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Resoconto dell'Assemblea

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XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 516 di lunedì 12 settembre 2011

Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROSY BINDI

La seduta comincia alle 15,05.

RENZO LUSETTI, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 6 settembre 2011.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Alessandri, Berlusconi, Bonaiuti, Bossi, Brambilla, Brunetta, Carfagna, Casero, Catone, Cicchitto, Colucci, Cossiga, Crimi, Crosetto, D'Alema, Della Vedova, Fitto, Franceschini, Frattini, Gelmini, Alberto Giorgetti, Giancarlo Giorgetti, Giro, La Russa, Leone, Maroni, Martini, Meloni, Miccichè, Misiti, Moffa, Leoluca Orlando, Polidori, Prestigiacomo, Ravetto, Reguzzoni, Roccella, Romani, Romano, Rotondi, Saglia, Stefani, Tremonti, Vito e Zacchera sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente quarantotto, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Sull'ordine dei lavori (ore 15,10).

NICODEMO NAZZARENO OLIVERIO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NICODEMO NAZZARENO OLIVERIO. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, da questa mattina quindici operai della centrale termoelettrica di Cutro, in provincia di Crotone, sono saliti sulla ciminiera dell'impianto per protestare contro la decisione assunta da qualche mese dal gruppo Marcegaglia di bloccare i lavori di revanping della centrale a biomassa e per sollecitare l'incontro con la proprietà, più volte chiesto da lavoratori, sindacati ed enti locali, promesso ufficialmente dall'amministratore delegato al tavolo di crisi convocato dal prefetto di Crotone. Faccio presente che la definitiva chiusura dell'impianto determinerebbe la perdita di quarantaquattro posti di lavoro diretti, oltre alle circa 750 unità lavorative di indotto. La produzione di biomassa alla ETA di Cutro è stata sospesa per consentire i lavori di adeguamento degli impianti alla nuova normativa europea in materia di energie rinnovabili, ma il revanping, per il cui immediato inizio era stato firmato un accordo con la società direttamente dalla regione Calabria, di fatto non è mai partito. I lavoratori sono particolarmente preoccupati per il loro futuro e per la sopravvivenza economica delle loro famiglie. L'impianto della Marcegaglia è uno degli insediamenti industriali più importanti realizzati nell'area di Cutro e rappresenta una fonte economica importante per l'intera provincia. Nel mese di luglio scorso, con una interrogazione presentata dal sottoscritto ai Ministri dello sviluppo economico e del lavoro, si chiedeva se il Governo fosse a conoscenza della grave situazione dell'impianto e di una ventilata ipotesi di vendita dell'azienda o di cessione di un suo ramo e quali iniziative intendeva intraprendere per evitare che l'impianto Pag. 2venisse collocato nel popolato binario morto delle aziende meridionali che hanno preso finanziamenti per poi essere abbandonate. L'interrogazione non ha avuto alcun riscontro. Per questo sollecito una sua celere definizione, ma oggi, signor Presidente, a seguito di questa nuova ed eclatante protesta, la prego di intervenire presso i competenti Ministeri affinché, anche attraverso l'apertura di un tavolo nazionale, che sollecito ed auspico, la proprietà dell'azienda, la famiglia Marcegaglia, incontri i lavoratori, i sindacati e i rappresentanti delle istituzioni interessate, per riavviare prima possibile la produzione della centrale a biomasse e per evitare ripercussioni di carattere economico e sociale che inciderebbero gravemente sul livello occupazionale in un territorio particolarmente colpito dalla grave crisi economica. Signor Presidente, i lavoratori chiedono risposte certe e concrete sulle prospettive della centrale ETA e sul loro futuro. Il gruppo Marcegaglia ha il dovere morale di rispondere ai lavoratori, di incontrarli e di dare loro una prospettiva di lavoro. Questa responsabilità è maggiormente richiesta se la proprietà fa riferimento direttamente o indirettamente alla famiglia del presidente nazionale di Confindustria. Signor Presidente, la ringrazio per la sua sensibilità.

PRESIDENTE. Onorevole Oliverio, la Presidenza non si sottrarrà ai suoi impegni, però le ricordo che lo strumento più adeguato è un atto di sindacato ispettivo nei confronti del Governo, quindi un'interrogazione o un'interpellanza.

MARIO TASSONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARIO TASSONE. Signor Presidente, agganciandomi all'intervento del collega Oliverio, anche io vorrei fare qualche valutazione e rivolgere una sollecitazione per un problema che sta diventando sempre più incandescente, che vede coinvolti numerosi lavoratori in una realtà che sembrava essere accompagnata da una grande prospettiva.
Invece oggi si assiste alla chiusura al dialogo ed al confronto con il mondo del lavoro e non si sa quale prospettive assegnare alla realtà di Cutro, a questo centro, rispetto ai percorsi ed agli obiettivi indicati qualche tempo fa. Mi rendo conto, signor Presidente, che lo strumento di sindacato ispettivo ha un valore molto relativo anche perché non sappiamo come questo Governo possa mettere in atto un'azione incisiva rispetto ad un mondo imprenditoriale che rimane chiuso e soprattutto trincerato nel suo rettangolo e recinto di incomunicabilità con il mondo del lavoro anche rispetto alle attese di una realtà importante come quella del crotonese e, in particolar modo, di quella di Cutro.
Vorremmo capire quali finanziamenti sono stati dati a questo tipo di realtà. Molte volte si è parlato dei problemi del Mezzogiorno, abbiamo sentito echeggiare in quest'Aula la favola di un Mezzogiorno che è la palla al piede del nord del Paese. Noi sappiamo che molte volte gli interventi, le facilitazioni e le aperture di credito sono avvenuti a vantaggio di imprenditori disinvolti che hanno sfruttato le agevolazioni e poi hanno disseminato nelle regioni del Mezzogiorno e della Calabria cattedrali del deserto. Noi vorremmo sapere se ci troviamo di fronte ad una situazione di questo genere perché, tra qualche momento, cominceremo a parlare di manovra economica e finanziaria, di grandi risparmi e non c'è dubbio che questa realtà della Marcegaglia deve anche declinare le proprie generalità.
Signor Presidente, qui ognuno si alza la mattina e decide di tenere lezioncine: gli industriali ed i sindacati tengono lezioni, ma non ci dicono mai cosa intendano fare per il Paese e soprattutto per facilitare una realtà depressa del Paese come quella del Mezzogiorno.
Ultima battuta: Cutro sembra la realtà delle incompiute. Qualche anno fa, con grande battage pubblicitario, fu annunciata la creazione di una struttura militare, di una caserma militare, legata alla protezione civile, prendendo ovviamente spunto da una situazione ideologica importante, preoccupante e a rischio, come si suol Pag. 3definire quella calabrese. Di questa struttura e di questa realtà militare non si sa più nulla. Viviamo di fronte a grandi incompiute e ad impegni assunti e non mantenuti. Per questo, vorremmo sapere anche attraverso il sindacato ispettivo se il Parlamento può avere un ruolo e «voce in capitolo», lo dico tra virgolette; infatti molte volte ci troviamo a dover sollecitare il Governo per ottenere delle risposte. In questo caso sarebbe molto brutto se le risposte dovessero venire semplicemente dalla velina delle industrie. Questo sarebbe veramente preoccupante anche se diamo atto al prefetto ed alle strutture rappresentative del Governo sul territorio del loro impegno e della loro attività. Tuttavia attendere una risposta attraverso i «terzini» del Governo che si fa portatore della velina da parte delle industrie è un fatto preoccupante che, tutto sommato, designa già il quadro di crisi profonda della politica e delle istituzioni della democrazia rappresentativa (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro per il Terzo Polo).

ERMINIO ANGELO QUARTIANI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ERMINIO ANGELO QUARTIANI. Signor Presidente, intervengo, dopo aver appreso da alcune ore una notizia di stampa che, se confermata, potrebbe creare una condizione di emergenza almeno per una parte del nostro territorio, ossia per l'Italia nord-occidentale.
Si è appreso che un'esplosione ha colpito una centrale nucleare francese, precisamente quella di Marcoule, che si trova a 257 chilometri da Torino e quindi a 200 chilometri dal confine italiano. Senza creare allarmismi, è bene che il Governo, se ritiene di farlo, attraverso la forma che ritiene più opportuna, nelle Commissioni competenti (Attività produttive, Ambiente ed anche Affari sociali, per occuparsi della salute complessiva del Paese) oppure in Aula, riferisca in ordine a come e quanto i Ministeri competenti si siano adoperati innanzitutto per ottenere le informazioni opportune dal Governo francese e in secondo luogo relazioni in ordine a eventuali preallarmi relativamente all'emergenza che si potrebbe determinare a causa delle fughe radioattive che parrebbero previste in seguito a questa esplosione che ha provocato un morto e numerosi feriti nella centrale nucleare di Marcoule, in territorio francese.

PRESIDENTE. Onorevole Quartiani, la Conferenza dei Presidenti di gruppo prenderà in esame la sua richiesta. Anche l'onorevole Cambursano ha chiesto di intervenire sullo stesso argomento. Darò a lui la parola e poi passeremo all'esame del provvedimento all'ordine del giorno. Prego onorevole Cambursano, ne ha facoltà.

RENATO CAMBURSANO. Signor Presidente, ho appreso anch'io la notizia di questo incidente definito «industriale», ma sappiamo che quando un incidente definito tale tocca una centrale nucleare il passo è breve perché diventi un incidente nucleare. Non è un gioco di parole ma tanto è, se è vero come è vero che oltre, ahimè, al morto già provocato, potrebbero esserci delle fughe radioattive. Voglio solo ricordare che stiamo parlando di una centrale che dista 242 chilometri da Ventimiglia e 257 chilometri dalla città di Torino, ma sappiamo che le radiazioni quando si propagano non hanno confine. Il problema è chiedere al Governo che si faccia interprete con l'omologo Ministro dell'industria francese per capire come stanno esattamente le cose e soprattutto chiedere a quel Governo, che ha voluto impostare tutta la produzione di energia elettrica sul nucleare, di rivedere - come fanno già altri Paesi, Germania in testa - questa sua filosofia, questa sua impostazione industriale. Quindi attendiamo notizie dal Governo italiano e, per il suo tramite, da quello francese (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. Onorevole Cambursano, il Governo è già stato avvertito ed è disponibile a venire a riferire in Aula. Pag. 4Nella Conferenza dei Presidenti di gruppo di domani sarà fissato l'orario dell'informativa.

Discussione del disegno di legge: S. 2887 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, recante ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo. Delega al Governo per la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari (Approvato dal Senato) (A.C. 4612) (ore 15,20).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, recante ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo. Delega al Governo per la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 4612)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari Italia dei Valori e Partito Democratico ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che la V Commissione (Bilancio) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore per la maggioranza, onorevole Ceroni, ha facoltà di svolgere la relazione.

