viene a ricadere nella sfera di un altro soggetto pubblico mediante un trasferimento formale di imputazione all'interno di un unico grande contenitore, che è il bilancio dello Stato.
In tale ambito, tra l'altro, la distinzione tra soggetti del comparto ministeri e quelli fuori comparto non è giuridicamente appropriata, in quanto le due categorie istituzionali rappresentano altrettante entità dell'apparato amministrativo tra loro collegate, quanto alla natura giuridica e al fine perseguito, dal connotato della pubblicità e, quanto alla missione attribuita, dal vincolo della vigilanza e del controllo da parte del Ministero di riferimento sui risultati conseguiti.
Con riferimento alle politiche di contenimento della spesa, è utile sottolineare che, già prima dell'insediamento dell'attuale Governo, la Presidenza del Consiglio dei ministri, al pari di altre amministrazioni, non è stata esentata dalle riduzioni degli stanziamenti di pertinenza. Infatti, le previsioni iniziali del bilancio 2011 hanno già scontato dei tagli lineari, che nell'interpellanza urgente riportiamo in maniera dettagliata in diversi punti e dei quali lei ovviamente, signor sottosegretario, è a conoscenza.
La Presidenza del Consiglio dei ministri, quindi, ha conseguito ancora risparmi per 4 milioni di euro sui costi del personale, mediante anche il blocco del turnover, il congelamento dei contratti ed i pensionamenti.
Da ultimo, si aggiunge che con recente decreto del Presidente del Consiglio dei ministri è stata disposta, con effetto immediato, la riduzione degli organici della Presidenza del Consiglio dei ministri in misura del 20 per cento dei dirigenti e del 10 per cento del personale al di fuori della qualifica dirigenziale.
Ora noi siamo qui a chiedere se non sia il caso che il Governo, sulla base del quadro prospettico sopra delineato, che evidenzia un palese squilibrio e disallineamento dei tagli fortemente proiettato sul versante delle risorse umane (spese di funzionamento), orienti la propria azione di contenimento sulle cosiddette politiche attive, ossia sugli interventi e le spese in Pag. 35conto capitale, che rappresentano oltre il 90 per cento dell'impegno complessivo della spesa del bilancio della Presidenza del Consiglio dei ministri, a fronte di un modesto 7 o 8 per cento, che costituisce, viceversa, il dato relativo alla spesa per il personale, per i beni e i servizi.
Quindi, chiediamo alla Presidenza del Consiglio dei ministri di procedere al ritiro del provvedimento restitutorio del personale fuori comparto ed indirizzare gli interventi volti a conseguire risparmi su altre ipotesi di tagli della spesa. Nella nostra interpellanza urgente proponiamo anche alcuni esempi e suggerimenti, ovvero punti sui quali intervenire.
In subordine - e concludo - chiediamo se non sia maggiormente rispondente al principio costituzionale di buon andamento rimettere la valutazione degli eventuali esuberi di personale di prestito alla competenza ed alla responsabilità dei titolari delle singole strutture dell'ordinamento presidenziale, che provvederanno, se del caso, a rimodulare gli assetti organizzativi di competenza in proporzione al budget loro rispettivamente assegnato e all'esito della ridefinizione delle piante organiche, che fotografi le effettive necessità di personale da adibire ai servizi delle singole articolazioni.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la giustizia, Sabato Malinconico, ha facoltà di rispondere.

SABATO MALINCONICO, Sottosegretario per la giustizia. Signor Presidente, nell'ambito di un indirizzo politico generale volto al contenimento della spesa pubblica, che caratterizza l'azione dell'attuale Esecutivo, uno degli interventi di maggiore rilevanza è quello sulla spesa per il personale. La Presidenza del Consiglio, oltre ad avere applicato le riduzioni previste in via generale dalle leggi negli ultimi anni, sta adottando rigorosi criteri per una riduzione degli organici (dirigenziali e non) già disposta, anche con riferimento al personale di prestito, il quale è convenzionalmente differenziato tra personale del comparto Ministeri e personale cosiddetto fuori comparto; per quest'ultimo oltre al trattamento accessorio viene rimborsato agli enti anche quello fondamentale. Nel primo caso le amministrazioni di appartenenza continuano a sostenere l'onere per il trattamento fondamentale e per l'indennità di amministrazione nella misura prevista per ogni singolo Ministero. Nel caso del personale «fuori comparto» la Presidenza procede quasi sempre con il rimborso integrale del trattamento economico, secondo quanto previsto dalle disposizioni generali in materia di comando (articolo 70, comma 12, del decreto legislativo n. 165 del 2001).
Le scelte dell'intero vertice della Presidenza del Consiglio, in rigorosa attuazione degli indirizzi del Presidente del Consiglio, sono orientate nel senso di razionalizzare le strutture operanti in seno a tale organo, riportandolo ad una consistenza numerica e qualitativa più inerente ai compiti d'istituto e al contenimento della spesa, come già fatto presente in vari consessi istituzionali. Gli uffici della Presidenza si sono accresciuti, d'altronde, di unità operative per rispondere a compiti di coordinamento e direzione che talvolta non possono essere identificati nelle originarie competenze della Presidenza del Consiglio, anche se sempre ciò è avvenuto per contingenze o strutturazioni di Governo più ampie. Di conseguenza questo ha determinato una dotazione organica che ha seguito tale processo. D'altra parte la Presidenza del Consiglio dei ministri deve essere dotata di quelle professionalità che fanno di quest'ultima una espressione imprescindibile dei compiti di Governo.
Il Governo, nell'ambito della prospettiva della razionalizzazione delle attività di competenza della Presidenza del Consiglio, ha già effettuato riduzioni di personale ed è intenzionato a raggiungere quegli obiettivi di risparmio di spesa che ella stessa auspica e che sono inseriti tra le priorità dell'azione del Governo Monti. I criteri tecnici relativi a come raggiungere tali risultati, com'è evidente, seguono le impostazioni che l'attuale compagine ha già delineato affinché possa essere opportunamente e attentamente valutato l'impegno Pag. 36di riduzione e gli eventuali esuberi di personale. Si può assicurare l'onorevole Moffa e gli altri interpellanti che le rimodulazioni degli assetti organizzativi della Presidenza corrisponderanno ai criteri della maggiore efficienza ed efficacia delle strutture, tenendo presente ovviamente le necessità di personale adeguato da adibire a tali attività. In questa ottica, in sede di applicazione delle misure relative alla cosiddetta revisione della spesa, saranno attentamente valutati anche quegli interventi ulteriori e alternativi che lei stessa indica nell'interpellanza.

PRESIDENTE. L'onorevole Barani ha facoltà di replicare.

LUCIO BARANI. Signor Presidente, ringrazio il sottosegretario che è stato preciso e puntuale. Diciamo che il Parlamento, in questo caso il Senato, sta venendo incontro al Governo: infatti è stata presentata una proposta emendativa all'articolo 6, comma 5, del provvedimento A.S. 3396, aggiungendovi un comma 5-bis, ovviamente presentato dalle forze politiche di maggioranza, per la quale ci auguriamo che il Governo dia parere favorevole. Con questo emendamento diamo una mano al Governo Monti a risolvere anche questo problema di risparmiare e, al tempo stesso, di mantenere del personale che non solo per la meritocrazia e per la professionalità è necessario, ma è indispensabile anche per il buon andamento della pubblica amministrazione.
Anche perché, signor sottosegretario, cambiando l'ordine dei fattori (ci insegnavano alle scuole elementari) il risultato non cambia. Se è sempre l'amministrazione dello Stato a pagare, se è sempre il dipendente sotto la Presidenza del Consiglio dei ministri o sotto un altro ente pubblico, è sempre - come si suol dire - l'amministrazione pubblica a tirar fuori le risorse.
Le dicevo che questo emendamento, riferito all'atto Senato n. 3396, aiuta perché le sue disposizioni hanno lo scopo di agevolare la mobilità dei dipendenti in servizio temporaneo presso la Presidenza del Consiglio dei ministri. L'emendamento non prevede oneri aggiuntivi a carico del bilancio dello Stato, ma, anzi, comporta una riduzione delle dotazioni organiche delle amministrazioni interessate alla mobilità. Ciò risponde ad un'esigenza di razionalizzazione delle risorse umane. Si tratta, in sostanza, di una mera operazione di trasferimento delle partite di stipendio dalle amministrazioni di provenienza a quelle di destinazione. Il trasferimento del personale comandato e fuori ruolo nell'organico dell'amministrazione presidenziale comporta, inoltre, una riduzione della spesa per le amministrazioni di originaria appartenenza con connessa diminuzione dei costi di gestione per il personale in questione, senza tuttavia alcun depauperamento di funzionalità, trattandosi di personale che, comunque, non è più utilizzato dalle sedi di iniziale inquadramento.
L'emendamento proposto, infine, attua il contenimento della spesa del personale imponendo all'amministrazione di coprire le vacanze in organico esistenti e future, prioritariamente mediante il trasferimento del personale comandato e fuori ruolo, ai sensi dell'articolo 30, commi 2-bis e 2-ter, del decreto legislativo n. 165 del 2001, come da lei citato, signor sottosegretario. Si tratta, infatti, di personale appartenente ai ruoli della pubblica amministrazione in servizio presso sedi diverse rispetto a quella originaria. In particolare, la presente proposta emendativa fissa in sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della stessa il termine entro il quale il personale non dirigente in servizio e in posizione di comando o di fuori ruolo proveniente da altra amministrazione può presentare domanda di trasferimento. In tal modo, oltre ai benefici di carattere economico sopra illustrati, con la norma in questione si provvede in tempi brevi e certi ad eliminare una forma di precariato lavorativo sui generis inerente la sede di servizio fornendo nel contempo all'amministrazione presso la quale i dipendenti in comando prestano servizio la certezza di poter continuare ad utilizzare personale Pag. 37qualificato che ha ormai acquisito una profonda esperienza nel relativo settore.
Si garantisce così il buon andamento dell'azione amministrativa in ossequio al dettato di cui al comma 1 dell'articolo 97 della Costituzione e si contribuisce effettivamente a realizzare un'amministrazione pubblica efficiente. Al termine delle procedure di trasferimento, le dotazioni organiche dell'amministrazione di provenienza sono ridotte in misura pari alle unità di personale trasferito e, conseguentemente, sono trasferite le risorse finanziarie relative al trattamento economico.
In conclusione, l'emendamento, rispetto al quale ci auguriamo che il Governo dia parere favorevole, sarebbe in linea con le scelte dell'Esecutivo in materia di risparmio e contenimento della spesa pubblica perché tale operazione non determina, come detto, assolutamente nessun onere aggiuntivo per il bilancio dello Stato. Con quanto detto dal sottosegretario e con questo emendamento - perché gli organi parlamentari vogliono aiutare il Governo ad uscire dall'impasse e a raggiungere gli obiettivi -, noi crediamo di aver dato una mano all'Esecutivo per raggiungere quegli obiettivi previsti nella spending review. Quindi, con questo emendamento sarebbe risolto il problema. Mi dichiaro ovviamente soddisfatto da quanto ha detto il sottosegretario, anche alla luce dell'emendamento rispetto al quale il Governo non potrà che dare parere favorevole.

(Iniziative volte a garantire il completamento della strada statale n. 125 Cagliari-Tortolì - n. 2-01578)

PRESIDENTE. L'onorevole Cicu ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-01578, concernente iniziative volte a garantire il completamento della strada statale n. 125 Cagliari-Tortolì (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti).

