Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

Cerca nel sito

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Per visualizzare il contenuto multimediale è necessario installare il Flash Player Adobe e abilitare il javascript

Resoconto dell'Assemblea

Vai all'elenco delle sedute >>

XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 593 di lunedì 27 febbraio 2012

Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROSY BINDI

La seduta comincia alle 15,30.

GUIDO DUSSIN, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 20 febbraio 2012.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Alessandri, Amici, Caparini, Carfagna, Cicchitto, Colucci, Gianfranco Conte, D'Alema, Della Vedova, Donadi, Dozzo, Franceschini, Giancarlo Giorgetti, Lupi, Milanato, Moffa, Mussolini, Osvaldo Napoli, Leoluca Orlando, Picchi, Razzi e Stefani sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente venticinque, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Trasmissione dal Senato di un disegno di legge di conversione e sua assegnazione a Commissione in sede referente (ore 15,35).

PRESIDENTE. Il Presidente del Senato, con lettera in data 24 febbraio 2012, ha trasmesso alla Presidenza il seguente disegno di legge, che è stato assegnato, ai sensi dell'articolo 96-bis, comma 1, del Regolamento, in sede referente, alla VIII Commissione (Ambiente):
S. 3111 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 25 gennaio 2012, n. 2, recante misure straordinarie e urgenti in materia ambientale (4999) - Parere delle Commissioni I, II (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, V, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria), IX, X, XII, XIII e XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.
Il suddetto disegno di legge, ai fini dell'espressione del parere previsto dal comma 1 del predetto articolo 96-bis, è stato altresì assegnato al Comitato per la legislazione.

Modifica nella composizione della Commissione parlamentare per le questioni regionali (ore 15,36).

PRESIDENTE. Comunico che il Presidente della Camera ha chiamato a far parte della Commissione parlamentare per le questioni regionali il deputato Marco Calgaro, in sostituzione del deputato Anna Teresa Formisano, dimissionaria.

Sull'ordine dei lavori (ore 15,37).

ROBERTO ZACCARIA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

Pag. 2

ROBERTO ZACCARIA. Signor Presidente, giovedì scorso, il 23 febbraio, la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo ha condannato l'Italia per alcuni respingimenti in mare avvenuti verso la Libia.
In questa decisione molto importante, che si riferisce ad un fatto del quale in Aula si è parlato in relazione ad una mozione presentata proprio a prima firma del deputato Antonello Soro, si parlava di duecento persone di nazionalità somala ed eritrea - tra cui bambini e donne in stato di gravidanza - che erano state trasbordate su imbarcazioni italiane ed accompagnate a Tripoli contro la loro volontà, senza essere prima identificate, ascoltate, né preventivamente informate sull'effettiva destinazione, né è stata data loro la possibilità di avanzare richiesta di protezione internazionale.
Questo è un caso che, a giudizio della Corte di Strasburgo, viola in particolare l'articolo 3 della Convenzione sui diritti umani, quello sui trattamenti degradanti e la tortura; inoltre, la Corte ha stabilito che l'Italia ha violato il divieto di espulsioni collettive.
All'indomani di questa decisione il Premier Mario Monti ha parlato di sentenza che peserà sulle scelte future del nostro Paese nei rapporti con Libia ed il Ministro Cancellieri ha parlato di rispetto per i diritti umani, mentre il Ministro degli affari esteri, per la verità con una nota un po' diversa, ha parlato di un trattamento riservato ad emigranti e profughi sempre conforme agli obblighi internazionali.
Non si capisce bene; le dichiarazioni dei membri del Governo non suonano allo stesso modo, e se ci fosse stato rispetto pieno per i diritti umani non si capisce perché la Corte di Strasburgo avrebbe condannato l'Italia con una sentenza molto pesante su questi temi.
Quindi, per chiarire tutti questi aspetti, credo sia importante che il Ministro dell'interno, che ha competenza su questa materia, riferisca prontamente alle Camere, soprattutto in relazione al fatto che nelle prossime settimane sono previsti degli incontri con la dirigenza libica per definire quelli che vengono chiamati Accordi tecnici o Protocolli in attuazione del Trattato di amicizia.
Ricordo anche che quest'Aula recentemente ha votato diverse mozioni che riguardano questa materia e, quindi, si pone il problema di capire se quelle mozioni parlamentari e se questa sentenza della Corte europea troveranno rispetto e adempimento tempestivo da parte del nostro Governo. Per questo chiedo che il Ministro venga a riferire in Parlamento.

PRESIDENTE. Onorevole Zaccaria, la Presidenza interesserà il Governo per la sua competenza, che forse non è soltanto del Ministro dell'interno.

NICODEMO NAZZARENO OLIVERIO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NICODEMO NAZZARENO OLIVERIO. Signor Presidente, il sindaco di Rosarno, Elisabetta Tripodi, sabato 25 febbraio scorso, ha riferito alla stampa che il proprietario di un'azienda di trasformazione delle arance sita nella piana di Rosarno le ha comunicato che la multinazionale Coca Cola ha disdetto, per tutelare la sua immagine, le ordinazioni delle arance con le quali la stessa produce la Fanta, marchio di sua proprietà. Il tutto sarebbe partito da un'inchiesta della rivista britannica The Ecologist - ripresa da Corriere TV - riguardante il coinvolgimento della Coca Cola nello sfruttamento della manodopera africana in Calabria.
Secondo The Ecologist la multinazionale americana acquisterebbe a costi ridottissimi succo d'arancia concentrato dalle aziende calabresi, e questo sarebbe il motivo per cui gli agrumicoltori sarebbero costretti a sottopagare gli immigrati.
La condizione generale della piana di Gioia Tauro è a tutti nota: un territorio piagato da antichi e irrisolti problemi dove gli agrumeti sono tra le poche fonti di ricchezza. La rivolta del gennaio 2009 è viva nei ricordi di molti di noi; anche per questo l'amministrazione comunale di Rosarno Pag. 3è da tempo impegnata a dare una sistemazione dignitosa ai migranti, costretti a vivere in veri e propri ghetti e in condizioni igieniche al di sotto del tollerabile.
Gli abitanti di Rosarno, che già vivono una condizione economica e sociale particolarmente difficile, devono far fronte ai problemi connessi alla presenza di migliaia di migranti, che attualmente si presentano nella piana per partecipare alla raccolta delle arance, e alla crisi dei produttori che, sottopagati proprio da società come la Coca Cola, spesso preferiscono lasciare marcire il prodotto sul terreno.
Pietro Molinaro, Presidente della Coldiretti Calabria, interpellato da The Ecologist, aveva confermato il fatto, precisando che il prezzo che pagano le multinazionali non è giusto, e che così costringono le piccole aziende dell'area a sottopagare gli operai.
Basterebbe che le multinazionali pagassero il giusto prezzo di 15 centesimi al chilo - aveva aggiunto Molinaro - e la situazione cambierebbe radicalmente.
La Coldiretti Calabria da oltre un anno sta conducendo una battaglia su questo tema, che portò, il 2 gennaio 2011, allo «sciopero dell'aranciata», con l'invito ai consumatori a non acquistare bevande a base di succo. Secondo la Coldiretti, infatti, nelle bibite, di succo d'arancia ve ne è troppo poco, appena il 12 per cento. Questo fa sì che il chilo di arance sia pagato alle industrie di spremitura dai produttori appena otto centesimi, mentre il costo della manodopera, per i produttori, è stimato a 6 centesimi per un chilo.
Proprio un anno fa ho presentato in Parlamento la proposta di legge n. 4114, sottoscritta da altri 65 colleghi, che prevede di aumentare almeno al 16 per cento la percentuale minima di succo di agrumi nelle bibite analcoliche, contrastando la tendenza che inganna i consumatori, danneggia gravemente i produttori e, come si è visto, coloro che sono coinvolti nella raccolta.
Signora Presidente, credo sia proprio giunto il momento di dire «basta» alle aranciate senza arance e alla commercializzazione anche di tutti i prodotti agroalimentari surrettizi, privi, cioè, della materia prima fondamentale che dovrebbero caratterizzarli. L'Italia è il Paese del cibo sano e di qualità, che deve essere valorizzato per garantire una giusta alimentazione, un'adeguata tutela della salute stessa dei cittadini ed un dignitoso salario ai lavoratori.
Signora Presidente, la prego di attivarsi, attraverso la convocazione di un tavolo di crisi, da promuovere presso il Ministero delle politiche agricole e che coinvolga il Ministero dello sviluppo economico, e tutta la filiera agrumicola, affinché la multinazionale Coca Cola riveda la sua posizione circa l'acquisto delle arance della piana di Gioia Tauro, al fine di evitare un danno devastante per l'economia calabrese e per la salvaguardia dei già deboli livelli occupazionali. Soprattutto, si riveda la politica dei prezzi, remunerando adeguatamente le arance calabresi per la loro qualità e genuinità.
Non è tollerabile, così come dimostrano i dati forniti dalla Coldiretti, che su una bottiglia di aranciata vi sia un ricarico di oltre il 4000 per cento. Questo non è un profitto, signor Presidente, è uno sfruttamento.

PRESIDENTE. Onorevole Oliverio, la Presidenza si attiverà sicuramente. Tuttavia, penso che attraverso un atto di sindacato ispettivo si può mettere in azione il Governo e forse anche accelerare la presa in esame in sede di Commissione del progetto di legge al quale faceva riferimento.

Discussione delle mozioni Zamparutti ed altri n. 1-00760, Braga ed altri n. 1-00877, Libè, Di Biagio ed altri n. 1-00878 e Dussin ed altri n. 1-00879 concernenti interventi per la difesa del suolo (ore 15,45).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Zamparutti ed altri n. 1-00760, Braga ed altri n. 1-00877, Libè, Di Biagio ed altri n. 1-00878 e Dussin Pag. 4ed altri n. 1-00879, concernenti interventi per la difesa del suolo (Vedi l'allegato A - Mozioni).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
Avverto che sono state altresì presentate le mozioni Mosella ed altri n. 1-00885, Misiti ed altri n. 1-00886, Scilipoti ed altri n. 1-00889, Ghiglia ed altri n. 1-00890 e Piffari ed altri n. 1-00891 (Vedi l'allegato A - Mozioni) che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente. I relativi testi sono in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritta a parlare l'onorevole Zamparutti, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00760. Ne ha facoltà.

ELISABETTA ZAMPARUTTI. Signor Presidente, quest'Aula si ritrova, come è avvenuto a seguito di quanto accadde a Messina nel 2009, a discutere nuovamente di dissesto idrogeologico, anche a fronte del fatto che si sono recentemente riproposte frane e alluvioni in tutta una serie di regioni e di città, non esclusa la capitale, a causa di un dissesto ideologico prima ancora che idrogeologico.
Non è certo una responsabilità recente se penso che sono almeno 30 anni che Marco Pannella propone e chiede l'istituzione del geologo di quartiere, mentre la nostra pubblica amministrazione è tuttora sguarnita di questa fondamentale figura professionale.
Nel frattempo, però, le tragedie si sono succedute a ritmo incessante. Dal 1960 al 2010 la lunghissima serie di eventi franosi ed alluvionali ha causato 3673 vittime, una media di circa 70 persone l'anno. Secondo una ricostruzione storica dell'Istituto di ricerca per la protezione idrogeologica del CNR, nel secolo che abbiamo alle spalle tutte le province italiane sono state colpite da almeno una frana o da una inondazione.
L'analisi dei dati storici nell'ambito del progetto AVI del CNR ha evidenziato che in Italia, fra 9000 località colpite da frane, oltre il 25 per cento è stato colpito più di una volta e oltre il 40 per cento del territorio nazionale ha località colpite in modo ricorrente da alluvioni.
Siamo arrivati, per stessa ammissione del Ministero dell'ambiente, ad avere oggi l'89 per cento dei comuni italiani con almeno un'area in cui è molto probabile che si verifichi, prima o poi, un fenomeno franoso o alluvionale di una certa gravità.
Nel rapporto 2010 del centro studi del Consiglio nazionale dei geologi è documentato che su queste aree ad elevato rischio idrogeologico è stata consentita la costruzione di 1 milione e 250 mila edifici per uso residenziale e non, con 6 mila edifici che sono scuole e 531 che sono ospedali, con la conseguenza che 6 milioni di persone vivono in zone ad alto rischio idrogeologico.
Se poi si considerano le zone ad elevato rischio sismico, che interessano quasi il 50 per cento dell'intero territorio nazionale, si può assistere al fatto che è stata consentita la costruzione di circa 6 milioni e 300 mila edifici. Anche qui ci sono delle scuole (28 mila) e degli ospedali (2188), con gli edifici a prevalente uso residenziale che sono stati realizzati prima dell'entrata in vigore della legge antisismica.
Non trovo migliore spiegazione di come si sia potuti arrivare ad una simile situazione che le considerazioni, ancora una volta di Marco Pannella, espresse in tempi che potremo definire non sospetti, perché allora parlava del fatto che le vere catastrofi per l'Italia sono le sue classi dirigenti.
Siccome sappiamo che, mentre non possiamo impedire che si verifichi un evento sismico, con una corretta opera di prevenzione nel caso di frane e alluvioni si può limitare o addirittura evitare che questi si trasformino in fenomeni devastanti Pag. 5per l'uomo e per l'ambiente, noi crediamo che questo Governo, che per noi Radicali costituisce un positivo e felice incidente nell'ultrasessantennale regime partitocratico, possa decidere di imprimere una svolta al percorso totalmente sbagliato di rincorrere le emergenze con un'esponenziale crescita dei costi, nel protrarsi continuo del consumo di suolo.
Nell'annuario dei dati ambientali elaborato dall'ISPRA, infatti, il costo complessivo dei danni provocati dagli eventi franosi ed alluvionali dal 1951 al 2009 risulta superiore a 52 miliardi di euro, quindi circa un miliardo di euro all'anno, due volte e mezzo quello che viene stanziato in media dallo Stato ogni anno per le opere di prevenzione e più di quanto servirebbe per le opere più urgenti di riduzione del rischio idrogeologico sull'intero territorio nazionale che sappiamo essere state valutate dal Ministero dell'ambiente in circa 40-45 miliardi di euro.
Con una mozione approvata all'unanimità dalla Camera dei deputati il 26 gennaio 2010 avevamo impegnato il Governo, tra le altre cose, a presentare e dotare delle opportune risorse pluriennali un piano nazionale straordinario per il rischio idrogeologico. Sappiamo che sono stati sottoscritti tra il 2010 e il 2011 una serie di accordi di programma con le regioni finalizzati all'individuazione, al finanziamento e all'attuazione di interventi a difesa del suolo considerati prioritari, ma debbo dire che le risorse a tale scopo destinate sono assolutamente inadeguate e al ritmo dello stanziamento (considerati gli stanziamenti statali e anche quelli regionali) ci vorranno almeno 60 anni per arrivare a completare un'opera di messa in sicurezza dell'intero territorio nazionale.
Quindi, questa impostazione non basta, non è sufficiente ed è per questo che abbiamo voluto presentare questa nuova mozione, intanto per affermare questa inadeguatezza e per chiedere di invertire la proporzione tra le risorse destinate all'emergenza rispetto a quelle destinate alla prevenzione. Queste ultime sono risorse che vanno assolutamente aumentate.
Questa è una mozione che è stata presentata quando ancora il Governo Monti non c'era. Quindi, confidiamo nell'accoglimento delle nostre richieste e, ad esempio, ho già sentito parole confortanti in questo senso rispetto all'impegno a non concedere alcun ulteriore condono edilizio.
Sono consapevole del fatto che il ricorso ad interventi strutturali di messa in sicurezza del territorio non possa essere l'unica ancora di salvezza, perché la prevenzione passa anche dal contenimento dell'utilizzo del suolo, dall'adozione di piani di protezione civile, dal monitoraggio dei fenomeni e soprattutto dalla conoscenza da parte dei cittadini del livello di esposizione al rischio.
Ciò non attiene solo a quell'educazione per cui non ci si deve affacciare dai ponti per osservare la piena o non ci si deve avventurare con l'auto in sottopassi allagati, perché la consapevolezza del rischio per me è innanzitutto legata alla possibilità di sapere in che zona è ubicata la propria casa e l'edificio in cui si vive e si abita. Siccome esistono gli strumenti tecnico-scientifici a ciò necessari anche sul portale nazionale del Ministero dell'ambiente, credo che occorra renderli pienamente fruibili dai cittadini.
È vero che queste informazioni sono state pubblicate su questo sito. Tuttavia, signor sottosegretario, ho provato a consultarlo ed è impossibile arrivare a comprendere il livello di sicurezza o di insicurezza dell'edificio in cui si abita.
La invito a farlo e le assicuro che non ci riuscirà neppure lei, a meno che non sia affiancato da un abile tecnico.
Quindi, anche su questo fronte dell'informazione, della trasparenza e delle informazioni a disposizione, credo che occorra migliorare il servizio perché, lo ripeto, la consapevolezza del rischio rende tutti, politici, amministrazioni e popolazione, responsabili delle azioni per la sua mitigazione.
Vengo ora ad un punto che si lega strettamente a questo, ossia la possibilità, che deve essere riconosciuta ai cittadini, di assicurarsi contro i danni da calamità Pag. 6naturali. Siamo uno dei pochi Paesi al mondo, nonostante il gravissimo ed elevatissimo rischio idrogeologico e sismico cui siamo esposti, in cui ciò non è sostanzialmente possibile e non vi è neanche discussione su questo punto.
Il sottosegretario Bertolaso aveva reso noto che la Protezione civile era riuscita a risarcire solo un sesto dei danni causati da calamità naturali. Pertanto, credo che, soprattutto se ci si impegna in un serio programma di prevenzione e in una maggiore presenza della figura professionale del geologo nella pubblica amministrazione, sia necessario ragionare sull'introduzione di un'assicurazione obbligatoria contro i danni da calamità naturali e mettere a punto, insomma, un sistema pubblico-privato in grado di migliorare la copertura assicurativa per le perdite causate, appunto, dalle catastrofi naturali.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Braga, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00877. Ne ha facoltà.

CHIARA BRAGA. Signor Presidente, come diceva la collega Zamparutti, questo Parlamento si trova a discutere di un tema che, il più delle volte, torna all'attenzione pubblica - e anche a quella delle istituzioni - solo a seguito di eventi tragici legati a frane e alluvioni come quelle, che abbiamo ancora vive negli occhi, dei mesi scorsi di Genova, La Spezia e della Lunigiana.
Quest'Aula votò, due anni fa, una mozione unitaria su questi temi per richiamare il Governo, allora in carica, ad una serie di impegni importanti sulla difesa del suolo. Oggi non ci interessa particolarmente parlare del passato, però non possiamo fare a meno di registrare, con rammarico, che quegli impegni, assunti formalmente in quest'Aula, sono rimasti, in larga misura, lettera morta.
In questi due anni abbiamo dovuto sventare, in più di un'occasione, i tentativi di riproporre nuovi condoni edilizi per fare cassa. Allo stesso modo, abbiamo denunciato e ci siamo opposti al ricorso frequente, da parte del Governo, dell'utilizzo di risorse destinate agli interventi di prevenzione per far fronte, invece, alle tante emergenze che hanno colpito molte aree del Paese.
Come ricordava prima la collega Zamparutti, il piano straordinario per la difesa del suolo, che assegnava in via straordinaria al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare un miliardo di euro a valere sulle risorse FAS per finanziare gli interventi prioritari di prevenzione sulla base di accordi di programma con le regioni, mostra oggi grandi difficoltà di attuazione. Sono stati assegnati effettivamente solo 100 milioni delle risorse statali previste e parte degli importanti cofinanziamenti regionali, che allora messi a disposizione delle regioni raggiungevano quasi un miliardo di euro, oggi non sono più disponibili, anche per effetto dei tagli di risorse operato dalla manovra di agosto, che ha addirittura rimodulato in riduzione gli accordi già sottoscritti. Tutto questo è avvenuto mentre i fondi ordinari per la difesa del suolo, quelli fondamentali e indispensabili per sostenere politiche concrete da parte di regioni e amministrazioni locali, sono stati via via ridotti.
Questo, purtroppo, è il risultato di quel piano, nonostante il ricorso a procedure straordinarie, fino alla nomina di commissari, da parte del Ministero, per la gestione di quegli accordi di programma; commissari voluti e votati in modo acritico anche da quanti oggi, passati all'opposizione (mi riferisco ai colleghi della Lega Nord), ne denunciano l'eccessiva centralizzazione e ne invocano la soppressione.
Guardare in modo disincantato allo stato delle cose ci aiuta, però, a comprendere la necessità di un cambio di prospettiva su questo argomento, cercando di andare più a fondo della solita e in parte giustificata lamentela sulla carenza di fondi per le politiche di tutela del territorio, tanto più in un momento in cui non è immaginabile pensare di aumentarli in modo significativo per le ragioni che tutti noi sappiamo.
Ancor più e ancor prima del reperimento di nuove risorse, oggi la priorità Pag. 7assoluta è quella di una robusta iniezione di efficienza nelle politiche per la difesa del suolo. Sappiamo che la criticità maggiore è dovuta nel nostro Paese ad una frammentazione ed alla sovrapposizione di competenze di soggetti e di strumenti che, molte volte, paralizzano il sistema di pianificazione, lo rendono meno efficace e impediscono una corretta gestione e il monitoraggio degli interventi.
A livello nazionale, si sconta tutt'oggi la mancanza di una regia unitaria dell'azione di difesa del suolo e di gestione della risorsa idrica. Il pieno recepimento nella nostra normativa delle direttive comunitarie, in particolare quella sulle acque e la cosiddetta direttiva alluvioni, avrebbe richiesto la definizione di ruoli e di competenze che invece sono ancora confuse, tra livelli distrettuali e regionali, con l'effetto di non rendere pienamente riconoscibile la catena delle responsabilità e di produrre nei cittadini la mancanza di consapevolezza sul «chi fa che cosa». Anche il dibattito di grande attualità, in corso in queste settimane, sulla revisione dei livelli istituzionali, la soppressione ed il ripensamento delle province, l'accorpamento dei piccoli comuni e quello che ne segue in termini di diversa attribuzione di funzioni in materia di pianificazione territoriale di scala vasta e di tutela delle risorse ambientali, non può ignorare le ricadute che quelle scelte avranno su un fronte già così delicato.
Nel nostro Paese il sistema di gestione degli interventi per la difesa del suolo, che sappiamo e dobbiamo inquadrare in maniera fortemente connessa con quello della tutela delle acque e con la gestione dei servizi idrici, è ancora molto centralistico ed incapace di mettere in sinergia in modo positivo competenze, ruoli e responsabilità e di far dialogare e armonizzare i contenuti e i tempi di attuazione e aggiornamento dei vari strumenti di pianificazione previsti dal nostro ordinamento; strumenti che sono troppi e troppo poco coordinati tra loro.
L'istituzione delle otto autorità di bacino distrettuali, a cui la legge attribuisce la potestà pianificatoria e che tutt'oggi non sono ancora in larga misura operative, trova dei limiti proprio nella delimitazione territoriale dei distretti e nella loro architettura istituzionale, con una presenza ed un peso eccessivo riconosciuto ai Ministeri e ad un conflitto mai risolto con le regioni. I piani di gestione dei distretti idrografici ed i relativi programmi di misure, che sono lo strumento fondamentale per raggiungere gli obiettivi dati dalla cosiddetta direttiva acque del 2000, sono stati adottati dalle autorità di bacino, ma per dispiegare pienamente i loro effetti positivi, le azioni concrete di pianificazione e di programmazione che li sostanziano attendono ancora l'assunzione di atti di competenza del Consiglio dei ministri.
C'è un problema che ha a che fare con la governance e con l'architettura istituzionale su cui poggiano le politiche di difesa del suolo e crediamo che questo sia un fronte essenziale di intervento che richiede uno sforzo riformatore paziente e rigoroso, una manutenzione che agisce sugli strumenti, sui soggetti e sulle modalità di attuazione delle politiche di difesa del suolo. Però c'è anche un altro fronte essenziale a cui ci richiamano le direttive comunitarie, che riguarda in particolare il sistema di prevenzione e di gestione del rischio. La maggior parte degli interventi nel nostro Paese sono ancora oggi interventi strutturali di difesa passiva, nonostante molti di questi interventi, che hanno drenato molte risorse nei decenni passati, hanno dimostrato che da soli non sono sufficienti a prevenire in maniera adeguata il rischio e, molte volte, se non accompagnati da un'adeguata manutenzione, rischiano di essere del tutto inutili.
Al contrario, occorre puntare con maggiore forza su un'azione di prevenzione, sul monitoraggio e sul grado di conoscenza e consapevolezza delle popolazioni riguardo al livello di esposizione a rischio di un territorio, che purtroppo sappiamo non essere mai eliminabile del tutto.
Abbiamo un quadro di riferimento, quello comunitario, che ci pone obiettivi e principi da cui non possiamo prescindere. Ne cito solo alcuni: la ricostruzione ecologica dei corsi d'acqua, l'utilizzo di processi Pag. 8di qualificazione dell'agricoltura come occasioni di cura e di presidio del territorio, l'assunzione nel quadro degli scenari di cambiamento anche dei cambiamenti climatici, politiche di adattamento piuttosto che ricorso ad interventi strutturali, una ferrea applicazione del principio «chi inquina paga», la valorizzazione di pratiche di tipo negoziale e di partecipazione e di coinvolgimento del pubblico nella ricerca di scelte condivise. Da qui occorre ripartire.
Al Governo chiediamo uno sforzo in questo senso perché si adottino in maniera tempestiva tutte quelle iniziative, di natura amministrativa e legislativa, che possano portare ad una semplificazione del sistema attuale di responsabilità e di competenze, eliminando sovrapposizioni ed incongruenze ma, nello stesso tempo, non incorrendo nel tranello - che già tanti danni ha prodotto - del localismo istituzionale, perché piccolo sarà anche bello ma rischia spesso di essere del tutto inefficace. Servono scale istituzionali adeguate alle dimensioni dei problemi così come è necessario affiancare, ai livelli istituzionali, strutture tecniche, qualificate e indipendenti in grado di produrre conoscenza, di metterle in circolo e di garantirne la condivisione, essenziale per processi integrati di pianificazione e monitoraggio che oggi sono ancora estremamente deboli.
Esistono già nei territori grandi esperienze virtuose in questo senso che hanno a che fare con la programmazione negoziata; cito l'esperienza dei «Contratti di fiume» che sono già stati sperimentati in diversi contesti regionali e che rispondono proprio a quei criteri di sussidiarietà orizzontale e verticale e di coinvolgimento della popolazione e che si stanno rivelando uno strumento utile di promozione di una governance locale integrata. Esiste una Carta nazionale dei Contratti di fiume che sappiamo essere già stata oggetto di condivisione in sede di Conferenza Stato-regioni; sarebbe forse auspicabile che questo strumento venisse riconosciuto anche a livello normativo nazionale e sappiamo che il Ministero in qualche modo è stato investito di questa questione.
Sarebbe inoltre importante che il Governo assumesse l'impegno di portare a rapida e completa attuazione i piani di gestione dei distretti idrografici e dei programmi di misure, mettendo mano, laddove possibile, anche ad alcune modifiche puntuali per renderli davvero operativi e per valorizzare senza mortificarlo il grande patrimonio di conoscenze e di esperienze delle strutture tecniche di bacino che esistono a livello regionale e locale.
A fianco di questi impegni che il Partito Democratico chiede al Governo sappiamo che resta sullo sfondo una grande questione culturale a cui faceva riferimento prima la collega Zamparutti, cioè quella di invertire la logica di priorità degli interventi in materia di gestione del suolo, privilegiando finalmente la logica della prevenzione a quella della gestione dell'emergenza e diffondendo una consapevolezza di responsabilità fondata sul rispetto delle regole e sulla centralità della pianificazione. Anche se in parte abbiamo contestato l'avvio del piano straordinario per il contrasto del dissesto idrogeologico, oggi noi crediamo che la priorità sia quella di sbloccare le risorse previste sulla base degli accordi di programma già sottoscritti dalle regioni, cercando poi di riportare all'ordinarietà delle procedure la gestione delle risorse in materia di difesa del suolo. Questo significa per lo Stato, sapendo che molte competenze sono in capo alle regioni, tornare a prevedere nei propri bilanci per i prossimi anni risorse certe e costanti per un'azione diffusa di manutenzione del territorio, da gestire insieme al sistema delle regioni e degli enti locali, convinti che questa è la grande opera di cui il nostro Paese ha bisogno, prevedendo anche la possibilità di deroghe ed incentivi, ad esempio, dai vincoli di spesa del Patto di stabilità e anche il coinvolgimento attivo della popolazione, valutando anche la possibilità di sperimentare progetti che coinvolgano lavoratori temporaneamente beneficiari di ammortizzatori sociali su un grande piano di manutenzione diffuso del territorio. Pag. 9
Infine concludo con un accenno alla gestione delle emergenze di cui quest'Aula ha parlato non più tardi di qualche settimana fa. Noi chiediamo che - così come già si è impegnato a fare - il Governo ripristini al più presto le condizioni perché il sistema della Protezione civile nel nostro Paese possa tornare ad operare in modo tempestivo ed efficace nel post-emergenze, superando quelle criticità che sono contenute nelle norme in vigore - in particolare nella legge 26 febbraio 2011, n. 10 - e che sono state superate e risolte solo in parte dalla pronuncia della Consulta della scorsa settimana.
Questi sono in sintesi i contenuti su cui il Partito Democratico chiede un impegno all'Aula e al Governo. Sappiamo che il nostro Paese ha davanti a sé molti impegni gravosi - il risanamento economico, il rilancio della crescita, il sostegno dell'occupazione -, ma vorrei che fosse chiaro che parlare di difesa del suolo nei termini in cui abbiamo tentato di farlo oggi non è parlare di altro; occuparsi della qualità e della sicurezza dell'ambiente in cui viviamo significa concorrere a creare le condizioni per uno sviluppo sostenibile, ridurre i costi inutili, le inefficienze e gli interventi a posteriori per far fronte ad emergenze forse evitabili e creare opportunità di occupazione qualificata nei settori strategici della green economy valorizzando le competenze tecniche di cui il nostro Paese dispone.
L'auspicio che rivolgiamo al sottosegretario Fanelli, che ringrazio per l'attenzione, è che lo sforzo riformatore che vede impegnato il Governo su molti fronti possa trovare applicazione positiva anche nel campo delle politiche ambientali, a partire dalle politiche per la difesa del suolo. Questo è lo spirito con cui noi portiamo la nostra mozione all'attenzione dell'Assemblea (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Dussin, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00879. Ne ha facoltà.

