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Resoconto dell'Assemblea

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XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 656 di martedì 26 giugno 2012

Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROCCO BUTTIGLIONE

La seduta comincia alle 12,35.

RENZO LUSETTI, Segretario, legge il processo verbale della seduta di ieri.
(È approvato).

PRESIDENTE. Saluto il Presidente della Camera dello Zimbabwe, l'onorevole Lovemore Moyo, che oggi è nostro graditissimo ospite. Benvenuto (Applausi)! L'Italia è amica del suo Paese. Grazie della visita.

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Barbi, Cicchitto, Colucci, Dal Lago, Della Vedova, Donadi, Franceschini, Galli, Iannaccone, La Malfa, Lucà, Mazzocchi, Migliavacca, Milanato, Misiti, Moffa, Mura, Nirenstein, Pisicchio, Stefani, Stucchi e Valducci sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente cinquantasette, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Informativa urgente del Governo sul tragico attentato in Afghanistan che ha causato la morte del carabiniere scelto Manuele Braj e il ferimento di altri due militari.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di un'informativa urgente del Governo sul tragico attentato in Afghanistan che ha causato la morte del carabiniere scelto Manuele Braj e il ferimento di altri due militari.
Avverto che, dopo l'intervento del rappresentante del Governo, interverranno i rappresentanti dei gruppi in ordine decrescente, secondo la rispettiva consistenza numerica, per cinque minuti ciascuno. Un tempo aggiuntivo è attribuito al gruppo Misto.

(Intervento del sottosegretario di Stato per la difesa)

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il sottosegretario di Stato per la difesa, Filippo Milone.

FILIPPO MILONE, Sottosegretario di Stato per la difesa. Signor Presidente, onorevoli deputati, in assenza del Ministro della difesa Di Paola, all'estero per impegni istituzionali, riferisco oggi sul tragico episodio che ha causato la morte del carabiniere scelto Manuele Braj e il ferimento di altri tre militari dell'Arma, in servizio presso il centro di addestramento regionale della polizia afgana di Adraskan.
Il Governo, infatti, ha voluto rispondere con la massima tempestività possibile alla richiesta di informativa del Parlamento. In Pag. 2questa dolorosa e triste circostanza, mi sia consentito, innanzitutto, di esprimere la più sentita partecipazione e il più profondo cordoglio alla famiglia Braj a nome del Governo, in particolare del Ministro della difesa e mio personale.
Desidero, inoltre, manifestare tutta la vicinanza possibile ai militari feriti e alle loro famiglie, augurando loro una pronta guarigione e chiedendo all'Assemblea di unirsi a me nell'espressione di questi sentimenti. La salma di Manuele Braj giungerà nella mattinata di mercoledì, alle 10,30, all'aeroporto militare di Ciampino.
Dopo le incombenze di medicina legale sarà allestita una camera ardente presso la chiesa dell'ospedale militare del Celio. Nel tardo pomeriggio, alle 19, si svolgeranno le esequie solenni presso la basilica romana di Santa Maria degli Angeli.
Signor Presidente, onorevoli deputati, passo ora alla descrizione dei fatti secondo la ricostruzione effettuata dai competenti organi tecnico-operativi e sulla base delle notizie finora pervenute.
Il giorno 25 giugno 2012, alle ore 8,50 locali circa (6,20 ora italiana), in Adraskan, Afghanistan, nell'imminenza di un'esercitazione a fuoco presso un poligono utilizzato per l'addestramento del personale delle forze di polizia afgane, è stata avvertita una forte esplosione. L'esplosione aveva interessato una garitta ubicata circa 20 metri dietro la linea di tiro utilizzata per il controllo della correttezza delle procedure addestrative poste in essere dagli istruttori afgani da parte del personale dell'Arma dei carabinieri, atta, nel contempo, a garantire ad essi le necessarie condizioni di sicurezza a fronte di possibili atti ostili da parte di personale infiltrato.
Al momento dell'esplosione, all'interno del manufatto, si trovavano: il maresciallo capo Dario Cristinelli, nato a Lovere, Bergamo, il 13 settembre 1974, proveniente dalla seconda brigata mobile carabinieri di Livorno, capo nucleo addestramento e presente in garitta per impartire disposizioni di dettaglio; l'appuntato Enrico Filippo Napolitano, nato a Torino il 5 marzo 1979, proveniente dal settimo reggimento carabinieri Trentino-Alto Adige, istruttore; il carabiniere scelto Manuele Braj, nato a Galatina, Lecce, il 18 gennaio 1982, proveniente dal tredicesimo reggimento carabinieri Friuli-Venezia Giulia, armato di mitragliatrice Minimi e addetto alla sicurezza del personale; il carabiniere scelto Emiliano Asta, nato ad Alcamo, Trapani, il 30 dicembre 1982, proveniente dal settimo reggimento carabinieri Trentino-Alto Adige, istruttore.
Dai primi accertamenti condotti dal Weapons intelligence team italiano e dalla nostra polizia militare, unitamente ad un nucleo Counter-IED statunitense, è emerso che l'esplosione è stata causata da un razzo di 107 millimetri proveniente dalla direzione sud-sudest e lanciato da una distanza stimabile di circa 4 chilometri, ovverosia da una postazione ubicata alle spalle della linea delle sagome del poligono.
Il carabiniere Braj è deceduto nell'immediatezza dell'attacco. Per quanto riguarda gli altri militari rimasti coinvolti, riferisco che il maresciallo capo Cristinelli ha riportato la frattura del femore sinistro, trattato con applicazione di fissatore esterno, oltre alla frattura esposta del radio sinistro con lesione arteriosa e nervosa, arteria e nervo mediale, trattata chirurgicamente, e alla frattura del metacarpo sinistro. Infine, una scheggia ha colpito l'orbita oculare sinistra con interessamento osseo, ma con visus conservato. Durante la notte è stato operato per cercare di ripristinare la vascolarizzazione del braccio sinistro.
Il carabiniere scelto Asta ha riportato la frattura di tibia e perone sinistri, trattata con fissatore esterno, del perone destro, con perdite di sostanza ossea a livello calcaneare, e dell'astragalo destro. Nella prima mattinata di oggi è stato sottoposto ad un intervento per la rimozione di alcune schegge.
Da ultimo, l'appuntato Napolitano ha riportato una ferita lacero-contusa al polso destro.
I militari coinvolti, ad eccezione dell'appuntato Napolitano, risultato il meno grave, sono stati prontamente trasportati Pag. 3presso l'ospedale militare statunitense Role 2 di Shindand e, nella stessa serata, all'ospedale militare anglo-statunitense Role 3 di Camp Bastion, provincia di Helmand, per le ulteriori cure e interventi del caso. Per il maresciallo capo Cristinelli e il carabiniere scelto Asta si sta valutando il trasferimento nella struttura ospedaliera di Ramstein, in Germania, che potrebbe avvenire in serata o nella mattinata di domani. L'autorità giudiziaria nazionale è stata informata dei fatti.
Signor Presidente, onorevoli deputati, queste sono le informazioni che, al momento, sono state raccolte. Vorrei sottolineare che la dinamica dei fatti è apparsa chiara fin dai primi momenti, come confermano le dichiarazioni rilasciate dal Ministro Di Paola poco dopo avere appreso la tragica notizia. Egli dice testualmente: «Manuele Braj è stato colpito in modo vigliacco. Stava addestrando le truppe afgane contro il terrorismo. Questo era il suo lavoro, la sua missione: permettere a quel Paese di difendersi da solo. Il terrorismo lo ha ucciso proprio per impedire la nascita di un Afghanistan libero e democratico».
Desidero, in proposito, smentire alcune notizie emerse ieri circa l'effettivo svolgimento dei fatti, in particolare alcune dichiarazioni che attribuivano l'incidente ad un comportamento errato dei nostri militari dovuto all'incauto maneggio di ordigni. Più che le parole, in questo caso possono le immagini che vi sto mostrando (Mostra alcune immagini fotografiche).
La prima dà un'idea del luogo e dell'altana interessati dall'attacco. Nella seconda immagine è evidente la bruciatura sulla parte alta ed esterna della garitta, dovuta alla traiettoria a tiro curvo seguita dal razzo. Infine, la terza immagine evidenzia la deformazione verso l'interno della struttura metallica della garitta, dovuta, verosimilmente, all'impatto e all'esplosione del razzo sia contro i sacchetti di sabbia esterni posti a protezione della struttura, sia contro la struttura metallica stessa.
L'inchiesta in corso consentirà di accertare con precisione le modalità dell'accaduto. Le prime indicazioni pervenute confermano che si è trattato di un attacco ostile e deliberato, che tra l'altro è stato rivendicato ieri sera dal portavoce degli insorti talebani...

PRESIDENTE. Mi scusi, signor sottosegretario, può depositare presso la Presidenza le fotografie, in modo che rimangano poi a disposizione dei deputati che volessero consultarle?

FILIPPO MILONE, Sottosegretario di Stato per la difesa. Certamente, signor Presidente, consegnerò le fotografie.
Come dicevo, si è trattato di un attacco ostile e deliberato, che tra l'altro è stato rivendicato ieri sera dal portavoce degli insorti talebani afgani con una comunicazione all'agenzia Afghan Islamic Press.
Vorrei evidenziare che i militari oggetto dell'attacco erano impegnati nell'importantissima attività formativa e addestrativa delle forze di sicurezza afgane, che costituisce requisito indispensabile per proseguire nel passaggio della responsabilità della sicurezza alle autorità locali. Si tratta di un'attività nella quale si registra un grande sforzo dei nostri contingenti e dell'Arma dei carabinieri in particolare, un'attività che ovviamente si pone in antitesi con gli obiettivi degli insurgence, per i quali l'aumento della sicurezza, il consolidamento della stabilità ed il rafforzamento della governance da parte delle legittime autorità locali rappresentano vincoli inaccettabili per la propria libertà di azione.
Questa ulteriore perdita di un nostro militare ripropone all'attenzione dell'opinione pubblica e delle forze politiche il tema del nostro impegno nelle missioni internazionali e in particolare in Afghanistan. A questo riguardo non posso che richiamare e confermare quanto in più occasioni è stato affermato dal Ministro della difesa, sia di fronte alle Commissioni competenti di Camera e Senato, in occasione delle comunicazioni sullo stato delle missioni in corso, sia qui in Aula, in occasione del question time del 23 maggio ultimo scorso sulle risultanze del vertice di Chicago. Pag. 4
Dal summit è emerso un messaggio chiaro e univoco: a metà del 2013 verrà raggiunta una pietra miliare nella missione ISAF con l'inizio dell'ultima tranche della transizione. A quella data ISAF riorienterà il suo sforzo prevalente verso l'assistenza e il supporto alle forze di sicurezza afgane. Conseguentemente inizierà un irreversibile processo di graduale e responsabile diminuzione delle forze ISAF, fino al completamento della missione il 31 dicembre del 2014.
Alla fine del 2014, quindi, le autorità e le forze di sicurezza afgane avranno la piena responsabilità per la sicurezza su tutto il territorio afgano. Tuttavia, la comunità internazionale e la NATO continueranno a fornire il sostegno necessario all'autorità afgana attraverso un rapporto di partenariato di lungo periodo con quel Paese.
Su richiesta del Governo afgano la NATO è quindi pronta a studiare una nuova missione post ISAF, e non un'ISAF rivista. Questa nuova missione di natura no-combat sarà notevolmente più ridotta di quella attuale e avrà il compito di continuare ad addestrare, consigliare ed assistere le forze di sicurezza afgane, incluso anche un sostegno di tipo finanziario.
In questo contesto l'orientamento dell'Italia espresso a Chicago è quello di concorrere, nel quadro dell'Alleanza atlantica e della comunità internazionale, a questa nuova visione, a partire dal 2015, in coerenza con lo sforzo fatto fino ad ora per garantire la disponibilità di forze di sicurezza afgane efficaci e in sintonia con l'accordo bilaterale di partenariato strategico con l'Afghanistan, firmato dal nostro Paese lo scorso gennaio qui a Roma.
Signor Presidente, onorevoli deputati, questo è l'intendimento del Governo, coerente con le indicazioni fin qui espresse dal Parlamento, in continuità con l'impegno profuso in quest'ultimo decennio ed in linea con il ruolo dell'Italia nell'ambito della comunità internazionale, dell'Unione europea e dell'Alleanza atlantica. L'impegno della NATO in Afghanistan, pur in un quadro complesso ed impegnativo, deve continuare a svilupparsi secondo i lineamenti congiuntamente tracciati e condivisi dalla comunità internazionale.
Proprio in questa fase nella quale, nonostante tutto, è possibile guardare verso l'orizzonte di un futuro di speranza per questo martoriato popolo, è indispensabile mantenere ferma la rotta. Lo dobbiamo alla coerenza del nostro ruolo di membro responsabile ed affidabile del consesso delle nazioni, lo dobbiamo alle nostre istituzioni, Parlamento ed Esecutivi, che dal 2001 si sono succeduti e che hanno voluto assicurare continuità e sostegno, spesso a larga maggioranza, a questo impegno delle nostre Forze armate. Lo dobbiamo ai tanti nostri militari che si sono alternati in Afghanistan e soprattutto a quanti si sono sacrificati nel fermo convincimento di assolvere ad una missione di elevato valore per la stabilità internazionale, per la nostra sicurezza, per la ricostruzione dell'Afghanistan e per il suo popolo.
Signor Presidente, onorevoli deputati, con questo spirito esprimo oggi, ancora una volta, il più profondo cordoglio e la più alta riconoscenza, a nome del Governo, alle Forze armate, all'Arma dei carabinieri e al carabiniere scelto Emanuele Braj (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà, Partito Democratico e Unione di Centro per il Terzo Polo).

(Interventi)

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Cicu. Ne ha facoltà.

SALVATORE CICU. Signor Presidente, rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, è stato ucciso un altro italiano: è il cinquantunesimo militare che viene ammazzato dall'inizio della missione, un carabiniere scelto che svolgeva il suo compito di addestratore nei confronti della polizia afgana, un compito che serve a dare garanzia e possibilità ad un popolo di avere una propria sicurezza, un proprio sistema democratico e istituzioni libere ed è chiaro che il terrorismo colpisce ancora Pag. 5di più e ancora meglio laddove c'è la costruzione di un progetto così importante di libertà.
È chiaro, signor sottosegretario, che è importante che ci sia una programmazione precisa e di questa programmazione noi vogliamo essere verificatori puntuali, perché non possiamo procrastinare oltre una presenza che ha già raggiunto sicuramente obiettivi importanti. Mi piace infatti ricordare che noi non siamo in quel teatro esclusivamente per rappresentare un momento di sicurezza per le comunità locali e un sostegno di forze per la costruzione delle istituzioni, ma siamo anche lì con prove tangibili e concrete di ricostruzione della stessa ossatura del Paese: abbiamo costruito ponti e ospedali, abbiamo ridato elettricità, abbiamo riprodotto un sistema per l'agricoltura, portiamo avanti un progetto che riguarda il settore della sanità. Insomma, noi ricostruiamo, con i nostri militari di pace, un sistema che dà speranza e che guarda ad un equilibrio nel confronto con le difficoltà che vive quel territorio.
È necessario quindi che questa uccisione non vada dispersa, come le altre: si tratta di errori, errori di pace, errori che rappresentano un'identità, una cornice di valori fortemente importanti che sono quelli del nostro Paese, dell'Italia e che li trasferisce proprio perché vuole sempre di più che l'unità anche del Parlamento sia rappresentativa di questi valori.
Sappiamo che il settore della difesa dà sempre continuità, con le forze politiche, al progetto che lo vede con gli organismi internazionali rappresentare una possibilità alternativa ai regimi, alle stragi di vittime innocenti e ai sistemi dittatoriali. Quindi, è in tutto questo che viene inserito il dramma dell'uccisione del carabiniere scelto Braj.
Naturalmente io e il mio gruppo ci sentiamo vicini in maniera fortissima ai familiari del carabiniere, ma anche a quelli degli altri colleghi che sono stati feriti e a cui auguriamo una pronta guarigione.
Ma consentitemi, il pensiero più forte e più vicino lo vogliamo trasferire al piccolo di otto mesi e alla signora. Logicamente il piccolo non potrà mai conoscere questo padre e quindi sarà anche compito del Parlamento ricordarlo per quello che è stato e per quello che per tutti noi rappresenta: un vero e proprio eroe (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Pistelli. Ne ha facoltà.

LAPO PISTELLI. Signor Presidente, colleghi, signor rappresentante del Governo, il Partito Democratico si unisce al cordoglio per la morte del carabiniere scelto Manuele Braj e si associa agli auguri che non soltanto lei ma tutte le istituzioni hanno rivolto nei confronti degli altri tre commilitoni feriti. In questi pochi minuti vorrei svolgere alcune considerazioni di carattere politico. Noi ci fidiamo totalmente delle informazioni che le nostre Forze armate ci danno. Per questa ragione non credo sia indispensabile allegare le foto al processo verbale e, se mi permette, una correzione lessicale ma anche politica: saremmo ancora più convinti se non avesse utilizzato tre o quattro volte la parola «incidente» durante la sua esposizione. Dato che di attacco si tratta e dunque di attacco stiamo parlando è meglio, noi per primi, non mandare un messaggio che può essere male interpretato leggendo ciò che è successo in termini di «incidente». Noi ci fidiamo dei nostri militari che sappiamo svolgere in Afghanistan da undici anni un lavoro eccezionale, professionale, riconosciuto come tale da tutti i comandi che si sono avvicendati alla guida di ISAF.
Stiamo parlando dell'intervento militare, Vietnam a parte, più lungo di tutto il Novecento, undici anni di conflitto, siamo a quasi cinque anni e mezzo un tempo più lungo della seconda guerra mondiale, cui l'Italia ha contribuito con lealtà e determinazione. Quindi il nostro Paese non è rimproverabile di aver fatto mancare mai in questi undici anni il proprio sostegno; un sostegno che è costato ormai qualche miliardo di euro e purtroppo 51 caduti. Pag. 6
Prima ancora che esistesse il PD i partiti che hanno dato vita al Partito Democratico non hanno mai cambiato opinione sulla correttezza di questo intervento anche quando nel corso degli anni questo intervento ha chiaramente dimostrato di avere cambiato col passare del tempo i suoi obiettivi. È ovvio che non si tratta più, o non si trattava più della sola caccia all'uomo, della sola caccia a Osama Bin Laden, peraltro esauritasi altrove (in Pakistan, il 2 maggio del 2011), e che non si trattava nemmeno dell'obiettivo velleitario, che pure in qualche anno è stato speso, di trasformare l'Afghanistan nella Svizzera, obiettivo appunto impossibile.
Noi diciamo soltanto che nell'arco di questi undici anni (e del resto ISAF è partita come una missione di controllo della sola Kabul per poi allargarsi prima a nord, poi a ovest e poi assumere nel 2005 il controllo dell'intero Paese) si trattava di mandare un messaggio che fosse al tempo stesso politico, istituzionale, economico e democratico, e di trasformare il Paese e allontanare la minaccia di Al Qaeda e, più in generale, la minaccia della jihad. Noi possiamo dire senz'altro che l'Afghanistan è un posto migliore rispetto al 2001 sotto il profilo delle libertà, dei diritti, della ricostruzione istituzionale, dell'esercizio di una giustizia che non sia soltanto la giustizia tribale che era nota prima del 2001, ma sappiamo anche che restano in piedi moltissimi problemi.
Un secondo elemento politico, una valutazione: noi siamo abbastanza sereni nel poter dire che Al Qaeda ha sostanzialmente perso la guerra per il controllo dei cuori e delle menti del mondo arabo e musulmano. Probabilmente ha fatto di più per l'identità e la vitalità di questo pezzo di mondo la «Primavera araba» che si svolge a poche centinaia di chilometri da qui piuttosto che i dissennati attacchi jihadisti degli anni Novanta culminati poi con l'attacco alle torri gemelle e gli attentati Madrid e Londra. Certo è che Al Qaeda resta e il terrorismo jihadista resta un problema endemico in altre zone che non sono oggi l'Afghanistan. Non è caso che Al Qaeda si sia riorganizzata nel Sahel con la sigla Al Qaeda per Maghreb islamico, e nello Yemen e con la sigla di Al Qaeda per la Penisola araba, e che le basi non a caso da dove oggi colpiscono ancora i nuclei terroristici siano più prossimi ai confini con il Pakistan che nell'Afghanistan pattugliato dalla missione ISAF. È per queste ragioni che noi diciamo che è tempo di riconsegnare l'Afghanistan agli afgani. Perché il fronte militare si è spostato altrove, la battaglia su Al Qaeda si è spostata altrove.
Lo sanno bene gli statunitensi che decapitano sistematicamente con i droni le leadership che si ricostituiscono appunto nel sud dello Yemen. Sosteniamo di riconsegnare l'Afghanistan agli afgani anche perché l'obiettivo per il quale siamo lì è di fatto cambiato nel corso del tempo. È tempo di riconsegnare l'Afghanistan agli afgani. Noi sappiamo che c'è un programma di uscite delle forze combattenti e che c'è un diverso cronoprogramma sui Corpi che restano per l'assistenza alla formazione, come del resto testimonia la vicenda di Braj, il cui compito era esattamente quello. Signor sottosegretario, c'è un tema, però, che noi vorremmo che il Governo affrontasse con noi: proprio la vicenda di Braj testimonia che, anche il giorno in cui le forze combattenti escono dall'Afghanistan, esiste un problema di sicurezza per quelli che restano in funzione di addestramento, perché proprio loro restano oggetto degli attacchi vili e proditori come quello che ha colpito appunto ieri la garitta in cui erano Braj e i sui commilitoni. Dunque, con toni bassi, perché, vivaddio, abbiamo imparato anche questo nel corso di questi 11 anni, chiediamo, però, al Governo di discutere con noi i tempi e i modi di una rapida uscita dall'Afghanistan.

PRESIDENTE. Deve concludere, onorevole Pistelli.

LAPO PISTELLI. Ho quasi concluso, signor Presidente. Infatti, il Ministro ci ha detto più volte nell'audizione «together in, together out». È una bella frase - insieme dentro, insieme fuori -, ma non è indispensabile Pag. 7essere proprio gli ultimi a lasciare Kabul insieme agli statunitensi. Molti Paesi europei, degni e leali come noi, in questi anni hanno ridiscusso i loro cronoprogrammi e i loro impegni e lo hanno fatto lealmente nelle sedi competenti. È giusto che il Governo sia pronto ad affrontare la medesima discussione con noi quest'anno (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Chiappori. Ne ha facoltà.

GIACOMO CHIAPPORI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signori rappresentanti del Governo, com'è già capitato in passato troppo spesso ci troviamo una volta di più a commemorare il sacrificio di un nostro militare caduto in Afghanistan. Abbiamo ascoltato la ricostruzione dei fatti ed appreso del nuovo incidente che si è prodotto in conseguenza di un attacco condotto a distanza dai guerriglieri talebani con l'impiego di un razzo da 107 millimetri, come detto dal sottosegretario, arma impegnata contro le basi occidentali sin dal 2003. Ricordo che è ben nota ad esempio anche agli alpini paracadutisti della missione in Libia. Non staremo a discutere dei dettagli naturalmente, mentre ci uniamo al cordoglio dei familiari del carabiniere scelto Manuele Braj, morto ieri a Adraskan e auguriamo ai colleghi feriti naturalmente un pronto ristabilimento. Non vogliamo parlare di dettagli perché pensiamo che in guerra la previsione di ogni rischio e la difesa da tutti i pericoli siano solo delle chimere. Le polemiche sulle contromisure adottabili sono, quindi, in parte inutili e, forse, persino dannose, alimentando all'esterno la percezione di un contingente esistente e naturalmente insicuro, ben diverso da quello che abbiamo inviato in Afghanistan, un contingente che, come ricordano tutti, ha dei riconoscimenti in tutto il mondo, soprattutto i nostri carabinieri che sono passati da essere degli addestratori a degli agenti di formazione. Quindi, un livello che ci viene riconosciuto da tutti.
Da un punto di vista tecnico e tattico non abbiamo obiezioni. Ne abbiamo, purtroppo, dal punto di vista strategico-politico perché la transizione di cui si parla è un'illusione. Se gli Stati Uniti d'America deliberano, come hanno fatto, di lasciare Kabul alla sua sorte e la Francia li segue a stretto giro di posta, il nodo politico che ci si pone è quello che riguarda il senso della nostra presenza ad Herat, Farah, Bala Murghab e Adraskan dove è morto il nostro carabiniere Manuele Braj. Noi pensiamo che queste morti siano molto meno giustificabili di quelle che le hanno precedute negli anni scorsi quando anche a Washington si riteneva che la guerra in Afghanistan potesse essere vinta e meritasse di essere combattuta. Oggi il segnale che viene dalla Casa Bianca è ben altro, di disimpegno e questo non è un dettaglio. La domanda è allora: cosa aspettiamo a fare anche noi un passo nella stessa direzione e a tirarci fuori da questo pantano? La vita dei nostri ragazzi vale forse meno di quella dei colleghi francesi o statunitensi?
Il contesto è cambiato e dobbiamo prenderne atto prima che al carabiniere Braj si aggiungano altri uomini e donne del nostro Paese. Non possiamo da soli modificare il destino degli afgani. Siamo però ancora in tempo per salvare il destino di diverse famiglie di italiani che hanno ancora i loro cari in Afghanistan. Questo per dire in altri termini che potremmo cambiare lo scenario, non sarà più quello di guerra, dovremmo adottare un'altra strategia in Afghanistan. Tuttavia una cosa è certa: dobbiamo prevedere anche di tornare per davvero a casa. Dico ciò con amarezza perché tutte le volte che andiamo a Ciampino e arrivano questi ragazzi in maniera diversa, non con il sorriso ma chiusi in quattro assi, a me prende la disperazione direttamente dentro, va al cuore e non riesco nemmeno più ad andare. Tutte le volte che nasce il sole in quel Paese qualcuno può morire. Come qui, in questo Paese, capita che qualcuno esca di casa e pensa che non gli possa succedere niente e, invece, muore, in Afghanistan è naturale che questo possa accadere. Allora bisogna cambiare strategia oppure pensare che quello che stiamo facendo fare ai nostri ragazzi è un lavoro Pag. 8e, per tale, di quel lavoro si può morire (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Ria. Ne ha facoltà.

LORENZO RIA. Signor Presidente, signor sottosegretario, colleghi, da salentino e quindi da conterraneo del giovane carabiniere Manuele Braj, tragicamente morto in questo triste e vile attentato in Afghanistan - perché di attentato si tratta, come ha ben ricostruito il sottosegretario Milone - non posso che manifestare tutto il mio cordoglio e il cordoglio del gruppo dell'Unione di Centro per quanto accaduto nonché stringermi insieme a voi, colleghi, e a tutti i rappresentanti dello Stato intorno ad una famiglia che ha perso il proprio faro, la propria colonna portante, un ragazzo che era figlio e che da pochi mesi era anche padre e che purtroppo non potrà più esserlo a causa della violenza cieca di chi ha innescato quell'ordigno mortale. Ancora una volta la Puglia e il Salento piangono un altro loro figlio morto all'estero mentre era impegnato in una missione militare, una missione di peacekeeping dalle alte finalità umanitarie. Un altro nome che si aggiunge al fin troppo lungo elenco nero delle giovani vite spezzate in luoghi lontani e pericolosi. Possa oggi il nostro abbraccio arrivare forte alla comunità di Collepasso, città natale del povero Manuele che in questo momento è sconvolta da una perdita angosciante ed è stretta intorno alla famiglia del giovane militare caduto mentre compiva il suo dovere. Naturalmente il nostro abbraccio si estenda più forte a tutte le persone che conoscevano Manuele e lo amavano. È sempre difficile consolare chi è vittima di tragiche vicende come questa. Non esistono parole adatte a sostenere sufficientemente i familiari ed ad alleviare il loro dolore e forse non bastano nemmeno le rassicurazioni di vicinanza e di sostegno che possiamo inviare loro in questo momento così amaro. Eppure abbiamo il compito di farlo.
Abbiamo il dovere di far sentire ai cittadini tutti che lo Stato c'è e che le istituzioni sono le prime a scuotersi e ad urlare le ingiustizie di questi fatti di sangue provocati da una crudeltà terrorista che non ha giustificazioni, soprattutto quando è rivolta contro vittime innocenti che vanno a lavorare in terra di confine solo per adempiere ai propri doveri e a rappresentare l'intera nazione di cui restano il più grande orgoglio.
Manuele era un ragazzo del Sud, aveva trent'anni e sicuramente molti sogni e progetti da realizzare insieme alla giovane moglie e al figlioletto di otto mesi. Era un militare, un carabiniere, un servitore dello Stato, era anche un veterano delle missioni all'estero e sapeva bene quali sono i rischi di questo eroico lavoro. Ma come tutti i nostri militari era consapevole delle finalità di pace e di ricostruzione civile delle nostre missioni e ancora una volta aveva voluto essere in prima linea nella difesa della democrazia e della libertà in quel tormentato Paese.
Non era solo naturalmente: con lui erano anche Dario Cristinelli ed Emiliano Asta, carabinieri valorosi anche loro feriti dall'ordigno, cui vanno i nostri migliori auguri di una pronta guarigione e di un veloce ritorno alla normalità delle loro vite, nella speranza che riescano presto a buttarsi alle spalle questo triste episodio.
Questi ragazzi si trovano in Afghanistan con il precipuo scopo di contribuire a creare le opportune condizioni di sicurezza perché il Paese possa riprendere un cammino democratico. Ma non solo: in tanti anni di missioni, hanno costruito scuole, ospedali, strutture civili a favore della popolazione locale e noi vogliamo che questo impegno sia portato fino in fondo. Eppure sono stati oggetto di attacchi ripetuti da parte degli insorgenti, di coloro che non tollerano la presenza di stranieri armati sul territorio afgano.
Ecco che l'Italia intera, cittadini e istituzioni insieme, deve concretamente dimostrare alle loro famiglie che questi tristi episodi non sono accaduti invano, che il tributo pagato con la vita da questi giovani non verrà dimenticato e sarà da esempio di virtù e di coraggio per tutte le generazioni a venire. Possa oggi essere questo il Pag. 9senso di questa discussione in Aula, possano essere la solidarietà e l'onore di essere italiani i sentimenti che guidano questa riflessione. Ricerchiamo per il futuro maggiore sicurezza e migliori tutele per i nostri giovani impegnati su fronti così pericolosi, ma allo stesso tempo continuiamo a garantire vicinanza e partecipazione a chi ci rappresenta degnamente nel mondo e svolge alti compiti di salvaguardia della pace e della democrazia in tutti i luoghi, anche in quelle terre infuocate e rischiose in cui ce n'è più bisogno (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro per il Terzo Polo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Paglia. Ne ha facoltà.

GIANFRANCO PAGLIA. Signor Presidente, ho l'impressione che sia un film già visto troppe volte: muore un nostro soldato, in Aula c'è chi si alza per chiedere l'intervento del Governo, il Governo ci riferisce sull'accaduto. Nasce il dibattito: c'è chi dice che è giusto rimanere, c'è chi dice che è giusto andare via. Sinceramente su questo ci vedo tanta retorica. Io quello che posso dire è che da italiano mi sento orgoglioso, orgoglioso di essere rappresentato dai nostri soldati, perché lo fanno con lealtà e con onore, che fa parte del loro credo. Spero sinceramente che i nostri soldati, nel vedere un'Aula deserta, possano dire lo stesso di noi, si possano sentire orgogliosi di essere rappresentati da questa classe politica, ma sinceramente, signor Presidente, su questo ho molte riserve (Applausi dei deputati del gruppo Futuro e Libertà per il Terzo Polo e di deputati dei gruppi Unione di Centro per il Terzo Polo e Italia dei Valori).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Di Stanislao. Ne ha facoltà.

AUGUSTO DI STANISLAO. Signor Presidente, io credo che non ci possa e non ci debba essere pura e vuota ritualità e che non ci possa e non ci debba essere assuefazione rispetto ad un numero sempre più alto di vittime che noi paghiamo, rispetto ad un impegno che ha subito profondi cambiamenti, è stato snaturato nella sua mission e nella sua vocazione, tanto da arrivare a 51 vittime, da ultimo il povero Manuele Braj, salentino, effettivo al XIII reggimento Friuli Venezia Giulia, di stanza a Gorizia. Alla sua famiglia noi faremo avere tutto il sostegno, attraverso il nostro deputato e collega Carlo Monai, che è friulano. Saremo vicini a lui e alla sua famiglia, saremo vicini a Dario Cristinelli, saremo vicini ad Emiliano Asta. Non basta. Se il tema e la rappresentazione plastica che vediamo rispetto ad un impegno che tutto il Parlamento spesso reclama e poi i banchi sono vuoti e non c'è nessuna disponibilità a riconoscere questo sacrificio, allora abbiamo sbagliato.
Chi non c'è ha sbagliato, chi non c'è non può riempirsi la bocca attraverso queste morti. Io ritengo che esse siano state fatte e subite, perché siamo impegnati in quelle che erano le missioni di pace, di cooperazione, di rilancio e di sviluppo: missioni umanitarie che hanno subito un profondo cambiamento durante il corso della loro presenza in undici anni, tant'è che oggi non veniamo più percepiti in questo modo. L'Italia dei Valori, in tutto questo tempo, ha sempre segnalato che questo sacrificio sarebbe stato invano. Riteniamo che, ormai, dopo undici anni, i cinquantuno militari non bastino a colmare il senso di questo conflitto, né basteranno a placare questo conflitto sempre più controverso e pericoloso.
Attenzione, signori in quest'Aula - mi rivolgo soprattutto a coloro che sono assenti -, attenzione: siamo in un contesto di guerra, uno scenario di guerra nel quale noi continuiamo a intraprendere iniziative umanitarie di pace, mentre, all'interno di esso, qualcuno riorganizza le proprie milizie e le proprie volontà. Perché? Perché si continua da parte della comunità internazionale a sostenere nei fatti, negli atti, nei comportamenti e con tantissime risorse - con miliardi di euro -, un Governo corrotto, quello di Karzai, che non dà alcuna possibilità di apertura né alcun tipo di possibilità di coinvolgimento per la società civile afgana; che rivendica da Pag. 10tempo - è venuto anche qui a Roma a svolgere un'iniziativa, qualche tempo fa -, finalmente, la riconsegna nelle proprie mani del proprio destino, affinché diventi esso stesso il fulcro della ripresa e del rilancio dell'Afghanistan.
La verità qual è ancora? È che l'opinione pubblica nazionale ha da sempre percepito le missioni internazionali nelle quali siamo coinvolti come un insieme di tre elementi: la cooperazione allo sviluppo, l'addestramento e gli interventi umanitari. Invece, si continua a persistere in azioni per le quali non siamo nati né strutturati, né per cultura né per formazione né, tanto meno, per capacità d'intervento, al di là della grandissima professionalità che mettono i nostri nella formazione dei militari afgani. Evidentemente, in quelle realtà, siamo costretti a fare qualcosa che è contro la nostra natura e il nostro mandato. Dovevamo e dobbiamo continuare a fare ciò che sappiamo fare e che tutti quanti gli altri, a livello internazionale, ci hanno riconosciuto, a partire dalla società civile afgana.
Di solito, in una guerra, ci sono sempre vincitori e vinti. Qui, senza dubbio, non ci sono vincitori: ci sono vinti e migliaia di sconfitti, le migliaia di persone coinvolte direttamente e indirettamente in questa strage infinita, lasciate sole a rimettere insieme i pezzi frantumati della propria vita. Il Governo afgano persiste con un modus operandi che va contro una libertà di opinione e di espressione indispensabile per costruire uno Stato democratico e autonomo a tutela e sostegno dei propri cittadini. I continui attentati, gli scontri e anche le rivolte del popolo afgano contro la NATO per l'interminabile uccisione di civili dimostrano ancora che le aspettative di democrazia, di pace e di sicurezza, i diritti delle donne, il rispetto dei diritti umani con cui si è giustificata l'occupazione sono stati tutti ampiamente disattesi, con risvolti drammatici per le donne, i bambini e gli uomini afgani sotto ogni punto di vista.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

AUGUSTO DI STANISLAO. Ricordo a me stesso e agli altri, soprattutto agli assenti, se hanno coscienza e se la loro mente e i loro cuori battono ancora, ricordo a tutte queste persone, deputati del Parlamento italiano, che altri Paesi hanno abbandonato ormai da tempo la strada, con un ritiro anticipato delle missioni, perché non era più tempo di stare lì, perché non vi era più possibilità di perseguire quel tipo di missione, che riguardava la pace, la sicurezza e il rilancio della cooperazione internazionale.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

AUGUSTO DI STANISLAO. Dunque, credo che sia necessario porsi una domanda: se ha ancora senso restare in Afghanistan, se ha ancora senso rimanere lì, se ha ancora senso dare un peso a queste vite spezzate.
Vorrei concludere, parlando di un aspetto: questi non sono incidenti, siamo in un teatro di guerra ed è bene che non si aspettino altre vittime, che non si aspetti il 2014 per decidere, in maniera autonoma, che è necessario andare via perché, ormai, la nostra mission, la nostra vocazione è stata snaturata. Tutto quello che faremo non verrà compreso dagli afgani: dovremmo avere un coraggio, finalmente, un coraggio tutto politico, di uscirne fuori quanto prima, perché non sarà una fuga, ma sarà un riconsegnare finalmente l'Afghanistan agli afgani. Credo che loro potranno farcela se saranno da soli e, soprattutto, se non avranno ancora questo Governo corrotto, che è il Governo di Karzai, che utilizza le risorse internazionali per mettere a dimora le proprie volontà di porre in campo i propri interessi personali, e non solo gli interessi di un'intera comunità, che è quella afgana (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole D'Anna. Ne ha facoltà.

