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Resoconto dell'Assemblea

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XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 570 di lunedì 16 gennaio 2012

Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROSY BINDI

La seduta comincia alle 16.05.

MICHELE PISACANE, Segretario, legge il processo verbale della seduta dell'11 gennaio 2012.

(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Alessandri, Bratti, Caparini, Cenni, Cicchitto, Colucci, Gianfranco Conte, D'Alema, Della Vedova, Donadi, Giancarlo Giorgetti, Leone, Lupi, Milanato, Moffa, Leoluca Orlando, Pecorella, Proietti Cosimi, Reguzzoni, Stefani, Stucchi e Volpi sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente ventisette, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Sull'ordine dei lavori (ore 16,10).

ROBERTO GIACHETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, non è questo il luogo per parlare della vicenda accaduta nei giorni scorsi e nelle ore scorse presso l'isola del Giglio: mi pare che siano già in corso due inchieste (una della magistratura ed una della capitaneria di porto) che ci faranno - spero rapidamente - sapere cosa è successo perché si realizzasse un evento così folle, credo che sia questo il giudizio che tutti noi esprimiamo avendo davanti agli occhi le immagini che le televisioni di tutto il mondo trasmettono. Quello che possiamo fare - e credo che questo lo potrà fare lei e il Parlamento nelle sue forme - è esprimere il nostro cordoglio per le vittime.
C'è un punto, tuttavia, sul quale credo che adesso sia utile, necessario e indispensabile intervenire per evitare che tale tragedia, che è già una tragedia, diventi una tragedia a tutto tondo: sappiamo bene che questa enorme nave affondata davanti all'isola del Giglio ha una quantità di carburante che non è fuoriuscita perché era stato fatto il pieno prima di partire da Civitavecchia, che è ancora tutto all'interno della nave. Noi, signor Presidente, chiediamo al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare - e nella fattispecie approfittiamo della presenza del sottosegretario Improta - tramite gli uffici della Presidenza, che venga in Aula a riferire su tutto quello che il Governo sta facendo per evitare che a questa tragedia si aggiunga anche una tragedia ambientale, che sarebbe certa se le notizie, che sono al momento vaghe, venissero confermate. Abbiamo sicuramente compreso che qualcosa è stato fatto, ma non abbiamo certezza del fatto Pag. 2che quell'aspetto sia effettivamente circoscritto e che la nave sia stata messa in sicurezza da quel punto di vista.
Quindi, la pregherei, signor Presidente, se è possibile, di chiedere al Governo di far sapere al più presto all'Assemblea che tipo di intervento è stato fatto e quale sia la situazione da questo punto di vista.

MARIO TASSONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARIO TASSONE. Signor Presidente, intervengo su questo stesso argomento. Anche noi, signor Presidente, chiediamo che il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare venga in Aula per farci conoscere le azioni messe in atto per evitare il disastro ambientale. Certamente il cordoglio, anche del gruppo dell'Unione di Centro, va alle vittime e ai loro familiari per una vicenda che ha dei risvolti un po'strani anche se qualche notizia è pervenuta e se qualche elemento chiarificatore - se così si può chiamare - ci è stato dato da parte dei mass-media.
Non c'è dubbio che, accanto al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ci dovrebbe essere anche il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti per riferire quali siano state le dinamiche che hanno provocato questo grande disastro, quali siano state le misure di prevenzione e soprattutto come sono state articolate e costruite le misure di soccorso anche per darci qualche notizia in più sullo stato dell'arte in ordine a tutti gli accertamenti tecnici (certamente verrà istituita un'apposita commissione) che vengono ad essere effettuati per avere un quadro preciso della dinamica del disastro.
Pertanto, signor Presidente, accanto alla richiesta della presenza del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, competente per una certa realtà, formulo anche la richiesta della presenza del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, visto e considerato che c'è stata una grande azione da parte della capitaneria di porto, della guardia costiera, dei vigili del fuoco e di tutte le forze di polizia.
Vorremmo capire, attraverso le dinamiche ma soprattutto le strumentazioni di accertamento di cui dispongono sia a bordo che a terra, perché si è determinata una situazione di questo genere.

PRESIDENTE. Riferirò al Presidente che non mancherà di sollecitare il Governo affinché venga in Aula a riferire sia per gli aspetti sottolineati dall'onorevole Giachetti che per quelli sottolineati dall'onorevole Tassone.

Discussione delle mozioni Garofalo ed altri n. 1-00704, Lo Monte ed altri n. 1-00699 e Belcastro, Moffa ed altri n. 1-00697 concernenti iniziative per lo sviluppo del sistema del trasporto ferroviario di persone e merci, con particolare riferimento al ripristino della priorità in ambito comunitario del Corridoio 1 Berlino-Palermo nella sua configurazione originaria (ore 16,15).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Garofalo ed altri n. 1-00704, Lo Monte ed altri n. 1-00699 e Belcastro, Moffa ed altri n. 1-00697 concernenti iniziative per lo sviluppo del sistema del trasporto ferroviario di persone e merci, con particolare riferimento al ripristino della priorità in ambito comunitario del Corridoio 1 Berlino-Palermo nella sua configurazione originaria (Vedi l'allegato A - Mozioni).
Ricordo che lo schema recante la ripartizione dei tempi per la discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
Avverto che sono state presentate le mozioni Donadi ed altri n. 1-00807 e Galletti ed altri n. 1-00812 che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente. I relativi testi sono in distribuzione (Vedi l'allegato A - Mozioni). Pag. 3
Avverto che sono state altresì presentate una nuova formulazione della mozione Garofalo ed altri n. 1-00704 e una nuova formulazione della mozione Belcastro ed altri n. 1-00697, che è stata sottoscritta anche dall'onorevole Brugger. I relativi testi sono in distribuzione (Vedi l'allegato A - Mozioni).
Avverto inoltre che gli onorevoli Moffa, D'Anna, Grassano, Gianni, Lehner, Marmo, Milo, Mottola, Nola, Orsini, Pionati, Pisacane, Razzi, Ruvolo, Sardelli, Scilipoti, Siliquini, Soglia, Stasi e Taddei hanno ritirato la propria firma dalla mozione Belcastro ed altri n. 1-00697 e contestualmente è stata presentata la mozione Moffa ed altri n. 1-00813, il cui testo in distribuzione (Vedi l'allegato A - Mozioni).

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritto a parlare l'onorevole Garofalo, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00704 (Nuova formulazione). Ne ha facoltà.

VINCENZO GAROFALO. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, assistiamo da anni all'interno del Paese all'aumento del divario in termini di infrastrutture e di servizi tra il nord e il sud, con notevole aggravio delle problematiche della mobilità in particolare nella regione Sicilia e nell'area dello stretto di Messina.
Il punto di partenza degli impegni che chiediamo a gran voce al nuovo Governo di assumere ed enucleati nell'atto di indirizzo che ci troviamo a discutere oggi è di intervenire in maniera energica e risoluta nei confronti del gruppo Ferrovie dello Stato Spa, di cui è azionista unico, per sospendere l'innegabile perpetuarsi di politiche di dismissione messe in atto in una parte del Paese. Il gruppo Ferrovie dello Stato Spa di recente, nonostante diriga vistosamente la propria azione solo verso una parte del Paese, ha assunto la derisoria denominazione di Ferrovie dello Stato italiane.
La costante e graduale riduzione, in termini quantitativi e qualitativi, del servizio di trasporto ferroviario viaggiatori a media e lunga percorrenza, diurno e notturno, dal nord verso il sud e viceversa, registratasi negli ultimi anni in funzione del progetto del gruppo Ferrovie dello Stato Spa di complessiva razionalizzazione ed efficientamento dei servizi e della rete, finalizzato alla contrazione dei costi, si sta, purtroppo, traducendo in un'operazione di vero e proprio smantellamento: la scarsità di ammodernamento dei servizi e della flotta navale, l'insufficienza di investimenti nella rete, la dismissione di attività ferroviarie ancora produttive con ricadute negative sui flussi di traffico passeggeri e merci, sulla competitività delle aree, sull'occupazione e sui flussi turistici sono irrazionalmente portate avanti in nome di un progetto di complessiva razionalizzazione dei servizi e della rete finalizzato unicamente alla contrazione dei costi.
Solo per citare alcuni esempi, affatto limpide sono le ragioni sottese dall'annunciata chiusura dell'Officina grandi riparazioni di Messina, la più grande realtà manutentiva di vetture ferroviarie della Sicilia, sempre in linea con gli obiettivi aziendali, che dovrebbe avvenire entro i prossimi trenta mesi, in conseguenza del ridisegnamento del reticolo manutentivo nazionale dal quale verrebbe esclusa proprio la realtà messinese, con l'utilizzo esclusivo delle infrastrutture industriali del nord, ufficialmente motivata dalla necessità di liberare le aree indispensabili per la costruzione del ponte sullo stretto, sebbene non vi sia chiarezza su quali siano le superfici realmente interessate dai futuri lavori e su quale sia la specifica destinazione d'uso delle aree in questione.
Ancora l'immotivata chiusura, realizzata alla fine del 2011, della sede di Messina della Italferr spa, società che espleta da anni con successo compiti di progettazione ed esecuzione delle linee ad alta velocità e capacità e degli itinerari e nodi ferroviari, ha comportato e continuerà Pag. 4a comportare notevoli disagi nonché danni economici ai qualificati soggetti che vi operano e alle loro famiglie costrette al trasferimento o a spostamenti continui.
Da ultimo, vi è la decisione, con l'entrata in vigore della nuova offerta ferroviaria 2011-2012 di Trenitalia, di riorganizzare l'offerta a media e lunga percorrenza notturna da e per la Sicilia, sopprimendo tutti i treni notte. È un tema che ha suscitato interventi critici da parte di amministratori di regioni e comuni, sia del nord sia del sud. Nelle varie risposte fornite nelle ultime settimane dal Governo, interrogato sulla questione, dalle rilevantissime ricadute sociali, è stato costantemente sottolineato che, negli ultimi dieci anni, in Italia la domanda relativa ai treni notturni è scesa del 66 per cento, con un picco del 20 per cento solo nell'ultimo anno, per effetto soprattutto delle vantaggiose condizioni e delle offerte concorrenziali delle compagnie aeree low cost e della velocizzazione dei servizi giorno a seguito dell'attivazione dell'alta velocità, che porta l'utenza a preferire questi ultimi, sia per il comfort di viaggio, sia per i tempi di percorrenza.
Tuttavia, riparandosi dietro lo scudo della logica aziendale e della mancata redditività di alcuni servizi, si finge di non considerare le reali cause che hanno condotto di fatto a tale situazione. Perché non si valuta l'assenza di ogni programmazione effettuata finora da Ferrovie dello Stato, finalizzata non già all'incremento, ma anche solo alla competitività e produttività del servizio ferroviario offerto in questi anni in Sicilia? Perché non si riflette sul fatto che l'offerta ferroviaria di media e lunga percorrenza da e per l'isola, ovviamente mai pubblicizzata - sfido a trovare una pubblicità - è stata solo di treni lenti, anche a causa delle spesso inutili fermate programmate, e che su molte linee ferroviarie, vetuste e prive di doppi binari, viaggiano convogli con carrozze vecchie e malridotte? Perché quindi non si dice chiaramente che Ferrovie dello Stato non ha fatto altro che scoraggiare indirettamente l'utenza? Perché non sono stati effettuati né pianificati interventi finalizzati alla modernizzazione della rete e tutti gli ingenti investimenti negli ultimi anni si sono concentrati solo sull'alta velocità e quindi solo fino a Napoli? Perché non si ragiona sul fatto che, se fossero state impiegate maggiori risorse per il miglioramento della rete e per il miglioramento del servizio, si sarebbe incentivato lo sviluppo del traffico passeggeri e, quindi, risolto il problema del bilancio? Ancora, il Ministro Passera ha dichiarato che si è provveduto ad una parziale rimodulazione dei servizi offerti, senza pregiudicare la possibilità da parte dell'utenza di raggiungere le destinazioni finali, assicurando il servizio sulle direttrici nord-sud del Paese con l'attestazione a Roma dei treni notturni provenienti o diretti in Sicilia, con il proseguimento del viaggio ad alta velocità e stabilendosi una speciale tariffa per l'utenza proveniente dalle regioni meridionali d'Italia, senza nessuna sostanziale variazione rispetto al costo attualmente sostenuto dagli utenti del servizio notte tradizionale e con indubbio vantaggio in termini di riduzione dei tempi di percorrenza.
Il risultato che oggi si registra, con l'offerta di tre relazioni di viaggio analoghe attestate a Roma, con treni di sole otto vetture a distanza di un'ora l'uno dall'altro, è, purtroppo, assai diverso da quello appena descritto: confermando le preoccupazioni paventate dai passeggeri e più volte denunciate, i prezzi dei biglietti per la percorrenza delle tratte sono lievitati, come anche i disagi per l'utenza, per lo più composta dai viaggiatori anziani, costretti, in piena notte a trasbordare, con bagagli al seguito, da un treno all'altro. Tali condizioni sarebbero di indubbio vantaggio? Per ciò che attiene alla riduzione dei tempi di percorrenza, come già detto, sarebbe stato sufficiente, ad esempio, ridurre il numero delle fermate dei treni notte soppressi. Purtroppo - lo ribadisco - ciò che sta accadendo dimostra che l'azione pubblica è ben lungi dal perseguire con ogni mezzo lo scopo della garanzia effettiva del diritto alla mobilità, quale strumento di coesione sociale, dei cittadini siciliani di fronte allo svantaggio Pag. 5dell'insularità, nonché della finalità dello sviluppo economico e sociale di un territorio per il quale dovrebbe essere garantita la continuità territoriale per un principio di equità. Purtroppo, si dimentica quanto affermato anche in sede europea nel regolamento CE n. 1371/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 ottobre 2007, relativo ai diritti e agli obblighi dei passeggeri nel trasporto ferroviario, che impone la tutela dei diritti dei passeggeri in quanto utenti del trasporto ferroviario, nonché il miglioramento della qualità e l'efficienza dei servizi di trasporto ferroviari di passeggeri per aiutare il trasporto su rotaia ad aumentare la sua quota di mercato rispetto ad altri modi di trasporto.
L'ultima questione, non certo per importanza, legata alla decisione di sopprimere i treni notte da e per la Sicilia, è quella relativa alla grave crisi occupazionale generata da tale scelta.
Dal comunicato diramato ufficialmente il 16 dicembre da Trenitalia Spa si legge di circa 1.700 esuberi, 900 tra il personale di Trenitalia Spa e oltre 800 tra i dipendenti delle ditte in appalto o in subappalto. Di questi, 85 solo a Messina, dipendenti della Servirail, ex Wagon lits, tuttora in forte mobilitazione.
Secondo quanto denunciato dalla FIT CISL e da Orsa Sicilia, la proposta di reintegro dei lavoratori licenziati da parte dal nuovo gestore dell'appalto, Angel service Srl, è del tutto insufficiente a risolvere i problemi occupazionali in quanto propone soluzioni temporanee e precarie che interessano poco più del 30 per cento del personale e da cui gli ottantacinque lavoratori messinesi sembrano comunque assolutamente esclusi.
Inoltre, si apprende che l'impiego di parte dei suddetti lavoratori nei servizi notte tra Francia e Italia sta avvenendo senza gara, ma con affidamento diretto, e che il personale finora riassorbito è stato scelto senza alcuna procedura selettiva che abbia tenuto conto di una graduatoria formata sulla base di requisiti oggettivi quali, ad esempio, il carico familiare, l'anzianità di servizio, ma dietro semplice chiamata telefonica diretta.
Dall'ultima risposta fornita dal sottosegretario Martone all'interpellanza urgente n. 2-01277 presentata dal collega Stagno D'Alcontres, Ferrovie dello Stato Spa pare abbia reso noto di volere garantire, entro i prossimi ventiquattro mesi, la progressiva ricollocazione dell'eventuale personale che non troverà utile collocazione con Angel service Srl e che, per quanto riguarda, in particolare, il personale operante nelle regioni Sicilia, sono stati calendarizzati una serie di incontri finalizzati alla soluzione del caso.
Ma come mai sul tavolo delle trattative non viene presa affatto in considerazione la ragionevole proposta, avanzata al fine di porre rimedio alla iniqua situazione descritta con la conseguente e necessaria salvaguardia dei livelli occupazionali, di ripristinare il servizio a lunga percorrenza dei treni notte dalla Sicilia al Nord e viceversa, certamente razionalizzando i costi rispetto al passato, con la messa in circolazione di treni dalla composizione di un numero di carrozze maggiori (quattordici carrozze) che a Bologna si dividono in più sezioni, per consentire all'utenza, senza cambiare treno ed a prezzi sostenibili, di raggiungere Torino, Milano e Venezia?
Ritengo che, come da più parti ed a gran voce sottolineato, la vertenza Servirail sia solo uno dei tasselli del mosaico della problematica della garanzia del diritto dei cittadini siciliani alla continuità stabilito dalla Costituzione che sta subendo continue lesioni.
Consentitemi un'ultima breve riflessione sulla questione del Corridoio Berlino-Palermo.
A seguito della paventata esclusione del suddetto corridoio dalla rete TEN-T, all'interno della nuova proposta di regolamento del Commissario europeo dei trasporti Siim Kallas, relativa proprio alla rete transeuropea dei trasporti, grazie alla grande mobilitazione portata avanti a tutti i livelli, è stato confermato, all'interno del Corridoio Helsinki-La Valletta, proprio il Pag. 6percorso Berlino-Palermo. Tale corridoio, oltre ad estendersi a sud-est con la diramazione Napoli-Bari-Taranto, si sviluppa nel territorio della regione Sicilia secondo la direttrice Messina-Catania-Enna-Palermo, per consentire di servire i principali nodi urbani dell'isola e di migliorare i collegamenti ferroviari con i porti di Catania, Augusta e Palermo. Tale previsione, che il gruppo Ferrovie dello Stato Spa non potrà di certo ignorare nella pianificazione aziendale per i prossimi anni, risulta indispensabile per riaffermare l'intero progetto infrastrutturale per il rilancio del sud che comprende l'ammodernamento dell'autostrada Salerno-Reggio Calabria, l'alta velocità ferroviaria nella medesima tratta, il ponte sullo stretto di Messina, l'alta velocità Messina-Catania-Palermo ed il rilancio dei porti di Gioia Tauro e di Palermo.
È proprio per tale motivo che chiediamo al nuovo Governo di svolgere presso le istituzioni europee una costante azione di monitoraggio delle varie fasi per l'adozione del nuovo regolamento affinché, all'interno del Corridoio Helsinki-La Valletta, sia rimarcata la centralità dello sviluppo, per l'estensione da Napoli a Palermo, al fine di scongiurare ogni pericolo d'isolamento della Sicilia dal resto d'Europa, con la previsione per l'isola delle stesse garanzie di collegamento alla terraferma concesse ad altri Paesi europei, e di riaffermare il Meridione quale futuro baricentro della zona di libero scambio euromediterraneo.
Auspico, dunque, alla luce delle considerazioni svolte, l'accoglimento dei puntuali impegni contenuti nella mozione in discussione e nella piena disponibilità al confronto, anche nella sede parlamentare, una nuova, seria ed approfondita riflessione sulle discutibili scelte portate avanti fino ad oggi dal gruppo Ferrovie dello Stato Spa ed un'immediata inversione di tendenza rispetto ad una situazione che, beffardamente in concomitanza al centocinquantenario dell'unità d'Italia, sta solcando maggiormente i confini tra il nord ed il sud del Paese.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Messina, che illustrerà la mozione Donadi ed altri n. 1-00807, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