GUIDO DUSSIN. Signor Presidente, sottosegretario Fanelli, «no» ad oneri a carico dei cittadini e «no» alle assicurazioni. In questo periodo sarebbe improponibile e deleterio caricarli ancora. Questo è già un Governo di tassazione allo stato puro e penso che sarebbe troppo metterci anche l'assicurazione. Quindi, già sono critico su alcune proposte (Commenti della deputata Zamparutti)... Io la penso così. Ovviamente, la collega Zamparutti capisce quello che sto dicendo: non possiamo prelevare soldi dalla benzina, come ha proposto ad esempio il Ministro nella prima audizione in Commissione, che poi si è ricreduto del tutto, tant'è che non si è visto più nulla.
Sappiamo che questo Ministero non doveva nascere. Il Premier Monti non aveva previsto il Ministero dell'ambiente, leggasi Passera, che disse: faccio tutto io in un unico Ministero. Poi per risposta ad una parte, che ha reclamato giustamente l'esistenza di questo Ministero, è stato istituito. Ora che c'è, occorre che lavori nel giusto modo, facendo della prevenzione.
Poi abbiamo dei fondi fermi, perché i 900 milioni di cui si parlava prima non sono stati ancora impegnati a fondo. Ma soprattutto ci sia un impegno, visto che la maggioranza propone le mozioni all'Aula su questi temi che noi condividiamo. A questo punto, se la maggioranza ampia, amplissima, con cinquecento e rotti voti disponibili, propone mozioni all'Aula, non dovete subire l'atteggiamento della Lega, peraltro positivo. Non dovete essere così condizionati, come ho sentito prima (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania). Ci si sente sempre succubi di questa minoranza di sessanta persone. Qual è il problema? Avete cinquecento voti, state governando anche con Berlusconi, ma fatele le cose. Avete un'opportunità adesso, mettete questi fondi e noi diremo di sì se ci devono essere fondi su questo settore.
Più prevenzione è uguale a più sviluppo e a più sicurezza per i cittadini. Noi vi diciamo di fare la compartecipazione con gli enti locali e con le regioni. Ben venga se questo tema verrà risolto, noi vi sosteniamo addirittura. Se andiamo verso la prevenzione noi siamo favorevoli. Se non Pag. 10volete mettere dei fondi totali voi, condivideteli con le regioni e con i comuni. Personalmente sono d'accordo, per esempio, che i comuni mettano il 30 per cento, le regioni un altro 30 per cento e lo Stato il 25, il 30 o 40 per cento. Facciamo compartecipare tutti alla messa in sicurezza del nostro territorio. Quindi, da questo punto di vista, sono fortemente convinto che si possa fare e se si vuole, visto che ci sono i numeri e sono tanti, si può fare benissimo, senza Patto di stabilità. Non entriamo nel merito del Patto di stabilità; va benissimo, anche noi siamo d'accordo e sono cose ovvie, ma perché non adottare questa soluzione?
Sono trascorsi quasi tre anni da quando in VIII Commissione (Ambiente), il 21 aprile 2009, fu approvata una risoluzione, la n. 8-00040, a mia prima firma, in cui si evidenziavano le problematiche connesse alla fragilità del nostro territorio e si illustravano le criticità connesse al rischio idrogeologico e alla manutenzione del territorio ed in tale sede si chiedeva al Governo di intraprendere iniziative per farvi fronte, ma soprattutto di adottare provvedimenti diretti principalmente alla prevenzione e alla mitigazione delle cause che generano i drammatici eventi del dissesto idrogeologico o le grandi calamità meteoriche.
Sottosegretario Fanelli, adesso mi dilungherò un attimo sull'illustrazione della mozione della Lega a mia prima firma e ne descriverò anche qualcosa in più, entrando più nel dettaglio. Per quanto riguarda le quattro cose che dicevamo prima, sottosegretario Fanelli, se lei vorrà, basta che le ricordi non tanto al Ministro Clini e neanche al delegato d'Aula del Popolo della Libertà, Baldelli, che ha ricoperto quest'incarico per un lungo periodo, non so quanto bene, ma per molto tempo...

PRESIDENTE. Stiamo al punto, onorevole Dussin.

GUIDO DUSSIN. È pertinente perché ho catturato l'attenzione del sottosegretario Fanelli.

PRESIDENTE. L'aveva già catturata la Presidenza, non si preoccupi.

GUIDO DUSSIN. Bravo, signor Presidente! Il mio intervento non vuole essere polemico né vuole essere un prolungamento della discussione. Voglio solamente dire che quei quattro punti che ho citato all'inizio, potrebbero essere benissimo riportati non al Ministro dell'ambiente, signor Presidente (adesso mi rivolgo a lei), ma ai Ministri interessati, e cioè il Ministro dell'economia e delle finanze, che tiene la cassa di questo Governo, il Ministro Passera e poi, in via definitiva, il Premier Monti.
Infatti, cosa sta avvenendo all'interno del Ministero dell'ambiente? Che fondi non ve ne sono! Questa è la realtà! A chi lo dobbiamo dire? Se lo dico al sottosegretario, lui lo sa già. Lo dico perlomeno all'Assemblea, e quindi mi rivolgo a lei, signor Presidente, in modo che l'Assemblea sappia, e quindi il Governo tutto sappia, che il Ministero dell'ambiente non è finanziato. Questa è l'amara realtà! Siamo d'accordo, signor sottosegretario?
Mi faccia almeno un accenno. Lo sa che di soldi non ne avete in questo momento? Bravo! Successivamente, in un altro periodo, il 26 gennaio 2010 - continuo nel citare la mozione, e quindi proseguo più tranquillo - fu approvata anche la mozione n. 1-00324, vertente sulla difesa del territorio, sulla prevenzione del dissesto idrogeologico e sulle misure da adottare per mettere in sicurezza le aree a maggior rischio.
Se noi approviamo delle mozioni e poi pensiamo che queste restino solo per l'Aula, penso che servano a poco. Dobbiamo fare in modo che queste vadano a incidere, poi, sui capitoli di spesa. In tale sede, tra l'altro, si impegnava il Governo a dare immediata esecuzione alla risoluzione n. 8-00040, chiedendo di reperire le risorse pluriennali per finanziare il piano nazionale straordinario per il rischio idrogeologico.
Su questo tema tutti sono d'accordo (qui siamo sicuramente d'accordo); poi, le proposte di soluzione sono diverse. In Pag. 11premessa, abbiamo detto che non siamo d'accordo nel tassare ulteriormente la benzina, che è ai massimi storici in questo periodo, e nel mettere ancora un'accisa attraverso le assicurazioni. Diciamo che bisogna creare un fondo apposito.
Con la legge finanziaria per il 2010, la n. 191 del 23 dicembre 2009, fu destinata la cifra di un miliardo di euro - e qui veniamo dunque alla prima parte, quella già approvata - poi ridotta a 900 milioni, ai piani straordinari diretti a rimuovere le situazioni a più elevato rischio idrogeologico, individuate dalla direzione generale competente del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.
I finanziamenti sono un po' inceppati, perché sono stati dati dei via positivi ad alcuni accordi fatti con le regioni, ma il più è ancora ad oggi fermo. A tale provvedimento si è data esecuzione tramite le disposizioni contenute nell'articolo 17 del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 195, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge n. 26 del 26 febbraio 2010. Tale norma ha previsto l'attivazione di accordi di programma con le regioni per un importo complessivo di 810 milioni di euro - che ad oggi non sono ancora stati sottoscritti e firmati, i lavori non ci sono; quindi, se domani mattina piove o succede qualcos'altro, anche questi soldi, che sono già in capitolo di spesa, non possono essere impegnati - nonché la nomina di commissari straordinari per l'attuazione degli interventi.
Il bilancio di questi tre anni di attività, purtroppo, è assai sconfortante: sono stati aperti pochissimi cantieri, la spesa delle risorse dei fondi avviene in maniera lenta e con poca certezza della loro effettiva disponibilità, non sempre le opere si realizzano con la tempestività e l'urgenza richiesti, al punto che le iniziali criticità si trasformano in successive emergenze.
Anche per tali motivi, appare necessario sottoporre a una profonda fase di revisione ed aggiornamento le norme sopra richiamate, eliminando le ridondanze inutili, conferendo agli amministratori locali, più che allo Stato e ai commissari centrali - e qui aggiungo io: se vi sono queste compartecipazioni, è chiaro che ciò va nel senso giusto - le competenze esecutive degli interventi programmati insieme alle regioni, ma, soprattutto, bisogna individuare forme di finanziamento degli interventi maggiormente certe e flessibili, come ad esempio mutui pluriennali a carico dello Stato, i quali potrebbero movimentare nel corso degli anni parecchi miliardi di euro complessivi. Più sicurezza, più sviluppo.
Questo processo di efficientamento delle procedure si rende ineludibile anche perché le condizioni di sicurezza del nostro territorio sono ulteriormente peggiorate in questi ultimi anni: secondo dati del Ministero dell'ambiente sono 6.633, l'82 per cento, i comuni in pericolo per il dissesto idrogeologico ed interessano 2.951.700 ettari (9,8 per cento del territorio nazionale).
Oltre la metà degli italiani vive in aree soggette ad alluvioni, frane, smottamenti, terremoti, fenomeni vulcanici e persino maremoti; negli ultimi ottanta anni si sono verificate circa 5.400 alluvioni e 11 mila frane. Per tamponare i danni, secondo uno studio del Consorzio universitario del Politecnico di Milano, lo Stato spende oltre 2 miliardi di euro l'anno, ai quali vanno aggiunti un altro miliardo e mezzo di euro per possibili interventi minori. Si aggiunga che l'Italia è un Paese fortemente antropizzato, con una densità media di popolazione pari a 189 abitanti per chilometro quadrato - la Francia ne conta 114, la Spagna 89 - ma con fortissime differenze nella distribuzione territoriale: ai 68 abitanti per chilometro quadrato della Sardegna si contrappongono i 379 della Lombardia, fino ai 420 della Campania.
Anche nel 2011 è continuata la catena di disastri territoriali a causa di eventi meteorologici più o meno prevedibili. Il riferimento è, in particolare, alle alluvioni che, nello scorso autunno, hanno colpito duramente i territori di Liguria, Sicilia, Piemonte e Toscana, ma anche Veneto, Marche, Lazio, Campania e Calabria. A tal proposito vorrei dire che in queste occasioni sono stati impegnati pochi fondi durante la fase di emergenza e denunciare Pag. 12il fatto che la Protezione civile, il più delle volte - mi riferisco soprattutto agli ultimi eventi - non è potuta intervenire fin da subito perché è monca di uno strumento legislativo sottrattole l'anno scorso.
Sulla base delle prime stime l'ammontare complessivo dei danni subiti da tali regioni, senza tenere conto delle gravi conseguenze che graveranno sull'economia e sull'occupazione, ammonta ad oltre 2 miliardi di euro. Già nel 2010 la stima dei danni per eventi calamitosi era stata di oltre 3 miliardi di euro.
Il territorio italiano necessita soprattutto di interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, mirati a ridurre drasticamente i rischi derivanti da eventi meteorologici estremi, ormai sempre più frequenti.
La tutela ed il risanamento idrogeologico del territorio devono quindi costituire priorità strategiche per garantire al Paese le condizioni territoriali indispensabili per la ripresa della crescita economica. Le strategie, che anche l'ONU raccomanda, contemplano espressamente azioni di adattamento ai cambiamenti climatici per ridurre le conseguenze negative derivanti dai cambiamenti climatici che, si ritiene, siano ormai in atto. In tali azioni rientrano quelle di salvaguardia del suolo attraverso la prevenzione, volta a ridurre la vulnerabilità territoriale. A tale scopo sono necessarie costanti ed organiche azioni di manutenzione, volte a garantire l'efficienza dei sistemi di scolo delle acque e la riduzione delle interferenze delle attività dell'uomo con le regole dell'idraulica.
È di fondamentale importanza ridurre i fenomeni di dissesto, contenere le frane, sistemare le pendici, regolare i torrenti e i piccoli corsi d'acqua, adeguare finalmente le opere idrauliche alle condizioni di un territorio profondamente modificato. Modificare, ad esempio, la residenza lungo gli alvei dei corsi d'acqua principali è fattibile, ma è chiaro che vi è bisogno del contributo anche regionale, visto che la materia urbanistica è delegata alle regioni, anche se in questo caso, in via eccezionale, penso che si possa anche prevedere uno strumento che regolamenti i crediti edilizi o che preveda, comunque, soluzioni che diano una risposta anche da un punto di vista urbanistico per dare una soluzione vera a questa realtà. È assurdo che nel 2012 vi siano ancora realtà che vivono all'interno degli alvei dei corsi d'acqua principali o, addirittura, che vi siano dei fabbricati che ostruiscono il passaggio delle acque.
Come dicevo, non si può imputare il costo della prevenzione ai cittadini, soprattutto in questo momento, attraverso i vari decreti accorpati e proposti all'Assemblea; considerando che ogni decreto ne contempla almeno cinque o sei, stiamo lavorando solo attraverso lo strumento del decreto-legge. Presentiamo una serie di «maxi decretazioni» tutte dirette a tassare il cittadino. Credo che i contribuenti non ce la farebbero più se dovessimo, anche con questa operazione, prevedere ancora altri euro da versare.
Meno emergenza quindi e più prevenzione. Prendendo a prestito un documento elaborato dall'Associazione nazionale bonifiche e irrigazioni (ANBI), possiamo affermare che le future azioni da adottare in questo settore dovranno essere destinate prevalentemente alla manutenzione straordinaria di opere esistenti ed alla realizzazione di nuovi interventi, diretti alla prevenzione ed alla messa in insicurezza.
Si tratta di: lavori di adeguamento e ristrutturazione dei torrenti e delle logge, anche con interventi di ingegneria naturalistica, ed interventi per la sistemazione delle frane sulle sponde dei canali; lavori di manutenzione straordinaria, di adeguamento della rete di bonifica, delle idrovore per il sollevamento delle acque e delle altezze degli argini; realizzazione di canali scolmatori; interventi di manutenzione del reticolo idraulico a difesa dei centri abitati; realizzazione di opere per il contenimento delle piene; lavori di adeguamento della rete di bonifica, delle arginature, degli impianti idrovori al territorio urbanizzato; interventi di manutenzione straordinaria dei fossi minori e delle opere idrauliche; lavori di stabilizzazione delle Pag. 13pendici; sistemazione, conservazione e recupero del suolo dei bacini idrografici con interventi idrogeologici, idraulici, idraulico-forestali, idraulico-agrari, silvo-pastorali, di forestazione e di bonifica, anche attraverso processi di recupero naturalistico, botanico e faunistico.
Tutto possiamo noi citare e abbiamo tutto il diritto di citarlo, perché laddove governiamo noi anche a livello territoriale, questi interventi tendiamo a farli e a farli in modo molto deciso. Ad esempio la sistemazione dell'organizzazione urbanistica primaria, che vuol dire sistemare innanzitutto il sottosuolo e il suolo, proprio nella parte di sgrondo, fognature e quant'altro, credo che questa sia uno degli ambiti di intervento che ci contraddistingue a livello locale.
Si tratta poi di interventi come la moderazione delle piene, anche mediante serbatoi di invaso e soprattutto vasche di laminazione, casse di espansione, scaricatori, scolmatori, diversivi o altro, per la difesa dalle inondazioni e dagli allagamenti.
Voglio rilevare che non solamente gli altri colleghi citano gli interventi che dobbiamo adottare. Si tratta poi di interventi di: difesa e consolidamento dei versanti e delle aree instabili, nonché difesa degli abitati e delle infrastrutture contro i movimenti franosi, valanghe e altri fenomeni di dissesto; protezione delle coste e degli abitati dall'invasione e dall'erosione delle acque marine; ripascimento degli arenili, anche mediante opere di ricostituzione dei cordoni dunosi; manutenzione diffusa del territorio, nonché quella ordinaria e straordinaria delle opere e degli impianti nel settore della conservazione dei beni.
Sono tutti interventi volti a diminuire il rischio idraulico, cui però deve far seguito imprescindibilmente una costante azione di manutenzione ordinaria. Siamo tutti quanti d'accordo, tutti quanti conveniamo su quello che bisogna fare, però non siamo d'accordo su come realizzeremo queste cose. Allora noi proponiamo di realizzare ed impostare questa compartecipazione Stato-enti locali e di mettere a disposizione un fondo nell'arco di un tempo ampio, quindi con una lunga programmazione, che non vada a gravare fin da subito sul bilancio dello Stato per intero, ma che ci sia una programmazione che dia un senso alla prevenzione, per creare sviluppo e per risparmiare poi soldi per quanto riguarda i danni.
Va inoltre evidenziato che, sempre da un'elaborazione dell'ANBI, si valuta che un milione di euro, investito in manutenzione del territorio, generi sette nuovi posti di lavoro. Gli interventi per la riduzione del rischio idrogeologico darebbero anche un importante contributo alla ripresa occupazionale.
La nostra mozione, per quanto descritto, indica al Governo quali dovranno essere i nuovi orientamenti operativi per la messa in sicurezza idrogeologica del territorio, per la prevenzione dei fenomeni calamitosi, per rendere snelle ed efficaci le realizzazioni delle opere e per poter disporre di risorse finanziarie adeguate alle esigenze e soprattutto certe. In tal senso proponiamo il superamento della centralizzazione dei commissari straordinari (è fondamentale questo passaggio, già sottolineato anche da qualche collega), l'attivazione di limiti di impegno per quote di 100 milioni di euro l'anno per più anni, la centralità degli enti locali territoriali nelle fasi di realizzazione degli interventi oltre la predisposizione di un programma pluriennale di misure per dare coerenza ed effettività alle operazioni di prevenzione e di messa in sicurezza del territorio, l'istituzione di un fondo compartecipato dallo Stato, dalle regioni e dagli enti locali, finalizzato alla concessione di indennizzi e per il risarcimento dei danni provocati dalle calamità naturali ed, infine, anche la possibilità da parte dei comuni di concedere crediti edilizi in favore di soggetti che procedono alla delocalizzazione dei propri immobili da aree a rischio ad aree sicure.
Queste sono in pratica una serie di proposte che noi avanziamo, ma che sono già state generalmente applicate nei nostri territori. Abbiamo sempre chiesto, come gruppo, e abbiamo portato avanti tante volte provvedimenti ed anche emendamenti ai provvedimenti, per far sì che si Pag. 14finanziassero varie soluzioni per il territorio. Ne abbiamo conseguito poi operazioni molto fruttuose. Mi riferisco per esempio ai bacini di laminazione; ne abbiamo fatti vari nelle nostre realtà e questi hanno dato risposta.
È chiaro che bisogna lavorare molto sulla prevenzione tout court. Siamo preoccupati per il ruolo che ha questo Ministero - l'ho già detto prima e voglio evidenziarlo di nuovo - e mancano degli impegni veri ad oggi sui fondi. Questo Governo non ha ancora reso una relazione alla nostra Commissione competente su come intende muoversi per recuperare le risorse. Vi era stata la proposta iniziale del Ministro Clini di recuperare uno o due punti dalle accise sulla benzina, ma, visti i prezzi della super e del gasolio, mi pare che restino pochi margini per andare a «pescare» ancora su questo settore. Quindi, confidiamo in una soluzione che sia soft, per quanto riguarda le casse e il portafoglio dei cittadini, e che sia a lungo termine e quindi programmata per più anni, in modo tale che vada a collocarsi nell'ambito della prevenzione per dare soluzione a tutti i progetti che possono partire fin da subito e quindi mi riferisco non alle richieste di spesa che alcuni enti locali hanno avanzato ma ai progetti, quelli veri e reali. Con questo spirito ci confrontiamo con l'Aula e ci proponiamo al Governo per una soluzione serena, per così dire. Siamo senza dubbio l'opposizione e saremo un'opposizione forte se il Governo è convinto di mettere un'assicurazione che reperisca i fondi per dare la soluzione a questo problema nazionale - nessuno è escluso - ma saremo invece ben favorevoli a condividere proposte che vanno invece nel senso di trovare le soluzioni programmate nel tempo per quanto riguarda il dissesto idrogeologico (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Misiti, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00886. Ne ha facoltà.