REMIGIO CERONI. Relatore per la maggioranza. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, che l'Assemblea della Camera comincia oggi ad esaminare, è stato adottato in una fase gravida di preoccupazioni per l'economia mondiale e per le sorti della moneta unica europea. I debiti sovrani sono e restano sotto l'attacco della speculazione finanziaria a prescindere dalla solidità dei relativi sistemi economici, anche in ragione delle deludenti prospettive di crescita delle economie dei Paesi sviluppati. Le notizie di queste ultime ore testimoniano in modo evidente la delicatezza dell'attuale congiuntura e la necessità di individuare soluzioni in modo efficace e tempestivo. In questo contesto, il Governo ha dovuto predisporre il provvedimento in condizioni di emergenza contrassegnate da fluttuazioni erratiche delle Borse e del valore dei titoli di Stato fortemente sollecitato dalle istituzioni europee con le quali ha operato in piena sintonia.
Viviamo in una fase del ciclo economico in cui è assai difficile, per non dire impossibile, formulare previsioni attendibili. L'economia statunitense, che sembrava in ripresa, ha visto declassato il proprio debito pubblico ed è sull'orlo di nuova recessione: i livelli di occupazione sono critici e le prospettive di sviluppo sono assai incerte. A sua volta la Germania, protagonista nella prima parte dell'anno di una ripresa poderosa, che sembrava lasciarsi definitivamente alle spalle la fase recessiva, ha conosciuto una brusca battuta di arresto del tutto inattesa e della quale è difficile comprendere fino in fondo le ragioni.
Ad essere nell'occhio del ciclone è l'Unione europea, per la quale la moneta unica, da punto di forza, sembra divenuta un elemento di debolezza, a motivo di un modello di governance economica che, nonostante le recenti riforme imperniate sul Semestre europeo in via di perfezionamento, non appare affatto adeguato all'attuale congiuntura economica e dovrà essere notevolmente rafforzato per garantire un futuro all'euro e, come ha detto di recente la cancelliera tedesca, alla stessa Unione europea.
Le difficoltà in cui si dibatte il nostro Paese hanno, quindi, origini complesse e molteplici e rivelano un'evidente dimensione internazionale ed europea. A livello nazionale possono e debbono essere date Pag. 5risposte tempestive e convincenti, che tuttavia, da sole, non possono e non potranno rivelarsi sufficienti a risolvere i problemi ai quali ho accennato. È chiaro che in un tale quadro sia estremamente difficile calibrare a livello nazionale interventi che, a questo punto, non possono più limitarsi ad assicurare il conseguimento degli obiettivi di stabilizzazione finanziaria concordati in ambito europeo, garantendo il pareggio di bilancio e la riduzione del debito pubblico nei termini previsti, ma devono necessariamente ridurre in misura ancora più accentuata la dinamica della spesa pubblica, nell'intento di trovare quel punto di equilibrio in grado di placare le tensioni in atto sui mercati.
D'altro canto, l'accentuazione del rigore finanziario rischia di deprimere l'economia nazionale, che già soffre, analogamente ad altre economie dell'area, di una preoccupante crisi di crescita; né sarebbe possibile ed equo gravare le famiglie di sacrifici che, spinti oltre una certa soglia, ridurrebbero il tenore di vita in maniera inaccettabile. Altro limite, a mio giudizio invalicabile, risiede nella tutela dei diritti sociali fondamentali, di cui, al netto delle misure per garantire l'efficacia e l'efficienza della spesa pubblica, deve essere garantita la fruizione.
Questo vale, in particolare, per gli interventi sulla finanza degli enti territoriali. Nel complesso, la manovra realizzata intende apportare una forte e tempestiva correzione agli obiettivi di finanza pubblica, anticipando e rafforzando le misure contenute nel decreto-legge n. 98 del 2011, che aveva determinato un miglioramento dell'indebitamento netto di 24,4 miliardi di euro nel 2013 e di quasi 48 miliardi di euro nel 2014.
Voglio ricordare che, già in precedenza, la manovra triennale adottata con il decreto-legge n. 78 del 2010 aveva previsto un aggiustamento dei conti pubblici pari a circa 12 miliardi nel 2011 e a circa 25 miliardi nel biennio successivo. L'aggravarsi delle fluttuazioni dei mercati e l'intensificarsi della crisi finanziaria hanno sollecitato un'accelerazione dei tempi nel conseguimento del pareggio di bilancio, in linea con un'espressa richiesta proveniente dalla Banca centrale europea. In questa ottica, la manovra inizialmente presentata dal Governo ha inteso assicurare una correzione in termini di indebitamento di circa 18,3 miliardi di euro nel 2012, di circa 25,5 miliardi di euro nel 2013 e di 7,4 miliardi di euro nel 2014.
L'esame parlamentare al Senato ha ulteriormente rafforzato tale effetto di correzione degli andamenti di finanza pubblica attraverso l'ulteriore miglioramento dell'indebitamento netto di circa 4,3 miliardi di euro per ciascuno degli anni nel triennio 2012-2014. Si tratta, come è evidente, di una manovra estremamente rilevante, che consentirà il conseguimento dell'obiettivo del pareggio di bilancio già nel 2013 e un consolidamento di tale risultato nel 2014.
Sarà comunque importante, nel futuro, accompagnare la manovra che in questi giorni siamo chiamati ad esaminare con ulteriori interventi che consentano di fare fronte a possibili deterioramenti del ciclo economico, anche attraverso la prosecuzione del percorso delle riforme strutturali sul versante della spesa pubblica, razionalizzando l'utilizzo delle risorse disponibili e limitando inefficienze e sprechi.
Una costante attenzione dovrà essere, inoltre, riservata alla dinamica della crescita economica, approfondendo le misure già dettate e definendone di nuove.
Per quanto attiene ai contenuti del provvedimento in discussione, il tempo a disposizione non mi consente un esame approfondito delle diverse norme del decreto-legge in oggetto. Si tratta, del resto, di misure che, almeno nelle loro linee portanti, sono ampiamente note e sono state a lungo dibattute e commentate. Mi limiterò, quindi, a richiamare gli interventi quantitativamente e qualitativamente più significativi.
Come è noto, il provvedimento in esame reca interventi a largo raggio, con disposizioni che agiscono sia sul lato della spesa, attraverso misure di razionalizzazione e di efficientamento, sia sul lato delle entrate, essenzialmente attraverso misure di ricomposizione del gettito, in Pag. 6direzione dell'agevolazione, oltre che con decise misure di contrasto dell'evasione.
Tra le disposizioni introdotte nel corso dell'esame presso il Senato, mi sembra particolarmente significativa la delega al Governo per la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari, finalizzata alla razionalizzazione della spesa nel settore della giustizia civile e penale. Si tratta, a mio avviso, di una misura particolarmente apprezzabile in quanto essa, anticipando gli esiti del complessivo processo di revisione della spesa, reca una riforma di carattere strutturale volta a realizzare recuperi di efficienza attraverso l'ottimizzazione della allocazione delle risorse disponibili.
Del resto, la stessa Banca d'Italia, nell'audizione svoltasi il 30 agosto scorso, ha evidenziato come dalla riorganizzazione geografica degli uffici giudiziari e dal riassetto dei tribunali minori potrebbero derivare maggiore efficienza e minori spese.
Vorrei ricordare, inoltre, le disposizioni in tema di revisione integrale della spesa, la cosiddetta spending review, introdotte dal Senato con il recepimento di un emendamento presentato dall'opposizione, a testimonianza del fatto che, al di là delle accentuazioni polemiche, nel corso dell'esame della manovra non è mancato un apporto, certo talvolta critico, ma sempre costruttivo, dell'opposizione.
Le modifiche introdotte dispongono che, entro il prossimo 30 novembre, il Governo presenti al Parlamento un programma per la riorganizzazione della spesa pubblica che dovrà contenere le linee guida per l'integrazione operativa delle agenzie fiscali, la razionalizzazione delle strutture periferiche dell'amministrazione dello Stato, il coordinamento delle forze dell'ordine, l'accorpamento degli enti previdenziali pubblici, la razionalizzazione della rete dell'organizzazione giudiziaria, di cui ho già parlato, e la riorganizzazione della rete diplomatica-consolare.
Le modifiche introdotte vanno nel senso, più volte auspicato, della valorizzazione dei tagli selettivi della spesa pubblica e di riforme di razionalizzazione degli apparati intese ad aggredire le cause della spesa.
Sarà, tuttavia, opportuno che i processi qui previsti siano opportunamente coordinati con quelli di analogo contenuto già previsti da disposizioni introdotte negli ultimi mesi.
Tra le disposizioni in materia di entrate, segnalo, in primo luogo, quelle volte a rafforzare la lotta all'evasione e all'elusione fiscali.
È evidente, infatti, che nel momento in cui il nostro Paese è chiamato ad uno sforzo di risanamento e di correzione dei conti pubblici che richiede sacrifici, anche dolorosi, ai contribuenti, ai fini di garantire l'equità degli interventi, è necessario, innanzitutto, garantire che tutti contribuiscano secondo le loro reali possibilità.
L'aggravarsi delle incertezze e dell'instabilità dei mercati finanziari ha poi indotto ad introdurre nel testo del maxiemendamento sottoposto al voto di fiducia, prima dell'approvazione da parte del Senato, l'incremento al 21 per cento dell'aliquota più elevata dell'imposta sul valore aggiunto, determinando maggiori entrate quantificabili in oltre 4,2 miliardi di euro per ciascuno dei tre anni previsti.
Sempre nel quadro del maxiemendamento è stata rivista la disciplina del contributo di solidarietà sui redditi più elevati, introducendo una disciplina che, a mio avviso, rappresenta una soluzione equilibrata, che tiene adeguatamente conto del dibattito che si è aperto sulla norma contenuta nel testo originario del decreto-legge.
Tra le varie altre disposizioni segnalo l'articolo 3, che reca norme volte a ridurre gli oneri amministrativi e procedimentali, che oggi limitano la libertà di iniziativa economica, seguendo una linea di intervento che anticipa in sostanza la riforma dell'articolo 41 della Costituzione proposta dal Governo.
Ricordo, poi, l'articolo 4 che introduce varie disposizioni, volte alla piena liberalizzazione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, anche tenendo conto dell'esito del referendum svoltosi il 12-13 Pag. 7giugno 2011, che ha determinato tra l'altro l'abrogazione dell'articolo 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008. Nel complesso si tratta di interventi di liberalizzazione e di promozione della maggiore concorrenzialità dei mercati, interventi che si muovono in una direzione più volte indicata dall'Unione europea.
Infine il decreto-legge al nostro esame interviene anche sul tema dei costi della politica. Al di là delle modifiche le direttrici del provvedimento sono rimaste invariate, mentre altri interventi, come quelli relativi alla soppressione delle province e alla riduzione del numero dei parlamentari, troveranno collocazione in provvedimenti di carattere costituzionale, che saranno esaminati già nei prossimi mesi perché già adottati dal Consiglio dei ministri.
La manovra che stiamo per approvare ritengo, dunque, sia pienamente rispondente alle necessità del momento. Le norme rafforzano i saldi previsti nel decreto-legge originario e rispondono in maniera forte e credibile ai mercati internazionali.
Tuttavia, non deve venire meno l'impegno futuro per procurare ulteriori risorse per la crescita e l'occupazione. La maggioranza e il Governo sono ben consapevoli di questa necessità, come ben chiarito dal Ministro dell'economia e delle finanze Tremonti, che ha annunciato la verifica e una sorta di tagliando e l'eventuale aggiornamento dei provvedimenti in sostegno della crescita adottati dal Governo negli ultimi mesi. Del resto, è già assolutamente chiaro che senza il necessario rigore di bilancio non è possibile nemmeno attuare un'efficace azione di sviluppo.
Al Senato, come dicevo, il testo di base è stato discusso e approfondito con estrema serietà e diligenza, portando all'accoglimento di alcune indicazioni importanti emerse dalle audizioni e anche suggerite dall'opposizione.
Rilevo con soddisfazione che anche il dibattito presso la Commissione bilancio della Camera, malgrado la necessità da più parti evidenziata di addivenire all'approvazione definitiva della manovra in tempi molto rapidi - che hanno impedito l'approvazione e l'accoglimento di modifiche presso questo ramo del Parlamento - è stato particolarmente approfondito e di elevata qualità. Do atto in primo luogo alle forze di opposizione di aver tenuto, pur nella distinzione delle posizioni e nella legittima contrapposizione, un atteggiamento costruttivo e di confronto nel merito delle questioni.
Ringrazio la maggioranza per la prova di compattezza fornita anche in questa occasione, che dimostra, al di là delle polemiche giornalistiche, la determinazione della coalizione di andare avanti e di guidare il Paese nel processo di risanamento e fuori dalla crisi.
Molte delle tematiche trattate in Commissione, come dimostra l'interlocuzione tra maggioranza e opposizione, saranno utili spunti di riflessione per i provvedimenti che nel prossimo futuro dovremo discutere. In tal senso le proposte emendative dell'opposizione hanno avuto il pregio di consentire alla Commissione di discutere temi importanti come le liberalizzazioni, l'imposizione sui grandi patrimoni, la lotta all'evasione fiscale, nonché la possibilità di ulteriori interventi sul sistema pensionistico, portando nella sede più propria il dibattito su tali questioni.
L'auspicio è, quindi, che questo provvedimento possa essere esaminato in tempi brevi anche da questa Camera per dare al Paese, ai nostri partner europei e ai mercati internazionali il segnale dell'assoluta determinazione di questo Parlamento ad individuare le soluzioni più idonee all'uscita dalla crisi finanziaria, ma anche a dare un forte segnale di fiducia ai mercati. Vi ringrazio per l'attenzione (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il relatore di minoranza, onorevole Baretta.

