Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

Cerca nel sito

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Per visualizzare il contenuto multimediale è necessario installare il Flash Player Adobe e abilitare il javascript

Resoconto dell'Assemblea

Vai all'elenco delle sedute >>

XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 615 di lunedì 2 aprile 2012

Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROCCO BUTTIGLIONE

La seduta comincia alle 15.

GREGORIO FONTANA, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 28 marzo 2012.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Alessandri, Caparini, Cicchitto, Colucci, Gianfranco Conte, D'Alema, Dal Lago, Della Vedova, Donadi, Dozzo, Fallica, Franceschini, Grimoldi, Migliori, Milanato, Moffa, Mura, Osvaldo Napoli, Leoluca Orlando, Razzi, Stefani e Stucchi sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente venticinque, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Modifica nella composizione di una componente politica del gruppo parlamentare Misto (ore 15,06).

PRESIDENTE. Comunico che, con lettera in data 23 marzo 2012, il deputato Angelo Santori, iscritto al gruppo parlamentare Misto, ha chiesto di aderire alla componente politica «Liberali per l'Italia-PLI».
Il rappresentante di tale componente, con lettera in pari data, ha comunicato di aver accolto tale richiesta.

Discussione del disegno di legge: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, recante disposizioni urgenti in materia di semplificazione e di sviluppo (Approvato dalla Camera e modificato dal Senato) (A.C. 4940-B) (ore 15,07).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dalla Camera e modificato dal Senato: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, recante disposizioni urgenti in materia di semplificazione e di sviluppo.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 4940-B)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare della Lega Nord Padania ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che le Commissioni I (Affari costituzionali) e X (Attività produttive) si intendono autorizzate a riferire oralmente.
Il relatore per la Commissione affari costituzionali, onorevole Giovanelli, ha facoltà di svolgere la relazione.

Pag. 2

ORIANO GIOVANELLI, Relatore per la I Commissione. Signor Presidente, signor Ministro, il provvedimento di cui iniziamo l'esame in seconda lettura è stato oggetto di alcune modifiche, come è stato detto, al Senato. Segnatamente, al Senato sono stati modificati gli articoli 38 (in modo formale), 44 e 47, nonché la tabella A allegata all'articolo 62, recante le disposizioni da abrogare.
Mi soffermerò, in particolare, sulle modifiche all'articolo 44 e alla tabella A, mentre delle altre parlerà il relatore per la X Commissione, onorevole Saglia.
Ricordo che l'articolo 44 prevede l'emanazione di un regolamento di delegificazione volto a rideterminare e ampliare le ipotesi di interventi di lieve entità sottoposti al procedimento semplificato di autorizzazione paesaggistica.
Al Senato è stato innanzitutto modificato il comma 1, che prevede l'emanazione di un regolamento di delegificazione per la modifica e l'integrazione del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 139 del 2010, recante la disciplina del procedimento semplificato di autorizzazione paesaggistica per gli interventi di lieve entità.
Per effetto della modifica del Senato, il regolamento anzidetto dovrà solo «precisare» - e non «rideterminare e ampliare» come previsto nel testo iniziale del decreto-legge - le ipotesi di interventi di lieve entità. Non è stata, invece, oggetto di modifica la parte della disposizione che prevede che il regolamento dovrà operare le ulteriori semplificazioni procedimentali ivi previste.
Il Senato ha altresì soppresso il comma 2 dello stesso articolo 44, che novellava il comma 1-ter dell'articolo 181 del codice dei beni culturali e del paesaggio (di cui al decreto legislativo n. 42 del 2004), al fine di escludere l'applicabilità delle sanzioni penali previste dall'articolo 181, comma 1-bis, della lettera a) del medesimo codice in taluni casi nei quali venga, comunque, accertata la compatibilità paesaggistica da parte dell'autorità amministrativa competente.
Per quanto riguarda invece la tabella A, il Senato ha espunto da essa - vale a dire dall'elenco delle disposizioni che il decreto abroga - la voce n. 263 che vi era stata introdotta dalla Camera. Tale voce prevedeva, in particolare, la soppressione dell'articolo 5, comma 5-quinquies, della legge n. 225 del 1992.
La Commissione bilancio del Senato, riprendendo quanto già in precedenza rilevato dalla Commissione bilancio della Camera, ha espresso sul testo del decreto-legge un parere non ostativo condizionato, ai fini del rispetto dell'articolo 81 della Costituzione, a questa modifica, vale a dire condizionato al mantenimento in vigore delle disposizioni anzidette.
In particolare, nel parere della Commissione bilancio della Camera la condizione era motivata, nelle premesse, con la tesi che la loro abrogazione farebbe venir meno la fonte di finanziamento del Fondo di cui all'articolo 28 della legge n. 196 del 2009 e che, tenuto anche conto della serie storica delle spese sostenute relativamente al pregresso triennio per le emergenze, presumibilmente non si potrebbe far fronte alle finalità previste a legislazione vigente con le risorse iscritte a tale Fondo.
È bene ricordare che l'articolo 5, comma 5-quinquies, della legge n. 225 del 1992 reca disposizioni sul finanziamento delle spese volte a fronteggiare gli stati di emergenza. Il comma è stato introdotto nella legge, al pari del precedente comma 5-quater e del successivo comma 5-sexies, dal decreto-legge n. 225 del 2010 (il cosiddetto milleproroghe del 2011).
In sintesi, il comma 5-quater della legge n. 225 del 1992 attribuisce al presidente della regione interessata da calamità naturali, nel caso di dichiarazione dello stato di emergenza e nel caso di incapienza del bilancio regionale per coprire le relative spese, il potere di deliberare aumenti, sino a un limite massimo, delle imposizioni tributarie attribuite alla regione, nonché di elevare la misura dell'imposta regionale sulla benzina per autotrazione fino a cinque centesimi per litro oltre la misura massima ordinariamente consentita. Pag. 3
Il comma 5-quinquies, primo periodo, prevede la possibilità per la regione di accedere al Fondo per la protezione civile nel caso in cui le precedenti misure fossero insufficienti e in tutti gli altri casi di eventi previsti dal comma 5-quater di rilevanza nazionale.
Su tali disposizioni è intervenuta la Corte costituzionale, la quale, con la sentenza n. 22 del 2012, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del comma 5-quater e del primo periodo del comma 5-quinquies. In sintesi, la Consulta ha ritenuto che queste norme siano incostituzionali per violazione dell'articolo 77, secondo comma, della Costituzione, in quanto palesemente estranee all'oggetto e alle finalità del decreto-legge milleproroghe, oltre agli altri profili di incostituzionalità che sono stati richiamati nella sentenza.
Con la soppressione della voce n. 263 della Tabella A, disposta dal Senato, resta quindi ferma la vigenza dei periodi dal secondo al quarto dello stesso comma 5-quinquies, che prevedono che, in caso di utilizzo del Fondo di riserva per le spese impreviste, la reintegrazione dello stesso avviene mediante l'aumento dell'accisa su benzina, benzina senza piombo e gasolio usato come carburante. L'aumento è finalizzato anche alla copertura degli oneri derivanti dal differimento, in caso di dichiarazione dello stato di emergenza, dei termini per gli adempimenti e i versamenti dei tributi e dei contributi previdenziali e assistenziali e dei premi per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali di cui al comma 5-ter.
Concludo, ricordando che le Commissioni riunite I e X, in sede referente, non hanno modificato il testo che giunge dal Senato e che su di esso il Comitato per la legislazione ha espresso un parere senza rilievi e la Commissione trasporti ha espresso parere favorevole.
La Commissione bilancio dovrebbe esprimersi per l'Assemblea questo pomeriggio.
Non si sono espresse, invece, le altre Commissioni competenti in sede consultiva.

PRESIDENTE. Abbiamo, oggi, la visita particolarmente importante del Presidente del Parlamento della Repubblica ellenica, onorevole Filippos Petsalnikos, e degli onorevoli Ilias Theodoridis e Georgios Kasapidis, giunti insieme con l'ambasciatore greco per un esercizio di diplomazia parlamentare, i quali stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune.
Il Presidente è accompagnato dal Presidente della Camera, onorevole Fini. Siamo lietissimi di averla con noi, signor Presidente, e colgo l'occasione per ribadire la solidarietà del Parlamento e del popolo italiano al Parlamento e al popolo greco.
Questo è un momento di discussione sulle linee generali, non vi saranno voti importanti e questo spiega il fatto che l'Aula non sia particolarmente affollata. La ringrazio ancora per la sua visita (Applausi).
Il relatore per la Commissione attività produttive, onorevole Saglia, ha facoltà di svolgere la relazione.

STEFANO SAGLIA, Relatore per la X Commissione. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, con il mio intervento intendo relazionare sulle modifiche intervenute al Senato nelle materie di competenza della X Commissione.
Si tratta di una modifica significativa in tema di telecomunicazioni. In particolare, il comma 2-quater dell'articolo 47, finalizzato a favorire diffusione e concorrenzialità dei servizi digitali, era stato introdotto durante l'esame in prima lettura presso la Camera dei deputati ed è stato poi interamente sostituito dal Senato.
Nella formulazione approvata dalla Camera tale comma introduceva sia l'obbligo di offerta in forma disaggregata da parte dell'incumbent (Telecom Italia) per i servizi di accesso all'ingrosso di rete fissa - ovvero quelli connessi all'utilizzazione del cosiddetto ultimo miglio, indicandone le voci (costo per l'affitto della linea; costo delle attività accessorie, quali i servizi di attivazione della stessa ed il servizio di manutenzione correttiva) -, sia la garanzia per gli operatori di poter acquisire i servizi accessori da imprese diverse dall'incumbent, Pag. 4purché di comprovata esperienza ed operanti sotto la vigilanza dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni in regime di concorrenza.
Le modifiche introdotte dal Senato che hanno coinvolto la forma della disposizione, anche laddove sostanzialmente invariata, riguardano due profili: da un lato, sono state introdotte le seguenti modifiche relative ai requisiti e agli obblighi delle imprese terze che possono fornire i servizi accessori, ovvero non è più richiesta la comprovata esperienza ed è stato introdotto l'obbligo di garantire la sicurezza della rete; dall'altro, è stata espressamente indicata la competenza dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, sia in ordine all'individuazione delle misure idonee a rassicurare la disaggregazione dell'offerta, sia in ordine alla determinazione delle modalità secondo le quali gli operatori diversi dall'incumbent possono acquisire i servizi accessori da imprese terze. L'Autorità dovrà individuare le suddette misure entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge in esame, secondo le procedure previste dalla direttiva n. 2002/21/CE, che, al capo III, disciplina le funzioni delle Autorità nazionali di regolamentazione.

PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire in sede di replica. È iscritta a parlare l'onorevole Marchioni. Ne ha facoltà.

ELISA MARCHIONI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, rappresentante del Governo, ci troviamo oggi a varare il decreto-legge contenente disposizioni in materia di semplificazione e di sviluppo per il nostro Paese. Si tratta di un provvedimento cui, dopo l'esame della Camera, il Senato ha apportato limitate modifiche, ed il testo torna ora alla Camera per il via libera definitivo.
Le modifiche del Senato riguardano i reati ambientali, il fondo per le calamità e le telecomunicazioni.
Sui reati ambientali la modifica apportata, con l'intesa di Governo e gruppi parlamentari, riporta il testo originario del decreto-legge, introducendo, però, una modifica, in modo da precisare che non vi possa essere il rischio di depenalizzare reati ambientali e tanto meno il reato di lottizzazione abusiva.
La seconda modifica riguarda la liberalizzazione delle telecomunicazioni, con l'affidamento all'Agcom del compito di individuare, entro quattro mesi, le misure idonee ad assicurare l'offerta disaggregata dei servizi sul cosiddetto ultimo miglio.
La terza modifica porta al ripristino del meccanismo automatico per coprire il fondo per le calamità naturali, un fondo - vorrei aggiungere - la cui disponibilità e la cui accessibilità è molto importante. Infatti, vengo da territori (la Romagna, le Marche, il Montefeltro) che hanno subito gravemente le precipitazioni atmosferiche nevose degli ultimi mesi (gennaio e febbraio), dove sono caduti oltre tre metri di neve.
Ciò ha causato grandissimi danni alla popolazione (sono caduti capannoni di aziende, crollati tetti delle chiese), e queste risorse sono importanti per far ripartire il territorio, per far sì che queste realtà possano ricominciare. Per cui, il fondo per le calamità naturali è davvero importante; una sua disponibilità e accessibilità sono temi molto importanti.
Il provvedimento, così come proposto dal Governo e arricchito con il lavoro delle Camere, è una tappa importante. Rivendico il lavoro in Commissione da parte dei gruppi parlamentari e del gruppo del Partito Democratico, che ha contribuito con emendamenti e correzioni, anche se non tutte approdate nel testo conclusivo, cosa che porta ad affermare che la semplificazione contenuta in questo decreto è soprattutto una direzione di lavoro per il futuro, oltre a quanto già contenuto, perché, appunto, non abbiamo esaurito ciò che vi è da dire e da fare, mentre il peso della burocrazia rimane gravoso per i cittadini, le imprese e le amministrazioni.
Per i cittadini il provvedimento dispone cambiamenti significativi: dal cambio di Pag. 5residenza ai certificati, al pagamento con il bollo telematico, all'autocertificazione per gli immigrati residenti. Ma la semplificazione è un aspetto anche importante, una condizione indispensabile per creare le condizioni per lo sviluppo e la crescita delle attività economiche, per attirare investimenti esteri, per rendere più vicino agli standard europei il funzionamento della nostra società.
Per questo la semplificazione è associata allo sviluppo, e questo provvedimento costituisce una condizione necessaria di partenza. Secondo la Banca mondiale, infatti, nel rapporto «Doing business» - riportato anche oggi da Il Sole 24 Ore -, l'Italia è scesa all'87o posto, su 183 Paesi nel mondo, per la facilità di fare impresa, ed è in coda tra i principali Paesi europei.
La voce più pesante che ci spinge in basso in questa graduatoria è proprio l'avvio dell'attività, cioè le difficoltà per avviare nuove attività. Sempre in base ai dati della Banca mondiale, in Italia occorrono in media 258 giorni per ottenere il permesso di costruzione, l'agibilità, l'allaccio alle reti idriche e a quella telefonica e tutti gli adempimenti burocratici. La media OCSE è di 152 giorni. Sono 100 giorni di differenza che possono bastare per decidere di rinunciare ad intraprendere e a scommettere su una attività economica, oppure possono essere decisivi per cercare altre sedi per investire.
Secondo lo studio della CGIA di Mestre riferito all'inizio del 2011, i costi dovuti alle inefficienze della burocrazia per le piccole e medie imprese, che costituiscono l'ossatura strutturale dell'economia italiana, ammontano a circa 23 miliardi di euro all'anno. È un costo che, per quanto solo stimato, dà l'idea di quante risorse si possano liberare rendendo efficienti gli sportelli e agili le regole; senza dimenticare che regole chiare e procedure snelle contribuiscono ad impedire che si creino quei blocchi e quelle condizioni nelle quali la corruzione possa ancora trovare spazio. Anche qui, secondo i dati della Banca mondiale, il nostro Paese è ultimo in Europa per contrasto a questo fenomeno la cui gravità - cito testualmente - è un fenomeno in continuo aumento. Ciò è stato sottolineato dal Presidente della Corte dei Conti Luigi Giampaolino in audizione presso le Commissioni della Camera lo scorso 14 settembre.
Non dimentichiamo che il nostro Paese si trova al non invidiabile sessantanovesimo posto nella classifica mondiale stilata dall'organizzazione non governativa Transparency International dell'indice di corruzione percepita. L'Italia peggiora e porta a casa un punteggio che la pone dietro Paesi come il Ghana, la Slovacchia e il Montenegro. In cima alla classifica - dunque i Paesi meno corrotti - ci sono Nuova Zelanda, Danimarca e Finlandia. In fondo, invece, le nazioni dove dominano guerre o dittature come la Corea del Nord, la Somalia e l'Afghanistan. La corruzione dilaga dove la burocrazia è lenta, come ha sostenuto Pier Carlo Padoan, vicesegretario generale dell'OCSE, nell'intervista rilasciata qualche giorno fa al quotidiano l'Unità.
Cito dal virgolettato dell'intervista: «È vero che nei Paesi dove la corruzione è diffusa si hanno minore crescita e minore occupazione, effetti negativi che sono più sentiti laddove c'è poca libertà di concorrenza, barriere all'ingresso e posizioni consolidate di monopoli e gruppi di interesse. Corruzione e poca concorrenza si alimentano a vicenda e il risultato è una caduta della produzione e del reddito».
Semplificare, oltre a quanto già espresso in termini di abbattimento di costi, significa anche recuperare fiducia tra i cittadini e lo Stato che li rappresenta, in uno Stato capace di stare al loro fianco. Snellire e semplificare le procedure significa riequilibrare un rapporto che può essere asimmetrico e significa consegnare un quadro certo e stabile di norme con tempi misurabili a chi intende investire in Italia.
Contemporaneamente, regole semplici e certe sono più facilmente applicabili e controllabili. In questo momento di crisi economica e sociale così drammatica (che diventa anche personale per chi si trova in difficoltà e ha perso il lavoro e rischia di Pag. 6perdere contemporaneamente anche le condizioni di una vita dignitosa) tocca alla politica dire le parole e porre i gesti che siano di cambiamento profondo e serio.
Su questa strada si pone il decreto-legge che ci accingiamo a convertire. Non è certo la parola conclusiva di un percorso, come ci ha ricordato in questi giorni anche il Ministro per lo sviluppo economico Passera, annunciando già nuovi provvedimenti per le piccole e medie imprese e per le famiglie, ma questo provvedimento è comunque una tappa già molto importante.
Il decreto-legge si compone di tre parti: le norme di semplificazione e di sviluppo e poi le norme che decadono. Ci sono temi importanti: dall'agenda digitale alla modernizzazione dei servizi delle amministrazioni pubbliche. Non a caso nel decreto-legge si parla anche di scuola, università e ricerca. Un sistema scolastico efficiente è fondamentale per la crescita di un Paese. Un sistema che investe sui giovani e sulle loro capacità, che fa crescere secondo il merito, ma non lascia indietro nessuno è alla base di un'economia che sa innovare e si sa rinnovare, che sa trovare percorsi nuovi e migliorare quelli conosciuti. Non lo si fa senza un apporto di ricerche e di conoscenza.
Investire sulla scuola, quindi, è fondamentale. Ce lo ricorda ancora una volta l'OCSE che ha pubblicato i dati più recenti sugli abbandoni scolastici. L'Italia ha un non invidiabile sesto posto con una percentuale del 30 per cento degli abbandoni tra la popolazione tra i 25 e i 34 anni, senza un diploma di scuola media superiore.
La media OCSE è del 20 per cento di abbandono. Al primo posto c'è la Turchia con una media del 60 per cento. È da notare come alcuni Paesi emergenti, invece, abbiano un abbandono scolastico bassissimo. In Corea solo il 2 per cento degli studenti non si diploma. I dati più alti di scolarizzazione arrivano da Paesi come la Slovacchia, la Repubblica Ceca e la Polonia.
Vorrei soffermarmi un momento su un altro tema, quello del turismo, che è toccato dall'articolo 56 del decreto-legge. Vi sono due novità che questo decreto-legge introduce: una riguarda la possibilità per le cooperative, i consorzi e le cooperative sociali, di avere in concessione, per l'avvio di attività a scopi turistici, i beni confiscati alla mafia; l'altra è la soppressione dei cinque milioni di finanziamento di euro dall'8 per mille, con i quali negli ultimi anni venivano finanziati i buoni-vacanza. La prima è una novità sicuramente positiva, che può contribuire allo sviluppo turistico di aree di grande pregio, naturalistico e storico, utilizzando i beni confiscati alle cosche mafiose. La seconda mi porta, invece, a riflettere su come il turismo possa crescere nel nostro Paese. Siamo tutti d'accordo sul fatto che l'Italia sia un Paese a vocazione turistica, ma sembra così difficile varare una politica nazionale coerente, condivisa e supportata per la crescita e per lo sviluppo turistico del nostro magnifico Paese. L'Italia è un Paese che ha un patrimonio culturale, ambientale e imprenditoriale ineguagliabile ed è al primo posto nel mondo per i siti considerati patrimonio dell'umanità dell'Unesco, con 5 mila chilometri di coste balneabili, 68 mila chilometri quadrati di foreste, 146 riserve naturali, 2.100 siti e monumenti archeologici, 20 mila rocche e castelli, 40 mila dimore storiche, 128 parchi tematici e 185 località termali.
Nell'indice della competitività del 2011 nel turismo del World economic forum, l'Italia, su 139 Paesi esaminati, occupa la ventisettesima posizione in classifica, nonostante il primo posto in infrastrutture turistiche. Al vertice della graduatoria si conferma la Svizzera, seguita dalla Svezia, da Singapore e dagli Stati Uniti. L'Italia è altamente valutata per gli aspetti culturali e per l'eccellente infrastruttura turistica, ma la sua competitività risente di molte debolezze. Dunque, sembra proprio che il Governo non dia priorità a questo settore, come segnala la novantaduesima posizione in proposito.
Se anche nei giorni scorsi il Presidente degli Stati Uniti d'America, Barack Obama, ha annunciato un piano di sviluppo nel turismo, in modo che gli Stati Pag. 7Uniti diventino la prima destinazione turistica del mondo per gli arrivi internazionali, noi, che attualmente occupiamo il quinto posto nella classifica delle destinazioni turistiche più richieste dai viaggiatori dopo Francia, Stati Uniti, Cina e Spagna, abbiamo, anche noi, da porci questo obiettivo, perché davvero il turismo in Italia è un settore economico che potrebbe dare un contributo rilevante per la crescita e per l'occupazione.
In questo contesto il turismo può costituire un volano di sviluppo e merita l'attenzione e politiche industriali mirate che possano farlo crescere. Quindi, i buoni-vacanza possono essere quell'occasione. In Francia, utilizzati dalla metà degli anni Ottanta, muovono l'economia per oltre un miliardo e mezzo di euro, favorendo l'accesso alle vacanze anche per fasce di popolazione meno abbienti. Sottolineo, quindi, che oltre a quanto contenuto in questo provvedimento, sarà importante tornare a parlare di turismo, nella convinzione che possa essere un comparto economico capace di crescere e far crescere occupazione ed economia.
In conclusione, alla Camera ci apprestiamo a varare un provvedimento importante, come abbiamo avuto modo di sottolineare, per molti aspetti di modernizzazione, di semplificazione di procedure e di aiuto allo sviluppo. Si poteva fare di più? Noi abbiamo fatto e contribuito in molti modi. Crediamo che questa sia una tappa importante e una pista di lavoro che possa garantire passi avanti al nostro Paese, per i quali assicuriamo il nostro lavoro (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Meroni. Ne ha facoltà.