AURELIO SALVATORE MISITI. Signor Presidente, le mozioni che riguardano la difesa del suolo hanno tutte obiettivi positivi, come evidenziato dalle illustrazioni che sono state svolte, anche se non ho ascoltato bene l'ultima, perché non si sentiva bene; ho tuttavia capito che la Lega da questo punto di vista ha una posizione corretta: meno emergenze e più prevenzione. È anche ovvio che affrontare una questione di questo genere è molto difficile: quasi nessun Paese al mondo riesce ad attuare una politica di prevenzione. Penso ad esempio ai Paesi più industrializzati, Giappone e Stati Uniti che, per esempio, sulla questione dei terremoti hanno fatto tanto. Tuttavia, nella sostanza sono ancora vulnerabili sia i giapponesi sia gli americani soprattutto della California, dove avvengono i più grandi terremoti, perché intervengono solo dopo che l'evento disastroso è avvenuto. In Italia facciamo soltanto questo: ci siamo mossi per emanare una legge generale sui terremoti solo dopo il disastro di Messina e Reggio Calabria nel 1908, dove sono andati i nostri migliori specialisti che hanno elaborato una linea che si è tradotta in regole. Tali regole hanno, fortunatamente, guidato le costruzioni italiane nelle zone allora dichiarate sismiche, hanno guidato i piani regolatori e l'attuazione dell'edilizia - quella non sommersa e abusiva - il che evidentemente ha portato a relative sicurezze per le costruzioni e per i quartieri che sono venuti fuori con le regole stabilite a quel tempo.
Così è avvenuto per il resto, nessuno si illuda. L'onorevole Zamparutti ha fatto riferimento alla pubblicazione delle leggi sismiche, ossia alla zonizzazione, una specie di fotografia, ma non c'entra niente. Tra l'altro, il geologo ha lavorato in quell'ambito ed è giusto che vi sia la professionalità del geologo, ma che c'entra con il geologo di quartiere. Si tratta di una questione che riguarda il rapporto tra ciò che avviene sul terreno e le costruzioni che l'uomo fa e, quindi, ci vuole evidentemente lo specialista delle costruzioni. È come se chiedessimo agli studiosi delle staminali di procedere all'immissione delle stesse all'interno del pancreas per combattere il diabete: in questo caso ci vuole il chirurgo, ci vuole un altro tipo di Pag. 15specializzazione. Bisogna quindi, avere la capacità tecnica complessiva per affrontare problematiche che sono all'ordine del giorno per quanto riguarda per esempio la difesa del suolo. Quando abbiamo cominciato ad occuparci di difesa del suolo dal punto di vista organico generale? Dopo i disastri di Venezia e di Firenze. Abbiamo costituito la Commissione De Marchi (purtroppo, la mia età è tale che ricordo bene quegli episodi). Ho addirittura fatto parte della segreteria di tale Commissione, la quale ha affrontato il problema in termini effettivamente generali, richiamando la necessità della prevenzione, nonostante la stessa fosse stata istituita dopo i disastri, non certamente prima. E, comunque, la relazione della Commissione De Marchi è stata poi alla base di una legge generale che è stata travisata successivamente dai vari Governi e dalle varie amministrazioni, sia regionali, che nazionali.
Abbiamo approvato tanti altri decreti, dopo Sarno e così via, che non ho avuto l'avventura di seguire, ma che evidentemente non hanno risolto il problema della prevenzione. Perché? Perché sostanzialmente tutti affermiamo che è necessario fare prevenzione, sia per quanto riguarda le frane, che sono conosciute abbastanza, sia per quanto riguarda le alluvioni, che sono anch'esse prevedibili, almeno sotto il profilo delle loro conseguenze, sia in ordine ai terremoti con riferimento ai quali si può intervenire efficacemente - e mi riferisco alle costruzioni - nell'ambito di un adeguamento sismico generalizzato, almeno per le grandi strutture strategiche. È chiaro che una situazione di questo genere impone a coloro i quali fanno tali affermazioni di essere poi conseguenti. Che significa essere conseguenti, a parte il fatto che possiamo approvare delle norme migliori possibili? Significa istituire dei capitoli di spesa. Non capisco per quale motivo, quando abbiamo l'esperienza molto chiara dei terremoti che si susseguono in un periodo di trent'anni, anche in Italia - fortunatamente non quelli disastrosi, che avvengono in altre Nazioni -, non si investa una percentuale di quella che sicuramente sarà la spesa che affronteremo quando si avranno dei terremoti, che noi chiamiamo disastrosi, ma che sono tali solo perché le strutture e le infrastrutture che costruiamo non rispondono alle esigenze effettive e alle norme che abbiamo emanato, sia dopo Messina, ma anche dopo gli ultimi avvenimenti e terremoti, come, ad esempio, quelli del cratere di Avellino. Tutte queste norme hanno bisogno di un investimento preventivo e nessuna amministrazione, né lo Stato, né le regioni, finanziano un capitolo di spesa che possa dare uno sbocco alla prevenzione. Che significa prevenzione nel campo della difesa del suolo? Significa una cosa sola: porre in essere quegli investimenti che riducano il rischio idrogeologico in quei territori dove è stabilito che vi sia una classificazione del tipo R4, R3, R2 o R1, in modo tale che i piani regolatori possano essere attuati e applicati e possano essere concesse licenze edilizie solo dove non vi sia il rischio di alluvione R2, R3 o R4.
Ciò significa fare degli investimenti produttivi perché in quelle zone si possono avere territori molto più produttivi rispetto alla situazione attuale finché rimangono R4 e R3, ossia con un coefficiente di rischio molto elevato. Il Ministero dell'ambiente, della tutela del territorio e del mare ha certificato recentemente che circa il 10 per cento del territorio nazionale risulta a rischio alluvioni. Il Ministero ha fatto la sintesi di ciò che è avvenuto nelle regioni con i piani di assetto idrogeologico che sono una parte stralcio dei piani di bacino e ha fatto la somma e quindi ha rilevato che il 10 per cento del territorio nazionale risulta a rischio alluvioni, frane e valanghe e che i due terzi delle aree esposte al rischio sono ubicate vicino ai centri abitati o proprio nei centri abitati, nelle infrastrutture e nelle aree produttive. L'89 per cento dei comuni sono soggetti a rischio idrogeologico - lo hanno ripetuto altri interventi - e 5,8 milioni di italiani sono interessati da questo rischio. Proprio per questi motivi è necessario investire perché si tratta di un investimento produttivo: si deve investire subito per ridurre questo rischio. Pag. 16
Posso aggiungere che negli ultimi sessant'anni l'Italia è stata ampiamente urbanizzata e antropizzata con una densità di 189 abitanti per chilometro quadrato con stravolgimenti irreversibili negli ecosistemi. L'assenza di una moderna pianificazione territoriale da parte degli enti di gestione del territorio (comuni, province, regioni), che di fatto utilizzano gli oneri di urbanizzazione per finanziare i bilanci comunali, la pratica dell'abusivismo sfrenato in diverse regioni del Paese, insieme ai piani regolatori obsoleti, che consentono agli amministratori di concedere licenze edilizie, le insidie a rischio idrogeologico elevato (ho fatto riferimento alla classificazione R4, R3, R2) rendono fragile il territorio italiano ed, in presenza di eventi naturali come piogge intense, che sono sempre avvenute, durature o terremoti di magnitudo modesta (5,6 della scala Richter come è avvenuto a L'Aquila), si determinano gravissimi episodi distruttivi di persone o cose.
Le risorse finanziarie disponibili per il territorio sono sempre più assorbite dall'emergenza e non coprono i necessari investimenti in prevenzione tant'è vero che, negli ultimi 20 anni, sono stati spesi circa 52 miliardi di euro per il dissesto idrogeologico e soltanto 2 miliardi di euro per la prevenzione. Dunque il nostro gruppo Grande Sud che cosa chiede? Chiede al Governo di coordinare nell'ambito delle proprie competenze l'attuazione delle direttive europee in materia. Chiede di assumere iniziative volte al completamento degli otto piani di bacino distrettuali e all'approvazione dei piani di gestione idrografica. Chiede, infine, di finanziare un piano straordinario di manutenzione del territorio e dei corsi d'acqua di concerto con le regioni interessate perché molte di esse hanno il potere di intervento all'interno del loro territorio, derogando, ove possibile, ai vincoli imposti dal piano di stabilità e nel rispetto degli accordi di programma sottoscritti con le regioni finalizzate a ridurre il livello di rischio idrogeologico.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Scilipoti, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00889. Ne ha facoltà.

DOMENICO SCILIPOTI. Signor Presidente, rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, le mozioni che oggi abbiamo portato all'attenzione del Governo, che concernono interventi per la difesa del suolo, tutto sommato parlano tutte la stessa lingua. Tutti cerchiamo di sollecitare il più possibile il Governo anche se sappiamo perfettamente che il Governo, su questo argomento, è sensibile a prendere in seria considerazione la possibilità di intervenire in modo serio e concreto, non dico definitivo ma quasi semidefinitivo.
Infatti, sappiamo perfettamente che, dal 1960 al 2010, vi sono state 3.673 vittime a causa di eventi franosi ed alluvionali, riconducibili, al dissesto idrogeologico: per una serie di motivazioni, non si è stati messi in condizione di tutelare e di non creare quei dissesti causati dalla mancata messa in sicurezza, determinando perciò tale mortalità sul territorio.
Oggi, vogliamo segnalare al Governo - e il Governo già lo sa - che, nel 2009, era stato varato un Piano nazionale di prevenzione per il dissesto idrogeologico, che, però, in seguito, non è stato effettivamente completato né messo in atto come si doveva. Sono rimaste, quindi, solo parole e, di conseguenza, tutto ciò che si era previsto non è stato portato a compimento. Pertanto, oggi, sarebbe opportuno e potrebbe essere cosa buona e giusta - come si suol dire in termini congeniali a coloro i quali appartengono alla schiera dei fedeli e dei credenti - che il Governo intervenisse in modo serio e concreto, facendo sì che quel Piano nazionale di prevenzione, che era stato varato nel 2009, non resti soltanto parole sulla carta, ma diventi un fatto concreto.
Ho ascoltato all'interno di quest'Aula qualche riflessione che non mi trova perfettamente d'accordo, quando si parla della presenza del geologo di quartiere. Io ritengo che il geologo sia una figura importante, ma che, nei comuni, nelle province e nelle regioni, vi siano altre figure Pag. 17importanti ed uffici - che vengono chiamati uffici tecnici - che servono proprio alla prevenzione del territorio e a verificare ciò che dovrebbe e non dovrebbe essere fatto.
Ritengo, dunque, che più che andare ad individuare figure nuove, dovremmo mettere in condizione di far funzionare ciò che è già presente all'interno delle varie strutture, facendolo funzionare concretamente, creando anche condizioni di responsabilità diretta. In base ad essa, nel caso in cui vi dovesse essere da parte di un funzionario o del titolare di un ufficio un cattivo comportamento, per negligenza o, addirittura, per dolo, dovrebbe intervenire non solo la magistratura, ma anche la politica, al fine di assumere iniziative serie e concrete nei confronti di quella persona.
Oltre a questo, si potrebbe aggiungere - ma questa è una valutazione politica - la responsabilità diretta, «di tasca», come si suol dire in gergo dialettale, da parte di coloro i quali omettono o si comportano in modo non corretto. In altri termini, un disastro che avviene sul territorio potrebbe essere addebitato direttamente non allo Stato, al comune o alla provincia, bensì al funzionario che ne è a capo, il quale, per una serie di motivazioni, in quella determinata zona, è stato distratto oppure noncurante.
Con la nostra mozione, oltre a chiedere l'attuazione, come dicevo, del Piano nazionale, chiediamo l'inserimento non del geologo di quartiere, ma di una figura che abbia anche la competenza del geologo all'interno delle strutture, per valutare ciò che si dovrebbe fare anche con riferimento al rilascio di licenze che permettono anche di edificare in determinate zone.
Noi, ma anche il Governo e gli altri colleghi che sono intervenuti abbiamo visto, vediamo e sappiamo perfettamente che la situazione sul territorio nazionale non è uguale: vi sono zone che sono più rischio ed altre che lo sono meno. Pertanto, a nostro giudizio, si dovrebbe intervenire immediatamente non solo nelle zone che sono più a rischio, ma anche in quelle zone che, per la costituzione geografica del territorio, potrebbero, alle prime piogge, mettere immediatamente a rischio la popolazione di quel territorio.
Un'altra questione che riteniamo importante è che questi argomenti che oggi stiamo affrontando - cioè, la tutela e la salvaguardia del territorio, in altri termini, il dissesto idrogeologico - non possono investire solo il Paese Italia.
Poiché noi apparteniamo anche ad una comunità che si chiama Comunità europea dovremmo vedere come regolarci e come poter dialogare con essa affinché ci dia una mano anche a prevenire determinati disastri.
Vede, signor rappresentante del Governo, c'è anche un'altra responsabilità che non è da additare né da addebitare a nessuno, ma è una responsabilità che molte volte...non vorrei utilizzare delle parole forti o delle frasi che potrebbero diventare pesanti, non nei confronti del Governo, ma nei confronti di coloro i quali hanno queste trovate geniali, come per esempio quella della sistemazione di depositi di gas nel sottosuolo nella zona di Rivara oppure della realizzazione di un rigassificatore nella zona di Priolo quando noi sappiamo che sia Rivara, sia Siracusa e Priolo sono delle zone altamente a rischio sismico e consequenzialmente la mente umana non potrebbe, o dovrebbe, pensare alla realizzazione di strutture del genere, perché da un momento all'altro, una volta realizzate, potrebbero diventare veramente delle bombe e creare dei disastri irreversibili e dannosi per il cittadino, il suolo, ma anche per gli abitanti di quella zona.
Perché faccio questa riflessione? Perché molte volte sentiamo da parte della politica delle riflessioni che ad una prima impressione potrebbero sembrare dei ragionamenti importanti, belli, interessanti, ma poi, riflettendo ed entrando nel vivo dell'argomento in discussione, ci rendiamo conto che non servono sicuramente a tutelare o a creare infrastrutture nell'interesse della collettività, ma servono solo ed esclusivamente a fare infrastrutture nell'interesse solo di alcuni o di alcuni Pag. 18gruppi che hanno interessi solo ed esclusivamente di carattere economico e finanziario.
Un'altra riflessione che non c'entra niente con la mozione, ossia la tutela e la salvaguardia del suolo, è dettata ciò che ho sentito in quest'Aula. Qualcuno ha infatti affermato che non abbiamo disponibilità di fondi e di conseguenza si è interrogato su come si possa ovviare a ciò. Visto che il Ministero ha difficoltà, visto che in questo momento gli italiani stanno attraversando un momento difficile, visto che i Ministeri non hanno soldi e cercano in tutti i modi tirare avanti e di raccogliere qualche euro in più per cercare di tutelare il Paese Italia, mi è venuta una riflessione che faccio a voce alta rivolgendomi a lei, signor sottosegretario, come interlocutore del Governo, sapendo che lei responsabilità non ne ha, ma la hanno personaggi politici presenti da vent'anni. Mi riferisco al signoraggio bancario, ossia a quei soldi che potrebbero esser utilizzati da parte dei cittadini per pagare le infrastrutture e far sì che si realizzino tutti quei sistemi di tutela e salvaguardia del territorio, ossia investire nella prevenzione del dissesto idrogeologico, ma che oggi, come oggi, non possiamo fare. Lo ripeto: faccio questa riflessione tra parentesi perché non c'entra con questo argomento, ma è una riflessione politica, ma mi riferisco proprio a quella parolina, il signoraggio primario e secondario, ossia quei soldi che una volta erano utilizzati dagli italiani e dallo Stato italiano che oggi non vengono più utilizzati da loro ma vengono utilizzati e vanno nelle casse dei banchieri.
Allora, se noi dal punto di vista politico, oltre a occuparci - perché ci occupiamo ed è importante farlo - di questa tematica, ci occupassimo anche di fare una riflessione per cercare di recuperare il denaro, non dalle tasche degli italiani, ma di recuperare quel denaro che una volta era degli italiani e che oggi impropriamente ed in modo scorretto è stato messo nelle tasche dei banchieri affinché esso ritorni allo Stato italiano e agli italiani, avremmo delle somme disponibili non solo per fare infrastrutture, ma anche per poter investire nella tutela e salvaguardia del territorio. Questo potrebbe essere, a mio giudizio, dal punto di vista politico, qualcosa di molto importante e dare una svolta veramente e concretamente nell'interesse degli italiani perché vorrebbe dire che non si tratta solo di parole e dibattiti che restano all'interno di quest'Aula. Infatti quelle che diciamo sono tutte belle parole, ma poi devono tradursi nei fatti. Come si suol dire, infatti, in gergo dialettale - e non solo siciliano, ma di tutte le regioni d'Italia - quando c'è carenza di denaro tutto diventa a parole realizzabile, ma nei fatti impossibile.
Così come è impossibile realizzare in questo momento quella prevenzione che noi diciamo, e lo ha detto prima di noi il sottosegretario Guido Bertolaso, quando diceva che in un anno le richieste per la prevenzione e la salvaguardia del territorio per mettere in sicurezza il territorio corrispondevano a venti volte la possibilità di denaro che il Ministero stesso aveva a disposizione, cioè venti volte in più di quanto il Ministero aveva a disposizione per l'anno cui si riferiva, cioè il 2009. Infatti, egli diceva che per l'anno 2009 non avevano disponibilità, perché le richieste che erano state fatte come somme di denaro erano circa venti volte superiori a quelle che il Ministero aveva a disposizione per poter spendere.
Allora, visto che vi sono queste grandi difficoltà, visto che i problemi sono tanti e tutti amiamo il nostro territorio, e tutti ci battiamo per salvaguardare la tutela, la salute e le case della gente e della povera gente, sarebbe opportuno, da parte della politica, fare qualche riflessione in più e incominciare a discutere non soltanto sulle parole - che sono bellissime ed importanti - ma entrando nel merito della discussione. Oltre che in questa discussione, mi permetterei di suggerire, a lei, signor sottosegretario, per la responsabilità che le compete - perché lei non ne ha, ma ce l'hanno altri - di entrare anche in quello che è un patto sciagurato che abbiamo fatto e che utilizziamo in questo momento e che indichiamo con quel termine molto Pag. 19pesante che è «signoraggio», perché i soldi dei cittadini oggi non sono più del cittadino, ma sono dei banchieri.
Se portassimo indietro le lancette, ripristinassimo le regolo del gioco e ridessimo allo Stato ciò che è dello Stato, sicuramente potremmo intervenire in modo più concreto, più corretto, sicuramente facendo qualcosa di utile nell'interesse dei nostri figli.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Gibiino, che illustrerà la mozione Ghiglia n. 1-00890, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

VINCENZO GIBIINO. Signor Presidente, mi sembra che tutti i gruppi oggi, nel presentare e nell'illustrare le mozioni, abbiano a cuore il dissesto idrogeologico dell'Italia e, un po' tutti, che si superi la fase di interventi semplicemente emergenziali a favore di una maggiore programmazione e un approccio sistemico.
Già l'Aula della Camera ha approvato all'unanimità, il 26 gennaio 2010, una specifica mozione inerente il dissesto idrogeologico. I fatti recentemente occorsi evidenziano come la difesa del suolo sia sempre più una necessità ineludibile, più generalmente come una emergenza costante su tutto il territorio nazionale. Il dissesto idrogeologico è evento legato alla particolare conformazione geologica del nostro Paese, alla fragile e mutevole natura dei suoli che lo compongono e all'acuirsi delle variazioni climatiche estreme.
Alluvioni, esondazioni, arretramenti delle rive, frane, subsidenze e terremoti comportano perdite di vite umane e ingenti danni, materiali e ambientali. L'intervento umano e la pressione antropica sul territorio hanno accelerato o innescato tali processi naturali, hanno trasformato il territorio, rendendolo vulnerabile a processi destabilizzanti. Quello della difesa del suolo non è un problema recente, già nel 1970 la relazione conclusiva della Commissione interministeriale per lo studio della sistemazione idraulica e della difesa del suolo, allora presieduta dal professor De Marchi, aveva evidenziato una serie di problemi e messo a nudo un problema che poi, in Italia, è diventato quanto mai di necessaria soluzione.
Allora si prevedeva un intervento di ben 9 mila 700 miliardi di lire. A quella Commissione va riconosciuto il merito di aver sviluppato un approccio sistemico ai problemi connessi con il governo del territorio, ma anche di aver rivolto l'attenzione all'interazione tra opera umana e ambiente. Tuttavia, le proposte di questa Commissione del 1970 furono tradotte in una legge quadro sono vent'anni dopo, cioè con la n. 183 del 1989.
Se limitiamo il campo di osservazione al solo rischio idrogeologico, negli ultimi ottanta anni, questi sono i numeri: 5 mila 400 alluvioni e 11 mila frane. Secondo il Ministero dell'ambiente sono a rischio elevato l'88 per cento dei comuni umbri, l'87 di quelli lucani, l'86 di quelli molisani, il 71 di quelli liguri e valdostani, il 68 per cento di quelli abruzzesi, il 44 di quelli lombardi. Sostanzialmente, la metà degli italiani vive in aree soggette ad alluvioni, frane, smottamenti, terremoti, fenomeni vulcanici e perfino maremoti.
Il Cineas, il Consorzio universitario del Politecnico di Milano che si occupa della cultura del rischio, nel decennio 1994-2004 ha stimato che per tamponare i danni di alluvioni, terremoti e frane lo Stato ha stanziato ben 2 mila milioni di euro, vale a dire due miliardi di euro l'anno, ai quali va aggiunto un altro miliardo e mezzo complessivo per gli interventi minori.
Dai dati diffusi qualche anno fa dal Dipartimento della protezione civile, nel periodo 1968-2000 l'intervento dello Stato solo per l'emergenza e la ricostruzione post terremoto ha superato i 120 miliardi di euro. In Italia il 40 per cento della popolazione vive in aree a rischio sismico, dove il 64 per cento degli edifici non è costruito secondo le norme antisismiche e sono morte 120 mila persone nell'ultimo secolo. Milioni di persone sono esposte al rischio vulcanico, che nell'area vesuviana è incerto non sul se, ma sul quando. Complessivamente dal 1968 in poi, cioè dall'anno Pag. 20del terremoto del Belice, lo Stato ha speso una somma che possiamo quantificare tra i 140 e i 150 miliardi di euro, una massa di risorse che, se ci pensiamo, è in grado di condizionare gli equilibri dei bilanci pubblici, annuali e pluriennali.
L'Italia è un Paese fortemente antropizzato, con una densità media pari a 189 abitanti per chilometro quadrato, che è superiore alla media europea, ma abbiamo fortissime sperequazioni nella distribuzione territoriale: ad esempio ci sono 68 abitanti per chilometro quadrato in Sardegna, 379 in Lombardia, 420 in Campania, ma se andiamo nella «zona rossa», quella a rischio vicina al Vesuvio, arriviamo a numeri importanti, come 12 mila abitanti per chilometro quadrato, con un'edilizia incontrollata, se pensiamo alla zona di Portici o San Giorgio a Cremano.
Tutto ciò comporta problemi di ogni genere: dai servizi pubblici, costantemente prossimi al collasso, al degrado dei suoli e delle falde acquifere, alle difficoltà di attuare politiche sociali, abitative, di sviluppo, migratorie e ciò a causa della mera mancanza di spazio. È quindi necessario provvedere e adeguarsi con provvedimenti che consentano di perseguire il nostro modello di sviluppo economico e sociale, ottimizzando le risorse di spazio disponibili e tenendo conto del fatto che i costi delle emergenze possono essere ridotti solo se si impongono scelte specifiche di politica territoriale indirizzate alla prevenzione, alla costante manutenzione, all'uso delle migliori tecniche costruttive, all'apposizione di vincoli e limitazioni d'uso.
Il 12 novembre 2009 il Governo ha presentato alla Commissione ambiente di questa Camera le stime per gli interventi di messa in sicurezza e le procedure, anche straordinarie, per attivare gli interventi, a cominciare da quelli pluriennali previsti dal Piano nazionale straordinario per il rischio idrogeologico.
L'estensione delle aree a criticità idrogeologica è pari al 9,8 per cento del nostro territorio, del quale il 6,8 per cento coinvolge direttamente zone con beni esposti, quindi centri urbani, infrastrutture, aree produttive, tutti strettamente connessi allo sviluppo del nostro Paese. Il fabbisogno necessario per la realizzazione di interventi per la sistemazione complessiva della situazione di dissesto su tutto il territorio nazionale è stimato in 44 miliardi di euro. Di questi, 27 miliardi per l'area del Centro-nord e 13 miliardi per il Mezzogiorno, oltre a 4 miliardi per il fabbisogno relativo al recupero e alla tutela del patrimonio costiero italiano.
Quindi per questo chiediamo un impegno del Governo a promuovere iniziative normative di competenza che introducano norme a favore della difesa del suolo e della riduzione del rischio idrogeologico, tramite le quali, nell'assoluto rispetto però delle competenze regionali, siano previste misure dissuasive per le costruzioni di scarsa qualità ed in aree a rischio, e a promuovere politiche attive e coordinate per una reale, strutturale e preventiva difesa del suolo, in modo tale da evitare una situazione di costante emergenza.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni. Il rappresentante del Governo ha già comunicato alla Presidenza che si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito. Il seguito della discussione è pertanto rinviato ad altra seduta.