IGNAZIO MESSINA. Signor Presidente, l'illustrazione della mozione credo sia essenziale per comprenderne il significato nonché l'importanza che per il nostro Paese, e soprattutto per il sud di esso, riveste l'originario Corridoio Berlino-Palermo, che ha subito una modifica significativa portando invece ad un Corridoio diverso. Il Corridoio 5 è infatti stato modificato, introducendo delle varianti con il Corridoio Helsinki-La Valletta. Al riguardo abbiamo presentato, come gruppo dell'Italia dei Valori, un'interrogazione della quale è primo firmatario Antonio Di Pietro e alla quale il Ministro Passera, recentemente, in data 10 gennaio 2012, ha fornito una risposta. C'è da dire che l'importanza di questo Corridoio determina sostanzialmente l'ingresso in Europa e il collegamento con tutti i principali snodi europei del Meridione d'Italia. La modifica che invece è stata apportata sostanzialmente, con il Corridoio Helsinki-La Valletta, fermando tutta la rete stradale, autostradale e ferroviaria a Napoli, con un collegamento su Bari e il collegamento finale con La Valletta attraverso le autostrade del mare, alla fine escluderebbe una modifica infrastrutturale e quindi un miglioramento delle infrastrutture sul territorio del nostro Meridione.
Occorre dire che i diversi interventi, come riportato anche da parte del Ministro Passera nella risposta da me citata del 10 gennaio scorso, avrebbero portato a una nuova modifica e quindi a una presa in considerazione delle esigenze che abbiamo rappresentato riguardo alla reintroduzione di un corridoio che arriva fino in Sicilia, coinvolgendo quindi le realtà siciliane, anche perché in realtà oggi i collegamenti con La Valletta e con Malta avvengono esclusivamente attraverso i porti siciliani, pertanto interromperli avrebbe creato dei notevoli ed ulteriori disagi. Pag. 7
Quello che ci allarma - ed è il motivo della mozione in esame, nella quale insistiamo sulla presa d'impegno da parte del Governo, affinché si faccia sentire e confermi a livello europeo questi nostri impegni - è che anche nel contenuto della risposta del Ministro Passera si fa un riferimento - e speriamo che ciò venga immediatamente chiarito dal Governo nel rispondere a questa mozione - alla necessità che il nostro Meridione, peraltro insulare, venga collegato e abbia lo stesso grado di libertà di collegamento alla terraferma di altri Paesi europei, facendo espresso riferimento al collegamento fisso costituito dal ponte di Malmo che collega la Danimarca con la Svezia. Questo ha suscitato in noi qualche perplessità, considerato che esso sembrerebbe un riferimento alla realizzazione del ponte sullo Stretto di Messina, per il quale noi riteniamo invece che debba essere fatto un discorso a parte, esterno al Corridoio in questione, e che quindi per noi l'efficienza del Corridoio medesimo non sia collegata alla realizzazione del ponte, nel quale noi abbiamo sempre detto che non crediamo, o meglio non crediamo che sia l'opera infrastrutturale necessaria per mettere in moto il nostro Meridione d'Italia. In merito al ponte, volevo evidenziare alcuni elementi, in primo luogo riguardo ai costi registrati fino ad oggi. Il ponte, o meglio la Società Stretto di Messina, è nata nel 1969. Il Ponte è quindi una sorta di sogno da realizzare che, trascorsi tanti decenni, non vede la luce. Al contrario, ed ecco il motivo delle nostre grandi perplessità, ha implicato dei costi significativi: sono stati spesi oltre 300 milioni di euro fino ad oggi, per la realizzazione di un Ponte che non c'è. Sono stati pagati consulenti, ingegneri e architetti per progettare un qualcosa che non ha nessuna copertura finanziaria.
Cito solo alcuni dati, più che altro per rendere evidente, qualora qualcuno avesse perplessità in questo senso, lo spreco di denaro pubblico che fino ad oggi è stato effettuato nel tentativo di progettare (realizzare, ad oggi, sicuramente no) un'opera di questo tipo, quando invece tali risorse (ed ecco il motivo della nostra perplessità, che ribadisco) potevano essere opportunamente utilizzate per intervenire sui dissesti idrogeologici che si ravvisano proprio nelle zone limitrofe ai territori in cui dovrebbe realizzarsi il ponte. Cito solo alcuni dati per memoria. Sono stati spesi solo nell'anno 2005, per esempio, 5 milioni e 719 mila euro per consulenze. Immaginatevi! Ma di che consulenze stiamo parlando? Di quelle per progettare o realizzare il ponte sullo Stretto? Ma quando mai! Una di queste consulenze era affidata ad un istituto di ricerca che doveva accertare quale sarebbe stato l'impatto emotivo sugli abitanti di Reggio Calabria e di Messina una volta che il ponte sullo Stretto li avesse uniti sempre; è stata nominata e catalogata come indagine psicosocioantropologica sulla percezione del ponte presso le popolazioni residenti nell'area interessata alla sua costruzione.
Ne cito altre due solo a titolo esemplificativo. Al Dipartimento di biologia animale dell'Università di Messina sono stati affidati uno studio e un monitoraggio sulle caratteristiche chimico-fisiche delle acque dello Stretto (e fin qui ci poteva stare), e sulle possibili relazioni con i flussi migratori dei cetacei. Cito l'ultima, sempre per memoria: all'Istituto ornitologico svizzero è stato dato l'incarico per un'investigazione radar delle specie di uccelli migratori notturni e per catalogare con la massima precisione le loro quote di volo, le loro planate e le loro picchiate.
Non mi dilungo oltre sulla questione «ponte dello Stretto». Noi non siamo concettualmente contrari al ponte, ma se è così conveniente costruire questo ponte (come il Governo precedente voleva dimostrare, e non sappiamo quale sia la posizione in proposito dell'attuale Esecutivo), che se lo facciano i privati, lascino da parte i fondi pubblici, lo realizzino, ci guadagneranno pure, e saremmo contenti di questo; ma, in caso contrario, sprecare risorse pubbliche per realizzare un'opera infrastrutturale, che tra l'altro sorgerebbe in territorio fortemente sismico e sottoposto a dissesti idrogeologici, creerebbe più rischi che altro. Pag. 8
Voglio evidenziare un ulteriore elemento riguardo alla questione ferroviaria, per poi avviarmi alle conclusioni. Lo citava chi mi ha preceduto nel suo intervento: c'è un'attività delle Ferrovie dello Stato, in questo momento, che sembrerebbe portare sostanzialmente alla dismissione di tutta una serie di reti ferroviarie. Quello che colpisce nel passaggio alle Ferrovie dello Stato, RFI, delle reti ferroviarie, è che in ogni amministrazione dotata di buon senso, e che dovrebbe portare alla fine i bilanci al pareggio o addirittura in attivo, si penserebbe a dismettere le tratte ferroviarie meno significative e al contrario a mantenere quelle più redditizie.
In questi giorni si discute con foga di società private che vadano a realizzare, in concorrenza con le Ferrovie dello Stato, la gestione delle tratte ferroviarie più importanti del nostro paese, le più frequentate (Roma-Milano, Roma-Torino, Roma-Venezia), quelle che chiaramente portano i pochi utili che arrivano alle nostre Ferrovie dello Stato. Ebbene, non siamo (anche in questo caso) concettualmente contrari a questo, ma riteniamo che le Ferrovie dello Stato non possano cedere in concessione le tratte migliori per mantenere quelle in perdita. Se c'è qualche privato che vuole acquisire le tratte ferroviarie del nostro Paese, che le acquisisca tutte, e non soltanto quelle che convengono, perché è troppo semplice fare l'imprenditore nel momento in cui si gestisce soltanto ciò che rende, quando invece è l'intero Paese che deve essere servito dalla rete ferroviaria.
È il motivo per cui in questo ultimo periodo la Sicilia e il Meridione sono stati isolati, con disagi notevolissimi, proprio perché le Ferrovie dello Stato hanno ritenuto di tagliare tutta una serie di tratte, di corse, impedendo in tal modo alle popolazioni siciliane e calabresi di raggiungere Roma e il nord d'Italia, costringendo i passeggeri a cambi continui di treno creando oltre che maggiori costi, anche notevoli disagi.
Questi sono degli elementi che porterebbero ad affermare quanto sia fondamentale che il corridoio Helsinki-La Valletta, così come viene denominato, abbia la necessaria estensione al territorio siciliano e che poi, dal territorio siciliano, esso proceda verso Malta e La Valletta; è fondamentale che il Governo italiano faccia valere tutte queste ragioni per fare in modo che ciò venga realizzato nel più breve tempo possibile.
Aggiungo, inoltre, che è fondamentale, anche per una migliore affermazione dell'economia del nostro Paese e del nostro Meridione, che questo Governo non si faccia condizionare da precedenti sogni o precedenti idee, accantonandoli, visto che poi alla fine non avevano alcun supporto economico, e che chiarisca una volta per tutte se ci sono opere infrastrutturali che non portano alcun beneficio, ma che, al contrario, rappresentano solo un costo. I costi dei business plan presentati per il ponte sullo Stretto, portano ad un pareggio di bilancio dopo quarant'anni; immaginate se ciò può tornare utile al nostro Paese. Alcune opere le lascino fare ai privati e, al contrario, si concentrino su quelle opere essenziali che possano consentire una reale viabilità da tutto il nostro territorio, facendo diventare anche il Meridione d'Italia parte della nostra Europa.
In questi giorni - e concludo - sono in corso delle proteste significative a cavallo dello Stretto: stanno protestando gli autotrasportatori e gli agricoltori. Essi si rendono conto, infatti, che senza infrastrutture il nostro Meridione è totalmente isolato. I costi maggiori sostenuti sono determinanti nel mettere l'economia meridionale fuori gioco rispetto al mercato europeo. Ecco perché riteniamo che investire su una rete ferroviaria efficiente e sulle autostrade del mare, costituisca un presupposto fondamentale per il rilancio della nostra economia. I nostri prodotti agricoli e industriali, che partono dal Meridione, sono costretti a transitare esclusivamente su gomma, dovendo così attraversare l'autostrada della Calabria, con i disagi che ne derivano: tale autostrada viene interrotta anche per una banale nevicata, così com'è accaduto l'anno scorso. Tutto ciò, ovviamente, blocca l'intera Pag. 9economia. Aggiungeteci pure il costo dei carburanti, dovuto agli aumenti delle accise, che dovevano essere assolutamente scongiurati, ma che di fatto, invece, sono stati inopportunamente applicati, e vediamo come questo corridoio, originariamente tracciato e che oggi porta il nome di Helsinki-La Valletta, sia uno snodo determinante per il rilancio e per l'economia del nostro Meridione. Il Governo, però, oltre alle enunciazioni di principio e alle affermazioni contenute all'interno della risposta del Ministro Passera, riteniamo debba fornire una volta per tutte anche la sua posizione rispetto a quali infrastrutture debbano essere realizzate per poter completare quest'opera e poter fare in modo che il nostro Meridione sia nuovamente, come ribadisco, parte dell'Europa e non un margine economicamente disastrato di un'Italia che, al contrario, credo con forza che abbia bisogno di avere un supporto dal Sud.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tassone, che illustrerà anche la mozione Galletti ed altri n. 1-00812, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

MARIO TASSONE. Signor Presidente, noi ci troviamo ancora una volta di fronte ad un significativo atto di indirizzo parlamentare. Stiamo cercando di costruirlo e mi auguro che vi sia anche una posizione univoca, così come si evince dalle mozioni presentate, quelle rivisitate. Alcune mozioni, infatti, come si ricorderà, signor Presidente, sono datate, nel senso che hanno avuto origine ed hanno visto la luce in un periodo in cui non erano ancora avvenuti determinati fatti nuovi, che poi si sono verificati, nell'ambito dell'Unione europea. Ho ascoltato i colleghi che mi hanno proceduto e non posso che rifarmi alle valutazioni che essi facevano. Noi ci troviamo in presenza di una politica a volte altalenante per quanto riguarda l'Unione europea.
Negli anni che vanno dal 2002 al 2005, fu indicato - soprattutto nel 2005 - il Corridoio 1, che andava da Berlino a Palermo. Esso fu anche messo in evidenza come momento importante e strategico nella politica di collegamento tra il nord e il sud dell'Europa, nell'ambito di una politica, molto seria e attenta, di raccordo con il Mediterraneo. Pertanto, il nostro Paese, e soprattutto il Mezzogiorno, doveva recitare un ruolo importante all'interno di una progettualità e di una strategia relative alle infrastrutturazioni trasportistiche nell'ambito, come dicevo poc'anzi, del Mediterraneo.
Successivamente, com'è stato ricordato, nello scorso mese di luglio è stata presentata una proposta di bilancio dell'Unione europea per il 2020 in cui il Corridoio 1 assumeva la denominazione di Corridoio 5. Ricordo che la numerazione indica il momento in cui è stato proposto il progetto. Pertanto, il Corridoio 5 dovrebbe andare da Helsinki, passando per Bari, fino a La Valletta, ed essere collegato con le cosiddette autostrade del mare. Si cambia, dunque, strategia e, in questo caso, si cambia anche politica, perché, in questo modo, dal Mezzogiorno d'Italia si tagliano fuori la Calabria e la Sicilia, con tutti i problemi che emergono per quanto riguarda - com'è stato ricordato - l'attraversamento stabile dello Stretto di Messina attraverso il ponte sullo Stretto.
È necessario, quindi, chiarire una cosa importante e fondamentale. Nel luglio dello scorso anno è stata presentata una proposta di regolamento; ebbene, bisogna capire a quale tipo di azione e di conclusione arrivi anche la Commissione europea per avere un quadro definitivo. Vorrei ricordare che, nella proposta dell'originario Corridoio 1, erano coinvolte anche realtà come la Francia, le coste iberiche e la Sardegna, con una direttrice tracciata in modo da non isolare dai traffici quest'area molto ampia. Io ritengo che la modifica della proposta di luglio, che recupererebbe la Sicilia e, quindi, anche la portualità calabrese con Gioia Tauro e i porti siciliani, vada verso il recupero di quello che era il progetto iniziale del Corridoio 1.
Noi vorremmo capire, signor Presidente - e credo che questo sia il significato dell'atto di indirizzo parlamentare in oggetto -, se ci troviamo di fronte a semplici Pag. 10righe tracciate sulle mappe e sulle carte geografiche, oppure se vi siano intenzioni e politiche serie da parte dell'Europa, e qual è il ruolo del nostro Paese affinché esse si realizzino. Vorrei ricordare che il Corridoio 5 dovrebbe essere concluso nel 2050, proprio al fine di coinvolgere tutti gli Stati membri e tutte le regioni, e per assicurare a queste realtà una grande mobilità e il trasporto di merci e persone. Stiamo parlando del 2050: ma prima del 2050, signor Presidente, cosa facciamo? Credo che questo sia l'interrogativo e vorrei interloquire direttamente con il signor sottosegretario che è presente in quest'Aula, cioè con il sottosegretario Improta: cosa facciamo?
I segnali che stiamo dando, infatti, non sono esaltanti e non solo non vanno in direzione di un'integrazione europea nel campo delle infrastrutture, dei trasporti, dell'integrazione e dell'intermodalità dei trasporti e delle politiche della logistica, ma vanno in una direzione, a mio avviso, opposta. Ciò se è vero, com'è vero, che ventuno treni di lunga percorrenza sono stati soppressi in Calabria; se è vero, com'è vero - com'è stato anche detto -, che i treni notturni non ci sono più; se è vero, com'è vero, che il personale di questi treni è in grande mobilitazione e sta manifestando continuamente.
Abbiamo avuto anche un confronto con il Governo, durante lo svolgimento di uno strumento di sindacato ispettivo, proprio su questa problematica, e la risposta, in quella sede, al di là della buona volontà del sottosegretario, è stata certamente deludente e non è stata rassicurante.
C'è allora da capire il significato di questi grandi arretramenti, anche nazionali, rispetto a quelle che dovrebbero essere le condizioni da costruire, da prospettare per determinare queste svolte; occorre, soprattutto, capire questa politica europea dell'integrazione europea nel campo trasportistico, perché se questi sono i segnali, allora stiamo parlando semplicemente di righe sulle carte geografiche, non stiamo parlando di altro, signor Presidente.
L'unico dato che emerge è questo ponte sullo Stretto che appare e scompare a seconda dei Governi, a seconda delle stagioni, a seconda delle culture e a seconda dei convincimenti. Quello che rimane, come variabile indipendente, è la società Stretto di Messina; questa, ovviamente, è un elemento fisso, immodificabile, un fatto ormai di fede, acquisito nella storia. Ci possono essere tutti i più grandi sconvolgimenti, i più grandi cambiamenti delle politiche, ma rimarrà il suo presidente, rimarrà la società Stretto di Messina; società che certamente non ha lavorato in termini «leggeri» sul piano dei costi e delle risorse consumate su questo progetto che è il ponte sullo Stretto. Anche se ci fossero nuove tecnologie che potrebbero indicare un abbattimento dei costi, se ci fosse la possibilità di fare il ponte con progetti diversi, e ci sono ovviamente delle proposte e delle indicazioni in tal senso, tuttavia la società Stretto di Messina non le prende assolutamente in considerazione.
Noi dobbiamo capire che il ponte sullo Stretto non può realizzarsi in un ambito di desertificazione quale quello presente in queste realtà; o ci sono i lavori e gli impegni che vengono fuori nel campo delle infrastrutture, oppure, certamente, sarà un'opera ciclopica, una cattedrale, come si suol dire, nel deserto. Tutto questo sempre se ci sarà, perché ho i miei dubbi che tutto questo possa realizzarsi e possa venir fuori.
C'è poi un dato, per alcuni versi, mortificante: questa fuga delle Ferrovie dello Stato. Nell'esperienza che ho avuto al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, Ferrovie dello Stato aveva iniziato un progetto di collegamento tra il porto di Gioia Tauro e le grandi direttrici di comunicazione. Qui, invece, non c'è nessuno sforzo; non c'è uno sforzo per introdurre e inserire Gioia Tauro in una politica articolata nel campo della portualità, ma soprattutto non c'è un collegamento con altre infrastrutture trasportistiche in una visione di intermodalità.
Ritengo che una valutazione, ovviamente, bisogna farla, per evitare, signor Pag. 11Presidente e signor sottosegretario, che questi atti di indirizzo parlamentare, così come anche questa discussione sulle linee generali, possano cadere in un momento particolare della storia o nella vicenda di una settimana di vita parlamentare, senza nessuna conseguenza: non facendo storia e non dando nessuna indicazione. Allora, non so se adesso, nell'ambito del proseguo dell'esame delle mozioni e soprattutto del parere che vorrà rassegnare oggi o domani il Governo, si possa avere un percorso certo, ma soprattutto occorre capire oggi cosa si fa. Perché questi tagli, questo rilassamento, questa assenza di politiche, anche per quanto riguarda le infrastrutture trasportistiche, devono essere colmati; non voglio dare responsabilità a questo Governo - ritengo che le responsabilità siano antiche - né al precedente e nemmeno al precedente ancora, forse c'è stata una disattenzione, tanto per usare un eufemismo, ma tutto ciò deve essere risolto.
C'è poi un'altra problematica che riguarda queste grandi direttrici e che potrebbe esser ovviamente importanti anche per il discorso che facevamo poc'anzi rispetto alla tragedia della nave Concordia, e riguarda la costruzione e il futuro posizionamento del deposito nazionale delle scorie radioattive, presso il quale convergeranno non soltanto le scorie derivanti dallo smantellamento delle centrali nucleari ma, anche e soprattutto, tutte le scorie radioattive di provenienza sanitaria e industriale di tutto il territorio nazionale.
Infatti, non vi è dubbio che, quando parliamo di questi problemi, di un'articolazione, di logistica e di infrastrutture, dobbiamo anche mantenere ben presente quali sono i veri problemi sempre più impellenti che riguardano il territorio ma, soprattutto, riguardo la qualità della vita, la sicurezza ed il futuro, ovviamente, del nostro Paese.
Ritengo, signor Presidente, che abbiamo degli esempi mortificanti, per alcuni versi. Vorrei soltanto fare un esempio al sottosegretario, citando le ferrovie della Calabria, che oggi non hanno alcuna possibilità di incidenza, vivono una crisi profonda e sono lasciate ad un dirigente, un bravo direttore generale, Lo Feudo, pur essendo lì una presidente. Vorrei capire di cosa parliamo; parliamo del 2050. Nel 2050 molti di noi ci saranno, ma io, ovviamente, non ci sarò, e allora ci siamo presi in giro.
Tra l'altro, auguro a tutti voi di esserci, nel 2050. Io vi precederò per l'appuntamento finale. Avrò il piacere e l'onore di potervi precedere e metterò per voi anche una buona parola, con l'affetto che ho nei vostri confronti, e voi mi darete anche una dedica, non remunerativa, ma forte e impegnativa. Non vi è dubbio, tuttavia, che con queste politiche dell'Europa, con questi lunghi programmi, viviamo nell'irreale, viviamo nel fantastico. Quello che serve oggi è capire che cosa facciamo adesso rispetto ai treni che vengono tagliati e alle lungaggini della Salerno-Reggio Calabria, bloccata dalle infiltrazioni mafiose. Soltanto Ciucci aveva negato, in Commissione antimafia, che vi potessero essere infiltrazioni mafiose. Allora, vorrei capire: oggi, il Governo che fa?

PRESIDENTE. La prego di concludere.

MARIO TASSONE. Concludo, signor Presidente. Inoltre, vi sarà il problema dell'autorità delle infrastrutture e dei trasporti. Non si capisce bene - almeno per quanto riguarda il decreto-legge - che fine farà questa autorità, perché, poi, ovviamente, andremo a modificarla. Infatti, come posto dal Governo, se l'autorità non vedrà la luce in un certo periodo di tempo, le competenze saranno riassorbite dal Ministero.

GUIDO IMPROTA, Sottosegretario di Stato per le infrastrutture e i trasporti. Sono due cose diverse.

MARIO TASSONE. Sì, ma vorrei capire, signor sottosegretario, anche perché in quel punto il provvedimento non è molto chiaro. Chiarezza, dottore, non credo che ve ne sia moltissima. Tuttavia, stiamo presentando delle proposte emendative, Pag. 12che credo serviranno a chiarire la nostra posizione e, soprattutto, quella del Governo.
Non vi è dubbio che vogliamo una risposta rispetto al corridoio Helsinki-La Valletta, anche riferimento alla diramazione verso la Calabria e la Sicilia. Ma vogliamo anche capire, allo stato attuale, se il Governo è impegnato a rivedere la politica seria delle infrastrutture, per evitare che gli abbandoni di oggi, ovviamente, possano impegnarsi in un futuro, per fede, che verrà ad essere, certamente, per le nuove generazioni. Ma non credo che questo sia bastevole, perché se oggi non si creano le premesse, le nuove generazioni non vedranno nemmeno i grandi risultati che oggi si prefigura questo nuovo regolamento dell'Unione europea (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro per il Terzo Polo).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.

(Intervento del Governo)

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il sottosegretario di Stato per le infrastrutture e i trasporti, Guido Improta.