SALVATORE CICU. Signor Presidente, signor Ministro, onorevoli colleghi, questa interpellanza cerca di sollecitare e di impegnare il Governo rispetto all'individuazione e all'assegnazione di risorse che appunto rientrano nel contesto degli interventi di rilievo nazionale per quanto attiene l'attuazione del Piano nazionale per il sud.
Abbiamo già avuto la delibera del CIPE nel 2011, abbiamo avuto la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. Vorrei sottolineare i due aspetti fondamentali, non certo per portare all'interno di questa interpellanza urgente i mali che, in questo momento, la mia terra, la nostra isola, vive in termini assoluti e prioritari, ma per dire che questo tipo di investimento è atteso per due motivi fondamentali.
Il primo è che abbiamo bisogno del completamento della Cagliari-Tortolì, perché vi è la necessità di un'opera infrastrutturale, che in Sardegna è prioritaria e che ha bisogno di essere in qualche modo completata, ma c'è anche e soprattutto l'aspetto della crisi: una crisi drammatica, che investe anche e soprattutto il settore dell'edilizia, una situazione di movimenti, che, in questo momento, hanno visto l'assalto al consiglio regionale, al governo regionale, con i cassa integrati, i disperati del Sulcis. Insomma, si tratta di una situazione veramente drammatica, con ancora la mancata definizione dell'assegnazione alla Tirrenia, piuttosto che alla regione Sardegna, di un ruolo in ordine ai trasporti; con una situazione che vede Equitalia in Sardegna trovare un focolaio gravissimo di problematiche e un'industria che non riesce a realizzare, attraverso le decisioni dello Stato, un suo processo e una sua prospettiva. Ma c'è di più.
La vertenza entrate Sardegna ancora è in uno stallo fermo. Non si riesce ad andare oltre, però, nel frattempo, i sardi devono giustamente e legittimamente pagare l'IMU, così come devono pagare tutte le altre situazioni storiche. Non voglio certamente addebitare a questo Governo i mali che vive già drammaticamente la nostra terra, ma certamente questo Governo ci può aiutare e in questo caso credo che lo farà con l'assegnazione di risorse - parliamo di 100 milioni di euro - che Pag. 38servono per combattere un discorso ciclico e per realizzare una riferibilità importante che consideriamo prioritaria.

PRESIDENTE. Il Ministro per la coesione territoriale, Fabrizio Barca, ha facoltà di rispondere.

FABRIZIO BARCA, Ministro per la coesione territoriale. Signor Presidente, ringrazio per l'interpellanza urgente che solleva correttamente l'esigenza di un'urgenza di attuazione degli interventi per due ragioni: perché, come è stato correttamente osservato, la tratta in questione è di primaria importanza per i collegamenti della regione, ma anche perché gli investimenti nelle costruzioni rappresentano, in questa fase difficilissima, uno dei volani possibili di rilancio non soltanto nella Sardegna, le cui problematiche sono state lucidamente segnalate: le condivido e ancora questa mattina ho discusso con il presidente della regione. Sono lieto, quindi, non di dire che il contratto di sviluppo è redatto, né che lo sarà domani, ma che le condizioni sono avanzate e le illustro, perché lo sono.
Correttamente, lei richiama la delibera del 3 agosto 2011, con cui erano stati assegnati i fondi relativi all'Orientale sarda. A tale riguardo, ricordo soltanto che per una delle tre tratte - quella della Tertenia-San Priamo - è successivamente intervenuta una modifica di costo, che ha avuto luogo nella delibera 62/2011, la quale lo ha portato da 70 a 54,7 milioni di euro, conservando la copertura originaria di 40 milioni di euro sul Fondo sviluppo e coesione.
Come è stato correttamente osservato è previsto che queste opere siano attuate attraverso i contratti istituzionali di sviluppo, la cui finalità è esattamente quella di legare i contraenti in maniera più chiara per evitare quello che è avvenuto in passato - e ne abbiamo diverse testimonianze nel sud - ovvero il non rispetto dei tempi di realizzazione.
Ovviamente poiché il CIS implica l'introduzione di sanzioni per il soggetto attuatore - l'ANAS in questo caso ed RFI quando si tratta di Ferrovie dello Stato - la redazione del prototipo di questo contratto ha richiesto tempo perché il soggetto concessionario ha ovviamente il problema che siano chiaramente accertate le responsabilità proprie e non invece le responsabilità che potrebbero derivare dal ritardo degli altri soggetti pubblici.
È questo che spiega la novità dello strumento, che era a suo tempo stato previsto dal decreto legislativo del 31 maggio 2011, n. 88, e che ha richiesto del tempo.
L'ambito di applicazione, come lei sa, è stato chiarito nella delibera CIPE del 23 marzo 2012 che ha destinato tale strumento all'utilizzo per questo tipo di progetti, come da lei indicato, con RFI e ANAS. È iniziato un serrato dibattito che ha visto tra l'altro la regione Sardegna molto partecipe e che ha consentito, ne abbiamo avuto riprova proprio stamane, mi fa piacere dirglielo, un accordo fra tutti i soggetti e gli attori interessati. Abbiamo scelto come primo prototipo il CIS, il contratto di sviluppo relativo alla direttrice ferroviaria Napoli-Bari-Lecce-Taranto; su tale prototipo è stato raggiunto un accordo da tutte le regioni e, quindi, potrà essere firmato con l'acquisizione da parte del CIPE dei pareri formulati dalle Commissioni parlamentari sullo schema di contratto di programma, mi riferisco sempre a RFI, e, con la pubblicazione della delibera n. 4 del 2012, potrà diventare operativo. Appena firmato questo, potremo implementare lo stesso formato, avendo ANAS partecipato a tutti gli incontri ed essendo quindi partecipe delle decisioni scelte sul formato, e potremo passare all'applicazione del contratto istituzionale di sviluppo anche per l'arteria stradale con riferimento alla quale ha presentato l'interpellanza.

PRESIDENTE. L'onorevole Cicu ha facoltà di replicare.

SALVATORE CICU. Signor Presidente, ringrazio il Ministro Barca per l'impegno profuso e anche per l'analitica descrizione dei passaggi nonché della soddisfazione Pag. 39degli incontri con il presidente della regione, però sono preoccupato e lo sono perché si parla ancora di prototipi, si parla ancora di accordi che devono essere definiti attraverso passaggi parlamentari; insomma, si parla ancora di tempi che non ho ben capito quali possano essere. Siamo, oramai, quasi alla fine di questa legislatura e non avere ancora delle certezze non mi lascia tranquillo ma non mi lascia tranquillo neppure sulla possibilità, sulla fattibilità del raggiungimento dell'obiettivo. Quindi, così come sono sicuro che il presidente della regione Cappellacci avrà fatto stamattina con lei, credo che occorrerebbe individuare una tempistica che dia certezza rispetto all'obiettivo da raggiungere e ai tempi di questo obiettivo perché inevitabilmente, al contrario, non mi sentirei soddisfatto. Non capirei, infatti, in quale modo si possa raggiungere l'obiettivo di investire sul territorio per avere risposte attraverso gli stessi investimenti e come si possa sperare ciò con un'estate che ormai è andata, anche considerando che quella strada è a scorrimento veloce, ma ricongiunge la capitale della Sardegna con una delle parti centrali più importanti della regione, con una forte vocazione turistica, con una vocazione agroindustriale e turistica; quindi, forse, occorrerebbe meglio capire come e in che modo la soluzione può essere attivata.
Per quanto riguarda i tempi, dalla delibera del CIPE, insomma, è trascorso oltre un anno e mi rendo conto della difficoltà, della laboriosità, della necessità di definire procedure e prototipi; tuttavia, mi sembra che agiamo come se vi fosse una situazione ordinaria da affrontare, come se la strada non fosse una priorità e la crisi non fosse nello stato, ormai talmente avanzato, in cui versa; una situazione tale invece che c'è non solo la preoccupazione che il malessere sociale sfoci in azioni come quelle che sono derivate ieri con l'assalto al palazzo del consiglio regionale, ma che si producano purtroppo ulteriori e inevitabili conseguenze rispetto ad una percentuale di disoccupazione senza uguali in Sardegna.
Per tale motivo, la mia sollecitazione - conosco la serietà del Ministro e confido in questa serietà - è rivolta a far sì che si possa dare una spinta più forte, quella necessaria e sinergica per far sì che, in un contesto di collaborazione, non certamente di critica o di accuse, che a mio giudizio non servono molto per essere fattivi e concreti, si possano raggiungere gli obiettivi prefissati.
Quindi, il mio ulteriore invito è di cercare di dare a tutti il proprio contributo, perché nei tempi più brevi si arrivi ad una certezza degli obiettivi.

(Iniziative volte a garantire il rimborso delle spese sostenute per gli edifici adibiti al culto danneggiati dal recente terremoto in Emilia Romagna - n. 2-01582)

PRESIDENTE. L'onorevole Garagnani ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-01582, concernente iniziative volte a garantire il rimborso delle spese sostenute per gli edifici adibiti al culto danneggiati dal recente terremoto in Emilia Romagna (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti).

FABIO GARAGNANI. Signor Presidente, sottosegretario Cecchi, faccio subito presente che nel testo dell'interpellanza è riportato, non esattamente, il luogo dove si è svolta un'audizione, che è la X Commissione, e non l'VIII, come è stato scritto; comunque, si tratta di un refuso. L'interpellanza è scaturita dalla necessità, che è stata fatta presente al sottoscritto da ambienti ecclesiali - soprattutto da molti parroci interessati, loro malgrado, dal terremoto che ha coinvolto l'Emilia Romagna, e soprattutto le province di Bologna, Modena e Ferrara -, sul problema degli edifici ecclesiastici: le chiese e i locali connessi alle chiese, che sono stati danneggiati, da un certo punto di vista in modo gravissimo e, dall'altro, in modo relativamente lieve, di fatto, rimangono inagibili. Ho già posto il problema, e ho colto anche la disponibilità e la sensibilità del sottosegretario qui presente, in X Commissione (Attività produttive), e posi lo Pag. 40stesso problema in VII Commissione (Cultura), convocate in modo informale con la presenza del rappresentante della sovrintendenza dei beni culturali dell'Emilia Romagna, i rappresentanti dei vescovi emiliano-romagnoli interessati a questo problema e con la presidenza, ovviamente, dell'onorevole Ghizzoni. In quella sede e nell'altra, ovviamente, vi fu una disponibilità del Governo - verificando le situazioni concrete - a farsi carico del problema della ricostruzione di queste chiese danneggiate dal terremoto.
La mia interpellanza, però, fa riferimento ad un'esigenza un po' più marcata, partendo dal mio riferimento a quanto il Governo ha definito, predisposto e attuato a favore, giustamente - e sottolineo giustamente -, delle imprese in difficoltà che si fanno carico - ovviamente gli imprenditori - della ristrutturazione delle medesime per rilanciare l'attività in una zona che è foriera di progressi economici, non solo per quella zona ma, direi, per tutto il Paese. È una zona ad alta densità industriale, per cui è chiaro e ovvio che gli imprenditori, soprattutto quelli medio-piccoli, che si fanno carico di ristrutturare capannoni e immobili non lesi in modo irrimediabile, devono essere rimborsati in modo - giustamente - veloce, superando tutta una serie di ostacoli burocratici, nel presupposto del rispetto, ovviamente, di quello che la legislazione impone in materia di certificazione e così via.
Alla luce di ciò, chiedo al Governo, insieme ai colleghi che hanno sottoscritto l'interpellanza - l'ho già fatto presente al sottosegretario - se non sia possibile, in un discorso di ristrutturazione e restauro degli immobili, in questo caso dei beni delle chiese danneggiati in modo grave dal terremoto, distinguere tra le chiese che richiedono o meno un processo lungo di restauro, perché danneggiate in modo irrimediabile o quasi; per queste ultime si deve attivare la soprintendenza ed altri enti che devono intervenire all'uopo. Ricordo al sottosegretario e all'Aula che vi è un'esigenza di rilancio dell'economia ma, in quei comuni (mi riferisco alla provincia di Bologna, in parte anche a quella di Ferrara, Sant'Agostino, Mirabello o ad altri, per cui di fatto sono 10, 12 comuni direttamente interessati dal terremoto), quelle chiese danneggiate, accanto al municipio, rappresentano non solo la storia di quella collettività, che risale al medioevo, ma un luogo di identità, il segno di una cultura, una presenza visibile che la gente, a prescindere dall'appartenenza o meno ad una data fede, sente come propria. Per cui il restauro si impone come una necessità assolutamente urgente.
Alla luce di questo, chiedo al Governo quali provvedimenti si intendano adottare nel caso di lesioni non particolarmente gravi, delle quali si fanno carico o le comunità parrocchiali, o le diocesi o i parroci, e se sia possibile attivare una procedura celere come quella prevista per le attività imprenditoriali o economiche tout court.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali, Roberto Cecchi, ha facoltà di rispondere.