Discussione della mozione Forcolin ed altri n. 1-00873, concernente l'applicabilità degli studi di settore in relazione al nuovo regime dei contribuenti minimi (ore 17,05).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Forcolin ed altri n. 1-00873, concernente l'applicabilità degli studi di settore in relazione al nuovo regime dei contribuenti minimi (Vedi l'allegato A - Mozioni).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione della mozione è pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta del 22 febbraio 2012. Pag. 21
Avverto che sono state altresì presentate le mozioni Fluvi ed altri n. 1-00882, Borghesi ed altri n. 1-00883, Bernardo ed altri n. 1-00884, Galletti, Della Vedova ed altri n. 1-00888 e Cesario ed altri n. 1-00892 (Vedi l'allegato A - Mozioni), che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente.
I relativi testi sono in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritto a parlare l'onorevole Fugatti, che illustrerà anche la mozione Forcolin ed altri n. 1-00873, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

MAURIZIO FUGATTI. Signor Presidente, la mozione a prima firma dell'onorevole Forcolin riguarda un tema che riguarda i cosiddetti contribuenti minimi. Infatti, l'articolo 27 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, ha introdotto un regime fiscale agevolato per le nuove iniziative imprenditoriali o professionali. Tale regime si applica per il periodo d'imposta in cui l'attività è iniziata e per i quattro successivi - quindi, per cinque anni - esclusivamente alle persone fisiche che intraprendono un'attività d'impresa, arte o professione o che l'hanno intrapresa successivamente al 31 dicembre 2007, con l'applicazione di un'imposta sostitutiva dell'imposta sui redditi e delle addizionali regionali e comunali pari al 5 per cento. Quindi, si tratta di una imposta sostitutiva molto conveniente per chi inizia questo nuovo tipo di attività.
Tale beneficio del 5 per cento è riconosciuto a tre condizioni. In primo luogo, nei 3 anni precedenti l'inizio dell'attività, il contribuente non deve aver esercitato attività artistica, professionale o d'impresa, ovvero deve essere una nuova attività. In secondo luogo, la nuova attività non deve essere un mero proseguimento della precedente, ad esclusione del caso in cui l'occupazione già svolta abbia riguardato un praticantato obbligatorio per l'esercizio della professione. Infatti, se uno ha già fatto il praticante, la nuova attività non deve essere considerata una mera prosecuzione dell'attività di praticantato, ma comunque una nuova attività nel momento in cui uno passa dal praticantato a questa nuova attività. Infine, nel caso in cui si stia proseguendo un'attività di impresa di un altro soggetto, i ricavi da questo realizzati nell'ultimo periodo di imposta non devono superare i 30 mila euro.
Le condizioni che i contribuenti debbono rispettare per rientrare in tale regime diventano, quindi, più stringenti ed aggiuntive rispetto al regime precedente, che aveva introdotto il regime dei minimi. Si stima, quindi, che circa 500 mila soggetti fuoriescano dal vecchio regime e non rientrino nel nuovo regime. Per questi si pone il problema del passaggio da un regime che era particolarmente favorevole sia in termini di riduzione degli adempimenti fiscali, sia in termini di riduzione del carico fiscale. Questi soggetti potranno usufruire di un regime semplificato che potrà essere applicato fino al verificarsi di cause di decadenza, sulla base delle regole del vecchio regime, ovvero fino all'opzione per il regime ordinario. Comunque, varrà l'obbligo di applicare l'IRPEF con le regole ordinarie previste dal testo unico delle imposte sui redditi, comprese le addizionali regionali e comunali, gli oneri deducibili e detraibili e l'applicazione per le aziende del criterio della competenza economica, con la conseguente attenzione ai beni ammortizzabili e alle rimanenze di merci.
L'IVA dovrà essere versata relativamente alla liquidazione annuale, entro il 16 marzo dell'anno successivo a quello di imposta (quindi una liquidazione annuale), mentre documenti e fatture dovranno essere conservati ed utilizzati per la predisposizione delle dichiarazioni senza obbligo di registrazione. Oltre a tali nuovi obblighi, i «fuoriusciti» dal regime dei minimi dovranno applicare gli studi di settore. Pag. 22
Tale ultimo adempimento degli studi di settore sarà l'ostacolo più duro per chi fuoriesce dal regime dei minimi: proprio per i requisiti di accesso, il regime era idoneo ad includere una serie di professionisti non iscritti ad albi, piccoli artigiani e commercianti con un volume d'affari ridotto e con un'attività poco strutturata, e una serie di altri contribuenti che già godono di altri redditi - magari da pensione - e svolgono un'attività residuale autonoma. Tali figure, proprio per le caratteristiche di marginalità della loro attività, non dovrebbero compilare il modello per la comunicazione dei dati rilevanti ai fini degli studi di settore e non dovrebbero essere soggetti agli accertamenti basati su tale strumento.
Già prima dell'entrata in vigore del decreto-legge n. 98 del 2011, la Lega aveva sottolineato, attraverso proposte emendative, la necessità di rivedere al rialzo i limiti per accedere al vecchio regime dei minimi, al fine di allargare la platea dei beneficiari, in considerazione dell'effettivo vantaggio per i contribuenti.
La richiesta di estendere il regime derivava anche dalla valutazione del periodo di estrema difficoltà che le imprese, ma soprattutto le piccole aziende, gli artigiani ed i commercianti stavano affrontando e che non hanno ancora superato. Ora, con la fuoriuscita dal regime dei minimi, oltre a dover versare le imposte sui redditi secondo le aliquote ordinarie, gli «ex minimi» dovranno subire lo strumento degli studi di settore che, nonostante i correttivi apportati, non sono in grado di rappresentare una realtà in crisi, con fatturati in diminuzione e costi in aumento. Il pericolo di non rientrare nei parametri degli studi, con conseguente accertamento e versamento di imposte che non sono in questo momento sopportabili, spingerà molti contribuenti a chiudere i battenti.
La volontà della mozione in esame è quella di incentivare il Governo ad assumere iniziative normative volte ad esonerare dall'applicazione degli studi di settore i contribuenti che sono fuoriusciti dal regime agevolato dei minimi, a causa della carenza dei nuovi requisiti di accesso.
In pratica, qual è la sostanza? La sostanza è che il Governo è intervenuto con il decreto-legge n. 98 del 2011 e ha «messo sul mercato» dei regimi fiscali. Questo regime, di cui si tratta, è molto agevolato, perché si paga un'imposta secca del 5 per cento. Però, introducendo questo sistema, coloro che prima avevano aderito ai minimi sono fortemente disincentivati e hanno delle penalizzazioni reali, soprattutto per quanto riguarda l'applicazione degli studi di settore.
Pertanto, per non andare a gravare su coloro che precedentemente avevano aderito al regime dei minimi si chiede, con questa mozione, di non tener conto degli studi di settore nella questione che riguarda, appunto, coloro che avevano aderito al regime dei minimi.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fogliardi, che illustrerà anche la mozione Fluvi ed altri n. 1-00882, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

GIAMPAOLO FOGLIARDI. Signor Presidente, con questa mozione il gruppo del Partito Democratico cerca di trovare soluzione ad un problema che si è creato per i contribuenti cosiddetti «minimi» che usufruivano, in virtù dell'articolo 1 della legge n. 244 del 2007, di tutta una serie di benefici che sono stati in parte anche messi in risalto dall'illustrazione della mozione che ha preceduto il mio intervento.
In particolare, cosa prevedeva la legge n. 244 del 2007? Metteva questi contribuenti in condizione di avere tutta una serie di benefici, come l'esclusione dell'applicazione dell'IRAP, l'applicazione del criterio di cassa ai fini della determinazione del reddito (cosa di non poco conto), l'applicazione di un'imposta sostitutiva del 20 per cento sul reddito, l'estensione dell'ambito applicativo della franchigia sull'IVA, l'esclusione dagli studi di settore e la riduzione notevole degli adempimenti contabili.
Invece, con il decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, che è stato convertito dalla legge n. 111 del 15 luglio 2011, viene introdotto un regime fiscale agevolato con Pag. 23il quale dal 1o gennaio 2012 si dispone che il cosiddetto regime fiscale semplificato per i contribuenti minimi si applica per il periodo in cui l'attività è iniziata e per i quattro anni successivi per le persone fisiche che intraprendono l'attività dopo il 31 dicembre 2007 e, quindi, dal 1o gennaio 2008.
Pertanto, il cosiddetto «forfettone», come era stato anche chiamato il precedente regime, viene meno per un'amplissima platea di beneficiari, che vedono limitarsi l'applicazione con un'aliquota che passa dal 20 al 5 per cento - e, quindi, sicuramente migliorativa - ma si pone anche il limite dell'età dei 35 anni e, quindi, si può andare anche al quarto anno successivo (ma sempre entro i 35 anni) e, comunque, si va ad escludere tantissimi soggetti. Sembra - ma in realtà vi sono dati concreti - che la disposizione, che era stata emanata con l'obiettivo di favorire la costituzione di nuove imprese da parte di giovani o di coloro che perdono il posto di lavoro, in realtà, secondo quanto affermato dalla relazione tecnica, portando il maggior gettito di 82,8 milioni di euro nel 2013 e di 100 milioni nel 2014, determina, però, l'esclusione da questo regime agevolato del 96 per cento dei precedenti beneficiari.
Questi dovranno fuoriuscire da questo regime particolare, in favore dei minimi, di riduzione del carico e degli adempimenti fiscali. Lo ripeto: è una platea molto ampia - 500 mila contribuenti ed oltre - che, dal 2012, dovrà assolvere agli adempimenti relativi all'IVA ed all'imposizione IRPEF con aliquote progressive e con la compilazione dell'allegato studi di settore.
Come ho illustrato nell'introduzione non è cosa di poco conto anche perché le imprese che erano partite in quel periodo con quel determinato sistema erano soprattutto imprese individuali - come è noto -, imprese minime di ragazzi giovani e persone che si trovavano in difficoltà. Se oggi queste imprese si trovano - e si trovano già perché siamo già nel 2012 e nelle prossime settimane e nei prossimi mesi dovranno adempiere a tutta una serie di scadenze e di aspetti che imporranno loro delle scelte - a dover pagare l'IRAP e a non seguire più il criterio di cassa, che sappiamo che in momenti di difficoltà finanziaria è una disgrazia da un certo punto di vista perché non si incassa, ma quanto meno permette loro di non pagare le tasse con un criterio di competenza, che renderebbe imponibili soldi mai introitati, si troverebbero, insomma, a dover assolvere a tutta una serie di sistemi impositivi e a tutta una serie di difficoltà di non poco conto.
Proprio perché siamo in un momento molto delicato, che questo Governo ha dimostrato di poter affrontare nella massima efficienza, il mio gruppo con questa mozione invita il Governo ad assumere le iniziative legislative volte ad ampliare la platea dei beneficiari del regime speciale per i contribuenti minimi in modo da continuare ad esonerare questi soggetti dall'applicazione dell'IVA e degli studi di settore, a reintrodurre un'imposta sostitutiva dell'IRPEF e delle addizionali, in linea con la propria aliquota IRPEF, ed a prevedere l'indicazione in dichiarazione di informazioni di strutture di imprese minime per evitare di fare entrare nel regime soggetti non propriamente marginali.
A questo punto, concludendo, vorrei precisare questo: è bene evitare da un lato che ci siano persone che approfittano, si inseriscano e si appoggino in maniera irregolare su questo aspetto e, dall'altro lato, essendo anche - mi sia concesso - «un mezzo pasticcio» quello che si è creato, non possiamo andare ad inficiare - come ho sentito in qualche valutazione o in qualche proposta che verrà illustrata anche dopo - o ad andare ad elevare il livello del 5 per abbassare quello del 20 per cento perché sarebbe - come si suol dire - peggio la toppa del buco.
Occorre invece prevedere una situazione che ripristini, per quello che è stato il passato, non intacchi il futuro e permetta, in questo momento di difficoltà, soprattutto a quei contribuenti che hanno approfittato e colto l'occasione, di non dover essere oggi molto negativamente inficiati (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

Pag. 24

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Leo, che illustrerà anche la mozione Bernardo ed altri n. 1-00884, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

MAURIZIO LEO. Signor Presidente, la problematica dei cosiddetti contribuenti minimi non è nuova nell'ordinamento tributario. La problematica affonda le radici nel tempo: già nella riforma tributaria degli anni Settanta si parlava di contribuenti minimi, sia nel decreto IRPEF, sia nel decreto dell'IVA. In buona sostanza, nell'articolo 72-bis del decreto n. 597 del 1973 era previsto che per i contribuenti con un volume di affari inferiore ai 18 milioni di lire era possibile forfettizzare i ricavi e quindi adempiere all'obbligazione tributaria senza determinare in modo analitico i componenti positivi e negativi. Altrettanto era previsto ai fini dell'IVA: nell'articolo 31 del decreto n. 633 del 1972 era prevista una forfettizzazione dell'IVA. Questa disciplina è andata avanti fino al 1991. Nel 1991, per effetto della legge n. 413, questi due regimi semplificati, in particolare il regime semplificato IRPEF è stato eliminato.
Da allora si sono succeduti tutta una serie di interventi nel corso del tempo. Ricordo la prima legge Tremonti, il decreto-legge n. 357 del 1994, che prevedeva un regime fiscale sostitutivo per le nuove iniziative produttive. In particolare, i giovani di età inferiore ai trentadue anni potevano determinare forfetariamente l'imposta attraverso il pagamento di un'imposta sostitutiva di un milione per il primo anno, di 2 milioni per il secondo anno e 3 milioni per il terzo anno.
Questo è stato uno strumento che in qualche modo ha consentito ai giovani di avere un carico fiscale inferiore rispetto a quello degli altri contribuenti. Poi il legislatore è nuovamente intervenuto sul regime dei minimi con riferimento agli adempimenti contabili. Quindi, si è passati da un meccanismo di determinazione forfetaria del reddito o dell'imposta sul valore aggiunto con una sorta di imposta fissa, tipo il pagamento del milione di euro per i giovani, a delle semplificazioni di natura contabile. Con la legge n. 662 del 1996 è stato previsto che, per le imprese e i professionisti con volume d'affari non superiore a 30 milioni di lire per le prestazioni di servizi e 50 milioni di lire per le altre attività, tutta una serie di adempimenti contabili venissero meno.
Questa disposizione è stata abrogata dal 2007, con effetto dal 1o gennaio 2007, in base all'articolo 5 del decreto-legge n. 203 del 2005.
Un'ulteriore disposizione in materia di contribuenti minimi è intervenuta nel 2006. Con il decreto-legge n. 223 del 2006 relativamente all'IVA si è introdotto un articolo 32-bis, che ha previsto che coloro i quali prevedono di realizzare un volume d'affari non superiore a 7 mila euro e non hanno effettuato cessioni all'esportazione godono di particolari semplificazioni contabili. Come si può vedere, nel corso del tempo, dagli anni Settanta al 2008 sostanzialmente, il legislatore è intervenuto in modo un po' scomposto su questi temi. Prima ha previsto delle determinazioni semplificate di base imponibile, sia ai fini delle imposte dirette sia ai fini dell'IVA, poi è intervenuto con imposte fisse, con pagamenti fissi, poi è intervenuto con semplificazioni contabili, sino al 2008, quando è stato introdotto il regime di cui stiamo parlando.
In particolare, con la legge finanziaria del 2008 si è introdotto questo regime per i contribuenti di più modeste dimensioni, che possono determinare l'imposta applicando un'aliquota fissa del 20 per cento. In più hanno tutta una serie di altre semplificazioni: sono esonerate dalla tenuta della contabilità e sono esonerati da tutti gli adempimenti IVA. È chiaro che devono essere rispettate tutta una serie di condizioni per poter applicare questo regime. In buona sostanza, nell'anno precedente: non bisogna aver superato ricavi o compensi ragguagliati ad anno di ammontare superiore a 30 mila euro, non devono essere state effettuate cessioni all'esportazione, non devono essere stati pagati compensi a lavoratori dipendenti e a collaboratori, Pag. 25non devono essere state erogate somme sotto forma di partecipazioni agli utili agli associati di associazioni in partecipazione; nel triennio solare precedente non devono essere stati fatti acquisti per un importo complessivo superiore a 15 mila euro relativamente ai beni strumentali.
Questa disciplina, come è stato ricordato dai colleghi che mi hanno preceduto, è venuta meno con la manovra di quest'estate, con il decreto-legge n. 98 del 2011, dove si è previsto un regime dei minimi determinato sulla base dell'applicazione di un'imposta sostitutiva del 5 per cento solo con riferimento a particolari categorie di contribuenti, i giovani in buona sostanza. Questo regime prevede altresì delle semplificazioni contabili: non si tiene la contabilità, non si devono fare tutta una serie di altri adempimenti. Sempre nel decreto-legge n. 98 del 2011 è previsto che per coloro i quali escono dal regime dei minimi, vale a dire per coloro i quali, pur avendone i requisiti in base alla finanziaria del 2008, non sono giovani e non rientrano nell'ambito soggettivo di applicazione della nuova normativa, si esce da quel regime, ma si mantiene una sorta di disciplina semplificata, che è contenuta nell'articolo 27, commi da 3 a 5, del decreto-legge n. 98 del 2011.
In sintesi, quali sono gli aspetti di semplificazione per i soggetti che escono dal regime dei minimi perché non hanno i requisiti soggettivi? Sono soggetti all'obbligo di fatturazione e certificazione dei corrispettivi, sono esonerati dagli obblighi di registrazione e tenuta delle scritture contabili rilevanti ai fini dell'imposta sul reddito e dell'IVA, sono esonerati dalla liquidazione e dai versamenti dell'IVA; determinano, però, il reddito secondo le regole del Testo unico delle imposte sui redditi e applicano l'IVA con i criteri ordinari.
L'aspetto che è di particolare interesse per questi soggetti è che, uscendo da un regime di semplificazione sia per quanto attiene agli adempimenti contabili sia per quanto attiene al pagamento delle imposte, essi entrano in un mondo assolutamente nuovo e diverso per quanto attiene agli adempimenti contabili e ricadono anche nell'applicazione degli studi di settore.
Il primo problema che deve essere affrontato e risolto concerne l'applicabilità nei confronti dei cosiddetti ex minimi degli studi di settore. È chiaro che il legislatore non è intervenuto sul punto, però, in ordine a questo aspetto, si può rinviare a quanto già l'amministrazione finanziaria ha avuto modo di precisare nella circolare n. 73/E del 2007, dove, con riferimento alla precedente disciplina dei minimi, aveva osservato che per coloro i quali fuoriuscivano dalla disciplina dei minimi potrebbero sussistere le condizioni per ritenere gli stessi in una situazione di marginalità economica tale da giustificare, in sede di contraddittorio con l'amministrazione finanziaria, la non congruità con le risultanze degli studi di settore.
Quindi, i contribuenti che si trovano in questa situazione già potrebbero invocare questa circolare dell'Agenzia delle entrate per ottenere la disapplicazione della disciplina degli studi di settore. È chiaro che questa circolare si riferisce alla legge finanziaria del 2008, e non è quindi automaticamente applicabile al provvedimento di questa estate, però rappresenta un principio interpretativo che può essere sicuramente seguito.
Da ultimo, ricordiamo il provvedimento «salva Italia», che interviene, in qualche modo, sulla disciplina dei cosiddetti minimi, prevedendo l'istituto della cosiddetta trasparenza: laddove i contribuenti utilizzano una fatturazione elettronica, e quindi mettono a disposizione tutti i dati all'amministrazione finanziaria, e usano un conto corrente dedicato, in questi casi vi sono tutta una serie di semplificazioni che si spingono ad un livello tale per cui i soggetti contribuenti in contabilità semplificata determineranno il loro reddito seguendo il cosiddetto criterio di cassa, anziché il criterio di competenza, che è proprio delle imprese in contabilità semplificata. Pag. 26
Da quello che abbiamo potuto rilevare tutte le norme che si sono succedute nel corso del tempo non hanno dato un quadro di riferimento organico e chiaro della materia dei contribuenti minimi, materia che deve essere affrontata dal legislatore. Coloro i quali hanno un volume di affari di ammontare ridotto non possono essere trattati come le società di capitali, le società quotate e via dicendo.
Quindi, qual è la strada da seguire? È quella che nella delega fiscale si affronti in modo organico la materia dei contribuenti minimi, innanzitutto per preservarli da tutta una serie di adempimenti e di appesantimenti contabili che rendono la vita difficile a questi soggetti e, al tempo stesso, per vedere di introdurre misure di forfettizzazione dell'imposta, per far sì che questi soggetti non vengano poi ad avere un carico fiscale eccessivamente oneroso.
Perché dicevo che la strada maestra è quella della delega fiscale? Perché è in quel contesto che si può effettuare un riordino generale della materia, per far sì che questi soggetti vengano in qualche modo esonerati da tutta una serie di adempimenti e da tutta una serie di situazioni che sino ad oggi hanno reso la vita difficile.
Alla luce di questo, nel testo della mozione Bernardo n. 1-00884, abbiamo evidenziato che occorre studiare una serie di interventi normativi, preferibilmente da introdurre nella legge delega per la riforma del sistema fiscale, per rivedere organicamente la disciplina dei contribuenti minimi al fine di semplificare gli adempimenti contabili e di trovare meccanismi di determinazione forfettaria sia delle imposte sui redditi, sia dell'imposta regionale sulle attività produttive e sia, compatibilmente con le regole comunitarie, dell'imposta sul valore aggiunto.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Paladini, che illustrerà la mozione Borghesi n. 1-00883, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà per non più di dieci minuti.

GIOVANNI PALADINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'articolo 27 del decreto-legge n. 98 del 6 luglio 2011, emanato dal Governo Berlusconi e approvato dalle Camere con il voto decisivo dei gruppi del Popolo della Libertà e della Lega Nord Padania, prevede che, a decorrere dal 1o gennaio 2012, il regime fiscale semplificato per i cosiddetti contribuenti minimi, si applichi, per il periodo di imposta in cui l'attività è iniziata e per i quattro successivi, esclusivamente alle persone fisiche che intraprendano una attività di impresa, arte o professione, o che l'abbiano intrapresa dopo il 31 dicembre 2007. Pertanto, la platea dei beneficiari del cosiddetto «forfettone» (una tassazione forfettaria del 20 per cento per i titolari di partite IVA e per i lavoratori autonomi che a fine anno incassano meno di 30 mila euro) è stata ridotta per coloro i quali hanno iniziato l'attività negli ultimi tre anni e mezzo o vorranno iniziarla adesso. Nello stesso tempo, per questi ultimi, il beneficio è aumentato in quanto, a decorrere dal 1o gennaio 2012, l'imposta sostitutiva dell'imposta sui redditi e delle addizionali regionali e comunali viene ridotta del 5 per cento, in luogo del 20 per cento.
Il Governo Berlusconi affermò che la disposizione veniva emanata con l'obiettivo di favorire la costituzione di nuove imprese anche da parte di giovani o di coloro che perdono il posto di lavoro.
Signor Presidente, i commi da 96 e 117 dell'articolo 1 della legge n. 244 del 24 dicembre 2007, approvata dal Governo Prodi, avevano introdotto un regime fiscale semplificato per i contribuenti minimi, il cosiddetto «forfettone». Il regime semplificato operava, per tali contribuenti, come un regime naturale, con la facoltà di optare per l'applicazione dell'IVA e delle imposte sul reddito nei modi ordinari. I tratti peculiari del forfettone erano i seguenti: l'esclusione dei contribuenti minimi dalla soggettività passiva ai fini IRAP, l'applicazione, anche per le imprese, del criterio di cassa ai fini della determinazione del reddito, l'assoggettamento del reddito ad imposta sostitutiva del 20 per cento, l'estensione dell'ambito applicativo Pag. 27del regime di franchigia dell'IVA di cui all'articolo 32-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 26 ottobre 1972 concernente l'istituzione e la disciplina dell'imposta sul valore aggiunto, l'esclusione dell'applicazione degli studi di settore e la riduzione degli adempimenti contabili.
Ai sensi dei commi 96 e 117 appena citati, si consideravano contribuenti minimi, ed erano, pertanto, assoggettati al regime previsto dalle disposizioni dei suddetti commi, le persone fisiche esercenti attività di impresa, arti o professioni che, al contempo, nell'anno solare precedente, avessero conseguito ricavi ovvero percepito compensi, non superiori a 30 mila euro, o non avessero effettuato cessioni all'esportazione, o non avessero sostenuto spese per lavoratori dipendenti e collaboratori o, nel triennio solare precedente, non avessero effettuato acquisti di beni strumentali, anche mediante contratti di appalto e di locazione, pure finanziaria, per un ammontare complessivo superiore a 15 mila euro.
I soggetti, che per effetto delle disposizioni di cui al comma 1 dell'articolo 27 del decreto-legge n. 98 del 6 luglio 2011, invece, fuoriescono dal regime dei contribuenti minimi, sono in ogni caso esentati dall'IRAP ed esonerati dagli obblighi di registrazione e di tenuta delle scritture contabili, rilevanti ai fini delle imposte dirette e dell'IVA, nonché dalle liquidazioni e da versamenti periodici e rilevanti ai fini dell'IVA (comma 3).
Il comma 4 del citato articolo 27, invece, stabiliva che, per i soggetti esclusi dal regime dei contribuenti minimi, l'applicazione della disciplina prevista dal comma 3, cessava dall'anno successivo a quello in cui veniva meno una delle condizioni richieste dalla norma per la qualifica di contribuente minimo, come sopra richiamato, ovvero se si verificava una delle fattispecie indicate al comma 99 dell'articolo 1 della legge finanziaria per il 2008.
Il Governo Berlusconi aveva calcolato - si veda la relazione tecnica - che solo il 4 per cento dei soggetti avrebbe potuto continuare ad applicare il regime in oggetto, mentre il complementare 96 per cento ne sarebbe rimasto escluso. È sorprendente, dunque, che uno dei gruppi parlamentari della maggioranza, che sostenne la soppressione del cosiddetto forfettone, non si sia accorto, al momento dell'approvazione dell'articolo 27 del decreto-legge n. 98 del 6 luglio 2011, delle conseguenze di ciò che votava, conseguenze tuttavia esplicitate dalla stessa relazione tecnica allegata dal Governo a tale provvedimento.
L'Italia dei Valori in più occasioni, e in quello specifico momento, ha proposto il mantenimento del regime e l'innalzamento del tetto dei ricavi o dei compensi percepiti per la sua applicazione, oltre il valore di 30 mila euro. Nel frattempo sono state approvate le disposizioni di cui all'articolo 11 del decreto-legge n. 201 del 6 dicembre 2011, che obbligano gli operatori finanziari a comunicazioni periodiche all'amministrazione finanziaria dei flussi dei conti dei loro clienti.
La Camera dei deputati, nella seduta del 7 febbraio 2012, ha approvato la mozione Donadi n. 1-00826, con la quale si impegnava il Governo a fare un ulteriore passo in avanti nel contrasto all'evasione ed all'elusione fiscale, rendendo obbligatoria - anche in riferimento a quanto previsto dall'articolo 11 sempre del decreto-legge n. 201 del 6 dicembre 2011 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 22 dicembre 2011 - la verifica annuale, con le tecnologie informatiche, di tutti i codici fiscali in relazione agli indici noti e trasparenti di incoerenza tra indicatori di consumi, investimenti e risparmi rispetto ai redditi dichiarati, anche a livello del nucleo familiare, e impegnandolo a procedere alla determinazione degli imponibili evasi sulla base dei saldi tra redditi dichiarati e spese ed investimenti reali e finanziari, a qualsiasi titolo effettuati.
Una volta introdotto il meccanismo di accertamento generalizzato sopra descritto, che prevede l'utilizzazione con Pag. 28giunta e coordinata di tutte le banche dati, agli studi di settore non dovrebbe essere assegnato un ruolo prevalente rispetto agli elementi di prova ricavabili con le altre banche dati o acquisibili attraverso indagini.
Gli studi di settore dovrebbero essere comunque elaborati secondo criteri scientificamente inappuntabili e sottratti a manipolazioni strumentali. Le procedure di elaborazione degli studi dovrebbero essere validate da apposite commissioni, esterne e indipendenti, di monitoraggio, anche dei risultati, secondo i suggerimenti forniti dalla cosiddetta commissione Rey, la commissione di studio sulle problematiche di tipo giuridico ed economico inerenti alla materia degli studi di settore.

PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Paladini.

GIOVANNI PALADINI. In conclusione, con questa mozione intendiamo chiedere appunto al Governo di dare attuazione agli impegni definiti dalle mozioni sul contrasto all'evasione ed all'elusione, in particolare di rendere operativa la verifica annuale di tutti i codici fiscali con le tecnologie informatiche e di prendere iniziative legislative, ferme restando le prerogative del Parlamento, sull'applicazione degli studi di settore per i contribuenti, la cui attività si presta poco ad essere descritta con le tecniche statistiche utilizzate, tra i quali vi sono molti professionisti, che sono i titolari di partite IVA, ma che nascondono rapporti, che sono sostanzialmente rapporti di lavoro dipendente.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire successivamente.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione del testo unificato delle proposte di legge d'iniziativa dei deputati: Angeli; Pisicchio; D'Ippolito Vitale e Carlucci; Renato Farina ed altri: Norme per favorire l'inserimento lavorativo dei detenuti (A.C. 124-A ed abbinate) (ore 17,40).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del testo unificato delle proposte di legge d'iniziativa dei deputati: Angeli; Pisicchio; D'Ippolito Vitale e Carlucci; Renato Farina ed altri: Norme per favorire l'inserimento lavorativo dei detenuti.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali - A.C. 124-A ed abbinate)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare della Lega Nord Padania ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che la Commissione XI (Lavoro) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, onorevole Mosca, ha facoltà di svolgere la relazione.

ALESSIA MARIA MOSCA, Relatore. Signor Presidente, Viceministro, onorevoli colleghi, il testo di legge che discutiamo oggi è frutto dell'unificazione di più proposte di legge - le proposte di legge Angeli, Pisicchio, D'Ippolito Vitale e Carlucci; Renato Farina ed altri - e ci consente di mettere nuovamente al centro della nostra attenzione il tema delle carceri di cui si è già occupata recentemente questa Assemblea. Purtroppo, il tema continua a destare grande preoccupazione. È solo di una settimana fa l'ennesimo episodio tragico di un suicidio di un carcerato, in questo caso nel carcere di San Vittore a Milano. Con questo caso si è arrivati a dodici suicidi in Pag. 29carcere solo dall'inizio del 2012; 66 erano stati i suicidi in tutto il 2011.
Le condizioni disumane di sovraffollamento e di fatiscenza delle strutture, così come i tagli alle amministrazioni che sono costrette a ridurre le attività di formazione, educazione e socializzazione all'interno degli istituti penitenziari, rendono sempre più insopportabile il periodo di detenzione che, invece di essere un periodo di rieducazione del condannato, così come stabilisce l'articolo 27 della Costituzione, diventa periodo di disperazione o di educazione alla maggiore delinquenza.
Sovraffollamento e non lavoro sono ritenute le due cause principali di questa situazione. Qualche settimana fa abbiamo votato in quest'Aula il decreto-legge che interviene direttamente sul sovraffollamento delle carceri. Oggi con questo testo di legge ci occupiamo dunque del lavoro. Il lavoro è lo strumento riconosciuto in assoluto come il più efficace per raggiungere lo scopo rieducativo che la Costituzione stabilisce. Il primo e più eclatante effetto del lavoro è l'abbattimento della recidiva, con conseguenze dirette sul risparmio di denaro pubblico e sulla maggiore sicurezza sociale. Da alcuni studi condotti recentemente dal Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria DAP, emerge che a fronte di una recidiva di circa l'80 per cento entro i sette anni dalla scarcerazione, i detenuti che hanno beneficiato di un inserimento lavorativo, e che sono tornati a delinquere, sono stati solo il 15 per cento, percentuale ulteriormente ridotta nel caso in cui i percorsi di inserimento lavorativo siano cominciati all'interno del carcere.
Il lavoro consente altresì ai detenuti di poter mantenere se stessi e le proprie famiglie, gravando meno sulle spese dello Stato. Un detenuto costa in media circa 150 euro al giorno, per un totale di circa 60 mila euro ogni anno. Il risparmio che deriva dal lavoro anche di un solo punto percentuale di recidiva è quindi ingente e le risorse così risparmiate possono essere destinate ad altri scopi. Ma più dei numeri parlano le testimonianze dei protagonisti di esperimenti nell'ambito del lavoro in carcere, che hanno ottenuto incredibili risultati. Due esempi di esperienze virtuose sono il carcere di Bollate e quello di Padova. Il primo conta 1100 detenuti. Molti sono impegnati in attività lavorative all'interno e all'esterno del carcere, in quanto a Bollate è presente una ampia possibilità di collaborazione con imprese e cooperative sociali e un'offerta formativa che mette a disposizione corsi di formazione in diversi settori, per un totale di 134 detenuti impiegati in queste attività. Di particolare rilievo sono le iniziative con la collaborazione con Expo 2015 per l'inserimento lavorativo di detenuti e il progetto per la costruzione di un impianto per il trattamento e il recupero dei rifiuti tecnologici.
Quest'ultimo, oltre a costituire un'opportunità di lavoro durante il periodo di detenzione, è un'importante occasione di formazione professionale in un settore che sarà presto strategico. Il tasso di recidiva dei detenuti a Bollate è stato abbattuto intorno al 12 per cento. A Padova lavorano 120 detenuti e molte aziende di qualità hanno deciso di investire sui detenuti stessi; in modo particolare, ad esempio, l'azienda Roncato per la produzione di valigie o Fastweb che ha affidato ai detenuti la gestione del suo call-center. Celebre è la qualità dell'alta pasticceria artigianale all'interno del carcere di Padova che ha portato i detenuti dei due palazzi a vincere il prestigioso riconoscimento del «Piatto d'argento» conferito dall'Accademia italiana della cucina per i panettoni artigianali. Fa riflettere quanto detto da alcuni detenuti; arrivando alle testimonianze dirette di quanti sono stati coinvolti in questi progetti. «Riesco finalmente a provvedere a me stesso e alla mia famiglia e il lavoro ci fa sentire uomini», ha spiegato uno di loro. Un altro ha affermato che «il lavoro, oltre a inorgoglirmi, è per me l'unica fonte di sostentamento. Questo mi fa sentire degno di rispetto». Ancora, un detenuto, che ha preso parte al progetto ideato dai fratelli Taviani, vincitori dell'«Orso d'oro» a Berlino con il loro «Cesare deve morire», ha detto: «quando recito mi sembra di potermi perdonare». Pag. 30Sono parole e cifre che indicano una via per il futuro del sistema carcerario italiano incardinata sul lavoro che garantirà, non solo migliori risultati nel recupero e nel reinserimento dei detenuti stessi, ma un sostanziale aumento di benessere e di sicurezza per la collettività.
Arrivando rapidamente all'analisi del testo che discutiamo oggi, quest'ultimo ha già avuto il parere delle Commissioni. Si tratta di un parere sostanzialmente positivo con alcune osservazioni che sono state già recepite in gran parte dal lavoro che abbiamo svolto in Commissione. Il testo, quindi, prevede di estendere alcune prerogative già presenti nella legge n. 193 del 2000, la cosiddetta legge Smuraglia, e in modo particolare di estendere la durata temporale degli sgravi contributivi, che sono già previsti dalla suddetta legge, per l'inserimento lavorativo dei detenuti. Da un punto di vista temporale, come dicevo, si prevede di passare da un periodo di tempo di sei mesi ad un periodo di tempo di 12 mesi dopo la scarcerazione; inoltre, al contempo, si prevede di allargare il credito di imposta che, ad oggi, è quantificato dalla legge vigente in 516 euro e che, nel testo che abbiamo approvato in Commissione, è aumentato a 700 euro. Il testo intende anche modificare la disciplina del credito di imposta per favorire maggiori imprese che effettuano assunzioni di lavoratori dipendenti, con migliori possibilità di applicazione di questo credito di imposta. Infine, è stata aggiunta all'articolo 6 un'ulteriore previsione al fine di favorire esperienze di autoimprenditorialità dei detenuti negli istituti penitenziari.
Voglio chiudere questa mia relazione, replicando ad una delle osservazioni più ricorrenti quando si parla di questa tematica, soprattutto in un periodo di crisi occupazionale così forte come quello che stiamo vivendo, e, cioè, quella del perché si deve dare lavoro ai detenuti se non ce n'è neanche per chi sta fuori. La risposta è molto semplice: dando il lavoro ai detenuti si crea un beneficio per tutta la società, sia in termini sociali, che in termini economici, come ho cercato di argomentare all'inizio della mia relazione. Infatti, a fronte di un investimento minimale iniziale dello Stato, si riesce a risparmiare in modo cospicuo e in questa maniera lo Stato avrà maggiori risorse da destinare alla collettività, oltre, ovviamente, ai benefici di minore allarme sociale e maggiore sicurezza. Approvare questo testo di legge rappresenterebbe, quindi, un atto politico di grande rilevanza e un segnale significativo che questo Parlamento potrebbe dare. Mi auguro, pertanto, che l'iter possa essere quanto più breve possibile e si possa mandare al Senato un testo che sia già completo e possa raccogliere tutti gli spunti segnalati nell'arco della discussione che finora abbiamo avuto (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, Popolo della Libertà e Popolo e Territorio).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

MICHEL MARTONE, Viceministro per il lavoro e le politiche sociali. Signor Presidente, il Governo si riserva di intervenire in sede di replica.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Paladini. Ne ha facoltà.

GIOVANNI PALADINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il collega che mi ha appena preceduto ha evidenziato un aspetto molto importante per l'inserimento nel mondo del lavoro dei detenuti.
Intanto, questa norma non fa altro che dare atto di ciò che è previsto nei regolamenti carcerari nonché nella Costituzione, nella quale è contenuto il modello carcerario italiano, vale a dire quello che si dovrebbe evidenziare in tutti i Paesi attraverso il percorso del carcere e dal quale si capisce di che tipo di Paese si tratta. Questa normativa va praticamente in quella direzione: un Paese si giudica dal suo sistema carcerario. Credo che il modello che prevede il reinserimento dei detenuti nel mondo del lavoro sia teso ad evitare che i suddetti rimangano nelle carceri ad oziare, a fare una specie di scuola di ladri e, soprattutto, a fare in Pag. 31modo che abbiano un comportamento ed un atteggiamento finalizzato al reinserimento nella società.
Credo che sia esclusivamente un problema culturale e mi riferisco a come vogliamo il reinserimento di persone che hanno sbagliato e che devono essere inserite di nuovo nella società attraverso certi percorsi. Se vogliamo una società migliore credo che si tratta di un tema che deve essere affrontato nella giusta condizione. Se invece vogliamo fare demagogia è chiaro che ognuno si assumerà le sue responsabilità politiche. Sono uno di quelli che pensa, insieme al mio partito, che il reinserimento nella società - evitare di far oziare i detenuti dentro le carceri - sia importante per loro, per la società ma anche per il sistema carcerario, per la polizia penitenziaria, anche per coloro che lavorano dentro il carcere. Se ci adoperiamo per un carcere meno duro, meno «forte», meno aggressivo, sotto il profilo del lavoro che viene svolto, aiutiamo, oltre i detenuti, anche coloro che lavorano giornalmente presso tali strutture, gli agenti di polizia penitenziaria, che sono sottorganico e che svolgono anch'essi un lavoro molto duro. Quindi, credo che il provvedimento in esame può far bene alla società, ai detenuti, alla polizia penitenziaria e soprattutto credo che sia un segno di civiltà.
La Commissione lavoro aveva avviato nella seduta di ottobre 2011 l'esame delle diverse proposte di legge e naturalmente, in Commissione, la Lega Nord aveva manifestato delle perplessità sulla tipologia di interventi e di proposte, facendo notare che l'attuale momento di crisi economica poteva far risultare opportuno destinare le risorse economiche anche ad altre emergenze occupazionali. Anche questo, sotto certi punti di vista, è vero, nel senso che questo è il Paese che ha una coperta corta, quindi, è chiaro che in qualsiasi modo si faccia, si fa sempre male nel senso che ci vorrebbero più soldi per l'occupazione ma di sicuro bisogna fare delle scelte e bisogna farle nel senso giusto cioè anche sotto il profilo di misure di sostegno e queste sono misure di sostegno.
Si parla di misure di sostegno, ma, quando si va a sostenere qualcuno, bisogna individuare le varie categorie e chi dovrebbe giudicare le priorità rispetto a quanto si vuole introdurre con i provvedimenti recanti misure di sostegno. Credo che questo sia il titolo giusto, misure di sostegno, attraverso un percorso per il quale le risorse - diciamo la verità - non sono neanche esagerate, perché sono veramente molto contenute. Forse bisognerebbe stanziarle in misura maggiore ma il momento è talmente particolare che naturalmente prevede anche in questo caso delle restrizioni. Alcune considerazioni svolte mi sono sembrate eccessive e mi riferisco anche a coloro che dovrebbero credere e contare di più sul principio di rieducazione della pena.
Credo che il principio di rieducazione della pena sia un tema fondamentale e credo inoltre che non sia difficile spiegare ai giovani precari, alle lavoratrici madri, ai disoccupati ultracinquantenni che il Parlamento, piuttosto che alleviare difficoltà occupazionali, si impegna a destinare risorse per il reinserimento lavorativo di coloro che si sono macchiati di reati, talvolta anche odiosi. Credo che tutti, i giovani, i precari, le donne, coloro che perdono il lavoro ma anche i detenuti si trovino nella stessa equivalente condizione, nella necessità di un'attività di sostegno.
Quindi è giusto, al di là degli interventi in Commissione, fare presente una valutazione sotto il profilo degli impegni finanziari, che devono essere destinati alle politiche attive, finalizzate al reinserimento dei detenuti, politiche che, tuttavia, risultano esigue ogni anno in riferimento a ciò che dovrebbe essere fatto, come sono esigue le risorse destinate alle forze di polizia in questo settore. È chiaro che dovremmo fare meglio, anche per quanto riguarda le carceri. Abbiamo visto anche in questi giorni in televisione strutture carcerarie abbandonate e naturalmente bisognerà cercare, sotto il profilo dei modelli lavorativi, di far funzionare meglio ciò di cui si dispone. Invece di preoccuparci Pag. 32di costruire nuove strutture, bisogna preoccuparci di far funzionare meglio quello che abbiamo.
Credo che la contrarietà nell'adozione del testo base, sui vari emendamenti e via dicendo, con riferimento ai quali naturalmente si dovevano portare avanti battaglie politiche, deve essere oggi superata con il sostegno al reinserimento nel mondo sociale dei detenuti e a tale riguardo il Parlamento deve assumersi una responsabilità molto forte. In altre parole: noi che tipo di Stato vogliamo? Vogliamo uno Stato nel quale il reinserimento sociale sia positivo in termini civili, ossia che faccia in modo che i detenuti rientrino a far parte della gente comune attraverso certi percorsi oppure vogliamo uno Stato che si dimentica assolutamente delle persone, che vengono lasciate in quelle strutture per un periodo per poi arrangiarsi e fare quello che vogliono, quando escono perché tanto non è un problema nostro? No, è un problema di tutti se non si affrontano questioni che poi trovano con la politica elementi sbagliati anche nel modo in cui vengono poste attraverso certi percorsi. Quindi si dice: ha più ragione questo, quello o quell'altro? Hanno ragione nella stessa maniera tutti, però è chiaro che questi contenuti di legge non sono delle agevolazioni, ma secondo noi, al di là di quello che è l'aspetto importante anche per le aziende, che possono avere degli sgravi contributivi e possono avere delle riduzioni delle aliquote previdenziali e assistenziali, introdurre tipologie del genere non fa altro che onore e bene alla nostra società. Tutte le società si misurano per il tipo di rapporto che hanno con i loro cittadini e credo che noi in Italia abbiamo un rapporto con i nostri cittadini detenuti che è uno dei peggiori in assoluto nel mondo delle civiltà mondiali. Credo che dobbiamo assolutamente cambiare tendenza e formare delle persone attraverso dei percorsi diversi. Solo questo è il problema. Quindi noi, il nostro partito, il gruppo che rappresento in aula su questo praticamente ha le idee molto chiare e ritiene importante utilizzare dei progetti di innovazione e mi riferisco ad un sistema che è previsto comunque anche dalla Costituzione e che da anni, anzi da decenni, avrebbe dovuto naturalmente essere inserito in questo contesto.
Signor Presidente, concludo dicendo che noi, come avrete ben capito, siamo favorevoli a questo tipo di percorso. La norma credo che rappresenti un modello di civiltà e credo che debba essere naturalmente il nostro Paese ad avere un senso di civiltà per tutti i nostri cittadini, compresi quelli che sono detenuti.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fedriga. Ne ha facoltà.

MASSIMILIANO FEDRIGA. Signor Presidente, in risposta a quanto ho sentito dalla relatrice e dall'onorevole Paladini, vorrei dire che la Lega orgogliosamente si assume la responsabilità politica della propria posizione, che è contraria al provvedimento in esame. Signor Presidente, l'onorevole Paladini ha detto che bisogna fare delle scelte e la scelta che è stata fatta con il provvedimento in esame è quella di utilizzare il fondo per l'occupazione e la formazione per destinarlo a chi ha commesso reati e non ai nuovi disoccupati, che sono sempre più numerosi in questo periodo di crisi.
Signor Presidente, vorrei fare una premessa. La Lega è favorevole all'utilizzo del lavoro per il reinserimento sociale dei detenuti, ma questo deve avvenire a titolo gratuito, perché, altrimenti, creiamo un dumping sociale per tutti quei giovani alla ricerca di lavoro che non hanno quelle garanzie e quei privilegi - in questo caso, di vantaggio per l'azienda - che, con l'approvazione di questo provvedimento, avrebbero i detenuti ovvero coloro che hanno commesso reati.
Il provvedimento che stiamo discutendo, invece, purtroppo, si sta muovendo su binari che vanno nella direzione opposta rispetto alla posizione che ho appena espresso, ovvero garantisce privilegi nel collocamento lavorativo a chi ha commesso reati, a scapito di chi, secondo i proponenti della legge, ha un'unica vera colpa: essersi comportato onestamente secondo Pag. 33legge e non riuscire a trovare lavoro.
Non solo, signor Presidente. Nel provvedimento vengono premiati coloro i quali hanno commesso i reati anche a fine pena, estendendo per 12 mesi il periodo dell'incentivo e dello sgravio fiscale per coloro i quali hanno beneficiato delle misure alternative alla detenzione e, addirittura, per 24 mesi per chi non ne ha usufruito, ovvero coloro che hanno commesso i reati più gravi. Quindi, stiamo premiando doppiamente: più il reato è grave e più ti premiano. Questo stiamo dicendo, signor Presidente.
Vorrei, inoltre, ricordare che quasi il 50 per cento della popolazione carceraria è composto da cittadini stranieri. Quindi, stiamo prelevando i soldi del Fondo per l'occupazione - cioè, da quel fondo destinato ad aiutare i nostri disoccupati e i nostri licenziati - per darli ai delinquenti stranieri. Uso parole dure, signor Presidente, ma è giusto usare schiettezza e far capire ai cittadini ciò che questo Parlamento vuole approvare (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).
Inoltre, come ricordava in modo lodevole la relatrice Mosca, il combinato disposto - che, però, dal mio punto di vista, non è per niente lodevole - tra il provvedimento «svuota carceri», approvato sventuratamente due settimane fa dalla maggioranza PdL-PD-Terzo Polo, e il provvedimento che stiamo discutendo oggi, farà sì che il messaggio che passerà all'estero sarà il seguente: venite nel nostro Paese, commettete reati e, in cambio, il nostro Paese vi farà uscire dalla galera in tempi brevi e in più vi garantirà il posto di lavoro.
Noi personalmente su questo non possiamo che essere contrari. Se vogliamo reinserire i detenuti facendogli fare un percorso lavorativo, facciamoglielo fare, tuttavia, vi è un nostro emendamento - mi rivolgo all'onorevole Mosca e al rappresentante del Governo - che prevede che gli enti locali possano stipulare convenzioni con gli enti penitenziari al fine di utilizzare, a titolo gratuito, i detenuti per lavori socialmente utili, per lavori di manutenzione delle strade e quant'altro, e che ai detenuti siano garantiti - e questo lo prevediamo con una copertura già presente dimezzata nel nostro emendamento rispetto a quella prevista dal provvedimento stesso - i benefici previdenziali e l'assicurazione. Mi sembra un'opera di garanzia, ma, allo stesso tempo, non è un privilegio verso chi si è comportato in modo onesto.
Oltretutto, signor Presidente, devo far presente un'altra questione. Alcune volte, leggendo il provvedimento, mi sono domandato se tale provvedimento è a favore dei detenuti o delle cooperative che assumono i detenuti stessi (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania). Infatti, non è accettabile che, all'articolo 5, si preveda che le cooperative iscritte all'albo regionale, dove appunto vi sono le cooperative che utilizzano i detenuti, possano stipulare con enti economici e società di capitale a partecipazione pubblica convenzioni dirette, superiori alla soglia stabilita dall'Unione europea. Significa che a queste cooperative diciamo: non serve che partecipiate alle gare, vi diamo noi direttamente.
Vorrei sapere a quali mondi associativi appartengono principalmente queste cooperative. Sarebbe interessante avere una statistica in ordine al fatto che queste cooperative facciano riferimento a qualche particolare realtà associativa e politica del nostro Paese. Penso, infatti, che continuare ad utilizzare la scusa del più debole per avvantaggiare chi è già forte sia diventato inaccettabile nel nostro Paese.
Oltretutto, signor Presidente, - e concludo l'intervento perché ho promesso ai colleghi di essere approfondito nel ragionamento, ma sintetico nei tempi - vorrei capire perché semplicemente non riusciamo, approvando i nostri emendamenti, che sono a disposizione del relatore per la maggioranza, a tagliare quell'antipatico utilizzo di più di 3 milioni di euro, che ho citato in premessa, del Fondo per l'occupazione.
Credo che anche il messaggio che stiamo dando a chi è in difficoltà in questo momento è fondamentale. Non solo i 3 Pag. 34milioni e qualcosa di euro che andiamo ad utilizzare, ma è un messaggio che diamo al Paese, ovvero prendiamo i vostri soldi, i soldi di chi ha perso il lavoro, i soldi del giovane che è costretto a vivere a casa e che, mi scusi il Viceministro Martone, non credo sia uno sfigato, per darli a chi, in questo Paese, è venuto, è stato accolto, ha commesso reati e sta giustamente scontando la sua pena all'interno delle carceri.
Direi che questo Parlamento - e concludo veramente - forse si deve impegnare più a rimpatriare nelle patrie galere i cittadini stranieri che commettano reati sul nostro territorio piuttosto che continuare a prelevare soldi dei più deboli per darli a chi invece è venuto qui e non ha rispettato le regole.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Binetti. Ne ha facoltà.

