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Resoconto dell'Assemblea

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XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 546 di lunedì 7 novembre 2011

Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROSY BINDI

La seduta comincia alle 16,10.

RENZO LUSETTI, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 2 novembre 2011.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Alessandri, Belcastro, Berlusconi, Bernini Bovicelli, Bonaiuti, Bossi, Brambilla, Brunetta, Carfagna, Casero, Catone, Cicchitto, Colucci, Cossiga, Crimi, Crosetto, D'Alema, Dal Lago, Della Vedova, Fitto, Franceschini, Frattini, Galati, Gelmini, Alberto Giorgetti, Giancarlo Giorgetti, Giro, La Russa, Lupi, Mantovano, Maroni, Martini, Meloni, Miccichè, Misiti, Moffa, Leoluca Orlando, Polidori, Prestigiacomo, Ravetto, Reguzzoni, Rigoni, Roccella, Romani, Rotondi, Saglia, Stefani, Tremonti e Vito sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto, i deputati in missione sono complessivamente cinquantatré, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.
Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

In morte del deputato Pietro Franzoso.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, nella giornata di venerdì scorso, 4 novembre, una dolorosa perdita ha colpito la Camera dei deputati: è mancato, infatti, il nostro collega, onorevole Pietro Franzoso.
La figura dell'onorevole Franzoso verrà commemorata dal Presidente della Camera nel corso della seduta di domani, 8 novembre.
Desidero intanto esprimere fin d'ora, a nome mio personale e, soprattutto, a nome di tutta l'Assemblea, il più profondo cordoglio e le più sincere condoglianze alla famiglia ed al gruppo di appartenenza del collega scomparso.

Proclamazione di un deputato subentrante.

PRESIDENTE. Dovendosi procedere alla proclamazione di un deputato, a seguito del decesso del deputato Pietro Franzoso, avvenuto in data 4 novembre 2011, comunico che la Giunta delle elezioni ha accertato, nella seduta dell'8 ottobre 2008 - ai sensi dell'articolo 86, comma 1, del testo unico delle leggi per l'elezione della Camera dei deputati, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361 - che il candidato che, nell'ordine progressivo della stessa lista n. 2 - Il Popolo della Libertà, nella medesima XXI circoscrizione Puglia, segue immediatamente l'ultimo degli eletti, risulta essere Luca D'Alessandro.
Do atto alla Giunta di questo accertamento e proclamo deputato, a norma dell'articolo 17-bis, comma 3, del Regolamento, per la XXI circoscrizione Puglia, Luca D'Alessandro.
S'intende che da oggi decorre il termine di 20 giorni per la presentazione di eventuali ricorsi.

Pag. 2

Modifica nella composizione di gruppi parlamentari.

PRESIDENTE. Comunico che, con lettera in data odierna, la deputata Gabriella Carlucci, già iscritta al gruppo parlamentare Popolo della Libertà, ha chiesto di aderire al gruppo parlamentare Unione di Centro per il Terzo Polo.
La Presidenza di tale gruppo, con lettera pervenuta in pari data, ha comunicato di aver accolto la richiesta.

Annunzio della formazione di una componente politica nell'ambito del gruppo parlamentare Misto.

PRESIDENTE. Comunico che è stata autorizzata ai sensi dell'articolo 14, comma 5, secondo periodo, del Regolamento, e sulla base della richiesta pervenuta in data 3 novembre 2011, la formazione, nell'ambito del gruppo parlamentare Misto, della componente politica denominata «Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia (Grande Sud)», alla quale aderiscono i deputati Elio Vittorio Belcastro, Arturo Iannaccone e Americo Porfidia.
Comunico, inoltre, che il deputato Arturo Iannaccone è stato designato quale rappresentante della nuova componente.

Discussione del disegno di legge: S. 2967 - Rendiconto generale dell'Amministrazione dello Stato per l'esercizio finanziario 2010 (Approvato dal Senato) (A.C. 4707) (ore 16,15).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato: Rendiconto generale dell'Amministrazione dello Stato per l'esercizio finanziario 2010.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali - A.C. 4707)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che la V Commissione (Bilancio) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il vicepresidente della V Commissione (Bilancio), onorevole Marinello, ha facoltà di svolgere la relazione in sostituzione del relatore.

GIUSEPPE FRANCESCO MARIA MARINELLO, Vicepresidente della V Commissione. Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'Assemblea è nuovamente chiamata in data odierna ad esaminare il disegno di legge recante Rendiconto generale dell'amministrazione dello Stato per l'esercizio finanziario 2010, in conseguenza delle note vicende parlamentari che comunque nel prosieguo del mio intervento evidentemente sarò anche costretto brevemente a richiamare.
Si tratta di un passaggio doveroso in ragione della particolare natura del disegno di legge che approva il Rendiconto generale dello Stato. In proposito, occorre infatti considerare che l'articolo 81 della Costituzione prevede che le Camere approvino ogni anno il bilancio e il rendiconto consuntivo presentati dal Governo. L'approvazione del disegno di legge di rendiconto, la cui iniziativa è riservata come per il bilancio al Governo, ha solo formalmente natura legislativa, mentre nella sostanza assume una valenza politica.
La stessa formulazione nell'articolo 81 della Costituzione chiarisce che l'approvazione del Rendiconto è costituzionalmente doverosa.
Alla luce di queste premesse, l'articolo 35 della legge di contabilità e finanza pubblica, la legge n. 196 del 2009, ai sensi del quale «il Ministro dell'economia e delle finanze presenta alle Camere, entro il mese di giugno, il Rendiconto generale dell'esercizio scaduto il 31 dicembre dell'anno precedente, articolato per missioni Pag. 3e programmi», costituisce puntuale attuazione del precetto costituzionale.
Come tutti sappiamo, la Camera dei deputati, nella seduta dell'11 ottobre 2011, ha respinto l'articolo 1 del disegno di legge di Rendiconto per l'anno 2010 presentato dal Governo, che recitava: «Il rendiconto generale dell'amministrazione dello Stato e i rendiconti delle amministrazioni delle aziende autonome per l'esercizio 2010 sono approvati nelle risultanze di cui ai seguenti articoli». Nella seduta dell'Assemblea del 12 ottobre 2011, il Presidente ha dato conto della conclusione a cui è pervenuta la Giunta per il Regolamento, convocata in merito alle conseguenze procedurali della votazione del giorno precedente, con la quale era stato respinto l'articolo 1 del disegno di legge di approvazione del Rendiconto generale dello Stato.
In particolare, la Giunta, a maggioranza, ha ritenuto di non potersi procedere oltre nell'iter del disegno di legge di Rendiconto in quanto, a seguito della mancata approvazione dell'articolo 1, il provvedimento doveva considerarsi respinto. Ciò ha comportato, altresì, la sospensione dell'iter del disegno di legge di assestamento che, a norma dell'articolo 119, comma 8, del Regolamento, è esaminato con il disegno di legge di approvazione del Rendiconto. Tale conseguenza è stata fatta discendere dalla natura stessa dei due provvedimenti, in quanto la Giunta, a maggioranza, ha ritenuto che il Rendiconto costituisca un presupposto logico e giuridico-contabile del disegno di legge di assestamento.
In seguito alla conclusione cui è pervenuta la Giunta per il Regolamento, secondo la quale il carattere sostanzialmente inemendabile del Rendiconto, pacificamente riconosciuto in dottrina e nella prassi parlamentare, non avrebbe consentito al Governo la presentazione di emendamenti, se non di quelli volti ad apportare modifiche di carattere meramente formale o tecnico, il Governo, nella riunione del Consiglio dei Ministri del 14 ottobre, ha deciso unanimemente di ripresentare al Parlamento il disegno di legge recante il Rendiconto generale dell'amministrazione dello Stato per l'esercizio 2010. Si tratta di una decisione che era stata anticipata dal Presidente Berlusconi in occasione delle dichiarazioni rese alla Camera dei deputati nella giornata del 13 ottobre 2011, sulle quali gli è stata ribadita la fiducia a maggioranza assoluta dei componenti di questa Camera.
A fronte dell'incidente parlamentare derivante dalla mancata approvazione dell'articolo 1 del Rendiconto, giustamente il Presidente del Consiglio ha ritenuto necessario sanare la situazione con un voto di fiducia politico. È evidente che, alla luce dell'articolo 94, secondo e terzo comma, della Costituzione, la mancata approvazione del Rendiconto non è equiparabile ad un voto di sfiducia. Si tratta, tuttavia, di un voto che ha valore sostanzialmente politico e, quindi, è stato opportuno confermare la fiducia del Parlamento con un voto che riparasse la situazione anomala che si era venuta a creare.
Il 14 ottobre scorso la Corte dei conti, a sezioni riunite, ha esaminato il nuovo disegno di legge del Rendiconto, approvato dal Consiglio dei Ministri, e ha dichiarato che le risultanze in esso contenute sono corrispondenti a quelle già parificate il 28 giugno 2011. Il disegno di legge all'esame dell'Assemblea non presenta, quindi, differenze sostanziali rispetto a quello precedentemente esaminato.
Sul piano formale segnalo, invece, che il disegno di legge si compone di un solo articolo, mentre il contenuto degli ulteriori articoli recati dal precedente disegno di legge è stato trasformato in allegati al disegno di legge. A mio avviso, si tratta di un'articolazione del provvedimento maggiormente conforme alla natura giuridica del Rendiconto e conferma il valore eminentemente politico del suo esame parlamentare. La mancata innovatività del disegno di legge in esame, rispetto a quello inizialmente presentato dal Governo, si è riflettuta, peraltro, anche sul dibattito svoltosi sia al Senato sia alla Camera, nel quale la gran parte degli interventi si è incentrata su temi attinenti alla procedura di esame del provvedimento. Sul punto Pag. 4non posso che ribadire l'assoluta correttezza del percorso procedurale seguito dal Governo, dal momento che, da un lato, sarebbe stato impossibile presentare un disegno di legge di contenuto diverso da quello inizialmente presentato e, dall'altro, non sarebbe stato immaginabile che la mancata approvazione dell'articolo 1 determinasse una situazione di impasse insuperabile.
Auspico, pertanto, anche alla luce delle recenti vicende internazionali e della pressione cui il Paese è esposto sui mercati, che la Camera possa approvare celermente il Rendiconto, al fine di superare definitivamente quanto è accaduto lo scorso 11 ottobre, e di concludere rapidamente anche l'esame del disegno di legge di assestamento, evitando, quindi, ulteriori speculazioni a danno del nostro Paese.

PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire in sede di replica.
È iscritto a parlare l'onorevole Vannucci. Ne ha facoltà.