ROBERTO CECCHI, Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali. Signor Presidente, in riferimento alla interpellanza presentata dall'onorevole Garagnani ed altri, concernente la situazione delle opere d'arte di proprietà delle parrocchie e delle curie diocesane, cerco di rappresentare quanto segue, anche se tutta la questione - come tutti ben sappiamo - è in itinere.
Come riferito in altre occasioni, confermo che quasi tutti gli edifici storici situati nel territorio colpito dal sisma, in particolare quelli ecclesiastici, sono stati danneggiati in modo molto serio e, in alcuni casi, in modo addirittura irrimediabile. Si tratta di un patrimonio ingente, costituito da almeno 1.395 beni soggetti a specifico provvedimento di tutela, ai quali vanno aggiunti i beni tutelati ope legis perché di proprietà pubblica o di persone giuridiche private senza fine di lucro, aventi i requisiti minimi legati al valore storico-artistico che la normativa del settore richiede.
Con decreto del direttore regionale per i beni culturali e paesaggistici dell'Emilia Pag. 41Romagna, n. 43 del 7 giugno 2012, è stata definita l'organizzazione della unità di coordinamento di crisi regionale cui fanno capo i funzionari tecnici in servizio presso gli uffici presenti sul territorio. All'interno di tale organizzazione, tra l'altro, è già stata attivata la gestione di una banca dati unica per il censimento dei beni danneggiati. Dai dati pervenuti fino ad oggi (oltre mille segnalazioni) si rileva l'inagibilità della quasi totalità delle chiese esistenti sul territorio colpito dal sisma.
La direzione regionale e le soprintendenze territoriali competenti di Ravenna, Bologna e Modena stanno lavorando, con il corpo dei vigili del fuoco, per la messa in sicurezza del patrimonio e per le verifiche sul campo relative ai danni subiti dagli edifici di interesse storico-artistico delle quattro province colpite dagli eventi tellurici.
Solo grazie al lavoro delle squadre dedicate al rilievo dei danni, lavoro che proseguirà anche nei prossimi mesi, sarà possibile disporre di un sistema reale (sia dal punto di vista tecnico che economico) sulla base del quale poter programmare le operazioni di messa in sicurezza, restauro o ripristino del patrimonio culturale ed immobiliare danneggiato.
Nell'ambito dei lavori in corso di svolgimento va segnalato l'avvio dell'azione di recupero dei beni mobili degli edifici crollati o danneggiati, onde evitarne la perdita o la dispersione. A tal fine, come anche rammentato dall'onorevole interpellante, è stato istituito un centro di raccolta e di immediato restauro presso il Palazzo ducale di Sassuolo, dove è previsto l'arrivo di restauratori e tecnici specializzati dell'Istituto superiore per la conservazione ed il restauro e dell'Opificio delle pietre dure, che guideranno gli interventi già individuati.
Riferisco la questione in questi termini poiché, attualmente, nessuna opera - siamo nella fase di verifica dello stato di conservazione e di danno - di restauro è stata ancora avviata, ed anche l'allestimento del laboratorio di restauro di Palazzo ducale è in corso d'opera.
Grazie al lavoro del personale ministeriale coinvolto nelle azioni di estrazione delle opere d'arte, sono stati finora posti in salvo almeno 1.000 beni mobili (una parte dei quali ricoverati presso il Palazzo ducale di Sassuolo) provenienti da decine di chiese ed altri edifici. La custodia temporanea presso tale sede sarà regolamentata da appositi accordi e convenzioni con gli enti proprietari dei beni, al fine di prevederne le modalità di custodia e di riconsegna.
Inoltre, sono state portate a compimento le verifiche relative al patrimonio archivistico comunale e si è già provveduto a recuperare ed a porre in sicurezza l'archivio comunale di Cavezzo. Per quanto attiene al patrimonio archivistico parrocchiale, devo precisare che sono stati posti in salvo almeno 10 archivi.
Inoltre - e questo mi pare il punto più vicino all'oggetto di questa interrogazione -, avendo constatato come curie ed enti locali talvolta non accettino l'allontanamento delle opere d'arte dal loro territorio, la direzione regionale ha previsto la possibilità di ricovero delle opere danneggiate in depositi temporanei sicuri (seminario di Reggio Emilia, chiesa del Gesù Redentore di Modena, seminario di Carpi e museo Bargellini di Pieve di Cento). I luoghi sono stati messi a disposizione dalle curie vescovili interessate, con le quali è stata anche concordata la relativa circolare della direzione regionale, n. 9223 del 4 luglio 2012.
Da ultimo si fa rilevare come lo Stato, per il tramite della stessa direzione regionale, si sia assunto gli oneri connessi alla messa in sicurezza dei beni storico-artistici e archivistici fin qui messi in salvo, sia in termini di risorse umane che di impegni di spesa per i trasporti, i materiali necessari e le assicurazioni.
Per quanto riguarda le risorse economiche, a supporto delle azioni già intraprese e da completare, vorrei riportare con fiducia le parole del rappresentante del Governo, il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, D'Andrea, a conclusione del dibattito parlamentare svoltosi lunedì per la conversione Pag. 42in legge del decreto-legge 6 giugno 2012, n. 74, recante interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici che hanno interessato il territorio delle province di Bologna, Modena, Ferrara, Mantova, Reggio Emilia e Rovigo, il 20 e il 29 maggio 2012.
Leggo tra virgolette: «Le risorse, per ora, per i sei mesi che mancano del 2012, non costituiscono un particolare problema, ma non vi è dubbio che, qualora si preparasse un intervento organico sulla ricostruzione delle aree terremotate da far partire dopo la conclusione della fase dell'emergenza, bisognerà dotare questo intervento del supporto finanziario necessario. Infatti, è illusorio pensare di passare direttamente dall'emergenza alla ricostruzione. Bisogna preparare bene il passaggio all'ordinario anche attraverso le provviste finanziarie. Ma forse bisognerà, anche per quel che riguarda i programmi di spesa del Ministero per i beni e le attività culturali o di quelli per l'edilizia scolastica, immaginare per la legge sulla ricostruzione qualcosa di più ambizioso di una semplice utilizzazione delle risorse intanto rinvenibili dai bilanci ordinari dei Ministeri e, da questo punto di vista, seguire l'esempio di quel che fu fatto, a suo tempo, per la ricostruzione delle Marche e dell'Umbria, che potettero godere di un canale privilegiato di intervento per il patrimonio culturale ed artistico di quelle Regioni».

PRESIDENTE. L'onorevole Garagnani ha facoltà di replicare.

FABIO GARAGNANI. Signor Presidente, prendo atto, e ringrazio il sottosegretario, delle informazioni, parte delle quali ci aveva già dato in Commissione, ma che in questa sede ha ulteriormente sviluppato. Sollecito però il Governo ad attivarsi con maggiore incisività in presenza anche di alcuni problemi che mi sono stati posti, normali, dialettici direi, tra gli incaricati della Protezione civile, sindaci e parroci.
Segnalo che, come sono previsti interventi giustissimi, soprattutto dal punto di vista economico, per case private e per strutture economiche, nella sola archidiocesi di Bologna, che si estende anche sui comuni di Ferrara colpiti dal sisma, sono 150 le chiese devastate, di cui 60 inagibili. Si prevede per l'esercizio del culto, che è un problema che credo riguardi tutta la popolazione soprattutto per i mesi autunnali ed invernali, la necessità di acquistare capannoni che ovviamente sopperiscano alla distruzione totale di queste chiese.
Il costo singolo di questi capannoni è di 200 mila euro. Segnalo, pertanto, anche questa emergenza, che sicuramente è un'emergenza accanto ad altre, ma direi che il Governo deve tenerla presente per quella sensibilità dovuta ai sentimenti religiosi di popolazioni che ovviamente intendono partecipare e adempiere alle funzioni religiose almeno domenica. Per cui ci sarà questo ulteriore problema nel caso e l'acquisto non è irrilevante. Essendo 60 le chiese inagibili, il costo di 200 mila euro per capannone è ufficiale ed è chiaro che si tratta di una cifra significativa.
Su questo credo che il Governo e la Protezione civile debbano attivarsi proprio per cercare di farsi carico di un problema che riguarda tutti noi, non lasciandolo in secondo tempo, perché c'è un'emergenza e, avvicinandosi l'autunno e l'inverno, è chiaro che il problema si pone.
Pertanto, mi dichiaro soddisfatto della risposta del Governo, auspicando però un intervento in queste situazioni di emergenza, e sottolineando la necessaria sensibilità che, come è giustamente dovuta alle infrastrutture economiche, è dovuta anche alle infrastrutture scolastiche. Ricordo anche a questo proposito che, ai sensi della legge n. 62 del 2000, cosiddetta «Berlinguer», le scuole paritarie, soprattutto materne, incidono in realtà nelle quali i comuni non riescono a soddisfare le esigenze della popolazione.
Quindi, c'è un problema di intervento sul piano paritario tra scuola statale e paritaria. Si pone proprio anche il problema di un intervento a favore delle popolazioni per quanto riguarda esigenze di culto ed esigenze spirituali, sentite da buona parte della popolazione medesima Pag. 43che è stata privata totalmente di questo luogo che - lo ripeto - non è solo un luogo di culto, ma anche un segno di identità di quelle popolazioni che tutte, al di là della fede professata, sentono proprio venir meno.
La ringrazio, con l'auspicio che si faccia carico, come mi ha già detto in Commissione, di questo problema in termini fattivi e anche abbastanza urgenti.

(Chiarimenti e iniziative in merito al progetto di riordino della Croce rossa italiana - n. 2-01545)

PRESIDENTE. L'onorevole Di Biagio ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-01545, concernente chiarimenti e iniziative in merito al progetto di riordino della Croce rossa italiana (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti).