VINCENZO D'ANNA. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, Pag. 11il gruppo di Popolo e Territorio impronterà l'intervento alla brevità e alla sobrietà, come si addice in un momento del genere. Ribadita la solidarietà alla famiglia del caduto e all'intera spedizione italiana in Afghanistan, riteniamo del tutto pleonastico ricordare che quella è una missione di peacekeeping, una missione di pace, la quale, in questa fase, altro non consiste che nell'aiutare quelle popolazioni a costruire un'intelaiatura minima per poter edificare uno Stato di diritto.
È, però, estremamente difficile, allo stato dei fatti, immaginare che possa avere un senso continuare. Sentivo il collega parlare di società civile afgana. Io non credo che esista una società civile afgana. È una nazione - governata da un satrapo, Karzai - di tipo feudale, nella quale è stato difficile esportare la democrazia, così come in tutte le zone mediorientali dove manca il concetto della cittadinanza e, quindi, della consapevolezza che i cittadini siano portatori di diritti. Ciò manca anche - e non me ne vogliano quelli di un'altra confessione religiosa - perché il fondamentalismo islamico e la dottrina religiosa islamica sono in aperto contrasto con gli elementi minimi della civiltà e della cittadinanza, per cui non possono che edificarsi, in società arcaiche e tribali, Governi di satrapi e di dittatori.
Detto ciò, noi formuliamo voti affinché i Governi accelerino, senza ulteriori tentennamenti, l'exit strategy. Noi non abbiamo più niente da fare in quella regione. Se bisogna aiutare la polizia, i pompieri, gli insegnanti, i medici e gli ingegneri a costruire un'intelaiatura, lo si faccia attraverso missioni civili. Noi abbiamo ragazzi esposti sia alle faide interne, che al terrorismo dei mujaheddin.
Non si può continuare a non decidere di fare questa cosa - che, tra l'altro, è contraria al regime di crisi - perché le missioni costano e mi sembrerebbe strano continuare a chiedere tasse e balzelli anche alla povera gente per continuare ad inseguire una posizione di prestigio internazionale attraverso le missioni che impieghino l'esercito.
Credo, dunque, che si possa commemorare questo cinquantunesimo caduto, sperando di non doverne commemorare altri, facendo voti affinché si diano alla sua famiglia tutti i benefici e i riconoscimenti economici previsti in questi casi e in queste circostanze. Molte volte questo Stato si è indignato ed ha esacrato gli attentati che hanno portato vittime, salvo poi dimenticarle un minuto dopo (Applausi dei deputati del gruppo Popolo e Territorio).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Pugliese. Ne ha facoltà.

MARCO PUGLIESE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, anche la componente politica Grande Sud, con i suoi deputati, con profondo dolore e commozione partecipa al cordoglio che quest'Aula ha rivolto alla famiglia del giovane carabiniere scelto Manuele Braj.
Manuele Braj, ragazzo del Sud, trent'anni, nativo di Collepasso, in provincia di Lecce, residente a Gorizia con la giovane moglie e il figlio di appena otto mesi, appartenente al tredicesimo reggimento Friuli Venezia Giulia, è caduto a seguito di un grave attentato avvenuto nel campo di addestramento della polizia afgana ad Adraskan, ad ovest di Kabul mentre, con grande professionalità e spirito di sacrificio, stava compiendo il proprio dovere. Il nostro in bocca al lupo, anche per una veloce guarigione, va al maresciallo Dario Cristinelli, al carabiniere scelto Emilano Asta, affinché ritornino anche loro al più presto sul campo di battaglia. Una motivazione politica, visto quello che si è detto in quest'Aula; a mio avviso, i nostri militari, a prescindere dalla divisa, a prescindere dal posto dove operano, sono dei veri e propri missionari di pace, per questo dobbiamo continuare a sostenerli perché la loro missione porta pace, ci dà sicurezza e ci dà soprattutto cooperazione tra i popoli, una missione che vede il nostro Paese, l'Italia, sempre al centro della pace e della sicurezza mondiale. Per questo motivo, concludo dando il cordoglio alla famiglia del militare ucciso e, soprattutto, in presenza del sottosegretario, Pag. 12chiedo di continuare questa opera di sostegno a questi nostri ragazzi che giorno dopo giorno portano avanti missioni di pace in tutto il mondo (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Grande Sud-PPA).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Pisicchio. Ne ha facoltà.

PINO PISICCHIO. Signor Presidente, signor sottosegretario, è il cinquantunesimo soldato italiano ucciso nelle missioni di pace, l'undicesimo figlio di Puglia, se abbiamo tenuto bene questa pietosa anagrafe di coloro che non torneranno più. Ognuno tra i presenti, in quest'Aula, viene attraversato da un senso di angoscia nel pronunciare, ancora una volta, le pur doverose parole di cordoglio nei confronti della famiglia, dei genitori del giovane militare, della sposa, del bambino di otto mesi che del papà conoscerà solo le medaglie, una fotografia dal sorriso sincero e il ricordo affettuoso di chi lo conobbe da vivo. La solidarietà e il cordoglio a chi è morto e a chi è stato ferito sono un dovere per le istituzioni, ma il giorno del dolore e del silenzio passerà e dopo vi sarà il tempo del ragionamento e della responsabilità perché è arrivato il tempo del ritorno a casa dei nostri ragazzi, della fine di una missione che trova nella pace la sua unica ragione ma che troppi lutti innocenti ha causato come una guerra infida e maledetta. Oggi, dunque, esprimiamo la nostra più profonda e sentita solidarietà alla famiglia, ai militari che il Ministro, e il sottosegretario suo tramite, vorrà recare; ma, oggi, chiediamo anche l'impegno a discutere presto, molto presto, del futuro delle missioni di pace in Afghanistan (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Alleanza per l'Italia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Iannaccone. Ne ha facoltà.

ARTURO IANNACCONE. Signor Presidente, onorevole sottosegretario, voglio esprimere, a nome del mio gruppo, il cordoglio per la scomparsa del carabiniere scelto Manuele Braj e la solidarietà alla famiglia. Allo stesso modo, siamo vicini agli altri militari che sono stati feriti in questa azione vile, portata avanti da terroristi afgani.
Signor sottosegretario, quando è iniziata questa legislatura noi avevamo una posizione diversa. Abbiamo sempre valutato l'esigenza e la necessità, per un grande Paese come l'Italia, di concorrere al mantenimento della pace, di avere un'azione e un ruolo di protagonista in alcuni scenari. Ma proprio, purtroppo, questi eventi luttuosi, queste riflessioni che il Parlamento svolge, con sincera sofferenza, ci hanno portato a fare una valutazione diversa, rispetto agli inizi di questa legislatura, sulle tante missioni nelle quali sono impegnati con onore, con sacrificio, con intelligenza e con competenza i nostri militari. Noi riteniamo, signor sottosegretario, che dall'Afghanistan si deve tornare non alla fine del 2014 ma rapidamente, senza alcun dubbio, senza alcuna incertezza, come pure occorre fare una riflessione più attenta sul significato e sul dettato dell'articolo 11 della nostra Costituzione.

PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Iannaccone.

ARTURO IANNACCONE. Il nostro Paese non deve essere coinvolto in azioni di guerra e, quindi, le chiediamo di sviluppare all'interno del Governo una riflessione su come continuare la nostra presenza. Ma quello che le chiediamo è di far tornare rapidamente e immediatamente i nostri militari in Italia.

PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento dell'informativa urgente del Governo.
Sospendo la seduta, che riprenderà alle ore 14 con la discussione sulle linee generali congiunta delle mozioni sulla politica europea dell'Italia in vista del Consiglio europeo del 28-29 giugno 2012 e della mozione concernente iniziative di competenza per l'indizione di un referendum consultivo sull'adesione al Trattato sulla Pag. 13stabilità, sul coordinamento e sulla governance nell'Unione economica e monetaria, noto come «fiscal compact».

La seduta, sospesa alle 13,35, è ripresa alle 14,05.

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che non vi sono ulteriori deputati in missione alla ripresa pomeridiana della seduta.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente cinquantasei, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Sull'ordine dei lavori.

FRANCESCO NUCARA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FRANCESCO NUCARA. Signor Presidente, sono primo firmatario di una mozione sull'Europa, come si evince dagli allegati alla seduta, ma mi è stato comunicato dagli uffici della Presidenza che avrei due minuti per illustrare questa mozione. Credo che nessuno, in due minuti, possa illustrare una mozione sull'Europa, al massimo si può dire un risultato di calcio. Mi dispiace non vi sia il Presidente del Consiglio. Mi dispiace molto perché quest'Aula sorda e grigia manca di un manipolo, ma il manipolo è forse questo Governo. Presentare delle mozioni sull'Europa e dire a un firmatario di queste che ha due minuti di tempo per illustrarla è come se si dicesse di non presentare più mozioni e alcun atto.
Mi consola vedere ai banchi del Governo il Ministro Barca, che non considero tecnico, ma una persona civile e perbene. Infatti, quando un Ministro della Repubblica - anzi, il Ministro più importante di questo Governo - si permette di dire a un deputato: come si permette lei di dire che io non rispondo ad alcuno? Forse ha capito male questo Governo. Forse hanno capito male questi Ministri? Non siamo in banca, non mi può licenziare nessuno; sono i parlamentari che possono licenziare il Governo, il Governo non può licenziare i parlamentari. Quindi chiedo, signor Presidente, per illustrare la mia mozione, che mi sia data la possibilità, che mi siano concessi almeno 4-5 minuti, per illustrare quello che volevo dire. Chi vi parla lo fa a nome di un partito che dell'Europa ha fatto ragione di vita fin da metà dell'Ottocento, e che poi ha proseguito con Carlo Sforza, Ugo La Malfa e Spadolini. Dire a un primo firmatario di una mozione che ha due minuti di tempo è un oltraggio al buonsenso, prima ancora che alla civiltà politica e parlamentare.

PRESIDENTE. Onorevole Nucara, come lei sa il contingentamento dei tempi, in questa occasione, è del tutto conforme ai precedenti, e viene sempre stabilito in proporzione alla consistenza dei gruppi e delle componenti politiche del gruppo Misto: dura lex sed lex. Non dovrei dirle che, in considerazione del suo personale prestigio e della storia che lei rappresenta, posso anche chiudere un occhio nei limiti del ragionevole, perché il rispetto del Regolamento mi si impone e non è cosa cui io possa derogare più di ciò che il margine della cortesia parlamentare può consentire.

RENATO CAMBURSANO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà. Tuttavia, volevo dire una cosa... che non dirò.

RENATO CAMBURSANO. Signor Presidente, se vuole aggiungere, prego: ubi maior minor cessat.

PRESIDENTE. Prego, onorevole Cambursano.

RENATO CAMBURSANO. Signor Presidente, anch'io sollevo con altri argomenti lo stesso tema, cioè quello dei tempi. Pag. 14Stiamo per affrontare uno dei problemi più grossi, più importanti, più pesanti e più rischiosi - usi lei gli attributi e gli aggettivi che vuole - di come sta andando e di dove sta andando l'Europa. Abbiamo lavorato su delle mozioni, e mi auguro vi sia il consenso e una convergenza su una mozione unitaria, ma permetta almeno che venga consentito, al di là della dura lex sed lex, che i primi firmatari o i firmatari delle mozioni possano avere la possibilità di illustrarle, perché altrimenti ci domandiamo, signor Presidente - e so che lei è molto sensibile a questi argomenti, soprattutto ai temi dell'Europa -: che ci stiamo a fare se dobbiamo limitarci ad aprire bocca per chiuderla immediatamente, perché i due minuti sono trascorsi?

PRESIDENTE. Onorevole Cambursano, lei ha tutto il diritto, e forse farebbe bene a proporre una modifica delle regole, ma non può chiedermi di non osservare le regole stabilite. Sono stato nel Parlamento europeo per un certo tempo e le assicuro che quando ci si abitua, in un minuto - non le dico in due, ma in un minuto - si possono dire tantissime cose.
In tutta la mia esperienza da parlamentare europeo ho parlato tre minuti in un'unica occasione per una vicenda particolarmente importante.

ROBERTO GIACHETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, ovviamente mi pare che lei abbia risposto e forse il collega Nucara non se ne è accorto, ma in tante altre occasioni - eppure è parlamentare da molti anni - purtroppo nell'economia dei nostri lavori i tempi sono questi ed anche su argomenti di rilevanza questo è il contingentamento.
Quello che lei forse però non poteva rispondere consenta a me di dirlo, signor Presidente. Ormai è preso lo sport che qualcuno qui si alza e, anche quando non c'entra assolutamente nulla, attacca il Governo e spara addosso al Governo.
Francamente le motivazioni del collega Nucara nei confronti del Governo - che certo non c'entra nulla rispetto al contingentamento dei tempi, al tema in questione e a come evolvono i nostri lavori - sono assolutamente gratuite e non capisco per quale motivo ormai è presa l'abitudine che su qualunque cosa, come quel famoso detto, il Governo è responsabile di tutto.
Ringraziamo il Ministro che è presente e ringraziamo il Presidente del Consiglio che sappiamo sarà presente. Ci sono molti più rappresentanti del Governo di quanti il Governo che appoggiava l'onorevole Nucara ha fatto transitare in quest'Aula per dibattiti anche molto importanti. Francamente si tratta proprio di attacchi gratuiti che ci potremmo risparmiare (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

Discussione congiunta delle mozioni: Franceschini ed altri n. 1-01075, Cicchitto ed altri n. 1-01076, Moffa ed altri n. 1-01088, Nucara ed altri n. 1-01089, Cambursano e Brugger n. 1-01092, Donadi ed altri n. 1-01095, Dozzo ed altri n. 1-01096, Pisicchio ed altri n. 1-01097 e Galletti e Della Vedova n. 1-01098 sulla politica europea dell'Italia in vista del Consiglio europeo del 28-29 giugno 2012; Dozzo ed altri n. 1-01065 concernente iniziative di competenza per l'indizione di un referendum consultivo sulla adesione al trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance nell'Unione economica e monetaria, noto come «fiscal compact» (ore 14,10).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione congiunta delle mozioni: Franceschini ed altri n. 1-01075, Cicchitto ed altri n. 1-01076, Moffa ed altri n. 1-01088, Nucara ed altri n. 1-01089, Cambursano e Brugger n. 1-01092, Donadi ed altri n. 1-01095, Dozzo ed altri n. 1-01096, Pisicchio ed altri n. 1-01097 e Galletti e Della Vedova n. 1-01098 sulla politica europea dell'Italia in vista del Consiglio europeo del 28-29 giugno 2012; Dozzo ed altri n. 1-01065 concernente Pag. 15iniziative di competenza per l'indizione di un referendum consultivo sulla adesione al trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance nell'Unione economica e monetaria, noto come «fiscal compact» (Vedi l'allegato A - Mozioni).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta del 21 giugno 2012.
Avverto che in data odierna è stata presentata una nuova formulazione della mozione Franceschini ed altri n. 1-01075, che è stata sottoscritta anche dall'onorevole Letta. Il relativo testo è in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritto a parlare l'onorevole Gozi che illustrerà anche la mozione Franceschini ed altri n. 1-01075 (Nuova formulazione), di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

SANDRO GOZI. Signor Presidente, l'Europa rischia la disintegrazione. Non capiamo cosa altro debba succedere per invertire la rotta. È nel pieno di una delle crisi più tecniche fatte di algoritmi, di spread e di complicati montaggi finanziari. Dobbiamo trovare soluzioni politiche. Quello del 28 giugno non è semplicemente il ventiseiesimo vertice dall'inizio della crisi, a cui ne seguirà un ventisettesimo, non è una riunione come le altre.
I leader europei oggi non hanno più vie di uscita. Devono dimostrare finalmente ai cittadini europei di essere all'altezza dei compiti ad essi affidati. O intraprendiamo tutti insieme un nuovo cammino, che certamente dovrà svolgersi a tappe, oppure saremo tutti travolti. Dobbiamo fare una scelta netta, di fondo, come forze politiche, a livello nazionale e a livello europeo, a favore dell'Europa federale.
Siamo nel bel mezzo di un fiume in piena e solo l'Europa federale può offrire le soluzioni che stiamo cercando, può far diradare quella nebbia, quell'incertezza politica che ci impedisce oggi di vedere la riva di approdo. È inutile che i nostri amici tedeschi si illudano di poter sopravvivere da soli ed è tempo che i nostri amici francesi vincano le loro esitazioni rispetto all'unione politica.
L'aggressività dei mercati è instancabile e la crescita economica è un vero imperativo. Non può essere un decoro, non può essere un allegato alle politiche di stabilità, né possiamo costruire il nostro futuro solo con l'estintore, con gli aiuti di emergenza ieri all'Irlanda e al Portogallo, oggi alla Spagna e a Cipro, ieri, oggi e domani alla Grecia, che noi siamo convinti debba rimanere assolutamente nella zona euro.
Signor Presidente, noi dobbiamo moltissimo ai padri fondatori dell'Europa spesso e giustamente richiamati in quest'Aula, a De Gasperi, a Spinelli, a Adenauer, a Schuman.
Ecco, da parlamentare non posso accettare che le classi politiche del 2012 passino alla storia come i «figli affondatori» del progetto europeo.
È inutile, come dicevo, addentrarsi nelle soluzioni di tecnica finanziaria, non perché non siano utili ed urgenti, ma perché i cosiddetti «leader europei» debbono avere una visione politica e debbono trovare soluzioni coraggiose da avviare dal vertice nei prossimi cinque o dieci mesi, non da pensare per i prossimi cinque o dieci anni come è stato detto anche nei giorni scorsi a Bruxelles. Dal vertice deve partire la risposta comune alla sfida politica lanciata all'Europa dai mercati e dai populismi di varia specie e genere.
La sfida è politica perché è basata sull'assunto degli operatori finanziari per cui sarebbe impossibile avere una moneta comune senza un «super Stato» sovrano europeo. È una sfida politica, perché, a causa dell'incompletezza dell'Europa federale, nell'Europa democratica le forze populiste stanno cercando di distruggere l'Europa stessa, aggravando allo stesso tempo la grave crisi di tutte le democrazie nazionali. Noi, come tanti cittadini europei, siamo molto stanchi dei non detti, dei Pag. 16rinvii, delle dichiarazioni europee altisonanti e prive di forti impegni politici a cui non seguono fatti, ma solo altre parole, tanto rassicuranti quanto ipocrite. Il tempo è scaduto. Certamente per difendere i nostri interessi in Europa dobbiamo sostenere con convinzione l'azione del Governo italiano e spingere sopratutto i nostri partner tedeschi e francesi a superare le loro contraddizioni, perché siamo davanti a vari paradossi.
È paradossale, infatti, che Angela Merkel richiami sempre più spesso le idee federaliste per poi nei fatti praticare una politica che ha reso sino ad ora impossibile il ricorso a nuovi strumenti comuni per far fronte all'urgenza, ma è altrettanto paradossale che il nuovo presidente francese François Hollande insista sull'emergenza, sulla crescita, sull'unione bancaria, sugli eurobond (e a ragione) rimandando però ad un futuro eventuale ed incerto quella scelta federale che Parigi in passato ha sempre rifiutato e che oggi non può più essere rinviata. È su questo, non su tatticismi politici interni, non su artificiali distinzioni tra le forze politiche e tra i partiti politici italiani che noi in questo Parlamento dobbiamo impegnarci.
Per questo noi continuiamo a considerare un errore non arrivare ad una mozione congiunta e siamo ancora disponibili a lavorarci, per dare al Governo un mandato forte e unitario a questo vertice, che deve segnare una svolta ed iniziare almeno a segnare una svolta. Dobbiamo, infatti, organizzare oggi il nuovo percorso, senza rimandarlo ad un futuro incerto in cui potremmo anche ritrovarci senza pezzi di Europa o con un'Europa a pezzi. Non si può rimandarlo al prossimo decennio come sembra propongano in base alle prime anticipazioni Draghi, Barroso, Van Rompuy e Juncker nel rapporto Van Rompuy. Non è nel prossimo decennio, ma nei prossimi dieci giorni che dobbiamo dare risposte politiche.
A proposito di quanto sappiamo di questo rapporto, vorrei porre l'attenzione su alcuni punti. Si parla di supervisione integrata solo bancaria. Primo punto interrogativo: perché non anche una supervisione integrata sugli operatori finanziari? Dovremmo lavorare a livello europeo anche su questo, non solo sulle banche. Si parla di schema europeo di garanzia dei depositi: come sarà composto? Certamente dovranno contribuire le banche private, ma, nel caso in cui ci siano delle gravi crisi sistemiche, dobbiamo pensare che anche il nuovo meccanismo europeo di stabilità possa intervenire? Per quanto riguarda il quadro di bilancio e le possibilità a medio termine, si fa un riferimento ad una emissione comune di debito a medio termine. Ma il vertice dovrà cominciare anche a dare delle indicazioni sulle piste di lavoro. Ormai le opzioni sulla mutualizzazione del debito sono tantissime, messe sul tavolo ufficialmente anche dalla Commissione europea oltre che da Van Rompuy, ma i leader europei dovranno indicare su quali opzioni lavorare per arrivare a medio termine ad un inizio di mutualizzazione del debito.
Occorrono anche delle più chiare scadenze temporali. I rinvii a ottobre e dicembre di questo rapporto Van Rompuy sono troppo generici. Non c'è un percorso a tappe ben definito e occorre anche indicare, di fronte ai nuovi vincoli che poniamo alle politiche economiche e di bilancio, quali sono i nuovi strumenti in prospettiva di mutualizzazione del debito. Nella mozione abbiamo indicato con molto chiarezza il percorso.
Abbiamo detto che, tra il 2012 e il 2013, occorre organizzare le tappe temporali e non rinviare ad un vertice di dicembre ed eventualmente un vertice intermedio di ottobre senza dire entro ottobre cosa dobbiamo fare e entro dicembre quali decisioni dovremo aver preso; noi invece nella mozione indichiamo chiaramente un percorso a tappe che si deve svolgere attorno al 2012 e al 2013 per realizzare l'unione fiscale e l'unione bancaria e indichiamo il 2014 come il riavvio del processo costituente, un percorso quindi che va avviato con gradualità, ma va avviato il 28 giugno ed il 28 giugno non possiamo dire che rinviamo a dicembre.
Insisterò ancora su questo punto, signor Presidente, perché è un punto decisivo Pag. 17di credibilità non solo nei confronti degli operatori finanziari ma nei confronti anche di tutti i cittadini che si aspettano delle indicazioni e delle decisioni precise ma anche un percorso preciso che dovremo svolgere. Quindi, certamente gradualità, tappe, che vanno tuttavia decise il 28 giugno e non rimandate a ottobre o dicembre.
Poi la questione democratica che giustamente è solo accennata nel rapporto Van Rompuy ma che è e deve essere la preoccupazione principale delle forze politiche, non è retorica, non è una questione secondaria. Noi l'avevamo posta già in gennaio, la riponiamo con forza oggi ed è per oggi e non per il prossimo decennio perché è fondamentale, perché c'è un problema di democrazia in Europa che sta colpendo le democrazie nazionali, sempre più impotenti di fronte alla sfida dei mercati senza maggiore integrazione e sta colpendo anche l'Europa, che è sempre più vissuta come un'entità lontana e non democratica da milioni di cittadini.
È fondamentale anche perché, se accettiamo l'unione dei nostri bilanci - come proposto anche nel rapporto, e noi crediamo che sia un passaggio positivo -, dobbiamo pretendere la piena legittimità democratica di chi quei bilanci dovrà e potrà controllarli in via preventiva, indicando anche delle possibili modifiche. Innanzitutto quindi dobbiamo pretendere la piena legittimità democratica della Commissione europea perché se andiamo, come noi auspichiamo, verso una maggiore unione fiscale, verso un meccanismo di sorveglianza preventiva molto più forte dei bilanci nazionali ma non diamo piena legittimità democratica a chi dovrà controllare quei bilanci, rischiamo il corto circuito dell'intero sistema.
È un rischio che non possiamo correre, certo da questo punto di vista, lo voglio dire al Governo, credo che il Governo sia sensibile su questo, non basta quel riferimento vago al protocollo allegato al Trattato di Lisbona sul ruolo dei Parlamenti nazionali che c'è nel rapporto Van Rompuy. Non basta quel riferimento, occorre certamente costruire assieme una nuova dimensione parlamentare che sia nazionale e che sia europea, ecco perché dal vertice deve provenire un impegno chiaro e un percorso ben scadenzato da oggi anche su questo punto, anche sul punto della questione politica e della questione democratica.
Occorrono visione e coraggio ma anche ovviamente - dobbiamo spegnere l'incendio - responsabilità e urgenza. Quindi, certamente occorre dotarsi degli imprescindibili strumenti di emergenza; bene l'iniziativa per la crescita, sappiamo benissimo che non sono risorse fresche, in gran parte sono riutilizzo di fondi non utilizzati, però se riusciamo a mobilitare veramente 130 miliardi al servizio della crescita (ricordo che il bilancio annuale dell'Unione europea, per fare tutto quello che l'Unione europea dovrebbe fare, tutto, politica estera, immigrazione, crescita, ambiente, è di 167 miliardi di euro) è certamente un passo in avanti ma l'iniziativa per la crescita, il growth compact - come definito in quel rapporto - deve essere accompagnato anche da decisioni strutturali sul bilancio dell'Unione europea, sulle singole voci, perché in maniera strutturale quel bilancio va messo al servizio della crescita. Non basta il pacchetto allegato alle conclusioni del 28 giugno per dire che abbiamo bilanciato la politica di stabilità con il piano per la crescita perché occorre fare molto di più, così come occorre favorire, nel pieno rispetto della sua autonomia, una politica monetaria più espansiva e accomodante da parte della Banca centrale europea se è vero che da qui alla fine dell'anno l'inflazione sarà ben al di sotto del 2 per cento secondo le proiezioni di tutte le istituzioni, ivi inclusa la Banca centrale europea.
C'è un punto molto importante: dobbiamo usare il meccanismo di intervento salva Stati per rescindere quel legame vizioso che c'è tra i debiti dei Governi e i bilanci delle banche, attraverso interventi diretti sulle banche, senza versamenti attraverso i Governi. Ed è la ragione per cui abbiamo voluto modificare in parte la mozione. Dobbiamo affrontare il gravissimo problema dei derivati, perché, Presidente, Pag. 18i rischi nelle banche continuano ad accumularsi e i derivati rappresentano una mina che può colpire anche banche ben ricapitalizzate alla luce delle nuove norme europee. Le difficoltà della JP Morgan sono un nuovo monito per tutti. La Banca dei regolamenti internazionali lo ha di nuovo denunciato un paio di giorni fa. È un problema che non possiamo rimandare. Cosa aspettiamo? Vogliamo altre dieci Lehman Brothers prima di affrontare il tema dei derivati? Quindi, certamente queste sono questioni importanti e noi lo sosteniamo con convinzione. Non so se è questo l'oggetto della riunione convocata oggi a Parigi dei quattro Ministri dell'economia e delle finanze, cioè non so se discuteranno del meccanismo della proposta del Governo italiano per tenere sotto controllo le oscillazioni dello spread. Spero che anche di questo si discuterà a Parigi. La proposta di corridoio è volta a mantenere entro certi livelli l'oscillazione dello spread; una volta che un Governo abbia soddisfatto le condizioni previste dalle procedure di sorveglianza multilaterale e adottato le misure necessarie a livello di riforme interne, tenendo sotto controllo il debito ed il deficit e, nonostante ciò - nonostante, come piace dire ad Angela Merkel, facciamo i nostri compiti a casa - vi saranno comunque attacchi speculativi sui mercati, è evidente che abbiamo bisogno di meccanismi di solidarietà per tenere sotto controllo lo spread. Questa è la proposta del Governo italiano, così come l'abbiamo capita, e noi speriamo che se ne discuta a Parigi. Invitiamo il Governo a difenderla di nuovo anche al vertice europeo. Signor Presidente, in conclusione, avevo parlato di solidarietà e concludo con questo: noi dobbiamo ricostruire una vera solidarietà europea, innanzitutto attraverso le azioni. Per quanto riguarda la Grecia, non perseveriamo nell'errore con la Grecia; abbiamo fatto degli errori nel caso greco. Certo anche i greci sembra che continuino a farli, se è vero che, anziché diminuire di 15 mila unità i dipendenti pubblici, ne avrebbero assunti altri 70 mila. Però, è evidente che dobbiamo allungare i tempi per la realizzazione del piano greco ed è evidente che dobbiamo ridefinire alcuni obiettivi. A noi la riduzione dei salari nel settore privato, ad esempio, solo per dire un punto, ci sembra ideologica e controproducente. È evidente che dobbiamo destinare per la Grecia alcune di quelle risorse oggi utilizzate per ridurre il debito pubblico, a sostegno della riforma della pubblica amministrazione, a sostegno della riforma del sistema del welfare. È una solidarietà - e concludo Presidente - che si ricostruisce anche nel discorso e nei toni. Smettiamola di dire che non siamo la Grecia, smettiamola di dire che non siamo la Spagna e cominciamo a dire che siamo l'Europa, che stiamo insieme e che insieme vogliamo costruire il nostro destino comune (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Moffa, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-01088. Ne ha facoltà.

SILVANO MOFFA. Signor Presidente, signori membri del Governo, come gruppo di Popolo e Territorio, abbiamo presentato una mozione molto articolata, in vista del Consiglio europeo del 28 e 29 prossimi. Lo abbiamo fatto sulla scorta di una considerazione di ordine politico generale: noi crediamo che sia assolutamente opportuno che il Presidente del Consiglio si rechi in Europa con un mandato pieno, esplicito e forte da parte del Parlamento, un mandato che evidentemente potrà essere forte nella misura in cui sia foriero di contenuti che, in qualche misura, cambino il corso della situazione nella quale ormai siamo incappati e nella quale tragicamente ci muoviamo da qualche tempo, direi addirittura all'indomani del 2008, quando la grande crisi finanziaria scatenata dalle speculazioni in atto ha messo in ginocchio l'Europa e ha messo in crisi l'intero sistema occidentale e delle economie occidentali.
Era quello, il 2008, l'anno in cui ci si aspettava tutti, anche sulla scorta delle analisi che venivano fatte, e che erano, direi, anche convergenti, da innumerevoli Capi di Governo, una risposta globale, che Pag. 19segnasse anche un cambiamento di rotta, nel senso di individuare le criticità che la globalizzazione, macchiata da interventi speculativi, aveva evidenziato, per cercare di rimettere in linea il sistema, introducendo delle regole ferree, che consentissero, sostanzialmente, di bloccare i processi speculativi e di tornare a quella sacrosanta divisione tra il sostegno di un'economia reale produttiva e il sostegno, inverecondo e portato all'eccesso, di quelle che sono, invece, le manovre speculative.
Tutto questo non è avvenuto, e questo è stato il primo grave fallimento nel quale siamo incappati. Aver fatto fallire la Lehman Brothers, quando vi erano tutte le condizioni per salvarla, ha costituito il presupposto per arrivare anche a quella decisione, anzi, a quella impostazione, che, per la prima volta, ha fatto irruzione nella storia dei popoli e delle nazioni, che è il principio in base al quale, addirittura, potessero fallire gli Stati.
Oggi ci troviamo in una condizione davvero incredibile, dove il rischio del fallimento degli Stati - come se gli Stati potessero fallire - scuote terribilmente l'Europa fin nelle sue viscere profonde e mette in crisi il sistema di una compattezza europea che era nato con un vizio di origine: non essere in presenza di un'Europa politicamente coesa, in grado di avere istituzioni fortemente ancorate su principi di sana e concreta democrazia, ma di un'Europa che, invece, è versata soprattutto e prevalentemente al profilo monetarista.
Quella che sta fallendo è l'Europa monetaria. Avere incardinato l'Europa in questa concezione ha costituito il limite entro il quale oggi vorticosamente ci muoviamo, nel tentativo di salvare il salvabile. Allora, è evidente che noi non abbiamo bisogno, come ho avuto modo di dire in quest'Aula qualche settimana fa, di più Europa.
Abbiamo bisogno di un'Europa diversa, di un'Europa che sappia recuperare quello che era il sentimento profondo che fu ispirato dai padri fondatori, cioè l'Europa dei popoli, l'Europa capace di difendere i suoi interessi in una coesione politica e che sia in grado di costruire istituzioni aderenti alle esigenze dei popoli.
In qualche misura, noi abbiamo pensato che si potesse intervenire con un'unica medicina rispetto a Stati e nazioni che avevano situazioni di partenza assolutamente diverse. Credo che anche qui vada individuata la criticità nella quale noi oggi ci dibattiamo, ma questo è il momento in cui non solo è in discussione il futuro della moneta unica, ma è in discussione il futuro dell'Europa.
Delle due l'una: o noi coglieremo, in questa ultima importante occasione del 26o vertice tra i leader europei, l'opportunità di mettere in campo delle politiche assolutamente diverse, che cambino il volto di questa Europa e la rimettano in un circuito di rilancio produttivo e di crescita, o, altrimenti, non solo fallirà la moneta unica, ma fallirà la stessa idea di Europa.
Sul tavolo di Bruxelles abbiamo di fronte tre grandi temi: il Piano per la crescita, che è stato lanciato al vertice di Roma qualche settimana fa e rispetto al quale, anche con un eccessivo entusiasmo, mi sembra si sia registrata anche l'adesione della Merkel; il documento sul futuro dell'Unione europea, che è stato appaltato ai presidenti delle istituzioni dell'Unione europea e che dovrebbe contenere proprio quei segnali importanti ai quali poco fa mi riferivo; le misure, terzo argomento delicatissimo, per riportare gli spread nella normalità.
Intorno a queste tre questioni noi verificheremo se vi è la possibilità di superare il fallimento e rimettere in marcia un destino europeo. Quello che ci sconforta e ci preoccupa, però, è che la marcia verso Bruxelles, in queste ore e in queste settimane, rischia di diventare una marcia di poche certezze e di poche decisioni.
Ecco perché la discussione di oggi assume una valenza politica straordinaria, perché all'interno delle mozioni all'ordine del giorno - ho letto anche quelle presentate dagli altri gruppi - credo vi siano gli elementi cardine intorno ai quali il Presidente del Consiglio potrà avere la Pag. 20forza, in virtù del sostegno del Parlamento, di non dico imporre, ma almeno aprire un confronto serio per portare l'Europa fuori dalla crisi nella quale si trova. Questo confronto serio va fatto, innanzitutto, cercando di far comprendere ai partner europei, in particolar modo alla Merkel, che la Banca centrale europea non può avere il profilo di banca che attualmente ha.
Finora i fondi transitati attraverso la Banca centrale europea per arrivare ad aiutare i singoli Stati in difficoltà, compresi quelli per l'Italia, sono finiti nel circuito creditizio, con nessuna possibilità di essere utilizzati per rimettere in marcia l'attività produttiva e, quindi, il sistema imprenditoriale e delle famiglie. Tutto questo avviene in un ciclo recessivo la cui consistenza è talmente alta che ci fa ricordare la situazione del 1929.
Una recessione così elevata, con un sistema di tassazione e di fiscalità così fortemente gravante sulle famiglie e sulle imprese, con un flusso finanziario che non va a sostegno di questa economia reale, ma che cerca di proteggere le banche - che, tra l'altro, continuano ad essere fortemente in crisi - dove ci può portare? È evidente che dobbiamo dare alla Banca centrale europea la fisionomia di una banca a tutto tondo, di ultima istanza, come si suol dire, ma occorre accompagnare questo con il coraggio, tutto politico, di rimettere mano ai trattati europei, di affrontare il tema, spesso evocato, che riguarda anche la possibile istituzione di un'imposta sulle transazioni finanziarie e quello che concerne l'obiettivo di prevedere che la Banca europea possa sostenere programmi di crescita e di sviluppo, nonché l'idea di depurare la possibilità di investimento, che deve essere lasciata per consentire non la violazione del Patto di stabilità, ma una ridefinizione dello stesso che possa essere virtuoso, soprattutto per i sistemi locali.
Bisogna aprirsi ad una concezione, ad un'idea, che non è originale, che non è di oggi, ma che finalmente oggi vede il sostegno di altri partner europei, ad eccezione della Merkel, ossia quella di introdurre gli eurobond.
Credo che intorno a questi elementi - sui quali vi è, sostanzialmente, una convergenza concettuale e di approccio - il Presidente del Consiglio possa essere messo nelle migliori condizioni per aiutare non solo il nostro Paese, ma l'Europa a trovare una sua corretta configurazione per il futuro.
Dico questo perché abbiamo fortemente voluto, soprattutto le forze politiche che sostengono la maggioranza, che oggi vi fosse la discussione sulle mozioni su questo tema mentre stiamo per affrontare il tema della fiducia sulla riforma del mercato del lavoro. Ovviamente, parleremo in seguito di quello che pensiamo relativamente a questo aspetto, ma è indubitabile che, se oggi si chiede a questo ramo del Parlamento, alla Camera dei deputati, di soprassedere rispetto ad una sua specifica competenza e ad un suo specifico dovere, ossia quello di intervenire anche con elementi di correzione all'interno di una riforma che non è perfetta, ma perfettibile, tutto questo avviene soltanto perché vi è un forte senso di responsabilità rispetto all'impegno che attende il Governo in Europa. Soltanto per questo si viene meno ad un compito precipuo. Ma se dall'Europa non arriva un segnale di cambiamento è evidente che ci troveremo davvero nelle condizioni di dover riesaminare la questione nella sua interezza, perché lo sforzo ultimo richiede anche un soprassalto di grande responsabilità e di senso di orientamento.
Ecco, diamo all'Europa finalmente un nuovo senso di orientamento (Applausi dei deputati del gruppo Popolo e Territorio).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Nucara, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-01089. Ne ha facoltà.

