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Resoconto dell'Assemblea

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XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 602 di lunedì 12 marzo 2012

Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ANTONIO LEONE

La seduta comincia alle 12.

SILVANA MURA, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 9 marzo 2012.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Aprea, Barbieri, Caparini, Capitanio Santolini, Cicchitto, Colucci, Gianfranco Conte, D'Alema, Dal Lago, De Biasi, Della Vedova, Donadi, Dozzo, Tommaso Foti, Franceschini, Grimoldi, Lupi, Milanato, Moffa, Narducci, Leoluca Orlando, Rigoni, Scalera, Stefani, Vitali e Volontè sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente trenta, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Discussione del disegno di legge: S. 3111 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 25 gennaio 2012, n. 2, recante misure straordinarie e urgenti in materia ambientale (Approvato dal Senato) (A.C. 4999-A) (ore 12,05).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 25 gennaio 2012, n. 2, recante misure straordinarie e urgenti in materia ambientale.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 4999-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari Italia dei Valori e Lega Nord Padania ne ha chiesto l'ampliamento.
Avverto, altresì, che la VIII Commissione (Ambiente) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Ha facoltà di svolgere la relazione, in sostituzione del relatore, onorevole Tommaso Foti, il presidente della Commissione ambiente, Angelo Alessandri.

ANGELO ALESSANDRI, Presidente della VIII Commissione. Signor Presidente, sottosegretario Fanelli, il decreto-legge oggi all'esame dell'Assemblea, già approvato dal Senato, reca misure straordinarie e urgenti in materia ambientale e, originariamente, affrontava tre temi. Il primo tema, contemplato all'articolo 1 del decreto-legge, concerne la creazione di una rete adeguata e integrata di impianti di trattamento, recupero e smaltimento dei rifiuti nella regione Campania che, come è noto, rappresentano i presupposti indispensabili per superare le croniche criticità esistenti in quella regione, e fare in modo che le istituzioni territoriali possano e sappiano finalmente porre in essere gli Pag. 2atti occorrenti ad avviare un corretto e definitivo ciclo dei rifiuti, nonché per restituire alle amministrazioni territoriali interessate tutte le competenze e tutte la responsabilità relative alla gestione del ciclo integrato dei rifiuti.
Il secondo tema, contemplato all'articolo 2 del decreto-legge, riguarda la commercializzazione dei sacchi per l'asporto di merci - i cosiddetti shopper. Più precisamente, la determinazione dei criteri necessari ad una compiuta definizione del campo di applicazione del divieto di commercializzazione dei sacchi per l'asporto di merci non biodegradabili è fissata all'articolo 1, comma 1130, della legge n. 296 del 2006.
Il terzo tema, infine, previsto dall'articolo 3 del decreto-legge, si riferisce alla definizione di una più chiara disciplina sull'uso dei materiali di riporto, cioè di quei materiali di varia origine che, essendo stati utilizzati nel corso nel tempo per riempimenti e livellamenti del terreno, hanno finito per stratificarsi e sedimentarsi nel suolo. Nel corso dell'esame al Senato erano stati, peraltro, introdotti otto-nove articoli, oltre ad alcune modifiche ai tre articoli sopra richiamati, che recavano novelle alle norme ambientali ed erano dirette, fra l'altro, a favorire lo smaltimento tramite il termovalorizzatore della frazione secca dei rifiuti urbani prodotti nella regione Campania, e a semplificare in ambito nazionale le procedure che regolano lo svolgimento delle attività di gestione dei rifiuti degli imprenditori agricoli e l'attività di recupero dei materiali vegetali, agricoli e forestali e, inoltre, a snellire, sempre in ambito nazionale, le procedure autorizzative per i piccoli impianti di compostaggio; ad implementare le attività di raccolta dei rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE) e a promuovere l'attività di recupero dei rifiuti inerti e gli acquisti verdi; a rafforzare la disciplina sulle compensazioni ambientali e sull'andamento dei flussi e delle risorse finanziarie statali destinate all'attuazione delle politiche ambientali.
Con riferimento al contenuto del testo licenziato al Senato, voglio innanzitutto dare atto che esso introduce un pacchetto di misure frutto di un proficuo lavoro comune fra Governo e organi parlamentari, largamente condiviso nel merito dalle forze parlamentari. Tuttavia, nel corso dell'esame in VIII Commissione alla Camera, si è convenuto sull'opportunità, alla luce dell'intervenuta pronuncia della Corte costituzionale n. 22 del 2012 sul legame essenziale fra decretazione d'urgenza e potere di conversione, i cui contenuti sono stati richiamati nella lettera che il Presidente della Repubblica ha inviato al Presidente del Consiglio e ai Presidenti dei due rami del Parlamento il 23 febbraio scorso, di espungere dal testo quelle disposizioni non omogenee rispetto all'oggetto e alle finalità del testo originario del decreto-legge, al fine di inserirle, poi, in un apposito provvedimento successivo sulle misure ambientali.
In ragione di tale opportunità sono stati quindi soppressi gli articoli 1-bis e 1-ter, rispettivamente in materia di rifiuti di attività agricole e di materiali vegetali, agricoli e forestali, trattamento dei rifiuti tramite compostaggio aerobico e di gestione anaerobica; e gli articoli da 3-bis a 3-sexies riguardanti la gestione dei compost gli acquisti verdi, la riduzione delle garanzie finanziarie per le imprese in possesso di certificazione ambientale e le misure di compensazione ambientale, nonché la riassegnazione di risorse al Ministero dell'ambiente.
Sono stati altresì soppressi i commi da 5 a 9 e da 11 a 18 dell'articolo 3 che riguardavano, fra gli altri, i rifiuti organici, l'autocompostaggio, i rifiuti e le apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE), la proroga delle autorizzazioni in essere riguardanti gli impianti in miscelazione di rifiuti speciali, la miscelazione degli oli usati, le disposizioni relative alla tariffa avente natura corrispettiva in luogo del tributo comunale sui rifiuti e sui servizi e il tributo speciale per il deposito in scarica dei rifiuti solidi.
Segnalo, altresì, che le sopracitate modifiche soppressive erano state richieste Pag. 3anche dal Comitato per la legislazione nel parere reso nella seduta del 29 febbraio 2012. Ciò premesso, passo ad illustrare il contenuto del provvedimento oggi all'attenzione dell'Assemblea, vale a dire del testo risultante dalle modifiche approvate in VIII Commissione nel corso dell'esame in sede referente che si è concluso l'8 marzo scorso e che ha tolto tutto quanto prima richiamato.
Al riguardo, segnalo anzitutto che gli articoli 1 e 1-quater recano misure urgenti volte a fronteggiare la situazione di criticità nella gestione dei rifiuti della regione Campania e riguardano, fra le altre cose, la realizzazione di impianti di gestione anaerobica della frazione organica dei rifiuti presso gli impianti STIR, stabilimenti di trattamento, tritovagliatura e imballaggio dei rifiuti o in aree confinanti, il prolungamento della durata e l'ampliamento delle funzioni dei commissari straordinari regionali e la proroga del termine fino al quale è possibile aumentare la capacità recettiva ed il trattamento degli impianti di compostaggio nazionali.
Aggiungo, inoltre, che nel corso dell'esame in Commissione è stato approvato un emendamento che, attraverso una novella all'articolo 1, comma 7, del decreto-legge n. 196 del 2010 prevede che lo smaltimento in altre regioni dei rifiuti urbani non pericolosi prodotti nella regione Campania avvenga in conformità al principio di leale collaborazione, mediante intesa tra la regione Campania e la singola regione interessata.
Il successivo articolo 2 prevede la proroga del termine relativo al divieto definitivo di commercializzazione dei sacchi per l'asporto merci non biodegradabili, gli shopper. Tale proroga si applica limitatamente alla commercializzazione di alcune tipologie di sacchi indicate dalla norma fino all'emanazione, entro il 31 dicembre 2012, anziché al 31 luglio 2012, come previsto nel testo iniziale del decreto-legge, di un decreto interministeriale che potrà individuare ulteriori caratteristiche tecniche dei sacchi medesimi e che, a seguito della modifica introdotta dalla Commissione, potrà anche prevedere forme di promozione della riconversione degli impianti già esistenti.
A seguito di un'ulteriore modifica approvata nel corso dell'esame in sede referente, è stato differito al 31 dicembre 2013, in luogo dell'originario 31 luglio 2012, il termine a decorrere dal quale entreranno in vigore le sanzioni amministrative per la commercializzazione dei sacchi non conformi a quanto disposto dall'articolo.
Con riferimento all'articolo 2 ritengo di poter dire che le modifiche apportate dalla Commissione configurano un buon punto di equilibrio rispetto al testo iniziale. Lo spostamento al 31 dicembre 2012 del termine per l'emanazione del citato decreto interministeriale e al 31 dicembre 2013 del termine di entrata in vigore di sanzioni amministrative consentirà infatti, a mio avviso, di chiarire ancor meglio le varie problematiche ancora non ben definite e di salvaguardare le aspettative e le prospettive di un'importante filiera produttiva del Paese.
In tal senso, sottolineo l'importanza dell'altra modifica approvata dalla Commissione al testo dell'articolo 2, in base al quale il più volte citato decreto interministeriale potrà prevedere anche forme di promozione della riconversione degli stabilimenti produttivi esistenti. Infine, con riferimento al testo dell'articolo 3, come modificato dalla Commissione, faccio presente che esso reca una norma di interpretazione autentica volta a ricomprendere nella definizione di suolo il materiale di riporto al fine di escluderlo, alle condizioni indicate dalla norma, dall'applicazione della normativa sui rifiuti, ferma restando comunque la disciplina in materia di bonifica dei suoli contaminati.
A seguito delle modifiche introdotte dalla Commissione è stato chiarito che, ai fini di quanto previsto dall'articolo 3, per matrici materiali di riporto si intendono i materiali eterogenei come disciplinati dal decreto di cui all'articolo 49 del decreto-legge n. 1 del 24 gennaio 2012 sull'utilizzo delle terre e rocce da scavo usate per la realizzazione di riempimenti e rilevati non Pag. 4assimilabili, per caratteristiche geologiche e stratigrafiche, al terreno in situ all'interno dei quali possono trovarsi materiali anche estranei.
La Commissione ha altresì chiarito che nella fase transitoria, e quindi fino all'entrata in vigore del decreto di cui all'articolo 49 del decreto-legge n. 1 del 2012, le matrici e i materiali di riporto eventualmente presenti nel suolo sono da considerare come sottoprodotti solo se ricorrono le condizioni di cui all'articolo 184-bis del decreto legislativo n. 152 del 2006.
L'articolo 3, come risultante dalle modifiche soppressive sopra richiamate, reca altresì una novella alla disciplina per l'integrazione e le modifiche agli allegati e alla parte IV del decreto legislativo n. 152 del 2006 relativi alla gestione dei rifiuti e alla bonifica dei siti inquinati che sono quindi adottati con decreto interministeriale e non più come atto normativo di rango primario e una novella all'allegato D e alla parte IV del decreto legislativo 152 del 2006 relativi alle caratteristiche di pericolosità dei rifiuti cosiddetti ecotossici in base alla quale, nelle more dell'emanazione da parte del Ministero dell'ambiente, della tutela del territorio e del mare di uno specifico decreto che stabilisca la procedura tecnica per l'attribuzione delle caratteristiche del rifiuto ecotossico H14, sentito il parere dell'ISPRA, tale caratteristica viene attribuita ai rifiuti secondo le modalità di una specifica categoria dell'accordo internazionale per il trasporto di merci pericolose su strada.

PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire in sede di replica.
È iscritto a parlare l'onorevole Barbato. Ne ha facoltà.

FRANCESCO BARBATO. Signor deputato Presidente, colleghe e colleghi deputati, che vi conto purtroppo in quest'Aula nel numero di otto deputati e, per la verità, la cosa più sconvolgente è che non ci siano deputati campani, perché il provvedimento oggi in discussione generale qui alla Camera riguarda interventi straordinari e urgenti in materia ambientale e, segnatamente, la questione campana. Entro subito in argomento, deputato Presidente.
Nei giorni scorsi, in quest'Aula, abbiamo esaminato il provvedimento in materia di semplificazioni, che è un provvedimento nato per velocizzare l'attività della pubblica amministrazione, per snellirne le procedure, insomma per far funzionare lo Stato ad una velocità più attuale, moderna, come cammina il resto del Paese. Quindi, quando ci troviamo poi di fronte a un provvedimento, come quello che oggi esaminiamo in Aula, sull'ambiente, il cui titolo addirittura reca «misure straordinarie e urgenti in materia ambientale», resto veramente basito nel vedere gli effetti che queste misure straordinarie e urgenti determinerebbero nella mia Campania.
Infatti, abbiamo sentito il relatore che si è pronunciato su questo provvedimento e mi riferisco in particolar modo ad una sciagurata integrazione, con un emendamento approvato in Commissione ambiente, ossia il comma 2-bis dell'articolo 1, dove sostanzialmente si prevede che lo smaltimento dei rifiuti dalla regione Campania in altre regioni è possibile mediante un'intesa preventiva fra la regione Campania e le singole regioni interessate. Ciò significa voler far sprofondare nuovamente Napoli e la Campania in emergenza rifiuti, significa seppellire di nuovo Napoli e la Campania con tonnellate di «munnezza» per le strade.
Solo così, infatti, si spiegherebbe una norma che serve semplicemente per bloccare, per paralizzare Napoli e la Campania e per farla ritornare in un'emergenza rifiuti. Per fortuna, da quando la musica è cambiata a Napoli con De Magistris e con l'Italia dei Valori, non ci sono più «munnezza» e sacchetti di rifiuti sparpagliati per le strade, Napoli non vive più quel disastro ambientale. Quindi c'è da pensare che, per la verità, non lo dice solo l'Italia dei Valori, che una norma così congegnata sarebbe disastrosa per l'ambiente campano. Pag. 5
Ma lo dice addirittura il governatore della regione Campania Stefano Caldoro, che ha usato queste parole ieri su un giornale napoletano: «Questo è un voto insensato. È un patto anti Campania». Questo è l'avvertimento del governatore della Campania, che non è dell'Italia dei Valori, ma di centrodestra. Avverte preventivamente che, se approvata così questa norma in materia ambientale, gli effetti per la nostra regione sarebbero devastanti. Non aiuta la regione Campania e un ordinato smaltimento dei rifiuti e una gestione corretta del sistema rifiuti in Campania, dove pure si stanno attrezzando e stanno facendo la loro parte gli amministratori del comune di Napoli e della regione Campania.
Quindi, devo pensare che si vuole ritornare 18 anni indietro. Si vuole far rivivere una emergenza rifiuti che in Campania viviamo dal 1994, ovvero dal primo Governo Berlusconi.

RAFFAELE VOLPI. Non lo avete ancora risolto dopo 18 anni!

FRANCESCO BARBATO. Non è mai finita, non è mai stata risolta. È solo un «magna magna» di denaro pubblico, che è iniziato con il Governo Berlusconi. Vi ricordate quando nei primi mesi di questa legislatura nel 2008 vi parlavo delle due «B» più inquinanti d'Italia? Mi riferivo alla «B» di Berlusconi, alla quale poi si è aggiunta quella di Bassolino.
Infatti, naturalmente il disastro prodotto in Campania porta una firma ben precisa, perché si voleva quella emergenza, perché tenere tonnellate di rifiuti per strada significa mettere dei meccanismi che fanno gola ai partiti e a certi politici. Infatti, con l'emergenza rifiuti tu puoi mettere in moto delle procedure straordinarie, fare appalti senza gare con somma urgenza, puoi chiamare gli autotrasportatori e il movimento «terra» per raccogliere i rifiuti senza gare. Puoi favorire gli amici e gli amici degli amici.
Dopodiché, se ci sono montagne di rifiuti, hai bisogno poi anche delle discariche e, quindi, di localizzare, trovare altre discariche, avvelenare ancora di più i territori. Poi, oltre alle discariche, come si spendono ancora soldi, come aumenta il «magna magna» tra la politica e questa pseudo classe imprenditoriale che si è creata intorno ai rifiuti in Campania e la camorra (non bisogna mai trascurarla)? Poi alla fine l'ultimo stadio sono i termovalorizzatori, perché è così che si risolve... l'emergenza rifiuti. Altrimenti le montagne di «munnezza» dove le portiamo? Diventa un obbligo finale: l'emergenza rifiuti ti costringe a finire tra discariche e termovalorizzatori.
Rispetto a questo sistema criminale messo in piedi e collaudato tra politica, affari e camorra, il sostegno è bipartisan. Infatti, questa è la ragione per la quale non mi meraviglia il fatto che in Commissione continua ad andare avanti questo meccanismo. Infatti, voler tenere in piedi una norma così come è fatta significa volere nuovamente l'emergenza rifiuti e tenere in piedi quel sistema che non solo ha danneggiato i napoletani ed i campani facendoli convivere con i rifiuti, mettendo a rischio la salute e la loro vita, ma è un sistema collaudato con il quale si riesce a mungere il danaro pubblico. Questo sistema di «magna magna» è stato però rotto a Napoli.
Infatti, è fin troppo evidente che il sistema del «magna magna munnezza» è stato rotto a Napoli dalla giunta De Magistris dell'Italia dei Valori. Infatti, il primo esempio è che, dopo uno studio scientifico e attento nell'interesse dei cittadini, si conviene di inviare i rifiuti in Olanda. Infatti, onorevoli colleghi, costa circa 100 euro a tonnellata inviare i rifiuti da Napoli in Olanda.
Mentre prima, mandandoli nei termovalorizzatori o negli impianti del Veneto o delle altre province della Campania, costavano tra i 160 e i 180 euro a tonnellata. Questa è la differenza, perché a noi interessa non rubare i soldi dei cittadini, e quel sistema del «magna magna» sulla munnezza serviva solo per «fregare» i soldi, per sperperarli e per mantenere le clientele e gli affari. Insomma, vi è stato un sistema politico e di partiti che ci ha Pag. 6campato per 18 anni su questo sistema. Ma noi abbiamo detto «basta» a questo sistema.
Poi abbiamo detto un'altra cosa. Perché siamo stati di rottura verso questo sistema del «magna magna munnezza»? Perché, ad esempio, abbiamo preso la strada maestra, quella che ci può far evitare l'emergenza rifiuti, che ci può far evitare le discariche e la costruzione di un termovalorizzatore a Napoli. Qual è? È quella della raccolta differenziata, la raccolta differenziata a rifiuti zero, perché i rifiuti sono una risorsa e a Napoli abbiamo già avviato, con la giunta di rottura dell'Italia dei Valori di De Magistris, la raccolta differenziata che avviene in alcuni quartieri come, ad esempio, Scampia, un quartiere tanto criminalizzato. Dovete sapere che oggi a Scampia si raggiungono percentuali di raccolta del 73 per cento.
Quindi, questo significa che quando ci sono degli amministratori che badano al bene comune, all'interesse della città e dei cittadini, la raccolta differenziata funziona. Vi sono altri quartieri in cui è iniziata la raccolta differenziata, a partire da Posillipo, e a breve inizierà anche nei quartieri di Fuorigrotta e di Stella San Carlo Arena.
Insomma, Napoli diventa una città normale con la nostra amministrazione. Perché diventa una città normale? Lo diventa con la raccolta differenziata ed educando i cittadini, perché se indirizzi e governi bene i cittadini questi ti seguono. Se, invece, si vuol tenere ancora in piedi il «magna magna», allora si fa una norma come quella che volete congegnare oggi, perché chiedere un'intesa preventiva tra le regioni significa non mettere in condizione la città di Napoli di recuperare quel gap negativo, determinato da una raccolta differenziata che prima non esisteva né a Napoli, né in provincia di Napoli - e in molti comuni non vi è ancora una percentuale soddisfacente di raccolta differenziata -, anche se vi sono dei picchi interessanti in Campania come in alcune città, da Salerno ad Avellino, dove le percentuali di raccolta differenziata sono importanti e significative.
Dunque, di che cosa si aveva bisogno? Si ha bisogno di un anno in cui la raccolta differenziata parte definitivamente in tutta la città di Napoli, nelle altre città della provincia di Napoli e negli altri comuni della regione Campania. Deve trattarsi di una raccolta differenziata seria e vera, che faccia dimenticare, una volta e per sempre, l'emergenza rifiuti e una regione sprofondata, mortificata da una malapolitica di destra e di sinistra, dai rifiuti e dalla munnezza.
Quindi, cercavamo di dirvi che vi è bisogno di un anno in cui dobbiamo continuare ad attrezzarci, a recuperare i ritardi di una certa politica e continuare la raccolta differenziata a Napoli dove, tra l'altro, a breve verranno installate altre 1.500 campane per la raccolta differenziata. Questo avverrà malgrado non vi siano risorse. Ma la dignità e la serietà degli amministratori dell'Italia dei Valori è di non venire a fare i questuanti, come pure è avvenuto qui e come ha fatto il Governo precedente per alcune grandi città, da Roma a Catania, quando interveniva e metteva altri soldi pubblici per ripianare i «buchi» fatti dai cattivi amministratori di centrodestra e di centrosinistra.
Invece noi no: con senso del dovere, con senso etico e con senso dello Stato siamo al servizio dei cittadini. Per questo, vi diciamo che occorre necessariamente rivedere quel famigerato comma 2-bis dell'articolo 1, in ordine all'intesa preventiva tra la regione Campania e le altre regioni per il trasferimento dei rifiuti, se non volete determinare veramente una situazione di emergenza e fare di nuovo sprofondare Napoli e la Campania nei rifiuti.
Due sono i motivi per cui si approva una norma di questo tenore: o si è demenziali, perché non si capiscono le conseguenze che si determinano in una regione, o si vuole approvare una legge delinquenziale. Infatti, fare una legge che blocca il ciclo in corso dei rifiuti, che consente oggi di non avere tonnellate di rifiuti per le strade ed evita di doversi rivolgere ancora alle imprese degli amici e di tenere ancora in piedi il vecchio sistema Pag. 7tanto caro ai bassoliniani e ai cosentiniani, significa fare una legge criminale. Volete tenere in piedi questo sistema di emergenza perché, da questo sistema, si alimentano i partiti, la politica, gli affaristi e la camorra.
Due sono le cose: se continuate così significa che o volete una norma demenziale o volete una norma delinquenziale. Alla fine dei salmi, vi dico che è preferibile, membri del Governo, che si faccia decadere questo decreto-legge perché, in tal modo, si faranno meno danni alla Campania e a Napoli. Infatti, non intervenendo, lasciando le cose come stanno e facendoli continuare a lavorare, la regione Campania ed il comune di Napoli hanno il tempo per avviarsi ad una definitiva normalità. Diversamente, per come è congegnato il decreto-legge, esso porterebbe alla paralisi.
Detto questo, voglio fare un altro inciso per quanto riguarda - come si evince dal decreto-legge - l'uso e l'abuso in Italia dei commissari straordinari e dei poteri straordinari. È un altro meccanismo della mala politica con il quale, non solo si violenta un territorio, ma si fa violenza anche ai cittadini perché muoversi ed operare con poteri straordinari significa, innanzitutto, derogare a norme ambientali, a norme igienico-sanitarie, a norme sulla sicurezza sul lavoro e sulla prevenzione degli incendi, a norme urbanistiche e a norme che regolano beni culturali e paesaggistici.
Se si fa violenza al paesaggio, all'ambiente e alla salute, perché vi meravigliate poi che i cittadini si indignano e si ribellano a questi poteri straordinari ed ai commissari straordinari che fanno violenza sui cittadini? Così, i commissari straordinari della famigerata TAV stanno facendo violenza sui cittadini per la TAV in Piemonte. Vorrei sapere quanto ci costano, innanzitutto, questi commissari straordinari, sia per l'emergenza rifiuti in Campania, sia per la TAV che dovrebbe collegare Torino a Lione. Penso che questi commissariamenti e questi poteri straordinari, alla fine, servano e facciano gola solo ai commissari straordinari, alle loro strutture commissariali e alle loro organizzazioni.
Sono fiumi di denaro! Ad esempio vedo che il commissario straordinario, che in Campania dovrebbe individuare e localizzare delle discariche, alla fine è l'unico che ci guadagna, lui e naturalmente le sue strutture. Infatti, ho visto una nota che ha mandato alla regione Campania e al presidente della provincia di Napoli in cui ha individuato una serie di siti in cui si potrebbero realizzare delle discariche e - guarda guarda - alla fine ho letto nella distinta delle spese: per i compensi alla struttura 260 mila euro, per una sola discarica; per consulenza amministrativo-finanziaria 30 mila euro (la Corte dei conti nei giorni scorsi ci ha fatto vedere come funzionavano le consulenze); per le spese per l'indizione delle gare 100 mila euro. Tutto questo per l'individuazione di una sola discarica! In altri termini, per una sola discarica ci sono 400-500 mila euro di spese o meglio, chiamiamolo «magna magna», che funziona meglio se diciamo così.
C'è una spesa proprio simpatica per la verità in relazione a un sito per realizzare una discarica che hanno individuato a 700 metri da casa mia; mi dispiace non che questo sia a 700 metri da casa mia, non intervengo ad usum delphini, ma semplicemente per ricordare che anche per questa individuazione il commissario ha previsto naturalmente per le spese organizzative, strutturali e di gestione amministrativa centinaia e centinaia di migliaia di euro.
Alla fine questi commissari straordinari, questi poteri straordinari serviranno solo alla burocrazia che si è creata intorno alla politica o, meglio, che la politica ha inventato per fare arrivare in modo incontrollato e incontrollabile fiumi di denaro pubblico nelle tasche di questa gente.
E poi come si arriva all'individuazione? Addirittura ho visto che questi commissari straordinari devono essere individuati tra il personale delle carriere prefettizie. Le carriere prefettizie: è lì che si giocava con le certificazioni antimafia, dove si favorivano i camorristi, dove si teneva in piedi Pag. 8il «giocattolo» dell'emergenza rifiuti in Campania, questo maleodorante giocattolo che veniva appunto sorvegliato e accompagnato dalle prefetture. Abbiamo visto alcuni prefetti e alcune strutture prefettizie, anzi lo vedremo ancora meglio nei prossimi giorni perché, come Italia dei Valori, faremo un focus anche su quest'altra parte dello Stato. Infatti, dove ci sono zone d'ombra - anzi, chiamiamole zone grigie -, dove si crea quell'intreccio tra la politica, la camorra e gli affari bisogna portare via e demolire questi impianti velenosi e troppo costosi per i cittadini italiani.
Altro che personale delle prefetture! Nelle prefetture certo dobbiamo andare a vedere, ma dobbiamo guardare le responsabilità che ci sono state per mantenere questo sistema, l'impianto emergenza rifiuti in 18 anni. Quante volte si sono prestati alla politica, anzi alla mala politica, è meglio dirlo, e quante volte hanno tenuto in piedi questi sistemi.
Penso, invece, che l'Italia abbia bisogno di normalità. Non vogliamo i commissari straordinari in Campania, hanno già fatto troppi danni da 18 anni. Sono proprio le gestioni commissariali che determinano questi guasti a volte irreversibili, perché la Campania ha ancora le ferite aperte di territori avvelenati, inquinati, tutt'oggi non bonificati.
Si vuole continuare con questo sistema che avvelenerebbe ancora di più le nostre terre. Quello dei commissariamenti è un sistema maleodorante. I commissari non ci piacciono, ecco perché diciamo «no TAV», perché la TAV non serve e non servono i poteri straordinari.
Pensiamo che, in un momento in cui vengono ristrette le spese e contenuti i costi, il Governo abbia fatto bene a dire «no» alle Olimpiadi del 2020 o al ponte sullo Stretto di Messina, perché non ce lo potevamo permettere. Come si può permettere, allora, il Governo di trovare 3 miliardi per fare la linea Torino-Lione? Perché non pensa, invece, alle priorità che in Italia hanno i pendolari? Perché non pensa ai pendolari che vivono e viaggiano ogni giorno in vagoni bestiame, non in treni all'altezza di una società moderna? Quanti studenti o lavoratori la mattina devono usare i treni normali? Perché non si pensa a quei treni? Perché non si pensa agli altri corridoi, che pure sono stati richiesti a finanziamento all'Unione europea? Penso al corridoio Venezia-Trieste o a quello Venezia-Verona o al terzo valico Milano-Genova o alla linea ferroviaria Napoli-Bari che non c'è. Perché non pensa, invece, di completare, sempre in termini di collegamenti, l'autostrada Salerno-Reggio Calabria, dove per chi viaggia in periodo estivo sembra il viaggio della speranza, si sa quando si parte e non si sa quando si arriva? Perché non si collega Cagliari con il nord della Sardegna, dove ci sono ancora treni quasi a carbone e ci vogliono cinque o sei ore per fare solo duecento o trecento chilometri? Per non parlare della Sicilia: da Palermo a Catania o da Palermo al sud della Sicilia occorrono cinque o sei ore per fare duecento chilometri.
Al Governo interessano i commissari straordinari, perché così alimentiamo queste strutture commissariali. Ma non solo, perché così naturalmente avremo una grande spesa che farà bene a Impregilo e alle cooperative rosse. Insomma, è sempre il solito «magna magna», ecco perché diciamo «no TAV», perché in Italia sempre sui trasporti occorre fare altre spese, se proprio troviamo la possibilità di spendere, e non sprecare soldi che devono servire ai commissari o ai grandi apparati che sappiamo come hanno funzionato, insomma alla politica, che vuole continuare il «magna magna» con i commissari straordinari.
Mi avvio alle conclusioni, Presidente, dicendo che sono stato presente a questo momento di indignazione del Paese, che si ribella, perché sta capendo che queste sono scelte che non fanno bene ai cittadini. Non fa bene ai cittadini questa linea Torino-Lione, anzi diciamo da Lisbona ai Paesi dell'Est. Ma che me ne frega dei portoghesi o dei Paesi dell'Est; a me interessano i pendolari d'Italia, quelli che devono andare da Verona a Venezia o da Milano a Genova o da Napoli a Bari. È lì Pag. 9che bisogna investire. Perciò i cittadini si stanno indignando. Queste stanno diventando delle lotte-simbolo.
È la ragione per la quale venerdì scorso alla manifestazione della FIOM siamo stati anche vicini a quelli del «no TAV», perché portano avanti una ragione sacrosanta. Dovete smetterla ormai di sprecare denaro per opere che non servono agli italiani, specie in un momento in cui state chiedendo lacrime e sangue agli italiani.
Rispetto a tutto questo, domenica scorsa - non ieri, ma l'altra domenica - siamo stati a Castagnaro, tra Pozzuoli e Quarto, dove si vuole aprire una discarica. Ebbene, si vuole aprire questa discarica in un parco. Considerate che lì sui rifiuti c'era grande interesse. Tre giorni fa, il 6 marzo, è stato arrestato Polverino, uno dei boss della camorra, che dovrà essere estradato dalla Spagna, dove è stato arrestato, e portato in Italia. A lui si era rivolto un consigliere del Popolo della Libertà, un certo Chiaro, che era andato a trovarlo. Questo consigliere del Popolo della Libertà di Quarto, il primo eletto, disse che, se non c'era Polverino, non si poteva risolvere la questione rifiuti per l'apertura di una discarica tra Quarto e Pozzuoli.
Infatti, vi era stato un certo Nicola Imbriani, legato al boss Polverino, che si era opposto e che poi è stato arrestato nel gennaio scorso. Insomma, vi era già questo tipo di connection intorno all'operazione discarica e rifiuti tra Quarto e Pozzuoli.
Allora, guarda caso, ritorna tutto in mano alla provincia di Napoli, e concludo, dove vi è il presidente della provincia, nostro collega, che risulta aver fatto 22 telefonate con questo Chiaro, che era collegato con il clan camorristico locale. Che cosa volete fare? Volete riportare un'altra volta la gestione nelle mani della camorra? Noi vi diciamo «no», anzi...

PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Barbato.

FRANCESCO BARBATO. ...vi diciamo «no» - concludo, signor Presidente - anche con riferimento alle scelte che si vogliono fare per le elezioni a Pozzuoli, dove viene scelto un candidato del Partito Democratico facente parte di un'amministrazione che è stata sciolta per infiltrazioni camorristiche.

ROBERTO GIACHETTI. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, le rubo solo pochi secondi. Lei era impegnato e, forse, non ha avuto la possibilità di ascoltare. Per l'ennesima volta il collega Barbato ha voluto stigmatizzare il fatto che in Aula vi fossero pochi deputati.
Ora credo che, a beneficio anche di quei pochi o quei tanti che ci ascoltano, è utile ricordare che vi è una prassi, che non è la prassi di un anno, due anni o tre anni, ma di decenni, per la quale i lavori della Camera sono organizzati in modo tale che il plenum di presenze vi sia nel momento in cui vi sono le votazioni e, quando vi sono le discussioni sulle linee generali, oltre a essere presente il Governo e il rappresentante della Commissione - nella fattispecie, oggi abbiamo il presidente Alessandri - partecipano alle sedute coloro che devono intervenire e sono interessati ad intervenire nel corso del dibattito.
Questa è la prassi: può piacere o non piacere, però è una prassi che ha un suo senso e che vige da anni. Ora, noi ogni volta dobbiamo ascoltare la morale che ci fa il collega Barbato, il quale è perfettamente in linea con questa prassi. Lo può dire chi qui dentro segue tutte le discussioni sulle linee generali: il collega Barbato non c'è mai, se non quando, come tutti gli altri deputati - lo dico perché così è chiaro che il discorso vale per tutti - deve intervenire ed è interessato ad intervenire. In quel caso è presente, interviene, poi magari se ne va, come è successo tante altre volte, senza neanche ascoltare la fine del dibattito; però, si comporta perfettamente come tutti gli altri deputati, secondo la prassi.
Ripeto, la prassi può essere giusta o sbagliata, si può cambiare, ma è una Pag. 10prassi alla quale tutti si attengono, compreso l'onorevole Barbato, il quale, quando viene a stigmatizzare la presenza di pochi deputati, può pensare alle decine, centinaia, migliaia di volte nelle quali sta da qualche altra parte, anziché assistere alle nostre sedute.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Morassut. Ne ha facoltà.

ROBERTO MORASSUT. Signor Presidente, sul provvedimento in esame, come Partito Democratico, nella Commissione ambiente abbiamo formulato alcune osservazioni e proposto anche alcuni emendamenti su aspetti abbastanza qualificanti.
Il primo, naturalmente, è quello che riguarda l'emergenza rifiuti in Campania. La chiave delle nostre proposte emendative è stata sostanzialmente ispirata alla necessità di ripristinare un sistema di ordinarietà, di uscire dal sistema delle deroghe, dallo stato emergenziale, che affida a poteri, prerogative e istituti in deroga all'ordinamento vigente le azioni fondamentali per ripristinare l'ordinarietà dei procedimenti e per la gestione dell'emergenza rifiuti.
Quindi, il tema più importante riguarda proprio questo aspetto che coinvolge la Campania, per il quale ci pronunciamo sostanzialmente in modo contrario alla proposta, che il decreto-legge avanza, al comma 2 dell'articolo 1, di prorogare il mandato agli otto commissari straordinari regionali.
Questa misura appare abbastanza ingiustificata rispetto al fatto che, già da tempo, si sarebbe dovuti rientrare nell'ambito di una gestione ordinaria, riportando in capo alla regione l'intero arco delle competenze e delle responsabilità in materia di rifiuti, anche per affrontare in modo più trasparente gli aspetti morali e di degenerazione che comunque si sono manifestati nel corso di questi anni, anche dopo l'esplodere drammatico dell'emergenza intorno agli anni 2008 e 2009.
Si continua, invece, a prorogare il termine di vigenza dei commissari e, quindi, anche a riproporre un quadro un po' fuori dai controlli di gestione ristretta, un quadro procedurale di competenze, purtroppo, troppo articolato e troppo frammentato, che deresponsabilizza la comunità e le istituzioni locali.
È inutile ricordare - è già stato fatto durante il dibattito in Commissione e qui in Aula, poc'anzi, dall'onorevole Barbato - il riferimento all'ampia eco data dal precedente Governo alle iniziative adottate a suo tempo, tra il 2008 e il 2009, per fronteggiare l'emergenza. Vanno, però, rammentati anche gli scarsi risultati ottenuti, nonostante le procedure eccezionali adottate avvalendosi della Protezione civile e del regime commissariale. Chiediamo, quindi, che l'articolo 2-bis venga stralciato dal provvedimento in esame e l'immediato ritorno alle regioni, di concerto con i comuni, delle competenze istituzionali definite dall'ordinamento vigente.
Sempre in relazione al tema dei rifiuti in Campania, vi sono, poi, altri due aspetti che vorrei sottolineare e sui quali abbiamo presentato alcune proposte emendative in Commissione. In primo luogo, vi è la questione che riguarda la decisione, da noi sostenuta, di anticipare di un anno l'elaborazione da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare di un programma nazionale di prevenzione dei rifiuti, posizione, come previsto nel decreto-legge in oggetto, che ci trova d'accordo e che abbiamo sostenuto. Questa misura appare essenziale per tanti motivi, anche in relazione ai tempi di scadenza della legislatura in corso, per evitare la possibilità che il mantenimento del termine al 31 dicembre 2013 possa, con un cambio di legislatura e con un nuovo quadro politico, portare, magari successivamente, ad un'ulteriore proroga oltre il termine suddetto. L'anticipo, quindi, appare estremamente opportuno.
Infine, l'ultimo aspetto, controverso e del quale si è discusso molto in Commissione, riguarda la possibilità di tornare ad una procedura di accordi tra le singole regioni per il trasferimento dei rifiuti della Campania in impianti esistenti in altre regioni e non in Campania. Si tratta di un punto molto controverso, però la nostra Pag. 11proposta è quella di tornare all'ordinarietà dei procedimenti. Crediamo sia giusto riportare la disciplina delle procedure e delle decisioni sul trasferimento del trattamento dei rifiuti presso impianti extracampani ad un regime ordinario, attraverso intese tra le regioni interessate e non più tra la regione Campania e i gestori dei singoli impianti.
Vi sono altri due aspetti del decreto-legge in esame che vorrei esaminare molto velocemente.
Il primo riguarda gli shopper, in relazione ai quali riteniamo ragionevole una leggera proroga per consentire alle imprese di adeguarsi, entro tempi certi, alla riconversione degli impianti e alla produzione del prodotto.
Il secondo e ultimo aspetto è quello concernente i materiali di riporto. Si tratta di una questione delicata, che tocca una materia importante relativa alla realizzazione delle grandi opere pubbliche, all'interesse della comunità dei produttori e degli operatori economici nel campo dell'edilizia per la realizzazione delle opere pubbliche che temono, evidentemente, l'arrivo di nuove procedure che possono complicare, anziché semplificare, la realizzazione delle suddette opere, dei grandi interventi, che possono allungare i tempi, aumentando i costi. Credo però che il provvedimento si muova secondo un'ottica ragionevole, illustrata, peraltro, dal relatore Alessandri all'inizio della seduta, ossia quella di venire incontro anche a questi aspetti e a queste preoccupazioni con l'introduzione di un concetto per alcune categorie di materiali, quello del sottoprodotto, che consente di dare tempo alle imprese per adeguarsi alla procedura e rispettare i criteri dettati dal decreto-legge in oggetto (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Lanzarin. Ne ha facoltà.