ALDO DI BIAGIO. Signor Presidente, la questione che intendo affrontare con lei rappresenta un nodo complesso dell'attuale gestione amministrativa del Paese. Purtroppo, è la classica storia dell'ente virtuoso, almeno nelle funzioni, dei suoi validi lavoratori e del suo anomalo commissariamento. Questo è sotto gli occhi di tutti. Altrettanto anomalo, però, è lo scenario in cui tutto questo avviene. L'ente è valido sotto il profilo funzionale, però è compromesso da una quantità enorme di anomalie e storture sotto il profilo economico, amministrativo e contabile. La stessa pratica del commissariamento eterno, a cui siamo abituati da oltre trent'anni, è espressione di questa anomalia, che, di certo, non aiuta il corretto funzionamento di una associazione che si configura come un ente di diritto pubblico.
Poi, all'improvviso, nel 2010 vi è stata l'idea del riordino, o meglio della privatizzazione. Infatti, l'articolo 2 della legge n. 183 del 2010 dispone la delega al Governo per la riorganizzazione degli enti vigilati dal Ministero della salute, prevedendo anche il riordino della Croce rossa italiana secondo i criteri e principi direttivi della semplificazione e razionalizzazione amministrativa e delle risorse e della ridefinizione del rapporto di vigilanza. Tutte belle cose, ma sappiamo bene che poi, nella realtà, le cose belle sulla carta si trasformano in mostri.
Partiamo dalla questione della delega. Prima era prevista entro il 24 novembre 2011, ma è stata prorogata di due mesi facendola slittare al 24 gennaio 2012. Fin qui tutto bene. Lo schema di decreto legislativo di riorganizzazione dell'Associazione italiana della Croce rossa è stato poi sottoposto all'esame delle Commissioni competenti di Camera e Senato nel novembre 2011. Successivamente, ai sensi dell'articolo 1, comma 2, della legge n. 14 del 2012, il termine dell'esercizio della delega è stato differito al 30 giugno 2012. Peccato che il termine era già scaduto in data 24 gennaio 2012, anche perché è stato introdotto nella legge di conversione e non previsto originariamente nel decreto-legge. Per noi questo resta un punto oscuro.
Arriviamo ai nostri giorni. L'attuale schema di decreto legislativo è stato approvato in via preliminare e annunciato in occasione del Consiglio dei ministri dello scorso 28 giugno 2012, ma è stato evidenziato, anche in quella sede, che la riorganizzazione si basa su una graduale trasformazione in associazione privata di interesse pubblico distinta in tre fasi. Dunque, è stata prevista la costituzione di un'associazione privata, nella quale confluiranno, a decorrere dal 1o gennaio 2014, le funzioni esercitate dalla Croce rossa italiana pubblica, a cui si andrebbe ad affiancare, in funzione di supporto tecnico e logistico, un ente pubblico non economico denominato Ente di pronto intervento umanitario.
Dal 1o gennaio 2017 si dovrebbe poi verificare la soppressione dell'ente e la successiva messa in liquidazione, ma queste disposizioni del nuovo schema differirebbero sostanzialmente da quanto già sottoposto alle Commissioni parlamentari a partire dal 2011. E, in considerazione dei nuovi termini di delega, risultano alquanto complesse le ipotesi che il rinnovato schema di decreto possa nuovamente Pag. 44essere sottoposto alle Commissioni parlamentari, alla Conferenza unica Stato-regioni e al Consiglio di Stato.
Considerata questa opacità - lasciatemelo dire - sui termini di delega, emerge il rischio di violazione del termine di cui al combinato disposto degli articoli 76 della Costituzione e della legge 4 novembre 2010 n. 183. Non sfugge a nessuno, signor Ministro, che questa innovativa riformulazione organizzativa consentirebbe alla dirigenza di poter operare scelte discutibili sul versante della gestione delle risorse economiche ed umane.
Dunque, in nome di un riordino, sarebbe possibile, per esempio, licenziare personale e gestire in maniera privatistica il patrimonio mobiliare e immobiliare, con ovvie ripercussioni sul ruolo, sulle potenzialità e sul futuro di quella che, in origine, era la Croce rossa italiana.
Non le nascondo una certa amarezza e, con questa amarezza, mi ritorna alla mente quanto riportato dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri dell'ottobre 2008, che legittimava il commissariamento della Croce rossa italiana, «considerate le gravi carenze ed irregolarità della gestione dell'associazione, in particolare emerse dalla verifica amministrativo-contabile».
Le storture rilevate in questi anni nella Croce rossa, sono state oggetto di inchieste e di indagini giornalistiche su più fronti; malgrado la ventennale esperienza commissariale, il disavanzo totale e di cassa della Croce rossa italiana ammonterebbe a 337,7 milioni di euro, senza parlare del mistero del patrimonio immobiliare fantasma, che è stato ampiamente affrontato dai media nel 2010. Stando ai dati aggiornati al 2008, il patrimonio immobiliare della Croce rossa è stimato attorno ai 35 milioni di euro anche se sappiamo - e lo sappiamo bene - che ammonterebbe ad oltre un miliardo e passa di euro. Infatti, inchieste giornalistiche e rivelazioni di ex dipendenti hanno, altresì, sottolineato l'esistenza di un patrimonio immobiliare sommerso - addirittura sarebbero sessantotto gli immobili «scomparsi» - senza dimenticare le faccende losche che sembrerebbero caratterizzare la società di proprietà della Croce rossa, come la Sise Spa, società siciliana che gestisce il servizio di ambulanze nell'isola, le cui storture gestionali non sono di certo sfuggite, tanto da indurre la Corte dei conti ad evidenziare il fatto che fosse riempita di personale volontario, lavorativo e socialmente utile, precario a vario titolo, senza l'esperimento di alcuna procedura selettiva.
Forse ripetiamo ciò che è ampiamente noto, ma come è possibile pensare di avviare un complesso processo di privatizzazione, a nostro parere poco opportuna, su un ente la cui attuale situazione merita chiarezza? È come tentare di abbellire una stanza che è sporca: se non si procede a pulirla ed a sistemarla, si finisce solo col fare altri danni. Questi danni, signor Ministro, li faremmo al Paese, alla società civile ed alle migliaia di lavoratori e volontari della Croce rossa che veramente ci credono.
Noi, con questo atto, volevamo un confronto con lei, Ministro, per capire se, alla luce di tutte queste criticità, c'è una volontà di fare chiarezza sulle responsabilità e sulle derive della gestione deficitaria della Croce rossa italiana negli ultimi anni, e se non ritenga opportuno rivedere l'attuale progetto di riordino della Croce rossa italiana e, soprattutto, quali iniziative intenda intraprendere al fine di tutelare l'attività ed il futuro dei lavoratori attualmente operativi nella Croce rossa italiana.
Signor Ministro, sparare sulla Croce rossa era una metafora nella lingua italiana, ma noi abbiamo avuto la capacità di trasformare una metafora in una legge.

PRESIDENTE. Il Ministro della salute, Renato Balduzzi, ha facoltà di rispondere.

RENATO BALDUZZI, Ministro della salute. Signor Presidente, ringrazio l'onorevole Di Biagio che ha ricostruito gli ultimi passaggi anche parlamentari di una lunga vicenda che riguarda la Croce rossa italiana, le sue caratteristiche ed il suo anomalo commissariamento, che si protrae da moltissimi anni, da un quarto di secolo, salvo una piccola interruzione. Pag. 45
Penso proprio che l'onorevole Di Biagio non voglia far carico al Ministro pro tempore di questa situazione pregressa. Devo aggiungere alla puntuale ricostruzione fatta solo un particolare, cioè che, con riferimento al precedente schema di decreto legislativo di riordino, le Commissioni parlamentari ebbero occasione, quella competente della Camera di dare un parere favorevole con una lunghissima lista di condizioni, dove appunto sembrava quasi che l'aggettivo favorevole fosse una sorta di pudico espediente per non dire sfavorevole, e quella del Senato diede parere negativo. Dunque evidentemente su questa base, al di là dei problemi sulla legittimità procedurale del procedimento stesso, problemi che si ripresentano parzialmente anche in questa occasione, c'era proprio un problema di relazione fra Governo e Parlamento, quindi questo ha condotto a rivedere lo schema di riordino cercando di mantenere l'attenzione da una parte ai principi di delega e dall'altra alla difficile situazione della Croce rossa italiana, difficile all'interno della Croce rossa italiana stessa ma anche con riferimento ai rapporti internazionali.
Noi viviamo da tempo, da sempre un'anomalia: siamo rimasti una Croce rossa italiana bella, riconosciuta sul piano internazionale ma con un'ombra, questo suo carattere di contiguità con l'apparato pubblico che il movimento internazionale della Croce rossa e della Mezzaluna rossa non accetta da sempre. Di qui la nuova considerazione dell'ente - il Governo non ha nessun interesse che non sia quello di ridare forza alla Croce rossa italiana - finalizzata anzitutto a valorizzare la forza più vera della Croce rossa italiana, cioè le decine di migliaia di volontari che segnano un affetto e una partecipazione popolare. Qualunque manifestazione la Croce rossa italiana promuova si percepisce questa grande vicinanza fra gli italiani e la Croce rossa italiana, è uno dei momenti più alti di volontariato. Dunque questo va valorizzato.
Oltre a garantire un riassetto che sia più corrispondente a quei principi di autonomia e indipendenza cui accennavo prima, prevederne una trasformazione graduale ma con una tempistica certa, in un'associazione di promozione sociale, un'associazione evidentemente che sia di interesse pubblico ma che abbia natura privatistica. Non è qualcosa che si può fare da un giorno all'altro, bisogna passare attraverso una fase in cui un ente pubblico mette in ordine in casa propria, come dicono gli anglosassoni. Questa strumentazione, questa procedura, ci è parsa la più utile proprio per poter completare il processo di risanamento nella gestione dell'ente. Dico completare perché anche l'ultima relazione in proposito della Corte dei conti, dà atto che qualche cosa è stato fatto, ma probabilmente molto rimane da fare.
Ecco perché lo schema di decreto legislativo prospetta un'associazione di interesse pubblico, come un soggetto forte. Non è una liquidazione della Croce rossa italiana, è un suo rilancio. Non si capisce perché la Spagna debba avere una Croce rossa con 11 mila dipendenti e noi con 4 mila dipendenti; la Croce rossa spagnola è un'associazione di diritto privato, allora vuol dire che forse non c'è un legame fra privatizzazione e diminuzione dei dipendenti. Parlo solo di dipendenti perché, come lei giustamente ricordava, è uno dei profili più problematici. Perché questa sfida di un soggetto forte può essere raccolta?
Perché un soggetto con queste caratteristiche giuridiche potrà svolgere il proprio compito in modo articolato in almeno tre comparti: quello pubblico, evidentemente, con convenzioni di pubblico servizio, essendo un'associazione di promozione sociale, ma di interesse pubblico; quello del settore profit, con la possibilità di partecipare in modo competitivo alle gare; nel settore del no profit, attingendo secondo modalità che andranno evidentemente calibrate ai diversi fondi per il volontariato.
Un soggetto che però abbia un patrimonio forte, su cui c'è da fare quella verifica cui lei alludeva, e con la garanzia peraltro dell'eliminazione dell'indebitamento. Sotto questo profilo abbiamo utilizzato come modello di riferimento quello Pag. 46che fu seguito nella legislazione italiana per quanto riguarda gli ospedali dell'ordine mauriziano, l'unico ospedale menzionato nella Costituzione italiana. Perché in questo modo un soggetto con un forte patrimonio e con la garanzia dell'eliminazione dell'indebitamento potrà essere capace di crescere e, quindi, non solo di assorbire il personale in atto, ma anche evidentemente di dare una prospettiva all'ente stesso. Per quanto riguarda la questione sollevata dal confronto con le parti sindacali, comunico che è stato avviato un preventivo confronto con le parti sociali e che naturalmente i suoi esiti saranno tenuti in considerazione, come necessariamente - qui c'è proprio un obbligo legislativo, ma è qualcosa che appartiene alla natura stessa del problema - saranno tenuti in considerazione i pareri - come lo sono stati già in passato - sia delle Commissioni parlamentari sia della Conferenza unificata. Per quanto riguarda l'esercizio della delega e il problema dei suoi termini di scadenza, il Governo naturalmente si rimette alla valutazione e interpretazione che il Parlamento intenderà effettuare. Da ultimo, per quanto attiene alla gestione - cui pure lei ha alluso - delle risorse umane, posso tranquillamente anticipare la volontà del Ministero di valutare, congiuntamente al Dipartimento per la funzione pubblica e naturalmente alle organizzazioni sindacali e alle parti sociali, ogni iniziativa idonea a garantire le attuali risorse della Croce rossa.