MASSIMO VANNUCCI. Signor Presidente, rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi, mi sembra che questa seconda lettura - chiamiamola così - del Rendiconto entri in quest'Aula con un tono piuttosto dimesso, a causa delle assenze nella maggioranza, che credo sia al di sotto delle necessità e della gravità che abbiamo registrato nel percorso di approvazione di questo provvedimento.
Si potrebbe dire, signor Presidente, che si tratta di una replica, dopo l'incidente richiamato dal presidente Marinello, ma la replica di una farsa. Spesso, del resto, ripercorrendo la nostra storia, in fondo, ci sentiamo dei replicanti perché tutto ritorna e tutto è già stato detto e fatto. Ebbene, in questo caso, voi avete infranto anche questo e ci avete proposto cose mai viste, come quelle che peraltro vediamo in queste ore.
Vorrei ripercorrere l'iter del provvedimento: questo disegno di legge è stato presentato dal Ministro dell'economia e delle finanze il 30 Giugno del 2011, il Senato l'ha approvato il 14 Settembre, ci è stato trasmesso il 15 settembre, è approdato in quest'Aula ed è stato respinto dalla stessa martedì 11 Ottobre. Ebbene, cos'è successo? In quel frangente, si sono consumati due gravi strappi istituzionali. Dico che in questo caso siamo replicanti perché cose del genere non si erano mai viste. È stato bocciato da quest'Assemblea l'articolo 1 e, di fatto, vi è stata la decadenza del provvedimento, tant'è che la Giunta per il Regolamento, nel testo delle comunicazioni del Presidente Fini, ha decretato che l'assestamento ad esso collegato non si sarebbe potuto approvare e che, di fatto - si leggeva in questo testo - solo un nuovo Governo avrebbe potuto ripresentare un nuovo provvedimento di Rendiconto. Del resto, la decisione della Giunta per il Regolamento era suffragata dai pareri di eminenti costituzionalisti, che andavano tutti in questa direzione.
Il Presidente del Consiglio avrebbe pertanto dovuto prendere atto di quello che era accaduto, recarsi dal Presidente della Repubblica, rassegnare le dimissioni, chiedendo di essere rinviato alle Camere perché - così come prevede la Costituzione - avrebbe dovuto avere un voto di fiducia dalle medesime, mentre tutto ciò è stato «derubricato» - come oggi abbiamo sentito dall'onorevole Marinello - come un incidente tecnico. Il Presidente doveva chiedere quindi una reinvestitura. Cosa ha fatto invece il Presidente del Consiglio? Si è presentato alle Camere, ma si è autoreinvestito, ha chiesto un nuovo giudizio di parificazione della Corte dei conti - e ricordo che questo è l'unico atto che prevede il giudizio di parificazione - e, in definitiva, ha scelto una scorciatoia istituzionale. Questo è un precedente pericolosissimo per i nostri lavori, rispetto al Regolamento della Camera, e, peraltro, non rispettoso della Costituzione.
Quindi, si è consumato un primo strappo tra Governo e Parlamento: il Parlamento ha detto che ci voleva un nuovo Governo per modificare il Rendiconto. Ma perché il Presidente del Consiglio non si è recato a rassegnare le dimissioni, come avrebbe dovuto fare, con conseguente rinvio Pag. 5del Presidente della Repubblica alle Camere, in base alla nostra Costituzione? Evidentemente, perché non si è fidato, in quella fase, del Presidente della Repubblica. Questo è un altro grave strappo istituzionale, che si è consumato in questo provvedimento.
Il Rendiconto è stato riapprovato con queste forzature regolamentari e costituzionali, il Senato l'ha riapprovato e ce lo ha rinviato. Qual è la modifica, signor Presidente? La modifica è semplicemente una: anziché 18 articoli, come nel testo precedente, oggi siamo di fronte ad un solo articolo che, nella presunzione della maggioranza, permetterà di esprimere un solo voto a questa Camera, visto che essa non poteva sopportare 18 voti.
Quindi, vedremo tutti presenti i Ministri ed il Presidente del Consiglio per superare questo ostacolo con un solo articolo.
Non vogliamo esimerci dal continuare a discutere il merito di questo provvedimento, anche per dare ai colleghi, che dovranno votare, ragioni di merito, oltre che quelle più generali, per fermare questo Governo, per interrompere questa insistenza e questa pervicacia nel mantenere la guida di un Paese, che non è più in grado di guidare, con il rischio di portarlo alla bancarotta. Con il mio intervento, cercherò di fornire anche alcune ragioni di merito. Noi pensiamo - l'abbiamo già dichiarato nella precedente discussione sulle linee generali - di dover votare contro questo provvedimento. Vi sono due ragioni di fondo.
Signor Presidente, il Rendiconto 2010 è molto deludente sul piano dei risultati (mi riferisco a quelli dell'anno precedente) e conferma gli allarmi da noi costantemente lanciati, a fronte di un risultato finanziario inadeguato alle necessità, agli impegni europei e alle esigenze del Paese, acuite ancor più dalla bocciatura del 13 ottobre. Questo Rendiconto non è in gran parte leggibile, ma non perché non ne siamo capaci, ma perché vi sono poste nascoste, non esplicitate e non dichiarate. Del resto, spesso abbiamo denunciato il ricorso a vari fondi, al fondo ISPE, al «fondo Letta» e la grande discrezionalità nell'uso delle risorse che è stata attribuita in tutti questi anni al Ministero dell'economia e delle finanze. Non lo diciamo noi, ma la Corte dei conti, che, nel giudizio di parificazione, testualmente denuncia il fenomeno della «concentrazione in poche missioni delle spese gestite, già rilevato negli anni precedenti. In termini di massa impegnabile per spese finali, solo cinque missioni su trentaquattro espongono ben oltre i due terzi degli oneri, pari a 384,5 miliardi, con un'incidenza del 68,4 per cento (...)». Appare perciò necessaria una razionale rivisitazione delle attuali missioni, anche al fine di un riequilibrio dimensionale, connesso con una migliore definizione degli aggregati, valutando al contempo la struttura organizzativa che gestisce la spesa e la rilevanza politica della finalità perseguita.
È la conferma di ciò che dicevo per i fondi. Vi sono grandi calderoni con riferimento ai quali è difficile o impossibile capire. Vi sono capitoli promiscui, senza distinzione tra consumi, personale e trasferimenti. Non c'è trasparenza. Per circa 60 miliardi di spese, su 500 miliardi, oltre al costo del debito, non si hanno i dettagli. Oltre a non essere leggibile, rileviamo il fatto che si tratta di un risultato pessimo di gestione delle risorse pubbliche. Nel 2010 registriamo il record assoluto di residui attivi e passivi: 230 miliardi di residui attivi, senza un commento, sottosegretario Cesario, sul grado di esigibilità. I residui attivi e passivi sono un modo di nascondere la polvere sotto il tappeto. Questi 230 miliardi, il record assoluto di tutti gli anni, sono esigibili o no? Ci sono 108 miliardi di residui passivi. Cosa sono i residui passivi? Sono i debiti che abbiamo verso i nostri fornitori. La posta più alta è quella dei pagamenti in conto sospeso. Sappiamo che, grazie alla nostra incapacità di pagare i fornitori, mettiamo molte imprese a rischio. Questo fenomeno, più volte denunciato in questa Aula, non accenna a fermarsi o a diminuire, ma nel 2010 si aggrava. Anche in questo caso, voglio citare il giudizio di parificazione della Corte dei conti: i residui attivi raggiungono Pag. 6la soglia record e vi ho dato le cifre. Lo slittamento dei pagamenti dipende sostanzialmente da procedure complesse e defatiganti in taluni settori di intervento. L'esito di gestione e la leggibilità del Rendiconto sono peraltro sempre più appannati da un imponente e crescente accumulo di residui attivi e passivi.
Colleghi, ci sarebbe, invece, bisogno di capire quanto e come spendiamo. Signor Presidente, perché ho definito questo atto deludente? I relatori e i colleghi di maggioranza insistono su una sostanziale tenuta dei conti, che, del resto, è il leitmotiv di questi anni: il Ministro dell'economia e delle finanze avrebbe tenuto i conti in ordine con un rallentamento delle spese correnti.
Ma come si è ottenuto? Sarebbe interessante andarlo a vedere, e noi nel Rendiconto lo comprendiamo subito. Voglio citare due dati: i trasferimenti alle famiglie e alle istituzioni sociali e private si sono attestati a quattro miliardi e mezzo circa, con una riduzione del 53,3 per cento rispetto all'anno precedente. Diminuiscono tutte le altre voci, in particolare i contributi agli investimenti delle amministrazioni pubbliche, pari a 20 miliardi, che diminuiscono del 7,8 per cento. I contributi agli investimenti alle imprese, attestati a 11 miliardi 600 milioni, diminuiscono del 17 per cento, così come i contributi agli investimenti all'estero.
E se guardiamo l'analisi delle spese per le principali missioni, vediamo riduzioni pericolosissime: meno 8,9 per cento per la giustizia, meno 7,8 per cento per l'ordine pubblico e la sicurezza, meno 5,3 per cento - variazione del 2010 sul 2009 - per l'istruzione universitaria. Invece quali spese aumentano? Abbiamo il 3,5 per cento in più per le politiche previdenziali, il 4,1 per cento in più per le relazioni finanziarie con autonomie territoriali, per la grande macchina dell'amministrazione pubblica, alla quale non riuscite a mettere mano.
Il Rendiconto è un provvedimento molto importante: mi meraviglio come passi in Aula con questa disattenzione. È quello più analitico di cui disponiamo, è a fondamento della nostra Costituzione in base all'articolo 81, da cui comprendiamo le azioni che dovremmo intraprendere.
Voglio dire ai colleghi che hanno registrato un rallentamento delle spese correnti se ci rendiamo conto da dove veniamo. Questo è il Rendiconto del 2010, ma abbiamo di fronte due esercizi precedenti, il 2008 e il 2009, dove avevamo registrato dati incredibilmente pericolosi per il nostro Paese.
Cosa è successo nel 2008? In quell'orribile anno abbiamo registrato un più 8,1 per cento di spesa corrente rispetto alle previsioni. Abbiamo toccato il massimo storico: dal 40,4 per cento al 43,4 per cento, vale a dire sei punti in più rispetto al 1991, che nella storia della Repubblica era stato l'anno peggiore. Si sono registrati 33 miliardi in meno di entrate, con una riduzione del gettito IVA pari al 10 per cento, che testimoniava una ripresa dell'evasione fiscale. Nel 2008 ci siamo detti che saremmo migliorati nel 2009. No, nel 2009 abbiamo ulteriormente peggiorato: sette miliardi in meno di entrate tributarie, da sommare ai 33 miliardi dell'anno precedente; nove miliardi in più di spesa corrente nel 2009.
Cosa doveva succedere nel 2010? Doveva succedere qualcosa che mettesse veramente i conti a posto. Invece no, il trend continua: la spesa corrente è fuori controllo e la spesa in conto capitale è quella che viene tagliata, e noi sappiamo che è la spesa del futuro, che serve a costruire un Paese migliore. Credo che peggio di così non si poteva fare, anzi, la situazione andava recuperata rispetto al 2008 e al 2009, cosa che invece non è stata fatta.
Vorrei ricordare a lei, signor Presidente, e ai colleghi, che solo tre anni fa abbiamo lasciato questo Paese con 1.650 miliardi di debito. Ce lo ritroviamo a 1.970 miliardi: oltre 300 miliardi in più in tre anni.
Lo avevamo lasciato con un deficit del 2,7 per cento rispetto al PIL; tenendo conto che il prodotto interno lordo era pari a circa 1.600 miliardi di euro, il deficit corrispondeva a 40 miliardi di euro, quindi in questo Paese spendevamo 40 Pag. 7miliardi di euro in più rispetto a quelli che incassavamo. Invece oggi ritroviamo il rapporto deficit/PIL ad oltre il 5 per cento; pertanto, spendiamo 80 miliardi di euro in più rispetto a quelli che incassiamo ogni anno. Dai banchi della maggioranza ci viene detto «se avessimo seguito i consigli della minoranza, a proposito del deficit spending, ci saremmo trovati in una situazione come quella greca». Vorrei ricordare che la minoranza vi chiedeva di usare un punto di PIL, mentre voi ne avete utilizzati tre. Qui si è lavorato in deficit.
Leggo oggi, sulla nostra rassegna stampa, che il quotidiano La Stampa titola un articolo: «Ira dei tedeschi, che fine ha fatto il vostro pareggio di bilancio?». Benissimo, noi deputati siamo stati convocati in agosto per modificare l'articolo 81 della Carta costituzionale e per inserire nella nostra Costituzione il pareggio di bilancio, ma ancora non siamo stati in grado di portare il relativo provvedimento in quest'Aula. Nel 2011, per le necessarie doppie letture previste dalla procedura per l'approvazione di una legge costituzionale, non saremo ancora in grado di approvare tale provvedimento. Nell'ultima manovra abbiamo inserito la famosa spending review (rivisitazione della spesa), ma tutto continua esattamente come prima.
Ebbene, in tutti questi passaggi il Governo non è stato neppure in grado di emanare il famoso decreto sulla crescita. Questa è la vera crisi in cui vi trovate, non siete in grado di decidere. Allora, cosa vi aspettate che diciamo, che va bene così, che tutto era inevitabile, che la crisi internazionale ha prodotto tutto questo? No, cari colleghi, vi è una via italiana.

PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Vannucci.

MASSIMO VANNUCCI. Vi è una nostra precisa responsabilità. La responsabilità principale è quella di non avere detto la verità al Paese. Ancora qui in Aula, nel discorso svolto ad ottobre dal Presidente del Consiglio a proposito del rendiconto in esame, non si è detta la verità.
Signor Presidente, le chiedo ancora qualche minuto perché vorrei ripercorrere le tappe e i passaggi intercorsi dal 13 ottobre ad oggi. Potrei fare un lungo elenco, non esaustivo, delle vostre contraddizioni. Con furore ideologico avevate tolto tutte le norme che avevamo introdotto in materia di controllo della spesa e di lotta all'evasione fiscale, ma adesso le state reinserendo tutte.
Il limite della tracciabilità dei pagamenti è sceso a 2.500 euro. Con furore ideologico lo avevate tolto, oggi Confindustria dice di abbassarlo ulteriormente a 500 euro. Avete fatto operazioni di redistribuzione al contrario del prelievo fiscale, oggi si riparla di introdurre l'ICI e la tassa patrimoniale. Avete portato avanti operazioni varie, come, ad esempio, quella relativa ad Alitalia e così via, in tema di dismissione del patrimonio pubblico, e oggi chiamiamo i cinesi ad investire sul nostro patrimonio pubblico. Vi ricordate l'ultima vicenda Parmalat, in cui facemmo vedere i muscoli e dicemmo che si trattava di una società strategica per il Paese, dando vita ad una previsione normativa che impegnava la Cassa depositi e prestiti ad intervenire? Oggi chiamiamo i cinesi ad acquistare il nostro patrimonio pubblico, mentre il Paese è fermo. Con la nota di aggiornamento al DEF abbiamo ribassato le previsioni di crescita dall'1,2 per cento allo 0,7 per cento, meno 2 per cento in tre anni, mentre il Fondo monetario internazionale dice che non vi riusciremo.
Quindi, la situazione, anche rispetto al rendiconto che abbiamo davanti, è tragica perché non si è mai visto alcuno, cari rappresentanti del Governo, onorare i propri impegni, pagare i propri debiti, senza lavorare di più, senza crescere di più, senza produrre di più. Questo è il problema sostanziale di questo Paese e su questo avete delle grosse responsabilità.
Signor Presidente, mentre mi avvio alla conclusione vorrei fare un appello, perché dal 13 ottobre scorso ad oggi molte cose sono cambiate: vi è stato questo confronto con l'Europa attraverso la famosa lettera inviata dal nostro Governo nel periodo che è intercorso tra le due sedute del Consiglio europeo, tra il 23 e il 26 ottobre; vi è stato un G20 fallimentare per l'Italia. Pag. 8
Ebbene, da allora, ovvero dal 13 ottobre ad oggi, non si è fatto nulla: il deficit di credibilità del nostro Paese è cresciuto. Come avete visto questa mattina, il solo annuncio delle dimissioni ha creato euforia in Borsa: ha creato un nuovo ottimismo. Dopo che è stata ritirata la sua disponibilità, siamo ritornati alla stessa situazione. Lo vedete negli altri Paesi cosa è successo? Vedete cosa è successo per la Spagna? Vedete che cosa sta facendo la Grecia e cosa hanno fatto prima l'Irlanda e il Portogallo? Insomma, quest'insistenza ci sta portando alla bancarotta.
Per questo noi domani nella nostra dichiarazione di voto faremo un appello ai parlamentari di maggioranza perché si interrompa l'esperienza di questo Governo e la si interrompa con questo provvedimento, perché vi sono ragioni di merito per il suo contenuto proprio e ragioni più generali nell'interesse del Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Monai. Ne ha facoltà.