PIER PAOLO BARETTA, Relatore di minoranza. Signor Presidente, signor sottosegretario, colleghi deputati, sarà sufficiente la manovra economica che con il Pag. 8probabile voto di fiducia il Governo si appresta ad approvare? Sembra già di no. Le continue turbolenze dei mercati rafforzano la probabilità di un ulteriore intervento a breve. Il Ministro Tremonti ha annunciato che in settimana ci saranno interventi per la crescita, altri rilanciano il tema pensioni da inserire addirittura in questa manovra. Se così fosse, quali saranno le nuove misure che verranno adottate nell'ennesimo tentativo di placare la tempesta finanziaria, e cosa potrà mai decidere il Governo che non poteva essere già adottato ora? In queste due domande c'e il cuore della nostra discussione.
Dopo la manovra di luglio approvata in poche ore ci siamo trovati con una risposta negativa dei mercati, dunque la velocità in sé non è la risposta.
La velocità è stata possibile anche per il senso di responsabilità delle opposizioni che hanno (pur non condividendo il merito) consentito un voto rapido, offrendo - come auspicato dal Capo dello Stato - l'immagine di un Paese unito. Ma i mercati non si sono particolarmente emozionati, dunque la coesione per adesione non è la risposta.
Di conseguenza il Governo ha approntato d'urgenza una nuova manovra a Ferragosto, che per raggiungere in anticipo il pareggio di bilancio si è in parte sommata a quella di poche settimane prima, e il risultato è stato una correzione di quasi 60 miliardi di euro. Nonostante ciò, le turbolenze dei mercati sono continuate, dunque la quantità in sé non è la risposta.
Questo secondo intervento estivo è stato motivato dalla famosa lettera della BCE che, peraltro, non abbiamo mai letto. Mi sia permesso di richiamare la sua attenzione, signor Presidente, su questo aspetto della vicenda. Nel 2011, in una democrazia costituzionale, nella società della comunicazione, di Internet, della trasparenza globale, ci stiamo tutti esercitando sulla pelle di milioni di cittadini, di risparmiatori, di lavoratori, sulla base di un documento segreto. Il Parlamento non possiede questa lettera. Vi è una ragione? E quale mai potrebbe essere? Il Ministro Tremonti in audizione ha detto che la cortesia vuole che il contenuto di una missiva sia reso pubblico dai mittenti e non dai destinatari. Ebbene, chieda lei, signor Presidente, alla BCE di far pervenire alle Camere, alla Commissione bilancio almeno, copia del documento in questione.
Ma poiché questa lettera contiene in sostanza i presupposti della manovra, determinandone in qualche modo gli effetti finanziari, mi permetta di rivolgermi formalmente anche al Governo nella mia qualità di relatore e ai sensi dell'articolo 83, comma 1-bis, del Regolamento della Camera perché riferisca su quanto da me ora sollevato.
Non si tratta solo di un doveroso rispetto istituzionale fin troppo violato a danno del Parlamento, che dobbiamo evitare venga iscritto - come taluni vorrebbero - nell'elenco degli enti inutili, ma anche di comprendere il vero significato delle indicazioni della Banca centrale europea. Infatti, è ragionevole pensare che la BCE, citata a piè sospinto da taluni Ministri, sia entrata così nei dettagli dei provvedimenti come ci viene fatto credere? Che, ad esempio, abbia vietato di adottare la patrimoniale? Che abbia ignorato le pensioni? Che abbia chiesto di inserire i tagli alle cooperative? Persino per sostenere che un minuscolo sindacatino locale, più o meno giallo, è rappresentativo tanto quanto CGIL, CISL e UIL è stata invocata la lettera segreta.
Ad ogni modo, a detta del Governo, le indicazioni della BCE sono state eseguite, ma lo spread è rimasto lo stesso. Forse, come noi, nemmeno i mercati conoscono questa lettera, oppure nemmeno le indicazioni dirigistiche in sé, e tanto più non trasparenti, sono la risposta.
Questo è un punto particolarmente preoccupante perché si presume che la BCE, diversamente da noi, sappia chi sono i mercati e cosa vogliono. O è sbagliata la lettera, quindi, e ne dubito, o il nostro Governo non legge l'inglese.
È probabile, dunque, che ciò che serve sia altro dalla rincorsa e dalla propaganda. Ciò che serve sono la qualità e l'efficacia delle misure che si prendono. Se Pag. 9a misure efficaci si affiancano celerità e larghe intese, allora il risultato è più sicuro, ma senza la qualità non c'è rapidità o consenso che servano.
E cosa si intende per qualità ed efficacia? Forse, molto più semplicemente di quanto ci si arrovelli, che le misure che si prendono siano strutturali e durature e che si reggano su un rigoroso equilibrio tra rigore, equità e crescita.
Possiamo sinceramente e senza preventiva polemica dirci che queste manovre assolvono a tali criteri? La mancanza di strutturalità è confermata dalla clausola di salvaguardia alla quale è affidato ben più di un terzo dei saldi, 20 miliardi, dal surreale dibattito sulle pensioni, quando una proposta di riforma strutturale, che può andar bene anche alla riottosa Lega Nord Padania c'è ed è la flessibilità in uscita, e dall'ostinazione ad affrontare la questione della pubblica amministrazione solo dal lato dei tagli alle retribuzioni e non da quello della riorganizzazione. Per non parlare, infine, dell'approccio contraddittorio e francamente insufficiente sui costi della politica.
L'assenza di equità è dimostrata dalla presenza del contributo di solidarietà, per di più differente tra pubblici e privati, e dall'assenza della patrimoniale, dal taglio della rivalutazione delle pensioni basse e dalla riduzione di quelle dei parlamentari con doppio lavoro, ma - aggiungo - non quelli con molti capitali, sicché per stare con un esempio hard, ai piani alti dei redditi, l'onorevole Paniz - mi scusi se lo cito ad esempio - avrà l'indennità dimezzata, ma Berlusconi no.
Sul fatto, poi, che manchino misure per la crescita rinvio a Napolitano e alle già citate dichiarazioni del Ministro dell'economia e delle finanze di queste ore.
Tutto ciò ci porta a dire che non ci siamo e, se è vero che abbiamo a che fare con i mostri sempre più agguerriti del videogioco, a cui fa spesso riferimento Tremonti, è anche vero che, per affrontare il livello più sofisticato del gioco, ci vogliono competenze, attitudini, flessibilità, rapidità ed intelligenza. Sorvolo su quest'ultimo aspetto perché essa non vi manca anche se, come diceva quasi con rimpianto il giallista, straordinarie intelligenze, ma sprecate nel piccolo crimine.
Dico, invece, poche cose sul resto. Avete sbagliato analisi sulla crisi. Ancora il 3 agosto Berlusconi, in quest'Aula, ci ha detto che non c'era alcun problema e, francamente, lo ha detto anche stamattina alla radio; e se, anziché un errore di analisi, fosse una tecnica di propaganda ispirata al principio commerciale che per vendere devi sempre essere ottimista e dire che il tuo prodotto è buono, la responsabilità sarebbe più grave perché è da essa che discendono una serie di posizioni insostenibili come quella che gli impedisce, a causa del cuore grondante, ma solo da un certo reddito in su, di chiedere a chi ha di più di fare la sua parte in questi frangenti difficili.
L'unico che ha, sia pur parzialmente, intuito la dimensione della crisi ha sbagliato terapia, affidandosi ai fallimentari tagli lineari e all'ottusa idea che la crescita potesse discendere quasi automaticamente dal risanamento dei conti e non ne fosse, invece, condizione.
Ma sullo stesso rientro del debito il vostro approccio non è efficace; in un emendamento, ovviamente non accolto, ho proposto la possibilità, per i soggetti che sono oggetto della patrimoniale (che, più prima che dopo, dovete decidervi ad introdurre), di optare in alternativa per l'acquisto di titoli pubblici italiani. Una proposta per dire che bisognerà ben affrontare strade più robuste per aggredire il debito insostenibile che grava sulle spalle dei nostri cittadini.
Al tempo stesso, da un lato, Bossi ed i suoi, in nome di un populismo ormai logorato, hanno posto il veto a discutere, non tanto come si dice e come dicono, di pensioni, visto che in tre anni le pensioni sono state toccate almeno cinque volte non marginalmente, ma solo di pensioni di anzianità. Probabilmente, nella Lega Nord Padania, prevale l'idea che al Nord l'età media non aumenti e la composizione sociale non sia cambiata dagli anni Settanta, quegli stessi anni che il Ministro Sacconi demonizza, tanto che, per smontarli, Pag. 10pensa sia arrivato il momento, con la deroga all'articolo 18, che nessuno ha mai chiesto, di far decidere al Sinpa, il sindacato padano, la possibilità di licenziare i lavoratori della sua Zanussi di Susegana o che, per il solo fatto che si assumono più disabili del necessario a Torino, a Melfi diventino per miracolo tutti normodotati.
Tutto questo per dire che le riforme sono una cosa seria e non un'accozzaglia di provvedimenti più ideologici che altro e alla fin fine nemmeno tanto coraggiosi.
Peraltro, le occasioni per mettervi nuovamente alla prova non vi mancheranno, non ci mancheranno. Ci attendono infatti nel calendario della Camera due decisive riforme: quella del fisco e dell'assistenza a cui è collegata la clausola di salvaguardia e quella dell'articolo 81 della Costituzione. Entrambe troppo rilevanti e delicate per non provocare una riflessione sulla modalità e le dimensioni del consenso necessario. La prima perché comporta il rischio di un gigantesco taglio delle detrazioni e delle deduzioni fiscali che, per come si prospetta, non possiamo permetterci e dunque servirà costruire rapidamente una alternativa. La seconda perché è una riforma costituzionale sulla quale peraltro esiste una nostra disponibilità ad una soluzione che migliori l'articolo 81, lo rafforzi senza rinunciare alla necessaria agibilità di politica economica.
Non ci sfugge, sia chiaro, la generale complessità della situazione e le obiettive difficoltà ad affrontarla. Le continue turbolenze dei mercati, le previsioni negative del ciclo economico, il peso del debito degli Stati sovrani, la difficile sostenibilità dei sistemi di welfare, i ritardi delle istituzioni democratiche e le crescenti fatiche della politica e della società a tenere insieme riforme e consenso costituiscono le tessere di un mosaico globale davvero preoccupante e che indica inequivocabilmente una grande transizione che, se per alcune aree del pianeta può portare alla prosperità, per l'Occidente potrebbe rivelarsi fatale.
Ma proprio per questo scenario, che non è tutto imputabile all'azione di Governo, che travalica addirittura i Governi, è incredibile la ostinata autoreferenzialità del nostro Governo che ha rifiutato il dialogo con l'opposizione affidandosi soltanto al principio di maggioranza, senza riflettere sul fatto che il governo delle moderne società complesse, tanto più in una acuta crisi come questa, si fonda sull'ampia collaborazione politica e non è risolto dagli equilibri parlamentari, tanto più con una legge elettorale che colma artificialmente lo scarto che c'è tra il reale consenso delle urne e la maggioranza aggiungendovi un sovrappiù.
Qualsiasi sia la vostra idea, a cominciare da quella di arrivare a fine legislatura, dovrete per forza fare i conti con la qualità delle scelte da compiere e con l'esigenza che siano sostenute nel merito da un consenso ben più ampio di quello che vi assicurano gli ormai scarsi numeri parlamentari e il quasi dissolto dissenso sociale. Finora per aggirare i limiti del consenso parlamentare il Governo ha pensato che fosse possibile far sì che il consenso inizialmente largo delle parti sociali coincidesse con la loro adesione allo schieramento politico di maggioranza e non invece fosse, come è naturale che sia, una congiunturale coincidenza nella rappresentanza di interessi. Avete lucrato anche troppo su questo programma, ma come hanno evidenziato chiaramente le ultime audizioni o dichiarazioni di Banca d'Italia, di Corte dei conti, di ISTAT, di imprenditori e di sindacati, pur con le legittime differenze e accentuazioni diverse, il vaso di Pandora si è aperto e non sarà più possibile chiuderlo.
Per tutti questi motivi pensiamo che la gravità della situazione economica e sociale sia difficilmente districabile dentro questo quadro politico. La Spagna con le dimissioni del Primo Ministro lo ha capito e ora può persino permettersi di criticarci. Ma anche da noi si levano voci che vanno ormai nella direzione della discontinuità. Confindustria ha invitato il Governo a trarre le conseguenze. Pisanu ed altri parlano di nuovo Governo. La CISL di Grosse Koalition. Insomma il dibattito è Pag. 11aperto: per il bene del Paese chiudiamolo al più presto (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Il relatore di minoranza, onorevole Baretta, ha chiesto al Governo, ai sensi dell'articolo 83, comma 1-bis, del Regolamento, di rispondere su questioni determinate attinenti ai presupposti e agli obiettivi del disegno di legge in esame, nonché alle conseguenze di carattere finanziario e ordinamentale derivanti dall'applicazione delle norme contenute nel disegno di legge medesimo.
Al riguardo ricordo che ai sensi dello stesso articolo 83, comma 1-bis, il Governo può rispondere immediatamente o chiedere di differire la risposta al momento della replica; può chiedere altresì che la seduta o l'esame del progetto di legge siano sospesi per non più di un'ora, ovvero dichiarare di non poter rispondere, indicandone il motivo.
Il rappresentante del Governo, al quale la Presidenza concederà la parola una volta conclusi gli interventi di tutti i relatori, sarà chiamato a precisare la posizione dell'Esecutivo al riguardo.
Avverto che il relatore di minoranza, onorevole Borghesi, si è riservato di intervenire in sede di replica.
Ha facoltà di parlare il relatore di minoranza, onorevole Ciccanti.