GUIDO IMPROTA, Sottosegretario di Stato per le infrastrutture e i trasporti. Signor Presidente, vorrei cogliere questa occasione per fare anche un aggiornamento rispetto a delle osservazioni che erano state fatte prima dell'estate e che poi, oggi, in seduta, sono state oggetto di un aggiornamento da parte degli onorevoli proponenti.
Il riesame della politica in materia di rete transeuropea di trasporto si innesta nell'alveo del processo di crescita, competitività e sviluppo cristallizzata nella comunicazione della Commissione europea «A budget for Europe 2020», nella quale vengono enunciate le linee direttive delle prospettive finanziarie per il periodo 2014-2020, arco temporale nel quale, in base alle stime, occorreranno circa 200 miliardi di euro per completare le reti transeuropee dell'energia, 250 miliardi di euro per le reti dell'informazione e della comunicazione e 540 miliardi di euro per i trasporti.
La maggior parte di reti ed investimenti dovrebbero essere garantiti dal mercato, e faccio riferimento alla preoccupazione che esprimeva prima l'onorevole Messina.
Pur tuttavia, in ragione dell'esperienza accumulata nell'ultimo quindicennio - che ha dimostrato che i bilanci nazionali non hanno attribuito e non attribuiranno, in ragione dell'attuale congiuntura economica sfavorevole, una priorità elevata agli investimenti plurinazionali e transfrontalieri per dotare il mercato unico dell'infrastruttura di cui ha bisogno - la Commissione ha proposto la creazione del meccanismo Connecting Europe Facility con il compito di finanziare infrastrutture prioritarie di interesse per l'intera Unione europea che rispettino i criteri di sviluppo compatibile.
La Facility verrà gestita a livello centrale e sarà finanziata da risorse di bilancio specifiche e mediante importi del Fondo di coesione destinati al trasporto. La Commissione propone di stanziare 40 miliardi di euro per il periodo 2014-2020, da integrare con ulteriori 10 miliardi riservati a investimenti correlati ai trasporti nell'ambito del Fondo di coesione. Tale importo include: 9,1 miliardi per il settore energetico, 9,2 miliardi per le reti dell'informazione e della comunicazione e 31,7 miliardi per i trasporti e questo è lo stanziamento fino al 2020, non fino al 2050.
Per tale ultimo settore gli obiettivi dichiarati dalla Commissione sono stati quelli tesi all'ammodernamento della rete dei trasporti e alla creazione di collegamenti mancanti per eliminare le strozzature (da finanziarsi con i 10 miliardi di euro accantonati del Fondo di coesione per i progetti di trasporto) e con la rimanente quota di 21,7 miliardi messi a disposizione di tutti gli Stati membri per investimenti nelle infrastrutture di trasporto. Pag. 13
Detti obiettivi sono stati elaborati anche sulla scorta di opportuna valutazione critica circa l'insoddisfacente raggiungimento dei target posti negli ultimi due decenni di politica europea nei trasporti, laddove il ruolo dell'Europa è stato soprattutto quello di ente co-finanziatore dei progetti nazionali piuttosto che di soggetto in grado di determinare una coerente visione di sviluppo delle infrastrutture ad interesse europeo.
Il punto di approdo dell'elaborazione comunitaria ruota intorno ai due distinti livelli di reti di trasporto transeuropeo, una rete globale e una rete centrale che assolvono ad obiettivi diversificati, ma convergenti, laddove la rete globale è di competenza soprattutto dei singoli Stati e risponde alle esigenze di coesione territoriale, economica e sociale, mentre quella centrale individua i collegamenti essenziali a livello europeo, quelli in altri termini che servono a garantire la piena e libera circolazione di merci e passeggeri a livello di Europa a 27.
Dei dieci corridoi elencati nella proposta di regolamento approvata dalla Commissione il 19 ottobre scorso, 4 attraversano l'Italia: il corridoio Baltico-Adriatico, il corridoio Mediterraneo, il corridoio Helsinki-La Valletta e il corridoio Genova-Rotterdam. Ai progetti suddetti è destinato circa l'80 per cento della dotazione finanziaria che il meccanismo stanzia per la rete dei trasporti.
Con specifico riferimento proprio alle infrastrutture trasportistiche del Corridoio 5 che più direttamente interessano il Meridione d'Italia, occorre premettere che l'individuazione di detto corridoio prioritario tiene luogo dei flussi di traffico reali intercorrenti tra i principali nodi, ed infatti, nel processo di selezione adottato dall'Esecutivo comunitario, le infrastrutture di interesse europeo che appartengono alla rete globale sono state individuate a partire dai principali nodi urbani e dai relativi assetti infrastrutturali di collegamento.
Ad ogni nodo urbano è stato associato un aeroporto prioritario; per i porti e gli interporti prioritari la selezione è stata condotta sulla scorta di specifiche soglie dimensionali riferite ai volumi di passeggeri e merci realmente movimentati. Ecco, quindi, che appare perfettamente coerente il disegno del Corridoio 5 elaborato per il Sud Italia secondo le seguenti direttrici: Napoli-Bari (rete ferroviaria); Napoli-Reggio Calabria (rete ferroviaria); Messina-Palermo (rete ferroviaria); Palermo-La Valletta (porti e autostrade del mare).
In tale contesto è stata rappresentata a livello comunitario l'assoluta necessità per l'Italia di inserire il nodo di Palermo e di Catania all'interno del citato corridoio Helsinki-La Valletta che si estende - è bene ricordarlo - a sud-est con la diramazione Napoli-Bari-Taranto per le seguenti argomentazioni: Palermo soddisfa i requisiti di città-nodo, in quanto la sua area metropolitana supera il milione di abitanti; il collegamento marittimo più diretto con l'isola di Malta avviene attraverso i porti della Sicilia; sono già stati sostenuti dall'Italia ingenti investimenti per dare realizzazione alla parte meridionale del progetto prioritario europeo con specifico riferimento alla rete ferroviaria.
Sempre in sede europea è stato inoltre richiesto che alla Sicilia, che annovera una popolazione di 5 milioni di abitanti, fosse garantito lo stesso grado di libertà di collegamento alla terraferma concesso ad altri Stati europei. Le motivazioni presentate, espressione della forte volontà dell'Italia di mantenere i criteri di conformazione dell'asse, sono stati recepiti con favore e riconosciute come oggettive dai rappresentati della Commissione.
Pertanto, la conferma della Sicilia all'interno del tracciato dell'ex Corridoio 1 Berlino-Palermo è stato positivamente risolto, in quanto, grazie all'intervento del nostro Paese, la Commissione ha accolto la richiesta di comprendere nel corridoio Helsinki-La Valletta il tracciato Napoli-Messina-Catania-Enna-Palermo, come si evince dalla citata proposta di regolamento.
Mi preme, quindi, sottolineare che questo Governo rimane perfettamente consapevole Pag. 14dell'importanza del potenziamento del sistema dei trasporti e delle relative opere infrastrutturali nel Mezzogiorno, tanto da aver confermato, nel corso delle numerose interrogazioni e mozioni presentate sul tema, anche nelle ultime settimane, gli impegni afferenti al miglioramento dei collegamenti da e per il Sud Italia, con particolare riguardo al completamento dell'asse viario Salerno-Reggio Calabria e alla direttrice Messina-Catania-Enna-Palermo, che consentirà di servire i principali nodi urbani dell'isola e di migliorarne i collegamenti ferroviari anche con i propri porti.
In merito alla tematica relativa al ponte sullo Stretto di Messina, ricordata nella mozione illustrata dall'onorevole Messina, si precisa che sono in corso i necessari approfondimenti istruttori sul progetto definitivo. L'ultima conferenza di servizi si è tenuta il 10 novembre ultimo scorso. Tuttavia, siamo lontani dal poter considerare conclusa una valutazione sugli aspetti di compatibilità tecnica, economica-finanziaria e di impatto sociale riguardante l'opera.
Mi sembrava di aver colto dall'illustrazione dell'onorevole Messina una certa inopportunità a collegare il Corridoio 5 con il ponte sullo Stretto. Laddove non mi fossi sbagliato, allora l'invito sarebbe quello di espungere poi dalla mozione del gruppo il riferimento al ponte sullo Stretto, proprio perché condividiamo questa inopportunità tra i due argomenti.
Sempre sul punto e ponendo, invece, attenzione alle problematiche sollevate dall'onorevole Garofalo e dall'onorevole Tassone sugli aspetti relativi al trasporto ferroviario, occorre ovviamente ribadire che i treni di media e lunga percorrenza che servono gran parte del Sud Italia rientrano nell'ambito del cosiddetto servizio universale teso a garantire il diritto alla mobilità e che, per poter essere effettuati, necessitano di una contribuzione pubblica definita nell'ambito di un contratto di servizio nazionale, in quanto presentano un conto economico negativo.
L'offerta ferroviaria assicurata dal contratto di servizio pubblico valido per il 2009-2014 garantisce i collegamenti necessari alla continuità territoriale di aree collegate nel sud del Paese con il territorio nazionale, caratterizzate da una domanda particolarmente debole e, quindi, da un elevato differenziale tra costi e ricavi. In tale ottica, il Governo e, segnatamente, il Ministero dell'economia e delle finanze, quale azionista di Ferrovie dello Stato italiane Spa, e il Ministero delle infrastrutture trasporti, quale ente vigilante, stanno procedendo ad una riperimetrazione dei servizi contribuiti a Trenitalia Spa, dovendo necessariamente tener conto delle perdite evidenziate nell'ultimo periodo che si attestano a circa 134 milioni di euro per l'anno 2011.
In conseguenza di tale situazione e in assenza di risorse aggiuntive da parte dello Stato, considerata l'attuale congiuntura economica, con il nuovo orario in vigore dall'11 dicembre scorso è stato definito e attuato un programma di rimodulazione dei collegamenti di servizio universale che consente di avviare un percorso di riequilibrio economico del contratto e che prevede, in particolare, l'attestamento sull'hub di Roma degli attuali collegamenti notturni da e per il Nord Italia, le cui relative destinazioni possono essere raggiunte con interscambio con il servizio Alta velocità a prezzi agevolati per l'utenza del Sud Italia e con una sensibile riduzione dei tempi di percorrenza complessivi.
Occorre aggiungere, da ultimo, che sono attualmente al vaglio del Governo iniziative volte all'adozione di misure in materia di capacità, di utilizzo e di accesso all'infrastruttura trasportistica nazionale, nonché in tema di rapporti tra gestore dell'infrastruttura e lo Stato anche con riguardo alla determinazione dei costi e dei canoni, tutto ciò allo scopo di garantire condizioni di utilizzo efficaci ed efficienti del complessivo assetto infrastrutturale tali da tradursi in una migliore resa dei servizi a vantaggio dell'utenza. Parimenti, Governo e regioni sono impegnati a definire un nuovo standard di servizio per soddisfare le esigenze di mobilità Nord-Sud su ferro. Pag. 15
Per quanto riguarda la questione relativa al recepimento del regolamento (CE) n. 1371 del 2007, relativo ai diritti ed obblighi dei passeggeri nel trasporto ferroviario, si fa presente che lo schema di decreto legislativo di attuazione, approvato in via preliminare dal Consiglio dei ministri (Atto Governo n. 381) è attualmente al vaglio della Conferenza Stato-Regioni, con particolare riferimento alla ripartizione delle risorse economiche.
Spero di aver fornito, con questo mio intervento, degli elementi utili per lo sviluppo del dibattito sulle mozioni che sono state presentate.

PRESIDENTE. Sottosegretario, se la Presidenza ha ben compreso, il Governo si riserva comunque e in ogni caso domani di esprimere il parere sulle singole mozioni.
Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

Discussione della mozione Binetti ed altri n. 1-00780 concernente iniziative in materia di malattie rare (ore 17,10).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Binetti ed altri n. 1-00780, concernente iniziative in materie di malattie rare (Vedi l'allegato A - Mozioni).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione della mozione è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
Avverto che sono state altresì presentate le mozioni Laura Molteni ed altri n. 1-00808 e Miotto ed altri n. 1-00809 (Vedi l'allegato A - Mozioni) che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente. I relativi testi sono in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritta a parlare l'onorevole Binetti, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00780. Ne ha facoltà.

PAOLA BINETTI. Signor Presidente, il tema delle malattie rare è uno di quei temi che ci appassionano da tanti punti di vista. Il primo è quello del diritto: quando la nostra Costituzione proclama che siamo cittadini uguali, tutti, fa una affermazione di principio che in qualche modo sottolinea una uguaglianza potenziale, perché è evidente che per ognuno di noi le capacità, le competenze e, in questo caso specifico, anche lo stato di salute, possono essere diversi. Non a caso, quindi, il valore proprio di questa affermazione di principio dell'uguaglianza si formula subito dopo, al secondo comma dell'articolo 3, quando la nostra Costituzione afferma che è compito della Repubblica rimuovere tutti gli ostacoli che rendono questa uguaglianza un po' fittizia, un'uguaglianza di facciata e un'uguaglianza non di sostanza.
Da questo punto di vista, credo che il Parlamento abbia un obbligo molto «grave» di vegliare su tale aspetto e di avere una attenzione concreta e particolare affinché questi ostacoli vengano rimossi. Nel caso delle malattie rare direi che forse il primo ostacolo che va rimosso è quello intrinseco nel termine di rara, perché raro può far pensare che sia questione che riguarda poche unità. In realtà, se è vero che i malati compresi per ciascuna malattia rara possono essere pochi, i malati ricompresi sotto la dizione più generale e più complessa di malattie rare raggiungono la cifra di diversi milioni di unità, soprattutto se il nostro sguardo e il nostro cuore si allargano a comprendere la situazione europea. È stato calcolato che in Europa ci siano da 27 a 36 milioni di persone affette da malattie rare. Potremmo dire che ciò riguarda la sommatoria di diversi Paesi dell'Unione europea. Quindi, è evidente che per affrontare il tema delle malattie rare è necessaria una cultura della solidarietà, è necessaria una cultura della solidarietà a livello nazionale, ma è necessaria una cultura della solidarietà anche e soprattutto a livello europeo, Pag. 16tenendo conto che io, come molti di noi, siamo convinti che l'Europa è la culla di una civiltà e di una cultura che poi dall'Europa si estendono al mondo intero. Quindi, noi vorremmo che venisse definito con molta più precisione il concetto di malattie rare e si facesse un esplicito riferimento al fatto che la rarità che vogliamo affrontare non è la rarità sub specie della singola malattia, ma è in un certo senso una vera e propria sindrome di tipo sociale che lascia sole un'infinità di famiglie e che fa gravare su queste famiglie dei costi notevolmente pesanti.
Ma c'è anche un altro problema che a mio avviso è importante: quando nel 2001 venne formulata la legge che riguardava le malattie rare, subito il legislatore, con grande attenzione e direi con grande prudenza definì la necessità, assoluta, che l'elenco delle malattie rare diventasse oggetto di una revisione periodica. Nel marzo 2008 era pronta questa revisione periodica, che avrebbe inserito nell'elenco delle malattie rare 200 patologie in più, permettendo ai pazienti affetti da tali malattie rare di godere di alcuni dei vantaggi previsti dalla normativa. Sennonché, l'elenco delle malattie rare non è stato mai aggiornato e noi abbiamo - insisto - ben 200 malattie che sono state analizzate, che sono state valutate, vagliate che potrebbero essere ricomprese, assicurando benefici concreti ai pazienti e alle loro famiglie, e di questo nulla si è fatto in questi anni.
Quindi, la mozione va anche nella linea di una interpretazione, positiva ed esaustiva, di una norma già presente in questo momento nel nostro Paese, perché non c'è dubbio che, davanti al concetto di malattie rare, le case farmaceutiche, ma anche i centri di ricerca a livello universitario, se non ricevono una serie di incentivi non sentono quello stimolo concreto alla ricerca e alla sperimentazione nell'ambito dei farmaci, che è il secondo aspetto importante di queste nostre riflessioni, perché molte volte a malattia rara corrisponde il cosiddetto farmaco orfano, e il farmaco orfano è un farmaco che non ha un ritorno economico immediato per chi lo produce.
Quindi, per incoraggiare a produrre, a cercare e a sperimentare questi farmaci è necessario che ci sia quella dimensione di una etica della ricerca, che è un canale da mettere sullo stesso piano poi di un'etica del comportamento dei professionisti della salute, che dia veramente garanzia a un principio sancito dalla nostra Costituzione.
Detto questo, c'è un aggravante in più che la mozione cerca di mettere in evidenza. Quand'anche venissero identificati - e, quindi, stiamo parlando proprio di una serie di reazioni a catena, signor Presidente, colleghi - questi farmaci orfani e vi fosse una presunzione positiva della loro efficacia, questi farmaci non potrebbero essere somministrati e non possono essere messi a disposizione di questi pazienti finché non vengono inseriti negli appositi prontuari. Il passaggio dal risultato positivo della ricerca all'inserimento nel prontuario è un passaggio che richiede una serie di trafile, molte delle quali sono di natura esclusivamente burocratica. Alcune di queste sono sicuramente iniziative volte a garantire sicurezza nella somministrazione del farmaco, ma molte di queste non rispondono a questo criterio al punto tale che la Francia si è dotata di una struttura che si chiama ATU che è la somministrazione terapeutica di urgenza, per permettere l'utilizzazione temporanea del farmaco che permette di aggirare quello che è il limite della normativa e permette di mettere a disposizione di questi pazienti tempestivamente questi farmaci perché, d'altra parte, saranno loro stessi, negli effetti che in, qualche modo, potranno riscontrare - probabilmente effetti benefici di tali farmaci - ad essere poi le migliori conferme dell'efficacia del farmaco. Questo in Italia non accade.
Ci sono poi anche altri aspetti che mi sembrerebbe importante mettere in evidenza ed è questo un punto che potrebbe anche essere considerato un punto virtuoso, la regionalizzazione della nostra sanità. Ma in Italia accade anche che data Pag. 17la zona di luci ed ombre della normativa che riguarda le malattie rare e, quindi, di conseguenza i cosiddetti farmaci orfani, ogni regione si regola come crede: per ogni regione vale una normativa di tipo diverso, per cui un paziente che in una regione riesce ad ottenere attenzione, assistenza e supporto farmacologico, in un'altra regione può sentirsi totalmente escluso da questo, con una accentuazione di quella sindrome di ingiustizia di cui, in un certo senso, si è vittime già dal momento della nascita per essere affetti da una patologia che sembra diventare sempre più ostile. Poi vi è quella che è, oltre tutto, l'ostilità burocratico-legislativa, che la difformità della normativa regionale sembra, in qualche modo, contrapporre a questo bisogno assoluto di aiuto che hanno i pazienti e le loro famiglie.
Un altro aspetto che mi sembra interessante sottolineare in questa fase è che l'8 luglio 2010, all'interno dell'accordo Stato-regioni, si era stabilita una quota vincolata di 20 milioni di euro per progetti relativi alle malattie rare, ripartita in base alla popolazione di riferimento. Bene, questa cifra non è mai stata erogata e non si è potuto erogarla - e io mi auguro che questo, però, significhi che dal 2008 questa cifra sia stata, comunque, realmente, oggettivamente accantonata - semplicemente perché la normativa è una normativa che manca di anelli di congiunzione positivi, cioè mancano davvero quegli strumenti che permettono di stabilire quando e come questi 20 milioni possono essere distribuiti, di fatto, agli aventi bisogno.
Voglio sottolineare, con questa mozione che abbiamo cercato di muoverci all'interno della normativa già presente evidenziando di questa normativa, gli aspetti virtuosi ma anche evidenziando, di questa stessa normativa, i limiti che il paziente non capisce e che la gente della strada considera inaccettabili, perché? Perché non si tratta di risorse che non ci sono: si tratta di risorse che essendoci non possono essere distribuite e questo è una di una gravità inaudita.
L'altro aspetto ancora che a me sembra interessante è quello che al livello della normativa europea, all'interno delle risorse che vengono distribuite e che vengono, comunque, riconosciute a chi si occupa di ricerca nell'ambito dei farmaci orfani, ci sono degli incentivi che riguardano la defiscalizzazione e, quindi, riguardano la riduzione degli oneri di pressione fiscale che, comunque, gravano su questi aspetti della ricerca.
In un momento politico come quello che stiamo vivendo, in un momento di assoluta mancanza di risorse, in un momento in cui il Paese sta facendo notevoli sacrifici, nessuno di noi vorrebbe che il peso maggiore di questi sacrifici gravasse su coloro che sono affetti da patologie rare, e gravasse proprio pregiudicando la possibilità per loro di accedere ai farmaci perché questi farmaci, a loro volta, sono soggetti ad un carico fiscale che è del tutto ingiusto, del tutto inaccettabile. Anche questo è un punto che noi mettiamo all'ordine del giorno in questa nostra mozione per il Ministro competente - peraltro sono contenta di avere qui davanti il sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico, o meglio, per le infrastrutture e i trasporti. Certamente è un po' difficile capire cosa c'entrino le politiche dei trasporti con le malattie rare, ma a noi piace immaginare che si tratti di trasporti di risorse che dovrebbero arrivare a questi pazienti.
Ci dispiace che non ci sia nessuno degli esponenti del Ministero della salute, né di altri Ministeri che forse sarebbero potuti essere più vicini, però non vogliamo prendere questo, signor Presidente, cari colleghi, come un segno di disinteresse nei confronti di questo tema. Noi non vogliamo pensare che questo Governo non intenda prestare attenzione a questi milioni di malati che sono già veramente in una condizione di grave disagio. Non vogliamo credere che questa sia solo una politica di tagli e di pressione fiscale, non vogliamo credere, per esempio, che tanto parliamo di liberalizzazione delle farmacie, che tanto parliamo di distribuzione di farmaci di fascia C nella grande distribuzione, però ci dimentichiamo i pazienti che non possono nemmeno avere i loro Pag. 18farmaci nella farmacia perché non esiste quell'anello di congiunzione positivo che permette di passare da una diagnosi di malattia alla terapia e che permette anche di attivare una diagnosi precoce per poter permettere un trattamento precoce e per poter assicurare trattamenti che durano tutta la vita, perché di questo stiamo parlando.
Sono contenta che sia entrato in questo momento il Ministro della salute: so che il Ministro della salute è attento al tema delle malattie rare. In occasione di un convegno, forse di poche settimane fa, il suo intervento è stato estremamente sensibile sotto questo profilo. Le promesse che ha fatto agli interlocutori che c'erano sono state promesse che, in qualche modo, hanno allargato il cuore di tante associazioni di pazienti di malattie rare, ma forse questo è il momento di passare davvero a una decisione concreta, di uscire dalla vaghezza dei termini, perché c'è chi può aspettare, c'è chi deve aspettare, ma c'è anche chi non può aspettare, c'è anche qualcuno per cui l'attesa corrisponde a una compromissione profonda e reale della propria salute, non tanto per la diagnosi, ma proprio per l'impossibilità di accedere ai farmaci necessari.
Questo è un po' il senso della nostra mozione: richiamare l'attenzione - se qualcuno ancora pensasse che raro si riferisce epidemiologicamente a un numero esiguo di pazienti - sul fatto che questo numero è una cifra iperbolica. Stiamo parlando di una cifra compresa tra 26 e 35 milioni e già dovrebbe essere difficile capire perché 7 milioni sono compresi in quest'area di vaghezza a livello europeo, in questa Europa, che certe volte corre il rischio di essere così ostile, ma che certe volte è veramente parte integrante di un'unica realtà in sofferenza. Una volta chiarito questo, il punto è: cosa facciamo noi qui? Come aggiorniamo la lista delle malattie rare in base a una norma che c'è già? Come liberiamo quei 20 milioni di euro che sono stati già stanziati? Come facilitiamo una politica di defiscalizzazione, di alleggerimento fiscale per quanto riguarda la ricerca di questi farmaci? In definitiva, come possiamo garantire equità nel sistema nazionale attraverso le diverse regioni e un modo di ottenere davvero un trasferimento di risorse efficaci ai pazienti e alle loro famiglie?