CARLO MONAI. Signor Presidente, colleghi, rappresentanti del Governo, come gruppo Italia dei Valori siamo piuttosto perplessi sulle modalità con cui il Governo ha proceduto all'esito della bocciatura del disegno di legge di rendiconto, avvenuta in quest'Aula l'11 ottobre scorso.
Infatti, se è vero che l'articolo 81 della Costituzione, come è stato già ricordato, stabilisce che «Le Camere approvano ogni anno i bilanci ed il rendiconto consuntivo presentati dal Governo (...)», è anche vero che l'articolo 72, comma 2, del Regolamento della Camera, stabilisce che non si possa ripresentare un disegno di legge già respinto dalla Camera, prima che siano trascorsi sei mesi dalla data della reiezione.
In tal caso, invece, non è trascorso neanche un mese e questo provvedimento è già stato licenziato dal Senato ed è tornato alla Camera. L'artificio adottato dal Governo consiste nell'aver trasfuso il contenuto di quel disegno di legge respinto, che presentava un'articolazione in 18 articoli, in un unico articolo. Ciò formalmente può essere fatto, ma sostanzialmente mette a nudo la debolezza operativa con cui avete forzato la mano del Parlamento, in questo modo così censurabile anche da un punto di vista regolamentare.
Ma non è solo questione di metodo, perché alla luce del giudizio di parificazione della Corte dei conti su questo stesso rendiconto - che ha evidenziato forti criticità, opacità, lacune e una sorta di zona grigia, nella quale si nascondono voci di spesa e di bilancio assai dubbie per portata e pertinenza - avreste dovuto, a mio avviso, quantomeno creare le condizioni per cui il disegno di legge di rendiconto, che andavate a riproporre al Parlamento, supplisse a quelle censure e venisse incontro alle richieste della Corte dei conti di una maggiore precisione, puntualità e chiarezza nelle pieghe di un bilancio, che rimane assai incerto e forse anche di dubbia veridicità, come vi è stato detto dalla Corte dei conti.
Al di là del metodo abbiamo anche registrato uno scadimento della credibilità del Paese nell'ultimo mese, perché abbiamo visto al G20 in che modo il nostro Paese sia stato trattato dai Capi di Stato e di Governo. Abbiamo percepito quest'imbarazzo del Presidente del Consiglio Berlusconi - ma che ha coinvolto un po' tutto il Paese - nell'essere in qualche modo considerato una sorta di persona poco gradita nei contatti con i suoi colleghi. È stato poi ricordato da tanti il drammatico momento di quel summit in cui il Presidente Sarkozy e la Cancelliera Merkel hanno risposto, alla conferenza stampa di un paio di settimane fa, ad una domanda precisa di un giornalista su quale fosse la credibilità e la fiducia verso il Presidente Berlusconi: la risata che ha seppellito il Premier ha in qualche modo messo nell'imbarazzo anche il nostro Paese in una morsa che non è ancora sufficientemente stretta per soffocare un Governo in agonia.
Allora, tornando alla necessità di una valutazione serena ed obiettiva dei dati che ci avete proposto in questo rendiconto, Pag. 9noi non possiamo che rimarcare questa distanza che il nostro Paese sta continuando ad allargare rispetto ai più importanti Paesi europei; una sorta di tracollo verso il baratro del collasso finanziario in cui alcuni mesi fa evocavamo quella Grecia o quella Spagna - come una sorta di Cenerentole d'Europa - invocando e plaudendo alla nostra maggiore capacità economica e finanziaria. Oggi, invece, dopo il disastro finanziario della Grecia cui si sta cercando di dare una via di uscita, l'Italia è diventata una sorta di gemella di questa sventura. Badate bene che la Grecia sta adottando misure ben più stringenti di quelle che il Governo italiano ha annunciato ed editato a luglio, ancora prima per una proiezione al 2014, ipotizzando appunto un pareggio di bilancio a lunga gittata.
Poi, incalzati dall'Unione europea e dalla Banca centrale europea, avete accelerato quella tempistica con i decreti-legge varati a luglio e ad agosto ma, alla fine, anche la lettera che è stata inviata all'Unione europea, per cercare di rassicurare i mercati, non ha sortito effetti; anzi lo spread è aumentato e oggi ha toccato record assoluti: i nostri Buoni del tesoro devono essere piazzati con tassi di interesse che per dieci anni andranno ad aggravare ulteriormente il nostro debito pubblico. Pertanto, c'è il rischio effettivo che questo Governo mantenga, con la sua durata in vita, una sorta di iattura per il Paese, tant'è che oggi, alla semplice notizia ufficiosa che Berlusconi avrebbe dato le dimissioni ad horas, le Borse si sono ringalluzzite lanciando segnali di grande vivacità, per poi tornare a recedere nel momento in cui lo stesso Berlusconi ha smentito questa notizia.
Oggi è chiaro al Paese che uno dei problemi, se non il problema, è proprio la permanenza di questo Governo che tanto male ha fatto in questi tre anni, annunciando sempre grandi riforme e grandi traguardi, rassicurando il Paese su un'economia tranquilla e serena, negando una crisi che invece stava serpeggiando nel nostro sistema economico, tra le piccole e medie imprese, le famiglie e il lavoro, sostenendo che i ristoranti in Italia sono pieni e che quindi tutto va bene. È un Paese delle meraviglie che alimenta solo la fantasia del Premier e che è distante in maniera abissale da quelle che sono le percezioni reali di un Paese prossimo alla decozione.
Tornando al rendiconto, l'analisi che è stata fatta in questo documento, che dovrebbe essere riepilogativo del bilancio 2010, delle spese sostenute in funzione delle previsioni di spesa, è completamente sballata. Infatti la Corte dei conti ha detto che questo rendiconto non è affidabile in una misura sostanziale. Il relatore della Commissione VI (Finanze) ci ha risposto: «Ma cosa volete? L'incertezza del rendiconto alla fine concerne solo il 6 o l'8 per cento, quindi cosa volete di più? Tutto il resto va bene»!
Si dà il caso però, colleghi, che quell'8 per cento significa 60 miliardi di euro, e non sono mica noccioline. E anche l'introduzione dell'obbligo del pareggio di bilancio in Costituzione, di cui stiamo discutendo nelle due Commissioni I e V, voi credete che ci aiuterà in questa direzione?
Dipende da come uscirà questa norma e chiaramente dal fatto se poi, all'italiana, riusciremo a bypassarla come stiamo di fatto bypassando, o meglio come il Governo ha bypassato la legge di contabilità approvata all'unanimità nel 2009 (la n. 196), poi modificata il 7 aprile di quest'anno con la legge n. 39. Questa legge stabiliva il principio di un rendiconto e di una legge di bilancio semplificata e razionalizzata, con procedure più trasparenti, con strumenti di bilancio chiari. Viceversa non avete provveduto ad adottare un rendiconto informato a questa legge, ma avete semplicemente creato delle poste molto indistinte che assommano voci di spesa diverse e delle quali non riusciamo a capacitarci. Per esempio, la riduzione del 25,2 per cento dei consumi intermedi è di per sé apparentemente un fatto positivo, ma quanto di questa riduzione a causa del rinvio delle spese e dei pagamenti avrà un rimbalzo sull'esercizio in corso, visto che parliamo del rendiconto 2010? Pag. 10
In secondo luogo, avete evidenziato una riduzione del 32,6 per cento dei trasferimenti correnti alle famiglie e alle istituzioni locali. Anche questo per noi non è un dato positivo perché - come sta accadendo - incide negativamente sul sostegno dei redditi soprattutto delle persone più deboli. In tal modo, al di là delle considerazioni di equità sociale, si riducono i consumi e ciò vuol dire rallentamento della crescita. Ancora, la riduzione dell'11,3 per cento delle spese in conto capitale: investimenti per le imprese con un 17 per cento di calo; investimenti per le famiglie e le istituzioni addirittura con il 48 per certo di riduzione. Le spese in conto capitale sono quindi l'unica vera cifra in diminuzione nei termini di saldi netti.
Allora da una parte c'è la riduzione della spesa, ma c'è l'aumento del debito in cifra assoluta e anche nella sua percentuale. Si è sempre detto che la spesa corrente avrebbe influito (ed ha influito) nel corso degli anni, ma allora bisognerebbe chiedersi: è diminuita la spesa corrente, è diminuita ancora di più la spesa in conto capitale, ma com'è possibile allora che il debito continui a crescere? C'è qualcosa che non quadra.
Questo debito aumenta sia nella cifra assoluta sia nella sua percentuale. Sull'aumento della cifra percentuale possiamo anche capire che essendo diminuito il denominatore, cioè il PIL, è aumentata l'incidenza percentuale del debito, ma quello che non ci si spiega è come mai il debito sia cresciuto anche in spesa assoluta.
Ci sono quindi due considerazioni da fare. Il rendiconto 2010 certifica che non state facendo quello che serve al Paese. Manutenzione (diceva il Ministro)? Bene, la manutenzione in questi due mesi di luglio e di agosto è stata di 100 miliardi di euro, una cifra mostruosa: 48 miliardi di euro col decreto-legge n. 98 e 59 miliardi 800 milioni con il decreto-legge n. 138. Nel Documento di economia e finanza, nella nota di aggiornamento, avete scritto che questo significherà una minore crescita accumulata di due punti percentuali, ma non è così. È il Fondo monetario internazionale che sostiene che nel corso del quadriennio per il nostro Paese, a causa di queste manovre, vi sarà una minor crescita del 2,9 per cento.
Il rendiconto per il 2010 conferma quanto più volte abbiamo evidenziato nel corso di questi tre anni, e cioè che la strategia di attesa e la mancanza di provvedimenti di sostegno all'economia e della domanda si sarebbero tradotti in un andamento insoddisfacente delle entrate tributarie. Al contempo la politica dei tagli lineari alle spese pubbliche si sarebbe rivelata, a consuntivo, meno efficace di quanto avevate previsto. Infatti, se le entrate fiscali hanno visto una caduta dello 0,5 per cento rispetto al 2009, con una riduzione dell'1,4 per cento delle entrate tributarie relative ad imposte sul patrimonio e sul reddito e dell'1,4 per cento delle entrate tributarie relative ad imposte sulla produzione e sui consumi, per le entrate extratributarie si registra una flessione addirittura del 6,6 per cento rispetto al 2009.
E ciò è solo in parte compensato dall'eccezionale andamento delle entrate tributarie relativo alle tasse e alle imposte sugli affari, cioè proprio laddove non avreste dovuto incidere. Se appesantite ancora di più, dal punto di vista fiscale e previdenziale, le imprese, ma come potete immaginare che le medesime investano e facciano crescere questo Paese? State andando nella direzione opposta rispetto a quello che la situazione richiederebbe. Sul fronte delle spese, si registra un miglioramento dovuto al contenimento modesto, come ho già ricordato, delle spese correnti, ma soprattutto delle spese in conto capitale.
Una seconda considerazione sull'inaffidabilità della vostra gestione del bilancio pubblico: tra i residui attivi e i residui passivi arriviamo a quasi 300 miliardi di euro, che equivale al 40 per cento del bilancio. Questo significa che la vostra macchina pubblica non funziona perché, altrimenti, non si spiega come sia possibile l'accumulo di così tanti residui passivi ed attivi. Con i vostri pagamenti ritardati, Pag. 11anche agli enti locali, piuttosto che ai vostri fornitori diretti, state di fatto strozzando la pubblica amministrazione e state soffocando il sistema economico del Paese. Ritardare i pagamenti agli enti locali ed alle regioni, cosicché a cascata anche questi non pagano le imprese fornitrici, crea enormi difficoltà pure a quelle imprese che cercano il credito presso le banche.
Vi faccio notare che la Spagna, che voi, fino a qualche tempo fa, indicavate come una Paese indietro rispetto alla bella Italia, al bel Paese, ha approvato già da tempo una legge che costringe la pubblica amministrazione a pagamenti tempestivi, sanzionati con interessi molto più alti di quelli che sarebbero i normali interessi moratori. Abbiamo proposto in questa sede analoghe iniziative, anche con mozioni, ma sono rimaste lettera morta; anzi, voi, con questo rendiconto, aumentate il presente gap e lo certificate con tale incidenza esorbitante e record dei residui passivi.
Al 1o gennaio 2011 i residui attivi arrivavano a sfiorare i 195 miliardi di euro, mentre i residui passivi si attestavano a 97,8 miliardi di euro. Si arriva, quindi, a quasi 300 miliardi di euro di cui parlavo prima, il 40 per cento del bilancio. A fianco di questa regolazione contabile debitoria, che è ricollegabile in parte all'intreccio tra gestione di bilancio e gestione di tesoreria, si è formata una massa consistente di debiti pregressi incompatibile con il principio di annualità del bilancio. E di questo la Corte dei conti, nella sua relazione, ha dato ampia documentazione. Vi sono poste di bilancio per le quali si sono riscontrate discordanze dei relativi importi rispetto a quelli risultanti nella contabilità delle amministrazioni e spese in conto capitale per la quali gli importi dei residui attivi finali, registrati nel rendiconto, risultano diversi da quelli che si ottengono sottraendo dai residui iniziali i versamenti effettuati nell'anno in conto residui. La Corte, quindi, ha rilevato varie eccedenze sulle previsioni definitive di competenza, sulla consistenza dei residui, sulle autorizzazioni definitive di cassa, facendo riferimento a discordanze relative ai pagamenti disposti, nonché a varie spese effettuate in mancanza di stanziamenti di bilancio. Siamo praticamente molto vicini ad un falso in bilancio.
Noi siamo convinti che, continuando su questa strada, non ne usciremo e confidiamo, quindi, che, per le considerazioni di merito e di metodo svolte su questo provvedimento, il Governo prenda atto del suo fallimento e, per il bene dell'Italia, rassegni al più presto le sue dimissioni.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 4707)

PRESIDENTE. Prendo atto che il vicepresidente della V Commissione, onorevole Marinello, e il rappresentante del Governo rinunziano alla replica.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione della mozione Damiano ed altri n. 1-00745 concernente iniziative relative all'accesso al trattamento previdenziale per i lavoratori in mobilità (ore 17).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Damiano ed altri n. 1-00745 concernente iniziative relative all'accesso al trattamento previdenziale per i lavoratori in mobilità (Vedi l'allegato A - Mozioni).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
Avverto che sono state altresì presentate le mozioni Paladini ed altri n. 1-00750, Poli ed altri n. 1-00751, Cazzola, Caparini, Moffa ed altri n. 1-00752 e Lo Monte ed altri n. 1-00755 (Vedi l'allegato A - Mozioni) che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine Pag. 12del giorno, verranno svolte congiuntamente. I relativi testi sono in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritta a parlare l'onorevole Gatti, che illustrerà anche la mozione Damiano ed altri n. 1-00745, di cui è cofirmataria. Ne ha facoltà.