AMEDEO CICCANTI, Relatore di minoranza. Signor Presidente, onorevole sottosegretario, onorevoli colleghi, a seguito del programma di stabilità presentato alla Commissione europea alla fine di aprile di quest'anno, la stessa ha risposto con una raccomandazione il 7 giugno scorso, in cui, tra le altre cose, concordava con il pareggio di bilancio al 2014.
Dalle indicazioni della raccomandazione sono derivate le misure della cosiddetta manovra estiva 2011, di cui al decreto-legge n. 98 del 2011, onorando così la nuova governance per il controllo dei conti pubblici degli Stati membri dell'Unione europea, che va sotto il nome di «Semestre europeo».
Le turbolenze finanziarie che hanno investito l'euro nel mese di agosto, con particolare riguardo alla collocazione dei titoli pubblici italiani nei mercati finanziari, hanno però indotto il Governo italiano ad anticipare al 2013 l'obiettivo del pareggio di bilancio con una manovra finanziaria integrativa a quella del decreto-legge n. 98 del 2011. Tale necessità è scaturita dalla negativa valutazione dei mercati finanziari sulla sostenibilità delle misure a lungo termine adottate dalla maggioranza che governa questo Paese. Ma c'è di più. La nuova manovra è stata scritta sotto dettatura dalla Banca centrale europea con una dettagliata lettera, i cui contenuti sono stati incomprensibilmente secretati dal Governo.
Signor Presidente, io mi aggiungo alle parole del collega Baretta, ricordando in proposito che, il 30 agosto scorso, il Vicegovernatore della Banca d'Italia audito dalle Commissioni bilancio riunite di Camera e Senato, ha fatto sapere che non vi erano ostacoli, affinché il contenuto di tale lettera fosse reso noto. Ebbene, noi in questa sede, pur avendo ribadito la stessa richiesta presso la Commissione bilancio della Camera, formuliamo a lei, come Presidente della Camera, la richiesta almeno alla Banca d'Italia, che ha dato questa disponibilità diversamente dal Governo, affinché fornisca al Parlamento, a questa Camera, l'originale di tale lettera, così conosceremo i dettagli.
È di tutta evidenza, quindi, come la sfiducia verso il Governo italiano non dipenda tanto dalle misure di contenimento della spesa pubblica adottate con il decreto-legge n. 98 del 2011, quanto dalla crisi di credibilità dello stesso Governo sulla capacità di attuarle.
La preoccupazione è di fronteggiare la crisi finanziaria, che è mondiale ed europea - ed è vero -, stante le difficoltà degli Stati Uniti e di alcuni debiti sovrani di Eurolandia, come ha ricordato il relatore Ceroni (parliamo ovviamente di quelli di Grecia, Portogallo, Spagna e, purtroppo, dell'Italia). Con la logica dell'autosufficienza politica di un Governo che poggia su una maggioranza Lega-PdL e su un manipolo di deputati transfughi fidelizzati con posti di potere, di Governo e di Pag. 12sottogoverno, noi tocchiamo con mano il vero problema, che è quello del Governo Berlusconi, piuttosto che la responsabilità dei mercati, che registrano, purtroppo, la debolezza di questo Governo.
Le fibrillazioni della Lega e le pressioni del sistema corporativo italiano, che blocca ogni tentativo di cambiamento e modernizzazione, costringono il Ministro Tremonti a predisporre manovre condizionate da un permanente ricatto elettorale della base di consenso di questa maggioranza. In questo modo, si adottano misure che non sono quelle giuste per il nostro Paese, ma quelle convenienti per la maggioranza: si punisce il Sud e si premia il Nord, perché così vuole la Lega; si esonerano le partite IVA e le professioni ordinistiche ed intellettuali da ogni sacrificio e si scarica tutto il peso della crisi sui redditi dei lavoratori dipendenti, ossia su chi le tasse già le paga facendo il proprio dovere di cittadino.
Per chi volesse la certificazione di queste affermazioni, con tutti i distinguo e le valutazioni del caso, basta far riferimento ai dati della relazione tecnica, offerti dallo stesso Governo attraverso la Ragioneria generale dello Stato, sulla norma del contributo di solidarietà posto in capo ai titolari di redditi superiori a 300 mila euro lordi. Tale relazione cifra in 144 milioni di euro l'entrata al 2013, non all'anno prossimo, con una sottostante platea di contribuenti superiore di poco ai 32 mila soggetti IRPEF, su oltre 40 milioni di contribuenti.
Una domanda sorge spontanea: davvero in Italia solo 32 mila italiani hanno un reddito lordo superiore a 300 mila euro? Confrontiamo questa domanda con alcune considerazioni; la prima è che risultano immatricolate - così veniva riportato da un giornale nazionale qualche settimana fa - oltre duecentomila auto di costo superiore a 100 mila euro nel 2009. La seconda è che il 60 per cento delle imbarcazioni da diporto, i cosiddetti yacht ormeggiati nei porti turistici della nostra bella Italia, risultano di proprietà di nullatenenti. La terza considerazione è che l'ISTAT nel calcolo del PIL considera un sommerso del 22 per cento con un'evasione fiscale di circa 400 miliardi sulla base imponibile; questo vuol dire 100 miliardi di euro di entrate in meno ogni anno. La quarta considerazione è che nel 2012 la pressione fiscale salirà al 44 per cento e nel 2013 al 46 per cento; mai ne è stata registrata una così alta. La ragione sta nel fatto che a pagare le tasse sono sempre i soliti noti: lavoratori dipendenti e pensionati da cui risulta l'80 per cento delle entrate IRPEF. È chiaro che se le tasse le pagassero tutti, si abbasserebbe anche il livello di pressione fiscale: più si allarga la platea dei contribuenti attivi più si può abbassare il livello della pressione.
Ebbene, mettendo insieme queste considerazioni con i condoni e i concordati degli ultimi anni adottati dal nostro Ministro Tremonti, che ha governato il sistema economico e fiscale per otto degli ultimi dieci anni, e ricordando anche che il Ministro Tremonti è uno dei migliori tributaristi italiani, si ha subito la sensazione che in Italia le tasse non si vogliano far pagare. Il fenomeno dell'evasione fiscale è il vero cancro sociale di questo Paese e va subito estirpato; aspettiamo di conoscere subito il testo della delega fiscale che è stato annunciato qualche mese fa, finora è solo un annuncio. Quello che conosciamo, di questa delega, è il taglio di 20 miliardi nella manovra del decreto-legge n. 98 del 2011 per l'anno 2014, e ora 12 miliardi di euro nel 2013. Sono questi tagli concernenti deduzioni e detrazioni relative a 477 voci di spesa, tra cui redditi e proventi di sostegno alla famiglia e alle categorie più indigenti.
Pensavamo legittimamente e logicamente che una parte di questo risparmio fiscale fosse compensato con l'aumento dell'IVA dell'1 per cento; invece, ci troviamo di fronte a questa misura introdotta solo per dare credibilità alla quinta stesura della manovra in discussione al Senato tradendo ogni buona intenzione espressa in più dichiarazioni dallo stesso Ministro Tremonti, tra tutte quelle che abbiamo letto nelle ultime due settimane.
Di questa manovra sono rilevanti due misure che il Governo non ha avuto il Pag. 13coraggio di adottare e sono state introdotte dall'opposizione al Senato. La spending review, ossia la riforma della spesa in modo selettivo degli enti locali, scuola, sanità e previdenza soprattutto, oltre alla pubblica amministrazione e ai vari ministeri, e la riforma delle circoscrizioni giudiziarie inserita come delega al Governo all'articolo 1 della legge di conversione.
Queste due misure ridurranno la spesa pubblica al di sotto del 50 per cento attuale, rispetto al PIL, in modo duraturo. Va sottolineato, infatti, che i mercati finanziari valutano positivamente il taglio duraturo delle misure, almeno a dieci anni, quanto durano i BTP decennali, soprattutto per quanto riguarda, ovviamente, il finanziamento del servizio del debito pubblico.
Questa manovra, su sollecitazione del Capo dello Stato, è stata irrobustita per 4 miliardi 400 milioni di euro, con misure che vanno a detrimento dell'attesa riforma fiscale, ma è credibile nella qualità proprio per le misure introdotte dall'opposizione, se si tradurranno in atti con il semestre europeo 2012, cioè con il programma di stabilità che dovremmo approvare entro aprile 2012.
Va riconosciuto anche l'allineamento dell'età pensionistica delle lavoratrici del settore privato a quelle del settore pubblico, che produrrà effetti dopo il 2016 per 400 milioni di euro e per 700 milioni di euro dopo il 2021. Tuttavia, si poteva fare di più e meglio, ragionando sulle pensioni di anzianità. Attenzione, però, l'Unione di Centro non è d'accordo a fare cassa sulla previdenza senza considerare la continuità contributiva dei giovani occupati a tempo determinato, ossia a favorire l'accesso al lavoro di giovani e donne, soprattutto nel Mezzogiorno.
La relazione tecnica non valuta gli effetti di questa manovra sul PIL: riteniamo che si producano effetti depressivi che puniscono l'occupazione, i consumi e la produzione. Favorire l'accesso al lavoro e ridurre i costi del lavoro attraverso la riduzione del cuneo fiscale è condizione indispensabile per favorire la ripresa e la crescita, oltre a costituire esse stesse forme di equità sociale. Non è attraverso l'introduzione dell'articolo 8, che modifica con intese sindacali diritti riconosciuti con legge, che si migliora la competitività, ma è la pace sociale che alza il fattore complessivo dei fattori produttivi del nostro Paese. Negli ultimi anni abbiamo perso 30 punti rispetto alla Germania sulla produttività dei fattori del nostro sistema-Paese. Eravamo sopra la media europea, ora stiamo sotto, anche per l'elevato costo del lavoro oltre che del costo dell'energia. Dobbiamo coinvolgere le parti sociali nel processo di ripresa e nel rilancio del sistema produttivo.
Il nostro Paese ha tre problemi da risolvere: le disuguaglianze sociali e territoriali; la bassa crescita (da risolvere attraverso l'apertura dei mercati con le liberalizzazione e le privatizzazioni); l'eccesso di debito pubblico, da ridurre attraverso la riqualificazione della spesa pubblica e l'aumento dell'avanzo primario in forma stabile, almeno al 4-5 per cento. Non basta, quindi, il pareggio di bilancio, ma sono necessarie alcune riforme strutturali, che questa maggioranza non ha intenzione di fare, nonostante da più parti richieste.
Non valuterò, per ragioni di tempo, le questioni, che sono state toccate anche dal collega Baretta, sui costi della politica. Vorrei solo ricordare a questa Camera, ai colleghi e al Governo, soprattutto, che nei prossimi mesi scadranno 360 miliardi di euro di titoli, mentre il Fondo salva Stati dell'Europa ha una capienza di 440 miliardi di euro. Se si tiene conto che i titoli collocati presso gli investitori stranieri del nostro debito pubblico ammontano a 800 miliardi di euro, la paura dell'insolvenza ci scorre come sudore freddo lunga la schiena. Su questo dobbiamo riflettere e tenerne conto nelle azioni politiche che compiremo nei prossimi mesi.
Secondo il nostro leader, Casini, occorre un Governo di unità nazionale per superare il Governo Berlusconi e fare le riforme che sono utili al Paese. Non credo che le potremmo affrontare con un Governo Berlusconi-Scilipoti (Applausi dei deputati Pag. 14dei gruppi Unione di Centro per il Terzo Polo, Partito Democratico e Italia dei Valori).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo, al quale ricordo che deve una risposta ai due relatori di minoranza sulla possibilità di rendere nota la lettera della Banca centrale europea.

BRUNO CESARIO, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Il Governo si riserva di intervenire in sede di replica.

PRESIDENTE. Pertanto anche la risposta alla domanda verrà data in sede di replica, onorevole sottosegretario.

MARIO TASSONE. Se l'avessimo saputo sarebbe stato meglio!

PRESIDENTE. Onorevole Tassone, lo credo anch'io, ma il Governo ha facoltà di riservarsi di intervenire in sede di replica, a norma del Regolamento.
È iscritto a parlare l'onorevole Cambursano. Ne ha facoltà.

RENATO CAMBURSANO. Signor Presidente, tutto è riservato: la lettera è riservata, il Governo è riservato, il sottosegretario più degli altri. Il mio antico mestiere, Presidente, non mi può non fare iniziare questo mio intervento citando quello che sta avvenendo fuori da questo palazzo, in Europa, sui mercati. Il mio antico mestiere era, per l'appunto, quello di operatore di borsa, tra le altre cose. Credo che interessi a tutti che la Borsa, Piazza Affari, sta chiudendo a meno 3,65 per cento, Unicredit è andata oltre l'8 per cento in ribasso, la prima banca italiana, Intesa Sanpaolo, è al 6,57 per cento. Lo spread tra i titoli decennali italiani e i Bund tedeschi è pari a 382 punti base, i BOT a un anno, per poterli collocare, hanno raggiunto la stratosferica cifra del 4,153 per cento.
Come ricordava il collega che mi ha preceduto, nei prossimi dodici mesi scadono 364 miliardi di titoli sovrani italiani. Sapete qual è il commento che ha fatto l'Unione europea? Ha avvertito l'Italia, oggi, stamani: «Si tenga pronta a nuova manovra». E «che ci stiamo a fa'», mi verrebbe da dire, cioè stiamo continuando a discutere manovre su manovre e non si raggiunge l'obiettivo di mettere in sicurezza e far ripartire questo Paese. È così!
Di cose da dire sulla manovra ce ne sarebbero tantissime, ad esempio che nessuno ci ripagherà mai dell'enorme costo, innanzitutto economico, che graverà sulle famiglie per l'incredibile leggerezza dei nostri governanti. Il fatto di aver rimandato così a lungo le decisioni, il fatto di aver montato e smontato la manovra per troppe volte, il fatto di aver tagliato così poco la spesa pubblica e incrementato così tanto le tasse, tutti questi fatti costeranno molti miliardi di euro. Lo ha scritto su La Stampa di Torino l'8 settembre - brutta data - Luca Ricolfi, noto economista dell'università degli studi di Torino.
All'avvio di questo mio intervento, Presidente, in discussione generale non intendo ripetere le cose dette in Commissione bilancio, intanto perché credo che sarebbe assolutamente inutile, quasi una perdita di tempo, in quanto è stato detto chiaro, il Governo ha detto chiaramente che al disegno di legge in esame non ci saranno modifiche, non ci sarà un ritorno al Senato, il tempo non ce lo consente. Credo invece che, proprio per le cose dette dall'Unione europea in mattinata, sarebbe opportuno provvedere immediatamente. Ciò - lo ha detto il sottosegretario Casero in Commissione bilancio - proprio quando stavano avvenendo fatti clamorosi: la perdita del 4,98 per cento sui titoli azionari e il differenziale aveva raggiunto i 370 punti base, con tutte le conseguenze che poi sappiamo, cioè le dimissioni di un componente dell'esecutivo della Banca centrale europea.
Però il nostro Presidente del Consiglio ci ha rassicurato: ci ha detto che questa manovra è un colpo d'ingegno, salvo poi qualche istante dopo dire che è stata scritta sotto dettatura della Banca centrale europea. Delle due l'una: allora l'ingegno Pag. 15l'ha messo presumibilmente la BCE se è vera la seconda parte dell'affermazione. Se, invece, la seconda parte non è vera è tutto frutto del loro ingegno e si vedono i risultati, viste le risposte sui titoli sovrani da parte delle borse.
Intendo qui, in quest'Aula, nella massima istituzione rappresentativa del Paese, fare alcune riflessioni sulla situazione politica ed economica, italiana ed internazionale. Le dimissioni di Juergen Stark da membro del comitato esecutivo e da capo economista della Banca centrale europea non si limitano a denunciare una pur preoccupante situazione di conflittualità in seno alla gestione dell'organo di politica economica dell'Unione europea. Esse mettono anche e soprattutto in rilievo tre aspetti cruciali per la sopravvivenza immediata e per la futura evoluzione dell'unione monetaria europea.
In primo luogo, tali dimissioni fanno emergere le rotture che ormai attraversano il ceto dirigente e i responsabili politici tedeschi. In secondo luogo, sottolineano l'importanza che possono avere le scelte e i comportamenti dei singoli Paesi per il destino dell'unione monetaria europea. In terzo luogo, dimostrano quanto sia inadeguata l'organizzazione istituzionale dell'area euro rispetto ai problemi che si trova ad affrontare. Se l'Italia avesse riconosciuto per tempo (marzo-aprile 2011) quanto ci diceva in un'audizione che ho già citato più volte - e so essere stata all'attenzione di tutti i colleghi, anche se non eravamo in molti il 16 marzo - il professor Bruni, probabilmente non ci troveremmo in queste condizioni.
Ho qui il resoconto di quella seduta. Tra le altre cose, il professor Bruni, della Bocconi di Milano, ci diceva: «Il rischio è che in situazioni di tensione finanziaria generale ci vengano richiesti ex post aggiustamenti più severi di quelli che siamo in grado di concordare ex ante. A tale richiesta non corrisponderebbe altrettanta severità per i paesi contrattualmente più forti». Intendeva dire che o vi muovete immediatamente o arriverà il momento che ve lo chiederanno per forza ed è esattamente quanto sta avvenendo. Aggiungeva ancora che, poiché è probabile che il tasso di crescita rimarrà contenuto ancora per diverso tempo, conviene accelerare il rientro di una fase in cui la politica monetaria contribuisca ancora a tenere bassi i tassi d'interesse. Prima o poi però la politica monetaria farà crescere il tasso base in modo significativo.
Meglio sarebbe se questo succedesse quando l'Italia - avendo ridimensionato il debito pubblico, cosa che non è assolutamente avvenuta, anzi ha corso e superato abbondantemente i 1.900 miliardi - pagherà minori premi di rischio oltre al tasso a breve. Questo ci diceva il 16 marzo, ma aggiungeva anche il professor Bruni che forse sarebbe stato opportuno a quella data fare esattamente quello che ci chiamava a fare l'Unione europea, e cioè mettere nella nostra Costituzione l'obbligo del pareggio di bilancio, ovviamente poi con le condizioni di eccezionalità, qualora queste si presentassero. Sono passati sei mesi da quel 16 marzo: non solo non è stato fatto nulla, ma non è stato neanche promesso. È vero - mi si dirà - che venerdì scorso il Governo ha adottato finalmente un disegno di legge per costituzionalizzare il pareggio di bilancio. Spero che i colleghi - almeno quei pochi presenti - lo abbiano letto. Non servirà granché, perché le eccezioni elencate sono tali e tante che l'obbligo del pareggio di bilancio c'è solo nel titolo.