FRANCESCO NUCARA. Signor Presidente, la ringrazio anche per la cortese risposta che mi ha dato all'inizio. Io chiedo a lei, alla sua cortesia, signor Presidente, se posso consegnare il mio, pur breve, intervento agli atti della Camera.

PRESIDENTE. Certamente, onorevole Nucara.

Pag. 21

Testo sostituito con errata corrige volante FRANCESCO NUCARA. La ringrazio, signor Presidente, la ringrazio veramente di cuore.
Noi abbiamo fin dall'inizio appoggiato questo Governo, devo dire prima ancora che il professor Monti avesse l'incarico di formare il Governo. Con un articolo su La Voce Repubblicana firmato dal sottoscritto, sostenni che il professor Monti poteva essere la persona che ci avrebbe tolto dai guai.
Se qualcuno non legge la storia, gliela ricordo io. Il partito di cui io sono segretario - e mi onoro di esserlo ancora per poco - è nell'Europa dal 1834 quando Mazzini fondò la Giovine Europa. Poi ricordo Carlo Sforza, Ugo La Malfa e Giovanni Spadolini. I precursori del partito dell'onorevole Giachetti, invece, nel 1879 si posero il problema se dovevano partecipare o meno alle elezioni europee, perché vedevano l'Europa come nemico del comunismo orientale.
Io dico all'onorevole Giachetti che quando le cose sono sbagliate - come è sbagliato dire di illustrare una mozione in due minuti - si deve protestare.
Mi sono permesso di dire qualche parola sul professor Barca, perché ho avuto modo di avere con lui un'assidua frequentazione istituzionale per anni.
FRANCESCO NUCARA. La ringrazio, signor Presidente, la ringrazio veramente di cuore.
Noi abbiamo fin dall'inizio appoggiato questo Governo, devo dire prima ancora che il professor Monti avesse l'incarico di formare il Governo. Con un articolo su La Voce Repubblicana firmato dal sottoscritto, sostenni che il professor Monti poteva essere la persona che ci avrebbe tolto dai guai.
Se qualcuno non legge la storia, gliela ricordo io. Il partito di cui io sono segretario - e mi onoro di esserlo ancora per poco - è nell'Europa dal 1834 quando Mazzini fondò la Giovine Europa. Poi ricordo Carlo Sforza, Ugo La Malfa e Giovanni Spadolini. I precursori del partito dell'onorevole Giachetti, invece, nel 1979 si posero il problema se dovevano partecipare o meno alle elezioni europee, perché vedevano l'Europa come nemico del comunismo orientale.
Io dico all'onorevole Giachetti che quando le cose sono sbagliate - come è sbagliato dire di illustrare una mozione in due minuti - si deve protestare.
Mi sono permesso di dire qualche parola sul professor Barca, perché ho avuto modo di avere con lui un'assidua frequentazione istituzionale per anni.

PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Nucara.

FRANCESCO NUCARA. Non conosco i sottosegretari, quindi non potevo dire nulla di loro.
Quindi, noi abbiamo appoggiato e votato tutte le fiducie al Governo Monti e come direzione del partito abbiamo prodotto decine di documenti, appoggiando il Governo Monti, che continueremo ad appoggiare, perché vediamo come unica soluzione, mentre contestiamo chi non vuole l'euro, perché chi non vuole l'euro è nemico, cosciente o non cosciente, dell'Europa. Quindi non si può parlare a me senza considerare che non sono mai stato iscritto al PdL, né al gruppo del PdL.

PRESIDENTE. Deve concludere, onorevole Nucara.

FRANCESCO NUCARA. Ha capito, onorevole Giachetti? Sono stato sempre iscritto al mio partito ed al gruppo Misto, fin dal primo giorno in cui sono stato eletto. Quindi, calma prima di fare affermazioni fuori luogo.
Tuttavia, se un Ministro è arrogante, quel Ministro è arrogante pure se fa parte del Governo che presiedo io. Si dirà che quel Ministro è arrogante e non che tutti i ministri sono arroganti. L'esempio di Barca è il più evidente possibile.
Signor Presidente, chiedo dunque che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Nucara, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritto a parlare l'onorevole Cambursano, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-01092. Ne ha facoltà.

RENATO CAMBURSANO. Signor Presidente, ancora una volta il Consiglio europeo si riunisce questo fine settimana in un clima di forte tensione sui mercati finanziari.
L'impressione al momento è che continui a mancare l'accordo su come ripristinare un minimo di credibilità dell'Eurozona. Parlo di crisi di credibilità dell'Eurozona, perché di questo si tratta e non semplicemente della somma della crisi di alcuni Paesi membri troppo indebitati o con le banche poco capitalizzate.
Da quando è esplosa la crisi greca, oltre due anni fa, il problema è sempre lo stesso. I Governi non riescono a trovare un accordo soddisfacente sulla combinazione appropriata tra austerità e finanziamento dell'aggiustamento, e intanto si nega la liquidità sui mercati dei titoli sovrani, nonostante che nel frattempo siano stati varati la nuova governance economica dell'Eurozona, il fiscal compact, ed il Fondo «salva Stati», e nonostante che i Paesi prima indisciplinati abbiano adottato misure draconiane per rimettere la casa in ordine. Così però la fiducia ha continuato a peggiorare. Pag. 22
Serve un'iniziativa forte per la crescita, che dia almeno un segno di un riequilibrio delle priorità, e un po' di speranza al Paese che oggi sembra affondare nell'austerità. È importante che però una decisione emerga con chiarezza, quella di non chiedere ai Paesi che stanno lavorando per ridurre i disavanzi, di compensare con nuove misure restrittive gli effetti sui bilanci pubblici della caduta dell'attività economica.
Serve una Banca Centrale Europea che possa ridurre il tasso di interesse e, perché no, anche fare in modo che l'unione bancaria sia a portata di mano nei tempi tecnici.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

RENATO CAMBURSANO. Serve, e mi avvio a concludere, un Fondo «salva Stati» che possa essere utile per fare in modo che si eviti che tra il debito dei governi e il bilancio delle banche ci sia un nesso pernicioso. Serve, infine, un meccanismo di mutualizzazione del debito, come quello, per esempio, ipotizzato dalla stessa Germania, del Fondo europeo di redenzione o di rimborso.
Concludo, signor Presidente, richiamando, però, ancora un'ultima cosa: il deterioramento dell'economia e la disintegrazione politica e sociale, se l'appuntamento europeo di fine mese non avviasse un immediato cambio di rotta, si rafforzerebbero a vicenda.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

RENATO CAMBURSANO. Chi trova intollerabile questo stato di cose cerca il cambiamento e punta all'estremismo antieuropeo e xenofobo. Non è certamente quello che noi vogliamo. L'Europa, purtroppo, questo lo ha già vissuto e sappiamo anche con quali conseguenze. Facciamo in modo che ciò non si avveri di nuovo.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Borghesi, che illustrerà anche la mozione Donadi n. 1-01095, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

ANTONIO BORGHESI. Signor Presidente, credo che due siano i fatti da sottolineare inizialmente, prima ancora di illustrare la nostra mozione. Il primo è che queste mozioni rischiano di diventare una specie di rimpallarsi su chi ha chiesto che rappresentassero una sorta di viatico per il Presidente del Consiglio, perché il fatto che la maggioranza che appoggia questo Governo non riesca a definire una mozione unitaria è il fatto politicamente più significativo e che, come dicevo, a mio giudizio rischia di superare tutto il resto. Infatti, il fatto che chi appoggia il Governo non è capace e non ha la possibilità di individuare le linee guida da dare al Presidente del Consiglio, penso che significhi che, al di là di questo vertice, comunque esso vada, ci sarà qualche cosa che si chiama crisi di Governo o qualcosa del genere. Non posso pensarla diversamente, anche perché nello stesso giorno si vota la fiducia e c'è qualcuno, sempre nei partiti che appoggiano il Governo, che dice che è l'ultima volta che dà un voto in questo modo. Quindi mi pare che stiamo parlando di una situazione grave, ma si fa finta che non ci siano situazioni gravi per permettere al Presidente del Consiglio di presentarsi a Bruxelles.
L'altro fatto di rilievo - perché se non parliamo di questo non capisco di cosa parliamo - è il rapporto che questa notte è stato inviato dal Presidente Van Rompuy a tutti i Paesi. Il rapporto si intitola «Towards a genuine economic and monetary union» ovvero «Verso un'unione economica e monetaria vera», che è un titolo bellissimo, naturalmente, perché io credo che proprio qui stia la soluzione o l'avvio della soluzione dei tanti problemi che stiamo affrontando oggi. Quindi, in realtà, il vero tema di queste mozioni dovrebbe essere il seguente: è capace l'Italia, è capace il nostro Paese di spingere verso una vera unione economica e monetaria? E soprattutto: ci sono le condizioni perché altri Paesi che stanno meglio, e stando meglio di noi fanno valere la forza dello loro star meglio, siamo disposti ad andare davvero verso una vera unione economica Pag. 23e monetaria? Questi sono i veri dilemmi che saranno affrontati nei prossimi giorni.
Resta però il fatto che, per carità, poi nell'elencazione già mi viene qualche sospetto, perché Van Rompuy nella visione mette al primo posto an integrated financial framework quindi una struttura finanziaria integrata per assicurare stabilità, e questo va bene; poi an integrated budgetary framework, quindi una struttura anche di bilancio, e poi an integrated economic policy framework, quindi una struttura di politica economica integrata.
Ma solo all'ultimo posto dei quattro, mette l'aspetto che dovrebbe stare davanti a tutti, quello politico. E in realtà il vero problema non è se si sia capaci di fare una struttura finanziaria integrata, una struttura dei bilanci integrata, se si possano rendere coordinate le politiche economiche e tradurle in una politica economica comune. Il vero tema è se si è poi capaci di avere una legittimità democratica a livello continentale. La legittimità democratica deriva evidentemente dalla cessione di sovranità nazionali all'Europa. È questo il vero punto sul quale in realtà si gioca la partita. Quando ci si immagina con i framework precedenti di poter addirittura cambiare i bilanci dei singoli Stati - per carità - va benissimo, ma chi li cambia i bilanci dei singoli Stati? Può cambiarli una struttura che politicamente non ha la legittimità democratica per farlo? Può cambiarli la Banca centrale? Ma scherziamo! Chi li cambia? Per cambiarli ci vuole una struttura politica che sia una vera struttura di livello democratico, quindi una cessione di sovranità nazionale. Credo che questo poi sarà il punto fondamentale sul quale tutto andrà a giocarsi.
Soprattutto c'è un dato che spaventa di più in questo rapporto (è alla fine). Quando arriviamo alla fine, si chiede ai Governi di immaginare un calendario con il quale dare concretezza a queste proposte. Ma il tempo è già finito, che calendario volete che facciamo? Un calendario addirittura per preparare un primo rapporto per ottobre, e una tabella di marcia più concreta in dicembre: ma in dicembre può darsi che tutto già sia stato travolto. Non lo so se nessuno avverte il fatto che il nostro Paese in questo momento è totalmente sotto il tiro della speculazione, e nel giro di qualche settimana, dopo aver attaccato la Spagna, toccherà a noi, e se noi saremo in grado, o se altri saranno in grado, di farvi fronte.
Quando poi si rifiutano gli interventi che in qualche modo potrebbero togliere fiato alla speculazione, è difficile immaginare che quella si fermi al primo ostacolo. Quella va avanti perché capisce bene che ha di fronte un avversario che non è capace né di avere concretezza, né è capace soprattutto di unità, trattandosi di organismi collettivi fatti di 27 Paesi, e che quindi non ha di fronte un soggetto che è realmente coeso nell'affrontare la speculazione, ma un soggetto non coeso, cosa che è la concausa di ciò che stiamo vivendo. Se si fosse stati capaci di bloccare, di spezzare immediatamente (due anni fa, un anno e mezzo fa, quando è partita in Grecia) la speculazione internazionale, forse oggi non saremmo qui a discuterne. Se siamo qui a discuterne, è perché c'è stata una larga incapacità in Europa di gestire quel problema che a quel tempo era tutto sommato piccolo; e chi non ha saputo gestire un problema piccolo difficilmente ne potrà gestire uno grande, anche perché non ha avuto un ravvedimento operoso.
Quando continuiamo a far crollare il mercato, come è successo ieri, semplicemente dicendo: «no, gli eurobond sono qualcosa che non va fatto, sono sbagliati sul piano economico e politico», si dice una frase che è un macigno che pesa su tutto quello che sta avvenendo. Ed immaginare che si continui su questa strada, una strada fortemente caratterizzata dall'indecisione, non so se è motivato politicamente da elezioni che si terranno tra breve, o da altro; la storia ci ha dimostrato in questi mesi che gli elettori tedeschi non hanno premiato il loro cancelliere federale per aver tenuto la linea del rigore. Poi bisognerà pure che qualcuno faccia capire Pag. 24anche ai Paesi che stanno meglio che stanno meglio grazie al fatto che altri Paesi stanno peggio.
Non voglio fare chissà quale ragionamento, perché capisco benissimo che se noi stiamo peggio, è colpa nostra e non è che possiamo imputarlo alla Germania o ad altri Stati; però è anche vero che, nel momento in cui il gioco del cambio non ci ha più permesso di riequilibrare la mancanza di produttività, tale mancanza di produttività la si fa al contrario, a bocce ferme, solo riducendo di quel tanto salari, stipendi e redditi in funzione del ripareggio di quei conti che non si possono più pareggiare usando il cambio. Quando si arriva ad una situazione di questo tipo, però, è così evidente che ci si avvita attorno ad un meccanismo da cui assolutamente non si esce, proprio perché è avvitato su se stesso. Tutto ciò porta ad immaginare che il rigore serva per recuperare una produttività che non c'è. È dunque su un altro piano che si deve agire e non possono i Paesi che si sono avvantaggiati grazie a questo meccanismo, lavarsene oggi le mani o tenersi fuori realmente da questo processo. Evidentemente, non c'è ancora la consapevolezza che il crollo dell'Italia o, peggio, l'evidente crollo dell'euro a seguito di quello dell'Italia, finirebbe certamente con il danneggiare anche quei Paesi che fin qui si sono avvantaggiati.
Detto questo, che possiamo dire al Presidente del Consiglio in questi giorni? Noi abbiamo compilato una lista, un elenco di suggerimenti, ma voglio ribadire che in testa c'è la capacità di realizzare, certamente l'unione fiscale, certamente la vigilanza bancaria coordinata centralmente, e non più lasciata ai singoli Paesi, sicuramente le politiche di bilancio, ma tutto questo non servirà a nulla, perché nelle politiche di bilancio non è che si possa far finta che non esistano problemi di equità sociale da rispettare; perché questi problemi devono essere rispettati. Certamente li rispettano i Paesi che stanno bene, ma non può significare che i Paesi che hanno problemi debbano vedere spalancarsi la porta di una povertà senza soluzione, perché questo non è francamente immaginabile. In un'Europa unita, invece di avvicinarsi, se si aumentano ancora di più le differenze di reddito e le differenze, quindi, di livello di vita all'interno dell'Unione europea stessa, è evidente che ci si allontanerà sempre di più, anziché, appunto, avvicinarsi.
E, allora, in chiusura, ritorno a quello che dicevamo all'inizio: il primo punto deve essere proprio l'aspetto dell'unione politica. Va bene dar seguito a quegli altri tre pilastri di cui parla Van Rompuy oggi in questa lettera, ma non dimentichiamo ancora una volta - e su questo noi vogliamo sollecitare fortemente il Governo che sembra, tra i Governi dei Paesi importanti sul piano, non solo politico, ma anche economico dell'Unione europea, quello più titubante - la tassa sulle transazioni finanziarie, che va introdotta. Ho sentito, anche nel recente summit di Roma, che gli unici a manifestare perplessità, siamo stati noi italiani rispetto agli altri. Credo che ciò sia sbagliato per due motivi. Se questa perplessità la si vuole giustificare con il fatto che se non la introducono tutti, questa non serve, ciò non è vero. Infatti, le più grandi piattaforme sulle quali passano le transazioni, sono piattaforme raggiungibili e, quindi, tutte le transazioni che avvengono su queste piattaforme, che rappresentano l'80 per cento delle transazioni, sono incidibili, colpibili con questa tassa. Inoltre questa tassa può permettere, da un lato, di raffreddare la speculazione e, dall'altro, di mettere a disposizione 50 o quanti saranno miliardi di euro con i quali finanziare interventi infrastrutturali che, sicuramente, potrebbero aiutare la crescita. Credo che questi siano i punti sui quali il nostro Governo e il nostro Presidente del Consiglio dovrebbero puntare nei prossimi giorni (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Consiglio, che illustrerà anche le mozioni Dozzo nn. 1-01096 e 1-01065, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

Pag. 25

NUNZIANTE CONSIGLIO. Signor Presidente, rappresentanti del Governo, la nostra mozione, a prima firma del nostro capogruppo, tocca nel vivo il Trattato sulla stabilità, il fiscal compact anche noto come patto di bilancio. Tre nomi per dire più o meno la stessa cosa, quanto andremo a specificare in questa mozione, riguardo alla quale l'atteggiamento dell'Europa non sempre ci ha trovato d'accordo, anche se siamo stati per molto tempo e siamo tuttora europeisti convinti per quanto non di questo tipo di Europa.
Il 2 marzo 2012, venticinque Stati su ventisette hanno firmato il Trattato. Non l'hanno fatto né il Regno Unito né la Repubblica Ceca. Il Trattato contiene quelle che vengono chiamate le regole d'oro, regole che disciplinano il principio dell'equilibrio di bilancio e che tendono a rafforzare l'obbligo di introduzione negli ordinamenti nazionali di un vincolo costituzionale riguardante proprio il pareggio di bilancio. Giusto per la cronaca, signor Presidente, vorrei ricordare che il Trattato è stato elaborato in prima battuta da un apposito gruppo di lavoro che ha trovato non poche difficoltà, tanto che rispetto al testo originario i negoziati hanno apportato molte modifiche, alcune delle quali veramente importanti e significative: modifiche che le varie delegazioni al Parlamento europeo hanno ottenuto esercitando peraltro forti pressioni.
Rammento anche che il Parlamento europeo, il 18 gennaio 2012, aveva approvato una risoluzione particolarmente critica nei confronti del testo sino ad allora disponibile. In particolare il Parlamento europeo aveva espresso perplessità su un siffatto accordo intergovernativo ritenendo più efficaci il quadro del diritto dell'Unione e il metodo comunitario per realizzare gli stessi obiettivi di disciplina di bilancio e per realizzare una vera unione economica e fiscale. Si chiedeva, altresì, in questo documento una maggiore valorizzazione dei Parlamenti nazionali reiterando l'appello a che l'impegno non fosse soltanto rivolto alla stabilità ma anche alla crescita sostenibile. Sarebbe a questo proposito necessario valutare - questa è una sollecitazione che intendiamo lanciare con la nostra mozione - se non sia opportuno mettere mano alla nostra Costituzione affinché le cessioni di sovranità imposte dall'integrazione europea passino attraverso il procedimento di revisione costituzionale. Pur trattandosi di un accordo formalmente al di fuori del quadro istituzionale dell'Unione, sostanzialmente si muove nel senso di una federalizzazione della materia della governance economica. Vengono introdotti meccanismi di controllo sulla finanza pubblica addirittura più stringenti rispetto all'esperienza di alcuni Stati federali. Il fiscal compact prevede che gli Stati contraenti debbano avere i bilanci in pareggio o in avanzo, entrambi espressi in termini strutturali, cioè al netto degli effetti sul bilancio del ciclo economico e delle misure una tantum e temporanee.
L'obbligo di inserire in Costituzione il pareggio di bilancio, come previsto dal Trattato, impone una nuova Costituzione economica, comportando la cancellazione della possibilità da parte delle istituzioni pubbliche di intervenire nella gestione dell'economia con provvedimenti anticiclici. Con un Trattato di carattere internazionale si interviene per modificare la Costituzione, la legge fondamentale, la prima nella gerarchia delle fonti. A decidere le politiche fiscali non saranno più le rappresentanze elette ma le tecnocrazie della BCE ed i Governi riuniti nel Consiglio europeo con la collaborazione della Commissione e del vertice europeo. In occasione degli avvenuti incontri a Bruxelles dell'Eurogruppo e dell'Ecofin di fine gennaio scorso, finalizzati alla messa a punto del cosiddetto fiscal compact, era già state evidenziata in sede parlamentare la preoccupazione di aderire ai rigidi obiettivi del six-pack, con richiesta al Governo di concordare una tempistica graduale per la riduzione del debito pubblico per tener conto della grave recessione e dell'obiettivo primario di sostenere la ripresa della crescita del PIL, senza la quale si annullano le possibilità di pagare il debito contratto.
Alla luce della ripresa delle turbolenze finanziarie degli ultimi giorni, che hanno Pag. 26nuovamente causato il rialzo dello spread rispetto ai titoli di Stato tedeschi ed in vista dei prossimi appuntamenti decisivi del vertice europeo del 28 e 29 giugno, si conferma la necessità di concordare ed adottare in sede europea misure per la crescita della zona euro, nonché attivare tutti gli strumenti per arginare la crisi interna ai Paesi europei. Di fatto le ultime preoccupanti proiezioni di crescita del nostro PIL, secondo l'ISTAT, rilevano una recessione ancora più marcata, in quanto nel prossimo trimestre del 2012 il PIL ha registrato una flessione dello 0,8 per cento, segnando un record dal 2009. Tali proiezioni più negative confermano la difficoltà di poter rispettare un rigoroso impegno di riduzione del debito pubblico, come previsto appunto da questo trattato.
Il rigore dei conti pubblici, che tra l'altro noi abbiamo sempre sostenuto ormai credo da 20 o 25 anni e a cui l'Italia dovrebbe sicuramente far fronte con questioni interne, è accompagnato da un incremento della pressione fiscale ed ha causato una maggiore recessione. Consideriamo tra le altre cose, signor Presidente, che perdere la sovranità sulla politica fiscale dopo aver perso anche quella monetaria significa ridurre enormemente i margini di manovra di un Paese. Questo, signor Presidente, vuol dire che non saremo più noi a decidere in piena libertà delle nostre voci di spesa, il livello di tassazione e via dicendo, ma ci sarebbe e ci sarà un Ministro europeo dell'economia a mettere i paletti e a dare direttive vincolanti. Spiace molto, questo ve lo abbiamo già rimproverato dai primi giorni, quando vi siete insediati. Vi vorremmo ricordare l'accantonamento del federalismo fiscale, da voi molto semplicemente messo in un cassetto. Peccato, perché con quello avremmo già sicuramente potuto mettere mano ad una spending review che è diventata così pomposa nell'espressione, ma che probabilmente non avrà questi grandi risultati.
L'attuale governance europea non si è rivelata capace di proteggere la zona euro dalle forti crisi internazionali provenienti dagli Stati Uniti - anche qui fa molto specie che il Presidente degli Stati Uniti dia la colpa all'Europa, si vede proprio che siamo in campagna elettorale -, anzi, le pressanti richieste all'Italia in un contesto di recessione hanno indotto l'attuale Governo tecnico in carica ad adottare pesanti misure, che hanno depresso la nostra economia con gravi ripercussioni sulla crescita del PIL; e senza un aumento del PIL io non so come faremo a pagare le tasse e non so come faremo a far sì che questo Paese cresca. Lo scenario che si prospetta per l'Italia a seguito dell'approvazione del suddetto accordo si configurerebbe in termini piuttosto drammatici, visto che secondo le condizioni in esso previste il Paese sarà chiamato a diminuire per 20 anni consecutivi il proprio debito pubblico di ben tre punti percentuali del PIL ai valori del 2012, il che equivarrebbe ad un ammontare complessivo di circa 48 miliardi di euro annui, ossia all'entità della manovra che si è concretizzata nella adozione del cosiddetto decreto «salva Italia».
Credo di entrare però un po' nel merito della nostra mozione, presentata dalla Lega: il referendum è uno strumento di esercizio della sovranità popolare sancito dall'articolo 1 della Costituzione ed è una fonte del diritto primario che vincola i Paesi rispetto alla volontà del popolo. Direi anche che la lavorazione di quello che viene chiamato il cosiddetto fiscal compact e di tutti gli altri strumenti in cui si articola la governance economica europea costituisce, per le modalità di elaborazione come quelle di attuazione, una delle più gravi lesioni mai prodotte dall'Unione europea alla sovranità nazionale e alla legittimità democratica. Gli atti normativi del cosiddetto six pack, il patto europlus, il fiscal compact, il trattato istitutivo del meccanismo europeo di stabilizzazione, le varie dichiarazioni del Consiglio Europeo e dei vertici dei Capi di Stato e di Governo dell'area euro hanno introdotto o prevedono l'introduzione di vincoli, parametri sempre più rigorosi non solo alle finanze pubbliche nazionali, ma anche alle politiche economiche. Si tratta quindi di misure che incidono profondamente sulla sovranità degli Stati membri e Pag. 27che possono alterare il modello socio-economico di ciascuna area e di ciascun popolo.
Ebbene, nonostante la loro forza dirompente, il fiscal compact e gli altri atti che richiamavo prima sono stati predisposti attraverso negoziati a livello intergovernativo, di cui sono state fornite solo in modo frammentario e occasionale informazioni ai parlamentari.
In altri termini - e mi accingo a concludere -, i nuovi vincoli ed obiettivi che ipotecheranno il nostro futuro sono il frutto di accordi tra tecnocrati europei e nazionali, in buona parte dettati dalla Germania e dai suoi alleati e ritoccati dai Ministri e dai Capi di Stato di ogni singolo Governo, di cui ora si vuole imporre la mera ratifica ai Parlamenti nazionali sotto la pressione dei mercati per l'aggravarsi della crisi.
Vorrei svolgere un'ulteriore considerazione: la Lega Nord, con questa mozione, vuole rimediare all'esclusione dei cittadini dalla partecipazione al processo normativo e decisionale comunitario, proponendo di indire un referendum ad hoc sull'adesione al trattato sul fiscal compact. Ancora poche parole, e concludo. Con riferimento al referendum che si è svolto in Irlanda, vorrei dire che mentre lì il Paese si è espresso in un certo modo, in modo positivo, qui vi è stata una pressione da parte del Governo e, dunque, più per paura che per convinzione, si è votato in un certo modo, visto che il Governo ha fatto una campagna elettorale in cui ha cavalcato l'equazione «no al fiscal compact uguale porte aperte alla crisi economica».
Pertanto, credo che questa mozione possa essere presa in seria considerazione, visto che vi è un buon fondamento di verità in ciò che è stato testé esposto (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ciccanti, che illustrerà la mozione Galletti, Della Vedova ed altri n. 1-01098, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

AMEDEO CICCANTI. Signor Presidente, signori Ministri e sottosegretari, onorevoli colleghi, il Consiglio europeo del 28 e 29 giugno, secondo le indicazioni emerse dal Consiglio europeo informale del 23 maggio scorso, dovrebbe incentrarsi sui seguenti temi: su quali misure di stabilizzazione adottare per l'Eurozona, su quali iniziative puntare per la crescita economica, su quali ipotesi lavorare per un'ulteriore integrazione politica dell'Unione europea e su quali elementi della strategia europea 2020 agire per favorire la crescita, modificando il quadro finanziario pluriennale 2014-2020. La discussione sui primi tre punti si svolgerà sulla base di una relazione predisposta dal Presidente del Consiglio europeo, Van Rompuy, concertata con Mario Draghi, Barroso e Junker. La relazione dovrebbe individuare i principali elementi costitutivi e un metodo di lavoro per aprire una nuova fase nell'unione monetaria europea.
In questi mesi, il dibattito politico si è acceso, sia in Italia che in Europa e nel mondo, soprattutto nella finanza internazionale, su quali strumenti poteva contare l'Eurozona per fronteggiare la crisi dei debiti sovrani determinata dagli attacchi speculativi dei mercati finanziari. Su una questione tutti convengono, come anche le mozioni presentate: la debolezza dell'euro è determinata dalla debolezza delle istituzioni politiche europee. Si tratta, quindi, di individuare nuovi strumenti di sostegno a favore dei Paesi colpiti da crisi del debito sovrano, ma, soprattutto, di individuare quali istituzioni europee dovranno gestire detti strumenti e con quali regole.
Credo che il mandato al Presidente Monti debba essere dato nella forma più ampia, ma realistica. In questo senso, è improntata la mozione a firma degli onorevoli Galletti e Della Vedova. Chiedere di attivare subito eurobond e stability bond significa mettersi fuori dall'ordine del giorno del Consiglio europeo prossimo: è una valutazione di medio e lungo termine, e come tale va concepita. È realistico, invece, parlare di project bond, perché sono già, in realtà, nel quadro finanziario pluriennale 2014-2020 per finanziare le grandi reti transeuropee. Chiedere un aumento del capitale BEI e l'avvio, entro Pag. 28questa estate, di una fase pilota di prestiti obbligazionari per il finanziamento di progetti ad alto contenuto di crescita è un dato credibile e realistico. È credibile, invece, insistere sul Fondo europeo di redenzione - European redemption fund -, soprattutto, perché formulato dal consiglio degli esperti economici della cancelleria tedesca?
Si tratta di valutarne la ricaduta sul nostro debito pubblico, dal momento che la parte eccedente il 60 per cento del debito diverrebbe dell'eurozona in quanto più appetibile della quota nazionale. Tra l'altro, va detto che già il fiscal compact prevede il rientro nazionale in venti anni del 60 per cento del debito pubblico, quindi staremo su quella linea.
Al Presidente Monti spetta, inoltre, insistere sull'introduzione della golden rule, ossia la riclassificazione dei parametri del Patto di stabilità e crescita riguardanti gli investimenti e i debiti della pubblica amministrazione nei confronti delle imprese. Sappiamo che è un'impresa difficile dopo la bocciatura dell'emendamento Gualtieri sul «two pack» ma è l'attesa espressa in tutti i documenti europei della Camera. La creazione di un sistema di garanzia dei depositi, un fondo europeo di risoluzione per i fallimenti bancari perché non ricadono più sui cittadini contribuenti, una più forte centralizzazione della vigilanza bancaria, rappresenteranno, insieme al rafforzamento dell'unione di bilancio, anche l'unione bancaria. Manca da realizzare l'unione politica; manca il percorso che è stato proposto con la risoluzione al Documento di economia e finanza dello scorso 26 aprile, al quale ho dato il mio contributo nella scrittura: la Costituzione degli Stati Uniti d'Europa. Cedere sovranità alle istituzioni europee per un ombrello europeo che ci ripari dagli attacchi della speculazione della finanza internazionale è un vantaggio non solo per l'Italia e i Paesi dell'eurozona ma anche per una equilibrata fase di transizione del processo di globalizzazione in atto dove non dobbiamo creare macerie per le future generazioni. Al nostro Primo Ministro noi abbiamo dato una grande fiducia; l'Europa e i leader dei maggiori Paesi del mondo ripongono nel nostro Presidente Monti altrettanta grande fiducia; come è stato detto dal presidente Obama al Premier Monti: lei non ha salvato l'Italia ma ha salvato l'Europa. In pochi mesi di Governo il Ministro Monti ha confermato una statura da leader mondiale; questa meritata credibilità sarà utile all'Italia e all'Europa nel prossimo Consiglio europeo. Il Presidente Monti usi tutta questa credibilità; l'UdC e il Terzo Polo sosterranno con grande patriottismo italiano ed europeo questi sforzi del Ministro Monti perché, in essi, c'è una domanda di futuro e di sicurezza per i giovani e le donne e soprattutto per i ceti sociali meno abbienti che non possiamo tradire. Ecco perché il nostro sostegno sarà convinto (Applausi dei deputati dei gruppi Unione di Centro per il Terzo Polo e Futuro e Libertà per il Terzo Polo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Nicco. Ne ha facoltà.

ROBERTO ROLANDO NICCO. Signor Presidente, signori membri del Governo, colleghe e colleghi, l'Europa è per noi, minoranze linguistiche, Valle d'Aosta e Sudtirolo, un punto di riferimento essenziale ed irrinunciabile per la nostra stessa connotazione geopolitica. Ma quale Europa? Oggi al centro delle discussioni vi è la questione della crescita che è, certo, una questione essenziale e, tuttavia, non vorremmo che diventasse un nuovo totem da idolatrare acriticamente. Diceva bene, recentemente, il presidente della Conferenza episcopale: il mito della crescita progressiva e inarrestabile è entrato definitivamente in crisi; forse non ci siamo domandati se il fenomeno sarebbe durato all'infinito, se fosse realistico pensare di crescere ogni anno di più e - aggiungeva - ad una crisi epocale si deve rispondere con un cambiamento altrettanto epocale, di mente innanzitutto. Intendiamoci, niente venature pauperistiche, ma neppure freddo e asettico economicismo. Nel vorticoso susseguirsi di consessi europei e internazionali vorremmo che si ragionasse Pag. 29non solo di PIL, spread e mercati, ma si ritornasse alla centralità dell'uomo. Vorremmo parimenti che si concretizzasse uno sforzo congiunto dei Paesi europei per affrontare quello che a noi pare essere, oggi, il tema cruciale: il ruolo particolarmente odioso, cinico e inaccettabile della finanza speculativa.
Il presidente della Consob, nella sua recente relazione, ha denunciato senza incertezze come il sistema finanziario abbia in parte - e noi diremmo largamente - derogato alla fondamentale funzione di canalizzare il risparmio verso l'economia reale e lo sviluppo, per lasciare spazio, per assecondare, per farsi complice interessato di bolle speculative e di creative innovazioni finanziarie: i cosiddetti prodotti tossici, che hanno bruciato i risparmi delle famiglie e sono diventati fonte di rischi sistemici.

PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Nicco.

ROBERTO ROLANDO NICCO. Concludo, signor Presidente. Anche su questo ci aspettiamo che il Consiglio europeo voglia e sappia intervenire incisivamente (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Minoranze linguistiche).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Della Vedova. Ne ha facoltà.