PAOLA BINETTI. Presidente, Governo, cari colleghi, le carceri come problema hanno occupato un posto veramente centrale nei dibattiti parlamentari più recenti, in cui la realtà del problema è stata rappresentata in tutta la sua tragica dimensione, mettendo in evidenza i limiti del nostro sistema. Io utilizzo come parametro per descrivere tutto questo il numero dei suicidi che si è verificato recentemente nelle nostre carceri, che è come una sorta di stillicidio che non sembra voler smettere.
L'UdC ha fatto suo questo problema e di fatto c'è tra i testi di base quello della collega Ida d'Ippolito Vitale, che rappresenta un punto di equilibrio molto interessante e che certamente ha costituito parte importante della piattaforma finale a cui si era giunti dopo il dibattito comune e condiviso.
Il provvedimento in discussione accoglie una duplice forma di problematicità: quella legata al mondo delle carceri italiane e quella, non meno complessa, legata al mondo del lavoro e, facendo riferimento alla realtà del mondo del lavoro, alla complessità delle persone che si trovano in condizioni di disagio e che molte volte, paradossalmente, sono esposte a comportamenti che li portano in carcere perché non hanno il lavoro con cui potrebbero garantire a se stessi e alle proprie famiglie le condizioni adeguate di mantenimento.
L'articolo 27 della Carta costituzionale afferma che: «(...) Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato (...)». Il provvedimento attuale riguarda migliaia di persone che vivono in carcere, per le quali si vuole impedire il pericolo di recidiva. Secondo le statistiche, infatti, il 68 per cento di chi è stato in carcere è soggetto a recidiva e il 35 per cento di coloro che hanno usufruito dell'indulto del 2006 ha mostrato segni concreti di recidiva.
Questo testo, sostanzialmente condiviso nel contenuto e nelle finalità che intende perseguire, vuole favorire il lavoro sia nelle carceri che nel momento successivo alla scarcerazione, in modo tale da poter vivere la detenzione come una possibilità di recupero ed evitare possibili forme di recidiva.
Giovanni Paolo II nell'incipit della sua enciclica sul lavoro, la Laborem exercens, a novanta anni dalla Rerum novarum, diceva: «E con la parola "lavoro" viene indicata ogni opera compiuta dall'uomo, indipendentemente dalle sue caratteristiche e dalle circostanze, cioè ogni attività umana che si può e si deve riconoscere come lavoro in mezzo a tutta la ricchezza delle azioni, delle quali l'uomo è capace ed alle quali è predisposto dalla stessa sua natura, in forza della sua umanità (...). Così il lavoro porta su di sé un particolare segno dell'uomo e dell'umanità, il segno di una persona operante in una comunità di persone; e questo segno determina la sua qualifica interiore e costituisce, in un certo senso, la stessa sua natura». Come dire che quando manca il lavoro la prima a farne le spese veramente è proprio la dignità della persona, la dignità del soggetto che non lavora, ma potremmo dire la dignità di tutti i soggetti che non lavorano. In questo caso specifico stiamo analizzando i detenuti, però non dobbiamo perdere di vista che il diritto al lavoro come modalità concreta di vivere il proprio Pag. 35inserimento nella società è un diritto che tocca tutti e non possiamo prescindere dal considerare tanta gente e tante persone che in questo momento ne sono escluse.
Il lavoro costituisce lo strumento principale del trattamento rieducativo e risocializzativo del detenuto, ma al fine del reinserimento lavorativo del detenuto non è sufficiente l'offerta di un'opportunità di lavoro qualsiasi ad un soggetto che gode di una limitata libertà personale. Nell'attuale realtà socio-economica caratterizzata da difficoltà occupazionali, la competitività che contraddistingue l'odierno mercato del lavoro italiano ed internazionale rende meno spendibile la figura del detenuto che vuole lavorare, e non stupisce che l'amministrazione penitenziaria stenti a farsi carico in modo efficace di questi problemi.
Voglio dire che non stupisce che nella norma si ponga tanto l'attenzione sulla formazione del detenuto, perché non basta un lavoro qualunque a dare dignità e occupabilità reale al detenuto, ma occorre metterlo in condizione di svolgere un lavoro che la società riconosca come utile per sé e che sia disposta a remunerare per quello che effettivamente è in grado di produrre. Di fatto - sono ancora parole di Giovanni Paolo II che, con tanta passione, si è speso per la tutela della dignità dei detenuti e per migliorare le loro condizioni nelle carceri - «Il lavoro è uno di questi aspetti, perenne e fondamentale, sempre attuale e tale da esigere costantemente una rinnovata attenzione e una decisa testimonianza. Perché sorgono sempre nuovi interrogativi e problemi, nascono sempre nuove speranze, ma anche timori e minacce connesse con questa fondamentale dimensione dell'umano esistere, con la quale la vita dell'uomo è costruita ogni giorno, dalla quale attinge la propria specifica dignità, ma nella quale è contemporaneamente contenuta la costante misura dell'umana fatica, della sofferenza e anche del danno e dell'ingiustizia che penetrano profondamente la vita sociale, all'interno delle singole Nazioni e sul piano internazionale».
È evidente che nessuno di noi vuole che il lavoro che i detenuti svolgono nelle carceri o appena usciti dalle carceri possa, in qualche modo, essere interpretato come una sorta di ennesima ingiustizia nei loro confronti. Per questo il legislatore ha avviato una diversa strategia per favorire l'attività lavorativa ed il reinserimento sociale dei detenuti. In particolare, ha adottato tre soluzioni possibili: il sostegno alle cooperative sociali di tipo «B», finalizzate all'inserimento lavorativo di persone svantaggiate; nuovi articoli che prevedono un credito di imposta in favore delle imprese che affidano a cooperative sociali o ad altre aziende l'esecuzione di attività o di servizi costituenti occasione di inserimento lavorativo per i detenuti; infine, la previsione di sgravi contributivi e fiscali a favore degli imprenditori disposti ad offrire opportunità di lavoro ai detenuti. In concreto, si dispone che gli sgravi contributivi siano applicati per un periodo di 12 o 24 mesi successivi alla cessazione dello stato di detenzione. Si vuole in questo modo dare vita a forme contrattuali flessibili, capaci di modellarsi secondo le esigenze del lavoratore e del datore di lavoro. Questo criterio della forma contrattuale flessibile è quello che noi vorremmo applicato, in genere, in questo periodo, a tutti i giovani in cerca di lavoro, a tutte le situazioni di coloro che hanno appena perso un lavoro. Il concetto di flessibilità deve essere una risorsa, frutto davvero di un'elaborazione realistica, ma anche positiva e orientata al riconoscimento della dignità di chi lavora, sapendo riconoscere nel lavoro non un lusso, ma un diritto, non un dovere, ma soprattutto una responsabilità liberamente assunta.
Si vuole creare, quindi, un ambiente protetto, indispensabile per il reinserimento lavorativo della persona svantaggiata, che deve passare da uno stato di disoccupazione forzata o volontaria all'inclusione nel normale mercato del lavoro. Per la riuscita di questo programma è essenziale che il datore di lavoro sia preparato e soprattutto motivato. Per questo la legge ha previsto l'accreditamento presso il Ministero della giustizia e l'iscrizione in un registro apposito per le cooperative sociali che assumono lavoratori Pag. 36detenuti e che svolgono attività di formazione, supporto assistenza e monitoraggio degli inserimenti lavorativi effettuati, sia per attività proprie che per attività gestite dalla amministrazione penitenziaria o da altre imprese ed enti pubblici affidanti.
L'accreditamento è condizione indispensabile per poter stipulare condizioni finalizzate al reinserimento lavorativo dei detenuti con enti pubblici, compresi quelli economici e le società di capitali a partecipazione pubblica. La normativa vigente già prevede, però, sgravi fiscali per le imprese che assumono detenuti o che svolgono attività formative nei loro confronti. I detenuti rientrano nel 30 per cento delle persone svantaggiate che le cooperative sociali hanno l'obbligo di assumere usufruendo di agevolazioni contribuite. La legge n. 193 del 2000, la cosiddetta legge Smuraglia, ha per prima incluso i detenuti tra i soggetti svantaggiati ai quali si applica la disciplina delle cooperative sociali, e ha previsto agevolazioni contributive e fiscali per il loro impiego.
Concretamente l'articolo 1 della legge Smuraglia, con riferimento alle cooperative sociali finalizzate all'inserimento lavorativo di persone svantaggiate, ha ampliato la platea dei soggetti beneficiari, ricomprendendovi anche gli ex degenti di istituti psichiatrici giudiziari - pochi giorni fa abbiamo discusso della chiusura degli OPG -, le persone detenute o internate negli istituti penitenziari, o ammesse alle misure alternative alla detenzione e al lavoro esterno.
I dati del Ministero della giustizia parlano chiaro però: il lavoro penitenziario, sia intramoenia, sia extramurario, è in costante calo e, se le cause di tale situazione, estremamente preoccupante ai fini del recupero dei detenuti, vanno individuate nel notevole aumento dei detenuti nel giro di un decennio, nonché nella crisi occupazionale generalizzata, non si possono dimenticare come concause altrettanto importanti il mutamento delle capacità professionali richieste dal nuovo mercato del lavoro in continua trasformazione e i profondi mutamenti avvenuti nei contratti di lavoro. Per questo serve una nuova cultura della formazione professionale, con obiettivi più chiari, con formatori più competenti, con un rapporto più stretto con il mondo del lavoro. Non dimentichiamo, però, che nel luglio 2011, poco più di sei mesi fa, il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria nazionale dava comunicazione della carenza di risorse economiche relativamente alla legge Smuraglia, invitando, attraverso i provveditorati e le direzioni degli istituti penitenziari, a comunicare alle cooperative e alle aziende interessate tale carenza, in modo che tutti gli inserimenti lavorativi fossero tutelati, ma raccomandando di non aggiungerne di nuovi, se non in sostituzione di quelli esistenti.
È proprio in questo spirito, in questo criterio che definirei sostanzialmente realista, che si muove anche il parere della XII Commissione, quella in cui personalmente ho discusso questo provvedimento. La Commissione affari sociali, esprimendo un parere sostanzialmente favorevole a questo testo, ha voluto però sottolineare alcuni aspetti concreti che voglio ricordare: evitare che l'istituzione dell'ulteriore registro a cui devono iscriversi le cooperative sociali si traduca in un inutile aggravio burocratico, dal momento che in questo campo è già previsto il controllo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e nelle regioni ci sono già degli appositi registri, come prevede la legge n. 381 del 1991. Come dire: non appesantiamo il sistema con ulteriori livelli di burocratizzazione.
La seconda cosa di cui si è discusso in Commissione affari sociali è provare a considerare l'estensione di questa nuova apertura e di queste nuove misure che vengono messe in gioco per facilitare il lavoro dei detenuti a tutte le persone svantaggiate, soprattutto per quanto riguarda il credito di imposta di cui all'articolo 3-ter per quanto riguarda la deroga alle soglie stabilite dall'Unione europea per le convenzioni di cui all'articolo 5-bis, comma 3, nonché delle agevolazioni IVA di cui all'articolo 5-ter.
In altri termini, Presidente, signori del Governo, la legge Smuraglia ha utilizzato Pag. 37la legge n. 381 del 1991, che aveva come target di riferimento le persone in condizioni disagiate, per estenderla ai detenuti. Adesso chiediamo che in un certo senso si faccia l'operazione inversa: ciò che positivamente si è previsto per i detenuti venga esteso anche alle altre persone che versano in condizioni disagiate, un po', se si vuole, secondo il principio dei vasi comunicanti, per cui il miglioramento di una norma possa davvero avvantaggiare tutte le persone che si trovano nelle stesse condizioni per evitare che accada che questo provvedimento crei figli e figliastri.
Questa potrebbe essere una risposta a quanto diceva prima il collega Fedriga, della Lega, ma anche a quanto possono aver detto altre persone che vedono in questo testo un eccesso di benevolenza nei confronti del lavoro dei detenuti. Noi assumiamo la benevolenza come un indicatore positivo che venga esteso dai detenuti a tutte le altre persone di cui appunto parlava la legge Smuraglia.
In conclusione, le disposizioni in esame, modificando la disciplina vigente, comportano una riduzione di entrate contributive connessa sia all'ampliamento della durata del beneficio dello sgravio contributivo, sia all'estensione dell'applicazione del beneficio medesimo ai casi di lavoro esterno al carcere. Tali effetti dovrebbero trovare compensazione entro il limite di spesa complessivamente indicato per l'intero provvedimento dall'articolo 7, ossia dalle disponibilità del Fondo sociale per l'occupazione e la formazione, in particolare dalla disponibilità data dalla legge n. 193 del 2000, per l'appunto la legge Smuraglia.
Ma sul versante positivo occorre sottolineare come il provvedimento in esame dia l'opportunità di rafforzare gli strumenti per l'inserimento lavorativo dei detenuti, sia ai fini della rieducazione, quanto soprattutto ai fini della riduzione del tasso di recidività dei condannati.
Il testo in esame non vuole rappresentare una soluzione, ma una possibilità in più offerta non solo a vantaggio dei detenuti, ma - questa è la mia sottolineatura particolare - a beneficio dell'intera collettività. Per questo diamo il nostro parere positivo.
Concludo citando ancora una volta Giovanni Paolo II, sempre nell'enciclica Laborem exercens, dove dice: «Non c'è, infatti, alcun dubbio che il lavoro umano abbia un suo valore etico, il quale senza mezzi termini e direttamente rimane legato al fatto che colui che lo compie è una persona, un soggetto consapevole e libero, cioè un soggetto che decide di se stesso». In tal senso, poter lavorare per il detenuto rappresenta il segno tangibile di una ritrovata libertà interiore oltre che esteriore.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Renato Farina. Ne ha facoltà.

RENATO FARINA. Signor Presidente, il gruppo del Popolo della Libertà ha dato un contributo credo decisivo nell'ispirare e nel promuovere questo provvedimento. Tra l'altro, sottolineo come questo testo non sia in realtà frutto delle «pensate» di questo o di quell'altro gruppo, ma nasce da un'esperienza molto pratica, molto concreta. Infatti, è nata all'interno dell'intergruppo per la sussidiarietà tra persone che appartengono a diversi partiti, ma - a sua volta - non è nata da un incontro a tavolino tra personalità di vari schieramenti, quasi per applicare deduttivamente l'articolo 27 della Costituzione, ma è nata da un incontro con realtà viventi. Infatti, ad un certo punto della nostra esperienza parlamentare, che ci consente di andare a visitare le carceri (infatti non abbiamo diritto soltanto al biglietto gratis sull'aereo, ma anche al «biglietto gratuito» per entrare nelle carceri), c'è stata la possibilità di incontrare delle esperienze sorprendenti. Prima di tutto, naturalmente, si vedono questi loculi angusti ed insopportabili da cui viene veramente il senso neanche della espiazione richiesta (chiunque è carcerato è consapevole di essere colpevole e ci sta: noi ci portiamo dietro i nostri atti), ma il sentimento della inutilità dell'esistenza umana, del buttar via la dignità umana.
Poi, di colpo, ecco che ci siamo imbattuti in un altro tipo di esperienza. Siamo Pag. 38andati in gruppo a visitare il carcere «Due Palazzi» di Padova, dove c'è l'esperienza di applicazione concreta della legge Smuraglia, la quale a sua volta non ha determinato questo, ma è stata determinata dalle esperienze in atto. Questa è la cosa più importante. Per questo mi rivolgo ai colleghi della Lega dei quali rispetto profondamente le preoccupazioni, ma ad essi voglio dire che esattamente quei valori che vogliamo tutelare insieme - cioè la sicurezza e il lavoro per tutti - trovano in questo tipo di esperienza il loro conveniente sviluppo. Mi spiego: quando sono entrato nel carcere «Due Palazzi» prima di tutto siamo stati tutti colpiti da un altro clima, oltre che dal profumo del panettone. Peraltro, vorrei esibire l'articolo uscito proprio sabato scorso sul Corriere della Sera, non in una pagina sociale, ma nella pagina «Viaggi e la dolce vita». Infatti, il Taste della rassegna fiorentina di «Pitti immagine» ha scelto i biscotti e la pasticceria del carcere come esempio di qualità. Quindi, trovi questa esperienza di eccellenza che tra l'altro genera anche prodotti di esportazione. Come ha detto la collega Mosca, questi producono addirittura dei gioielli e non è mai sparito un grammo di gioielli Pomellato (mi sembra che si chiamino così), oltre alle valigerie e una volta facevano anche le biciclette Atala.
Tutto questo cosa comporta? Comporta che queste persone, nel momento in cui escono con un lavoro in mano così, riducono la recidività addirittura all'1 per cento, quando normalmente la recidività di coloro che sono in carcere è, a seconda degli istituti e delle regioni, tra il 70 e il 90 per cento.
Ho calcoli diversi dalla collega Mosca e mi risulta che un detenuto costa 250 euro al giorno. Ho fatto proprio i calcoli come si facevano alle medie, perché non sono capace di fare diversamente. Ho fatto il calcolo e ho constatato che risparmiamo circa, per ogni 1 per cento di recidività in meno, sia in spese di giustizia sia in spese di carcerazione, 61 milioni di euro. Dunque, risparmiamo in quel senso.
Inoltre, incrementiamo il lavoro e chiunque sa di economia e lavora sa che non ci deve essere invidia sociale se nasce del lavoro. Guai a creare invidia sociale tra quelli che lavorano in carcere e quelli fuori. Più lavoro c'è e più se ne crea. Questa è la grande verità dell'economia. Se chi esce dal carcere non distrugge la sicurezza, incrementa l'economia. Sappiamo che nei Paesi dove vige esclusivamente il sistema repressivo nell'intendere la pena la violenza fuori, in realtà, è infinitamente superiore a quella dell'Italia. Pensiamo al Messico e persino agli Stati Uniti d'America, dove vi sono un milione di persone carcerate ma non vi è nessuna sicurezza per le strade, molto meno che in Italia (sono dati storici).
Vogliamo questo per sentirci contenti perché così puniamo meglio i detenuti? È un po' misero, perché vivere una vita pensando di vendicarsi su qualcuno che ha fatto del male non fa contento nessuno, neanche noi stessi. A mio avviso, non fa giustizia neanche a quelli che so essere i valori fondanti della Lega. Lungi da me fare l'esame dei valori della Lega, ma constato, ad esempio, che questa proposta di legge, di cui sono il primo firmatario e che è un po' la struttura portante di questo testo unificato, è anche firmata da due deputati leghisti. Con questo non voglio indicare i leghisti al biasimo dei colleghi ma solo per dire che, evidentemente, vi sono, all'interno del provvedimento, dei valori che sono quelli del lavoro e della sicurezza, che vanno insieme a quello della rieducazione.
Fino al regolamento del 1931 in effetti in Italia il lavoro era inteso esclusivamente come forma di espiazione. Pertanto, esso doveva anche essere fornito più o meno gratuitamente. Ma fu il Ministro Dino Grandi che nel 1941 promosse un altro tipo di impostazione. Si era in pieno fascismo ma lo stesso Giuliano Vassalli, in uno degli ultimi testi della sua vita, riconosceva e scriveva che «la bonifica umana» - così la chiamava Dino Grandi, rievocando con termini piuttosto agricoli e «mussoliniani» quello che voleva essere un progetto di rieducazione - era finalmente Pag. 39un inizio di riforma della vicenda carceraria in senso umano. «Voleva dire cambiare assolutamente il sistema penitenziario».
Questa impostazione cambia dal 1975. Sono già stati citati i successivi passi delle varie leggi. In particolare, con una di esse si è prevista la possibilità di svolgere un lavoro fuori dal carcere, cioè la possibilità, per i detenuti in semilibertà, di lavorare fuori dal carcere. Successivamente, la legge «Smuraglia» ha permesso il lavoro dentro il carcere. Oggi quanti sono i detenuti che usufruiscono della legge «Smuraglia»? Sono circa 1.200, di cui 800 dentro il carcere e 400 in semilibertà e così via.
Quanti sono in buona sostanza? Diciamo che anche se tutte le leggi, i regolamenti e l'articolo 1 della Costituzione, nel quale si prevede che l'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro, prevedono il lavoro dei detenuti, in realtà, lavora un detenuto su quattro: il 25 per cento, e di questo 25 per cento circa l'85 per cento fa dei lavori finti, cioè fa dei lavori all'interno del carcere pagati dall'amministrazione carceraria: i lavori in cucina, le pulizie e altri lavori interni che non creano vera professionalità, ma servono solo ad occupare il tempo. C'è soltanto il 15 per cento di lavoro autentico, ma questo lavoro autentico è un seme preziosissimo per tutti e questo è ciò che si vorrebbe affermare ulteriormente con questa legge.
Rispetto alla legge cosiddetta Smuraglia cosa c'è in più? C'è il fatto che si è capito che è tanto più efficace il lavoro nel carcere quando questo completa il percorso, cioè realizza un accompagnamento: da dentro il carcere e fuori dal carcere. Peraltro, tutto questo non è «accaparramento» delle cooperative ma, sulla base di quello che alla fine credo che approveremo, le aziende private potranno attingere da questo capitale umano, che non è qualcosa di negativo o di nefasto. La dignità della persona vale sempre, qualunque cosa abbia fatto. Se non siamo d'accordo su questo principio è inutile parlarne e, se non si punta alla rieducazione, tutta la vicenda carceraria si tramuta in un astio terrificante che pagheremo tutti e pagherà soprattutto il carcerato perché reiterare il male è un male per chi lo commette - e questo lo sappiamo tutti, basta parlare con qualunque carcerato un po' cosciente - ma è un male che pagheremo anche noi.
Se adesso facciamo una riforma e giustamente costruiamo carceri per 600 milioni di euro, come abbiamo deciso, e non spendiamo qualche milione per far sì che queste prigioni non siano delle scatole dove si crea e si alleva la «bestia umana» che vuole vendicarsi, allora non vale neanche la pena costruirle, meglio lasciare spazio alle impiccagioni, lo dico paradossalmente. Questo è ciò che voglio dire.
Peraltro, non si deve aspettare che finisca la crisi perché o si cambia ora o non si cambia mai - questa è una grande legge della natura umana - ed è importantissimo che l'idea della redenzione si concretizzi perché - come cantava Giorgio Gaber - «un'idea, finché resta un'idea, è soltanto un'astrazione», mentre noi abbiamo visto della vita all'opera e vogliamo sostenere questa vita all'opera per il bene di tutti (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Partito Democratico).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 124-A ed abbinate)

PRESIDENTE. Prendo atto che la relatrice, onorevole Mosca, non intende replicare.
Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

MICHEL MARTONE, Viceministro del lavoro e delle politiche sociali. Il Governo rinuncia alla replica.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta. Pag. 40
Sospendo la seduta per dieci minuti prima di passare al punto successivo all'ordine del giorno.

Discussione del testo unificato delle proposte di legge: Nicola Molteni ed altri; Volontè ed altri; Narducci ed altri: Modifiche alla legge 5 giugno 1997, n. 147, concernenti la durata dei trattamenti speciali di disoccupazione in favore dei lavoratori frontalieri italiani in Svizzera rimasti disoccupati a seguito della cessazione del rapporto di lavoro (A.C. 3391-A ed abbinate) (ore 18,45).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del testo unificato delle proposte di legge di iniziativa dei deputati Nicola Molteni ed altri; Volontè ed altri; Narducci ed altri: Modifiche alla legge 5 giugno 1997, n. 147, concernenti la durata dei trattamenti speciali di disoccupazione in favore dei lavoratori frontalieri italiani in Svizzera rimasti disoccupati a seguito della cessazione del rapporto di lavoro.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali - A.C. 3391-A ed abbinate)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare Lega Nord Padania ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che la XI Commissione (Lavoro) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, onorevole Fedriga, ha facoltà di svolgere la relazione.