MANUELA LANZARIN. Signor Presidente, il disegno di legge di conversione che ci accingiamo ad esaminare oggi, con l'inizio della discussione sulle linee generali, presenta alcune anomalie. Ricordo, infatti, che il decreto-legge in discussione è uscito dal Consiglio dei ministri in un certo modo, proprio per trattare la questione dell'emergenza rifiuti in Campania - su cui mi soffermerò dopo - e poi, nel corso dell'iter legislativo, ha subito una serie di modifiche: al Senato, in particolare, è stato arricchito, tramite proposte emendative, con l'aggiunta di diversi articoli, che hanno cercato, per così dire, di risolvere anche questioni che sono sorte nei territori, creando tuttavia delle aspettative nei territori stessi, perché finalizzati a risolvere problematiche legate a piccole attività produttive e legate ad enti locali. Mi riferisco, per esempio, agli sfalci e alle potature oppure al trasporto per i piccoli imprenditori agricoli o al compost e al digestato.
Si tratta insomma di tutta una serie di questioni che chiaramente non avevano niente a che fare con il decreto-legge che è uscito dal Consiglio dei ministri, ma che nascevano giustamente dall'apporto del Parlamento, che ricordiamo è l'organo deputato ad apportare modifiche, ma anche in un certo modo a ricevere le aspettative e le problematiche del territorio e a tramutarle in leggi e quindi normative. Il testo conteneva all'interno tutta una serie di questioni, condivise anche dalla Lega Nord.
Oggi, però, ci ritroviamo con un disegno di conversione, qui alla Camera, totalmente diverso, ossia siamo ritornati al decreto-legge originario uscito dal Consiglio dei ministri. Questo è avvenuto - lo sappiamo benissimo perché c'è stata una forte discussione in Commissione ambiente - per andare incontro alle ultime sentenze della Corte costituzionale, ma anche per i richiami da parte del Presidente della Repubblica ossia i richiami sulla competenza in materia per quanto riguarda i decreti-legge.
Questo richiamo va bene, purché sia poi applicato a tutti i decreti-legge. Non ci risulta che sia così, perché vediamo che nel decreto semplificazioni o, ancora di più, nel decreto liberalizzazioni che arriverà in Aula, vi sono all'interno articoli, Pag. 12commi, ma soprattutto questioni che spaziano da tutte le parti e che non sono sicuramente riconducibile alla materia in oggetto. Quindi è chiaro che deve essere un trattamento uguale per tutti i casi e non solo per una materia rispetto ad un'altra. Vorremmo sottolineare questa anomalia, perché abbiamo visto che anche nel decreto semplificazioni, che andremo a votare domani, c'è un po' di tutto.
Non è che il titolo «semplificazioni» o «liberalizzazioni», che richiamano ad una genericità molto più complessa, possa quindi fare intravedere che, sotto questi titoli e sotto questi cappelli, ci possa essere di tutto. Infatti, se una norma vige, essa vige per tutti i casi. Quindi questo è sicuramente un richiamo che noi ci sentiamo di fare, visto che - ripeto - il provvedimento è stato completamente snaturato rispetto a quello uscito dal Senato; rispondeva a tutta una serie di aspettative da parte dei territori e degli enti locali, andando a risolvere alcuni problemi e andando anche a semplificare, se vogliamo, visto che parliamo di semplificazioni e di snellimento della macchina burocratica. Per tali ragioni quest'aspetto è un aspetto che vogliamo sicuramente sottolineare.
Tornando però al disegno di legge di conversione in oggetto e, quindi, ai tre articoli che sono rimasti - perché alla fine sono rimasti tre articoli -, essi sono incentrati, com'è stato detto già da chi mi ha preceduto, su temi specifici, relativi al discorso dei rifiuti della Campania. A tale riguardo noi esprimiamo nuovamente la nostra posizione di contrarietà al perdurare di questa situazione di emergenza.
Non possiamo più pensare che si tratti ancora di una situazione di emergenza che perdura dal 1994. Si sono susseguiti Governi e ministri di competenza e ci sono stati tutta una serie di provvedimenti. Solo ultimamente, dal 2008 al 2010, ci sono stati tre o quattro provvedimenti, che hanno nuovamente cercato di sanare, di aiutare e di realizzare quell'opera di assistenzialismo che continuamente il Governo ha realizzato nel corso del tempo, appunto dal 1994 ad adesso, rispetto alla situazione di emergenza. Non si può più chiamare sicuramente «emergenza», se perdura dal 1994. Un'emergenza solitamente presuppone un arco temporale molto più breve. Non mi sembra, insomma, che sia questo il caso.
Per cui tutti i contenuti legati all'emergenza e quindi al fatto di poter permettere ai commissari il prolungamento dei tempi e del proprio ruolo e quindi l'ampliamento anche dei loro poteri per poi predisporre la rete impiantistica di smaltimento dei rifiuti non ci trova sicuramente d'accordo, perché abbiamo visto che finora è stata comunque una situazione fallimentare e non ci sembra che finora quello che è stato posto abbia funzionato. Non ci sembra che finora i soldi spesi, ricordiamolo, da parte di tutto il territorio e di tutto il Paese, ma in particolare, mi ricollego all'intervento del collega Barbato, del Nord - perché comunque poi sappiamo da dove arrivano le maggiori risorse - siano stati spesi bene, perché probabilmente chi ha responsabilità politica e amministrativa non ha fatto il proprio dovere, ha rimandato e rimandato ancora, e il Governo ha continuamente di conseguenza accettato questi rinvii e prorogato, e siamo di nuovo qui a prorogare i ruoli dei commissari e ad allargare le competenze. Noi riteniamo invece che le competenze debbano essere messe in capo agli enti locali e quindi ai comuni. Se il nuovo sindaco di Napoli De Magistris è così bravo che adesso la situazione è risolta, credo che a braccia aperte accoglierà l'invito di gestire, di raccogliere, di prevedere con piani regionali e comunali, con efficienza e con promozione e sensibilizzazione presso le scuole, e la stessa cosa vale per quanto riguarda il governatore in carica della regione Campania. Riteniamo infatti che non si possa più pensare che i commissari vadano a risolvere le questioni o le problematiche che i territori e gli enti locali preposti non sono in grado di risolvere. Nel corso dei vari provvedimenti avevamo anche messo dei paletti molto più precisi e al riguardo mi rifaccio anche a ciò che è stato inserito nella famosa legge 5 maggio 2009, n. 42, recante la delega in materia Pag. 13 di federalismo fiscale, che da questo Governo è stata affossata, in cui era prevista la responsabilità degli amministratori: chi crea problemi e dissesti, chi non sa portare a compimento le filiere - in questo caso la raccolta differenziata - e quindi non sa centrare le percentuali che sono state poste dal Governo, deve andare a casa e cioè deve, comunque, in modo responsabile, dimettersi dal proprio ruolo perché ha fallito nel ruolo di politico e di amministratore locale. Si tratta di un principio sacrosanto, che vale sicuramente per la Campania come per qualsiasi altra regione. In questo specifico momento - stiamo parlando della Campania - ci ritroviamo in Aula nuovamente a parlarne e quindi credo che la responsabilità degli enti locali e di chi è ad essi preposto debba essere sicuramente evidenziata, ma soprattutto sono loro quelli che devono rispondere in prima persona. Allo stesso modo non ci troviamo d'accordo sul discorso dell'ampliamento dei poteri, del trasferimento addirittura dei contributi legati al CIP 6 da un impianto ad un altro. Con riguardo ai CIP 6 è stata fatta una battaglia perché sono stati, ricordiamolo, sostituiti quei certificati ed invece andiamo a spostarli da un impianto all'altro: non si fa più un impianto in una certa zona e si sposta in un'altra: qui c'è l'inefficienza e l'incapacità chiaramente di progettare e di portare a compimento certe opere, perché o gli impianti si fanno oppure non si fanno, quindi se c'è la volontà, che deve essere forte, da parte dei territori e di chi ha il problema, non si può rimandare. Infatti, l'onorevole Barbato dice che quella normativa che prevede l'intesa con le regioni nell'eventualità di ospitare o di dare spazio per il conferimento dei rifiuti è una norma demenziale ma al tempo stesso dice che a Napoli non ci sono più problemi e che grazie a De Magistris è tutto risolto; credo quindi ci sia una contraddizione insita all'interno di quello che afferma. Non può essere tutto risolto a Napoli. È stato detto che De Magistris è tanto bravo, che è stata risolta la questione e che quindi si sta benissimo: il territorio è pulito e si ha l'immagine di un Paese normale. Poi però si critica la norma - le regioni che eventualmente dovrebbero ospitare i rifiuti non ci sono - perché è una norma demenziale. O è l'una o l'altra cosa, quindi al collega chiedo di fare un po' di chiarezza. Se De Magistris non ha bisogno - perché è così bravo - dell'intesa con le altre regioni, faccia gli impianti: questo mi sembra abbastanza logico.
Per quanto riguarda l'intesa con le altre regioni vi sono cittadini che da sempre hanno fatto la raccolta differenziata, vi sono comuni virtuosi (ricordiamoli e chiamiamoli così) che hanno investito nella raccolta differenziata, che hanno investito nell'impiantistica perché hanno fatto gli impianti e si sono scontrati con la popolazione perché è sempre difficile fare un impianto, poter ospitare un impianto di qualsiasi tipo, però si sono confrontati e alla fine hanno anche deciso, e probabilmente non tutta la popolazione era d'accordo, ma hanno avuto il coraggio di decidere. Ora si trovano però una situazione impiantistica all'avanguardia per cui in alcuni impianti la raccolta differenziata è così «spinta» che gli impianti adesso non servono neanche più per com'erano stati concepiti all'inizio e quindi si stanno convertendo all'utilizzo e alla riconversione ad uso energetico. Siamo ben oltre la situazione della Campania. Allora dovremmo chiedere a questi cittadini e a questi comuni di fare uno sforzo e accettare i rifiuti della Campania, anche senza nessuna intesa (come dice il collega Barbato), perché così è giusto, e per risolvere i problemi di chi? Di chi invece non ha voluto investire, non ha voluto saper dare quelle indicazioni giuste per arrivare alla normalità, al senso civico che fa parte di questo Paese.
Con le immagini di Napoli non abbiamo visto e non si trattava di senso civico in nessun modo: mi riferisco alle immagini sia dei rifiuti per strada, sia degli atti di chi in modi a volte violenti impediva ai camion di portare i rifiuti negli impianti, oppure si opponeva alle realizzazioni che servono, perché servono al Paese per mettere in atto una filiera virtuosa, completa, non nociva. Credo che Pag. 14su questo non vi sia dubbio. Ciò riguarda tutte quelle regioni (regioni del nord e del centro) che hanno investito e continuano a investire. Se pensate che fino ad ora tutta la problematica legata alla Campania, all'emergenza rifiuti in questa regione, è costata mille e 67 milioni di euro (di cui 647 milioni a valere sui fondi FAS e 420 milioni a carico del bilancio dello Stato), ciò significa che sono stati spesi un'enormità di soldi dei contribuenti senza alla fine trovare una soluzione, e con qualcuno che vanta ancora dei diritti come quello sui CIP6.
Ricordo che i CIP6 sono stati «tolti», sono stati convertiti con i certificati, ma qui parliamo ancora di CIP6. Non è giusto, non è ragionevole perché poi dobbiamo spiegare ai cittadini che nella bolletta il CIP6 lo pagano tutti, e quindi continuiamo a pagare per lo spostamento del CIP6 dal termovalorizzatore di una parte ad un altro sempre in Campania. Su questo bisogna essere chiari. Non possiamo essere pertanto d'accordo con il perdurare di questo sistema che non ha portato da nessuna parte, non ha portato sicuramente effetti positivi.
Se siamo qui oggi, dopo l'ennesimo decreto, è perché l'Unione europea ci sta assoggettando alle infrazioni per le quali dovremo pagare tutti, e quindi sono di nuovo condivise con tutti. Quindi non riesco a capire l'onorevole Barbato che oltre che chiaramente difendere a spada tratta il proprio sindaco si scandalizza di questo. Credo invece che dovrebbe scandalizzarsi di quello che succede. Mi riferisco al fatto che da noi la raccolta differenziata è al 70-80 per cento, con punte in alcuni piccoli comuni anche del 90 per cento; nelle province della Campania invece siamo al 12 per cento, quindi molto al di sotto di quelli che sono il parametro e la percentuale previsti. L'altro articolo rimasto invece è quello relativo allo shopper, un'altra questione a noi molto cara. Siamo sempre stati molto d'accordo sulla tutela ambientale, sulla filiera pulita, sulla filiera che non inquina, sull'obiettivo di non commercializzare più gli shopper tradizionali di plastica che sicuramente provocano danno e inquinano l'ambiente.
Tuttavia dobbiamo arrivare gradualmente a quello che è il passaggio e dobbiamo permettere a tutte le attività - ce ne sono tantissime al nord - di potersi riconvertire. Abbiamo assistito a diverse audizioni di molte ditte sparse in tutto il territorio e, in particolare, nelle fasce del nord che sono in crisi in questo momento. E in questo momento congiunturale di crisi economica pensare di andare ad accentuare ancora di più significa mettere a rischio quelli che sono i posti di lavoro. Occorre, infatti, tenere conto di queste caratteristiche e dell'utilizzo dei materiali che possono essere diversi da quelli previsti oppure contemplati nella norma, dando così la possibilità anche a queste attività - e su questo noi abbiamo insistito - di potersi convertire ad un'impiantistica e di poter, quindi, mettere in atto tutta una serie di meccanismi per poter continuare a produrre, oltre chiaramente a chiedere una proroga rispetto alle sanzioni e al divieto di utilizzo delle borse tradizionali. È chiaro che è stata fatta una scelta ben definita, quella appunto della riconversione di Porto Torres, con il discorso della chimica pulita, della plastica pulita e così via. Non possiamo, però, pensare che per sostenere una parte del Paese, l'altra parte del Paese stesso deve rischiare posti di lavoro, deve rischiare anche un know how che nel corso del tempo ha acquisito, maturato, una parte del Paese che ha anche effettivamente dato una risposta, non solo sociale e in termini di posti di lavoro, ma pure economica. Su questo, quindi, noi abbiamo svolto una battaglia da sempre presentando delle risoluzioni e tutta una serie di emendamenti, proprio per permettere anche a tutte le industrie del nord di potersi attrezzare, di poter produrre e di poter essere competitive tanto quanto le altre industrie e le altre attività che con questa norma vengono in qualche modo agevolate. Tutto ciò proprio per essere messi tutti allo stesso piano e non, in questo Pag. 15momento di crisi, far sì che migliaia di posti di lavoro siano messi a repentaglio e in crisi.
L'ultimo punto che è rimasto nel contenuto del provvedimento è quello delle terre e rocce da scavo che effettivamente va nella direzione di permettere un giusto riutilizzo, previ i controlli necessari e quelli che saranno i parametri, proprio per permettere anche l'infrastrutturalizzazione veloce nel nostro Paese. È inutile dire che fin troppo spesso problematiche di questo tipo bloccano i cantieri, fin troppo spesso fanno ritardare poi opere infrastrutturali importanti che, non solo sono importanti per i collegamenti viari oppure per rimettere in moto l'economia e quant'altro, ma sono anche importanti perché sappiamo che poi dietro un'opera viaria, indipendentemente dal fatto che chiaramente crei una nuova via di accesso o di sbocco, ci sono tante attività che collaborano al lavoro. Il blocco, quindi, per questioni anche burocratiche e di semplificazione deve essere risolto. Credo che la norma qui vada nella direzione giusta così come ho detto all'inizio del mio intervento quando ho parlato dei concetti contenuti nelle norme di semplificazione e di alleggerimento di quella che è tutta la burocrazia.
La nostra posizione, quindi, è sicuramente contraria al perdurare di questo stato di crisi, di questa emergenza perché di emergenza non si può più parlare. Infatti, i comuni, le regioni e le province devono essere responsabili del proprio territorio e devono saper gestire il proprio territorio. Hanno dimostrato di non saperlo gestire e hanno dimostrato di sperperare - e qui lo possiamo dire - i soldi pubblici, i soldi di tutti cittadini, in quanto vediamo che l'impiantistica è ancora carente e la percentuale di raccolta differenziata è molto molto bassa. Non si può pensare che vengano tollerate quindi alcune prese di posizione che ancora sottolineano queste cose o che ancora danno spazio ad aiuti di chissà che tipo, quando sappiamo benissimo che cinque anni fa, ma, forse, anche meno, ossia due o tre anni fa, c'erano regioni e comuni del nord che comunque tutto sommato stavano bene.
Adesso i territori e gli enti locali con le ultime manovre che sono state fatte, con la decurtazione dei trasferimenti, con ha il fatto che dovranno aumentare tutte le imposte perché così è stato imposto da questo Governo di tecnici nel famoso decreto-legge «salva Italia», con il fatto appunto che la situazione economica è quella che è e via dicendo, sono tutti comunque in sofferenza e stanno investendo di tasca propria e stanno facendo enormi sacrifici. Non credo che possiamo ancora tollerare che i sacrifici vengano fatti, per poi continuare a tollerare una situazione di emergenza, una situazione di irresponsabilità, di mala gestione e soprattutto di una gestione che non si addice ad un Paese civile come dovrebbe essere il nostro (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Aracri. Ne ha facoltà.

FRANCESCO ARACRI. Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Aracri, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritto a parlare l'onorevole Piffari. Ne ha facoltà.

SERGIO MICHELE PIFFARI. Signor Presidente e colleghi, non so da che parte cominciare. Il presidente della Commissione suggerisce la parola «finisci»: varrebbe per il Governo, forse.

PRESIDENTE. Almeno cominci però prima.

SERGIO MICHELE PIFFARI. Sì signor Presidente, dopo arrivo sulla conclusione che forse sarebbe meglio finirla con questi decreti. Però vorrei ricordare che intanto Pag. 16nasce qualcosa di eccezionale: in questa fase scopriamo la Costituzione, in questa fase di discussione sulle linee generali del decreto in esame. Scopriamo la Costituzione attraverso il richiamo di una decisione della Corte costituzionale, attraverso il richiamo più volte fatto anche in questa legislatura al Parlamento dal Presidente della Repubblica, che ha ricordato a tutti che i decreti di emergenza vanno usati per delle questioni di emergenza. Cosa rara. Però cosa è successo? L'abbiamo affrontato in una prima sessione qui alla Camera, va al Senato e viene inserita una serie di questioni oggettivamente importanti, ma non urgenti. Importanti da affrontare, perché sono le questioni che le imprese e che il popolo italiano fuori da quest'aula hanno sollecitato e sollecitano, ma non da pochi giorni o una settimana: sollecitano magari da anni, in parte da quando abbiamo fatto il decreto sull'ambiente e quindi lasciando dei buchi alle interpretazioni. Dall'altro lato da quando la Comunità europea in alcune materie cambia impostazione, o meglio affina i propri obiettivi e le proprie intenzioni. Ma quando si parla di Comunità europea parliamo di tutti noi. Non è che è qualcun altro, un terzo che interviene su materie del popolo italiano: no, siamo noi, che attraverso anche la Comunità europea modifichiamo il pensiero. E cosa ci dicono in questi anni a livello europeo? Ci dicono: «Guardate che le materie prime finiscono». E allora? Allora bisogna fare delle azioni e degli interventi finalizzati al riuso e alla valorizzazione dei rifiuti, non più ad un consumo indiscriminato di materie prime. Questo passa attraverso la prima regola, che è quella della raccolta differenziata, che alla base trova il rifiuto e ancora prima azioni che dovrebbero eliminare una serie di rifiuti dalla distribuzione delle merci, quindi a renderli inutili. Magari tornare, come era negli anni Sessanta o Settanta, al consumo di materia prima senza il concetto dello scarto, dell'avanzo.
Ma, una volta che siamo nelle nostre case e, tutti i giorni, acquistiamo una serie di prodotti, è chiaro che l'altra cosa importantissima è la raccolta differenziata, ossia permettere a chi raccoglie questi rifiuti di utilizzarne possibilmente fino al 100 per cento, ma, comunque, la maggiore quantità possibile e, nello stesso tempo, eliminare forme di spreco di materia prima.
Noi, infatti, abbiamo un concetto del rifiuto come di qualcosa che sta «al di fuori» della vita di tutti i giorni, mentre in realtà usiamo beni che sono di primaria importanza e che finiscono: non finiscono in dieci anni, finiranno in trenta, in cinquanta anni, ma finiscono. E siccome non abbiamo ancora sperimentato teletrasporti per andare a rubare su altri pianeti, per adesso dobbiamo assolutamente salvaguardare quello che abbiamo noi.
Detto ciò, spero che non sia casuale questa sterzata nell'affrontare le questioni. Mi rivolgo, in particolar modo, anche al Presidente della Camera, affinché poi, quando si stabiliscono i programmi di lavoro e quant'altro, si tenga presente questo. Occorre, dunque, tornare all'origine, dove il Parlamento deve fare le leggi e deve rispondere alle esigenze dei cittadini e delle imprese, e dove il Governo interviene attraverso la gestione ordinaria delle difficoltà che tutti i giorni affrontiamo - e ce ne sono tantissime, veramente molto, molto più grandi di queste - e, in casi eccezionali, attraverso strumenti come la decretazione d'urgenza. Quest'ultima, naturalmente, proprio per tale motivo, ha carattere di urgenza e, quindi, deve scavalcare alcuni livelli di ragionamento, confronto e dibattito, e in tal caso il Governo deve assumersene la responsabilità. D'altro canto, dal momento che non è un Governo militare, in democrazia è chiaro che l'uso di questo strumento dev'essere assolutamente utilizzato in casi eccezionali.
Torniamo alla questione del decreto-legge al nostro esame e alla sua origine: teoricamente, tutti noi, ma specialmente i cittadini, quando leggono il titolo di un decreto d'urgenza dovrebbero individuarne anche i contenuti. Così dice anche la Costituzione. Tuttavia, questo decreto-legge Pag. 17 è ritornato su tre questioni che, tra loro, non dicono nulla e sono totalmente slegate.
La prima è l'emergenza rifiuti in Campania. Si tratta di un argomento presente in questo modo dal 1994: è un'emergenza infinita. È vero che abbiamo dei precedenti, perché abbiamo ancora le questioni del terremoto del Belice e, quindi, facciamo fatica a capire che l'emergenza è qualcosa da superare nei brevi periodi, poi tutto il resto diventa ordinario, naturale, diventa vita quotidiana che va affrontata con serietà.
L'altro argomento è la questione della plastica. Abbiamo fatto una legge nel 2007, durante la manovra finanziaria per l'anno 2008, e abbiamo inserito questo obiettivo importante: far sparire dal mercato e, quindi, dal territorio italiano - ma anche in accordo con altri Stati nel mondo occidentale, naturalmente, non era una pazzia solo nostra - l'uso dei sacchetti di plastica, che rimangono nell'ambiente per secoli.
Si era dato mandato al Governo - a chiunque sia al Governo: non è che siccome toccava al Governo di allora, non tocca più a quello attuale - di fare un decreto nel giro di sei mesi al fine di modulare l'avvicinamento a tale obiettivo, ossia l'addio ai sacchetti di plastica, indicando alle industrie come comportarsi e, laddove si utilizzasse il biodegradabile, quali additivi utilizzare (ad esempio non nocivi alla terra, all'acqua, all'ambiente e, quindi, alle persone), nonché quali procedure attivare per accompagnare alla riconversione industriale e non perdere un patrimonio in termini di posti di lavoro, mercati e quant'altro.
Nulla è stato fatto e ci troviamo, quindi, a dover decidere, d'urgenza, che fare, dopo cinque anni ormai, anzi, dopo quattro anni e mezzo.
Il terzo argomento è relativo alla questione delle terre da scavo. In un periodo in cui l'edilizia soffre già di per sé a causa di una serie di stop ai mercati privati, alle opere pubbliche, noi affrontiamo con un decreto la necessità di dover interpretare nel modo migliore questa questione. Ma se abbiamo questa necessità dal 2006, forse adesso è tempo di ragionare e sistemare questo decreto ambiente in tanti aspetti, compreso questo, senza intervenire magari a gamba tesa, lasciando nel dubbio se questo provvedimento necessario, indispensabile, non vada a intralciare i lavori di altre autorità, come la magistratura, e quindi se sia fatto, non per le imprese nel loro insieme, che soffrono di questa interpretazione, ma a vantaggio solo di pochi. È un dubbio; mi auguro che sia solo un dubbio sbagliato e sia nella mia testa e non, invece, nella realtà. Però, questo ci fa lavorare male e, quindi, stiamo lavorando su tre cose completamente diverse tra di loro.
Il primo argomento, relativo all'articolo 1, è quello dei rifiuti della Campania: nel 2008 si è affrontato in modo straordinario con un decreto, il primo di questa legislatura. In modo straordinario perché abbiamo dato tutti i poteri immaginabili, poteri immensi, all'allora responsabile della protezione civile, nonché poi sottosegretario e, quindi, componente del Governo; abbiamo mobilitato l'esercito per affrontare quella ulteriore emergenza; abbiamo preso decisioni straordinarie perché abbiamo dichiarato di interesse nazionale i siti dove venivano depositati i rifiuti o dove, eventualmente, si andava a programmare la costruzione di un inceneritore, di un'eventuale discarica o di un stabilimento per il trattamento dei rifiuti, per il compostaggio, per la valorizzazione; ci abbiamo messo i militari.
E poi, ancor più, abbiamo pensato di punire quei cittadini che, in Campania, abbandonavano eventuali quantità di rifiuti, anche piccole - mi ricordo, se non sbaglio, pari a mezzo metro cubo - lungo le strade. C'è stato un periodo in cui questi non avevano alternativa se non prendere il treno e magari cercare di andare fuori dalla loro regione per gettare i rifiuti nei cassonetti di qualche altra regione, dal Lazio in su. Non credo che questa potesse essere una soluzione neanche per i poveri cittadini, in questo caso «poveri» per modo di dire, della Campania, costretti a subire. Pag. 18
Ci siamo resi conto che il vero interesse è in alcune aggregazioni di persone o perché hanno delle discariche private - e questa è un'anomalia perché nel resto d'Italia non funziona così, ma in Campania i rifiuti si smaltiscono in discariche private - oppure perché i rifiuti non vengono gestiti in totale autonomia dei comuni ma ci sono altre società, poi intervengono le province, poi i poteri sostitutivi della regione; insomma il risultato è che, ancora ad oggi, noi non capiamo perché la Campania non possa essere una regione normale come il resto dell'Italia. È già una delle regioni più belle, potrebbe diventare semplicemente una regione normale. Invece, noi continuiamo a sovrapporre i poteri e gli interessi locali con l'azione che deve fare il Governo, che dovrebbe essere quella di controllo e di indirizzo e non quella di intervenire ogni volta cercando di «mettere la pezza», inventandosi magari un decreto che dribbla alcuni richiami che nel frattempo anche la Comunità europea ci ha inviato.
Di fatto, dopo il 2008 ne abbiamo fatti altri di decreti, ce n'è uno del 2009, uno del 2010; ci sono interventi con decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, ci sono ordinanze; insomma, c'è tutta una serie di interventi straordinari; si arriva quando non c'è l'ossigeno per dire: adesso scavalchiamo le questioni con un decreto.
In questo caso siamo arrivati a un provvedimento di marzo ancora della Comunità europea, che segnala l'incongruità del piano, cioè la nullità dell'azione, lasciando ancora parecchi problemi sospesi in Campania, e poi arriva un ulteriore richiamo, la notifica del novembre del 2011. E allora, di corsa, si arriva a dire che, finalmente, la regione Campania approva un piano per la gestione dei rifiuti urbani in Campania, a metà gennaio, e, quindi, si riesce, all'ultimo giorno, a dire: stiamo facendo, stiamo diventando bravi.
Va premesso che abbiamo stanziato anche dei soldi per fare delle campagne di promozione e sensibilizzazione sull'utilizzo nelle scuole e nelle comunità locali e avevamo stanziato soldi per la compensazione, per i danni che si arrecavano alle comunità locali. Però, cosa strana, si arriva a luglio 2011 e si adotta un altro decreto d'urgenza. La cosa simpatica è che per una serie di circostanze il decreto decade: qualcuno se ne è accorto? Era urgente,ma sono passati altri otto mesi; doveva essere efficace subito. Tale decreto decade perché qualcuno presenta dei ricorsi e contesta il modo di trasportare su e giù per l'Italia i rifiuti.
Ma non è questa la questione; la questione è che anche senza quel decreto le cose vanno avanti esattamente come sono andate avanti, purtroppo, in tutti questi anni. Adesso rimangono ancora alcune anomalie: la prima è che diciamo alle province di raccogliere la tassa rifiuti e di gestirla. Si tratta di un'anomalia, perché nel resto d'Italia lo fanno i comuni, e prima o poi dovremo dire quando i comuni riprendono in mano questi aspetti. Allora, un Governo, con decreto d'emergenza dovrebbe dire: alla tal data si termina, vi è un passaggio, non vi saranno altre carte e altre scartoffie che confonderanno tutto; e non che non si sa mai quando la cosa torna alla normalità.
Così succede anche sulla questione dei commissari. Vi è il presidente della regione che ha tutti i poteri; li ha tutti: può nominare collaboratori e quant'altro, ma ci inventiamo il commissario prefettizio - di carriera prefettizia, e quindi un fedele dello Stato, un servitore dello Stato - e lo mandiamo con una serie di poteri, che dovrebbero aver semplicemente i sindaci, i presidenti delle province e della regione, a fare delle scelte che non competono a un commissario straordinario, anche se di carriera prefettizia, perché è il territorio che deve condividere le soluzioni.
Forse, sarebbe bene che quell'Esercito che abbiamo mobilitato e quei siti di interesse strategico li posizionassimo in un sito solo: un grande stabilimento vuoto, un capannone vuoto, una palestra vuota, dove i sindaci, i presidenti di provincia ed il presidente della regione Campania vengono chiusi in conclave, e fin quando non escono da lì a pane ed acqua e non si trova una soluzione non si fa nient'altro; questo è l'unico decreto che dobbiamo Pag. 19fare. Non c'entrano i cittadini della Campania, ma i loro amministratori sì, perché continuano a portare e ad infognare questo Parlamento di questioni che non dovrebbero essere nostre, e le facciamo diventare addirittura provvedimenti straordinari del Governo. Questo sarebbe l'unica cosa che potremmo fare, per l'urgenza.

MANUELA LANZARIN. A pane ed acqua.

SERGIO MICHELE PIFFARI. Sì, a pane ed acqua.

ANGELO ALESSANDRI. Con Barbato.

SERGIO MICHELE PIFFARI. Non lo so, chiedo che siano gli amministratori locali i chiamati in causa, perché così è nella normalità. Ancora adesso, adottiamo un decreto e diciamo che l'inceneritore non serve: Santa Maria La Fossa non serve. Va bene, ma di fatto diciamo che valgono ancora i tre: Acerra, Salerno, Napoli.
Ma se il sindaco di Napoli ci dice che non vi è lo spazio e vi è un'altra alternativa, perché continuiamo a forzare su questa causa? Facciamolo dire a loro e decidano loro se serve o no il terzo inceneritore, altrimenti lasciamo sempre e comunque una piaga sulle costole di questi cittadini, in Campania. Per di più, essi godono anche di contributi che teoricamente potrebbero essere assegnati ad altre funzioni, in termini di valorizzazione del riciclo, del riuso delle materie prime, e non quindi solo nei rifiuti.
Ebbene, decidiamo di dare priorità e valore a quello stabilimento per la lavorazione di quelle balle, di quel CDR, di quel materiale che è depositato e che si trova lì. Venivano individuati due comuni e non capisco perché d'urgenza dobbiamo dire che uno rimane e l'altro no. Potevano rimanere entrambi, tanto si faceva in un posto solo questo stabilimento di lavorazione materiali.
È giusto dire che si può magari anche andare in zone limitrofe o quant'altro, però ciò che non vedo è la soluzione che il territorio doveva portarci, dicendo al Governo: questa è la soluzione che abbiamo già sottoscritto; non possiamo, con le leggi che abbiamo, mandarla avanti in sei mesi, dobbiamo farla in due mesi e, quindi, è necessario un provvedimento. Ma di là nessuno lo dice, anzi: una parte lo dice, una parte lo nega, l'altra non sa bene di cosa si stia chiacchierando e coinvolgiamo ogni volta, ancora una volta, il Parlamento.
Facendo così, saremo di nuovo chiamati, tra sei mesi, a trattare la questione rifiuti in Campania con tutti i guai che invece l'Italia e i campani si trovano ad affrontare e che non dovrebbe essere questa.
Concludo con la Campania e passo alla questione della plastica. Abbiamo inserito questo articolo 2, il Governo ha ritenuto di fare prevedere una proroga, ma ha ritenuto di non ascoltare bene tutto il mondo che gira attorno a questa realtà e, allora, tiene buone le sanzioni, ma ne rinvia l'applicazione. Se ci sono le sanzioni si applicano, sennò non facciamole, non può essere una spada di Damocle.
I dubbi ci vengono perché non vorremmo buttare a mare una filiera ben organizzata che sta sul mercato in concorrenza con quanto la globalizzazione ci obbliga a fare per buttarci in mano a un monopolio che non garantisce libertà. Stiamo discutendo di liberalizzazioni: il gas, l'energia e le ferrovie, le reti, la banda larga, ma vorremmo parlare di liberalizzazioni anche in questo settore.
Quindi, non vorrei che il provvedimento in esame cercasse solo di facilitare qualcuno che magari ha un brevetto e, quindi, ha l'esclusiva in Italia senza valorizzare, al contrario, altre forme industria che rendono comunque biodegradabili i sacchetti, in modo che si possano deteriorare ed essere assorbiti nell'ambiente senza lasciare danno all'ambiente.
Le norme ce lo permetterebbero. Abbiamo presentato una serie di emendamenti come Italia dei Valori anche su questo articolo e spero vi sia spazio di discussione, visto che comunque il provvedimento deve andare al Senato e quindi Pag. 20si può correggere, anche in Comitato dei nove o dove non so, ma insomma piccoli spazi li possiamo riprendere.
L'altra questione riguarda l'articolo 3 e le terre da scavo. Come ho detto, certamente i provvedimenti sono necessari. Non si riesce a capire perché, però, li dobbiamo sempre fare per decreto, perché questo ci fa nascere il dubbio che non si sia voluto affrontare con serenità il tema in un'altra sede, in modo da affrontare tutta la questione del comparto.
Purtroppo, casi di interpretazione in modo furbesco da parte delle imprese dell'utilizzo delle terre da scavo, dal Nord al Sud, ne abbiamo. Ad esempio, nel quartiere Santa Giulia di Milano ci sono dei poveri cristi che hanno già fatto il mutuo, hanno comprato una casa, hanno scoperto di averla comprata sopra a una montagna di veleni e più nessuno gli ridà il denaro, né gli garantisce quando potranno rientrare in possesso del loro investimento. Non sono fregati solo alcuni speculatori, ma anche i poveri cristi in quel caso.
Se un'impresa che ha in subappalto un lavoro per un grande cantiere di un'opera pubblica come la Brebemi a Milano e Brescia utilizza materiale anche proveniente da scavi non codificati, quindi con percentuali anche di materiale inquinante, è chiaro che si mette a rischio tutta l'opera della Brebemi.
Quindi, è a rischio l'investimento, in primis, e chi l'ha fatto, gli enti, a partire dallo Stato, ma soprattutto gli enti locali, che rischiano di trovarsi un'opera quasi completata ma ferma, e le imprese che subiscono ritardi nelle loro attività perché quell'opera di fatto non può essere messa in servizio.
Ma sono solo due casi, ne potremmo citare tanti altri. Insomma, persino quando si fa lo scavo per il «palazzo del Celeste» in Lombardia - avete presente il grande palazzo, sede del Sultanato, del dottor Formigoni? - anche lì gli scavi a volte creano questi dubbi perché le imprese che provengono dalla Calabria e che hanno effettuato questo lavoro non sempre ci danno tranquillità e serenità.
Quindi, sono queste le cose che ci fanno paura e che devono farci riflettere sull'uso anche di questo strumento di decreto-legge.
Devo però, infine, riconoscere al Governo che, almeno su queste cose, è disposto ad un confronto; anche se poi ci risponde picche, almeno ascolta e quindi, rispetto a prima, devo dire che qualcosa di diverso c'è. I risultati non ancora, ma anche se è solo l'ascolto è già tanto, perché è un passo molto importante in uno Stato dove, prima di tutto, c'è la democrazia e il confronto sulle questioni. Quindi, spero che in futuro strumenti come questo siano utilizzati sempre meno (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 4999-A)

PRESIDENTE. Prendo atto che il presidente della VIII Commissione (Ambiente) ed il rappresentante del Governo rinunziano alla replica.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione delle mozioni Di Stanislao ed altri n. 1-00781, Pezzotta, Sarubbi ed altri n. 1-00408, Gidoni ed altri n. 1-00861, Porfidia ed altri 1-00862, Moffa ed altri n. 1-00907, Misiti ed altri n. 1-00908 e Rugghia ed altri n. 1-00909 sulla riduzione e razionalizzazione delle spese militari, con particolare riferimento al blocco del programma per la produzione e l'acquisto dei cacciabombardieri Joint Strike Fighter (JSF) F-35 (ore 13,40).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Di Stanislao ed altri n. 1-00781, Pezzotta, Sarubbi ed altri n. 1-00408, Gidoni ed altri n. 1-00861, Porfidia ed altri 1-00862, Moffa ed Pag. 21altri n. 1-00907, Misiti ed altri n. 1-00908 e Rugghia ed altri n. 1-00909, sulla riduzione e razionalizzazione delle spese militari, con particolare riferimento al blocco del programma per la produzione e l'acquisto dei cacciabombardieri Joint Strike Fighter (JSF) F-35 (Vedi l'allegato A - Mozioni).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (Vedi calendario).
Avverto che è stata altresì presentata la mozione Cicu ed altri n. 1-00920 che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, verrà svolta congiuntamente. Il relativo testo è in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritto a parlare l'onorevole Di Stanislao, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00781. Ne ha facoltà.

AUGUSTO DI STANISLAO. Signor Presidente, l'Italia dei Valori è soddisfatta che finalmente il Parlamento sia investito di questo tema e che si possa finalmente discutere, io credo ampiamente e laicamente, su un tema che evidentemente non è di competenza esclusiva del Governo, affinché attraverso il Governo si coinvolga direttamente il Parlamento con le sue prerogative, significando che, nel momento in cui il Governo propone, il Parlamento dispone. Almeno nelle democrazie più avanzate così funziona. Quando viene portato all'attenzione della comunità nazionale - non solo ed esclusivamente del Parlamento e delle Commissioni - un tema così importante, soprattutto in questa fase economica, ci dovrebbe essere la ricerca da parte del Governo e della maggioranza che lo sostiene di un confronto e di un dibattito che faccia evidenziare la qualità - lo dico tra virgolette - della proposta cosicché il Parlamento se ne impossessi in qualche modo facendo un'ampia discussione, laddove ha convinzione, scienza e coscienza di poterlo rappresentare e anche votare favorevolmente. L'Italia dei Valori ha posto una riflessione importante, scevra da propaganda e demagogia.
Ha espresso delle convinzioni politiche-istituzionali, richiamandosi ad una coscienza collettiva che, in qualche modo, è stata travolta rispetto alla necessità, invece, di oggettivare il dato relativo alla tematica in questione.
Dunque, oggi parlare della mozione, in termini di riduzione e razionalizzazione delle spese militari, con particolare riferimento agli F-35, evidentemente ci pone finalmente, grazie all'Italia dei Valori, in una dimensione europea del dibattito, cosa che fino ad oggi non è accaduta. Vi è stato, in un certo senso, un convitato di pietra. Come non pensare che in questa situazione di crisi, così grande e profonda, che ha lacerato e diviso interi comparti della nostra società, non si possa e non si debba discutere di una spending review che tenga conto del fatto che, nell'ambito di tale dato, non vi può essere esclusivamente la riduzione e la cancellazione di impegni assunti, ma che questi impegni devono essere riferiti e riorientati rispetto ad un modello di difesa che non si può esaurire «nell'orticello» dello Stato italiano e in una dimensione governativa e che deve coinvolgere, invece, anche la dimensione europea; dovremmo parlare in maniera importante, seria e approfondita - e ritengo, laddove possibile, con cognizione di causa - dei temi che riguardano una Maastricht della difesa europea, che comprenda anche l'Italia affinché non pensi di lavorare in uno splendido isolamento perché, nel raccordo, nel coordinamento nell'ambito della dimensione europea, esiste anche il modello di difesa europeo-nazionale.
Dunque, è su questi temi - che dovrebbero far tremare i polsi e che hanno attivato meccanismi di riflessione, dentro e fuori quest'Aula - che noi, con la nostra disponibilità, parlo dell'Italia dei Valori, Pag. 22abbiamo sollecitato una riflessione nel Paese, al di fuori del recinto istituzionale. Infatti, ora possiamo avere più competenza, conoscenza e pensare ulteriormente in che modo e in che misura offrire una riflessione, dando, in qualche modo, una convinzione agli italiani partendo da alcune situazioni che si sono ormai consolidate, facendo capire quali sono le posizioni politiche e istituzionali in maniera intelligibile, affinché non vi sia più confusione di ruoli e di funzioni ma in modo che ognuno si riprenda la propria responsabilità in termini di scienza e coscienza, di capacità propositiva politica ma anche di capacità di mettere in campo una dimensione delle risorse che abbia a che fare anche con la nostra cultura e con la nostra Costituzione.
Quando diciamo che gli F-35 sono e devono rimanere «improponibili», nella dimensione della nostra Carta costituzionale, è perché l'articolo 11 lo vieta. L'Italia non partecipa alle azioni in maniera offensiva ma difensiva e si propone anche nelle missioni di pace attraverso la sua capacità di mettere in campo elementi che hanno a che fare con la stabilizzazione, l'addestramento e la formazione, ossia tutta quella capacità di umanizzazione e di modelli di riferimento che fanno crescere le società nelle quali siamo impegnati a dare un contributo definitivo per il loro rilancio. Mi riferisco, evidentemente, non solo e non tanto all'Afghanistan ma anche laddove siamo stati bravi ad essere interpreti di un ruolo, nelle missioni internazionali, che va nel senso che ci indica l'articolo 11 delle Costituzione.
Ebbene, oggi questa riflessione ci pone nella dimensione, finalmente, di carattere europeo e internazionale e ci pone anche in linea con quanto già si fa negli Stati occidentali e nelle democrazie avanzate, dove si affida al Parlamento una proposta senza che, in qualche modo, ne siano condizionati gli esiti, come aveva tentato inizialmente di fare il Governo e anche, in qualche modo, parte della maggioranza che lo sostiene. Perché questo? Perché oggi siamo ad un punto in cui l'Italia è tra i primi otto Paesi al mondo per spese militari e perché al momento incombono sul suo bilancio ben 71 programmi di ammodernamento e riconfigurazione di sistemi d'arma, che ipotecano la spesa bellica da qui al 2026. Quindi, bisogna ragionarci.
D'altro lato, vi è un aspetto in qualche modo dirimente, che viene fuori anche dall'anelito di forte presenza che vuol richiamare anche il comparto, che già si sente fortemente penalizzato dal punto di vista del taglio delle risorse, degli stipendi, del personale, della formazione e dell'addestramento, e che non ha possibilità di trovare, in un certo senso, una comprensione e una giusta causa di riconoscimento perché si è impegnato in questo costosissimo programma che non ha nulla a che fare, invece, con gli intendimenti che dovrebbe avere il nostro comparto difesa in relazione all'articolo 11 della Costituzione.
Voglio dire che vi è un'ambizione smodata a diventare potenza militare mondiale e non ci si occupa, invece, dell'addestramento, delle risorse, della messa in sicurezza dei nostri militari e dei nostri mezzi impegnati sul campo.
Su questi temi ci siamo impegnati ed evidentemente abbiamo posto un problema più alto, più forte e più profondo, non limitato agli F35, significando anche che noi mettiamo in campo una spesa militare, nell'ambito del nostro PIL, dell'1,4 per cento - così come emerge dai dati ufficiali della NATO - e non dello 0, 90 per cento, come indicato dal Ministero.
Quindi, questi elementi ci inducono a ripensare al tema della nostra presenza e al modo e alla misura in cui bisogna intervenire, facendo riferimento ad un modello di difesa con riferimento al quale bisogna capire se può ancora contenere questo dato, ossia gli F35 e quant'altro si muove attorno alla proposta degli F35, o se invece bisogna parlare in termini di una spending review che tenga conto di una riduzione. Se è vero, come è vero, che noi da 190 mila uomini andiamo a 140 o forse anche a 130, evidentemente parliamo di ben altra cosa, solo di spesa e non di Pag. 23investimenti, che non hanno nulla a che fare con la nostra cultura e - lo ripeto - con il nostro dettato costituzionale.
Evidentemente, dovremmo pensare o meglio il comparto difesa, soprattutto, in questo momento di crisi, dovrebbe pensare di più e in maniera urgente, all'esigenza di una nuova rivisitazione dell'amministrazione della difesa e dello stesso modello di difesa, che dovrebbe concentrarsi essenzialmente sull'acquisto di tecnologie e mezzi atti a garantire la sicurezza dei nostri soldati nelle missioni all'estero piuttosto che l'acquisizione di armamenti atti all'offesa, ossia un modello di difesa incentrato sulla formazione e sull'addestramento dei nostri soldati; altro che F 35!
È su questo tema che dovremmo interrogarci, ossia sul perché in questi anni non si è più discusso, anzi si è taciuto - si parla di convitato di pietra - del nuovo modello di difesa, del futuro delle Forze armate nazionali e del ruolo del Paese sulla scena internazionale.
Noi di questo abbiamo voluto investire il Parlamento, la comunità nazionale e le associazioni, che hanno offerto un grande contributo di idee, di progetti e di riflessioni, che noi in qualche modo abbiamo favorito come gruppo dell'Italia dei Valori, ampliando la disponibilità alla discussione in Aula perché abbiamo voluto sentire tutti: non solo e non tanto il Ministero della difesa e il Ministro, non tanto e non solo questi aspetti anche riconducibili all'esperienza di Cameri, che poi prenderò in esame nella dichiarazione di voto. Credo che su questi temi il gruppo dell'Italia dei Valori sia andato dritto alla questione, senza infingimenti di sorta, assumendo una posizione in qualche modo intelligibile, che si muove tra scienza e coscienza e mette al centro della riflessione la politica, la cultura e la Costituzione di questo Paese.
Abbiamo chiesto semplicemente - e mi avvio alla conclusione - un impegno al Governo. Gli impegni sono indirizzati ad assumere iniziative volte a bloccare in via definitiva il programma per la produzione e l'acquisto dei 131 cacciabombardieri ed a valutare la reale possibilità di utilizzare tali risorse per il rilancio dell'economia ed il sostegno all'occupazione giovanile; ad assumere iniziative volte a cancellare i finanziamenti previsti per il 2012 per la produzione dei quattro sommergibili Fremm, dei cacciabombardieri F35, delle due fregate Orizzonte, con un risparmio previsto intorno ai 783 milioni di euro; a rivalutare e a ridimensionare gli accordi tra il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ed il Ministero della difesa al fine di reperire le necessarie risorse da destinare per la copertura delle borse di studio per tutti gli idonei durante l'anno accademico 2011-2012 e per gli anni accademici successivi; a bloccare in via definitiva il progetto della mini naja «Vivi le Forze armate» - 8 milioni e mezzo di euro buttati per far contento l'ex Ministro La Russa - con un risparmio immediato da destinare alle politiche sociali, con particolare riferimento alle famiglie ed ai minori che vivono in condizioni di povertà; ad assumere iniziative finalizzate a rivedere gli stanziamenti che interessano la difesa presenti nello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico, comparto strategico e fondamentale per il reale rilancio dell'economia del Paese, valutando la possibilità dell'impiego di tali risorse in ambiti di maggiore urgenza e necessità e, da ultimo ma non per ultimo, a rivedere il quadro complessivo delle spese militari prevedendo una razionalizzazione delle risorse e destinando parte di esse, stanziate per armamenti, alla formazione, all'addestramento e alla riqualificazione del personale del comparto.
Questo in sintesi è quanto noi abbiamo chiesto e tutto il resto lo dirò nel corso della dichiarazione di voto perché credo che rispetto ai dati circolati in Italia - dai 18 miliardi in giù - oggi abbiamo un dato in più che forse ci viene fornito in maniera più analitica e in cui si parla di 20 miliardi di euro per gli F-35; pertanto su questi temi ci dovremmo interrogare perché credo che complessivamente la manovra per il comparto difesa da qui al 2036 - non più al 2026 - muoverà qualcosa come 42 milioni di euro su ogni tipo di intervento Pag. 24 che riguardi gli armamenti. Su questo non solo ci dobbiamo interrogare, ma è necessario che ognuno si assuma la propria responsabilità politica e morale in questo Paese e che ognuno dica al Paese, in maniera convinta, decisa e intelleggibile, cosa vuole fare evitando confusione di ruoli e funzioni e soprattutto mettendo in campo finalmente una politica in cui si capisca chi è per fare qualcosa nel segno e nel solco della Costituzione e chi invece vuole essere, ripulitisi di tutto il resto, il belligerante del nuovo millennio, cosa che non ci aiuterebbe ad essere più vicini ai problemi di Paesi come l'Afghanistan, il Libano ed altri, che hanno bisogno di cooperazione piuttosto che di interventi militari.
Pertanto a questo punto capiremmo come e in che misura, con quali prospettive e profondità, l'Italia si vorrà muovere all'interno di un comparto, la Difesa, che deve essere ridisegnato, ridefinito e ricollocato in una dimensione europea e internazionale.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Enzo Carra, che illustrerà anche la mozione Pezzotta, Sarubbi ed altri n. 1-00408, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