BENEDETTO DELLA VEDOVA. Signor Presidente, ringrazio il collega Ciccanti per avere illustrato la mozione Galletti e Della Vedova n. 1-01098, che anche a nome del gruppo Futuro e Libertà ho firmato. Signor Presidente, mi faccia fare una piccola annotazione: non so se vi sono ancora i margini, ma credo che i tempi forse suggerirebbero la possibilità di arrivare a una mozione comune, almeno delle forze che sostengono esplicitamente il Governo. Al Consiglio europeo che si avvicina l'Europa arriva in un clima di grandissima incertezza, di grandissima preoccupazione, ma forse con un livello di consapevolezza che i rischi che stiamo sperimentando ci impongono di fare un salto di qualità dal punto di vista delle politiche, ma anche dal punto di vista della necessità di affrontare quella che potremmo definire ormai la disfunzionalità della costruzione comunitaria, la disfunzionalità istituzionale, proprio perché è vero che la crisi non è nata in Europa, ma non deve essere una crisi che deflagra in modo irreversibile dall'Europa.
Quindi, è necessario un salto di qualità, vero; sono necessarie decisioni vere, credibili, che da una parte convincano le opinioni pubbliche dei Paesi europei del peso della crisi e della necessità di risposte comuni, e che dall'altra diano un segnale importante ai mercati sul fatto che il tempo delle discussioni è compiuto, ora deve venire il tempo delle decisioni. Credo che il Governo italiano abbia maturato in questi mesi - è stato detto, ma ci tengo a ripeterlo - la credibilità, la forza, l'autorevolezza per essere protagonista - e non sono parole retoriche - di questo salto di qualità e di queste decisioni che devono arrivare per dare all'Unione europea strumenti di efficacia che, sino ad oggi - ed è sotto gli occhi di tutti - sono mancati, ed è mancata l'efficacia anche degli strumenti che sono stati messi in campo.
È chiaro che la linea del rigore è imprescindibile, per chiunque sia indebitato, una famiglia un'impresa o uno Stato, ma è anche il momento di guardare in faccia la realtà, e credo che noi possiamo partire dall'esempio - virtuoso, da questo punto di vista - dell'Italia. La realtà che dobbiamo guardare in faccia è che il rigore, il contenimento, di per sé non può essere la soluzione. Gli sforzi di razionalizzazione della spesa pubblica e la stretta fiscale che abbiamo implementato hanno portato oggi l'Italia ad avere un avanzo primario del 4-5 per cento, che viene conseguito in un periodo di recessione, con il PIL che scende presumibilmente del 3 per cento, e nonostante ciò il disavanzo pubblico è più basso della media europea. Ciò rende evidente, a partire dalla virtuosità che dobbiamo rivendicare di questo tratto della storia italiana, che la stabilizzazione dei conti pubblici e l'alleggerimento della tensione sui tassi di interesse Pag. 30non passa - perché questo è dimostrato, e quindi non può passare neanche in futuro - per ulteriori manovre, per ulteriori interventi di sola finanza pubblica.
È chiaro che se questi sono, nella dizione ormai diventata comune, i compiti a casa, questi compiti a casa, eseguiti nel modo più scrupoloso e ligio possibile, non sono una soluzione se non vengono fatti anche nella casa comune europea. Dobbiamo uscire dal dilemma per cui noi diciamo che abbiamo bisogno di un alleggerimento nel costo del debito pubblico, mentre facciamo le riforme. Qualcuno, magari da Berlino, ci risponde che abbiamo avuto dieci anni senza pressione sui nostri debiti pubblici, sfruttando tassi di interesse tedeschi, che non abbiamo fatto i compiti e di iniziare a farli ora. Dobbiamo sgombrare il campo da questa discussione apodittica, che non ci porta da nessuna parte. Abbiamo visto che i sostegni alle banche spagnole non hanno dato nell'immediato i risultati che si immaginava potessero dare e dobbiamo decidere che le pur evidenti responsabilità passate dei singoli Paesi non possono essere trasformate in un capro espiatorio che porta l'Europa sull'orlo del baratro.
Ci capitò di dire sei mesi fa che l'Europa è una cordata: se cade l'ultimo della cordata, il primo forse può pensare di salire comunque, se cade il secondo comincia a fare fatica, ma se cade il terzo e poi il quarto l'intera cordata della zona euro cade. È chiaro che scontiamo gli errori del disegno istituzionale e la disapplicazione discrezionale delle regole che l'unione monetaria si era data e che sono ancora oggi le regole dell'unione monetaria, quelle di Maastricht, pensate in un mondo diverso, quando probabilmente nessuno immaginava la potenza con cui sarebbero arrivate, a seguito di equilibri demografici ed economici che sono cambiati prepotentemente dagli anni Novanta, nuove potenze, nuove forze e nuove competizioni. Forse allora si pensava ad una crescita duratura senza momenti di crisi, ma quell'errore istituzionale è stato complicato e reso difficile - fa bene il Presidente Monti a ricordarlo - dal fatto che a un certo punto si è tollerata la disapplicazione di quelle regole. Certo, noi abbiamo acconsentito che quelle regole venissero disapplicate, ma lo furono in particolare dalla Germania e dalla Francia. È vero che in quella fase la Germania, grazie ad un auto-allentamento dei vincoli di bilancio, mise in campo riforme virtuose, ma c'è un recentissimo studio di esperti del Fondo monetario internazionale che spiega come, in una fase di recessione con una contemporanea stretta di bilancio, una fase virtuosa diventa difficile, ai limiti dell'impossibile, farla partire.
Noi abbiamo presentato questa mozione prima di leggere il documento del Presidente del Consiglio europeo Van Rompuy, peraltro esteso autorevolmente con il Presidente dell'Eurogruppo e con il Presidente della Banca centrale europea (quindi immaginiamo un documento che sia più di un suggerimento), ed abbiamo impegnato su una serie di questioni il Governo, come ha richiamato il collega Ciccanti.
Oggi vediamo degli impegni molto forti in termini di condivisione delle responsabilità: l'unione bancaria e fiscale, ma anche impegni comuni sui bilanci pubblici, molto stringenti. Lo ha richiamato prima il collega Gozi. Nel documento si dice che bisogna arrivare a stringere contemporaneamente l'integrazione economica e fiscale ed elementi di progressiva integrazione politica. Detto così è un elemento sacrosanto, ma noi siamo preoccupati non solo per ragioni di architettura istituzionale europea, ma anche per ragioni di tenuta democratica, di consenso delle opinioni pubbliche su due questioni.
In primo luogo, se questa dovesse essere la traccia del documento finale, sia esplicitato il richiamo ad una tempistica credibile e vincolante. In secondo luogo, probabilmente non negli stessi tempi, sia chiara la necessità irreversibile di un progetto di riforma istituzionale che accompagni le misure che qui sono indicate con una legittimazione democratica, che può avvenire solo transitoriamente attraverso il Consiglio europeo e un coinvolgimento Pag. 31non meglio definito dei parlamenti nazionali e naturalmente del Parlamento europeo.
Questo è il tempo in cui dobbiamo cogliere l'occasione per ripensare l'architettura della governance economica, perché altrimenti anche chi oggi sta bene, pensa o crede di stare bene, grazie magari a quegli squilibri commerciali e finanziari che si sono prodotti all'interno del continente, potrebbe in prospettiva vedere compromessi i livelli di capacità di produrre e distribuire ricchezza che sono stati raggiunti.
Ci vogliono gli strumenti che mettano un argine alla crisi e all'esodo di liquidità dall'area euro, che magari oggi ha un parcheggio nelle aree forti dell'euro, ma che domani potrebbe determinare una crisi complessiva di liquidità per tutti i paesi dell'euro. Quindi, dobbiamo far crescere la legittimità democratica a livello continentale sulle misure comuni che vengono indicate, non per rinunciare alla sovranità democratica che oggi si esprime nei parlamenti e nei consessi nazionali, ma per condividere con altri la sovranità democratica nel momento in cui siamo pronti, secondo questi documenti e secondo quanto è necessario, a condividere la governance economica e i bilanci dei singoli Stati. Dobbiamo condividere questo e forse è venuto il momento per cui anche l'Unione europea faccia proprio il motto latino degli Stati Uniti e magari fra cinque o dieci anni avremmo scritto anche sull'euro «E pluribus unum». Noi riteniamo - e questo è lo sforzo che abbiamo fatto con questa mozione - che il Governo italiano vada sostenuto e non vincolato, che abbia dimostrato con la forza espressa nelle riforme nazionali (poi discuteremo: c'è sempre una riforma più bella di quelle che vengono fatte e spesso è la riforma che non si fa mai). Tuttavia, grazie all'autorevolezza conquistata anche sul terreno concreto del Governo del Paese, noi crediamo e spingiamo il Governo italiano ad andare a forzare in quella direzione, perché le mediazioni questa volta siano al rialzo e non, come siamo stati abituati, al ribasso.
Credo che abbiamo tutti la consapevolezza - per questo il mio richiamo iniziale ad un auspicio generico a una mozione comune - che i tempi sono difficilissimi, sono tempi cruciali e lo resteranno per semestri e semestri, e la necessità di un Parlamento nazionale unitario che sostiene l'azione di un Governo - quello che c'è, poi ci saranno le elezioni e ce ne sarà un altro - è un segno di responsabilità nell'interesse di tutti cittadini italiani, che non è così dissimile dall'interesse di tutti i cittadini europei (Applausi dei deputati dei gruppi Futuro e Libertà per il Terzo Polo e Unione di Centro per il Terzo Polo e di deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Maggioni. Ne ha facoltà.

MARCO MAGGIONI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, rappresentanti del Governo, voglio iniziare il mio intervento con una citazione: «L'idea, nata nel dopoguerra, per scongiurare altre guerre tra Stati europei, sta ora partorendo un mostro che non genererà né democrazia, né stabilità, né vantaggi economici per tutti. Non può generare democrazia perché il suo Parlamento non legifera. È l'Europa dei grandi capitalisti. Il popolo, gli artigiani, gli imprenditori e i cittadini non ci sono oggi, né tanto meno ci saranno domani perché non potrà mai nascere un'Europa politica».

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANFRANCO FINI (ore 15,35)

MARCO MAGGIONI. E ancora: « (...) Le leggi finanziarie degli Stati si ridurranno ad un semplice fax inviato da Bruxelles, dal Consiglio d'Europa, terminale europeo delle cento grandi famiglie europee. Con l'ingresso in Europa l'Italia non avrà più a sua disposizione la leva monetaria, cioè, se le mancano i quattrini, non potrà più stampare altri titoli di Stato per favorire l'economia, non potrà più svalutare la moneta perché le resterà solo la Pag. 32leva fiscale e i quattrini dovrà toglierli, maledettamente subito, dalle tasche dei cittadini, evidentemente aumentando la pressione fiscale».
Con queste lungimiranti parole, il segretario federale della Lega Nord, Umberto Bossi, il 28 marzo 1998, tracciava in un suo intervento a Milano quanto sarebbe accaduto in Europa di lì a pochi anni. Sono trascorsi quattordici anni da allora e la stessa Europa vive oggi uno dei momenti più difficili, forse il più complesso dal dopoguerra ad oggi.
Si sostiene in questi giorni che l'Unione europea è ad un bivio e ciò corrisponde al vero, tuttavia la scelta non è se difendere l'euro, bensì se procedere forzatamente verso un'ancora più forte integrazione europea, oppure permettere ai popoli europei, con le loro specifiche peculiarità che travalicano i confini degli Stati membri, di affrontare e superare la crisi economica e politica del continente.
Fino ad oggi abbiamo assistito ad una sistematica mistificazione dei contenuti dell'integrazione europea. Si è costruita un'Europa con ventisette Stati membri estremamente differenti per storia, cultura, lingua ed economia. La sola identità comune, che è quella religiosa, con il cristianesimo, non è mai stata riconosciuta ufficialmente. Come se ciò non bastasse, è stata adottata da diciassette Paesi membri una moneta unica che non è in grado - per sua natura - di interpretare le differenti esigenze economiche e finanziarie degli Stati che l'hanno introdotta. La negazione tronfia e sprezzante dei moniti che pur si sono levati in questi anni da chi, come la Lega Nord, temeva il verificarsi dell'instabilità economica che stiamo vivendo, non ha avuto limiti. Euroscettici e antieuropeisti sono solo alcuni degli insulti che ci hanno rivolto coloro che invece difendevano questa Europa, e non ne cito altri per il rispetto che si deve a quest'Aula.
Dove sono finiti ora i sostenitori dell'euro e dell'Europa, ad ogni costo foriera di benessere e di ricchezza diffusa? Oggi, certo è meno frequente incontrarli, al punto che chi, fino a ieri, sosteneva l'ingresso della Turchia in Europa oggi, maldestramente, parla addirittura della inopportunità della permanenza del nostro Paese nell'area euro. Benedetta incoerenza!
Tuttavia, a ben guardare, i tifosi dell'euro e dell'Europa ad ogni costo sono ancora ben radicati nelle istituzioni e lei, Presidente Monti, è uno dei maggiori esponenti. Il Presidente del Consiglio, al pari dei predecessori che negli anni Novanta hanno firmato i trattati internazionali in materia di integrazione europea, ha una considerazione pressoché nulla dell'importanza dei cittadini nel quadro del processo di completamento delle istituzioni europee. Ne ha dato prova lo scorso 2 marzo quando, con altri ventiquattro Paesi membri, ha sottoscritto il fiscal compact senza informare né il Parlamento, né tantomeno i cittadini. I contenuti di questo Accordo sono pesantissimi: forse, Presidente, pensa che, se il popolo conoscesse gli impegni che lei ha sottoscritto con il denaro altrui, maturerebbe seri dubbi sulla folle corsa all'integrazione forzata del nostro Paese all'Unione europea? Stante il debito pubblico di oltre 1.900 miliardi di euro della Repubblica italiana e l'obbligo contenuto nel fiscal compact di dimezzare il debito stesso in relazione al PIL in venti anni, chi pagherà l'anno prossimo i 48 miliardi necessari a rispettare tale impegno? I cittadini, le imprese padane o entrambi?
Vedete, membri del Governo, oggi i cittadini non conoscono cosa li attende. Provate a chiedere agli stessi cittadini cos'è il fiscal compact, cos'è la spending review, cos'è l'European redemption fund, cosa sono i tanto citati firewalls che il Presidente Monti ci espone in ogni intervento in Aula.
Ai colleghi del Partito Democratico, dell'Unione di Centro e del Popolo della Libertà dico: non dimenticatevi dei cittadini. È inutile parlare con slogan altisonanti quali «siamo per l'Europa dei popoli» e poi abusare di termini inglesi sconosciuti al popolo stesso e, ancora peggio, celare i costi della vostra cara Europa. Pag. 33
State cedendo sempre più sovranità alle istituzioni comunitarie, senza rendervi conto che non ci rimane più nulla in termini di politica economica autonoma da porre in essere a sostegno della nostra economia. Non passa giorno senza che, in quest'Aula, esimi esponenti delle forze politiche che sostengono il Governo Monti ribadiscano che le piccole e medie imprese rappresentano la spina dorsale dell'economia del Paese. Orbene, come pensate di aiutare queste imprese, se le politiche monetarie vengono decise a Francoforte e le politiche fiscali o di protezionismo delle nostre produzioni sono adottate, senza possibilità di appello, a Strasburgo o a Bruxelles?
Parlate di integrazione: voi volete trasferire ancora più potere alla Commissione europea, organo esecutivo non eletto dai cittadini, ma composto da nominati degli Stati membri. Il 28 e 29 giugno molte di queste incongruenze emergeranno con forza: le avvisaglie sono chiare, ne abbiamo già avuto riscontro nelle settimane scorse, incontrando, per due volte, in XIV Commissione, una delegazione di parlamentari tedeschi del Bundestag.
La loro posizione è molto chiara e mira a non riconoscere alcuna deroga agli Stati membri che oggi versano in gravi difficoltà rispetto agli impegni presi con l'Unione europea, la Banca centrale europea e il Fondo monetario internazionale. I tedeschi sanno che, troppo spesso, «deroga» ha fatto il pari con «lassismo» e non si fidano più dei partner europei.
Non è la Cancelliera Merkel l'ostacolo, ma è la struttura dell'Unione europea a rendere difficile il trovare una via d'uscita alla fase attuale. State inseguendo i mercati finanziari e le loro logiche: non riuscirete a sintonizzarvi con essi, perché, mentre le istituzioni devono avere come obiettivo il benessere della moltitudine dei propri cittadini, invece i poteri finanziari perseguono la logica del profitto massimizzato a vantaggio di pochi soggetti.
La strada maestra è di tornare sovrani del proprio debito pubblico, che oggi, per più della metà, è in mani straniere. La strada maestra è tornare sovrani, insomma, del proprio Paese. L'invito è chiaro, Presidente Monti; l'alternativa è drammatica per il Paese, ma, soprattutto, per l'economia padana. Le parole e le belle intenzioni non servono più a nulla (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Galletti. Ne ha facoltà.

GIAN LUCA GALLETTI. Signor Presidente, Presidente Monti, noi non cerchiamo pretesti. Noi siamo certi, Presidente Monti, che nessuno meglio di lei sarà in grado, domani, di negoziare la posizione dell'Italia in Europa. Chi tuona oggi era pecora ieri. Oggi è il momento della responsabilità. Lei va in Europa forte di un lavoro di sette mesi. In questi sette mesi, grazie a lei e alla maggioranza che l'ha sostenuta, abbiamo fatto riforme importantissime.
Le voglio ricordare (troppo spesso ce le dimentichiamo): il decreto «salva Italia», le liberalizzazioni, le semplificazioni, la riforma della giustizia, domani completeremo il percorso della riforma del lavoro, il decreto «sviluppo», che ci attende nel mese di luglio. Queste cose la rendono più forte in Europa, rendono la posizione dell'Italia più credibile, grazie alle riforme e, soprattutto, grazie al consenso e alla stima di cui lei gode in Europa e nel mondo.
Oggi possiamo dire, al contrario di ieri, di avere le carte a posto per andare in Europa a rappresentare in maniera forte la posizione dell'Italia. Non voglio entrare nei tecnicismi: li abbiamo già previsti nella mozione che, insieme al gruppo di Futuro e Libertà, abbiamo presentato e crediamo che quei tecnicismi li conosca meglio lei di quanto possiamo conoscerli noi. Voglio fare due sole considerazioni.
La prima: voglio dire a tutti, non solo in questo Parlamento, ma ai cittadini italiani, che le riforme che abbiamo fatto, alcune anche impopolari e difficili per un Parlamento, sono quelle riforme che per anni noi, e anche molti di voi, abbiamo richiesto a gran voce in quest'Aula e nei comizi che facevamo e facevate fuori. Pag. 34
Queste riforme non servono per stare in Europa, ma servono soprattutto al Paese. Non le dobbiamo adottare per una questione economica o per portare un'Italia più forte in Europa. Certo, servono anche a questo, ma servono soprattutto ad una cosa ben più importante, ossia a realizzare quel patto generazionale indispensabile per dare un futuro ai nostri figli. Servono a questo, non ad altro. Dobbiamo far capire che i sacrifici di oggi non servono a tenere i conti a posto, non servono a fare abbassare lo spread, ma serviranno alle generazioni che verranno per avere un futuro migliore di quello che invece avrebbero avuto in assenza di questa politica! Stiamo parlando di trovare un posto di lavoro, di potersi permettere di avere dei figli e di potersi sposare all'età giusta, di avere delle opportunità grazie al merito e allo studio. Queste riforme vogliono dire questo.
Certo, molti dicono che si sarebbe potuto fare meglio. Figuratevi, anche noi condividiamo, tutto si può fare meglio. Io, però, non dimentico da dove siamo partiti. Siamo partiti, a novembre dell'anno scorso, con un Paese che era sull'orlo del fallimento. Troppo spesso dimentichiamo questo, troppo spesso (Applausi dei deputati dei gruppi Unione di Centro per il Terzo Polo e Futuro e Libertà per il Terzo Polo e del deputato Cambursano)!
Se oggi siamo qui e possiamo parlare della nostra presenza domani in Europa è solo grazie al lavoro che questo Governo ha fatto, con l'aiuto del Parlamento, in questi mesi. Che nessuno pensi che sia venuto il momento del rilassamento, voglio chiamarlo così. È ancora, anzi oggi più di ieri, il momento della responsabilità. Questo percorso va continuato e chi decide di non continuare si assumerà davanti agli italiani la responsabilità di riportare l'Italia sull'orlo del baratro, là da dove siamo partiti. Noi non staremo a questo gioco, noi siamo pronti ad andare avanti, a continuare ad assumerci le nostre responsabilità fino in fondo. Lo faremo nei prossimi mesi e fino alla fine della legislatura, anzi, crediamo che, anche dopo la fine della legislatura, l'esperienza di unità nazionale e di collaborazione nazionale debba andare avanti. Non può tornare, in quel momento, un bipolarismo muscolare che ha solo portato male all'Italia.
Dopo di me interverranno gli onorevoli Enrico Letta e Frattini. Conosciamo quest'ultimo come persona sensata, moderata e preparata. Domani vi è un appuntamento importante in Europa e noi vogliamo che l'Italia vi arrivi nelle migliori condizioni possibili. Perché questo accada, ci vuole una mozione unitaria di tutto il Parlamento, ci vuole un supplemento di responsabilità. Noi, che rappresentiamo la maggioranza che sostiene il Governo, dobbiamo dire tutti insieme che siamo pronti a sostenere il Presidente Monti nella sua azione a livello europeo (Applausi dei deputati dei gruppi Unione di Centro per il Terzo Polo e Futuro e Libertà per il Terzo Polo e del deputato Cambursano).
Non ci possiamo distinguere sull'unità bancaria piena o parziale, sul project bond sì o project bond no. Dobbiamo indicare bene qual è la strada che vogliamo. Io dico all'onorevole Frattini che la strada che vogliamo è comune ed è rappresentata dagli Stati uniti federali d'Europa, solo questi sono la risposta politica alla crisi economica che stiamo vivendo (Applausi dei deputati dei gruppi Unione di Centro per il Terzo Polo e Futuro e Libertà per il Terzo Polo)! È un problema puramente politico.
Presidente Monti, il nostro appoggio c'è, noi appoggeremo fino alla fine questo percorso rinnovatore che non può che portare bene al Paese e ai nostri figli (Applausi dei deputati dei gruppi Unione di Centro per il Terzo Polo e Futuro e Libertà per il Terzo Polo e del deputato Cambursano - Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Enrico Letta. Ne ha facoltà.

ENRICO LETTA. Signor Presidente, mai come in questo momento viene alla memoria una delle immagini che, per tante generazioni di europei, è stata forse l'immagine principale, ossia quella di due vecchi Presidenti, Mitterrand e Kohl, Pag. 35mano nella mano nel cimitero di Verdun. In quella frase «Mai più guerre tra di noi» sta tutta l'idea forte dell'Europa che abbiamo costruito fino ad oggi.
Ma oggi, signor Presidente, sappiamo anche che quel «Mai più guerre tra di noi» non basta più, come non basta più quell'immagine di Verdun. Oggi c'è bisogno di dire con chiarezza - e di assumersi gli impegni - quali sono gli interessi e le scelte utili per il presente e per il futuro che abbiamo intenzione di fare, tutti insieme, per la nostra Europa.
Quello di oggi è un momento solenne - lo abbiamo detto tutti - anche se mi faccia dire con schiettezza, guardando i banchi davanti a me, che non mi sembra proprio un momento molto solenne quello di oggi. Credo che sia invece rilevante quest'attenzione alla centralità del Parlamento, che si riprende la sua centralità in un momento tale come ha fatto l'altro giorno il Bundestag, che ha parlato al Cancelliere Merkel e ha detto a quali condizioni e per fare cosa il luogo della sovranità popolare della Germania dava mandato al Cancelliere tedesco di andare a Bruxelles.
La stessa cosa facciamo noi oggi e questo esercizio che facciamo, signor Presidente del Consiglio, le darà forza, non la indebolirà. Questo è il nostro motivo di orgoglio e anche il nostro obiettivo e le parole che ha detto adesso il collega Galletti vanno esattamente in questa direzione, le condividiamo. Siamo qui, signor Presidente del Consiglio, per darle forza per giovedì e venerdì, non per indebolirla il giorno dopo che lei tornerà da Bruxelles (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Unione di Centro per il Terzo Polo e del deputato Cambursano).
A maggior ragione, per questo motivo, devo esprimere il rammarico, perché avremmo potuto fare di più e - voglio dire - potremmo fare di più. Mi rivolgo anch'io al collega Frattini. Abbiamo ancora forse 24 ore di tempo: facciamolo questo sforzo fondamentale e cerchiamo di fare questa mozione unica, questa mozione comune (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Unione di Centro per il Terzo Polo e del deputato Cambursano)! Non si capisce perché non la si debba fare. Noi ce l'abbiamo messa tutta e io voglio ringraziare i colleghi Boccia, Tempestini, Gozi e Baretta, che hanno in particolare lavorato su questo tema.
Voglio sottolineare un punto molto forte. La crisi dell'euro non è una crisi economica: è una crisi tutta politica. Se non partiamo da qui, non ci rendiamo conto di quali sono le soluzioni per riuscire a trovare la via di uscita da questa crisi. Noi dobbiamo rivendicare il successo dell'euro. Lo dobbiamo rivendicare perché è nei fatti.
Anche se in pochi minuti si possono dire poche cose, voglio però citare una cifra, che probabilmente è la cifra che ci dà la sensazione di questo successo: in dodici anni di vita dell'euro da quando l'euro è nato, in Europa, nell'Eurozona, sono stati creati 14 milioni e mezzo di posti di lavoro. Nello stesso periodo di tempo negli Stati Uniti sono stati creati 8 milioni di posti di lavoro. In dodici anni noi abbiamo dimostrato che l'euro è stato un elemento di successo, non soltanto di stabilizzazione finanziaria, ma ha creato posti di lavoro. Grazie all'euro, grazie a questa unione dell'Eurozona, si sono creati posti di lavoro.
Io vorrei che immaginassimo - lo voglio dire a chi in queste ore ha detto irresponsabilmente che l'Italia dovrebbe uscire dall'euro, parole irresponsabili ancor di più perché dette dal Presidente del Consiglio che ci ha portato fin qui (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, Unione di Centro per il Terzo Polo e Futuro e Libertà per il Terzo Polo e del deputato Cambursano) - quali sarebbero state le situazioni e le armi con le quali Paesi come l'Italia - ma non solo come l'Italia, ma anche come la Francia, la Spagna e la stessa Germania - avrebbero potuto in questi dodici anni combattere contro l'avvento del Brasile, dell'India, della Cina, della Russia, dei BRICS e di tutti gli altri.
Cosa sarebbe stato di noi, se in questi dodici anni non ci fosse stato l'euro, non ci fosse stata quell'Europa, quella costruzione Pag. 36politica ed economica, per la quale con orgoglio ringraziamo Romano Prodi e Carlo Azeglio Ciampi per il lavoro che hanno fatto per portarci fin lì (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico)?
Allora, se economicamente l'euro è stato un successo, dove è la crisi? La crisi c'è: è una crisi tutta politica. Come può essere presa seriamente nel mondo un'area politica, che non riesce a gestire la crisi del 2 per cento della sua economia? La Grecia questo vale in Europa. Il problema è istituzionale, con il quale stiamo dimostrando al mondo che non abbiamo fatto una costruzione seria, perché non riusciamo a gestire il problema del 2 per cento della nostra economia.
L'Europa non riesce, non sa e non può decidere con queste regole. Basterebbe semplicemente pensare quali sarebbero i problemi di altri Paesi ben più decisionisti di noi nell'immagine globale - penso agli Stati Uniti - se dovessero decidere con le nostre stesse regole: sarebbe praticamente impossibile anche per loro. È stato citato prima che si sono tenuti 26 vertici europei durante la crisi: ogni volta un annuncio, ogni volta delle aspettative che salgono, ogni volta le delusioni e ogni volta la difficoltà ad applicare le decisioni che sono state prese.
E, allora, le quattro priorità, che sono contenute nelle nostre proposte e che noi qui vogliamo rilanciare, signor Presidente del Consiglio, sono ambiziose ma non seguono la logica dell'asticella che viene tenuta alta apposta perché l'atleta Mario Monti non riesca a saltarla. Noi vogliamo che l'asticella sia messa in modo tale che la si riesca a saltare tutti insieme, che l'Europa la salti tutti insieme, perché soltanto così noi potremo, venerdì, ragionare di un futuro in modo efficace. La prima delle priorità voglio dirla con nettezza e con grande forza: noi vogliamo che il vertice europeo dica con forza che la Grecia deve rimanere nell'euro a tutti i costi (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Unione di Centro per il Terzo Polo), senza fare sconti sulle scorrettezze. Ne abbiamo sentite tante in questi giorni attorno alle nuove assunzioni di dipendenti pubblici, ma sappiamo - è stato ripetuto qui da Benedetto Della Vedova e ne condivido le parole - che le scorrettezze sono cominciate nel 2003, quando sono state Francia e Germania, con l'aiuto interessato e colpevole dell'Italia, a rendere possibile lo sforamento del Patto di stabilità che fece finire quelle regole che i greci sono stati poi i secondi e i terzi a rompere.
Noi dobbiamo dare certezze, se non ne diamo continuerà il drammatico alternarsi di condizioni opposte degli ultimi mesi che non consentiranno né alla Grecia di riprendersi, né all'Europa di risolvere il suo problema. Bisogna poi, signor Presidente, questo è il secondo punto, che il vertice europeo indichi per i cittadini europei la luce in fondo al tunnel. Se noi non riconsideriamo e moduliamo i piani di austerità in modo tale che i cittadini europei vedano che c'è una luce in fondo al tunnel, che tutto questo periodo di tagli e di austerità è finalizzato a riprendere la crescita, se il blu vira al grigio scuro e diventa tutto tagli e recessione, le conseguenze da economiche diventano sociali, da sociali diventano democratiche. Vorrei far notare ad ognuno di noi che in questo ultimo anno il fatto che i cittadini vedano un'Europa ormai fatta solo di tagli e recessione, il blu che vira al grigio scuro, dà delle conseguenze democratiche ormai negative, che fanno sì che ormai in tutti i Paesi europei la disperazione dei cittadini si trasferisca in scelte populiste ed estremiste a livello politico. Lo si è visto nel Parlamento greco eletto poco tempo fa per due volte, lo si è visto nel primo turno delle elezioni francesi dove un terzo degli elettori hanno scelto forze politiche che dichiaravano di non voler andare al governo, lo si vedrà a settembre nel Parlamento olandese dove già si respira aria di grande coalizione obbligata e - diciamoci le cose come stanno - lo si vede anche qui noi oggi, perché questo Parlamento è un Parlamento che all'85 per cento, Presidente, la sostiene, ma nei sondaggi, oggi, questo 85 per cento non arriva neanche al 50 per cento se lo sommiamo tutto insieme. Se non ci rendiamo conto dell'effetto democratico Pag. 37che tutto questo sta comportando, non capiamo che stiamo creando condizioni di ingovernabilità per i prossimi anni: è una questione importante tanto quanto le questioni economiche che citavo prima.
Noi siamo le prime classi dirigenti, le prime classi politiche dal dopoguerra che non possono discutere su cosa dare, hanno solo da discutere su dove e come togliere. Era forse più facile discutere su come e a chi dare, è molto più complesso discutere oggi dove e come togliere. Soprattutto tutto questo comporta un grado di disperazione dei nostri cittadini che per noi deve essere la prima grande priorità. E allora la terza nostra priorità è quella di dare fiducia, crescere, creare lavoro: questo deve essere l'obiettivo del vertice europeo al quale lei si appresta a rappresentarci con degli obiettivi molto chiari. Alcuni di questi si possano raggiungere subito, altri si raggiungeranno con tempi più lunghi. È stato detto prima che gli eurobond certo non possono dare risultati immediati ma bisogna far partire questa strada che è fondamentale.
Così come noi crediamo con grande forza che la proposta che il Governo italiano ha presentato, la proposta calma-spread, sia una proposta buona che deve essere portata avanti perché la possibilità anche qui di dare ai mercati segnali che siano in grado di calmare la situazione è fondamentale. Mi riferisco anche alla proposta sull'unione bancaria lanciata dal Commissario Barnier, che ci vede d'accordo nel sostenerla. Poi forse vi è la più importante di tutte, la questione della regola aurea. Voglio su questo insistere. Credo che sia fondamentale sia per rimodulare l'austerità, sia per scorporare quelle risorse che possono creare condizioni di sviluppo in infrastrutture, ricerca e innovazione, che sono l'unica possibilità per l'Europa di guardare avanti con ottimismo. Nella nostra mozione abbiamo sottolineato con grande forza che se non si crea pulizia ed equità nei mercati, con regole forti da fare applicare, non ne caveremo le gambe. La tassa sulle transazioni finanziarie e soprattutto il tema dei derivati stanno qui dentro come dei macigni.
Sono i temi che ci hanno portato purtroppo alla crisi più grave dal dopoguerra, sono i temi che dobbiamo risolvere. Mi faccia anche dire, perché l'abbiamo letta oggi sulle agenzie e sui giornali, qualcosa sulla proposta che oggi hanno lanciato Delors e Schmidt, di una grande agenzia del debito europea, lanciata - mi faccia anche dire con un po' di commozione - nel nome di un grande europeista quale è stato Tommaso Padoa Schioppa (è una persona che ha fatto tanto per l'Europa e per l'Italia). Oggi è importante che nel suo nome questa proposta entri nel dibattito politico europeo. Infine, l'ultimo punto, signor Presidente. Tutto questo ha un senso se noi vogliamo aprire una fase costituente verso gli Stati uniti d'Europa. Noi possiamo far sì che tutte le cose di cui abbiamo parlato, di cui nelle nostre mozioni abbiamo discusso, abbiano un senso, se la politica riprende la guida e se la guida e l'indicazione della luce in fondo al tunnel, è quella di Stati uniti d'Europa, in cui la crescita, il lavoro, l'occupazione e l'innovazione, siano le parole d'ordine. L'Italia, signor Presidente, ha la storia, la credibilità, la capacità di attrazione, oggi, per guidare questo processo.
Voglio concludere dicendole una cosa che credo raramente sia stata detta in un Parlamento italiano ad un Presidente del consiglio italiano prima di un vertice europeo. Siamo in una frase cruciale e assolutamente unica nella storia europea e nella storia italiana. L'Italia non ha mai usato (ed abusato) l'arma finale, quella della non accettazione, del dire di no, del veto, rispetto a decisioni che all'Italia non piacevano, perché noi siamo stati sempre convinti che fosse necessario che l'Italia lavorasse per mediare, per mettere gli altri d'accordo. Ma oggi, signor Presidente, temo e credo che siamo di fronte ad un bivio cruciale. Noi le diciamo, signor Presidente: non esiti - se del caso - ad usare quest'arma finale. Se le conclusioni di quel vertice saranno conclusioni che non daranno Pag. 38ai cittadini europei l'indicazione che c'è una luce in fondo al tunnel, lei non esiti ad usare questa volta quell'arma finale. Sono convinto, per il lavoro che tutti insieme abbiamo fatto in questi anni, che se lo farà, se deciderà di farlo, non sarà solo in quel momento, altri la seguiranno e forse anche i tedeschi capiranno (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, Unione di Centro per il Terzo Polo e Futuro e Libertà per il Terzo Polo).

PRESIDENTE. Saluto il Presidente della Camera dei rappresentanti dello Zimbabwe, onorevole Lovemore Moyo, accompagnato da una delegazione delle forze presenti nel Parlamento, che sta assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Frattini. Ne ha facoltà.

FRANCO FRATTINI. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, colleghi, dopo decenni di successi e di crisi regionali, dopo il raggiungimento di obiettivi straordinari che forse nemmeno De Gasperi, Adenauer o Schumann immaginavano, noi europei ci interroghiamo oggi sugli effetti di una crisi profonda, anzitutto politica, non certo solamente economico-finanziaria, che attraversa la regione del mondo finora più stabile e sicura.
Diciamolo subito con chiarezza: cancellare i traguardi europei sinora raggiunti, dal mercato comune all'abolizione delle barriere doganali interne, dalla libera circolazione delle persone all'euro, significherebbe portare 500 milioni di cittadini indietro nella storia e condannarli tutti all'irrilevanza nel mondo globalizzato, in cui le potenze emergenti, e già emerse, in America, in Asia e in Africa, sono ormai assai più forti economicamente e strategicamente significative se comparate ai piccoli Stati nazionali della nostra Europa. Di fronte alla crisi, signor Presidente del Consiglio, che è nata in America e che si è ormai contagiata dalle finanze agli Stati e fino al cuore dell'Europa, la sola ricetta possibile, se non vogliamo rassegnarci alla dittatura degli spread e dei mercati regolati dalle speculazioni, è dare all'Europa più forza politica e più legittimazione popolare. L'Europa dei popoli e degli Stati lavori allora con forza per avanzare rispetto all'incompiuta di Maastricht. Abbiamo un mercato, abbiamo una moneta ed una banca, ma gli Stati non ebbero, negli anni Novanta, e ancora non hanno sinora, il coraggio di creare un Governo politico dell'Europa e delle sue dinamiche economiche, con una Banca centrale che possa intervenire come la Fed a difesa della casa comune quando necessario, con una vera unione bancaria per il monitoraggio sui flussi di liquidità che, spesso, finiscono tra i profitti delle banche e non come ossigeno alle piccole e medie imprese (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà) ovvero per assicurare che i depositi bancari dei cittadini siano garantiti sempre e comunque con meccanismi europei che includano, signor Presidente, un fondo per la soluzione delle crisi bancarie degli Stati nazionali.
Più Europa dunque, non meno Europa; capacità di proteggere interessi legittimi dei cittadini e delle imprese, imponendo regole di responsabilità nazionale, ma, al tempo stesso, non dimenticando che la solidarietà tra Stati membri è pilastro fondamentale dell'Europa, che si parli di Fondo «salva-Stati» o di politiche comuni per l'immigrazione. Guai se ci rassegnassimo all'uscita della Grecia, guai se dicessimo che se ne può fare a meno e che ce ne faremo una ragione. Avremmo dato una picconata difficilmente reversibile all'edificio comune. Gli egoismi nazionali - lei lo sa bene, signor Presidente del Consiglio, considerato il suo passato istituzionale in Europa - sono la tomba dell'Europa, pongono il nord contro il sud e i più poveri contro i più ricchi, i padri e i nonni contro i figli e i nipoti. Gli egoismi nazionali tradiscono la dignità e il valore di ogni persona umana che è, per il nostro gruppo, il primo pilastro della carta dei valori del Partito Popolare Europeo cui tutti noi aderiamo (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà). Se un Paese o un'asse tra pochi tentasse di imporre il suo interesse agli altri, noi Pag. 39dovremmo rivendicare allora l'interesse dell'Italia e degli italiani, ma allora la casa comune crollerebbe. E credo che proprio chi avesse contato sulla sola capacità nazionale, farebbe pagare ai suoi cittadini l'inevitabile prezzo della crisi e del suo contagio.
Lei, signor Presidente del Consiglio, avrà ancora una volta il mandato ampio di questo Parlamento per rappresentare con forza a tutti nostri partner che alla strategia di crescita e sviluppo non ci può essere alternativa e lo potrà fare perché, grazie alla sua maggioranza, il Governo ha consolidato, integrato e rafforzato i compiti a casa cui il Governo Berlusconi si era impegnato, qualche settimana prima di lasciare, proprio nell'autunno 2011, dinanzi al G20 e dinanzi al Consiglio europeo di Cannes, un Consiglio drammatico, è vero, per l'Europa e anche per l'Italia. Abbiamo le carte in regola: il 90 per cento delle raccomandazioni dell'Unione europea e dell'OCSE sono ormai state attuate; pochissimi altri lo hanno fatto. I sacrifici dolorosi degli italiani non sono fini a se stessi e lei lo sa, Presidente, gli italiani non possono sopportarne altri.
È il momento allora delle riforme strutturali, dove l'Italia può oggi insegnare molto a Paesi che sbandieravano le loro virtù. Non abbiamo voluto mancare di offrirle, signor Presidente del Consiglio, l'opportunità di confermare che anche per il mercato del lavoro, pur con alcuni nostri dubbi e in vista dei miglioramenti che lei ci ha promesso per il prossimo futuro, chi pensava alla solita Italia delle risse troverà il 28 giugno ancora una volta un Paese serio in cui i partiti della maggioranza hanno mostrato anzitutto amore per l'Italia e per la sua immagine di credibilità e di serietà (Applausi dei deputati del gruppo popolo della Libertà).
Ma non ci basta, Presidente Monti, sappiamo di toccare la sua sensibilità di europeista e perciò le chiediamo di andare oltre, chiedendo che si prepari sin d'ora più integrazione finanziaria, di bilancio, economica ma anche democratica, con una maggiore legittimazione popolare per le istituzioni comuni. Occorre decidere sulla destinazione immediata di grandi somme (120 miliardi almeno) già disponibili e non spesi per interventi di stimolo alla crescita. Occorre imboccare da ora la strada che porta agli eurobond, passando immediatamente per gli eurobill e per gli europroject da fare partire già, signor Presidente del Consiglio, dal 28 giugno con priorità ai trasporti, all'energia, alla banda larga e, mi auguro, con una decisione che voi prenderete di far aumentare il capitale della Banca europea degli investimenti. Credo che occorra anche decidere su alcune garanzie per gli Stati che seguono le regole, che si avvicinano al pareggio di bilancio, affinché categorie di spese essenziali per l'economia reale (penso ai pagamenti delle pubbliche amministrazioni alle imprese) godano di un periodo ragionevole di moratoria per la computabilità nel deficit nazionale.
Occorre ancora ribadire la centralità della difesa dei risparmiatori e dei loro depositi bancari, così come della liquidità per il tessuto imprenditoriale. Ed occorre, quindi, costruire secondo una road map, che mi auguro voi potrete tracciare sin d'ora, l'unione bancaria e il Governo europeo dell'economia, che permetta un giorno alla Banca centrale di utilizzare i soli strumenti che la speculazione internationale teme: una barriera solida di disponibilità e liquidità che bisogna avere e bisogna poter utilizzare, sapendo che proprio allora in concreto non saremo chiamati ad utilizzarla perché gli speculatori non proveranno ad aggredire una fortezza che non possono espugnare.
Ed ancora i poteri che l'articolo 126 del Trattato affida alla Banca centrale sulla supervisione dei sistemi bancari nazionali, sono certamente consistenti. Credo, signor Presidente, che sinora non siano stati del tutto attuati: non è questa una modifica del Trattato ma un'attuazione che deve avvenire subito. Ed ancora, insista, Presidente Monti, per una data certa, ravvicinata, per la trasformazione del Fondo transitorio in Fondo permanente di stabilità e garanzia. Se ne avvantaggerà certamente l'Europa, ma certamente anche gli Stati nazionali, perché le quote di concorso Pag. 40al Fondo, diversamente da quanto accade per il Fondo provvisorio, non saranno calcolate ad aumentare il deficit nazionale.
In conclusione, signor Presidente del Consiglio, la forza politica che un'ampia maggioranza sta per darle, si unisca alla sua personale credibilità, alla capacità che anche di recente i leader del G20 le hanno riconosciuto, nell'affrontare la delicata fase che attraversiamo. La leadership si esercita battendosi per valori su cui talora non si può cedere. L'Europa politica, l'integrazione degli Stati, la cittadinanza comune dei popoli, sono principi per cui l'Italia può alzare la voce, talvolta anche forzare la mano, talvolta anche dire «no», affinché l'obiettivo visionario e ambizioso degli Stati uniti d'Europa e di istituzioni di Governo elette dai cittadini non scompaia dal nostro radar (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà, Unione di Centro per il Terzo Polo e Popolo e Territorio).