MARIA GRAZIA GATTI. Signor Presidente, mi permetta di inquadrare il tema affrontato nella mozione che illustro nell'ambito del provvedimento legislativo che il Governo ha assunto in materia previdenziale in termini più generali. Il Governo è intervenuto in modo strutturale sulle pensioni degli italiani con il decreto-legge n. 78 del 2010, questo nonostante più volte i Ministri Tremonti e Sacconi avessero pubblicamente affermato che il sistema pensionistico fosse in equilibrio grazie alle riforme del 1992 e del 1995, come peraltro era stato confermato dal presidente dell'INPS Mastrapasqua nella relazione annuale fatta alla Camera sul bilancio 2009 dell'istituto.
L'intervento con il decreto n. 78 è stato compiuto al di fuori di qualsiasi concertazione e discussione con le parti sociali - che, mi sembra bizzarro ma devo ricordarlo, rappresentano chi effettivamente versa i contributi e tiene insieme il sistema - ed è stato in gran parte occultato all'interno del maxiemendamento presentato in Aula in fase di conversione. Il Ministro Tremonti si è più volte vantato di aver fatto la riforma delle pensioni senza nemmeno un'ora di sciopero ed è da allora che proviamo a porre rimedio ad una serie di danni che con questi interventi ha generato.
Il lavoratore dipendente, in caso di pensione di vecchiaia, per esempio, con l'introduzione delle cosiddette finestre scorrevoli sarà costretto ad un anno in più di lavoro senza beneficio pensionistico, perché 40 anni sono il tetto massimo considerabile per il calcolo della pensione, e non vi sarà nemmeno nessuno sgravio contributivo per l'azienda. Nei mesi in più di lavoro che vanno dalla maturazione del diritto alla finestra si pagano contributi che sono un vero e proprio regalo allo Stato, mentre per il lavoratore autonomo la situazione è leggermente diversa: sarà costretto, alle stesse condizioni, a 18 mesi di lavoro in più, senza avere nessun beneficio di tipo pensionistico.
Per il lavoro dipendente l'allungamento di un anno si applica a tutti i regimi pensionistici, quindi anche ai regimi pensionistici speciali, per esempio alla Polizia di Stato, alla Polizia penitenziaria, al Corpo forestale, ai carabinieri, alle Forze armate e a tutto il pubblico impiego.
Signor Presidente, noi avremmo avuto bisogno di interventi sulle pensioni, avremmo dovuto completare le norme mancanti per avere un sistema pensionistico adeguato per esempio alle nuove realtà, come era previsto nel Protocollo sul welfare del 2007. Avremmo dovuto per esempio intervenire migliorando la normativa sulla totalizzazione dei contributi, tenendo conto dei mutamenti intervenuti nel mercato del lavoro, in conseguenza dei quali è sempre più frequente cambiare più posti di lavoro e più datori di lavoro nel corso della vita lavorativa. Avremmo avuto bisogno di arrivare ad un sistema che permettesse una completa e gratuita ricostruzione di carriera, senza ingiustificate perdite di versamenti contributivi e basato sul concetto di uscita flessibile dal lavoro. Quello che noi diciamo è che vi è bisogno che non un solo contributo previdenziale vada perduto e questa è la condizione preliminare per affrontare i problemi di ristrutturazione del sistema previdenziale italiano.
Si doveva intervenire per migliorare la gestione separata per i parasubordinati, gli iscritti con partita IVA, i professionisti senza cassa. Si è scelto invece di imporre ulteriori differenziazioni prive di motivazione, per cui ad uguali situazioni si impongono regole diverse. Pag. 13
Un pensiero a parte va rivolto alle lavoratrici, che sono particolarmente penalizzate, le prime ad essere espulse dal mondo del lavoro nelle fasi di crisi economica; ne abbiamo avuto una prova con i dati dell'ultima crisi: le donne sono quelle che hanno più difficoltà ad entrare nel mondo del lavoro e nello sviluppo di carriera; sono quelle che hanno un ingiustificato differenziale salariale; quelle che perdono il lavoro quando hanno un figlio, magari a seguito della sottoscrizione di una lettera di dimissioni in bianco all'atto dell'assunzione; e quelle che sono caricate della gestione dei problemi delle famiglie. Ecco, per loro, l'unico intervento che questo Governo ha realizzato con il decreto-legge n. 78 del 2010 e con i provvedimenti successivi, l'ultimo intervento è contenuto nell'ultima manovra, è stato quello di aumentare l'età pensionabile.
Signor Presidente, io questa vicenda la descrivo così: si è detto per anni che fosse uno scandalo che le donne italiane fossero «risarcite», con un'età di pensionamento più bassa, di una vita lavorativa piena di danni. Ora alle donne italiane è stato tolto il risarcimento di un'età pensionabile più bassa ed è rimasto tutto il danno.
Arriviamo poi, in modo più specifico al decreto-legge n. 78, che ha abrogato la legge n. 322 del 1958, impedendo il trasferimento gratuito dei contributi provenienti da qualunque fondo all'INPS. In prospettiva, questa strada si rivela particolarmente dannosa per i giovani precari della pubblica amministrazione, della scuola e dell'università che, qualora trovassero un lavoro nel settore privato, si troverebbero in futuro davanti alla scelta della perdita dei contributi versati all'INPDAP o ad una ricongiunzione molto onerosa.
Arriviamo, infine, al punto che si affronta nella mozione: è necessario rilevare l'incertezza del diritto che si è creata anche per quanto riguarda le deroghe relative ai lavoratori in mobilità. Per la prima volta si penalizzano i lavoratori in mobilità lunga inserendoli, con gli altri, nel conteggio dei diecimila beneficiari. Ricordiamo che la mobilità lunga è sempre stata esclusa, persino, dall'applicazione delle finestre di accesso alla pensione; di conseguenza, molte lavoratrici e molti lavoratori rischiano di rimanere per un lungo periodo senza alcun sostegno economico e senza pensione. Il correttivo inserito con la legge di stabilità n. 220 del 2010, che offre la possibilità per i lavoratori in mobilità di continuare a percepire l'indennità di mobilità fino all'effettiva maturazione dei requisiti per la pensione, in realtà non risolve completamente il problema lasciando comunque invariato il tetto dei soli diecimila beneficiari.
Il gruppo del Partito Democratico ha chiesto al Governo di adottare iniziative normative che applichino la disciplina previgente anche ai lavoratori dipendenti con cessazione involontaria del rapporto di lavoro entro il 31 luglio 2010 e a tutti coloro che maturano i quarant'anni di contributi. Abbiamo chiesto all'Esecutivo di intervenire per mantenere le finestre previgenti a favore di lavoratori e lavoratrici che entro il 30 aprile 2010 siano stati autorizzati alla prosecuzione volontaria della contribuzione a fini pensionistici da parte delle gestioni di previdenza obbligatoria cui sono iscritti e abbiano effettivamente effettuato almeno un versamento. Ciò lo abbiamo chiesto anche per i soggetti che si trovano, alla medesima data, in stato di disoccupazione, e poi abbiamo sostenuto l'esigenza di ampliare il tetto delle diecimila domande riferito ai casi di mobilità di cui all'articolo 12, commi 5 e 6 del citato decreto-legge n. 78 del 2010.
La mozione che illustro, a prima firma Damiano e che ho sottoscritto, pone proprio quest'ultimo problema, rilevante in materia previdenziale, fra i molti che sono derivati dall'applicazione del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito il 30 luglio del 2010 con la legge n. 122. Tali problemi sono stati veramente numerosi come ho tentato di dire prima descrivendoli in modo molto generale. In questo caso ci riferiamo agli interventi in materia previdenziale stabiliti dal decreto-legge n. 78, all'articolo 12, con i commi da 1 a 6.
In questi commi, di fatto, si modifica la disciplina relativa ai termini di decorrenza Pag. 14dei trattamenti pensionistici, le cosiddette finestre. Infatti, con i commi 1 e 2 si stabilisce che, a partire dal 1o gennaio 2011, i lavoratori e le lavoratrici che maturino i requisiti anagrafici per il pensionamento sia di vecchiaia, su cui interviene il comma 1, sia di anzianità, su cui interviene il comma 2, compresi i trattamenti liquidati interamente con il sistema contributivo, vedano i tempi di decorrenza allungati di 12 mesi se lavoratori dipendenti o di 18 mesi se lavoratori autonomi.
Nel comma 5 si prevede l'applicazione della normativa previgente, quindi senza lo scivolo dei dodici e dei diciotto mesi della finestra, solo per 10 mila lavoratori e lavoratrici che maturino i requisiti per l'accesso al pensionamento a decorrere dal 1o gennaio 2011 e che appartengano a tre specifiche categorie.
La prima è quella dei lavoratori e delle lavoratrici collocati in mobilità ordinaria su tutto il territorio nazionale sulla base di accordi stipulati entro il 30 aprile 2010 che maturino i requisiti per il pensionamento entro il periodo di fruizione dell'indennità di mobilità, articolo 7, commi 1 e 2 della legge n. 223 del 1991. Questa è la prima categoria di lavoratori e lavoratrici che hanno possibilità di chiedere di rientrare nel contingente dei 10 mila lavoratori e lavoratrici che maturano quindi i requisiti per l'accesso al pensionamento senza la finestra mobile.
Ci sono poi altre due categorie, una è quella dei lavoratori e lavoratrici collocati in mobilità lunga per effetto di accordi collettivi stipulati entro il 30 aprile 2010 e qui le leggi di riferimento sono la n. 176 del 1998 la n. 81 del 2003 e la n. 296 del 2006. In questa categoria poi vanno considerati anche i lavoratori ultracinquantenni di cui all'articolo 1 del decreto-legge n. 68 del 2006, convertito in legge n. 127 del 2006.
L'ultima categoria delle tre è quella dei lavoratori e lavoratrici che al 31 maggio 2010, entrata in vigore del decreto-legge n. 78 del 2010, risultavano titolari di prestazioni straordinarie a carico di fondi di solidarietà di settore, penso per esempio al settore delle assicurazioni.
Il comma 6 poi precisa che il monitoraggio delle domande di pensionamento dei lavoratori che intendono avvalersi della salvaguardia, cioè di rientrare nei 10 mila e di andare quindi in pensione con le norme previgenti al decreto-legge n. 78 del 2010 deve essere effettuato sulla base della data di cessazione del rapporto di lavoro, che è praticamente l'inizio della mobilità. Con la mozione abbiamo chiesto che venga fornito in sede parlamentare l'esito del monitoraggio allo scopo di stabilire il numero preciso di lavoratori aventi diritto al regime di salvaguardia.
È importane avere dati ufficiali perché autorevoli fonti giornalistiche e sindacali - penso a Il Sole 24 Ore e alla CGIL - parlano rispettivamente di 40 mila e 30 mila lavoratrici e lavoratori nelle condizioni salvaguardia, mentre in una interrogazione che abbiamo presentato come Partito Democratico in Commissione lavoro ci è stato risposto che: «(...) comunque, allo stato, secondo quanto comunicato dal Ministero dell'economia e delle finanze, Dipartimento della ragioneria generale dello Stato, i lavoratori in mobilità ordinaria lunga e i lavoratori esodati» strano termine, ma insomma si indicano quelli che possono essere potenziali destinatari delle disposizioni «nell'anno 2011 sono complessivamente 1.200». Questo è un punto importante, signor Presidente: anche per i non addetti ai lavori deve essere chiaro che si sta parlando di lavoratrici e lavoratori che sono stati licenziati e posti in mobilità, quindi finito il periodo di mobilità o vanno in pensione o sono senza lavoro e senza alcun reddito.
Il comma 5-bis inserito dalla legge n. 220 del dicembre 2010 stabilisce che si possa disporre il prolungamento dell'erogazione dell'indennità di mobilità in deroga alla normativa vigente per coloro che, appartenendo alle categorie precedenti, non rientrino nei 10 mila, pur rispettando tutti i requisiti. Il prolungamento però deve essere disposto da un decreto-legge del Ministero del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze. L'inserimento di questo comma, che in ogni caso prospetta Pag. 15una soluzione parziale e insoddisfacente, è successivo anche a pressioni e sollecitazioni dei parlamentari, di opposizione ma anche di maggioranza, e delle forze sociali che più volte hanno sottolineato l'iniquità dell'intervento sulle pensioni senza alcun coinvolgimento preventivo. Ma il punto è che il tempo è passato e solo il 21 ottobre di quest'anno, dopo innumerevoli sollecitazioni, l'INPS ha emanato un messaggio, il n. 20062, appunto del 21 ottobre 2011, in cui ha finalmente definito la lista dei 10 mila derogati, dando indicazioni operative alle sedi territoriali per la verifica degli elenchi.
Nel messaggio si dice che la data di cessazione del rapporto di lavoro utile per poter accedere al beneficio della salvaguardia, individuata con riferimento al lavoratore che si colloca nella posizione numero 10 mila, è il 30 ottobre 2008. Questo significa che, ad oggi, solo chi è stato licenziato entro il 30 ottobre 2008, e rientri tra le categorie sociali citate, con i requisiti richiesti, va in pensione con le vecchie norme. Gli altri, a cui può, ad esempio, essere già finita la mobilità - perché vi sono state le finestre di luglio e di ottobre che si sono aperte - non hanno né l'indennità di mobilità, né la pensione. Per cui, come dice un comunicato della CGIL, la perdurante assenza del decreto rischia di collocare molti lavoratori in un limbo senza reddito, e questo è inaccettabile, sotto ogni profilo.
Spero sia chiaro a tutti che la situazione in cui ci si trova, dopo anni di reddito ridotto (le indennità di mobilità sono relativamente più basse dello stipendio e diminuiscono anno dopo anno), in cui si è dato fondo ai risparmi con la prospettiva di andare in pensione alla scadenza della mobilità, sia una situazione drammatica. La crisi si prolunga ormai da troppo tempo. Noi pensiamo che la mancanza di interventi per stimolare la crescita rischi di portare il Paese ad una sorta di avvitamento recessivo pericolosissimo. Ormai le famiglie, soprattutto quelle dei lavoratori dipendenti, sono stremate, ma non solo queste, penso anche quelle dei lavoratori autonomi. Esse hanno fatto da ammortizzatore sociale per i giovani con contratti precari; hanno assistito gli anziani e le persone con problemi, facendosi carico di servizi sociali sempre più asfittici ed erogati con sempre maggiore difficoltà, e molte sono vissute proprio con un'indennità di mobilità di un componente. È per questo che le improvvide dichiarazioni del Presidente del Consiglio, relative a ristoranti pieni e ad aerei affollati, suonano come offensive per un Paese che, nonostante tutto, resiste, ma che vede le disuguaglianze allargarsi sempre di più.
Signor Presidente, vorrei fosse chiaro il quadro della situazione di cui stiamo parlando. Il primo punto di questo quadro è che i lavoratori per cui è stato sottoscritto un accordo di mobilità entro il 30 aprile 2010, o un accordo di solidarietà entro il 31 maggio 2010 e che sono stati licenziati fino al 30 ottobre 2008, cioè hanno cominciato la mobilità entro il 30 ottobre 2008, sono andati o andranno in pensione con le vecchie regole. I lavoratori licenziati dal 31 ottobre 2008 al 30 aprile 2010 sono nel limbo senza reddito, sino a che i Ministri competenti non si decideranno ad emanare il decreto previsto. Ricordo che sono già passate le finestre di luglio e di ottobre, ed è ormai prossima la finestra di gennaio.
È questa la richiesta fondamentale della mozione che sto illustrando, e spero sia chiara l'urgenza di emanare tale decreto. Vi è poi un'altra serie di elementi. Non è previsto alcun intervento per i lavoratori posti in mobilità con accordi successivi al 30 aprile 2010 - e accordi ve ne sono stati -, perché la crisi, purtroppo, non accenna a finire. Inoltre, i sindacati rilevano problemi interpretativi relativamente al messaggio INPS, i quali potrebbero complicare la vita a molti lavoratori e lavoratrici. Pensiamo sia essenziale, in questa fase, evitare incomprensioni o problemi di contenzioso. È per questo che abbiamo considerato molto opportuna la richiesta di incontro che, unitariamente, CGIL CISL e UIL hanno presentato al Ministero del lavoro per dirimere i diversi problemi. Sollecitiamo anche in questa sede una risposta positiva alla richiesta. Pag. 16Questa vicenda è iniziata malissimo, dal punto di vista del coinvolgimento delle parti sociali: è ora il caso di porvi riparo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Monai, che illustrerà la mozione Paladini ed altri n. 1-00750, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