MASSIMILIANO FEDRIGA, Relatore. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, la Commissione lavoro riferisce oggi all'Assemblea sul testo unificato in discussione, che è il risultato di un lungo ed articolato lavoro svolto in sede referente, che ha avuto ad oggetto tre proposte di legge di contenuto sostanzialmente identico, volte a modificare la legge 5 giugno 1997, n. 147, in materia di durata dei trattamenti speciali di disoccupazione in favore dei lavoratori frontalieri italiani in Svizzera, rimasti disoccupati a seguito della cessazione del rapporto di lavoro.
Nell'intenzione dei proponenti e della stessa Commissione vi è l'obiettivo di rimediare al diverso trattamento riservato ai frontalieri italiani, che non possono accedere ai medesimi benefici riconosciuti ai lavoratori oltre confine. Vi è pertanto una obiettiva urgenza di approvare la norma in discussione, poiché da anni è in corso un dibattito a livello europeo su analoghe proposte e in tempi recenti si è registrato anche un palese tentativo di sottrarre ai lavoratori frontalieri parte delle risorse previste dalla legislazione vigente. Non si tratta quindi di ridare soltanto dignità ai lavoratori frontalieri italiani, ma anche di mitigare la situazione in attesa della soluzione del problema della retrocessione fiscale, se necessario, anche mediante appositi negoziati.
In questa sede, mi sembra opportuno precisare che il provvedimento ha ricevuto il parere favorevole delle Commissioni affari costituzionali ed affari esteri, mentre non è stato espresso il parere di competenza della Commissione bilancio, che ha ricevuto dal Governo una relazione tecnica negativa. Tuttavia, avverto che l'XI Commissione, preso atto degli elementi contenuti nella relazione tecnica, ha ritenuto di poter concludere comunque l'esame in sede referente, approvando un emendamento del relatore che cerca di farsi carico delle questioni prospettate dalla Ragioneria generale dello Stato, anche alla luce del fatto che la relazione predisposta dall'INPS conferma l'esistenza di consistenti residui di gestione nell'ambito della Pag. 41gestione separata per i lavoratori frontalieri, pari a circa 300 milioni di euro.
Resta inteso peraltro che il parere che la stessa Commissione bilancio renderà alla Assemblea potrà chiarire gli aspetti di criticità e speriamo che possa portare alla soluzione dei problemi esistenti. Passando al merito del provvedimento, ricordo che l'attività di approfondimento istruttorio svolta dalla XI Commissione ha condotto all'elaborazione di un testo unificato composto da un articolo unico, che dispone che la gestione separata istituita presso l'INPS per l'erogazione dei trattamenti speciali di disoccupazione a favore dei lavoratori frontalieri italiani in Svizzera possa essere utilizzata esclusivamente al fine del pagamento di tali trattamenti di sostegno al reddito.
Il testo stabilisce che si considerano periodi neutri, ai sensi della legge n. 223 del 1991, sulla mobilità dei lavoratori, ai fini del raggiungimento del diritto a percepire l'indennità di disoccupazione speciale per i frontalieri italiani in Svizzera, i periodi di malattia od infortunio eventualmente presenti nei due anni precedenti lo stato di disoccupazione.
Viene inoltre precisato che tali periodi, pur non potendo essere presi in considerazione ai fini del raggiungimento del requisito contributivo di almeno un anno di attività soggetta a contribuzione secondo il regime vigente di assicurazione contro la disoccupazione dei due anni precedenti, possono comunque determinare la retrodatazione del biennio nel quale verificare la presenza di un anno di contribuzione versato per l'assicurazione in Svizzera contro la disoccupazione. Si prevede, inoltre, che qualora nei due anni precedenti lo stato di disoccupazione siano presenti periodi di malattia od infortunio essi concorrono a determinare il biennio nel quale verificare la sussistenza del requisito di un anno di attività soggetta a contribuzione, prescritto dal regime di assicurazione contro la disoccupazione vigente in Svizzera, i fini del conseguimento del diritto al trattamento.
Il testo eleva la durata massima dell'erogazione del trattamento, attualmente stabilita in 360 giorni, a 18 mesi per i lavoratori di età compresa tra i 50 e i 55 anni e a 24 mesi per i lavoratori di età pari o superiore ai 56 anni, stabilendo l'inserimento di ufficio dei lavoratori nelle liste di mobilità previste dalla legge n. 223 del 1991, in luogo dell'inserimento a seguito di apposita domanda da parte del lavoratore, come attualmente previsto.
Il provvedimento, quindi, introduce a carico della sede INPS territorialmente competente al ricevimento e valutazione della domanda di trattamento l'obbligo di comunicazione dell'accoglimento della domanda all'interessato e al centro per l'impiego territoriale, il quale dovrà provvedere a sua volta all'inserimento del nominativo.
Il testo unificato all'esame dell'Assemblea, in virtù dell'unica modifica apportata in sede referente, conseguente, come detto in precedenza, all'approvazione di uno specifico emendamento presentato dal relatore, prevede una clausola di salvaguardia finanziaria, disponendo che agli oneri derivanti dall'attuazione del provvedimento si provvede valendosi della disponibilità esistente nella gestione con contabilità separata istituita presso l'INPS.
Ricordo, infine, l'urgenza di approvare le norme in discussione, in quanto più volte, in modo iniquo, poiché stiamo parlando di soldi dei lavoratori frontalieri, si è cercato di utilizzare questi fondi per misure diverse da quelle di diretto interesse di questa categoria di lavoratori.
Quindi, risulta doveroso salvaguardare queste risorse, affinché non vengano sottratte a chi, con lavoro e sacrifici, ha contribuito ad accumulare tali fondi (Applausi).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

MICHEL MARTONE, Viceministro del lavoro e delle politiche sociali. Signor Presidente, mi riservo di intervenire in sede di replica.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Giammanco. Ne ha facoltà.

Pag. 42

GABRIELLA GIAMMANCO. Signor Presidente, signor Viceministro, onorevoli colleghi, il gruppo del Popolo della Libertà in Commissione lavoro ha votato a favore del provvedimento oggi in discussione che mira a tutelare i lavoratori frontalieri italiani in Svizzera. Si tratta di una proposta di legge che condividiamo, perché diretta a rafforzare quelle misure di sostegno al reddito che abbiamo il dovere di garantire ai nostri connazionali, specie se essi, a causa di una concorrenza spietata e di un dumping sociale sempre più aggressivo, sono rimasti disoccupati a seguito della cessazione di un rapporto di lavoro.
Ricordo brevemente che con l'Accordo sottoscritto a Berna il 12 dicembre 1978 tra Italia e Svizzera, reso esecutivo in Italia con decreto del Presidente della Repubblica dell'8 febbraio 1980, n. 90, è stata disciplinata la retrocessione finanziaria in materia di indennità di disoccupazione per i lavoratori frontalieri. In base all'Accordo ciascun Paese si è impegnato a versare annualmente all'altro una parte delle somme raccolte mediante contribuzione, in modo da permettere all'Italia la copertura del rischio di disoccupazione totale dei propri lavoratori in Svizzera e viceversa.
La legge 5 giugno 1997, n. 147, che è intervenuta a disciplinare organicamente la materia, esplica ancora i propri effetti e prevede che i lavoratori frontalieri italiani licenziati in Svizzera a seguito della cessazione del rapporto di lavoro a loro non imputabile mantengano il diritto alla corresponsione di un trattamento speciale di disoccupazione erogato dall'INPS nel caso in cui abbiano svolto in quel Paese un'attività soggetta a contribuzione secondo il regime ivi vigente di assicurazione contro la disoccupazione per almeno un anno nei due anni precedenti l'inizio dello stato di disoccupazione.
Sono, altresì, ammessi ai richiamati trattamenti speciali i lavoratori frontalieri ai quali il contratto di lavoro non sia stato rinnovato per motivi economici, e comunque non imputabili ai lavoratori stessi, attestati da dichiarazione del datore di lavoro. Purtroppo la fine della validità dell'Accordo tra Italia e Svizzera nel 2009 ha posto significativi problemi. L'interruzione della contribuzione da parte svizzera e l'incremento delle difficoltà occupazionali connesse alla crisi economica in atto hanno infatti acuito le criticità di un sistema che deve essere monitorato necessariamente dal nostro Paese.
Proprio con tali finalità la proposta di legge in esame intende facilitare, senza dubbi interpretativi, l'utilizzo dell'apposita gestione con contabilità separata istituita presso l'INPS per l'erogazione dei trattamenti speciali di disoccupazione a favore dei lavoratori frontalieri italiani in Svizzera.
La corresponsione dei trattamenti speciali di disoccupazione, limitata all'esaurimento delle disponibilità della suddetta gestione, può rappresentare, infatti, una forma di ammortizzazione di significativa rilevanza. Secondo i dati che l'INPS ha confermato nella relazione tecnica inviata dal Governo alla Camera risultano residuare ancora all'interno di questa gestione circa 303 milioni di euro.
È questa la ragione che ha indotto la Commissione lavoro, di cui faccio parte, a definire un testo unico, che risulta sostanzialmente condiviso da tutti i gruppi e che si pone l'obiettivo di assicurare che le residue risorse disponibili nella gestione separata siano utilizzate effettivamente per i lavoratori che ne hanno diritto.
Siamo certi che il Governo, che pure ha manifestato, tramite la Ragioneria generale dello Stato, talune perplessità sulla copertura finanziaria, saprà comprendere lo spirito del provvedimento al nostro esame e vorrà sostenerlo, sulla base del presupposto che esso possa contribuire a determinare un giusto ristoro per questi lavoratori. Riteniamo, inoltre, che, dopo il parere che la Commissione bilancio renderà all'Assemblea, saranno fugati i dubbi sollevati dal Ministero dell'economia e delle finanze nella relazione tecnica trasmessa alla Commissione stessa.
D'altra parte, il Parlamento non può pensare di ignorare l'esigenza di intervenire quanto prima a salvaguardia dei lavoratori frontalieri italiani in Svizzera, che Pag. 43si trovano in condizioni di forte difficoltà a causa della sproporzione tra il loro sistema di ammortizzazione sociale e quello riconosciuto ai cittadini svizzeri, che risulta ardua da accettare in un periodo di crisi come quello che stiamo vivendo.
Procediamo, quindi, con celerità lungo questo percorso, sapendo che i trattamenti di disoccupazione per i nostri frontalieri - pur essendosi interrotte, come detto in precedenza, le rimesse da parte della Svizzera - sono comunque consentiti proprio in base alla legge n. 147 del 5 giugno 1997, fino a quando vi saranno disponibilità nella gestione separata dell'INPS, questo è chiaro. Considerato infatti che allo stato, in quella gestione, si registrano significative disponibilità finanziarie, mi auguro che il Governo non voglia assumersi la responsabilità politica di un'eventuale contrarietà al testo unificato definito dalla Commissione, celando, magari, l'intenzione di destinare ad altre finalità, non consentite dalla suddetta legge, le risorse esistenti.
Spero quindi che con un lavoro serio e approfondito, ma, allo stesso tempo, anche rapido, nel Comitato dei nove, la Commissione possa trovare le giuste soluzioni al problema della copertura finanziaria - che, sottolineo, pensiamo sia un falso problema - per consentire al Parlamento di arrivare al più presto alla definitiva approvazione del provvedimento in esame (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fugatti. Ne ha facoltà.

MAURIZIO FUGATTI. Signor Presidente, in base all'accordo sottoscritto a Berna il 12 dicembre 1978 tra Italia e Svizzera, reso esecutivo in Italia con il Decreto del Presidente della Repubblica n. 90 dell'8 febbraio 1980, ciascun Paese si è impegnato a versare annualmente all'altro, una parte, costituita da un montante forfettario, delle somme raccolte mediante contribuzione, in modo da permettere all'Italia la copertura del rischio di disoccupazione totale dei propri lavoratori in Svizzera e viceversa; il rischio della disoccupazione parziale resta, invece, a carico del Paese in cui il frontaliere lavora. Detto montante viene determinato annualmente in rapporto ai salari medi annui percepiti dai frontalieri, ai contributi versati dai lavoratori e dai datori di lavoro per l'assicurazione contro la disoccupazione, e alla proporzione tra disoccupazione totale e parziale, tenendo conto, per la determinazione di tale proporzione, della quota relativa ai frontalieri licenziati per motivi economici.
Con la legge n. 228 del 12 giugno 1984, è stata data attuazione al suddetto accordo e, successivamente, la legge n. 147 del 5 giugno 1997, è intervenuta a disciplinare organicamente la materia, superando, di fatto, la citata legge n. 228 del 1984, anche non abrogandola espressamente, tanto che questa continua a trovare applicazione per specifici aspetti, come, ad esempio, quelli relativi ai frontalieri italiani occupati in Svizzera con contratto di lavoro stagionale.
La vigente legge n. 147 del 5 giugno 1997, pertanto, disciplina i trattamenti speciali di disoccupazione in favore dei frontalieri italiani in Svizzera rimasti disoccupati a seguito della cessazione del rapporto di lavoro. In particolare, è riconosciuta ai lavoratori frontalieri italiani licenziati in Svizzera, a seguito della cessazione del rapporto di lavoro a loro non imputabile, il diritto alla corresponsione di un trattamento speciale di disoccupazione, erogato dall'INPS, nel caso in cui abbiano svolto in Svizzera un'attività soggetta a contribuzione secondo il regime ivi vigente di assicurazione contro la disoccupazione, per almeno un anno nei due anni antecedenti l'inizio dello stato di disoccupazione. Sono altresì ammessi, ai predetti trattamenti speciali, i lavoratori frontalieri ai quali il contratto di lavoro non sia stato rinnovato per motivi economici o, comunque, non imputabili ai lavoratori stessi, attestati da dichiarazione del datore di lavoro.
Il trattamento speciale di disoccupazione ha una durata massima di 360 giorni e l'importo giornaliero viene stabilito per Pag. 44ciascun anno dall'INPS, presso il quale è istituita, per l'intero periodo di validità dell'Accordo richiamato, un'apposita gestione con contabilità separata per l'erogazione dei trattamenti speciali di disoccupazione a favore dei lavoratori frontalieri italiani in Svizzera, finanziata dalla retrocessione da parte elvetica delle quote di contribuzione versate dai lavoratori. La corresponsione dei trattamenti speciali di disoccupazione è, comunque, limitata all'esaurimento delle disponibilità della citata gestione.
Il testo di legge in esame unifica tre diverse proposte di legge: la proposta di legge Atto Camera n. 3391, avanzata dalla Lega Nord, con primo firmatario l'onorevole Nicola Molteni e le proposte di legge Atto Camera n. 3392 e Atto Camera n. 3616. Sostanzialmente le tre proposte di legge contengono misure analoghe, volte a riaffermare il principio dell'utilizzazione della gestione separata istituita presso l'INPS per l'erogazione dei trattamenti speciali di disoccupazione a favore dei lavoratori frontalieri in Svizzera - esclusivamente al fine del pagamento dei trattamenti in favore dei lavoratori frontalieri italiani in Svizzera - e volte ad elevare la durata massima dell'erogazione del trattamento, attualmente fissata per un massimo di 360 giorni, a 18 mesi per i lavoratori tra i 50 e i 55 anni ed a 24 mesi per i lavoratori di età pari o superiore a 56 anni.
Questo testo unificato delle proposte di legge, dopo l'esame in sede referente nella Commissione lavoro e con il parere delle Commissioni affari costituzionali, affari esteri e bilancio, arriva in Aula in prima lettura su forte impulso della Lega, perché tutto parte dall'Atto Camera n. 3391, di iniziativa principale dell'onorevole Nicola Molteni. Noi auspichiamo che questo progetto di legge venga velocemente approvato dall'Aula, che poi passi al Senato, perché crediamo in questo modo di tenere conto in maniera importante delle problematiche dei lavoratori frontalieri italiani in Svizzera, ed auspichiamo che venga loro riconosciuto il trattamento speciale di disoccupazione.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Narducci. Ne ha facoltà.

FRANCO NARDUCCI. Signora Presidente, onorevoli colleghi, giovedì 1o marzo prossimo si riunirà il Consiglio europeo con all'ordine del giorno un tema scottante per l'intera Unione, cioè la situazione economica generale in Europa, un compito sicuramente gravoso, ma che potrebbe essere l'occasione buona per dare un segnale di fiducia alle popolazioni europee e per arginare lo scollamento tra istituzioni e cittadini prima che, come un fiume in piena, provochi danni pesantissimi.
Il lavoro è oggi la questione centrale e l'Unione europea è chiamata a risvegliarsi dall'«inverno del proprio scontento», facendo di più e meglio per aprire una reale prospettiva di crescita, creare nuove opportunità di lavoro e ridurre la disoccupazione, che in questo momento aumenta drammaticamente.
Questo testo unificato, che finalmente è stato incardinato in Aula, si prefigge di modificare la legge n. 147 del 5 giugno 1997, che regolamenta i trattamenti speciali di disoccupazione in favore dei lavoratori frontalieri italiani i quali, non per causa imputabile alla loro volontà, perdono il posto di lavoro; una legge, quella testé citata, che già all'epoca fu salutata con grande soddisfazione dai nostri lavoratori e dalle nostre lavoratrici occupati nella vicina Svizzera con lo status di frontalieri, ma che ora, a distanza di quasi 15 anni, ha bisogno di essere rivista, alla luce delle trasformazioni intervenute nel mercato del lavoro, ma anche del quadro normativo attuale, derivante dalle aperture fatte dalla Confederazione elvetica verso l'Unione europea. Nel 1994, infatti, non vi erano ancora gli Accordi bilaterali negoziati dalla Svizzera con l'UE e che, per esempio, hanno consentito l'introduzione della libera circolazione delle persone e l'adattamento della legislazione di sicurezza sociale svizzera a quella europea, relativamente al coordinamento e alla totalizzazione dei contributi previdenziali versati, nonché ad altri aspetti legislativi. Pag. 45
Anche la normativa riguardante i frontalieri, per quanto concerne il permesso di soggiorno e di lavoro, è stata modificata. Non vi è più l'obbligo di rientro giornaliero, bensì soltanto quello di rientro il fine settimana ed è cambiato radicalmente il concetto di mobilità.
In ogni caso sono tuttora in essere alcuni accordi negoziati a livello bilaterale, come quello del 3 ottobre 1974 relativo all'imposizione dei lavoratori frontalieri ed alla compensazione finanziaria a favore dei comuni italiani di confine, recepito successivamente nella Convenzione italo-svizzera del 9 marzo 1976, entrata in vigore il 27 marzo 1979. In conformità a tale Convenzione, la Svizzera ristora ai comuni italiani che ne hanno diritto una consistente quota, attualmente il 38,8 per cento delle imposte fiscali riscosse alla fonte sulle retribuzioni dei frontalieri. L'Accordo bilaterale sulla compensazione finanziaria in materia di assicurazione e disoccupazione dei frontalieri, come è stato detto del 12 dicembre 1978, per la retrocessione annuale all'INPS degli oneri prelevati sulla massa salariale dei frontalieri, sia la parte lavoratori che la parte datori di lavoro, ha invece terminato di produrre i suoi effetti nel 2009, come previsto dagli Accordi bilaterali tra l'Unione europea e la Svizzera in materia di libera circolazione e assicurazioni sociali. Secondo tali Accordi, infatti la Svizzera è tenuta a garantire l'esportazione delle indennità di disoccupazione per un periodo massimo di tre o cinque mesi e comunque una volta sola tra due periodi di lavoro, a favore dei cittadini comunitari caduti in disoccupazione in Svizzera che intendono cercare lavoro in un altro Paese dell'Unione europea. Purtroppo questa norma non si applica ai frontalieri. Con la retrocessione di detti oneri è stato alimentato il Fondo di riserva per finanziare la legge 5 giugno 1997, n. 147 gestito dall'INPS con contabilità separata, e che stante lo stato di previsione stimato per il 2011 come hanno sottolineato i colleghi che mi hanno preceduto ammonta a 303.695.487 euro, quindi un vero e proprio tesoretto.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, la «Chernobyl» finanziaria che ha colpito il sistema economico mondiale causando una crisi disastrosa, ha manifestato i suoi riflessi anche in Svizzera ed ha introdotto un aumento della disoccupazione. Nei cantoni confinanti con l'Italia si assiste ad un fenomeno divergente rispetto al trend generale che caratterizza il mercato del lavoro. Mentre il settore turistico e alberghiero - dove ci sono molti lavoratori e lavoratrici frontalieri - sta perdendo posti di lavoro in gran numero a causa soprattutto del franco svizzero molto apprezzato rispetto all'euro, in altri comparti, ad esempio nell'edilizia, si registra una trend occupazionale tutto sommato equilibrato, se non in crescita. Tutto ciò ha comportato un maggior ricorso alla forza lavoro proveniente dalla vicina Italia, ma è evidente che si tratta di un fenomeno fortemente stagionale, indotto anche dalla pressione sui salari. Resta il fatto che i lavoratori frontalieri sono fortemente svantaggiati rispetto ai lavoratori residenti in Svizzera, svizzeri o immigrati. I frontalieri, pur essendo assoggettati allo stesso prelievo sul salario, non possono utilizzare gli ammortizzatori sociali svizzeri che in caso di disoccupazione assicurano un'indennità pari al 70 o all'80 per cento del salario lordo, a seconda se si hanno figli a carico o meno e il diritto a tale indennità varia da 200 a 400 giornate lavorative se l'assicurato, in base all'età e al periodo dei contributi versati nell'arco degli ultimi due anni antecedenti la disoccupazione, non supera l'età di 55 anni; concerne 520 giornate lavorative se l'assicurato può comprovare un periodo di contribuzione di 18 mesi e un'età minima di 55 anni, oppure se ha inoltrato richiesta di rendita di invalidità alla rispettiva assicurazione o ad altra assicurazione sugli infortuni obbligatoria. Quindi, si vede che c'è una disparità enorme: gli stessi lavoratori che versano gli stessi oneri sociali all'istituto assicurante hanno però dei trattamenti estremamente diseguali.
Il lavoro frontaliero, questo va detto, costituisce un'importante realtà sia per la Svizzera che per l'Italia e rappresenta un Pag. 46canale di sbocco lavorativo importantissimo per i lavoratori dei comuni italiani della fascia alpina, che meritano tutta la nostra considerazione, se non altro per la dimensione numerica che rappresentano.
Parliamo, infatti, di circa 55 mila posti di lavoro. Purtroppo, questo segmento di lavoro è anche quello più esposto alle variazioni congiunturali dell'economia svizzera e ne risente immediatamente gli effetti, sia in positivo che in negativo. A fine 2009, secondo i dati dell'Organizzazione cristiano-sociale ticinese, i lavoratori frontalieri che hanno perso il posto di lavoro sono stati il 40-50 per cento in più rispetto al corrispondente periodo del 2008. Così come ha affermato il relatore, questi fatti stanno a testimoniare l'importanza del testo unificato delle proposte di legge oggi in discussione. Nel provvedimento al nostro esame si prevede la modifica di alcune prestazioni concernenti il trattamento di disoccupazione speciale in favore dei lavoratori frontalieri italiani che perdono l'impiego in Svizzera. Mentre nella legge n. 147 del 1997 veniva previsto un periodo di indennizzo di 12 mesi e un importo dell'indennità compreso tra il 25 e il 50 per cento del salario medio percepito nell'ultimo anno di lavoro in Svizzera, nel testo unificato delle proposte di legge in discussione oggi la durata massima dell'erogazione del trattamento è di 18 mesi per i lavoratori di età compresa tra i 50 e i 55 anni e di 24 mesi per lavoratori con 56 anni di età ed oltre. Occorre ricordare che questa indennità costituisce l'unica forma di ammortizzatore sociale dei lavoratori frontalieri e che in questi ultimi anni si è abbassata drammaticamente l'età critica in cui, se si perde il posto di lavoro, vi sono grandi difficoltà a ritrovarlo. Inoltre, il fenomeno degli over 50 riguarda ora gli over 45, tanto che nel settore dell'edilizia in Svizzera è stata introdotta una rendita ponte, gestita dalle parti sociali, senza nessun contributo dello Stato, che consente ai lavoratori edili di andare in pensione a sessant'anni.
Inoltre, nel provvedimento in esame si prevede l'utilizzo dei fondi della gestione separata istituita presso l'INPS - quei famosi 304 milioni che sono stati più volte richiamati - per l'erogazione dei trattamenti speciali ai fini esclusivi del pagamento dei trattamenti in favore dei lavoratori frontalieri italiani in Svizzera. In Italia, secondo i dati dell'ISTAT, si registra un rilevante e preoccupante aumento della disoccupazione di lunga durata, tanto che oltre il 48,5 per cento dei disoccupati resta tale per più di un anno, se non per più anni. Non possiamo dimenticare i lavoratori frontalieri che hanno alimentato, con i loro salari, il fondo di riserva presso l'INPS e contribuiscono ad alleviare il peso della disoccupazione sul nostro sistema di welfare andando a cercare un lavoro nella vicina Svizzera.
Credo che si tratti di accelerare. Mi rivolgo al rappresentante del Governo per sollecitarne l'attenzione relativamente ad un aspetto che riguarda il fondo riserva e ne allungherebbe notevolmente l'esistenza. Mi riferisco al negoziato a livello europeo per la sostituzione del regolamento CEE n. 1408/71 con una nuova regolamentazione dei trattamenti di disoccupazione nell'ambito dell'Unione europea. Si tratta di accelerare la ratifica del nuovo regolamento CE n. 883/2004 che si applicherebbe anche ai frontalieri e comporterebbe, da parte svizzera, il pagamento dei primi 3-5 mesi di disoccupazione e soltanto dopo scatterebbe la copertura tramite il fondo di riserva disciplinato dalla legge n. 147 del 1997. Credo che non sfugga a nessuno, considerando le dinamiche del mercato del lavoro, che in tal modo si garantirebbe una più lunga sopravvivenza del fondo di riserva. Penso che assicurare la destinazione dei soldi versati dai frontalieri per la copertura dei trattamenti di disoccupazione da loro stessi destinati sia prima di tutto una questione di giustizia, oltre che un dovere. Per queste ragioni il gruppo del Partito Democratico, che ha presentato una propria proposta di legge confluita nel testo unico, voterà a favore di questo provvedimento. Pag. 47
Signora Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Narducci, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti. È iscritto a parlare l'onorevole Paladini. Ne ha facoltà.