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rondini, che illustrerà anche la mozione Laura Molteni n. 1-00808, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

MARCO RONDINI. Signor Presidente, seppur è riconosciuto che l'Italia è uno dei Paesi leader nella ricerca delle malattie rare, con 481 laboratori diagnostici, 433 centri specialistici, 3.300 ed oltre test diagnostici, 61 registri per 214 malattie, e ci risulta che dei 300 farmaci attualmente in via di sviluppo contro le malattie rare, di cui soffrono due milioni di italiani, 39 sono prodotti da aziende italiane, premesso ciò la ricerca clinica è un campo comunque da potenziare e l'accesso ai farmaci deve essere agevolato. Le imprese devono mettere in atto un comportamento etico, a partire dalla riduzione del prezzo dei medicinali, che potrebbe essere garantito pure attraverso una defiscalizzazione ed un allungamento dei brevetti per le aziende farmaceutiche impegnate nella ricerca sulle malattie rare, come peraltro è previsto dai diversi progetti di legge in discussione al Senato.
Il tema delle malattie rare non è semplicemente di pertinenza sanitaria, ma si intreccia con problematiche etiche e sociali, pensiamo alle ricadute che hanno sulle famiglie. Un intervento tempestivo deve quindi garantire innanzitutto la ricerca, lo studio di specifici ambiti terapeutici e riuscire infine a dotarsi di un piano strategico per le malattie rare che assicuri la prevenzione attraverso screening neonatali e/o prenatali obbligatori per quelle malattie rare che hanno o avranno una terapia. Lo screening neonatale è una importante forma di prevenzione e rappresenta un investimento - non un costo - se si ha la lungimiranza di vedere il risparmio che potrebbe trarne l'intero Servizio sanitario nazionale.
Per concludere e per evitare che le mozioni rimangano delle semplici dichiarazioni Pag. 19di intenti relegate al libro dei sogni e quindi da inserire nell'elenco di tutte quelle iniziative che, seppur nobili, rimangono solo sulla carta - e il legislatore ha il dovere che ciò non accada - è opportuno in particolare nel più breve tempo possibile accelerare l'esame del testo unificato dei disegni di legge sulle malattie rare depositato in Senato e quindi prevedere in più che l'elenco delle malattie rare sia aggiornato ogni anno - risultano infatti, ad oggi, individuate almeno un centinaio di patologie che devono essere ancora incluse e riconosciute come malattie rare, ed ancora, adottare d'intesa con le regioni un piano strategico per le malattie rare finalizzato ad assicurare ogni forma di prevenzione, porre infine in atto tutte quelle iniziative di sostegno e assistenza alle famiglie in cui sono presenti uno o più malati rari, garantendo ad esempio che i farmaci orfani siano posti a carico del Servizio sanitario nazionale e predisponendo anche un piano per il trattamento domiciliare (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Miotto, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00809. Ne ha facoltà.

ANNA MARGHERITA MIOTTO. Signor Presidente, non voglio correre il rischio di scambiare l'Aula per una sala convegni, come spesso accade quando si illustrano mozioni che riguardano singole patologie, per cui spesso tutti i gruppi ripetono tutte le caratteristiche con cui si manifestano queste patologie e cosa si dovrebbe fare. Io dico semplicemente che sono lieta che il Senato si sia occupato di questo tema qualche giorno fa, che i colleghi senatori siano pervenuti ad un ordine del giorno - nel loro caso era un ordine del giorno comune - ed io penso che la Camera debba aggiungere un proprio contributo rispetto alla discussione che già c'è stata e quindi prendendo atto anche degli impegni che il Governo in quella sede ha assunto.
Quindi richiamo molto brevemente i contenuti della mozione che abbiamo presentato. Anche per noi - come credo sarà per molti gruppi - c'è la necessità di impegnare il Governo sulle seguenti questioni. Cito rapidamente e sinteticamente, a mo' di sommario, i contenuti della nostra mozione: la presa in carico dei malati che sono affetti da malattie rare, il diritto all'esenzione della partecipazione della spesa per tutte le prestazioni sanitarie che sono incluse nei LEA, il monitoraggio sull'evoluzione di queste patologie, l'aggiornamento del regolamento del decreto ministeriale 18 maggio 2001, n. 279 contenente l'elenco delle malattie rare, le iniziative che consentono l'accesso universale allo screening neonatale, la necessità che la diagnosi sia effettuata nei presidi della rete e che abbia validità sull'intero territorio nazionale.
Inoltre, si prevede: la disponibilità e la gratuità delle prestazioni e l'aggiornamento dei prontuari terapeutici, perché occorre prevedere che i farmaci commercializzati in Italia, che hanno ottenuto il riconoscimento di farmaco orfano dall'Agenzia europea per la valutazione dei medicinali, siano forniti gratuitamente ai soggetti portatori di queste patologie anche nel nostro Paese; la necessità di adottare il piano nazionale per le malattie rare; di rafforzare il Centro nazionale delle malattie rare presso l'Istituto superiore di sanità; di derogare ai vincoli attualmente presenti in materia di prescrizioni farmaceutiche e, infine, di potenziare le iniziative per favorire la ricerca clinica e preclinica finalizzata alla produzione di farmaci orfani. Sommariamente, sono questi gli impegni rivolti al Governo sui quali chiediamo che si pronunci il Parlamento. Però, vorrei usare pochi minuti per dire ciò che non va nella situazione attuale in Italia. Dato atto dei grandi meriti, occorre però fare una valutazione. L'Europa è dal 1999 che si occupa annualmente di questo tema, che è molto importante e ha a che fare, come ha già detto anche la collega Binetti, con il diritto fondamentale alla salute. Ebbene, in Europa, che pure non ha competenze dirette, siamo di fronte a provvedimenti importanti che vanno dal 1999, quando le malattie rare sono state giudicate ambito prioritario dell'azione comunitaria Pag. 20nel campo della sanità pubblica, sino al 2010, quando è stato istituito un comitato di esperti sulle malattie rare. È una dimostrazione di attenzione molto importante. Nel nostro Paese, dieci anni fa con un importante provvedimento, il decreto legislativo n. 124 del 1998, che ha sancito l'accesso gratuito ai farmaci per i portatori di queste patologie, ma subito dopo con il Piano sanitario 1998-2000, è iniziata un'attenta sorveglianza su queste patologie e alcune misure sono state adottate. Senonché, tutto questo è avvenuto a corrente alterna. Occorre riconoscerlo, cari colleghi. L'alternarsi dei Governi in verità ha segnato uno stop and go che preoccupa centinaia di migliaia di famiglie in Italia. Sono nate moltissime associazioni di familiari di persone affette dalle varie patologie, anche se sono rare come è stato detto, cioè hanno una dimensione limitata da un punto di vista numerico. Ma poiché sono gravemente invalidanti e talvolta letali, queste creano grande allarme ed è giusto che ce ne occupiamo in maniera molto accurata. Cosa non ha funzionato sul versante nazionale? Vi sono malattie riconosciute, comprese nell'elenco, ma non altrettanto i percorsi assistenziali, che andavano riconosciuti come livelli essenziali. Faccio un esempio, riferendomi alla sclerosi laterale amiotrofica, che è compresa nell'elenco, ma i percorsi assistenziali non sono riconosciuti nei Lea. Oppure vi sono malattie non riconosciute. È quindi necessario l'aggiornamento di quell'elenco perché, in sua assenza, chi si trova la diagnosi di una malattia di questa natura non può ricorrere a farmaci o può farlo solo dopo un'odissea che francamente non è degna di un Paese come il nostro. Ho avuto una segnalazione recente di un malato, purtroppo unico in Italia, una bambina della provincia di Parma affetta dal morbo di Kimura, che non è compreso nell'elenco delle malattie rare.
Questa malattia è curata in Giappone, dove vi sono molti più casi che in Italia. Per poterla curare in Italia è stata necessaria una grande mobilitazione della città nella quale vive la bambina, in provincia di Parma. Successivamente la regione è intervenuta con un proprio provvedimento, ma non è così che dovrebbe essere. È un'azione di supplenza che, tra l'altro, a rigore, è una prestazione «extra LEA», ma la regione ha avuto la sensibilità di occuparsi del caso e ha provveduto, con un provvedimento ad hoc, temporaneo, limitato nel tempo. È chiaro che occorre trovare delle modalità più fluide affinché il riconoscimento di queste patologie, una volta accertato, possa trovare nel decreto ministeriale il dovuto riconoscimento.
Vi è una terza cosa che non funziona: il Registro nazionale delle malattie rare. È stato importante istituire questo Registro, del resto, senza non vi può essere sorveglianza, non si possono produrre evidenze epidemiologiche, non si possono stimare la prevalenza e l'incidenza. Occorre valutarne la caratterizzazione sul territorio, stabilire la migrazione e il ritardo diagnostico, tutti compiti del Registro. Cosa dice il citato Registro nell'ultimo rapporto 2011 pubblicato di recente? Dice (nonostante funzioni ovviamente benissimo): «Le limitate informazioni disponibili nel Registro non permettono di trarre conclusioni circa le dimensioni e l'impatto del fenomeno della migrazione regionale dei pazienti con malattie rare. Tali ragioni risiedono, in primo luogo, nella qualità dei dati pervenuti dai registri regionali al Registro nazionale, da cui deriva l'intero impianto analitico. La limitata qualità è conseguenza sia della generale sottostima delle rilevazioni regionali, causata prevalentemente dalla non obbligatorietà della segnalazione dei casi, sia dalla incompletezza delle informazioni (residenza del paziente e il luogo di diagnosi) dei casi rilevati». Aggiunge poi: «È necessario il potenziamento del sistema nazionale di sorveglianza delle malattie rare attraverso strumenti che rendano, se non obbligatoria, almeno vincolante, la segnalazione della sede di diagnosi di malattie rare ai registri regionali e, dopo opportuni controlli di merito sulla qualità dell'informazione, al Registro nazionale».
Ora, tutto il lavoro svolto attraverso l'istituzione del citato Registro è un lavoro Pag. 21vano che non serve per la programmazione perché i dati sono incompleti, non sono sufficienti per stabilire l'andamento epidemiologico e per trarre elementi utili, indispensabili per fare una corretta programmazione. In conclusione, il suddetto rapporto dice: «La qualità dell'informazione è basilare nella produzione delle evidenze epidemiologiche a supporto della definizione e dell'aggiornamento dei LEA e delle politiche e della programmazione nazionale (...). Il calcolo delle stime dell'incidenza e della prevalenza delle diverse malattie rare, le stime della migrazione sanitaria per la diagnosi e il trattamento di una patologia rara e le stime del ritardo diagnostico potranno permettere di effettuare e di supportare le scelte programmatiche di politica sanitaria nazionale e regionale, nonché gli interventi rivolti direttamente ai pazienti con malattie rare. Le informazioni raccolte non solo potranno essere di grande utilità nella ricerca epidemiologica, ma anche potrebbero favorire studi di ricerca di base e di ricerca clinica».
Se guardiamo alle regioni che non ottemperano al suddetto obbligo da un punto di vista formale, non ve ne è alcuna. Tutte le regioni hanno emanato una delibera per istituire i registri, peccato che alcune regioni non li abbiano attivati oppure abbiano un funzionamento saltuario. Allora, questi sono soldi sprecati, per cui bisogna trovare delle modalità perché questi registri funzionino. Il flusso di informazioni tra regioni e Registro nazionale delle malattie rare deve essere continuo, ma, soprattutto, aggiornato, altrimenti, di fatto, creiamo condizioni di non conoscenza del fenomeno. Aggiungo anche che, forse, attraverso i fondi di ricerca, si potrebbero trovare delle modalità per premiare i virtuosi.
Mi domando cioè se le ricerche che sono finanziate in questo settore non possano essere rivolte a quelle realtà che collaborano con i registri, perché solo così si stabilisce un incentivo che può essere utile affinché il sistema funzioni. Faccio un ultimo riferimento alla necessità di disporre di una legge perché occorre una collaborazione più stretta con le associazioni. Le associazioni dei malati in questo campo sono preziosissime, collaborano con le istituzioni, spesso hanno un rapporto positivo con esse; nel progetto - che mi auguro verrà predisposto dal Governo nel Piano per le malattie rare - mi auguro siano indicate delle funzioni specifiche, o meglio l'onere per l'amministrazione pubblica di collaborare con le associazioni che cooperano. Ci troviamo infatti, in qualche circostanza, di fronte a situazioni davvero paradossali. Ad esempio, un'associazione - della quale non faccio il nome, naturalmente - nella primavera scorsa, quindi quasi un anno fa, ha donato un'attrezzatura costosa (costata 300 mila euro) per la spettrometria di massa tandem, che consente, con una goccia di sangue di un neonato entro le prime 72 ore dalla nascita, di potere diagnosticare la presenza di ben quaranta malattie metaboliche ereditarie. L'incidenza delle malattie metaboliche ereditarie, pur con l'incertezza dei dati che si hanno a disposizione, fa pensare ad una frequenza di un bambino malato ogni 20 mila nati. Un'attrezzatura come questa può soddisfare le esigenze di una macroregione o comunque di un territorio di circa 8 milioni di abitanti, quindi è sufficiente per un accordo interregionale. Questa associazione ha regalato l'attrezzatura all'azienda ospedaliera di Padova perché in quella sede c'è...

PRESIDENTE. La prego di concludere.

ANNA MARGHERITA MIOTTO. ...uno specialista di grande valore - sto per concludere, signor Presidente - che ha maturato una lunghissima esperienza in questo campo ed è responsabile dell'Unità operativa complessa di malattie metaboliche ereditarie presso il dipartimento di pediatria. Questa attrezzatura è ancora imballata presso la struttura, per ragioni di tipo campanilistico, perché la regione è stata inadempiente e si fa tirare per la giacca da richieste che provengono da altre strutture. Signor Ministro, la presenza delle associazioni è meritoria, ma non può essere svilita o mortificata da Pag. 22scelte che risentono più delle esigenze di tipo clientelare e campanilistico e talvolta non hanno nulla a che fare con il bene dei cittadini. Anche nell'interesse, davvero, della salute dei cittadini e quindi a salvaguardia dell'articolo 32 della Costituzione, credo che la discussione in corso sarà utile e l'approvazione della mozione in esame andrà in questa direzione (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Argentin. Ne ha facoltà per dieci minuti.

ILEANA ARGENTIN. Signor Presidente, signor Ministro, sono contenta che lei oggi sia in Aula: abbiamo avuto un attimo di terrore all'inizio quando non l'abbiamo veduta. L'illustrazione della mozione dell'onorevole Miotto credo sia stata completata con il suo intervento, nel senso che effettivamente, nella sua esplicazione, ha dato il senso di quello che noi intendiamo. Vorrei tuttavia ribadire che, a mio avviso, questo Governo potrebbe fornire delle risposte effettivamente reali e concrete, molto più di quanto è stato fatto finora rispetto alla regolamentazione e alla normativa che concerne le malattie rare. Signor Ministro, quando parliamo di malattie rare parliamo di cinque casi ogni diecimila. Ma quanto è vero che alcune malattie oggi sono rare o quanto facciamo finta che lo siano?
È pur vero che alcune malattie non si conoscono e debbono avere gli elementi e i presupposti elencati dall'onorevole Miotto perché siano date delle risposte, ma quando sentiamo parlare di SLA oggi come malattia rara io mi sento un po' rabbrividire, perché sono, purtroppo, talmente tanti i casi che non siamo più nei limiti di ciò che definivamo malattia rara. Quindi, occorre anche l'onestà intellettuale che ci permetta di dire dei «no», lì dove servono, o dei «sì». Credo che questo sia fondamentale rispetto alla sanità. Sono fortemente convinta che il servizio pubblico debba essere adempiente il più possibile, ma lì dove i criteri vengono a cambiare bisogna saper dire dei «no», perché questo significa penalizzare le vere malattie rare che sono tutta un'altra cosa: mi riferisco al «giro delle sette chiese» delle famiglie, che prima che trovano una ragion d'essere diventano pazze, e che non sanno mai se ciò che gli viene detto sia la verità o meno. Mi riferisco anche al ruolo del medico come nemico, che secondo me andrebbe tutelato a questo punto, e anche all'aiuto e al sostegno psicologico di queste famiglie che devono affrontare situazioni che non sono quelle quotidiane di chi comunque si scontra con un disagio o con un limite o con una patologia, ma riguarda chi si scontra con l'ignoto.
Credo che queste famiglie dovrebbero essere supportate diversamente. L'onorevole Miotto parlava giustamente anche della difficoltà di dare pari opportunità rispetto alle malattie rare da regione a regione. In altre parole, non si può essere più rari - mi conceda il termine - in una regione e meno rari (mi riferisco ad una patologia) in un'altra regione. Deve esistere un punto di equilibrio che permetta a chi nasce a Forlì così come a chi nasce a Cosenza di avere lo stesso diritto e le stesse pari opportunità rispetto alla condizione di affetti da patologia rara.
La patologia rara non solo penalizza rispetto al disagio dei genitori o dell'utente in quanto tale, ma inoltre fa sentire i diversi tra di loro fuori dal gruppo della diversità, cioè non si trova un gruppo di appartenenza neanche nel disagio. Mi creda, questa è una cosa che dal punto di vista medico e sanitario può essere letta, ma dal punto personale, dell'individuo in quanto tale, è assolutamente penalizzante in modo esponenziale. Appartenere - ad esempio - ai distrofici è comunque un modo di stare insieme in un gruppo; quando invece si è soli e non si ha nemmeno il riconoscimento del proprio gruppo di «sfiga» (mi conceda il termine) è grave, è una cosa che va bloccata, risolta nel modo più veloce possibile. E poi lei mi insegna che nel mondo del disagio le patologie rare vengono viste, anche dalla disabilità, e da chi vive una patologia più conosciuta, come una situazione gravissima, nel senso che si creano delle guerre Pag. 23fra poveri fortissime. Il fatto che una persona con una patologia rara abbia un'esenzione totale e che un'altra che non presenta una patologia rara non ce l'abbia è grave, perché comunque si fanno figli e figliastri, e si crea un dissapore enorme tra la gente, che poi si confronta rispetto alle rispettive patologie e ai servizi che tornano indietro.
È importante per quanto riguarda le malattie rare non soltanto la parte sanitaria ma anche quella sociale. Quasi sempre un malattia rara comporta un handicap. Perché decidere a tutti i costi che questa patologia pesi solo sul capitolo di bilancio sanitario? I capitoli di bilancio sociali sono un'altra cosa. Io sono assolutamente per una normativa sociosanitaria, però è giusto che si prendano carico di tali patologie anche altri capitoli di bilancio (mi conceda questo termine), proprio perché molte volte queste patologie comportano alimentazioni diverse, modi di vivere diversi, bisogni diversi.
E soprattutto in questi stati di handicap, laddove persiste una patologia che non è immediatamente letale, il sociale diventa riabilitazione, poiché l'assistenza, che noi in quel caso facciamo pagare come assistenza sanitaria, è invece solo assistenza sociale. Infatti, se uno ha bisogno di una persona che gli sta accanto e lo assiste, è in una condizione ben diversa da chi deve fare cateterismo o ha una perdita o ha una situazione respiratoria particolare che richiede che gli vadano fatte delle manovre invasive. Su questo, invece, facciamo finta di niente. Mi permetto di dire, con grande umiltà, ma anche con grande determinazione, che la sanità vive uno stato di crisi e di deficit proprio perché si ha quasi paura di fare i conti con il male. E soprattutto lì dove vi sono patologie rare, vi è questo grande limite: cioè vi è ancora di più un'attenzione, che poi non è quella corretta e giusta, la quale, al contrario, servirebbe, di poter dire - ripeto - dei «no» definitivi.
Credo che l'illustrazione dell'onorevole Miotto abbia dato il senso di quello che noi intendiamo, e cioè per noi tre sono le cose fondamentali (o perlomeno io le ricomprendo in tre punti): una prevenzione adeguata; un reale capitolo sul quale far riferimento e, cioè, un registro non triennale, ma annuale, in cui vengano messe, e anche tolte, però, le malattie rare, (perché non possiamo solo inserirle e non toglierle, in quanto un tempo, ad esempio, la distrofia muscolare di Duchenne era una malattia rara, mentre, oggi, purtroppo, è una patologia che colpisce un bambino su 800 o 8.000); e i farmaci (terzo ed ultimo punto), nel senso che, secondo me, è vero che le aziende vadano tutelate, defiscalizzate e che in qualche modo gli vada concesso un sostegno, però è pur vero che si debba anche far capire alle aziende medesime che il business delle malattie rare non può essere una cosa correlabile a tutte le patologie, ma realmente solo e soltanto a quelle in cui, come ripeto, la percentuale è di 5 a 10 mila (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Barani. Ne ha facoltà.