MARIO TASSONE. È elastico!

RENATO CAMBURSANO. Molto elastico!
Le nubi incombenti sulla gestione proprio del debito pubblico e il tentativo di recuperare un po' di tempo perduto avrebbero dovuto evitare di far perdere tempo e fare e disfare, per 15 giorni, questa manovra. Ora non ci troveremmo in queste condizioni e non avremmo assistito a questo colpo durissimo alle istituzioni europee. Non vi è più tempo per discutere gli strumenti da adottare, eurobond o non eurobond. Si tratta di integrare l'azione della BCE trasformando i meccanismi di sostegno europei, come il futuro Fondo, Pag. 16proprio per far fronte alle difficoltà dei titoli sovrani, in istituzioni dell'Unione monetaria europea che siano indipendenti dai singoli Paesi e per far portare una propria governance europea in grado di unificare le politiche di bilancio. I problemi sono comuni: troppi debiti, intermediari e mercati finanziari fragili, poca crescita. Si assiste, invece, alla miopia politica. Ogni Governo vuole le mani libere per fare e non fare, a seconda delle convenienze politiche nazionali.
Stamane, ancora il professor Bruni su La Stampa, in un articolo di fondo dal titolo «La cooperazione internazionale in difficoltà proprio quando ce ne sarebbe più bisogno», aggiungeva: «Ha ragione il Ministro Tremonti a dire che manca la consapevolezza di vivere una crisi storica e non la fase avversa di un ciclo». Questo diceva il Ministro, il nostro Ministro dell'economia e delle finanze. Ma non vi è stata, neanche una volta, la coerenza tra quello che diceva o scriveva il Ministro e il comportamento sui provvedimenti portati all'attenzione di quest'Aula e, anzi, è stato proprio lui a non avere questa prevalenza di consapevolezza di vivere una crisi storica. Se vi è una crisi storica ci vuole un profondo cambio di mentalità. Le strategie di crescita devono porre una massima nuova attenzione ai beni pubblici e collettivi e le sovranità nazionali devono legarsi le mani con accordi più impegnativi, affidati alla gestione di agenzie sovranazionali. Va trovato l'equilibrio fra azione collettiva e sforzo individuale. Nessuno si salva se non si dà da fare, ma nessuno si salva da solo. Senza una vigilanza sovranazionale sulle banche e sulle borse nessuno salva le sue banche e la sua borsa. Senza una disciplina centralizzata e severa dei bilanci pubblici di tutti i mercati non sono più tranquilli nemmeno, per esempio, Paesi come la Francia. Se si vuole stare al passo con i tempi non si può più fare da soli. Nemmeno le politiche industriali, le riforme del mercato del lavoro, le infrastrutture e le politiche sanitarie possono essere affrontate da un singolo Paese. Siamo tutti su una stessa barca, nel mare mosso, nel mare aperto di una grande crisi storica.
Gli elettori devono capirlo e devono poi essere più esigenti nel pretendere capitani coraggiosi, leader di qualità politica, tecnica e umana. Dobbiamo lavorare a che l'Europa compia passi più decisivi e al più presto. Devono diventare effettive la riforma del Patto di stabilità, la disciplina comunitaria delle riforme strutturali, il rafforzamento del Fondo di emergenza per i debiti sovrani, il disegno del sistema definitivo che è destinato a sostituire il Fondo nel 2013, lo scadenzario di completamento del mercato unico.
In commissione bilancio il collega Baretta ha detto - e lo condivido totalmente e lo confermo anche in quest'Aula - che era finito un ciclo economico, ma era finito anche un ciclo politico. È vero. Occorre che la politica faccia il suo mestiere, si riappropri di un compito-dovere che è solo suo: detti le regole e le faccia rispettare ai mercati, alle multinazionali, alle banche e ai cittadini. Ma in Italia la politica, quella con la p maiuscola, è debole o inesistente.
Il professor Guido Rossi, citando in un articolo su Il Sole 24 Ore un articolo apparso invece sul New York Times, dal titolo «Gli Stati Uniti sono pronti a citare in giudizio una dozzina di grandi banche per i mutui ipotecari», titolava anche dicendo che, per l'appunto, occorresse procedere speditamente per fare riappropriare la politica dei suoi doveri. Certamente più sconvolgenti e rivoluzionarie sono - scrive ancora il professor Rossi - le azioni legali che verranno formalizzate per scadenza dei termini da parte dell'agenzia governativa, Federal Housing Finance Agency, creata nel 2008. Sotto accusa saranno diciassette banche per aver fornito false valutazioni sulla qualità e l'affidabilità degli strumenti finanziari. Bisogna che la politica intervenga: se lo hanno fatto e lo stanno facendo gli Stati Uniti lo devono fare anche l'Europa e l'Italia. Sembra però che questa prima, evidente ed impietosa rivolta della politica nei confronti della sua sudditanza alla Pag. 17finanza, agli investimenti istituzionali ed agli speculatori manchi soprattutto in questo Paese. Questa nuova svolta americana rimette decisamente in discussione tutte le strutture dell'economia finanziaria ed i principi della democrazia, spingendo a rafforzare le basi sulle quali impostare le regole della globalizzazione capitalistica.
Veniamo più direttamente alla manovra. Come ricordavo in Commissione, in pochi mesi siamo riusciti a mettere insieme quattro manovre finanziarie: il decreto-legge n. 112 in apertura di questa legislatura, il decreto-legge n. 78 del luglio 2010, il decreto-legge n. 98 del luglio scorso e quello in oggetto, ossia il decreto-legge n. 138. L'insieme di queste manovre hanno fatto sì che venisse ridotto l'indebitamento netto teorico di ben 315 miliardi 719 milioni di euro l'uno sull'altro in meno di due anni e mezzo. Questa è la somma spaventosa a cui hanno dovuto mettere mano i cittadini italiani in termini soprattutto di maggiori entrate, quindi di maggiori imposizioni e di tagli ai servizi pubblici locali e nazionali. Tuttavia, i risultati non sono incoraggianti perché se andiamo a confrontarli anche soltanto con il Documento di economia e finanza approvato nell'aprile di quest'anno, le entrate totali, che si attestavano a 722 miliardi di euro, sono diventate, con questo decreto-legge n. 138 del 2011, 822 miliardi. Pertanto, ci troviamo 100 miliardi in più dall'aprile al settembre di quest'anno. A cosa sono serviti questi 100 miliardi? Settantacinque sono andati a ridurre - si spera - il deficit per riportarlo nei parametri concordati a livello europeo, gli altri 25 sono esattamente la differenza tra le spese totali e quelle in conto capitale. Queste sono quantificabili complessivamente in 25 miliardi di euro in termini di spesa corrente. Quindi, non solo non riuscite a non mettere le mani in tasca ai cittadini, anzi le mettete pesantemente - 100 miliardi in più, il totale delle entrate - ma non riducete la spesa totale corrente per 25 miliardi.
Il 15 luglio, in quest'Aula, intervenendo ponevo in evidenza il problema numero uno di questo Paese: la credibilità di questo Governo e della sua maggioranza. Non voglio qui ritornare sui fatti di cronaca, rosa o nera, non voglio qui ricordare i tanti componenti dell'Esecutivo e della maggioranza, che hanno ben altri problemi in questo periodo, in primis il Presidente del Consiglio, che ovviamente scappa per non andare a testimoniare in quel di Napoli. Non voglio ricordare tutti i grandi e piccoli nomi che sono toccati da questa credibilità abbondantemente persa.
Voglio però ancora una volta ricordare ciò che accadde all'indomani di un grande conflitto, quello dell'ultima guerra mondiale, quando un vero leader di questo Paese, Alcide De Gasperi, si recò a Parigi nel 1946 e a New York nel 1948. Fu accolto a braccia aperte, nonostante fossimo gli sconfitti del secondo conflitto mondiale, perché così gli è stato detto: lei, signor Presidente Alcide De Gasperi, è credibile, è persona seria, lo ha dimostrato nei mesi della lotta partigiana e nelle prime azioni di governo del Paese Italia.
La stessa cosa si può dire quando altri due grandi italiani - certo è una visione di parte la mia, sì sono uomo di parte - il Presidente del Consiglio Romano Prodi e il suo Ministro del tesoro nel 1998 si recarono da Helmut Kohl, e sapete già qual è stata la risposta di Helmut Khol: sarete ammessi all'unione monetaria, all'euro quindi, perché voi siete persone credibili e la credibilità sta nell'avanzo primario che siete riusciti a mettere insieme.
Tutta questa credibilità in questo momento non c'è; al contrario, siamo di fronte ad una manovra ingiusta e iniqua. È ingiusto aver trovato come soluzione - l'uovo di Colombo o l'acqua riscaldata se volete - l'aumento delle aliquote IVA per non aver avuto il coraggio di toccare due fondamenti: la progressività, prevista dalla nostra Carta costituzionale, in termini di imposizione, far pagare chi più ha, e far pagare soprattutto chi non ha mai pagato. Avete preferito la strada di far pagare tutti indiscriminatamente, soprattutto coloro che meno hanno, aumentando per l'appunto l'IVA. È sui quotidiani di oggi, onorevoli colleghi, guardateli, leggeteli, cosa significherà l'aumento dell'IVA in Pag. 18termini di aumento dei costi dei prodotti, soprattutto quelli essenziali, di cui ahimè non possono fare a meno neanche coloro che hanno redditi più bassi.
È iniqua, anche perché va a toccare alcune questioni, senza che gli sia stato richiesto dall'Unione europea, a meno che, sottosegretario Casero che ha appena sostituito il sottosegretario Cesario, lei sia in grado, pure interrompendomi, non ho alcuna difficoltà, di darci lettura finalmente di quella lettera che è stata prima giustamente reclamata dai due relatori di minoranza. Cosa c'è scritto, cosa vi ha scritto, il combinato dell'attuale e del futuro presidente della BCE? Vorremmo saperlo proprio perché vorremmo capire se in quella lettera c'è scritto che bisognava approvare quell'articolo 8 e intervenire sulla questione delle politiche del lavoro, dimenticandoci - o dimenticandovi - che queste erano già state concordate qualche giorno prima, soltanto il 28 giugno. Avete pensato bene di avere come unico obiettivo quello di dividere le forze sindacali; d'altra parte il Ministro del welfare, Sacconi, non ne ha mai fatto mistero, ha sempre tentato un dialogo soltanto con due organizzazioni sindacali - e per certi versi non può che farmi piacere visto che, quando ero lavoratore dipendente ero iscritto a uno di quei due sindacati, la CISL, non mi nascondo dietro il dito - ma sta di fatto che, quanto è stato «venduto», lo dico tra virgolette, o meglio «spacciato», termine più giusto, per veritiero, e cioè che dietro quell'articolo 8, così com'è stato scritto, c'era l'accordo delle tre sigle sindacali, non è vero, e a dirlo non sono io ma è il segretario generale proprio di quella sigla sindacale che ho appena citato, cioè il dottor Bonanni.
Qual è il risultato di questo provvedimento, soprattutto di questo articolo 8? Che rompe la coesione sociale, come è già stato detto da altri. Ma dove si vuole andare rispetto alle politiche industriali di ripresa che si vorrebbe mettere in campo se non c'è coesione sociale?
Mai nessun Paese dell'Occidente è riuscito a far ripartire il lavoro, la ripresa economica, la produttività industriale e la produttività del lavoro senza l'accordo tra le parti sociali: imprenditori, sindacati e Governo; invece, questo Esecutivo preferisce «incunearsi» e dividere.
Questa manovra poi, semplicemente, non risana - non sono di nuovo io a dirlo - se è vero, come scrive il Fondo monetario internazionale, e ha più recentemente certificato l'OCSE, con una discrasia forte rispetto a quanto previsto dal Documento di economia e finanza, che la crescita dell'Italia, prevista per il corrente anno all'1,1 per cento, se va bene, sarà dello 0,8 per cento.
Così come sempre nel DEF vi è scritto che la crescita del prodotto interno lordo nel 2012 dovrebbe attestarsi addirittura all'1,6 per cento; è stato detto, ahimè, che probabilmente arriveremo allo 0,5 per cento, e voi mi insegnate, colleghi, che ogni punto percentuale di differenza del prodotto interno lordo, cioè quel famoso denominatore, significa, rispetto al numeratore, una perdita secca, e quindi bisognerà di nuovo mettere le mani nelle tasche dei cittadini; quello, come ho detto in apertura, che ci ha chiesto l'Europa proprio questa mattina.
Ma voi avete pensato bene, finalmente, di fare una seria lotta all'evasione fiscale. Per un momento ci siamo illusi, signor Presidente e presidente della Commissione bilancio. Ci siamo illusi, davvero: pensavo che finalmente aveste cambiato atteggiamento e che, dopo tanti condoni, dopo tanti scudi fiscali, dopo tanti lisciamenti del pelo degli evasori fiscali, vi foste ricreduti. Avete predisposto una norma, annunciata in pompa magna, che prevede le manette per gli evasori.
Ma, ahimè, mi sembra che le cose non stiano così, perché, semplicemente, la norma, così come era stata scritta, era sfuggita di mano ad un signore che sta a Palazzo Chigi, che fa, o meglio, dovrebbe fare di mestiere il Presidente del Consiglio, che si è accorto semplicemente che quella norma andava a penalizzarlo, visto che vi è un accertamento di 16 miliardi, che mancano all'appello, di evasione fiscale. Come si poteva mantenere una norma che dicesse che, oltre i tre milioni di euro, Pag. 19scattano le manette e, soprattutto, si interviene in modo pesante? Così non è!
La versione che abbiamo al nostro esame dice al primo punto che l'ammontare dell'imposta evasa deve essere superiore al 30 per cento del volume di affari e deve essere comunque superiore ai tre milioni. Non è la stessa cosa! Prevedendo una cifra superiore al 30 per cento del fatturato, più alto è il fatturato e più è ovvio che si alza anche il famoso 30 per cento, che diventa 5 miliardi, 10 miliardi, 16 miliardi e oltre.
Quindi, ancora una volta, l'ennesima legge o norma ad personam. Bisognava salvarlo! Lo avete salvato con questa nuova versione. Ecco qui, un altro grande premio ai grandi evasori fiscali. Credo allora che sarebbe opportuno intervenire in altra sede, visto che non avete voluto ascoltare ragione: vi è un emendamento a mia prima firma, però vi è anche una proposta di legge su come mettere al bando le società di comodo, che sono uno degli strumenti utilizzati - lo ricordava prima il collega dell'Unione di Centro - per far sì che le 200 mila e rotte auto di grossa cilindrata e le tante barche ormeggiate nei porti italiani, e anche fuori dell'Italia, abbiano un nome e un cognome vero, e non un prestanome. Occorre obbligare le società di comodo, e vi sono gli strumenti per farlo, a dire chi sta dietro, altrimenti scatta la confisca dei beni. Poi vi è stata la barzelletta che qualche giornale ha anche enfatizzato.
Finalmente il Governo recupera i 4,2 miliardi di euro di rate non pagate da parte di chi ha usufruito del condono tombale del 2002-2003.
Ho provato, in queste ultime ore, ad andare a verificare quante volte il gruppo Italia dei Valori lo ha proposto, attraverso la presentazione di proposte emendative a tutte le manovre finanziarie e di sostegno all'economia fatte in questi ultimi tre anni abbondanti. Sono sette volte che il gruppo Italia dei Valori propone il recupero di 4,2 miliardi di euro.
Finalmente c'è scritto. Non so se lo faremo o lo faranno.

PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Cambursano.

RENATO CAMBURSANO. Signor Presidente, devo già concludere? Ho ancora tante cose da dire.
Signor Presidente, quanto tempo ho ancora a disposizione?

PRESIDENTE. Ha a disposizione ancora trenta secondi.

RENATO CAMBURSANO. Trenta secondi? Allora concludo velocemente.
Signor Presidente, non ho di questi problemi. Taglio il mio intervento, malgrado abbia ancora tante cose da dire davvero.
L'Italia è sola, signor Presidente, di fronte ai suoi problemi. La manovra del 3 per cento del PIL potrebbe non bastare, come ci è stato detto.
Per cancellare l'immagine di incompetenza e di dilettantismo ora occorrono soldi veri, non di carta come quelli previsti dall'attuale manovra.
Ora, permettetemi di concludere davvero citando, come riportato da un importante quotidiano italiano, ciò che ha dichiarato un grande sostenitore del Presidente del Consiglio, tant'è che, addirittura, ha liberamente messo mano al portafoglio per sostenere le sue tante campagne elettorali, Marzotto, il quale dice: «No, non riuscirò mai più a dare il mio numericamente umile consenso alla sua persona.» - è una lettera aperta al Presidente del Consiglio - «Le suggerisco di togliersi dall'attenzione della pubblica opinione».
Esattamente quello che andiamo dicendo da tempo (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Buttiglione. Ne ha facoltà.

ROCCO BUTTIGLIONE. Signor Presidente, vorrei cominciare con una buona notizia, non ne abbiamo avute molte ultimamente.
Meno di un'ora fa, il cancelliere tedesco Merkel, frau Merkel, ha nominato Jörg Pag. 20Asmussen, in sostituzione di Jurgen Stark, come rappresentante tedesco nel consiglio di amministrazione della Banca centrale europea. È un gesto di grande capacità di guida ed anche di amicizia per l'Italia. Jörg Asmussen è noto, infatti, come un amico dell'Italia.
Voi sapete che le dimissioni di Stark sono state date in polemica contro la decisione della Banca centrale europea di continuare a comprare titoli di stato italiani e, quindi, evitare, speriamo, ritardare, temiamo, il collasso finanziario del Paese. Un gesto di amicizia di cui io vorrei pubblicamente ringraziare, in questa sede, il cancelliere Merkel.
Certo che se sono vere le voci che circolano in ambienti non solo giornalistici, ma ormai anche in questo Parlamento, su espressioni inqualificabili, irriferibili, inaccettabili, del Presidente del consiglio contro la signora Merkel, saremmo veramente in una situazione drammatica, ossia nella situazione di chi sputa in faccia a chi ti tende la mano per aiutarti. Mi auguro che queste voci non siano vere e mi auguro di non vederle domani sulla stampa italiana e, peggio, sulla stampa tedesca, avendo passato una parte importante della vita a convincere i tedeschi che gli italiani sono persone serie e responsabili e avendo subito, ultimamente, più di una disfatta. Questo sarebbe davvero insopportabile e inaccettabile.
Perché parlo di questo? Perché, vedete, l'economia è una scienza fatta di numeri, ma non solo di questi.
Dicono che sia stato Amos Tversky il primo a sottolineare l'importanza della psicologia nell'economia. Non è stato il primo, già lord Keynes ne aveva parlato. Ogni banchiere, però, anche prima di Keynes lo sapeva benissimo.
Chi di voi ha avuto modo di partecipare ad un processo di ristrutturazione industriale, tentando di salvare i posti di lavoro, ricorderà che vi sono dei momenti in cui il banchiere, quello che ci mette i soldi, dice: mettete da parte il piano che ci avete presentato, noi di quell'amministratore delegato non ci fidiamo. E quando ti dicono che dell'amministratore delegato non si fidano, tu hai una sola scelta: cambiare amministratore delegato. Ora io non voglio fare polemica politica. Non so se la caduta drammatica di fiducia nel Governo italiano, che si sta sperimentando in Europa, sia colpa di Berlusconi. Forse è colpa sua, Presidente Bindi, forse è colpa mia, forse è colpa dell'Italia dei Valori, o dell'onorevole Tassone...

MASSIMO VANNUCCI. Sarà dell'onorevole Tassone!

ROCCO BUTTIGLIONE. Non so di chi sia la colpa, però la caduta di fiducia è un dato di fatto (Tassone è quello che raccoglie più consensi). Comunque, che questa drammatica caduta di fiducia vi sia è un dato di fatto, non è un oggetto di attacco politico ed in questi casi l'unica cosa da fare è dare le dimissioni. Un uomo politico deve mettere il bene del Paese avanti al proprio interesse personale e, quando capisce che - non per colpa sua - non gli è permesso fare il bene del Paese, deve dare le dimissioni. Io mi sono trovato in una drammatica situazione analoga - qualcuno di voi la ricorderà - e sono convinto di avere avuto ragione allora e di avere subito un'inqualificabile discriminazione. Tuttavia, l'unica cosa che potevo fare per il bene del Paese era dare le dimissioni. Dunque, bisogna avere il coraggio di dare le dimissioni.
Non è un attacco politico, ma la constatazione di un dato di fatto: dove non c'è fiducia, non si può andare avanti. E, allora, c'è fiducia? Diciamoci l'amara verità: questa manovra è già stata bocciata dai mercati prima ancora di essere stata approvata. Voi tutti conoscete le notizie di oggi (aumenta il differenziale fra i tassi di interesse tedeschi e quelli italiani e crolla la borsa). L'effetto è già mancato: la manovra è stata bocciata prima ancora di essere approvata.
Si può fare un'obiezione: siamo all'interno di una crisi mondiale. Verrò a quest'obiezione, che ha del vero. Non è infatti tutta la verità, ma ha del vero. Tuttavia, il dato di fatto è che, per dire che la manovra è riuscita, non basterebbe dire Pag. 21che non aumenta il differenziale. Bisognerebbe poter dire che il differenziale viene ridotto. Perché ridotto? Il debito pubblico è scadenzato nell'arco di una decina d'anni e ogni anno se ne rinnova una parte. Se noi volessimo rinnovare tutto il nostro debito pubblico ai tassi di interesse che oggi ci offre il mercato, saremmo tecnicamente falliti e saremmo tecnicamente falliti con questi tassi di interesse, non già con tassi di interesse più alti: con questi tassi di interesse, saremmo falliti.
Ed, allora, io accuso il Governo, prima di tutto, di non avere detto la verità al Paese e di non avere enfatizzato le dimensioni del problema davanti al quale ci trovavamo e che erano chiare già dall'inizio dell'anno. All'inizio dell'anno io sono andato a trovare degli amici in Germania e ho parlato con persone rilevanti dell'economia, della politica tedesca ed anche della Banca centrale europea. Ho difeso il mio Paese, sostenendo che i fondamentali dell'Italia non sono tanto cattivi. Ed è vero: i fondamentali dell'Italia sono cattivi, ma in un momento in cui lo sono i fondamentali di tutti, non sono poi tanto cattivi.
La crisi finanziaria, che c'è nel mondo, è una crisi non di debito pubblico, ma di debito privato. La Spagna e l'Irlanda sono Paesi molto più disciplinati dell'Italia nella tenuta del debito pubblico, però avevano un debito privato molto elevato e per comportamenti truffaldini del sistema finanziario - diciamo la verità - hanno dovuto comprare, ovvero hanno dovuto nazionalizzare, le perdite delle loro banche. Dunque, per impedire che le banche fallissero e trascinassero tutto il sistema economico, hanno dovuto mettersi in carico i debiti del loro settore privato. Questo all'Italia non è successo, perché il settore privato italiano, ovvero le banche italiane, sono abbastanza solide. Sono state in ritardo nel cammino dell'internazionalizzazione e qualcuno le ha rimproverate per questo. Io ricordo tutta la grande stampa economica italiana che rimproverava il sistema bancario italiano perché era in ritardo sul cammino dell'internazionalizzazione. Le nostre banche parlavano «dialetto», non parlavano inglese, per fortuna, ed hanno continuato ad investire - molte, non tutte - per finanziare lo sviluppo degli artigiani, degli imprenditori, dei coltivatori diretti e della gente. Non hanno giocato i soldi alla roulette russa di Wall Street e gli è andata bene: non hanno subito la crisi.
Pensate alle banche popolari, che hanno fatto aumentare la loro quota del mercato bancario italiano dal 30 al 40 per cento. Ricordo che qualcuno le banche popolari le voleva abolire. Le difesi io quando abbiamo realizzato a Bruxelles la direttiva sulle offerte pubbliche di acquisto.
Quindi, è vero, nel sistema Italia i fondamentali non sono così cattivi; è alto il deficit, ma è più alto in altri Paesi: in Francia è molto più alto, in Gran Bretagna è molto più alto. È alto il debito pubblico? È alto, ma negli ultimi anni il differenziale tra il debito pubblico medio europeo e il debito pubblico italiano non è aumentato, è diminuito. Noi eravamo a 110 e loro a 65. Noi siamo a 120 e loro sono a 80-85 (a seconda).
Dunque, i fondamentali non sono tanto cattivi. Spiegavo queste cose ai miei amici tedeschi per difendere il mio Paese, e sapete la risposta che ho avuto? Sì, è vero, hai ragione, ma vi sono due «ma»: il primo è un problema di affidabilità politica, non ci fidiamo, non ci fidiamo.
Ricordate come è iniziata l'ultima ondata della crisi? Il Popolo della Libertà perde le elezioni locali, Berlusconi dice: ridurrò immediatamente le tasse per riguadagnare i voti che ho perso, per comprare il consenso che ho perduto. Davanti a questa affermazione i mercati si sono scatenati, e gli date torto, conoscendo la situazione?
E poi, il Ministro Tremonti, con il quale ho molte volte polemizzato, tuttavia è riuscito a guadagnare dal punto di vista tecnico grande prestigio in Europa. Questa battaglia combattuta all'interno del Governo per abbattere il prestigio di Tremonti ha avuto risultati cattivi per il Paese. Ho mille critiche da fare a Tremonti, che sono poi anche critiche alla Pag. 22debolezza politica del Governo che non gli ha consentito di fare altro rispetto a quello che ha fatto, cioè una gestione tecnicamente impeccabile del debito pubblico. Tuttavia era una difesa, aveva una certa credibilità. Qualcuno questa credibilità l'ha abbattuta, e il risultato è che siamo rimasti totalmente scoperti.
Quindi, c'è un problema di mancanza di affidabilità politica. Questo riguarda anche il modo in cui si è fatta la manovra. Io non vi parlerò delle quantità della manovra, perché il modo è più importante delle quantità. Se il giorno in cui la manovra è stata presentata ci fosse stato un consenso corale nel dire «bene, siamo pronti a fare questi sacrifici, anzi siamo pronti a farne di più, se necessario, perché vogliamo difendere ad ogni costo il ruolo del l'Italia nel mondo», se dunque ci fosse stato lo spirito del Piave (questa è una frontiera che noi difenderemo e non crollerà), l'impatto sull'opinione degli altri Paesi e l'impatto sui mercati sarebbero stati di molto più elevati. Infatti, per i mercati non contano solo le quantità, contano la credibilità, la determinazione, la volontà di farcela.
Invece, cosa è successo? Appena è stata presentata la manovra il principale alleato di Governo ha cominciato con il dire: no, questo non si tocca, questo neppure, questo neanche. È cominciata una guerra per indebolire la manovra (che era fatta male, peraltro). Ognuno di noi giustamente lavora in una Commissione, conosce i problemi di un settore del Paese e gli fa male al cuore vedere macellati interessi legittimi da una manovra come quella che è stata fatta (che ha macellato interessi legittimi). Tuttavia, quello non era il momento di difendere interessi legittimi (anche); non gridando ma discutendo, era il momento di gridare tutti assieme: viva l'Italia, ce la faremo, non c'è dubbio che pagheremo i nostri debiti.
La maggioranza ha dato uno spettacolo penoso di disunione. Devo dire che anche l'opposizione non ha brillato, perché in un momento così bisognava andare in piazza per dire «vogliamo una manovra più forte», non per tentare di tagliare un altro pezzo di manovra. A prescindere dalle valutazioni del singolo provvedimento che possono essere giuste o sbagliate, cerchiamo di guardare l'Italia con gli occhi di chi sta fuori d'Italia, da cui però noi dipendiamo nel momento in cui dipendiamo dal credito cioè dalla fiducia che loro ci danno.
Immaginate voi di dover prestare denari all'Italia e di vedere che metà del Parlamento lavora tra alte grida e lai per indebolire la manovra, e l'altra metà pure.
Date fiducia ad un Paese così? Ringraziamo Dio che abbiamo il Presidente della Repubblica perché, nel momento in cui la manovra era a brandelli, cioè ridotta a quantità impresentabili, il Presidente della Repubblica ha parlato e, in un modo o nell'altro, sia pure in una maniera molto discutibile, noi abbiamo messo dentro un punto di IVA e la manovra ha riacquistato una dimensione quantitativa plausibile, o meglio appena plausibile, perché dei cosiddetti 54 miliardi della manovra, se andate a guardare bene, vedrete che buona parte sono presunzioni, ipotesi, speranze, desideri del pensiero. Noi ci auguriamo che il recupero sull'evasione fiscale sia tale e quale la manovra dice, anzi non è proibito sperare che sia più ampio di quello che la manovra dice; ma che certezza c'è che questo avvenga? I Paesi seri fanno la lotta all'evasione, ma non scrivono in anticipo in bilancio i risultati della lotta all'evasione. Li scrivono dopo e, in genere, li usano per abbassare le entrate.