ENZO CARRA. Signor Presidente, noi dell'Unione di Centro per il Terzo Polo abbiamo atteso molti mesi, anzi noi firmatari di questa mozione sottoscritta da parlamentari di diversi gruppi abbiamo atteso diversi mesi prima che questo documento venisse iscritto in calendario per la discussione. Ce ne siamo più volte doluti, abbiamo lamentato il ritardo, sapevamo e conosciamo quale può essere l'elemento o gli elementi di divisione di un tale documento e la sua delicatezza. A questo punto devo dire che forse non ce ne dogliamo neanche più perché ci sembra che uno spiraglio si stia aprendo, almeno in termini di discussione e forse anche di qualcosa di nuovo su un documento che possa superare anche le nostre posizioni collettive o individuali che dir si voglia.
Adesso cercherò non laicamente come il collega Di Stanislao ma analiticamente - non so cosa intendesse per laicamente in questo caso, anche perché non siamo in chiesa - di affrontare la questione: nei tre anni del precedente Governo abbiamo criticato la logica dei tagli lineari, quei tagli che hanno portato, come ha detto il Ministro Giarda stamattina su un giornale, ad aumentare forse il debito perché essendo dei tagli che non potevano comprimere le spese fondamentali poi si aumentava il debito con i fornitori, insomma abbiamo sempre chiesto dei tagli selettivi e questo a maggior ragione vale per il comparto della Difesa.
Questa nostra mozione è nata a luglio dello scorso anno e abbiamo, ripeto, atteso però quando già a novembre il Governo ci ha detto che i tagli sarebbero stati fatti in modo diverso abbiamo cominciato a rifiatare perché abbiamo dovuto constatare, anche con il recente intervento del Ministro della difesa in Commissione il 15 febbraio, che le cose forse stanno cambiando, non so se in meglio o in peggio, ma stanno cambiando. In quell'intervento comunque abbiamo ascoltato più volte la parola «riesaminare», «riguardare»; il Ministro ha parlato di una riforma ineludibile ma inevitabile delle spese del comparto della Difesa e cioè anche delle sue spese. Un'intenzione che non è così distante da quello che è già successo in America con Obama qualche mese fa, con il Presidente della più grande potenza militare del mondo che decide di spendere 450 milioni di dollari in dieci anni in meno, 45 milioni di dollari all'anno in meno.
Dopo l'intervento del Ministro della difesa in Commissione, un giornale conservatore, ovviamente non pacifista, ha scritto in merito al costo degli F-35, i cacciabombardieri a cui si fa particolare riferimento al secondo punto all'ordine del giorno, che lei, signor Presidente, ha letto questa mattina. Secondo questo giornale conservatore, che è Il Foglio, non è così chiaro ciò che ha detto Di Paola in Commissione, perché il Ministro ha detto che nei prossimi mesi verranno piazzati gli ordini per i primi tre F-35, smentendo così, sostiene Il Foglio, il generale Claudio Pag. 25Debertolis, a capo della direzione nazionale armamenti, che il 7 febbraio aveva invece dichiarato che questi ordini erano già state fatti. Il Ministro - cito - ha inoltre ribadito che il costo di 80 milioni di dollari è esemplare, una cifra, sempre secondo il giornale, che appare improbabile. Infine, il Ministro ha affermato che il caccia Eurofighter Typoon è costato molto di più, senza indicare però il costo complessivo del programma F-35. Questo è il punto: quanto costa? Credo che almeno su questo punto possiamo cominciare ad avvicinarci alla realtà. Signor Presidente, con questa mozione, della quale riconosciamo i limiti, forse anche la parzialità, vogliamo molto meno rispetto ai risparmi di Obama o a quanto qualche parte del nostro Paese onorevolmente e comprensibilmente vorrebbe, cioè un mondo senza guerra e un Paese senza Forze armate. Vogliamo molto di meno, ma anche forse molto di più. Vogliamo aprire un dibattito parlamentare per la prima volta su un programma militare, perché questo ci sembra il momento di farlo. Se non ora, quando? Anche per noi la guerra è troppo importante. Scusatemi ancora una citazione per lasciarla ai colonnelli e questo è il momento di non lasciarla ai colonnelli, potrei dire neanche agli ammiragli. Possibilmente, vorremmo «parlamentizzare» anche questo dibattito. Una volta siamo arrivati a quel punto della storia e salutiamolo con la comprensibile gioia e soddisfazione che ci deve essere in una società democratica come la nostra. Il fatto che non possiamo dire di fare la guerra, d'altra parte, non ci impedisce di dire che noi la chiamiamo qualche volta peace keeping. Quindi o aboliamo le Forze armate o stabiliamo che cosa farne e che cosa fargli fare soprattutto, senza giri di parole e senza sottintesi, direi come per i servizi segreti, che qualche volta chiamiamo segreti e qualche volta non si capisce cosa ci stiano a fare se non sono segreti. Credo che questo sia il momento della verità anche per le Forze armate e anche per gli armamenti delle Forze armate, così parleremo anche degli F-35, buoni o cattivi che siano. Tra l'altro a questi F-35 dobbiamo riconoscere anche un merito già in partenza, quello di aver riportato in Italia la Lockheed Martin senza Antelope Cobbler, che già è qualcosa insomma in un Paese come il nostro: la Lockheed è stata per decenni imparentata strettamente con la corruzione e la decapitazione di un vertice dello Stato. Adesso si parla invece, come direbbe il nostro collega, laicamente, anzi militarmente, di uno strumento importante di modernizzazione del nostro armamento. Nella discussione ovviamente dovremo esaminare, se si farà mai - mi auguro che si faccia - il posto che vogliamo assegnare, noi per primi all'Italia nel mondo, e poi quello che vogliamo che l'Europa faccia con noi. Non so se qualcuno di voi ha letto quella battuta, anzi quella considerazione, del generale Mini, che immagino si intenda bene di questa cosa.
«Se l'Europa si mettesse insieme, spenderebbe un decimo di quello che sborsa oggi e sarebbe più efficiente». Anche questo caso credo che andrà comunque esaminato, senza farsi illusioni, perché sappiamo che non se ne possono fare con questa Europa, ma nello stesso tempo, e lo chiediamo al Governo, anche senza ignorare - so che non lo farà - quell'opinione pubblica che non è fatta soltanto di accoliti, di conformisti, ma anche di persone che testimoniano un massiccio impegno per la pace, che è stato uno dei fenomeni più importanti che abbiamo visto negli ultimi anni; perché dietro quelle bandiere che abbiamo visto per tanto tempo sventolare davanti ai balconi delle case più povere, e anche di quelle più ricche del nostro Paese, vi erano altrettante persone e altrettanti italiani.
Quindi, la nostra mozione è rappresentativa di un'atmosfera. Non guardate ai dettagli, ma all'atmosfera, e considerate che vi è un processo da fare. Penso che voi ne dobbiate convenire, e forse ne convenite. Noi aspettiamo, per conto nostro, che la discussione che si apre questa mattina, e che ha atteso tanto tempo per entrare in quest'Aula, non si concluda sbrigativamente con un voto favorevole o contrario e con qualche intemerata militarista o di Pag. 26altro genere; io credo che questa discussione si debba concludere davvero, possibilmente, con un documento, anche diverso da quello che io e altri abbiamo presentato, che superi non tanto le parzialità, ma guardi soprattutto al futuro, aiutando il Paese in una delle questioni fondamentali per ogni nazione da che mondo è mondo (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro per il Terzo Polo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fugatti, che illustrerà la mozione Gidoni ed altri n. 1-00861, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

MAURIZIO FUGATTI. Signor Presidente, la situazione in cui versano le finanze pubbliche costituisce da mesi oggetto di preoccupazioni crescenti, in ragione delle pressioni esercitate dai mercati sui titoli del debito sovrano italiano. Tale condizione esige obiettivamente l'adozione di misure straordinarie, in linea con il carattere prioritario assunto dall'esigenza di restaurare la fiducia dei mercati e delle maggiori istituzioni internazionali nei confronti del nostro Paese.
Uno dei settori sui quali sembra possibile incidere, tenendo conto di quanto stanno facendo i principali alleati del nostro Paese, è quello della difesa, dove appare necessaria un'azione di compressione degli sprechi, che tuttavia salvaguardi la futura operatività dello strumento militare. Non appare opportuno colpire gli investimenti, che rappresentano l'avvenire tecnologico delle Forze armate ed un patrimonio per lo sviluppo complessivo del Paese.
È allo stesso modo sconsigliabile apportare ulteriori tagli alle spese di funzionamento, poiché ciò equivale a sacrificare funzioni essenziali, come l'addestramento del personale e la manutenzione dei mezzi, da cui dipende, in ultima analisi, la sicurezza dei soldati che vengono inviati sui teatri di crisi. Il modo più opportuno di ottenere la riduzione della spesa è quello che passa per il ridimensionamento del numero degli effettivi alle armi.
A questo proposito, il più consistente intervento militare oltremare mai intrapreso dalla Repubblica è quello attualmente in corso in Afghanistan, dove sono schierati poco più di 4 mila uomini delle Forze armate italiane. Al picco dei suoi impegni, tra il 2003 ed il 2008, lo strumento militare nazionale non ha mai impiegato all'estero più di 11mila persone; si tratta di numeri che, anche computando il ciclo degli avvicendamenti delle truppe, non possono essere espansi oltre la soglia dei 30 mila uomini all'anno.
Alla luce dei dati sopracitati, risulta incomprensibile, anche considerando il più generoso dei supporti tecnico-amministrativi e logistici, il mantenimento in linea di 190 mila militari o anche dei 170 o 140 mila di cui si è parlato più recentemente. In un recente contributo apparso su una nota testata nazionale, il generale Mini, già comandante della Kfor, ha evidenziato come persino voci provenienti dal mondo militare ammettano, senza imbarazzo, che cambiare e razionalizzare è oggi possibile.
Va stigmatizzata, in particolare, la circostanza che esistano circa 500 ufficiali generali ed ammiragli in servizio, cosa che implica che ve n'è uno ogni 356 militari alle armi.
Sono in servizio circa 57 mila marescialli ed equiparati, poco meno di un terzo della forza organica.
Tali storture sono in parte riconducibili alla progressione automatica delle differenti carriere, che procedono automaticamente secondo il modello dell'avanzamento normalizzato, probabilmente ormai inadeguato ad un contesto dove proprio gli impegni militari sui teatri di crisi dovrebbero permettere una più rigorosa selezione basata sul merito.
I firmatari del presente atto di indirizzo esprimono dubbi sull'effettiva necessità di confermare il programma, noto come «mini naja», in quanto fonte di un'oggettiva dispersione di risorse.
Per tutto questo si impegna il Governo: a ridurre l'ampiezza delle prossime campagne di arruolamento e ad incentivare l'esodo del personale in esubero, anche predisponendo percorsi di mobilità verso amministrazioni che risultino carenti di personale, con profili compatibili, in modo Pag. 27tale da avvicinare progressivamente gli organici delle Forze armate italiane a quota 100 mila unità; a confermare la riduzione quantitativa dell'esperienza della cosiddetta mini naja; a porre allo studio iniziative normative che tendano a ridurre drasticamente il numero degli ufficiali generali, colonnelli e tenenti colonnelli in servizio, che risultano in sensibile soprannumero, sia ricorrendo al collocamento in aspettativa per riduzione quadri, sia alla mobilità verso posizioni compatibili esistenti in altre amministrazioni dello Stato dove si siano verificate carenze di personale; a valutare l'opportunità di ridurre progressivamente, con gli stessi metodi, la consistenza organica del ruolo marescialli, con un obiettivo ideale, a medio e lungo termine, del 30 per cento in meno rispetto agli attuali numeri; ad intervenire sui meccanismi di progressione delle carriere, ponendo finalmente in discussione gli automatismi previsti dal cosiddetto sistema di avanzamento normalizzato e valorizzando il merito; a confermare la partecipazione nazionale a tutti i più importanti programmi multinazionali di progettazione, sviluppo e produzione di armamenti suscettibili di avere ripercussioni occupazionali e ricadute tecnologiche sul nostro Paese, oltreché sul livello di operatività dello strumento militare italiano (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Mogherini Rebesani, che illustrerà la mozione Rugghia ed altri n. 1-00909, di cui è cofirmataria. Ne ha facoltà.

FEDERICA MOGHERINI REBESANI. Signor Presidente, cerchiamo di affrontare in questa sede - mi sembra che alcuni colleghi prima di me abbiano provato a farlo - da una parte, il tema della ridefinizione del nostro modello di difesa e, dall'altra, nello specifico, quello del programma di acquisto e di produzione dei Joint strike fighter F-35, in modo razionale, serio, trasparente e, soprattutto, non ideologico, sapendo che questo è un campo in cui è bene sgomberare il terreno sia da totem intoccabili, considerati indispensabili per decisioni prese magari 15 o 20 anni fa, sia da tabù che non si possano toccare, discutere o, addirittura, prendere in considerazione.
Proviamo a fare questo esercizio in modo utile non soltanto per la dinamica parlamentare e per la relazione tra Parlamento e Governo, ma anche per creare un circolo virtuoso, che sarebbe bene che si innescasse su questi temi, tra le sedi della decisione politica e della valutazione tecnica da una parte, e l'opinione pubblica e il sistema mediatico dall'altra. Credo che per fare questo, per svolgere cioè un ragionamento serio e razionale, sia necessario partire dalla considerazione di tre elementi, tre precondizioni.
Da una parte vi è la necessità, quasi nuova per questo Paese - a mia memoria, non credo si sia mai svolto un esercizio simile -, di definire in sede parlamentare una strategia di sicurezza nazionale, così come avviene in altri Paesi del mondo, ad esempio negli Stati Uniti d'America, ovviamente, ma anche in tantissimi altri Paesi europei. l'Italia è nuova ad esercizi di questo tipo, anzi, in realtà ancora non si sono avviati, però è innegabile che il programma JSF fu avviato per la prima volta nel 1998, la prima pietra fu messo in quell'anno. Sono passati 15 anni, il mondo è cambiato completamente: allora eravamo ancora in una fase di elaborazione successiva al crollo del muro di Berlino, eravamo ancora dentro le dinamiche dei conflitti nei Balcani, ancora ragionavamo di un nuovo ordine mondiale e il senso stesso di un intervento militare, di un sistema di difesa e di sicurezza nazionale ed internazionale era tarato su una certa realtà del mondo.
Da allora ad oggi, appunto, sono passati quindici anni e in questi quindici anni sono successe tantissime cose. Quella più evidente dal punto di vista della sicurezza internazionale e nazionale è sicuramente l'attentato dell'11 settembre e tutto ciò che ne è conseguito, in termini di conflitti, da noi condivisi o da noi invece osteggiati. Penso al conflitto in Afghanistan ed al suo Pag. 28inizio, all'Iraq, ma anche ad altre missioni, che sono state le più diverse tra loro, come quelle in Libano e in Libia.
Dal 1998, ovvero dal 1996 ad oggi, il mondo è cambiato moltissimo e sono cambiate moltissimo le minacce alla sicurezza delle persone, che si devono affrontare in questo mondo così diverso. Si fa riferimento di solito a minacce che sono diventate asimmetriche e più difficili da immaginare e da pensare in termini semplicemente di contrapposizione classica - tradizionale - tra eserciti, tra strumenti militari.
Allora, pensiamo che si debba partire da qui. Pensiamo che, anche quando si parla solo di un «semplice», tra virgolette, acquisto di un sistema d'arma, si debba partire dal definire insieme, come comunità nazionale e come classe dirigente di un Paese, il quadro geopolitico in cui il nostro Paese si trova, a partire dal suo vicinato più prossimo, l'Europa e il Mediterraneo - due aree non indifferenti per quanto riguarda la sicurezza collettiva internazionale -, analizzare quindi le minacce e capire anche quali siano quelle prevedibili da qui a dieci, venti, trenta, quarant'anni e da qui definire insieme una strategia di sicurezza nazionale, da cui fare discendere un modello di difesa, un modello di difesa, se possibile, appunto, connesso con la realtà che ci circonda, a partire dall'Unione europea e dalla NATO, i nostri due ambiti di intervento e di relazione principale in materia di difesa.
Ora, se noi immaginiamo quali tipi di minacce potremmo avere di fronte nei prossimi dieci, venti o trenta anni, è chiaro che avremo bisogno di uno sforzo di analisi collettiva molto importante, che sicuramente non si può realizzare in qualche settimana e avremo bisogno anche di una certa capacità di proiezione, non tanto a militare da questo punto di vista, ma analitica. Immagino per esempio che la cyber security avrà molto più rilievo e molto più spazio in futuro, che non in passato. Avremo bisogno di altri strumenti di sicurezza non prettamente militari. Penso alla diplomazia o alla necessità di risolvere le contraddizioni dello sviluppo nel globo, che producono tante tensioni regionali e locali, i cui effetti poi si ripercuotono anche sulle nostre vite quotidiane; infatti le tensioni regionali poi diventano man mano sempre più importanti e sempre più globali.
Per questo noi abbiamo chiesto che al riguardo si conduca una discussione approfondita in sede parlamentare, magari con una Commissione bicamerale ad hoc; c'è infatti bisogno di uno sforzo di alto livello, lungimirante e serio, di analisi del mondo in cui ci troviamo, delle esigenze di sicurezza strategica cui dovremo fare fronte. Ed è soltanto a valle di questo ragionamento che noi potremo definire un modello di difesa efficace, efficiente e razionale per il nostro Paese.
Il secondo elemento, che va tenuto in considerazione, è quello delle esigenze di bilancio. Crediamo che, in realtà, questo sia un punto valido sempre. Se chi prende le decisioni - a partire dal Governo e dal Parlamento - adottasse sempre la necessaria attenzione riguardo alla spesa pubblica, facendo investimenti oculati e prioritari - il contrario di quei tagli lineari o di quelle spese, per così dire, facili, che abbiamo conosciuto negli anni passati - probabilmente non si arriverebbe neanche a situazioni di crisi economica, come quella che stiamo vivendo in questi anni.
Oggi, però, è evidente che è indispensabile non solo una trasparenza totale nella gestione dei fondi pubblici. I contribuenti, che pagano le tasse onestamente, hanno il diritto e anche il dovere - credo - di sapere come vengono spesi i propri soldi. È indispensabile avere priorità condivise a livello della comunità nazionale e strategiche, che guardino in avanti, che guardino il futuro, sulle spese pubbliche. È indispensabile un'attenzione all'equità sociale, che però mi sembra che questo Governo stia cercando di fare il possibile per applicare.
Se è sempre valido l'imperativo categorico di fare attenzione a come si spendono i soldi dei contribuenti ed a come si gestiscono i fondi pubblici, è evidente che in questa fase di crisi economica, un'attenzione particolare è ancora più dovuta. Pag. 29Già nel 2009, quando il programma JSF aveva dovuto passare il vaglio dei pareri delle Commissioni competenti, noi del gruppo del Partito Democratico, in IV Commissione difesa, avevamo chiesto che questo fosse un elemento centrale, quello cioè di rivedere il programma di acquisizione dei JSF alla luce della crisi economica, che nel 2009 era già evidente a tutti, tranne che al Ministro Tremonti, probabilmente. Forse per questo, il Governo di allora non aveva ritenuto di dare nessuna risposta ed aveva tirato dritto.
È però un elemento per capire se la crisi economico-finanziaria globale, in particolare quella europea ed in particolare quella italiana, sia compatibile con un programma di questo tipo, non soltanto perché è molto costoso - probabilmente esistono altri programmi altrettanto costosi nel settore della difesa - ma anche perché presenta una serie di tipicità e di punti particolari che gli sono propri ovvero il lungo periodo che occupa la necessità di stanziare fondi per molti anni consecutivi in modo consistente ed alcune criticità sulle quali poi tornerò.
È comunque una considerazione comune a livello internazionale, sia nell'Europa che negli Stati Uniti, il fatto di rivedere le spese relative alla difesa ed in particolare ai sistemi d'arma alla luce delle ristrettezze di bilancio e comunque alla luce del fatto che i contribuenti in questo periodo sono particolarmente attenti a come vengono individuate le priorità di investimento.
Questo credo che valga soprattutto per quei Paesi come l'Italia inseriti a pieno titolo e solidamente in reti di alleanze internazionali che consentirebbero di sviluppare di più un'ottimizzazione degli investimenti e delle risorse. Non tutti possono fare tutto, probabilmente, in questi tempi di crisi nel settore della difesa e forse può essere un bene che può spingerci a fare di necessità virtù e a compiere dei passi avanti verso quel sistema più integrato di difesa europea che fino ad oggi è stato piuttosto pigro nell'avanzare in termini operativi e che invece, forse, sarebbe proprio il caso di far avanzare in modo più spedito.
È insomma indispensabile fare il necessario in campo di sicurezza nazionale per definire, in sede parlamentare e in sede più ampia, attraverso l'analisi dei rischi, il modello di difesa, con una razionalizzazione delle risorse ed una prioritarizzazione di come queste risorse vengono spese all'interno del bilancio della difesa. Non mi soffermerò sulla ridefinizione dello strumento militare, come ama chiamarlo il Ministro, perché non è il tema specifico delle mozioni, tema cui il gruppo del PD si è attenuto, cercando di lasciare per dopo, per quando affronteremo veramente il tema della ridefinizione del modello di difesa, la discussione delle sue linee più complessive. Vado quindi subito al tema dell'acquisto dei sistemi d'arma e quindi nello specifico dei Joint Strike Fighter. Sull'acquisto dei sistemi d'arma la Commissione difesa della Camera aveva svolto un lavoro qualche anno fa molto approfondito e molto importante, arrivando ad alcune conclusioni unanimi che credo debbano essere implementate in modo anche piuttosto rapido - credo che al riguardo ci sia consenso fra tutti i gruppi -, indicando alcuni principi basilari che credo possano essere molto salutari nel nostro lavoro futuro. Innanzitutto la trasparenza, perché sono programmi che nascono magari dieci o vent'anni prima e man mano nel tempo, di anno in anno, lo stesso Ministero della difesa può perdere traccia esatta del punto di realizzazione del programma, per non parlare dell'opinione pubblica e del Parlamento. Quindi ci vuole un sistema che riesca a monitorare lo stato di avanzamento dei programmi, che riesca a rendere democratico il controllo parlamentare di ogni stato che il programma di acquisizione attraversa, e soprattutto ci vuole una ridefinizione complessiva dell'acquisto dei sistemi d'arma. Parliamo dei Joint Strike Fighter adesso perché c'è stata una sorta di attenzione molto concentrata su questo tema che si presta molto facilmente ad un uso mediatico, ma esiste tutta un'ampia gamma Pag. 30 di acquisti di sistemi d'arma che andrebbe attentamente monitorata e rivalutata alla luce delle esigenze strategiche, del modello di difesa di cui l'Italia si vuole dotare e delle esigenze di bilancio.
Soprattutto questo avrebbe dovuto essere effettivamente il primo punto da nominare nella spending review sull'acquisto dei sistemi d'arma. Crediamo che questo tipo di analisi vada svolto certo costantemente, ma soprattutto a valle della definizione del modello di difesa, perché comprare o produrre sistemi d'arma senza aver definito preventivamente una sorta di concetto di sicurezza strategica per il nostro Paese è come andare a fare la spesa senza sapere se si deve cucinare una cena per una persona o per cinquanta persone. È un po' complicato sapere se quello che stai comprando con i soldi che hai portafoglio ti servirà effettivamente a fare quello che devi. Allora prima occorre definire qual è il quadro in cui ci muoviamo, poi decidere quali sono le missioni che l'Italia assume per sé, qual è quindi lo strumento che ci serve, quali sono le disponibilità economiche o finanziare e i progetti di investimento a lungo termine che ci servono, anche in termini industriali, e soltanto dopo si potrà fare una valutazione razionale e seria se effettivamente i sistemi d'arma in cui siamo impegnati hanno un senso, una razionalità, oppure non ne hanno.
Sui Joint Strike Fighter in particolare, è sicuramente un programma nato ormai quasi diversi decenni fa in modo molto ambizioso, e forse in quanto tale anche controverso: controverso in parte per le alleanze industriali, per il fatto che i Paesi coinvolti, i Paesi partner, non sono necessariamente tutti Paesi europei (il progetto non coinvolge tantissimi Paesi europei), ma questo direi che è marginale.
Direi che il programma è stato controverso per due motivi principali che si sono andati accentuando negli ultimi tre-quattro anni in concomitanza con lo svilupparsi della crisi economico-finanziaria. Da una parte, il fatto che il programma ha incontrato alcuni problemi tecnici, nulla di drammatico, nulla di esiziale per l'esito del programma probabilmente, però si tratta di problemi tecnici che ci sono stati e che sono ancora in fase di risoluzione, che hanno fatto slittare in avanti i tempi di realizzazione del programma stesso. Anche questo è abbastanza naturale, abbastanza ovvio però va registrato. In secondo luogo, il programma è forse controverso per la questione dell'impossibilità di definirne con esattezza i costi. Ovviamente è un problema legato ai problemi tecnici, ed è un problema che però a tutt'oggi è irrisolto. Ad oggi non sappiamo quanto costa un singolo velivolo, o quanto costerebbe al nostro Paese, sappiamo soltanto quanto sono costati i velivoli precedentemente acquistati da altri Paesi, e i numeri variano di molto, da prototipo a prototipo, da Paese a Paese.
Questa serie di ambiguità, o meglio di difficoltà oggettive (dicevo, non esiziali ma oggettive) hanno accumulato negli anni una casistica di riduzione degli ordinativi, rallentamenti, non fuoriuscite complessive di singoli Paesi dal programma ma una diminuzione ed un rallentamento dell'attuazione del programma da parte di tutti i partner industriali, compresi gli Stati Uniti. Per questo nel 2009 il Partito Democratico in Commissione difesa aveva chiesto un approfondimento specifico sulle compatibilità economiche del programma che considerasse la fase che il Paese stava attraversando. Avevamo chiesto informazioni precise sulle ricadute industriali ed occupazionali, e avevamo chiesto sostanzialmente nell'ormai lontano 2009 un ripensamento dell'opportunità del programma. Nel parere che la Commissione diede, senza la nostra partecipazione al voto, favorevole all'avviamento del finanziamento del programma era inclusa una sola condizione, quella che il Governo ogni anno riferisse al Parlamento sullo stato di avanzamento del programma soprattutto rispetto alle sue compatibilità economiche, alle ricadute industriali e occupazionali, allo stato di risoluzione di questi problemi cui avevo accennato.
Dal 2009 al 2012 il Parlamento non ha mai ricevuto nessun tipo di comunicazione dal Governo rispetto a questo programma, Pag. 31e credo che questa mancanza di trasparenza sia stata un importante fattore negativo anche rispetto alla sensibilità che il sistema mediatico e l'opinione pubblica hanno avuto in questi ultimi mesi. Meno trasparenza c'è su questo tipo di investimenti più diventa problematico per chiunque, anche per chi è profondamente convinto (come alcuni nostri colleghi lo sono) della validità del programma, sostenerlo pubblicamente. Su questo programma c'è bisogno anzitutto di questo, di trasparenza, e devo dire che questo Governo l'ha introdotta dopo 3-4 anni di totale buio.
Allo stesso modo credo che sia stata positiva la decisione del Ministro di ridurre da 131 a 90 il numero di velivoli che si sta pensando di ordinare. La nostra mozione nel dispositivo ha un punto qualificante.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

FEDERICA MOGHERINI REBESANI. Dati i problemi che ci sono stati negli altri Paesi, a partire dagli Stati Uniti, sia di bilancio che di valutazione tecnica, tutti gli altri Paesi coinvolti nel programma non chiudono oggi, nel 2012, la valutazione finale su quanti aerei complessivamente acquisteranno (che sia nell'ordine delle centinaia, o che sia nell'ordine delle decine). Gli stessi Stati Uniti stanno rinviando a dopo il 2017 il numero complessivo finale dei loro ordini, ed è il principale Paese produttore. Noi crediamo che il nostro Paese debba tenere aperta la porta a una valutazione complessiva, trasparente nel tempo, per valutare ulteriori riduzioni, da qui ai prossimi anni, che (così com'è stato fatto adesso con la riduzione da 131 a 90) consenta al nostro Paese di tenere conto del quadro strategico internazionale e delle esigenze del bilancio (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cicu, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00920. Ne ha facoltà.

SALVATORE CICU. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la mozione a mia prima firma si limita a trattare solo ed esclusivamente l'argomento dell'acquisto relativo al programma dei sistemi d'arma e, cioè, del Joint Strike Fighter. Ma gli spunti che ho potuto raccogliere rispetto a delle riflessioni che ritengo fortemente interessanti mi stimolano ad ampliare preliminarmente l'oggetto del mio intervento. Credo che, in maniera particolare l'ultimo intervento, possa essere condiviso nella parte in cui non si può non tenere conto del fatto che le nostre Forze armate, soprattutto nell'ultimo decennio, hanno svolto e svolgono un ruolo centrale e fondamentale nello scacchiere geopolitico della difesa a livello internazionale. E certamente - dico una cosa elementare - noi facciamo parte di organizzazioni internazionali con cui ci rapportiamo e con le quali decidiamo come e dove intervenire diversificando, attraverso una valutazione geostrategica, quali sono gli obiettivi da raggiungere, non certo per fomentare o per innescare guerre, ma certamente, al di là dei termini italiani e inglesi, per intervenire con le nostre Forze armate e inserirci soprattutto in contesti che riguardino processi di democrazia dei Paesi dove interveniamo.
Naturalmente, e contestualmente, con una partecipazione che è anche quella della cooperazione e del sostegno sociale, culturale e giuridico. Insomma, noi agiamo in maniera globale, non certamente per imporre a qualcuno la storia futura, ma per realizzare, insieme alla decisione soprattutto dei Paesi liberi, come e in che modo si possano raggiungere obiettivi di democrazia e di libertà.
Perché dico questo? Perché non vorrei che in qualche modo si innescasse un meccanismo strano: è evidente che noi come Parlamento abbiamo votato e deliberato in maniera precisa quali missioni sostenere, quali obiettivi raggiungere, soprattutto quali missioni poi debbono essere considerate ancora in prospettive valide e quali, invece, già abbiamo individuato che avranno una definizione di scadenza.
Tutto questo perché il Parlamento ha sempre partecipato nell'individuazione che Pag. 32serve a definire in maniera trasparente la nostra partecipazione. Non voglio dimenticare qua il prezzo che le nostre Forze armate, con uomini e donne straordinari, hanno pagato e pagano per portare avanti un progetto di sicurezza per il nostro Paese e per la libertà degli altri Paesi. Non vorrei esimermi dal ricordare che abbiamo due militari, i due marò, che si trovano in questo momento in una fase delicatissima sotto tutti i punti di vista, forse perché delle norme precise non sono state definite da questo Parlamento. Non vorrei dimenticare insomma che le nostre Forze armate sono, all'interno del contesto internazionale, un momento di credibilità del nostro sistema di democrazia parlamentare. Questo ci tengo a sottolinearlo perché credo sia importante una disponibilità di reciproca fiducia tra le Forze armate e questo Parlamento.
Quando si parla di trasparenza, quindi, non ho dubbi che si agisca in totale trasparenza. Sicuramente c'è bisogno, però, che il dibattito parlamentare e, quindi, la valutazione e l'esame del Parlamento debbano avere degli elementi in più, possano cioè partecipare attivamente, non certo alla valutazione tecnica, che non può essere rimessa a coloro che non hanno questo ruolo, ma certamente ad un indirizzo politico che riguarda soprattutto la fase del confronto con gli alleati e quell'elaborazione di processo e di individuazione sempre di più della partecipazione militare, cercando di capire, nel prossimo futuro, come e in che modo noi andremo ad inserirci nel contesto geostrategico.
È fondamentale ricordare che in questi giorni il Ministro Di Paola ha partecipato costantemente al lavoro delle Commissioni per trasferire la propria impostazione, la propria valutazione ed il proprio pensiero rispetto a quello che dovrà essere il nuovo modo di riorganizzare lo strumento militare.
È certamente un'analisi e una valutazione complessa, che è ancora in fase di approfondimento e di confronto. È una valutazione che non può pensare di essere definita, ultimata e conclusa con una mozione che certamente apre e rafforza questo tipo di confronto, ma che non può certo definirla. Da qui la scelta del mio gruppo di non addentrarsi in questo momento nel confronto che attiene a questo tipo di valutazioni, ciò perché riteniamo che ci debbano essere ulteriori confronti, ulteriori sviluppi, ulteriore contributo da parte del Parlamento che non può essere definito con il semplice indirizzo contenuto in una mozione.
È evidente che vi sono diversi aspetti che dobbiamo considerare, ma, in maniera fondamentale, ciò che vive il Paese e ciò che vive il mondo è: una crisi di sistema, una crisi di sistema economico, una necessità quindi di razionalizzare, di ottimizzare e di puntare a sostenere oggi quello che serve affinché non vi siano sorprese rispetto a quello che viene definito default, cioè al fallimento del sistema del nostro Paese o del sistema europeo.
In questa logica il rigore e l'equità devono essere indirizzati anche e soprattutto a settori come quello della difesa. Ecco perché personalmente ma anche il mio gruppo auspichiamo che vi sia una valutazione attenta, che si abbini appunto la trasparenza a quello che è un elemento di progressiva capacità di guardare a quello che occorre, anche in termini di strumento militare, cercando soprattutto, nella comparazione con gli altri Paesi, in maniera particolare con gli Stati Uniti e l'Europa, di capire come stanno le cose. Gli Stati Uniti, lo ricordo, sullo stesso progetto hanno posto delle serie limitazioni e parlano, in proiezione, addirittura del 2017; dobbiamo rapportarci anche con l'Europa, con la quale abbiamo logicamente una cooperazione continuativa, che serve a parlare lo stesso linguaggio, lo stesso linguaggio politico, ma anche quello dei programmi d'armi.
Sappiamo esistere anche il progetto che riguarda l'Eurofighter, per cui, essendo già in fase avanzata, io credo che su tutto questo debba esserci una riflessione attenta, che tenga conto della destinazione delle risorse di cui in questo momento il Paese ha bisogno. Dobbiamo considerare quali sono le esigenze reali che in questo Pag. 33momento viviamo. Le esigenze reali naturalmente le valutiamo soprattutto nel momento in cui vi è necessità di cambiare gli strumenti perché sono desueti, perché non sono più affidabili. Pertanto quando si parla di sicurezza dei nostri soldati e delle nostre Forze armate è chiaro che dobbiamo guardare all'efficacia e all'efficienza degli strumenti. Credo che questa comparazione, tra quello che occorre al sistema civile e quello che occorre al sistema militare, poi, alla fine, vadano ad integrarsi. Infatti il sistema militare non è altro che una destinazione di sicurezza per il sistema civile ed una destinazione di crescita e di credibilità nel contesto internazionale, per quel recupero di fiducia che noi dobbiamo realizzare. Quindi mi sembra che vi sia un'osmosi, che non possiamo dividere il contesto ma occorra valutare, obiettivamente e serenamente, quali sono i problemi.
Io credo che occorra far fronte ad una necessità, cioè che il Governo si impegni a presentare in Parlamento nei prossimi giorni il piano di investimenti che intende sostenere, con una prospettiva, noi riteniamo, di medio-lungo termine, tenendo conto appunto delle disponibilità finanziarie a legislazione vigente e, quindi, a riconsiderare alcuni aspetti - ma l'ho già detto in un precedente passaggio - così come stanno facendo gli altri Paesi coinvolti nel progetto Joint Strike Fighter, subordinando le decisioni ad una valutazione complessiva, che attiene appunto alle esigenze operative che sono state diffusamente richiamate e allo stato di avanzamento del progetto stesso e ai costi ad esso collegati.
Insomma, viviamo una fase dove occorre una disponibilità reciproca ad una valutazione complessiva: Parlamento ed Esecutivo, soprattutto in questo settore, devono trovare un'intesa comune perché è in gioco l'interesse del Paese, ma, soprattutto, quello di non far prevalere l'utopia. Credo che il sogno, la speranza di tutti sia che nel mondo non vi siano più guerre e che non esistano più forze armate o soldati. Tuttavia, sappiamo che, pur mantenendo questa grande fiducia e questa grande speranza, in maniera pragmatica, chissà per quanto tempo ancora, invece, dovremo sostenere progetti di sicurezza che vedranno impegnati uomini e donne specializzati, professionalmente competenti e culturalmente preparati, affinché vadano a difendere non solo la sicurezza dei nostri confini, ma anche progetti e processi di libertà nel mondo. Questi uomini e donne, certamente, hanno bisogno di strumenti operativi e di garanzie di sicurezza per poter realizzare questi obiettivi e queste condizioni.
Tutto ciò, naturalmente, ha bisogno non di posizioni ideologiche, non di posizioni preconcette, non di sentimento dell'opinione pubblica: infatti, nel momento in cui i nostri artigiani, le nostre piccole e medie imprese, i nostri agricoltori, i nostri allevatori, insomma tutto quello che si riconduce al sistema del lavoro, soffre, non resiste e non riesce a realizzare, oggi, in maniera precisa, una speranza di possibilità di progetto di vita, nel momento in cui si sente dire che risorse ingenti vengono destinate ad un progetto di sistemi d'arma, è evidente che tutto questo va a cozzare e ad implodere.
Dobbiamo avere la capacità di far capire che, innanzitutto, bisogna guardare al nostro sistema delle imprese, al nostro sistema del lavoro, al nostro sistema economico, ma, contestualmente, con la trasparenza e le riduzioni che occorrono e, soprattutto, con progetti di ampio respiro da verificare e da valutare nel tempo, magari quando il nostro sistema imprenditoriale sarà più forte, più garantito e tutelato, potremo parlare di nuovo, eventualmente, di ambizione di investimenti, i quali, comunque, dovranno sempre tenere conto di quella che sarà la realtà degli interventi e, quindi, della necessità di una valutazione che lo stesso Parlamento potrà realizzare.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Misiti, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00908. Ne ha facoltà.

AURELIO SALVATORE MISITI. Signor Presidente, anch'io ribadisco la posizione Pag. 34che molto spesso abbiamo illustrato in quest'Aula sulle condizioni della finanza pubblica del nostro Paese e le preoccupazioni per le pressioni che esercitano i mercati sui titoli del debito pubblico italiano. Questa situazione evidentemente ha portato e comporterà ancora molta attenzione e ha portato anche a misure straordinarie per consolidare la fiducia dei mercati e delle maggiori istituzioni internazionali nei confronti dell'Italia.
Noi, però, sappiamo che la difesa è un settore sul quale è ancora possibile incidere, in quanto sono necessarie, certamente, razionalizzazioni degli investimenti e anche una riduzione degli eventuali sprechi. Dobbiamo, quindi, salvaguardare la futura operatività dello strumento militare, senza escludere investimenti secondo le possibilità del Paese. Le Forze armate devono garantire, in questo modo, anche lo sviluppo tecnologico e un sensibile incremento della ricerca scientifica e tecnologica, e portare alla lunga anche molti vantaggi.
Le spese di funzionamento che garantiscono il mantenimento nel tempo di capacità operative essenziali per lo strumento militare sono certamente l'addestramento del personale e la manutenzione dei mezzi, e vanno salvaguardate. Tra le questioni più impellenti, in questo momento, vi è, certamente, l'adesione al programma JSF, la quale, ad avviso di Grande Sud, si ritiene necessaria, in quanto ad uno strumento militare serio non può mancare la componente aerea.
Non possiamo, infatti, trascurare il fatto che la nostra attuale dotazione deve essere ammodernata e la scelta degli F-35 è ritenuta tecnologicamente, operativamente e industrialmente valida. Già lo stesso Governo, parlo di questo Governo, nel confermare questa scelta ha cominciato a dichiarare, attraverso il Ministro della difesa, che per l'Italia sarebbe necessaria una riduzione, una razionalizzazione non solo del personale, ma anche di questo programma, tant'è vero che si pensa di ridurre il numero degli effettivi alle armi; in effetti tale numero andrebbe collegato alle possibilità di spesa che ha, in questo momento, il nostro Paese. Le eventuali storture che emergeranno vanno eliminate attraverso una politica militare italiana che deve essere basata, soprattutto, sulla prevalenza del merito rispetto a quella dell'anzianità.
Chiediamo, quindi, nella nostra mozione che il Governo si impegni a valutare la possibilità di contenere l'ampiezza delle prossime campagne di arruolamento, di predisporre la mobilità verso altre amministrazioni, se ci fosse personale sovrappiù e specializzato, e vogliamo anche essere sicuri che ci sia la partecipazione nazionale a tutti i più importanti programmi multinazionali di progettazione, di sviluppo e di produzione dei mezzi strumentali, suscettibili di avere ripercussioni occupazionali e soprattutto sviluppi scientifici e tecnologici nel nostro Paese. Non dimentichiamo che, purtroppo, proprio in occasione di eventi bellici si sono avuti, per l'umanità, i maggiori salti nella ricerca scientifica e tecnologica e le migliori conquiste della scienza.
A nostro avviso, occorre, quindi, confermare la riduzione della commessa per la produzione e l'acquisto dei cacciabombardieri; è questa una necessità che deriva dalla situazione economica e politica di questo momento. Non possiamo pensare a un blocco di questa adesione, alla possibilità di non aderire a questo programma ma, secondo le intenzioni del Governo, condividiamo l'intenzione di portare il numero degli F-35 da 131 a 90; ciò mi sembra molto opportuno, come pure opportuno ci sembra il fatto di razionalizzare assolutamente le spese, di insistere sulla formazione, insistere sulla qualità, sulla specializzazione e insistere sul merito rispetto all'anzianità.
Quindi, Grande Sud approverà, e lo ripeteremo quando si tratterà di svolgere le dichiarazioni di voto, tutte quelle mozioni che vanno in questa direzione; credo, invece, che non potremo che votare contro quelle mozioni che dovessero pensare a un blocco di questa adesione e a un depauperamento delle nostre Forze armate - Forze armate che comunque appartengono Pag. 35 a uno tra i primi dieci Paesi più economicamente avanzati del mondo.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire successivamente.
Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta. Sospendo la seduta, che riprenderà alle ore 15,30.