LUCIO BARANI. Signor Presidente, saluto il Ministro. Rispetto alla collega Binetti sono stato più fortunato in quanto a lei, durante l'intervento, è toccato il sottosegretario ai trasporti, invece io ho il Ministro di fronte, e quindi intervenendo dopo, ritengo di essere più fortunato. Mi ero preparato una traccia per questo intervento che facevo con una certa gioia, a nome anche di tutto il gruppo del Popolo della Libertà che ha firmato, con buona parte dei suoi componenti della Commissione affari sociali, di cui mi onoro di essere il rappresentante come capogruppo, la mozione a prima firma Binetti. Avevo visto che, in maniera trasversale, questa mozione era ritenuta un punto di grande mediazione su un problema molto, molto, troppo, importante. Invece oggi in Aula mi sono accorto che, nonostante l'ordine del giorno riportasse al punto 2 la discussione di un'unica mozione, in cui, come ripeto, il gruppo a cui appartengo si riconosce, sono state presentate altre due mozioni - e non le ho potute ancora vedere perché sono in fase di pubblicazione o di consegna -, Pag. 24quella del gruppo della Lega Nord Padania e quella del gruppo del Partito Democratico.
Già siamo di fronte ad un tema importante, quello delle malattie rare, termine che, tra l'altro, non mi soddisfa, perché mi fa venire immediatamente in mente i piccoli reati, quelli che i pubblici ministeri trascurano, a cui non danno notorietà, che non interessano a nessuno, come i furti di macchine o in appartamenti, che sappiamo essere impuniti per il 99,999 per cento.
Proprio sulla base di questo paragone, mi viene in mente che le malattie rare hanno l'uguale caratteristica di non dare notorietà. Infatti, l'Unione europea, secondo una classificazione che ha realizzato - per essere preciso, con il regolamento (CE) n. 141/2000 -, riferisce che sono considerate rare quelle patologie la cui prevalenza non è superiore a 5 su 10 mila abitanti. Quindi, l'arbitraria definizione - riduttiva per il sottoscritto - di «malattie rare» non ha sicuramente favorito la ricerca né l'attenzione sulle cause di tali patologie, frenando anche gli investimenti nel campo diagnostico e terapeutico da parte del mondo della ricerca e, soprattutto, delle case farmaceutiche, perché non erano sicuramente remunerativi.
Dunque, tali malattie vengono chiamate «rare» e sono in pochi ad interessarsi di esse, ma la drammaticità - ecco perché ringrazio l'onorevole Binetti per averci stimolato con questa mozione e mi complimento con il Senato che, la scorsa settimana o qualche settimana fa, ha già votato unanimemente una mozione concernente queste patologie - è data dal fatto che i numeri in questione sono importanti. In Europa, si parla di una cifra che va da 27 a 36 milioni di persone che ne sono affette. Nell'Unione europea, si parla, oggi, di 5 mila-8 mila malattie rare esistenti che colpiscono complessivamente il 6-8 per cento della popolazione, con i numeri che vi ho appena esposto. Sono malattie rare perché i singoli tipi colpiscono piccoli numeri di persone, ma messe insieme, forse, esse rappresentano le patologie di maggiore prevalenza, forse superiore alle patologie tumorali e cardiovascolari, arrivando a totalizzare numeri importanti.
Pertanto, la prima considerazione - deviando dalla traccia che avevo preparato, in cui avevo scritto di complimentarmi per il fatto che sulla mozione in oggetto eravamo partiti con un'unità di intenti - è di cercare, se possibile, unendo le tre mozioni presentate (due non le conosco ancora), di addivenire, in questo campo, almeno, ad una sintesi unitaria. Noi vogliamo spronare il Ministro ed il Ministero, affinché tutto ciò che si è fatto in questi anni, da parte di tutti i Governi, non rimanga una cosa a sé: gli intenti, infatti, sono sempre stati buoni, ottimi, ma poi le conclusioni non sono state altrettanto meritevoli.
Mi riferisco al fatto che, già dal 18 maggio 2001, con il decreto del Ministero della sanità n. 279, recante «Regolamento di istituzione della rete nazionale delle malattie rare e di esenzione dalla partecipazione al costo delle relative prestazioni sanitarie», nell'allegato 1, vi era l'elenco delle malattie riconosciute come rare, di cui l'articolo 8 prevedeva l'aggiornamento con cadenza triennale, dato che, ogni anno, la ricerca, la tecnologia e gli sforzi, portano a raggiungere quei numeri, di 5-8 mila casi di diverse patologie, che sono chiamate rare.
Quindi, da quel lontano 2001 siamo arrivati al Governo Berlusconi che nel 2008, con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 21 marzo 2008, all'allegato 7 esplicitava che fosse necessario un aggiornamento delle malattie riconosciute come rare, integrando e sostituendo l'allegato 1 del citato decreto ministeriale n. 279 del 2001. Questo allegato 7 al decreto rappresenterebbe, dunque, l'unico documento ufficiale, con i limiti evidenti conseguenti dall'emergere, nel tempo, dal 2008, di nuove patologie, prima sconosciute. A titolo esemplificativo e non naturalmente esaustivo, tale allegato indicherebbe in 109 le patologie da includere ai fini del riconoscimento dello status di malattie rare; questo 109 ovviamente, signor Ministro, è per difetto; credo che, Pag. 25quando lei emanerà il decreto, l'allegato 7 avrà dei numeri di gran lunga superiori.
È per tali motivi che credo - e lo ripeto ancora, repetita iuvant, dicevano i nostri padri latini - sia necessario riconoscerci in una mozione comune e lo sforzo di tutto il Parlamento deve essere quello di pungolare il Ministro affinché non si perda ulteriore tempo. Forse questo, per la sanità, è un periodo «parlamentare» felice perché, lasciando perdere le fazioni contrapposte, si può pensare al bene comune.
Signor Ministro, ovviamente, ci troviamo già di fronte alla Conferenza Stato-regioni; lei ha tutta la mia comprensione, so perfettamente che la pensa come me perché in questa Conferenza Stato-regioni si dice di tutto e di più, e poi, a livello regionale, si fa di tutto e di meno. Noi infatti, in questo Paese, abbiamo 21 sistemi sanitari diversi. Per non far torto a nessuno uno che parte da Aosta o dal Trentino-Alto Adige ed arriva, passando dal Tirreno o dall'Adriatico, fino in Sicilia, trova 21 sistemi sanitari completamente diversi. Da una parte al pronto soccorso ci si accede pagando un ticket oppure no, da altre parti le prestazioni ci sono, non ci sono e così via. Se idealmente, un ammalato per qualsiasi patologia, dovesse percorrere i 21 sistemi italiani, sia regionali, sia delle province autonome di Trento e di Bolzano (diciannove più due), si troverebbe effettivamente di fronte alla possibilità di scrivere un libro, non grosso come la Divina Commedia ma quasi, per le situazioni imbarazzanti che troverebbe in questo percorso.
Signor Ministro, lei sa perfettamente che, proprio l'8 luglio 2010, era stata prevista, e la mozione Binetti lo ricorda, una quota vincolata di 20 milioni di euro per progetti relativi alle malattie rare, ripartita in base alla popolazione di riferimento. Ovviamente noi sappiamo che questi 20 milioni di euro sono ancora lì, saranno stati ripartiti, non lo so, ma certo, non sono stati utilizzati nel senso che dicevo io. Ora, il ragionamento, come vedete, è partito da lontano ma quello sulle malattie rare, come prevede nell'introduzione questa mozione Binetti, parte dall'articolo 3 e dall'articolo 32 della Costituzione; parte da quegli articoli sull'uguaglianza formale e l'uguaglianza sostanziale di tutti i cittadini italiani e ricorda che il bene supremo da tutelare, previsto dal primo comma dell'articolo 32 della Costituzione, è la salute.
È per questo il nostro invito ad avere, sulle malattie rare, un impegno comune, per cercare di venire incontro a queste persone che, come risulta dai dati, in ogni famiglia, o l'una o l'altra, si trova. Sono patologie potenzialmente letali e cronicamente debilitanti, caratterizzate da una bassa prevalenza, ma da un elevato grado di complessità. Sono in gran parte di origine genetica, e comprendono anche rare forme tumorali, malattie autoimmuni, malformazioni congenite e patologie di origine infettive e tossica.
L'Italia - non l'ho ancora detto - ha ventimila persone l'anno che si ammalano di una di queste patologie certificate come rare. A volte sono prive di trattamento, come ho già detto, sono croniche e invalidanti, che necessitano di specifici servizi assistenziali, che costano alle famiglie, a volte, molto sia a livello sanitario che sociale, se non sempre da un punto di vista economico. Se si analizza la situazione nelle varie regioni italiane, vediamo questa disparità, che lei, signor Ministro, deve risolvere. Forse l'unica soluzione è ritornare indietro, a quella «malefica» modifica del Titolo V della Costituzione, che ha privato lo Stato centrale della possibilità di controllare e di uniformare la sanità ai vari livelli. Però, questa disparità, questa disuguaglianza che viene meno al principio costituzionale che ho voluto citare, esiste.
Se la Costituzione è nostro pane quotidiano, va applicata, ma va applicata veramente, se notiamo che nelle diverse regioni, sia del Nord sia del Centro che del Sud, sia amministrate dal centrodestra che dal centrosinistra (la salute non ha colore politico), vi è questa situazione. Le ricordo, quindi, che l'8 giugno 2009, l'Unione europea, proprio facendo riferimento al regolamento n. 141/2000, ha chiesto agli Pag. 26Stati membri di elaborare e adottare piani e strategie nel settore delle malattie, entro la fine del 2013. Ecco l'attualità della mozione.
Cari colleghi, a quella data manca poco più di un anno. L'Italia, quindi, e il Parlamento, anche se non ha perso tempo in questi anni - come già citato, esiste un decreto adottato nel 2008 dal Governo Berlusconi, e prima uno adottato nel 2001 -, è necessario, veramente, adeguarsi con rapidità per riuscire a fare in modo che si abbiano cure appropriate e che vi siano gli incentivi per la ricerca nel campo delle malattie rare.
Anche in una situazione gravosa per i conti pubblici, dobbiamo assolutamente fare un passo avanti. Mi auguro che, con gli impegni che il Governo prenderà a seguito dell'approvazione della mozione oggi qui in discussione, e a seguito dell'approvazione della già citata mozione presentata in Senato, si possa realmente concludere quella che ritengo essere una battaglia di civiltà.
Di fronte a questa situazione vogliamo non far sentire soli gli ammalati. Ci richiamiamo, come gruppo del Popolo della Libertà, ai già citati principi costituzionali, e ci accorgiamo che qualcosa non sta funzionando: non è accettabile che queste persone siano lasciate sole, in particolare in un Paese come il nostro, che fa parte dell'Unione europea e che ha la fortuna di avere un sistema - come diceva il collega Rondini - tra i migliori, che, giustamente, vuol cercare di farsi carico del bisogno sanitario dei cittadini.
Peraltro, pur essendo rare, come ho già avuto modo di dire e come già evidenziato, siamo di fronte a numeri incredibili.
Sono numeri ancora più gravi se si sottolinea il fatto che risulta che il 70 per cento di questi (due milioni sono italiani e tra i 27 e i 36 milioni europei) sono in età pediatrica, sono i nostri figli. Sono sopratutto i bambini e le bambine ad essere colpiti da queste malattie e quindi la nostra responsabilità deve essere ancora maggiore.
Questo richiama ulteriormente al proprio dovere sia il Governo che il Parlamento. Siamo di fronte a patologie i cui farmaci - che non sono risolutivi della patologia purtroppo - in alcuni casi servono non solo ad accompagnare, ma anche a creare condizioni migliori di vita per la persona e per la famiglia di chi ha la sfortuna di avere un bambino affetto da patologie.
In alcuni casi i farmaci servono a bloccare la degenerazione della malattia, in altri casi non sono un farmaco salvavita, ma una sorta di accompagnamento della patologia. Questi farmaci sono anche chiamati - come le colleghe che sono intervenute prima di me hanno giustamente detto - orfani. Noi siamo a tutti gli effetti europei e per tale motivo ci rivolgiamo a questo Governo che dice di avere attenzione per l'Europa, né più né meno del Governo Berlusconi precedente, che cito, ma anche - visto il fiore che porto - dei Governi a presidenza Craxi.
Ebbene, vi è un Paese in Europa, la Francia, che ha adottato l'autorizzazione temporanea, come riferiva la collega Binetti. Ciò significa che mentre il farmaco è sottoposto a tutte le procedure di verifica prima della commercializzazione sul territorio nazionale, una volta completata la sperimentazione (che accerta l'assenza di rischio di insorgenza di complicanze e dimostra la validità del farmaco) è possibile metterlo in commercio e quindi darlo, sul modello francese, ai pazienti affetti da quelle patologie per le quali è stato studiato e testato, in attesa dell'autorizzazione definitiva.
È una misura a costo zero. La Francia ha già adottato tale procedura che è semplificata rispetto a quella che viene adottata attualmente oggi in Italia e in altri Paesi europei. Abbiamo visto che ha dato buoni risultati, concedendo sempre un briciolo di speranza in più a una parte di quei due milioni di persone affetti da patologie rare. Anche se fosse solo un caso ad essere risolto, sarebbe già tanto. Lo dobbiamo fare, signor Ministro.
Sarebbe, inoltre, opportuno un intervento del Governo volto ad evitare che le Pag. 27misure contenute nella manovra dello scorso luglio, finalizzate a contenere la spesa pubblica per il rimborso dei farmaci, si ritorcano a danno delle aziende che producono i farmaci per queste patologie. Si tratta, infatti, spesso di piccole ditte che operano spinte da motivazioni etiche, piuttosto che dalla ricerca del profitto e vanno aiutate e tenute in considerazione.
Con la mozione in discussione chiediamo che l'Italia, sulla base anche delle indicazioni provenienti dall'Unione europea, si allinei alle procedure vigenti - come ho già detto - in altri Paesi (prima ho citato in particolare la Francia, ma voglio citare anche gli Stati Uniti), garantendo ai pazienti un accesso omogeneo e tempestivo ai farmaci e alle terapie, anche a quelle innovative che sono ancora in fase sperimentale.
Inoltre, la mozione è stata sottoscritta anche a nome del gruppo del Popolo della Libertà da una dozzina di firmatari. Vorremmo impegnare il Governo Monti a portare a compimento quanto ho citato prima, già iniziato nel 2008 dal Governo Berlusconi: aggiornare l'elenco delle malattie rare di cui sono affetti milioni di pazienti del mondo e, come ho già detto, aumentare quel fatidico 109 previsto, perché dal 23 aprile del 2008 siamo, credo, ad oltre 130-140.
Occorre inoltre, e arrivo a concludere, signor Ministro, prestare adeguata attenzione ai cosiddetti farmaci orfani che, pur non essendo in grado di curare in modo risolutivo le patologie rare, possono accompagnare il decorso, creando condizioni di vita migliore o impedendone la degenerazione. La mozione che abbiamo firmato, in cui tutto il gruppo si riconosce e che credo e spero - ritorno all'appello iniziale - sia unitaria, impegna il Governo - e concludo - innanzitutto a verificare in che modo e fino a che punto i bisogni di salute di questi pazienti vengono attualmente soddisfatti, tenendo conto che, in questo particolare momento di risanamento economico del Paese, esiste una categoria di cittadini già gravemente penalizzata, sulla quale si chiede di non incidere ulteriormente.
Inoltre, invitiamo il Governo a istituire a livello nazionale e a promuovere l'istituzione in sede regionale - come la collega Miotto ha ovviamente avuto modo di citare - dei registri delle patologie di rilevante interesse sanitario in modo da far chiarezza sulle cifre reali dei pazienti che ne sono affetti, consentendo l'utilizzo mirato delle risorse pubbliche.
Inoltre, la mozione prevede l'impegno anche ad uno screening neonatale. Oggi abbiamo un screening per la fibrosi cistica, per la fenilchetonuria, per l'ipotiroidismo e, in alcune regioni, per la galattosemia. Forse è il momento di valutare, signor Ministro, qual è il costo di uno screening cosiddetto allargato. A me risulta che sia pari forse a 4, 5 euro per bambino perché parliamo di patologie che affliggono soprattutto il paziente in età neonatale e pediatrica. Probabilmente, sarebbe addirittura un investimento allargare lo screening neonatale anche ad altre patologie cosiddette rare.
Infine, vorremmo far sentire la nostra vicinanza a tutte le associazioni dei malati, che hanno il nostro plauso, agli operatori della sanità che operano in questo settore. Vorremmo altresì istituire un tavolo di lavoro, che potrebbe riunirsi con cadenze bimestrali, trimestrali, quadrimestrali, che non sia un tavolo per fare una passerella, ma un tavolo per far sentire l'attenzione che lo Stato destina a questi problemi, coinvolgendo tutti quanti i soggetti che, con vari ruoli e responsabilità, hanno competenze.
Concludendo definitivamente, insieme a tutti gli altri colleghi - all'onorevole Binetti, prima firmataria della mozione in discussione in cui mi riconosco, ma riconoscendomi ovviamente anche in quanto l'onorevole Miotto e l'onorevole Rondini hanno testé illustrato con le loro mozioni, rispettivamente del Partito Democratico e della Lega Nord - ci auguriamo che oggi si voglia, con l'approvazione di una mozione unitaria, dar voce al Parlamento che invita il Governo a fare tutto quello che è nelle proprie possibilità e capacità per venire incontro soprattutto a questi giovani affetti da queste terribili patologie, Pag. 28che hanno veramente un carattere e un risvolto di natura sociale e coinvolgono tutta quanta la collettività.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Pedoto. Ne ha facoltà per dieci minuti.

LUCIANA PEDOTO. Signor Presidente, grazie per il tempo che mi dà anche se il mio intervento sarà molto più breve. In Italia manca ancora una legge sulle malattie rare nonostante il nostro Parlamento sia impegnato su questo tema da più di una legislatura.
Sappiamo molto bene, l'abbiamo anche sentito ripetere stasera in quest'Aula, di cosa si tratta. Si tratta di malattie che colpiscono in Europa circa 30 milioni di persone. Sappiamo anche che la definizione «rara» non ha certamente agevolato i processi di ricerca, non ha agevolato l'attenzione sulle cause che le scatenano, non ha agevolato anche i processi di cura.
La conseguenza è che ci sono state delle grosse difficoltà nel fornire diagnosi tempestive e cure adeguate e nel lasciare soli i pazienti e le loro famiglie in questo percorso ad ostacoli nella burocrazia. L'onorevole Miotto, ha spiegato molto bene dove sono gli ostacoli e la burocrazia. Infatti, anche quando da una parte una malattia viene riconosciuta ed inserita nell'elenco, dall'altra non è inserita nei LEA e, quindi, questo è un percorso ad ostacoli eccessivamente vessatorio per i malati e per le loro famiglie.
Molto stanno facendo in questi tempi le associazioni di malati e le loro famiglie, anche se non si può dire che si riesca a fare più di tanto. Infatti, a fronte di tanti impegni anche da parte delle associazioni, c'è un'incapacità nostra, dello Stato, di fornire una risposta legislativa adeguata. Mi dispiace molto di questo, perché sappiamo che in Parlamento giacciono molte proposte di legge su questo tema. In questa legislatura, sono andata a contarle, giacciono 15 proposte di legge di diversi colleghi parlamentari che appartengono a tutte le componenti politiche.
Quindi, si tratta di proposte che, come ad esempio quella che ho presentato io stessa e che è stata sottoscritta da moltissimi colleghi del Partito Democratico, contengono impegni ad incrementare le risorse per finanziare le infrastrutture, la ricerca e l'assistenza e per facilitare ai cittadini colpiti da queste malattie l'accesso ai farmaci e alle terapie senza quei percorsi burocratici vessatori e ad ostacoli di cui largamente si è parlato anche in quest'Aula, ma che purtroppo sono tristemente diffusi e che assillano le famiglie facendo sentire i malati di malattie rare dei malati di serie B.
Quindi, signor Presidente, con questo concludo il mio breve intervento su questo tema. Oggi inizia l'esame di queste diverse mozioni che certamente verranno approvate in questa settimana e sono convinta che ciò avverrà all'unanimità. Questo è un esempio di fiducia che noi apprezziamo, ma dobbiamo e vogliamo essere operativi. Quindi, consideriamo un primo contributo le mozioni che il Parlamento certamente approverà in questi giorni e non facciamo che da una parte approviamo le mozioni e poi rinviamo, ancora una volta, l'approvazione di una legge sulle malattie rare.
Quindi, signor Presidente, se mi è permessa un'esortazione, chiederei al Governo di valutare queste proposte di legge depositate. Per alcune di queste nell'altro ramo del Parlamento è iniziata nelle Commissioni la discussione, che però si è fermata circa un anno fa. Insisto: dobbiamo dare una risposta legislativa adeguata, trovare la consistenza di quelle leggi che da troppo tempo i cittadini malati e le loro famiglie stanno aspettando. Concludendo, vorrei sapere dal Governo cosa intende fare a proposito di un intervento legislativo che è l'unico - si ritiene - che possa portare al raggiungimento degli obiettivi auspicati (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

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PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.

(Intervento del Governo)

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Ministro della salute, Balduzzi.