PRESIDENTE. Non essendovi altri iscritti a parlare, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.

(Intervento del Governo)

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Presidente del Consiglio dei ministri, senatore Mario Monti.

MARIO MONTI, Presidente del Consiglio dei ministri. Signor Presidente, onorevoli deputati, sono lieto, molto lieto, soprattutto avendo ascoltato questi interventi, di avere questa occasione per fare il punto sull'evoluzione della politica europea e per confrontarmi con il Parlamento sugli obiettivi che l'Italia si propone in vista del Consiglio europeo di giovedì e venerdì prossimi. Ho seguito sempre questa prassi prima degli appuntamenti europei più importanti, intervenendo di fronte al Parlamento prima dei Consigli europei di dicembre, poi di gennaio e marzo. Il conforto e l'orientamento delle forze parlamentari sono importanti ed hanno orientato gli indirizzi che il Governo ha seguito nella sua azione di politica europea. La risoluzione unitaria approvata lo scorso 25 gennaio dal Parlamento, assieme alle altre accettate dal Governo, ha costituito la base per l'azione del Governo nelle sedi europee. Ad esempio, nei negoziati che hanno portato alla firma del trattato sul coordinamento, la stabilità e la convergenza, il cosiddetto fiscal compact, il Governo ha ottenuto che il trattato rendesse più visibili ed operativi gli obblighi di disciplina delle finanze pubbliche e di rientro dal debito, fissati nella legislazione comunitaria, con il six pack approvato dal Governo precedente, ma non ne introducesse di nuovi o di più stringenti. Si è inoltre adoperato con successo affinché fosse riconosciuto un ruolo importante di controllo al Parlamento europeo ed ai Parlamenti nazionali.
Abbiamo infine operato perché ci fossero «passerelle» adeguate per consentire la partecipazione alla formazione delle decisioni anche degli Stati non membri della zona euro, ma firmatari del trattato, come la Polonia.
Approfitto dell'occasione per sommessamente far notare all'onorevole Maggioni, che ha attribuito al Governo la responsabilità di aver firmato il 2 marzo il fiscal compact, che egli ha perfettamente ragione: è questo Governo che l'ha firmato. Tuttavia il profilo di rientro, molto severo e molto impegnativo, che alla fine potrà essere salutare per l'Italia, ma che è un percorso molto severo ed impegnativo, fu fissato con l'adesione dell'Italia mesi prima, nella primavera del 2011, (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, Unione di Centro per il Terzo Polo, Futuro e Libertà per il Terzo Polo e di deputati del gruppo Popolo della Libertà), con l'impegno, che io non critico, del Governo precedente, di cui il suo partito, onorevole, faceva parte.
In secondo luogo, in questi mesi, il Governo si è adoperato perché, una volta chiuso il dibattito sul fiscal compact, si assicurasse un maggior equilibrio nell'agenda europea tra le tematiche relative Pag. 41alla disciplina delle finanze pubbliche e quelle relative alla crescita ed all'occupazione. Qui devo dire che ho sentito espressa con forza questa esigenza negli ultimi tre interventi. Chiedo scusa: non ho potuto ascoltare se non gli ultimi quattro e gli ultimi tre, quelli dell'onorevole Galletti, dell'onorevole Letta e dell'onorevole Frattini, che ringrazio tutti vivamente, hanno posto con grande forza questo punto centrale della politica europea dell'Italia, che anche su stimolo di questo Parlamento, stiamo seguendo e coltivando, cioè la coesistenza tra la disciplina essenziale delle finanze pubbliche, e politiche non meno essenziali per la crescita.
In quest'ottica, una particolare attenzione è stata posta dal Governo al contributo del mercato interno per la crescita e la competitività dell'economia europea.
Come sapete, l'Italia si è fatta promotrice, insieme al Regno Unito, all'Olanda e ad altri nove Stati firmatari, di una lettera alle istituzioni comunitarie per tratteggiare una serie di azioni possibili per usare tutto il potenziale inespresso del mercato interno e farne, di nuovo, il motore della crescita e della competitività. In particolare, l'Italia ha insistito sulla necessità di una migliore governance del mercato interno, particolarmente nel settore dei servizi, dell'agenda digitale, e via dicendo.
Mercato interno e mercato unico vuol dire anche più attenzione alle politiche per l'occupazione e per le piccole e medie imprese. In primo luogo, attenzione alla costruzione di un vero mercato europeo del lavoro; in secondo luogo, attenzione al finanziamento delle imprese, che soffrono per la stretta del credito, nonostante gli interventi di liquidità a lungo termine della Banca centrale europea, tema al quale il Parlamento ha dedicato e dedica, giustamente, una particolare attenzione.
Questa breve ricognizione, onorevoli deputati, mostra come gli orientamenti condivisi tra Parlamento e Governo non siano rimasti all'interno di quest'Aula, ma abbiano contribuito a plasmare, a formare, nel confronto con gli indirizzi proposti dagli altri Stati membri, un'agenda comune europea della quale il Governo italiano, forte dello stimolo di questo Parlamento, è stato - così viene riconosciuto dagli altri Governi - particolarmente protagonista.
Ho voluto sottolineare questo perché, molto spesso, nel dibattito europeo, ascoltiamo altri Governi obiettare a proposte o iniziative che vengono presentate, che - esse sì - sono in via di principio interessanti e legittime, ma che non possono essere prese in considerazione perché il proprio Parlamento non potrebbe accettarle. Bene, io uso sempre più spesso la considerazione numerica e profondamente politica che non ci sono alcuni Stati membri ad avere un Parlamento e altri no (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà, Partito Democratico e Unione di Centro per il Terzo Polo), non ci sono alcuni Stati membri ad avere una Corte costituzionale ed altri no. E mi fa piacere essere portatore, con tutta la carica di convincimento di cui posso essere capace in quelle sedi, degli indirizzi del Parlamento italiano. Per questo, credo che oggi, in un momento così intenso e carico di preoccupazione per il futuro dell'Unione europea, sia importante che l'Italia arrivi al negoziato del Consiglio europeo, difficilissimo, con la forza di un tandem Governo-Parlamento, di un sistema Paese, di un motore unico che spinga con maggiore forza la politica europea a muovere nella direzione auspicata.
Con questo spirito, espongo brevemente gli orientamenti del Governo, con rispetto al Parlamento, che ha dedicato a questi temi un dibattito intenso e approfondito. Non credo che si possano capire completamente le difficoltà del confronto politico europeo, se non si riconosce che non vi è, oggi, una lettura unanimemente condivisa delle cause della crisi che l'Europa e l'Eurozona stanno vivendo e delle soluzioni che occorre darvi. Ma noi abbiamo, in grande misura condivisa, in quest'Aula e nell'Aula del Senato, una nostra lettura della crisi e una nostra indicazione delle soluzioni, sulle quali possiamo divergere nelle seconde approssimazioni, ma non nelle prime, per rimediare a questa crisi europea. Pag. 42
Da un lato, vi è, infatti, l'idea che la crisi dei debiti sovrani, esplosa nella primavera del 2010, sia stata resa possibile dalle debolezze nel sistema di governance della moneta unica e di sorveglianza delle politiche fiscali nazionali, ma abbia la sua causa profonda in squilibri macroeconomici accumulatisi nel tempo, a causa dell'inerzia dei Governi nazionali, di politiche sbagliate e di scarsa disciplina nella gestione delle finanze pubbliche. La risposta è perciò solo, da questo punto di vista, in un rafforzamento delle regole che governano le finanze pubbliche.
Come è stato osservato, credo, dall'onorevole Letta, non dobbiamo avere alcun complesso: noi rispettiamo le regole, se non le rispettiamo, siamo consapevoli che ciò può essere sanzionato. Tuttavia, come forse avrete visto l'altro giorno durante la conferenza stampa di Villa Madama, ho colto l'occasione per ricordare che furono Francia e Germania - lo ha ricordato l'onorevole Letta - i principali protagonisti della più grande e prima violazione delle regole, che ha portato con sé una serie distruttiva di comportamenti di imitazione (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà, Partito Democratico e Unione di Centro per il Terzo Polo). È importante evitare quello, noi e gli altri.
Dall'altro lato c'è la tesi di chi ritiene che la crisi dei singoli debiti sovrani abbia invece assunto ormai un carattere sistemico a causa della mancanza di fiducia nella capacità di risposta unitaria dell'Europa; soluzioni comuni europee sono, quindi, necessarie per evitare che alcuni Stati membri scivolino in una trappola della recessione in cui il rigore riduce la crescita e aumenta il debito rendendo necessari nuovi tagli e contrazioni della domanda. Una sequenza che, come non mi stanco di ripetere ai colleghi che sono a capo di altri governi europei, sarebbe la ricetta migliore per ridurre l'accettazione della costruzione europea da parte dei cittadini e per trascinarci, tutti, in una sequenza di provincialismo in un momento in cui occorre più europeismo, di isolazionismo in un momento in cui occorre la capacità di governare fenomeni di integrazione europea e globale. Questa deriva sarebbe, per noi italiani, io ritengo, particolarmente contraria alla nostra natura, alla nostra tradizione, alla nostra capacità che è quella di essere non solo a favore dell'integrazione, ma anche integratore di sforzi comuni, e ve lo dirò fra un minuto, concludendo, a proposito del percorso molto fitto e intenso che abbiamo cercato di fare in Europa e anche al di fuori dell'Europa, con i colleghi europei, in preparazione di questa importante scadenza che ormai dista solo quarantotto ore.
Ebbene, la consapevolezza della posta in gioco sta emergendo a piccoli passi, e cioè che occorre la disciplina di ciascuno nella casa propria ma che questo non basta perché ci sono dei vizi sistemici. Alla riunione del G20 a Los Cabos in Messico la crisi dell'Eurozona è stato uno dei temi dominanti, e devo dire che siamo anche stufi - io sono stufo come europeo - di vedere che il tema della crisi dell'Eurozona è parte principale dell'agenda del G8 a Camp David, del G20 a Los Cabos; siamo lieti e grati dell'attenzione rivolta all'Europa ma non vorremmo essere sempre l'oggetto principale di imputazione, quindi è anche giusto ricordare che ci sono responsabilità altrui, ma è anche giusto e doveroso trarre lo stimolo perché, da parte nostra, si riesca ad agire maggiormente e in modo più decisivo (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà, Partito Democratico, Unione di Centro per il Terzo Polo, Futuro e Libertà per il Terzo Polo e Popolo e Territorio).
È testimone di questa attenzione, e quasi di questa apprensione, l'attivismo con il quale il presidente Obama segue la vicenda europea, direi quotidianamente e con manifestazioni frequenti in collegamento con alcuni Capi di Governo europei. Proprio per dissipare ogni riserva e aiutare la costruzione del consenso - e scusate se lo dico, ma credo che questo sia particolarmente importante per noi italiani a causa della nostra storia, non per noi italiani in quanto deboli protagonisti del presente, ma per noi italiani in quanto la Pag. 43nostra storia nell'andare molto, molto indietro non è sempre stata compatibile con i valori che oggi dominano in Europa - credo occorra non dare alibi agli osservatori, non sempre benevoli, che guardano all'azione dell'Italia. Per questo è necessario aver fatto tutto quel percorso di riforme e di contenimento della finanza pubblica; un percorso faticoso in cui una larghissima parte di questo Parlamento, non sempre con gioia, spesso con rammarico e sofferenza, ha sostenuto il Governo, ma questo è stato essenziale per dare credibilità al nostro Paese e per questo è necessario dare un segnale anche attraverso l'approvazione della riforma del mercato del lavoro che è giudicata uno degli elementi centrali dell'agenda delle riforme strutturali. Il Governo si è perciò impegnato per ottenere dal Parlamento la tempestiva approvazione della riforma.
Come sapete ci siamo impegnati a risolvere tempestivamente, con appropriate iniziative legislative, altri problemi posti dai gruppi parlamentari, e lo voglio qui confermare: la questione degli esodati e alcuni aspetti della flessibilità in entrata e degli ammortizzatori sociali. Su questi temi il Governo sta lavorando, anche sulla base delle costruttive proposte provenienti dai gruppi di maggioranza. Scriverò, il giorno 27, domani, nell'auspicio che vi sia l'approvazione definitiva della riforma del mercato del lavoro, una lettera al Presidente del Consiglio europeo e al Presidente della Commissione europea, per informarli dei progressi compiuti fino a quel momento dall'Italia sul terreno delle varie riforme che all'Italia venivano richieste. Sono tutte cose che - non credo di doverlo ripetere ogni volta - sono prima di tutto nell'interesse nostro, e visto che ci muoviamo in una direzione che è nell'interesse nostro, ma auspicata dall'Europa, è bene farla valere fino in fondo e per intero anche in Europa (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà, Partito Democratico, Unione di Centro per il Terzo Polo e Futuro e Libertà per il Terzo Polo).
Quali sono gli obiettivi - e concludo, perché ho impiegato troppo tempo - che l'Italia si pone in vista del prossimo Consiglio europeo? Lo sapete molto bene, perché avete concorso a determinarli. Sapete che il dibattito europeo si sta concentrando su due aspetti in particolare: la crescita e la stabilizzazione della zona euro. Per quanto riguarda la crescita, sta emergendo, come si è potuto constatare nell'incontro quadrilaterale di venerdì scorso tra Francia, Germania, Italia e Spagna, il consenso verso un pacchetto ampio di misure per stimolare l'attività economica. È un pacchetto che intravedo - e spero di potervi riferire a cose compiute -, che contiene molti degli elementi che l'Italia per prima ha presentato. Un tassello importante in questo quadro è quello degli investimenti pubblici produttivi, che da più parti è stato sollecitato e che risponde ad un'antica convinzione persino teorica di chi vi parla in questo momento.
Attorno alla tema della crescita vi è anche quello necessario ma non sufficiente di dare una prospettiva di lungo termine all'evoluzione dell'Unione economica monetaria, su cui i quattro Presidenti, del Consiglio, della Commissione, dell'Eurogruppo e della Banca centrale europea, stanno presentando un lavoro che sicuramente sarà utile. Ma accanto alla crescita è necessario completare questa agenda con misure che consentano di stabilizzare i mercati nel breve termine, l'avete detto con forza e condivido. Due sono le ipotesi sul tappeto: da un lato quella proposta dall'Italia di usare i firewall (l'Esfs e l'Esm, il meccanismo di stabilità) per evitare divaricazioni eccessive degli spread fra i titoli del debito sovrano, ma attenzione, degli Stati che sono in regola con la disciplina fiscale. L'Italia oggi può permettersi e deve chiedere un meccanismo che si applichi non a chi ha bisogno di essere aiutato perché non ce la fa, ma a chi, avendo rispettato puntualmente gli obblighi che si è assunto in materia di finanza pubblica, chieda che venga anticipato con qualche meccanismo quel tardivo riconoscimento che il mercato riserva a questi progressi. Come chiarirò al Presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, che ha male capito questa proposta a giudicare da Pag. 44un'intervista che ha rilasciato al Süddeutsche Zeitung, non è - e sono sorpreso di questa incomprensione - una proposta retrograda di ritorno alla stabilizzazione del tasso di interesse perdendo il controllo della quantità di moneta da parte della Banca centrale, ma qui si tratta di porre un limite alla differenza tra due tassi di interesse; non è in gioco il controllo della Banca centrale e non è un modo per attenuare la pressione per il risanamento della finanza pubblica, tant'è vero che viene chiesto da un Paese che l'ha già fatto e che non intende chiedere quegli aiuti che sono riservati ai Paesi che non hanno fatto questa severa cura.
Ebbene, il Presidente Berlusconi, dopo l'incontro che ho avuto il piacere di avere con lui e con l'onorevole Alfano pochi momenti fa, ha parlato giustamente di assoluta indeterminatezza per quanto riguarda i risultati di questo vertice. Li vedremo presto. C'è uno spazio negoziale molto aperto. Colgo lo spunto dell'onorevole Letta per dire che sono convinto anch'io che questa non sarà una riunione nella quale si andrà ad apporre un visto formale a documenti pre-preparati (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
Quindi, per quanto mi riguarda, sono pronto a restare oltre il limite previsto per la riunione del Consiglio europeo e per il vertice Euro e a lavorare fino a domenica sera, se sarà necessario, perché alla riapertura del mercato, lunedì 2 luglio, ci si presenti irrobustiti da un pacchetto per la crescita, una visione per il futuro dell'integrazione, ma anche da meccanismi soddisfacenti per reggere alle tensioni del mercato. Non possiamo permetterci che questa straordinaria opera della costruzione europea, alla quale l'Italia ha sempre contribuito, possa andare distrutta.
La mia ultima osservazione è di carattere politico. Avrete visto che il Governo - e vorrei ringraziare in particolare su questa materia il Ministro per gli affari europei Enzo Moavero Milanesi e il Viceministro per l'economia e le finanze Vittorio Grilli, ma tutta la collegialità del Governo - si è mosso molto, ha avuto molti incontri e ne ha promossi. Qual è, in sintesi, la nostra logica? Abbastanza semplice: condizione necessaria perché l'Europa avanzi è un accordo fra Francia e Germania. Questa non è però affatto una condizione sufficiente.
Abbiamo visto in un passato recente accordi tra Francia e Germania che non sono andati nella direzione giusta. Arrivando sulla scena un nuovo Presidente della Repubblica francese, accostato ad una Cancelliera tedesca di diverso orientamento politico, è stata una mia preoccupazione quella di fare sì che, in tempi brevi e per quello che anch'io potevo fare, i due trovassero un linguaggio comune e potessero insieme costruire qualcosa. Credo che sia stato apprezzato il fatto che l'Italia abbia consentito un avvicinamento tra Francia e Germania.
Naturalmente, aver favorito un'operazione di questo genere non è senza risultati circa l'apprezzamento riservato all'Italia. Ecco allora che abbiamo deciso di riunirci a tre a Roma. Il Primo Ministro spagnolo ha desiderato essere presente, lo abbiamo volentieri accolto e posso dirvi che altri Capi di Governo, a quel punto, hanno fatto analoga richiesta ma - anche per rispetto alle istituzioni comunitarie - abbiamo pensato di fermarci lì.
Stiamo in queste ore parlando anche con alcuni Capi di Governo di Paesi europei non Euro, affinché nel Consiglio europeo che verrà prima del vertice dell'Eurozona rappresentino senza esitazione la preoccupazione che anche loro hanno circa l'andamento dei mercati, in modo che poi - quando ci riuniremo a 17 - sapremo che anche importanti Paesi che ci circondano sono sensibili a questi problemi e troviamo quindi l'impulso per prendere decisioni difficili.
Mi farebbe piacere poi potervi riferire dell'esito di questo complicatissimo passaggio, ma mi fa piacere fin d'ora andare a questa sfida con l'impegno comune di un Governo, di un Parlamento e di un Paese (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà, Partito Democratico, Unione di Centro per il Terzo Polo, Futuro e Libertà per il Terzo Polo, Misto-Alleanza Pag. 45per l'Italia, Misto-Liberali per l'Italia-PLI e Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare).

PRESIDENTE. Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.
Sospendo la seduta che riprenderà alle ore 17 con lo svolgimento delle dichiarazioni di voto riferite alla prima votazione fiduciaria.

La seduta, sospesa alle 16,40, è ripresa alle 17.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROCCO BUTTIGLIONE

Seguito della discussione del disegno di legge: S. 3249 - Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita (Approvato dal Senato) (A.C. 5256).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato: Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita.
Ricordo che nella seduta del 25 giugno 2012 il Governo ha posto la questione di fiducia sull'approvazione, senza emendamenti ed articoli aggiuntivi, degli articoli 1, 2, 3 e 4 del disegno di legge in esame, nel testo della Commissione, identico a quello approvato dal Senato (Vedi l'allegato A al resoconto stenografico della seduta di ieri - A.C. 5256).

(Dichiarazioni di voto sulla questione di fiducia - Articolo 1 - A.C. 5256)

PRESIDENTE. Passiamo dunque alle dichiarazioni di voto dei rappresentanti dei gruppi e delle componenti politiche del gruppo Misto sulla questione di fiducia posta dal Governo sul mantenimento dell'articolo 1, nel testo della Commissione, identico a quello approvato dal Senato.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Tanoni. Ne ha facoltà.

ITALO TANONI. Signor Presidente, signor Ministro, i Liberal Democratici voteranno a favore dell'importante pilastro rappresentato dall'articolo 1 del disegno di legge recante disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita. Come noto, questo primo articolo, disponendo in tema di tipologie contrattuali, unitamente alla flessibilità in uscita, rappresenta, sebbene posto all'inizio, il cuore del provvedimento. Noi Liberal Democratici siamo concordi nel ritenere che, nell'ambito del contratto dominante costituito dal rapporto di lavoro subordinato, l'apprendistato rappresenti la modalità chiave di ingresso del mondo del lavoro per i giovani. È un principio fondamentale da noi condiviso nella misura in cui abbiamo puntato sul binomio formazione e innovazione quale strumento di crescita del mercato del lavoro italiano ed europeo. Siamo, dunque, disposti a scambiare formazione, purché sia autentica e qualificata per i nostri giovani anche con qualche sacrificio nella retribuzione prevista per questa tipologia contrattuale. Dobbiamo guardare in prospettiva: siamo obbligati a farlo in un momento congiunturale così difficile. I periodi di apprendistato, che possono abbracciare anche tempi relativamente lunghi, debbono essere in grado, secondo una opzione naturale, di formare il lavoratore per il suo immediato futuro nel luogo di lavoro dove egli svolge l'apprendistato.
Nel caso questo non dovesse avvenire, il periodo di apprendistato dovrà formare, in ogni caso, i lavoratori con un know-how professionale autentico e strutturato in grado di poter essere utilizzato altrove con risultato positivo.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Iannaccone. Ne ha facoltà.

ARTURO IANNACCONE. Signor Presidente, onorevole Ministro, trentacinque anni fa, quando iniziai a fare politica, Pag. 46ascoltai il discorso di un importante leader democristiano. Sono della provincia di Avellino e, quindi, può immaginare a chi faccio riferimento. Questo leader democristiano disse che i sindacati si occupavano troppo di coloro che avevano già il lavoro dimenticandosi dei disoccupati e che le imprese, quando assumevano un lavoratore, poi non potevano più licenziarlo, come se lo sposassero per la vita, e riteneva che questi fossero fattori di ostacolo per lo sviluppo e la crescita. Lui non dava la soluzione e lei continua a non darla, perché lei ritiene che si possa licenziare e che solo la facoltà di licenziare possa favorire nuova occupazione.
Lei sa bene che questo non è e non sarà. La sua proposta di riforma è una proposta di riforma sbagliata, che riduce i diritti, che non crea nuove opportunità. Ci saranno moltissimi lavoratori che saranno licenziati. Non ci saranno giovani che troveranno occupazione. Quindi, noi la invitiamo a desistere.
Non conosciamo quali saranno le modifiche che verranno apportate a questo disegno di legge, ma riteniamo che non ci sia nulla di più sbagliato di una riforma che elimina alcune tutele e non dà alcuna garanzia per il futuro.
È per questa ragione che la componente per il Partito del Sud, Noi Sud, non voterà la fiducia, voterà contro questo provvedimento e invita lei ed il Governo a non proseguire nell'errore di sostenere una riforma sbagliata (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Fabbri. Ne ha facoltà.

LUIGI FABBRI. Signor Presidente, signora Ministro, rappresentanti del Governo, colleghi, la discussione ampia che c'è stata sulla riforma del mercato del lavoro e sugli ammortizzatori sociali del nostro Paese non appare essere stata del tutto recepita nell'ambito del provvedimento che stiamo esaminando, il quale, nonostante un condivisibile richiamo, contenuto nell'articolo 1 - nel quale ci sono le finalità della legge e che leggo: «disporre misure e interventi intesi a realizzare un mercato del lavoro inclusivo e dinamico, in grado di contribuire la creazione di occupazione, in quantità e qualità, alla crescita sociale ed economica ed alla riduzione permanente del tasso di disoccupazione» - sembra prospettare un eccessivo irrigidimento della flessibilità in entrata, non adeguatamente compensato da una maggiore possibilità che le aziende operino con maggiore facilità, in qualche modo coerente con la finalità di legge, in relazione alla flessibilità in uscita. Ciò non appare del tutto coerente con l'obiettivo della riforma, che è diretta anche a fornire da subito al mercato, all'Unione europea ed agli operatori economici e finanziari soluzioni pratiche, connotate da estrema semplicità, per ovviare all'eccessiva rigidità della regolamentazione vigente nel nostro mercato del lavoro e all'ormai insostenibile onerosità degli ammortizzatori sociali di oggi.
A questo si deve aggiungere - come è emerso negli ultimi giorni - che non è sufficiente che si dica - come il testo prevede - che i principi della riforma saranno principi e criteri per la regolamentazione del lavoro pubblico, senza prevedere sin da ora quale meccanismo operi e come consenta una reale rivisitazione, in termini di ottimizzazione dell'attività e miglioramento dell'efficacia, dell'attività della pubblica amministrazione.
Nel merito dell'articolo 1, signor Ministro, si parla di tipologie contrattuali, di articolo 18, si parla di apprendistato, di lavoro intermittente, di co.co.co. di partita IVA, di lavoro accessorio, di lavoro occasionale, di utilizzo di voucher, di associazione in partecipazione e di tirocinio formativo. Non sono i contratti a creare i posti di lavoro, al contrario l'estrema varietà dà sicuramente un contributo alla diffusione della precarietà.
Si potevano favorire i giovani, aumentando la soglia per poter usare la partita IVA o cancellando il contratto di associazione in partecipazione, come sostiene una parte del sindacato. L'incremento dell'occupazione Pag. 47può dare solo sviluppo, per questo si deve agire nel contempo su altri versanti, come per esempio la stretta creditizia od il cuneo fiscale sul lavoro, ma nonostante questa ed altre criticità i deputati di Alleanza per l'Italia voteranno «sì» alla fiducia che l'Esecutivo ha posto su questa parte di riforma del mercato del lavoro perché ritengono che questo Governo sia l'unico in grado di portare il nostro Paese fuori dalla crisi (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Alleanza per l'Italia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Gava. Ne ha facoltà.

FABIO GAVA. Signor Presidente, i Liberali per Italia voteranno a favore di questa fiducia relativamente all'articolo 1 del testo del disegno di legge. Noi, personalmente, come gruppo, riteniamo, signor Ministro, che sia stato un errore non procedere per questa riforma strutturale per decreto, così come si era provveduto per altre importanti riforme strutturali come, ad esempio, quella delle pensioni. Ciò non perché la forma con cui si affrontavano o si affrontano le riforme sia fondamentale, ma perché questo avrebbe dato, a nostro avviso, quel giusto impegno e quel giusto peso ad una riforma importante per il nostro Paese, esattamente come quella sul versante pensionistico, anche se questo ovviamente avrebbe potuto comportare alcune tensioni ed alcune necessità di intervento modificativo che, tra l'altro, non sono escluse nemmeno con la forma che è stata adottata, ossia quella della concertazione, che però mi sembra si sia ad un certo punto avvitata, determinando una situazione paradossalmente perfino più difficile di quella che si sarebbe determinata attraverso il ricorso al decreto.
Comunque, l'articolo 1, su cui ci apprestiamo a votare la fiducia, è un articolo fondamentale. Come è stato giustamente definito, è un architrave, perché riguarda l'ingresso principale nel mondo del lavoro, anche se occorrerà rivedere con maggiore attenzione, a nostro avviso, la flessibilità in ingresso, così come promesso dal Governo e anche dal Presidente Monti. L'appuntamento europeo di dopodomani è però troppo importante per introdurre ora dei legittimi distinguo, per cui noi anticipiamo in modo convinto il nostro voto favorevole alla fiducia relativamente all'articolo 1.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Misiti. Ne ha facoltà.

AURELIO SALVATORE MISITI. Signor Presidente, questo provvedimento, che è un disegno di legge presentato dal Governo e non un decreto-legge, ci aveva dato l'impressione che si fosse un po' cambiata direzione di marcia rispetto a ciò che finora il Governo straordinario in carica, il Governo tecnico, ha fatto attraverso una lunga serie di decreti-legge, su cui di fatto il Parlamento ha potuto incidere poco. In questo caso, il disegno di legge ci ha consentito, nelle Commissioni, al Senato prima e alla Camera poi, certamente di inserire alcuni argomenti e alcune correzioni, che sono state via via recepiti, che ci consentono di avere un atteggiamento più positivo verso questo provvedimento. È chiaro però che anche questo provvedimento, come i precedenti, essendo noi in una grave crisi economica, come Italia e come Europa, ci viene in qualche modo suggerito da fuori, dall'esterno e per l'ennesima volta legiferiamo sulla base di spinte che provengono dall'esterno del nostro Paese.
Parliamoci chiaro fino in fondo. Addirittura anche il tempo di approvazione è determinato da scadenze che non sono scadenze italiane. Quindi, è chiaro che il disegno di legge di fatto si è trasformato in un decreto- legge, perché sostanzialmente alla fine si è dovuta porre la questione di fiducia, su cui la componente del gruppo Misto Grande Sud, formata da dieci componenti, voterà certamente a favore, ma per ragioni di politica generale, perché nel merito avrebbe ancora molte cose da dire, in quanto questo provvedimento, a nostro avviso, non cambia molto la situazione Pag. 48occupazionale nel Mezzogiorno d'Italia. È chiaro che, non essendo previsto nulla in questa direzione, difficilmente, laddove non c'è sviluppo e non c'è lavoro, come nel Mezzogiorno, si possono creare posti di lavoro, che evidentemente non si possono creare per altre ragioni, che non sono inserite in questo provvedimento.
È evidente che noi ci attendiamo dal Governo, proprio per questa fiducia in bianco che noi diamo al Governo stesso, che successivamente si apra un dibattito e si approfondiscano le ragioni per cui il gap della produzione di beni nel Mezzogiorno non diminuisce rispetto al Centro - nord e quindi i provvedimenti relativi, che sono necessari perché ciò avvenga. Attrarre finanziamenti, capitali e imprese verso il Mezzogiorno e non costringerli a emigrare all'estero per noi è un fatto fondamentale. Ed è questa la molla per lo sviluppo. L'Italia si trova in una situazione in cui si è trovata la Germania nel 1992. La Germania ha agito con coerenza e con forza e l'Italia deve fare altrettanto se vuole uscire dalla morsa del fatto che il Mezzogiorno d'Italia cresce, anzi decresce invece di crescere, rispetto a Paesi che hanno lo stesso PIL. Parlo del Messico, della Turchia e di altri, che crescono quasi a due cifre, mentre il Mezzogiorno d'Italia non cammina nemmeno alla media nazionale. Quindi, qualche ragione c'è.
Noi siamo convinti che sia necessario intervenire proprio sul costo del lavoro, in modo tale che il Mezzogiorno d'Italia possa essere attrattivo per imprese italiane ed estere e per investimenti italiani ed esteri, ricorrendo anche, se necessario, a contratti di lavoro integrativi regionali, che tengano conto, sì, del contratto nazionale dal punto di vista giuridico, ma, dal punto di vista economico, il contratto deve essere collegato alla situazione reale del territorio (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Grande Sud-PPA).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Palomba. Ne ha facoltà.

FEDERICO PALOMBA. Signor Presidente, signora Ministro Fornero, se ha la bontà di ascoltare, il lavoro è nel cuore della nostra Costituzione, e, insieme ad esso, vi sono i lavoratori, i pensionati, le loro famiglie, le loro rappresentanze sociali e sindacali. Quando lei ha annunciato che avrebbe presentato un provvedimento e se ne sono cominciati a conoscere alcuni elementi fondamentali, vi è stata una levata di scudi. La prima cosa che le è stata chiesta è stata: «no» ai decreti-legge. Il Parlamento deve avere il tempo per esaminare un provvedimento di così straordinaria importanza per la vita di milioni di italiani.
Pressati dall'opinione pubblica e da alcuni partiti, voi avete accettato di non presentare un decreto-legge, però gli effetti sono stati gli stessi. Avete retto per pochissimo tempo, cioè per la discussione nelle Commissioni del Senato, perché poi, arrivati in Aula, avete già detto che bisognava porre la questione di fiducia. E così, in un crescendo, in una progressione aritmetica mai vista, abbiamo dovuto assistere a una fiducia, a due fiducie, a tre fiducie, come con il provvedimento sull'anticorruzione, e oggi a quattro fiducie. Vi chiediamo di fermarvi, perché non sappiamo dove si arriverà di questo passo. Vedete, la Costituzione non può essere sottoposta a torsioni. Il modo normale di legiferare, il modo normale di lavorare del Parlamento è per disegni di legge e per un'iniziativa legislativa esercitata collegialmente dalle due Camere. Da qualche tempo a questa parte, invece, la Camera assiste a partite giocate altrove, assiste alle imposizioni del Governo, e non ha la possibilità neanche di esaminare i provvedimenti e di pronunciarsi. Per favore, fermatevi su questa strada, fermatevi, perché l'emergenza non può giustificare le torsioni e le distorsioni della Costituzione.
Infatti, dopo questa emergenza, verrà, magari, qualcuno che invocherà un'emergenza diversa e, a sua volta, eserciterà le torsioni e le distorsioni sulla nostra Costituzione. Il Parlamento non può essere ridotto ad un'aula di università, in cui il docente parla e gli allievi ascoltano. Non parlo a caso di un'aula di università, perché lei è un professore, è illustre come Pag. 49professore, ma lei deve anche esprimere una cultura di Governo. Non può, avendo una sua idea di come si riforma il mercato del lavoro, imporla alla nostra collettività, alla collettività italiana.
Voi avete giustificato l'accelerazione, attuata con la posizione delle questioni di fiducia, dicendo che il 28 giugno vi sarà un importante vertice europeo e che l'Europa ci chiede di risolvere il problema del mercato del lavoro. Scusate, ma noi non ci crediamo, non cadiamo nella trappola di questo ricatto perché pensiamo che l'Europa sia diversa da come voi la descrivete, non può essere l'Europa che viola la sovranità di uno Stato su questioni come il mercato del lavoro di cui non si può occupare di meno.
Anche la vostra argomentazione per cui la riforma del lavoro è necessaria per attrarre gli investimenti in Italia è senza senso e senza fondamento. La realtà è che l'Italia non attrae investimenti perché qui vi sono corruzione, lungaggini burocratiche, carenze strutturali e infrastrutturali stratificate nel tempo, ma la questione del mercato del lavoro non ha la minima incidenza sull'economia e sulla ripresa economica. Lei, signor Ministro, era convinta di una cosa che ha imposto, tanto che l'accelerazione con la posizione delle questioni di fiducia non è giustificata da ciò che avete tentato di dire, ma dal fatto che si vuole salvare lei, si vuole preservare lei dalle tante critiche dure e giustificate alle quali è stata sottoposta e si vogliono salvare anche i partiti di Governo dall'imbarazzo che hanno e che avrebbero nel votare questo provvedimento, come alla fine finiranno per fare. Ecco, quindi, perché ci troviamo, ancora una volta, a votare questo provvedimento con una fiducia di cui adesso parliamo, in particolare per la prima di esse.
Ho parlato di aula di università perché il testo che lei, signor Ministro, testardamente, ha imposto è una dispensa accademica pensata dal professore in solitudine e somministrata alla nostra comunità nazionale. Questa dispensa ha una madrina, ma non registra padri, vi è un «fuggi-fuggi» generale da questo provvedimento. Basta leggere le dichiarazioni di fuoco che vengono dagli stessi esponenti che sostengono il Governo. L'onorevole Cazzola, relatore del PdL, ha detto francamente, senza mezzi termini, che è un disastro. Il correlatore, l'onorevole Damiano, ha detto con parole felpate e rispettose che noi usciremo tutti esodati da questo provvedimento. Abbiamo sentito e letto le dichiarazioni di esponenti della maggioranza di Governo in Commissione, come i colleghi Poli, Antonino Foti, Baldelli, secondo cui questa riforma non va, è una mancata riforma. Se la approviamo così è anche pericolosa.
Questo è quello che registriamo qui, nel mondo politico, ma se andiamo fuori da quest'Aula e ci rivolgiamo ai ceti sociali, alle persone alle quali noi del gruppo Italia dei Valori vogliamo rivolgerci, dobbiamo osservare che questa, che oramai è una controriforma, non ha nessuno che la sostenga. Siete stati capaci di allontanare le organizzazioni sindacali. La CGIL è forse la più dura, ma la UIL non è stata da meno, ha detto: faremo sciopero non solo contro la riforma, ma contro il Governo e le modalità con cui questa riforma ci sta per essere imposta.
Egualmente la CISL ha parlato di riduzione del danno. Non parliamo della FIOM, per carità, perché sappiamo come ha bollato questa riforma, che va contro le aspettative ed i diritti dei lavoratori e va soprattutto contro le rappresentanze sindacali dei lavoratori, la cui funzione ed il cui ruolo vengono fortemente depotenziati. Forse questo è uno degli obiettivi che ci si pone.
Ma se pensiamo al mondo datoriale, al mondo imprenditoriale, Squinzi, Presidente di Confindustria di poche parole, ha detto: è «una boiata». Così pure si sono poste le altre organizzazioni del mondo datoriale, dell'artigianato e del commercio.
Allora c'è da chiedersi: perché?

PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Palomba.

FEDERICO PALOMBA. Perché questa riforma viene imposta a tutta la collettività Pag. 50italiana? C'è un problema di cultura di Governo, signor Ministro. È un problema di cultura di Governo: non si governa da soli, si governa a favore dei cittadini e delle loro organizzazioni sociali (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori). Questa è la cultura di Governo, che l'Italia dei Valori ha, ed è per questo che noi non vogliamo essere etichettati come un partito che dice sempre «no». Noi non diciamo sempre «no»: noi abbiamo un progetto di società, che vogliamo proporre a tutta la comunità italiana. È un progetto di società che coniuga la legalità, coniuga la solidarietà, coniuga la ripresa e lo sviluppo.

PRESIDENTE. Deve concludere, onorevole Palomba.

FEDERICO PALOMBA. Ecco perché, di fronte a questo provvedimento, noi non voteremo la fiducia. Nello stesso tempo chiediamo agli italiani di dare a noi dell'Italia dei Valori quella fiducia, che può consentire a questo Paese di uscire a testa alta e con dignità da questa terribile crisi (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale della mia dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Onorevole Palomba, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Gianni. Ne ha facoltà.

PIPPO GIANNI. Signor Presidente, signor Ministro, su un tema così importante ed atteso, quale la riforma del mercato del lavoro, si è registrato un impegno determinante delle forze politiche e dei parlamentari, che hanno contribuito, in verità, a migliorare un testo che si presentava per molti aspetti deludente.
L'avere accettato un rapido iter del provvedimento, per consentire che il Governo si potesse presentare con più autorevolezza al prossimo Consiglio europeo, è stato certamente un atto di forte responsabilità. Va tuttavia ricordato, signor Ministro, in questa sede che il riconoscimento esplicito da parte dei membri del Governo sulla necessità che si arrivi ad approfondire in termini rapidi alcuni nodi rimasti in sospeso non potrà essere considerato un impegno generico, ma dovrà fare parte dell'azione della compagine governativa del Parlamento nelle prossime settimane.
Ci si è soffermati in maniera, direi, eccessiva sulla riforma dell'articolo 18, che rappresenta una parte secondaria delle problematiche che colpiscono il mercato del lavoro e non si è discusso, invero, come sarebbe stato necessario, su come arrivare a nuove assunzioni. Pensiamo che oggi il problema non sia come licenziare, ma come assumere.
Non si sono affrontate per niente, o sono affrontate in maniera insufficiente, altre questioni fondamentali, come la flessibilità o gli ammortizzatori sociali o l'utilizzo dei fondi FAS, che continua a rappresentare un asso importante per la ripresa dello sviluppo del Mezzogiorno. Infine - non perché sia l'ultimo punto o perché sia il meno importante, ma perché è il più scottante - ci sono le problematiche legate al numero ed alla realtà degli esodati, sui quali non si è ancora riusciti a fare la necessaria chiarezza: non sappiamo chi, quando e come.
Sulla questione esodati - i quali per comodità di linguaggio chiameremo «i fregati» - che è già stata oggetto di ampio e articolato dibattito in Aula, non intendo soffermarmi, se non per rimarcare che non potrà più essere accettato per il futuro che migliaia di persone, in numero non ancora del tutto definito, dopo una vita dedicata al lavoro, si ritrovino incolpevolmente a non avere né salario né pensione, con la prospettiva di dovere affrontare improvvisamente una situazione di disagio economico del tutto ingiusta e inaspettata.
Non si può più pensare che situazioni di questo genere si possano determinare senza che siano individuate le responsabilità personali e politiche che in altri tempi si sarebbero concluse con le dimissioni, Pag. 51signor Ministro, di chi ha gettato ingiustamente nella disperazione così tante persone. Su questo tema degli esodati, e qui concludo l'argomento, per ora, credo sia stato molto responsabile da parte della XI Commissione (Lavoro) riaprire un tavolo di confronto con i sindacati, perché difficilmente si sarebbe riparlato di questa questione se non vi fosse stato a quel tavolo il coraggio di aprire un confronto con i sindacati. Si tratta di un tavolo di confronto che ovviamente non può essere di carattere orientativo ma dal quale deve essere prodotto un disegno di legge che ponga rimedio agli errori commessi in materia.
Tornando alla questione più generale, possiamo dire che, stante la pressione anche di carattere internazionale, si è cominciato ad affrontare un tema delicato, quello del mercato del lavoro, ma che il Governo e il Parlamento dovranno in tempi brevi apporre i giusti correttivi al fine di arrivare ad una riforma moderna e compiuta dello stesso. Su questi temi delicati sarebbe assurdo pensare che non sia necessario attivare un confronto anche con le parti sociali. Il problema è che tale confronto non può avvenire su discorsi residuali tipo la difesa ad oltranza dell'articolo 18, ma su nuove sfide che la globalizzazione dei mercati ci impone e che certamente non riusciremo a vincere se resteremo ancorati ad una strenua difesa ideologica del passato. In tal senso è sicuramente positivo il lavoro profuso dai due rami del Parlamento per migliorare il testo su temi come il salario minimo dei lavoratori atipici, i contratti a termine, le maggiori tutele per i lavoratori e i titolari di partita IVA. Dovremo, nel seguito del lavoro parlamentare, affrontare e dirimere le osservazioni del Fondo monetario internazionale soprattutto in materia di contrattazione salariale legata alla produttività, sul sistema degli incentivi fiscali per la contrattazione salariale di secondo livello, sulle ulteriori misure di liberalizzazione, sui processi di privatizzazione e lo stato dell'economia. Dobbiamo riuscire a coniugare la riduzione del debito con la necessità di misure economiche che favoriscano una ripresa dell'economia senza più parlare, ma fare le cose che bisogna fare. Su questi temi non abbiamo bisogno di inutili programmi politici ma di un'azione compatta che metta al centro della nostra attività il Paese al di là degli schieramenti e degli interessi politici. Così dovremo continuare a lavorare per il bene del Paese, affinché si esca da un periodo buio in cui è prevalso, più che la politica ed il bene comune, una sorta di guerra fratricida di tutti contro tutti, che in un momento come questo di grave crisi economica e quindi sociale di certo, non ha saputo coalizzare le forze sane che rappresentano l'ossatura del nostro Paese.
Per questo, signor Ministro, come gruppo parlamentare di Popolo e Territorio, siamo stati e siamo pronti ad accettare l'invito del Governo che, nella piena consapevolezza che ancora molto resta da fare sulla materia del lavoro, ha richiesto questo stretto rapporto con il Parlamento per l'elaborazione di misure future che saranno necessarie per affrontare le problematiche rimaste irrisolte, nella prospettiva di una massima tutela di tutti i soggetti interessati dalla crisi economica in atto.
Il nostro Paese e i nostri concittadini stanno affrontando sacrifici enormi per contribuire ad uscire da una crisi economica che sembra interminabile e lo sarà se continuiamo così. Noi, signor Ministro, come rappresentanti legittimamente eletti dal popolo, abbiamo il dovere di mettere al primo punto non gli interessi individuali o dei partiti politici ma gli interessi collettivi. Per questo, pur avendo forti perplessità sul testo finale, vi annunciamo che come gruppo parlamentare Popolo e Territorio voteremo la fiducia all'Esecutivo.
Vogliamo mandare Monti a questo appuntamento forte della fiducia del Parlamento. Una fiducia condizionata, signor Ministro, perché siamo consapevoli che, se non dovessimo farlo, l'economia potrebbe restare in balia di mercati finanziari, annullando di fatto l'economia reale, e che avremmo quindi la possibilità di rilanciare veramente il mercato del lavoro. Per questo - concludo - non è più tempo di Pag. 52inutile attendismo. Le volontà espresse da rappresentanti del Governo di voler affrontare i nodi irrisolti in materia di lavoro e di rilancio del sistema economico devono entrare in tempi strettissimi nell'agenda parlamentare. Non lo chiediamo solo noi, lo chiede il Paese intero che non vuole soccombere alla crisi economica e non vuole più nutrirsi di disoccupazione e di disperazione (Applausi dei deputati del gruppo Popolo e Territorio).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Muro. Ne ha facoltà.

LUIGI MURO. Signor Presidente, intervengo per dichiarazione di voto sui quattro voti di fiducia al fine di raggruppare in un unico intervento la posizione di Futuro e Libertà. Prima di consegnare ai resoconti dell'Aula le nostre riflessioni parto un po' alla rovescia rispetto ad un intervento tipico quando poi al termine di un ragionamento si conclude per la concessione o meno del voto di fiducia.
Noi invece partiamo dall'inizio dicendo subito che Futuro e Libertà voterà la fiducia, le quattro fiducie. Sono riflessioni che facciamo in premessa, che sono dettate da logiche che riguardano certamente il disegno di legge che approviamo, ma ancor più certamente dalle necessità, dall'esigenza che il nostro Governo ha in questa fase di essere fortemente rappresentativo della capacità del nostro Parlamento, della nostra nazione di saper cogliere, sia pur con mille difficoltà, le novità necessarie che abbisognano per rinnovare il nostro Paese. Detto questo però non possiamo certo non compiere qualche doverosa riflessione rendendoci anche conto come la stessa Commissione Lavoro, le forze politiche e i gruppi parlamentari abbiano fatto un grande sforzo per rinunciare a quella che è la loro tipica attività di poter portare dei contributi, di votare delle proposte.
Quindi noi votiamo la fiducia, lo confermiamo. Certo non abbiamo fatto parte di vertici, di cene serali, non abbiamo partecipato a delegazioni, a trattative, non abbiamo minacciato nulla, perché si tratta del nostro stesso DNA, la cultura istituzionale: il nostro partito ha la cultura delle istituzioni, e in questo momento l'istituzione ha bisogno del nostro intervento. Proprio per questo noi non abbiamo fatto trattative particolare pur avendo delle posizioni non sempre coerenti e conformi con quello che è contenuto in questo disegno di legge. Quindi oggi noi proponiamo la votazione di fiducia, il voto di fiducia favorevole, ben consapevoli che c'è un grande sforzo da parte di tutti di dover contribuire in questa fase. Detto questo - dicevo - qualche riflessione va fatta, perché già dai prossimi provvedimenti - da più parti è stato detto, anche dal Ministro in qualche occasione - vi è la necessità di intervenire. Non mi riferisco solo alla ormai vexata quaestio degli esodati ma a politiche che possano avere un collegamento più attivo con la nostra realtà territoriale.
Certo, abbiamo assistito in questi mesi anche ad un piccolo grande braccio di ferro tra le due maggiori forze politiche che appoggiano il Governo. Diciamo che se dovessimo dare un giudizio diremmo che ha vinto nettamente ai punti la sinistra che prima ha impedito di adottare la formula del decreto-legge, e poi ha anche imposto una sorta di moratoria sul discorso dell'articolo 18. Ma scendere in queste polemiche significherebbe dare ragione a chi pensa che in questo momento il Parlamento non è in grado di avere una posizione coerente con le posizioni che il Governo esprime. Noi siamo di parere contrario. Certo alcune novità ci sono, è innegabile. Noi riteniamo molto positivo l'intervento sull'apprendistato. L'apprendistato è il tipico contratto di ingresso nel mondo del lavoro. Certo, aver messo più vincoli, aver individuato delle categorie più strettamente legate al contratto di apprendistato agevola questa formula.
Però dobbiamo rilevare che esiste ancora una grande contraddizione in Italia perché l'apprendistato si scontra con la formazione, che è in gran parte delegata alle regioni. Abbiamo l'assurdità che spesso le regioni hanno legislazioni diverse Pag. 53e quindi un'azienda che opera in più regioni per la sua capacità organizzativa, è tenuta a mettere in campo dei provvedimenti che tengano conto della sede sociale, da un lato, e della sede operativa che sta in un'altra regione, dall'altro. Questo crea una grande confusione.
Positiva è stata anche l'introduzione dell'ASPI. Certo, non riteniamo positiva l'estensione generalizzata dei costi sulle aziende, anche su quelle piccole sotto i 15 dipendenti. Ciò, a nostro avviso, ha provocato un grande allarme e non sappiamo ancora quale sarà la ricaduta che questa problematica avrà nei prossimi tempi. E, quindi, noi riteniamo che su questi aspetti il Governo dovrà intervenire di nuovo e dovrà anche rendersi conto che, a nostro avviso, quello che è un po' mancato nel provvedimento che noi oggi approviamo, è un forte intervento sulla politica attiva. I posti di lavoro e le opportunità di lavoro, a nostro avviso, ma non solo a nostro avviso, non si creano solo con una buona legge, si creano con interventi concreti sul territorio.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MAURIZIO LUPI (ore 17,43)

LUIGI MURO. Vorrei parlare brevemente di una realtà che, sicuramente, sta a cuore a tutti i partiti, ma a noi in modo particolare: il Mezzogiorno d'Italia. Cosa sta accadendo oggi, e da qualche tempo, nel Mezzogiorno d'Italia? Sta accadendo una cosa un po' inversa rispetto a quella che accadeva anni fa, quando coloro che non avevano possibilità di trovare lavoro, spazio, speranze e sogni nel Mezzogiorno, abbandonavano quelle terre andando al nord e all'estero per trovare, appunto, opportunità di lavoro. Cosa sta accadendo, a nostro avviso, da qualche anno, e ancora oggi in modo più forte? Che lasciano il Mezzogiorno quelle classi che, viceversa, sono forti, che hanno la possibilità di lasciare le loro terre. E lasciano a stare nelle terre martoriate del Mezzogiorno i deboli, coloro che non hanno possibilità di mandare il figlio a studiare all'estero o alla Bocconi. E questo cosa causa? Causa un corto circuito pazzesco, perché queste classi, che sono più deboli rispetto a quelle che abbandonano il Mezzogiorno, premono e pressano sul settore e sul segmento pubblico, sugli enti locali, dove spesso anche la cattiva politica ha imperato. E, quindi, si crea un grande corto circuito che, certamente, non può essere risolto semplicemente con una legge o con un intervento normativo. Vanno sbloccati una serie di interventi strutturali che rendano il turismo, le grandi risorse culturali, le grandi capacità ambientali che il nostro Mezzogiorno ha, in grado di correre, di competere, di creare, non posti da vigile urbano, ma occasioni e opportunità di lavoro. È questo che secondo noi manca in questo provvedimento normativo, la politica attiva.
Certo, oggi tutti quanti noi ci avviamo, e spesso lo diciamo nei dibattiti pubblici, a lavorare per i cosiddetti Stati uniti d'Europa. Ma a cosa serve entrare negli Stati uniti d'Europa se noi abbiamo una nazione che, sicuramente, deve riformare la sua costituzione territoriale, ma anche la sua burocrazia e la sua legislazione? Si deve far capire, come recita uno slogan - che poi slogan non è - che se cresce il sud cresce l'Italia. Vanno apportati interventi di grande forza in questo settore del nostro territorio. E, allora, Futuro e Libertà per il Terzo Polo che, come ripeto, in premessa afferma di voler appoggiare con forza questo Governo, in questi giorni non ha fatto trattative, non ha partecipato a vertici alfabetici, ma è un partito autonomo che appoggia il Governo, sia come partito sia come gruppo parlamentare, per la forza istituzionale che esprime, con la consapevolezza che, in questo momento difficile, dobbiamo dare una mano ed essere responsabili.
Noi ci aspettiamo che già dal prossimo decreto sullo sviluppo, il Governo sappia mettere in campo delle azioni, non voglio dire correttive, ma integrative di questi provvedimenti, che mettano in luce alcuni aspetti importanti. Riteniamo che sulla Pag. 54flessibilità in entrata, un maggior coraggio avrebbe aiutato a creare opportunità di lavoro.

PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Muro.

LUIGI MURO. Riteniamo che un eccessivo equilibrismo tra i due maggiori partiti che appoggiano il Governo, abbia danneggiato questa legge. Siamo qui a confermare il nostro appoggio ma anche a confermare che dai prossimi provvedimenti saremo vigili nel capire se il Governo, oltre a dichiarare di voler intervenire, lo farà per davvero (Applausi dei deputati del gruppo Futuro e Libertà per il Terzo Polo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Poli. Ne ha facoltà.

NEDO LORENZO POLI. Signor Presidente, signor Ministro, onorevoli colleghi, siamo chiamati oggi a votare la questione di fiducia richiesta dal Governo per l'approvazione della riforma del mercato del lavoro, che assume una connotazione ancora più critica alla luce degli esiti gravi che la crisi continua a mostrare in questo Paese. I numeri che l'ISTAT in questi giorni ci ha mostrato, evidenziano una realtà caratterizzata dall'enorme tasso di disoccupazione giovanile e dal drammatico aumento dei contratti a tempo determinato. Ebbene, di fronte a questo scenario, l'approvazione rapida della riforma completa un percorso utile per rilanciare la crescita economica e costituisce il presupposto indispensabile per il superamento delle problematiche che affliggono il nostro Paese. Ribadisco quanto già detto in discussione ieri: è una riforma necessaria, un passaggio obbligato per far crescere il Paese, ma che tuttavia contiene criticità ancora irrisolte e che avremmo voluto fossero affrontate con maggior risolutezza.
Comprendiamo che occorre approvare immediatamente la riforma. Chiediamo soltanto che vi sia la possibilità di riconsiderare, nel più breve tempo possibile, alcune criticità che ho più volte evidenziato anche in questa sede e che riguardano ambiti lavorativi e professionali importanti. Mi riferisco alle norme di contrasto alle finte partite IVA, che, così come sono formulate con un rigido meccanismo di presunzioni, rischiano di danneggiare anche le vere partite IVA. Si parla di circa 5 milioni 700 mila persone che, pur essendo giuridicamente dipendenti, hanno una cultura del rischio e un rapporto con la gerarchia tipico del lavoro autonomo. Queste ultime, infatti, rischiano di essere la categoria più danneggiata dalla riforma. Comprendiamo la volontà del Governo di arginare lo sfruttamento dei giovani lavoratori attraverso il meccanismo dell'apertura forzata della partita IVA. Tuttavia l'aumento di 6 punti percentuali di contribuzione previdenziale, rappresenta un salasso difficile da sopportare, capace solo di allontanare ulteriormente l'attività del Governo da chi sente di subire ingiustificate restrizioni. Si tratta di posizioni svantaggiate anche perché, in quanto autonomi, essi scontano la presunzione di colpevolezza riguardo all'evasione fiscale, pur non essendo per loro possibile evadere, dal momento che lavorano con imprese e pubbliche amministrazioni. Chiediamo quindi di rivedere il rigido sistema di presunzioni, in modo che nelle maglie non finiscano anche situazioni di vero lavoro autonomo.
Avremmo voluto una soluzione alla questione dei cosiddetti esodati prima dell'approvazione definitiva di questa riforma, ma auspichiamo che il Governo rispetti gli impegni formalmente presi, dal momento che siamo al cospetto di un problema molto sentito in tutto il Paese, perché riguarda non soltanto le prospettive economiche di cittadini che hanno stretto accordi in buona fede con l'azienda e con lo Stato, ma soprattutto una fondamentale questione di equità sociale e di certezza del diritto che non può essere disattesa.
La nostra posizione è ormai chiara: vogliamo incentivare un virtuoso incontro tra lavoratori e imprese, basato sulla conciliazione tra flessibilità in entrata e flessibilità Pag. 55in uscita. In questo contesto occorrerà tornare a lavorare insieme per la semplificazione del contratto di apprendistato, per conferirgli realmente quel ruolo di modello per l'ingresso dei giovani nel mondo del lavoro che il Governo si propone di realizzare. Solo attraverso minori oneri burocratici e una maggiore chiarezza e semplificazione, il contratto di apprendistato sarà più funzionale alle esigenze per le quali è stato pensato e, soprattutto, più agevolmente fruibile dalle imprese. Occorrerà in futuro modificare ulteriormente le norme sulle collaborazioni a progetto.
Il disegno di legge, infatti, modifica in modo generale diverse disposizioni del lavoro a progetto, con l'intento di evitare l'utilizzo distorto di detta tipologia contrattuale. Tuttavia, le modifiche apportate non sono sufficienti a ricondurre tali rapporti di lavoro nell'alveo della genuina autononia. Riteniamo importante evitare che il complesso degli interventi di riforma sul contratto a tempo determinato, finisca per penalizzare fortemente una fattispecie contrattuale comunque caratterizzata dalle garanzie tipiche del contratto di lavoro subordinato. In particolare, le norme sull'attività stagionale, non sembrano comprendere le reali esigenze di aziende e lavoratori in questa particolare attività lavorativa. Avremmo desiderato affidare alla contrattazione di ogni livello, senza ulteriori limiti e senza bisogno che ricorrano particolari circostanze produttive e organizzative, sia la facoltà di ridurre gli intervalli previsti dalla legge tra un contratto a termine ed un altro, sia la possibilità di individuare i presupposti perché possa procedersi all'assunzione a termine di una quota percentuale di lavoratori senza necessità di indicare una causale specifica, soluzione quest'ultima pienamente coerente con la facoltà di deroga che la legge già riconosce nella contrattazione collettiva di ogni livello.
Siamo fortemente critici in merito all'eliminazione del contratto di inserimento, che ha rappresentato fino ad oggi uno dei pochi, ma buoni, strumenti che i soggetti svantaggiati hanno avuto per fare il loro ingresso nel mondo del lavoro. Avremmo preferito una minore burocratizzazione della pratica delle dimissioni in bianco, pur ritenendo valide le modifiche apportate. Anche per quanto riguarda gli interventi in favore dei lavoratori anziani, che in virtù delle recenti modifiche dei requisiti di accesso alle pensioni, sono sostanzialmente gli ultrasessantenni, ci saremmo aspettati una disciplina con presupposti di realizzazione più certi, anche in ragione dell'intervento integrativo da parte della fiscalità pubblica.
Occorrerà ragionare su un possibile differimento dell'entrata a regime della nuova ASPI, cercando di capire se in questa fase di crisi, la traslazione in avanti della riforma, non consenta di tutelare meglio i lavoratori, consentendo ancora per un po' di usufruire degli ammortizzatori sociali esistenti, il cui utilizzo è ormai rodato quindi sicuro ed efficiente.
Quanto alla flessibilità in uscita, ossia alla disciplina dei licenziamenti, riteniamo importante ed apprezzabile il passo in avanti fatto dal Governo, che, dopo decenni di stallo e di veti, è riuscito a trovare un buon compromesso sull'articolo 18 dello statuto dei lavoratori e a riportare razionalità al sistema. Anche l'introduzione del nuovo canale processuale per le controversie in materia di licenziamenti, potrà portare a buoni risultati. Questa riforma prova a mettere al bando la precarietà e le scappatoie alle regole poste a tutela dei lavoratori e delle lavoratrici. Non nascondiamo che avrebbe potuto essere anche più coraggiosa, se non ci fossero state posizioni chiuse e a volte ideologicamente cristallizzate.
Comprendiamo le ragioni della apposizione della questione di fiducia sul disegno di legge al nostro esame. Sottoporre al nuovo vaglio dell'Aula un testo sul quale già l'altro ramo del Parlamento ha svolto un esame lungo, sarebbe stato in queste giornate convulse, nelle quali la speculazione finanziaria gioca con il futuro del nostro Paese e dell'Unione europea, un rischio insostenibile. La stessa XI Commissione (Lavoro) della Camera, ha infatti trovato un equilibrio tra sensibilità politiche Pag. 56per lungo tempo distanti e contrapposte. Certo una simile prassi presta il fianco a critiche sull'esproprio del Parlamento, del suo diritto di dibattere, di discutere, di modificare anche in misura sostanziale i provvedimenti che sembrano essere provenienza esclusiva dell'Esecutivo. Tuttavia, mai come in questa occasione, simili critiche sembrano immotivate e strumentali. Infatti, la riforma del lavoro sulla quale ci apprestiamo a votare la questione di fiducia è stata sottoposta ad un vaglio prezioso e di grande attenzione delle Commissioni lavoro sia alla Camera sia al Senato, realizzando un equilibrio apprezzabile tra esigenze diverse, quelle dei lavoratori, che devono poter trovare nel lavoro non solo uno strumento di sussistenza, ma anche un mezzo di promozione della dignità della persona, e quelle delle imprese, che devono poter contare su norme aderenti alle dinamiche dei mercati.
Per questo il gruppo dell'Unione di Centro ha aderito alla richiesta giunta in Commissione dal Presidente del Consiglio, quando la sera del 20 giugno scorso in una nota ha chiesto al Parlamento di accelerare l'esame sulla riforma del mercato del lavoro in modo che la legge fosse approvata entro il 27 giugno, per dare la possibilità al Consiglio europeo di prendere atto del varo di questa importante riforma strutturale. A questo punto la decisione da parte di tutti noi è stata dettata da senso di responsabilità e dalla necessità della tempestiva conclusione dell'iter di esame, al fine di conferire maggiore credibilità all'azione del Governo italiano nelle sedi comunitarie, in occasione del prossimo Consiglio dell'Unione europea.
Di conseguenza, il ricorso alla questione di fiducia è stata una scelta obbligata, che votiamo convinti che gli aspetti di criticità evidenziati - e concludo, signor Presidente - vengano presi adeguatamente in considerazione, rispettando gli impegni formalmente presi dal Governo nei confronti del Parlamento (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro per il Terzo Polo - Congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Bonino. Ne ha facoltà.

GUIDO BONINO. Signor Presidente, signor Ministro, colleghi, questo Parlamento sta per approvare una riforma del mercato del lavoro virtuale, una riforma inesistente, una riforma che non riforma, perché non creerà nuova occupazione, manterrà lo status quo, anzi, peggiorerà le condizioni dei nostri lavoratori, ridurrà le loro tutele e le loro garanzie, in cambio di nulla.
Disapproviamo l'intero e complessivo impianto del provvedimento che, in una prospettiva di crescita, come recita il titolo del provvedimento, sarebbe dovuto intervenire sulla pressione fiscale, invece che irrigidire la flessibilità in entrata, ed ampliare quella in uscita. Secondo noi, la riforma del mercato del lavoro avrebbe dovuto incentrarsi sui reali problemi che le imprese, oggigiorno, incontrano a causa del periodo di grave crisi economica che il Paese sta attraversando. Avrebbe dovuto, pertanto, prevedere un abbattimento del costo del lavoro, perché solo così è possibile combattere il precariato e creare un'occupazione di qualità.
È un dato di fatto che, finora, questa maggioranza e questo Governo hanno dimostrato poca sensibilità rispetto ai concreti problemi dei giovani privi di occupazione o ai precari. Basti ricordare azzardate esternazioni pubbliche, come quella del Ministro dell'interno, Cancellieri - che ha ironizzato sui giovani mammoni, che vogliono il posto fisso nella stessa città o a fianco della mamma o del padre - o, infine, la battuta del Premier sul posto fisso che è monotono. Queste frasi evidenziano un'estrazione sociale di chi non ha dovuto fare gavetta e non ha dovuto mantenersi agli studi lavorando né, tantomeno, ha rischiato di essere un precario a vita, e forse, proprio per questo, ha varato una riforma astratta, che si può definire quasi fuori del contesto attuale, dei bisogni e delle necessità concrete dei lavoratori e dei datori di lavoro. Pag. 57
Non dimentichiamoci, infatti, che le collaborazioni sono nate, di fatto, nel senso che non sono state introdotte dal legislatore nel nostro ordinamento e poi applicate, bensì il contrario: prima è sorto il cosiddetto parasubordinato e, poi, il legislatore è intervenuto per regolamentare una situazione che, di fatto, generava solo sommerso. Questo vuol dire che, se il contratto di lavoro di natura subordinata a tempo indeterminato è troppo gravoso per l'azienda, questa cercherà sempre il modo per reperire manodopera senza ricorrere all'assunzione a tempo indeterminato.
Pertanto, signor Ministro e cari colleghi deputati che sostenete questa maggioranza, è vero, con questo provvedimento avremo meno precari: peccato, però, che non avete considerato quanti disoccupati in più ci saranno (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania). Non vorremmo che si ripetesse quanto già è accaduto per gli esodati, con la riforma delle pensioni, nella cosiddetta legge di stabilità.
Avete fatto i conti di quante entrate sarebbero derivate dall'aumento dell'età pensionabile non considerando, o sottovalutando, quanti fossero gli esodati, coloro, cioè, che avevano già lasciato l'occupazione sulla base di accordi individuali con il datore di lavoro perché prossimi alla pensione, e che ora si trovano senza reddito e senza pensione.
Con questa riforma state facendo lo stesso, voi ora pensate solo a come punire il datore di lavoro che ricorre a collaborazioni e consulenze, tutte prestazioni con partita IVA, ma non avete quantificato quanti collaboratori a progetto, contrattisti a termine ed autonomi resteranno a casa.
Signora Ministro, ha fatto fare delle stime su quanti contrattisti a termine e parasubordinati non avranno più il rinnovo del contratto dopo l'entrata in vigore di questo disegno di legge? E quanti di loro, invece, vedranno il proprio contratto trasformarsi nel tanto auspicato e utopico rapporto a tempo indeterminato? Perché, se ha queste stime, non le nasconda come ha fatto con il rapporto INPS sugli esodati; le porti in quest'Aula e ce le faccia conoscere, se invece non le ha, come crediamo, allora lei è recidiva e noi della Lega denunceremo con forza, finché avremo fiato, il disastro sociale che, sconsideratamente, si sta portando avanti.
Non diteci che questa era l'unica riforma possibile, che gli interventi sulle tipologie contrattuali erano necessari e doverosi per l'incentivare l'impiego virtuoso di tali istituti e contenere il rischio di utilizzarli come copertura nei riguardi di forme di impiego irregolare del lavoro. Non avete neanche preso in considerazione le proposte parlamentari alternative, eppure queste giacciono presso la Commissione lavoro; iniziative legislative meritevoli, come la nostra sulla flessibilità che nell'ottica di coniugare la flessibilità richiesta dalle imprese con le istanze di sicurezza richieste dai lavoratori, soprattutto dai giovani, prevede quale incentivo per la conversione dei contratti di collaborazione in rapporto di lavoro a tempo indeterminato con l'introduzione di una specifica clausola di flessibilità nel contratto e mediante la quale, il lavoratore, al momento della stipula del contratto, riconosce al datore di lavoro la facoltà di poter modificare alcune parti del contratto stesso a fronte di specifiche esigenze organizzative e produttive. Questo si doveva fare, questo doveva prevedere una vera riforma del mercato del lavoro in un periodo di congiuntura economica negativa: incentivi alle imprese per assumere e per convertire i rapporti di lavoro a tempo determinato in rapporti a tempo indeterminato, e non invece restringere le opportunità di utilizzo dei contratti flessibili, limitandone i campi di applicazione e lasciando inalterato il costo del lavoro. Come per gli esodati, che siete partiti dalle risorse per stabilirne la platea, anche in questo caso avete percorso una strada al contrario: siete partiti dal regolamentare il «come licenziare» senza preoccuparvi del «come assumere». Le nuove norme sull'articolo 18 danno solo più potere ai giudici, finendo con l'aumentare il contenzioso ed anche la lunghezza del procedimento per via del tentativo obbligatorio di conciliazione. Pag. 58
Per tutti questi motivi che ho elencato la Lega Nord Padania voterà contro la questione di fiducia all'articolo 1 del provvedimento (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Bellanova. Ne ha facoltà.

TERESA BELLANOVA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signori rappresentanti del Governo, ancora una volta lo straordinario contesto internazionale e la particolare congiuntura richiedono l'assunzione di responsabilità con decisioni difficili e pesanti sia sul piano dei contenuti che su quello delle procedure che in democrazia attengono alla sostanza e non solo alla forma.
Non vi è dubbio che l'azione del Governo, che come Partito Democratico abbiamo sostenuto fin dalla sua formazione, e poi nei mesi successivi con il nostro contributo di idee e di proposte, abbia aiutato il Paese a recuperare credibilità con i nostri partner in ambito europeo ed internazionale. Per lo stesso senso di responsabilità nei confronti del Paese e al fine di rafforzare la posizione del Governo in vista degli imminenti impegni europei, il Partito Democratico acconsente oggi alla richiesta del Presidente del Consiglio di favorire una rapida approvazione del testo di riforma del mercato lavoro attraverso il ricorso al voto di fiducia. Lo fa anche a seguito del solenne impegno assunto, per espressa dichiarazione del Presidente Monti, a sciogliere in via definitiva i noti di merito ancora irrisolti relativi a temi cruciali per la vita quotidiana delle famiglie italiane e per la condizione di milioni di lavoratrici e di lavoratori.
Mi riferisco ai nodi relativi alla vicenda dei cosiddetti esodati, all'entrata in vigore del nuovo sistema di ammortizzatori sociali, al tema di una regolazione efficace della flessibilità in entrata, alla creazione di occupazione femminile, alla salvaguardia dei diritti dei lavoratori più giovani e a concrete prospettive per un lavoro e per un loro ingresso nel mondo del lavoro come risposta alle loro aspettative. Le famiglie italiane vivono una fase di profonda preoccupazione e di incertezza per il loro presente precario e per il futuro dei loro figli, di cui non intravedono uno sbocco. Dobbiamo trovare la maniera di prospettare una uscita dal tunnel della crisi e della disperazione, è il nostro dovere, e questo può essere fatto solo ponendo il rispetto della dignità del lavoro per tutti a perno irrinunciabile e primario della politica del Paese. Il Partito Democratico ha più volte insistito sull'esigenza di dare avvio ad una fase di riforme secondo saldi criteri di equità sociale. Abbiamo insistito sul bisogno di rinviare l'entrata in vigore della riduzione degli ammortizzatori sociali. Tutti gli indicatori mostrano che, purtroppo, nelle imprese, non vi è un ritorno ai normali ritmi di produzione. Affrontare i mesi e l'anno che abbiamo davanti con una riduzione degli ammortizzatori comporterebbe un effetto pesantissimo sull'esistenza di migliaia di persone che già vivono una condizione di debolezza lavorativa ed economica.
Ecco perché, qualora non si fosse ritenuto necessario il varo immediato di questo importante provvedimento, avremmo voluto poter discutere e proporre una serie di miglioramenti che pure ci appaiono necessari e utili. Mi riferisco, ad esempio, alla previsione di un salario minimo di riferimento, per i lavoratori con contratto di lavoro a progetto, accompagnato da una più stringente disciplina del loro contratto. Occorrono, inoltre, delle disposizioni per contrastare drasticamente il fenomeno delle false partite IVA con una serie di indicatori che possono favorire la configurazione di tali rapporti di lavoro quali collaborazioni coordinate e continuative, con quel che ne consegue in termini di regime previdenziale e di eventuale trasformazione della collaborazione in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.
Va sottolineato il valore di alcune disposizioni. Anche se ancora non si raggiunge quell'universalità del sistema degli ammortizzatori sociali da noi auspicata, la riforma si muove nella direzione di misure Pag. 59maggiormente inclusive, e se le disposizioni volte a favorire l'apprendistato quale canale principale per l'accesso al lavoro troveranno riscontro nei comportamenti dei diversi soggetti sociali ed istituzionali coinvolti, è di tutta evidenza che la platea dei beneficiari del sistema di protezione temporale del reddito in caso di perdita del lavoro si amplierà notevolmente rispetto al quadro attuale. Lo stesso dicasi per le misure volte a favorire la costituzione di fondi di solidarietà bilaterali in tutti i settori economici. Spesso riaffiorano nel dibattito politico ed istituzionale pulsioni e suggestioni decisionistiche. La nostra rimane, comunque, una democrazia parlamentare, in cui il rapporto fiduciario che lega il Governo al Parlamento e non il contrario rappresenta, a mio avviso, un punto di forza per la capacità di ascolto e rappresentanza degli interessi diffusi del Paese.
Solo questo rende efficace e credibile l'azione stessa del Governo. Credo che il caso della recente riforma delle pensioni sia paradigmatico al riguardo. L'assenza di gradualità nell'innalzamento dell'età pensionabile è stato un errore grave, al quale dobbiamo porre rimedio con urgenza e tempestività (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
Si tratta di un provvedimento che - tengo a sottolineare - ha colpito maggiormente le donne, le quali troppo spesso subiscono un ritardo strutturale ad accedere al mondo del lavoro, che altrettanto spesso sono le prime ad esserne espulse e che sono contemporaneamente chiamate a sopperire alla mancanza di un sistema di welfare reale nella nostra società. Condividiamo i molti spunti critici che emergono dal ponderoso e circostanziato parere del Comitato per la legislazione, a cui rinviamo per ragioni di tempo, poiché vorremmo soffermarci su altre considerazioni.
Si impone, comunque, una domanda: qual è il modello economico-industriale che si ritiene più appropriato per il nostro Paese? Il mantenimento di un sistema produttivo che rappresenta tuttora il secondo complesso manifatturiero dell'Europa o, invece, l'impoverimento, e addirittura l'annullamento, del comparto industriale, proprio nei settori più innovativi e con i più alti tassi di contenuto tecnologico? Vogliamo continuare a concorrere con la Germania, o pensiamo di cavarcela inseguendo i Paesi di nuova industrializzazione?
Riteniamo siano domande non improprie. Quando si parla di riforma del mercato del lavoro preferiremmo parlare di regolazione dei rapporti di lavoro in una prospettiva di crescita. Negli ultimi mesi, proprio mentre la struttura industriale del Paese progressivamente cedeva sotto il peso di chiusure di siti produttivi, anche di importanza storica, che avevano caratterizzato la crescita e l'attuale assetto di zone di eccellenza, ci siamo paradossalmente dedicati ad una disamina sulla cosiddetta «flessibilità in uscita», un eufemismo che mascherava, di fatto, l'obiettivo di procedere ad una revisione dell'articolo 18 (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico), un intervento tanto evitabile quanto inutile, solo ideologico.
Non troviamo altra convincente spiegazione. È infatti impressionante la crescente sequela di chiusure, ristrutturazioni, ridimensionamenti, riorganizzazioni, licenziamenti che continuano a susseguirsi. Solo per citare i casi più noti - oltre alle decine e decine di tavoli tecnici presso il Ministero dello sviluppo economico per la gestione delle crisi industriali - possiamo ricordare il caso della Fincantieri, o quello del civile di Finmeccanica, o ancora quello della FIAT e del suo progressivo ridimensionamento della capacità produttiva in Italia e sul mercato europeo, dalla chiusura degli impianti di Termini Imerese e della Irisbus di Avellino al ridimensionamento degli impianti storici del Nord-ovest.
Dobbiamo scongiurare il rischio che il nostro sistema produttivo possa ripiegare su se stesso, ritagliandoci un ruolo marginale con preoccupanti effetti in alcune zone del Paese come il Mezzogiorno, già penalizzato da un pesante arretramento Pag. 60infrastrutturale e produttivo, con tassi di disoccupazione emergenziale, soprattutto per quanto riguarda i giovani.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

TERESA BELLANOVA. Un minuto, signor Presidente. Certamente molto rimane da fare. In mezzo ai tumultuosi cambiamenti e alla insicurezza che gli italiani vivono, il significato del lavoro e del diritto del lavoro nella vita di ogni donna e di ogni uomo restano immutati, come elementi determinanti dell'esistenza e direttamente attinenti ai fabbisogni fondamentali e proprio per questo riconosciuti su base internazionale come diritti umani.