La seduta, sospesa alle 14,45, è ripresa alle 15,35.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROSY BINDI

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che non vi sono ulteriori deputati in missione.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente trenta, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Discussione delle mozioni Montagnoli ed altri n. 1-00896, Lombardo ed altri n. 1-00901, Fluvi ed altri n. 1-00910 e Misiti ed altri n. 1-00911 concernenti misure a favore delle piccole e medie imprese in materia di accesso al credito e per la tempestività dei pagamenti delle pubbliche amministrazioni (ore 15,36).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Montagnoli ed altri n. 1-00896, Lombardo ed altri n. 1-00901, Fluvi ed altri n. 1-00910 e Misiti ed altri n. 1-00911 concernenti misure a favore delle piccole e medie imprese in materia di accesso al credito e per la tempestività dei pagamenti delle pubbliche amministrazioni (Vedi l'allegato A - Mozioni).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
Avverto che sono state altresì presentate le mozioni Crosetto ed altri n. 1-00913 e Borghesi ed altri n. 1-00916 (Vedi l'allegato A - Mozioni) che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente. I relativi testi sono e distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritto a parlare l'onorevole Fugatti, che illustrerà anche la mozione Montagnoli ed altri n. 1-00896, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

MAURIZIO FUGATTI. Signor Presidente, la problematica che la Lega introduce all'interno dell'Aula quest'oggi, con questa mozione concernente misure a favore delle piccole e medie imprese in materia di accesso al credito e per la tempestività dei pagamenti delle pubbliche amministrazioni, è materia già trattata più volte, sia nelle Commissioni competenti che all'interno di quest'Aula, ma che, col passare dei mesi e delle settimane, si fa sempre più attuale e sempre più necessaria per le problematiche di liquidità che riguardano le nostre realtà produttive.
Vi è tutta una serie di fattori che va ad incidere sulle difficoltà, oggi, di chi produce, di avere liquidità all'interno del proprio bilancio di impresa. Vi è una crisi generale, e oggi sappiamo che le stime sul prodotto interno lordo per quest'anno, il 2012, fatte da diversi istituti, parlano di un calo del prodotto interno lordo dell'1-1,5 cento, Pag. 36 altri, addirittura, di un calo dell'1,7 per cento, e ciò si sta facendo sentire sulle commesse e sugli ordini delle realtà imprenditoriali.
Vi è una questione europea generale che riguarda il nostro sistema bancario, il sistema bancario europeo, che, casualmente, viene ad avere le proprie ripercussioni proprio in questo momento. A cosa ci riferiamo? Ci riferiamo al fatto che in Europa, tra le tante idee geniali - per noi poco geniali -, degli ultimi anni, ve ne è una che introduce un meccanismo che possiamo definire prociclico, nell'imposizione dei rapporti tra le banche e le piccole e medie imprese. A cosa ci riferiamo? La crisi del 2007 fu una crisi di tipo finanziario, in quel momento alcune banche - non italiane, dobbiamo dirlo - andarono in crisi e lo Stato fu costretto ad intervenire, perché altrimenti le banche sarebbero fallite. In tale campo dobbiamo dire che le banche italiane sono state probabilmente le uniche, a livello europeo, a riuscire ad essere in grado di monitorare l'erogazione del credito, e monitorarono talmente bene le modalità con cui il credito era stato erogato che le stesse non ebbero bisogno di un intervento dello Stato. Vi furono, sì, i Tremonti bond, ma ve ne fu un utilizzo limitato e comunque qualitativo, nel senso che andarono a rafforzare alcuni istituti di credito, ma in modo appunto limitato. In altri Paesi - anche Paesi a cui oggi guardiamo con una certa invidia per la loro crescita di PIL - lo Stato fu costretto ad intervenire, perché altrimenti le banche sarebbero fallite. In Europa, a fronte di questa situazione, hanno pensato bene - male, secondo noi - di introdurre alcuni criteri. L'EBA, l'autorità bancaria europea, oggi dice alle banche europee che devono avere determinati parametri di patrimonializzazione.
Cioè, dice loro: dovete avere un capitale vostro interno che deve essere in grado di rispondere ad un'altra eventuale crisi, come fu quella del 2007 così, qualora vi fosse, lo Stato non sarebbe più costretto a intervenire e a coprire le perdite di queste banche a rischio fallimento. Quindi, questa è la genesi dei vari criteri di patrimonializzazione che oggi l'Autorità bancaria europea sta imponendo alle banche europee e anche a quelle italiane. L'ultima ricapitalizzazione, che è stata di UniCredit Banca, è andata in quella direzione.
Ma questo cosa causa in un momento di crisi economica? Causa, in primo luogo, che le banche sono costrette ad utilizzare il capitale che hanno, invece di erogarlo alle imprese, al proprio interno per far crescere i criteri di patrimonializzazione. In secondo luogo, magari quel capitale non ce l'hanno e sono costretti ad andare a prenderlo sul mercato, andando ad impoverire il mercato di liquidità, liquidità che potrebbe essere necessaria per le piccole e medie imprese.
In terzo luogo, facendo queste operazioni, il costo della liquidità sui mercati finanziari va a crescere e va a crescere quindi ancora, conseguentemente, il costo del finanziamento per le piccole e medie imprese. Quindi questa scelta dell'Autorità bancaria europea, che sta imponendo e contro la quale diversi Governi si stanno muovendo - sappiamo che anche questo Parlamento più volte ha fatto presente questa negatività - sta causando una perdita di liquidità all'interno delle banche che si concretizza nel cosiddetto razionamento del credito nei confronti delle realtà imprenditoriali. A questo, oltretutto, si aggiunge la crisi economica, finanziaria di questo Paese che non ha le risorse per rispondere ai propri debiti nei confronti di fornitori dello Stato - si valutano in 70-80-100 miliardi di euro i crediti delle piccole e medie imprese e del mondo imprenditoriale nei confronti del settore della pubblica amministrazione - e quindi abbiamo imprese che non riescono ad incassare i propri crediti. Questo è lo scenario che oggi abbiamo di fronte.
Quindi, quello che deve fare chi ha il compito di sfornare leggi e provvedimenti è cercare di risolvere questa situazione. Le modalità possono essere diverse. Sappiamo che ci sono oggettivamente delle difficoltà, perché oggi per lo Stato italiano andare a reperire 70 miliardi, ma anche solo 7 miliardi è oggettivamente difficile, però ci sono delle regole che ci vengono Pag. 37imposte - che sono quelle che citavo prima - dall'Europa e dall'Autorità bancaria europea, sulle quali, a nostro avviso, il Governo dovrebbe cercare di intervenire.
Infatti, non è possibile che oggi vengano attuate regole che, invece di risolvere la situazione, creano ulteriori problemi. Quando abbiamo parlato prima del fatto che si tratta di regole procicliche ciò significa che, poiché siamo in una situazione di recessione, queste regole, invece di farla diminuire, hanno l'effetto di aumentarla ancora di più per i motivi che prima abbiamo spiegato. Quindi noi crediamo che il Governo debba prendersi - questo è uno dei punti all'interno di questa mozione - il compito di andare presso le autorità competenti europee e far capire che quei criteri di patrimonializzazione che vengono imposte alle nostre banche devono essere in qualche modo rivisti. Come, per esempio? Si potrebbe prevedere che magari nei confronti di quelle banche che si impegnano a utilizzare le risorse verso le piccole e medie imprese si utilizzino parametri meno stringenti. Sappiamo che le nostre banche sono andate a finanziarsi presso la Banca centrale europea con due tranche, una qualche settimana fa e una pochi giorni fa, all'1 per cento. Con riferimento alla prima tranche le banche si sono giustificate del fatto che non l'hanno girata al mondo imprenditoriale perché avevano delle loro obbligazioni interne e delle partite aperte che dovevano sistemare. Va bene, la prima tranche è andata. Oggi c'è la seconda tranche, ma ci vengono a dire ancora che ci sono delle partite loro interne da sistemare.
Noi crediamo che l'ultimo finanziamento che le banche italiane sono andate a chiedere alla Banca centrale europea debba essere erogato alle piccole e medie imprese. All'interno della nostra mozione vi è un aspetto che, a nostro modo di vedere, è quasi innovativo e che va a dare anche un indirizzo su quali devono essere le politiche economiche di un Governo. Noi proponiamo di prestare attenzione a quelle banche che hanno una certa possibilità di liquidità e, istituito un tavolo con il Ministero, con l'ABI, con chi per esso, per quelle banche che si impegnano e che effettivamente erogano credito, lo Stato cominci ad intervenire con incentivi e con sgravi fiscali; faccia vedere che lo Stato c'è nei confronti di quelle banche che, invece di utilizzare finanziariamente le risorse che, per esempio, adesso provengono dalla Banca centrale europea, le utilizzano per l'economia reale.
Infatti, se una banca prende i finanziamenti all'1 per cento dalla BCE e poi li investe in titoli di Stato al 4 per cento, è una cosa diversa che investirli nel mondo dell'impresa. Una banca fa finanza, mentre una banca svolge il suo mandato classico, che è quello di banca tradizionale. Quindi, nei confronti di queste banche tradizionali lo Stato può cominciare a pensare di avere un atteggiamento nel mondo fiscale diverso rispetto a quello che ha nei confronti delle banche che fanno finanza.
Questo è un aspetto che crediamo essere un po' innovativo, una specie di suddivisione tra due tipi di soggetti bancari oggi nel nostro Paese: le banche tradizionali, cioè quelle che erogano credito e che si assumono il rischio di concederlo ma che sono «sul pezzo» della crescita economica del Paese, e le banche che svolgono un altro tipo di attività, del tutto legittima, sia chiaro, non illegittima, che però non è economia tradizionale. Dobbiamo cominciare ad imporre, a nostro modo di vedere, sul sistema economico anche con riferimento a come uno Stato tratta il proprio sistema degli intermediari creditizi, questa suddivisione tra chi fa banca per l'impresa e chi fa banca per la finanza. Nei confronti di chi fa banca per l'impresa lo Stato può avere un atteggiamento benevolo sotto l'aspetto fiscale, mentre chi non fa banca per le imprese è libero di non farlo però lo Stato non può applicare gli stessi criteri che applica agli altri.
Questi sono alcuni aspetti, che ritengo i più importanti, gli aspetti più innovativi, che sono inseriti all'interno di questa mozione. È una mozione alla quale, come abbiamo visto, dopo la sua presentazione, ne Pag. 38 sono seguite delle altre da parte dei vari colleghi dei vari gruppi e che sicuramente approfondiremo, alcune le condividiamo, altre meno. Tuttavia, crediamo che oggi, in questo momento di crisi di liquidità del sistema delle imprese, occorra cominciare a guardare con un'ottica diversa nel nostro sistema dell'impresa e nel nostro mondo degli intermediari creditizi (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Causi, che illustrerà anche la mozione Fluvi ed altri n. 1-00910, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

MARCO CAUSI. Signor Presidente, la mozione che mi appresto ad illustrare parte da una grande preoccupazione che nel mondo dell'impresa italiana si è diffusa a partire dal mese di ottobre, di novembre, per la negativa evoluzione ciclica dell'economia reale e per la connessa negativa evoluzione ciclica del credito all'economia reale. Che non si tratti di un allarme infondato lo dimostrano le stesse parole che il governatore Ignazio Visco qualche giorno fa ha rilasciato inaugurando l'Assiom Forex.
Nella relazione di Ignazio Visco si certifica che, nel solo mese di dicembre 2011, il credito erogato alle imprese italiane si è contratto di 20 miliardi di euro. Non è una piccola cifra, è una cifra rilevante anche dal punto di vista macro-economico. Sembra, dai dati della Banca d'Italia, che la contrazione nominale del credito alle imprese sia continuata anche durante il mese di gennaio e sembra che durante il mese di febbraio inizino ad esserci solo timidi segnali di recupero. Quindi, la preoccupazione che proviene dal mondo delle imprese è una preoccupazione vera. Essa ha origine - naturalmente dobbiamo sempre ricordarlo - da eventi esogeni, da eventi esterni e da questioni internazionali ed europee di grandissima rilevanza.
In particolare, nei mesi da ottobre a dicembre dell'anno scorso, per effetto dell'acuirsi della crisi dei debiti sovrani e dell'interrelazione tra esposizioni delle banche europee in titoli del debito pubblico degli Stati europei e crisi dei debiti sovrani, si è realizzata una gravissima crisi del complesso comparto dell'intermediazione bancaria e finanziaria europea. Ciò ha comportato un impoverimento dei flussi di finanziamento interbancario, una riduzione dei flussi di capitale che arrivano alle banche europee da fuori dell'Europa e una riduzione anche della capacità del mercato di assorbire le obbligazioni bancarie, anche quelle garantite dagli Stati.
In questa condizione di grave crisi dell'interbancario in Europa, la Banca centrale europea ha cominciato a fare delle importanti operazioni di rifinanziamento, cosiddette non convenzionali. Tuttavia, quella di dicembre e quella di qualche giorno hanno certamente permesso al sistema bancario europeo di respirare e di tornare ad avere liquidità, ma restano molte preoccupazioni sulla capacità e sulla possibilità da parte del sistema bancario europeo di trasformare queste operazioni anche a vantaggio dell'economia reale per una contemporanea fase di difficoltà dell'economia reale, che comporta un aumento delle sofferenze bancarie e della valutazione dei rischi.
La preoccupazione è, quindi, grande, ma la preoccupazione, signor Presidente, da parte delle imprese italiane è anche per l'evoluzione normativa in questo settore. Infatti, si tratta di un'evoluzione normativa che vede due principali questioni. La prima, più importante e più di lungo termine, è quella connessa all'adozione del regolamento e della direttiva in corso di discussione al Parlamento europeo sulla questione della vigilanza sui mercati finanziari meglio nota come Basilea 3. La seconda questione normativa ha avuto origine da una decisione dell'Autorità bancaria europea (questa, invece, è congiunturale e non strutturale) intervenuta tra i mesi di ottobre e dicembre proprio contemporaneamente all'acuirsi dei problemi di finanziamento sul mercato bancario.
Voglio ricordare a tutti noi che, proprio pochi giorni fa, la sesta Commissione finanze di questa Camera ha adottato all'unanimità Pag. 39 (quindi con l'accordo di tutti i gruppi politici presenti in Commissione) un documento finale che si inserisce nella fase di procedura ascendente relativo alla valutazione parlamentare nazionale e poi europea delle proposte di regolamento e di direttiva in merito alla questione di Basilea 3. Tale documento contiene una lunga serie di valutazioni, di osservazioni e di inviti al Governo affinché nelle competenti sedi di decisione dell'Unione europea (prima in Parlamento, ma anche nelle sedi intergovernative) si adottino dentro Basilea 3 e dentro le procedure della European banking authority alcuni accorgimenti per evitare che queste nuove normative possano avere degli effetti prociclici. Dobbiamo lamentarci perché ciò è accaduto, ad esempio, nel caso della decisione dell'EBA, tra la fine di ottobre e l'inizio di dicembre.
Inoltre, vi è anche l'impegno, al di là del ciclo congiunturale, ad adoperarsi affinché le nuove normative siano in grado di rispondere al tema di una maggiore valutazione del rischio bancario, che è uno degli elementi con cui rispondere anche alla crisi del 2008. Infatti, siamo tutti d'accordo nel valutare che uno degli elementi della crisi finanziaria del 2008 è stato un eccesso di deregolamentazione bancaria. Tuttavia, occorre anche adoperarsi affinché queste nuove normative di migliore regolazione del rischio dell'attività bancaria non si ripercuotano in modo negativo da un lato a secondo del tipo di banca e, dall'altro lato, a seconda del tipo di strutture economiche che esistono in diversi Paesi perché esistono banche diverse.
Una cosa sono le banche che mischiano attività di investimento e di intermediazione commerciale, altra cosa sono le banche, come prevalentemente quelle italiane, che adottano un modello di intermediazione bancaria pura. Una cosa sono le grandi banche che hanno rischi sistemici, altra sono le banche di minori dimensioni collegate all'economia locale. Una cosa sono le banche for profit, altra cosa sono le banche no profit collegate, ad esempio, al modello cooperativo e al modello delle casse rurali.
Ma anche dal punto di vista dell'economia reale queste nuove normative possono avere impatti negativi se non tengono conto, ad esempio, della particolarità che hanno i sistemi di valutazione di rischio delle piccole e medie imprese oppure, ancora, dei diversi sistemi di ponderazione delle attività e delle passività finanziarie che vanno adottati nei diversi Paesi europei e su cui si mantiene, da parte delle diverse autorità di vigilanza europee, un comportamento difforme, con la Banca d'Italia, la nostra autorità di vigilanza, che giustamente - e per fortuna - è molto rigorosa e molto rigida perché questo rigore della Banca d'Italia ci ha anche salvato da alcuni eccessi della finanza speculativa del decennio precedente. D'altra parte, poniamo il nostro Paese in condizione di subire dei veri e propri svantaggi competitivi a danno di altri Paesi che hanno autorità di vigilanza, invece, meno rigorose e meno occhiute di quanto giustamente, invece, la Banca d'Italia non sia.
Quindi, mi auguro - e con questo concludo - che anche in occasione della discussione di queste mozioni possa avvenire ciò che è avvenuto pochi giorni fa in VI Commissione (Finanze), in occasione del varo unanime del documento che il Parlamento italiano, in merito a Basilea 3, ha inviato a Strasburgo in fase di procedura ascendente: ossia che tutte le forze politiche di questo Parlamento possano convenire su un insieme di proposizioni, che sono poi essenzialmente quelle già contenute nel documento della VI Commissione, invitando il Governo a difendere, nel migliore dei modi possibili, gli interessi nazionali nella partita delle nuove normative bancarie nonché ad attuare quanto nelle sue possibilità affinché Basilea 3 abbia un'applicazione coerente rispetto alle condizioni complessive dell'economia europea e italiana. Un'attuazione che, soprattutto, grazie all'adozione di normative di vigilanza uguali in tutti i Paesi e, quindi, grazie, se volete, ad una riduzione della Pag. 40discrezionalità che ancora oggi le autorità di vigilanza nazionali hanno, possa consentire di superare alcune condizioni di svantaggio competitivo che, di fatto, per il sistema bancario italiano e per il sistema delle imprese italiane, possono essere molto gravi, soprattutto nella crisi attuale.
Pertanto, concludo invitando i diversi gruppi politici ad un lavoro, nelle prossime ore, per convergere su un documento comune che possa, riprendendo lo spirito delle dichiarazioni della VI Commissione, presentare un Paese unito dietro un Governo che è in grado oggi di trattare a livello europeo meglio e con più attenzione - forse con meno disattenzioni - dei Governi che lo hanno preceduto (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bernardo, che illustrerà anche la mozione Crosetto ed altri n. 1-00913, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

MAURIZIO BERNARDO. Signor Presidente, sottosegretario Polillo, oggi illustriamo una mozione che contiene elementi delicati, che riguarda famiglie e imprese italiane nel loro rapporto con il sistema bancario che credo debba essere messo in discussione per alcuni aspetti. Affermo ciò anche con riferimento al periodo attuale che stiamo vivendo, ad un periodo storico nel quale si è parlato di crisi dei mercati finanziari e poi di crisi reale che ha investito le famiglie e le imprese italiane. È necessario, dunque, un modo nuovo di rapportarsi e di riferirsi al mondo del credito; pertanto rivolgiamo al Governo l'invito ad agire anche rispetto ad una continuità che ci auguriamo venga portata avanti in ordine a situazioni che hanno investito anche chi ha preceduto il Presidente del Consiglio Monti e mi riferisco a quanto è stato fatto nel corso degli anni precedenti. Si tratta di un argomento che, come dicevo, è estremamente delicato anche perché l'attualità ci impone di mettere in risalto alcuni elementi che ci vengono sottoposti non soltanto in quelle occasioni che noi alimentiamo nel rispetto del rapporto con il Parlamento e con le Commissioni competenti.
È d'attualità anche l'incontro con il presidente dell'ABI, laddove sono emersi alcuni elementi necessari e opportuni tali da rivedere quell'intesa che ha riguardato e riguarda Basilea 3, arrivando a pensare anche a parametri meno stringenti nell'interesse del mondo del credito, ma anche e soprattutto delle nostre piccole e medie imprese.
Occorre pensare di dare vita ad un tavolo che, oltre al Governo, veda presenti la Banca d'Italia, il sistema produttivo, l'ISTAT e quegli organismi che raccolgono degli elementi importanti per dare degli strumenti di valutazione su come affrontare quello che veniva ricordato anche prima da parte dei colleghi. Dobbiamo ricordare alcuni interventi, quelli degli onorevoli Alfano e Cicchitto; noi abbiamo sempre immaginato di dare quel giusto sostegno, come forze politiche, al mondo bancario italiano, qualora vi fossero degli elementi necessari e opportuni per contribuire a rilanciare l'economia del nostro Paese.
Ricordiamo bene anche ciò che è accaduto a dicembre a proposito di quella nomina importante su cui il nostro Paese e il precedente Presidente del Consiglio si erano spesi: è stata individuata, all'interno del sistema della banca centrale europea, una figura italiana che potesse fornire un contributo importante, al di là degli scenari internazionali che ci portano a volte a mettere un po' sotto i riflettori quel momento di confronto soprattutto con la Germania e poi successivamente anche con la Francia, e credo che, da questo punto di vista, potremmo anche avere qualcosa da dire rispetto al sistema bancario francese. Ebbene, quella continuità che noi abbiamo chiesto e quel sostegno che riteniamo opportuno e adeguato, a fronte della preoccupazione di alcune forze politiche che pensavano arrivassimo a immaginare uno scenario diverso nei confronti del mondo del credito, ci devono però portare a fare alcune valutazioni che riteniamo importanti a sostegno dell'economia e del rilancio del mondo delle Pag. 41imprese per i tanti segnali che emergono, laddove quel trasferimento di risorse in una prima tranche a dicembre e poi qualche settimana fa, avrebbe dovuto portare il sistema bancario, anche italiano, a dare quel giusto ossigeno all'economia reale del Paese.
I segnali che ci vengono offerti purtroppo non sono quelli che avremmo voluto o quelli il cui spirito ha alimentato quel trasferimento di risorse, e non si è andati nella direzione che ci saremmo augurati, ossia un nuovo sostegno alle imprese per rilanciare un'economia che non riguarda soltanto il sistema Paese italiano, ma anche il livello internazionale. In un momento così delicato il sistema del credito deve fare un percorso che vede assieme l'una e l'altra parte.
Ebbene, noi con questa mozione chiediamo che alcuni aspetti vengano posti sotto i riflettori con la giusta attenzione. Per quello che riguarda la Banca centrale europea e la parte relativa alla seconda tranche dei prestiti, chiediamo che si vada nella direzione del sostegno alle piccole e medie imprese italiane. Parliamo anche di un sistema che rispetti i tassi agevolati di interesse, che possa rilanciare l'economia del nostro Paese, e quindi di un'attenta parametrazione dei tassi d'interesse rispetto al costo effettivo del denaro per le banche italiane, per quello che è avvenuto nel corso dei mesi scorsi.
Chiediamo anche che vi sia un'attenzione nuova - sottoponendo e invitando anche gli altri Paesi europei e gli organismi europei che sono preposti anche ad entrare nel merito dell'attuazione di Basilea 3 - nei confronti di quei parametri così stringenti che hanno comunque una ricaduta sul sistema del credito anche a livello del territorio locale, eliminando la valutazione a prezzi di mercato che l'EBA applica ai nostri titoli di Stato, che comporta quella che noi consideriamo una sottovalutazione del patrimonio delle banche italiane.
Basti pensare ai titoli di Stato acquistati dalle banche italiane. Entriamo anche nel merito del significato che ha il tema dei requisiti patrimoniali delle banche perché siano introdotti meccanismi di ponderazione del rischio del credito relativo ai prestiti alle piccole e medie imprese, perché comunque si arrivi a compensare l'incremento quantitativo del requisito patrimoniale minimo. La richiesta e l'invito che noi facciamo, laddove in più occasioni abbiamo detto che il primato che questo Governo ha, dopo il passo indietro fatto dal precedente Governo, è quello di avere una maggioranza che consenta di andare più forti in Europa e confrontarsi, in quella sede, su temi che riguardano lo scenario delle politiche economiche - che noi mettiamo al primo posto - laddove c'è anche una ricaduta per quanto riguarda la riforma del lavoro; ma questi sono i temi di cui dovremmo parlare e a cui dovremmo dare priorità.
Altri argomenti che purtroppo ci hanno investiti, producendo effetti anche drammatici all'interno del nostro Paese - come anche quelli di cui abbiamo letto nel corso di questi giorni - sono quello del credito, di cui hanno necessità primaria le aziende e le imprese italiane, come anche quello relativo alle commesse che esse hanno con la pubblica amministrazione, e trovare delle formule che consentano di creare un rapporto nuovo con il mondo del credito, per quello che riguarda anche il rapporto con l'amministrazione finanziaria e quindi per quello che significa il debito gravante a loro carico e relativo quindi alle obbligazioni tributarie, per trovare anche una formula che consenta di stipulare un patto rinnovato tra il mondo del credito e quello delle piccole e medie imprese; quindi trovare delle regole chiare che consentano di rilanciare l'economia e di evitare quei fatti drammatici che ci hanno colpito nei giorni scorsi, e inoltre pensare che se il mondo del credito, laddove ha visto al suo fianco forze politiche importanti e continuerà a dar loro quel conforto necessario, potrà rivedere quell'impostazione di base e ci consenta di rilanciare il Paese, perché in momenti come questo, come in altre occasioni, noi abbiamo invitato il sistema del credito a ritornare alla mission iniziale.
Sappiamo anche quello che ha vissuto non solo il nostro Paese, ma molti altri nel Pag. 42corso degli anni precedenti, e quali effetti negativi ciò abbia prodotto; quindi vedere il Parlamento unito per dare quegli strumenti e quella forza necessaria ad un Governo, che ha mostrato in diverse occasioni, anche con provvedimenti recenti, di promuovere interventi a sostegno del mondo del credito, riteniamo vada anche nella direzione di non far dimenticare quale sia l'elemento finale che utilizza il ricorso al credito: la famiglia italiana e il mondo delle piccole e medie imprese, che è l'impalcatura su cui il sistema Paese si basa. Ecco perché in questa mozione mettiamo in risalto alcuni elementi che riguardano un confronto anche nuovo e rinnovato con gli organismi di politica economica internazionale e con gli altri Paesi che compongono il sistema europeo, soprattutto nell'ambito di quel confronto che vanno al di là dei confini dell'Europa, con gli Stati Uniti, con i mercati del sud-est asiatico, dando quindi a questo Paese gli strumenti necessari per il suo rilancio.
Ecco perché questa è un'occasione importante per sottolineare, come più volte abbiamo fatto, che la mission della fase finale di questa legislatura, debba essere il sistema delle politiche economiche; perciò noi invitiamo il sistema bancario per un verso e il Governo dall'altro ad essere davvero vigili nell'assegnare le giuste risorse a chi ne ha davvero bisogno, soprattutto in momenti come quello che stiamo attraversando - non solo per fattori storici, ma per la crisi che ha investito il mondo a livello planetario - rispetto all'esigenza che abbiamo oggi di essere uniti su un modello comportamentale necessario per il mondo del credito italiano.
Ecco perché è necessario essere a fianco al sistema del credito, come abbiamo avuto modo di sottolineare in più occasioni, affinché venga rispettata la mission del sistema del credito andando nella direzione di vigilare affinché risorse significative e importanti possano avere il giusto destinatario ultimo, immaginando di aprire i rubinetti in maniera diversa da quello che è accaduto fino ad oggi - e quindi con una concertazione che veda presenti il sistema produttivo, come dicevo all'inizio, e la Banca d'Italia, per quello che è il suo ruolo anche di vigilanza - perché il patto con i nostri cittadini andava in questa direzione.
Ecco perché noi vogliamo che questo si verifichi, lo diciamo in maniera corale e ci sta bene; ma che questo porti ad un cambiamento radicale del modello: «sistema bancario, piccole e medie imprese, famiglie italiane».

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Misiti, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00911. Ne ha facoltà.

AURELIO SALVATORE MISITI. Signor Presidente, il credito alle piccole e medie imprese costituisce un problema gravissimo in questo periodo. Già nel 2007 c'era stato un restringimento del volume di questo credito, che ha portato effetti negativi come una riduzione drastica del prodotto interno lordo intorno al 5 per cento. La crisi successiva, dovuta ai debiti sovrani, ha penalizzato ancora il sistema bancario, indebolendone la capacità di raccolta del risparmio e la posizione finanziaria. È chiaro che a questo Parlamento ed a tutta l'Italia interessa che questa situazione finisca al più presto. Proprio l'accordo Basilea 3, varato dal Comitato dei governatori delle banche centrali dei paesi europei, ha come primo obiettivo il rafforzamento del patrimonio bancario, al fine di dare stabilità al sistema ed evitare il rischio di una nuova più grave crisi finanziaria, con conseguenze penalizzanti però per le grandi banche italiane, che hanno dovuto introdurre nuovi criteri per il calcolo dei requisiti patrimoniali basati sulla valutazione a prezzi di mercato dei titoli del debito pubblico. Sappiamo che questo ha portato ad una penalizzazione delle grandi banche italiane, che sono poi le banche che non hanno subito nel 2007 nessun default. Si sono praticamente salvate, in quella circostanza, proprio perché avevano condotto una politica abbastanza seria e rigorosa. Tuttavia, soprattutto le grandi banche hanno dovuto fare lo sforzo di Pag. 43aumentare il proprio patrimonio, valutando a prezzi di mercato i titoli del debito pubblico e, come è noto, il debito pubblico italiano è più alto di quello degli altri Paesi.
Tuttora il tasso di crescita annuo del credito al sistema industriale è in preoccupante rallentamento, nonostante la Banca centrale europea, in una prima fase, sia intervenuta acquistando i titoli italiani, e abbia poi concesso per due volte alle banche italiane una forte liquidità - circa 230 milioni di euro, sommando i due interventi - con un tasso di interesse dell'1 per cento. È chiaro che questa distribuzione di fondi della BCE al sistema bancario europeo e, in particolare, a quello italiano, all'1 per cento, avrebbe dovuto favorire l'apertura del credito alle piccole e medie imprese. Notiamo invece che la gran parte del capitale che già è stato concesso alle banche da parte della BCE, è stato reinvestito e reimmesso nella BCE, evidentemente come riserva di queste banche, ma chiaramente non è stato messo a disposizione delle piccole e medie imprese, almeno nella parte più consistente.
Quindi, sappiamo che il restringimento del credito ha pesanti ripercussioni sull'aumento dei margini di interesse e sulla richiesta di sempre maggiori garanzie, è chiaro. Il sistema bancario italiano si è salvato, nel 2007, proprio perché aveva chiesto garanzie e non basava il credito alle imprese, o alle famiglie soltanto sul valore fluttuante degli immobili, come è avvenuto con i subprime americani.
Questo è stato un fatto positivo, ma non possiamo pensare che si possano chiedere, da parte delle banche, delle garanzie reali superiori a quelle che le imprese piccole e medie possono fornire. Questo incide anche sulla riduzione della durata dei finanziamenti erogati; perciò le banche, a mio avviso - visto che l'Europa e la BCE hanno svolto questo ruolo positivo - dovrebbero, in qualche modo, riversare la maggior parte dei fondi ricevuti, proprio agli sportelli, per andare incontro alle necessità della piccola e media imprenditoria.
Il Patto di stabilità, poiché incide anche sui tempi dei pagamenti delle forniture delle pubbliche amministrazioni, ha, in qualche modo, inciso ancora di più, perché, se si aggiunge il fatto che non vengono dati crediti da parte delle banche e le piccole e medie imprese non hanno la possibilità di ricevere i pagamenti da parte della pubblica amministrazione - soprattutto in alcuni settori fondamentali, come, ad esempio, la sanità del nostro Paese - è chiaro che tali ritardi dei pagamenti incidono sulla sopravvivenza stessa delle piccole e medie imprese.
Quindi, è chiaro che dobbiamo cercare di attenuare questa riduzione e bene fa il Governo a pensare che uno degli obiettivi che bisogna porsi in questo momento, sia quello di trovare le risorse suppletive per poter far sì che la pubblica amministrazione possa far fronte ai propri debiti verso le piccole e medie imprese, che, altrimenti, senza il pagamento di tali debiti da parte della pubblica amministrazione, possono andare tutte in default.
Il Governo, per noi, si deve impegnare a valutare la possibilità di potere intervenire, anche a livello europeo, al fine di ottenere l'unificazione dei criteri e delle metodologie per ponderare i rischi delle attività bancarie e per proteggere le banche italiane. Bisogna, quindi, modificare quella situazione che si è determinata in precedenza, e che ha sfavorito proprio le grandi banche italiane.
È necessario che il Governo attui dei correttivi tendenti a mettere le banche in condizione di riservare un trattamento meno stringente per i crediti delle piccole e medie imprese. Aggiungo che questo discorso vale anche per le famiglie, perché è chiaro che anche nei loro confronti vi è bisogno di un allentamento. Abbiamo visto infatti che tale situazione provoca delle situazioni di fallimento, ma anche situazioni umane assolutamente nuove: moltissimi imprenditori, e anche capifamiglia, che non possono pagare i debiti, spesso ricorrono al suicidio come soluzione. E questo è veramente grave! Quando accadono simili fenomeni, significa che siamo arrivati ad un punto di non ritorno. È Pag. 44giusto che il Governo si impegni in questa direzione, e anche verso quella di una riduzione effettiva dei tempi di pagamento da parte della pubblica amministrazione per liquidare i crediti alle imprese, che non sono, evidentemente, attualmente sopportabili. In alcune regioni si parla, talora, di crediti che vengono onorati dopo centinaia e centinaia di giorni dalla conclusione dei lavori.
Credo che questa nostra richiesta sia condivisa un po' da tutti e spero che questi punti siano da tutti compresi, accettati e votati. Tutti i gruppi che hanno presentato mozioni che vanno in questa direzione riceveranno l'appoggio dei deputati del gruppo Misto-Grande Sud. Ovviamente, voteremo la nostra mozione e tutte le altre che hanno lo stesso significato.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Piffari, che illustrerà la mozione Borghesi ed altri n. 1-00916, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

SERGIO MICHELE PIFFARI. Signor Presidente, come Italia dei Valori abbiamo voluto contribuire allo sforzo che il Parlamento sta facendo e che il Governo deve assolutamente fare nei prossimi mesi per cercare di raddrizzare «la baracca». Mi permetto di usare questo termine perché stiamo parlando sì di una mozione che punta a favorire le piccole e medie imprese, in particolare in relazione alle questioni dell'accesso al credito e della tempestività dei pagamenti delle pubbliche amministrazioni, ma, di fatto, stiamo parlando della liquidità che un'impresa deve avere per potere operare. Il problema è che stiamo discutendo delle piccole e medie imprese, ossia di quel tessuto che rappresenta più del 95 per cento delle imprese italiane, un'eccellenza invidiata, negli anni passati, da tutto il mondo occidentale; la rete delle piccole e medie imprese in Italia era un modello da copiare.
Quando si parla di piccole e medie imprese ci si riferisce sia alle imprese singole, dell'artigiano o del libero professionista, sia a quelle con alcune centinaia di lavoratori, a quel mondo che produce l'80 per cento del prodotto interno lordo e che sta soffrendo dal 2008 ad oggi. È un po' come prelevare il sangue da un corpo umano: all'inizio si sta bene, qualche malattia e qualche piccola operazione si sopportano, però, se la questione degenera, anche le malattie più semplici rischiano di diventare dei tumori mortali.
A differenza dei colleghi che hanno già evidenziato la criticità del sistema bancario, vorrei parlare della criticità delle imprese, in questo momento, analizzando tre aspetti: il credito delle banche, il rapporto con lo Stato in termini di compensazioni (IVA, contributi INPS e INAIL) e i crediti di imposta nei confronti dello Stato.
Inizierei ponendo l'accento sulle misure fiscali, sul rapporto con lo Stato in materia di crediti, IVA e quant'altro. Nel complesso, oggi la piccola impresa si trova in difficoltà perché vi è una mancanza di credito e di liquidità. È difficile anche solo ottenere l'anticipo sulle fatture, quindi sul lavoro. Chi lavora per l'amministrazione pubblica oggi non è in grado di farsi certificare il credito, pur avendo già collaudato e consegnato l'opera; un bene al servizio della collettività che però non è stato pagato. Il proprietario, a differenza di altri casi, non può pignorarlo, non può neppure dire «quel bene è mio, l'ho pagato io, ma ne stanno godendo altri», gli neghiamo il diritto di riservarsi un dominio sul bene stesso. Stiamo parlando di un sistema di imprese che, fino a qualche anno fa - anche solo a qualche mese perché, man mano che passa il tempo, sempre più imprese rientrano in questo vortice pericoloso -, compensavano i crediti con lo Stato, ma ora lo Stato stesso ha diminuito questa possibilità con la previsione della fascia orizzontale di 15 mila euro di crediti che, però, devono essere garantiti da un libero professionista, un commercialista, che, a sua volta, oltre a farsi pagare la parcella per la revisione dei bilanci e per la certificazione di questi crediti, si fa anche pagare una fideiussione. Anche lui si fa garantire da una polizza fideiussoria e, quindi, anziché essere l'impresa a garantire direttamente lo Pag. 45Stato con una polizza annuale, si finisce per stipulare delle polizze fideiussorie sulle polizze fideiussorie e sulle parcelle anche per crediti piccoli che fino a poco tempo fa, in modo intelligente, lo Stato permetteva di utilizzare a compensazione dei pagamenti dell'INPS e dell'INAIL.
Abbiamo creato giustamente un sistema che dice: care imprese, prima di riscuotere, dimostrate la regolarità dei versamenti dei vostri contributi nei confronti dello Stato. Abbiamo impiegato un poco di anni a mettere a regime, come si deve, questo documento unico di regolarità contabile, che le imprese puntualmente devono richiedere. Adesso, per fortuna, in quasi tutte le province d'Italia vengono regolarmente rilasciati dall'INPS o dall'INAIL.
Però, l'impresa, la piccola impresa, creditrice nei confronti dello Stato, non può utilizzare il suo credito per compensare altri versamenti allo Stato e per poter dire: io sono regolarmente a posto nei confronti dello Stato con i pagamenti. Stiamo sempre di più diventando, per così dire, vischiosi. Come Stato attiriamo solo le risorse al nostro interno e ci dimentichiamo un poco delle difficoltà delle imprese.
Vorrei pensare ad un sistema, quindi, delle banche. Tra l'altro lo Stato, che sta trovando tutti i sistemi per rastrellare il più possibile le risorse, si dimentica però che, se a queste imprese togliamo il seme per il lavoro dell'anno dopo, queste imprese muoiono. E sempre più di questi esempi ne abbiamo. Stiamo, quindi, togliendo ossigeno al futuro del sistema produttivo dell'Italia.
Abbiamo, quindi, proposto naturalmente al Governo degli impegni. Si tratta una serie di soluzioni e di provvedimenti utili. Intanto, sulla questione che concerne le misure fiscali del credito IVA. Si tratta, quindi, di realizzare una riforma strutturale anche di questa procedura dei rimborsi. Vi sono molte imprese che, per una serie di regole del mercato, si trovano ad avere ogni anno un credito IVA. Per riscuoterlo, però, devono attivare un percorso costoso e, comunque, lungo nel tempo, di oltre due anni, (due anni e mezzo o anche tre anni), per scoprire, magari solo dopo due o tre anni, che manca un documento o qualcosa. Rimane, quindi, il dubbio su questi crediti IVA e le banche si guardano bene da utilizzarli come forma di garanzia. Forse dovremmo metterle in condizione di farlo, dal momento che l'impresa certifica il credito e, quindi, anche il valore di questo credito nei confronti del mercato. Per assurdo, tale credito dovrebbe essere anche cedibile, come tutti i titoli di credito.
Sulla questione dell'IVA pagata o anticipata allo Stato, in passato abbiamo fatto un piccolo provvedimento, a favore di quelle imprese con un volume di affari di massimo 200 mila euro all'anno. Dovremo almeno aumentare questo tetto, ma anche permettere di poter versare l'IVA allo Stato quando si riscuote o permettere quantomeno che quelle imprese, che hanno già versato l'IVA negli anni precedenti, ma che non riescono a riscuoterla, possano utilizzare tali importi come credito nei confronti dello Stato e dire: quest'anno, se non ho ancora riscosso come l'anno scorso, quantomeno finché non riscuoto gli importi di quest'anno non li verso. Si tratta cioè di mettere in condizione l'impresa di versare comunque il giusto, ma solo quando riscuote il credito. Altrimenti oltre alle perdite, che possono essere certificate solo dopo qualche anno di procedure di messa in liquidazione di crediti - magari anche inesigibili perché sta fallendo l'impresa o altro e comunque certificabili solo dopo qualche anno - l'impresa non può recuperare né il valore in perdita né tantomeno l'IVA che ha già versato.
Capite che, quando l'IVA passa dal 20 per cento al 21 per cento e passerà dal 21 per cento al 23 per cento, si rischia di alimentare il sommerso. Infatti a quel punto l'impresa dovrà pagare una tassa del 40 o 50 per cento su utili che non ha - perché non li ha ancora riscossi - e dovrà pagare un 23 per cento di IVA allo Stato che rischia di non riscuotere. Spingiamo così queste piccole imprese in un mondo che volevamo assolutamente far sparire. Pag. 46
Intanto poi, quando diventa un mondo sommerso, allora diventa evasione, diventa altro e facile preda anche per la criminalità, per fare lavorare imprese e lavoratori sicuramente non in regola con la legge. Questo meccanismo quindi va tenuto ben presente e dobbiamo trovare correttivi proprio per evitare che imprese sane diventino imprese ammalate che quindi, in modo esponenziale, distribuiscono questo rischio. C'è una questione sui ritardi dei pagamenti della pubblica amministrazione: si parla di 70 miliardi di euro, temo che siano molti di più.
In primo luogo, imbrogliamo l'Unione europea, cioè noi stessi, perché finché non li paghiamo non compaiono da nessuna parte nel conto dei debiti. Questo è intanto imbrogliare, lo ripeto, partner come l'Europa, con i quali ci stiamo prendendo impegni per il rientro del debito pubblico. Anche in questi giorni il nostro Presidente del Consiglio si trova a lavorare proprio su questo tema. Credo però sia necessario fare uno sforzo ulteriore rispetto a quello fatto circa venti giorni fa di circa 5-6 miliardi di euro, in parte liquidi in parte in titoli di Stato, e quindi impegnare tutto il sistema italiano, compresa la Cassa depositi e prestiti, affinché si possano cartolarizzare e, quindi, acquistare questi crediti delle imprese e distribuire liquidità.
Per assurdo o meglio per correttezza dovremmo anche riconoscere gli interessi, ma non quelli legali, perché se l'impresa deve finanziarsi all'8 per cento quando ce la fa col sistema bancario, se poi lo Stato ovvero le amministrazioni pubbliche pagano ad un anno di distanza, perché deve ricevere solo gli interessi legali? Dovrebbero ricevere gli interessi di mercato, non quelli «capestro», ma quanto meno quelli riconosciuti attualmente di mercato.
Sono convinto che questo sforzo si possa fare e che non è una strada impossibile da percorrere. Quindi occorre obbligare le amministrazioni pubbliche a certificare il credito e trovare un sistema per renderlo monetizzabile, cioè per poterlo cedere, perché molte imprese sono fallite pur avendo crediti superiori ai debiti, in particolare nei confronti dell'amministrazione pubblica, e questo è assurdo; pertanto, dovremmo trovare correttivi anche nel sistema privato.
Non possiamo più permettere, che per l'impresa che fa un lavoro con pagamento a sessanta, novanta o centoventi giorni, quando si arriva al momento del pagamento, il debito si trasformi in cambiale o in un altro strano titolo di pagamento, magari anche assegni a scadenza, il che non si può fare, e che si protraggano per sei o dodici mesi ancora nel tempo i pagamenti, perché non avendo alternativa ed essendo in una situazione disperata le imprese sono disposte, piuttosto che a rinunciare al credito, ad allungare i tempi. Tuttavia facendo così sempre di più si immette nel sistema qualcosa di ammalato e, quindi, anche un'impresa sana, prima o poi rischia di saltare e di far male alle altre imprese sane, a loro volta coinvolte nel lavoro complesso di un'impresa o che comunque hanno a che fare con una rete. Da ultimo, chiediamo al Governo un'azione concreta sulla questione del credito.
Fino ad ora lo Stato ha fatto la sua parte nei confronti delle banche, però - come ho detto prima - con una mano dà i soldi alle banche o le garanzie alla BCE per avere i soldi da quest'ultima, con l'altra rastrella, porta via il seme perché obbliga il sistema bancario a comprare i titoli di Stato.
Noi da più parti leggiamo che il nostro sistema delle banche è sano, sano perché, rispetto alle altre banche del mondo occidentale, ha i titoli di Stato e non ha invece altri titoli tossici, così chiamati. Sono diventati tossici solo dopo che una banca come Lehman Brothers è fallita, e solo dopo che c'è stata una crisi mondiale, ma fino a quel momento tutte le banche li compravano, anche le più piccole, perché erano quelli che rendevano e permettevano di distribuire bonus ai manager, permettevano di fare grandi numeri in termini di risultati, ma era tutta una economia di carta.
Noi vorremmo rimuovere quel passaggio lì e obbligare le banche dicendo: va bene, adesso un po' di quei soldi che vi Pag. 47portate a casa a buon prezzo dalla Banca centrale europea, sia per finanziare lo Stato - che non va bene - sia per finanziare loro stesse (perché hanno ricomprato quei titoli che avevano emesso sul mercato e che erano svalutati, e quindi per non portare perdite in bilancio li hanno ricomprati loro), devono essere assolutamente utilizzati per il mondo delle imprese.
Se questi soldi vanno restituiti entro tre anni alla BCE, è altrettanto vero che il mondo dell'impresa vive, oltre che di propri affidamenti, di anticipi sui crediti, sulle fatture, sul lavoro fatto, di finanziamenti per acquisti di macchinari, di rimodulazione di loro affidamenti, e anche di crediti a medio termine sostenuti dai confidi, che ho visto che lo Stato ha voluto rimettere in gioco garantendo una somma, a nostro parere, piccola rispetto al necessario.
Non è però sufficiente mettere in moto i consorzi di garanzia se nel frattempo le banche non riducono le forbici del costo del loro denaro, perché in questo momento in cui il tasso ufficiale di sconto della BCE rimane all'1 per cento e che l'euribor sta scendendo costantemente da mesi (quello a tre mesi è andato sotto l'1 per cento, mentre si sta avvicinando all'1 anche quello a sei mesi) rimane un fatto: l'euribor nei prossimi mesi prima o poi ricomincerà a crescere, e se oggi obblighiamo le imprese a contrarre prestiti al 4 per cento o al 5 e più con l'euribor (oggi basso ma che tenderà a risalire come è avvenuto negli anni passati) noi spingiamo le imprese a fare debiti a tassi dell'8-9 per cento nei prossimi anni. Questo non è assolutamente giusto visto che comunque le garanzie sono prestate dalle imprese stesse, dai consorzi di garanzia che hanno dei loro capitali, e dallo Stato che in questi ultimi mesi ha cercato di rifinanziare questo fondo.
Noi ci auguriamo che le azioni del Governo spingano sempre di più anche il mondo delle banche a pensare non solo a salvare loro stesse, ma a salvare il mondo delle imprese, perché senza chi produce e chi lavora anche le imprese di servizi, come sono le banche, non servono a niente. Un controllo severo su questa azione però va fatto.
Quando le banche chiedono, con garanzia dello Stato, i soldi della Comunità europea è giusto che noi chiediamo alle banche come stanno spendendo questi soldi perché altrimenti torniamo alla logica che le banche usano i loro finanziamenti, e magari le loro garanzie. Quindi lo Stato intervenga direttamente, anche attraverso il proprio sistema, a partire dalla Cassa depositi e prestiti, per garantire le imprese. Siamo consapevoli che la situazione è critica, che se le banche saltano salta anche il sistema ma in questo momento credo che se ne stiano approfittando un po' troppo, preoccupate di distribuire ancora utili ai loro soci, preoccupate di distribuire bonus ai propri manager e quindi di far quadrare i conti.
Non possono far quadrare solo i loro conti, devono far quadrare i conti anche del mondo dell'impresa. Diversamente, credo che bisognerà cambiare totalmente il rapporto col sistema delle banche.
L'ultima considerazione: i dirigenti si dimettono perché si è messo in discussione il costo per l'istruttoria dell'affidamento. Ebbene, quando un'impresa va da un'altra impresa per chiedere materia prima o semilavorati e afferma di pagare dopo novanta giorni, paga comunque quel servizio lì se la materia le viene data. Quando vado in banca e chiedo un affidamento per comprare il divano, per una famiglia, per 5 mila euro, o per il figlio che va all'università, gli pago comunque l'uso del denaro, pago gli interessi. Ecco, si è inventato un qualcosa da pagare, un balzello, solo per l'istruttoria, solo per fare il preventivo. Immaginatevi gli studi di arredamento che fanno i preventivi gratuitamente: se ogni volta chiedessero un pagamento per il preventivo, avremmo il «preventificio»? Nelle banche si sono fatti i «preventifici». Tre, quattro o cinque anni fa, quando una banca del Nord si inventò, senza dire niente ai propri clienti, il «preventificio», distribuendo su ogni conto corrente 150 o 200 euro di tassa fissa, essa è stata portata a processo e condannata Pag. 48per reato penale. Adesso abbiamo legalizzato questo «preventificio», facendolo pagare a una massa di milioni di cittadini, imprese e famiglie, il che è veramente un'assurdità (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.