REMIGIO CERONI, Relatore per la maggioranza. L'ha fatta prima il Governo Prodi!

ROCCO BUTTIGLIONE. Lei, collega, sta adducendo esempi cattivi, e spero che non la sentano in Germania perché loro diranno, non che questo Governo è virtuoso, ma che gli italiani tutti non sono credibili, mentre adesso dicono soltanto che questo Governo non è credibile. Non lo dica, per favore, già abbiamo poca credibilità, la diminuiamo ulteriormente.
Vi è un problema drammatico di affidabilità politica. Questa è una questione Pag. 23che non è possibile eludere. I nostri creditori non ci credono e non ci danno fiducia, e finché noi non cambiamo la formula politica, il personale politico, il Governo che parla con loro, non ci daranno fiducia. Per colpa del Capo del Governo? Per colpa del Capo del Governo, ovviamente, ma non solo.
Noi abbiamo bisogno di un Governo fortissimo, che sia in grado di chiedere sacrifici veri, forti, al Paese, dicendo, però, credibilmente che, dopo tali sacrifici, svolteremo l'angolo e ci sarà la ripresa della crescita. Infatti, l'altra cosa che mi hanno sempre detto è che abbiamo, oltre al problema della credibilità politica, anche quello della crescita, ossia ci dicono che non cresciamo.
Quanti anni sono che il nostro Paese non cresce? Sono 16-17 anni. Noi cresciamo mediamente un punto in meno degli altri Paesi dell'Eurozona e, quando l'Eurozona perde, noi perdiamo mediamente un punto in più dell'Eurozona stessa. Noi non cresciamo, così ci dicono. Se voi dovete fare credito a qualcuno e questo qualcuno ha molti debiti, però ha fatto degli investimenti che stanno rendendo e, quindi, gli entrano tanti soldi, voi gli fate credito più facilmente. Se ha un buon aumento di stipendio, gli fate credito più facilmente. Se, invece, vedete che i suoi redditi non crescono, ma diminuiscono, vi ponete la domanda: ma alla lunga come farà per pagare senza ridurre alla fame i suoi figli? E, quando riduce alla fame i suoi figli, poi che succede? Non si può chiedere ad uno di morire per pagare i debiti; farà fallimento.
Noi abbiamo il problema che questo Paese non cresce e questa manovra, come, peraltro, le manovre precedenti, ha una logica solo contabile e mira soltanto a tappare i buchi del bilancio, ma, per la crescita del Paese, non c'è niente.
Dovremmo essere più duri, più severi, chiedere più sacrifici al Paese, in modo, non solo da tappare i buchi, ma anche da riguadagnare quella dimensione finanziaria che ci consente di investire. Questo è un Paese che non investe più. Gli investimenti pubblici in questo Paese sono al lumicino, non da oggi, ma mai così tanto come oggi.
Sapete quanto investiamo? L'1,6 per cento del bilancio dello Stato è dedicato agli investimenti. Ripeto: 1,6 per cento. Abbiamo pagato l'ingresso nell'Eurozona tagliando gli investimenti e non la spesa corrente; abbiamo pagato, negli anni di questo Governo, l'ottimismo del Governo medesimo che non voleva mettere le mani nelle tasche degli italiani. In effetti, non ha messo le mani nelle tasche degli italiani però ha lasciato gli italiani, prima senza quegli investimenti che ti consentono di essere competitivo in un mondo sempre più difficile - ti pare che non la paghi lo stesso, la paghi peggio -, poi, sempre per non mettere le mani nelle tasche degli italiani, ha tagliato i bilanci degli enti locali che dovranno, loro, non il Governo, ma loro, privare gli italiani di servizi essenziali o dovranno mettere le mani nelle tasche degli italiani.
E alla fine, ciò nonostante, il Governo ha messo le mani nelle tasche degli italiani. Non è con gli slogan che si fa una politica guidata al bene del Paese.
Allora, quelli sono i due problemi: la mancanza di affidabilità politica e la crescita. Ovviamente, questa manovra non interviene né sull'uno né sull'altro problema. Questa manovra ci dà un poco di respiro, ma bisogna utilizzare bene questo respiro, dando corso ad una nuova politica.
Certo, come è stato notato dal collega, la crisi ha una dimensione europea, però c'è una dimensione italiana dentro la crisi. C'è la crisi europea e poi c'è la crisi italiana che aumenta la crisi europea e che costituisce un ostacolo anche a risolvere la crisi europea. Abbiamo adesso una crisi di deficit e di debito degli Stati che non nasce così, però lo diventa quando vengono nazionalizzati i debiti. Nel caso italiano no: c'era già prima. Che fare?
La cosa più ragionevole da fare - ed è la politica che il Governo italiano dovrebbe sostenere con più energia in Europa - è di andare verso la formazione di un debito pubblico europeo, un fondo di Pag. 24garanzia degli Stati. È stato proposto ma non ancora realizzato. La Banca centrale europea sta sostituendo un altro organo che dovremmo mettere rapidamente in posizione: un fondo di garanzia per gli Stati il quale emetta proprie obbligazioni garantite da tutti i Paesi dell'Unione insieme, con garanzia congiunta. Facendo questo avrebbe i soldi a tassi d'interesse bassi; potrebbe comprare debito pubblico dei Paesi in difficoltà garantendo, a sua volta, a questi Paesi, di comprare a tassi di interesse ragionevoli. Potrebbe, quindi, dare loro la possibilità di rientrare dalla loro esposizione. Questo è il progetto - potete chiamarlo eurobond, potete chiamarlo con un altro nome - ma il concetto è questo.
Perché la Germania si oppone con tanta forza a questa ipotesi? È semplice. Loro dicono: ma alla fine paghiamo noi. Non è vero che pagano loro, loro ci mettono una garanzia. Si assumono un rischio. Per far loro accettare il rischio dobbiamo mostrare che è un rischio limitato e, quindi, dobbiamo andare avanti nel processo di integrazione europea.
Va bene scrivere nella Costituzione il vincolo del pareggio di bilancio. Scriviamolo bene però, perché scrivendolo male corriamo rischi gravissimi. Se lo si scrive troppo rigido «ci si impicca», come ha fatto Obama (avete visto, poverino, che brutta difficoltà ha dovuto superare). Se lo si scrive in un modo troppo lasso non ci crede nessuno. Allora, bisogna scriverlo bene, con grande attenzione. Va bene scrivere in Costituzione il vincolo di bilancio, ma non basta.
Bisogna prendere sul serio l'esame comune dei bilanci. Avere una politica di bilancio comune europea la quale definisca il deficit ammesso per ogni Paese dentro una visione concertata europea.
Abbiamo bisogno - qui tocchiamo l'altra questione della crescita - di porre in atto politiche della crescita. Forti politiche italiane della crescita dentro forti politiche europee della crescita.
Infatti, c'è la crisi finanziaria, ma c'è la crisi economica. Sapete da cosa nasce la crisi economica? Da un dato banale: questi anni, che per noi sono anni brutti, per il mondo sono anni belli. Miliardi di persone abituate a morire di fame si stanno abituando a mangiare. È la globalizzazione, che significa che chi prima moriva di fame adesso lavora. E cosa fa? Fa le magliette, fa il tessile, fa la carpenteria metallica leggera, produce merci che richiedono tanto sforzo fisico, salari bassi e pochi investimenti di conoscenza. Ahimè l'Italia, nella divisione internazionale del lavoro, produceva quelle merci. Dunque, abbiamo un problema in Italia e in Europa di imparare a fare altre cose, di crescere in settori ad alto livello tecnologico: nuovi materiali, nuove fonti di energia, le biotecnologie. C'è una rivoluzione in corso nel mondo, una rivoluzione della conoscenza e in questa rivoluzione ci dobbiamo collocare.
È qui che dobbiamo creare i nuovi posti di lavoro, se vogliamo pagare salari maggiori rispetto a quelli che pagano i cinesi: infatti, in ordine al costo del lavoro, la Cina, l'India, il Brasile ci distruggono. È qui che bisogna investire. Noi abbiamo bisogno di «tirare la cinghia» non solo per pagare i debiti, ma anche per creare quel surplus che può essere investito. E ci credono di più, se vedono che investiamo e creiamo le condizioni per uscire effettivamente dalla difficoltà. Un Paese che non investe, e soprattutto un Paese che non investe sui giovani e sulla conoscenza, è perduto.
Nel marzo dell'anno 2000, i Capi di Stato e di Governo dell'Unione europea si sono riuniti a Lisbona e hanno detto tutte cose giuste: si tratta del cosiddetto processo di Lisbona. Con riferimento all'economia della conoscenza, hanno detto: entro dieci anni, vogliamo diventare l'economia della conoscenza più importante del mondo. È un proposito lodevole, ma di buone intenzioni, come voi sapete, è lastricata la via dell'inferno: non abbiamo fatto nulla.
Qual è la causa? Abbiamo adottato un metodo sbagliato: il cosiddetto processo di coordinamento aperto. Cosa vuol dire? Vuol dire che, una volta l'anno, ci incontriamo e ci raccontiamo tutte le belle cose Pag. 25che avremmo dovuto fare, senza poi spiegare che, invece, non le abbiamo fatte.
Noi dobbiamo ripartire dal processo di Lisbona a livello europeo, con un processo di coordinamento non aperto, ma chiuso, che preveda sanzioni per quei Paesi che non sono all'interno del progetto. Se un Paese non spende il 3 per cento del PIL in ricerca, deve subire adeguate sanzioni in modo da costringerlo a farlo, perché quella è la salvezza. Se un Paese non crea infrastrutture logistiche adeguate in tempi ragionevoli, deve subire sanzioni. Infatti, come si batte la Cina? Con infrastrutture materiali ed immateriali che la Cina non ha. Questa è la sfida del nostro futuro. Di questo, nella manovra in oggetto, non ho trovato nulla, assolutamente nulla.
Allo stesso modo, non ho trovato nulla per quanto concerne la politica della ricerca di questo Governo, con riferimento alla quale il Ministro Gelmini ha molte buone idee e molte buone intenzioni. Nel mondo della scuola c'è da risparmiare, ma poiché tutti i risparmi realizzati non vengono reinvestiti, bensì portati via, è chiaro che non si può fare granchè. Pertanto, su questa sfida, rimaniamo in ritardo.
Io vi dico che se i mercati vedessero che realizziamo queste misure, ci guarderebbero con un occhio migliore, con maggiore amicizia. Naturalmente, abbiamo bisogno anche di intervenire sulla crisi finanziaria come Europa, ma vedo il Governo italiano tiepido.
Tempo fa - credo che sia stato il primo -, in una relazione alla Pontificia accademia delle scienze, proposi l'idea di una tassa sulle transazioni finanziarie. È una tassa che crea un attrito, che rende più difficile aggregare i capitali necessari per le grandi operazioni speculative e che dà un reddito notevole: infatti, è così piccola da non essere sentita dall'operatore normale - ad esempio, lo 0,01 per cento -, ma è abbastanza alta da creare questo effetto di ostacolo alle speculazioni.
Si è parlato del divieto di assicurazione sul rischio altrui. Perché la Grecia non può fare fallimento? In fondo, si tratta di 320-330 miliardi di euro: il sistema assorbirebbe il fallimento della Grecia, ma vi sono 3.300 miliardi di euro assicurati contro il rischio del fallimento greco. Si tratta di assicurazioni speculative stipulate sul rischio di un altro, non sul rischio proprio. Simili contratti andrebbero vietati: in Europa se ne sta parlando, ma il Governo italiano non vede con favore queste misure.
Inoltre, vi è il problema di una vigilanza bancaria europea da rafforzare e di una collaborazione per la vigilanza bancaria a livello internazionale da costruire: con riferimento a questi temi, non vedo un intervento adeguato. Si tratta di misure da realizzare per rendere ragionevole la creazione dei cosiddetti eurobond, mettere in sicurezza il debito dei Paesi a rischio dell'Unione e «tagliare le unghie» alla speculazione. Vorrei, comunque, ricordare che la tassa sulle transazioni già taglia le unghie alla speculazione, perché la pagano gli speculatori.
Non siamo degli ingenui, sappiamo benissimo che l'Italia non può realizzare tutto ciò: queste cose devono essere realizzate, come minimo, a livello europeo, ma in realtà anche coinvolgendo gli Stati Uniti e le altre grandi piazze finanziarie mondiali.
Che fare? Bene l'idea di una revisione della spesa di tutti i ministeri in modo da tagliare i veri sprechi e non andare avanti con il sistema dei tagli lineari, perché c'è ancora del grasso da asciugare nel bilancio dello Stato. Questa è una misura che, credo, noi dobbiamo favorire. Ci sono da fare alienazioni di patrimonio e tagli sostanziali della spesa pubblica, ma bisogna anche ripensare lo Stato, ridurre i compiti dello Stato. È necessario dire che certe cose lo Stato non è in grado di farle perché, altrimenti, avremo uno Stato che vuole fare troppe cose ma non è in grado di farne nessuna.
Inoltre, a parte gli investimenti infrastrutturali di cui ho parlato, noi dobbiamo dire con chiarezza che i poveri devono lavorare di più e quindi che va fatta una vera riforma delle pensioni sulla base di un principio: uno prende in proporzione a quello che ha dato. Occorre che ci sia una relazione sostenibile tra i contributi versati Pag. 26nell'arco della vita e i contributi prelevati dopo che si va in pensione. Certo che se noi, come Camera dei deputati, non riformiamo il sistema delle nostre pensioni, adottando noi stessi questo principio, è difficile che abbiamo l'autorevolezza per sostenere questo davanti alla gente.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

ROCCO BUTTIGLIONE. Mi avvio a concludere signor Presidente, aggiungendo una ultima cosa: i ricchi devono pagare di più. L'imposta patrimoniale, fatta bene, pensata bene, non ho il tempo di spiegare come, non è una cosa impossibile, non è una cosa ingiusta. I poveri devono lavorare di più, i ricchi devono pagare di più; bisogna distribuire in modo equo i sacrifici.
Tuttavia, per fare questo abbiamo bisogno di credibilità, di un Governo forte, di un Governo affidabile, di un Governo in cui l'Europa possa credere, sostenuto da un'ampia, amplissima maggioranza parlamentare, un Governo diverso da quello che ci governa (Applausi dei deputati dei gruppi Unione di Centro per il Terzo Polo e Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Marchi. Ne ha facoltà.