GIOVANNI PALADINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, tutte le proposte di legge presentate si componevano di quattro articoli, prima naturalmente di confluire in un testo unificato. Si collegano, quindi, alla legge 5 giugno 1997, n. 147, che disciplina i trattamenti speciali di disoccupazione a favore dei lavoratori frontalieri italiani in Svizzera rimasti disoccupati a seguito della cessazione del rapporto di lavoro. La materia dell'indennità di disoccupazione per i lavoratori frontalieri che lavorano in Svizzera è stata disciplinata dall'Accordo di Berna tra Italia e Svizzera del 12 dicembre 1978, reso esecutivo dal decreto del Presidente della Repubblica 8 febbraio 1980, n. 90. Tale accordo regola la retrocessione finanziaria in materia di indennità di disoccupazione per i lavoratori frontalieri, stabilendo che ciascun Paese versi annualmente all'altro un montante forfettario costituito da somme raccolte mediante contribuzione, in modo da permettere all'Italia la copertura del rischio di disoccupazione dei propri lavoratori in Svizzera e viceversa. Vale naturalmente per entrambi i Paesi.
Nello specifico i lavoratori frontalieri sono assoggettati ad una trattenuta mensile sul salario percepito in Svizzera che poi è parzialmente trasferita dalla Svizzera all'INPS su una contabilità separata destinata al pagamento dell'indennità di disoccupazione. Il rischio della disoccupazione parziale resta invece a carico direttamente del Paese in cui il frontaliero lavora. Il montante forfettario è stabilito annualmente in rapporto ai salari medi annui percepiti dai frontalieri e ai contributi versati da lavoratori o datori di lavoro per l'assicurazione contro la disoccupazione. È chiaro che, oltre alla proporzione tra disoccupazione totale e parziale, si tiene conto anche della proporzione della quota relativa ai frontalieri licenziati per motivi economici.
Signor Presidente, il numero dei lavoratori frontalieri italiani in Svizzera è circa di 50 mila unità, con un forte aumento degli addetti alle attività di servizio che comprendono tutti i lavoratori frontalieri interinali, ai quali tuttavia non è garantito un reddito nei periodi di inattività mentre, per contro, si registra un netto calo degli occupati nei settori tradizionali dell'industria, della manifattura e dell'edilizia. A livello europeo è in corso da tempo un dibattito su analoghe proposte che sono finalizzate ad omogeneizzare i trattamenti in tutte le realtà simili esistenti nel continente.
Da una breve ricerca sulla stampa emerge che i lavoratori frontalieri italiani stanno vivendo una dura fase di aggressione politica, certe volte anche a sfondo xenofobo, promossa in particolare, dal Partito autonomista ticinese. La ratio degli interventi che dovrebbero essere fatti anche con questa normativa, evidenza soprattutto due fatti: dal 1o giugno 2009, secondo una disposizione contenuta negli Accordi bilaterali tra Svizzera e Unione europea, la Svizzera ha concluso il trasferimento all'INPS dei contributi sopra illustrati, in linea con quanto stabilito dal Trattato sulla libera circolazione delle persone e l'introduzione dell'esportabilità dell'indennità di disoccupazione. In sostanza, la Svizzera non è più tenuta a versare all'Italia una parte dei contributi per la disoccupazione tuttora prelevati sui salari che i lavoratori frontalieri invece avevano evidenziato. La nuova prassi coincide con un momento estremamente difficile del mercato del lavoro svizzero, che ha perso un consistente numero di posti di lavoro e conseguentemente ha visto aumentare anche lì, ahimè, la disoccupazione, che non è solamente in Italia.
Vi è dunque il diverso trattamento riservato ai frontalieri italiani che non possono accedere ai medesimi benefici riconosciuti ai lavoratori oltreconfine e in tempi recenti c'è stato qualche tentativo di Pag. 48sottrarre ai lavoratori frontalieri parte delle risorse previste dalla legislazione vigente. I lavoratori frontalieri in Italia in stato di disoccupazione, anche dopo l'interruzione del trasferimento dell'indennità di disoccupazione da parte elvetica, avranno garantite le prestazioni previste dalla legge n. 147 del 1997. Infatti la legge stabilisce che l'indennità speciale di disoccupazione sia erogata fino all'esaurimento delle risorse giacenti nel Fondo di gestione separato dell'INPS. Le iniziative anti-crisi del Governo svizzero hanno favorito il ricorso all'indennità per il lavoro ridotto, una specie di cassa integrazione svizzera utilizzabile anche dai lavoratori frontalieri, un intervento che per molti mesi ha reso meno gravoso il numero dei licenziamenti. L'indennità però del lavoro ridotto è tuttavia limitata nel tempo e si deve sottolineare la tendenza da parte delle imprese ad utilizzare il ricorso al lavoro ridotto per ristrutturarsi, un'operazione che di regola comporta una riduzione permanente degli effettivi. La scadenza di molti trattamenti di cassa integrazione ha accelerato tali processi e negli ultimi mesi soltanto una forte inversione del trend negativo potrebbe ridare fiato all'occupazione, ma per ora di tale inversione non vi sono segnali.
Anche i dati che abbiamo raccolto nei diversi uffici dei sindacati, dell'organizzazione cristiano-sociale ticinese, evidenziano un consistente aumento di lavoratori frontalieri che hanno perso il posto di lavoro e che è quantificabile in una perdita di un incremento del 40-50 per cento in più rispetto al corrispondente periodo dell'anno precedente. La legge n. 147 del 1997 prevede per i lavoratori licenziati in Svizzera divenuti disoccupati a seguito di cessazione del rapporto non a loro imputabile un periodo di indennizzo di 12 mesi e un importo dell'indennità compreso tra il 25 per cento e il 50 per cento del salario medio percepito nell'ultimo anno di lavoro in Svizzera.
Questo provvedimento - al quale siamo favorevoli -, si compone appunto di articoli importanti quali quello relativo alla gestione separata istituita presso l'INPS per l'erogazione di trattamenti speciali e mi riferisco anche alla normativa che riguarda la problematica della mobilità dei lavoratori, a tutte le proposte di legge sull'erogazione del trattamento, anche con riferimento all'inserimento nelle liste della mobilità e via dicendo; mi auguro che il contenuto del testo, che affronta naturalmente anche le problematiche in ordine ai periodi di malattia e infortunio e altre tematiche che sono inserite nel testo, abbia l'evidente volontà di preoccuparsi della problematica dei frontalieri, cosa che fino ad oggi naturalmente era stata vista in maniera diversa. Quindi, l'impegno di tutti i partiti e dei gruppi in Commissione ha evidenziato un interesse molto forte per i frontalieri, che rappresentano un tema da affrontare con grande evidenza. Successivamente svolgerò la mia dichiarazione di voto, ma in sede di discussione sulle linee generali ci tenevo che la questione fosse evidenziata nei giusti termini (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Di Biagio. Ne ha facoltà.

ALDO DI BIAGIO. Signor Presidente e signor viceministro, svolgo alcune brevissime considerazioni per esprimere una personale soddisfazione, oltre a quella del mio gruppo, per l'attenzione che quest'Aula ed il Governo stanno dedicando oggi alle criticità dei lavoratori frontalieri italiani in Svizzera, un tema complesso ma molto sentito, sul quale ho avuto modo, con il collega Narducci, di collaborare in riunioni e tavoli tecnici presso il Ministero dell'economia e in altre sedi istituzionali, attraverso cui ci è stato possibile comprendere il problema ed auspicare una soluzione, soluzione che oggi trova una sede compiuta e condivisa nel testo unificato che ci accingiamo a discutere e a votare. Voglio ringraziare personalmente i propositori. Sappiamo quanto difficile sia la situazione di questi lavoratori, sul cui status previdenziale e contributivo esistono purtroppo evidenti lacune nel nostro ordinamento, che merita di essere colmata, considerando il carattere particolare della Pag. 49configurazione normativa del profilo lavorativo degli stessi. La rettifica di tale anomalia, sebbene sia rimandata nel tempo, al momento risulta non più differibile, considerando l'attuale congiuntura economica e tenendo anche conto che i nostri concittadini impiegati in terra svizzera sono paradossalmente i primi a perdere il lavoro e a trovarsi in situazioni di precaria incertezza. Sappiamo anche che tale circostanza interessa un notevole numero di connazionali, influenzando in maniera determinante lo sviluppo economico e occupazionale dei comuni ai confini con la Svizzera, una situazione che necessita di trovare un'adeguata soluzione e che oggi, grazie ad un lavoro serio e condiviso, approda finalmente alla valutazione di quest'Aula. Desidero quindi esprimere il mio apprezzamento per il lavoro dei colleghi in Commissione e spero che l'impegno speso nella definizione di questo testo trovi il massimo appoggio dell'Aula e la dovuta attenzione che merita, a favore dei tanti cittadini italiani che aspettano da noi risposte concrete. Noi di Futuro e Libertà faremo la nostra parte (Applausi).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, poiché tutti gli interventi sono stati più brevi del solito, siete ovviamente tutti autorizzati a consegnare il testo scritto, qualora lo desideriate.
Prendo atto che l'onorevole Giammanco ne fa richiesta.
La Presidenza pertanto autorizza, sulla base dei criteri costantemente seguiti, la pubblicazione in calce al resoconto del testo integrale del suo intervento.
Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 3391-A ed abbinate)

PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore ed il Governo rinunziano alla replica.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Martedì 28 febbraio 2012, alle 10,30:

1. - Informativa urgente del Governo sulle recenti vicende della compagnia di navigazione Tirrenia, con particolare riferimento alla questione dei collegamenti da e per la Sardegna.

(ore 15)

2. - Seguito della discussione delle mozioni Zamparutti ed altri n. 1-00760, Braga ed altri n. 1-00877, Libè, Di Biagio ed altri n. 1-00878, Dussin ed altri n. 1-00879, Mosella ed altri 1-00885, Misiti ed altri n. 1-00886, Scilipoti ed altri n. 1-00889, Ghiglia ed altri n. 1-00890 e Piffari ed altri n. 1-00891 concernenti interventi per la difesa del suolo.

3. - Seguito della discussione delle mozioni Forcolin ed altri n. 1-00873, Fluvi ed altri n. 1-00882, Borghesi ed altri n. 1-00883, Bernardo ed altri n. 1-00884, Galletti, Della Vedova ed altri n. 1-00888 e Cesario ed altri n. 1-00892 concernenti l'applicabilità degli studi di settore in relazione al nuovo regime dei contribuenti minimi.

4. - Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge:
ANGELI; PISICCHIO; D'IPPOLITO VITALE e CARLUCCI; RENATO FARINA ed altri: Norme per favorire l'inserimento lavorativo dei detenuti (C. 124-859-937-3010-A).
- Relatore: Mosca.

5. - Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge:
NICOLA MOLTENI ed altri; VOLONTÈ ed altri; NARDUCCI ed altri: Modifiche alla legge 5 giugno 1997, n. 147, Pag. 50concernenti la durata dei trattamenti speciali di disoccupazione in favore dei lavoratori frontalieri italiani in Svizzera rimasti disoccupati a seguito della cessazione del rapporto di lavoro (C. 3391-3392-3616-A).
- Relatore: Fedriga.

6. - Discussione delle mozioni Di Stanislao ed altri n. 1-00781, Pezzotta, Sarubbi ed altri n. 1-00408, Gidoni ed altri 1-00861 e Porfidia ed altri 1-00862 sulla riduzione e razionalizzazione delle spese militari, con particolare riferimento al blocco del programma per la produzione e l'acquisto dei cacciabombardieri Joint Strike Fighter (JSF) F-35.

La seduta termina alle 19,25.

TESTO INTEGRALE DEGLI INTERVENTI DEI DEPUTATI FRANCO NARDUCCI E GABRIELLA GIAMMANCO IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL TESTO UNIFICATO DELLE PROPOSTE DI LEGGE NN. 3391-3392-3616-A

FRANCO NARDUCCI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, giovedì 1o marzo prossimo si riunirà il Consiglio europeo con all'ordine del giorno un tema scottante per l'intera Unione, cioè la situazione economica generale in Europa. Un compito sicuramente gravoso ma che potrebbe essere l'occasione buona per dare un segnale di fiducia alle popolazioni europee e per arginare lo scollamento tra istituzioni e cittadini prima che come un fiume in piena provochi danni pesantissimi. Il lavoro è oggi la questione centrale e l'Unione europea è chiamata a risvegliarsi dall'inverno del proprio scontento facendo di più e meglio per aprire una reale prospettiva di crescita, creare nuove opportunità di lavoro e ridurre la disoccupazione che in questo momento aumenta drammaticamente.
Questa proposta di legge che finalmente è stata incardinata in aula, si prefigge di modificare la legge n. 147 del 5 giugno 1997 che regolamenta i trattamenti speciali di disoccupazione in favore dei frontalieri italiani che non per causa imputabile alla loro volontà perdono il lavoro in Svizzera.
Una legge, quella testé citata, che già all'epoca fu salutata con grande soddisfazione dai nostri lavoratori e dalle nostre lavoratrici occupati nella vicina Svizzera con lo status di frontalieri, ma che ora, a distanza di quasi quindici anni, ha bisogno di essere rivista alla luce delle trasformazioni intervenute nel mercato del lavoro ma anche del quadro normativo attuale, derivante dalle aperture fatte dalla Confederazione elvetica verso l'Unione Europea. Nel 1994, infatti, non vi erano ancora gli accordi bilaterali negoziati dalla Svizzera con l'Unione Europea e che, per esempio, hanno consentito l'introduzione della libera circolazione delle persone, l'adattamento della legislazione di sicurezza sociale svizzera a quella europea relativamente al coordinamento e alla totalizzazione dei contributi previdenziali versati, nonché ad altri aspetti legislativi.
Anche la normativa riguardante i frontalieri - relativamente a permesso di soggiorno e di lavoro - è stata modificata: non vi è più l'obbligo di rientro giornaliero bensì soltanto quello di rientro il fine settimana ed è cambiato radicalmente il concetto di «mobilità».
In ogni caso sono tuttora in essere alcuni accordi negoziati a livello bilaterale come quello del 3 ottobre 1974 relativo «all'imposizione dei lavoratori frontalieri ed alla compensazione finanziaria a favore dei Comuni italiani di confine», recepito successivamente nella Convenzione italo-svizzera del 9 marzo 1976, entrata in vigore il 27 marzo 1979. In conformità a tale Convenzione la Svizzera ristorna ai comuni italiani che ne hanno diritto una consistente quota (attualmente il 38,8 per cento) delle imposte fiscali riscosse alla fonte sulle retribuzioni dei frontalieri.
L'Accordo bilaterale sulla compensazione finanziaria in materia di assicurazione disoccupazione frontalieri del 12 dicembre 1978 per la retrocessione annuale all'INPS degli oneri prelevati sulla Pag. 51massa salariale dei frontalieri (parte lavoratori e parte datori di lavoro) ha invece terminato di produrre i suoi effetti nel 2009, come previsto dagli accordi bilaterali tra l'Unione Europea e la Svizzera in materia di libera circolazione e assicurazioni sociali. Secondo tali accordi, infatti, la Svizzera è tenuta a garantire l'esportazione delle indennità di disoccupazione, per un periodo massimo di 3-5 mesi e comunque una volta sola tra due periodi di lavoro, a favore dei cittadini comunitari caduti in disoccupazione in Svizzera e che intendono cercare lavoro in un altro paese dell'Unione Europea. Con la retrocessione di detti oneri è stato alimentato il fondo di riserva per finanziare la legge n. 147 del 5 giugno 1997, gestito dall'INPS con contabilità separata e che stante lo stato di previsione stimato per il 2011 ammonta a euro 303.695.487,55.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, la «Chernobil finanziaria» che ha colpito il sistema economico mondiale, causando una crisi disastrosa, ha manifestato i suoi riflessi anche in Svizzera ed ha prodotto un aumento della disoccupazione.
Nei Cantoni confinanti con l'Italia si assiste ad un fenomeno divergente rispetto al trend generale che caratterizza il mercato del lavoro; mentre il settore turistico e alberghiero sta perdendo posti di lavoro, a causa soprattutto del Franco svizzero molto apprezzato rispetto all'euro, in altri comparti, per esempio nell'edilizia, si registra un trend occupazionale tutto sommato equilibrato se non in crescita. Tutto ciò ha comportato un maggior ricorso alla forza lavoro proveniente dalla vicina Italia, ma è evidente che si tratta di un fenomeno stagionale e indotto anche dalla pressione sui salari.
Resta il fatto che i lavoratori frontalieri sono fortemente svantaggiati rispetto ai lavoratori residenti, svizzeri o immigrati; i frontalieri, pur essendo assoggettati allo stesso prelievo sul salario, non possono utilizzare gli ammortizzatori sociali svizzeri che in caso di disoccupazione assicurano un'indennità pari al 70 o all'80 per cento del salario lordo e il diritto a tale indennità varia da 200 a 400 giornate lavorative se l'assicurato, in base all'età e al periodo dei contributi versati nell'arco degli ultimi due anni antecedenti la disoccupazione e non supera l'età di 55 anni; 520 giornate lavorative se può comprovare un periodo di contribuzione di 18 mesi e un'età minima di 55 anni e più, oppure se ha inoltrato richiesta di rendita d'invalidità all'AI o ad altra assicurazione infortuni obbligatoria.
Il lavoro frontaliero costituisce un'importante realtà sia per la Svizzera sia per l'Italia e rappresenta un canale di sbocco lavorativo importantissimo per i lavoratori dei comuni italiani della fascia alpina, che meritano tutta la nostra considerazione se non per altro per la dimensione numerica: parliamo infatti di circa 55 mila posti di lavoro! Purtroppo questo segmento di lavoro è anche quello più esposto alle variazioni congiunturali dell'economia svizzera e ne risente immediatamente gli effetti sia in positivo che in negativo. A fine 2009, secondo i dati dell'Organizzazione cristiano-sociale ticinese, i lavoratori frontalieri che hanno perso il posto di lavoro sono stati il 40-50 per cento in più rispetto al corrispondente periodo del 2008. Questi fatti stanno a testimoniare l'importanza della proposta di legge oggi in discussione.
In tale proposta di legge si prevede la modifica di alcune prestazioni concernenti il trattamento di disoccupazione speciale in favore dei lavoratori frontalieri italiani che perdono l'impiego in Svizzera. Mentre nella legge n. 147 del 1997 veniva previsto un periodo di indennizzo di dodici mesi e un importo dell'indennità compreso tra il 25 e il 50 per cento del salario medio percepito nell'ultimo anno di lavoro in Svizzera, nel disegno di legge in discussione oggi la durata massima dell'erogazione del trattamento è di 18 mesi per i lavoratori di età compresa tra 50 e 55 anni e di 24 mesi per i lavoratori con «56 anni di età e oltre».
Occorre ricordare che questa indennità costituisce l'unica forma di ammortizzatore sociale dei lavoratori frontalieri e che in questi ultimi anni si è abbassata drammaticamente l'età critica in cui se si perde il posto di lavoro vi sono grandi difficoltà Pag. 52a ritrovarlo e il fenomeno degli over 50 riguarda ora gli over 45. Tanto che nel settore dell'edilizia dove più elevato è il grado di usura fisica, è stata introdotta una rendita ponte gestita dalle parti sociali, senza nessuno contributo dello Stato, che consente ai lavoratori edili di andare in pensione a 60 anni.
Inoltre nella proposta di legge in esame si prevede l'utilizzo dei fondi della gestione separata istituita presso l'INPS, quei 304 milioni circa di cui prima, per l'erogazione dei trattamenti speciali ai fini esclusivi del pagamento dei trattamenti in favore dei lavoratori frontalieri italiani in Svizzera.
In Italia dove, secondo i dati dell'Istat, si registra un rilevante e preoccupante aumento della disoccupazione di lunga durata, tanto che oltre il 48,5 per cento dei disoccupati resta tale per più di un anno se non per più anni, non possiamo dimenticare i lavoratori frontalieri che hanno alimentato con i loro salari il fondo di riserva presso l'Inps e contribuiscono ad alleviare il peso della disoccupazione sul nostro sistema di welfare andando a cercare lavoro nella vicina Svizzera.
Considerando che, secondo le previsioni dell'OCSE, l'economia italiana rimarrà in recessione sia nel 2012 sia nel 2013, riteniamo che il sistema di sicurezza sociale debba andare incontro ai frontalieri in difficoltà, utilizzando, tra l'altro, quei fondi ancora disponibili che dovrebbero essere di diritto loro destinati e che la Svizzera ha versato all'INPS fino all'anno scorso con riferimento al 2010. Questo fondo di riserva dovrebbe essere utilizzato esclusivamente «al fine del pagamento dei trattamenti speciali di disoccupazione in favore dei lavoratori frontalieri italiani in Svizzera», come risulta dall'emendamento approvato in Commissione lavoro. Si tratta dunque di una destinazione d'uso che non esclude la copertura dei costi amministrativi derivanti all'Inps, che per altro ha sempre fatto valere.
Signor Presidente, mi rivolgo al rappresentante del Governo per sollecitare la sua attenzione relativamente ad un aspetto che riguarda il fondo di riserva e ne allungherebbe notevolmente l'esistenza. Mi riferisco al negoziato a livello europeo per la sostituzione del Regolamento 1408 con una nuova regolamentazione dei trattamenti di disoccupazione in ambito Unione europea.
Si tratta di accelerare la ratifica del nuovo Regolamento 883 che si applicherebbe anche ai frontalieri e comporterebbe da parte svizzera il pagamento dei primi 3-5 mesi di disoccupazione e soltanto dopo scatterebbe la copertura tramite il fondo di riserva disciplinato dalla legge 5 giugno 1997, n. 147. Credo che non sfugga a nessuno, considerando le dinamiche del mercato del lavoro, che in tal modo si garantirebbe una più lunga la sopravvivenza del fondo di riserva.
Penso che assicurare la destinazione dei soldi versati dai frontalieri per la copertura dei trattamenti di disoccupazione a loro stessi destinati sia prima di tutto una questione di giustizia oltre che un dovere, e per queste ragioni il gruppo del Partito Democratico voterà a favore di questo provvedimento.

GABRIELLA GIAMMANCO. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, il gruppo del Popolo della Libertà, in Commissione lavoro, ha votato a favore del provvedimento oggi in discussione, che mira a tutelare i lavoratori frontalieri italiani in Svizzera.
Si tratta di un progetto di legge che condividiamo, perché è diretto a rafforzare quelle misure di sostegno al reddito che abbiamo il dovere di garantire ai nostri connazionali, specie se essi - a causa di una concorrenza spietata e di un dumping sociale sempre più aggressivo - sono rimasti disoccupati a seguito della cessazione di un rapporto di lavoro.
Ricordo brevemente che con l'Accordo sottoscritto a Berna il 12 dicembre 1978 tra Italia e Svizzera e reso esecutivo in Italia con decreto del Presidente della Repubblica 8 febbraio 1980, n. 90, è stata disciplinata la retrocessione finanziaria in Pag. 53materia di indennità di disoccupazione per i lavoratori frontalieri: in base all'Accordo, ciascun Paese si è impegnato a versare annualmente all'altro una parte delle somme raccolte mediante contribuzione, in modo da permettere all'Italia la copertura del rischio di disoccupazione totale dei propri lavoratori in Svizzera e viceversa.
La legge 5 giugno 1997, n. 147, che è intervenuta a disciplinare organicamente la materia, esplica ancora i propri effetti e prevede che i lavoratori frontalieri italiani licenziati in Svizzera, a seguito della cessazione del rapporto di lavoro a loro non imputabile, mantengono il diritto alla corresponsione di un trattamento speciale di disoccupazione, erogato dall'INPS, nel caso in cui abbiano svolto in quel Paese un'attività soggetta a contribuzione, secondo il regime ivi vigente di assicurazione contro la disoccupazione, per almeno un anno nei due anni precedenti l'inizio dello stato di disoccupazione. Sono altresì ammessi ai richiamati trattamenti speciali i lavoratori frontalieri ai quali il contratto di lavoro non sia stato rinnovato per motivi economici, e comunque non imputabili ai lavoratori stessi, attestati da dichiarazione del datore di lavoro.
Purtroppo, la fine della validità dell'Accordo Italia-Svizzera, nel 2009, ha posto significativi problemi: l'interruzione della contribuzione da parte svizzera e l'incremento delle difficoltà occupazionali connesse alla crisi economica in atto hanno, infatti, acuito le criticità di un sistema che deve essere monitorato dal nostro Paese.
Proprio con tali finalità, la proposta di legge in esame intende «facilitare», senza dubbi interpretativi, l'utilizzo della apposita gestione con contabilità separata istituita presso l'INPS per l'erogazione dei trattamenti speciali di disoccupazione a favore dei lavoratori frontalieri italiani in Svizzera: la corresponsione dei trattamenti speciali di disoccupazione, limitata all'esaurimento delle disponibilità della suddetta gestione, può rappresentare, infatti, una forma di ammortizzazione di significativa rilevanza.
Secondo i dati che l'INPS ha confermato nella relazione tecnica inviata dal Governo alla Camera, risultano residuare ancora, all'interno di questa gestione, circa 303 milioni di euro.
È questa la ragione che ha indotto la Commissione lavoro di cui faccio parte a definire un testo unico che risulta sostanzialmente condiviso da tutti i gruppi e che si pone l'obiettivo di assicurare che le residue risorse disponibili nella gestione separata siano utilizzate per i lavoratori che ne hanno diritto.
Siamo certi che il Governo - che pure ha manifestato, per il tramite della Ragioneria generale dello Stato, talune perplessità sulle coperture finanziarie - saprà comprendere lo spirito del provvedimento al nostro esame e vorrà sostenerlo, nel presupposto che esso possa contribuire a determinare un giusto ristoro a questi lavoratori.
Riteniamo, inoltre che, dopo il parere che la Commissione Bilancio renderà all'Assemblea saranno fugati i dubbi che sono stati esposti dal Ministero dell'economia e delle finanze nella relazione tecnica trasmessa alla Commissione stessa.
D'altra parte, il Parlamento non può pensare di ignorare l'esigenza di intervenire quanto prima a salvaguardia dei lavoratori frontalieri italiani in Svizzera, che si trovano in condizioni di forte difficoltà a causa della sproporzione tra il loro sistema di ammortizzazione sociale e quello riconosciuto ai cittadini svizzeri, che risulta ardua da accettare in un periodo di crisi come quello attuale.
Procediamo, quindi, con celerità lungo questo percorso, sapendo che i trattamenti di disoccupazione per i nostri frontalieri - pur essendosi interrotte, come detto in precedenza, le rimesse da parte svizzera - sono comunque consentiti, proprio in base alla legge n. 147, fino a quando vi saranno disponibilità nella gestione separata dell'INPS: considerato, infatti, che allo stato in quella gestione si registrano significative disponibilità finanziarie, mi auguro che il Governo non voglia assumersi la responsabilità Pag. 54politica di una eventuale contrarietà al testo unificato definito dalla Commissione, nascondendo l'intenzione di destinare ad altre finalità, non consentite dalla legge, le risorse esistenti.
Spero, quindi, che, con un lavoro serio e approfondito - ma allo stesso tempo rapido - nel Comitato dei nove, la Commissione possa trovare le giuste soluzioni al più presto della copertura finanziaria che pensiamo essere un falso problema per consentire al Parlamento di arrivare al più presto alla definitiva approvazione del provvedimento in questione.