(Intervento del Governo)

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze, Gianfranco Polillo.

GIANFRANCO POLILLO, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Signor Presidente, mi sembra che vi sia stata una manifestazione di volontà per vedere se è possibile giungere ad una mozione unitaria. Chiederei, quindi, eventualmente, se questo fosse possibile, riservandomi poi di intervenire in sede di parere sulla mozione stessa, qualora fosse presentata.

PRESIDENTE. Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

Discussione delle mozioni Palagiano ed altri n. 1-00384, Binetti ed altri n. 1-00874, Martini ed altri n. 1-00897, Livia Turco ed altri n. 1-00900 e Palumbo ed altri n. 1-00904 concernenti iniziative per il potenziamento della «medicina di genere» (ore 16,45).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Palagiano ed altri n. 1-00384, Binetti ed altri n. 1-00874, Martini ed altri n. 1-00897, Livia Turco ed altri n. 1-00900 e Palumbo ed altri n. 1-00904 concernenti iniziative per il potenziamento della «medicina di genere» (Vedi l'allegato A - Mozioni).
Ricordo che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
Avverto che sono state altresì presentate le mozioni Stagno d'Alcontres ed altri n. 1-00917 e D'Anna ed altri n. 1-00919 che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente. I relativi testi sono in distribuzione (Vedi l'allegato A - Mozioni).

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritto a parlare l'onorevole Palagiano, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00384. Ne ha facoltà.

ANTONIO PALAGIANO. Signor Presidente, devo dire innanzitutto che sono particolarmente lieto di avere lei a presiedere l'Assemblea questo pomeriggio e di avere di fronte come interlocutore il Ministro Balduzzi. Avere, il lunedì in particolare, il Ministro della salute vuol dire già di per sé avere una sensibilità al tema. Voglio iniziare questo discorso attraverso un ricordo della prima donna medico, che nacque nel 1840, si chiamava Sofia ed era inglese; voleva iscriversi alla facoltà di medicina e dovette emigrare al nord, come accade un po' in Italia, per avere più speranze e per avere la possibilità di diventare medico. Andò in Scozia, si iscrisse alla facoltà medica e conseguì la laurea. Erano tempi un po' oscuri, un po' quelli vicini a Ippocrate, in cui le donne dovevano travestirsi da uomo per poter svolgere la professione medica. Ebbene, Sofia tornò in Inghilterra, a Londra, aprì una scuola medica per sole donne - il Royal Free, che è ancora presente a Londra - e di lì è iniziata una medicina coniugata al femminile. Ma voglio ricordare che non troppi anni fa, nel 1968, c'era ancora un limite delle quote di donne che potevano diventare medico. Pag. 49
Nel 1968 soltanto il 20 per cento degli iscritti alla facoltà di medicina potevano essere donne, l'80 per cento dovevano essere necessariamente uomini. E se ricordiamo ancora la storia, nel 1991 si raggiunge la parità, le pari opportunità, cioè essere ammessi alla facoltà medica al di là del genere, ma soltanto in base a quelle che erano le competenze specifiche. Oggi invece, nel 2012, stiamo assistendo un po' a una femminilizzazione della medicina. Abbiamo delle branche mediche come l'ostetricia e la ginecologia, come l'anestesiologia, che hanno il 60 per cento di specialisti proprio di sesso femminile. Ebbene, è un momento nuovo.
Credo che la medicina sia una professione che si basa sul lavoro di gruppo, sull'assistenza, il che significa empatia, altruismo, cura, comunicazione. L'empatia, quella capacità di andare in sintonia con il malato e di capire quali sono i suoi problemi, immedesimarsi nelle esigenze altrui, penso che sia una capacità sicuramente coniugata al femminile. Eppure questo non basta, perché nonostante le donne siano quelle che conseguono la laurea più velocemente, quelle che hanno voti migliori, se andiamo a vedere in Inghilterra, che è un Paese un po' più emancipato rispetto al nostro, soltanto l'11 per cento dei professori ordinari della facoltà di medicina sono donne, contro l'8,3 per cento in Italia. Se vediamo, signor Ministro, le nostre aziende sanitarie locali, i dirigenti di struttura complessa in Italia sono soltanto l'8,3 per cento donne, quindi un numero davvero esiguo. Se consideriamo che le donne single sono circa il doppio dei maschi, il 40 per cento contro il 20 per cento, se consideriamo che le donne che non hanno figli sono il 40 per cento contro il 20 per cento dei maschi, capiamo che questo lavoro, che ostacola la maternità e la famiglia in realtà non viene contraccambiato da una possibilità identica idonea di poter conseguire un titolo che può essere quello di primario o quello di direttore generale, non ne parliamo proprio addirittura di direttore scientifico di un'azienda.
Ma al di là di tutto questa digressione credo fosse doverosa, perché da circa due anni, dal giugno 2010 abbiamo presentato questa mozione per la medicina di genere e soltanto oggi, fortunatamente anche in coincidenza con la festa della donna, abbiamo avuto la soddisfazione di veder calendarizzata una mozione che riguarda la medicina di genere. Ho parlato delle donne medico, ma voglio specificare, non certo per loro che qui ci ascoltano, ma per chi ci ascolta da fuori, che non si tratta della medicina delle donne: si tratta di una medicina che studia le differenze fra i due generi, fra i due sessi, detto con parole più comprensibili, non soltanto da un punto di vista anatomico, il che sembrerebbe ovvio, ma da un punto di vista funzionale, quindi fisiologico, biologico, psicologico, anche di tipo culturale e quindi sociale ed ambientale. Una medicina che conviene soprattutto agli uomini, non solo alle donne, perché esistono delle differenze - e la scienza ce lo ha dimostrato - non soltanto da un punto di vista anatomico. Mi sovviene, per fare un esempio, la distribuzione dell'adipe nella donna, che è maggiormente presente nel 25 per cento. L'organismo dell'uomo contiene maggiore acqua e quindi, come tutti sanno, i farmaci lipofili, quelli che hanno un'attitudine a distribuirsi nel tessuto adiposo della donna hanno dei depositi che possono portare da un lato all'immagazzinamento del farmaco e dall'altro lato anche alla diffusione del farmaco, magari in un momento in cui non è necessario. Per esempio, nell'uomo i farmaci idrofili hanno una maggiore diffusione, quindi vi sono delle differenze che sono sostanziali fra un genere e l'altro. Questo ovviamente dovrebbe in qualche maniera cambiare le regole per la ricerca, per la sperimentazione, per la prevenzione, per i trattamenti, per la formazione del personale e per l'accesso alle terapie.
Abbiamo iniziato la mozione con dei numeri, perché nella medicina di genere - che potrebbe sembrare, come ripeto, la medicina per le donne, ma è la medicina che conviene anche allo Stato - una maggiore appropriatezza della terapia significa Pag. 50 rispondere alle esigenze dell'articolo 32 della Costituzione, dare una migliore terapia alle nostre donne, alle nostre bambine, ma anche ai nostri uomini e anche ai nostri bambini.
Credo che convenga allo Stato perché una terapia più giusta, una terapia migliore è l'obbiettivo di tutti, anche del Ministero della salute. Per quanto riguarda i numeri, le donne sono quelle che invecchiano di più; le aspettative di vita, secondo l'ISTAT, sono di 84 anni per la donna e di 78,3 anni per gli uomini; le donne quindi vivono di più, si ammalano di più e gli ambulatori medici in Italia sono frequentati maggiormente dalle donne. Il 58 per cento dei pazienti che va dal medico di medicina generale è donna; le donne sono quelle che consumano più farmaci in assoluto ma, stranamente, questi farmaci sono sperimentati soltanto sul maschio.
Abbiamo fatto qualcosa, lei Ministro lo sa, abbiamo una legge sulla sperimentazione farmacologica che è ferma al Senato e in cui sono stati accolti degli emendamenti che spingevano proprio le aziende farmaceutiche che vogliano investire in Italia attraverso la ricerca, a rendersi conto che i farmaci vanno sperimentati su entrambi i generi. Mi rendo conto che la donna non è un modello ideale, perché ci sono delle interferenze endocrine, ci sono gli estrogeni, c'è il progesterone e quindi non è stabile da un punto di vista endocrino; mi rendo anche conto che la donna ha dei problemi legati alla contraccezione, deve assumere una pillola, può avere una gravidanza se questo non lo fa e ci possono essere degli effetti teratogeni ma, di fatto, essendo la donna la maggiore fruitrice delle terapie è opportuno che le aziende vadano a vedere il funzionamento dei farmaci e quindi effettuino, anche su di essa, la sperimentazione. Ciò si verifica all'estero, per esempio negli Stati Uniti dove, per quanto riguarda la sperimentazione sui farmaci cardiovascolari, è necessario avere una suddivisione equa e una ripartizione di genere fra i soggetti che si prestano alla sperimentazione.
Per quanto riguarda i numeri, secondo i dati del Ministro e del Ministero della salute le donne hanno il 6 per cento di disabilità motoria e sensoriale, contro il 3 per cento degli uomini; soffre di osteoporosi il 9 per cento delle donne, contro l'1 per cento degli uomini, di depressione il 7,4 per cento delle donne, contro il 3 per cento degli uomini; le malattie autoimmuni, ricordo le tiroiditi, le malattie della tiroide, ma anche l'artrite reumatoide, sono molto più frequenti nelle donne. Il sistema immunitario, quindi, è diverso tra l'uomo e la donna e questo è un dato di fatto.
Continuando con i numeri sottolineo come l'osteoporosi abbia un incremento del 736 per cento nella donna, le malattie tiroidee del 500 per cento, la depressione del 138 per cento, la cefalea del 123 per cento, ma non voglio continuare con questi numeri; diciamo che la donna si ammala più facilmente. Si ammala più facilmente perché è un organismo diverso, oltre che perché svolge un doppio ruolo, quello di lavoratrice, magari nella fabbrica, magari nella scuola, magari nell'industria e poi a casa; invecchia di più, si ammala di più e quindi dovrebbe avere diritto a una terapia più specifica, a differenza di quanto accade oggi. Credo, quindi, nella medicina di genere; noi vorremmo sensibilizzare non solo il Governo ma il Paese nella cultura di genere, proprio per vedere quelle che sono le differenze significative, non solo, ripeto, anatomiche, ma anche funzionali, biologiche, sociali e psicologiche, nonché ambientali e culturali nella donna rispetto all'uomo.
Riporto ancora alcuni dati per confermare quanto dico e vorrei cominciare con un esempio molto banale: l'azione dell'aspirina nella prevenzione delle tromboembolie, dell'infarto del miocardio. Esiste uno studio che è stato eseguito dalla University of British Columbia, una metanalisi su 23 trial che hanno reclutato circa 100 mila pazienti, che stabilisce come l'effetto di prevenzione dell'aspirina nella donna sia molto meno efficace rispetto a quello dell'uomo. Esistono degli studi italiani fatti alla Seconda Università di Napoli, Pag. 51ma anche studi dell'Università di Siena e di Chieti che parlano del dolore cronico, il dolore che affligge il 26 per cento dei cittadini italiani, di cui il 56 per cento sono donne e non parlo soltanto delle fibromialgia, parlo anche dell'artrite reumatoide, parlo della cefalea, parlo dell'emicrania; ebbene, l'azione di alcuni farmaci sul dolore cronico, insopportabile come quello dei tumori è diverso nell'uomo e nella donna perché entrano in gioco gli ormoni sessuali femminili, gli estrogeni, ma anche quelli maschili, il testosterone e perché ci sono dei ricettori specifici e diversi nell'uomo e nella donna.
Come altro esempio mi viene in mente quello dell'ulcera gastrica che affligge maggiormente le donne che però possono essere curate con il progesterone che riduce la secrezione gastrica; ricordo, però, che in fase premenopausale e in gravidanza l'azione degli estrogeni è protettiva nei confronti della mucosa gastrica.
Quindi, tante malattie, che interessano maggiormente la donna, e tante dimostrazioni terapeutiche, che ci dicono che non è più concepibile trattare l'uomo e la donna con lo stesso farmaco e con le medesime dosi, quando non è comprovata l'efficacia della terapia proprio nel genere femminile. Per questo, attraverso la nostra mozione, abbiamo voluto, in qualche maniera, sensibilizzare l'azione del Governo, per vedere se, in un momento come questo, in cui la scienza ha dimostrato il diverso funzionamento ed il diverso metabolismo dei farmaci nei due generi, si possa essere ancora indifferenti davanti a questi problemi.
Abbiamo chiesto al Governo un potenziamento della ricerca medica e della ricerca scientifica, nonché di quella farmacologica, nella direzione della medicina di genere, cioè far sì che diventi legge che chiunque venga in Italia per fare delle ricerche debba tener conto che fra i pazienti che utilizzano per la prima volta una determinata terapia vi debbano essere, per forza, delle donne, e noi proponiamo il 50 per cento. Chiediamo, inoltre, con la nostra mozione, di inserire la medicina di genere nei programmi dei corsi di laurea di specializzazione, di organizzare master non soltanto per il personale medico, ma anche per il personale sanitario e paramedico che ha a che fare con le donne, e che capisca finalmente cosa significa medicina di genere.
Chiediamo anche l'istituzione di percorsi particolari nelle nostre strutture sanitarie. Credo che l'ospedale sia un luogo in cui sia necessario creare una cultura medica specifica di genere. Occorrono sicuramente dei percorsi speciali, per esempio per garantire un corretto andamento della gravidanza e una corsia preferenziale - si parla oggi di percorso rosa - per la partoanalgesia. Si tratta di un grosso problema. Lo so, che non ci sono i quattrini, Ministro, ma il dato di fatto è che a fronte di una richiesta del 90 per cento delle donne di non soffrire, il Paese offre risposte soltanto per il 16 cento. Se vogliamo davvero sconfiggere il problema dei tagli cesarei in percentuali elevatissime dobbiamo consentire anche in Italia il parto indolore, come avviene in Francia, in Inghilterra e in Germania. È, quindi, un problema da affrontare.
Vi è poi il problema delle vaccinazioni. Lei sa la vaccinazione HPV quanto sia importante. Anche in merito vi deve essere una sorta di sensibilizzazione, affinché per tutte le nostre ragazze, ma direi di più anche per i nostri giovani - in quanto l'HPV non colpisce soltanto le donne, ma anche gli uomini, che fungono, molto spesso, da vettori - in qualche maniera, si possa fare qualcosa.
Inoltre, gli screening tumorali e la procreazione medicalmente assistita; gli sportelli antiviolenza, che finalmente si iniziano ad inaugurare in diverse parti d'Italia - a Napoli, qualche giorno fa, è stato inaugurato un altro sportello antiviolenza -; l'assistenza riabilitativa psichica e fisica per le donne operate di cancro; percorsi per la menopausa. Credo vi sia tanto da fare per la medicina di genere. Credo che un approccio di genere permetta un'adeguata appropriatezza terapeutica e un sensibile risparmio per il sistema sanitario nazionale. Pag. 52
Ignorare questa questione non è soltanto anacronistico, ma anche irresponsabile, irrazionale ed antieconomico. Invece l'Italia lascia molto a desiderare, ma sta a voi prenderne atto. Secondo il World Economic Forum l'Italia è al settantaquattresimo posto, come Paese, per la sensibilità di genere, dopo il Bangladesh, il Ghana e il Perù: facciamo qualcosa per risalire questa classifica (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori e del deputato Binetti).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Binetti, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00874. Ne ha facoltà.

PAOLA BINETTI. Signor Presidente, anch'io mi unisco all'apprezzamento del collega Palagiano nel fatto che, oggi, avere una Presidente e anche il Ministro presente in Aula con noi, ci sembrano due gesti senz'altro di grande attenzione a questo tema.
La premessa di questa mozione è che donne e uomini sono uguali rispetto al diritto alla salute e di fronte ai servizi socio-sanitari. Proprio per questo, però, occorre parlare di salute della donna e di salute dell'uomo. La parità del diritto richiede la diversificazione dei modi nella sua tutela. È importante ricordare che la medicina di genere non significa medicina delle donne. Un approccio di genere significa prendere in considerazione uomini e donne al di là degli stereotipi, e promuovere, all'interno della ricerca medica e farmacologica, l'attenzione alle differenze biologiche, psicologiche e culturali che vi sono tra i due sessi.
Per questo abbiamo bisogno di precisare che la medicina di genere non si identifica separatamente con le malattie delle donne e le malattie degli uomini, ma cerca di capire come curare, diagnosticare e prevenire le malattie comuni ai due sessi, che incidono però diversamente su uomo e donna per la loro differenza di genere.
Si tratta, ad esempio, dello scompenso cardiaco, delle aritmie cardiache, dell'infarto del miocardio, dei tumori del colon e del polmone, delle malattie infettive epidemiche, del dolore cronico, delle cefalee, delle malattie gastroenterologiche e così via. Sono patologie che toccano gli uni e gli altri, ma in modo diverso, richiedono un approccio terapeutico diverso e richiedono anche un diverso modello di prevenzione.
Con questa necessaria reimpostazione concettuale ci si è resi conto che la donna non è immune da malattie che si è sempre ritenuto dovessero colpire prevalentemente l'uomo, come ad esempio le malattie del cuore e dei vasi (infarto e ictus) o i tumori del polmone. Addirittura abbiamo preso coscienza che le malattie cardiovascolari portano a morte più donne che uomini e che gli effetti collaterali dei farmaci sono molto diversi nei due generi.
Nel nostro Paese le donne vivono più a lungo degli uomini - nel 2010 la loro speranza di vita alla nascita era di 85 anni, contro i 79,6 anni degli uomini - ma spesso la loro qualità di vita e di salute è minore: si recano dal medico molto più spesso (il 58 per cento delle visite ambulatoriali è per una donna) e su questo tornerò a soffermarmi un po' più avanti.
La scoperta che uomini e donne differiscono tra loro non soltanto per quanto riguarda l'apparato riproduttivo sembra essere piuttosto recente in campo medico. Fino a pochi anni fa si riteneva che ciò che valeva per l'uomo fosse valido anche per la donna. Con i progressi della ricerca scientifica sono emerse, però, differenze sostanziali tra i generi e quanto più procedono questi studi, tanto più emergono concrete difformità tra uomini e donne: dal dna, molecola base della vita, che si esprime in modo diverso a seconda del sesso, a molte altre malattie, che hanno spinto a creare una nuova branca della medicina che chiamiamo la medicina di genere.
Con l'espressione «medicina di genere» si intende, quindi, la distinzione in campo medico delle ricerche e delle cure in base al genere di appartenenza, secondo differenze biologiche, funzionali, psicologiche e culturali, ma soprattutto vogliamo tenere conto anche delle diverse e specifiche risposte al trattamento. Pag. 53
Per questo chi lavora nel campo della salute - medici, ricercatori, aziende farmaceutiche, ma anche istituzioni pubbliche e società scientifiche - deve preoccuparsi che le risposte e le soluzioni - assistenza, terapie, farmaci - siano adeguate alle caratteristiche della persona, incluse per l'appunto quelle del sesso di appartenenza.
La medicina di genere applica alla medicina il concetto di bio-diversità per garantire a tutti, uomini e donne, il migliore trattamento auspicabile in funzione delle loro specificità. Donne e uomini presentano, nell'arco della loro esistenza, patologie differenti e differenti sintomi di una stessa patologia e, quindi, si ritiene necessario un approfondimento scientifico della medicina, così da garantire ad entrambi il miglior trattamento possibile.
L'ottica di genere non è ancora pienamente utilizzata per programmare gli interventi di promozione della salute e ancora persistono pregiudizi di genere nello studio dell'eziologia dei fattori di rischio, nelle diagnosi e nei trattamenti. La Commissione europea ribadisce la necessità che, quanto prima, si promuova una politica in difesa della salute tenendo conto di questo tipo di diversità ed il Consiglio dell'Unione europea sollecita una maggior conoscenza da parte degli operatori sanitari per affrontare le disuguaglianze nella salute e garantire la parità di trattamento e di accesso alle cure.
La conoscenza delle differenze di genere favorisce, infatti, una maggiore appropriatezza della terapia ed una maggiore tutela della salute per entrambi i generi. Esistono di fatto ancora stereotipi e pregiudizi nella ricerca biomedica e nella medicina: dallo studio delle cause ai fattori di rischio per la salute, dai sintomi alla diagnosi.
La medicina di genere non è una nuova etichettatura della medicina, ma un percorso trasversale tra le discipline mediche, un nuovo approccio non più rimandabile di cui l'organizzazione sanitaria deve prendere atto per agire di conseguenza. C'è bisogno di un nuovo approccio scientifico al genere che si traduca in una ricerca biomedica sempre più capace di indagare la complessità biologica della differenza, accanto alla necessaria attenzione alla differenza con cui i due generi sono interpretati nell'organizzazione sanitaria, per evitare disuguaglianze che creino sofferenza nell'individuo e un incremento non necessario sui costi della sanità.
Il livello di disuguaglianza di genere, tradotto in una diversa erogazione di servizi, va considerato come un indice della qualità di vita di una nazione. Un'appropriatezza di genere nella protezione della salute dell'uomo e della donna può essere di fatto misurata anche con precisi indicatori economici. L'Organizzazione mondiale della sanità e la stessa ONU hanno richiamato l'attenzione in particolare su quel programma, mi riferisco al terzo obiettivo del millennio (MDG3), che richiama l'attenzione sull'empowerment della donna e sul miglioramento della sua qualità di vita.
Occorre trovare una risposta nuova che ci permetta davvero di restituire alla donna una maggiore consapevolezza di quelli che sono i suoi processi di sviluppo lungo un arco di età che si estende ormai verso e fino ai 90 anni e quindi pone, proprio per la maggiore durata della vita femminile, precise specificità nell'ambito della geriatria e precise specificità nella tutela della salute della donna anche in età avanzata. Le classifiche ultime, come diceva prima il collega, vedono la posizione italiana scendere progressivamente verso il settantaquattresimo posto in una classifica ideale di livello di pari opportunità. Noi vorremmo, invece, che proprio la ricchezza della cultura medica italiana di antica tradizione possa restituire, perlomeno sotto questo profilo, alla tutela e alla cura della salute della donna la dignità e l'interesse che veramente gli competono.
Riferisco ancora, ma molto rapidamente, i dati su cui si è soffermato anche il mio collega. Secondo i dati proprio del Ministero della salute, che certamente il Ministro conosce perfettamente, il 6 per cento delle donne soffre di disabilità (vista, udito, movimento) contro solo il 3 per cento degli uomini. Questi numeri, per Pag. 54piccoli che sembrano, indicano però un raddoppio dell'ingrediente di disabilità nella donna. Il 9 per cento delle donne soffre di osteoporosi contro soltanto il 2 per cento degli uomini.
Sono soprattutto poi però le patologie di ambito, chiamiamolo così, psicologico che colpiscono prevalentemente la donna e questo ci pone dei problemi chiave, dei problemi importanti che toccano anche il ruolo che la donna svolge nella società. C'è di fatto il 7,4 per cento di depressione nelle donne contro il 3 per cento della depressione negli uomini. Ci sono poi malattie autoimmuni che colpiscono prevalentemente il sesso femminile, come, ad esempio, l'artrite reumatoide, a conferma delle differenze tra il sistema immunitario maschile e quello femminile.
Altri indicatori che ha dato il mio collega sono i seguenti: l'osteoporosi (736 per cento in più); malattie tiroidee (500 per cento in più); depressione e ansietà (138 per cento in più); cefalea ed emicrania (123 per cento in più), l'Alzheimer (100 per cento in più) e così via dicendo. Si tratta di un dato interessante, del tutto nuovo, il che ci impone davvero una riflessione chiave: perché le donne si ammalano di più? Non basta consolarci con il fatto che le donne vivono più a lungo, dobbiamo chiederci perché si ammalano di più e dobbiamo chiederci se non ci sono dei fattori sociali negli stili di vita, in quel sovraccarico di lavoro che tocca la donna anche nella difficile conciliazione dei tempi di famiglia e dei tempi di lavoro, e se questa fatica che la donna affronta, che potremmo chiamare la sua fatica esistenziale, non ha un costo. Non è a costo zero, ha un costo che gli indicatori della salute possono prendere in considerazione e ai quali una risposta è dovuta.
Un dato interessante, del tutto nuovo, secondo gli ultimi studi condotti dai ricercatori della New York University - lo citava anche il mio collega -, è il fatto che il rischio di morte per malattie cardiache è complessivamente molto più alto nelle donne che negli uomini. In Italia, circa 33 mila donne ogni anno restano vittime di un attacco cardiaco. Anche in questo caso sono coinvolti i cosiddetti ormoni femminili che, in età fertile, proteggono l'apparato cardiocircolatorio mentre, con il sopraggiungere della menopausa, tale effetto protettivo viene a mancare.
Se la malattia cardiovascolare resta il killer numero uno per la donna e supera di gran lunga tutte le cause di morte, quello che interessa sottolineare qui, in questo momento, è che la diagnosi è sottostimata, mentre la prognosi è assai più severa a parità di età rispetto all'uomo e maggiore è il tasso di esiti fatali alla prima manifestazione di malattia. Nonostante ciò, questa è una malattia considerata generalmente di tipo strettamente maschile e questo ha creato un pregiudizio di genere che riguarda l'approccio ai problemi cardiovascolari.
La conseguenza è che l'intervento preventivo, a differenza degli uomini, non si rivolge allo stile di vita delle donne, ma fondamentalmente al controllo di quello che è considerato il responsabile fattore di rischio, cioè la menopausa, con la conseguenza che la donna viene sottoposta ad una somministrazione di ormoni che poi a lungo la sottopongono ad ulteriori fattori di rischio. Anche per quello che riguarda il tema dell'obesità e le sue conseguenze dobbiamo tenere presente che è una patologia che interessa in eguale misura uomini e donne, però tra le donne obese la complicanza diabetica è molto più marcata rispetto agli uomini. Le patologie psichiche dicevamo sono prevalentemente in crescita tra le donne. C'è uno studio che dice che la depressione è la principale causa della diagnosi di disabilità tra le donne.
Molte volte è uno degli indicatori che di fatto occupano maggiormente il tessuto dei vissuti relazionali della donne e costituiscono una difficoltà concreta allo stabilire relazioni anche nel contesto professionale. È una sostanziale sfida alla quale continuamente la donna è sottoposta per dover dimostrare ogni volta le sue capacità e i suoi meriti per difendere cose che vengono date per scontate e premesse nell'uomo, ma che invece per la donna costituiscono una sfida costante e continua. Pag. 55
Pensiamo che queste grandi battaglie, che siamo abituati a considerare (come la presenza delle donne nei consigli di amministrazione o la possibilità delle donne di accedere ai vertici delle diverse professioni), si possano vincere soltanto attraverso un impegno professionale nella formazione, nella competenza, nella disponibilità, nella capacità di farsi carico ogni volta di più della fatica di doversi dimostrare capace di raggiungere determinati obiettivi. Noi scopriamo che questo è un dato ad altissimo costo se lo correliamo ai fattori di rischio della donna.
Un altro aspetto che mi sembra abbastanza interessante quando si parla di salute della donna è che non si può dimenticare (come purtroppo spesso avviene) l'entità del problema violenza a tutti i livelli. Non c'è possibilità di invertire e di trovare una simmetria tra la violenza subita dalle donne da parte degli uomini e la violenza subita dagli uomini da parte delle donne. Non sono dati assolutamente confrontabili: la violenza domestica in famiglia è una violenza che subiscono le donne in età diverse e a fronte di eventi molte volte fisici, ma la subiscono molto spesso a fronte di eventi di carattere più squisitamente psicologico.
Ci interroghiamo molte volte della scarsa tenuta dei legami familiari. Ci chiediamo molto spesso perché la famiglia va in crisi. Ci chiediamo molte volte perché la velocità di richiesta di scioglimento del matrimonio sembra un indicatore in progresso continuo. Ci chiediamo perché e sappiamo che molte volte l'iniziativa è femminile, ma raggiunge un momento in cui quel legame ha già raggiunto una soglia di saturazione e si è consumato per una serie di violenze fisiche, ma anche psicologiche.
Tali violenze fisiche e psicologiche hanno un costo fortissimo sul piano della salute. Insisto: si traducono in cefalee, disturbi del ritmo sonno-veglia, disturbi che riguardano il funzionamento dell'apparato digestivo, sostanzialmente in quei vissuti di ansia e depressione che sembrano diventare un indicatore formidabile del malessere femminile.
La violenza contro le donne ha una forte rilevanza sanitaria: sappiamo che soltanto il 7 per cento delle donne denuncia la violenza. Ma davanti al disagio e al malessere femminile qualcuno deve chiedersi se per caso non c'è una violenza dietro, che per un certo senso del pudore le donne continuano in qualche modo a nascondere non soltanto per quel senso positivo di protezione e di tutela nei confronti del compagno, ma anche perché molte volte - quando la donna subisce violenza - scatta una sorta di pregiudizio. È come se volesse dire che di quella violenza in qualche modo lei è sostanzialmente anche colpevole, con la conseguenza di subire ancora due volte la violenza.
Non ci stupisce, quindi, che secondo l'ultima indagine ISTAT sulle condizioni di salute e il ricorso ai servizi sanitari (indagine che viene svolta con una cadenza quinquennale), le donne di età media hanno, rispetto agli uomini, una percezione negativa del proprio stato di salute.
Voglio riprendere un tema che anche il collega Palagiano ha toccato. Si tratta del tema del rapporto tra donne e farmaci. Il problema della medicina di genere riguarda anche quest'altra realtà, perché gli studi dei nuovi farmaci, delle nuove terapie e dell'eziologia dell'andamento della malattia sono stati condotti considerando sempre come fruitori i pazienti maschi. Di conseguenza, le cure mediche rivolte alle donne sono compromesse da un vizio di fondo: i metodi utilizzati nelle sperimentazioni cliniche e nelle ricerche farmacologiche e la successiva analisi dei dati risentono di una prospettiva maschile che sottovaluta le peculiarità femminili.
Sussiste una sorte di pregiudizio scientifico che considera le malattie delle donne come una derivazione biologico-ormonale di quelle degli uomini, con una prevalente derivazione socio-ambientale e lavorativa. Tutti gli studi sperimentali sui farmaci sono sempre stati condotti considerando come fruitori i maschi, per la difficoltà scientifica a portare avanti una sperimentazione sul sesso femminile, che sottovaluta proprio la peculiarità femminile e, in particolare, il ruolo degli ormoni. Pag. 56
Inizialmente, questo vuole essere un approccio difensivo nei confronti della donna, per non incidere su quelli che sono - e che potremmo chiamare - i cosiddetti «ritmi della sua fertilità». Però, alla lunga, il non aver studiato modelli di somministrazione e di sperimentazione dei farmaci, che tengano conto anche degli aspetti ormonali, finisce con il pregiudicare pesantemente anche le donne. Sarebbe, quindi, auspicabile uno studio mirato di questo tipo, considerando che il consumo dei farmaci da parte delle donne è percentualmente assai più elevato rispetto a quello degli uomini.
Anche questo consumo di farmaci probabilmente è legato al fatto che i dosaggi che vengono somministrati alle donne non sono adeguati a quelli che sono i ritmi e a quello che è l'assetto biologico femminile. Prima, il collega Palagiano utilizzava l'esempio dell'obesità femminile, lo dico tra virgolette, quindi di quei farmaci a diffusione prevalentemente nel tessuto adiposo; si riferiva a quel ritardato rilascio dei farmaci in queste condizioni e, dunque, degli effetti che sono minori di quanto ci si aspetterebbe ma che, invece, sono poi più prolungati di quanto ci si potrebbe attendere. Sono tutti elementi che meritano ed esigono un approfondimento scientifico non indifferente.
Aggiungo poi un'altra considerazione, su cui mi voglio soffermare. Rispetto alle condizioni di lavoro, sono state considerate, sino ad oggi, quasi esclusivamente le caratteristiche del lavoratore maschio (mi riferisco, ad esempio, ad alcuni aspetti concreti anche della legge n. 626 del 1994). Delle donne si parla soltanto nel periodo della gravidanza, in rapporto esclusivamente ai rischi del nascituro. Gli infortuni e le malattie professionali che riguardano le donne, come le dermatosi e i disturbi muscolo-scheletrici, non sono sufficientemente presi in considerazione. Non viene prestata attenzione agli eventi patologici connessi con il lavoro domestico, in modo particolare gli infortuni. L'OMS ci dice che gli infortuni domestici della donna sono una tra le cause principali della disabilità femminile. Non si considera, quindi, il maggiore rischio psico-sociale che colpisce le donne e che è dato dal doppio carico di lavoro. Un esempio, che pure avevo analizzato nella mia mozione, è quello già affrontato, però, dal collega Palagiano, ed è quello rispetto a questo effetto dell'aspirina. Tutti conosciamo come la cosiddetta «aspirinetta» viene somministrata per tempi prolungati, per evitare il rischio che si possa creare, in un certo senso, una sorta di infarto nella persona. Viceversa, questa somministrazione, o per insufficienza di dosaggio o per ragioni altre, nella donna non ha quell'effetto preventivo che ha nell'uomo e questo è un elemento che ci preoccupa molto e ci pone domande abbastanza concrete e precise.
Lo stesso vale anche per le riflessioni, che pure sono state fatte, rispetto alle terapie del dolore, che vedono la donna più esposta ad una forma di dolore cronico, per il quale vi è sempre, anche in quel caso, una sorta di pregiudizio. Sembra quasi che il dolore cronico della donna, in modo particolare la cefalea, possa costituire, a volte, una sorta di schermo per cui la donna si schernisce dall'affrontare determinate responsabilità. Sembra che quando la donna dice «ho mal di testa» stia cercando, in realtà, di evitare alcune situazione o alcune circostanze - ad esempio, andare a lavorare, sottrarsi ad un aspetto della relazione della vita sociale - e vi è quell'elemento di diffidenza, rispetto alla sofferenza femminile, che è indubbiamente una sofferenza aggiuntiva e che nasce, in realtà, dalla scarsezza e dalla pochezza delle nostre conoscenze scientifiche.
In totale, signor Ministro, signor Presidente, cosa vogliamo con questa mozione? Vogliamo impegnare il Governo a predisporre iniziative di prevenzioni sostenute da periodiche campagne informative centrate, di volta in volta, su obiettivi chiari: gli incidenti domestici, l'obesità, le patologie cardio-vascolari, i tumori del seno, la violenza femminile. Ognuno di questi obiettivi deve meritare un'attenzione controllata e selettiva, per valutare l'impatto che questa campagna ha avuto Pag. 57nel tessuto sociale. Per esempio, si potrebbe consigliare l'uso di acido folico alle donne nei periodi fertili e valutare l'utilità dell'assunzione dello iodio nelle donne gravide; prevedere il potenziamento omogeneo sul territorio nazionale della ricerca medica, scientifica e farmacologica, anche a tutela di quel famoso articolo 32 della Costituzione, che intende garantire il diritto alla salute per tutti quanti; promuovere l'inserimento della medicina di genere nei programma dei corsi di laurea in medicina e chirurgia. Non si tratta di avere una disciplina in più né di fare un esame in più. Si tratta di sensibilizzare i docenti perché, nell'esercizio del loro lavoro didattico, possano riuscire a sottolineare sempre questo elemento della diversità, che si traduca in un elemento di rispetto per gli uni e per gli altri, in modo da tutelare, in modo sempre più efficace, la salute degli uni e degli altri.
Si tratta di individuare percorsi che garantiscano all'interno delle strutture sanitarie pubbliche - e non solo di quelle pubbliche - l'esistenza e la realizzazione di un dipartimento dedicato alla medicina materna e infantile, laddove però, nell'ambito della medicina materno-infantile, signor Ministro, vorremmo che venisse presa in considerazione prima, per esempio, tutta la fisiopatologia della riproduzione, che riguarda sia le donne che gli uomini.
Il fatto che ci sia un aumento dell'infertilità, quella che chiamiamo sterilità di coppia, significa che la medicina di genere, se assumesse veramente i suoi obiettivi specifici in questa direzione, dovrebbe in qualche modo garantire, attraverso un profilo di check-up adeguati a seconda dell'età, che questo aspetto fondamentale non si traduca in una scoperta dolorosa che la coppia avrà magari a 34 o 35 anni quando, secondo le statistiche attuali italiane, decide di avere il primo figlio, momento dopo il quale si innestano una serie di processi per cui velocemente si arriva a 38 o 39 anni, per poi scoprire che non si è più in grado di portare avanti una gravidanza secondo le modalità ordinarie. Noi vorremmo che l'attenzione di un dipartimento di medicina materno-infantile incominciasse molto prima, con una riflessione seria rispetto alla cosiddetta fertilità di coppia, attraverso lo studio degli uni e degli altri per le problematiche specifiche degli uni e degli altri. Così, per esempio, ci sono patologie che si stanno diffondendo con una velocità tale che ci pongono veramente delle domande importanti su quali siano le cause; ma quali che siano queste cause - l'inquinamento atmosferico, gli stili di vita o l'assunzione prolungata di determinati farmaci - non c'è dubbio che ci troviamo di fronte ad un aumento della sterilità di coppia. A questo aumento della sterilità, non basta dare una risposta attraverso la procreazione medicalmente assistita, occorre dare una risposta previa.
Questo è uno degli obiettivi forti che la medicina di genere può porsi. Vogliamo cercare quindi strategie di stimolazione degli di stili di vita di tipo preventivo. Penso ai determinanti della salute che il Ministero della salute tiene particolarmente presenti: il fumo, l'attività fisica, la dieta e tutto quello che, in qualche modo, riguarda questo aspetto. Abbiamo bisogno, in altri termini, che il tema della salute degli uni e degli altri venga preso in considerazione anche con uno sguardo nuovo, per cercare di smantellare qualche pregiudizio, di rafforzare qualche fattore di protezione e per cercare di contenere qualche fattore di rischio (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Pedoto, che illustrerà anche la mozione n. 1-00900, di cui è cofirmataria. Ne ha facoltà.