CARLO MONAI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor sottosegretario, abbiamo presentato questa mozione nella quale sottolineiamo alcune criticità e alcune contraddizioni di termini, che evidenziano una volta di più quella discrasia che troviamo tra provvedimenti normativi adottati dal Governo, da questa maggioranza di centrodestra e la fase attuativa, esecutiva di queste norme, che lasciano sempre dei vuoti, delle lacune e dei pressappochismi inaccettabili.
Lo abbiamo visto anche in occasione dell'innalzamento dell'età pensionabile delle donne impiegate nella pubblica amministrazione. Allora - mi pare fossimo nel 2009 - avevate stabilito che, con i risparmi conseguiti all'innalzamento dell'età pensionabile per le lavoratrici del pubblico impiego (circa 4 miliardi di euro), avremmo costituito un fondo presso la Presidenza del Consiglio dei ministri destinato a favorire la conciliazione dei tempi del lavoro femminile con gli impegni che spesse volte ricadono sulle lavoratrici. Penso agli impegni familiari, all'accudimento dei figli minori o all'assistenza alle persone anziane che spesso gravitano e gravano nella famiglia e sulla famiglia. Ebbene, quei fondi, 4 miliardi di euro - che all'epoca erano stati l'elemento di compensazione sociale rispetto a questo innalzamento dell'età pensionabile - li avete, in due anni, eliminati, mandandoli a coprire altri impegni di bilancio, dimostrando una volta di più che non siete in grado neppure di mantenere gli impegni assunti in base alle leggi che approvate.
In questo contesto, abbiamo un'ulteriore dimostrazione di questa vostra inadeguatezza. Infatti, con il decreto-legge n. 78 del 2010, convertito nella legge n. 122 dello stesso anno, nel modificare la decorrenza dei trattamenti pensionistici, avete previsto che, nei confronti di un contingente di 10 mila lavoratori, si continuasse ad applicare, in materia di termini di decorrenza dei trattamenti pensionistici (le cosiddette finestre), la disciplina previgente a queste innovazioni normative.
Quali erano questi 10 mila lavoratori? Quelli collocati in mobilità ordinaria che, sulla base di accordi sindacali stipulati prima del 30 aprile 2010, maturassero i requisiti per il pensionamento entro il periodo di fruizione dell'indennità di mobilità; quei lavoratori collocati in mobilità lunga finalizzata al pensionamento (sempre sulla base di accordi sindacali stipulati entro il 30 aprile 2010); i lavoratori che al 31 maggio 2010, cioè all'entrata in vigore del decreto-legge n. 78 del 2010, fossero titolari di prestazioni straordinarie a carico dei fondi di solidarietà di settore (come per il settore del credito e delle assicurazioni); infine, i lavoratori che avessero perfezionato entro il 31 dicembre dell'anno scorso i requisiti per il diritto alla pensione.
Ebbene, ad oggi, siamo al 7 novembre, il Governo non ha fatto conoscere il numero di istanze di pensionamento presentate da queste categorie di lavoratori, esentati dalla nuova normativa, al fine di capire se quelle coperture e quelle previsioni fossero rispettate o siano, invece, una volta di più sconfessate dalla realtà. A fine settembre 2011, rispondendo ad una interrogazione in Commissione lavoro, il Governo ci informava che «l'INPS» cito testualmente «sta provvedendo a predisporre la graduatoria dei lavoratori potenziali destinatari della salvaguardia prevista dall'articolo 12, comma quinto, del citato decreto-legge e che comunque, allo stato, secondo quanto comunicato dal Dipartimento Ragioneria generale dello stato del Ministero dell'economia e delle finanze, i lavoratori in mobilità ordinaria e lunga e Pag. 17i lavoratori esodati - potenziali destinatari di queste deroghe - sono complessivamente 1.200».
Ebbene, questi numeri, che ci avete fornito in quell'occasione, ci sono subito sembrati strani, dal momento che altre fonti ufficiose ci indicano che le richieste presentate supererebbero di gran lunga il limite dei 10 mila aventi diritto previsti dalla legge per accedere a questi benefici.
Inoltre, la norma di cui all'articolo 12, comma 5-bis, della legge n. 122 del 2010, prevedeva anche una sorta di salvaguardia per l'eventuale esubero di questo contingente, perché stabiliva che in favore dei lavoratori appartenenti a queste categorie, che non dovessero rientrare nel contingente dei 10 mila beneficiari, potesse essere disposta, in luogo dell'applicazione della disciplina più favorevole previgente in materia di decorrenza dei trattamenti pensionistici, la concessione del prolungamento dell'intervento di sostegno al reddito per il periodo intercorrente tra lo scadere del periodo di fruizione dell'ammortizzatore sociale e la finestra per l'accesso al pensionamento. Quest'ultima misura doveva essere adottata con un decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia delle finanze, e nei limiti delle risorse disponibili del Fondo sociale per l'occupazione e la formazione.
Ebbene, oggi è il 7 novembre e non abbiamo ancora visto questo decreto. Ciò dimostra, una volta di più, l'inerzia del Governo in carica che, evidentemente, ben di altro si occupa - di prescrizioni brevi, di processi lunghi e di quant'altro interessi al Premier -, nonostante la eclatante disfatta di queste politiche di leggi ad personam che è stata decretata dal referendum sul legittimo impedimento. State continuando a fare gli sberleffi al popolo italiano, che vi ha detto che di queste leggi non vuol più sentir parlare e che ha bisogno di altri, ben diversi, provvedimenti.
Allora, vi è bisogno di capire due o tre cose in merito alla nostra mozione. In primo luogo, il Governo deve fornirci il numero delle istanze di pensionamento presentate, per capire se vi sia o meno capienza di quel contingente di 10 mila beneficiari del prepensionamento. Se questo numero fosse effettivamente inferiore alla soglia dei 10 mila, chiediamo che vi sia un impegno, chiaro e netto del Governo di dare esecuzione a questa normativa entro 15 giorni dall'approvazione di questa nostra mozione. Stabiliamo, poi, un secondo impegno per il Governo, ossia che sia concessa la deroga immediatamente, nel caso in cui il numero di istanze di pensionamento presentate fosse quello indicato dal Governo a fine settembre. Se poi il numero di richieste risultasse, come a noi risulta, superiore a 10 mila beneficiari, chiediamo che il Governo, entro 30 giorni adotti il decreto per concedere a costoro il prolungamento dell'intervento di sostegno al reddito per quel periodo, intercorrente tra lo scadere del periodo di fruizione dell'ammortizzatore sociale e la finestra per l'accesso al pensionamento, con impegni chiari e precisi, che non consentono vie di uscita o scappatoie e sui quali chiederemo un voto dell'Assemblea, confidando che una volta di più quest'Aula dia un segnale chiaro e inequivocabile ad un Governo che non fa quello che deve fare rispetto ai suoi impegni costituzionali, che sono quelli di eseguire e non dilazionare le leggi dello Stato e non farsene, come spesso accade, dileggio.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cazzola, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00752. Ne ha facoltà.

GIULIANO CAZZOLA. Signor Presidente, prima di illustrare la mozione di cui sono primo firmatario, che è stata sottoscritta anche dai rappresentanti della Lega Nord e di Popolo e Territorio, vorrei ricordare all'onorevole Monai che questi 4 miliardi, di cui parlava, rispetto ai risparmi derivanti dai trattamenti pensionistici di vecchiaia delle donne delle pubbliche amministrazioni, forse sono un po' tanti o, quanto meno, si tratta di 4 miliardi distribuiti in un certo numero di anni. Non vorrei sbagliarmi, ma ricordo che si parlava di 400 milioni l'anno. Pag. 18
Sarà opportuno, quindi, fare questa precisazione anche perché le cifre hanno un significato importante in una situazione come questa.
Signor Presidente, le cose che chiederemo al Governo sono, più o meno, le stesse anche perché dietro a queste mozioni c'è un lavoro, fatto nell'ambito dell'XI Commissione, che ha portato anche all'approvazione di una risoluzione con il parere favorevole del Governo, oltre che alla presentazione da parte di vari gruppi o deputati di una serie di ordini del giorno che sottolineavano l'importanza dei problemi rimasti aperti con le decisioni prese dal Governo e dal Parlamento su questa vicenda della riforma del regime delle finestre, nel quadro degli interventi fatti in materia di pensioni.
La questione è già stata riassunta molto bene dai colleghi che mi hanno preceduto, gli onorevoli Monai e Gatti: il decreto-legge n. 78 del 2010 ha modificato il regime delle cosiddette finestre, introducendo una finestra anch'essa cosiddetta flessibile e personalizzata, di un anno per i lavoratori dipendenti e di 18 mesi per gli autonomi.
Sarà bene - ai soli fini del resoconto, semmai qualcuno un giorno volesse leggere ciò che diciamo in quest'Aula - spendere qualche parola in materia e fare un pochino di storia su tale argomento, partendo da una risposta che dovremmo dare ad una domanda retorica. Che cosa sono le finestre? Nei fatti, costituiscono un posticipo di un certo periodo di tempo tra la maturazione del diritto alla pensione e la possibilità di esercitare tale diritto. Poiché nella polemica politica sembra che questo marchingegno sia stato inventato dall'attuale Governo, è il caso di chiarire che il regime delle finestre è contestuale alla riforma Dini, limitatamente alle pensioni di anzianità. La riforma Dini si trovò a gestire una serie di pensioni di anzianità, congelate in conseguenza di due blocchi, uno del Governo Amato e l'altro del Governo Berlusconi, rispettivamente nel 1992 e nel 1994, ed organizzò questi esodi, scaglionandoli nel tempo. Poi questa norma è entrata a regime ed è rimasta a regime per scaglionare nel tempo e quindi «rubacchiare» un po' di anzianità di servizio in più per le pensioni di anzianità.
Si tratta quindi di una vicenda che nacque nel 1995, anche se con criteri diversi dagli attuali, nel senso che le finestre si aprivano in alcuni periodi fissi dell'anno in occasione dei quali erano possibili gli esodi in base a certi requisiti anagrafici e di maturazione del diritto. Va ricordato, altresì - lo ricordo anche all'onorevole Gatti - che la legge n. 247 del 2007, il provvedimento con cui il Governo Prodi diede attuazione al Patto sul welfare, un punto a cui il precedente Governo e l'attuale opposizione tengono molto perché si è trattato di un'operazione molto importante, realizzata nella passata legislatura; dimezzò il numero delle finestre per l'anzianità, allungandone quindi il posticipo del godimento e ne introdusse per la prima volta - sottolineo per la prima volta - di nuove anche nel caso della vecchiaia.
Ad onor del vero, dunque, l'allungamento da un anno a 18 mesi voluto dall'attuale Governo oltre al cambiamento dei criteri, a cui facevo riferimento prima, la flessibilità e la personalizzazione, si riduce in pratica a qualche mese in più rispetto alla situazione previgente per dipendenti ed autonomi.
Tuttavia - nel dare corso alle modifiche secondo un criterio di maggiore razionalità, rispondente anche all'esigenza di spostare in avanti il limite del pensionamento senza distinguere più tra diverse tipologie di pensione - l'attuale Governo, si fece carico allora, al momento del varo del decreto e della sua conversione in legge, di salvaguardare situazioni particolari. Richiamo anche qui le puntuali annotazioni svolte dall'onorevole Gatti, come quelle concernenti i lavoratori in mobilità.
L'onorevole Gatti ha ricordato le tre fattispecie che vengono indicate negli articoli, i riferimenti agli accordi stipulati prima del 30 aprile del 2010, il caso dei bancari e degli assicuratori ed il caso dei lavoratori collocati in mobilità lunga.
Ciò, allo scopo di evitare che questi soggetti si trovassero a veder scadere la protezione del reddito senza avere raggiunto Pag. 19ancora il termine per conseguire l'erogazione della pensione. Fu stabilito allora che, per questi ed altri casi, in numero di 10 mila, restassero in vigore le previgenti regole circa l'apertura delle finestre. Il numero dei 10 mila casi, oltre ad essere una previsione quantomeno prudente, corrispondeva, come si usa in questi casi, all'esigenza di avere dei riferimenti precisi per quanto riguarda la copertura finanziaria.
Ricordo che questa tecnica è stata usata in molte leggi, da ultimo in un decreto legislativo cui questa maggioranza e l'opposizione tengono molto, la norma sui lavori usuranti. Anche le norme sui lavori usuranti hanno previsto una quantità di copertura finanziaria all'anno che corrisponde ad un numero di pensioni, superato il quale, quelli che presentano la domanda scivolano all'anno successivo. Quindi, la tecnica di usare dei parametri rigidi, parametrati - scusate il bisticcio - su un certo numero di prestazioni da erogare nel tempo, è usata in qualche modo a prescindere dal colore politico dei Governi, ma per rispondere a precise esigenze di copertura finanziaria. Fu stabilito comunque che l'INPS desse corso ad un monitoraggio per verificare attentamente gli andamenti e, allo scopo di ottenere salvaguardia, venne stabilito per legge - anche questo è stato ricordato dai colleghi - grazie al contributo di diversi ordini del giorno parlamentari, l'eventuale prolungamento dell'intervento a sostegno del reddito fino all'apertura della finestra. Questa salvaguardia è stata affidata allora ad un decreto del Governo, anzi del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, che deve essere varato, come richiedono la nostra mozione e le mozioni che sono state illustrate prima della mia.
Ricordo poi che dell'argomento si è occupata la XI Commissione, votando una risoluzione con il parere favorevole del Governo, la quale invitava il Governo stesso a prestare, nei limiti delle risorse disponibili e nell'ambito dell'intesa Stato-regioni, una specifica attenzione a quanti, collocati in cassa integrazione o mobilità, fossero in attesa dell'effettiva decorrenza del trattamento di pensione. Anche questo è un impegno rispetto al quale la nostra mozione chiede al Governo di rispondere. Quindi, si tratta innanzitutto di far chiarezza sui dati del monitoraggio. Va detto che il monitoraggio è arrivato a compimento di recente, anche per motivi burocratici e di complessità amministrativa. Mi auguro che il Governo superi questo discorso dei 1.200 casi che sono assolutamente inverosimili e dia conto dei risultati cui è pervenuto l'INPS. Credo che, se l'INPS fosse stato in ordine e in grado di fornire dati più precisi, non avrebbe mandato il sottosegretario, onorevole Bellotti, in Commissione a dire che si trattava di 1.200 casi. Quindi, il ritardo nel formulare il decreto del Governo è probabilmente anche conseguenza di un ritardo del monitoraggio di una situazione complessa, con riferimento alla quale bisogna raccogliere tutte le domande di mobilità, costruire una graduatoria e verificare i requisiti. Probabilmente, si può sempre fare meglio, ma credo che ci possano essere giustificazioni di carattere amministrativo per valutare questo ritardo e anche per riconoscere in fondo la difficoltà del Governo nel varare un decreto che interviene dopo i 10 mila casi coperti dalla legge.
Credo però che siamo arrivati al punto di dire: hic Rhodus hic salta. Quindi, mi auguro che il Governo sia assolutamente in condizione di chiarire quali sono i dati del monitoraggio e di dare anche delle cifre molto precise rispetto alle due tipologie di copertura previste dalla legge, quella automatica dei 10 mila casi e quella di un decreto che prolunga l'ammortizzatore sociale fino al raggiungimento dell'età di pensione, ovviamente per coloro che ne hanno i requisiti e per coloro che vengono individuati con i criteri della legge, che sono appunto quelli inclusi negli accordi sindacali sottoscritti prima del 30 aprile.
Quindi, restiamo in fiduciosa attesa della valutazione e delle considerazioni del Governo, sapendo comunque che si tratta di questioni importanti, insieme ad altre che in questa sede sono state ricordate - lo ha fatto l'onorevole Gatti e lo voglio fare anch'io - come la questione della ricongiunzione, Pag. 20su cui questa Camera si è pronunciata con una mozione votata all'unanimità.
Mi auguro, quindi, che il Governo possa sciogliere questi problemi, che riguardano gente in carne ed ossa, gente che ha diritto, in qualche modo, ad una tutela o ad un minimo di tutela, o attraverso gli ammortizzatori sociali o attraverso la pensione. Credo, quindi, che il Governo sarà in grado di adempiere a questi impegni che ha preso, proprio perché in questa legislatura ha dato corso a diverse misure utili all'equilibrio del sistema.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Munerato. Ne ha facoltà.