FABIO MERONI. Signor Presidente, signor sottosegretario, in seconda lettura arriva il decreto-legge relativo alla semplificazione e allo sviluppo. Il decreto-legge in esame ha come finalità dichiarata quella di porre rimedio allo svantaggio competitivo che caratterizza il nostro Paese, nel contesto europeo e delle economie avanzate, rappresentato dalle complicazioni burocratiche che quotidianamente impegnano le imprese e i cittadini.
Rispetto a tale finalità risulta idonea la scelta dello strumento del decreto-legge, che non consente di realizzare le riforme di sistema per la sua intrinseca natura di atto diretto a provvedere a situazioni straordinarie di urgenza e necessità oltre, come detto, ad incontrare il limite della omogeneità di contenuto.
Il Governo, nella relazione accompagnatoria del disegno di legge di conversione del presente decreto-legge, per l'ennesima volta ha giustificato - in considerazione del fatto che dal 16 novembre a oggi il Governo Monti ha varato ben 12 decreti-legge di cui 8 già convertiti - l'adozione della normativa d'urgenza, adducendo la necessità di contrastare la congiuntura economica internazionale, che ha investito anche il nostro Paese, e l'urgenza di intervenire al fine di adeguare i tempi di reazione alle necessità imposte dai mercati e di difendere le tutele sociali e il potere di acquisto dei cittadini, introducendo norme volte a semplificare il sistema burocratico.
Il provvedimento in esame in materia di semplificazione e sviluppo interviene con 63 articoli, raggruppati in tre titoli, a loro volta suddivisi in capi. Alla materia delle semplificazioni sono dedicati gli articoli del titolo I che stabiliscono anche disposizioni di carattere generale al capo I; il capo II contiene interventi di semplificazione per i cittadini; il capo III per le imprese e, nello stesso titolo, al medesimo capo, sono stabiliti interventi di semplificazione in materia di lavoro, di appalti pubblici, di ambiente, di agricoltura e di ricerca, nonché ulteriori interventi. Allo sviluppo è dedicato il titolo II, le cui disposizioni intervengono in materia di innovazione tecnologica, università, istruzione, turismo, infrastrutture energetiche, nonché di proroga per il credito di imposta per il lavoro nel Mezzogiorno e del programma «Carta acquisti» per i cittadini meno abbienti.
Il titolo III dispone in via transitoria in tema di sponsorizzazione di interventi di Pag. 8realizzazione dei certificati di esecuzione dei lavori e del mancato raggiungimento di intese con le regioni per l'adozione di atti amministrativi statali. Prevede inoltre l'abrogazione di 15 atti o parti di atti normativi, indicati nella tabella allegata al provvedimento. È innegabile che il Governo in questa fase stia abusando dello strumento della normativa d'urgenza, facendo venire meno il presupposto principale dell'eccezionalità del ricorso al decreto-legge, quale deroga al principio di rappresentatività, sottraendo di fatto al Parlamento l'esercizio della funzione legislativa.
La crisi economica non può diventare sempre lo schermo dietro al quale nascondersi per adottare provvedimenti eterogenei, generici e palesemente privi dei requisiti richiesti dall'articolo 77 della Costituzione, in assenza delle circostanze straordinarie di necessità e urgenza che ne giustificano l'adozione. L'Esecutivo tecnico prosegue a legiferare sulla spinta di un'urgenza dichiarata in materie che meriterebbero maggiore approfondimento, approfondimento che viene compresso, o addirittura negato anche in sede di conversione in legge di decreti sempre più numerosi. L'eterogeneità dei contenuti presente nel decreto-legge contrasta apertamente con i contenuti dell'articolo 15 della legge 23 luglio 1988 n. 400, di diretta attuazione costituzionale dell'articolo 77 della Costituzione: in base alla citata disposizione infatti i decreti-legge devono contenere misure di immediata applicazione e il loro contenuto deve essere specifico, omogeneo e corrispondente al titolo.
Il decreto-legge in esame invece accomuna sommariamente l'attuazione di una programmazione politico-economica fondata sulla teoria delle semplificazioni ed una serie di disposizioni che incidono in modo rilevante sui più disparati settori economici pubblici e privati. Potremmo fare degli esempi, caro sottosegretario e caro Ministro: l'articolo 5, comma 6, concerne i cambi di residenza che entrano in vigore dopo 90 giorni. Dov'è l'urgenza? L'articolo 17, ai commi 4-ter e 4-quinquies, riguardo ai lavoratori stagionali, prevede abrogazioni differite al 1o gennaio 2013. Dov'è l'urgenza? E che dire dell'articolo 10 del decreto-legge che stravolge la legge cosiddetta Tognoli? Con un decreto-legge si stravolge una legge i cui effetti sono ormai consolidati nel tempo. Vogliamo forse parlare delle norme sugli ultraottantenni, sulle patenti o sugli istruttori di guida per i quali ci vorrebbero i doppi pedali se superano i sessant'anni? Queste sono le semplificazioni. E che dire dell'articolo 20, che va a sanare il lavoro mal fatto del sindaco di Roma, (leggasi «sponsorizzazione del Colosseo»)?
Caro Ministro, nel mio intervento del 7 marzo avevo auspicato un maggiore coordinamento tra il Governo e le forze di opposizione. Con riguardo alla vostra volontà di introdurre una tassa sulla birra, avevo detto che questo Governo era «alcolico». Oggi il titolo de Il Giornale è ancora più emblematico: «Il fisco è ubriaco». Non cambia di tanto. Ma perché il fisco è ubriaco? Perché stiamo ancora parlando delle solite manovre e delle vostre tasse introdotte in questo Parlamento, caro Ministro.
Veniamo ai giorni nostri: con riguardo all'IMU, la tassa sulla casa, nessuno aveva tenuto in considerazione non le case al mare o in montagna, ma le seconde case, le case date in affitto, che vedranno stravolgere il mercato degli affitti. Nessuno ci aveva pensato. Questi suggerimenti non vengono dati solo dall'opposizione, erano già contenuti nel dibattito del 7 marzo, però voi non avete voluto prenderne atto. Oltre al danno anche la beffa perché anche chi volesse pagare oggi non è messo nelle condizioni di poter pagare l'IMU. E non potete dare la colpa solo ai comuni.
Dovreste perlomeno fare qualcosa di concreto, qualche suggerimento vi è stato dato, rinunciate alla vostra quota sull'IMU, date la possibilità ai comuni di emendare il provvedimento e far pagare ai cittadini quello che loro vogliono far pagare, date questa priorità ai comuni e agli enti locali. Ma l'IMU gioverà a qualcuno? Gioverà forse al settore dell'edilizia? Caro Ministro, come avevamo già detto l'ultima Pag. 9volta, il problema non riguarda solo i 300 mila dipendenti del settore edile che in cinque anni hanno perso il posto di lavoro, ma il fatto che con questa tassazione subiranno un colpo mortale micidiale, scientificamente portato avanti da questo Governo nell'indifferenza del Parlamento; vedremo il settore dell'edilizia crollare. Inoltre, ci sono tutti i presupposti sull'altro discorso che ebbi modo di fare in quest'Aula, caro Ministro, a proposito del settore dell'auto. Mi ero permesso di lamentarmi non perché la Mercedes aveva incrementato le vendite del 20 per cento nel mese di dicembre e gennaio ma perché avevamo raggiunto un traguardo storico, un calo del 17 per cento a gennaio e del 19 per cento a febbraio. I dati odierni dicono che il settore dell'automobile ha subito un calo del 32 per cento nel mese di marzo, questo grazie non solo alla vostra iniqua tassa ma anche alla vostra voracità, volta a «controllare» i semplici cittadini nel momento in cui cambiano auto. Le abbiamo già detto, caro Ministro, che questo non può portare del bene né a questo Governo né a questo Paese, per non entrare nei discorsi di carattere attuale come quello degli esodati - non si sa bene quanti siano, dai 50 ai 100, 350 mila - che abbiamo lasciato non in mezzo al guado come qualcuno dice, ma in mezzo al guano secondo noi, questo è il problema di queste persone a cui non si dà risposta.
Non so onestamente oggi quanta positività abbia questo Governo, non ci sono statistiche, questo Esecutivo dice che ha consenso, bene, penso che questo consenso stia puntando decisamente verso il basso come tutti quei partiti che lo sostengono; forse sarebbe stato meglio se qualcuno si fosse occupato di distribuire caramelle, ma non sono convinto che anche in questo nobile lavoro ci avreste azzeccato.
Veniamo alle modifiche introdotte dal Senato, come l'articolo 47 che parla del mercato delle telecomunicazioni, l'articolo 62 che attribuisce alle regioni la possibilità di poter «coprire» le calamità naturali con le accise. Dare questa possibilità alle regioni, caro Ministro, potrebbe essere una volontà federalista, ma siamo convinti che vi saranno delle regioni che, in caso di calamità, non approfitteranno ma metteranno tutti i cittadini nella possibilità di dare qualcosa per coloro che hanno subito la calamità, ma non siamo così sicuri che in tutto il Paese e in tutte le regioni verrebbe seguito questo modello anche perché siamo scettici e perplessi. Mi riferisco anche all'articolo 44, sui reati minimi ambientali, che il senatore Calderoli è riuscito a fare modificare con il parere favorevole della Commissione giustizia del Senato. Quindi qualcosa è stato fatto, tuttavia - bisogna essere chiari, come parlamentari della Lega Nord per l'indipendenza della Padania - vorremmo partecipare al dibattito per cui abbiamo depositato 29 emendamenti per discutere serenamente - parola grossa questa, signor Ministro - in quest'Aula. L'alternativa sarà come al solito (io sono un po'...ma non posso utilizzare questo termine) l'apparizione del Ministro Giarda che, per l'ennesima volta, chiederà il voto di fiducia e noi valuteremo. La Lega Nord si sta attrezzando con la presentazione di ordini del giorno non per fare semplice ostruzionismo parlamentare ma per restituire dignità al Parlamento e alla politica, poter finalmente dibattere, come dovrebbe avvenire in un'Aula parlamentare democraticamente eletta, per portare le reali esigenze del Paese e dei cittadini, smascherando la vera faccia di questo Governo e, finalmente con le nostre proposte, vedere, come mi auguro, la fine anticipata di questo Governo non eletto.
Forse è per questo che vuole esautorare il libero dibattito politico delegato a questa Assemblea. Annullando il dibattito, si avallano le scelte autoritarie e incostituzionali del Presidente Monti, negando ai parlamentari della Lega Nord di esercitare il loro ruolo di opposizione - opposizione sì, ma forte dei 3.024.522 cittadini che, nell'anno 2008, ci hanno scelto come forza di maggioranza per amministrare questo Paese. Invece, oggi ci troviamo relegati all'opposizione per i soliti giochetti di palazzo. Ebbene, utilizzo ancora la parola «serenamente». Serenamente, caro Ministro, attendiamo; fiducia sì o fiducia no, il Pag. 10gruppo della Lega Nord per l'indipendenza della Padania è pronto a qualsiasi dibattito (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cambursano. Ne ha facoltà.

RENATO CAMBURSANO. Signor Presidente, le considerazioni che ho appena ascoltato immaginano uno scenario catastrofico, ma che soprattutto parte da una realtà che qualcun altro ci ha portato a dover gestire. Per fortuna, è arrivato un Governo capace. Ovviamente la memoria degli uomini è corta e quindi dimentica facilmente, ma invito tutti i colleghi ad andare a leggere oggi un bell'articolo su un quotidiano di Ilvo Diamanti a proposito di questo Governo e di quello che viene definito con troppa facilità o faciloneria il «montismo», perché fotografa una situazione. Ed è una situazione che questo Governo ha ereditato a metà novembre, quando la situazione era totalmente degenerata. Adesso ci si accorge che forse la politica o meglio ancora i partiti sono stati abbandonati da parte dei cittadini. Signor Presidente, non ero intervenuto in discussione sulle linee generali in prima lettura, ecco perché mi sono permesso di chiedere di poter dire la mia su questo decreto-legge, che nelle giornate di domani e dopodomani dovrebbe essere definitivamente convertito. Ed è la terza pietra angolare che questo Governo ha messo su un nuovo edificio, che è certamente difficile da ricostruire dopo un terremoto del più alto livello della scala Mercalli. L'altra pietra angolare, come sanno i colleghi, è il decreto-legge «salva Italia», quello che ha cercato di intervenire anche con misure definite dallo stesso primo Ministro, soprattutto sul fronte delle imposte, forse un po' rozze. Ma sta di fatto che necessitava, perché quella era la situazione e bisognava incidere, anche se personalmente - allora all'opposizione del Governo che l'ha preceduto, ma convinto sostenitore di questo Governo, pur avendo tentato in tutti i modi di correggere e di migliorare il «salva Italia» - ho ritenuto doveroso, rinunciando a valutazioni di parte anche legittime, sostenere il «salva Italia». Il secondo decreto-legge, la seconda pietra miliare, è quello che abbiamo licenziato non più tardi di qualche giorno fa, anche questo in via definitiva, quello definito «cresci Italia» sulle liberalizzazioni. Sappiamo - lo abbiamo detto in tanti modi - quanto l'Italia ne avesse e ne abbia davvero bisogno. E siamo appunto alla terza pietra miliare. Siamo consapevoli che ricostruire questo edificio sta chiedendo molti sacrifici, che non devono essere fini a se stessi, ma devono servire per rimettere in moto un processo di ripresa e di crescita, senza i quali - crescita e moto che ci porti alla crescita - ogni sforzo rischia di essere vano. Ma per rimettere in moto il processo di ripresa e crescita bisogna innanzitutto rimuovere ciò che lo ostacola.
Un recente report degli Stati Uniti individuava in quattro cause principali i motivi per i quali gli investitori americani non scommettevano e non investivano in Italia. Il primo, neanche a farlo apposta, lo sappiamo tutti, è in buona parte di questo Paese - lo dice uno della Padania, se per caso esiste questa terra che si chiama Padania -, non è solo relegato nelle regioni del profondo sud, come le isole, ma è ben presente in realtà come quelle piemontese, milanese e lombarda: sto parlando della delinquenza organizzata. Quella è una delle ragioni, se non la prima, per la quale gli investitori non vengono in Italia.
La seconda ragione - anche questo è un dato certo, ahimè, certificato anche da chi lo fa per mestiere, l'ISTAT - è che questo Paese è ai primi posti al mondo per la corruzione della pubblica amministrazione.
Il terzo motivo è la lentezza della giustizia: quante volte ce lo siamo detti, soprattutto con riferimento alla giustizia civile, in quest'Aula e fuori da essa.
Il quarto è la burocrazia, ma che, ahimè, si sposa anche molto bene con il secondo motivo. La corruzione si annida laddove la burocrazia si inventa lacci e laccioli, pone delle condizioni, che poi si Pag. 11riescono a superare e a snellire, per procedere più speditamente, soltanto, come si diceva una volta dalle mie parti, «ungendo le ruote», cioè pagando quanto «necessario».
La complicazione burocratica, dunque, è una delle prime cause dello svantaggio competitivo. L'OCSE, recentemente, ha evidenziato che, da questo punto di vista, l'Italia era all'83o posto nel 2010; nel da poco terminato anno 2011, siamo riusciti a migliorare - si fa per dire - la graduatoria. Siamo passati all'86o posto, cioè abbiamo peggiorato.
Ecco perché bene ha fatto il Governo a tentare - ma poi dirò che non bastano le regole scritte, ci vorrà la volontà precisa, gli strumenti per poterle attuare - di incidere, anche pesantemente, su questo fronte, per cercare di portarci più vicini alla cima della graduatoria, per davvero, rispetto all'86o posto in cui si ritrova il nostro Paese rispetto alla classifica dell'OCSE o, addirittura, rispetto al 25o posto sui 27 Paesi dell'Unione europea.
Occorre partire dalla consapevolezza di quanto costi questo ritardo al Paese. Qualcuno addirittura ha cercato di quantificarlo in ben 23 miliardi di euro all'anno, che vanno aggiunti ai 60 miliardi della corruzione; e siamo a 83 miliardi.
Poi, all'amico della Lega Nord Padania, dico subito che in testa a tutti i motivi ve n'è un altro, quello dell'evasione fiscale. Poi, se questi strumenti che vengono messi in campo siano persecutori, lasciamolo giudicare dai risultati. Sta di fatto che di mani nella marmellata ne sono state trovate tante, da quando si è proceduto alle verifiche a campione, ma - è stato ben detto, recentemente, dal direttore dell'Agenzia delle entrate - poi si procederà a tappeto. Su questo non ci piove ed è giusto che sia così!
Signor Ministro, dicevo prima che, rispetto alla questione delle regole, si è creata nel nostro Paese una cultura che ha due facce, esattamente opposte l'una all'altra. La prima è quella secondo cui le regole sono sempre e comunque qualcosa da abbattere o, se si preferisce, da non rispettare. Ed ecco da qui la corruzione, l'evasione fiscale e tutto quello che ne deriva.
Abbiamo avuto diversi esempi di ciò nel periodo appena terminato, terminato quattro mesi fa (lo ricordo agli amici della Lega Nord Padania). Vi è, poi, un'altra cultura, di segno opposto, che, proprio di fronte al timore che la violazione delle regole comporti l'abbattimento dei diritti, e quindi agli abusi, si trincera dietro la difesa dell'esistente, preoccupata che semplificare le regole comporti un pericolo sociale, favorisca abusi e così via.
Sono entrambe culture figlie di una stagione che abbiamo bisogno di lasciarci, definitivamente, alle spalle, se vogliamo davvero diventare un Paese normale, in cui i cittadini, le istituzioni e le imprese vivano rispettandosi reciprocamente, non con sospetto e diffidenza. Insomma, si tratta di cominciare a rompere quello che viene, giustamente, chiamato una sorta di circolo vizioso che ha paralizzato o rallentato moltissimo il processo di semplificazione, tentato, come veniva ricordato da qualche collega, anche prima, già negli anni Novanta, che procede, però, troppo lentamente. Questo, come abbiamo appena detto, fa pagare un prezzo altissimo al Paese.
Credo sia necessario esprimere fiducia e apprezzamento per la positività del decreto-legge in esame, e per il grande contributo dato anche dal Parlamento, quest'Aula in prima lettura e il Senato della Repubblica in seconda. Non so se vi saranno ancora le condizioni, i tempi e i modi - i tempi sono molto brevi - per la presentazione di proposte emendative da parte di che lo ritenga opportuno, non so se vi sia ancora il tempo per procedere ad un'ulteriore modifica.
Credo però che lo strumento che esce da quest'Aula in via definitiva - o almeno, dico davvero, auspico che sia così - sia quello che i cittadini aspettano da anni e che riguarda lo scenario a trecentosessanta gradi, colleghi. Infatti, riguarda il rapporto tra le pubbliche amministrazioni e i cittadini, lo snellimento delle procedure e dei tempi - finalmente anche in questo Pag. 12Paese ci si è accorti che esistono degli strumenti che altri Paesi hanno già adottato da tempo, come quello in materia di telecomunicazioni - ma riguarda anche le imprese, anzi, forse il capitolo più positivo, almeno dal mio punto di vista, è proprio quello che concerne lo snellimento delle procedure delle imprese, che si unisce a quello sulle liberalizzazioni, per esempio nei confronti dei giovani che vogliono costituire un'impresa, una Srl, come abbiamo visto recentemente. Pensate anche agli interventi che vengono realizzati per snellire le procedure e le modalità operative nel campo della ricerca scientifica, anziché in quello dell'università. Le rivolgo un solo appunto, Ministro: dovrebbe essere presente in Aula anche il collega, o meglio il concittadino, Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, anche se in questo caso la questione riguarda la pubblica istruzione.
Questo Parlamento tante volte si è dovuto fermare per dedicare il classico minuto di silenzio in seguito a quanto accade in alcuni nostri edifici scolastici; non tanto tempo fa è accaduto anche in una città della prima cintura di Torino, Rivoli, dove è crollata la volta che ha travolto dei ragazzi causando anche, purtroppo, una vittima.
È buona cosa riscrivere le regole, semplificare le procedure, in questo concordo con altri. Come vedete, sono onesto - almeno negli intenti, spero anche nei comportamenti, ma questo devono giudicarlo altri - quando dico che la questione del Patto di stabilità interna, almeno su alcune questioni importanti e significative, come quella relativa agli investimenti in generale e in particolare agli investimenti per mettere in sicurezza gli edifici scolastici - e non solo questi, ma anche quelli frequentati dai cittadini, in particolare dai cittadini giovani -, sia una priorità assoluta. Sono stato anch'io sindaco di una città, ahimè tanti anni fa, i capelli grigi sono qui a confermarlo. Sono stato anche assessore per la provincia proprio, guarda caso, al bilancio e all'edilizia scolastica, quindi so cosa vuole dire e so quale possa essere la situazione di tanti edifici scolastici di una provincia significativa come, appunto, quella di Torino, che comprende 315 comuni.
Quindi, l'invito che rivolgo al Governo è quello sì di snellire e di sburocratizzare, ma anche di mettere almeno i comuni virtuosi nelle condizioni di investire laddove è più necessario ed urgente.
L'OCSE recentemente ha anche affermato che con questo provvedimento il nostro Paese fa un piccolo passo avanti, non troppo lungo, perché non è che incida molto, ma un piccolo passo avanti questo provvedimento lo fa fare in termini di riduzione del digital divide nel nostro Paese e se lo dice l'OCSE credo che abbia un buon motivo per affermarlo e questo ci deve non solo inorgoglire, ma ci deve soprattutto far proseguire su questa strada.
È di tutta evidenza come la crisi economica può essere più efficacemente confermata e superata se le imprese e i cittadini sono posti nelle condizioni di operare in un quadro chiaro dal punto di vista normativo e di fronte ad una pubblica amministrazione efficiente. Ho appena ricordato le esperienze di sindaco e di assessore in un'istituzione immediatamente superiore. So che cosa vuol dire avere a che fare come amministratore nei confronti della burocrazia interna, però, rispetto a tanti anni fa, sono stati fatti sicuramente dei passi avanti, sono stati dati ai dirigenti e ai funzionari della pubblica amministrazione responsabilità sicuramente aggiuntive ma anche strumenti aggiuntivi. È bene quindi che questi pubblici dipendenti si assumano le loro responsabilità e bene ha fatto il Governo, mi pare in uno dei primissimi articoli, a prevedere che, laddove le risposte che il cittadino o le imprese si aspettano dalla amministrazione pubblica non vengano rispettate, l'amministratore pubblico individui tra i funzionari o tra i dirigenti un responsabile e i tempi vengano dimezzati. C'è un rapporto - anche qui lo voglio citare - una particolare classifica della facilità di fare impresa, stilata all'interno del rapporto del World Bank Institute che colloca, ahimè, anche qui, l'Italia nelle Pag. 13retrovie: solo all'ottantaseiesimo posto anche in questo caso, esattamente coincidente con la fotografia dell'OCSE, lontanissima dalla Germania, che è al diciannovesimo posto e dalla Francia, che è al ventinovesimo posto.
Chi ha qualche anno in più e stava già in questo Parlamento - ma mi pare di non vederlo in Aula, anche perché non siamo in moltissimi - sa che ventidue anni fa, nel 1990, veniva approvata la legge n. 241. Sappiamo anche quanto questa legge sia stata, ahimè, spesso e volentieri disattesa, ma che è necessario anche ragionare sulla necessità di ulteriormente procedere e fare un passo in avanti. Concludo, signor Presidente, augurandomi che la tregua politica, si fa per dire «tregua politica», sicuramente che tra le forze maggiori consenta in questo ultimo anno di legislatura che abbiamo ancora davanti di compiere ulteriormente decisivi passi nel cammino delle riforme. Ci attendono due momenti importanti, direi forse i più importanti in assoluto, senza togliere nulla ai tre precedenti: quello della riforma fiscale, e sappiamo, anche qui, quanto ce ne sia bisogno, e quello della riforma del mercato del lavoro. L'auspicio è che entrambe queste riforme vengano affrontate senza posizioni pregiudiziali, in uno spirito di dialogo. Gli ultimi segnali che ci vengono anche dal Governo, oltre che dalle forze politiche, farebbero ben sperare che questo Paese possa arrivare molto presto ad avere non tre, ma cinque pietre miliari di un edificio nuovo che io oso chiamare «nuova Italia».