LUCIANA PEDOTO. Signor Presidente, è la prima volta dall'inizio di questa legislatura che questa Assemblea affronta il tema della medicina di genere con le diverse mozioni che sono all'ordine del giorno questa sera qui in Aula, anche se non si tratta di un'assoluta novità e poi vedremo il perché.
Già facendo un passo indietro - chi è intervenuto prima di me l'ha già anticipato - l'ONU, l'Europa e l'Organizzazione mondiale Pag. 58 della sanità, chiedono e raccomandano che il determinante genere sia tenuto presente nella programmazione delle politiche sanitarie. In che modo? Producendo una ricerca che tenga conto di questa determinante, quindi fornendo quei dati che possono offrire al mondo della politica e poi alle autorità regolatorie, quelle basi per affrontare la tutela della salute pubblica, basato su evidenze scientifiche. Quindi, è opinione ormai abbastanza acquisita che la differenza di genere identifichi esigenze diverse sia sul fronte delle terapie, sia sulla qualità e l'aderenza alle cure stesse, e influenzi anche in modo sensibile l'accesso alle terapie.
Che cos'è la medicina di genere? Non è una nuova branca della medicina - è stato detto - ma è una branca, tuttavia, abbastanza recente e direi trasversale. Quindi, è una branca delle scienze biomediche che ha l'obiettivo di riconoscere ed analizzare le differenze di genere di appartenenza sotto molteplici aspetti. Quali sono? Aspetti anatomici, fisiologici, biologici, funzionali, ma anche psicologici, sociali e culturali, anche nell'ambito delle diverse risposte alle cure farmacologiche.
Per attuare quindi una politica sanitaria in una prospettiva di genere occorrerebbe, ad esempio, evitare alcuni errori che sono stati fatti nel passato, quando c'era uno scarso arruolamento delle donne negli studi clinici, cosa che ha portato a trasferire semplicemente i risultati di studi, fatti sull'uomo, sulle donne.
Questo può essere considerato - e per alcuni versi lo è - un errore metodologico, che poi ha portato anche in alcuni casi a diverse conseguenze; infatti sappiamo che nelle donne le reazioni avverse ai farmaci sono circa il doppio rispetto agli uomini, e le differenze biologiche in alcuni settori sono così numerose che è evidente la necessità di arrivare a farmaci specificamente disegnati per le donne e per gli uomini.
Poi ancora: le donne consumano di più, sono le principali consumatrici di farmaci, ne prendono mediamente circa il 40 per cento in più rispetto agli uomini nella fascia di età compresa tra i 15 e i 54 anni. Eppure una buona parte delle molecole, come ad esempio alcuni psicofarmaci, non è mai stata sperimentata sulla popolazione femminile, nonostante che tra uomini e donne esistano diverse differenze, che influenzano il metabolismo di questi farmaci. Le donne inoltre pesano di meno, in media pesano il 30 per cento meno degli uomini e, poiché il dosaggio dei farmaci non sempre viene calcolato in relazione al peso, può succedere che le donne assumano una maggiore quantità di principio attivo rispetto agli uomini. Quindi anche nei meccanismi d'azione dei farmaci, la ricerca ha individuato delle differenze tra uomini e donne, a seconda delle diverse patologie.
Nel riconoscere questa diversità di esigenze - io ne ho citate un paio, forse le più evidenti: le donne consumano di più e pesano di meno - la medicina di genere considera prioritario il diritto delle donne e degli uomini ad un'assistenza sanitaria e farmacologica specifica, quindi che si basi su un diverso modo di interpretare e valutare la programmazione e la produzione normativa in ambito farmaceutico, sanitario e socio-assistenziale.
È stato ormai dimostrato da molteplici studi che le differenze di genere, nella fisiologia umana e nei fattori socio-culturali in caso d'insorgenza della stessa malattia, si riflettono significativamente in modo diverso sulla genesi, sulla prognosi e sulla compliance degli individui. Porto due esempi: è più facile e più frequente che una donna riconosca e chieda aiuto per un disturbo di natura psicologica rispetto ad un uomo ma, viceversa, abbiamo altrettanti esempi di patologie sommerse per le quali non solo le donne, ma anche le istituzioni, sono scarsamente sensibilizzate per quanto riguarda un equo accesso alle cure.
Signor Presidente, all'inizio del mio intervento ho detto che non si tratta di un'assoluta novità nel nostro Paese; infatti già nel 2008 il progetto che cito volentieri: «La medicina di genere come obiettivo strategico per la salute pubblica: l'appropriatezza della cura per la tutela della Pag. 59salute della donna», presso l'Istituto superiore di sanità, nacque proprio da questa esigenza, cioè dall'esigenza di individuare la necessità di dedicare risorse per conoscere, in maniera più specifica, le differenze tra uomo e donna e per offrire anche alle donne una medicina basata sull'evidenza, proprio per aderire a quelle raccomandazioni dell'Organizzazione mondiale della sanità, dell'Organizzazione delle Nazioni Unite e dell'Unione europea.
Quel progetto si proponeva di integrare le conoscenze biomediche sulle malattie metaboliche, sulla medicina del lavoro e sulle reazioni avverse ai farmaci e di integrarle, come dicevo, con quelle sociali ed economiche per arrivare a programmi di prevenzione mirati ed anche all'emanazione di linee guida mirate. Oltre a questo progetto voglio anche citare un dato, un precedente che potremmo considerare un auspicio per questa Assemblea: nel disegno di legge sulle sperimentazioni cliniche che noi abbiamo già approvato in questo ramo del Parlamento e che è ora all'esame del Senato, viene previsto tra le indicazioni sugli studi clinici il riferimento a pazienti volontari, sani ed equamente ripartiti tra i due generi. Si tratterebbe di un altro segnale di attenzione per affrontare le disuguaglianze di genere nella salute e garantire parità di trattamento ed accesso alle cure. Inoltre voglio ricordare che presso le Commissioni di merito, sono state già depositate da tempo diverse risoluzioni da parte di parecchi colleghi sul tema della medicina di genere.
Io stessa sono promotore di uno di tali atti, e quindi auspichiamo che anche la Commissioni di merito, quindi in questo caso la XII Commissione affari sociali, voglia approvare un impegno in tal senso. Signor Presidente, di buona volontà ce n'è, e qualche progresso in campo medico possiamo confermarlo.
C'è certamente ancora una scarsa conoscenza dell'influenza del genere sulla salute, quindi anche noi con la mozione che sto illustrando chiediamo: di inserire, fra gli obiettivi strategici, fin dal prossimo piano sanitario nazionale, la promozione ed il sostegno della medicina di genere; di sviluppare la ricerca e la medicina di genere, proprio per arrivare ad una appropriatezza terapeutica e anche ad una personalizzazione delle terapie; di individuare tutte le risorse finanziarie ed economiche necessarie affinché questi progetti possano essere finanziati od anche rifinanziati; di istituire una commissione nazionale che individui le priorità nell'ambito della ricerca di genere e le metodologie più appropriate per essa; di lanciare e finanziare un piano di ricerca clinica e preclinica che possa vedere coinvolti non solo il Ministero della salute, ma anche i Ministeri dell'istruzione, dell'università e della ricerca , per gli affari regionali, il turismo e lo sport e dello sviluppo economico e infrastrutture e trasporti; di assumere iniziative normative per offrire incentivi fiscali alle industrie che producono ricerca con disegni e protocolli mirati alla medicina di genere; di promuovere, infine, l'inserimento della materia della medicina di genere, dai livelli multidimensionali e multidisciplinari, come ho detto prima, nei corsi di formazione, come ha detto prima la collega che è intervenuta, sia del personale medico sia infermieristico, affinché vi sia una piena conoscenza della tematica. Signor Presidente, mi fermo qui e ringrazio per l'attenzione e anche per la presenza del signor Ministro sin dall'inizio del dibattito (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole De Camillis, che illustrerà la mozione Palumbo ed altri n. 1-00904, di cui è cofirmataria. Ne ha facoltà.

SABRINA DE CAMILLIS. Signor Presidente, signor Ministro, sono particolarmente onorata di presentare questa mozione sul potenziamento della medicina di genere per il gruppo del Popolo della Libertà. Già chi mi ha preceduto ha fatto riferimento alla storia ed a come si è cominciato a parlare di medicina di genere. A me fa piacere ricordare l'articolo di una rivista americana del 1991, in cui Bernardine Healy mise in evidenza come ci fosse un approccio discriminante nei Pag. 60confronti delle patologie cardiologiche. Però soltanto dieci anni dopo venne avviata una sperimentazione riservata alle donne, nel 2002, quando la Columbia University di New York istituì il primo corso di medicina di genere, dedicato allo studio di tutte quelle patologie che, in modo diverso, riguardano entrambi i sessi. La stessa Organizzazione mondiale della sanità, ha inserito poi la medicina di genere nell'equity act, a testimonianza che il principio di equità implica che la cura sia appropriata e la più consona al singolo genere.
Solo recentemente poi ci si è resi conto di significative differenze nell'insorgenza, nello sviluppo, nell'andamento e nella prognosi delle malattie. Gli organi e gli apparati che sembrano differire maggiormente sono il sistema cardiovascolare, come è stato detto anche con dati di rilevanza scientifica, il sistema nervoso e quello immunitario. Per esempio, la malattia cardiovascolare, considerata da sempre una malattia più frequente nell'uomo, in realtà è il killer numero uno per la donna tra i quarantaquattro e i cinquantanove anni. Eppure, esiste ancora la tendenza a sottovalutare l'approccio ai problemi cardiovascolari delle donne. La molta attenzione data alla medicina di genere, si innesta su un impegno, sollecitato, come già detto, a suo tempo anche dall'ONU, a ridurre la diseguaglianza di trattamento sulla donna.
Su questo impulso, l'attenzione per la medicina di genere si è focalizzata fondamentalmente sulle patologie della donna. Questo approccio, che sicuramente ha dato utili risultati, può, però, deviare verso una medicina di genere femminile, e non è questo quello a cui ci riferiamo.
In effetti, la medicina di genere è chiamata a togliere disuguaglianze di studio e di attenzione, ma non a costruire una medicina femminile, o, addirittura, con aree professionali di colore rosa, e una medicina maschile. Non è questo! A differenza del termine «sesso», che sottolinea solo la caratterizzazione biologica dell'individuo, il termine «genere», infatti, intende le categorie uomo e donna non solo in base alle differenze biologiche, ma anche secondo fattori ambientali, sociali e culturali.
In campo medico la medicina di genere distingue le cure e le attività di ricerca tenendo conto del genere di appartenenza. Per sgombrare il campo da possibili confusioni, per medicina di genere non si intende la «medicina in rosa», della donna, ma, più appropriatamente, si fa riferimento alla parità di diritto alla salute per uomini e donne.
Come è già stato molto ben detto da chi mi ha preceduto, la medicina di genere non è una nuova specialità medica, ma una dimensione che attraversa, invece, tutte le specialità e vuole studiare l'influenza del sesso e del genere sulla fisiologia, sulla fisiopatologia e sulla patologia umana. Nasce dall'osservazione che molti studi hanno descritto le malattie concentrandosi prevalentemente, o talora esclusivamente, su casistiche di un solo sesso. Tra i tanti esempi, alcuni riportati anche da chi mi ha preceduto, ne faccio soltanto due.
Il primo è che tutto ciò che si sa e si fa per le malattie cardiovascolari è stato studiato e provato su casistiche di sesso maschile. Il secondo esempio è che tutto ciò, invece, che si sa e si fa sull'osteoporosi è stato studiato e provato sul sesso femminile. Questa discrepanza è, tuttavia, assai più grave e a discapito delle donne, poiché, in troppi campi della medicina, dall'oncologia all'immunologia, al metabolismo, ai trapianti, alla farmacologia, le conoscenze sono state acquisite nell'uomo, come se questi fosse il «normale» della specie umana.
La medicina di genere non vuole, dunque, affrontare lo studio delle patologie che colpiscono prevalentemente gli uomini o le donne, ma quello delle patologie che colpiscono entrambi i generi, che hanno storie cliniche diverse e richiedono una risposta medica e organizzativa diversa.
L'obiettivo a cui dobbiamo tendere è quello di riconoscere nei percorsi di prevenzione, diagnosi, cura e ricerca, l'ottica di genere, perché solo validando il peso delle differenze riusciremo ad avere un Pag. 61diritto alla salute uguale per tutti gli individui, e non, invece, come ancora oggi, un sistema di salute discriminante.
Ho utilizzato questo termine, discriminante, non a caso, ma supportata dai numerosi studi e anche dai dati che sono stati riferiti da chi mi ha preceduto, che evidenziano come, per esempio, nel settore farmacologico, non tenendo conto delle differenze di genere, e quindi non avendo alla base del funzionamento dei farmaci una sperimentazione che tenga in debito conto le differenze di genere, un dato direttamente consequenziale è che, per esempio, la reazione avversa ai farmaci è doppia nelle donne rispetto che negli uomini.
Altra conseguenza, che è altrettanto inquietante, è la diversa e, in molti casi, minore efficacia di alcune molecole nelle donne. L'esempio, che è stato fatto, dell'aspirina mi pare che sia pertinente. Di fatto, gli studi di nuovi farmaci, di nuove terapie, dell'eziologia e dell'andamento delle malattie sono sempre stati condotti considerando come fruitori i maschi. Di conseguenza, le cure mediche rivolte alle donne sono compromesse da un vizio di fondo: i metodi utilizzati nelle sperimentazioni cliniche e nelle ricerche farmacologiche e la successiva analisi dei dati risentono di una prospettiva maschile, che sottovaluta le peculiarità femminili.
Quando mi trovo nei consessi e devo spiegare perché serve la medicina di genere, dico che non è più possibile immaginare che quello che viene sperimentato sugli uomini venga poi utilizzato per curare le donne, come se fossero dei piccoli uomini. Tutti siamo in grado di capire quali e quante siano le differenze tra l'uomo e la donna, che non sono relative, ribadisco, solo al sesso.
Di recente, inoltre, ci si è accorti di significative differenze nell'insorgenza, nello sviluppo, nell'andamento e nella prognosi delle malattie. Gli organi e gli apparati che sembrano presentare più differenze di genere sono il sistema cardiovascolare, quello nervoso e quello immunitario, come abbiamo già detto.
Per quanto mi riguarda, da diversi anni cerco di dare un contributo, anche semplicemente in termini di conoscenza e di approccio culturale, alla medicina di genere essendomi occupata di sanità nella mia regione, ma, purtroppo, ancora oggi, gravemente, mi capita di intercettare medici che non riescono a comprendere quale e cosa sia l'approccio della medicina di genere e la necessità di avere un approccio di questo tipo nella diagnosi e nella cura del paziente. Spesso questo viene inteso dal medico come se non fosse in grado di approcciarsi in modo egualitario nei confronti di un paziente uomo e di una paziente donna.
Di fatto, ritengo che nella nostra nazione, e anche a livello europeo, siano numerosi i soggetti che si occupano di medicina di genere. Ebbi l'opportunità di conoscere sin dall'inizio l'Osservatorio nazionale sulla salute della donna (Onda), con il quale abbiamo realizzato una serie di iniziative. L'approccio di Onda è soprattutto di conoscenza, di diffusione dell'informazione. Oltre a questa, vi sono anche altre fondazioni, come la Fondazione Giovanni Lorenzini, la Società italiana per la salute e la medicina di genere e la società europea che guarda alla medicina di genere.
In Italia vi sono professionisti stimati a livello internazionale. Ne potrei citare alcuni, ma non lo faccio per non discriminarne altri, però abbiamo professionisti che lavorano nell'ambito della ricerca farmacologica delle università di Sassari e di Padova, che si occupano da anni della medicina di genere.
Mi fa piacere, in questa sede, fare riferimento ad una serie di progetti di ricerca che vi sono in questo ambito. Uno è condotto dal centro di ricerca dell'università Cattolica di Campobasso ed è uno dei primi progetti di ricerca che indaga sul sistema cardiovascolare, tenendo conto di una popolazione rappresentativa, con il 50 per cento di uomini e il 50 per cento di donne, cercando di confrontare quali sono le influenze dell'uno e dell'altro sesso che portano poi a patologie cardiovascolari. È un meccanismo, un full up, numericamente Pag. 62 consistente - sono indagate 24.600 persone, tra uomini e donne - che sta portando a risultati encomiabili. Vi è anche una ricerca condotta dall'università La Sapienza di Roma che è riuscita ad individuare la differenza che esiste nella risposta ad attacchi virali e quali sono i meccanismi dietro la differenza di risposta agli attacchi stessi tra l'uomo e la donna.
Con la mozione in oggetto chiediamo al Governo: di promuovere la ricerca sanitaria su popolazioni diversificate per genere e con parametri di valutazione migliori nella sperimentazione farmacologica e nella ricerca di fattori di rischio, con il concorso degli enti vigilati dal Ministero della salute, come l'Istituto superiore di sanità, l'Aifa, gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, nonché di enti di ricerca, università e aziende sanitarie; di istituire, in collaborazione con l'Istituto superiore di sanità, un osservatorio nazionale per la medicina di genere che possa raccogliere, coordinare e trasferire dati epidemiologici e clinici, al fine di assicurare il raggiungimento dell'equità nell'esigibilità del diritto alla salute; di promuovere incentivi fiscali per la ricerca nell'ambito della medicina di genere.
In particolare però, chiediamo al Governo di inserire all'interno della programmazione nazionale sanitaria, tra gli obiettivi del piano sanitario nazionale, la medicina di genere. Ritengo che questa sia la cosa più importante da fare perché i diversi attori presenti sul territorio ormai sono pronti a dare vita ad un sistema che tenga conto, in modo trasversale, dell'ottica di genere, ma vi è bisogno di un input forte, decisivo.
Il mondo della ricerca di basi cliniche è fortemente chiamato dalle epidemiologie e dalle esigenze socio-economiche a conoscere le differenze di genere ed a impostare i percorsi personalizzati sulla persona di diagnosi, prevenzione e trattamento. Il mondo della comunicazione viene stimolato a sottolineare le ineguaglianze di approccio medico. I decisori per la sanità sentono fortemente il segnale politico di dette diseguaglianze ed individuano aree di impegno programmatico. Il medico riconosce l'esigenza di integrare le competenze specialistiche in una visione più vicina alla realtà del singolo soggetto. Le istituzioni sanitarie scientifiche guardano alla medicina di genere come area su cui investire in studi e applicazioni.
È pertanto necessario: creare un collegamento tra tutti gli scienziati ed i medici, che operano nel settore della prevenzione, delle cure primarie e secondarie e della riabilitazione, focalizzando l'attenzione sulle differenze biologiche, fisiologiche e patologiche tra donne e uomini; sostenere i ricercatori, i medici, le istituzioni ed i singoli individui, al fine di identificare i problemi di assistenza sanitaria e tutelare la salute sia delle donne sia degli uomini; migliorare il background culturale (l'aggiornamento professionale, la formazione degli esperti in medicina di genere); promuovere l'introduzione delle tematiche di genere nei programmi di entrambe le istituzioni, pubbliche e governative; sviluppare alleanze con centri di ricerca, società scientifiche, ospedali ed università; raggiungere un livello sempre maggiore di medicina personalizzata; educare il pubblico sulle differenze di genere in ambito dei bisogni sanitari.
L'integrazione tra università, aziende ospedaliere, territorio e società scientifiche, ed anche con il mondo del lavoro, sono essenziali per costruire i percorsi di genere adeguati alle necessità riconosciute da tutti. Sicuramente un tale approccio è ormai un'esigenza ripetuta in molte aree della medicina. Un approccio alla medicina di genere è destinato sicuramente a migliorare il risultato clinico a favore del paziente.
In conclusione, ritengo di poter dire che l'inserimento della medicina di genere come approccio innovativo ai percorsi di prevenzione, diagnosi e cura e nell'attività di ricerca potrà portare ad un più efficace ritorno nell'investimento sulla salute e, quindi, un migliore utilizzo delle risorse umane ed economiche nel contesto del servizio sanitario.
Tale approccio, signor Presidente, rappresentanti del Governo, signor Ministro, è tanto più utile se si pensa a quanto sta Pag. 63accadendo in alcune aree del Paese, dove l'attuazione dei piani di rientro sta mettendo in serie difficoltà la capacità di erogare livelli essenziali di assistenza. La medicina di genere e la sua applicazione nel mondo della salute è destinata a contribuire ed a far fare quel salto per consentire alla medicina di passare da una medicina reattiva ad una medicina proattiva, così come ben spiegato in occasione del II Congresso nazionale sulla medicina di genere: da una rincorsa a ridurre i costi per la sanità ad un investimento voluto sulla salute.
Quanto ho rappresentato non è una filosofia, ma un chiaro indirizzo per il migliore utilizzo delle risorse umane e materiali a favore del cittadino. Ringrazio, quindi, in particolare il Ministro, che ha voluto seguire personalmente la discussione sulle linee generali di queste mozioni.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Misiti, che illustrerà la mozione Stagno D'Alcontres ed altri n. 1-00917, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

AURELIO SALVATORE MISITI. Signor Presidente, intervengo brevemente, lasciando poi al professore onorevole Stagno D'Alcontres l'intervento nel merito delle questioni che sono state poste dalle mozioni che riguardano la medicina di genere.
A me appare molto evidente l'esigenza di unificare queste mozioni, perché credo che siano tutte basate sulle stesse considerazioni, sulla stessa analisi e sulla stessa volontà di migliorare e di andare avanti nella ricerca scientifica e negli strumenti da fornire ai ricercatori per poter arrivare ad una medicina migliore sia per le donne che per gli uomini.
È chiaro che questa medicina di genere è effetto di studi recenti e, quindi, è giusto che vi sia un impegno da parte del Governo. La sensibilità del Governo è dimostrata dalla presenza dello stesso Ministro in quest'Aula per ascoltare i vari interventi e le varie illustrazioni delle mozioni, che mi sembrano tutte bene argomentate e soprattutto specifiche, essendo trattate da deputati specialisti nella medicina.
Numerose organizzazioni internazionali quali l'OMS, l'ONU, l'Unione europea, ritengono che nei processi di prevenzione e cura bisogna rivolgere l'attenzione non solo sulle differenze ovvero sulle somiglianze biologiche, ma anche sulle differenze sociali capaci di influenzare in maniera significativa la salute.
Negli ultimi anni la conoscenza dei fattori biologici e socio-culturali che influenzano la salute e l'assistenza sanitaria per uomini e donne ha fatto, come dicevo, progressi significativi, venendo di fatto a definire un campo innovativo nel campo della ricerca scientifica, denominato proprio «medicina di genere», che costituisce un modo per rendere universale il diritto alla salute ed anche per evidenziare come le numerose differenze fisiologiche tra donna e uomo si possono poi riflettere sulla stessa prognosi, sugli esiti e sui percorsi terapeutici delle singole patologie.
Questa medicina si occupa di studiare, nelle scienze biomediche, le differenze legate al genere di appartenenza, proprio per migliorare gli interventi della medicina, sia sugli uomini sia sulle donne. Il genere, nella programmazione sanitaria e nell'approccio di cura delle patologie, purtroppo non è ancora pienamente diffuso: si fa molta confusione, ci sono ritardi ed ecco la necessità di questa spinta che può provenire dal Parlamento.
Ciò non tanto perché dobbiamo intervenire nelle aree di ricerca dei vari settori scientifici ma in questo caso è necessario, perché si tratta della salute delle donne e degli uomini; si tratta di esaminare perché un sesso ha maggiori malattie, sofferenze e dolore rispetto all'altro, consuma più medicine, fa più visite mediche, è soggetto di più alle malattie.
La sfida attuale è quella, quindi, di progredire nella ricerca scientifica: non c'è altra via, nel senso che bisogna cercare di avere ricercatori sempre più preparati, fornire loro gli strumenti concettuali pratici e soprattutto le risorse, in modo tale che si possa diffondere e assimilare questa Pag. 64problematica nel campo medico, sia per quanto riguarda la ricerca sia per quanto riguarda poi l'assistenza.
Il Governo ha un ruolo fondamentale, oltre a quello ricoperto dalle regioni, perché bisogna avere la capacità di diffondere questi contenuti e questa cultura della medicina di genere anche nel territorio, perché altrimenti si rischia di non avere effetti pratici. Come deputati della componente politica Misto-Grande Sud cerchiamo, quindi, di impegnare il Governo ad organizzare iniziative di promozione - ne fa tante la Presidenza del Consiglio ma anche il Ministero della salute - di una cultura di genere per la prevenzione e la tutela della salute. Chiediamo anche che si faccia una pianificazione della formazione professionale, perché non è solo il medico che deve essere preparato, devono essere preparati anche la struttura, gli infermieri e tutto il personale, con l'obiettivo di favorire sempre di più la conoscenza di queste problematiche. Quindi la pianificazione dell'attività formativa professionale è indubbiamente necessaria da parte del Governo e di tutti i governi regionali. Noi chiediamo l'impegno del Governo affinché promuova iniziative che prevedano, all'interno delle strutture sanitarie pubbliche, la realizzazione, per esempio, del dipartimento dedicato a questa medicina: non è detto che esistano, anzi, sono pochissimi i casi di questo genere.
Infine e soprattutto - credo che lì è il motore per l'affermazione di questo tipo di medicina - chiediamo l'impegno a sostenere lo sviluppo della ricerca scientifica medica e farmacologica nell'ambito di questa medicina di genere per salvaguardare e tutelare la salute di tutti cittadini. Ovviamente questi impegni si scontrano con una situazione difficile dal punto di vista finanziario ed economico del nostro Paese, soprattutto dei Paesi sviluppati, ma noi riteniamo che anche durante questo periodo di crisi è necessario che il Governo prenda iniziative soprattutto dal punto di vista della qualità per cercare, con i mezzi disponibili, di andare incontro a questa esigenza, un'esigenza non solo di questo o quel genere, ma di cittadini tutti, in particolare di coloro i quali si ammalano.
Per questo il gruppo Misto Grande Sud propone di andare verso un'unica mozione, possibilmente, altrimenti se saremo costretti a votare le singole mozioni noi preannunciamo il voto favorevole a tutte le mozioni presentate.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Laura Molteni, che illustrerà la mozione Martini ed altri n. 1-00897, di cui è cofirmataria. Ne ha facoltà.

LAURA MOLTENI. Signor Presidente, innanzitutto nella programmazione sanitaria e sociale è inderogabile che vi sia uno specifico ambito di riflessione e di intervento a favore dell'universo femminile, sia sotto il profilo medico scientifico che dal punto di vista socio culturale, atto a una presa in carico mirata della paziente donna. La programmazione della salute delle donne rappresenta oggi un obiettivo strategico per la promozione della salute in tutta la popolazione, in quanto indicatore della qualità, dell'efficacia e dell'equità del sistema sanitario nazionale. Il genere è un fattore determinante. È indispensabile prendere coscienza del fatto che il genere è un fattore determinante essenziale nella valutazione dei percorsi di salute, poiché il benessere della persona e la sua percezione, l'insorgenza delle malattie e il loro decorso, il rischio sanitario nelle diverse fasi della vita, gli approcci terapeutici e la loro efficacia sono stati scientificamente evidenziati con una variabilità soggettiva che trova una ulteriore diversificazione tra le donne e gli uomini.
È per questo che bisogna uscire da stereotipi nella ricerca biomedica, nella medicina, nello studio dell'eziologia e dei fattori di rischio o protettivi per la salute, e prevedere il genere nella programmazione sanitaria e nell'approccio di cura delle patologie. Questo non è ancora pienamente diffuso. Il genere va previsto anche nella valutazione dei sintomi, nell'elaborazione della diagnosi, nei programmi di riabilitazione fino alla valutazione Pag. 65dei risultati. È importante che si studino e si capiscano le differenze di genere in quanto il genere è un elemento essenziale per garantire che vengano identificati gli indicatori di equità di genere, che si ritengono fino ad oggi non riconosciuti o sottostimati. La dimensione di genere nei percorsi di salute è una necessità metodologica e deve essere uno strumento di governance di un sistema che ha come riferimento qualità ed equità. Più volte la letteratura scientifica ha dimostrato che la fisiologia degli uomini e delle donne è diversa e tale diversità influisce profondamente sul modo in cui una patologia si sviluppa, viene diagnosticata, curata e affrontata dal paziente.
La medicina di genere permette di evidenziare anche nel campo della ricerca farmacologica diverse risposte all'assunzione dei farmaci tra gli individui di sesso maschile e quelli di sesso femminile. In tema di ricerca farmacologica ricordo che c'è un nostro progetto di legge, l'Atto Camera n. 4083, appena incardinato in XII Commissione, che mira all'istituzione ed a una disciplina dell'indagine farmacogenetica. I vantaggi dell'indagine farmacogenetica per la popolazione e per il Servizio sanitario nazionale sono di notevole importanza per diversi aspetti.
Nel medio-lungo termine l'utilizzo di indagini farmacogenetiche nella pratica clinica quotidiana, non soltanto porterà evidenti vantaggi per i pazienti che potranno, per alcuni farmaci, evitare reazioni avverse ed essere curati con farmaci più adatti alla loro costituzione e alla patologia di cui sono portatori, ma avrà anche importanti conseguenze sui costi a carico del sistema sanitario. La farmacogenetica in Italia si presenta oggi con un enorme vuoto normativo. La farmacogenetica non è ancora entrata in maniera diffusa nella pratica clinica quotidiana, sebbene una buona parte delle sperimentazioni farmacologiche contempli uno studio farmacogenetico associato, proprio nell'auspicio di poter identificare, fin dall'inizio, i soggetti che potrebbero avere vantaggi o meno dallo specifico trattamento farmacologico. Oggi l'uso non ottimale del farmaco contribuisce in parte al progressivo aumento della spesa farmaceutica e la mancata applicazione dell'indagine farmacogenetica limita l'empirismo e la scelta terapeutica e aumenta i fallimenti terapeutici, che richiedono nuove terapie e nuove prescrizioni a carico del Servizio sanitario nazionale, con evidente incremento dei costi.
Non solo, l'uso non ottimale del farmaco è una delle concause responsabili del progressivo aumento delle reazioni avverse di tipo iatrogeno osservate negli ultimi anni. Le stime attuali ci dicono, infatti, che il cattivo uso di farmaci è tra le prime cause di morte o di invalidità permanente nel mondo, con ripercussioni sulla salute del paziente e con un aumento dei costi per il Servizio sanitario nazionale, proprio anche legato alla cura degli eventi avversi. È per questo che è opportuno sottolineare che l'indagine farmacogenetica fornisce informazioni a priori sulla possibilità di usare un determinato farmaco o sulle modalità del suo impiego in sicurezza - per esempio modificazione della dose -, con un vantaggio spesso immediato per il paziente e senza nessuna interferenza con altri aspetti e aspettative della vita del paziente. Si immagini se tutto questo fosse legato appunto al concetto di medicina di genere: si apre uno scenario nuovo, uno scenario dove veramente si potrà avere una medicina e una farmacologia adeguata e calibrata sugli individui, che hanno peculiarità diverse a secondo del tipo di sesso che hanno, sesso maschile o sesso femminile. La conoscenza delle differenze di genere favorisce una maggiore appropriatezza della terapia, quindi, e una maggiore tutela della salute per entrambi i generi e, conseguentemente, un risparmio per la spesa sanitaria. La specificità dell'universo femminile si esprime sotto due distinti profili: per la presenza di patologie e problematiche di ordine sanitario che, per la loro natura o la loro incidenza statistica, sono legate alla donna, nelle sue diverse età e fasi evolutive, e per lo specifico rilievo che le Pag. 66patologie e le problematiche socio-sanitarie comuni ai due generi assumono in rapporto all'universo femminile.
Inoltre, vi sono una serie di dati ISTAT; vi è un'indagine ISTAT proprio del 2 marzo 2008, per la quale l'8,3 per cento delle donne italiane denuncia un cattivo stato di salute contro il 5,3 per cento degli uomini. La disabilita è più diffusa tra le donne (6,1 per cento contro il 3,3 per cento degli uomini). Le malattie per le quali le donne presentano una maggiore prevalenza rispetto agli uomini sono le allergie (+8 per cento), il diabete (+9 per cento), la cataratta (+80 per cento), l'ipertensione arteriosa (+30 per cento), patologie della tiroide (+500 per cento), artrosi e artrite (+49 per cento), osteoporosi (+736 per cento), calcolosi (+31 per cento), cefalea ed emicrania (+123 per cento), depressione e ansia (+138 per cento), Alzheimer (+100 per cento). Sono dati di grande rilievo. L'Organizzazione mondiale della sanità è più volte intervenuta, denunciando una palese condizione di svantaggio delle donne rispetto agli uomini per quanto riguarda la tutela della loro salute. Inoltre, in un documento evidenzia l'importanza e la complessità del tema della diversità femminile sottolineandone l'ancora sostanziale misconoscenza e sottovalutazione. Adottare in campo medico una prospettiva di genere e ridisegnare la ricerca come strumento di conoscenza della specificità femminile è, quindi, una necessità per pensare ad una salute anche a misura di donna. È una necessità anche per quelli che sono i costi di contenimento della spesa del nostro Servizio sanitario nazionale.
La prima volta in cui in medicina si parla di questione femminile risale al 1991: Bernardine Healy, in un famoso editoriale della rivista New England journal of medicine parlò di «yentl syndrome» in riferimento al comportamento discriminante dei cardiologi nei confronti del sesso femminile.
Nel nostro Paese poco è stato fatto per implementare la medicina di genere, cioè una medicina che tenga conto delle fisiologiche differenze tra uomini e donne, sia nella teoria sia nella pratica clinica. Qui voglio ricordare che è depositato in questo Parlamento un altro nostro progetto di legge volto ad istituire la figura professionale di medico specialista senologo, il progetto di legge Atto Camera n. 2286. Con questo progetto di legge si vuole significare che è arrivato il momento di affrontare in modo specifico le problematiche relative alle patologie del seno, malattie di diversa eziologia e in particolare tumori, riconoscendo una branca specialistica a sé stante, la senologia, scorporata dalla chirurgia generale, entro cui oggi è inclusa.
Qui è necessario ricordare che in passato altre specializzazioni ora riconosciute come branche specialistiche autonome - e qui mi riferisco alla ginecologia, all'urologia, alla traumatologia ed altre - facevano parte della chirurgia generale. Come è pacifico pensare che oggi nessuna donna andrebbe dal chirurgo generale per una visita ginecologica, è altrettanto necessario garantire che una donna con problemi senologici possa rivolgersi a un senologo per un consulto specialistico. Per questo la figura professionale di medico specialista senologo, che si vuole istituire con questo progetto di legge, vuole dare a tutto il mondo femminile un riconoscimento giusto e adeguato - siamo nel terzo millennio! - nella cura delle malattie del seno, che hanno importanti ripercussioni a livello di impatto sociale, di complessità della materia e di alta mortalità delle donne. Diventa necessario affrontare la materia in modo omogeneo, coordinato e funzionale, istituendo unità operative di senologia, che avranno il compito di diagnosticare e di curare le diverse patologie.
Tornando alla mozione, voglio evidenziare che la Comunità europea, seppur con anni di ritardo, fin dal 1998 ha incluso all'interno dei programmi di ricerca un focus dedicato alle donne e allo sviluppo della medicina di genere. Recentemente, la sede europea dell'Organizzazione mondiale della sanità ha organizzato un ufficio, denominato Department of gender, women and healt, Pag. 67con lo scopo di mettere in evidenza il punto di vista di genere in tutte le tematiche della salute.
Poi, non bisogna dimenticarsi di quelle che sono le problematiche di salute legate alle situazioni magari di disagio psicologico delle donne. Qui voglio ricordare che nel passato Governo, ma comunque in questa legislatura, è stato approvato un altro nostro documento, un'altra nostra mozione che apriva uno squarcio proprio sulla necessità di attenzione alla salute psicologica delle donne. Nell'ambito della programmazione socio-sanitaria al femminile appare infatti prioritaria anche una riflessione sulla salute psicologica delle donne, che, secondo studi recenti, presentano un rischio tre volte più elevato degli uomini di sviluppare una depressione, fenomeno ricondotto alla loro particolare esposizione alle dinamiche e alle sollecitazioni di una società sempre più complessa e che richiede alle donne un impegno costante su più fronti, fuori e dentro casa. Situazioni di depressione che si presentano possono essere anche depressioni post partum, possono essere depressioni legate magari ad interventi di chirurgia oncologica al seno e a tanti fattori.
L'esigenza di uno sguardo mirato alle patologie e alle problematiche socio-sanitarie legate all'universo femminile va vista anche nell'ambito della programmazione nazionale, ma con un'attenzione particolare a quello che è il ruolo delle regioni, quindi questo deve trovare il proprio naturale necessario compimento a livello regionale, in quanto le regioni hanno una responsabilità diretta nei confronti della tutela e della garanzia dei bisogni sanitari emergenti della popolazione femminile.
Per tali ragioni, con questa mozione abbiamo voluto impegnare il Governo a sviluppare una programmazione delle politiche sanitarie finalizzata a prevedere una diffusione omogenea, su tutto il territorio nazionale, dell'attività di ricerca medica, scientifica e farmacologica nell'ambito della medicina di genere. Con questa mozione abbiamo voluto impegnare il Governo affinché si promuova l'inserimento della medicina di genere nei programmi dei corsi di laurea in medicina e chirurgia e delle scuole di specializzazione.
Con questa mozione vogliamo impegnare il Governo a promuovere, per quanto di competenza, l'istituzione, nelle strutture sanitarie pubbliche, di dipartimenti dedicati alla medicina di genere. Vogliamo impegnare il Governo a promuovere nel nostro Paese una maggiore consapevolezza e a sottolineare l'importanza dell'implementazione della medicina di genere a tutti livelli istituzionali. Vogliamo impegnare il Governo, a promuovere, a livello regionale, delle politiche integrate di sviluppo della medicina di genere elaborate a livello nazionale, attraverso il ricorso ad intese ed accordi da stipularsi presso la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, quale strumento di definizione di comuni obiettivi e linee di indirizzo atte a garantire i più elevati livelli di salute nel nostro Paese, tenendo conto delle specificità del genere maschile e del genere femminile.
Vogliamo impegnare il Governo, sempre con questo documento, a promuovere il consolidamento di un approccio mirato in materia di medicina di genere, al fine di offrire risposte efficaci ed appropriate alle patologie, favorendo in ambito medico l'educazione continua in medicina (ECM) in materia di medicina di genere, attraverso percorsi volti a sviluppare maggiori competenze specifiche nei confronti delle esigenze assistenziali delle donne in rapporto alle diverse intensità dei bisogni, con particolare rilevanza del ruolo dei medici di medicina generale.
È altresì importante che il Governo si impegni a valorizzare gli interventi di prevenzione e di diagnosi precoce delle patologie attraverso la sempre maggiore diffusione dei programmi di screening volti ad offrire alle donne opportunità di allungamento della vita media in buona salute, con particolare riferimento anche al loro benessere psicofisico. È altresì importante, a parer nostro, che venga istituito, a livello nazionale, un osservatorio sulla medicina di genere che abbia, tra Pag. 68i propri compiti, anche quello di presentare annualmente al Parlamento una relazione relativa all'evoluzione dei servizi in materia di medicina di genere e dei servizi nelle varie regioni.
Per quanto riguarda la questione dei farmaci, è importante che venga stipulato un accordo con la rappresentanza associativa dei produttori di farmaci affinché, nelle fasi di sperimentazione clinica dei farmaci in cui sono coinvolti gruppi di persone che si sottopongano volontariamente, venga obbligatoriamente introdotta una percentuale pari al 50 per cento di soggetti di genere femminile, al fine di valutare scientificamente il follow up e l'impatto del farmaco con una visione di genere e al fine anche di quello che è il necessario contenimento della spesa nazionale in tema di farmaci (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.

(Intervento del Governo)

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Ministro della salute, Renato Balduzzi.

RENATO BALDUZZI, Ministro della salute. Signor Presidente, intervengo brevemente per riscontrare la presentazione delle mozioni. Ho voluto essere presente di persona proprio per dare attestazione dell'attenzione, dell'importanza che il Governo e il Ministero della salute rivolgono a questo tema. Le sei mozioni presentate, alcune delle quali attendevano da molto tempo di essere portate in discussione, sono un importante contributo per arrivare ad una condivisa puntualizzazione e a degli impegni condivisi.
Non partiamo da zero, come i presentatori e le presentatrici delle mozioni hanno puntualmente notato, sia perché il Ministero della salute, l'Istituto superiore di sanità e l'AIFA hanno nel tempo avviato una serie di azioni, di programmi e di progetti intorno alla medicina di genere, sia perché è pendente, nell'altro ramo del Parlamento, un disegno di legge che, tra l'altro, riguarda proprio questo tema, nel senso di rafforzare l'inerenza del genere all'interno delle sperimentazioni cliniche - provvedimento che è stato approvato da questa Assemblea nell'autunno 2011 -, sia perché anche fuori dal campo strettamente sanitario abbiamo una discussione pubblica, un dibattito e anche degli importanti master di primo e di secondo livello dedicati alla medicina di genere.
Nella prossima riunione della Commissione nazionale per l'educazione continua in medicina proporrò proprio di inserire la questione della medicina di genere come un punto a sé di attenzione e di promozione, per quanto riguarda le attività formative nel comparto sanitario che, come è noto, sono un'importante riserva di futuro e di speranza per il Servizio sanitario nazionale. Vi è dunque un'acquisizione culturale che è già transitata in un'attenzione scientifica, in azioni amministrative e in itinere anche legislative. Che cosa manca? Manca proprio quello che chiedono le mozioni: un impegno a trecentosessanta gradi che riesca a mettere insieme tutti questi progetti, programmi e attenzioni che ho sinteticamente ricordato.
Auspicando che i presentatori e le presentatrici delle sei mozioni riescano a concordare su un'unica mozione sulla quale il Governo potrà assumere impegni precisi, mi dichiaro naturalmente disponibile anche in ordine alla prosecuzione di questo dibattito.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione delle mozioni Servodio ed altri n. 1-00869, Delfino ed altri n. 1-00905 e Bossi ed altri n. 1-00912 concernenti iniziative in materia di uso e sviluppo delle agroenergie, con particolare riferimento agli impianti alimentati a biomasse (ore 18,20).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Servodio ed Pag. 69altri n. 1-00869, Delfino ed altri n. 1-00905 e Bossi ed altri n. 1-00912 concernenti iniziative in materia di uso e sviluppo delle agroenergie, con particolare riferimento agli impianti alimentati a biomasse (Vedi l'allegato A - Mozioni).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
Avverto che sono state presentate le mozioni Beccalossi ed altri n. 1-00914, Di Giuseppe ed altri n. 1-00915, Misiti ed altri n. 1-00918 e Di Biagio ed altri n. 1-00921 che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente (Vedi l'allegato A - Mozioni). I relativi testi sono in distribuzione.
Avverto, altresì, che è stata presentata una nuova formulazione della mozione Servodio ed altri n. 1-00869 (Vedi l'allegato A - Mozioni). Il relativo testo è in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritta a parlare l'onorevole Servodio, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00869 (Nuova formulazione). Ne ha facoltà.