EMANUELA MUNERATO. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, il presente atto di indirizzo scaturisce dalla preoccupazione, fortemente sentita dalla Lega Nord, per coloro per i quali sta per terminare o è già concluso l'ammortizzatore sociale che percepivano e, pur avendo maturato i requisiti anagrafici o contributivi ai fini del pensionamento, non possono ancora godere del relativo trattamento per via delle cosiddette finestre mobili di accesso.
L'introduzione delle cosiddette finestre mobili di cui all'articolo 12 del decreto-legge n. 78 del 2010, ovvero lo slittamento della decorrenza della pensione di 12 mesi per i lavoratori dipendenti e di 18 mesi per i lavoratori autonomi dalla data di maturazione dei requisiti, ha infatti creato un problema di sostentamento per tutti quei lavoratori collocati in mobilità a seguito di crisi o di ristrutturazione aziendale che, maturando il requisito pensionistico durante tale periodo, rischiano di trovarsi privi di tutela reddituale fino al periodo necessario al conseguimento della decorrenza della pensione.
Riconosciamo al Governo di avere prestato attenzione ai cosiddetti lavoratori svantaggiati in passato. Infatti - ricordiamo - era stato introdotto un sussidio straordinario mensile destinato ai lavoratori beneficiari dell'indennità di mobilità ordinaria per i quali la finestra utile al pensionamento si apriva oltre il termine dell'indennità stessa.
Tutto ciò per ovviare alle problematiche derivanti dall'entrata in vigore della legge n. 247 del 2007, che aveva esteso le finestre anche per l'accesso alla pensione di vecchiaia. Con l'adozione del decreto-legge n. 78 del 2010 il Governo ha avuto attenzione ai lavoratori collocati in mobilità ordinaria, mobilità lunga e titolari di prestazioni straordinarie a carico dei fondi di solidarietà di settore, facendoli salvi dall'applicazione delle finestre mobili, pur tuttavia nel limite dei 10 mila soggetti beneficiari.
Il Governo era ben consapevole che la platea dei soggetti interessati rischiava di andare oltre le 10 mila unità, tant'è che si era già impegnato, con l'accoglimento di taluni ordini del giorno in sede di approvazione della legge di conversione del citato decreto-legge n. 78 del 2010 e, soprattutto, con il parere favorevole sulla risoluzione approvata dalla Commissione lavoro il 19 gennaio, ad avviare, d'accordo con le regioni, specifici accordi sul territorio che garantissero un'appagante copertura sociale a tutti i lavoratori, eliminando sperequazioni tra gli aventi diritto.
Con questo atto chiediamo di conoscere l'esito del monitoraggio effettuato dall'INPS per stabilire se e di quanto i soggetti interessati sforino il tetto delle 10 mila unità e chiediamo alla maggioranza governativa di tenere viva l'attenzione su tale questione, affinché i lavoratori in difficoltà non pensino che la Lega Nord si sia dimenticata di loro (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Mottola. Ne ha facoltà.

GIOVANNI CARLO FRANCESCO MOTTOLA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la mozione che ci apprestiamo ad esaminare, che è stata ampiamente spiegata da tutti i colleghi, pone l'accento su un problema importante della vita economica del nostro Paese che ha toccato numerosi lavoratori.
Con il decreto-legge n. 78 del 31 maggio 2010 il Governo ha infatti introdotto Pag. 21una serie di modifiche in materia previdenziale anche per quel che riguarda le cosiddette finestre.
A fronte di tali modifiche e a condizione che i lavoratori maturino i requisiti per l'accesso al pensionamento a decorrere dal termine del 1o gennaio 2011, di cui al comma 6 dell'articolo 12, e, comunque, nei limiti di 10 mila soggetti beneficiari, si è convenuta, in deroga, l'applicazione della normativa previgente a favore: dei lavoratori collocati in mobilità ai sensi degli articoli 4 e 24 della legge n. 223 del 1991, sulla base di accordi sindacali stipulati anteriormente al 30 aprile 2010, che maturino i requisiti per il pensionamento entro il periodo di fruizione dell'indennità di mobilità, come previsto dall'articolo 7, comma 2, della citata legge n. 223 del 1991; dei lavoratori collocati in mobilità lunga ai sensi dell'articolo 7, commi 6 e 7, della stessa legge n. 223 del 1991, per effetto di accordi collettivi stipulati entro il 30 aprile 2010; dei lavoratori che, all'entrata in vigore del provvedimento in esame, siano titolari di prestazione straordinaria a carico dei fondi di solidarietà di settore di cui all'articolo 2, comma 28, della legge n. 662 del 1996.
Il comma 6 dell'articolo 12 del decreto-legge n. 78 del 31 maggio 2010 prevede un monitoraggio da parte dell'INPS, sulla base della data di cessazione del rapporto di lavoro, delle domande di pensionamento presentate ai sensi del precedente comma 5 che intendano avvalersi, a decorrere dal gennaio 2011, del regime previgente delle decorrenze. Raggiunto il limite, l'INPS non può più prendere in carico l'esame di ulteriori domande.
Già in occasione della conversione del decreto-legge n. 78 del 2010 il Governo aveva accolto alcuni ordini del giorno presentati da diversi deputati di vari gruppi, con i quali si impegnava lo stesso Governo a valutare la possibilità di derogare al limite massimo di 10 mila unità. Il Governo aveva, comunque, già previsto una norma di salvaguardia a favore dei lavoratori appartenenti alle categorie di cui al citato comma 5 dell'articolo 12 che non dovessero rientrare nel contingente stabilito, attraverso misure di sostegno quali il prolungamento della fruizione dell'ammortizzatore sociale fino all'accesso al pensionamento stesso.
La Commissione lavoro, già nel gennaio 2011, aveva approvato una risoluzione nella quale impegnava il Governo a comprendere, nei limiti delle risorse disponibili, nell'ambito dell'intesa Stato-regioni sugli ammortizzatori sociali in deroga, una specifica attenzione a coloro che, collocati in cassa integrazione o in mobilità, avessero maturato l'età di pensione e fossero in attesa dell'effettiva decorrenza del trattamento pensionistico.
Sempre in Commissione lavoro il Governo, lo scorso 20 settembre, a fronte dell'interrogazione a risposta immediata n. 5-05343, nella persona del sottosegretario Bellotti ha dichiarato che l'INPS sta provvedendo a predisporre la graduatoria dei lavoratori potenziali destinatari della salvaguardia prevista dall'articolo 12, comma 5, del citato decreto-legge e che comunque, allo stato, secondo quanto comunicato dal Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato del Ministero dell'economia e delle finanze, i lavoratori in mobilità ordinaria o lunga e i lavoratori esodati, potenziali destinatari delle disposizioni richiamate nell'anno 2011, sono complessivamente 1.200, cifra che, come sottolineava il collega Cazzola, non pare molto credibile.
Cari colleghi, signor sottosegretario, appare quindi opportuno, utile ed urgente che il Governo riferisca il prima possibile in Parlamento l'esito del monitoraggio di cui al comma 6 dell'articolo 12 del decreto-legge n. 78 del 2010, al fine di potere assumere, di conseguenza, i provvedimenti necessari per fare fronte agli impegni assunti anche insieme alle regioni, nei limiti delle loro competenze, nell'ambito dell'intesa Stato-regioni sugli ammortizzatori sociali in deroga, per assicurare a tutti i lavoratori che hanno maturato i requisiti per l'accesso al pensionamento durante l'iscrizione anche alle liste di mobilità il prolungamento dell'intervento di sostegno al reddito per il periodo intercorrente tra lo scadere del periodo di fruizione dell'ammortizzatore Pag. 22sociale e la finestra per l'accesso al pensionamento, sul modello del sussidio straordinario previsto da INPS e Ministero del lavoro e delle politiche sociali per gli anni 2008 e 2009.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

ROBERTO GIACHETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, intervengo sull'ordine dei lavori e per un richiamo al Regolamento.
Lei, signor Presidente, mi perdonerà se sottolineo che questa formula, in base alla quale il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito, comporta che, ogni volta che vi è la discussione sulle linee generali delle mozioni, il Governo non replica in Aula quando, come in questo caso, vi sono pochi parlamentari, ma poi interviene per trenta, quaranta minuti per esprimere le proprie valutazioni in sede di dichiarazione di parere sulle mozioni, che è cosa diversa.
Quindi io la pregherei di considerare la questione. Ovviamente il Governo è assolutamente libero di non intervenire nell'ambito della discussione sulle linee generali, in risposta agli interventi nella discussione sulle linee generali. Deve però essere chiaro che, quando ci troveremo ad affrontare il seguito della discussione delle mozioni, il Governo - purtroppo quello che non ci ha voluto dire se lo terrà per sé - ci fornirà il suo parere motivato. Sarà però un parere sulle mozioni, senza riaprire un dibattito; diversamente, si riapre un dibattito. È, purtroppo, una procedura che sta ormai prendendo piede. Ovviamente questo non dipende dalla Presidenza della Camera, ma dipende dal Governo, che - ripeto - è liberissimo di non parlare, quando deve parlare e nella sede in cui deve parlare, ma non può intervenire quando vuole.

Sull'ordine dei lavori (ore 17,52).

GIULIANO CAZZOLA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIULIANO CAZZOLA. Signor Presidente, vorrei ricordare che oggi è il 7 novembre, la ricorrenza della rivoluzione di ottobre del 1917. Infatti, l'allora Russia zarista non aveva realizzato la riforma del calendario e, quindi, erano indietro di alcune settimane.
Lo dico senza nessun intento di polemica. Tuttavia, un evento così importante, che ha caratterizzato il secolo scorso e che, fino a pochi decenni or sono, dava luogo a manifestazioni nella Piazza Rossa, oggi non viene ricordato da nessuno. Vede come cambia la vita e come passa la gloria del mondo?

PRESIDENTE. Onorevole Cazzola, intanto lei lo ha ricordato. Diciamo che va bene così.

Discussione della mozione Reguzzoni ed altri n. 1-00747 concernente iniziative per garantire la piena attuazione della legge n. 55 del 2010 e per promuovere una specifica normativa europea in materia di marchio di origine (ore 17,55).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Reguzzoni ed altri n. 1-00747 concernente iniziative per garantire la piena attuazione della legge n. 55 del 2010 e per promuovere una specifica normativa europea in materia di marchio di origine (Vedi l'allegato A - Mozioni). Pag. 23
Ricordo che lo schema recante la ripartizione dei tempi per la discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
Avverto che sono state altresì presentate le mozioni Cimadoro ed altri n. 1-00753, Lulli ed altri n. 1-00754, Commercio ed altri n. 1-00756, Anna Teresa Formisano, Raisi, Pisicchio ed altri n. 1-00757 (Vedi l'allegato A - Mozioni) che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente. I relativi testi sono in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritto a parlare l'onorevole Torazzi, che illustrerà anche la mozione Reguzzoni ed altri n. 1-00747, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

ALBERTO TORAZZI. Signor Presidente, la globalizzazione ha portato uno stravolgimento delle regole economiche, in particolare nel nostro continente, e si è trasformata in autentica aggressione dell'economia del nostro Paese, che è un Paese manifatturiero.
Voi sapete che su promozione della Lega, il Parlamento italiano ha introdotto la legge n. 55 del 2010, che cerca di mettere riparo ad una delle varie ferite inflitte alle regole di questo continente, cioè quella della marcatura delle merce e dei prodotti. La legge n. 55 prevede che una serie estesa di prodotti importati nell'Unione europea siano marcati in base alla loro provenienza (sia per difendere le nostre produzioni dalla contraffazione, sia per difendere i diritti dei consumatori e la trasparenza); inoltre, prevede che soltanto le merci che hanno eseguito almeno il 50 per cento ovvero - come nel caso del settore tessile - due fasi delle lavorazioni su quattro in Italia, possono fregiarsi del marchio made in Italy.
Questa iniziativa era stata criticata, perché sarebbe una competenza dell'Unione europea. Il problema è che l'Unione europea per lungo tempo non aveva reagito ai solleciti di tanti comparti industriali, non solo italiani. Per la prima volta il Parlamento italiano con questa legge si è reso protagonista di smuovere l'iniziativa politica dell'Unione europea. Tanto è vero che, in seguito all'introduzione di questa legge, il Parlamento europeo ha dovuto a sua volta legiferare. Ha legiferato una formula che non ci soddisfa completamente, ma che viene per molti versi incontro ai criteri della legge n. 55, che è stata approvata dal Parlamento europeo e che adesso deve essere solo approvata dal Consiglio.
Tutto ciò ha richiesto tantissimo tempo e intanto le nostre aziende sono esposte alla crisi di competitività che fondamentalmente non è determinata da un deficit dei nostri imprenditori o dei nostri lavoratori ma è fondamentalmente dovuta in particolare all'introduzione dell'euro che tiene un cambio fisso elevato e non corrispondente al mercato. Basti pensare che l'economia della Cina valeva come l'economia italiana nel 2001 prima che l'Italia entrasse nell'euro. Il cambio dello yuan (o renminbi), la valuta cinese, è fissa con il dollaro e il dollaro allora valeva un euro. Dopo dieci anni l'economia della Cina vale sette volte l'economia italiana e invece di essersi apprezzato lo yuan (o renminbi) ha avuto una svalutazione del 37 per cento, perché nel frattempo l'euro si è apprezzato rispetto al dollaro. Giusto per informazione, recentemente il Congresso americano ha votato una durissima legge, che deve subire ancora un passaggio ma è molto prevedibile che entri in vigore, che prevede dei dazi compensativi per questa svalutazione scorretta delle merci cinesi grazie al cambio forzoso.
Ora, che l'Unione europea e tutte le lobby del commercio si opponessero - e purtroppo anche tanti ambienti di Confindustria - all'introduzione della legge 8 aprile 2010, n. 55, ce lo aspettavamo e se lo aspettava anche questo Parlamento e la X Commissione (Attività produttive) che Pag. 24all'unanimità hanno approvato la legge n. 55. Ma quello che noi chiediamo con questa mozione - ed è veramente sorprendente sia necessario chiederlo all'interno del Parlamento - è che le dogane italiane rimuovano la circolare con cui hanno detto che non terranno conto della legge n. 55.
L'Italia è famosa nel mondo per le violazioni e i ritardi sull'applicazione delle regole comunitarie, ma noi assistiamo oggi a un incredibile spettacolo delle dogane italiane che, a fronte di una legge entrata in vigore il 1o ottobre 2010, addirittura con otto giorni di anticipo, il 22 settembre 2010, distribuiscono una circolare in cui dicono che non terranno conto delle legge n. 55, la quale, occorre fare attenzione, non è in contrasto con nessuna regola europea, perché si sostituisce ad un vuoto di regole europee.
Allora la domanda che io pongo - ma credo che tutto il Parlamento vorrà porla al Governo - è la seguente: ma com'è possibile che le nostre dogane si prestino ad un'operazione del genere? Come è possibile che in un Paese che ha sicuramente un'inerzia nell'introduzione delle regole qualcuno si muova addirittura in anticipo in un senso che danneggia le nostre imprese, i nostri lavoratori e i nostri consumatori? Siamo tutti a conoscenza di quanti casi di violazione delle regole sui materiali nocivi siano presenti nella merci, per esempio in quelle cinesi. Si parla di Cina perché nella sua enormità rappresenta la grande parte della globalizzazione, ma non è l'unico Paese. Sapete anche che molti scandali hanno toccato addirittura alimenti, vestiti e giocattoli per bambini.
Allora noi chiediamo con questa mozione, che crediamo sarà condivisa da tutte le forze del Parlamento - così come hanno condiviso in X Commissione (Attività produttive) e in quest'Aula la legge 8 aprile 2010, n. 55 -, che il Governo intervenga affinché immediatamente le nostre dogane rimuovano questa circolare ed applichino da subito quanto previsto dalla legge n. 55. Nel frattempo, ovviamente, chiediamo anche che il Governo intervenga in Europa affinché l'estensione agli altri comparti merceologici che abbiamo chiesto e segnalato e l'adozione del testo già approvato in Europa venga al più presto licenziato anche dal Consiglio europeo, in modo tale che diventi operativo per tutto il continente. È un contributo alla civiltà e alla vera Europa, quella che guarda agli interessi della nostra gente e dei nostri popoli e non a quelli delle lobby finanziarie. Speriamo che il Governo e prima ancora tutto il Parlamento vogliano condividere il senso di questa mozione.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Monai, che illustrerà anche la mozione Cimadoro ed altri n. 1-00753, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