RENATO BALDUZZI, Ministro della salute. Signor Presidente, come ho già avuto modo di dire la scorsa settimana nell'altro ramo del Parlamento, questi atti di indirizzo sono un contributo importante, specialmente con riferimento a queste situazioni, perché rare sono le persone malate della singola malattia, ma non sono rare le malattie e non le persone malate.
Quindi, l'impegno da questo punto di vista proprio per questa ragione deve essere massimo. D'altra parte, come ricordava opportunamente poc'anzi soprattutto l'onorevole Pedoto, forte è stata ed è l'attenzione parlamentare su questi argomenti, sia attraverso la presentazione di proposte e di disegni di legge, sia attraverso la presentazione di mozioni, ordini del giorno e altri atti di indirizzo e controllo.
Posso testimoniare che sono quasi due mesi che sono Ministro ma quotidianamente sono sollecitato su questa o quella malattia cosiddetta rara. Dunque, non è stato casuale che fin dall'inizio, a partire dalle prime occasioni di confronto, specialmente in Commissione, su questi problemi, abbia dato la disponibilità forte a intervenire su questo tema e abbia proposto al tavolo del patto per la salute, attuativo tra l'altro della cosiddetta manovra estiva ma, evidentemente, con una portata più ampia, di riprendere il cammino del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sui cosiddetti nuovi livelli essenziali di assistenza del 2008, aggiornando eventualmente le 109 malattie che da allora a oggi certamente richiedono un aggiornamento. Del resto, ricordate che sin dall'inizio l'aggiornamento doveva essere triennale e dai LEA del 2008 i tre anni sono già trascorsi.
Preciso su questo punto che è importante fare un ragionamento complessivo, perché si è dimostrato impraticabile in questi anni procedere attraverso interventi puntiformi, impraticabili specialmente in un contesto di risorse limitate. Così confermo l'impegno, come ho già avuto modo di dire in più occasioni e anche all'interno degli organi di questo ramo del Parlamento, per una rapida approvazione del disegno di legge sulle malattie rare.
Devo poi ringraziare l'onorevole Binetti, avvertendo che leggerò molto volentieri la parte del suo intervento che non ho ascoltato, per aver ricordato alcuni passaggi della mia certamente ancora iniziale attività di governo ma, soprattutto, per quello che fa sul piano culturale per le malattie rare, dentro e fuori del Parlamento.
Volevo precisare che non siamo all'anno zero. D'altra parte, già gli interventi lo hanno ampiamente dimostrato. Partiamo soprattutto dal regolamento del 2001. Abbiamo poi avuto il Fondo nazionale per le malattie rare. Vi sono delle iniziative ormai consolidate di ricerca e ho lasciato agli atti, la scorsa settimana, nell'altro ramo del Parlamento un quadro aggiornato dell'Aifa in ordine a queste problematiche. Inoltre, siamo anche presenti da tempo sul versante europeo dato che l'Aifa è titolare di un sottoprogetto nell'ambito di un progetto più ampio a livello comunitario, progetto che non si radica nella DG Sanco ma nella DG Industria, di una specifica iniziativa di ricerca volta a trovare meccanismi di accesso coordinato ai cosiddetti farmaci orfani e anche questo è un elemento che va sottolineato.
Ma, come è stato ricordato, perché altrimenti il mio intervento sarebbe monco, abbiamo bisogno di un ulteriore salto di qualità. Si deve passare dall'acquisizione culturale, ormai quasi generalizzata, sul concetto di malattie rare e sulla scarsa pertinenza dell'aggettivo al sostantivo, alla individuazione di strumenti normativi e amministrativi e da questi Pag. 30all'effettività pratica - tra l'altro opportunamente l'onorevole Miotto ricordava la questione dell'attivazione dei registri - per poi riuscire, una volta che vi sia stata una qualche effettività, a valutarla e, dunque, a vedere se non sia il caso di ritornare nel circolo virtuoso - l'acquisizione culturale, l'effettività pratica e la valutazione di quello che si è fatto - con la capacità, come ricordava soprattutto opportunamente l'onorevole Argentin, di dire dei «no» e dei «sì».
Non è possibile dire soltanto dei «sì», specialmente nel contesto attuale, ma dobbiamo dire dei «no» e dei «sì» che siano appropriati: anche in questo campo l'appropriatezza è un po' un faro che guida tutto. Dobbiamo aprire una discussione su basi nuove - e questa discussione odierna è la premessa e già al tempo stesso, l'attuazione di questo approccio - e poi riuscire a chiudere queste discussioni con impegni precisi. D'altra parte, anche per questo ho insistito per l'inserimento del tema malattie rare nell'ambito del prossimo patto per la salute.
Confermo l'impegno, entro il 2013, possibilmente con qualche anticipo, alla realizzazione del piano nazionale delle malattie rare. I termini sovranazionali possono anche essere interpretati non come termini ultimi, ma come termini di orientamento, ossia come termini sollecitatori: non è necessario attendere obbligatoriamente lo spirare del termine e anche l'impegno per un patto di solidarietà - questo è un punto che credo molto importante - con le aziende per rendere compatibile - ho ascoltato la discussione sulle linee generali - l'approccio e la sottolineatura degli onorevoli Rondini e Barani con l'approccio e la sottolineatura dell'onorevole Argentin, soprattutto. D'altra parte, in materia di ATU non siamo sprovvisti di fantasia, perché è dal 1996 che abbiamo nel nostro ordinamento lo strumento dell'autorizzazione temporanea di utilizzo; ma il fatto che sia previsto dal 1996 non vuol dire però che l'abbiamo praticato.
Dunque, affinché non siano orfane le persone, oltre che i farmaci, credo che si debba aprire una reale discussione con le aziende sulla necessità di rendere appunto compatibile l'aiuto sul fronte della ricerca con gli esiti, in termini di costi dei medicinali; che siano praticabili e compatibili, sennò la difficoltà e le resistenze, soprattutto regionali, non potranno che aumentare.
Ventuno sottosistemi sanitari - sottolineava opportunamente il rappresentante di gruppo in Commissione del Popolo della libertà - pertanto, io direi come riuscire a fare di queste diversità una virtuosità. Mi sembra che il tema sia questo, onorevole Barani, nel senso che non credo che si possa tornare indietro, piuttosto potremmo andare avanti meglio. La strada, sotto questo profilo, per rispondere alla domanda che lei ha posto e che vorrei riscontrare, e non evitare è quella delle buone pratiche, con un ruolo propulsivo del centro. D'altra parte, noi abbiamo già una situazione in cui molte regioni fanno lo screening neonatale, hanno dei LEA aggiuntivi per le malattie rare, hanno percorsi assistenziali istituiti ad hoc. Abbiamo anche, sull'altro fronte, un impegno del Governo, o meglio dei Governi: il primo riscontro normativo in materia risale al 1999, ma poi è proseguito dal 2004 in poi, con annualmente delle precisazioni per trovare un punto di caduta di questi discorsi nei cosiddetti piani di rientro. Gli strumenti ci sono per riuscire ad orientare questi 21 sottosistemi, ma l'importante è trovare un accordo tra l'impegno che il Governo indubbiamente mette e che i due rami del Parlamento indubbiamente esercitano e la possibilità di trarre virtuosità da un sistema decentrato e articolato.
Per questo, signor Presidente, nel concludere questo intervento, che spero abbia dimostrato non solo l'interesse, ma anche la puntualità con cui cerchiamo di seguire questa problematica, auspico anch'io che si possa arrivare ad una mozione condivisa, così da precisare impegni chiari, il cui accoglimento da parte del Governo non sia semplicemente un dovuto e corretto omaggio ai poteri costituzionalmente attribuiti al Parlamento, ma un'ulteriore tappa di evoluzione in questa materia.

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PRESIDENTE. Il Governo si riserva quindi di esprimere il parere sulle mozioni nella seduta successiva, alla quale è rinviato il seguito della discussione.

Discussione della proposta di legge S. 2124 - Senatori Berselli ed altri: Modifiche dei circondari dei tribunali di Pesaro e di Rimini (Approvata dal Senato) (A.C. 4130-A) (ore 18,35).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge d'iniziativa dei senatori Berselli ed altri, già approvata dal Senato: Modifiche dei circondari dei tribunali di Pesaro e di Rimini.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali - A.C. 4130-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
La II Commissione (Giustizia) si intende autorizzata a riferire oralmente. Il relatore, onorevole Paolini, ha facoltà di svolgere la relazione.

LUCA RODOLFO PAOLINI, Relatore. Signor Presidente, sarò molto breve. In seguito al referendum del 2006, la legge 3 agosto 2009, n. 117 ha disposto il distacco dei comuni di Casteldelci, Maiolo, Novafeltria, Pennabilli, San Leo, Sant'Agata Feltria e Talamello dell'Alta Valmarecchia dalla regione Marche e la loro aggregazione alla regione Emilia-Romagna. La mutata situazione territoriale ha determinato quindi la necessità di adeguare l'attuale assetto delle circoscrizioni giudiziarie, essendo innegabile l'interesse dei cittadini ad avere un riferimento nel capoluogo della regione anche per le questioni giudiziarie come per quelle amministrative, comprese quelle connesse alla giurisdizione amministrativa e quelle di competenza delle sezioni regionali della Corte dei conti oltre che della Direzione distrettuale antimafia.
Con l'articolo 1 si apportano modifiche alla tabella A allegata all'ordinamento giudiziario di cui al regio decreto 30 gennaio 1941 n. 12 e successive modificazioni, prevedendo che i sette comuni citati cessino di appartenere alla circoscrizione della Corte d'appello di Ancona e del tribunale di Pesaro e siano aggregati alla circoscrizione della Corte di appello di Bologna e del tribunale di Rimini.
Ai sette comuni originariamente indicati e per i quali la legge 3 agosto 2009, n. 117 ha previsto il distacco, nel corso dell'esame del provvedimento al Senato è stato aggiunto quello di Montecopiolo per evitare, come si legge nei lavori preparatori del Senato, un problema di natura tecnica che deriverebbe altrimenti dall'approvazione del provvedimento in esame. Nel corso dell'esame al Senato in particolare si era evidenziato come il comune di Montecopiolo si trovasse nel mandamento del giudice di pace di Novafeltria e come una sentenza del giudice di pace di Novafeltria per effetto del provvedimento in esame potesse essere impugnata dinanzi al tribunale di Rimini. Si era rilevato quindi come, se non si fosse inserito Montecopiolo fra i comuni indicati nell'articolo 1, ne sarebbe derivato il paradosso che per certe controversie un abitante di Montecopiolo sarebbe stato costretto a rivolgersi al tribunale di Rimini e per altre controversie, ad esempio in primo grado, sarebbe stato costretto a rivolgersi al tribunale di Urbino.
Sul punto il testo è stato modificato dalla Commissione, prevedendo che il comune di Montecopiolo debba essere inserito nel circondario del tribunale di Urbino anziché in quello di Rimini e che il medesimo comune debba essere inserito nel mandamento del giudice di pace di Macerata Feltria, togliendolo dal mandamento del giudice di pace di Novafeltria. Si era infatti ritenuto che la scelta effettuata al Senato avrebbe finito per determinare dei disagi alla cittadinanza del citato comune. Pag. 32
Per la disciplina transitoria della competenza territoriale l'articolo 2 dispone che le modifiche delle circoscrizioni giudiziarie non determinano spostamenti di competenza rispetto ai procedimenti civili e penali pendenti alla data di entrata in vigore della legge di modifica delle tabelle, fatta eccezione per i procedimenti penali per i quali non è stata ancora esercitata l'azione penale. Dalla data di entrata in vigore della legge di modifica delle circoscrizioni i procedimenti civili e penali verranno promossi nella nuova sede.
L'articolo 3 infine stabilisce che con decreto del Ministro della giustizia da emanare entro due mesi dalla data di entrata in vigore del presente provvedimento sono apportate nell'ambito delle risorse umane disponibili a legislazione vigente e senza nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello Stato le opportune modifiche alle piante organiche degli uffici giudiziari dei tribunali di Pesaro e Rimini.
Due osservazioni relativamente al titolo della norma, che reca: «Modifiche dei circondari dei tribunali di Pesaro e di Rimini»: sarebbe forse più corretto, in sede di correzione degli errori formali, inserire anche il tribunale di Urbino, perché in effetti incidono su tutte le tre sedi giudiziarie. Un'ultima nota per i cittadini di Montecopiolo, affinché resti agli atti, che sono anch'essi impegnati nella procedura referendaria per confluire nella regione Emilia Romagna.
Taluni di loro hanno paventato il pericolo che questo provvedimento possa in qualche modo essere preclusivo delle loro aspirazioni. Li ho tranquillizzati e li tranquillizzo anche da qui, ricordando loro che questa è una modifica sostanzialmente amministrativa, anche se formalmente legislativa. Peraltro, nei giorni in cui la loro aspirazione referendaria verrà riconosciuta in base alle vigenti norme, è chiaro che nel provvedimento che disporrà il trasferimento del loro comune in Emilia Romagna sarà compresa anche una nuova modifica che riporterà anch'essi interamente sotto la giurisdizione del tribunale di Rimini.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

SALVATORE MAZZAMUTO, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, mi riservo di intervenire in sede di replica.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Massimo Vannucci. Ne ha facoltà.

MASSIMO VANNUCCI. Signor Presidente, ringrazio il relatore Paolini per l'illustrazione che ha fatto di questo provvedimento. Con l'onorevole Paolini condividiamo la provenienza dallo stesso territorio, la provincia di Pesaro e Urbino, quindi conosciamo le dinamiche che sono intervenute per questo provvedimento. Il provvedimento è necessario ed è particolarmente urgente. Come l'onorevole Paolini ha detto, con la legge n. 117 del 2009 sono stati distaccati dalla regione Marche sette comuni della Valmarecchia, che sono entrati a far parte della regione Emilia Romagna. Molti sono stati gli adempimenti conseguenti a questa decisione, uno dei provvedimenti che manca è appunto questo, relativo alla giustizia. Voglio citare un articolo de Il Sole 24 ore del 22 settembre 2011 che fa l'analisi di questa originale procedura seguita. Non se ne aveva notizia nella storia repubblicana del passaggio di comuni da una regione all'altra. Il titolo è: «Valmarecchia, le aspettative deluse delle imprese». In questa analisi si dice che in effetti di questioni in sospeso ve ne sono poche, tra queste vi è quella che riguarda la giustizia, perché i nostri cittadini sono ancora costretti ad andare a Pesaro, anziché a Rimini, mentre debbono andare a Rimini per tutti gli altri adempimenti.
Quindi, è opportuno e urgente approvare questo provvedimento, che rispetto al testo del Senato abbiamo dovuto modificare. Perché abbiamo dovuto modificare? Perché il Senato aveva previsto un semplice passaggio di tutti i comuni che dipendevano da ex preture - oggi dal giudice di pace - di Novafeltria, che erano i sette comuni della Valmarecchia e il comune di Pag. 33Montecopiolo. Non si sono posti invece il problema che il comune di Montecopiolo era rimasto nelle Marche. È pur vero che anche a Montecopiolo si è svolto un referendum nel 2007 per il passaggio all'Emilia Romagna ed è pur vero che questo referendum ha ottenuto la maggioranza dei consensi, ma il presidente della Corte d'appello di Ancona, con una sua nota, ha fatto notare che il comune di Montecopiolo era nelle Marche e che sarebbe stato bene rimanesse nelle Marche per le circoscrizioni giudiziarie. A quel punto, però, il problema era che non poteva rimanere a Pesaro, sottosegretario, perché Montecopiolo era già a Pesaro, però tutti i comuni contermini, tutti i comuni della stessa Valle del Conca, di cui fanno parte il comune di Montecopiolo, il comune di Carpegna, che è confinante, il comune di Pietrarubbia e lo stesso comune di Macerata Feltria, sono assoggettati in qualche modo al tribunale di Urbino, che è molto più vicino rispetto a quello di Rimini. Quindi, era giusto che tutta la comunità montana del Montefeltro in questo caso e tutti i suoi quindici comuni facessero parte del tribunale di Urbino, e che anche Montecopiolo, anziché rimanere a Pesaro, passasse ad Urbino.
Quindi, le correzioni apportate alla Camera sono indispensabili e necessarie e credo che correggano il provvedimento in un senso di funzionalità della giustizia. Le preoccupazioni dei cittadini di Montecopiolo, di quella parte che ha sostenuto il referendum, come ha detto l'onorevole Paolini, non sono per niente intaccate. Infatti, nel momento in cui si intraprendesse l'iniziativa parlamentare per il passaggio di Montecopiolo all'Emilia Romagna, conseguentemente, come si sta facendo per la Valmarecchia, anche per Montecopiolo verrebbe deciso il trasferimento a Rimini.
Ora, noi assumiamo questo provvedimento sapendo che vi è una riforma della giustizia e delle circoscrizioni in corso, dei giudici di pace e quant'altro, però noi oggi la facciamo, ovviamente, a legislazione vigente, sapendo che, ad esempio, per Macerata Feltria già i comuni si stanno attivando per utilizzare la norma che dice che i comuni possono farsi carico delle spese per i giudici di pace, e lo faranno, mentre la questione del tribunale di Urbino non è posta, essendo Urbino capoluogo di provincia e, nella legge delega, è previsto che i capoluoghi di provincia debbano mantenere il loro tribunale; co-capoluogo di provincia che, comunque, è capoluogo di provincia a tutti gli effetti, signor sottosegretario, il tribunale di Urbino. Per cui, anche in questo senso, credo non vi saranno modifiche a questo provvedimento che si deve fare, punto. Lo si deve fare in fretta. Noi speriamo che il Senato lo approvi in fretta, rispondendo alle attese degli operatori della Valmarecchia che, infatti, denunciano, come è citato all'inizio di questo articolo, questo ritardo per la giustizia.
Ho, come dire, contrastato il passaggio, essendo marchigiano, di questi sette comuni all'Emilia Romagna, non faccio ulteriori considerazioni. Questo l'ha deciso il Parlamento ed è stato fatto, oggi noi dobbiamo essere conseguenti e, quindi, non ritardare assolutamente queste procedure, perché la decisione è stata presa ed è giusto che i cittadini non abbiano, come dire, un aggravio dai ritardi della nostra legislazione. Quindi, l'auspicio è che venga approvato, come sarà approvato, da questa Camera, ma che anche il Senato, in terza lettura, sia solerte e dia questa risposta che, come ripeto, è conseguente ad una indicazione che ci ha fornito il presidente della Corte d'appello di Ancona con una nota alla Commissione giustizia, dove ci faceva rilevare che il pacchetto degli otto comuni non poteva essere preso così come era stato preso, ma per sette andava bene, mentre per uno la collocazione più giusta, per tutti gli aspetti che qui sono stati citati, era quella del tribunale di Urbino.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 4130-A)

PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore ed il Governo rinunciano alle repliche. Pag. 34
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione della mozione Reguzzoni n. 1-00803 sulla cooperazione con il Governo libico per la gestione dei flussi migratori originati dalla Libia durante il recente conflitto (ore 18,50).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Reguzzoni n. 1-00803, sulla cooperazione con il Governo libico per la gestione dei flussi migratori originati dalla Libia durante il recente conflitto (Vedi l'allegato A - Mozioni).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
Avverto che sono state altresì presentate le mozioni Leoluca Orlando ed altri n. 1-00805, Cicchitto ed altri n. 1-00806, Pezzotta ed altri n. 1-00810 e Amici ed altri n. 1-00811 (Vedi l'allegato A - Mozioni) che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente. I relativi testi sono in distribuzione.
Avverto inoltre che in data odierna la mozione Reguzzoni n. 1-00803 è stata sottoscritta dagli onorevoli D'Amico, Montagnoli, Lussana, Fogliato, Fedriga, Vanalli, Fabi, Pastore, Volpi, Bragantini, Maggioni, Pini, Stucchi e Consiglio.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritta a parlare l'onorevole Lussana, che illustrerà la mozione Reguzzoni ed altri n. 1-00803, di cui è cofirmataria. Ne ha facoltà.

CAROLINA LUSSANA. Signor Presidente, Governo, onorevoli colleghi, gli avvenimenti che hanno segnato il territorio libico nel corso dello scorso anno hanno avuto un impatto assolutamente eccezionale sul nostro Paese, probabilmente più che su qualunque altro Stato dell'area coinvolta. Un coinvolgimento di per sé inevitabile, per l'intensità dei nostri legami storici, economici e politici con il nostro vicino al di là del Mediterraneo ed anche per la sola posizione geografica dell'Italia, che la pone, nostro malgrado, al centro delle rotte dell'immigrazione da tutto il Nord Africa.
Tutti i Governi che dagli anni Novanta si sono succeduti alla guida del nostro Paese hanno dovuto fare i conti con la posizione vulnerabile dei nostri confini. Solo dopo un lunghissimo lavoro diplomatico, e, certamente, pagando anche un alto prezzo politico, si era giunti, nel 2008, alla firma di un Trattato di amicizia con Tripoli, che costituiva il quadro giuridico in cui attuare, finalmente, gli accordi di contrasto all'immigrazione e di rimpatrio, già in vigore, è vero, ma, fino ad allora, mai attuati veramente.
Dobbiamo dire che quel Trattato ha funzionato, perché se si guardano ai numeri degli sbarchi degli immigrati nel nostro Paese, si vede una riduzione che supera la percentuale dell'80 per cento. Cosa succede? Chiaramente, con l'avvio della missione NATO in Libia, il 18 marzo scorso, di fatto il Trattato di amicizia e tutti i conseguenti accordi bilaterali tra Italia e Libia sono stati sospesi. Voglio in questa sede ricordare brevemente quale situazione di assoluta emergenza abbia rappresentato per il nostro Paese lo scoppio del conflitto libico e soprattutto ribadire, se ce lo fossimo dimenticati, che, a fronte di una missione internazionale decisa coralmente, l'intero onere della gestione di decine di migliaia di migranti partiti dal Nord Africa a seguito del conflitto è ricaduto interamente sul nostro Paese, nonostante i ripetuti appelli in sede comunitaria del Ministro dell'interno per una gestione congiunta dell'emergenza. Possiamo dire che in Europa anche le varie organizzazioni, come Frontex e altre, se ne sono sostanzialmente lavate le mani. L'Unione europea non ha saputo fare Pag. 35nulla di concreto per reagire all'emergenza, nemmeno ponendosi come forum di confronto tra i diversi Stati per trovare una soluzione condivisa. Il risultato è che sulle nostre coste sono sbarcati 60 mila extracomunitari, da gennaio a settembre 2011, provenienti dalla Libia, dalla Tunisia, dall'Africa subsahariana, passando attraverso il Maghreb, un numero enorme di persone che dovevano essere soccorse, assistite ed identificate. La stragrande maggioranza di loro ha fatto domanda di asilo politico, una richiesta che deve essere esaminata caso per caso in maniera molto scrupolosa prima di procedere all'accoglimento o al rimpatrio e sappiamo che i tempi per queste verifiche sono spesso lunghi: addirittura ci vogliono mesi, ma anche anni, in alcuni casi. Un'altra grande problematica è quella dei moltissimi minori non accompagnati, che non possono chiaramente in nessun caso essere rimpatriati e che devono essere presi in carico dai nostri comuni con enormi costi per i nostri enti territoriali.
Il nostro Paese ha dato una grandissima prova di capacità di reagire all'emergenza, facendosi carico da solo, ci tengo a precisarlo, sia delle procedure gestionali che dell'intero onere finanziario e forse di questo si dovrebbero ricordare le cancellerie europee che tanto oggi sono attente a contestare la tenuta dei nostri conti. Ogni immigrato ha potuto essere accolto dignitosamente solo grazie ad un accordo tra Ministero dell'interno e tutte le regioni italiane che, esse sì, solidarmente, hanno accettato di accogliere per quota parte ognuna un numero di immigrati e offrire strutture e personale per l'assistenza. L'ordinanza di protezione civile del 13 aprile 2011, che aveva stabilito che questa situazione di emergenza poteva durare una anno, è stata poi prorogata a tutto il 2012. Ma se pensiamo che ogni immigrato costa 50 euro al giorno allo Stato attraverso le regioni ed ogni minore almeno 80 euro al giorno a carico dei comuni, è evidente che questa situazione non è per noi più sostenibile. Finora si è stimato di dover stanziare più di 30 milioni l'anno per i soli arrivi avvenuti durante il conflitto libico. Ora il conflitto in Libia è finito, almeno così ci dicono le fonti ufficiali e lo stesso Governo italiano che, appunto, il 15 dicembre scorso, ha ritenuto ci fossero tutte le condizioni per riattivare pienamente il Trattato di amicizia, quindi la situazione giuridica dei rapporti tra Italia e Libia si sta avviando ad una definizione chiara, impostata alla fattiva collaborazione. L'Italia è tra i primi Paesi ad aver riconosciuto il Consiglio nazionale di transizione. Già durante le fasi del conflitto aveva intrattenuto rapporti positivi con i rappresentanti del Governo transitorio, con una serie di incontri bilaterali tra i rispettivi Ministri degli esteri (17 giugno 2011) e dell'interno (26 luglio e 21 ottobre 2011), al centro dei quali è sempre stata posta la questione dei migranti partiti dalle coste libiche.
È stato firmato un memorandum d'intesa sulla collaborazione in materia di contrasto all'immigrazione clandestina con cui il Consiglio nazionale transitorio si è impegnato a rispettare i precedenti accordi italo-libici e a rafforzare la collaborazione bilaterale in materia di sicurezza sulla base dell'accordo italo-libico del 2000 in materia di lotta al terrorismo, alla criminalità organizzata e all'immigrazione clandestina e dei successivi Protocolli in materia migratoria. Purtroppo, sappiamo che da situazioni di emergenza come quella della crisi libica possono scaturire situazioni che vanno al di là della fuga per motivi di guerra, chiaramente per necessità e bisogno, e c'è la possibilità che molti immigrati o molte organizzazioni che gestiscono il traffico di migranti possano approfittare di questa situazione. Quindi è importantissimo ripristinare i rapporti di collaborazione con la Libia e le condizioni di legalità all'interno dell'area del Mediterraneo.
Sebbene i trattati bilaterali siano stati ripristinati e possa ora riprendere l'azione di contrasto all'immigrazione che parte dalla Libia, per le migliaia di extracomunitari giunti sulle coste del nostro Paese durante il conflitto e temporaneamente ospitate nelle regioni italiane, rischia di crearsi un limbo giuridico, nel quale non Pag. 36è chiaro né quale sia il loro titolo di soggiorno né quale debba essere l'obiettivo della loro permanenza nelle strutture messe a disposizione delle regioni, né come e quando possano trovare una sistemazione definitiva con il rimpatrio o con l'asilo. Questa è una questione che deve essere affrontata perché, se in precedenza c'erano le condizioni per richiedere asilo, ora, essendosi risolta la questione di emergenza di crisi del conflitto, bisogna anche capire in quale status giuridico si trovino effettivamente questi migranti accolti dalle nostre regioni.
Riteniamo che il succedersi degli eventi e l'uscita della questione libica dal focus dei media faccia dimenticare questi 30 mila immigrati (questi sono almeno i dati in nostro possesso) ospitati dalle regioni italiane fino a cristallizzare questa situazione negli anni a venire, con i relativi oneri economici e sociali che si perpetuano senza alcuna soluzione. Ricordiamo fra l'altro che le persone che richiedono asilo non possono nemmeno lavorare e cercare in questo modo, oltre che di provvedere alla propria famiglia, di costruirsi un futuro o anche un possibile percorso di permanenza, di integrazione all'interno del nostro Paese. Con questa mozione vogliamo quindi porre la questione al centro del dibattito del Parlamento e chiedere al Presidente del Consiglio di adoperarsi al più presto con la controparte libica affinché si persegua congiuntamente una gestione della questione che ancora una volta rischia di ricadere esclusivamente sulle spalle del nostro Paese.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Biancofiore, che illustrerà la mozione Cicchitto ed altri n. 1-00806, di cui è cofirmataria.