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Misiti. Ne ha facoltà.

AURELIO SALVATORE MISITI. Signor Presidente, questa seduta dedicata alla discussione generale sul decreto-legge semplificazioni è dovuta al fatto che il Senato, nell'esaminare il testo licenziato dalla Camera, ha fatto tre osservazioni e una precisazione del testo, dando pertanto luogo a tre modifiche che evidentemente richiedono l'ulteriore approvazione di questa Camera. Il Grande Sud si è pronunciato, votando a favore sia alla Camera che al Senato, positivamente su quanto era scritto nel decreto e sulle modifiche che questa Aula ha apportato al testo del Governo. In altra sede abbiamo dato il nostro giudizio sui vari temi trattati da questo decreto semplificazioni, e oggi non mi ripeterò, ma interverrò solo sulle parti modificate dal Senato. Prima però premetto che questo decreto segue altri provvedimenti che sono stati presi in un primo tempo tra il 2006-2008 (il tentativo di semplificazione e anche di liberalizzazione fatto con le famose «lenzuolate»); inoltre riprende delle norme - lo voglio ricordare - realizzate da questo Parlamento negli ultimi tre anni, e mi riferisco alle semplificazioni che sono state portate avanti dal precedente Governo, in particolare dal Ministro Calderoli.
Credo che tutto il provvedimento vada inquadrato sia in questa linea di continuità - con qualche particolare diverso - sia nel quadro di riferimento degli altri punti della lettera della BCE che noi, con vari provvedimenti, stiamo applicando ed approvando, in modo che tutte le risposte a quei cinque punti della lettera della BCE siano positive e possano portare il nostro Paese al di fuori delle difficoltà. Mi riferisco a punti positivi anch'essi accolti dal precedente Governo e rispetto ai quali si stava provvedendo a legiferare.
Ho voluto fare questa premessa perché non bisogna mai guardare un provvedimento soltanto nei termini che esso presenta, ma occorre inserirlo nel quadro più ampio di provvedimenti precedenti e paralleli che possono portare avanti e ammodernare il nostro Paese. Per quanto riguarda la questione dell'articolo 44 ritoccato dal Senato, ritengo che in merito a questa disposizione sulle semplificazioni in materia di interventi di lieve entità - che prevedeva l'emanazione di un regolamento di delegificazione volto a rideterminare ed ampliare le ipotesi di interventi di lieve entità sottoposti a procedimento semplificato di autorizzazione paesaggistica - il Senato abbia voluto, e secondo me ha fatto bene, precisare che il regolamento è finalizzato soltanto a precisare le Pag. 14ipotesi di interventi di lieve entità. Questo precisare risponde alle esigenze che sono contenute nello stesso provvedimento. Infatti «rideterminare e ampliare», a mio avviso, non corrisponde alle regole che sempre abbiamo cercato di rispettare, in particolare al principio per cui la legge, la fonte primaria è la parte più importante. Se un regolamento ridetermina e amplia le ipotesi di interventi di lieve entità potrebbe verificarsi il caso che il regolamento modifica la legge da cui proviene e quindi potrebbe essere una stortura giuridica.
Quindi, da questo punto di vista, questa modifica del Senato mi è sembrata opportuna. C'è anche l'abrogazione del comma 2 dell'articolo 44. La Commissione giustizia della Camera non era riuscita a farlo - non so quali erano i motivi - ma anche quella del Senato non aveva colto la proposta della Commissione giustizia della Camera. Mi sembra che il Senato abbia accolto tale proposta, in modo tale che si possa parlare di valutare l'opportunità di apportare modificazioni volte a depenalizzare reati in assenza di autorizzazione paesaggistica. Poi lo stesso Senato ha abrogato definitivamente questa norma e anche questa ci sembra un'abrogazione opportuna.
Inoltre c'è stato un secondo punto di intervento del Senato sul comma 2-quater dell'articolo 47. Il comma 2-quater, finalizzato a diffondere e creare concorrenzialità nei servizi digitali, è stato introdotto durante l'esame in prima lettura alla Camera ed è stato modificato al Senato. Nella formulazione della Camera tale comma introduceva sia l'obbligo di offerta in forma disaggregata da parte dell'incumbent, che sarebbe Telecom Italia, ex-monopolista per i servizi di accesso all'ingresso di rete fissa, sia la garanzia per gli operatori di poter acquistare i servizi accessori da imprese diverse dalla stessa Telecom Italia, purché di comprovata esperienza ed operanti sotto la vigilanza dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni in regime di concorrenza.
Le modifiche del Senato hanno coinvolto la forma della disposizione anche laddove sostanzialmente era invariata e non solo nella parte modificata dalla Camera e riguardano due tipi di profili: da un lato, sono stati modificati i requisiti e gli obblighi delle imprese terze che possono fornire servizi accessori, al di là dell'incumbent. Non è più richiesta la comprovata esperienza di queste imprese ed è stato introdotto l'obbligo di garantire la sicurezza della rete. L'altro profilo riguarda espressamente la competenza dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni sia in ordine all'individuazione delle misure idonee ad assicurare la disaggregazione, che non è più contenuta nell'offerta, ma deve farla l'Autorità, sia in ordine alla determinazione delle modalità secondo le quali gli operatori diversi da Telecom Italia possono acquisire i servizi accessori da queste imprese terze, specializzate. L'Autorità, entro centoventi giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione di questo decreto, deve provvedere ad individuare le famose misure che servono per qualificare le imprese terze. Questa modifica ci sembra meno importante, ma comunque chiarificatrice delle altre due.
La terza modifica riguarda la tabella A, voce n. 263, che viene modificata dal Senato, anche se ha mantenuto in vigore le disposizioni in materia di finanziamento delle emergenze di protezione civile contenute nell'articolo 5, comma 5-quinquies, dal secondo al quarto periodo, della legge n. 225 del 1992.
Viene modificata invece per quanto riguarda il comma 5-quater, che è abrogato, ed il primo periodo del comma 5-quinquies. Al riguardo, la Commissione bilancio del Senato, riprendendo quanto già aveva deliberato la Commissione bilancio della Camera, ha espresso sul testo del decreto un parere non ostativo condizionato, ai sensi dell'articolo 81 della Costituzione, alla soppressione, nella tabella A, della voce n. 263. Il Senato ha proprio fatto questo: ha abrogato la voce n. 263, con le conseguenze che abbiamo visto prima sul comma 5-quater ed sul primo periodo del comma 5-quinquies. Il comma 5-quater, infatti, attribuiva al presidente Pag. 15della regione interessata dalla calamità naturale, nel caso di dichiarazione dello stato di emergenza e nel caso di incapienza del bilancio regionale per coprire le relative spese, il potere di deliberare aumenti fino un certo limite massimo, consentito dalla vigente disposizione, per le imposizioni tributarie attribuite alla regione.
Il primo periodo del 5-quinquies prevede la possibilità per la regione di accedere al Fondo di protezione civile. Ha fatto bene ovviamente la Corte costituzionale ad intervenire sull'argomento ed ha dichiarato incostituzionale sia il contenuto del 5-quater sia il primo periodo del 5-quinquies, in riferimento ovviamente a quelli che erano gli articoli che erano contenuti nel famoso milleproroghe, già approvato. In sintesi, la Consulta ha ritenuto di dover dichiarare quindi illegittime le norme, in base all'articolo 77 della Costituzione. Il Senato ha accolto ovviamente la sentenza della Corte costituzionale e modificato la norma che era scritta dalla Camera.
Ora, di fatto siamo arrivati ad una terza lettura, terza lettura che poteva essere anche risparmiata, se vi fosse stata la modifica della Costituzione nel senso che si discute molto ampiamente in questo momento: noi avremmo avuto una possibile seconda lettura solo per le correzioni e per queste modifiche e non c'era bisogno di riportare alla Camera il decreto semplificazioni. Io spero che presto si arrivi ad una riforma costituzionale che impedisca queste «cerimonie», che a mio avviso non portano che a sprechi e quindi non portano alcun giovamento al miglioramento della legislazione italiana.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Borghesi. Ne ha facoltà.

ANTONIO BORGHESI. Signor Presidente, come è noto, il gruppo che rappresento ha votato favorevolmente al precedente passaggio qui alla Camera e non vi sarà motivo perché non si faccia altrettanto in questa occasione, date le modifiche di portata limitata che sono state introdotte. Peraltro, per almeno due vi è una certa congruità, nel senso che il fatto che si demandi a chi ne ha la competenza, cioè all'Agcom, di deliberare in merito alla questione dell'ultimo miglio, pare opportuno, così come pare opportuno anche quanto riguarda l'individuazione degli specifici casi in cui si possa semplificare in materia di autorizzazione paesaggistica negli interventi di lieve entità: pare anche a noi che il regolamento di delegificazione precisi quali siano le ipotesi di lieve entità.
Devo dire che, invece, siamo abbastanza perplessi sulla terza modifica, quella che reintroduce sostanzialmente la cosiddetta tassa sulle disgrazie e, cioè, l'aumento automatico dell'accisa sui carburanti per alimentare il Fondo per le calamità naturali. Francamente, eravamo contrari quando è stata introdotta e siamo contrari anche oggi, tant'è che l'unico nostro emendamento che abbiamo presentato riguarda proprio questa ipotesi. Infatti, se proprio dobbiamo trovare un automatismo, credo che sull'accisa - che già è una bastonata quotidiana anche per ragioni di speculazioni internazionali attualmente in corso sul petrolio e sulle benzine -, forse, sarebbe stato meglio prevederla, ad esempio, con il Preu, cioè, andando a colpire i giochi d'azzardo, anche allo scopo, forse, in qualche modo, di riuscire a limitarne la diffusione, che già, in un campo che di etico non ha molto, potrebbe essere pure opportuna.
Credo, in poche parole, di aver detto quale sia la posizione del gruppo che rappresento su questo tema e, quindi, chiudo rapidamente il mio intervento, dicendo che, comunque, il nostro voto sul provvedimento, nel suo complesso, sarà favorevole.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche dei relatori e del Governo - A.C. 4940-B)

PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore per la Commissione affari costituzionali, Pag. 16onorevole Giovanelli, e il relatore per la Commissione attività produttive, onorevole Saglia, rinunziano alla replica.
Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

FILIPPO PATRONI GRIFFI, Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. Signor Presidente, onorevoli deputati, intervengo solo svolgere per una breve precisazione sulle modifiche e per informare la Camera dei deputati dei prossimi passi in materia di semplificazione, in linea con quanto anche è emerso dalla discussione sulle linee generali.
Come è stato richiamato sia dai relatori sia in alcuni interventi, le tre modifiche apportate dal Senato sono molto puntuali. Per quanto riguarda quella sull'articolo 44, si è voluto dissipare ogni equivoco sull'eventualità di una depenalizzazione per quanto concerne interventi edilizi su aree soggette a vincolo provvedimentale - cioè, il vincolo relativo alle aree particolarmente protette -, al tempo stesso, chiarendo che l'intervento di delegificazione riguardava, secondo la tradizione, il piano delle procedure e non anche il piano della disciplina sostanziale.
Per quanto riguarda l'ultimo miglio, è stato correttamente detto che si trattava di assicurare la compatibilità comunitaria sotto il profilo della competenza all'introduzione di quella disciplina sostanziale, voluta dalla Camera.
Per quanto riguarda, infine, il Fondo di garanzia per le calamità naturali, vorrei ricordare che la modifica è stata apportata a seguito del parere reso dalla Commissione bilancio del Senato, ai sensi dell'articolo 81, quarto comma, della Costituzione, e che, quindi, ci si è limitati al ripristino di quel meccanismo automatico che già esiste nel nostro ordinamento; il che non esclude che, in futuro, si possa pensare a meccanismi riferiti a diversi settori per assicurare la copertura di quel fondo.
Infine, ciò che immediatamente si ripromette di fare il Governo, come è stato già detto al Senato, è presentare un disegno di legge in materia di semplificazioni, che possa anche avvalersi del dibattito sia alla Camera sia, soprattutto, al Senato, che è risultato, comunque, condizionato dai tempi di conversione in legge del decreto-legge.
Da questo punto di vista penso che anche gli ordini del giorno possano essere un utile strumento di arricchimento di cui si potrà doverosamente tener conto nell'ulteriore iniziativa normativa del Governo. Infine, vorrei sottolineare che l'impegno riguarderà anche l'attuazione delle regole introdotte; riprendendo l'intervento di un onorevole deputato potrei dire che dopo il lungo dibattito su come si debba intervenire per assicurare le regole o per avere meno regole è sicuramente utile ricordare il dibattito molto significativo che si era avuto negli anni Novanta in Inghilterra, nel Regno Unito, dove addirittura l'Unità di semplificazione ebbe modo di cambiare nome da Unità di deregolazione a Unità di migliore regolazione. Noi siamo convinti che una modifica delle regole, nel senso di un loro miglioramento e di un loro snellimento, sia necessaria perché le regole devono essere, contemporaneamente, esistenti perché tutelano diritti, ma allo stesso tempo devono essere semplici e proporzionate perché non debbono aggravare inutilmente i cittadini e le imprese. Da questo punto di vista, quindi, il nostro impegno sarà anche diretto a dare attuazione sia alle semplificazioni già introdotte in passato sia alle semplificazioni introdotte da questo provvedimento.
Vorrei soltanto, infine, ringraziare la Camera per il clima che si è creato fin dall'inizio su questo provvedimento e, se mi è consentito, vorrei rivolgere un ringraziamento particolare ai presidenti, ai relatori e ai deputati della I e della X Commissione per il lavoro svolto molto accuratamente ma soprattutto perché siamo riusciti a giungere in Aula in tempi davvero molto brevi richiesti dalla necessità di convertire il decreto-legge in legge.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Pag. 17

Discussione della mozione Borghesi ed altri n. 1-00866 concernente iniziative in relazione al piano nazionale di assegnazione delle frequenze, con particolare riferimento all'emittenza locale (ore 16,25).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Borghesi ed altri n. 1-00866, concernente iniziative in relazione al piano nazionale di assegnazione delle frequenze, con particolare riferimento all'emittenza locale (Vedi l'allegato A - Mozioni).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione della mozione è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (Vedi calendario).
Avverto che è stata presentata una nuova formulazione della mozione Borghesi ed altri n. 1-00866. Il relativo testo è in distribuzione.
Avverto che sono state, altresì, presentate le mozioni Terranova ed altri n. 1-00990, Rao, Briguglio ed altri n. 1-00991 e Romani ed altri n. 1-00992 che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente (Vedi l'allegato A - Mozioni). I relativi testi sono in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritto a parlare l'onorevole Borghesi, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00866 (Nuova formulazione). Ne ha facoltà.