PRESIDENTE. Deve concludere.

TERESA BELLANOVA. Più in generale, il filo conduttore comune del nostro impegno, dovunque ciascuno di noi sia chiamato ad operare, anche nelle condizioni più diverse, deve essere quello di una forte e convinta appassionata affermazione del valore del lavoro.
Così si è espresso il Presidente Napolitano nella recentissima Conferenza internazionale del lavoro, occasione in cui ha anche ricordato le parole di un grande economista italiano, Federico Caffè: il pieno impiego non è soltanto un mezzo per accrescere la produzione; è un fine in sé, perché porta al superamento dell'atteggiamento servile di chi stenta a procurarsi una opportunità di lavoro o ha il continuo timore di esserne privato. Il conseguimento di una situazione di pieno impiego va dunque misurato anche e soprattutto in termini di dignità umana.
Di tutto questo - siamo certi - saprà tenere conto il Presidente del Consiglio, onorando l'impegno che si è assunto con il Paese. Con questa consapevolezza, lealmente confermiamo la fiducia al Governo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico - Congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Baldelli. Ne ha facoltà.

SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, la riforma che ci apprestiamo a votare è stata oggetto di un lungo confronto con le parti sociali e di un approfondito esame da parte del Senato. Nel corso di questo esame è stato condotto un lavoro delicato e importante di miglioramento del contenuto del disegno di legge, con la fissazione di alcuni punti di equilibrio che pure, per usare un eufemismo, non hanno regalato grandi soddisfazioni alle parti in causa.
Nel corso dell'iter del provvedimento, il Popolo della libertà, attraverso i suoi gruppi parlamentari, si è fatto carico di un confronto con una piattaforma riformista di forze sociali e di operatori economici, dal quale sono emersi preziosi contributi ispirati al principio di ragionevolezza e destinati ad integrare ed a valorizzare sia il testo approvato dal Senato, sia quelle che ci auguriamo divengano presto le sue successive modificazioni. Sono infatti emerse anche in Commissione lavoro alla Camera numerose criticità da parte dei soggetti auditi, di cui il Governo dovrà in qualche modo farsi carico. Per dirla con le parole del relatore Cazzola, dopo la fase delle audizioni, tutti noi siamo stati più consapevoli dei problemi che questo provvedimento non solo risolve, ma crea. Mi riferisco al fatto che, a detta delle organizzazioni datoriali, questa norma non facilita, ma peggiora la propensione ad assumere. È per questo che il monitoraggio sugli effetti della riforma dovrà essere svolto - lo dico al Ministro - in modo attento e costante.
Siamo consapevoli inoltre della necessità, sottolineata anch'essa nell'ambito delle audizioni, che in questa fase delicata, in vista del decisivo appuntamento europeo dei prossimi giorni, si dia la maggiore forza politica e contrattuale possibile al Governo. Di conseguenza, la maggioranza ha ritenuto necessario - anche a seguito della decisione della Conferenza dei presidenti di gruppo della settimana scorsa - imprimere una forte accelerazione ai lavori della Commissione lavoro per consentire all'Assemblea di esaminare questo disegno di legge in questi giorni. A tal proposito, voglio sottolineare l'atteggiamento Pag. 61di opposizione serio e responsabile da parte dei colleghi del gruppo della Lega Nord. Voglio anche rilevare che questo disegno di legge, che non è neppure un provvedimento collegato alla finanziaria, è stato esaminato dal Parlamento con i tempi di un decreto, mentre il Governo dovrebbe riflettere con attenzione sulla frequenza senza precedenti con la quale sta ricorrendo alla decretazione d'urgenza.
Credo sia opportuno sottolineare anche due risultanze positive di questo dibattito politico in tema di lavoro. Mi riferisco - lo citava in qualche modo anche la collega Bellanova - allo sgonfiamento del conflitto ideologico in materia di articolo 18 tra chi accusava una parte di voler fare licenziamenti liberi ed indiscriminati per dar luogo a una sorta di macelleria sociale e chi accusava l'altra di voler mantenere una iperrigidità antistorica in uscita, inibendo di fatto le nuove assunzioni. Stesso sgonfiamento del conflitto ideologico c'è stato in tema di flessibilità dove, da un lato, c'erano quelli accusati di essere i fautori del precariato e, dall'altro, invece quelli che venivano accusati di essere i nemici dei giovani e della flessibilità.
La collaborazione concreta delle forze politiche in questi ambiti ha ridotto gli steccati pregiudiziali pur non azzerando alcune differenze sostanziali di impostazione. Noi continuiamo a credere che la flessibilità in entrata sia un elemento positivo e che un approccio eccessivamente teorico con questa materia, pur prefiggendosi la nobile finalità di poter combattere certe distorsioni, rischi di finire di fatto per danneggiare gravemente la flessibilità nel suo complesso, anche quella buona, così come continuiamo a ritenere che la flessibilità non nasca come alternativa al lavoro a tempo indeterminato, ma al sommerso ed alla disoccupazione e, proprio per questo, debba essere resa conveniente sul piano economico e contributivo e tutelata attraverso una rete di protezione sociale tendenzialmente universalistica.
Rileviamo inoltre che il testo, all'articolo 4, stabilizza un'iniziativa, quella della decontribuzione dei premi di produzione, introdotta dal Governo Berlusconi e che, a nostro avviso, costituisce una risposta strutturale ed efficace alle esigenze di crescita e di sviluppo del nostro Paese.
Noi chiediamo con forza al Governo di completarla e di integrarla con la detassazione dei salari di produttività, rendendola ancora più accessibile per imprese e lavoratori. Credo sia stato anche oggetto del confronto che c'è stato tra i gruppi parlamentari di maggioranza e il Governo.
Venendo alla questione di fiducia che stiamo per votare, se l'obiettivo del Governo era quello di avere in tasca l'approvazione della riforma entro il vertice, la scelta di porre quattro questioni di fiducia sul testo al Senato si è resa obbligatoria anche alla Camera. Oggi su un provvedimento che lascia aperti, ci auguriamo per poco, diversi interrogativi, esiste per noi una questione di fiducia in senso letterale. Il 20 giugno scorso, in un comunicato ufficiale, il Governo affermava: «il Governo ha chiesto al Parlamento di accelerare l'esame sulla riforma del mercato del lavoro, contenendola entro tempi compatibili con l'esigenza che la legge sia approvata entro il 27 giugno, affinché il Consiglio europeo del 28 giugno possa prendere atto del varo di questa importante riforma strutturale».
Continua ancora il comunicato: «il Governo si impegna a risolvere tempestivamente, con appropriate iniziative legislative, altri problemi posti dai gruppi parlamentari: la questione degli esodati, alcuni aspetti della flessibilità in entrata e degli ammortizzatori sociali; su questi temi il Governo sta lavorando, anche sulla base delle costruttive proposte provenienti dai gruppi parlamentari». Questi stessi contenuti sono stati correttamente e doverosamente ribaditi qualche minuto fa in questa Assemblea dal Presidente del Consiglio Monti. Il voto su queste quattro questioni di fiducia, che ci apprestiamo ad esprimere, è per noi un voto di fiducia sulla volontà e sulla capacità del Governo di mantenere tempestivamente, come è scritto nel comunicato, gli impegni presi con le forze politiche e con Pag. 62i gruppi parlamentari durante l'esame di questo provvedimento e già in parte esplicitati nel comunicato, in tema di flessibilità in entrata che, come lo stesso senatore Treu ha affermato recentemente alla festa del lavoro a Brescia, necessita di correttivi, sulla detassazione dei premi di produttività e sulla vicenda dei cosiddetti esodati.
Ma è anche una fiducia che sul piano politico si fonda sulla convinzione del Presidente del Consiglio Monti, ribadita ancora oggi pomeriggio, che l'approvazione definitiva di questa riforma lo aiuterà e ci aiuterà, sulla base degli obiettivi ambiziosi che lo stesso Presidente Monti ha delineato, a conseguire in Europa risultati più forti e significativi per la prospettiva di tutela e crescita del nostro Paese. Dobbiamo ricordarcelo sempre, infatti: al di là delle iniziative legislative di regolazione di questo o quel settore, l'unica grande strada maestra per la creazione di nuova occupazione è quella della crescita e dello sviluppo. Ed è su questo che si gioca la sfida decisiva, in Europa e in Italia. Per questa illustre e nobile causa di forza maggiore, che consideriamo un elemento di pressione eccezionale e irripetibile, al netto di tutte le forti perplessità di merito che questo provvedimento suscita in molti di noi, ci sarà il voto di fiducia favorevole del gruppo del Popolo della Libertà, nella sincera speranza che questo senso di responsabilità porti al più presto i suoi frutti (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà - Congratulazioni).

PRESIDENTE. Sono così esaurite le dichiarazioni di voto sulla questione di fiducia.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Brunetta. Ne ha facoltà.

RENATO BRUNETTA. Signor Presidente, signor Ministro, non voterò la fiducia al Governo, per due ragioni: la prima è di rispetto istituzionale, la seconda è di merito. Il Governo ci chiede di votare il testo senza apportarvi modifiche, ma annuncia che le farà esso stesso subito dopo. È come chiederci di votare la fiducia su quel che non merita la fiducia del Governo. Ci si chiede dunque una doppia umiliazione, la nostra di parlamentari, davanti ad un'inaccettabile forzatura politica, e la nostra di italiani, davanti ad uno strumentale altare europeo.
Quanto al merito, non voterò le quattro questioni di fiducia, perché si tratta di un pessimo provvedimento, che fa ripiombare indietro di vent'anni il nostro mercato del lavoro (Applausi di deputati del gruppo Italia dei Valori), che ricaccerà nel sommerso e nel lavoro nero oltre tre milioni di lavoratori. È una legge contro i giovani, contro le imprese e contro il nostro futuro, una legge che ci allontana dall'Europa, che fa scappare gli investitori stranieri, una legge se possibile in grado di peggiorare ulteriormente il grado di incertezza delle nostre imprese e dei nostri lavoratori di fronte alla ideologica e inefficiente fondamentalista giustizia del lavoro. È una legge inutile e dannosa.
Signor Presidente Monti, invece di perdere tempo qui e farci perdere tempo con queste quattro inutili fiducie, usi la sua competenza, la sua credibilità e, se fosse necessario, persino le sue dimissioni sul tavolo europeo, per risolvere in quella sede la crisi. Di compiti a casa ne abbiamo fatti tanti e altri ne dovremo fare, ne siamo consapevoli, ma la soluzione non sta in un rigore cieco, masochista e autolesionista. Unione bancaria, fiscale, economica, politica, Banca centrale come la Federal Reserve: questa è la risposta, questo lei dovrà ottenere al prossimo vertice, su questo si misurerà la sua leadership, non su queste quattro inutili fiducie su un provvedimento sbagliato, fuori dal tempo, fuori dall'Europa (Applausi di deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Italia dei Valori).

PRESIDENTE. Onorevole Di Pietro, mantenga il suo entusiasmo nei limiti dovuti.
Dovremmo ora passare alla votazione della questione di fiducia per appello nominale, Pag. 63tuttavia, poiché il termine delle 24 ore dalla posizione della questione di fiducia scade alle ore 18,40, sospendo la seduta fino a tale ora.

La seduta, sospesa alle 18,30, è ripresa alle 18,40.

(Votazione della questione di fiducia - Articolo 1 - A.C. 5256)

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione della questione di fiducia.
Indico la votazione per appello nominale sull'articolo 1, nel testo della Commissione, identico a quello approvato dal Senato, sulla cui approvazione, senza emendamenti ed articoli aggiuntivi, il Governo ha posto la questione di fiducia.
Per agevolare le operazioni di voto invito i deputati ad avvicinarsi al banco della Presidenza, seguendo il proprio turno di votazione, che è evidenziato sul tabellone elettronico, evitando quindi di stazionare nell'emiciclo e di rendere così più difficoltosa l'espressione del voto.
Avverto che la Presidenza ha accolto alcune richieste di anticipazione del turno di voto di deputati appartenenti ai vari gruppi che ne hanno fatto motivata richiesta per gravi ragioni personali per impegni legati alla loro carica.
Estraggo a sorte il nome del deputato dal quale comincerà la chiama.
(Segue il sorteggio).

La chiama avrà inizio dall'onorevole Fioroni.
Invito i deputati segretari a procedere alla chiama.
(Segue la chiama).

Comunico il risultato della votazione dell'articolo 1, nel testo della Commissione, identico a quello approvato dal Senato, sulla cui approvazione, senza emendamenti, e articoli aggiuntivi, il Governo ha posto la questione di fiducia.

Presenti 552
Votanti 533
Astenuti 19
Maggioranza 267
Hanno risposto 456
Hanno risposto no 77

La Camera approva.
Si intendono conseguentemente respinte tutte le proposte emendative presentate all'articolo 1.

Hanno risposto sì:

Abelli Gian Carlo
Abrignani Ignazio
Adinolfi Mario
Adornato Ferdinando
Agostini Luciano
Albini Tea
Albonetti Gabriele
Alfano Angelino
Alfano Gioacchino
Amici Sesa
Antonione Roberto
Argentin Ileana
Armosino Maria Teresa
Baccini Mario
Bachelet Giovanni Battista
Baldelli Simone
Barani Lucio
Barba Vincenzo
Barbieri Emerenzio
Baretta Pier Paolo
Bellanova Teresa
Beltrandi Marco
Benamati Gianluca
Bernardini Rita
Bernardo Maurizio
Bernini Anna Maria
Berretta Giuseppe
Bersani Pier Luigi
Biancofiore Michaela
Biasotti Sandro
Biava Francesco
Bindi Rosy
Bobba Luigi
Bocchino Italo
Bocci Gianpiero
Boccia Francesco
Bocciardo Mariella
Boccuzzi Antonio Pag. 64
Boffa Costantino
Bonaiuti Paolo
Bonavitacola Fulvio
Bonciani Alessio
Bongiorno Giulia
Boniver Margherita
Bordo Michele
Bosi Francesco
Bossa Luisa
Braga Chiara
Brambilla Michela Vittoria
Brancher Aldo
Brandolini Sandro
Bratti Alessandro
Bressa Gianclaudio
Briguglio Carmelo
Bruno Donato
Bucchino Gino
Burtone Giovanni Mario Salvino
Buttiglione Rocco
Calderisi Giuseppe
Calgaro Marco
Calvisi Giulio
Cambursano Renato
Cannella Pietro
Capano Cinzia
Capodicasa Angelo
Cardinale Daniela
Carella Renzo
Carfagna Maria Rosaria
Carlucci Gabriella
Carra Enzo
Carra Marco
Casero Luigi
Casini Pier Ferdinando
Cassinelli Roberto
Castagnetti Pierluigi
Castellani Carla
Catone Giampiero
Causi Marco
Cavallaro Mario
Cazzola Giuliano
Ceccacci Rubino Fiorella
Cenni Susanna
Centemero Elena
Cera Angelo
Ceroni Remigio
Cesa Lorenzo
Cesario Bruno
Cesaro Luigi
Ciccanti Amedeo
Cicchitto Fabrizio
Cicu Salvatore
Cilluffo Francesca
Ciriello Pasquale
Codurelli Lucia
Colaninno Matteo
Colombo Furio
Colucci Francesco
Commercio Roberto Mario Sergio
Compagnon Angelo
Concia Anna Paola
Consolo Giuseppe
Conte Gianfranco
Coscia Maria
Cosentino Nicola
Cosenza Giulia
Costa Enrico
Craxi Stefania Gabriella Anastasia
Crimi Rocco
Crolla Simone Andrea
Cuomo Antonio
Cuperlo Giovanni
D'Alema Massimo
D'Alessandro Luca
Dal Moro Gian Pietro
Damiano Cesare
D'Antona Olga
D'Antoni Sergio Antonio
De Biasi Emilia Grazia
De Camillis Sabrina
Delfino Teresio
Della Vedova Benedetto
Dell'Elce Giovanni
De Luca Francesco
De Micheli Paola
De Nichilo Rizzoli Melania
De Pasquale Rosa
De Poli Antonio
De Torre Maria Letizia
Di Biagio Aldo
Di Cagno Abbrescia Simeone
Di Caterina Marcello
Di Centa Manuela
Dima Giovanni
D'Incecco Vittoria
Dionisi Armando
D'Ippolito Vitale Ida
Distaso Antonio
Divella Francesco
Di Virgilio Domenico
Duilio Lino
Esposito Stefano
Fabbri Luigi Pag. 65
Fadda Paolo
Faenzi Monica
Fallica Giuseppe
Farina Gianni
Farina Coscioni Maria Antonietta
Farinone Enrico
Fedi Marco
Ferranti Donatella
Ferrari Pierangelo
Fiano Emanuele
Fiorio Massimo
Fioroni Giuseppe
Fitto Raffaele
Fogliardi Giampaolo
Fontana Gregorio
Fontana Vincenzo Antonio
Fontanelli Paolo
Formichella Nicola
Formisano Anna Teresa
Foti Antonino
Foti Tommaso
Franceschini Dario
Frassinetti Paola
Frattini Franco
Froner Laura
Fucci Benedetto Francesco
Galati Giuseppe
Galletti Gian Luca
Garagnani Fabio
Garavini Laura
Garofalo Vincenzo
Garofani Francesco Saverio
Gasbarra Enrico
Gatti Maria Grazia
Gava Fabio
Gelmini Mariastella
Genovese Francantonio
Gentiloni Silveri Paolo
Germanà Antonino Salvatore
Ghiglia Agostino
Ghizzoni Manuela
Giachetti Roberto
Giacomelli Antonello
Giacomoni Sestino
Giammanco Gabriella
Gianni Giuseppe
Gibiino Vincenzo
Ginefra Dario
Ginoble Tommaso
Giorgetti Alberto
Giovanelli Oriano
Giro Francesco Maria
Gnecchi Marialuisa
Golfo Lella
Gottardo Isidoro
Gozi Sandro
Grassano Maurizio
Grassi Gero
Graziano Stefano
Grimaldi Ugo Maria Gianfranco
Guzzanti Paolo
Holzmann Giorgio
Iannuzzi Tino
Iapicca Maurizio
Jannone Giorgio
Laboccetta Amedeo
La Forgia Antonio
Laganà Fortugno Maria Grazia
Lainati Giorgio
La Loggia Enrico
Lamorte Donato
Landolfi Mario
Lanzillotta Linda
Laratta Francesco
La Russa Ignazio
Lazzari Luigi
Lenzi Donata
Leo Maurizio
Leone Antonio
Letta Enrico
Levi Ricardo Franco
Libè Mauro
Lisi Ugo
Lo Monte Carmelo
Lo Moro Doris
Lo Presti Antonino
Lorenzin Beatrice
Losacco Alberto
Lovelli Mario
Lucà Mimmo
Lulli Andrea
Luongo Antonio
Lusetti Renzo
Madia Maria Anna
Mannino Calogero
Mannucci Barbara
Mantini Pierluigi
Mantovano Alfredo
Maran Alessandro
Marantelli Daniele
Marcazzan Pietro
Marchi Maino
Marchignoli Massimo
Marchioni Elisa Pag. 66
Margiotta Salvatore
Mariani Raffaella
Marinello Giuseppe Francesco Maria
Marini Cesare
Marmo Roberto
Marrocu Siro
Marsilio Marco
Martella Andrea
Martino Pierdomenico
Mastromauro Margherita Angela
Mattesini Donella
Mazzarella Eugenio
Mazzocchi Antonio
Mazzoni Riccardo
Mazzuca Giancarlo
Mecacci Matteo
Melandri Giovanna
Melchiorre Daniela
Melis Guido
Meloni Giorgia
Menia Roberto
Mereu Antonio
Merlo Giorgio
Merloni Maria Paola
Meta Michele Pompeo
Migliavacca Maurizio
Miglioli Ivano
Migliori Riccardo
Milanato Lorena
Milanese Marco Mario
Milo Antonio
Minardo Antonino
Minasso Eugenio
Minniti Marco
Miotto Anna Margherita
Misiani Antonio
Misiti Aurelio Salvatore
Mistrello Destro Giustina
Misuraca Dore
Moffa Silvano
Mondello Gabriella
Morassut Roberto
Moroni Chiara
Mosella Donato Renato
Motta Carmen
Mottola Giovanni Carlo Francesco
Murer Delia
Murgia Bruno
Muro Luigi
Naccarato Alessandro
Nannicini Rolando
Napoli Angela
Napoli Osvaldo
Narducci Franco
Naro Giuseppe
Nastri Gaetano
Nicco Roberto Rolando
Nicolucci Massimo
Nizzi Settimo
Nucara Francesco
Occhiuto Roberto
Oliverio Nicodemo Nazzareno
Orlando Andrea
Orsini Andrea
Pagano Alessandro
Paglia Gianfranco
Palmieri Antonio
Palumbo Giuseppe
Paniz Maurizio
Papa Alfonso
Parisi Arturo Mario Luigi
Parisi Massimo
Patarino Carmine Santo
Pecorella Gaetano
Pedoto Luciana
Pelino Paola
Peluffo Vinicio Giuseppe Guido
Pepe Antonio
Pepe Mario (Misto-R-A)
Pepe Mario (PD)
Perina Flavia
Pes Caterina
Pescante Mario
Petrenga Giovanna
Pezzotta Savino
Pianetta Enrico
Picchi Guglielmo
Piccolo Salvatore
Picierno Pina
Pionati Francesco
Pisacane Michele
Pisicchio Pino
Piso Vincenzo
Pistelli Lapo
Pizzetti Luciano
Pizzolante Sergio
Poli Nedo Lorenzo
Polidori Catia
Pollastrini Barbara
Pompili Massimo
Porcu Carmelo
Portas Giacomo Antonio
Prestigiacomo Stefania
Proietti Cosimi Francesco Pag. 67
Pugliese Marco
Quartiani Erminio Angelo
Raisi Enzo
Rampelli Fabio
Rampi Elisabetta
Rao Roberto
Ravetto Laura
Razzi Antonio
Realacci Ermete
Recchia Pier Fausto
Ria Lorenzo
Roccella Eugenia
Romani Paolo
Romele Giuseppe
Ronchi Andrea
Rosato Ettore
Rossa Sabina
Rossi Luciano
Rosso Roberto
Rossomando Anna
Ruben Alessandro
Rubinato Simonetta
Ruggeri Salvatore
Rugghia Antonio
Russo Antonino
Russo Paolo
Saglia Stefano
Sammarco Gianfranco
Samperi Marilena
Sanga Giovanni
Sani Luca
Santagata Giulio
Santelli Jole
Santori Angelo
Sardelli Luciano Mario
Sarubbi Andrea
Savino Elvira
Sbai Souad
Sbrollini Daniela
Scajola Claudio
Scalera Giuseppe
Scalia Giuseppe
Scanderebech Deodato
Scandroglio Michele
Scapagnini Umberto
Scarpetti Lido
Scelli Maurizio
Schirru Amalia
Scilipoti Domenico
Sereni Marina
Servodio Giuseppina
Simeoni Giorgio
Siragusa Alessandra
Sisto Francesco Paolo
Speciale Roberto
Sposetti Ugo
Stagno d'Alcontres Francesco
Stanca Lucio
Stasi Maria Elena
Stradella Franco
Strizzolo Ivano
Tabacci Bruno
Taddei Vincenzo
Tanoni Italo
Tassone Mario
Tempestini Francesco
Tenaglia Lanfranco
Terranova Giacomo
Testa Federico
Testa Nunzio Francesco
Testoni Piero
Toccafondi Gabriele
Torrisi Salvatore
Tortoli Roberto
Toto Daniele
Touadi Jean Leonard
Trappolino Carlo Emanuele
Traversa Michele
Tullo Mario
Turco Livia
Turco Maurizio
Urso Adolfo
Vaccaro Guglielmo
Valducci Mario
Valentini Valentino
Vassallo Salvatore
Vella Paolo
Velo Silvia
Veltroni Walter
Ventucci Cosimo
Ventura Michele
Verdini Denis
Verini Walter
Vernetti Gianni
Versace Santo Domenico
Vico Ludovico
Vignali Raffaello
Villecco Calipari Rosa Maria
Viola Rodolfo Giuliano
Vito Elio
Zaccaria Roberto
Zampa Sandra
Zamparutti Elisabetta
Zinzi Domenico Pag. 68
Zucchi Angelo
Zunino Massimo

Hanno risposto no:

Alessandri Angelo
Allasia Stefano
Aracri Francesco
Beccalossi Viviana
Belcastro Elio Vittorio
Bonino Guido
Borghesi Antonio
Bragantini Matteo
Brunetta Renato
Buonanno Gianluca
Callegari Corrado
Cavallotto Davide
Chiappori Giacomo
Cimadoro Gabriele
Comaroli Silvana Andreina
Consiglio Nunziante
Crosetto Guido
Crosio Jonny
Dal Lago Manuela
D'Amico Claudio
Desiderati Marco
Di Giuseppe Anita
Di Pietro Antonio
Di Stanislao Augusto
Di Vizia Gian Carlo
Donadi Massimo
Dozzo Gianpaolo
Dussin Guido
Evangelisti Fabio
Fabi Sabina
Fava Giovanni
Favia David
Fedriga Massimiliano
Fogliato Sebastiano
Follegot Fulvio
Forcolin Gianluca
Formisano Aniello
Fugatti Maurizio
Gidoni Franco
Giorgetti Giancarlo
Giulietti Giuseppe
Goisis Paola
Iannaccone Arturo
Isidori Eraldo
Lanzarin Manuela
Lussana Carolina
Maggioni Marco
Meroni Fabio
Messina Ignazio
Miserotti Lino
Molteni Laura
Molteni Nicola
Monai Carlo
Montagnoli Alessandro
Munerato Emanuela
Mura Silvana
Negro Giovanna
Paladini Giovanni
Palagiano Antonio
Palomba Federico
Paolini Luca Rodolfo
Pastore Maria Piera
Piffari Sergio Michele
Pili Mauro
Polledri Massimo
Porcino Gaetano
Porfidia Americo
Rainieri Fabio
Rivolta Erica
Rondini Marco
Rota Ivan
Simonetti Roberto
Togni Renato Walter
Torazzi Alberto
Vanalli Pierguido
Volpi Raffaele
Zazzera Pierfelice

Si sono astenuti:

Aracu Sabatino
Ascierto Filippo
Bellotti Luca
Bertolini Isabella
Calearo Ciman Massimo
Castiello Giuseppina
Ciccioli Carlo
Contento Manlio
Cossiga Giuseppe
D'Anna Vincenzo
De Corato Riccardo
Iannarilli Antonello
Lehner Giancarlo
Mancuso Gianni
Martino Antonio
Moles Giuseppe
Nola Carlo
Repetti Manuela
Stracquadanio Giorgio Clelio

Pag. 69

Sono in missione:

Barbi Mario
Bergamini Deborah
Brugger Siegfried
Buonfiglio Antonio
Caparini Davide
Cirielli Edmondo
Corsini Paolo
De Girolamo Nunzia
Farina Renato
Galli Daniele
Grimoldi Paolo
La Malfa Giorgio
Lombardo Angelo Salvatore
Lupi Maurizio
Malgieri Gennaro
Mogherini Rebesani Federica
Mosca Alessia Maria
Mussolini Alessandra
Nirenstein Fiamma
Orlando Leoluca
Rigoni Andrea
Stefani Stefano
Stucchi Giacomo
Vitali Luigi
Volontè Luca

(Dichiarazioni di voto sulla questione di fiducia - Articolo 2 - A.C. 5256)

PRESIDENTE. Passiamo a questo punto alle dichiarazioni di voto dei rappresentanti dei gruppi e delle componenti politiche del gruppo Misto sulla questione di fiducia posta dal Governo sul mantenimento dell'articolo 2, nel testo della Commissione, identico a quello approvato dal Senato.
Essendo la seconda dichiarazione di voto, i colleghi saranno abbastanza sintetici o consegneranno il testo dell'intervento.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Belcastro. Ne ha facoltà.

ELIO VITTORIO BELCASTRO. Signor Presidente, intervengo per ribadire il nostro ennesimo «no» alla fiducia a questo Governo. Non vedrei il motivo per il quale dovremmo votare «sì» e continuare ad avere fiducia in un Governo in un momento difficile del nostro Paese che vede uno spread in aumento, le borse che vanno giù, un'economia, quel poco di buono che c'era, che state distruggendo, una Germania prepotente e arrogante. Non accadrà nulla di buono il 28 di questo mese. Gli amici di destra e di sinistra che continuano a dare fiducia a Monti e alla sua squadra, credo che dovranno fare i conti tra poco con un'Italia, con i suoi territori, che va sempre di più arrabbiandosi, che va sempre di più dimostrando l'assoluta contrarietà alle politiche di questo Governo che si è preoccupato delle banche e delle assicurazioni ma ha distrutto quel po' di economia che era rimasto. Ribadiamo pertanto il nostro «no» deciso, convinto a questa politica, a questo Governo e ai suoi componenti (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Misiti. Prendo atto che rinuncia.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Paladini. Ne ha facoltà.

GIOVANNI PALADINI. Sarò velocissimo, signor Presidente, soltanto due osservazioni. Voteremo «no» proprio perché il provvedimento in esame doveva essere inclusivo e dinamico e non doveva marginalizzare e, invece, ha marginalizzato. Doveva essere un provvedimento che aveva come scopo di includere e, invece, ha escluso in un mercato in cui la difficoltà di transizione, soprattutto tra disoccupato e posto di lavoro, era un tema essenziale, il tema centrale del mercato del lavoro, mentre non c'è una seria consapevolezza del problema. Specialmente per quanto riguarda l'articolo 2, concernente l'assicurazione sociale per l'impiego, che doveva costituire un sistema di ammortizzatori sociali, una forma di tutela nella manovra dell'occupazione, una transizione verso l'assetto degli ammortizzatori sociali, abbiamo tolto le garanzie ai lavoratori. Si crea una mancanza di protezione. Conosciamo Pag. 70le criticità e soprattutto dovevamo realizzare un mercato del lavoro più efficiente, equo e inclusivo e si doveva, invece, pensare ad una riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita, compresa la tutela della famiglia e delle pari opportunità. Nell'articolo 2, invece, vediamo che con l'assicurazione sociale per l'impiego, il sistema di ammortizzatori sociali viene meno e si crea una situazione di mancanza di protezione.
È un serio problema, quindi noi voteremo «no» convintamente.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Munerato. Ne ha facoltà.

EMANUELA MUNERATO. Signor Presidente, signor Ministro e onorevoli colleghi, questa riforma non piace alla Lega Nord: lo abbiamo detto a mezzo stampa, nelle aule delle Commissioni al Senato, nell'aula di Palazzo Madama ed ora siamo qui a ribadirlo con forza in quest'aula. Contestiamo l'intento di irrigidire la flessibilità in entrata, a fronte di un allargamento di quella in uscita. Così non creiamo posti di lavoro, non rilanciamo l'economia e la produttività del Paese. Irrigidire le tipologie contrattuali vigenti senza prevedere una riduzione del costo del lavoro combatterà sì il precariato, ma creerà più disoccupazione e sommerso, perché, se il rapporto di natura subordinata costa troppo all'azienda, gli imprenditori comunque non lo prenderanno in considerazione e, se è la legge che impone loro la conversione delle collaborazioni, finirà che ricorreranno a prestazioni celate, sommerse, il tutto a scapito dei lavoratori, che perderanno quelle poche tutele e certezze riconosciute con la legge Biagi.
Noi siamo convinti - e lo ripetiamo - dal momento in cui la riforma ed i suoi contenuti sono stati annunciati. Ciò che ci sconvolge e ci lascia attoniti, però, è scoprire che anche il Ministro Fornero ne è consapevole. Lei stessa, lo scorso 9 maggio, ha dichiarato che la riforma potrebbe incrementare il sommerso, ma è un rischio che bisogna correre. Sono affermazioni gravi da parte del Ministro del lavoro, proponente e firmatario della riforma. Se in un momento di crisi economica come quello che stiamo vivendo adottiamo provvedimenti per favorire ed incrementare il sommerso, invece che combatterlo e recuperare l'evasione fiscale e contributiva, potremo dire addio per sempre alla ripresa economica del nostro Paese. Ecco perché siamo contrari, ecco perché siamo preoccupati.
Signor Ministro, la riforma che lei ha tanto decantato di prospettiva di crescita ha solo il titolo. Non affronta il vero problema che frena la crescita occupazionale: quello del costo del lavoro, che grava sulle imprese e sulle buste paga dei lavoratori. Con tale riforma non si riduce né si alleggerisce la pressione fiscale, anzi la si aumenta, creando di riflesso una disincentivazione delle imprese ad assumere nuova forza lavoro.
Lo scorso 24 maggio il presidente di Confindustria, nel suo discorso all'assemblea annuale dell'associazione, ha ricordato che il fisco in Italia è una zavorra intollerabile che si aggira complessivamente al 68,5 per cento contro il 52,8 in Svezia, il 46,7 in Germania e il 37,3 nel Regno Unito. Per uscire dalla crisi e per la crescita bisogna ridurre la pressione fiscale e non tassare di più. Voi invece cosa fate? Tassate di più. L'addizionale dell'1,4 per cento di cui al comma 28 dell'articolo 2 del provvedimento è uno scempio, che finirà con l'opprimere quelle poche imprese sane rimaste sul mercato a fatica ed i lavoratori parasubordinati, che sconteranno il maggior carico contributivo percependo salari più bassi. È mai possibile che questo emerito Governo di tecnici e di professori non abbia capito tutto ciò? O forse lo avete capito, ma poco vi importa, perché poco conta per voi il risultato effettivo. L'importante è che questa riforma sia approvata, affinché possiate portarla al Consiglio europeo del 28 giugno prossimo.
Parimenti contestiamo la riforma degli ammortizzatori sociali, che modifica tutto per non cambiare nulla, perché i lavoratori Pag. 71a progetto e quelli coordinati e continuativi, oggi costituiti da un esercito di overtrentacinquenni con famiglia a carico, continueranno ad essere esclusi.
Il solo, unico motivo di compiacimento è dettato dalle disposizioni recate dai commi 58 e 63 dell'articolo 2, a seguito del recepimento nel maxiemendamento governativo di un nostro emendamento approvato dal Senato sulla revoca dei trattamenti pensionistici ai condannati per mafia, terrorismo e strage. È un segnale forte di giustizia sociale, perché è impensabile che lo Stato non abbia soldi per l'adeguamento al costo della vita di misere pensioni e poi paghi la pensione a persone che magari hanno sciolto nell'acido bambini innocenti (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).
Peraltro per i condannati in primo grado scatta solo la sospensione, che diventa revoca definitiva se condannati in giudicato. Scatta invece immediatamente per i condannati in via definitiva che al momento già godono di un trattamento economico erogato dallo Stato. Su questo argomento il Governo ci ha dato ragione ed ascoltato, peccato che solo per questo.
Per il resto, è un Governo sordo e cieco, perché non vede e non vuole vedere le difficoltà che le famiglie, i lavoratori e i pensionati stanno incontrando: persone che non arrivano più a fine mese, che non sanno più come pagare le bollette, gli affitti e fare la spesa, insomma, come far fronte alla quotidianità (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania). E, sentendosi sconfortati, abbandonati da questo Stato, scelgono la strada più terribile, quella senza alcun ritorno: il suicidio.
Cos'altro possiamo aspettarci da un Governo composto da tecnici e professori? Come possiamo pretendere che comprendiate questo genere di problemi? Voi che non avete mai avuto problemi di soldi e di posti di lavoro? Ci dispiace e siamo rammaricati che su questioni importanti e di forte impatto sociale, come appunto è la riforma del mercato del lavoro, scegliate l'atteggiamento sordo e cieco, imbavagliando l'Aula con la questione di fiducia per blindare le vostre scelte; scelte che la Lega Nord ne è convinta sono sbagliate e produrranno effetti devastanti. Per tutti questi motivi, voteremo «no» alla richiesta di fiducia (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania - Congratulazioni).