CARLO MONAI. Signor Presidente, per la verità mi lascia un po' perplesso la notazione del collega Torazzi che mi ha preceduto e che, anziché prendere atto che effettivamente l'importante provvedimento che consiste nella legge 8 aprile 2010, n. 55, mancando dei decreti attuativi ed esponendo il nostro Paese a una possibile contestazione di infrazione comunitaria - atteso il parere espresso dalla Commissione europea a cui questo provvedimento di legge è stato notificato - invochi la sua immediata attuazione quando lo stesso Presidente del Consiglio dei ministri ha recepito questa indicazione dell'Agenzia delle dogane annunciando erga omnes la sostanziale inapplicabilità di una legge che è rimasta ancora oggi un mero slogan.
Uno di quegli slogan che spesse volte il centrodestra ci ha propinato e ha propinato agli italiani, non ultimo quello sulla riforma dell'articolo 41 della Costituzione. Un articolo che vorreste innovare facendo credere che questa sia la panacea dei mali economici italiani quando è risaputo - lo sanno anche i bambini o gli studenti del primo anno di giurisprudenza - che l'articolo 41 della Costituzione è una norma misurata, equilibrata, che enuncia il principio di libertà dell'iniziativa economica privata, e che ha consentito al nostro Paese di risorgere dai drammi e dalle tragedie postbelliche con uno sviluppo per Pag. 25tanti anni arrembante. Penso al boom economico degli anni Sessanta. A tal proposito nessun esponente della Confindustria o dei sindacati ha mai chiesto che si vada a toccare la Costituzione su quello che è l'impianto dell'articolo 41.
Ebbene, anche qui, in questa legge, che è stata ribattezzata legge Reguzzoni - ancorché tra i suoi ispiratori debbano essere iscritti anche altri colleghi, tra cui il collega Versace, piuttosto che Calearo Ciman, ma anche la stessa Unione di Centro aveva preparato un provvedimento di legge analogo, e noi stessi abbiamo dato un contributo -, le misure previste sono rimaste niente meno e niente di più che degli slogan. Lo avevamo anche annunciato, avevamo avvisato la maggioranza che era centrale per l'economia del nostro Paese e per l'esigenza di tutela del consumatore rendere obbligatoria l'indicazione sull'etichettatura di prodotti importanti, come quelli del settore calzaturiero piuttosto che tessile, la denominazione di origine di questi prodotti e della pelletteria in genere.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ANTONIO LEONE (ore 18).

CARLO MONAI. Avevamo stabilito anche norme volte a consentire ai commercianti e ai distributori di questi prodotti di apporre la certificazione del made in Italy quando ci fosse stata una prevalente componente italiana nella creazione del prodotto. Però, avevamo annunciato delle criticità che si inseriscono in quell'orizzonte europeo del quale siamo, o meglio eravamo componente essenziale e determinante. Abbiamo perso un po' di ruolo a causa delle vicende di questo Governo, ma certo è che il Trattato di Roma ci ha visti protagonisti, il Trattato di Maastricht anche. Abbiamo con Prodi salutato l'inizio dell'euro, di una moneta unica a cui siamo arrivati con sforzi collettivi importanti. Il Parlamento europeo il 21 ottobre dell'anno scorso, a larghissima maggioranza, ha approvato il testo di una proposta di regolamento comunitario (cosiddetto regolamento sul made in) che prevede l'indicazione del Paese di origine su taluni prodotti importati da Paesi terzi, e che intende istituire l'obbligo di indicare l'origine per numerose categorie di prodotti destinati al consumo quando siano importati da Paesi estranei all'Unione europea.
È vero che questo testo di regolamento deve ancora passare al vaglio del Consiglio, ma certo è che si tratta di un importante tassello della politica economica europea finalizzato a tutelare il mercato interno, la trasparenza dei commerci, la chiarezza delle indicazioni a vantaggio dei consumatori.
Il nostro Paese, che, nel mondo, è tra quelli più soggetti alla contraffazione, a causa dello stile italiano che contraddistingue la nostra produzione di qualità, dalla moda all'occhialeria, dall'oreficeria al tessile ed all'industria calzaturiera, è tra i più coinvolti ed interessati affinché queste normative vengano alla luce e rafforzino la tutela dell'originalità del prodotto italiano a scapito di quella frode commerciale che vede, nella contraffazione dei nostri prodotti, un'economia sommersa parallela che si insinua nelle pieghe della nostra economia con una forte valenza venefica, visto che si tratta di un sommerso nel quale vi è concorrenza sleale, lavoro nero, evasione fiscale che, quindi, va certamente combattuto e contrastato.
La legge n. 55 del 2010, che recava disposizioni concernenti la commercializzazione dei prodotti tessili, della pelletteria e dei prodotti calzaturieri, ha, però, in sé, degli elementi di criticità, delle zavorre dalle quali non si è ancora liberata, anche a causa di un'eccessiva esuberanza del centrodestra che ha ritenuto di sottovalutare quelle indicazioni europee a cui facevo riferimento, sfidando l'Europa nel momento dell'emanazione di questo provvedimento per il quale era prevista la notifica alla Commissione europea.
Inoltre, vi è la zavorra di un Governo che non fa quello che è chiamato a fare per legge. I decreti attuativi, che sono previsti dall'articolo 2, e che avrebbero dovuto disciplinare le caratteristiche del sistema di etichettatura obbligatoria e di impiego delle indicazioni made in Italy, Pag. 26nonché le modalità di esecuzione dei relativi controlli, sono tutti da venire e, come è stato ricordato, hanno portato, sia l'Agenzia delle dogane, il 22 settembre del 2010, sia il Consiglio dei ministri, con una nota del 30 settembre 2010, ad annunciare a tutti che questa legge possiamo mantenerla come una sorta di auspicio, niente di più e niente di meno di un auspicio, visto che non può essere applicata e che è un ulteriore elemento di disorientamento e di nebulosità del nostro diritto che dovrebbe essere informato ai criteri di certezza e di chiarezza delle leggi e degli obblighi che ne derivano.
Noi ci troviamo di fronte alle eccezioni che la Commissione europea, a mezzo della Direzione generale delle imprese e dell'industria, ha sollevato; una è di carattere procedurale e l'altra di carattere sostanziale. Quella di carattere sostanziale poteva essere tranquillamente evitata se è vero che non ha senso parlare del criterio di prevalenza delle fasi della lavorazione del prodotto sul territorio nazionale, quando, invece, l'Unione europea adotta un altro criterio che è quello che, se la lavorazione è stata realizzata nel concorso di due o più Paesi, vale quello dell'ultima trasformazione sostanziale. Qui si è inserito, quindi, un presupposto diverso, astruso, anche perché è difficile poi stabilire quali siano le due lavorazioni prevalenti in un settore merceologico di questa complessità e di questa articolazione. Ma certo è che avete voluto forzare la mano e cambiare i presupposti di applicazione del concetto di nazionalità del prodotto.
Il secondo è più specifico e riguarda le criticità del mercato comune europeo e del mercato unico, dove il pilastro è la libera concorrenza tra le imprese che hanno stabilimento all'interno dell'Unione europea, visto che stabilire un sistema di marcatura e di etichettatura nazionale confligge con il criterio degli obiettivi di mercato interno, che non vogliono rendere difficile la vendita in uno Stato membro di una merce prodotta in un altro Stato dell'Unione europea.
Infine, come dicevo, questa mancata emanazione della decretazione attuativa dimostra una volta di più l'inadeguatezza di questo Governo. Allora qui da una parte va registrata la risoluzione che la Commissione permanente attività produttive il 16 novembre dell'anno scorso ha approvato, chiedendo al Governo di impegnarsi in sede europea affinché venisse adottato quanto prima quel regolamento sull'indicazione del Paese di origine di prodotti importati da Paesi extracomunitari e l'appello a proseguire quell'iter istruttorio finalizzato alla completa adozione della decretazione interministeriale attuativa della legge n. 55 del 2010.
Anche qui come Governo siete inadempienti, nonostante l'entrata in vigore di una legge che vi obbligava ad attivarvi in questo senso e nonostante il sollecito, quella sorta di appello, di moral suasion che vi è stato fatto dalla Commissione permanente attività produttive ancora un anno fa. Siamo di fronte a questo inadempimento, a questa inerzia, a questa sordità, che denota come Berlusconi si sia disinteressato del sistema economico nazionale, forse più interessato a sostenere le sue imprese.
Un'ultima perla l'abbiamo sentita qualche settimana fa: si è reso egli stesso, con interposta società, concessionario di quei giochi d'azzardo che avrebbe dovuto istituire anche in Internet pur di fare cassa a spese delle famiglie italiane, che non vengono invitate a programmare un futuro per i propri figli, ma vengono stuzzicate a dilapidare i loro risparmi nel gioco d'azzardo di Stato.
Allora tutto questo noi lo vogliamo denunciare e con la mozione in esame chiediamo che - a differenza di quanto state facendo con la proposta di legge di previsione di bilancio dello Stato per il 2012 e per il triennio 2012-2014, piuttosto che con la legge di stabilità 2012, provvedimenti che sono all'esame del Senato ma che voi avete impostato in modo tale da depauperare i fondi destinati proprio al contrasto alla contraffazione, piuttosto che a favore della competitività e lo sviluppo delle imprese - vi sia un cambio di rotta, Pag. 27vogliamo un'inversione a «u» della vostra azione politica e con la mozione in esame vi chiediamo una volta di più di essere concreti, di abbandonare queste sterili politiche tese all'acquisto di parlamentari piuttosto che all'acquisto di una competitività del Paese e di attivarvi in ambito comunitario, affinché quel regolamento sul made in venga prontamente adottato dal Consiglio, per incrementare quelle risorse finanziarie che avete tagliato e volete tagliare, al fine di combattere la contraffazione e di aumentare la competitività e lo sviluppo delle nostre piccole e medie imprese.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Marchioni, che illustrerà la mozione Lulli ed altri n. 1-00754, di cui è cofirmataria. Ne ha facoltà.

ELISA MARCHIONI. Signor Presidente, oggi con la mozione in esame torniamo in aula a parlare di made in Italy e di tutela delle nostre aziende, un tema che ci sta a cuore e che abbiamo dibattuto tante volte in Commissione X e sul quale ci siamo soffermati già in altre circostanze, anche con riferimento al tema della contraffazione, che abbiamo trattato a lungo anche con una mozione specifica, sulla quale si è trovato l'accordo del Parlamento sull'esigenza di tutelare le aziende. La contraffazione si stima abbia un giro d'affari di circa 10 miliardi di euro. Dico solo due cifre per collocare un po' questo tema così importante, ma anche così gravoso e così oneroso. La contraffazione quindi pesa per 10 miliardi di euro sulla nostra economia.
Un'economia già provata, già in difficoltà, con aziende che, nonostante questo momento di grave difficoltà, costituiscono una delle colonne portanti dell'economia del nostro Paese. Le aziende manifatturiere, le aziende della produzione, costituiscono un valore aggiunto complessivo di circa 630 miliardi di euro e danno occupazione a circa 17 milioni di addetti di cui 11,4 milioni di dipendenti.
Noi, di questo patrimonio, abbiamo la necessità e il dovere di occuparci; il Parlamento italiano ha varato una legge di tutela proprio per le imprese, e insieme a loro anche per tutti i consumatori che sono l'altro polo che ci interessa davvero tutelare e proteggere e a cui è necessario garantire che il prodotto che acquistano e che utilizzano risponda effettivamente alle caratteristiche promesse nelle etichette, che si tratti di un prodotto sicuro e che abbia superato i controlli di qualità che ne garantiscono l'utilizzo.
La necessità, quindi, di tutelare le imprese e i consumatori aveva spinto questo Parlamento e il nostro gruppo a votare a favore della legge 8 aprile 2010, n. 55, di cui abbiamo già sentito parlare alcuni colleghi, che riguardava la commercializzazione di prodotti tessili, della pelletteria e calzaturieri, con lo scopo di assicurare, con una etichetta sicura, la provenienza e la garanzia di dove questi prodotti fossero stati lavorati. Tutto ciò con l'obiettivo di tutelare le aziende del made in Italy e i consumatori che possono altrimenti essere indotti a comperare merci che si propongono con un brand italiano e invece non sono prodotti in Italia se non in minima parte.
Quando abbiamo votato questa legge, eravamo consapevoli che essa presentava delle criticità soprattutto nei confronti dell'Unione europea e che quindi poteva in qualche modo contribuire ad essere uno stimolo per aprire un dibattito con la stessa. Esattamente per questo abbiamo votato a favore perché, mentre il mercato dell'Unione europea ha fatto prevalere nelle posizioni soprattutto l'ancoraggio al principio per cui alla libera circolazione delle merci non devono essere frapposti ostacoli, tuttavia, altro elemento importante e costitutivo dell'Unione europea è anche la pienezza dell'informazione al consumatore finale. È su questo punto che noi, votando a favore della legge n. 55, abbiamo auspicato si potesse aprire una trattativa con l'Unione europea rendendo un valore sempre più centrale la consapevolezza del consumatore che ha necessità di un'informazione corretta.
Tale legge però è rimasta inapplicata e si è arenata sulla concertazione con Pag. 28l'Unione europea perché mancano i decreti attuativi. Il primo obiettivo, quindi, di questa mozione che oggi sto illustrando, presentata dal Partito Democratico, è proprio quello di chiedere al Governo di attivarsi immediatamente per assumere le iniziative necessarie affinché la procedura di informazione comunitaria ai sensi della direttiva 98/34/CE riguardante la legge 8 aprile 2010, n. 55, si concluda positivamente e poi ad emanare immediatamente i decreti ministeriali previsti dall'articolo 2 della legge n. 55 e dall'articolo 2 del decreto-legge 25 marzo 2010, n. 40, convertito nella legge n. 73 del 2010.
Anche qui vi è un aspetto importante perché con un comma veniva istituito un fondo presso il Ministero dell'economia e delle finanze con una dotazione di 5 milioni di euro per l'anno 2010 destinato a misure di sostegno e incentivazione delle imprese e dei distretti dei settori tessili e dell'abbigliamento che avessero applicato il sistema di etichettatura dei prodotti previsto dalla legge n. 55. Anche questo comma, il 4-quinquies, doveva essere attuato con un decreto del Ministero dello sviluppo economico di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, ma ad oltre un anno e mezzo di distanza questi decreti non sono stati emanati. Soprattutto per effetto di questa stasi, per questo stop dell'Unione europea e per la mancanza dei decreti attuativi, la legge non sta funzionando; è più questo, io credo, rispetto a quanto sostenuto dal collega della Lega Nord Padania, che non piuttosto la volontà di non applicarla da parte, ad esempio, dell'Agenzia delle Dogane.
C'è un secondo punto, tuttavia, che noi poniamo con la nostra mozione: un punto importante che riguarda l'ACTA, e cioè l'Anti-Counterfeiting trade agreement, che è un accordo contro la contraffazione a livello mondiale in via di concertazione e che presenta alcuni nodi di criticità dei quali vado brevemente a trattare.
Il 2 dicembre 2010 è stato approvato un testo definitivo di questo Accordo, dopo tre anni, dopo dieci round negoziali e dopo molte polemiche legate principalmente alla mancanza di trasparenza delle trattative, per cui non era mai stato diffuso alcun testo su quanto si stava discutendo. Il testo è stato discusso dai rappresentanti dell'Unione europea, dell'Australia, del Canada, del Giappone, della Corea, del Marocco, della Nuova Zelanda, di Singapore, della Svizzera e degli Stati Uniti, nella assoluta assenza però dei Paesi dai quali soprattutto si generano flussi di merce contraffatta, come ad esempio la Cina. Una mancanza di trasparenza segnalata anche dal fatto che nel mese di marzo del 2010 il Parlamento europeo ha dovuto ufficialmente e formalmente chiedere una maggiore trasparenza sulle trattative ottenendo parere favorevole, con 633 voti favorevoli e solamente 13 contrari. Tuttavia non è solo un problema di metodo sulla concertazione di ACTA, ma anche di contenuto, infatti all'interno di ACTA ci sono alcuni punti critici per l'Italia soprattutto risulta marginale la tutela dell'indicazione geografica dei prodotti e la difesa di questo punto attivata dal Parlamento europeo risulta, a nostro parere, troppo tiepida.
Il Parlamento europeo infatti si è espresso nella risoluzione del 24 novembre del 2010, quando ha votato una proposta presentata dal gruppo PPE ed ECR approvata con 331 voti a favore e 294 contrari nei quali si definisce l'ACTA un passo nella giusta direzione - e sicuramente concordiamo anche noi che sia necessario un passo a livello sovranazionale e sovraeuropeo contro la contraffazione - limitandosi però a sottolineare l'importanza della protezione delle indicazioni geografiche per le imprese europee e per l'occupazione dell'Unione europea.
In qualche modo noi pensiamo che questo aspetto possa essere invece sottolineato con maggiore efficacia. Il Parlamento europeo ha infatti rigettato un'altra risoluzione comune, più critica, proposta dai Socialisti, dai Verdi, dalla Sinistra e dai Liberali, che metteva in luce che la Commissione europea ha ripetutamente affermato l'importanza di far rispettare la protezione delle indicazioni geografiche. In questo senso ha posto una maggiore Pag. 29attenzione e sottolineatura di come, all'interno di ACTA, questo tema possa essere posto con maggiore efficacia a tutela proprio dei prodotti nazionali.
In questa risoluzione, che non è stata approvata, non accolta, i parlamentari europei che l'avevano sottoscritta consideravano anche la posizione della Commissione, che affermava di avere garantito considerevoli progressi in relazione alla protezione delle indicazioni di origine geografiche e chiedevano che il comitato ACTA operasse con maggiori aperture, che fosse più inclusivo e trasparente, e incaricava la Commissione europea di presentare in tempo utile anche le raccomandazioni concernenti proprio la governance del comitato ACTA.
ACTA è stato intanto ratificato il 1o ottobre del 2011, quando si è tenuta a Tokio una cerimonia durante la quale un primo gruppo di otto paesi - Australia, Giappone, Canada, Corea del sud, Marocco, Nuova Zelanda, Singapore e Stati Uniti - ha ratificato l'Accordo. L'Unione europea e altri paesi come il Messico e la Svizzera non hanno ancora ratificato l'accordo in attesa della conclusione delle rispettive procedure interne di approvazione.
Siamo quindi ancora in tempo a concordare che all'interno di questo atto sia prevista una maggiore tutela per i prodotti IG, che a noi interessa di più. Nella procedura europea infatti il Consiglio è ancora nella fase di valutazione nel testo e non sono ancora state coinvolte la Commissione e il Parlamento europeo, che comunque secondo tale procedura non potrà proporre emendamenti al testo dell'Accordo. Allora, è molto importante che anche se risulta che il Governo italiano abbia manifestato perplessità su questo Accordo, il Governo si attivi immediatamente proprio perché venga richiesta una modifica del testo per segnalare che non siamo d'accordo su questa scarsa tutela delle IG italiane e perché invece sia data approvazione alla proposta di Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sull'indicazione del Paese di origine di taluni prodotti importati da paesi terzi. Quindi che il tutto il tema delle etichettature e del made in - a noi interessa il made in Italy, ma ciascuno dei Paesi vuole ovviamente difendere la tipicità dei propri prodotti - venga di nuovo affrontato in modo più forte e in modo più consapevole da tutta l'Unione europea. Quindi, questo è il secondo punto che intendiamo sottolineare con questa mozione. È importante perché la Commissione e il Parlamento europeo saranno chiamati a concludere la procedura di adesione all'Accordo nei primi mesi del 2012, quindi non abbiamo moltissimo tempo, tuttavia il tempo rimane. Concludo quindi segnalando di nuovo i due punti su cui questa mozione chiede al Governo un impegno preciso.
Il primo è quello di rendere immediatamente operativa la legge n. 55 del 2010 con i decreti attuativi e con la conclusione della procedura di concertazione in sede europea. Il secondo è di attivarsi perché l'accordo di ACTA sia quello che deve essere - ed è importante che lo sia -, cioè un Accordo internazionale, sovranazionale che difenda contro la contraffazione le nostre imprese, ma che all'interno di questo Accordo non vi siano degli aspetti che, invece di essere a vantaggio delle nostre imprese, rischino di penalizzarle fortemente, perché non riesce a cogliere che alcune delle tipicità vanno assolutamente sostenute e tutelate. Per questo presentiamo questa mozione e chiederemo al Parlamento di votarla con noi (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Abrignani. Ne ha facoltà.