ANTONIO BORGHESI. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, questa mozione nasce da una serie di constatazioni che vorrei brevemente rappresentare. Mi riferisco, innanzitutto, al fatto che le emittente locali occupano almeno 10 mila addetti e che ora rischiano la chiusura, indebolite dal passaggio al digitale terrestre e anche dalla situazione economica che ha fatto calare gli introiti pubblicitari. Queste emittenti, a breve, dovranno liberare i canali da 61 a 69 che dovranno consegnare alle compagnie telefoniche che si sono aggiudicate quei canali all'asta del dividendo digitale esterno. Non riceveranno indennizzi dallo Stato perché l'importo previsto è stato fondamentalmente diminuito rispetto alle previsioni iniziali che pure la legge aveva stabilito e nella maggior parte dei casi oggi non copre neppure gli investimenti effettuati dalle aziende per poter passare al digitale. Bisogna dire che ci sono stati una serie di errori, li chiamo errori ma, provenendo dal Governo il cui presidente ha, in questo campo, il più evidente e macroscopico conflitto di interessi, non so se possiamo definirli errori o, forse, un qualche cosa di voluto.
Diciamo che questi errori partono dal mancato rispetto delle leggi, perché ove il Governo Berlusconi avesse rispettato la legge, probabilmente non ci troveremmo a questo punto; mi riferisco alla legge n. 249 del 1997 e alla delibera dell'Agcom n. 181/09/CONS, che hanno previsto che il piano nazionale di assegnazione delle frequenze dovesse riservare - lo dicono la legge e l'Agcom - almeno un terzo dei programmi irradiabili all'emittenza televisiva locale: le televisioni locali dovevano poter fruire di un terzo degli spazi disponibili. Invece, è intervenuta una nuova delibera, un nuovo provvedimento dell'Agcom, del giugno del 2010, che ha previsto che si realizzassero 25 reti nazionali, e ha determinato una tipologia di assegnazione delle frequenze che non è più rispondente a quella legge, perché non garantisce quella riserva di legge di un terzo dei programmi irradiabili all'emittenza televisiva locale.
Quindi, ci troviamo in una situazione che nasce già male, perché nasce contro la legge e senza rispettarla. Vorrei dire che su questo tema il gruppo dell'Italia dei Valori ha già presentato in passato atti di sindacato ispettivo - in particolare dall'onorevole Di Pietro - già il 6 luglio 2010, in cui si chiedeva all'allora Ministro dello Pag. 18sviluppo economico di assumere iniziative per riportare alla legalità ciò che stava avvenendo. Vi è anche da dire che le emittenti televisive locali da tempo chiedono un confronto urgente con l'attuale Ministro dello sviluppo economico, Passera, per risolvere tali questioni, e pare che questo incontro, questo confronto, in realtà, fino ad oggi, non vi sia stato. Vi è un modo per riportare la questione alla legalità? Certo che vi è, ed è per questo che noi, con questa mozione, chiediamo al Governo di assumersi la sua responsabilità, per riportare nell'ambito della legalità quello che è avvenuto, ed è la riduzione del numero dei multiplex, cioè delle frequenze che sono state assegnate in modo sbagliato, cioè contro la legge, all'emittenza nazionale.
È evidente che questo dovrebbe comportare una riscrittura del piano di assegnazione nazionale, in modo da ridurre il numero delle reti nazionali, favorendo e facendo in modo che, invece, una parte di quelle frequenze sia destinata alle emittenti locali in ragione di un terzo, così come la legge prevede. Ma è evidente che, come ho detto, gli errori sono un eufemismo, per dire che, forse, errori non erano, proprio per questo specifico conflitto di interessi di un Presidente del Consiglio che ha agito nei dieci anni del suo Governo per mantenere in piedi il duopolio RAI-Mediaset nelle televisioni in chiaro e per poter tenere sotto controllo e sotto le proprie mani il mercato pubblicitario. Vorrei ricordare che RAI e Mediaset hanno l'80 per cento dell'audience, e l'unico concorrente piccolo che hanno è Sky, che ne ha solo il dieci. In questo modo si è fortemente indebolita l'emittenza locale, che vuol dire anche ridurre la libertà di informazione nel nostro Paese, perché emittenti locali, indipendenti e libere - non importa di quale tendenza politica - significano comunque libertà di informazione.
Vi è da dire che un altro elemento che sta in questo contenzioso riguarda anche le modalità e i criteri con cui l'Agcom ha attribuito la numerazione dei canali digitali, perché anche questo ha indebolito fortemente l'emittenza locale. Avrebbe dovuto - secondo le leggi vigenti - adottare un piano di numerazione automatica, in modo da rispondere a due criteri: garanzia della semplicità d'uso del sistema di ordinamento dei canali e rispetto delle abitudini e preferenze degli utenti.
Questo per legge doveva fare l'Agcom nel definire la numerazione automatica. Ricordo per chi magari non lo sapesse che «numerazione automatica» vuol semplicemente significare che, nel momento nel quale si fa il «resettaggio» e la registrazione dei canali, quelli automaticamente escono in base alla numerazione secondo i criteri che l'Agcom ha stabilito. Alle emittenti locali già sin dall'inizio si è stabilito che si doveva partire dal numero 10. Non era cioè possibile che avessero una numerazione inferiore al 10, ma questo non ha nulla a che vedere perché, se in un territorio in base a quei criteri fissati dalla legge, che erano le abitudini e le preferenze degli utenti e la semplicità d'uso del sistema, l'emittente avesse avuto una numerazione più bassa, doveva essere preservata quella numerazione.
Vorrei anche dire che su questo meccanismo è in essere un contenzioso perché il TAR del Lazio ha annullato gli atti emanati dall'Agcom, ma l'Agcom stessa con un ricorso d'urgenza ha ottenuto la sospensiva della decisione del TAR in attesa di una decisione di merito che è ancora da venire e, quindi, è ancora in corso. D'altro lato, potrei ricordare che il 26 gennaio di quest'anno il TAR ha accolto un ricorso presentato da Sky che ha annullato il piano di numerazione automatica dei canali e, quindi, anche qui la nuova sentenza, a differenza di quella di cui ho parlato prima, annulla l'intero provvedimento dell'Autorità, che adesso dovrà emanare un nuovo regolamento sulla numerazione.
Questo rischia di scatenare comunque un caos totale all'interno dei canali e del funzionamento dei decoder. Vi è poi un altro problema che interessa questo ragionamento e che sta alla base di questa mozione. Quando sono state assegnate con l'asta alle compagnie i segnali per la Pag. 19telefonia mobile di quarta generazione, si è scoperto un problema non prima, ma dopo. Anche a questo proposito credo che ci sia una mancanza di studio e di analisi da parte di un Ministero che non poteva accorgersi a posteriori che quella assegnazione avrebbe danneggiato con i segnali fortemente la possibilità di ricevere le televisioni vicine come frequenza a quei segnali.
Il risultato è che c'è un problema serio oggi avvalorato da uno studio che indica tutto quello che capiterà e che può portare al fatto che si debba necessariamente reintervenire sulla stessa posizione delle antenne presso le famiglie con costi che voi vi immaginate a carico di qualunque consumatore o utente che cosa possano significare: dover chiamare un antennista per fare uno spostamento necessario perché altrimenti non vedono più il segnale televisivo.
Credo che ci sia materia per un intervento. Vorrei ricordare l'ultimo aspetto e poi riassumo gli impegni che chiediamo al Governo. Ricordo che sono stati accolti ordini del giorno che chiedevano di annullare la procedura del beauty contest per assegnare le frequenze liberate dal passaggio della trasmissione analogica al digitale e per andare verso un'asta competitiva, che lo scorso gennaio c'è stata la sospensione per 90 giorni, che scadranno il 19 aprile (quindi oramai è vicino). Ancora oggi non sappiamo che cosa avverrà alla scadenza di questi 90 giorni.
Quindi, noi chiediamo come impegni del Governo: una convocazione presso il Ministero dello sviluppo delle rappresentanze delle emittenti radiofoniche e televisive locali per discutere queste problematiche; di porre in essere ogni iniziativa per dare attuazione a quanto la legge prevede (cioè che almeno un terzo dei programmi irradiabili debbono essere assegnati all'emittenza televisiva locale); ad adottare le iniziative per prevedere, quindi, l'unico modo possibile per realizzare questo obiettivo, che è quello di ridurre il numero dei multiplex attualmente assegnati alle emittenze nazionali in modo da poter arrivare a rispettare quella proporzione.
Impegniamo il Governo a porre in essere ogni atto per evitare che si generi un caos digitale sulla questione della numerazione automatica, di cui ho parlato prima, e a fornire anche elementi di chiarificazione su come il Governo, che ha pure incassato - così mi sembra di ricordare - circa 4 miliardi da quell'asta, possa intervenire per evitare che gli effetti dei segnali, per la telefonia mobile di quarta generazione, costringano gli utenti finali, cioè le famiglie, a un'ulteriore spesa per poter essere in grado di ricevere, appunto, quei segnali.
Infine, dato che il 19 aprile è qui vicino, impegniamo il Governo a informare, con la massima sollecitudine e chiarezza, il Parlamento sui tempi e sui criteri con i quali verrà indetta la nuova asta competitiva per l'assegnazione delle frequenze, che il precedente Esecutivo avrebbe voluto assegnare attraverso la già richiamata procedura del beauty contest.

PRESIDENTE. Saluto gli studenti e gli insegnanti del VI circolo «Iannuzzi» di Andria, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).
Benvenuti! Un saluto cordiale da tutta l'Assemblea. Mi auguro che questa sia per voi una giornata di studio della democrazia e una lezione di democrazia.
È iscritto a parlare l'onorevole Misiti, che illustrerà anche la mozione Terranova ed altri n. 1-00990, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

AURELIO SALVATORE MISITI. Signor Presidente, il Governo sa bene che l'emittenza televisiva e radiofonica locale vive un periodo di grave crisi economica e finanziaria, dovuto a un insieme di fattori tra cui i principali sono la crisi economica dei Paesi sviluppati, la prevalenza di due giganti della comunicazione, che lasciano solo il 20 per cento al resto delle imprese, e il passaggio al digitale terrestre.
Sul primo fattore poco può influire il Governo di un solo Paese, se non adottare Pag. 20provvedimenti omogenei con quelli delle altre nazioni sviluppate e attendere i risultati. Sul secondo e sul terzo dei fattori si può intervenire, tanto più che lo stesso Ministro Passera, non più tardi di ieri, ha annunciato una road map e ha informato che entro giugno sarà affrontata anche l'agenda digitale in modo organico.
Va ricordato al Governo che non sono stati rispettati i termini della legge n. 249 del 1997 e della delibera dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni n. 181 del 2009, che stabilivano di riservare almeno un terzo dei programmi irradiabili all'emittenza televisiva locale.
Poiché la stessa Autorità, nel deliberare il piano nazionale delle frequenze, ha assegnato la frequenza per 25 reti nazionali, purtroppo, non può essere, in conseguenza, garantita la riserva di un terzo dei programmi all'emittenza locale, così come stabilito dalla legge n. 249 del 1997 e dalla precedente delibera dell'Autorità.
Segnaliamo, inoltre, al Governo che le emittenti locali affermano che - sono loro che lo affermano e non sappiamo se corrisponde al vero - la delibera n. 366 dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni rischia di generare un caos - sicuramente per le cause che innescherà - che qualcuno chiama «caos digitale».
Ciò perché la numerazione dei programmi da 1 a 9 è stata realizzata in base a criteri abbastanza aziendalistici, misurando proprio la consistenza delle imprese, cioè il numero dei dipendenti ed il fatturato. Sono criteri che purtroppo non corrispondono a quanto riportato nel Testo unico, all'articolo 32, che basa la numerazione su altri criteri, che sono soprattutto legati alla preferenza degli utenti. Le emittenti locali ritengono di avere diritto di modificare la delibera n. 366 dell'autorità sulla base pure di una pronuncia recente di una sezione del TAR del Lazio che ha abrogato la delibera dell'AGCOM. Sarà inoltre molto rilevante l'effetto sui segnali della telefonia mobile, la cosiddetta «quarta generazione», che può avere riflessi negativi sui costi che ricadranno sui bilanci di imprese e famiglie.
In buona sintesi, chiediamo al Governo due semplici impegni. È chiaro che non facciamo i sindacalisti delle imprese danneggiate, ma diciamo che il Governo potrebbe assumere due semplici impegni: agire presto perché le contraddizioni segnalate in premessa - contraddizioni che abbiamo visto e che non attribuiamo certo alla volontà di prevaricazione monopolistica della Rai o di Mediaset - non comportino rischi per la stessa sopravvivenza delle emittenti locali. Noi riteniamo che possano coesistere sia le grandi imprese dell'emittenza, sia le medie e le piccole, ritornando alla legge n. 249 del 1997, magari anche adeguandola ai tempi di oggi, e alla delibera AGICOM n. 181, che prevedono un piano nazionale delle assegnazioni delle frequenze che garantisca almeno un terzo dei programmi irradiabili all'emittenza televisiva locale.
Questo è possibile, si può trattare e ci si può arrivare di comune accordo, senza bisogno di alimentare le controversie tra piccole, medie e grandi aziende.
Infine, vorremmo avere chiarimenti da parte del Governo sugli effetti dei segnali per la telefonia mobile, chiamata «quarta generazione» e sugli attuali impianti di antenne televisive, con particolare riguardo ai rischi connessi ai costi che le tecniche di mitigazione potrebbero comportare nei confronti delle famiglie e delle imprese.
Noi, parlamentari di Grande Sud, portiamo avanti questa nostra mozione di cui il primo firmatario è l'onorevole Terranova, e voteremo anche le altre eventuali mozioni, che chiedono provvedimenti analoghi a quelli da noi indicati in questa nostra mozione.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rao. Ne ha facoltà.

ROBERTO RAO. Signor Presidente, colleghi, signor sottosegretario, abbiamo presentato una mozione insieme ai colleghi del Terzo Polo perché ci sembra che gli argomenti sollecitati dall'Italia dei Valori con questa iniziativa fossero, in buona parte, condivisibili, ma volevamo dare le Pag. 21nostre argomentazioni ed il nostro sostegno al Governo nel tentativo di cercare di legiferare in una materia che è stata per molti anni - e lo è ancora - una delle materie più controverse, tanto da essere considerata spesso un tabù tra quelli che si possono toccare e che questo Governo tecnico può toccare.
Noi siamo dell'idea che questo argomento vada affrontato senza tabù o pregiudizi e con una voglia di collaborare tra forze politiche che probabilmente rappresenta un'occasione irripetibile e che non può passare inosservata, né può essere fatta trascorrere nel tempo inutilmente.
Come hanno ricordato anche i colleghi in Italia, l'emittenza locale (un tempo si chiamavano «televisioni private»), conta circa millecinquecento aziende tra televisioni e radio ed ha raggiunto uno sviluppo che, per varie ragioni, anche storiche, non ha eguali in altri Paesi e rappresenta un po' quell'informazione, quella cultura locale, quel senso di pluralismo e anche quella libertà che tra televisioni e radio locali sono stati realizzati in regime quasi di libera concorrenza fra di loro ma che invece in ambito nazionale purtroppo stentano ancora ad affermarsi per la presenza ingombrante ed evidente del duopolio RAI-Mediaset e anche del monopolio sul satellite di Sky e nonostante il calo degli ascolti delle reti generaliste dovuto all'avvento del digitale terrestre e della multipiattaforma.
All'interno del panorama radiofonico e televisivo di questo sistema informativo italiano le televisioni e le radio locali svolgono un ruolo più importante di quanto non ci accorgiamo forse nelle grandi città e di quanto spesso non si creda perché garantiscono comunque un pluralismo ed un'informazione legata al territorio che altrimenti sarebbe semplicemente appannaggio di quelle trasmissioni regionali cui la RAI dedica sì alcune risorse ma che probabilmente non possono rappresentare regione per regione l'intero panorama con la complessità del nostro territorio, della nostra cultura e delle nostre regioni.
Signor Presidente, l'emittenza locale rappresenta anche il principale veicolo attraverso cui le piccole e medie imprese possono promuovere i loro prodotti attraverso la pubblicità, in un mondo globalizzato forse proprio per questo motivo continua ad interessare agli italiani una certa particolarità; ciò si ritrova anche nel successo che tanti giornali e quotidiani, anche locali, riscuotono, nonostante la grandissima diffusione delle testate nazionali e anche di testate online, ossia vi è quasi la voglia di trovarsi e di ritrovarsi più nelle cronache locali che in tante trasmissioni anche generaliste che hanno la pretesa di rappresentare tutto il Paese (proprio dal termine «generaliste»). Quindi, attraverso la pubblicità ci si poteva rivolgere direttamente a quel pubblico di riferimento a costi abbastanza accessibili e comunque più accessibili di quelli proibitivi che invece stabiliscono le tabelle pubblicitarie dei grandi network, e poi non si può trascurare l'importanza dell'emittenza locale nello sviluppo dell'occupazione, sempre più in crisi e in cui soprattutto i giovani - sono di oggi purtroppo gli ennesimi dati dell'ISTAT che parlano di una disoccupazione giovanile intorno al 30 per cento - trovano maggiori difficoltà a trovare espressione.
Molti uomini e donne, professionisti, giornalisti, presentatori e tecnici che oggi sono icone delle reti televisive nazionali hanno iniziato la loro carriera proprio nelle televisioni e nelle radio locali; tuttavia sappiamo bene - lo sanno anche i colleghi - che non è tutto oro quello che luccica e che l'emittenza locale vive da tempo un periodo di grave crisi. Sono ormai lontani gli anni felici delle prime radio libere o quelli in cui lo stesso Silvio Berlusconi, partendo da network di televisioni locali, costruì un vero e proprio impero della comunicazione; la crisi economica ha determinato una drastica contrazione di quegli introiti garantiti dalla raccolta pubblicitaria di cui parlavo prima - a dire il vero mai eccessivamente abbondanti - e ha portato il Governo precedente nel corso degli anni (l'ultimo taglio è stato proprio del Governo precedente) a Pag. 22tagliare costantemente le misure di sostegno come le provvidenze all'editoria ed i contributi diretti e, come se non bastasse, si è anche deciso di procedere con il sistema dei cosiddetti «tagli lineari», inizialmente addirittura senza distinguere tra aziende che investono nella qualità e nel lavoro e quelle che invece si limitano ad occupare una frequenza, magari infarcendola di televendite come purtroppo accade sempre più spesso. Così sono state proprio le emittenti più meritevoli, quelle che producono un numero maggiore di programmi di interesse locali e che magari fanno informazione e impiegano più dipendenti, a pagare il conto più salato, il conto più alto a tutto vantaggio - o meglio, con minor svantaggio - di quegli imprenditori che speculano invece sui finanziamenti pubblici, che pure esistono e vanno colpiti.
Oggi non è più il tempo però di continuare a sbagliare, signor sottosegretario. Si deve definitivamente archiviare il sistema dei tagli lineari e delle non scelte, che penalizzano tanti, ma depenalizzano proprio quei finti imprenditori specializzati solo nell'incassare i finanziamenti pubblici. A nostro giudizio, si deve quindi ridisegnare il sistema dei contributi, premiando chi produce programmi di qualità di interesse locale e impiega il maggior numero di giornalisti e tecnici esperti di televisione con contratti regolari. Questo vale per la televisione come per la carta stampata. Ci auguriamo che questo sia un criterio che anche per i finanziamenti all'editoria venga confermato. Con questa mozione noi del Terzo Polo chiediamo dunque al Governo di valutare la possibilità di ripristinare i contributi e le provvidenze nella misura precedente ai tagli operati nel corso dell'ultimo triennio, ma esclusivamente per le emittenti televisive locali che possiedono determinati requisiti, da fissarsi con un apposito aggiornato decreto del Ministro dello sviluppo economico in una misura non inferiore al doppio di quanto precedentemente stabilito in merito alle ore di programmazione prodotta e al personale occupato. Così facendo, senza un particolare esborso per le casse dello Stato, si eviterebbe la chiusura di tante aziende che si trovano oggi in difficoltà per avere realizzato investimenti nell'interesse del mercato, dei lavoratori e degli utenti e si creerebbe forse un'importante precedente per la concessione dei contributi futuri pubblici, che dovranno essere erogati solo in presenza di requisiti meno blandi di quelli attualmente previsti. Quindi stop agli interventi e ai contributi a pioggia e diamo meno contributi ma più mirati. Per fare un solo esempio, come si può pensare di mettere in piedi una televisione locale - eppure ve ne sono tantissime e il sottosegretario lo sa - che produca realmente dei programmi con appena quattro dipendenti a tempo pieno? Non si deve dimenticare poi che la riduzione delle misure di sostegno è arrivata in un momento di grande difficoltà per tutte le aziende e in modo particolare per le televisioni locali che, per adeguare gli impianti alla tecnologia del digitale terrestre, sono state costrette a realizzare onerosi investimenti e molte delle quali ci confessano di essersene pienamente pentite. Per di più, nelle regioni in cui si è già passati al digitale terrestre gli ascolti delle televisioni locali hanno fatto registrare rilevanti contrazioni, con ulteriori conseguenze negative sulla raccolta pubblicitaria. Ma di questo parlerò al termine con un piccolo accenno al sistema di rilevamento dell'Auditel. Verrebbe da dire che è un vero e proprio cane che si morde la coda, dunque con effetti disastrosi sui bilanci di aziende che, a dire il vero, non hanno mai potuto contare su margini enormi di guadagno. Un altro capitolo doloroso per le televisioni locali è rappresentato dalla sottrazione delle frequenze da 61 a 69 assegnate con una gara alle compagnie telefoniche. Si è trattato anche in questo caso di una scelta necessaria, probabilmente anche oculata alla luce dei risultati, dopo che il presidente dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, Corrado Calabrò parlò - proprio alla Camera due anni fa in occasione della relazione annuale - di un possibile collasso della rete cellulare per la diffusione degli smartphone, cioè c'erano poche frequenze Pag. 23per garantire a tutti gli italiani di stare con il proprio iPhone o con il proprio smartphone in contatto con il resto del mondo. Era un rischio con conseguenze imprevedibili che si doveva ovviamente evitare ad ogni costo e le emittenti private - in questo caso le emittenti private delle frequenze - nonostante l'asta abbia garantito allo Stato introiti insperati, saranno risarcite soltanto con un indennizzo, che nel tempo ha subito adeguamenti al ribasso e che oggi non sarà neppure sufficiente a coprire gli investimenti sostenuti per l'adeguamento degli impianti alla tecnologia digitale terrestre. È un'evidente ingiustizia che peraltro ha messo seriamente a rischio il rispetto di quanto previsto dalla legge n. 249 del 1997 e dalla delibera dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, la famosa n. 181 del 2009, che prevedono espressamente che il piano nazionale di assegnazione delle frequenze riservi almeno un terzo dei programmi irradiabili all'emittenza televisiva locale. Ci rendiamo conto che non è certo il momento giusto per prevedere soluzioni diverse dal punto di vista dei risarcimenti. La congiuntura economica e gli sforzi di questo Governo per porvi freno sono sotto gli occhi di tutti, ma il Governo deve almeno impegnarsi a far sì che a queste televisioni locali sia effettivamente garantito un terzo delle frequenze disponibili e, qualora dovesse rendersi nuovamente necessaria l'assegnazione di ulteriori spazi al mercato della telefonia mobile, a reperirli senza far scendere ulteriormente la quota delle emittenti locali al di sotto di quella loro riservata. Abbiamo condiviso e continuiamo ad appoggiare la scelta del Ministro dello sviluppo economico Corrado Passera di sospendere la procedura del cosiddetto beauty contest, il famoso concorso di bellezza che avrebbe assegnato all'emittenza nazionale sei nuovi multiplex a costo zero.
Assegnare all'emittenza nazionale significa, sostanzialmente, dare questi multiplex ai soliti noti, a quei non concorrenti, a chi opera in regime di oligopolio, di cui abbiamo parlato all'inizio. Significa, forse, anche assegnare questi multiplex a chi, francamente, non sapeva neanche tanto bene cosa farci: ha già a disposizione molti canali e, probabilmente, li avrebbe utilizzati soltanto per impedire nuova concorrenza, piuttosto che per investire in questi nuovi canali.
A questo punto, anche in considerazione di quanto avvenuto con l'asta delle frequenze da 61 a 69 sulla telefonia, crediamo che sarebbe corretto assegnare parte di questi nuovi multiplex proprio alle reti locali, anche per contribuire a ristabilire la quota di un terzo prevista dalla legge di cui abbiamo parlato fino ad ora.
Molte regioni hanno giustamente approvato l'erogazione di contributi a favore delle emittenti televisive locali, per sostenerle nella realizzazione degli investimenti necessari ad adeguare gli impianti alla trasmissione in tecnologia digitale terrestre. Se è vero che si tratta di problemi dell'emittenza locale, è pur vero, però, che sarebbe auspicabile un piano nazionale, che sia, ovviamente, anche in questo caso, il frutto dell'accordo tra le varie regioni e lo Stato, per far sì che l'erogazione dei contributi sia, allo stesso tempo, il più possibile omogenea, non sia un intervento che veda qualche interesse delle regioni su singole realtà dell'emittenza locale e tenga conto delle diverse esigenze delle realtà locali.
Resta, infine, un'ultima complicata questione, trattata nelle mozioni e di cui ha parlato prima anche il collega Borghesi: la posizione delle reti televisive digitali sul telecomando. Una delibera dell'Agcom, già ricordata, dell'agosto 2010, ha fissato alcuni criteri per evitare un caos che avrebbe, tra l'altro, contribuito a complicare ulteriormente la vita degli utenti. Pensiamo a chi è più anziano, e meno avvezzo alle tecnologie e ancora fa confusione con i canali e con il telecomando. Alcune televisioni, tra cui Sky, per esempio, per il canale digitale terrestre Cielo, hanno fatto ricorso contro la delibera e in questi mesi si sono susseguite diverse sentenze Pag. 24del TAR del Lazio e del Consiglio di Stato (ma anche queste sono state ricordate).
A questo punto, si rende necessario un intervento che faccia definitiva chiarezza - anche questo chiediamo - da parte del Governo e possibilmente vada nel senso di quanto originariamente disposto dall'Agcom, perché ci sembrava un intervento di buonsenso.
Prima di concludere voglio lanciare anche un appello al Governo e al Ministro Passera, in modo particolare, visto che da tempo le emittenti locali lamentano una scarsa attenzione nei loro confronti da parte della politica e del Governo e auspicano un maggiore coinvolgimento delle loro molto rappresentative associazioni di categoria nei processi decisionali che le riguardano, soprattutto quando si tratta di chiedere loro duri sacrifici, come è stato fatto fino a questo momento (è come se si fosse scoperta una miniera da cui estrarre materiale prezioso, ma poi, a chi in quella miniera comunque aveva lavorato, bene o male, non fosse stato dato alcun risarcimento).
Dopo anni di scontri, sarebbe un segnale positivo se il Ministro dello sviluppo economico decidesse di convocare un tavolo permanente con le associazioni di categoria, non per farsi condizionare, certo, ma per discutere delle difficoltà del settore e delle iniziative necessarie ad evitare la possibile chiusura di tante aziende e il licenziamento di migliaia di lavoratori.
Signor Presidente, concludo dicendo che l'emittenza locale è un patrimonio di tutto il Paese, e non delle diverse parti politiche. Le prime radio libere degli anni Settanta erano per lo più vicine storicamente alla sinistra. Silvio Berlusconi è stato l'imprenditore che, più di chiunque altro, invece, ha compreso e saputo sfruttare le potenzialità del privato in questo settore. Oggi televisioni e radio regionali e provinciali non hanno più una colorazione politica precisa, ma sono tutti attori del pluralismo dell'informazione e della diffusione della cultura locale.
Dunque, e concludo, mi auguro che su questa mozione si possa raggiungere la più ampia maggioranza e la più ampia convergenza, con adesioni trasversali, e che il Governo collabori affinché, anche per quanto riguarda il settore dell'emittenza locale, si possa definitivamente voltare pagina rispetto al passato, non sia una materia considerata un tabù, ma si collabori tutti insieme per dare il massimo del riconoscimento possibile a chi lavora con serietà in questo settore e si possa avere il massimo introito possibile da un patrimonio che è pubblico, e che, quindi, deve aiutare il pubblico a vivere meglio (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro per il Terzo Polo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Baldelli, che illustrerà anche la mozione Romani ed altri n. 1-00992, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, lascerò al testo della mozione in oggetto alcune considerazioni in relazione all'importanza strategica delle TV private in questo Paese, al loro rapporto con il territorio, al loro contributo al pluralismo, al fatto che le TV private siano state scuola e palestra per gran parte delle persone che poi hanno fatto televisione sia nel campo dell'intrattenimento, sia in quello del giornalismo. Mi limito a svolgere una considerazione generale sull'importanza e sulla strategicità di questo tema nel dibattito attuale e cito gli impegni che la mozione in oggetto, che illustro per il mio gruppo, richiama in ordine a questo tema.
La mozione in oggetto impegna il Governo ad affrontare con urgenza le problematiche dell'emittenza locale, coinvolgendo - come è stato già sottolineato anche da altri colleghi intervenuti in questa fase di discussione sulle linee generali - le associazioni rappresentative degli operatori del settore, a mantenere il rispetto della normativa vigente sulla base di quanto previsto dal Piano nazionale di ripartizione delle frequenze per un'adeguata riserva dei programmi irradiabili in favore dell'emittenza televisiva locale, ad Pag. 25adottare gli opportuni interventi al fine di garantire un uso efficiente della risorsa radioelettrica, a porre in essere ogni atto di competenza, anche in sede giudiziale, finalizzato ad evitare conflitti di numerazione sul telecomando della TV digitale terrestre, anche attraverso una legificazione della delibera n. 366/10/CONS - che richiamava prima il collega Rao - dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, figlia del decreto legislativo n. 44 del 2010, esso stesso figlio della direttiva comunitaria cosiddetta della TV senza frontiere.
Infine, la mozione in oggetto impegna il Governo ad adottare ogni opportuna iniziativa al fine di evitare le interferenze dei segnali della telefonia mobile sugli attuali impianti di diffusione televisiva, anche questo un aspetto in parte richiamato e sottolineato da altri colleghi in questa discussione sulle linee generali.
Credo che, a questo punto, sia opportuno un lavoro per quanto possibile costruttivo su questo tema, anche al fine di individuare, se vi sono, degli elementi comuni che possono intervenire nel dibattito, anche parlamentare, per la composizione di un confronto il più possibile condiviso su queste mozioni.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cambursano. Ne ha facoltà.