GIUSEPPINA SERVODIO. Signor Presidente, ringrazio il sottosegretario allo sviluppo economico, professor Massimo Vari, perché è il settore che più forse è interessato, rispetto all'oggetto di queste mozioni.
Il settore della produzione di energia da fonti rinnovabili agricole rappresenta senza dubbio una delle sfide più importanti per pianificare una strategia di sviluppo agricolo ed agroalimentare. La grande opportunità offerta dalle bio-energie non può più essere sacrificata alla schizofrenia di una politica incerta, che generando comportamenti contrastanti, di fatto, rischia di ostacolarne il corretto sviluppo e una reale fonte di integrazione al reddito per le aziende agricole attraverso l'incremento delle produzioni connesse alle attività delle stesse imprese.
Inoltre, la creazione di una robusta filiera agro-energetica connette in maniera più strutturale il settore primario con gli altri settori dell'economia nazionale e fornisce quella necessaria risposta al rischio di abbandono dei terreni.
Sottosegretario, se è vero che gli incentivi sostenuti per promuovere le energie rinnovabili non devono essere considerati una voce di costo, perché rappresentano il valore della sostenibilità rispetto al costo dell'inquinamento dell'economia del petrolio, è anche vero che fino ad oggi nel nostro Paese ha prevalso un profilo di esclusivo carattere economico che si è concretizzato in incentivi monetari alla produzione senza alcuna valutazione connessa alla virtuosità del ciclo di produzione e senza quella necessaria programmazione e pianificazione territoriale per salvaguardare il paesaggio agrario, la sua storia e le sue potenzialità in termini di green economy.
In particolare, sono stati incentivati, con finanziamenti a pioggia, singoli impianti a discapito della promozione delle filiere integrate e inserite in rotazione agricola che consentirebbero una maggiore sostenibilità nell'uso del suolo agricolo e nella riduzione delle emissioni di carbonio lungo il ciclo di vita della filiera. Questi primi elementi rilevano l'urgenza di un dibattito parlamentare. Il gruppo del Partito Democratico intende contribuire alla riflessione sulle bioenergie con l'obiettivo prioritario di sollecitare il Governo ad emanare rapidamente i tre decreti attuativi del decreto legislativo n. 28 del 2011.
I tre decreti, purtroppo, sono fermi per una carenza di coordinamento e di sinergia tra i Ministeri competenti. Mi riferisco ai decreti attuativi sull'energia elettrica (articolo 24), sul biometano (articolo 21) e sull'energia termica (articolo 28). Con riguardo alle potenzialità termiche delle biomasse ritengo importante in questa sede, signor sottosegretario, dare un segnale Pag. 70 forte di incentivo al settore, quello termico, che in questi anni ha scontato una profonda marginalizzazione rispetto al settore elettrico.
Il nostro Paese ha assunto precisi impegni in sede comunitaria. Ricordo che il Parlamento europeo nel marzo 2008 ha approvato il «pacchetto clima-energia» e, nel 2009, la direttiva n. 28 che stabilisce obiettivi nazionali obbligatori per l'Italia (il 17 per cento). Questa direttiva è stata recepita, come ricordavo prima, con il decreto legislativo n. 28 del 2011 che costituisce una importantissima legge quadro sull'energia che definisce strumenti, meccanismi, incentivi, il quadro istituzionale, finanziario e giuridico necessario per il raggiungimento degli obiettivi fino al 2020.
Nel piano di azione nazionale per le energie rinnovabili (PAN, che è documento strategico e obbligatorio che il Governo ha presentato a Bruxelles nel luglio 2010 - sono passati quasi due anni) l'energia prodotta dalle biomasse rappresenta il 45 per cento dell'energia complessiva rispetto alle altre energie prodotte da fonti energetiche rinnovabili.
Il Piano nazionale considera correttamente le biomasse come l'unica fonte energetica rinnovabile in grado di svolgere un ruolo importante in tutti e tre i settori considerati nella direttiva n. 28 del 2009 (riscaldamento e raffreddamento, elettricità e trasporti). Da ultimo - lo voglio ricordare ai colleghi e anche al sottosegretario - mi ha molto colpito il fatto che la strategia per una bioeconomia sostenibile per l'Europa (piano adottato dalla Commissione europea credo il 13 febbraio di quest'anno) pone le giuste premesse per il superamento di un'economia basata sul petrolio.
La bioeconomia colloca giustamente il settore agricolo alla base del nuovo sviluppo economico sostenibile dell'Europa, in cui la produzione alimentare e la filiera agroenergetica possono assolvere a reciproche funzioni di sviluppo armonico. Al riguardo, il valore aggiunto per l'agricoltore è dato dalla creazione delle filiere e non dalla mera produzione della biomassa.
Sullo scenario delle filiere delle bioenergie si manifestano, tuttavia, alcuni preconcetti pericolosi. Il primo è che la produzione di energia sottrae terra alle coltivazioni destinate all'alimentazione. In realtà con interventi adeguati la produzione di bioenergie può avvenire senza creare contrasto e competizione tra filiere alimentari tradizionali e filiere energetiche.
Anzi, con le agroenergie è possibile contribuire a risolvere i problemi di natura ambientale legati alla valorizzazione di sottoprodotti e di biomasse agricole, al miglioramento della sostenibilità delle pratiche agricole. Inoltre, l'integrazione dei redditi si realizzerebbe senza una sostituzione delle produzioni agricole con quelle bioenergetiche in un risultato a somma zero. La forza dell'agricoltura dovrebbe essere quella di produrre nel contempo prodotti alimentari per la zootecnia e anche energia, utilizzando i terreni in modo più efficiente, frazionando i raccolti, adottando strategie multisettoriali, come i mercati di sbocco, che proteggano l'imprenditore dai cali dei prezzi dei prodotti agricoli nei mercati tradizionali.
Il secondo preconcetto deriva dal fatto che in alcune limitate aree si sono create situazioni di stress derivanti dal numero di impianti e dalle attività zootecniche a cui si riferiscono. Tuttavia questi impianti, in particolare il biogas, hanno limitato l'impatto che altrimenti gli allevamenti avrebbero provocato sull'ambiente a vantaggio della collettività. Queste distorsioni dunque non devono determinare una scelta al ribasso per la filiera delle bioenergia. In definitiva, intendiamo proporre un modello in cui la bioenergia abbia la funzione di attività anticiclica e complementare a quella alimentare, foraggiera e forestale, caratterizzandosi quale strumento per tutelare i redditi degli agricoltori e contrastare il fenomeno dell'abbandono dei territori rurali, il loro depauperamento e l'erosione del suolo.
Quali esperienze, sottosegretario, si sono realizzate nel nostro Paese? Come si è sviluppato il settore? Ci troviamo di fronte ad una situazione complessa con Pag. 71luci ed ombre, forme di speculazione e situazioni di criticità. Tra le criticità emerse nella diffusione delle bioenergie, ne sottolineo una in particolare: la realizzazione di impianti di media e grande dimensione ha comportato inevitabilmente un aumento della distanza coperta dai materiali necessari per il funzionamento degli impianti stessi, con conseguente incremento della mobilità dei mezzi pesanti e del relativo impatto ambientale.
Inoltre, in alcune aree dell'Italia si sta registrando un'eccessiva concentrazione di impianti che, in assenza di una programmazione territoriale, determina effetti in contrasto con gli obiettivi che in tutti questi anni hanno determinato il sostegno allo sviluppo degli impianti agroenergetici di piccole dimensioni. Nella Commissione agricoltura abbiamo molto puntato su questo. Occorre quindi che la gestione di questi interventi sui territori sia ben organizzata al fine di realizzare impianti compatibili con le esigenze di vivibilità dei territori, con la salvaguardia delle produzioni agricole, specie quelle orientate alla qualità del prodotto, stabilendo criteri per lo sfruttamento prevalente delle biomasse locali.
Nella mozione, illustrissimo sottosegretario, chiediamo, come già in premessa sottolineato, di accelerare i tempi per l'emanazione dei decreti attuativi - lo ripeto - degli articoli 21, 24 e 28 del decreto legislativo e di assumere anche un'iniziativa molto opportuna, certamente di competenza ma non esclusiva, affinché l'Autorità per l'energia elettrica e il gas provveda rapidamente all'emanazione delle direttive sulle caratteristiche del biometano. Noi siamo ancora fermi su questo.
Chiediamo inoltre di assumere ogni iniziativa di competenza per verificare come sul territorio nazionale siano state applicate le linee guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili e del burden sharing. Infatti, il sistema delle autorizzazioni risente oggi di numerose carenze e disomogeneità che, se da un lato non offre le necessarie certezze agli operatori ed agricoltori sugli investimenti da effettuare fino al 2020, dall'altro non sta premiando nemmeno la produzione agricola e l'efficienza energetica delle filiere.
Nel rispetto delle competenze di ciascun livello istituzionale, noi chiediamo, perché è necessario che il Governo si attivi, che venga dato tutto il supporto possibile alle regioni e resi più condivisi i principi a cui le autonomie locali si devono riferire. La Commissione per il monitoraggio degli obiettivi regionali deve essere istituita in tempi brevi per superare fenomeni di proliferazione e concentrazione di impianti senza alcuna visione complessiva del territorio e per il raggiungimento di una coerente e omogenea politica sulle agroenergie attraverso un'uniforme, ottimale regolamentazione in merito alla localizzazione degli impianti dimensionati alla filiera agricola e zootecnica.
Occorre assumere un piano strategico di lungo periodo che, mantenendo una stretta relazione tra tutti i livelli istituzionali coinvolti, affronti in maniera interattiva le eventuali problematiche del settore dell'agroenergia.
Per quanto riguarda la politica, per esempio, delle semplificazioni che il Governo sta portando avanti, è auspicabile che anche in questo settore avvenga una sinergia tra gli enti locali per superare tutte quelle pratiche che impediscono un reale sviluppo del settore. Chiediamo, inoltre, al Governo un impegno chiaro sul tema della differenziazione del sistema degli incentivi che, a nostro avviso, è la chiave e il nodo della politica sulle agroenergie. Questa differenziazione si deve basare sull'efficienza energetica dell'impianto con l'obiettivo di sfruttare innanzitutto le risorse locali nel rispetto della vocazione agricola del territorio, premiando la virtuosità della filiera e dell'efficienza energetica di tutto il ciclo, utilizzando - come dicono gli esperti - l'analisi del ciclo vita: più la filiera è virtuosa, più va incentivata.
Occorre, perciò, limitare lo sviluppo di impianti non in filiera agricola sia per progettarne la dimensione e l'effettiva esigenza Pag. 72 della filiera stessa, sia per ridurre l'impatto logistico e conseguentemente ambientale, dovuto all'uso del territorio e alla movimentazione delle biomasse necessarie per il funzionamento degli impianti.
È perciò necessario portare la progettazione della filiera agroenergetica dal progetto tecnico dell'impianto al progetto di territorio. Chiediamo ancora al Governo di favorire un protagonismo dell'imprenditoria agricola italiana, sostenendo il valore della filiera agroenergetica come fonte integrativa di reddito agricolo, come crescita della capacità manageriale di gestione della qualità ambientale dell'azienda agricola stessa, rafforzando la sua capacità di produrre in modo competitivo alimenti e foraggio, differenziando le varietà culturali e mitigando il rischio associato alla stagionalità e alle fluttuazioni dei prezzi di mercato.
Chiediamo, inoltre, al Governo di uniformare la legislazione relativa alla definizione di sottoprodotto e al ciclo integrato dei rifiuti. Oggi numerose biomasse sono definite rifiuti con la conseguente impossibilità ad essere utilizzati in impianto di tipo agricolo. È urgente, quindi, chiarire l'interpretazione normativa per numerosi rifiuti e sottoprodotti agricoli o agroindustriali utilizzabili in pratiche agronomiche e sostenere le filiere agroenergetiche basate prevalentemente sui sottoprodotti agricoli agroindustriali e dell'allevamento.
Signor sottosegretario, le ripeto che mi fa piacere e la ringrazio per la sua presenza, è maturo il tempo per consentire una piena crescita delle filiere agroenergetiche nel nostro Paese, sviluppando - in coerenza con gli obiettivi europei che abbiamo condiviso e sottoscritto - sistemi, processi, metodi e pratiche capaci di garantire un utilizzo delle biomasse per la produzione energetica sostenibile e nell'interesse generale del Paese (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Delfino, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00905. Ne ha facoltà.

TERESIO DELFINO. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, la società in cui viviamo e i nostri stili di vita sono caratterizzati da elevati consumi in campo energetico, oltre che da relazioni con l'ambiente tali da compromettere l'equilibrio sostenibile tra la necessità della crescita e la tutela del contesto biologico naturale. L'80 per cento dei consumi energetici del pianeta sono coperti dai combustibili fossili (petrolio, gas e carbone), che determinano nell'atmosfera una elevata concentrazione di anidride carbonica, considerata la causa principale dei cambiamenti climatici.
L'economista Herman Daly ha sottolineato che le future generazioni potranno avere le nostre stesse opportunità solo se riusciremo ad arrivare ad un'economia realmente sostenibile.
Davanti a questa grande emergenza occorre definire, a livello globale, una strategia che, recependo le indicazioni di Kyoto, diversifichi profondamente le politiche per lo sviluppo, puntando largamente sulle energie rinnovabili e su incentivi economici capaci di favorire la transizione verso l'energia a basso contenuto di emissioni di anidride carbonica.
L'Unione europea ha messo in atto politiche per incentivare la produzione di energia da fonti rinnovabili e anche l'Italia deve cogliere l'opportunità storica di trasformare e rendere più articolata la disponibilità di queste risorse energetiche, che può portare importanti benefici al nostro Paese. La possibilità di sviluppare energie da fonti rinnovabili, dal solare, come il fotovoltaico e il termico, agli impianti a biomasse e altro ancora, trova nel nostro Paese buone opportunità che, adeguatamente sfruttate, offrono un importante contributo anche di carattere economico e occupazionale.
Per far fronte al rapido esaurimento di molte risorse e alle continue pressioni sull'ambiente, l'Europa ha optato per un approccio che interessa tutte le fasi della filiera energetica: produzione, consumo, trasformazione, stoccaggio, riciclaggio e smaltimento delle risorse. In questo ambito le biomasse costituiscono una fondamentale Pag. 73 fonte energetica rinnovabile, il cui ruolo potrebbe essere determinante per il raggiungimento degli obiettivi del Protocollo di Kyoto e per il rispetto dei molteplici impegni già assunti dal nostro Paese. L'attuazione del PAN - Piano nazionale d'azione per le energie rinnovabili - rappresenta l'elemento programmatico fondamentale per realizzare, con il contributo delle varie fonti rinnovabili, gli obiettivi stabiliti in ambito comunitario per il 2020, ossia il 17 per cento di produzione da fonti energetiche rinnovabili sul consumo totale di energia e il 10 per cento sul consumo totale di carburante. In sostanza, per quanto riguarda le biomasse è previsto, sempre al 2020, un obiettivo di 18,8 terawattore di energia elettrica e 5,7 megawatt di energia termica.
La strategia Europa 2020 auspica, altresì, lo sviluppo della bioeconomia, poiché elemento fondamentale per una crescita intelligente e verde che può contribuire, in modo considerevole, al conseguimento degli obiettivi previsti dalla suddetta strategia Europa 2020, garantendo la gestione sostenibile delle risorse naturali, la significativa riduzione della dipendenza dalle risorse non rinnovabili, nonché la creazione di posti di lavoro e la salvaguardia della competitività europea.
La Commissione ha evidenziato l'importanza del contributo offerto dalle biomasse per il raggiungimento degli obiettivi posti sul clima e sull'energia per il 2020, ossia il 20 per cento di riduzione delle emissioni, il 20 per cento di aumento dell'efficienza energetica, il 20 per cento di rinnovabili negli usi finali di energia e il 10 per cento dell'attuale consumo di carburanti per veicoli sostituiti con biocombustibili.
La direttiva comunitaria 2009/28/CE, in materia di promozione dell'uso di energia da fonti rinnovabili, definisce come biomassa la frazione biodegradabile dei prodotti, rifiuti e residui di origine biologica, provenienti dall'agricoltura, dalla silvicoltura e dalle industrie connesse, nonché la parte biodegradabile dei rifiuti industriali e urbani. Un ruolo fondamentale è affidato alle biomasse, che dovranno fornire nel 2020 quasi la metà dell'energia prodotta da fonti rinnovabili. Il ruolo dell'agricoltura sta diventando più che mai fondamentale nella soluzione delle problematiche ambientali ed energetiche di questo secolo, perché quando si parla di agroenergie si esplicita l'energia prodotta dalla realtà agricola dalla quale si possono ricavare, attraverso svariate tecnologie, un'ampia gamma di prodotti.
La prospettiva delle agroenergie rappresenta, altresì, anche un forte sostegno alle attività produttive delle nostre aziende agricole e valorizza le nostre filiere agroalimentari, contribuendo ad accrescere il reddito dei nostri agricoltori e a risolvere problemi di natura ambientale, legati all'utilizzo di sottoprodotti e di biomasse agricole che, altrimenti, rappresenterebbero un ulteriore costo economico per le aziende.
La stretta correlazione tra aspettative e potenzialità dell'ambiente circostante, infatti, fa sì che le questioni agroenergetiche siano, sostanzialmente, allineate alle problematiche del territorio di riferimento.
Il settore agricolo può fornire un contributo attivo alla mitigazione dell'effetto serra, sia per la produzione di energia da fonti rinnovabili, sia per l'accumulo di sostanze organiche nei suoli, nelle foreste e nelle coltivazioni agricole. Negli ultimi anni si è verificato un consistente sviluppo di impianti agricoli finalizzati alla produzione di energia rinnovabile, cosa che evidenzia un forte interesse del settore verso una reale opportunità di incremento e diversificazione del reddito aziendale, anche grazie agli incentivi previsti dalle nuove normative approvate in questi anni. L'agricoltura ha quindi l'opportunità di partecipare attivamente al raggiungimento dei sovraesposti obiettivi: la definizione di incentivi specifici per la produzione di energia ed il riconoscimento dell'attività agricola connessa alla produzione e alla vendita di energia rinnovabile, anche se appare evidente la necessità di promuovere e valorizzare fonti di produzione Pag. 74energetiche che utilizzino sostanze di origine biologica, senza dare vita ad effetti distorsivi per l'economia agraria.
In particolare, risulta fondamentale sostenere le filiere più efficienti nell'uso del suolo agricolo, nella riduzione delle emissioni di carbonio e capaci di generare la massima ricaduta occupazionale in ambito locale.
Bisogna infatti distinguere tra produzione di materia prima e produzione energetica. La prima vede necessariamente coinvolto il comparto agricolo, la seconda può interessare lo stesso le aziende agricole, che oltre a fornire materia prima diventano anche produttrici di energia. In entrambi i casi, il fattore terra è fondamentale sia nella concorrenza tra prodotti energetici e produzioni agricole, sia se si voglia pensare all'impatto che gli impianti di produzione possono avere sui territori rurali in termini di biodiversità, ambiente e occupazione di spazi agricoli.
Tra le criticità emerse nella diffusione delle biotecnologie, vanno evidenziate la realizzazione di impianti di medie e grandi dimensioni, che comportano inevitabilmente un aumento della distanza coperta dai materiali, e l'eccessiva concentrazione di questi impianti in determinate aree, che naturalmente rischiano di creare delle difficoltà alla finalità propria della produzione agricola, che è quella dell'alimentazione umana ed animale.
Ogni anno gli scarti delle aziende agricole degli allevamenti forniscono al settore energetico oltre 20 milioni di tonnellate di biomasse legnose. Grazie alle biomasse legnose, ad esempio, oggi ci è consentito un risparmio di 24 milioni di tonnellate di CO2. È necessario dunque prevedere incentivi per gli imprenditori agricoli che puntano sullo sviluppo delle agroenergie, che consentano un considerevole risparmio di emissioni e diano una possibilità di crescita reale del prodotto all'azienda agricola.
Oltre ai benefici in termini di sostenibilità e salvaguardia ambientale, lo sviluppo delle agroenergie e, in particolare, la produzione agricola delle biomasse, favorisce significativi effetti sull'occupazione. Al 2020 si potrebbero impiegare, secondo l'analisi dell'osservatorio sulle agroenergie, oltre diecimila addetti aggiuntivi solo nei segmenti biomasse solide, biogas e bioliquidi, di cui circa il 40 per cento potrebbe essere impiegato nell'esercizio e nella manutenzione lungo la vita degli impianti, mentre il restante 60 per cento nella fase della loro costruzione.
Più in generale, la produzione delle energie rinnovabili (di tutte le rinnovabili messe insieme) sarebbe destinata a triplicare nei prossimi dieci anni, creando un impatto occupazionale molto più elevato, e c'è chi sostiene che potrebbe arrivare fino a centomila posti di lavoro.
Siamo quindi davanti ad un settore dinamico, capace di profonde ricadute sia in termini di benefici per le nostre realtà e aziende agricole, che vedono per tanti versi limitata la loro capacità di crescita reddituale, sia anche perché produce una grande innovazione e capacità sia nel settore agricolo, sia nel settore della costruzione di questi impianti, e quindi anche con una competizione, oggi non sufficiente, ma già fortemente radicata nel nostro Paese in questo settore rispetto ad altri Paesi che hanno, più tempestivamente, avviato questo discorso.
Infine la filiera delle agroenergie genera sviluppo e ricchezza con ripercussioni economiche nell'indotto, in una molteplicità di comparti; si stima che mediamente gli effetti sul PIL siano per il 46 per cento legati alle fasi di installazione degli impianti e per il 50 per cento alla fase di esercizio e manutenzione. Complessivamente si stimano benefici compresi tra 1,7 e 3,1 miliardi di euro.
L'analisi costi-benefici ha evidenziato come lo sviluppo di agroenergie in Italia possa generare comunque benefici netti importanti per il Paese; le molteplici ragioni illustrate in questa relazione, richiedono che il Governo nazionale si impegni a garantire un quadro normativo stabile e certo nelle politiche del settore, mirato a sostenere in particolare la localizzazione di impianti che interagiscano positivamente con le finalità agricole, energetiche e agroalimentari della nostra agricoltura, Pag. 75privilegiando un'impostazione che dia un vero e reale equilibrio a questi tre elementi.
Il vasto settore delle agroenergie in Italia, sia dal punto di vista tecnico-economico, sia per i possibili effetti derivanti dalla produzione, rappresenta quindi una realtà molto positiva; le biomasse - secondo l'Osservatorio delle agroenergie che ho già citato - hanno un potenziale significativo, se consideriamo sia la silvicoltura, sia le colture dedicate. Per quanto riguarda la produzione di calore mediante stufe a pellet o a teleriscaldamento, la biomassa solida oramai è competitiva, la continua apertura di centrali di teleriscaldamento e la costante crescita del mercato delle stufe a pellet, testimoniano quanto ampie siano le potenzialità di queste risorse. Il biogas, come abbiamo già detto, ha una grande potenzialità ed i vantaggi, unitamente agli incentivi, hanno spinto, come ricordavo prima, molte aziende agricole a progettare e installare impianti a biogas.
Dalle biomasse liquide, il Piano nazionale d'azione per le energie rinnovabili (PAN) si attende una crescita molto sostenuta, specialmente per quanto riguarda la generazione elettrica mediante oli vegetali, che tuttavia presenta anche alcune criticità; queste tecnologie offrono il vantaggio di poter attingere ai mercati internazionali ma, come ho detto nel corso della mia relazione e nella mozione del gruppo, noi vogliamo soprattutto tenere presente lo sviluppo delle agroenergie sul territorio, ove questi impianti vengono localizzati.
Ricordando quindi questi benefici che derivano dall'analisi dei costi e delle ricadute positive che ne derivano sotto il profilo occupazionale ed economico, noi riteniamo che il Governo abbia la necessità - questi sono gli impegni che noi chiediamo, nella mozione, che il Governo si assuma - di prestare grande attenzione a tutta la normativa oggi in vigore. Oggi il Ministro Clini ha dichiarato che noi siamo dal 1988 ancora senza un Piano energetico nazionale, ma qui siamo in un settore dove c'è tutta una seria normativa a livello comunitario e a livello nazionale, che abbiamo già approvato, e quindi siamo convinti che il Governo possa assumere l'impegno ad una rivisitazione forte anche per correlare gli incentivi, in particolare ad una maggiore sinergia ed integrazione fra le attività agricole primarie fondamentali - assicurare derrate alimentari e prodotti per la filiera animale -, ma che possa anche adottare ogni utile e necessario intervento per una regolamentazione che sia efficace nel favorire soprattutto le aziende agricole nel promuovere una tipologia ed una localizzazione di impianti che rafforzino il ruolo primario del territorio agricolo e non snaturino, anzi valorizzino il paesaggio rurale.
Per questo abbiamo presentato questa mozione e siamo convinti che le iniziative che hanno assunto tutti i gruppi vadano nella direzione di far sì che questo settore e lo sviluppo di queste agroenergie abbiano la possibilità di offrire una risposta al bisogno energetico del Paese, ma anche di dare un fondamentale contributo per mantenere sempre più viva e sempre più presente sul territorio la nostra realtà agricola.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Callegari, che illustrerà anche la mozione Bossi ed altri n. 1-00912, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

CORRADO CALLEGARI. Signor Presidente, signor sottosegretario, nell'ambito delle strategie di diversificazione delle energie rinnovabili la promozione di energia termica, che già rappresenta oltre il 45 per cento dei consumi finali dell'energia prodotta nella somma tra fonti tradizionali e rinnovabili, assume sempre maggior rilievo a fronte delle potenzialità ed opportunità, in termini di efficienza, di valorizzazione delle filiere produttive e di sostenibilità ambientale, che essa comporta. Il Piano d'azione nazionale per l'energia da fonti rinnovabili, predisposto in attuazione della direttiva comunitaria 2009/28/CE, assegna all'energia termica generata da biomasse legnose e al biogas-biometano un ruolo di primo piano.
La produzione termica da biomasse è un sistema molto articolato in cui sono Pag. 76previste tecnologie diversificate, quali apparecchi domestici, caldaie centralizzate e teleriscaldamento, a dimostrazione che l'intero settore è in grado di esprimere un potenziale ancora maggiore di quello stimato, come evidenziato negli obiettivi da conseguire entro il 2020 che attribuiscono alle biomasse la produzione del 54 per cento dei 10,5 megawatt di energia termica da fonti energetiche rinnovabili. L'attivazione di un sistema incentivante, basato su una strategia di filiera, costituisce lo strumento indispensabile per lo sviluppo della termica da biomasse e, più in generale, per uno sviluppo economico a basso impatto ambientale.
Con l'approvazione del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, che recepisce la nuova direttiva europea sull'energia da fonti rinnovabili, è stato delineato un nuovo quadro di strumenti e indirizzi per il raggiungimento degli obiettivi condivisi con l'Unione europea in termini di energia rinnovabile nei consumi finali lordi. Tra i contenuti di questo provvedimento meritano una particolare attenzione alcuni interventi riferiti alla termica da fonti di energia rinnovabile o che ad essa fanno riferimento unitamente ad altre iniziative come: l'attribuzione di specifici contributi per interventi finalizzati alla produzione di energia termica da fonti di energia rinnovabile e per interventi di efficienza energetica di piccole dimensioni, come previsto dall'articolo 28; l'annunciata riforma dei certificati bianchi sia nella durata, pari alla vita utile dell'intervento, sia nel valore, come previsto dall'articolo 29; l'istituzione del fondo di garanzia a sostegno della realizzazione di reti di teleriscaldamento, previsto dall'articolo 22, comma 4; l'obbligo di integrazione delle fonti di energia rinnovabile anche per la copertura di consumi di calore e raffrescamento negli edifici di nuova costruzione e negli edifici esistenti sottoposti a ristrutturazioni rilevanti, come previsto dall'articolo 11; la precisazione che l'incentivo dovrà tener conto della tracciabilità e della provenienza della materia prima, nonché dell'esigenza di destinare prioritariamente all'utilizzo termico le biomasse legnose trattate per via esclusivamente meccanica, come previsto dall'articolo 24, comma 2, lettera g).
Sono nuovi strumenti, quindi, che per trovare una concreta applicazione devono essere oggetto di appositi decreti attuativi che ne definiranno i criteri di funzionamento e le risorse economiche da mettere in campo. È atteso da molti mesi il decreto attuativo che darà operatività ad una prima parte di questo provvedimento quadro, decreto che dovrà essere emanato dal Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell'ambiente e, per i profili di competenza, dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali. Ci riferiamo al decreto attuativo dell'articolo 28, che dovrebbe attivare il tanto atteso conto energia termico a favore della termica prodotta, tra l'altro, anche dalle biomasse legnose.
Rispetto alle altre fonti rinnovabili, dove le variabili sono soprattutto legate alle diverse taglie di potenza, ovvero per diversità tecnologiche piuttosto limitate, quello della termica da biomasse è un sistema, come dicevo prima, molto articolato, nel quale sono presenti tecnologie molto diversificate, come apparecchi domestici, camini, termocamini, inserti chiusi, stufe a legna, termocucine, stufe a pellet, caldaie centralizzate per il riscaldamento.
Anche rispetto ai combustibili, questo settore si presenta in modo articolato con legna da ardere, cippato, pellet e bricchette. Quindi, è una filiera legno-energia della quale fanno parte produttori e distributori di biocombustibili solidi, costruttori e distributori delle tecnologie di conversione energetica, il mondo delle professioni direttamente coinvolto come progettisti, installatori e manutentori.
Per questo motivo siamo dell'avviso che un sistema incentivante, con una strategia di filiera, può costituire un concreto strumento di sviluppo della termica da biomasse. Attraverso lo strumento del sistema incentivante, oltre al fondamentale obiettivo di aumentare la quantità complessiva di energie rinnovabili nei consumi finali entro il 2020, è possibile, nel caso della Pag. 77termica da biomasse, cogliere anche altre finalità, che hanno un significato altrettanto strategico dal punto di vista dello sviluppo economico, ambientale e organizzativo e che possono contribuire a risolvere anche alcune criticità proprie di questo settore, come contabilizzare l'energia termica prodotta da biomasse rispetto agli obiettivi complessivi del 17 per cento tramite un sistema di monitoraggio e archiviazione dati periodica costantemente autoaggiornabile nel tempo, aumentare l'efficienza energetica del parco apparecchi e impianti e riqualificare il parco esistente, aumentare la sicurezza per mezzo delle attività di manutenzione e controllo degli impianti fumari e dei generatori, ridurre significativamente le emissioni prodotte dalla combustione delle biomasse legnose, in particolare le polveri sottili, promuovere lo sviluppo economico delle imprese del settore consolidando e aumentando l'occupazione, favorire la concreta implementazione sul mercato della certificazione di prodotto di filiera e la tracciabilità dei biocombustibili solidi, promuovere la certificazione e la qualificazione degli installatori e manutentori di apparecchi e impianti, promuovere la valorizzazione delle risorse legnose locali e delle imprese boschive e agricole.
La crescita di questo settore si pone in stretta relazione, poi, con la gestione forestale sostenibile. Voglio ricordare che il bosco italiano cresce e in 50 anni raddoppia di superficie, non per effetto di una scelta politica, ma in larga parte per l'abbandono della zootecnia di montagna e la conquista da parte del bosco di ampi spazi un tempo destinati a pascoli. Attualmente i boschi italiani coprono 10 milioni di ettari e ogni anno, su ogni ettaro, il legno aumenta di circa tre metri cubi. Di questi tre metri cubi di legno solo uno viene raccolto e due restano lì. Quindi, ogni anno l'area boschiva si implementa naturalmente, senza bisogno di alcun intervento, di circa 20 milioni di metri cubi di legno, che possono essere utilizzati come biomassa disponibile.
Le produzioni legnose da destinare allo scopo energetico possono, inoltre, provenire anche da altre utili fonti, dalle potature delle colture arboree, in primis vigneti, uliveti e noccioleti. È possibile raccogliere una quantità straordinaria di biomassa legnosa da valorizzare energicamente. Da una sola provincia come quella di Treviso, famosa per i vigneti a prosecco, è stata calcolata una potenzialità di 79 mila tonnellate l'anno di potature di vigneti, che possono utilmente essere destinate alla produzione energetica.
A tutto ciò va aggiunto il cosiddetto «fuori foresta», costituito da boschetti, filari e fasce boscate. L'interesse crescente all'approvvigionamento di biomasse legnose ad uso energetico comporta la riqualificazione di tutta la filiera legno-energia e dei suoi operatori, a partire dalle imprese boschive e dalle cooperative forestali, che svolgono un ruolo fondamentale nella gestione sostenibile delle risorse legnose locali, nel mantenimento dell'equilibrio tra un uso industriale ed energetico del legno e nella corretta implementazione della certificazione e della tracciabilità dei combustibili solidi.
Per quanto riguarda, invece, il biogas e il biometano, nel quadro delle attività che caratterizzano la produzione di energia elettrica rinnovabile il settore del biogas rappresenta sicuramente uno dei più promettenti per il nostro Paese e dei più utili allo sviluppo delle imprese agricole.
La digestione anaerobica è una filiera bioenergetica tecnologicamente matura che permette di sfruttare, con elevata efficienza, indistintamente biomasse vegetali, animali, di scarto, dedicate, umide o secche prevalentemente di origine locale.
Il processo anaerobico dà luogo alla produzione di un sottoprodotto liquido, il digestato, avente caratteristiche chimico-fisiche simili a quelle di un effluente zootecnico e può trovare collocazione agronomica nelle immediate vicinanze degli impianti con un riciclo virtuoso degli elementi fertilizzanti di origine organica, affrancando in parte l'azienda agricola dall'acquisto di concimi di sintesi. In tal modo gli impianti di codigestione con matrici vegetali, reflui e sottoprodotti di Pag. 78diversa origine, possono raggiungere elevate efficienze anche a ridotte potenze, dando luogo, quindi, a filiere locali con brevi percorrenze nel trasporto delle biomasse e dei fertilizzanti dalle zone di produzione a quelle di utilizzo.
L'utilizzo di sottoprodotti, il ricorso a reflui zootecnici, l'utilizzo di un novero di produzioni vegetali derivanti dalla rotazione dei terreni, la produzione decentrata e il riutilizzo di digestati concorrono ad evidenziare il biogas come una filiera bioenergetica avente la maggiore capacità produttiva in termini di energia primaria per ettaro di superficie agricola utilizzata e la maggiore capacità di ridurre le emissioni di CO2 lungo la filiera.
L'invio alla Commissione dell'Unione europea del Piano di azione nazionale per le energie rinnovabili in Italia, in attuazione della direttiva 2009/28/CE, pone importanti sfide al settore del biogas con una previsione di crescita di circa 900 megawatt elettrici rispetto alla potenza installata nel 2005, sino all'obiettivo fissato per il 2020 di 1.200 megawatt elettrici. In realtà, il settore ha già dimostrato in questi mesi di essere in grado di esprimere un potenziale ancora maggiore con l'applicazione in Italia della tariffa di cui alla legge n. 99 del 2009.
Anche nel nostro Paese la produzione di biogas in ambito agricolo ha avuto una rapida crescita, analogamente a quanto già avvenuto in altri Paesi con una situazione agroindustriale simile alla nostra, come la Germania. Attualmente in Italia, però, sono operativi o in fase di costruzione circa 600 impianti che utilizzano matrici di origine agricola o agroindustriale, una diffusione ancora limitata rispetto agli oltre 6 mila impianti a biogas in esercizio attualmente in Germania.
Il potenziale di sviluppo nel breve termine è consistente. Stime recenti, considerati i quantitativi disponibili di biomasse di scarto e di origine zootecnica utilizzabili in codigestione con biomasse vegetali provenienti da coprodotti e sottoprodotti agricoli e dalla destinazione di circa 200 mila ettari di colture dedicate, che sarebbero solamente l'1,6 per cento della superficie agricola utile (SAU) italiana, evidenziano un potenziale produttivo pari a circa 6 miliardi di metri cubi di gas metano equivalenti, pari a circa l'8 per cento del consumo attuale di gas naturale in Italia, un quantitativo pari all'attuale produzione nazionale di gas naturale. Un potenziale di circa tre volte quello proposto per il biogas al 2020, pari a circa 2 miliardi di metri cubi di gas metano equivalenti l'anno.
Il biogas rappresenta una notevole opportunità per l'Italia in ragione della plurifunzionalità della filiera. Rispetto ad altre fonti energetiche rinnovabili la filiera biogas a biometano presenta vantaggi specifici e complementari. È la fonte di energia rinnovabile realizzabile a livello decentrato anche su piccola scala, con biomasse di origine italiana, in impianti ad elevata efficienza, con costi di produzione aventi margini di miglioramento sia nella fase agricola, sia in quella di conversione energetica. Il biogas, dovendo fare ricorso ad un combustibile a base carbonica di matrice organica, è una fonte programmabile e, una volta raffinato a biometano, è in grado di approfittare della possibilità di accumulo rappresentata dalla rete e dagli stoccaggi del gas naturale per potere essere utilizzata nel momento e nel luogo opportuni, anche in contesti urbani ove il trasporto delle biomasse tal quale sarebbe sconsigliabile in condizioni di massima efficienza energetica o essere destinata all'autotrazione.
In realtà, con detta polivalenza negli utilizzi finali, in condizioni di elevata efficienza e la possibilità di ricorrere in modo consistente a sottoprodotti nei processi di codigestione con matrici vegetali, la filiera biogas-metano è in grado di potere agire su entrambi i fattori dell'equazione del costo delle emissioni di anidride carbonica, promettendo di essere nel breve termine tra le fonti rinnovabili presentanti il minor costo di CO2 evitata, contribuendo quindi a contenere gli oneri relativi all'adeguamento agli obblighi per il 2020 del cosiddetto pacchetto clima-energia, approvato dal Parlamento europeo il 17 dicembre 2008. Pag. 79
Quando utilizzato come biocarburante, il biometano è in grado di realizzare la massima percorrenza in termini di energia prodotta per ettaro di terreno utilizzato, rappresentando quindi il principale biocarburante di origine nazionale, in grado di soddisfare gli obiettivi al 2020, ricavabile sin da oggi anche da sottoprodotti ed effluenti zootecnici.
La realizzazione di impianti di digestione anaerobica ha importanti effetti sull'economia. La realizzazione del potenziale prima ricordato potrebbe comportare un incremento, in termini di giro di affari, pari a circa il 4 per cento del PIL dell'agricoltura italiana, calcolato a prezzi di base ed al netto del valore degli incentivi, con un incremento del valore aggiunto stimabile in circa il 5 per cento, pari a circa 6,6 miliardi di euro all'anno. Per contro, il risparmio sulla bolletta energetica per l'import di gas naturale potrebbe ammontare a circa 1,5-2 miliardi di euro all'anno a prezzi correnti, così riuscendo a mantenere i livelli di autoapprovvigionamento interno di gas naturale e, nella media degli ultimi anni, anche in presenza del declino della produzione di gas naturale dei giacimenti italiani.
Importanti sono inoltre le ricadute socio-economiche in settori quali l'industria delle macchine agricole, degli impianti di trattamento delle acque, dei sistemi di trattamento del gas e via dicendo, per i quali lo sviluppo della filiera italiana del biogas e del biometano potrebbe rapidamente permettere di creare le condizioni per competere con la concorrenza estera, principalmente tedesca, favorita nel passato da un precoce avvio della tariffa onnicomprensiva e, a partire dal 2009, da una specifica normativa per la produzione del biometano e l'immissione di questo ultimo nella rete del gas naturale.
La promozione della digestione anaerobica riveste, poi, un'importanza anche per il conseguimento degli obiettivi di politica, convergenti a quelli per la mitigazione dei cambiamenti climatici e delle politiche energetiche, quali la tutela delle acque, l'applicazione della direttiva nitrati, la gestione dei rifiuti e la tutela della risorsa suolo dalla desertificazione e dall'erosione.
Sebbene il potenziale del biogas agricolo sia significativo in tutto il territorio italiano, ancorché con il ricorso a diverse matrici, si deve rammentare che il maggiore potenziale, per quanto riguarda la digestione anaerobica in codigestione, con particolare riferimento all'utilizzo degli effluenti zootecnici, è localizzato nelle regioni del nord Italia, ove, per contro, minore è il potenziale dell'energia solare e molto ridotta è l'energia ricavabile dalla fonte eolica. Ciò, quindi, rappresenta un importante fattore da valutare nell'ambito degli obblighi derivanti alle regioni del nord nell'ambito del burden sharing.
Infine c'è da sottolineare che il biogas è un vettore energetico polivalente, particolarmente idoneo al contesto italiano, che presenta un'elevata densità di popolazione e un'estesa e capillare rete del gas. Infatti, una volta che dal biogas è stata eliminata l'anidride carbonica ed altri componenti minori, una volta portato agli standard previsti della rete del gas naturale, il biometano è in grado di essere utilizzato a distanza dai luoghi di produzione in siti ottimali quali distributori del gas naturale per le autotrazioni, cicli combinati, cogenerazione ed anche integrazione con l'eolico ed il solare in sistemi a scambio prevedibile, al fine di ridurre gli scompensi di rete e via dicendo, per la produzione di energia elettrica e termica ovvero per essere destinato all'utilizzo, come biocarburante in veicoli a gas metano.
I principali elementi di criticità, che devono essere considerati per favorire un efficiente e rapido sviluppo della filiera italiana del biogas e biometano, riguardano: l'esigenza di approvare rapidamente le specifiche tecniche per l'immissione in rete del biometano; la necessità di favorire l'utilizzo di biomasse locali con il massimo risultato in termini di incremento del contenuto in carbonio nei suoli e, in generale, di riduzione delle emissioni di gas serra lungo l'intera filiera produttiva; la necessità di far sì che lo sviluppo di Pag. 80impianti bioenergetici sia elemento di integrazione e non di competizione con le filiere agricole tradizionali.
Saranno, quindi, importanti misure di sostegno, che prevedano specifiche norme finalizzate a: limitare l'utilizzo di terreni di primo raccolto in monosuccessione; favorire l'adozione di culture, anche perennanti, massimizzanti la resa in biogas per ettaro di superficie coltivata e l'utilizzo di foraggiere ad elevata efficienza foto-sintetica in rotazione; favorire l'utilizzo di culture di secondo raccolto e di sottoprodotti di diversa natura; favorire l'utilizzo di sistemi tecnologici atti a permettere la digestione anaerobica di biomasse non utilizzabili in ambito foraggiero ed alimentare; favorire il massimo utilizzo di tecnologie per la valorizzazione dei digestati in forme tecniche tali da ridurre la necessità per lo spargimento dell'azoto di origine zootecnica.
In conclusione, ricordo che il decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, recante attuazione della direttiva della Comunità europea sulla promozione dell'uso di energia da fonti rinnovabili, nell'enunciare le regole e i principi per la promozione e lo sviluppo delle energie verdi, assegna a una serie di decreti attuativi in via di predisposizione la definizione dell'operatività degli strumenti necessari al conseguimento degli obiettivi concordati a livello comunitario.
Sarebbe peraltro opportuno una rapida emanazione, anche da parte dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas, delle specifiche direttive previste dall'articolo 20 del decreto legislativo n. 28 del 2011, relativamente alle condizioni tecniche ed economiche per l'erogazione del servizio di connessione ad impianti per la produzione di biometano alle reti del gas naturale, cui i gestori hanno l'obbligo di connessione di terzi.
Con questa mozione, in conclusione, chiediamo al Governo: di emanare con urgenza i decreti attuativi di cui al decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, al fine di rendere operativi i sistemi incentivanti previsti per la produzione di energia termica di cui all'articolo 28, di energia elettrica da fonti rinnovabili di cui all'articolo 24 e prioritariamente quelli previsti dagli articoli 21 e 22 relativi agli incentivi per il biometano immessi nella rete del gas naturale e alla costituzione del Fondo di garanzia per la realizzazione delle reti di teleriscaldamento; in particolare di stabilire che l'obbligo di quote crescenti di energia termica da fonti rinnovabili e negli edifici di prossima costruzione, prevista dall'articolo 22 del decreto legislativo n. 28 del 2011, sia applicato integralmente e da subito senza la previsione di eventuali proroghe; di riconoscere agli impianti a biogas di piccola e media taglia - da 0 a 300 chilowatt e da 300 a 600 chilowatt - che costituiscono le dimensioni più adatte alla scala delle aziende agricole italiane, tariffe incentivanti adeguate a stimolare investimenti e a ripagare i costi di gestione; infine di chiarire i criteri di rilascio dei certificati bianchi anche in considerazione dei provvedimenti recentemente emanati in materia da parte dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Baldelli, che illustrerà anche la mozione Beccalossi ed altri n. 1-00914, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

Testo sostituito con errata corrige volante SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, credo che grossa parte della storia della vicenda dello sviluppo delle biomasse e delle agroenergie sia stata illustrata anche in maniera competente dai colleghi che sono intervenuti prima di me. È una materia importante che si aggancia a riflessioni sulla produzione energetica in relazione all'autonomia del nostro Paese, in relazione alle previsioni che l'Unione europea ha fatto in ordine alla percentuale di produzione energetica che deve venire da fonti rinnovabili, ed è un argomento sul quale negli anni passati si è intervenuti con incentivi, per un verso di natura economica e anche con interventi legislativi che hanno cercato di modulare la collaborazione anche delle regioni nell'individuazione dei siti, dei luoghi e delle modalità di produzione delle biomasse e delle agroenergie. Pag. 81
Credo quindi ci sia un comune denominatore nell'esigenza di procedere su questa strada anche attraverso una rapida produzione dei decreti attuativi del decreto legislativo n. 28 del 2011 da parte del Governo, che peraltro il mio gruppo ha sollecitato e solleciterà anche con atti di sindacato ispettivo.
Pertanto, Presidente, credo che si sia registrata anche nell'arco di questa discussione una comune volontà di sottolineare in sede parlamentare l'esigenza di procedere su questo cammino. Richiamo dunque la mozione depositata dal mio gruppo nell'auspicio che si riesca a convergere in un interesse comune il più possibile condiviso su questo argomento, perché credo che molte siano le iniziative già attuate e che si possa continuare su questa strada in un'intesa generale, visto che c'è credibilmente una sensibilità molto ampia sul tema.
Presidente, mi fermo qui e chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.
SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, credo che grossa parte della storia della vicenda dello sviluppo delle biomasse e delle agroenergie sia stata illustrata anche in maniera competente dai colleghi che sono intervenuti prima di me. È una materia importante che si aggancia a riflessioni sulla produzione energetica in relazione all'autonomia del nostro Paese, in relazione alle previsioni che l'Unione europea ha fatto in ordine alla percentuale di produzione energetica che deve venire da fonti rinnovabili, ed è un argomento sul quale negli anni passati per un verso, si è intervenuti con incentivi di natura economica e anche con interventi legislativi che hanno cercato di modulare la collaborazione delle regioni nell'individuazione dei siti, dei luoghi e delle modalità di produzione delle biomasse e delle agroenergie. Pag. 81
Credo quindi ci sia un comune denominatore nell'esigenza di procedere su questa strada anche attraverso una rapida produzione dei decreti attuativi del decreto legislativo n. 28 del 2011 da parte del Governo, che peraltro il mio gruppo ha sollecitato e solleciterà di nuovo con atti di sindacato ispettivo.
Pertanto, Presidente, credo che si sia registrata anche nell'arco di questa discussione una comune volontà di sottolineare in sede parlamentare l'esigenza di procedere su questo cammino. Richiamo dunque la mozione depositata dal mio gruppo nell'auspicio che si riesca a convergere in un interesse comune il più possibile condiviso su questo argomento, perché credo che molte siano le iniziative già attuate e che si possa continuare su questa strada in un'intesa generale, visto che c'è credibilmente una sensibilità molto ampia sul tema.
Presidente, mi fermo qui e chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Baldelli, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritta a parlare l'onorevole Di Giuseppe, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00915. Ne ha facoltà.