MICHAELA BIANCOFIORE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, Governo, la questione della gestione dei flussi migratori è certamente una delle principali sfide che si pone di fronte al nostro Paese e all'Europa nel suo complesso. Si discute oggi di un suo aspetto specifico, certamente rilevante, riguardante la necessaria collaborazione che il nostro Governo deve poter instaurare con le autorità libiche in relazione alle migliaia di uomini e donne giunti in Italia a seguito del drammatico conflitto che ha caratterizzato nell'ultimo anno il Paese africano. Ma non ci si può focalizzare solo su questa emergenza. Il dibattito di oggi può essere l'occasione per un confronto approfondito su un tema come quello dei flussi migratori che sta caratterizzando l'inizio del nuovo millennio.
L'Italia ha il dovere di porre tale questione all'attenzione della comunità internazionale e in particolare delle istituzioni europee. È necessario riflettere sulla necessità che l'Europa metta in campo politiche coordinate rispetto ai flussi migratori che la stanno interessando e che continueranno ad interessarla. Il nostro Paese in questo quadro, per la sua posizione geografica, riveste un ruolo strategico di primissimo piano. Siamo la frontiera d'Europa; la pressione dei flussi migratori e la loro necessaria gestione non può essere addebitata esclusivamente alla nostra responsabilità, e più in generale a quei Paesi che - come noi - rappresentano la frontiera d'Europa.
Sarebbe un errore strategico gravissimo. L'Europa chiede a tutti i suoi appartenenti responsabilità nuove che vanno oltre quella che tradizionalmente ogni singolo Stato in quanto tale si è storicamente assunto, responsabilità che sul versate economico e finanziario il nostro Paese in nome di una precisa volontà europeista sta affrontando con serietà e responsabilità. L'Europa però non può e non deve dimenticare che esistono altre necessità che devono essere affrontate in maniera comune e coordinata.
Tra queste certamente quella di una politica comune coerente in tema di gestione dei flussi migratori. La pressione demografica a cui è sottoposta l'Europa non può ricadere esclusivamente sulle spalle di alcuni Paesi nell'indifferenza di altri. Serve una politica comune. Su questo punto le diverse forze politiche del nostro Paese, a prescindere dalla propria Pag. 37«collazione», dovrebbero convergere per offrire al nostro Governo una posizione comune da sottoporre con la giusta determinazione alle istituzioni europee. Anche così si misurerà la reale capacità di ognuno di noi di difendere gli interessi dei cittadini italiani ed europei. È necessario che si affermi una reale solidarietà europea fondata sulla divisione degli oneri e del peso costituito da ondate migratorie che nessun Paese europeo da solo può affrontare. In questo senso ben si dovrebbe comprendere quanto sostenuto dal nostro precedente Governo. L'Italia ha formulato ben otto richieste alla Commissione europea. Quella più significativa è stata relativa al Frontex, agenzia istituita per essere l'organismo non soltanto di coordinamento, ma per divenire gradualmente l'organismo europeo di gestione dei flussi migratori della protezione delle frontiere esterne.
Onorevoli colleghi, è necessario affrontare tale dibattito superando inutili contrapposizioni ideologiche ed evitando atteggiamenti demagogici limitati a mere convenienze elettorali. Rispetto alle questioni tanto complesse serve un salto di qualità collettivo; le ideologie del Novecento non sono più sufficienti ad affrontarlo. La globalizzazione che in tanti hanno salutato ai suoi albori come una sorta di nuova era dell'oro, ci ha posto di fronte in brevissimo tempo a sfide estremamente complesse che non possano essere eluse. Quello che è accaduto nel 2011 nei principali Paesi africani dell'area del Maghreb ne è una prova esemplare. Solo pochi anni prima la crisi sarebbe stata comunque ricondotta ad una dimensione locale e si sarebbe sviluppata in maniera condizionata. Nel mondo dei blocchi caratterizzato dal ruolo egemone delle due superpotenze, solo la crisi di Suez assunse proporzioni e conseguenze globali, anche economiche e finanziarie, probabilmente perché fu proprio quella crisi a palesare definitivamente quel nuovo mondo dei blocchi. Al contrario, la cosiddetta Primavera araba ha assunto da subito proporzioni e conseguenze mondiali, suscitando la reazione e l'interessamento diretto anche, ad esempio, della Cina, uno dei nuovi protagonisti asiatici. I suoi sviluppi avranno inevitabilmente un impatto globale, non dobbiamo dimenticarlo.
Di fronte ai rivolgimenti che hanno stravolto l'assetto politico ed istituzionale del Maghreb, coinvolgendo l'intero equilibrio geopolitico dell'area mediterranea di fronte e nel corso dell'emergenza globale, il Governo italiano ha fatto tutto quello che poteva e doveva fare. Ha dimostrato di saper affrontare i temi dell'immigrazione clandestina e della gestione dei flussi di migranti comunitari con determinazione e concretezza. Lo sforzo logistico e finanziario sostenuto dall'Italia fin dalle rivolte in Tunisia, in Egitto e, poi, in Libia è stato notevole e molto impegnativo. Il Governo ha risposto all'ondata dei flussi migratori con efficienza e umanità coerentemente con la normativa comunitaria e con la normativa nazionale. Dal 1o gennaio al 29 maggio 2011 gli extracomunitari effettivamente rimpatriati sono stati 9.318, praticamente il doppio di tutti quelli rimpatriati nel 2010, grazie soprattutto all'accordo con la Tunisia che ha prodotto risultati significativi ed ha dimostrato la validità del suo impianto. Il 12 febbraio 2011 è stato dichiarato lo stato di emergenza umanitaria; il 5 aprile 2011 è stato adottato un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri con il quale sono state definite le misure umanitarie e di protezione temporanea da assicurare agli immigrati, giunti dal 1o gennaio al 5 aprile 2011, di nazionalità tunisina. Il 6 aprile 2011 il Governo ha raggiunto uno specifico accordo con le regioni, seguito dall'ordinanza della Presidenza del Consiglio dei ministri del 13 aprile 2011, con la quale è stato disposto che l'accoglienza dei migranti provenienti dal Nord Africa sarebbe stata affidata a tutte le regioni del Paese, attribuendo al Sistema di protezione civile nazionale la pianificazione delle attività necessarie alla dislocazione nelle singole regioni dei cittadini extracomunitari in modo equilibrato. Si tenga presente che, mentre cominciavano a diminuire i flussi provenienti dalla Tunisia, hanno iniziato ad aumentare, senza soluzione di continuità, Pag. 38quelli provenienti dalla Libia. Per far fronte a questo ulteriore eccezionale afflusso il precedente Governo, oltre a garantire l'assistenza, ha provveduto, da un lato, con ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri del 10 agosto 2011, ad incentivare i rimpatri assistiti per chi volesse rientrare nel proprio Paese, e, dall'altro, ad accelerare le procedure delle domande di asilo. L'emergenza migratoria legata agli eventi nordafricani è stata successivamente prorogata a tutto il 2012 con provvedimento del 6 ottobre 2011.
Il 17 giugno 2011, è stato firmato un memorandum d'intesa sulla collaborazione in materia di contrasto all'immigrazione clandestina, con cui il Consiglio nazionale di transizione si è impegnato a rispettare i precedenti accordi italo-libici e a rafforzare la collaborazione bilaterale in materia di sicurezza, sulla base dell'Accordo italo-libico del 2000 in materia di lotta al terrorismo, alla criminalità organizzata e all'immigrazione clandestina, e dei successivi protocolli in materia migratoria. Abbiamo fatto quello che dovevamo nell'interesse italiano ed in quello europeo.
Quanto al Trattato di amicizia italo-libico del 30 agosto 2008, è bene sottolineare che rappresenta per il nostro Paese una grande opportunità. Le facili critiche a cui è stato strumentalmente sottoposto sono state figlie di un atteggiamento poco responsabile e decisamente contrario all'interesse nazionale. Vale la pena ricordare che grazie a quel Trattato, nell'aprile del 2009, è stato firmato dal Ministro dello sviluppo economico un Accordo di cooperazione economica, commerciale e industriale, che prevede, in particolare, l'istituzione in Libia di zone industriali riservate alle aziende italiane. Quel Trattato rappresenta per il nostro Paese un grande risultato diplomatico. Grazie a quell'Accordo, molte imprese italiane hanno potuto, possono e potranno - è quello che più conta - continuare a lavorare in Libia.
Alla luce di tale situazione e della doverosa difesa dell'interesse nazionale e di quello delle tante aziende italiane, del Nord come del Sud, che lavorano in Libia, è bene ricordare la necessità che l'Italia mantenga la posizione di privilegiata amicizia acquisita nei confronti delle Libia. Una necessità che deriva anche in virtù delle iniziative diplomatiche in corso in questi mesi da parte di altri Paesi, anche non europei, che potrebbero e vorrebbero insidiare la nostra posizione e i risultati da noi conseguiti.
Alla luce di tutto ciò, l'impegno del nostro Governo non può che essere, quindi, quello di definire con le autorità libiche, in riferimento esclusivamente a coloro a cui non spetta lo status di rifugiato, modalità operative per un piano di rimpatri, nel pieno rispetto dei principi europei stabiliti nella direttiva rimpatri e delle convenzioni internazionali. Tale impegno deve svilupparsi tenendo conto - come ha avuto modo di ricordare il 23 febbraio 2011, durante una specifica informativa sulla crisi libica, l'allora Ministro degli affari esteri, Franco Frattini - del fatto che, in Libia, vivevano, all'inizio della crisi, oltre 2 milioni di non libici, che rappresentavano il 30 per cento della popolazione residente in Libia. Questi lavoratori sono cittadini provenienti, dunque, da Paesi dell'Africa subsahariana, da altri Paesi del Maghreb o del Machreck. Tra loro si contavano anche 300 mila egiziani circa che vivevano in Cirenaica. Tra i cittadini giunti nel nostro Paese, molti, dunque, non sono libici e di questo, ovviamente, come detto, non si può non tenere conto.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Messina, che illustrerà la mozione Leoluca Orlando ed altri n. 1-00805, di cui è cofirmatario.

IGNAZIO MESSINA. Signor Presidente, nei prossimi giorni, in particolare il 21 gennaio, il Presidente del Consiglio italiano, professor Mario Monti, si incontrerà a Tripoli con il Presidente del Consiglio nazionale transitorio della Libia per cercare di riattivare, in buona sostanza, e ridefinire la questione relativa agli scambi commerciali tra i due Paesi. Noi crediamo che sia un incontro importante, anche un incontro chiarificatore, alla luce di ciò che Pag. 39è avvenuto nei Paesi africani e, soprattutto, in Libia, con l'uccisione, dopo una guerra civile cruenta, del colonnello Gheddafi. Credo che sia necessario intervenire per fare in modo che i rapporti con la Libia vengano chiariti una volta per tutte e regolamentati, ma facendo in modo che la Libia, al più presto, provveda a ratificare la Convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati.
Era stato paventato dal precedente Governo il rischio che sbarcassero, in seguito al conflitto, tantissimi immigrati provenienti dalla Libia: cosa che, di fatto, non è avvenuta e, quindi, era soltanto un rischio paventato. Di contro, invece, coloro i quali sono arrivati nel nostro Paese, è giusto che vengano accolti ed anche inseriti all'interno del nostro contesto sociale con una regolamentazione approvata.
La motivazione della nostra mozione prevede che vengano intanto definiti gli intendimenti in base ai quali, queste persone che arrivano in Italia, scappando dal conflitto libico e accolti dalle istituzioni regionali italiane, abbiano riconosciuto lo status di rifugiati. Noi riteniamo necessario, e questo è un appello che noi facciamo, io personalmente ho visitato in Sicilia uno dei centri di accoglienza, che questi centri non diventino dei nuovi lager, ma che siano, al contrario, dei luoghi in cui esseri umani possono trovare accoglienza in un Paese civile come il nostro.
In questo senso noi chiediamo al Governo di impegnarsi affinché questi centri vengano controllati e aperti anche ai controlli delle organizzazioni e degli enti umanitari. Un ulteriore impegno che noi chiediamo al Governo è quello di stimolare una cooperazione con gli altri Paesi dell'Unione europea, proprio perché riteniamo che i fenomeni migratori non possano essere limitati a un trattato bilaterale, ma debbano essere inseriti in un contesto di carattere generale. Pensiamo che l'incontro che ci sarà, potrà essere un momento importante e debba esserlo, per far sì che quelle illazioni, che nel tempo sono state perpetrate rispetto a sbarchi eccessivi, vengano invece soppiantate da una nuova politica dell'accoglienza, nel rispetto delle norme nazionali e internazionali.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tassone, che illustrerà la mozione Pezzotta ed altri n. 1-00810, di cui è cofirmatario.

MARIO TASSONE. Signor Presidente, credo che non sia agevole per nessuno di noi parlare di questi argomenti, di questi temi che sono ovviamente ritornanti nel dibattito politico e nel confronto parlamentare. Siamo fra coloro che non si sentono di essere depositari di verità; non lo abbiamo mai assolutamente pensato; questo è un argomento estremamente complesso, un argomento che presenta anche delle problematiche molto forti e molto intense. Questo tema è stato sempre estrapolato da una visione di carattere generale sul piano politico; per molti versi abbiamo parlato di immigrazione e abbiamo pensato e immaginato di parlare di numeri, di soffermarci ai numeri, e basta. E inoltre tutto questo è sempre stato concepito fuori da un contesto e da una visione politica che riguarda il Mediterraneo, la situazione del Mediterraneo. Quante volte abbiamo avuto modo e possibilità, anche svolgendo questo nostro lavoro, di avere, di cogliere e di essere in possesso di notizie che ci dicevano che dall'Africa, e soprattutto dal Mediterraneo venivano fuori delle espulsioni, attraverso flussi migratori verso le coste europee e soprattutto verso le coste del nostro Paese. Forse è mancata, certo, una visione di carattere generale, come è mancata una attenta politica europea. Più volte quando parliamo di immigrati, parliamo di integrazione e anche in questo caso c'è stata una assenza di integrazione delle politiche a livello europeo e quindi di una politica europea. Molte volte siamo rimasti da soli nel fronteggiare le situazioni drammatiche che ci sono state e si sono evidenziate. Per dire la verità siamo stati sempre contrari alla politica dei respingimenti. Qualche anno fa ci sono stati degli episodi drammatici; chi non ricorda le perlustrazioni Pag. 40delle nostre coste, per quanto riguarda le prospicienze alle vicende albanesi, vicende drammatiche e tragiche che hanno visto imbarcazioni risucchiate dal mare. Una umanità dolente quella che abbiamo più volte dovuto registrare.
Un'umanità dolente, quella che abbiamo più volte dovuto registrare. Dolente, di relitti umani portati da relitti, soprattutto anche attraverso uno sfruttamento incredibile di una criminalità ben organizzata, che ha lucrato moltissimo sulle sciagure e sui drammi umani. Vi è stato poi un momento in cui abbiamo individuato nella Libia una possibilità di trovare anche una soluzione a tale problema, attraverso un accordo, e nel 2008 vi è stato un Trattato. Noi ci siamo sempre opposti a questo Trattato di amicizia italo-libico e a questa amicizia con la Libia, perché avevamo sempre detto che parlare di amicizia con Gheddafi era fuor di luogo, e abbiamo anche posto in essere un'azione molto ferma, molto decisa e molto determinata, nel corso dei lavori parlamentari.
Vi è stato questo Trattato del 2008 che, per un periodo di tempo, ha funzionato, perché la Libia ha bloccato alcuni flussi migratori verso le coste del nostro Paese. Poi, dopo le vicende drammatiche che vi sono state e che hanno interessato quel Paese, Gheddafi, per ritorsione nei confronti dell'Italia, ha mandato e spinto gli immigrati ad entrare nel nostro Paese. Li ha spinti, li ha traghettati, praticamente. Ma ci sono stati anche dei respingimenti e delle situazioni - e questo dobbiamo dirlo con estrema chiarezza - certamente di inciviltà, perché molti di questi immigrati che sono ritornati in Libia sono stati, ovviamente, vittime di torture in carceri infami, con una vita certamente non degna e non consona agli esseri umani. Questo è un dato che ci siamo sempre posti. Lo slancio umanitario che è stato caratterizzato da molte azioni da parte del nostro Paese e di associazioni di volontariato, certamente, non ha avuto poi una visione consequenziale nell'azione politica, a livello di politica europea e anche di politica del nostro Paese.
Oggi vi sono questi immigrati che girano nel nostro Paese, anche in molte regioni, così come altri colleghi hanno indicato. Cosa facciamo? Li respingiamo, li rimandiamo tutti a casa? I problemi esistono, non voglio negare che esistano dei problemi. Ma esistono anche dei temi che riguardano il tema della concessione dell'asilo politico: la Libia non ha mai riconosciuto la Convenzione di Ginevra.
Perché nasce questo confronto di oggi, signor sottosegretario? Perché il 21 gennaio, il Presidente del Consiglio dei ministri andrà in Libia e si incontrerà con Jalil, ma si è incontrato anche a dicembre con Jalil. Si incontrerà con il Primo Ministro, che è poi anche il Ministro del petrolio, per capire, soprattutto, se questo Trattato con la Libia, che è stato anche riproposto e, soprattutto, fatto entrare di nuovo in vigore, possa funzionare, anche perché dalla Libia partono immigrati di svariate nazionalità.
Non vi è dubbio che bisogna adottare un'azione con la Libia, ma non basta: bisogna adottare un'azione integrata con l'Europa, un'azione di iniziativa europea. Perché ci rivolgiamo, ovviamente, con questo atto di indirizzo parlamentare, al Governo? Perché l'azione del Governo italiano deve essere, quantomeno, attenta ad una strategia che deve essere posta, e che deve essere imposta anche a livello europeo. Non vi è dubbio che vi sia anche bisogno - e lo diciamo, nella nostra mozione - di un attento programma di ritorno volontario ed assistito in Libia, per i cittadini stranieri accolti in Italia.
C'è bisogno di una politica che sia veramente di accompagnamento, anche in un clima diverso rispetto a quello che abbiamo alle nostre spalle e poi cercare di mettere in atto delle misure di protezione temporanea per rilevanti esigenze umanitarie. Questo credo che sia il dato. I problemi esistono: ci sono gli immigrati e ci sono anche gli sfruttamenti. Infatti, non è vero - come diceva la nostra collega - che gli immigrati non lavorano e non fanno niente. Vi sono anche immigrati che, senza essere denunciati e registrati, lavorano e che certamente creano ricchezza, Pag. 41forse non a loro, ma ad altri sì (mi riferisco ai fenomeni dell'evasione e della violazione dei principi di denuncia e di registrazione). Non c'è dubbio che tutto questo debba essere posto in essere attraverso un impegno ed un'azione costanti e adeguati. Ripeto quanto dicevo all'inizio, signor Presidente: gli atti di indirizzo parlamentare hanno un senso e un significato. Voglio capire, ovviamente nel rispetto che ho nei confronti di coloro che sono impegnati a livello di Governo su questi temi e su questi argomenti, se c'è un'azione corale, molto forte e soprattutto impegnativa. Anche perché, per alcune vicende di ricorsi che ci sono stati sul piano umanitario, la Calabria rischia di avere delle ritorsioni a livello anche di Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo. Occorre considerare il dato umanitario e tenere presente che ci sono principi importanti e fondamentali da difendere.
C'è il problema di questi immigrati che non sono soltanto libici, ma anche di altre nazionalità; c'è la politica del respingimento, che noi abbiamo rifiutato, c'è l'esigenza di riconoscere lo status di rifugiato previsto nei codici di diritto internazionale, mentre molti sono stati respinti ed accompagnati a «casa» (ma non ne hanno una), senza chiedere perché erano scappati dai teatri di guerra. Ritengo che una civiltà dovrebbe essere affermata da parte nostra nei confronti dell'inciviltà di quei Paesi, di quei Governi e di quei regimi. La risposta dell'Occidente democratico e progredito certamente non è adeguata, né in sintonia con la storia e la cultura che abbiamo e con quel retroterra culturale ed umano che rivendichiamo ed affermiamo, giorno per giorno, di possedere.
Questo è il senso e il significato di questa mozione, il cui primo firmatario è l'onorevole Pezzotta, che più volte si è interessato di queste tematiche e di questi problemi. Non c'è, tuttavia, bisogno di specificità né di peculiarità su tutto questo, c'è bisogno di avere una sensibilità complessiva, altrimenti anche questo nostro Parlamento, con estrema chiarezza, si dividerà tra coloro che presentano una mozione per mandare via tutti gli immigrati e respingerli a calci e coloro che invece difendono quelle posizioni.
Ritengo che dovremmo trovare tra di noi una sintesi e se fosse possibile - questo è un invito che faccio - dovremmo arrivare a una sintesi anche delle mozioni. Altrimenti che facciamo? Ci sono coloro che sono rigidi, coloro che aprono, coloro che sono contro, coloro che sono a favore e coloro che difendono la tranquillità e la serenità di alcune regioni ed altri invece che vogliono la guerriglia in alcune regioni. Ritengo che dovremmo tentare di avere un approccio serio e fare una sintesi seria per dare più forza all'azione del Governo e non soltanto al Presidente del Consiglio dei ministri, che va in Libia, ma in quanto interlocutore degli altri partner europei e degli altri Stati membri dell'Unione europea. Questa è la proposta: se riusciamo a farlo, credo che il nostro gruppo sia ampiamente disponibile.
Possiamo trovare un approdo comune e, se tutto questo non dovesse esserci, certamente ci saranno diverse posizioni, ma diverse posizioni non tattiche; sarebbero posizioni diverse sul piano culturale, sul piano politico, sul piano della sensibilità e sul piano di una dimensione umana che tutti quanti, invece, dovrebbero recuperare in questo particolare momento perché si tratta di una proposta forte sulla politica estera, sul ruolo dell'Italia nel Mediterraneo e anche riguardo alla dignità umana e ai diritti umani violati continuamente non soltanto in Africa, nell'area Subsahariana o nel Maghreb, ma anche nel resto del nostro globo.
Questi sono i dati e le proposte che intendo consegnare alla riflessione dei colleghi, rispettando certamente sia il prosieguo del dibattito sia la risposta della Governo. Poi, nel momento in cui il Governo dovrà esprimere le proprie posizioni e i propri pareri sulle mozioni presentate e, quindi, anche attraverso il confronto che verrà fuori sulle dichiarazioni di voto, sarà opportuno verificare se sia possibile procedere su un percorso unitario.