RENATO CAMBURSANO. Signor Presidente, facevo parte del gruppo Italia dei Valori e, convintamente, ho sottoscritto tutte le risoluzioni e le interrogazioni su questo tema, che ha appena ricordato il collega Borghesi. Quindi, non posso non condividere anche il testo della mozione in oggetto.
Sappiamo, ahimè, quanto sia stato fatto in materia negli anni in cui il Governo era presieduto dal Presidente Berlusconi, che si è contraddistinto - è stato richiamato più volte anche a livello europeo - per il mancato rispetto delle normative comunitarie, oltre che della legge nazionale approvata nel 1997 - quando ero già in questo ramo del Parlamento, - e, soprattutto, della delibera dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, che altro non faceva che applicare quanto la legge prevedeva.
Le conseguenze sono quelle ricordate, ossia che l'intero settore dell'emittenza televisiva e radiofonica locale è in ginocchio. Le cito un dato: nella mia provincia, quella di Torino, su quattro testate televisive, ben due, quindi il 50 per cento, hanno già detto che a queste condizioni dovranno chiudere i battenti, il che vuol dire che il pluralismo e la democrazia sono messi a dura prova. Questo potrà succedere con l'applicazione della norma; questo fa sì che si trovino ancora di più in difficoltà.
Concludo il mio intervento richiamando semplicemente il Governo a fare due cose. La prima è quella di porre in essere ogni iniziativa di competenza finalizzata a dare attuazione a quanto previsto dalla legge e dalla citata delibera dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni.
La seconda è di richiamare in quest'Aula il Governo, l'ho fatto in sede di Commissione bilancio, direttamente rivolgendomi al Ministro Passera, affinché entro lo scadere dei 90 giorni previsti, termine che lui stesso si è dato, si proceda alla gara pubblica per le assegnazioni delle frequenze televisive.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Giachetti. Ne ha facoltà.

ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, il dibattito che si è svolto mi sembra abbia chiaramente evidenziato qual è lo stato dell'arte e anche la ragione intrinseca di queste mozioni presentate. In particolare faccio riferimento a quella presentata dal mio gruppo a prima firma dell'onorevole Peluffo, che ovviamente si inserisce in un contesto, in un dibattito e anche in una serie di azioni, che vengono richieste al Governo affinché si intervenga in un ambito di particolare delicatezza e che soprattutto riguarda aspetti non irrilevanti anche relativamente a quello che in qualche modo può esser considerato lo sviluppo del nostro Paese, in quanto lo spettro elettromagnetico rappresenta certamente Pag. 26una risorsa pubblica scarsa ma di crescente valore. Lo sarà e lo è in particolare lo sviluppo delle rete internet e del suo accesso alle reti mobili, che è sempre più veloce, ovviamente non solo nel mondo ma anche in Italia, anche se sicuramente avremmo bisogno che lo fosse molto di più.
Il valore delle frequenze è stato confermato d'altra parte dall'ultima asta pubblica, in cui ciascuna di esse è stata assegnata per un valore di circa 350 milioni. Il passaggio dall'analogico al digitale terrestre, come è noto - e il dibattito al riguardo si è sviluppato ampiamente non solo in quest'Aula ma anche nel Paese, anche nel periodo della formazione e della predisposizione del programma messo in campo dall'attuale Governo - ha liberato cinque multiplex, ossia, come sappiamo, pacchetti di frequenze utilizzabili per la trasmissione televisiva. Sappiamo che i multiplex sono suddivisi in tre gruppi e attraverso un bando in modalità cosiddetta beauty contest in realtà si vorrebbe, si sarebbe voluto - e noi ovviamente con questa mozione chiediamo anche che invece si inverta questa rotta - assegnarle in modo sostanzialmente gratuito, a costo zero, a RAI e Mediaset, peraltro con la RAI, che è il servizio pubblico, in una posizione subalterna, con frequenze meno appetibili.
Il tema qual è, signor Presidente, signor sottosegretario: è che per potenziare i servizi wireless italiani come WiMAX e la telefonia mobile, è stata prevista una nuova gara per le frequenze della spettro elettromagnetico da destinare ai servizi della banda larga mobile. Le frequenze per le telecomunicazioni saranno recuperate attraverso una riduzione delle frequenze delle TV locali. In sintesi, questo comporta che delle cinquantasei esistenti, nove frequenze sono state sottratte all'emittenza locale e sappiamo bene, e conosceremo anche nel tempo - lo sanno sicuramente gli operatori - quanto questo sia problematico per il settore dell'emittenza locale, ovviamente non solo dal punto di vista dello sviluppo, che è fondamentale, ma anche della diversità diciamo dal punto di vista culturale, ma anche delle opinioni, ma anche della presenza, ma anche dal punto di vista lavorativo, di quello che rappresenta in un ambito certamente non enorme ma certamente neanche ristretto.
I canali da 61 a 69 della banda 800 dovranno essere liberati entro il 31 dicembre 2012 in cambio di un indennizzo pari a 175 milioni di euro, una cifra assai ridotta e ridotta più volte, che deriva direttamente dagli incassi delle vendite delle stesse frequenze alle compagnie telefoniche. Infatti, è utile ricordarlo, questo indennizzo inizialmente era previsto per 400 milioni di euro, derivante dal 10 per cento dell'asta della telefonia mobile. È utile ricordare, a questo riguardo, che il decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, ha previsto che alla scadenza del 31 dicembre 2012, in caso di mancata liberazione delle frequenze, l'amministrazione competente possa procedere senza ulteriore preavviso alla disattivazione coattiva degli impianti avvalendosi degli organi di polizia delle comunicazioni. Il punto è questo: le TV locali che rimarranno senza canali potranno affittare uno spazio nei multiplex delle emittenti che hanno mantenuto le possibilità di essere operatore di rete, ma in sintesi, per dirla molto chiaramente, per far transitare il segnale occorrerà chiedere come dire una sorta di passaggio.
L'emittenza locale - su questo vorrei concentrarmi - ricopre un ruolo fondamentale in un sistema radiotelevisivo ispirato ai principi della libera manifestazione del pensiero e del pluralismo dell'informazione, realizzando proprio quella stretta correlazione fra lo sviluppo del sistema televisivo locale e la crescita della piccola e media impresa. Quando parliamo di emittenza locale parliamo anche di un'emittenza capace di essere vicina in modo più prossimo ai problemi della gente, delle persone, dei cittadini, degli ascoltatori, anche nel dare informazioni su tutta una serie di questioni che inevitabilmente le televisioni nazionali non sarebbero probabilmente in grado di dare, o lo farebbero solo parzialmente. Le tivù locali in Italia sono - come è noto - oltre 600 Pag. 27e hanno un fatturato annuo di circa 600 milioni di euro, occupando circa millecinquecento operatori. Le associazioni di categoria delle tivù locali lamentano che la somma loro destinata sia insufficiente per coprire anche solo i costi sostenuti per il passaggio al digitale. Gli effetti della crisi, le riduzioni sistematiche delle ultime leggi di stabilità e l'imminente completamento del passaggio al digitale, e le numerose e irrisolte questioni legate all'assegnazione delle frequenze e dei canali, stanno duramente incidendo sulla stabilità finanziaria ma anche industriale di molte emittenti, che già hanno avviato forti riduzioni di personale e di investimenti.
Come dicevo all'inizio il valore delle frequenze è da considerare quale risorsa pubblica scarsa e di crescente valore, ma il meccanismo del beauty contest lanciato su analoghe frequenze, ovvero il bando e il disciplinare di gara relativi all'assegnazione del diritto d'uso delle frequenze in banda televisiva per i sistemi di radiodiffusione digitale terrestre, finisce per non aprire il mercato televisivo a nuovi ingressi, ma consolida (e questo è il problema con il quale ci dobbiamo misurare) le posizioni dominanti senza consentire peraltro al Paese di incamerare risorse finanziarie quanto mai necessarie, ovviamente se il beauty contest sostanzialmente dà queste frequenze gratuitamente - si tratta della polemica che si è sviluppata anche durante l'esame e il dibattito sul primo decreto di questo Governo, dove andare a recuperare anche delle risorse, nel momento in cui dobbiamo chiedere sacrifici agli italiani, e anche capire qual è il modo attraverso il quale magari smettere o rallentare la richiesta di sacrifici agli italiani, fornendo al bilancio dello Stato, all'economia di questo Paese qualche entrata, qualche risorsa consistente, che non risolva il problema ma cominci ad incidere prelevando e prendendo da un altro cespite, che non sia necessariamente quello dei cittadini italiani.
Da ultimo, il Ministro dello sviluppo economico, con proprio decreto del 20 gennaio 2012, ha sospeso, provocando non poche polemiche, per 90 giorni lo svolgimento delle procedure di gara di cui al bando pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, il cosiddetto beauty contest con dividendo digitale interno. Per quanto riguarda l'oggetto e la ragione della nostra mozione, noi riteniamo che il Parlamento non solo dia degli indirizzi al Governo, ma sia in grado di confortare il Governo nel momento in cui debba assumere le proprie decisioni, e in relazione al bando nello stesso decreto è specificato che le frequenze indicate nel bando e nel disciplinare di gara menzionato, devono intendersi nel frattempo indisponibili (quindi sono in qualche modo congelate). Su questo aspetto peraltro è stata presentata anche un'interrogazione a risposta scritta, poco più di un mese fa, dall'onorevole Gentiloni per il Partito Democratico.
I previsti 90 giorni - e concludo - scadono il prossimo 19 aprile, e ancora oggi non risulta chiaro in che modo il Governo intenda procedere. Inoltre sembrerebbe che, contrariamente alla prescrizione del decreto delle frequenze oggetto del bando e del disciplinare di gara, siano attualmente utilizzati da emittenti locali uno o più dei principali bacini di utenza italiani.
In sintesi - concludo davvero signor Presidente - la situazione appare confusa e richiede una chiara indicazione da parte del Governo circa i tempi e i modi con cui sarà effettivamente disciplinata la nuova asta competitiva per l'assegnazione delle frequenze, fino ad oggi coinvolte nel cosiddetto meccanismo del beauty contest.
Su questa materia il gruppo del Partito Democratico è intervenuto ripetutamente innumerevoli volte con atti di indirizzo e di controllo all'Esecutivo. Indubbiamente la mozione, qualora la Camera intendesse approvarla, pone sicuramente un vincolo maggiore nei confronti del Governo, da una parte, a sollecitare una presa di iniziativa definitiva su questo argomento, dall'altra, a recepire e a raccogliere quello che è il sentimento, l'umore e anche l'intenzione politica (qualora si manifestasse) della maggioranza di una delle due Camere del Parlamento. Pag. 28
Riteniamo pertanto che il Governo non possa più rimandare la convocazione di un tavolo di confronto, da una parte, con le associazioni di categoria per indicare una strategia di superamento della condizione di grave criticità in cui versa l'emittenza locale televisiva e radiofonica e ovviamente anche con coloro che, direttamente in quest'Aula o anche nell'altra al Senato, sono interlocutori di un atto di indirizzo. Riteniamo che sia necessario assumere le opportune iniziative di carattere normativo che, ferme restando le prescrizioni comunitarie, modifichino la regolamentazione in materia, con l'obiettivo di salvaguardare le TV locali, anche ripartendo la riduzione delle frequenze non solo a carico dell'emittenza locale per un terzo, ma anche e, in particolare per due terzi, a carico di quelle nazionali che già godono di parecchio su questo fronte così come d'altra parte è stato suggerito da diverse associazioni di categoria.
Auspichiamo infine - concludo davvero - che gli indennizzi da corrispondere alle emittenti che lasceranno le frequenze della banda da 800 megahertz e gli eventuali risarcimenti siano defiscalizzati, in considerazione della loro inadeguatezza e insufficienza nel ripagare le TV locali per gli investimenti effettuati per il passaggio al digitale terrestre.

PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Giulietti, iscritto a parlare: s'intende che vi abbia rinunziato.
È iscritto a parlare l'onorevole Di Biagio. Ne ha facoltà.

ALDO DI BIAGIO. Signor Presidente, ci tengo ad evidenziare che le prospettive future delle piccole emittenti televisive rappresentano un tema di notevole importanza al quale il gruppo di Futuro e Libertà e, quindi, il Terzo Polo ha prestato grande attenzione anche attraverso interventi e proposte emendative nell'ultima legge di stabilità e in continui confronti con il Governo. Con questa mozione, firmata in maniera congiunta nel Terzo Polo, vorremmo richiamare l'attenzione proprio su questo aspetto. Infatti il sistema attuale di passaggio al digitale terrestre penalizza le TV locali poiché limita le risorse frequenziali anche per quanto riguarda la mancanza di tempi tecnici necessari per la realizzazione della transizione definitiva ad una nuova tecnologia, fissata al 30 giugno 2012.
Riteniamo che sia inderogabile intervenire al fine di garantire il pluralismo televisivo e per regolare al meglio l'assegnazione delle frequenze sulle piattaforme digitali, così da non privilegiare i grandi network televisivi, con chiaro riferimento sia a Mediaset sia alla RAI, non dimenticando l'esigenza di garantire stabilità della regolamentazione relativa alla numerazione automatica dei canali, di definire provvedimenti di liberalizzazione e semplificazione per il settore con l'obiettivo anche di consentire - concludo - il recupero per il sistema televisivo locale di almeno un terzo delle risorse destinate al beauty contest e il canale 65 lasciato libero.
Chiediamo un intervento legislativo che regolamenti l'ordinamento automatico dei canali e liberalizzi e semplifichi il settore televisivo locale, sopprimendo requisiti e vincoli a carico del comparto e promuovendo lo snellimento di tutte le pratiche burocratiche. In questo modo sarà possibile dare forma a quella semplificazione normativa più volte sollecitata dall'attuale Governo.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.

(Intervento del Governo)