IGNAZIO ABRIGNANI. Signor Presidente, siamo oggi ad esaminare e discutere una serie di mozioni che hanno tutte una radice comune. Noi del PdL abbiamo esaminato queste mozioni, alcune delle quali presentate in queste ore, e su di esse andremo poi a precisare che, indubbiamente, vi sono degli aspetti particolari per ognuna. Tuttavia, tutte hanno un minimo comune denominatore, ossia la tutela del made in Italy. Si tratta di una battaglia che ha visto il PdL sempre in prima linea. Una battaglia che, peraltro, all'interno stesso della Com Pag. 30missione attività produttive è stata portata avanti in maniera sicuramente sinergica. Una battaglia della tutela del made in Italy che vede il PdL in prima linea. Infatti, la tutela del made in Italy non è un impegno del Governo o del Parlamento, ma direi che è un impegno di tutti gli imprenditori italiani, che devono vedere in questo brand, in questo marchio, un piccolo petrolio italiano. Se riusciremo ad uscire da questa crisi e se riusciremo a superare questo difficile momento di natura economica non possiamo non pensare che anche il made in Italy contribuirà a questo.
Presentare oggi queste mozioni è assolutamente necessario, perché, come ricordavano anche in maniera chiara sia la mozione dell'Italia dei Valori che quella del Partito Democratico, la contraffazione è il vero cancro di questo nostro tesoro, di questo nostro valore.
Su questa battaglia il Parlamento e la Commissione attività produttive si sono impegnati sin dall'inizio, ed è così stata approvata la legge 8 aprile 2010, n. 55, la cosiddetta Reguzzoni-Versace che, in questa ottica, indica una forma di tutela del nostro made in Italy. È una legge che, in qualche modo, individuava una cornice su questa materia, alla quale poi sarebbero seguite norme di dettaglio, di attuazione, come peraltro previste espressamente dall'articolo 2. Perché questo? Perché il legislatore non poteva non tener presente la sensibilità della materia rispetto alla normativa comunitaria. In effetti, come veniva ricordato anche poc'anzi, non esiste ancora in Europa un regolamento sul made in, perché indubbiamente ogni Paese ha le sue problematiche e le sue richieste. Sotto questo profilo anche la battaglia che i nostri parlamentari stanno combattendo in Europa perché questo discorso e questo regolamento vadano avanti si inserisce in quest'ottica.
Indubbiamente, l'aspetto della notifica alla Comunità europea è stato l'elemento che, in qualche modo, non ha reso immediatamente applicabile, nella normativa italiana, la disciplina della Reguzzoni-Versace. Vi era bisogno della notifica alla Comunità, vi era bisogno di verificare eventuali azioni in merito ad eventuali, non sanzioni, ma eccezioni che l'Unione europea poteva svolgere in relazione a questa legge. Per cui, queste disposizione attuative non sono ancora entrate in vigore e da qui la richiesta che oggi, per esempio, viene fatta nella mozione della Lega di procedere velocemente.
La Lega però dice qualcosa in più, perché indubbiamente su questa normativa sono intervenute delle disposizioni interne al nostro Paese. Proprio perché non c'era e non ci poteva essere la definitività del meccanismo della norma, con due successivi provvedimenti (una circolare dell'Agenzia delle dogane e una successiva direttiva della Presidenza del Consiglio dei ministri del 30 settembre 2010, che in qualche modo supportava la circolare del 22 settembre dell'Agenzia delle dogane) si chiariva che, per arrivare alla definitività delle nuove disposizioni sull'etichettatura dei prodotti finiti e intermedi, si poteva intervenire soltanto necessariamente (visto che poi, anche se oggi l'argomento è all'ordine del giorno, in Europa ci siamo) successivamente all'esperimento della procedura di informazione comunitaria ai sensi della direttiva 98/34/CE. Chiaramente, a seguito di questa informativa, ci sarebbe stata l'adozione del decreto interministeriale, come indicavo prima, previsto dall'articolo 2 della legge in argomento.
Quindi, se questa era la strada, è indubbio che noi oggi non possiamo chiedere al Governo di far ritirare questa circolare, proprio perché in linea con la normativa. Possiamo però invitare il Governo ad accelerare questa fattispecie. In effetti, come ricordava prima la collega del Partito Democratico, in Europa è emersa ancora di più questa problematica del made in, laddove ci sono ancora delle difficoltà. Non tutte le nazioni, specialmente i Paesi non manifatturieri del nord Europa, hanno tutta questa fretta o questa necessità di portare avanti una fattispecie che sin dal 2005 è in bozza presso la Commissione europea.
Quindi, sappiamo che il Governo si sta muovendo su questo. Il Ministro Romani ha Pag. 31avuto ultimamente una serie di incontri bilaterali proprio sul tema generale del made in. Ci sono stati incontri con rappresentanti chiave del Consiglio europeo (con i Ministri tedesco e francese dello sviluppo economico) proprio per cercare di fare massa critica per arrivare all'approvazione di questa normativa sul made in. Anche recentemente al convegno nazionale che si è tenuto qui a Roma sul commercio estero, lo stesso Viceministro Polidori ha portato avanti questa trattativa e questo discorso. Quindi, invitiamo ancora una volta il Governo italiano a continuare questa battaglia, che deve portare ad una cornice europea sul made in e sulla tutela dei beni e dei marchi nazionali, perché indubbiamente sarà facilitato anche l'accoglimento della nostra proposta di legge.
Quindi, di fronte alle mozioni oggi in discussione, il Popolo della Libertà conviene sicuramente sulle proposte presentate, perché vanno contro la contraffazione e per un'accelerazione di questa iniziativa. Viceversa, chiederemo al Governo, per quanto riguarda la tutela e la richiesta della Lega Nord di ritirare la circolare, magari una riformulazione, invitandolo a fare tutto ciò che è possibile o per derogare in parte a questa mancata attuazione e per fa sì che, almeno in parte, questa normativa entri in vigore, mentre siamo assolutamente favorevoli e conveniamo sulla circostanza di cui alla mozione della Lega, cioè di intervenire con forza nelle opportune sedi comunitarie al fine di arrivare ad una rapida attuazione della proposta di regolamento sul made in Italy. Se così riformulata, questa mozione sarà sicuramente accoglibile.
Viceversa, sicuramente noi valuteremo con attenzione entro la giornata di domani le mozioni presentate oggi dalle altre forze politiche, perché riteniamo che l'impegno che si chiede al Governo sia sicuramente condivisibile.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire...

ROBERTO GIACHETTI. Ma ancora?

PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire successivamente.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

ROBERTO GIACHETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, vorrei semplicemente comprendere da lei. Siamo in fase di discussione sulle linee generali e in questo momento il Governo rinuncia a replicare, da quello che ho capito. Questo, dunque, è quello che dovrebbe accadere. Tuttavia, ciò implica che il Governo rinuncia a replicare al dibattito svolto durante la discussione sulle linee generali.
Successivamente, il Governo può intervenire nel momento in cui esprime il parere sulle mozioni - vorrei che fosse chiaro tra di noi, semplicemente perché questo credo stabilisca il Regolamento - ma non facendo un intervento politico di replica alla discussione sulle linee generali, perché il momento in cui poteva farlo è questo. Rinuncia a farlo, ne prendiamo atto e non glielo possiamo imporre. Però, quando il Governo deve dare il parere sulle mozioni potrà articolarlo, ma dovrà dare un parere sulle mozioni.

PRESIDENTE. Sono d'accordo, onorevole Giachetti. Si tratta di un parere motivato, che il Governo potrà dare. Va bene. L'ho sentita gridare, onorevole Giachetti, ma non sapevo a cosa si riferisse e forse aveva già rappresentato tale osservazione.

Modifica nella composizione di un gruppo parlamentare.

PRESIDENTE. Comunico che il deputato Luca D'Alessandro, proclamato in data odierna, ha dichiarato di aderire al gruppo parlamentare Popolo della Libertà.

Pag. 32

Integrazione nella composizione dell'ufficio di presidenza di un gruppo parlamentare.

PRESIDENTE. Comunico altresì che il presidente del gruppo parlamentare Misto, con lettera pervenuta in data odierna, ha reso noto che il deputato Arturo Iannaccone è stato nominato vicepresidente del gruppo in rappresentanza della componente politica «Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia (Grande Sud)».

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Martedì 8 novembre 2011, alle 12,30:

1. - Svolgimento di interpellanze e di interrogazioni.

(ore 15,30)

2. - Seguito della discussione dei disegni di legge:
S. 2967 - Rendiconto generale dell'Amministrazione dello Stato per l'esercizio finanziario 2010 (Approvato dal Senato) (C. 4707).
S. 2804 - Disposizioni per l'assestamento del bilancio dello Stato e dei bilanci delle Amministrazioni autonome per l'anno finanziario 2011 (Approvato dal Senato) (C. 4622).
- Relatore: Simonetti.

3. - Seguito della discussione delle mozioni Damiano ed altri n. 1-00745, Paladini ed altri n. 1-00750, Poli ed altri n. 1-00751, Cazzola, Caparini, Moffa ed altri n. 1-00752 e Lo Monte ed altri n. 1-00755 concernenti iniziative relative all'accesso al trattamento previdenziale per i lavoratori in mobilità.

4. - Seguito della discussione delle mozioni Reguzzoni ed altri n. 1-00747, Cimadoro ed altri n. 1-00753, Lulli ed altri n. 1-00754, Commercio ed altri n. 1-00756 e Anna Teresa Formisano, Raisi, Pisicchio ed altri n. 1-00757 concernenti iniziative per garantire la piena attuazione della legge n. 55 del 2010 e per promuovere una specifica normativa europea in materia di marchio di origine.

5. - Seguito della discussione delle mozioni Nunzio Francesco Testa, Paolo Russo, Bossa, Palagiano, Muro, Iannaccone, Pisicchio, Commercio ed altri n. 1-00725, Di Pietro ed altri n. 1-00748 e Lulli ed altri n. 1-00749 concernenti iniziative in relazione all'annunciato piano industriale di Alenia Aeronautica s.p.a., con particolare riferimento alle prevedibili ricadute sull'economia del Mezzogiorno.

La seduta termina alle 18,40.