PRESIDENTE. L'onorevole Di Biagio ha facoltà di replicare.

ALDO DI BIAGIO. Signor Presidente, signor Ministro, la ringrazio per quanto ha riportato a questa Aula. Siamo ben consapevoli dell'esigenza di riordino e razionalizzazione, ma continuiamo a credere che questi concetti non siano sinonimi di privatizzazione o peggio ancora di pubblico business. Come è stato evidenziato con questo provvedimento, non si stabilisce la fine della Croce rossa pubblica, ma la fine della funzione pubblica della stessa, vale dire del suo impegno istituzionale e del suo supporto sociale, in nome di principi operativi di tutt'altra natura e non è difficile immaginare di quale. Con questa certezza non abbiamo ancora compreso quale tipo di vantaggio o valore aggiunto lo Stato e la società civile dovrebbe trarre da questa graduale riorganizzazione. Mi rendo conto delle cosiddette pressioni internazionali esercitate dal CICR e dal suo presidente in merito alla natura pubblica della nostra Croce rossa, ma sarebbe anche nostro dovere evidenziare che negli altri Paesi lo Stato garantisce finanziamenti alle società di Croce rossa, corrispondenti a quanto da queste operato. Un esempio su tutti sono le lotterie in Spagna finanziate dalla Croce rossa. Qui come si farà, signor Ministro?
Si parla di risparmi tanto necessari nella congiuntura attuale, ma ai presunti risparmi di una privatizzazione selvaggia si dovranno poi aggiungere paradossalmente i costi sociali che deriveranno dallo smantellamento della Croce rossa pubblica. In uno sguardo generale la rivoluzione organizzativa della Croce rossa non porterà così tanti vantaggi. Riflettiamo sulle perdite di posti di lavoro e su una gestione privatistica del patrimonio della Croce rossa, con tutti i nodi ancora irrisolti. Sfumerà un patrimonio di capacità, esperienza e competenza di quattromila lavoratori dell'ente. Tutto questo non è una buona premessa per il riordino e credo che lei condivida con me. Mi fa riflettere - ho avuto modo di riportare questa riflessione in un altro atto di sindacato ispettivo - il fatto che l'attuale commissario sia anche proprietario del 99 per cento delle quote di una società di intermediazione immobiliare. Mi fa riflettere perché paradossalmente gli immobili accertati - e scommetto anche quelli fantasma - dovranno essere gestiti da realtà private.
Secondo lei, non sorge un piccolo conflitto di interessi? A quanto pare, lo notiamo solo noi! Interessante è anche la forte relazione che esiste tra questa società immobiliare e la Croce rossa sul versante delle risorse umane. Basti pensare che Pag. 47qualche funzionario della società del commissario è diventato funzionario della società siciliana della Croce rossa italiana. Anche qui, un piccolo conflitto di interesse passato in sordina. Strano!
Sorge un dubbio: come verranno gestiti i rapporti tra queste società e la Croce rossa del futuro? Tanta opacità, che meriterebbe di essere affrontata prima di passare allo smantellamento rivoluzionario. Bisognerebbe mettere a posto le valigie, prima di intraprendere un viaggio.
Noi, invece, vogliamo partire senza una meta e senza conoscere il mezzo di trasporto, quasi fuggendo. Poi, signor Ministro, non ci sono sembrate tanto chiare le tappe che hanno condotto al decreto di riordino. Come ho già detto, è sembrato tutto molto confuso e - mi permetta di dirlo - pasticciato: la scadenza delle deleghe, i rinvii e i differimenti, tutti uniti a schemi di decreto che cambiavano a sorpresa. Cosa è realmente successo?
Purtroppo, di queste evoluzioni non era al corrente né il Parlamento né i diretti interessati. Parlo delle parti sociali e dei lavoratori della Croce rossa, che non hanno mai avuto un confronto trasparente e lineare con l'amministrazione; anzi, talvolta sono stati trattati con superficialità e noncuranza da chi aveva il dovere di seguirli, per cui si sono sentiti completamente esclusi da qualsiasi dinamica di partecipazione.
Tutto questo per noi è inaccettabile, perché parliamo di un ente che è uno storico riferimento sul versante dell'assistenza e del sostegno sociale, in Italia e all'estero. Non possiamo permetterci di lasciare questa opacità sul futuro della Croce rossa. Sarebbe indispensabile fare chiarezza sui legami esistenti tra il commissario e altre società citate e fare ulteriore chiarezza sui punti ancora oscuri delle gestioni commissariali, come l'assenza di bilanci analitici, il presunto patrimonio immobiliare sommerso, la sussistenza di insolvenze e altre storture, come elemento preliminare di qualsivoglia progetto di riordino dell'ente.
Al Senato è stato avviato l'iter di discussione sullo schema di decreto e a breve vi sarà la sua audizione. Esprimo in questa sede l'auspicio che vi possa essere la volontà da parte sua e dei suoi colleghi di rivedere l'attuale schema di decreto, per dare un futuro alla Croce rossa e agli italiani che ne avranno bisogno, per salvaguardare l'efficienza del nostro sistema di sostegno sociale.
Ministro, dovrebbe anche ricordare al commissario e al suo entourage che la Croce rossa non è proprietà loro, ma è ancora degli italiani, e le parole dell'accorata lettera ai volontari e ai dipendenti scritta ieri dal commissario Rocca e pubblicata sul sito della Croce rossa non fa altro che confermare, purtroppo, il vistoso scollamento che continua ad esistere tra dirigenza, commissari e la vera Croce rossa.
Ovviamente, sarà mia cura fare un preciso intervento su questo interessante documento, che avrò di certo il piacere di condividere con lei in adeguate sedi. Noi, Ministro, faremo il possibile affinché sulla Croce rossa non ci mettano le mani i soliti faccendieri e palazzinari italiani. Non lasceremo deturpare un pezzo dell'Italia che ancora vale. Noi non le riconosciamo alcuna responsabilità sulle passate gestioni, ma la invitiamo a vigilare sulla vita di questo ente. Noi saremo al suo fianco.

(Chiarimenti in merito al processo di privatizzazione delle aziende Tirrenia Spa e Siremar Spa in amministrazione straordinaria - n. 2-01590)

PRESIDENTE. L'onorevole Laboccetta ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-01590, concernente chiarimenti in merito al processo di privatizzazione delle aziende Tirrenia Spa e Siremar Spa in amministrazione straordinaria (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti).

AMEDEO LABOCCETTA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor sottosegretario, non me ne vorrà: ella ha la delega ai beni culturali. Io oggi non mi aspettavo certamente in Aula il neo Ministro dell'economia e delle finanze e neanche Pag. 48il Ministro Passera, ma almeno il Ministro con la competenza specifica; evidentemente, erano tutti molto impegnati.
Vorrei illustrare brevemente questa interpellanza urgente, firmata da molti colleghi autorevolissimi, e vorrei ricordare all'Assemblea che la Tirrenia è la più grande azienda di cabotaggio italiano, che utilizza marittimi provenienti dalle aree svantaggiate del Mezzogiorno d'Italia (la Campania, la Sicilia e la Sardegna) e collega tutte le maggiori isole italiane.
In virtù della convenzione pluriennale, ha sempre applicato tariffe preferenziali per gli abitanti delle isole e per i turisti, ma un'insana gestione non le ha permesso di sopravvivere, nonostante i congrui contributi concessi dallo Stato italiano, mettendo così a rischio migliaia di posti di lavoro, professionisti del mare che hanno portato l'azienda ad essere una delle flotte più importanti ed apprezzate del Mediterraneo.
Fallita la prima gara, sulla quale spero che il Governo vorrà fornire qualche seria spiegazione, si è andati avanti.
Nel novembre del 2010 il commissario dell'amministrazione straordinaria ha bandito una nuova gara per la ricerca di imprenditori interessati al rilievo del ramo di azienda di Tirrenia di Navigazione in amministrazione straordinaria, preposta all'erogazione del servizio di collegamento di cui al regime convenzionale operato dalla stessa Tirrenia di Navigazione Spa. Le regole per la partecipazione vennero illustrate e precisate nella lettera dell'advisor Rothschild in data 10 novembre 2010 con espresso richiamo alla normativa dettata in proposito dalla legge n. 39 del 2004, cosiddetta Marzano, che ha convertito il decreto-legge n. 347 del 2003. In particolare, fu stabilito che l'offerta vincolante sarebbe stata distinta in due parti: la prima contenente l'indicazione della cordata, ovvero delle componenti della società offerente, nonché il piano industriale, e la seconda contenente il prezzo offerto, quest'ultima però differita a dopo febbraio 2011 perché, all'epoca, ancora non era stata depositata la perizia valutativa affidata dal Ministero dell'economia e delle finanze a Banca Profilo. Ho qui la perizia.
Detto ciò, noi interpellanti vorremmo conoscere il motivo per il quale è stato consentito di variare le componenti della compagine sociale di Cin Spa, prescelta come cessionaria del ramo di azienda di Tirrenia, nonostante le regole prevedessero l'immodificabilità, nella fase successiva alla presentazione, dell'offerta vincolante definitiva. Ovviamente tale anomalia ha fortemente danneggiato - e il Governo dovrà capirlo e riconoscerlo - altri concorrenti che certamente, se facoltizzati ad ampliare la propria compagine, avrebbero ben potuto proseguire nella gara.
Vorremmo poi sapere molte altre cose. Per esempio, come sono stati scelti i soci in sostituzione del gruppo Aponte e del gruppo Grimaldi che, per ragioni poste dall'Antitrust, sono stati costretti ad uscire dalla compagine Cin Spa. Si è trattato di candidature presentate autonomamente o sono state sollecitate? In quale sede? Come mai non si è proceduto ad invitare chi, in data 2 giugno, come sostenuto dal quotidiano Il Sole 24 Ore - ho qui una copia -, si era proposto alla cordata, ma poi è stato scartato senza alcuna ragione? Per non parlare poi della cosa più importante, ossia delle regioni Sicilia e Sardegna che da sempre ne hanno fatto richiesta. Queste, mantenendo la forma privatistica della gestione imprenditoriale, avrebbero assunto l'insostituibile funzione di vigilare sulla razionalizzazione e fruibilità dei servizi per i propri abitanti e per i flussi turistici che costituiscono la voce principale per lo sviluppo economico delle due isole.
Preoccupanti sono le considerazioni della Confapi trasporti, per voce del suo presidente Fuochi, riguardo al monopolio che si potrebbe creare sulle rotte. Né vale l'assunto che l'Antitrust abbia chiesto alla Moby Lines Spa la riduzione di alcune attività per permettere l'ingresso di altri operatori, in quanto ciò si tradurrebbe in un vantaggio per il monopolio diventato privato e in uno svantaggio per le popolazioni sarde in particolare che si troverebbero Pag. 49ad avere un'offerta inferiore a quella attuale. Né ci rassicura, signor sottosegretario - ma rafforza la nostra preoccupazione riguardo al monopolio, confermata anche dalle piccole e medie imprese, per esempio da un documento recente della Confapi trasporti -, il comunicato dei sindacati marittimi che conferma il noleggio di due unità della Minoan Lines che appartengono al gruppo Grimaldi. Piuttosto ci lascia perplessi. Il gruppo è uscito dalla porta per rientrare dalla finestra? L'Antitrust europeo, che ha bloccato l'operazione, ne è a conoscenza, è d'accordo con questo? Tutto questo va chiarito anche per evitare ulteriori problemi con l'Europa.
Passiamo ad esaminare la parte economica che forse, signor sottosegretario, è la più interessante. La Banca Profilo, in data 8 marzo 2011, ha determinato che il valore del compendio aziendale messo a gara non fosse inferiore a 380 milioni di euro. Come è possibile consentire, così come si legge da autorevoli organi di stampa - cito sempre il quotidiano Il Sole 24 Ore - che il prezzo della cessione sia oggi inferiore a quello minimo previsto per legge?
Se l'amministratore delegato della CIN conferma alle banche che il valore della flotta non è inferiore a 380 milioni, come mai richiede uno sconto?
Come è possibile concedere dilazioni di pagamento, senza interessi a carico e senza adeguate garanzie fideiussorie? Noi ce lo chiediamo, proprio noi parlamentari. Infatti, vorrei ricordare, soprattutto ai colleghi, che solo perché una banca applicava ai parlamentari un tasso leggermente più basso di quello corrente, la stampa nazionale si è scatenata contro la casta. Io mi auguro che da oggi la stampa vorrà approfondire anche i temi di cui ci stiamo occupando.
Come si fa ad ottenere un prestito senza interessi per ben otto anni? Chi deve vigilare su questo? A mio parere il Parlamento, anche se, come è noto, vi sono altri organismi che dovrebbero vigilare e spero lo facciano.
Come mai è stato consentito di porre in vendita il solo ramo di azienda composto dalle navi, dalle rotte e dal personale, ma sprovvisto degli immobili funzionali all'organizzazione ed alla logistica, allontanando così dalla possibile partecipazione soggetti non attrezzati per supplire con proprie strutture alle incomprensibili carenze logistiche e organizzative?
Signor sottosegretario, io sono napoletano e ricordo il palazzo di Rione Sirignano, dove si trova attualmente la Tirrenia Spa, che verrà messo a disposizione della società vincitrice della gara e poi venduto con un'altra gara.

PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Laboccetta.

AMEDEO LABOCCETTA. È stata questa una decisione utile per avere il maggiore vantaggio economico? È questa un'altra domanda.
Si sa che, se un immobile ha un reddito di affitto, ha un valore; se non lo ha, come sembrerebbe dal fatto che la Tirrenia trasloca, ne avrà certamente uno inferiore.
Sempre dal Il Sole 24 ore del 10 luglio 2012 leggo che la cordata CIN ha chiesto un ulteriore sconto di 50-60 milioni per non ben precisate ragioni, senza che la legge lo preveda. Vorrei ricordare a tutti che lo Stato si impegna ad elargire in questa vicenda 72 milioni annui per otto anni, pari a circa 570 milioni di contributi: è un regalo che altre aziende, se lo sognano!
Insomma, questo Parlamento vuole capire, signor rappresentante del Governo, se non siano nuovamente i contribuenti a pagare con le tasse errori che persone poco attente potrebbero commettere nel vendere un patrimonio pubblico, che riguarda il lavoro di tanti marittimi, molti dei quali meridionali.

PRESIDENTE. Deve concludere, onorevole Laboccetta.

AMEDEO LABOCCETTA. A noi interessa, in una fase come questa, che tutto si svolga nella massima trasparenza e, Pag. 50soprattutto, vogliamo salvaguardare il lavoro di tutti quei marittimi, che hanno fatto grande la Tirrenia Spa e che oggi vivono un momento di notevole difficoltà.

PRESIDENTE. Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali, Roberto Cecchi, ha facoltà di rispondere.

ROBERTO CECCHI, Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali. Signor Presidente, con l'interpellanza urgente Laboccetta n. 2-01590 l'onorevole Laboccetta ed altri pongono quesiti in ordine alle aziende di servizio marittimo (ex Tirrenia) privatizzate.
Al riguardo, occorre premettere che con decreto-legge n. 135 del 2009, convertito nella legge n. 166 del 2009, le società Saremar, Caremar, Laziomar e Toremar sono state trasferite a titolo gratuito alle regioni, rispettivamente Sardegna, Campania, Lazio e Toscana.
Conseguentemente le procedure di privatizzazione delle predette società rientrano nell'esclusiva responsabilità delle competenti regioni. Per quanto riguarda le società Tirrenia e Siremar, si fa presente che, fino all'agosto del 2010, la procedura di privatizzazione del gruppo Tirrenia è stata definita ed espletata dalla controllante Fintecna, nei termini concordati con le competenti autorità comunitarie.
In conseguenza della decisione di Fintecna di non poter accogliere la proposta di acquisto, formulata nell'estate del 2010, dalla Società Mediterranea Holding di Navigazione Spa e, conseguentemente, constatata l'impossibilità di perfezionare la privatizzazione, le società Tirrenia e Siremar, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 5 agosto 2010 e con decreto del Ministro dello sviluppo economico del 17 settembre 2010, sono state ammesse alla procedura di amministrazione straordinaria, ai sensi degli articoli 2 e 3 del decreto-legge n. 347 del 2003 convertito in legge n. 39 del 2004.
Da tale data la gestione dell'impresa e l'amministrazione dei beni delle due società, così come la cessione del complesso aziendale, sono state affidate ad un Commissario straordinario che ne ha l'esclusiva responsabilità. Sulla questione il Ministero dello sviluppo economico ha comunicato che la Tirrenia navigazione Spa è stata ammessa alla procedura di amministrazione straordinaria ai sensi del citato decreto legge n. 347 del 2003, e in detto ambito in data 5 agosto 2010 è stato nominato Commissario straordinario il dottor Giancarlo D'Andrea. Il tribunale di Roma ne ha dichiarato lo stato di insolvenza in data 12 agosto 2010. Successivamente, in data 15 settembre 2010, è stato pubblicato sui principali quotidiani nazionali ed esteri un invito a manifestare interesse all'acquisto degli assets di Tirrenia. All'esito della procedura selettiva avviata, con provvedimento adottato in data 23 maggio 2011, il Ministero dello sviluppo economico ha autorizzato il Commissario ad accettare l'unica offerta pervenuta per l'acquisto del complesso aziendale da parte della Compagnia italiana navigazione: una cordata composta da tre tra i maggiori operatori del settore, ed in particolare Moby, Grandi navi veloci e Grimaldi. L'offerta prevede, oltre all'assorbimento dell'intero livello occupazionale della società, un corrispettivo di 380,1 milioni di euro, pari al valore di perizia da corrispondersi quanto ad euro 200 milioni al closing ed il resto in tre rate.
In data 25 luglio 2011 è stato stipulato il contratto di cessione dei complessi aziendali la cui efficacia è stata espressamente condizionata al rilascio del nulla osta da parte dell'Autorità Antitrust. La Compagnia italiana navigazione (CIN) ha notificato l'operazione alla Direzione generale concorrenza presso la Commissione europea (la Commissione UE) la quale con decisione del 18 gennaio 2012 ha evidenziato la necessità di adottare misure strutturali da parte della società acquirente, manifestando dubbi sull'impatto concorrenziale dell'operazione in ragione delle quote elevate che le società della cordata sarebbe sarebbero venute a detenere su alcune rotte interessate.
Sul presupposto della disponibilità manifesta dalla Compagnia italiana navigazione di adottare misure strutturali al fine Pag. 51di superare le criticità in tema di concorrenza, anche attraverso la modifica della compagine societaria, il Commissario è stato autorizzato a concedere una proroga dei termini di efficacia del contratto per il periodo di 90 giorni a decorrere dal 21 marzo 2012. La società acquirente quindi ha provveduto alla modifica della compagine sociale in data 17 aprile 2012 mediante la sottoscrizione di un contratto di cessione di quote. In particolare, la nuova compagine è composta da Moby (40 per cento), dal fondo di investimento Clessidra (35 per cento), e con una partecipazione minoritaria da due operatori del settore marittimo. Si tratta di una modifica sostanziale della compagine sociale mediante la fuoruscita di due dei tre soci riducendo la quota di mercato e garantendo la presenza di altri concorrenti indipendenti. La Commissione UE di conseguenza ha chiuso in data 27 aprile 2012 il relativo procedimento antitrust e la società acquirente ha provveduto a notificare l'operazione in questione all'Autorità Antitrust italiana competente a decidere sulla base della soglia di fatturato della nuova compagine sociale.
In data 21 giugno 2012 infine l'Agcom ha chiuso positivamente l'istruttoria sull'operazione, condizionando il nulla osta al rispetto degli impegni proposti dalla stessa Compagnia italiana navigazione. La società acquirente ha intanto ottenuto le deliberazioni bancarie necessarie al perfezionamento dell'operazione secondo la nuova configurazione dell'assetto societario, e si è dichiarata disponibile a finalizzare l'acquisto alle condizioni a suo tempo pattuite, chiedendo una parziale modifica delle modalità di pagamento del corrispettivo in considerazione dell'incidenza sul suo business plan delle prescrizioni contenute nella decisione dell'Antitrust. Al momento si è in attesa di conoscere l'esito delle verifiche in corso tra le parti. Con riferimento a quanto rappresentato nell'interpellanza in merito all'asserita posizione di monopolio che si verrebbe a creare per effetto della cessione alla Compagnia italiana navigazione il Ministero dello sviluppo economico ha precisato che l'Autorità antitrust italiana si è espressa favorevolmente in merito all'operazione di cessione di Tirrenia, imponendo una serie di prescrizioni volte a superare i profili di criticità rilevati sotto il profilo concorrenziale.
Giova precisare che la valutazione di eventuali situazioni di monopolio o, comunque, di concentrazione nei settori produttivi è sottratta al Governo e all'amministrazione attiva, essendo istituzionalmente riservata all'autorità indipendente. Quanto all'asserita minore vantaggiosità dell'offerta della Compagnia Italiana Navigazione rispetto ad altra offerta presentata dalla società Mediterranea Holding, prima della sottoposizione della società ad amministrazione straordinaria, il Ministero dello Sviluppo Economico ha fatto presente che l'unica offerta presentata in esito al bando di gara è stata quella della Compagnia Italiana Navigazione e che la stessa è stata formulata per un valore in linea con la perizia redatta da un valutatore indipendente. Circa la mancata aggiudicazione alla società Mediterranea Holding, prima dell'apertura della procedura di amministrazione straordinaria, di cui si fa cenno nell'interpellanza, si fa presente che, nell'ambito del procedimento di privatizzazione avviato dall'azionista Fintecna nel corso del 2010, la vendita non si è concretizzata in quanto il potenziale acquirente, Mediterranea Holding, non ha raggiunto, come richiesto dalla lex specialis di gara, gli accordi finanziari indispensabili per la definizione delle posizioni debitorie nei confronti del sistema bancario e per l'attuazione del piano industriale. La stessa società ha manifestato interesse nell'ambito del nuovo procedimento di vendita avviato dal commissario straordinario, ma si è poi ritirata dal procedimento di gara.
Per quanto concerne la Siremar, con decreto del Ministro dello Sviluppo Economico, in data 17 settembre 2010, la procedura di amministrazione straordinaria è stata estesa alla Siremar, Sicilia Regionale Marittima Spa, interamente controllata dalla società Tirrenia, ed è stato nominato commissario straordinario Pag. 52il dott. Giancarlo D'Andrea. Con sentenza in data 5 ottobre 2010, il tribunale di Roma ne ha dichiarato lo stato di insolvenza. All'esito della procedura selettiva svolta, sono pervenute offerte di acquisto da parte di due cordate: la Società Siciliana Navigazione, composta da Caronte ed Ustica Lines e la Compagnia delle Isole, composta da Mediterranea Holding Navigazione Spa, società veicolo controllata di fatto dalla regione Sicilia, che ne detiene il pacchetto di maggioranza relativa. Il capitale residuo è detenuto da altri cinque soci, tra i quali Lauro Spa ed altri armatori minori.
A seguito dell'ultimo invito a presentare offerte d'acquisto trasmesso dalla gestione commissariale, al fine del perseguimento della finalità di massimo realizzo nell'interesse dei creditori, l'offerta economicamente più vantaggiosa è risultata essere quella presentata da Compagnia delle Isole, che prevede un prezzo, superiore al valore di perizia (55 milioni di euro) di 69,15 milioni di euro, di cui 34,6 milioni di euro al closing ed il residuo dilazionato entro 96 mesi dal trasferimento. Con provvedimento in data 14 ottobre 2011, il commissario straordinario è stato quindi autorizzato ad accettare l'offerta presentata dalla Compagnia delle Isole ed il relativo contratto di cessione è stato stipulato il successivo 20 ottobre. Il provvedimento di aggiudicazione è stato, tuttavia, impugnato dinanzi al TAR Lazio dall'altra partecipante alla procedura selettiva. Con sentenza in data 7 giugno 2012, il TAR Lazio ha parzialmente accolto il ricorso presentato dalla Società Siciliana Navigazione, annullando gli atti di gara a decorrere dall'ultimo invito a presentare offerte vincolanti. La decisione del TAR è stata a sua volta impugnata dalla Compagnia delle Isole.
La camera di consiglio per la discussione dell'istanza di sospensione cautelare è fissata per il prossimo 17 luglio.
Con riferimento ai collegamenti marittimi nell'arcipelago toscano da parte della società Moby Lines Spa, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha comunicato quanto segue: la società Moby Lines Spa è aggiudicataria della procedura concorrenziale per la privatizzazione della società di navigazione marittima pubblica To.Re.Mar (Toscana Regionale Marittima), indetta e portata a completamento dalla regione Toscana, ai sensi dell'articolo 19-ter della legge n. 166 del 2009.
Tale aggiudicazione ha avuto il necessario via libera da parte dell'Autorità garante per la concorrenza ed il mercato, la quale, con delibera del 19 luglio 2011, ha autorizzato l'acquisizione di Toremar da parte di Moby, vincolando la propria autorizzazione al rispetto di una serie di misure volte a favorire lo sviluppo della concorrenza sulle rotte per l'Isola d'Elba.
Le misure sono state volte a superare le barriere all'entrata esistenti nelle rotte per l'Isola d'Elba, dovute al limitato numero di approdi/partenze effettuabili dal porto di Piombino verso l'Elba e, in particolare, verso Portoferraio, permettendo l'entrata di uno o più concorrenti alla dimensione minima efficiente, tenuto conto degli slot attualmente resi disponibili ai concorrenti di Moby e Toremar dall'autorità portuale di Piombino. L'obiettivo è quello di offrire servizi di trasporto passeggeri e veicoli sulla Piombino-Portoferraio, in particolare nel periodo estivo, economicamente e commercialmente validi.
Secondo l'Antitrust le misure elencate sono adeguate e proporzionate ad assicurare uno sviluppo concorrenziale nei mercati del trasporto di passeggeri e merci da e per l'Elba e a scongiurare un possibile abuso di posizione dominante da parte di Moby. In seguito all'introduzione di tali misure, infatti, la quota di slot assegnati a Moby e Toremar passerà dall'80 per cento al 66 per cento, mentre quella della sola Moby dal 39 per cento al 24 per cento circa.