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

MASSIMO VARI, Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico. Nelle mozioni oggi all'esame vengono affrontate talune importanti questioni relative alle TV locali che riguardano essenzialmente la riserva di un terzo delle frequenze per Pag. 29l'emittenza televisiva locale nell'ambito dell'adozione del piano nazionale di assegnazione delle frequenze per la radiodiffusione televisiva in tecnica digitale, le problematiche interferenziali tra il servizio di telefonia mobile nella banda 800 megahertz e il servizio di radiodiffusione nella banda adiacente, la numerazione automatica dei canali.
Ora vorrei passare ad esaminare brevemente i singoli punti. Il piano di assegnazione delle frequenze per il servizio digitale terrestre: su tale questione l'Agcom in occasione della presentazione degli atti di sindacato ispettivo citati nel testo della mozione Borghesi ed altri n. 1-00866 aveva rappresentato quanto segue.
«L'attività di elaborazione del piano per il servizio di DVB-T, cioè il digitale terrestre, effettuata dall'Autorità e risoltasi nell'approvazione della delibera n. 300/10/CONS ha nel suo complesso perseguito il primario obiettivo di massimizzare l'uso di tutte le disponibili risorse frequenziali su tutto il territorio nazionale. Quindi, per l'emittenza locale saranno disponibili» affermava l'Agcom «un totale di risorse frequenziali che garantisce almeno un terzo delle risorse atte a realizzare copertura dell'intera area, nonché un certo numero di ulteriori risorse comunque idonee a realizzare reti di minore estensione, a copertura subregionale».
Per quanto sopra esposto, la stessa Autorità era dell'avviso che la pianificazione adottata non comportasse e non prevedesse penalizzazioni specifiche per l'emittenza locale rispondente ai criteri utilizzati e ad un oggettivo adattamento a quella che è la realtà creatasi a seguito della ridistribuzione nell'utilizzo delle risorse frequenziali operate in ambito europeo dall'entrata in vigore del nuovo Accordo di Ginevra 2006. Quanto riferito nel 2010 corrispondeva al quadro normativo allora vigente, che prevedeva ancora l'utilizzo dei canali 65 e 69, 790 e 862 megahertz, o cosiddetta banda a 800 megahertz, per servizi televisivi.
È noto che la legge n. 220 del 13 dicembre 2010, come modificata dalla legge n. 111 del 15 luglio 2011, di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge n. 98 del 6 luglio 2011, riservava la porzione di banda a 800 megahertz per l'utilizzo dei servizi di comunicazione elettronica mobile in banda larga. Tuttavia, la pianificazione successivamente adottata dall'Autorità ha assolto l'obbligo di assicurare la riserva di un terzo delle risorse per l'emittenza locale. Si fa infatti riferimento: alla delibera n. 423/11/CONS, recante piano di assegnazione delle frequenze per il servizio televisivo digitale terrestre nelle regioni Liguria, Toscana, Umbria e Marche, nonché della provincia di Viterbo, aree tecniche n. 8, 9 e 10; alla delibera 542/11/CONS, recante modifica della predetta delibera 423/11/CONS; ed alla delibera 93/12/CONS, recante il piano di assegnazione delle frequenze per il servizio televisivo digitale terrestre delle regioni Abruzzo, Molise, Basilicata, Puglia, Calabria e Sicilia, aree tecniche n. 11, 14 e 15. Tali delibere pianificano, per l'assegnazione all'emittenza locale e per ciascuna regione, risorse in misura superiore ad un terzo, misura che corrisponde a 12 frequenze o canali. In ciascuna delle sopra citate delibere sono state riportate le tabelle che identificano i canali destinati alle emittenti locali nelle rispettive aree regionali, con un numero di risorse pianificabili che oscillano tra le 17 e le 18 reti.
Il Ministero dello sviluppo economico ha rispettato, nelle aree digitalizzate dopo l'assegnazione dei canali 61 e 69 al servizio di telefonia mobile, tale proporzione di frequenze assegnate alle TV locali e nazionali.
Veniamo ora alle problematiche interferenziali fra la tecnologia Long Term Evolution (LTE) e DVB-T. A seguito della conclusione della gara per l'assegnazione dei diritti d'uso delle frequenze nella banda 800 megahertz, è stato istituito presso il Ministero dello sviluppo economico un tavolo tecnico, nel quale vengono valutate ed analizzate tutte le problematiche afferenti le frequenze che sono state oggetto della gara, tra cui vi sono le modalità che eventualmente dovranno essere adottate per gestire le eventuali problematiche Pag. 30 interferenziali tra il servizio mobile nella banda 800 ed il servizio di radiodiffusione della banda adiacente.
Il predetto tavolo è aperto a tutti i soggetti istituzionali e non istituzionali che sono interessati in qualsiasi modo dall'implementazione della tecnologia LTE.
Per quanto riguarda specificamente le emittenti televisive nazionali e locali, si segnala che, nella riunione tenutasi al Ministero il 13 marzo scorso, è stata proposta una sperimentazione presso il sito di Roma di Tor San Giovanni - di cui ha dato notizia anche la stampa - al fine di adottare delle misure sul campo per risolvere eventuali problemi di interferenze. Il prossimo incontro è fissato per il 3 aprile prossimo e al tavolo parteciperà anche l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni.
La sperimentazione tenderà a riprodurre una situazione il più possibile reale, in modo che i risultati possano essere applicati in un contesto più ampio e sarà replicata successivamente su altri siti. I test in campo sono accompagnati da analisi teoriche, condotte in collaborazione con la Fondazione «Ugo Bordoni», che considerano i layout dei sistemi DVB-T, cercano di identificare possibili layout di sviluppo dei sistemi Long term evolution, partendo dall'attuale configurazione della rete GSM.
Per quanto riguarda la problematica della numerazione automatica dei canali e, quindi, la questione relativa alla revisione della delibera n. 366/10/CONS, si evidenzia che l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, sulla base di quanto disposto dall'articolo 32, secondo comma, del decreto legislativo n. 34 del 2010, ha emanato la delibera in parola, con la quale ha stabilito le modalità di attribuzione dei numeri ai fornitori di servizi di media audiovisivi autorizzati alla diffusione di contenuti audiovisivi in tecnica digitale terrestre, sulla base di principi e criteri successivamente recepiti dai bandi di attuazione emanati dal Ministero dello sviluppo economico nell'agosto del 2010, che avrebbero dovuto garantire la semplicità dell'uso del sistema di ordinamento automatico dei canali e il rispetto delle abitudini e delle preferenze degli utenti, con particolare riferimento ai canali generalisti nazionali e alle emittenti locali.
Nello specifico, il piano adottato dall'Autorità con la delibera n. 366 già citata, sulla base dei predetti criteri previsti dalla legge, ha accolto gran parte delle richieste avanzate dalle TV locali in sede di consultazione pubblica. In particolare, l'Autorità ha definito la seguente ripartizione: i primi nove numeri del telecomando sono assegnati ai canali generalisti nazionali, ex analogici, diffusi in simulcast digitale; i numeri da 10 a 19 e da 71 a 99, alle emittenti locali, ripetuti con la stessa successione anche il secondo (110-119 e 171-199) e terzo arco (210-219 e 271-299) della numerazione, oltre a tutto il settimo arco (601-699) per le nuove offerte digitali; i numeri da 21 a 70, ai canali nazionali digitali suddivisi per generi di programmazione (semigeneralisti, bambini e ragazzi, informazione, cultura, sport, musica, televendite).
Il posizionamento delle emittenti locali nei numeri da 10 a 19, prima ancora dei nuovi entranti a diffusione nazionale, rappresenta un esplicito riconoscimento dell'importanza che l'emittenza locale di qualità riveste per il sistema radiotelevisivo del Paese in termini di arricchimento pluralista dell'offerta e della garanzia di conservazione del valore dell'avviamento. Tale regolamentazione è stata quella che, alla luce di tutti gli approfondimenti condotti, compresa la realizzazione di un sondaggio ad hoc che l'Autorità ha commissionato per ricavare quali fossero le abitudini e le preferenze degli utenti, è riuscita a contemperare gli interessi suddetti.
L'Autorità, pertanto, ha difeso la propria regolamentazione nei ricorsi giurisdizionali che sono stati avanzati da alcuni soggetti davanti al TAR ed ha, immediatamente, appellato al Consiglio di Stato le recenti sentenze del TAR Lazio che annullavano in parte qua il provvedimento ottenendo la sospensiva delle sentenze stesse. L'azzeramento del piano di numerazione Pag. 31dell'Agcom ad opera di pronunzie giurisdizionali, in questo delicato momento in cui si sta compiendo l'ultimo passaggio alla televisione digitale, avrebbe, infatti, comportato enormi disagi in una situazione che ormai si è stabilizzata. Il Consiglio di Stato, nell'accogliere le istanze cautelari - si veda, da ultimo l'ordinanza n. 904 del 2 marzo scorso con riferimento alla sentenza di primo grado di accoglimento del ricorso che era stato proposto dalla società Sky - ha riconosciuto che il provvedimento di regolamentazione realizza, allo stato, un ordinato e coerente sistema di accesso ai canali della trasmissione televisiva digitale, che nelle more della decisione del merito persegue fini di rilievo pubblico prevalenti su singole posizioni, prevenendo situazioni di generale incertezza e, di fatto, di deregolamentazione dell'accesso e dell'utilizzo di canali di radiodiffusione digitale.
Tenendo conto delle diverse esigenze che effettivamente sono scaturite dall'applicazione della suddetta normativa, il Ministero dello sviluppo economico, potrebbe rappresentare all'Autorità, nel rispetto della sua autonomia decisionale, la necessità di rivedere la declinazione dei criteri adottati. La stessa Agcom si è, comunque, resa disponibile, una volta avvenuto lo switch-off su tutto il territorio nazionale, a revisionare il piano per dare definitiva stabilizzazione al processo.
Infine, relativamente al sesto ed ultimo punto della mozione Borghesi ed altri, in particolare, ma anche con riferimento alle altre mozioni, si fa presente che, allo stato, la procedura sul beauty contest è sospesa e che il Ministero dello sviluppo economico sta operando al fine di consentire l'adozione delle determinazioni ritenute opportune in tempo utile per la data prevista, quale termine finale del periodo di sospensione. Ciò detto, signor Presidente, mi riservo di esprimere successivamente il parere del Governo sugli impegni richiesti dalle singole mozioni.

PRESIDENTE. Signor sottosegretario, la ringrazio per l'ampiezza e la completezza della replica, nella quale ha anticipato gran parte del contenuto dei pareri. Naturalmente, secondo la prassi, il Governo avrà modo di precisare il contenuto dei pareri quando si passerà al seguito dell'esame delle mozioni, prima che abbiano inizio le relative dichiarazioni di voto.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione della mozione Mogherini Rebesani ed altri n. 1-00971 concernente iniziative per il disarmo e la non proliferazione nucleare in vista del prossimo vertice NATO (ore 17,35).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Mogherini Rebesani ed altri n. 1-00971 concernente iniziative per il disarmo e la non proliferazione nucleare in vista del prossimo vertice NATO (Vedi l'allegato A - Mozioni).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione della mozione è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
Avverto che sono state presentate le mozioni Di Stanislao ed altri n. 1-00987, Misiti ed altri n. 1-00988, Dozzo ed altri n. 1-00989 e Pianetta e Baldelli n. 1-00993 che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente. I relativi testi sono in distribuzione (Vedi l'allegato A - Mozioni).
Avverto altresì che in data odierna la mozione Mogherini Rebesani ed altri n. 1-00971 è stata sottoscritta anche dagli onorevoli Mosella e Commercio e che l'ordine dei firmatari deve intendersi così modificato: Mogherini Rebesani, La Malfa, Boniver, Pezzotta, Mosella, Commercio, Baccini, Boccuzzi, Bossa, Brandolini, Marco Carra, Coscia, De Biasi, D'Incecco, Farinone, Grassi, Marchi, Mattesini, Melandri, Moles, Motta, Nicco, Peluffo, Pistelli, Porta, Rosato, Rubinato, Rugghia, Sbrollini, Servodio, Siragusa.

Pag. 32

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritta a parlare l'onorevole Mogherini Rebesani, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00971. Ne ha facoltà.

FEDERICA MOGHERINI REBESANI. Signor Presidente, l'iniziativa di questa mozione parlamentare che, come lei ha appena ricordato, ha ricevuto il sostegno e la firma di colleghi di diversi gruppi parlamentari - quasi tutti quelli presenti in quest'Aula, in realtà -, nasce dalla consapevolezza che il nostro pianeta è ben lontano dall'essere libero dalla minaccia nucleare. È una questione che riguarda certamente le minacce di proliferazione nucleare che, quasi quotidianamente, ci vengono riportate dallo stato di avanzamento - se così si può dire - della situazione nord coreana così come di quella iraniana, ma è anche una condizione che, come il vertice della scorsa settimana di Seul ci ha molto bene reso evidente, riguarda non soltanto il tema della non proliferazione nucleare, ma anche il tema della sicurezza nucleare, ovvero della sicurezza degli ordigni detenuti dai Paesi nucleari anche all'interno dell'ambito del Trattato di non proliferazione.
Quindi, in un contesto, dal punto di vista della legalità e della legittimità internazionale, non controverso, ma comunque, in un contesto come quello attuale, segnato dal rischio di minacce asimmetriche di possibilità di accesso di reti terroristiche e di organizzazioni non statali agli ordini stessi, ciò mette obiettivamente il nostro mondo in una situazione di serio pericolo, oltre al fatto - altro tema discusso a Seul solo una settimana fa - che il margine, o di errore umano, o di incidente tecnico legato ad ordigni nucleari, così come quello legato anche allo sviluppo del nucleare civile, è sempre dietro l'angolo.
Quindi, non possiamo neanche oggi, a qualche decennio della caduta del muro di Berlino e dalla fine della guerra fredda, considerare che il rischio di una catastrofe nucleare sia definitivamente allontanato dalla nostra storia. Anzi, i rischi collegati all'esistenza nel mondo di ordigni nucleari è quanto mai all'ordine del giorno; infatti, vi è stato il secondo summit sulla sicurezza nucleare a Seul soltanto una settimana fa, che seguiva di due anni il primo summit ospitato a Washington dal Presidente Obama proprio poco prima dell'inizio della conferenza del riesame del Trattato di non proliferazione. Tale vertice è stato molto importante, e si è rivelato, con le sue 53 presenze di Capi di Stato e di Governo, uno dei summit internazionali, se non, forse, il summit internazionale più frequentato. Quindi, è evidente il segno di un investimento politico molto alto e molto forte da parte delle potenze mondiali, non soltanto di quelle nucleari, ma anche da alcune che non fanno parte del regime internazionale di controllo e di disarmo relativamente al nucleare.
Un rischio, quindi, quello del nucleare, ancora attuale ed ancora grave, di cui spesso rimoviamo, quasi psicologicamente, la portata, anche perché, veramente, l'esperienza vissuta - quelle uniche due volte che sono scoppiate bombe nucleari nella storia del mondo - ha portato con sé una devastazione ed una drammaticità che veramente è difficile da sopportare in termini umani. Il rischio nucleare, appunto, è tutt'altro che alle nostre spalle. Per questo è necessario procedere in modo molto concreto ed in modo molto spedito, come la comunità internazionale ha fatto finora, insieme, sulla strada del disarmo e della non proliferazione, convinti, come siamo, insieme al resto della comunità internazionale, che tra le due cose - tra disarmo e non proliferazione - vi sia un nesso molto stretto, e che, soprattutto quelle potenze nucleari che detengono più ordigni, in particolare Stati Uniti e Russia, hanno ed avranno sempre maggiore forza e legittimità nel chiedere e nel pretendere non proliferazione da parti di Stati che formalmente non sono Stati nucleari quanto più riusciranno a procedere speditamente Pag. 33 e concretamente sulla via del disarmo, acquisendo così una forte legittimità nel processo.
Per questo nasce questa mozione, con un ampio iniziale sostegno parlamentare che tutti i firmatari della mozione si augurano possa essere ulteriormente esteso, anche, evidentemente, lavorando a testi comuni con altri firmatari che ho visto oggi depositare altri testi, che da un primo sguardo mi sembrano ampiamente compatibili negli obiettivi che fissano per il Governo. Si tratta di un'iniziativa che nasce sapendo che vi è, nei prossimi mesi, una scadenza molto importante, il vertice NATO di Chicago della fine di maggio, nella quale un importante punto all'ordine del giorno riguarda proprio la posizione dell'Alleanza atlantica rispetto alla deterrenza nucleare.
Vorrei andare un passo indietro per inquadrare nel modo migliore possibile il momento storico sulla questione del disarmo e della non proliferazione che stiamo vivendo adesso. Nel 2009 il Presidente Obama, con il suo storico discorso di Praga, inaugura una stagione di forte impulso al disarmo nucleare, cercando di legare a questo anche una nuova stagione di non proliferazione.
Il 2010 è l'anno fondamentale per una serie di risultati acquisiti che non erano affatto scontati anche soltanto qualche anno prima. Li cito solamente nell'ordine: la firma e poi successivamente la ratifica del nuovo Trattato Start da parte di Stati Uniti e Federazione Russa. Inoltre, vi è stata una conferenza di riesame del Trattato di non proliferazione che si chiude con un'inaspettata e molto positiva conclusione unanime, cosa che soltanto cinque anni prima non era riuscita, quindi, con un segno molto incoraggiante da parte della comunità internazionale rispetto a degli obiettivi molto concreti sui quali si riesce ad ottenere un consenso.
Il primo summit sulla sicurezza nucleare di Washington, che precedeva questo secondo summit che c'è stato a Seul soltanto qualche giorno fa, soprattutto direi anche se in termini formali forse non è il passaggio più centrale e cruciale ma in termini sostanziali sicuramente lo è. Infatti, vi è stata una approvazione molto sofferta, ma anche positiva, di una nuova posture nucleare statunitense che cambia radicalmente l'approccio americano alle armi nucleari, al loro ruolo e al loro valore nel concetto strategico di difesa di quel Paese.
Infine, temporalmente ma non per importanza, a novembre 2010 si tiene il vertice di Lisbona della NATO che ridefinisce il nuovo concetto strategico dell'alleanza, affermando alcune questioni importanti proprio sul versante della politica nucleare. In particolare, il vertice di Lisbona del 2010 assume l'impegno: a realizzare un mondo più sicuro per tutti e creare le condizioni per un mondo senz'armi nucleari, conformemente agli obiettivi del trattato di non proliferazione nucleare in modo da promuovere la stabilità internazionale sulla base dei principi di una sicurezza immutata per tutti (...). Con i cambiamenti nel contesto della sicurezza - seguita la citazione del documento del concetto strategico di difesa del 2010 - dopo la fine della guerra fredda abbiamo ridotto drasticamente il numero di armi nucleari presenti in Europa e la nostra dipendenza dalle armi nucleari nell'ambito della strategia della NATO. Ci adopereremo per creare le condizioni per ulteriori riduzioni in futuro sulla base del principio che il controllo degli armamenti, il disarmo e la non proliferazione contribuiscono alla pace, alla sicurezza e alla stabilità internazionale, garantendo una sicurezza immutata per tutti i membri dell'alleanza.
Nel 2010, quindi, da parte dell'Alleanza atlantica c'è una dichiarazione di principio molto importante, che fa dei passi avanti rilevanti, ma c'è anche un capitolo che resta aperto e che viene demandato ad un processo che inizia alla fine del 2010 e si concluderà il prossimo maggio al summit di Chicago della NATO.
Parte, in questo anno e mezzo che ci separa dal vertice di Lisbona, la Defence and Deterrence Posture Review, che è il processo attraverso il quale l'Alleanza atlantica cerca di raggiungere il consenso al Pag. 34suo interno su una revisione complessiva ed organica delle sue posizioni in materia nucleare, convenzionale e missilistica, dove, al di là del tema missilistico che è obiettivamente un tema caldo, il focus principale è chiaramente quello della politica dell'Alleanza atlantica in tema di disarmo e non proliferazione nucleare.
Il vertice NATO del prossimo mese, quindi, deve sciogliere alcuni nodi. Deve innanzitutto trovare la strada del consenso così come sempre in ambito NATO e, quindi, escludendo e cercando di superare anche iniziative unilaterali che in passato c'erano state. Pensiamo all'iniziativa della Germania e di altri Paesi che avevano posto prima del vertice di Tallin il punto della presenza delle armi nucleari tattiche americane in Europa come punto controverso da affrontare attraverso un metodo che non era di certo il più corretto. Infatti, un approccio di quel tipo in un'Alleanza che di solito decide per consenso forse ha provocato qualche problema in più, invece di arrivare ad una soluzione. Ma soprattutto il vertice di Chicago avrà l'occasione storica, in qualche modo evocata anche dal Presidente Obama durante gli incontri bilaterali del vertice di Seul, di adeguare la policy della NATO ai mutamenti che nel frattempo sono intervenuti nella policy nucleare e degli Stati Uniti e della Gran Bretagna.
Si tratta dei due principali Paesi nucleari nell'ambito dell'Alleanza, se si eccettua la Francia.
Infine, il vertice di Chicago avrà un obiettivo fondamentale, che è più politico che tecnico. Dopo il successo del vertice di Seul, che non era affatto scontato, il vertice di Chicago sarà l'ulteriore occasione per non chiudere la finestra di opportunità aperta da Obama nel 2009, con quel discorso a Praga, e per cercare di traghettare, quindi, una sorta di contesto favorevole internazionale all'anno prossimo, sapendo che il 2012 è un anno di transizione perché è un anno elettorale in tutti i Paesi nucleari. La Russia ha appena attraversato un momento di elezioni. Ricordo, inoltre, che vi saranno le elezioni americane nell'autunno, che la Cina è di fronte ad un cambio di leadership, che in Francia si voterà tra qualche settimana e che la Corea del Nord è andata incontro ad un cambio di leadership nel regime alla fine dello scorso anno, mentre la Corea del Sud avrà le elezioni nei prossimi mesi. Insomma, tutti i principali attori nel contesto nucleare - o quasi tutti - stanno vivendo un anno di transizione elettorale. Tuttavia, la NATO, in quanto tale, può dare un segnale di mantenimento dell'attenzione della comunità internazionale su questo tema e lasciare aperta, appunto, la finestra di opportunità per ulteriori e più avanzate risoluzioni nel corso dei prossimi anni.
Il ruolo dell'Italia nel prossimo vertice della NATO a Chicago è oggetto di questa nostra iniziativa, di questa nostra mozione. Innanzitutto, perché l'Italia può oggi giocare un ruolo centrale nell'Alleanza atlantica. Sono finiti e sono definitivamente alle nostre spalle i tempi della guerra fredda ed anche i tempi della mentalità da guerra fredda, che troppo spesso caratterizzano il nostro approccio in termini non solo di politica estera ma anche di politica di difesa all'interno dell'Alleanza atlantica. Non solo l'Italia può svolgere un ruolo non passivo ma, anzi, può essere determinante proprio perché alleato fedele, verrebbe da dire, se non fosse un termine che può essere ambiguo nella sua interpretazione. Quindi, direi, si tratta di un alleato chiave all'interno dell'Alleanza atlantica.
Dunque, con questa mozione chiediamo al Governo un impegno molto chiaro, perché al vertice NATO di Chicago il Governo italiano e l'Italia si presentino dagli altri partner con una serie, chiara e molto facilmente intelligibile, di priorità, per fare in modo che almeno alcuni di questi punti diventino oggetto di una convergenza da parte anche degli altri alleati, sempre sapendo che nell'ambito dell'Alleanza atlantica le decisioni si prendono per consenso, ed è questa la strada che anche l'Italia deve perseguire.
Innanzitutto, è opportuna l'assunzione, da parte dell'Alleanza atlantica, di una declaratory policy, di una politica che riduca Pag. 35il valore e il ruolo delle armi nucleari, soprattutto delle armi nucleari tattiche, e che, sostanzialmente, affermi almeno quello che è affermato dalla policy americana e, in parte, britannica, ovvero che lo scopo delle armi nucleari non vada oltre la deterrenza dell'uso delle stesse armi nucleari da parte degli altri Paesi. È un obiettivo minimo e che, probabilmente, può essere raggiunto in sede di vertice NATO. Però, sarebbe un obiettivo molto importante perché al momento la NATO, appunto, non ha una declaratory policy adeguata allo stato dell'arte internazionale.
Il secondo punto è forse quello più delicato e sensibile, ma anche quello più simbolico, meno concreto e meno importante dal punto di vista della strategia militare e riguarda le armi nucleari tattiche presenti sul territorio europeo. Sono armi del tutto, in un certo senso, vetuste, dal punto di vista militare. Tutti gli osservatori, sia di strategia internazionale sia di politica militare, concordano nel dire che sono armi che non servono dal punto di vista della difesa, della sicurezza del territorio europeo e anche dell'area mediterranea più ampia. Sono armi, quindi, che non servono e che sono costose. È costosa, altresì, la loro messa in sicurezza e lo sarà sempre di più man mano che invecchiano, con il passare del tempo. Sono anche armi il cui stazionamento sul territorio europeo può essere pericoloso nel momento in cui, appunto, può essere preso ad oggetto di mire da parte di organizzazioni e di gruppi terroristici. Quindi, sono armi che davvero non avrebbero senso militare di esistere sul territorio europeo, ma sono diventate un po' lo status symbol, veramente il simbolo di un burden sharing tra alleati.
Tuttavia, noi crediamo che questa si possa concretizzare oggi attraverso misure molto più realistiche, molto più impegnative e molto più mature. Probabilmente l'Alleanza Atlantica è oggi pronta a simboleggiare la propria unità politica, la propria unità di intenti e la propria comunità attraverso mezzi che possono essere meno antichi e più utili di questo simbolo.
Quindi, la mozione chiede al Governo di sostenere innanzitutto una riduzione del ruolo strategico di armi che non servono e che, per essere impiegate, richiederebbero probabilmente miracoli - settimane, se non mesi - e che quindi evidentemente non hanno neanche alcun ruolo di deterrenza. Il loro numero potrebbe e dovrebbe essere ulteriormente ridotto - già lo è stato in modo molto consistente negli anni scorsi - e andrebbe riaffermata la prospettiva di una loro totale eliminazione, come è già stato fatto in ulteriori passaggi istituzionali. Infine, crediamo che l'Italia possa essere tra i Paesi che, più convintamente, possono sostenere piani espliciti e concreti per immaginare anche delle prospettive di rientro di queste armi nucleari tattiche dal territorio europeo al territorio americano.
Ci sono diverse ipotesi sul terreno, molto dettagliate: penso, ad esempio, ad un piano proposto da Sam Nan, ex senatore americano molto attivo sul tema della non proliferazione e del disarmo nucleare che, per esempio, prevede l'ipotesi che contestualmente ad un raccordo con la Federazione russa e definendo i dettagli strada facendo, arrivi al rientro di tutte le armi nucleari tattiche americane sul territorio europeo in territorio statunitense nell'arco di cinque anni; chiaramente con alcuni passaggi graduali e da concordare con i russi.
Contestualmente, ci possono essere altri piani, comunque espliciti e concreti, per mostrare il fatto che si può rafforzare, riunire e simboleggiare la comunità di intenti ed il burden sharing comune tra alleati atlantici anche al di là di uno strumento che è inutilmente costoso, inutilmente pericoloso e che non ha alcuna funzione strettamente militare.
D'altra parte, lo stesso Obama, nel suo incontro bilaterale con la delegazione della Federazione russa a Seul - almeno così hanno riportato agenzie di stampa non smentite che presumo che possiamo, per il momento darle, pur vagamente accennate, Pag. 36comunque per confermate - ha annunciato che proprio al G8 dei prossimi mesi, gli Stati Uniti proporranno alla Russia un nuovo pacchetto di riduzione di armi nucleari, tra cui saranno comprese alcune novità sulle armi nucleari tattiche. Credo che l'Italia possa essere in grado di sostenere questo tipo di intenzioni dell'amministrazione americana.
Il terzo punto su cui chiediamo l'impegno del Governo è quello di aumentare le misure di trasparenza. Sappiamo che è un punto controverso e delicato soprattutto per il settore militare nel nostro Paese, però quella che viene considerata la secrecy policy, ossia la pratica per la quale in ambito NATO non si può né confermare, né smentire la presenza di armi nucleari su alcuni territori nazionali, pensiamo che sia una policy superata e che anzi un maggiore grado di trasparenza possa servire anche a comunicare meglio e più efficacemente con l'opinione pubblica i passi in avanti che invece si stanno facendo proprio in tema di disarmo nucleare.
Crediamo che sostanzialmente sarebbe un passo in avanti molto importante anche rispetto alla credibilità ed alla legittimità dei Paesi che ospitano le armi nucleari tattiche, come l'Italia anche se non può né confermarlo né negarlo. Il quarto punto è quello assolutamente non controverso di rafforzare il dialogo NATO-Russia non soltanto sui temi delle armi nucleari, ma anche, per esempio, sulla questione più complicata dei missili.
Il quinto punto concerne la piena realizzazione degli impegni presi durante la conferenza di revisione del trattato di non proliferazione, in particolare - li cito velocemente - essi sono: l'impegno all'attuazione del sistema delle garanzie negative di sicurezza per l'entrata in vigore del trattato per la messa al bando delle sperimentazioni, per l'avvio di negoziati per la messa al bando della produzione di materiale fissile, per la realizzazione di una zona priva di armi di distruzione di massa e dei rispettivi vettori in Medio Oriente e, su questo - faccio un inciso - ci sarà probabilmente, entro la fine dell'anno, una conferenza in Finlandia sulla scia delle decisioni prese in sede di Nazioni Unite, che si annuncia molto complicata e sulla quale pensiamo che l'Italia possa svolgere un ruolo molto utile, visto il ruolo fondamentale che il nostro Paese ha in una regione molto complessa; ed, infine, l'adozione universale del protocollo aggiuntivo dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica, con l'obiettivo di consolidare le capacità ispettive dell'Agenzia.
Infine, ultimo punto, chiediamo un impegno per la formazione del corpo diplomatico e militare sui temi del controllo degli armamenti, della non proliferazione e del disarmo, convinti che la consapevolezza, la conoscenza e l'approfondimento dei temi legati alla non proliferazione e al disarmo in tutte le sedi, comprese quelle che più direttamente hanno a che fare con la gestione di questi temi, sia in sede diplomatica che militare, possano aiutare ad una reciproca comprensione e a un raggiungimento più facile di un dialogo aperto anche in sede internazionale ed anche una gestione più efficiente, efficace e trasparente del tema in sede nazionale.
Per concludere, penso che sia una mozione che può ottenere, oltre al già ampio sostegno parlamentare anche trasversale che abbiamo raccolto in queste settimane e in questi giorni, anche credo il parere favorevole da parte del Governo. Sostanzialmente si prefigura, così com'era stato già il caso da parte nostra per altri appuntamenti internazionali - penso al vertice di Lisbona del 2010 - di impegnare il Parlamento in una discussione preventiva prima di un vertice internazionale importante, che possa quindi dare ancora più forza, legittimità e convinzione ad un'azione di Governo che, in ogni caso, si svolgerebbe in quelle sedi internazionali e che sicuramente con il supporto e il sostegno convinto e più ampio possibile da parte di un'iniziativa parlamentare sicuramente assume in quelle sedi internazionali - tra l'altro sono anche complesse - una forza, un'incisività e un impatto molto maggiori.
Quindi, vi è la volontà di dare trasparenza e rilievo parlamentare a questo Pag. 37dibattito e dare al Governo alcuni strumenti in più nella sua azione nelle sedi internazionali che sono così importanti per la nostra vita anche quotidiana (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Di Stanislao, che illustrerà la sua mozione n. 1-00987. Ne ha facoltà.