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PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Porta, che illustrerà la mozione Amici ed altri n. 1-00811, di cui è cofirmatario.

FABIO PORTA. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, la discussione odierna non può che svilupparsi, come hanno testimoniato anche i colleghi che mi hanno preceduto, in un arco storico temporale che parte dalla firma del Trattato di amicizia italo-libico del 2008, tra l'allora presidente Berlusconi ed il colonnello Gheddafi, fino ad arrivare, dall'altro capo di questa complessa e controversa parabola di vicende di carattere storico, bellico e diplomatico, all'imminente visita in Libia dell'attuale Capo del Governo, il senatore Mario Monti.
Nell'arco di questo anno e mezzo abbiamo assistito, non solo come spettatori, all'insorgere in tutta l'area nordafricana di quello straordinario fenomeno poi ribattezzato come Primavera araba e, in questo contesto, con specifico riferimento alla Libia, alla piena partecipazione italiana all'iniziativa a sostegno della popolazione civile minacciata da Gheddafi nel quadro della risoluzione adottata dal Consiglio di sicurezza dell'ONU. Siamo stati tra i primi Paesi ad aver riconosciuto il Consiglio nazionale di transizione libico con una serie di incontri bilaterali tra i rispettivi Governi, culminati con l'incontro a Roma del dicembre scorso tra il Presidente Monti e il Presidente ad interim Jalil, vertice al quale seguirà nei prossimi giorni, appunto, l'analogo incontro a Tripoli.
In tutta questa fase e negli stessi incontri bilaterali che l'hanno caratterizzata, la questione dei profughi e degli immigrati partiti dalle coste libiche, è stata sempre al centro delle discussioni tra i due Governi, come delle loro preoccupazioni. È in questo quadro che si inserisce il memorandum di intesa, firmato il 17 giugno del 2011, sulla collaborazione in materia di contrasto all'immigrazione clandestina, con cui il Consiglio nazionale di transizione si è impegnato a rispettare i precedenti accordi italo-libici e a rafforzare la collaborazione bilaterale in materia di sicurezza sulla base dell'Accordo italo-libico del 2000 su queste materie.
Signor Presidente, mi sia permessa una breve digressione. Non vorrei, infatti, che riducessimo, anche in questa importante discussione parlamentare, il rapporto con la Libia, paese importantissimo e centrale non soltanto per la sua posizione e il suo peso nell'area nord-africana ma, soprattutto, per le storiche relazioni con il nostro Paese, alla tematica dell'immigrazione e della cooperazione nella gestione dei flussi. Si tratta di una tematica senza dubbio centrale, nevralgica e delicata, ma che va inserita nel contesto più ampio di quella crisi e - lo ripeto - dell'importante valenza politico-strategica dei rapporti italo-libici e, quindi, della presenza in esso del nostro Paese. Si tratta di una presenza decisiva per affermare il protagonismo italiano nell'area mediterranea a partire dall'opportuno sostegno alla Primavera araba e alle nascenti democrazie della regione.
Se il nostro Paese, infatti, ha tardato a comprendere le ragioni e sicuramente, insieme alla più vasta comunità internazionale, si è trovato in parte impreparato rispetto alle straordinarie novità imposte dalle radicali e, a volte, rivoluzionarie trasformazioni in atto, ciò è stato forse dovuto proprio alla sopravvalutazione o comunque all'eccessiva, quasi monotematica, attenzione data al fenomeno migratorio e ai suoi riflessi sulla nostra economia e, in particolare, sulla sicurezza pubblica.
La presenza europea nella regione deve, invece, trovare nuove chiavi ed una nuova legittimazione per non lasciare il campo ad una eccessiva ed innaturale presenza, per esempio, cinese o soprattutto, direi, alle influenze sunnite integraliste nell'area del Golfo. Sono tutte queste questioni già emerse all'indomani dell'approvazione della risoluzione n. 1973 da parte dell'ONU con la quale si approvava l'intervento della cosiddetta «coalizione dei volenterosi», ma si lasciavano aperti numerosi interrogativi in merito ai rapporti di forza tra i Paesi europei, all'assetto Pag. 43istituzionale della nuova Libia e alla legittimità dell'uso della forza e alle reali ragioni delle posizioni russa e cinese.
Per quanto ci riguarda, poi vi è un'importanza economica evidente per la partnership e direi per la leadership nel campo dell'energia, ma anche per il ruolo crescente che il mercato nordafricano può avere in termini di sbocco per i nostri prodotti e di partnership nella produzione. Infine, vi è un'importanza culturale di scambi e di arricchimento vicendevole che, chiusa finalmente la pagina della Jamahiriya, può riacquisire slancio e ciò in forza di una storia millenaria e di una ricchezza di rapporti che nel corso dei secoli, sia pur con alterne e contraddittorie vicende, hanno legato e unito i nostri popoli.
La questione dell'immigrazione non deve pertanto essere trattata in maniera miope, come semplice esigenza di liberarsi dei profughi e dei rifugiati, la cui maggioranza peraltro (come sappiamo e come le statistiche dimostrano in maniera incontrovertibile) non è neanche libica. Il rapporto tra i nostri popoli e i nostri Stati passa inevitabilmente da una regolamentazione giusta e rispettosa dei diritti dell'uomo e delle convenzioni internazionali dei nostri cittadini e dei migranti che arrivano nei nostri Paesi, ed è evidente che la nuova situazione politica ci impone di riadattare il testo del Trattato di amicizia per migliorarlo ulteriormente e risolvere i dubbi che le sue parti più sensibili avevano sollevato.
Allo stesso modo, è ovvio che solo in questo quadro più ampio, che coinvolge una partnership strategica essenziale per gli interessi nazionali del Paese, dovranno essere affrontate le questioni di politica dell'immigrazione che la mozione solleva. Per decenni, infatti, gli Stati europei si sono illusi di affrontare la pressione migratoria dell'Africa mediante accordi di contenimento con i regimi nordafricani. Oggi è palese a tutti come quel complesso e costoso apparato di controllo fosse un castello costruito sulla sabbia.
Senza soffermarci qui sull'inaccettabile ipocrisia morale di questa linea politica, è bene interrogarci sulle cause di tali fragilità per evitare di ricadere nuovamente e colpevolmente sullo stesso gravissimo errore.
Un nuovo ordine migratorio euromediterraneo deve allora andare al di là di tre vizi di fondo: una irrisolta e non virtuosa tensione tra il livello bilaterale e il livello più propriamente europeo; un evidente e pericoloso sbilanciamento di tale ordine nei confronti dei vecchi leader nordafricani; infine, la mancanza di una dovuta ed opportuna flessibilità nella gestione della circolazione a breve termine a fronte delle eccessive rigidità minuziose ed indifferenziate delle norme di Schengen.
Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, noi pensiamo che il prossimo importante vertice tra il Presidente Monti e il Presidente Jalil a Tripoli possa e debba rinvigorire un rapporto storicamente ormai saldo con la Libia lungo queste assi fondamentali: innanzitutto la riconferma del valore storico della chiara assunzione di responsabilità nei confronti del nostro passato coloniale (una pagina difficile chiusa con coraggio anche grazie al Trattato di amicizia e cooperazione). In secondo luogo, occorre la conferma di una presenza privilegiata delle aziende italiane in Libia e, più in generale, della partnership commerciale ed energetica tra i due Paesi fatta di importanti investimenti e di condivisione di progetti infrastrutturali e di sviluppo.
In terzo luogo, è necessario il sostegno alla nascente democrazia libica attraverso ogni utile scambio di esperienze tra le società civili e le istituzioni dei due Paesi includendo in questa dimensione il ruolo centrale ed insostituibile che il nostro Parlamento può giocare con accordi di cooperazione e protocolli di cooperazione, così come per mezzo di nuove relazioni culturali libere oggi di esprimersi senza gli imbarazzi dovuti alle impostazioni anti-democratiche e illiberali del regime di Gheddafi. Infine, occorre la riconferma all'interno di questo nuovo quadro politico e strategico di un accordo di collaborazione sulla regolamentazione dei flussi migratori attraverso il Mediterraneo. Pag. 44
Si tratta di un accordo, però, costruito intorno a una diversa piattaforma e su basi certamente nuove e diverse rispetto alle prassi che il vecchio accordo rischiava di consentire. Una comune gestione della politica dell'immigrazione, cioè coerente con gli standard internazionali di protezione dei migranti e rispettosa dei diritti dell'uomo, attuata in collaborazione con le organizzazioni internazionali, che avrebbero oggi ripreso a lavorare con maggiore tranquillità a Tripoli.
Soprattutto, è necessaria una politica comune dell'immigrazione che escluda pratiche illegali come quella dei respingimenti e sia aliena dal comodo e ipocrita disinteresse che ci ha fatto chiudere un occhio, in passato, sul trattamento di uomini e donne disperati, nei loro viaggi della speranza attraverso i deserti del sud della Libia fino all'imbarco, in traversate drammatiche, tra le acque del Mediterraneo.
Si tratta, quindi, di una partita delicata e difficile, quella che il nostro Paese può e deve giocare in Libia, una complessa partita di carattere politico e diplomatico che deve essere giocata nel quadro delle politiche europee, ad iniziare da quella vera e propria costruzione di un ordine nuovo migratorio euromediterraneo, al quale facevo riferimento prima.
Una partita all'insegna del difficile e apparentemente impossibile equilibrio tra continuità e discontinuità: continuità di una presenza economica e commerciale importante, come anche di un quadro storico-culturale più ampio e profondo che abbiamo il dovere di valorizzare e sostenere; discontinuità relativa, invece, alle colpevoli complicità e coperture date al Governo del colonnello Gheddafi e rispetto ad eventuali pratiche collaterali illegali attinenti alle acquisizioni dei contratti con il passato regime libico, così come denunciato recentemente da autorevoli fonti del Comitato nazionale di transizione. Solo così sarà possibile ritagliarsi e conquistare un vero protagonismo politico nella regione e, al tempo stesso, salvare un giro d'affari stimato, per l'Italia, intorno ai 12 miliardi l'anno.
In questo contesto più ampio e decisivo, lo ripeto avviandomi alla conclusione, la questione dei flussi migratori e quella parallela dei rimpatri si impongono come questioni decisive. Per affrontare questa emergenza umanitaria, evitando disastri e rispettando le regole internazionali in materia, occorre guardare indietro e avanti. Occorre saper fare, cioè, autocritica sugli errori fatti, sapendo che l'Italia e l'Europa sono obbligati a volgersi a sud e non a girare le spalle alla sponda nord del Mediterraneo. Fermarsi alle urgenze, vere o presunte, non è sufficiente. Può rispondere alle esigenze di una politica populista e demagogica, ma non alle reali esigenze di chi ricerca risposte serie e responsabili. La ritrovata autorevolezza del nostro Paese sulla scena europea e mondiale ci impone un supplemento di responsabilità, fatto di saggezza e lungimiranza. Interrogarsi sugli scenari possibili è auspicabile e persino doveroso nella misura in cui ciò possa contribuire a ridurre il tasso di improvvisazione nella gestione della delicata vicenda dei flussi migratori provenienti dalla Libia. Solo in questa prospettiva - e ho concluso - questo nostro dibattito in Parlamento potrà rivelarsi utile e significativo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Di Biagio. Ne ha facoltà.

ALDO DI BIAGIO. Signor Presidente, sottosegretario, onorevoli colleghi, sarò breve. La questione evidenziata nella mozione oggi in esame affronta in maniera un po' troppo sintetica la complessità di un episodio storico-sociale che ha letteralmente scosso l'intero Mediterraneo. La cosiddetta «Primavera araba», che ha rivoluzionato l'assetto politico-sociale dei principali Paesi del Maghreb, ha visto l'Europa attenta ma, allo stesso tempo, impacciata nello gestire i riflessi certamente critici delle ondate liberali o pseudo tali che ne derivavano.
L'Italia è stata lasciata praticamente sola, ma è stata tra i Paesi più attenti e più disponibili a gestire le ripercussioni umanitarie Pag. 45delle agitazioni del Mediterraneo, operando con rapidità a sostegno dei migranti e dei rifugiati politici provenienti dalle aree di crisi e non solo. In particolare, sul versante libico il nostro Paese è stato tra i primi a riconoscere il Consiglio nazionale di transizione, come viene evidenziato nel testo in esame. Ne è seguito un confronto bilaterale a più riprese, scandito da una chiara volontà di collaborazione anche sul fronte della lotta all'emigrazione clandestina.
Purtroppo l'immigrazione, che deriva dalla guerra in Libia, ha preso le sembianze di una vera e propria emergenza. Di questo ne siamo fortemente consapevoli.
Siamo altrettanto consapevoli del fatto che le emergenze non si liquidano con un rapido colpo di spugna in occasione del primo incontro ufficiale in terra libica tra il nostro Governo e quello di Tripoli. Paradossalmente, significherebbe sottovalutare la portata dello stesso fenomeno che è complesso, variegato e radicato. Voglio ricordare, in particolare ai colleghi della Lega, che hanno presentato una delle mozioni, che la migrazione di migliaia di cittadini libici verso le nostre coste è stata dettata non da semplice desiderio di cambiare aria, ma risponde ad un'evoluzione epocale di questa terra sotto più profili e, in quanto tale, dovremmo trattarla.
Concordiamo, in linea di massima, su alcune evidenze tracciate nelle altre mozioni oggi in esame. Sono certo imprescindibili i dettami di diritto internazionale nella gestione dei flussi migratori e l'auspicabile ratifica da parte della Libia della Convenzione di Ginevra e sono certo che l'Italia avrà un ruolo preponderante nell'edificazione del ruolo umanitario di Tripoli, ma la Bilaterale avrà i sui tempi anche per fare questo. Il Governo ha dichiarato di voler esaminare ed eventualmente approfondire i provvedimenti che hanno a che fare con la Libia che - non dimentichiamolo - era un nostro partner privilegiato e si spera che lo sarà ancora, anche nel post-Gheddafi. Ci sono tante prospettive per le nostre imprese e per il nostro sistema Italia in una terra che deve rifiorire e ha bisogno del nostro aiuto e ogni questione deve essere affrontata a tempo debito. Imporre in questa bilaterale a Tripoli la definizione dei rimpatri ci sembra francamente poco funzionale e di scarsa fattibilità o, perlomeno, si ritiene che la scelta di proporre tale imposizione debba essere affidata alla sensibilità del Premier e della sua delegazione. La priorità, al momento, è ritrovare uno sbocco economico in questa terra, a cui la storia ci ha avvicinato a più riprese e dove molti nostri connazionali hanno lasciato un segno. Non dimentichiamo che in questo momento ricostruire e rinnovare la partnership rappresenta anche la premessa per dare nuove prospettive ad un popolo martoriato, creando dunque anche le condizioni affinché la gente non sia costretta ad emigrare. Badate, siamo consapevoli che non stiamo parlando esclusivamente di emigranti di nazionalità libica, ma anche di disperati provenienti da altri Stati africani che utilizzano la costa libica. Se non facciamo noi un passo in avanti in questo senso, da buoni vicini e partner, come possiamo pretendere una nuova governance che disciplini i fenomeni migratori?
Sono molti i punti su cui bisogna lavorare e certamente le prospettive per il nostro Paese sono interessanti e non trascurabili, come ha ricordato di recente il professor Monti. Non possiamo dimenticare che la situazione libica non è ancora stabilizzata: il costante confronto tra il Governo in carica e le milizie tribali sta contribuendo a rallentare la ricostruzione e la stabilizzazione, con ovvie conseguenze anche sulla gestione di potenziali migranti. Con questo non vogliamo minimamente negare il carattere drammatico del fenomeno dell'immigrazione libica o l'esigenza di gestirlo nel migliore dei modi, ma riteniamo allo stesso tempo che non sia auspicabile imporre questo argomento nella sede della prossima bilaterale, data anche la natura delicata del contesto e del momento in cui si svolge. Ogni nuova regola o impegno nazionale o internazionale sono una conquista democratica, tappa di una crescita complessa e, a tratti, anche dolorosa, ma non possiamo pretendere Pag. 46che le tappe vengano percorse di colpo e tutte insieme, peccheremmo di grande presunzione.
Per finire, al di là della demagogia e dello stomaco del proprio elettorato, spetta alla politica trovare delle soluzioni. Anch'io, come il collega Tassone, voglio offrire un contributo. Dico ai miei colleghi della Lega: se volete discutere con ragionevolezza su questi problemi, noi saremo a vostra disposizione (Applausi).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
Il Governo ha già fatto sapere che intende intervenire successivamente.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Martedì 17 Gennaio 2012, alle 10,30:

1. - Comunicazioni del Ministro della giustizia sull'amministrazione della giustizia, ai sensi dell'articolo 86 del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, come modificato dall'articolo 2, comma 29, della legge 25 luglio 2005, n. 150 (a partire dalle ore 14,15 avranno luogo le dichiarazioni di voto e la votazione delle eventuali risoluzioni presentate).

2. - Seguito della discussione delle mozioni Garofalo ed altri n. 1-00704, Lo Monte ed altri n. 1-00699, Belcastro ed altri n. 1-00697, Donadi ed altri n. 1-00807, Galletti ed altri n. 1-00812 e Moffa ed altri n. 1-00813 concernenti iniziative per lo sviluppo del sistema del trasporto ferroviario di persone e merci, con particolare riferimento al ripristino della priorità in ambito comunitario del Corridoio 1 Berlino-Palermo nella sua configurazione originaria.

3. - Seguito della discussione delle mozioni Binetti ed altri n. 1-00780, Laura Molteni ed altri n. 1-00808 e Miotto ed altri n. 1-00809 concernenti iniziative in materia di malattie rare.

4. - Seguito della discussione della proposta di legge:
S. 2124 - D'iniziativa dei senatori: BERSELLI ed altri: Modifiche dei circondari dei tribunali di Pesaro e di Rimini (Approvata dal Senato) (C. 4130-A).
- Relatore: Paolini.

5. - Seguito della discussione delle mozioni Reguzzoni ed altri n. 1-00803, Leoluca Orlando ed altri n. 1-00805, Cicchitto ed altri n. 1-00806, Pezzotta ed altri n. 1-00810 e Amici ed altri n. 1-00811 sulla cooperazione con il Governo libico per la gestione dei flussi migratori originati dalla Libia durante il recente conflitto.

La seduta termina alle 19,45.

ERRATA CORRIGE

Nel resoconto stenografico della seduta del 12 gennaio 2012, a pagina 104, prima colonna, ventiduesima riga, il numero «1-00140» si intende sostituito dal seguente «1-00408».