PRESIDENTE. L'onorevole Laboccetta ha facoltà di replicare.

AMEDEO LABOCCETTA. Signor Presidente, le chiedo scusa, ruberò anch'io qualche minuto, così come ha fatto il rappresentante del Governo.
Signor rappresentante del Governo, la risposta che abbiamo ascoltato non mi ha Pag. 53soddisfatto, ma adesso la studieremo con molta attenzione, perché metteremo ai raggi «X» ogni frase che abbiamo qui ascoltato. La legge del 1o ottobre 2010, n. 163, di conversione del decreto-legge 5 agosto 2010, n. 125, recante misure urgenti per il settore dei trasporti, a firma del Governo Berlusconi, ha stabilito che il commissario straordinario è obbligato a seguire una procedura competitiva trasparente e non discriminatoria per la cessione di Tirrenia. A me pare che tutto ciò non sia avvenuto. Vi sono ancora tante anomalie che vanno chiarite. Cominciamo.
Cominciamo dal prezzo che si dovrà pagare, dalle modalità di pagamento, dalle garanzie di finanziamento bancario, dalle banche che partecipano all'operazione e, in ultimo - anche se non ultimo per importanza - dal legame tra Clessidra, che detiene una forte partecipazione in Moby, e Moby stessa, per il loro conflitto di interesse e, soprattutto, per la scelta dei nuovi soci. Tale scelta è avvenuta - adesso lo dico ancora più chiaramente - con una procedura, dal mio punto di vista, non trasparente. Le preoccupazioni di Confapi trasporti che ho letto oggi, sono le nostre stesse preoccupazioni.
Inoltre, se dovesse risultare vero, come voci sempre più insistenti sostengono, che il prezzo per l'operazione sarebbe inferiore ai 380 milioni di euro, a fronte del valore che lo stesso amministratore di Cin ha sbandierato essere di oltre 450 milioni di euro, allora saremmo in presenza di un'operazione pesantemente opaca. Questo valore verrebbe pagato con 135 milioni di euro al closing - quindi, alla chiusura dell'operazione -, 55 milioni al quarto anno, 60 milioni al sesto anno e 65 milioni all'ottavo anno. La parte differita, pari a 180 milioni di euro, verrebbe finanziata a tasso zero da Tirrenia, senza alcuna garanzia in cambio. Anzi, la garanzia viene concessa dallo Stato con la firma della convenzione, assicurando alla nuova compagnia 72 milioni di euro annui per otto anni.
Gli accordi parasociali tra Clessidra, Moby e i due nuovi soci, mi pare siano Negri di Livorno e Izzo nel settore allestimenti navali di Napoli, in una posizione di larga minoranza, non assicurano, poi, una adeguata concorrenza nel settore. Ciò in particolare per la Sardegna, per la forte pressione, evidentemente autonoma, di Moby. In particolare, i marittimi appartenenti sia alla Tirrenia che alla stessa Moby potrebbero anche rischiare il loro posto di lavoro ed è questa la nostra vera e forte preoccupazione. So che in queste ore anche le organizzazioni sindacali stanno approfondendo la situazione e quindi la approfondiremo insieme tutti quanti.
Infine, se i dati presentati da Tirrenia sono esatti, parlo dei dati esposti in audizione qui in Parlamento dal commissario straordinario, la società avrebbe continuato a generare cassa, visto che lo scorso anno, con lo stesso commissario straordinario, la Tirrenia ha realizzato un margine operativo lordo di 35 milioni di euro circa che, con pochi tagli e maggiore efficienza, potrebbero diventare addirittura 50 milioni di euro. Comunque, come si entra o si esce, l'attuale valutazione di Tirrenia per pagamento contanti varia tra il prezzo minimo dei 380 milioni previsti dalla Banca Profilo, e sotto il quale per legge non si può scendere, e un prezzo massimo, così come comunicato alle banche. Abbiamo tutti il dovere di controllare che la cessione avvenga nella maniera più trasparente possibile, il Governo e il Parlamento, i lavoratori e le organizzazioni sindacali. Deve essere questa un'operazione più trasparente possibile e non discriminatoria, così come previsto dalla legge emanata dal Governo Berlusconi per la privatizzazione della Tirrenia, mi riferisco alla legge n. 163 del 2010. Purtroppo, la risposta di oggi del Governo non ha chiarito molti delicati aspetti contenuti nella nostra interpellanza urgente e pertanto invitiamo, con forza e con garbo, ma con molta determinazione, lo ripeto, il Governo a porre in essere un riesame di tutti gli atti. Torneremo presto, comunque, su questo tema perché è un tema che i lavoratori ci sollecitano tutti i giorni e ne hanno perfettamente ragione; si tratta del loro futuro.

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(Iniziative di competenza volte a garantire alla società Valvitalia spa la percezione dei corrispettivi per le esportazioni in Iran - n. 2-01574)

PRESIDENTE. L'onorevole Fabbri ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-01574, concernente iniziative di competenza volte a garantire alla società Valvitalia Spa la percezione dei corrispettivi per le esportazioni in Iran (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti).

LUIGI FABBRI. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, ho chiesto di interpellare i Ministri dell'economia e delle finanze, dello sviluppo economico e degli affari esteri per sapere di un caso a dir poco paradossale, se non fosse anche doloroso e grave per le conseguenze che potrebbe avere. Valvitalia Spa è una grande azienda, è il maggior gruppo italiano nel settore delle valvole e dei raccordi per l'industria petrolifera e ha il suo quartiere generale a Rivanazzano Terme in provincia di Pavia; nel 2011 ha ottenuto un fatturato di 313 milioni di euro ed occupa mille e cinquanta persone di cui quattrocento nella provincia di Pavia. Tale società esporta valvole in tutto il mondo e anche in Iran; le esportazioni in Iran sono state autorizzate dal Ministero dello sviluppo economico e sono transitate dalle dogane italiane nel 2010 e nel 2011, ossia, prima che entrasse in vigore l'attuale regime di sanzioni contro l'Iran. Nonostante ciò le lunghe e complesse procedure imposte dal Comitato di sicurezza finanziaria che ha sede presso il Ministero dell'economia e delle finanze, impediscono l'utilizzo dell'ingente somma di circa 15 milioni di euro, questo dieci giorni fa quando ho presentato l'interpellanza, oggi sono molti di più. Tale somma è stata incassata per le citate esportazioni in Iran e sulla quale sono già state pagate le tasse, sono stati pagati gli stipendi ai dipendenti, i fornitori, le spese di trasporto e tutto quanto si deve pagare. Le pratiche in questione sono presso il CSF dal 18 maggio 2012 e, pur avendo Valvitalia ottemperato a tutte, lo ripeto, tutte le richieste di informazioni aggiuntive, non si hanno notizie delle pratiche dalla metà del mese di giugno. In particolare sono bloccati dieci milioni di euro - questo all'epoca della presentazione dell'interpellanza, oggi sono 16 milioni e 700 mila euro, perché nel frattempo le valvole vengono pagati dai clienti - sui conti correnti bancari italiani della Valvitalia e ci sono 5 milioni e 100 mila euro dall'ottobre del 2011, 10 miliardi delle vecchie lire, sul conto corrente dell'EIH Bank di Amburgo, bloccati prima dalla Bundesbank e poi dal Bafa. Il Bafa è l'omologo del nostro CSF, l'ufficio federale tedesco per il controllo delle esportazioni.
Il presidente della Valvitalia Spa, il cavaliere del lavoro Salvatore Ruggeri, ha rivolto, nell'aprile 2012, un pressante appello al Ministero dello sviluppo economico, a quello degli affari esteri, al Comitato di sicurezza finanziaria (CSF) e ad altre autorità competenti, per ottenere l'intervento immediato su Bundesbank e su Bafa (ufficio federale tedesco per il controllo dell'export), per ottenere lo sblocco delle somme, senza però ottenere una sola risposta. Le somme riguardano contratti relativi a vecchie forniture. Nel frattempo, Valvitalia si è impegnata a non stipulare nuovi contratti con l'Iran, rispettando, quindi, le sanzioni europee. Il blocco di questi 15 milioni di euro - e ripeto che oggi sono molti di più - mette a fortissimo rischio di fallimento un'azienda sana, che non ha fatto una sola ora di cassa integrazione negli ultimi anni. In questi anni di crisi è un'azienda che non ha fatto una sola ora di cassa integrazione. Quindi, tale azienda corre rischi gravissimi anche per l'occupazione.
Detto questo, si vuole sapere se i Ministri interpellati - i Ministri dell'economia e delle finanze, dello sviluppo economico e degli affari esteri -, per quanto di loro competenza, non intendano prendere iniziative, in modo da sbloccare una situazione gravissima e paradossale al contempo, che sta compromettendo gravemente la situazione di un'azienda sana - lo ripeto -, mettendone in forse le stesse Pag. 55possibilità di sopravvivenza, con evidenti ricadute anche sull'occupazione in un momento di gravissima crisi economica.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali, Roberto Cecchi, ha facoltà di rispondere.