AUGUSTO DI STANISLAO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, Governo, credo che in queste occasioni in cui non solo il Governo ma il Governo attraverso il Parlamento e la comunità nazionale deve dimostrare qual è la cifra della propria cultura e della propria capacità di governare i processi in contesti e ambiti così sensibili e in continua mutazione, si deve avere il coraggio di passare attraverso un dibattito, quello parlamentare, rispettando le prerogative del Parlamento. Faccio questa premessa e questa introduzione perché credo che, in queste occasioni, come il vertice che ci sarà a Chicago, il Governo non può andare a rappresentare solo ed esclusivamente sé stesso o una parte di sé stesso, ma deve andare a rappresentare con forza le prerogative del Parlamento nonché le posizioni di chi rappresenta parte del Parlamento e che spesso è più in sintonia con la comunità nazionale di quanto la stessa maggioranza e lo stesso Governo lo siano nel momento in cui si dibatte di alcune questioni quali le iniziative per il disarmo e la non proliferazione nucleare in vista del prossimo vertice Nato. Dico questo perché è un passaggio importante e fondamentale, altrimenti rischiamo di fare di queste occasioni, per le quali noi come Italia dei Valori ci battiamo, un momento di rito che non serve più a nessuno perché l'informazione va comunque a prescindere dal recinto istituzionale che spesso è talmente deprivato, derubricato e mortificato dal Governo a cui credo che il momento centrale, il cuore del dibattito parlamentare interessa poco o nulla. Noi cerchiamo sempre di mettere l'accento perché riteniamo che molte cose se non possano dal Parlamento danno poca forza al Governo e rappresentano poco e male anche l'Italia nel contesto europeo ed internazionale.
Tornando al tema, credo che la proliferazione delle armi di distruzione di massa, in particolare di armi nucleari, chimiche e biologiche, e dei loro vettori costituiscano una crescente minaccia; la proliferazione delle armi di distruzioni di massa assieme alla diffusione di tecnologie e conoscenze a duplice uso aumenta il rischio che queste armi siano utilizzati da Stati e che siano acquistate da gruppi di terroristi che potrebbero in modo diretto o indiretto minacciare l'Unione europea e la comunità internazionale inclusi i suoi interessi più vasti. L'Unione europea deve agire con risolutezza, autorizzando tutti gli strumenti e le politiche a sua disposizione per prevenire, dissuadere, bloccare e se possibile eliminare i programmi di proliferazione delle armi di distruzione di massa e anche dei missili.
Proprio in virtù di questo, nell'ambito di una lotta efficace contro la proliferazione, l'Unione europea ha deciso di adottare un approccio forte e multilaterale in cooperazione con gli Stati Uniti e con altri partner. Pertanto, il controllo delle esportazioni e l'appoggio alle istituzioni multilaterali incaricate di verificare e garantire il rispetto dei trattati sono considerate e sempre da considerarsi fondamentali. Il regime di non proliferazione nucleare si presenta come un vasto sistema di trattati e organizzazioni internazionali che determina il contenimento del numero degli Stati in possesso di armi atomiche e la riduzione degli arsenali esistenti. Il Trattato di non proliferazione nucleare, pilastro di questo complesso di accordi che disciplina il possesso, l'uso e la circolazione delle armi nucleari - lo ricordo a me ed a voi - fu firmato quaranta anni fa, quasi quarantuno, per cui ha una storia, una sua forza e un suo fondamento a cui dovremmo dare molta più dignità e anche più vigore attraverso iniziative politiche e istituzionali che facciano anche capire la cifra e la volontà della comunità nazionale, non solo del Parlamento e non solo del Governo. Nel corso del 2011 è entrato Pag. 38in vigore il nuovo trattato strategico firmato nell'aprile 2010 da Obama e Medvedev, che preannunciava un mondo più sicuro ed una nuova era - queste sono state le loro parole - nelle relazioni tra le due superpotenze e proclamava il superamento di tensioni e diffidenze ancora presenti. Già nel febbraio 2010, i Ministri degli affari esteri di Germania, Paesi Bassi, Belgio, Lussemburgo e Norvegia avevano inviato una lettera al Segretario generale della NATO per richiedere l'apertura di un dibattito proprio nel corso della conferenza dei Ministri degli affari esteri dell'Alleanza atlantica, tenutasi poi il 22 aprile 2010 a Tallinn, sul ritiro delle armi nucleari tattiche statunitensi presenti sul territorio europeo. L'istanza avanzata dai cinque Paesi europei sembrava collocarsi all'interno di una prospettiva coerente con la nuova strategia anticipata dal Presidente Obama. Il 28 maggio 2010, infatti, dopo quasi un mese di lavori, si concludeva a New York, sotto l'egida delle Nazioni Unite, la conferenza quinquennale di revisione del Trattato di non proliferazione nucleare. In quell'occasione i 189 Paesi membri hanno approvato un documento finale di ventotto pagine nel quale sono stati precisati i passi successivi nella strada verso il disarmo globale. In sostanza, le cinque potenze nucleari riconosciute - Stati Uniti, Russia, Gran Bretagna, Francia e Cina - si sono impegnate ad accelerare la riduzione degli arsenali, a diminuire l'importanza strategica delle armi nucleari ed a presentare un rapporto sui progressi di tali iniziative nel 2014. In quella sede, inoltre, è stata indetta per il 2012 una conferenza internazionale per la denuclearizzazione del Medio Oriente e l'eliminazione dalla regione di altre armi di distruzione di massa. Uno dei principi fondamentali del Trattato di non proliferazione stabilisce che i Paesi non nucleari aderenti al Trattato rinuncino all'acquisizione di armi atomiche a fronte di un progressivo disarmo nucleare da parte di quelli a cui il Trattato di non proliferazione inizialmente riconosce il diritto di possedere tali armi. Va detto, però, in generale, che nessuna delle cinque potenze nucleari che aderiscono al Trattato - ricordo che gli Stati Uniti attualmente posseggono 5.113 testate nucleari funzionanti - si è conformata all'articolo 6 dello stesso Trattato, che prevede lo smantellamento dei propri arsenali atomici. Anche a causa di ciò, le richieste dei Paesi occidentali di adottare misure più restrittive per impedire la proliferazione sono state percepite da quei Paesi non nucleari come misure ingiustamente penalizzanti nei loro confronti, visto che i primi ancora non ottemperano, appunto, ai loro obblighi. Non mancano contraddizioni ancora non risolte: tre potenze nucleari non hanno mai aderito al Trattato di non proliferazione: Israele, India e Pakistan. Squilibri e disparità in questo senso hanno ovviamente suscitato risentimento e irritazione di diversi Paesi a livello mondiale, soprattutto di quelli come Turchia ed Egitto che insistono fortemente affinché si arrivi ad un Medio Oriente privo di armi di distruzione di massa. L'Italia in questo contesto per conciliare gli obblighi derivanti dal Trattato di non proliferazione con la presenza di armi atomiche ricorre al sistema della doppia chiave. Le armi nucleari restano in possesso degli Stati Uniti e sotto il loro stretto controllo. Solo gli Stati Uniti potranno decidere se ricorrere all'arma nucleare. Tuttavia, l'uso è consentito solo dopo l'autorizzazione dello Stato territoriale, in questo caso l'Italia. In questo modo, solo formalmente l'Italia non esercita alcun controllo sulle testate nucleari degli Stati Uniti, quindi la loro presenza non è incompatibile con il Trattato di non proliferazione.
Tuttavia, non sono pubblici i dettagli del sistema connesso alla «doppia chiave». Ricordo a me e a voi che la risoluzione n. 1887, adottata nel mese di settembre 2009 dal Consiglio di sicurezza dell'Organizzazione delle Nazioni Unite, già prefigurava un mondo senza armi atomiche, esortando i Paesi a rafforzare il Trattato di non proliferazione nucleare. Il documento «chiede a tutti gli Stati che non fanno parte dell'NPT di entrare nel Trattato come Stati non nucleari, in modo Pag. 39da raggiungere l'universalità in una data prossima» (non sapremo mai quale sia questa data prossima).
Il Trattato è stato senza dubbio il principale argine alla diffusione dell'arma nucleare, anche se ha perso peso specifico con l'entrata in scena di nuovi protagonisti e non appare più così scontato che l'effetto deterrente, che aveva una sua ratio a quel tempo e anche una qualche efficacia in un mondo bipolare, possa contribuire ad evitare futuri conflitti di fronte ad un aumentato numero di Paesi possessori di armi nucleari. In questo scenario, il Governo di coalizione tedesca ha elaborato la proposta di rimuovere le armi atomiche attualmente esistenti in Germania, mentre ad assumere la leadership per l'eliminazione delle armi nucleari in Europa sono stati i Paesi del Benelux, primo fra tutti il Belgio, sostenuti dalla Norvegia, che, tuttavia, non ospita armi nucleari sul suo territorio. Anche l'Olanda ha avviato un dibattito in merito.
La Corte internazionale di giustizia, nel parere del 1996 sulle armi nucleari, ha affermato che il loro uso è contrario al diritto internazionale umanitario. In questo contesto, l'Italia ha ratificato tutti i più importanti strumenti di diritto umanitario, ma, avendo sul proprio suolo - in questo caso ad Aviano - armi nucleari, è stata costretta ad effettuare una dichiarazione secondo cui il protocollo addizionale alle Convenzioni di Ginevra non si applica alle armi nucleari. Il parere della Corte internazionale di giustizia, inoltre, ha confermato che il possesso delle armi nucleari e la stessa deterrenza nucleare non sono contrari al diritto internazionale.
Il parere in questione, però, ha stabilito che l'uso dell'arma nucleare è sottoposto alle regole del diritto internazionale umanitario. Qui si inserisce il vertice di Lisbona, tenutosi nel mese di novembre, nel quale è stato concepito un nuovo Concetto strategico per la difesa e la sicurezza dei membri della Nato, che vedrà la conclusione nel previsto summit di maggio 2012 a Chicago, con la previsione che i Paesi occidentali aggiornino la propria posizione nel campo della difesa e della deterrenza. In quella sede, è stata da più parti riaffermata la necessità di procedere ad un più stretto controllo degli armamenti, al disarmo e alla non proliferazione, intesi come base fondamentale per la pace, la sicurezza e la stabilità internazionale.
Tuttavia, malgrado l'esplicito impegno di «creare le condizioni per un mondo senza armi nucleari», il nuovo Concetto strategico della NATO ha comunque ribadito che «fintantoché ci sono armi nucleari nel mondo, la Nato rimarrà un'Alleanza nucleare». Va ricordato che, sebbene non vi siano dati ufficiali, alcuni Paesi europei, tra cui l'Italia, ancora ospitano armi nucleari: cito il Belgio, che ne ha tra 10 e 20, la Germania, l'Olanda, la Turchia, che ne ha circa 50, mentre, da un rapporto dell'associazione ambientalista americana Natural Resources Defense Council, emerge che gli Stati Uniti mantengono in Italia 90 bombe nucleari: 50 ad Aviano e 40 a Ghedi Torre.
Tre di questi Paesi che ospitano armi nucleari si sono espressamente dichiarati a favore della rimozione dai loro territori delle armi nucleari tattiche, mentre il nostro Paese mantiene una posizione ambivalente, sostenendo, da un lato, una posizione a favore del disarmo nucleare globale, dall'altro, ampia fedeltà alla NATO. Ricordo che questi Paesi sono il Belgio, la Germania e l'Olanda.
Altresì, un recente rapporto dell'ICAN, la Campagna internazionale per la messa al bando delle armi nucleari, dimostra che la proliferazione nucleare si basa sul contributo fondamentale di gruppi assicurativi e bancari, compresi quelli italiani. Il rapporto in questione sui finanziamenti globali ai produttori di armi nucleari mostra che molti dei principali gruppi bancari e assicurativi internazionali finanziano e favoriscono la proliferazione nucleare. La metà di questi grandi gruppi di investimento, che comprendono banche, fondi pensione e compagnie assicurative, ha sede negli Stati Uniti e un terzo in Europa.
Molti sono gli istituti bancari italiani in prima linea, tutti, in diversa misura, coinvolti nei finanziamenti ai colossi della produzione mondiale di armamenti. Tra Pag. 40questi emerge anche la figura di Finmeccanica, il cui capitale è detenuto per il 30 per cento dal nostro Ministero dell'economia e delle finanze.
Il principale gruppo industriale italiano nel settore dell'alta tecnologia, e tra i primi dieci player mondiali nel settore dell'aerospazio, della difesa e della sicurezza, detiene il 25 per cento delle azioni di Mbda, un'impresa leader nella costruzione di missili e sistemi missilistici, impegnata nella costruzione di missili nucleari per l'aeronautica francese. In generale, i grandi gruppi della finanza mondiale investono ingenti somme di denaro nelle società che producono armamenti nucleari, fornendo prestiti, ma anche attraverso l'acquisto di azioni e obbligazioni. Giocano, quindi, un ruolo chiave nella proliferazione dell'industria militare nucleare e nello sviluppo di alcune delle più pericolose e distruttive armi che l'uomo abbia mai inventato.
Il Presidente Obama ha più volte comunicato che intendeva fare del disarmo nucleare globale uno dei pilastri della politica degli Stati Uniti.
Nel frattempo, lo scorso 26 marzo, si è tenuto a Seul il secondo vertice sulla sicurezza nucleare che ha visto riuniti 53 leader mondiali che hanno confermato l'impegno comune per il disarmo, la non proliferazione e l'utilizzo pacifico dell'energia nucleare, ma anche una forte riaffermazione dei rischi alla sicurezza legati al terrorismo nucleare. Il summit è stato concepito come il seguito di quello sopra citato, organizzato nel 2010, con lo scopo più generale di favorire la denuclearizzazione internazionale. Intervenendo al summit, il Presidente americano Obama ha detto che oltre 1.500 armi nucleari e 5 mila testate nucleari possedute dagli Stati Uniti ormai sono armi più necessarie di quelle di cui dovrebbe avere bisogno quello Stato, ma noi pensiamo che non deve esservi più bisogno né per gli Stati Uniti, né per altre comunità internazionali.
La questione più delicata rimane la convocazione di una conferenza sulla creazione di una zona priva di armi di distruzione di massa in Medio Oriente (che dovrebbe tenersi a Helsinki sotto l'egida del Segretario generale delle Nazioni Unite), una regione per la quale tale progetto risulta ancora più ambizioso, visto che la proibizione non riguarderebbe solo le armi nucleari, ma anche quelle chimiche e biologiche, tenendo in debito conto la cronica tensione politico-militare ivi esistente e che nessuno dei principali Paesi coinvolti (Iran, Israele, Siria ed Egitto) ha le carte in regola in fatto di armi di distruzione di massa.
A Bruxelles si discute, in questi giorni, su come dare attuazione concreta al nuovo concetto strategico della NATO del 2010 e, soprattutto, su quali proposte si possa convergere affinché emergano elementi evolutivi e per una nuova dottrina sull'uso delle armi nucleari.
In conclusione, l'Italia dei Valori su questo tema è attiva e impegnata da tempo, a cominciare dalla proposta di legge recante disposizioni concernenti il disarmo e la non proliferazione nucleare sul territorio italiano, nonché la ratifica ed esecuzione della Convenzione sulla messa al bando delle munizioni a grappolo, discussa e conclusa congiuntamente ad altre, dovuta ad un lavoro in Commissione difesa mirato e diretto alle varie sfaccettature, nonché ancora con risoluzioni ed interrogazioni.
Nello specifico, con la mozione in oggetto, intendiamo impegnare il Governo affinché rappresenti l'Italia attraverso le iniziative di seguito puntualizzate.
Impegniamo il Governo: a sostenere con determinazione, nelle opportune sedi internazionali, in particolare proprio in vista del prossimo vertice NATO di maggio, un'intesa sul disarmo nucleare che sia giuridicamente vincolante come lo sono i trattati che già proibiscono le armi chimiche e biologiche; a sostenere gli sforzi del Segretario generale delle Nazioni Unite nel delicato compito di portare allo stesso tavolo negoziale, attraverso la convocazione della citata conferenza, tutti Paesi di un'area ad alta tensione come quella mediorientale, per affrontare un tema altamente controverso come quello delle armi Pag. 41nucleari, chimiche e biologiche; a valutare se l'attuale regime delle basi e delle installazioni americane sopracitate sia ancora compatibile con il mutato assetto dei rapporti internazionali, soprattutto dopo le dichiarazioni del Presidente Obama al recente vertice di Seul; a rendere noto il sistema della «doppia chiave» e a ritirare la riserva interpretativa al I protocollo addizionale alle quattro Convenzioni di Ginevra del 1949, che stabilisce che il I Protocollo non si applica alle armi nucleari.
Da ultimo, ma non per ultimo, impegniamo il Governo a farsi portavoce e promotore, durante il summit di Chicago, della necessità, riaffermata da più parti, di procedere ad un più stretto controllo degli armamenti, al disarmo e alla non proliferazione, intesi come base fondamentale per la pace, la sicurezza e la stabilità internazionali, valutando la possibilità di avviare maggiori e mirati controlli sulle banche, società di intermediazione mobiliare, società di gestione del risparmio, società di investimento a capitale variabile, nonché sugli intermediari finanziari iscritti nell'elenco speciale di cui all'articolo 107, comma 1, del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo del 1o settembre 1993, n. 385, sulle fondazioni bancarie e sui fondi pensione che finanziano la produzione e il commercio di armi nucleari.
Credo che su questi temi, che hanno concretezza, ci debba essere e ci possa essere un impegno del Governo che ci rappresenti di più e meglio in questi contesti e che finalmente avvii un percorso non solo di impegni, ma che dia possibilità di attivare concretamente questi richiami e questi percorsi, che vanno governanti mettendo in una posizione strategica anche l'Italia, non più di sudditanza, perché è questo che vuole il Parlamento con questa discussione, è quello che sollecita Italia dei Valori ormai da tempo e penso che ormai l'intera comunità e il Parlamento non possano più aspettare su decisioni che poi possono definire in maniera più o meno articolata e complessa i futuri assetti per la pace e la sicurezza internazionale, a partire dall'Italia (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Misiti, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00988. Ne ha facoltà.