PRESIDENTE. Sono così esaurite le dichiarazioni di voto sulla questione di fiducia posta dal Governo sul mantenimento dell'articolo 2.

(Votazione della questione di fiducia - Articolo 2 - A.C. 5256)

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione della questione di fiducia.
Indico la votazione per appello nominale sull'articolo 2, nel testo della Commissione, identico a quello approvato dal Senato, sulla cui approvazione, senza emendamenti e articoli aggiuntivi, il Governo ha posto la questione di fiducia.
Per agevolare le operazioni di voto, invito i deputati ad avvicinarsi al banco della Presidenza seguendo il proprio turno di votazione, che è evidenziato sul tabellone elettronico, evitando quindi di stazionare nell'emiciclo - vi prego di ascoltare - e di rendere così più difficoltosa l'espressione del voto.
Avverto che la Presidenza ha accolto alcune richieste di anticipazione del turno di voto di deputati appartenenti ai vari gruppi, che ne hanno fatto motivata richiesta per gravi ragioni personali o per impegni legati alla loro carica. Vedrete che non saranno tanti.
Estraggo a sorte il nome del deputato dal quale comincerà la chiama.
(Segue il sorteggio)

La chiama avrà inizio dall'onorevole Dozzo. La Presidenza rispetta maggioranza e opposizione!
Invito i deputati segretari a procedere alla chiama.
(Segue la chiama)

Dichiaro chiusa la votazione. Pag. 72
Comunico il risultato della votazione sull'articolo 2, nel testo della Commissione, identico a quello approvato dal Senato, sulla cui approvazione, senza emendamenti ed articoli aggiuntivi, il Governo ha posto la questione di fiducia.

Presenti 515
Votanti 504
Astenuti 11
Maggioranza 253
Hanno risposto 430
Hanno risposto no 74

La Camera approva.
Si intendono così respinte tutte le proposte emendative riferite all'articolo 2.

Hanno risposto sì:

Abelli Gian Carlo
Abrignani Ignazio
Adinolfi Mario
Adornato Ferdinando
Agostini Luciano
Albini Tea
Albonetti Gabriele
Alfano Angelino
Alfano Gioacchino
Amici Sesa
Antonione Roberto
Argentin Ileana
Armosino Maria Teresa
Baccini Mario
Baldelli Simone
Barani Lucio
Barbieri Emerenzio
Baretta Pier Paolo
Bellanova Teresa
Beltrandi Marco
Benamati Gianluca
Bernardo Maurizio
Bernini Anna Maria
Berretta Giuseppe
Bersani Pier Luigi
Biancofiore Michaela
Biasotti Sandro
Biava Francesco
Bindi Rosy
Binetti Paola
Bobba Luigi
Bocci Gianpiero
Boccia Francesco
Bocciardo Mariella
Boccuzzi Antonio
Boffa Costantino
Bonaiuti Paolo
Bonavitacola Fulvio
Bonciani Alessio
Bongiorno Giulia
Boniver Margherita
Bordo Michele
Bosi Francesco
Bossa Luisa
Braga Chiara
Brancher Aldo
Brandolini Sandro
Bratti Alessandro
Bressa Gianclaudio
Briguglio Carmelo
Bruno Donato
Bucchino Gino
Burtone Giovanni Mario Salvino
Buttiglione Rocco
Calabria Annagrazia
Calderisi Giuseppe
Calgaro Marco
Calvisi Giulio
Cambursano Renato
Cannella Pietro
Capano Cinzia
Capitanio Santolini Luisa
Capodicasa Angelo
Cardinale Daniela
Carella Renzo
Carfagna Maria Rosaria
Carlucci Gabriella
Carra Enzo
Carra Marco
Casero Luigi
Cassinelli Roberto
Castagnetti Pierluigi
Castellani Carla
Causi Marco
Cavallaro Mario
Cazzola Giuliano
Ceccacci Rubino Fiorella
Cenni Susanna
Centemero Elena
Cera Angelo
Ceroni Remigio
Cesa Lorenzo
Cesario Bruno
Cesaro Luigi Pag. 73
Ciccanti Amedeo
Cicchitto Fabrizio
Cicu Salvatore
Cilluffo Francesca
Ciriello Pasquale
Codurelli Lucia
Colaninno Matteo
Colombo Furio
Colucci Francesco
Commercio Roberto Mario Sergio
Compagnon Angelo
Concia Anna Paola
Consolo Giuseppe
Conte Gianfranco
Coscia Maria
Cosentino Nicola
Cosenza Giulia
Costa Enrico
Craxi Stefania Gabriella Anastasia
Crimi Rocco
Crolla Simone Andrea
Cuomo Antonio
Cuperlo Giovanni
D'Alema Massimo
D'Alessandro Luca
Dal Moro Gian Pietro
Damiano Cesare
D'Antona Olga
D'Antoni Sergio Antonio
De Biasi Emilia Grazia
De Camillis Sabrina
Delfino Teresio
Della Vedova Benedetto
De Micheli Paola
De Nichilo Rizzoli Melania
De Pasquale Rosa
De Poli Antonio
De Torre Maria Letizia
Di Biagio Aldo
Di Cagno Abbrescia Simeone
Di Caterina Marcello
Di Centa Manuela
Dima Giovanni
D'Incecco Vittoria
Dionisi Armando
D'Ippolito Vitale Ida
Distaso Antonio
Divella Francesco
Di Virgilio Domenico
Duilio Lino
Esposito Stefano
Fabbri Luigi
Fadda Paolo
Faenzi Monica
Fallica Giuseppe
Farina Gianni
Farina Coscioni Maria Antonietta
Farinone Enrico
Fedi Marco
Ferranti Donatella
Ferrari Pierangelo
Fiano Emanuele
Fiorio Massimo
Fioroni Giuseppe
Fitto Raffaele
Fluvi Alberto
Fogliardi Giampaolo
Fontana Gregorio
Fontana Vincenzo Antonio
Fontanelli Paolo
Formichella Nicola
Formisano Anna Teresa
Foti Antonino
Franceschini Dario
Frassinetti Paola
Frattini Franco
Froner Laura
Fucci Benedetto Francesco
Galati Giuseppe
Galletti Gian Luca
Garagnani Fabio
Garavini Laura
Garofalo Vincenzo
Garofani Francesco Saverio
Gasbarra Enrico
Gatti Maria Grazia
Gava Fabio
Gelmini Mariastella
Genovese Francantonio
Gentiloni Silveri Paolo
Germanà Antonino Salvatore
Ghiglia Agostino
Ghizzoni Manuela
Giachetti Roberto
Giacomelli Antonello
Giacomoni Sestino
Giammanco Gabriella
Gianni Giuseppe
Gibiino Vincenzo
Ginefra Dario
Ginoble Tommaso
Giorgetti Alberto
Giovanelli Oriano
Giro Francesco Maria Pag. 74
Gnecchi Marialuisa
Golfo Lella
Gottardo Isidoro
Gozi Sandro
Grassano Maurizio
Grassi Gero
Graziano Stefano
Grimaldi Ugo Maria Gianfranco
Guzzanti Paolo
Iannuzzi Tino
Iapicca Maurizio
Jannone Giorgio
La Forgia Antonio
Laganà Fortugno Maria Grazia
Lainati Giorgio
La Loggia Enrico
Lamorte Donato
Landolfi Mario
Laratta Francesco
La Russa Ignazio
Lazzari Luigi
Lenzi Donata
Leo Maurizio
Leone Antonio
Letta Enrico
Levi Ricardo Franco
Libè Mauro
Lisi Ugo
Lolli Giovanni
Lo Monte Carmelo
Lo Moro Doris
Losacco Alberto
Lovelli Mario
Lucà Mimmo
Lulli Andrea
Lunardi Pietro
Luongo Antonio
Lusetti Renzo
Madia Maria Anna
Mannino Calogero
Mantini Pierluigi
Mantovano Alfredo
Maran Alessandro
Marantelli Daniele
Marcazzan Pietro
Marchi Maino
Marchignoli Massimo
Marchioni Elisa
Margiotta Salvatore
Mariani Raffaella
Marinello Giuseppe Francesco Maria
Marini Cesare
Marmo Roberto
Marrocu Siro
Marsilio Marco
Martella Andrea
Martino Pierdomenico
Mastromauro Margherita Angela
Mattesini Donella
Mazzarella Eugenio
Mazzocchi Antonio
Mazzoni Riccardo
Mazzuca Giancarlo
Mecacci Matteo
Melandri Giovanna
Melchiorre Daniela
Melis Guido
Menia Roberto
Mereu Antonio
Merlo Giorgio
Merloni Maria Paola
Meta Michele Pompeo
Migliavacca Maurizio
Miglioli Ivano
Migliori Riccardo
Milanato Lorena
Milanese Marco Mario
Milo Antonio
Minardo Antonino
Minasso Eugenio
Minniti Marco
Miotto Anna Margherita
Misiani Antonio
Mistrello Destro Giustina
Misuraca Dore
Moffa Silvano
Mondello Gabriella
Morassut Roberto
Moroni Chiara
Mosella Donato Renato
Motta Carmen
Mottola Giovanni Carlo Francesco
Murer Delia
Murgia Bruno
Muro Luigi
Naccarato Alessandro
Nannicini Rolando
Napoli Angela
Napoli Osvaldo
Narducci Franco
Naro Giuseppe
Nastri Gaetano
Nicco Roberto Rolando
Nicolucci Massimo Pag. 75
Nizzi Settimo
Occhiuto Roberto
Oliverio Nicodemo Nazzareno
Orlando Andrea
Orsini Andrea
Pagano Alessandro
Palmieri Antonio
Palumbo Giuseppe
Paniz Maurizio
Parisi Arturo Mario Luigi
Parisi Massimo
Patarino Carmine Santo
Pecorella Gaetano
Pedoto Luciana
Pelino Paola
Peluffo Vinicio Giuseppe Guido
Pepe Antonio
Pepe Mario (Misto-R-A)
Pepe Mario (PD)
Perina Flavia
Pes Caterina
Pescante Mario
Petrenga Giovanna
Pezzotta Savino
Pianetta Enrico
Piccolo Salvatore
Picierno Pina
Pionati Francesco
Pisacane Michele
Pisicchio Pino
Piso Vincenzo
Pistelli Lapo
Pizzetti Luciano
Pizzolante Sergio
Poli Nedo Lorenzo
Polidori Catia
Pollastrini Barbara
Pompili Massimo
Porcu Carmelo
Portas Giacomo Antonio
Prestigiacomo Stefania
Proietti Cosimi Francesco
Pugliese Marco
Quartiani Erminio Angelo
Raisi Enzo
Rampelli Fabio
Rampi Elisabetta
Rao Roberto
Ravetto Laura
Razzi Antonio
Realacci Ermete
Recchia Pier Fausto
Repetti Manuela
Ria Lorenzo
Roccella Eugenia
Romele Giuseppe
Rosato Ettore
Rossa Sabina
Rossi Luciano
Rosso Roberto
Rossomando Anna
Ruben Alessandro
Rubinato Simonetta
Ruggeri Salvatore
Rugghia Antonio
Russo Antonino
Russo Paolo
Saglia Stefano
Samperi Marilena
Sanga Giovanni
Sani Luca
Santagata Giulio
Santelli Jole
Santori Angelo
Sardelli Luciano Mario
Sarubbi Andrea
Sbai Souad
Sbrollini Daniela
Scajola Claudio
Scalera Giuseppe
Scanderebech Deodato
Scandroglio Michele
Scapagnini Umberto
Scarpetti Lido
Scelli Maurizio
Schirru Amalia
Sereni Marina
Servodio Giuseppina
Simeoni Giorgio
Siragusa Alessandra
Sisto Francesco Paolo
Speciale Roberto
Sposetti Ugo
Stagno d'Alcontres Francesco
Stasi Maria Elena
Stradella Franco
Strizzolo Ivano
Tabacci Bruno
Taddei Vincenzo
Tanoni Italo
Tassone Mario
Tempestini Francesco
Tenaglia Lanfranco
Terranova Giacomo Pag. 76
Testa Federico
Testa Nunzio Francesco
Testoni Piero
Toccafondi Gabriele
Torrisi Salvatore
Tortoli Roberto
Toto Daniele
Touadi Jean Leonard
Trappolino Carlo Emanuele
Traversa Michele
Tullo Mario
Turco Maurizio
Vaccaro Guglielmo
Valducci Mario
Valentini Valentino
Vassallo Salvatore
Vella Paolo
Velo Silvia
Veltroni Walter
Ventucci Cosimo
Ventura Michele
Verdini Denis
Verini Walter
Vernetti Gianni
Vico Ludovico
Vignali Raffaello
Villecco Calipari Rosa Maria
Viola Rodolfo Giuliano
Vito Elio
Zaccaria Roberto
Zampa Sandra
Zamparutti Elisabetta
Zucchi Angelo
Zunino Massimo

Hanno risposto no:

Alessandri Angelo
Allasia Stefano
Aracri Francesco
Beccalossi Viviana
Belcastro Elio Vittorio
Bonino Guido
Borghesi Antonio
Bragantini Matteo
Brunetta Renato
Buonanno Gianluca
Callegari Corrado
Cavallotto Davide
Chiappori Giacomo
Cimadoro Gabriele
Comaroli Silvana Andreina
Consiglio Nunziante
Crosetto Guido
Crosio Jonny
Dal Lago Manuela
D'Amico Claudio
Desiderati Marco
Di Giuseppe Anita
Di Pietro Antonio
Di Stanislao Augusto
Di Vizia Gian Carlo
Donadi Massimo
Dozzo Gianpaolo
Dussin Guido
Evangelisti Fabio
Fabi Sabina
Fava Giovanni
Favia David
Fedriga Massimiliano
Fogliato Sebastiano
Follegot Fulvio
Forcolin Gianluca
Formisano Aniello
Fugatti Maurizio
Gidoni Franco
Giorgetti Giancarlo
Giulietti Giuseppe
Goisis Paola
Iannaccone Arturo
Isidori Eraldo
Lanzarin Manuela
Lussana Carolina
Maggioni Marco
Meroni Fabio
Messina Ignazio
Miserotti Lino
Molteni Laura
Molteni Nicola
Monai Carlo
Montagnoli Alessandro
Munerato Emanuela
Mura Silvana
Negro Giovanna
Palagiano Antonio
Palomba Federico
Paolini Luca Rodolfo
Pastore Maria Piera
Piffari Sergio Michele
Pili Mauro
Polledri Massimo
Porcino Gaetano
Rainieri Fabio
Rivolta Erica Pag. 77
Rondini Marco
Rota Ivan
Simonetti Roberto
Torazzi Alberto
Vanalli Pierguido
Volpi Raffaele
Zazzera Pierfelice

Si sono astenuti:

Bellotti Luca
Bertolini Isabella
Calearo Ciman Massimo
Castiello Giuseppina
Ciccioli Carlo
Contento Manlio
Cossiga Giuseppe
De Corato Riccardo
Lehner Giancarlo
Mancuso Gianni
Moles Giuseppe

Sono in missione:

Barbi Mario
Bergamini Deborah
Brugger Siegfried
Buonfiglio Antonio
Caparini Davide
Cirielli Edmondo
Corsini Paolo
De Girolamo Nunzia
Farina Renato
Galli Daniele
Grimoldi Paolo
La Malfa Giorgio
Lombardo Angelo Salvatore
Lupi Maurizio
Malgieri Gennaro
Mogherini Rebesani Federica
Mosca Alessia Maria
Mussolini Alessandra
Nirenstein Fiamma
Orlando Leoluca
Rigoni Andrea
Stefani Stefano
Stucchi Giacomo
Vitali Luigi
Volontè Luca

PRESIDENTE. Il seguito dell'esame, con lo svolgimento delle ulteriori votazione fiduciarie per appello nominale, avrà luogo nella seduta di domani, mercoledì 27 giugno, a partire dalle ore 9,30.

Annunzio della presentazione di un disegno di legge di conversione e sua assegnazione a Commissioni in sede referente (ore 21,15).

PRESIDENTE. Il Presidente del Consiglio dei ministri ha presentato alla Presidenza il seguente disegno di legge, che è assegnato, ai sensi dell'articolo 96-bis, comma 1, del Regolamento, in sede referente, alle Commissioni riunite VI (Finanze) e X (Attività produttive):
«Conversione in legge del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, recante misure urgenti per la crescita del Paese» (5312 A.C.) - Parere delle Commissioni I, II (ex articolo 73, comma 1-bis del Regolamento), III, V, VII e VIII (ex articolo 73, comma 1-bis del Regolamento), IX (ex articolo 73, comma 1-bis del Regolamento, XI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, relativamente alle disposizioni in materia previdenziale), XII, XIII e XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

Il suddetto disegno di legge, ai fini dell'espressione del parere previsto dal comma 1 del predetto articolo 96-bis, è altresì assegnato al Comitato per la legislazione.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Mercoledì 27 giugno 2012, alle 9,30:

1. - Seguito della discussione del disegno di legge:
S. 3249 - Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una Pag. 78prospettiva di crescita (Approvato dal Senato) (C. 5256).
- Relatori: Cazzola e Damiano.

2. - Deliberazione in merito alla costituzione in giudizio della Camera dei deputati in relazione ad un conflitto di attribuzione sollevato innanzi alla Corte costituzionale dal giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Bergamo, di cui all'ordinanza della Corte costituzionale n. 147 del 2011.

3. - Seguito della discussione delle mozioni:
Franceschini ed altri n. 1-01075, Cicchitto ed altri n. 1-01076, Moffa ed altri n. 1-01088, Nucara ed altri n. 1-01089, Cambursano e Brugger n. 1-01092, Donadi ed altri n. 1-01095, Dozzo ed altri n. 1-01096, Pisicchio ed altri n. 1-01097 e Galletti, Della Vedova e Ciccanti n. 1-01098 sulla politica europea dell'Italia in vista del Consiglio europeo del 28-29 giugno 2012.
Dozzo ed altri n. 1-01065 concernente iniziative di competenza per l'indizione di un referendum consultivo sulla adesione al trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance nell'Unione economica e monetaria, noto come «fiscal compact».

La seduta termina alle 21,20.

TESTO INTEGRALE DELL'INTERVENTO DEL DEPUTATO FRANCESCO NUCARA IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DELLE MOZIONI CONCERNENTI LA POLITICA EUROPEA DELL'ITALIA IN VISTA DEL CONSIGLIO EUROPEO DEL 28-29 GIUGNO 2012 E L'INDIZIONE DI UN REFERENDUM CONSULTIVO SUL TRATTATO NOTO COME «FISCAL COMPACT»

FRANCESCO NUCARA. I Repubblicani con la presentazione di una loro mozione hanno inteso dare indicazioni precise e puntuali al Presidente del Consiglio che si appresta all'incontro con gli altri partner europei il 29 giugno prossimo.
Tuttavia la vera battaglia che i repubblicani portano avanti fin dal 1834 con Mazzini e più recentemente con Carlo Sforza, Ugo La Malfa e Giovanni Spadolini è quella relativa alla costituzione dell'Europa politica.
Dai vari commi della mozione presentata dai repubblicani pur nella loro schematicità e puntuale definizione si evince chiaramente quale deve essere l'obiettivo finale.
Noi con i nostri voti pochi nei numeri, ma tanti nella coscienza europeista che portiamo con noi da sempre, accompagneremo positivamente il viatico che il Presidente del Consiglio dovrà fare prossimamente. Tuttavia il 29 giugno può rappresentare una sosta. Dobbiamo pensare che il viaggio per la costruzione dell'Europa politica sarà ancora lungo e faticoso. I detrattori dell'euro sono oggettivamente anti-europeisti, che ne abbiano coscienza o meno non importa.
L'Europa unita politicamente, economicamente e socialmente limiterà i tentativi di disarticolazione dello Stato unitario e democratico che sono in atto o possono essere messi in atto.
Il Governo italiano ha già avviato tutte le iniziative tese a rendere il nostro Paese credibile sulla scena internazionale.
Ed è facile per me sostenere che prima dei diritti vengono i doveri.
I problemi di questo nostro Paese invece di dipanarsi si aggrovigliano nel tempo. Le forze politiche che sostengono il Governo secondo il Presidente del Consiglio, ma solo secondo lui, (ciò è dovuto forse alla sua scarsa esperienza parlamentare), non hanno una visione unitaria e strategica sull'avvenire dell'Italia. Le elezioni paiono sempre più vicine e ÌABC dell'attuale fase politica ha motivo di badare più alle campagne elettorali del proprio partito che alle campagne politiche- economiche per il proprio Paese.
Parlando al Senato da Ministro del Tesoro il 3 ottobre del 1973, Ugo La Malfa sosteneva: «Per l'Italia [...] il problema di Pag. 79fondo è pur sempre il ristabilimento di condizioni che permettano l'avvicinamento della nostra economia a quella degli altri Paesi della Comunità, pur se caratterizzati da strutture diverse, soprattutto dal lato delle disponibilità della manodopera, delle infrastrutture e dei servizi pubblici. [...] Occorre anche pervenire ad una politica monetari uniforme - nel senso di uguali, o almeno, simili livelli e strutture dei tassi di interesse - al controllo o alla rimessa in circolo dei fondi a breve defluiti da uno o più paesi e misure di sostegno o messa in comune di riserve.»
Professor Monti, si legga questo discorso del 1973 e troverà materia per le tesi da esporre il 29 giugno.
Finisco, signor Presidente del Consiglio e signor Presidente della Camera, con una notazione: dite ai Ministri di questo Governo, che non rappresenta gli elettori italiani, di avere un po' di garbo istituzionale nei confronti del Parlamento e dei singoli parlamentari.

TESTO INTEGRALE DELLA DICHIARAZIONE DI VOTO DEL DEPUTATO FEDERICO PALOMBA SULLA QUESTIONE DI FIDUCIA - ARTICOLO 1 DEL DISEGNO DI LEGGE N. 5256

FEDERICO PALOMBA. Il provvedimento in esame sostituisce gran parte dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori sostituendo con 10 nuovi commi i primi 6 attualmente in vigore.
Sul nuovo articolo 18 molto si è scritto, discusso e ci si è scontrati perché nei casi di licenziamento per giusta causa e giustificato motivo che dovessero risultare illegittimi non sempre è previsto il reintegro nel posto di lavoro (tutela reale).
Nel nuovo articolo 18 scompare inoltre la possibilità per il lavoratore di optare, in alternativa alla reintegrazione nel posto di lavoro (tutela reale), per un'indennità pari a 15 mensilità dell'ultima retribuzione globale che l'articolo 18, comma 4, della legge n. 300 del 1970, nella formulazione attualmente vigente, riconosce in tutti i casi in cui il giudice dispone la reintegrazione nel posto di lavoro.
In base al nuovo articolo 18 l'indennità pari a 15 mensilità spetta solo nel caso di reintegrazione disposta a seguito di dichiarazione di nullità del licenziamento perché discriminatorio o adottato in presenza di una causa di divieto. Non spetta più nei casi di licenziamento per giusta causa e giustificato motivo, per i quali rimane il risarcimento del danno, che nel caso di nullità del licenziamento si aggiunge all'indennità.
Va aggiunto che sono elementi di novità comuni ai vari casi di licenziamento illegittimo: a) il fatto che nella determinazione dell'indennità spettante al lavoratore il giudice debba dedurre quanto eventualmente percepito dal lavoratore, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative (nuovo comma 2) e quanto avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione (nuovo comma 4), nonché valutare il comportamento delle parti nell'ambito della procedura di conciliazione (nuovo comma 7); b) l'introduzione di una fattispecie di revoca del licenziamento (individuale) da parte del datore, in virtù della quale, qualora vi sia una revoca entro il termine di quindici giorni dalla comunicazione al datore di lavoro dell'impugnazione del medesimo licenziamento, il rapporto di lavoro si intende ripristinato senza soluzione di continuità, con diritto del lavoratore alla retribuzione maturata nel periodo precedente la revoca, senza applicazione di sanzioni o indennità (comma 10). Intervenendo in sede di replica al termine della discussione generale, il Ministro Fornero ha dichiarato che l'approccio del Governo all'articolo 18 non è stato di tipo ideologico e che quello dell'articolo 18 non è il problema che attanaglia il nostro mercato del lavoro, come peraltro confermato anche dalle organizzazioni datoriali in varie dichiarazioni.
Punti da criticare: in primo luogo, essendo questa la situazione, non appare comprensibile la ragione per la quale si sono volute ridurre le garanzie in favore delle lavoratrici e dei lavoratori in presenza di un licenziamento che un giudice Pag. 80abbia dichiarato illegittimo, indipendentemente dal fatto che il motivo illegittimamente addotto dal datore di lavoro sia riconducibile, in maniera falsa evidentemente, alla categoria dei motivi economici o della riorganizzazione dell'impresa. Trattandosi di diritti fondamentali e irrinunciabili dei lavoratori occorre che la tutela reale (che comporta la reintegrazione nel posto di lavoro) sia sempre garantita nei casi nei quali il licenziamento sia dichiarato illegittimo da un tribunale.
In via subordinata, il nuovo articolo 18 non prevedendo più la reintegrazione nel posto di lavoro in ogni caso di licenziamento individuale illegittimo per ragioni economiche o organizzative dell'impresa, fa venire meno la ragione che limitava la sua applicabilità alle aziende il cui numero di dipendenti sia minimo di 15. Spesso si parla di «modello tedesco» del mercato del lavoro, anche con riferimento alla disciplina dei licenziamenti. Nessuna delle disposizioni proposte dalla riforma Fornero sulle conseguenze del licenziamento ingiustificato, che rimette al giudice l'opzione tra indennizzo e reintegrazione se si discute di presunte inadeguatezze «soggettive» del lavoratore, oppure prevedere solo l'indennizzo se le motivazioni vertono su problemi «oggettivi» dell'azienda, di natura economica o organizzativa, trovano corrispondenza in Germania. Il richiamo a modelli stranieri serve solo a confondere, vantando l'una o l'altra rispettabile ascendenza. Quel che oggi è il modello tedesco è molto più vicino al regime previsto in Italia dal vigente articolo 18 dello Statuto dei lavoratori di quanto vogliano far credere il Governo e i partiti che lo sostengono. Tra le differenze ve ne è una importante: l'obbligo di reintegrazione scatta per le aziende a partire da 10 dipendenti, non oltre i 15, come adesso in Italia. Nella legislazione tedesca del 1951 si prevedeva addirittura il reintegro del lavoratore in aziende con più di 5 dipendenti. Sulla base della nuova disciplina, quindi, si dovrebbe almeno prevedere l'estensione dell'articolo 18 ad un numero maggiore di lavoratori abbassando la soglia oggi prevista di applicabilità alle imprese che impiegano almeno 15 lavoratori. Ciò dovrebbe portare all'estensione ai datori di lavoro, imprenditori e non imprenditori, che in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenziamento occupino alle loro dipendenze più di 10 prestatori di lavoro (e non 15).
Infine è indecente che in caso di accertato illegittimo licenziamento subito da una lavoratrice o da un lavoratore, questi possano essere danneggiati ulteriormente anche nella definizione del quantum di risarcimento o di indennità nel caso in cui non riescano a dimostrare di essersi applicati con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione e di nuove entrate; ciò rappresenta uno svilimento della dignità dei lavoratori. Non si tratta, infatti, di una situazione nella quale il debitore deve adoperarsi per rendere meno oneroso l'adempimento del creditore, ma di una situazione di violazione di diritti costituzionalmente protetti. Deve essere escluso, quindi, che il giudice, accertata l'illegittimità del licenziamento, nella commisurazione del quantum del risarcimento o dell'indennità tra il minimo e il massimo previsti, consideri come parametro quanto il lavoratore avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione oppure le iniziative assunte dal lavoratore per la ricerca di una nuova occupazione.
Su alcune tipologie di contratti di lavoro, con riferimento al contratto a tempo determinato e di somministrazione, le modifiche introdotte consentono la stipula di contratti a tempo determinato «acausali» (ovvero al di fuori delle cause definite dalla legge) di durata fino ad 1 anno non prorogabile. Lo stesso viene previsto per la prima missione di un lavoratore con contratto di somministrazione a tempo determinato; le modifiche introdotte incidono in maniera estremamente negativa sulla disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato di cui al D.lgs. 368/2001, di recepimento della Direttiva 1999/70/CE Pag. 81del 28 giugno 1999, relativa all'Accordo Quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato.
Il Decreto legislativo n. 368 del 2001 all'articolo 1 recita: «È consentita l'apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo». Questa indicazione della legge nasce dall'esigenza, espressamente indicata nella Direttiva 1999/70/CE, di evitare che attraverso il ricorso ad una successione continua di contratti di lavoro a tempo determinato, sia possibile aggirare fraudolentemente la regola generale secondo cui per far fronte ad esigenze permanenti, il datore di lavoro deve sempre ricorrere al contratto di lavoro a tempo indeterminato, mentre il contratto a tempo determinato rappresenta una eccezione cui ricorrere soltanto a fronte di esigenze temporanee ed eccezionali.
Il disegno di legge in esame, pur enunciando nella Relazione illustrativa di voler rispettare lo spirito della direttiva comunitaria, in realtà introduce una pericolosissima novità che consentirà alle imprese di aggirare agevolmente tale principio comunitario, consentendo alle imprese di ricorrere al contratto a tempo determinato non in ipotesi eccezionali o temporanee, legate ad esigenze oggettive e riscontrabili, bensì in qualsiasi occasione, anche legata ad esigenze permanenti, come ad esempio la carenza strutturale di organico, in totale contraddizione con quanto espressamente perseguito dalla direttiva comunitaria.
La possibilità di non indicare la causale, ossia le ragioni di carattere tecnico, organizzativo, produttivo o sostitutivo per l'apposizione del termine al «primo rapporto a tempo determinato di durata non superiore a sei mesi, concluso fra un datore di lavoro o utilizzatore e un lavoratore, per lo svolgimento di qualunque tipo di mansione» significa inequivocabilmente che il datore di lavoro, in futuro, potrà liberamente stipulare contratti di lavoro a tempo determinato, per qualsiasi esigenza, dunque anche per far fronte al normale fabbisogno ordinario di personale, purché ciò avvenga sempre con un diverso lavoratore.
Va eliminato il contratto a tempo indeterminato acausale.
Quanto al contratto di apprendistato si introduce la previsione che il rapporto tra apprendisti e lavoratori qualificati passi dall'attuale rapporto 1/1 a quello di 3/2; per poter assumere nuovi apprendisti il datore di lavoro deve avere stabilizzato almeno il 50% di quelli già assunti nell'ultimo triennio. Per il primo triennio di applicazione della riforma tuttavia, la percentuale è fissata nel 30 per cento e non opera nessuna percentuale per le imprese con meno di 10 dipendenti.
Una percentuale, quest'ultima, troppo bassa che, combinata con il nuovo rapporto apprendisti/qualificati di 3/2, può portare ad un utilizzo di queste forme di lavoro prevalentemente come tipologia di lavoro a costi più bassi senza sostanziale obbligo di stabilizzazione.
Inoltre tutti i datori di lavoro possono sempre assumere un altro apprendista anche se nel triennio precedente non ne hanno stabilizzato neppure uno di quelli precedentemente assunti; questa forma di contratto di lavoro rischia di diventare come la tipologia preferita in ragione dei costi più bassi che comporta, senza sostanziale obbligo di stabilizzazione e svilendo la funzione della componente formativa. Ciò è particolarmente grave se si pensa che il Collegato lavoro (legge n. 103/2010) ha introdotto una disposizione che ha addirittura abbassato l'età minima per iniziare l'apprendistato a 15 anni.
È necessario quindi ripristinare, senza esenzioni, il vincolo alla stabilizzazione del 50 per cento degli apprendisti quale condizione per l'assunzione di ulteriori apprendisti, nonché la riduzione del rapporto tra apprendisti e lavoratori qualificati.
Con riferimento alle collaborazioni rese da titolari di partita IVA, relativamente al fenomeno delle false partite IVA, sono introdotte delle ipotesi ricorrendo le quali le prestazioni rese sono riqualificate come rapporti di collaborazione coordinata e Pag. 82continuativa; ciò avrebbe lo scopo di limitare il ricorso improprio a titolari di partita IVA anziché a rapporti di lavoro subordinato.
In base alle novità introdotte, la presunzione che prestazioni rese da titolari di partita IVA sono da considerarsi rapporti di collaborazione coordinata e continuativa si realizza qualora ricorrano almeno due dei seguenti presupposti: che la durata della collaborazione sia superiore a 8 mesi (6 mesi nel testo originario del disegno di legge) nell'arco di un anno solare; che il ricavo dei corrispettivi percepiti dal collaboratore nell'arco dello stesso anno solare superi la misura dell'80 per cento (75 per cento nel testo originario del disegno di legge) dei corrispettivi complessivamente percepiti dal collaboratore nell'arco dello stesso anno solare; che il prestatore abbia la disponibilità di una postazione fissa di lavoro presso il committente. Queste modifiche, tuttavia, non saranno in grado di raggiungere i risultati sperati, ma anzi potrebbero peggiorare la situazione.
In particolare per quanto riguarda i ricavi conseguiti da un titolare di partita IVA, la nuova disciplina stabilisce che la presunzione di trovarsi di fronte ad una falsa partita IVA non opera quando il lavoratore abbia, comunque, un reddito autonomo «non inferiore a 1,25 volte il livello minimo imponibile ai fini del versamento dei contributi previdenziali, stabilito per gli operai artigiani». Il livello minimo imponibile giornaliero attualmente è di 45,70 euro al giorno, corrispondenti all'anno a circa 14,500 euro (fattore di moltiplicazione 312). Il che significa che una partita IVA si presume non falsa se guadagna all'anno circa 17.800 euro lordi. Tuttavia questa cifra significa un netto effettivo minore di 900 euro al mese per 12 mensilità. Senza ferie, senza tredicesima, senza liquidazione senza infortuni; nessuno accetterebbe di diventare partita IVA in luogo di dipendente per questo compenso. Il fisco e i versamenti alla gestione separata INPS sottraggono all'imponibile fatturato più del 50 per cento. Se proprio si deve introdurre un limite di «presunzione di non falsità della partita IVA» questo deve essere decisamente più alto: ovvero dovrebbe farsi riferimento non 1,25 volte il livello minimo imponibile, ma ad un parametro di riferimento non inferiore al 2,25, in grado di determinare un reddito annuo di circa 32 mila euro, per un compenso netto, sempre per 12 mensilità, di circa 1.300/1.500 euro al mese.
È evidente quindi che le ipotesi di presunzioni di «falsità» del rapporto autonomo (per mascherarne uno subordinato) rischiano di non ricorrere mai!
In più vi è un grave vulnus all'ordinamento determinato dalla previsione che il giudice che abbia accertato la falsità del rapporto a partita IVA debba riqualificare il rapporto di lavoro come collaborazione coordinata e continuativa, anziché di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Questa innovazione è «rivoluzionaria» e determina una violazione palese dei principi generali del nostro ordinamento che considerano il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato il rapporto di lavoro base e normale nel nostro ordinamento che ricorre tutte le volte che non vi siano le specifiche ragioni previste dalla legge perché si possa ricorrere ad altre tipologie di contratti. Peraltro non vi è alcuna connessione tra un rapporto di lavoro subordinato mascherato da partita IVA e un contratto di collaborazione coordinata e continuativa e non è neppure logicamente comprensibile come l'uno possa risolversi nell'altro, se non immaginando che con ciò si vogliano limitare i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori. Appare evidente che una tale disposizione non sarebbe in grado di superare un vaglio di costituzionalità.
Infine, la riforma non si occupa del contratto di somministrazione di lavoro a tempo indeterminato, una fonte di precarietà strutturale. Questo è un rapporto di lavoro che coinvolge un somministratore, che risulta essere il datore di lavoro, un utilizzatore, che è l'impresa presso la quale si svolge l'attività lavorativa e il lavoratore. Sulla base della legge n. 247 del 2007, di attuazione del cosiddetto «Protocollo Welfare», il rapporto poteva Pag. 83essere stipulato solo come contratto di lavoro a tempo determinato, mentre veniva abrogata la somministrazione di lavoro a tempo indeterminato, conosciuto come staff leasing. La legge finanziaria per l'anno 2010 ha reintrodotto nell'ordinamento il contratto di somministrazione a tempo indeterminato, introducendo altresì un nuovo caso di ammissibilità e delegando alla contrattazione aziendale la facoltà di individuarne di aggiuntive. La somministrazione di lavoro a tempo indeterminato è una fonte di precarietà strutturale che danneggia il mercato del lavoro e fortemente i lavoratori e va eliminata.