ROBERTO CECCHI, Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali. Signor Presidente, con l'interpellanza urgente Fabbri n. 2-01574 gli onorevoli Fabbri e Brugger chiedono iniziative a favore della società Valvitalia Spa, che opera nel mercato delle valvole e dei raccordi per l'industria petrolifera, al fine di poter disporre delle somme che sono state bloccate dalle procedure imposte dal Comitato di sicurezza finanziaria.
Al riguardo, si fa presente che il regolamento UE n. 267/2012, contenente misure restrittive nei confronti dell'Iran, disciplina, all'articolo 30, la procedura di esame ed autorizzazione delle transazioni finanziarie da e verso l'Iran da parte delle competenti autorità degli Stati membri.
Finalità della norma è quella del monitoraggio complessivo dei trasferimenti di fondi che coinvolgano tale Paese nell'ottica del contrasto alla proliferazione delle armi di distruzione di massa.
L'autorità italiana competente nello svolgimento di tale attività di verifica e controllo, è il Comitato di sicurezza finanziaria, istituito presso il Ministero dell'economia e delle finanze dall'articolo 3 del decreto legislativo 22 giugno 2007, n. 109. Il Comitato svolge una complessa attività istruttoria, al fine di monitorare la corretta applicazione delle decisioni internazionali e comunitarie, in considerazione della necessità di allargare lo spettro d'inchiesta, sino a valutare non solo la liceità della singola operazione, ma anche l'affidabilità e correttezza delle parti che la pongono in essere, per fugare ogni possibile dubbio in ordine all'esistenza di eventuali collegamenti di natura sostanziale e formale con soggetti o entità listati ai sensi del citato regolamento.
D'altra parte, lo stesso regolamento UE n. 267/2012, all'articolo 30, comma 4, attribuisce alle competenti autorità degli Stati membri il potere di effettuare inchieste sospendendo, anche, il termine previsto di quattro settimane, per l'espletamento degli eventuali supplementi istruttori che si rendessero necessari. Il Comitato di sicurezza finanziaria ha concluso le verifiche relative ad una parte dei trasferimenti finanziari alla sua attenzione, senza trovare elementi che possano suggerire che la controparte iraniana sia coinvolta in attività di proliferazione, e li ha autorizzati.
Per quanto concerne, invece, la somma di euro 5 milioni e 100 mila euro, bloccata in Germania, va rilevato che la sospensione dei termini procedimentali è stata disposta dal Federal ministry of economies and technology, ritenendo lo stesso che le operazioni commerciali concluse dalla Valvitalia configurino una violazione del regolamento UE n. 267/2012, e in particolare della previsione che vieta di mettere a disposizione di un soggetto sottoposto a misure restrittive, direttamente o indirettamente, fondi e risorse economiche.
Infatti, la controparte commerciale iraniana della Valvitalia Spa è la Industrial Project Management of Iran, soggetto che risulterebbe controllato dalla Industrial Development & Renovation Organization, entità a sua volta inserita dal 27 luglio 2010 nell'allegato IX del regolamento UE n. 267/2012 con la seguente motivazione: «Ente statale competente dell'accelerazione dell'industrializzazione iraniana. Controlla diverse società che collaborano ai lavori legati ai programmi nucleare e missilistico e che li sostengono mediante l'implicazione nell'approvvigionamento all'estero di tecnologie di produzione avanzate».
Conseguentemente, spetta all'autorità tedesca ogni decisione in merito alla citata questione.
Con riferimento agli aspetti di competenza del Ministero degli affari esteri, quest'ultimo ha comunicato che le autorità italiane competenti, anche per il tramite dell'ambasciata italiana a Berlino, stanno Pag. 56seguendo la questione della società Valvitalia in stretto contatto con le autorità tedesche.
La normativa dell'Unione europea consente agli interessati di ricorrere contro le decisioni amministrative degli stati membri in tema di sanzioni, che non siano appropriatamente motivate ai sensi dei pertinenti Regolamenti. Pertanto, la società Valvitalia ha facoltà di ricorrere di fronte al giudice tedesco, contro le decisioni del Federal Office of Economics and Export Control.

PRESIDENTE. L'onorevole Fabbri ha facoltà di replicare.

LUIGI FABBRI. Signor Presidente, non posso essere soddisfatto della risposta. Conosciamo tutti quanti l'attività del Comitato e sappiamo che ha quattro settimane di tempo per rispondere, però queste somme sono rimaste lì per più tempo. Ancora adesso non so se ci sono 7 o 8 milioni di euro dal 20 giugno, e il termine delle quattro settimane che scade la terza settimana di luglio quasi sicuramente non sarà rispettato.
Per quanto riguarda invece il problema tedesco, ringrazio il sottosegretario che ci ha informati che l'ambasciata italiana non ha mai dato risposta in proposito e me ne dispiaccio. Sicuramente l'azienda ricorrerà. Queste sono valvole che servono solo per trasportare petrolio, gas e acqua, è un fatto proprio visibile, non possono essere utilizzate per il programma nucleare dell'Iran. Credo sia più un problema di concorrenza industriale sleale.
Il sospetto mi viene perché fino alla settimana scorsa sono rimaste bloccate 40 milioni di valvole presso la nostra dogana, mentre le valvole tedesche hanno continuato ad essere esportate in Iran, e tutto è stato sbloccato dopo tre giorni di intervento, quindi i motivi che tenevano bloccate queste valvole in dogana non erano poi così seri, se sono state sbloccate in soli tre giorni. Credo che ci sia «protezionismo» da parte del Governo tedesco nei confronti delle proprie aziende.
Io però vorrei concludere dicendo che se noi cerchiamo di stimolare le nostre aziende verso l'internazionalizzazione, e poi ci comportiamo in questo modo, sicuramente il nostro stimolo non vale nulla, perché questa azienda aspetta rimborsi IVA del 2009-2010 di 10 milioni di euro che non le verranno erogati per mancanza di fondi. Fin qui un po' di patriottismo, ma questi sono soldi che i clienti pagano, e giacciono presso le banche italiane o estere, come nel caso tedesco, che devono essere sbloccati rapidamente e l'indagine viene fatta rapidamente, perché il prodotto è un prodotto evidentemente utilizzabile soltanto per il trasporto dei liquidi e dei gas, e sicuramente non va ad aiutare il programma nucleare dell'Iran.
Quindi mi toccherà riferire ai dirigenti di quell'azienda che, oltre al danno, abbiamo anche questa beffa. Pertanto, riferisca - se possibile - ai tre Ministri che avevo interpellato che, se vogliamo aiutare le nostre aziende ad internazionalizzarsi, dobbiamo dare loro una mano sotto tutti gli aspetti, soprattutto se non ci sono aspetti grigi come invece sono quelli che dalla sua risposta, signor sottosegretario, si vuole fare intravedere.

PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento delle interpellanze urgenti all'ordine del giorno.

Approvazione in Commissione (ore 17,13).

PRESIDENTE. Comunico che, nella seduta di oggi, giovedì 12 luglio 2012, la VII Commissione permanente (Cultura) ha approvato, in sede legislativa, la seguente proposta di legge: Senatori Butti ed altri; Senatori Butti ed altri; Senatori Giambrone ed altri: «Disposizioni per favorire la costruzione e la ristrutturazione di impianti sportivi e stadi anche a sostegno della candidatura dell'Italia a manifestazioni sportive di rilievo europeo o internazionale» (approvata, in un testo unificato, dalla 7a Commissione permanente del Senato) (2800), con modificazioni e con il seguente nuovo titolo: «Disposizioni per favorire la costruzione e la ristrutturazione di impianti sportivi anche a sostegno Pag. 57della candidatura dell'Italia a manifestazioni sportive di rilievo europeo o internazionale» (2800), con l'assorbimento delle seguenti proposte di legge: Giancarlo Giorgetti e Caparini: «Disposizioni in materia di impianti sportivi» (1255); Lolli ed altri: «Disposizioni per favorire la costruzione e la ristrutturazione degli impianti sportivi» (1881); Frassinetti e Granata: «Disposizioni per promuovere lo sport attraverso la costruzione e la ristrutturazione di impianti sportivi» (2251); Ciocchetti: «Norme per la promozione dell'attività sportiva attraverso la costruzione e la ristrutturazione di impianti sportivi» (2394); Giorgio Conte: «Disposizioni per la semplificazione dei procedimenti in materia di costruzione, acquisto, ampliamento e modifica degli impianti sportivi» (4655), che pertanto saranno cancellate dall'ordine del giorno.

Ordine del giorno della prossima seduta.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

Lunedì 16 luglio 2012, alle 12:

1. - Discussione del disegno di legge:
S. 3349 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 6 giugno 2012, n. 73, recante disposizioni urgenti in materia di qualificazione delle imprese e di garanzia globale di esecuzione (Approvato dal Senato) (C. 5341).
- Relatore: Iannuzzi.

2. - Discussione del disegno di legge:
Conversione in legge del decreto-legge 28 giugno 2012, n. 89, recante proroga di termini in materia sanitaria (C. 5323-A).
- Relatore: Patarino.

La seduta termina alle 17,15.

ERRATA CORRIGE

Nel resoconto stenografico della seduta dell'11 luglio 2012:
a pagina 12, prima colonna, le parole dalla ventisettesima alla ventinovesima riga si intendono sostituite dalle seguenti: «Sull'ordine del giorno Mura il parere è favorevole con riformulazione. Ha chiesto di parlare l'onorevole Mura. Ne ha facoltà.».

VOTAZIONI QUALIFICATE
EFFETTUATE MEDIANTE PROCEDIMENTO ELETTRONICO

INDICE ELENCO N. 1 DI 1 (VOTAZIONI DAL N. 1 AL N. 6)
Votazione O G G E T T O Risultato Esito
Num Tipo Pres Vot Ast Magg Fav Contr Miss
1 Nom. Ddl 5322 - voto finale 491 476 15 239 454 22 39 Appr.
2 Nom. Ddl 5342 - em. Dis. 1.1 480 476 4 239 66 410 39 Resp.
3 Nom. em. 1.2 482 479 3 240 62 417 39 Resp.
4 Nom. em. 1.3 482 477 5 239 62 415 39 Resp.
5 Nom. em. 1.4 484 476 8 239 106 370 39 Resp.
6 Nom. Ddl 5342 - voto finale 455 449 6 225 382 67 38 Appr.

F = Voto favorevole (in votazione palese). - C = Voto contrario (in votazione palese). - V = Partecipazione al voto (in votazione segreta). - A = Astensione. - M = Deputato in missione. - T = Presidente di turno. - P = Partecipazione a votazione in cui è mancato il numero legale. - X = Non in carica.
Le votazioni annullate sono riportate senza alcun simbolo. Ogni singolo elenco contiene fino a 13 votazioni. Agli elenchi è premesso un indice che riporta il numero, il tipo, l'oggetto, il risultato e l'esito di ogni singola votazione.