AURELIO SALVATORE MISITI. Signor Presidente, non credo di ripetere un'ovvietà se affermo che la diffusione delle armi nucleari rappresenta oggi la più grande minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale. Da molti anni è aperto nel mondo e in particolare in Occidente un vivace dibattito sulla riduzione del numero di tali armi oppure una completa distruzione di esse. Alcuni esperti di politica internazionale ritengono che l'attuale situazione di equilibrio sostanziale tra le superpotenze nucleari ha risparmiato all'umanità la Terza guerra mondiale, altri sostengono che c'è bisogno di una riduzione consistente rispetto alle testate del periodo della Guerra fredda e quindi risulterebbe possibile una riduzione bilanciata tale da non rompere gli equilibri. Su queste considerazioni si sono basati gli accordi del Trattato di non proliferazione e del New START dell'8 aprile 2010, siglato a Praga dai presidenti Obama e Medvedev.
Il Trattato di non proliferazione prevede che ognuna delle Parti si impegna a perseguire quanto prima negoziati in buona fede sulle misure effettive sulla cessazione della corsa agli armamenti nucleari e il disarmo nucleare, sotto controllo internazionale rigoroso ed effettivo.
Recentemente cinque Paesi europei - Germania, Paesi Bassi, Belgio, Lussemburgo e Norvegia - hanno chiesto alla NATO di avviare una discussione sul ritiro dell'Europa di tutte le armi nucleari tattiche statunitensi. Il Trattato di non proliferazione, stipulato nel 1970, è stato discusso ogni cinque anni attraverso conferenze per tentare di accordarsi su misure tendenti a rafforzare il Trattato stesso. L'ultima conferenza, del 28 maggio 2010, ha approvato un piano addirittura di Pag. 4264 punti, tra cui: l'universalità del Trattato, il disarmo nucleare, la non proliferazione nucleare, inclusi la promozione e il rafforzamento dei controlli di sicurezza, misure per promuovere l'uso pacifico e sicuro dell'energia nucleare, il disarmo e la non proliferazione a livello regionale, l'attuazione della risoluzione del 1995 sul Medio Oriente, le misure per scongiurare il ritiro dal Trattato, le misure volte a rafforzare ulteriormente il processo di revisione e modi per promuovere l'impegno con la società civile nel rafforzamento delle norme del Trattato di non proliferazione, promuovendo anche l'educazione al disarmo.
Il 25 marzo 2012 a Seul 53 Capi di Stato e di Governo hanno preso tre impegni di fronte al mondo: al disarmo, alla non proliferazione, all'uso pacifico dell'energia nucleare. La mozione di Grande Sud, di cui sono primo firmatario, chiede due impegni al Governo: a sostenere, nel prossimo vertice NATO del maggio 2012 a Chicago, l'opportunità di misure da parte della NATO che portino ad una concreta riduzione del numero di armi nucleari tattiche presenti in Europa, valutando anche la prospettiva di una loro completa eliminazione; a contribuire affinché l'Unione europea diventi punto di riferimento internazionale per il disarmo e la riduzione dell'armamento nucleare, sostenendo con determinazione la strategia contro la proliferazione delle armi di distruzione di massa. Le mozioni che sono state presentate in questa Camera tendono a rafforzare la posizione del Governo italiano, a sostenere le proposte che il Governo esporrà a Chicago, e a far sapere che la parola del nostro Governo rappresenta la volontà del popolo italiano intero rappresentato da questo Parlamento, che attraverso la discussione, le sue mozioni, la trasparenza del dibattito, vuole contribuire a questa missione internazionale su cui molti discorsi sono stati fatti e pochi progressi sono stati ottenuti.
Occorre fare in modo che il vertice di Chicago contrasti le posizioni di quegli Stati che ritengono che la posizione di coloro che già posseggono l'arma (e a buon diritto la tengono sul proprio territorio) sia una posizione monopolistica; è necessario che contestualmente ci sia l'abbassamento del numero delle testate nucleari tattiche dei cinque grandi Paesi che detengono le armi nucleari dalla fine della Seconda guerra mondiale, e dei nuovi Paesi che si sono dotati di armi nucleari. Questi e altri che tentano ancora l'ingresso nel club nucleare, devono capire che, contemporaneamente alla riduzione dell'armamento nucleare di Paesi storicamente dotati di armi nucleari, anche loro dovranno fare altrettanto. Su questo è basato il desiderio più profondo del popolo italiano. Su questo il Parlamento impegna il Governo a regolarsi e a battersi nell'incontro di Chicago (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Grande Sud-PPA).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fugatti, che illustrerà anche la mozione Dozzo ed altri n. 1-00989, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

MAURIZIO FUGATTI. Signor Presidente, la complessa tematica del disarmo e della non proliferazione nucleare, contrariamente a quanto si ritiene comunemente, è ben chiara ai Paesi e alle organizzazioni internazionali fin dai primi anni dell'era nucleare, tanto che una risoluzione per l'utilizzo del nucleare esclusivamente a scopi specifici, e per lo stop ad ulteriori acquisizioni di armamenti, venne votata dall'ONU già nel gennaio del 1946. Le armi nucleari, per la loro stessa natura, sono in grado di determinare distruzioni gravissime, ma non è possibile preventivarne la dismissione unilaterale senza considerare le conseguenze che una loro riduzione non bilanciata può provocare sugli equilibri internazionali. Un vero disarmo nucleare è conseguentemente possibile solo in un contesto davvero mondiale che veda una pari assunzione di impegno da parte di tutti i Paesi già dotati di armi atomiche o che aspirino ad acquisirne. Qualunque iniziativa asimmetrica vanificherebbe ogni effetto deterrente con l'effetto perverso di rafforzare proprio la posizione di chi non accetta le regole condivise. Pag. 43
Dopo la corsa agli armamenti del periodo della guerra fredda si era da tempo avviata una stagione internazionale di dialogo positivo sul tema, a partire proprio dalle due principali potenze che hanno contribuito fattivamente alla conclusione del Trattato di non proliferazione del 1968 e che oggi stanno conducendo una revisione ciascuna delle proprie prospettive strategiche e firmando tra loro il Trattato New START l'8 aprile 2010, a Praga.
Anche l'Alleanza atlantica sta rivedendo la propria politica riguardo alle armi nucleari, con un processo di revisione iniziato nel 2010 a Lisbona, che si concluderà al vertice del prossimo maggio a Chicago.
Se Occidente e Federazione russa hanno assunto impegni forti e coerenti in direzione del disarmo, si rischia invece che altri Stati mantengano o sviluppino armi nucleari al di fuori del Trattato di non proliferazione e di qualunque dialogo internazionale. Ricordiamo che non aderiscono al Trattato di non proliferazione Israele, India, Pakistan e Corea del Nord, Paesi destinati ad avere peso ed ambizioni crescenti nello scenario internazionale, nei quali forti sono le infiltrazioni di matrice terroristica, basso il controllo democratico e l'influenza della moral suasion internazionale.
Un problema aggiuntivo è rappresentato dalla circostanza che le conoscenze tecnologiche richieste per produrre ordigni nucleari sono le stesse indispensabili alla produzione di energia elettronucleare, cosa che rende difficile determinare chi possa allestire programmi nucleari a destinazione civile e a chi, invece, tale facoltà vada negata. Proprio per questo è importante il regime di penetranti controlli che l'Agenzia internazionale per l'energia atomica di Vienna, garantisce a nome e per contro delle Nazioni Unite, in ottemperanza alle previsioni del Trattato di non proliferazione nucleare.
Appare conseguentemente necessario attribuire maggiori poteri di accesso e di intervento all'organismo deputato dalle Nazioni Unite a verificare l'impiego di materiale nucleare a scopo militare, l'Agenzia internazionale per l'energia atomica di Vienna, attribuendo un vero potere di ingresso e di ispezione, anche non concordata con gli Stati interessati, seppure questa fattispecie abbia dimostrato difficoltà di attuazione, prefigurando altresì un'estensione dei suoi poteri anche ai Paesi non firmatari del Trattato di non proliferazione. Per questo la Lega chiede che il Governo ponga in essere delle decisioni al fine di impegnare il Governo stesso a farsi promotore di una strategia di disarmo nucleare che includa negoziati e politiche di disarmo da parte di tutti i Paesi, a livello mondiale, che sono dotati od in procinto di dotarsi di armi nucleari, in un'azione veramente globale, altrimenti non efficace; a sostenere in sede ONU la necessità di rafforzare ed espandere il numero di soggetti membri del Trattato di non proliferazione e a incrementare concretamente le possibilità di intervento dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica di Vienna; e, infine, ad indirizzare in ambito NATO la politica di disarmo in maniera concertata con gli altri membri e nel quadro negoziale con la Federazione russa sul controllo degli armamenti.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Baldelli, che illustrerà anche la mozione Pianetta e Baldelli n. 1-00993. Ne ha facoltà.

SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, l'obiettivo di promuovere il disarmo nucleare è una delle principali sfide che deve affrontare la comunità internazionale nei prossimi anni ed è già certamente una delle questioni all'attenzione dei principali soggetti internazionali. In questa discussione si affronta il tema da diversi punti di vista, con delle linee di intervento e di richiesta di impegno del Governo, per alcuni aspetti anche convergenti. Per quanto riguarda la mozione presentata dal mio gruppo, credo che forse sia opportuno sottolineare un elemento distintivo, o perlomeno che caratterizza in particolare il testo della mozione. Per quanto riguarda invece il resto del contenuto, delle premesse e degli impegni, richiamo al testo Pag. 44scritto, che sarà pubblicato nell'ordine del giorno della seduta di domani.
Credo che sia opportuno - e ci tengo a sottolinearlo in questa sede - che si sottolinei l'azione e l'impegno strategico che il Governo italiano può svolgere nelle sedi internazionali, prima fra tutte in ordine di tempo quella di Chicago, prevista per il mese di maggio 2012, dove il ruolo italiano di rilancio di un punto di incontro e di cooperazione, nel solco della linea - intrapresa nel 2002 a Pratica di Mare - dei rapporti fra NATO e Federazione Russa, divenga un elemento in qualche modo centrale di queste politiche internazionali sul disarmo nucleare e sulla non proliferazione. Lo dico anche perché gli strumenti possibili da questo punto di vista (mi riferisco al Consiglio NATO-Federazione Russa, al Consiglio NATO-Russia) ci sono, possono essere rilanciati e possono portare questo dialogo e questo programma a risultati concreti e a nostro avviso anche in tempi ragionevolmente brevi.
Quindi, da questo punto di vista il senso della mozione presentata dal PdL è quello di sottolineare quanto l'Italia sia stata in passato e possa essere ancora oggi e in futuro strategica proprio nel rapporto che grazie all'Italia si è creato fra NATO e Federazione Russa, e in questo senso forse è il caso di continuare a diventare noi, come Governo italiano, elemento di collante fra questi due soggetti della comunità internazionale, così importanti nel quadro appunto della non proliferazione.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cambursano. Ne ha facoltà.

RENATO CAMBURSANO. Signor Presidente, prima di far scattare il tempo a mia disposizione volevo informarla che alle ore 16, mentre io stavo intervenendo in Aula sulla discussione generale sulle semplificazioni, si è riunita la Commissione bilancio: non avendo ancora il dono dell'ubiquità, ho preferito ovviamente l'Aula alla Commissione (questo solo come cronaca, per gli uffici).
Intanto ringrazio la collega Mogherini Rebesani per aver presentato come prima firmataria la mozione, che non solo sono a sostenere, ma che chiedo formalmente anch'io di poter sottoscrivere, e lo dico anche se non è previsto dalla prassi e dal Regolamento, ma anche il collega firmatario onorevole La Malfa mi ha pregato di rappresentarmi.
Questa mozione credo cada in un momento molto importante e molto delicato, vista - come ricordavano tutti i colleghi, in particolare l'onorevole Mogherini Rebesani - in previsione del prossimo vertice a Chicago. Ma è anche all'indomani del vertice che si è tenuto a Seul, dove il Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, nonostante vi sia stata una nuova minaccia di Pyongyang, in presenza di un folto gruppo di Capi di Stato e di Governo, tra cui anche il nostro Presidente Monti, ha ribadito qual è l'azione degli Stati Uniti. Devo dire che positivamente questo è stato accolto anche da altri due grandi Paesi, la Russia e la Cina, dando anche peraltro un altolà alla Corea del Nord e all'Iran, in linea con la posizione americana.
Questo è anche un importante incontro che non riguarda soltanto le armi ed il nucleare, ma anche gli interventi nucleari in campo civile, ad un anno esatto da Fukushima e, ahimè, anche a 25 anni da Chernobyl. Convintamente avevo raccolto le firme e sostenuto il referendum per l'abrogazione del nucleare anche in campo civile: ecco perché sono a sostenere gli inviti che sono stati rivolti con questa mozione, che sottoscrivo, a che il Governo si faccia parte attiva nei consessi internazionali.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.

(Intervento del Governo)

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il sottosegretario di Stato per gli affari esteri, Marta Dassù.

Pag. 45

MARTA DASSÙ, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Signor Presidente, come rappresentante del Governo, vorrei intervenire al momento dell'esame delle singole mozioni; tuttavia, se fosse possibile, vorrei riassumere un po' il senso di questo dibattito di oggi dal punto di vista del Governo, soprattutto, per ringraziare molto tutti coloro che sono intervenuti. Si tratta, indubbiamente, di un dibattito essenziale, io credo, per la politica internazionale e per la sicurezza dei Paesi, incluso il nostro, ed è anche un dibattito, come abbiamo sentito dagli interventi, estremamente complicato. Credo sia giusto dire - com'è stato detto da quasi tutti gli intervenuti - che un dibattito in Parlamento di questo genere rafforza il Governo nell'azione che dovrà svolgere in vista del vertice NATO di Chicago nel maggio del 2011.
Come sapete, il Presidente del Consiglio Monti è reduce - è stato ricordato - dal vertice sulla sicurezza nucleare di Seul, dove ha detto con molta chiarezza che un progressivo disarmo nucleare è un'ipotesi che l'Italia sostiene con molta fermezza e a cui si sta adoperando con coerenza.
Io vorrei ricordare soltanto tre punti di contesto, se volete. A me pare che, da una parte, vi sia quello che avete ricordato, cioè vi siano dei passi fondamentali verso una riduzione delle armi nucleari sia da parte degli Stati Uniti che da parte della Russia: come dimostra il Trattato Start, vi è stata, in effetti, una riduzione. Inoltre, vi è stato un importante discorso di Barack Obama, nel 2009, a Praga, come sappiamo, sull'importanza di tendere verso la soddisfazione, all'inglese, verso l'adempimento dell'articolo 6 del Trattato di non proliferazione, che, appunto, prevede che i Paesi che posseggono armi nucleari attuino passi seri di disarmo in modo da dissuadere altri Paesi a volersi dotare di armi nucleari.
Infatti, il problema di oggi non è più tanto quello di una minaccia di uno scontro nucleare diretto fra i vecchi opponenti, come era nell'epoca della Guerra fredda, ma vi è, la proliferazione nucleare, da una parte - cioè il fatto di un aumento dei Paesi dotati di armi nucleari e fuori dal Trattato di non proliferazione -, e, dall'altra parte, la minaccia di atti terroristici con armi nucleari o con bombe sporche.
Quindi, questo è il contesto di oggi, un contesto molto diverso in cui è venuto in primo piano anche il problema - è stato detto giustamente - della nuclear posture, della strategia nucleare non solo degli Stati Uniti, che l'hanno rivista, ma anche della NATO. Sono queste, quindi, le premesse con cui ci avviciniamo al vertice di Chicago: credo che sia molto giusto che il Parlamento voglia discuterne.
È un problema di sicurezza - come dicevo all'inizio - essenziale per i Paesi occidentali che sono legati dalla NATO. È un problema tecnico, ma è anche un problema politico: uno degli aspetti delicati in questa vicenda delle armi nucleari tattiche in Europa è che, da un certo punto di vista, hanno per molto tempo rappresentato il vincolo politico fra gli Stati Uniti e l'Unione europea. È anche per questo che una riduzione netta delle armi nucleari è controversa all'interno della NATO.
Vi è, poi, un problema di reciprocità: come sappiamo, non abbiamo dati così certi, ma sappiamo che, mentre la NATO dispone di un paio di centinaia di queste bombe nucleari su quelli che chiamiamo aerei a doppio uso, la Russia ne ha ancora alcune migliaia: 2 mila, 3 mila, a seconda delle stime. Quindi, c'è un problema di reciprocità. Inoltre, c'è un problema di trasparenza e di chiarezza sulle intenzioni.
Questi sono un po' i principi con cui il Governo intende leggere le mozioni, cercando il più possibile di rispettare lo spirito e l'invito che viene da questo Parlamento, che, del resto, è lo spirito e l'invito anche del Governo.
Siamo in un sistema internazionale in cui la riduzione delle armi nucleari è, in effetti, una misura di sicurezza per tutti noi. L'ultimo punto, ma lo dico molto rapidamente, riguarda il problema della difesa missilistica perché è chiaro che anche questo rappresenta un polo di discussione Pag. 46 sia all'interno della NATO sia nei rapporti con la Russia. Sappiamo, infine, che il Consiglio NATO-Russia non si riunirà a Chicago, a differenza di quanto si pensava fino a pochi mesi fa, e quindi questo complicherà una delle giuste intenzioni di parecchie di queste mozioni cioè di riuscire, in effetti, ad attuare alcuni passi in modo concertato con Mosca fin da subito.
Concludo, per ora, e vi ringrazio davvero per questi vostri interventi e per queste vostre sollecitazioni. Il Governo è pronto a discutere nel merito le mozioni che vorrete ancora presentare.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Martedì 3 aprile 2012, alle 12:

1. - Seguito della discussione del disegno di legge:
Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, recante disposizioni urgenti in materia di semplificazione e di sviluppo (Approvato dalla Camera e modificato dal Senato) (C. 4940-B).
- Relatori: Giovanelli (per la I Commissione) e Saglia (per la X Commissione).

2. - Seguito della discussione delle mozioni Borghesi ed altri n. 1-00866, Terranova ed altri n. 1-00990, Rao, Briguglio ed altri n. 1-00991, Romani ed altri n. 1-00992, Caparini ed altri n. 1-00994 e Oliveri ed altri n. 1-00995 concernenti iniziative in relazione al piano nazionale di assegnazione delle frequenze, con particolare riferimento all'emittenza locale.

3. - Seguito della discussione delle mozioni Mogherini Rebesani, La Malfa, Boniver, Pezzotta, Mosella, Commercio ed altri n. 1-00971, Di Stanislao ed altri n. 1-00987, Misiti ed altri n. 1-00988, Dozzo ed altri n. 1-00989 e Pianetta e Baldelli n. 1-00993 concernenti iniziative per il disarmo e la non proliferazione nucleare in vista del prossimo vertice NATO.

4. - Seguito della discussione delle mozioni Vincenzo Antonio Fontana ed altri n. 1-00855, Binetti ed altri n. 1-00927, Iannaccone ed altri n. 1-00958, Miotto ed altri n. 1-00959, Palagiano ed altri n. 1-00962, Lo Monte ed altri n. 1-00964, Laura Molteni ed altri n. 1-00967 e Stagno d'Alcontres ed altri n. 1-00981 concernenti iniziative in ordine alle modalità di ammissione alle scuole di specializzazione in medicina.

5. - Seguito della discussione delle mozioni Montagnoli ed altri n. 1-00896, Lombardo ed altri n. 1-00901, Fluvi ed altri n. 1-00910, Misiti ed altri n. 1-00911, Crosetto ed altri n. 1-00913, Borghesi ed altri n. 1-00916, Mosella ed altri n. 1-00924, Polidori ed altri n. 1-00929, Cambursano ed altri n. 1-00948 e Ciccanti ed altri n. 1-00970 concernenti misure a favore delle piccole e medie imprese in materia di accesso al credito e per la tempestività dei pagamenti delle pubbliche amministrazioni.

La seduta termina alle 18,45.