ANITA DI GIUSEPPE. Signor Presidente, sottosegretario, all'interno di quello che è lo scenario energetico il recupero energetico ha un valore essenziale soprattutto in considerazione di due fattori. Il primo è la necessità di rispettare gli obiettivi di emissione dei gas previsti dal Protocollo di Kyoto. L'altro è il crescente fabbisogno energetico che se, da una parte, necessita di una politica di risparmio, dall'altra, ci obbliga alla ricerca e allo sfruttamento di fonti rinnovabili in alternativa a quelli che sono i combustibili fossili. Oltretutto l'Italia ha detto di no al nucleare grazie anche al referendum che l'Italia dei Valori ha prodotto. Gli impegni che l'Italia dovrà rispettare in relazione a quanto sottoscritto nell'ambito del Protocollo di Kyoto pongono problemi molto seri in tema di utilizzo di fonti rinnovabili quale mezzo per produrre energia diversa da quella che è l'energia prodotta dai combustibili fossili.
Siccome il collegamento che esiste tra agricoltura e ambiente è un collegamento da sempre rilevante - nessuno lo può negare - è in questo scenario che si colloca l'impiego energetico delle biomasse, cioè la parte biodegradabile dei prodotti, rifiuti, residui, provenienti dalla agricoltura stessa, dalla silvicoltura e dalle industrie connesse. Come si evince dalla parola stessa, biomassa, è una definizione che fa capire che l'agricoltura è uno dei principali settori proprio per la produzione di combustibili rinnovabili. Dal punto di vista dell'utilizzazione in impianti per la produzione di energia elettrica e anche termica, al momento le fonti agricole che sono poi in maniera concreta utilizzabili sono soprattutto le biomasse legnose, tra queste principalmente i residuali, oltre comunque a quelli che sono i vegetali coltivati, i rifiuti vegetali, i liquami di origine animale, e possono essere sottoposti poi a digestione e fermentazione.
È chiaro allora come il potenziale di biomassa che deriva dal settore agricolo sia considerevole, non solo a livello nazionale, ma anche a livello regionale. Comunque oggi si discute molto e si sta parlando molto dell'installazione di centrali a biomasse. Assistiamo anche alle contestazioni dei cittadini che poi magari, in parte anche disinformati, non vogliono nel territorio la presenza di una centrale a biomasse. Così c'è chi è per il «sì» e chi è per il «no». Chi è per il «sì» chiaramente dice che la combustione delle biomasse non contribuisce assolutamente a quello che è l'effetto serra, e viene detto che la stessa anidride carbonica assorbita durante la crescita viene poi restituita durante la combustione stessa. Insomma, gli impianti sarebbero a somma zero di emissione di anidride carbonica, quindi i biocombustibili sono una energia pulita, liberano nell'ambiente le sole quantità di carbonio che hanno assimilato le piante durante la loro formazione, e anche una Pag. 82quantità di zolfo e di ossidi di azoto nettamente inferiore a quella rilasciata dai combustibili fossili.
Un altro esempio che viene portato spesso è quello della certezza che una centrale termica, a cippato proprio ad esempio, fornendo teleriscaldamento in sostituzione delle vecchie caldaie a legna delle nostre case, abbia emissioni meno nocive di quest'ultime e che, quindi, l'aria debordi e a tutti gli effetti d'inverno sia addirittura più salubre.
Comunque la biomassa è una fonte di energia sulla quale l'Unione europea sta puntando molto, ha deciso di puntare molto e ne favorisce, proprio per questo motivo, gli investimenti, come già succede per l'eolico, ma anche per il fotovoltaico. E questo tipo di energia pulita in effetti permetterà di risparmiare un bel po' sui costi che provengono dal petrolio. Poi c'è da dire anche che le opere di riforestazione in zone semidesertiche permettono di recuperare dei suoli e dei terreni che altrimenti sono abbandonati e che, quindi, possono essere destinati alla produzione di biomassa. Per giunta, l'energia delle biomasse che si basa soprattutto sugli scarti di produzione delle attività produttive offre un vantaggio economico e sociale, in quanto il settore riutilizza e smaltisce rifiuti in modo ecologico. Poi ci sono anche Paesi europei come la Finlandia in cui esiste un gran numero di centrali termiche che trasformano le biomasse in energia e questi Paesi - e ciò è molto importante - non conoscono il problema penoso delle discariche e degli inceneritori. Questo è un fattore molto importante.
Non dobbiamo dimenticare, inoltre, che ci sono specie vegetali che vengono coltivate proprio con lo specifico intento di produrre biomasse e, quindi, di produrre energia elettrica. Tuttavia, dobbiamo anche chiederci quali potrebbero essere gli svantaggi di questo tipo di energia rinnovabile. Il nostro Paese si pregia di essere ricco di attività agricole, di prodotti agricoli di altissima qualità e di stampo biologico, ed è anche per questo che i cittadini, quando sentono che sul loro territorio dovrebbe essere installata una centrale a biomassa, qualche dubbio ce l'hanno e magari non sono molto d'accordo. Infatti, secondo loro verrebbero distorti terreni dediti sino ad oggi alla produzione destinata all'alimentazione e verrebbero utilizzate monocolture intensive che impoverirebbero i terreni con un largo uso di concimi e pure di acqua. Insomma, si teme soprattutto per quella che è la sostenibilità ambientale ed energetica dei processi di produzione delle biomasse, ma anche per quello che potrebbe essere l'impatto paesaggistico-ambientale di questi impianti.
Di fronte a tanti dubbi, però, vorrei ricordare che c'è una vera fonte di energia alternativa ed è quella del risparmio e del riciclo. Purtroppo, noi uomini adottiamo dei comportamenti che poi ci costringono a puntare su altre fonti di energia. Questa è la realtà. Infatti, più che risparmiare ogni giorno assistiamo a dei comportamenti che sono molto negativi. Tanto la natura ci offre e tanto noi sprechiamo. Dovremmo imparare a tutti gli effetti a risparmiare e a riciclare se poi non vogliamo sui territori l'eolico, il fotovoltaico o centrali a biomasse. Ma visto che non ci vogliamo abituare a queste due norme, siamo costretti poi a cercare fonti di energia alternative. Ma per tornare alla mozione, il gruppo dell'Italia dei Valori ritiene che, se veramente si vuole puntare su biomasse e biogas, lo si deve fare attraverso una filiera corta. È necessario poi promuovere impianti di piccola e media taglia che utilizzano le biomasse sostenibili di origine locale.
Questo per noi è importante, valorizzando soprattutto quello che è poi il ruolo delle imprese agricole, le intese di filiera e gli accordi quadro. Bisogna poi offrire incentivi più alti per gli impianti più piccoli, vale a dire che alle classi di impianti di minore potenza devono essere assegnati maggiori incentivi. Insomma, degli incentivi al contrario: gli impianti più piccoli possono beneficiare di tariffe più incentivanti rispetto agli impianti di grossa taglia, che magari poi non sarebbero giustificati neanche dai cittadini del territorio dove questi impianti dovrebbero essere installati, fermo restando che deve esserci Pag. 83integrazione tra la coltivazione della terra e la produzione di energia rinnovabile: la produzione di energia rinnovabile non deve essere competitiva rispetto alla coltivazione della terra, proprio per la difesa di quei prodotti di qualità che il nostro Paese si pregia - scusate il gioco di parole - di produrre, ma la produzione di energia rinnovabile deve essere complementare e affiancata a quella che è la vocazione agricola. Non dobbiamo alterare quella che è la vocazione agricola dei nostri territori. Per noi dell'Italia dei Valori è fondamentale questo, signor sottosegretario.
Poi bisogna scoraggiare quelli che sono i fenomeni di speculazione, che hanno come effetto proprio l'abbandono dei terreni, con conseguenze direi disastrose sia per la biodiversità sia per il comparto agricolo stesso. Insomma, occorre un utilizzo più razionale di questa tecnologia, altamente razionale, che deve avere come scopo la diversificazione delle attività agricole di un'azienda agricola soprattutto, che riutilizza quelli che sono gli scarti di produzione come materia prima per la produzione di biogas, da trasformare poi in energia, attraverso la quale deve soddisfare il proprio fabbisogno e della quale poi deve rivendersi il surplus. Ecco, in considerazione di tutto quello che ho esposto, sottosegretario, il gruppo dell'Italia dei Valori con questa mozione ha voluto impegnare il Governo innanzitutto a differenziare le misure di sostegno, privilegiando le biomasse di scarto e la filiera corta (noi scriviamo «entro 70 chilometri dall'impianto di produzione per l'energia calore»); inoltre a prevedere particolari incentivi per le aziende agricole che decidono di utilizzare per proprio consumo le biomasse autoprodotte, specie in quei contesti ad alte esigenze energetiche come le serre, gli allevamenti zootecnici o gli impianti aziendali di trasformazione dei prodotti alimentari; ed anche a costruire degli strumenti di controllo delle produzioni di biomasse agricole e delle relative filiere di riconversione energetica, questo proprio per evitare che si verifichino distorsioni sul mercato, che potrebbero avere ripercussioni non solo sulla competitività di alcune filiere agroalimentari, ma anche sui prezzi al consumo dei prodotti, perché anche questo è il timore dei cittadini, che poi magari ci sia un elevato aumento dei prezzi dei prodotti agroalimentari; e quindi a mettere in atto tutte quelle iniziative volte ad evitare proprio il rischio di abbandono delle pratiche agricole tradizionali, prevedendo che la produzione di biomasse o di energia da biomassa rappresenti per l'azienda agricola un'integrazione e non una fonte di sostituzione del reddito aziendale, del reddito della stessa impresa agricola; poi ancora a favorire la realizzazione di piccoli distretti o di reti energetiche nelle aree rurali, favorendo la partecipazione attiva proprio delle imprese e quindi delle aziende agricole. Infine - e questo è molto importante, sottosegretario - a rafforzare gli strumenti di controllo della sostenibilità ambientale ed energetica di quelli che sono i processi di produzione delle biomasse; e anche a fare attenzione a quello che può essere l'impatto paesaggistico-ambientale degli stessi impianti a biomasse.
Signor sottosegretario, termino qui perché mi pare che la parte tecnica sia stata ben sviluppata e illustrata dagli altri onorevoli. Sono diversi gli impegni che abbiamo chiesto con questa mozione al Governo; noi diciamo «sì» alle biomasse ma è condizionato a quegli impegni che abbiamo chiesto al Governo. Siamo sicuramente per le fonti di energia alternativa, ci mancherebbe, dobbiamo pur decidere quello che vogliamo fare da grandi; diciamo di «no» categorico al nucleare e quindi c'è bisogno di energia prodotta da fonti alternative, ma siamo anche e soprattutto per la tutela dell'ambiente. Quindi, bisogna assolutamente riuscire a fare in modo che la tutela dell'ambiente e una centrale a biomasse nel territorio possano viaggiare insieme: un ambiente salvaguardato (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Misiti, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00918. Ne ha facoltà.

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AURELIO SALVATORE MISITI. Signor Presidente, il decreto legislativo n. 28 del 2011, che è stato emanato in attuazione della direttiva 2009/28/CE, definisce la parola «biomassa» e dice che questa è la frazione biodegradabile dei prodotti, rifiuti e residui di origine biologica provenienti dall'agricoltura, comprendente sostanze vegetali e animali, dalla silvicoltura e dalle industrie connesse, comprese la pesca e l'acquacoltura, gli sfalci e le potature provenienti dal verde pubblico e privato, nonché la parte biodegradabile dei rifiuti industriali e urbani. Si ricava, quindi, che la biomassa è una materia prima da adoperare per creare la possibilità di avere energia termica, meccanica ma soprattutto poi elettrica e che questa proviene da diverse filiere. Anche i rifiuti urbani e i rifiuti industriali hanno una parte biodegradabile ed è giusto che in tutto il territorio nazionale si prevedano piccoli impianti che utilizzino questo materiale per poter far sì che si produca calore ed elettricità. Fino ad oggi abbiamo avuto bisogno di raggiungere gli obiettivi che sono stati fissati a Bruxelles; per esempio per l'Italia è stato fissato l'obiettivo, da raggiungere entro il 2020, del 17 per cento della produzione di energia elettrica nazionale sulla base di energie cosiddette rinnovabili. Questo è un obiettivo molto lontano; adesso siamo a percentuali molto più basse se si pensa che oggi c'è una produzione di energia elettrica da biomasse di circa 400 megawatt; per capire è un terzo della potenza installata per distribuire elettricità nella città di Roma. Bisogna ancora fare molti passi in avanti e perciò anche la Comunità europea dice agli Stati e all'Italia di incentivare e di promuovere le attività per far sì che si possano avere queste energie rinnovabili. Queste rappresentano, quindi, una fondamentale fonte di energia sempre rinnovabile, ricavata dagli scarti vegetali e da queste altre fonti che dicevo prima; specialmente nella parte agricola che è quella più interessante per produrre le biomasse.
Questa ha anche un impatto sull'economia industriale oltre che su quella agricola, la filiera del biogas, e presenta anche molteplici aspetti positivi, come l'elevata efficienza negli usi (energia elettrica e termica, carburanti da biomasse, biodiesel e bioetanolo), anche se, naturalmente, vi sono rendimenti diversi di queste varie forme di energia, e costi di produzione che possono essere anche competitivi, o meglio, che possono diventare competitivi, perché attualmente non sono competitivi dal punto di vista solo del costo, ma lo sono se si guarda alla limitazione dell'inquinamento dell'atmosfera, al non inquinamento delle falde acquifere, al miglioramento del ciclo della vita dei prodotti combustibili, che sono anche programmabili, perché si possono benissimo utilizzare stoccaggi e terreni non usati per l'agricoltura.
Dal punto di vista impiantistico si ha una pluralità di soluzioni per produrre l'energia termica e l'energia elettrica. Una delle soluzioni che si usa normalmente è la combustione diretta della biomassa in forni appositi, che ne comporta una ossidazione totale ad alta temperatura. Vi è poi la gassificazione - alcuni esempi ve ne sono anche nel Lazio -, cioè la pirolisi, la carbonizzazione. Sono questi i processi che comportano una parziale ossidazione della biomassa, in modo da poter ottenere sottoprodotti solidi, liquidi e gassosi che poi possono essere completamente bruciati in un passaggio successivo.
Bisogna dire le cose come stanno: questi sono impianti di incenerimento, che alla fine producono energia termica ed energia elettrica. Le centrali termoelettriche alimentate da biomasse solide o liquide effettuano prima la conversione dell'energia termica - sfruttata anche per il teleriscaldamento -, poi in energia meccanica e, quindi, successivamente, in energia elettrica, con la riduzione dei rendimenti da un passaggio all'altro. Il fatto che le suddette centrali si basino soprattutto sugli scarti di produzione rappresenta anche un vantaggio economico, rappresentato dal riciclaggio degli scarti, che è un fatto estremamente importante.
In natura non è che si distrugge nulla, ma si ossida, si riduce il volume di questi scarti e se ne utilizza il potenziale energetico, Pag. 85 perché, come sapete, la massa e l'energia sono in corrispondenza, perché continua ad esistere, fortunatamente, la relatività di Einstein.
Si riescono così a smaltire rifiuti in modo più corretto, producendo queste energie. Vi sono esempi in Italia di impianti che già lavorano a pieno ritmo e altri che si devono studiare, approfondire e migliorare in quanto è necessario non solo - come noi chiediamo al Governo - l'impegno di vigilare, per esempio, e monitorare sul corretto inserimento degli impianti nel tessuto urbanistico e rurale, ma anche e soprattutto è necessaria la gestione di questi impianti nel modo più corretto, facendo sì che questa gestione sia basata, soprattutto, su sistemi avanzati, in modo tale che non inquinino soprattutto l'atmosfera.
Inoltre, si favorisce, è chiaro, anche il reddito e l'occupazione. Se si differenzia il sistema degli incentivi è possibile che il Governo possa favorire l'incremento del reddito e dell'occupazione. Vi è poi anche un fatto che, evidentemente, può sfuggire, e noi chiediamo un impegno al Governo: proponiamo di promuovere, anche presentando apposite proposte al Parlamento - ma lo faremo anche noi come parlamentari - e di uniformare la legislazione relativa alla definizione di sottoprodotto con quella che regola il ciclo integrato dei rifiuti, in modo tale da superare spesso la difficoltà di interpretazione.
Altra cosa di cui bisogna che il Governo si faccia carico è quella, evidentemente, di incentivare ancora di più, facendo subito i decreti attuativi del decreto legislativo n. 28 del 2011, in modo tale che si possa avviare su scala nazionale e in termini molto più ampi la costruzione di questi impianti e dell'uso del materiale da biomassa.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

AURELIO SALVATORE MISITI. Concludo, signor Presidente, dichiarandomi favorevole alla proposta dell'onorevole Baldelli. Se fosse possibile arrivare ad una soluzione unitaria, come pare sia possibile anche in questo caso, sarebbe molto importante che il Parlamento approvasse una unica mozione condivisa da tutti.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Di Biagio, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00921. Ne ha facoltà.

ALDO DI BIAGIO. Signor Presidente, signor sottosegretario, le argomentazioni in oggetto della nostra mozione e di quelle depositate in abbinamento sono senza dubbio poco abituate alla ribalta istituzionale. Nel vasto panorama delle rinnovabili di certo le biomasse non hanno avuto fino ad ora una grossa attenzione, facendo ignorare di fatto per anni un comparto le cui potenzialità potrebbero di certo rendere la produzione energetica da fonti non petrolifere una possibilità e non un'utopia.
Per questa ragione la discussione di oggi rappresenta una sorta di traguardo, almeno per il sottoscritto, e ringrazio l'onorevole Servodio per aver dato spunto alla discussione con questa mozione, un piccolo passo in avanti verso un percorso di consapevolezza e di evoluzione a cui il comparto produttivo italiano sembra voler tendere. Sappiamo bene quanto sia importante cominciare a discuterne, analizzare gli aspetti, confrontarsi sulle criticità e sugli investimenti.
La nostra mozione si colloca proprio in questa prospettiva e porta il contributo di Futuro e Libertà alla discussione, si scrolla di dosso l'inutile quanto dannosa coltre di demagogia per inquadrare seriamente la realtà italiana della promozione energetica da biomasse, la situazione che attualmente condiziona gli impianti e le difficoltà di una normativa che sembra discostarsi completamente dai produttori.
La discussione di queste mozioni offre, per l'appunto, uno scenario ideale entro il quale dialogare con il Governo su quelle che sono le lacune normative e amministrative del settore. Voglio sottolineare, in particolare, quanto siano importanti in questa determinata congiuntura i prodotti delle biomasse, vale a dire anche i bioliquidi e i biocombustibili che rappresentano delle importanti risorse rispettivamente Pag. 86 sul versante della produzione energetica e su quello dei trasporti che stanno acquistando una rilevante configurazione produttiva negli ultimi anni in Italia.
In particolare, i bioliquidi, gli olii vegetali grezzi o trattati non alimentari sono una fonte naturale di energia che sta acquistando sempre più terreno in Italia, come oltreconfine. Si tratta di un'energia pulita per eccellenza che attualmente fa muovere centinaia di impianti in ogni regione d'Italia. A tal proposito voglio ricordare che l'Europa ci parla di bioeconomia e di crescita sostenibile attraverso la valorizzazione delle biomasse di qualità; lo ha detto appena poche settimane fa in una comunicazione alla Commissione.
E l'Italia, cosa pensa di fare per dare attuazione a questa prospettiva? Per il momento il nostro Paese non sembra poi tanto propenso a dar seguito a queste comunicazioni, o meglio, a parole sì, ma sappiamo che la demagogia non ha mai riempito le casse di uno Stato e certamente non ha accesso ai motori dell'economia di un Paese. Quindi, in questo momento, serve a ben poco ed è proprio in questa prospettiva che bisogna inquadrare alcuni aspetti sollevati.
Per quanto possa essere apprezzabile ed auspicabile la valorizzazione delle cosiddette filiere corte, soprattutto nell'ambito dell'utilizzo dei bioliquidi, è importante evidenziare quanto la limitatezza della potenzialità culturale italiana possa condizionare questa prospettiva. Ben consapevole di questo, il Governo ha varato lo scorso gennaio un decreto interministeriale che introduce un particolare sistema di certificazione per i bioliquidi e i biocarburanti.
Ogni singolo tassello della filiera produttiva dovrà fornire il certificato di sostenibilità e di conformità. Ovviamente non si può chiedere all'esportatore di olio o al produttore di oleaginose di riprodurre quel certificato chiesto dal Ministero italiano, in primo luogo perché è costoso, in secondo luogo perché l'obbligo italiano non è contemplato da alcuna normativa europea o internazionale. In altre epoche lo avremmo chiamato protezionismo, oggi si chiama garanzia di sostenibilità. Ma, indipendentemente da come lo chiami, blocchi un sistema e mandi in mezzo a una strada migliaia di lavoratori, dicendo definitivamente addio all'obiettivo di raggiungere la quota di energia rinnovabile stabilita per il 2020.
Il certificato è costoso, sottosegretario, comporta la strutturazione di un meccanismo farraginoso e che di fatto tiene tutti gli importatori al di fuori del sistema. Non parliamo poi del caos amministrativo che sottende questo meccanismo: competenze trasversali, ambiti operativi border line, assenza totale di una cabina di regia tra Ministeri che consenta un intervento mirato e fattivo nel settore. C'è il coinvolgimento di ben tre Dicasteri, ma la spartizione delle attività e delle competenze sembra francamente sempre meno chiara e anche su questo punto ci sarebbe tanto da fare.
Morale della favola? È come dire al semplice imprenditore: chiudi e stai zitto. Altro che ridare slancio all'economia italiana e alle energie rinnovabili! In questo modo stanno chiudendo decine di piccole imprese, mettendo a rischio tutto il comparto che al momento coinvolge migliaia di piccoli produttori. Voglio ricordare alcuni dati che dimostrano come l'Italia non può produrre da sola le risorse per il settore. L'Italia non ha la capacità di soddisfare la domanda di materie prime degli impianti energetici attivi usufruendo delle sole colture oleaginose nazionali. Questa evidenza è di una semplicità disarmante. Uno studio dell'Ente nazionale per la meccanizzazione agricola, relativo a fine 2010, riferiva che per alimentare gli impianti sarebbero stati necessari 300 mila ettari l'anno di superficie coltivata a oleaginose e interamente destinati alla produzione di olio per il settore energetico. Ma l'Italia ha materialmente questa disponibilità, mi chiedo? A me non risulta.
Appare chiaro che nel settore è determinante il coinvolgimento dei partner internazionali. Non è possibile, neanche se ci impegniamo con tutte le nostre forze, garantire il quantitativo di materia prima con le sole produzioni interne, anche perché Pag. 87sarebbe non proprio auspicabile una trasformazione delle colture agricole, attualmente destinate all'alimentazione umana e alla zootecnia, in colture finalizzate all'utilizzo energetico.
Quindi, perché continuare a parlare di filiera corta in questo settore? Dove lo vedete il valore aggiunto? Di certo lo vedranno le solite lobby interessate a mantenere lo status quo, magari i soliti ignoti che poco digeriscono il fatto che altri operatori e attori economici entrino in scena sul versante del trasporto di materia prima energetica. Allora, ancora una volta sono le lobby e dettare le regole dell'economia italiana? Certamente ci verrà detto che il decreto incriminato, quello del 23 gennaio 2012, risponde alle dinamiche attuative delle direttive comunitarie, direttive che chissà perché nello specifico non fanno riferimento ad alcun sistema di certificazione nazionale, niente di fantascientifico come quello italiano.
Infatti, la direttiva n. 30 del 2009 parla di rispetto dei criteri di sostenibilità per i biocarburanti, con conseguente riconoscimento dell'obbligo, in capo agli operatori, di dimostrare la sostenibilità di quanto utilizzano. Non si fa pertanto riferimento alla creazione di un sistema di certificazione che includa anche la definizione di un organismo di accreditamento. Questa cosa - diciamocelo chiaramente - l'abbiamo inventata noi e introducendola chiudiamo centinaia di impianti. Come si può pretendere l'esistenza di un sistema del genere sapendo com'è strutturata la filiera italiana?
Discorso diverso, invece, è da fare sul versante delle biomasse da sottoprodotto. Su questo si può parlare di strategia, filiera corta e di valorizzazione della cosiddetta agroenergia, in particolar modo sui nuovi impianti. È opportuno pertanto fare delle doverose differenziazioni, dimostrando di avere conoscenza del settore e non limitarsi ad un'analisi superficiale che, come al solito, risulta anche poco efficiente.
Alla luce delle specificità del settore, il Governo deve intervenire in maniera puntuale e mirata. Chiediamo un intervento celere che salvi i nostri imprenditori e la nostra economia e che non faccia resuscitare un protezionismo che fa ridere l'Europa e il mondo per dare vantaggio ai quattro portatori di interesse.
La cosa paradossale è che il Governo in questo modo sfera un colpo all'unico comparto produttivo in attivo del nostro Paese. Ci siamo chiesti il perché? Forse per agevolare i soliti carrozzoni dell'energia, meglio noti come «pseudo monopoli», che a loro detta producono anche rinnovabili, ma in realtà rallentano e monopolizzano un intero settore bloccandolo in maniera consapevole e interessata e mettendo alla porta i tanti piccoli imprenditori che realmente fanno energia pulita.
Ma è davvero questo che l'Italia vuole? Davvero vogliamo sacrificare quanto di buono il futuro energetico ci può dare per prestare il fianco a due o tre monopoli? Se così fosse, possiamo dimenticarci gli obiettivi energetici, tanto allegramente sventolati ai quattro venti e dimentichiamoci pure un futuro più pulito per il nostro Paese (Applausi dei deputati del gruppo Futuro e Libertà per il Terzo Polo).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.

(Intervento del Governo)

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico, Massimo Vari.

MASSIMO VARI, Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico. Signor Presidente, fermi l'interesse e l'attenzione estrema del Governo su questo argomento, così importante e che naturalmente ci chiama ad assumere impegni attesi anche dall'Europa e non soltanto dalla comunità nazionale, debbo purtroppo dire che - mio malgrado - mi devo per forza di cose riservare l'espressione del parere, anche perché la gran parte di queste mozioni è stata presentata soltanto oggi.

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PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Sull'ordine dei lavori (ore 19,52).

ROBERTO GIACHETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, le chiedo scusa: lei non c'era questa mattina e probabilmente avrà difficoltà a comprendere le mie poche parole.
Vorrei semplicemente lasciare agli atti che purtroppo sono stato facile profeta, nel senso che questa mattina il collega Barbato intervenendo al primo punto all'ordine del giorno della seduta di oggi ha stigmatizzato il fatto che in Aula ci fosse un «manipolo» di deputati. Questo è vero e, come ho spiegato, è una prassi, perché nelle discussioni sulle linee generali interviene normalmente chi ha interesse. Sono intervenuto questa mattina - e in questo sono stato facile profeta - per spiegare all'onorevole Barbato che questo è un fatto che lo riguarda anche direttamente, nel senso che l'onorevole Barbato non c'è mai in Aula quando ci sono le discussioni sulle linee generali.
C'è nel momento in cui deve intervenire sull'argomento all'ordine del giorno e che probabilmente (qui sono stato facile profeta), dopo aver parlato sull'argomento suo proprio all'ordine del giorno, avrebbe abbandonato l'Aula e ovviamente avrebbe lasciato che coloro che erano interessati proseguissero nella seduta. Certifico alle ore 19,55 che è esattamente quello che è accaduto. Il collega Barbato ha parlato questa mattina, dopodiché non lo abbiamo più visto. Sono rimasti ovviamente i deputati interessati ed è quello che accade normalmente.
Speriamo che la prossima volta l'onorevole Barbato non rivenga qui a ridirci che c'è solo un «manipolo» di persone perché - lo ripeto - è esattamente quello che accade anche grazie a quello che lui fa.

PRESIDENTE. Onorevole Giachetti, fra l'altro il termine «manipolo» non è un termine propriamente appropriato. Dopodiché, dalle sue parole deduco che lei, invece, è stato qua tutto il giorno, onorevole Giachetti. Quindi, ci rallegriamo di questa sua fedeltà ai lavori dell'Assemblea.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Martedì 13 marzo 2012, alle 12:

1. - Seguito della discussione del disegno di legge:
Conversione in legge del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, recante disposizioni urgenti in materia di semplificazione e di sviluppo (C. 4940-A).
- Relatori: Giovanelli (per la I Commissione) e Saglia (per la X Commissione), per la maggioranza; Vanalli (per la I Commissione) e Fava (per la X Commissione), di minoranza.

2. - Esame e votazione della questione pregiudiziale riferita al disegno di legge:
S. 3110 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, recante disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività (Approvato dal Senato) (C. 5025).

3. - Seguito della discussione del disegno di legge:
S. 3111 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 25 gennaio 2012, n. 2, recante misure straordinarie e urgenti in materia ambientale (Approvato dal Senato) (C. 4999-A).
- Relatore: Tommaso Foti.

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4. - Seguito della discussione delle mozioni Di Stanislao ed altri n. 1-00781, Pezzotta, Sarubbi ed altri n. 1-00408, Gidoni ed altri n. 1-00861, Porfidia ed altri 1-00862, Moffa ed altri n. 1-00907, Misiti ed altri n. 1-00908, Rugghia ed altri n. 1-00909 e Cicu ed altri n. 1-00920 sulla riduzione e razionalizzazione delle spese militari, con particolare riferimento al blocco del programma per la produzione e l'acquisto dei cacciabombardieri Joint Strike Fighter (JSF) F-35.

5. - Seguito della discussione della proposta di legge:
TENAGLIA ed altri: Definizione del processo penale nei casi di particolare tenuità del fatto (C. 2094-A).
- Relatore: Tenaglia.

6. - Seguito della discussione delle mozioni Montagnoli ed altri n. 1-00896, Lombardo ed altri n. 1-00901, Fluvi ed altri n. 1-00910, Misiti ed altri n. 1-00911, Crosetto ed altri n. 1-00913 e Borghesi ed altri n. 1-00916 concernenti misure a favore delle piccole e medie imprese in materia di accesso al credito e per la tempestività dei pagamenti delle pubbliche amministrazioni.

7. - Seguito della discussione delle mozioni Palagiano ed altri n. 1-00384, Binetti ed altri n. 1-00874, Martini ed altri n. 1-00897, Livia Turco ed altri n. 1-00900, Palumbo ed altri n. 1-00904, Stagno d'Alcontres ed altri n. 1-00917 e D'Anna ed altri n. 1-00919 concernenti iniziative per il potenziamento della «medicina di genere».

8. - Seguito della discussione delle mozioni Servodio ed altri n. 1-00869, Delfino ed altri n. 1-00905, Bossi ed altri n. 1-00912, Beccalossi ed altri n. 1-00914, Di Giuseppe ed altri n. 1-00915, Misiti ed altri n. 1-00918 e Di Biagio ed altri n. 1-00921 concernenti iniziative in materia di uso e sviluppo delle agroenergie, con particolare riferimento agli impianti alimentati a biomasse.

La seduta termina alle 19,55.

TESTO INTEGRALE DELL'INTERVENTO DEL DEPUTATO FRANCESCO ARACRI IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE DI CONVERSIONE N. 4999-A

FRANCESCO ARACRI. Il decreto-legge al nostro esame recante misure straordinarie in materia ambientale, nel testo iniziale riguardava tre temi, e precisamente: la gestione dei rifiuti in Campania, il divieto di commercializzazione di sacchetti di plastica non biodegradabili e l'esclusione, dalla normativa dei rifiuti, dei materiali da riporto, al fine di facilitare la realizzazione d'infrastrutture di cui il Paese è tanto carente.
Nel corso dell'esame al Senato, il testo iniziale emanato dal Governo, è stato arricchito di ben 8 articoli, non tutti strettamente attinenti alla materia e questo ci impone di richiamare nuovamente l'attenzione sulla differenza di trattazione, nei due rami del Parlamento, per i disegni di legge di conversione dei decreti-legge.
Infatti, al Senato, troppo spesso le modifiche ai decreti-legge sono quanto mai ampie dato che molto più larghi sono, in quel ramo del Parlamento, i criteri di ammissibilità degli emendamenti ai decreti-legge rispetto a quanto avviene alla Camera dei Deputati.
Ciò doverosamente premesso, consideriamo da vicino il provvedimento.
Innanzitutto, vengono introdotte misure per fronteggiare la situazione di criticità nella gestione dei rifiuti in Campania che ci espone a procedure di infrazione da parte dell'Unione europea, in quanto questa ritiene che la fase transitoria, in attesa dell'entrata in funzione di tutti gli impianti previsti per la gestione ordinaria dei rifiuti in tale regione, non sia configurata in Pag. 90modo da assicurare il recupero e lo smaltimento dei rifiuti senza pericolo per la salute dei cittadini e per l'ambiente.
Il provvedimento, in sostanza, ha l'obiettivo di superare la fase emergenziale e di pervenire in tempi ragionevoli, ad una gestione ordinaria dei rifiuti con la progressiva riassegnazione delle competenze alle autorità locali, il tutto realizzando un adeguato sistema di impianti per la gestione di tutti i rifiuti in Campania.
Prima di tutto l'articolo 1 rende più agevole la realizzazione di impianti di gestione anaerobica della frazione organica dei rifiuti presso gli impianti STIR (Stabilimenti di Trattamento di Tritovagliatura di Imballaggio dei Rifiuti) o in aree confinanti; viene altresì prorogato il mandato dei Commissari straordinari regionali fino al dicembre 2013 e si autorizza l'aumento fino all'8 per cento della capacità degli impianti di compostaggio dei rifiuti in ambito nazionale.
Sono altresì favoriti accordi tra la Campania e le altre regioni per lo smaltimento al di fuori della regione Campania dei rifiuti in conformità del principio di leale collaborazione.
Una norma inserita al Senato disciplina in modo più puntuale la realizzazione di nuovi termovalorizzatori nella regione Campania attribuendo gli incentivi CIP 6 per il loro esercizio.
L'articolo 2 contenuto nel testo iniziale emanato dal Governo proroga il termine relativo all'entrata in vigore del divieto definitivo di commercializzazione di sacchetti da asporto merci non biodegradabili (shopper) fino all'emanazione entro il 31 dicembre di quest'anno del decreto ministeriale che disciplini in modo puntuale tale intricata materia.
L'articolo 3 del testo iniziale contiene disposizioni nel campo dei materiali da riporto che sono inclusi nella definizione di suolo e pertanto sono esclusi dall'applicazione della normativa sui rifiuti. Questo per evitare inutili ostacoli alla realizzazione di opere pubbliche derivanti dal considerare roccia e terra da riporto come rifiuti, il che appare obiettivamente illogico.
Come si vede il provvedimento, nato da esigenze relative principalmente legate alla difficile gestione dei rifiuti nella regione Campania si è andato, nel corso dell'esame al Senato, appesantendo con l'introduzione di norme sempre in ambito ambientale ma, comunque, eterogenee e molto differenziate fra loro. Se è vero che esisteva ed esiste la necessità ed urgenza a disporre interventi per fronteggiare la situazione dei rifiuti in Campania anche per evitare una procedura di infrazione, in ambito europeo a carico del nostro Paese, non altrettanto urgenti sono molte delle norme introdotte dall'altro ramo del Parlamento.
È da considerare quindi positivamente che in sede di esame in Commissione referente gran parte delle norme inserite dal Senato siano state cancellate in quanto chiaramente eterogenee rispetto al contenuto iniziale del decreto-legge.
Ciò sottolineato, non si può comunque che approvare il testo al nostro esame in quanto, altrimenti, metteremmo a rischio la faticosa e progressiva uscita dall'emergenza nella gestione dei rifiuti in Campania.

TESTO INTEGRALE DELL'INTERVENTO DEL DEPUTATO SIMONE BALDELLI IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DELLE MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE IN MATERIA DI USO E SVILUPPO DELLE AGROENERGIE, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO AGLI IMPIANTI ALIMENTATI A BIOMASSE

SIMONE BALDELLI. Onorevoli colleghi, la produzione di energia è probabilmente una delle più grandi sfide che oggi abbiamo di fronte. È un problema complesso che abbiamo il compito di affrontare su diversi piani. Su quello squisitamente nazionale, perché sappiamo che il nostro Paese sconta la necessità di riuscire a produrre energia in modo autonomo, evitando di dipendere esclusivamente dall'estero. Ma è una questione da affrontare anche su scala internazionale e globale. La crescita esponenziale dei Paesi in via di sviluppo, l'affermazione di nuovi grandi protagonisti sulla scena mondiale come Pag. 91India e Cina, pongono in maniera evidente la questione di riuscire a creare energia sufficiente per sostenere lo sviluppo globale, energia sufficiente ma soprattutto sostenibile.
In questo quadro lo sviluppo delle biomasse come materia prima per la produzione di energia rappresenta certamente un'opzione possibile e perseguibile. L'impiego delle biomasse ai fini energetici, infatti limita il rilascio di nuova anidride carbonica, principale responsabile dell'effetto serra ed inoltre comporta ulteriori vantaggi come l'alto grado di biodegradabilità o l'assenza nei fumi di ossidi d'azoto e di particolato ed ancora può incidere sulla stimolazione dell'occupazione in zone rurali economicamente deboli.
Secondo la definizione contenuta nel decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, di attuazione della Direttiva 2009/28/CE, per biomassa si intende la frazione biodegradabile dei prodotti, rifiuti e residui di origine biologica provenienti dall'agricoltura (comprendente sostanze vegetali e animali), dalla silvicoltura e dalle industrie connesse, comprese la pesca e l'acquacoltura, gli sfaldi e le potature provenienti dal verde pubblico c privato, nonché la parte biodegradabile dei rifiuti industriali e urbani.
L'utilizzo delle biomasse a fini energetici rappresenta, dunque, un'opportunità di fronte alla quale vanno però affrontate una serie di possibili controindicazioni: in primo luogo la necessità di dover disporre di grandi aree a causa della bassa densità energetica; il rischio di convertire intere aree agricole al monoculture, e il controllo della produzione che può risultare troppo incostante.
Le biomasse rappresentano una fonte di energia pulita su cui l'UE ha deciso di investire. Secondo quanto stabilito dalla Direttiva 2009/28/CE, nel 2020 l'Italia dovrà coprire il 17% dei consumi finali di energia mediante fonti rinnovabili. Prendendo a riferimento lo scenario efficiente, questo significa che nel 2020 il consumo finale di energie rinnovabili dovrà attestarsi a 22,31 Mt.
Alla luce di tale impegno si impone uno sforzo coerente affinché si definiscano criteri tali da assicurare uno sviluppo equilibrato dei vari settori che concorrono al raggiungimento di detti obiettivi, tenendo conto del rapporto costi-benefici.
In particolare, riguardo alla produzione dei biocarburanti, la Commissione europea ha sollecitato gli Stati Membri (Strategia Ue per i biocarburanti, COM 34/2006) a riflettere su dove allestire le colture energetiche affinché si inseriscano in maniera ottimale nella rotazione delle colture, al fine di evitare ripercussioni negative sulla biodiversità, l'inquinamento idrico, il degrado del suolo e la distruzione di habitat e di specie di elevata importanza naturale.
Appare evidente, in questo quadro, che il settore della biomassa possa e debba essere promosso in maniera organica e strategica individuando misure specifiche rivolte ad incrementarne la disponibilità e lo sfruttamento. In particolare è plausibile investire affinché lo si possa utilizzare non solo ai fini della sola generazione elettrica, ma anche per altri scopi come ad esempio la produzione di calore per il soddisfacimento di utenze termiche.
Non a caso negli ultimi anni vi è stato un incremento dello sviluppo delle tecniche di produzione energetica da biomasse e dai suoi prodotti anche a seguito dell'introduzione di una legislazione di sostegno che prevede, tra l'altro, meccanismi incentivanti. L'articolo 24 del decreto legislativo n. 28 del 2011, ad esempio, prevede un regime di incentivazione di biogas, biomasse e bioliquidi sostenibili che deve tener conto della tracciabilità e della provenienza della materia prima. Inoltre un impulso decisivo allo sviluppo sul territorio delle biomasse è stato dato dal decreto del Ministero dello Sviluppo Economico di concerto con il Ministero dell'Ambiente e con il Ministero delle Politiche Agricole il 10 settembre del 2010 in materia di «Linee guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili», che disciplina le modalità di autorizzazione dei diversi impianti e l'adeguamento delle Regioni alla normativa in materia. In questo caso si è voluto puntare sulla definizione di una coerente Pag. 92collaborazione con le Regioni riconoscendogli un ruolo fondamentale sulla strada dello sviluppo delle Biomasse, soprattutto alla luce della necessità di individuare aree compatibili alla produzione evitando effetti collaterali negativi sulla produzione agricola. Non solo, sono proprio le Regioni chiamate a conciliare le politiche di tutela dell'ambiente e del paesaggio con quelle di sviluppo e valorizzazione delle energie rinnovabili attraverso atti di programmazione congruenti con la quota minima di produzione di energia da fonti rinnovabili loro assegnata (Burden Sharing), assicurando uno sviluppo equilibrato delle diverse fonti.
In questo quadro, dunque, appare non solo opportuno, ma necessario intervenire sulla normativa vigente al fine di valorizzare le cosiddette agroenergie, rispettando la tipicità dell'economia italiana ed evitando distorsioni del mercato nel settore agroalimentare. Su questa strada è necessario continuare ad investire.