MAINO MARCHI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor rappresentante del Governo, siamo qui per esaminare l'ennesima manovra economico-finanziaria di questo Governo, la seconda manovra estiva nel giro di poche settimane, con messaggi contraddittori che il Governo e la maggioranza hanno inviato al Paese, al mondo, ai famosi mercati. Tutti ricordano la rapidità con cui si approvò la prima manovra estiva, chiedendo alle opposizioni, che a ragione non la condividevano, di lasciarla approvare in pochi giorni, a cui seguirono le comunicazioni del Presidente del Consiglio dei ministri al Parlamento il 3 agosto: tutto ok, nulla da cambiare. C'è un episodio dello stesso giorno che dà il senso delle contraddizioni: regioni e Governo discutono sulla attuazione dei ticket nella manovra, le regioni avevano chiesto la tassa sul fumo al posto dei ticket; i Ministri Fitto e Fazio sembravano d'accordo ma il 3 agosto rispondono di «no» perché Tremonti dice che non si può cambiare nulla della manovra appena approvata, sarebbe un messaggio negativo per i mercati. Il 5 agosto segue una conferenza stampa per dire l'esatto contrario di quanto sostenuto fino a quel momento, sotto dettatura della BCE.
Su quest'ultima manovra avete fatto un po' finta di voler discutere con le opposizioni; di fatto, era talmente difficile mettervi d'accordo fra di voi che ben poco, in fatto di dialogo vero, è stato possibile. Qui alla Camera la manovra giunge blindata, nessun cambiamento, nemmeno su quel punto su cui l'azione del Governo meriterebbe la stessa definizione che il ministro Calderoli diede alla legge elettorale da lui stesso scritta: mi riferisco al taglio dell'indennità dei parlamentari con altri redditi da attività lavorativa. Il Governo inserisce la norma nel decreto-legge, fa grandi annunci di svolte epocali, in Commissione Bilancio al Senato nessun cambiamento, nel maxiemendamento con fiducia, il Governo cambia e riduce il taglio, e poi, il Presidente del Consiglio dei ministri fa scrivere ai suoi giornali che la casta si fa lo sconto, pensando che così sia soprattutto l'elettorato di centrosinistra a indignarsi verso tutti e soprattutto verso le forze del centrosinistra. È un'indecenza. Con il voto in Commissione Bilancio sugli emendamenti dell'opposizione per ripristinare il taglio il giochino è scoperto. Non solo il Governo, ma tutta la maggioranza, Lega Nord Padania compresa, hanno confermato la scelta del maxiemendamento; quindi voi e solo voi avete fatto quella scelta.
Naturalmente non è possibile nessun cambiamento dell'articolo 8, esempio eclatante di come il Governo stia utilizzando questa drammatica crisi per obiettivi politici che con la crisi, le manovre finanziarie, il pareggio di bilancio non c'entrano nulla. Anche in altre fasi il Paese ha attraversato momenti di crisi grave, penso al 1992: una crisi economica, politica, Pag. 27istituzionale e morale. Una delle risorse su cui si fece leva per superarla fu la coesione sociale, il patto, l'accordo tra le parti sociali, tra Governo e parti sociali.
Lo fecero i Governi Amato e Ciampi. Il 28 giugno vi è stata un'importante intesa fra le parti sociali, senza il Governo. Un Governo responsabile dovrebbe valorizzare quell'intesa, e invece che fa? Usa un decreto-legge per introdurre elementi di divisione tra le parti sociali e, infine, infila nel decreto-legge l'articolo 8, che nulla c'entra con la manovra. È da irresponsabili. L'ha richiesto la BCE? Fateci finalmente vedere la lettera e chiedete eventualmente alle parti sociali di ragionare, non adottate decisioni unilaterali.
Ho iniziato da questi aspetti perché vi è un primo problema, tutto politico: il Governo chiederà la fiducia ancora una volta, anche se, non mettendola, si sarebbe potuto chiudere un giorno prima alla Camera e, anche con modifiche, chiudere con l'eventuale terza lettura al Senato negli stessi tempi. Quindi il Governo metterà la fiducia; qui, probabilmente, l'otterrà. La maggioranza è in condizioni precarie da almeno un anno ed è in difficoltà su ogni passaggio, però vive con la fiducia. Ma fuori di qui che fiducia avete? L'avete nel Paese? Le elezioni amministrative, nei ballottaggi, ve l'hanno negata, a partire da Milano; le vostre politiche sono state sconfitte al referendum (e quanto successo oggi in Francia in una centrale nucleare conferma le ragioni del «sì»); i sondaggi vi danno in minoranza; le forze sociali cominciano a chiedere altro; il Paese aspetta solo che ve andiate.
Avete fiducia nel mondo? Rischiamo di essere considerati o una specie di barzelletta o una zavorra, non siamo più protagonisti in Europa. Avete fiducia da parte dei mercati? I mercati non credono alle vostre manovre, e anche oggi hanno dato riscontro, purtroppo negativo, con gli spread a livelli insostenibili. Quindi avete una fiducia qui dentro, per sopravvivere come Governo, ma non avete quella che serve per portarci fuori dai guai, per governare davvero, per guidare il Paese. La prima manovra che serve all'Italia è un passo indietro del Presidente del Consiglio, o lasciando spazio ad un altro Governo che abbia l'autorevolezza per le riforme che servono - tra cui quella elettorale, per portarci fuori dall'emergenza economica e democratica -, un Governo di transizione, o andando subito alle elezioni.
Continuare così fino al 2013? Sarebbe una tragedia per il Paese, da irresponsabili. Riuso questo termine perché l'opposizione è sempre chiamata a prove di responsabilità, e le dà continuamente, poi la maggioranza fa l'opposto: dopo un decreto-legge fatto per correggerne uno appena approvato ci voleva un po' di silenzio, ma dal 13 al 29 agosto vi è stato un continuo bailamme nella maggioranza, con una discussione tutta in piazza e il 29 agosto, poi, un accordo ai massimi vertici che è durato meno di 48 ore. Ma che immagine avete dato al Paese, al mondo e ai mercati? Per non parlare del maxiemendamento, che cambia quanto approvato in Commissione Bilancio al Senato.
Venendo ai contenuti della manovra, un primo elemento è l'assenza di qualunque aggiornamento del quadro di riferimento. Poco più di quattro mesi fa il Documento di economia e finanza ha definito un quadro programmatico, che oggi non ha più alcun riscontro, in particolare per quattro aspetti. Primo: era prevista una crescita sempre oltre l'1 cento del PIL, e che al termine del periodo considerato si stabilizzava sul 2 per cento. Tutti i recenti dati ci danno stime ben al di sotto (circa la metà), nell'ultimo trimestre è addirittura ricomparso il segno meno: con questa tendenza viene messo in discussione il pareggio di bilancio e, quindi, l'obiettivo essenziale della manovra. Non pensa il Governo di dover aggiornare il Documento di economia e finanza e dire al Parlamento e al Paese l'effetto di questa nuova situazione?
Secondo aspetto: si ipotizzava il pareggio di bilancio nel 2014 con una manovra da circa 40 miliardi, ora si prevede l'obiettivo del pareggio nel 2013, e la manovra è di 60 miliardi di euro nel 2014 e già nel 2013 di 54 miliardi. Nonostante questo, Pag. 28continuamente si parla di un lavorìo tecnico su ipotesi di ulteriori interventi. Non pensa il Governo che questa condizione di instabilità perenne necessiti di un aggiornamento del DEF?
Terzo aspetto: la manovra da 40 miliardi di euro era ipotizzata tutta su tagli di spesa, ora è da 60 miliardi, ma 40 miliardi sono di maggiori entrate. Non è un cambiamento tale da necessitare un aggiornamento del DEF?
Infine, quarto aspetto: i calcoli della Corte dei conti indicano che, conseguentemente, la pressione fiscale arriverà al 44,5 per cento, un livello mai raggiunto, e che si supererà, in quanto è un calcolo al netto degli ulteriori aumenti di tasse che decideranno le regioni e gli enti locali.
Il Governo delle meno tasse per tutti è diventato il Governo delle tasse, in particolare più tasse per chi le paga già, perché venti di queste maggiori entrate deriveranno dalla delega fiscale e assistenziale. Se foste coerenti con le vostre promesse elettorali, dovreste dimettervi subito dopo l'approvazione della manovra e comunque anche questo richiede un aggiornamento del DEF. Non stiamo ponendo questioni burocratiche, è che si va avanti alla giornata, al buio, senza che nemmeno il Governo abbia idea di cosa stia succedendo. È ancora più necessario un aggiornamento del DEF perché a questo punto, a questa situazione, non ci siamo arrivati per caso, ci siamo arrivati anche e soprattutto per le politiche di questi anni che hanno molti elementi di continuità con queste manovre, politiche che ci hanno visto in dissenso sempre, anche quando vi era molto consenso su di esse.
Certo, c'è la crisi economica mondiale, non è colpa vostra né ve l'abbiamo mai data, anche se in parte l'avete perché questa crisi è figlia di un'economia della finanza che ha svalorizzato produzione, lavoro e impresa, di un aumento delle disuguaglianze, della concentrazione delle ricchezze, tutte cose a loro volta figlie di ideologie liberiste che fanno parte del patrimonio e della cultura politica delle forze di maggioranza. Ma la vostra maggiore colpa è di avere sempre minimizzato gli effetti della crisi. Non sto a riprendere il lungo elenco dei vostri slogan, di fatto vi attendevate che passasse la nottata e tutto riprendesse come prima. Era evidente che non sarebbe stato così e avete dimostrato poca preveggenza, nonostante tutte le lezioni filosofiche che il Ministro Tremonti ci ha impartito.
Il vostro primo atto di Governo in questa legislatura è lo stesso che avevate promesso alla fine della campagna elettorale non del 2008, ma del 2006, l'abolizione dell'ICI, mentre eravamo già in una situazione economica del tutto nuova. Poi c'è l'Europa. Certo l'Europa politica non c'è e quella economica è a metà del guado ma, se è così, voi che parte avete giocato fino a pochi anni fa? Quella di chi optava per l'Europa minima, indispensabile. Poi c'è il debito pubblico, un debito pubblico rispetto al PIL sempre calato con i Governi di centrosinistra e sempre cresciuto con quelli di centrodestra, con Berlusconi e Tremonti. E chi ci ha detto fino a metà anno che l'Europa avrebbe considerato anche il risparmio privato, la condizione delle banche, l'indebitamento delle imprese e di non preoccuparci eccessivamente? Sempre voi, ma così non è stato e ora lo spread è l'elemento essenziale a cui si guarda ogni giorno. Ma lo spread rimanda ai mercati, i quali si reggono sull'aspettativa e sulla fiducia e non hanno più fiducia di voi, non si fidano di una manovra che ha sempre 20 miliardi di euro non definiti su 60 e altre entrate quanto meno non certe.
Ma - lo ripeto - qui ci siamo arrivati soprattutto per le scelte di politica economica di questi anni e che ritroviamo in questa manovra. Innanzitutto, il continuare pervicacemente ad operare solo sulla finanza pubblica in senso stretto, con tagli che massacrano il welfare e tasse che colpiscono in primo luogo chi le paga già, con manovre quindi recessive. Il Partito Democratico e l'opposizione hanno sempre sostenuto che le manovre devono avere tre elementi: risanamento, crescita ed equità. Crescita perché se non cresce il denominatore, Pag. 29il PIL, dovremo sempre rincorrere la situazione con una manovra dietro l'altra.
Ci sarà pure un rapporto tra il fatto che questo è il Paese che nell'ultimo decennio, su 170 Paesi, è cresciuto meno di tutti, salvo Haiti, che siamo calati oltre il 6 per cento più degli altri Paesi europei nei due anni di massima crisi, 2008 e 2009, e cresciuti più lentamente degli altri in seguito, tanto che a fine 2010 il nostro PIL nominale era pari a quello del 2007 e quello reale era pari a quello del 2002. Ci sarà pure un rapporto tra questi aspetti e le scelte di chi ha governato otto degli ultimi dieci anni.
Questo Governo non ha mai messo nulla sulla crescita, né in questi tre anni né con le ultime manovre. Il sottosegretario Giorgetti nella replica in Commissione Bilancio ha sostenuto che si sono investiti 40 miliardi di euro dal 2008 nella crescita, ora il Ministro Tremonti dice che si deve fare il tagliando della crescita. Ebbene, fatelo iniziando da un rendiconto serio sulle politiche industriali. Avete sostenuto la ricerca? No, avete tagliato il credito d'imposta e poi fatto il giochino dell'annuncio del credito pari al 90 per cento quando di fatto, se va bene, è meno del 15 per cento. Avete sostenuto il Mezzogiorno? No, avete chiuso di fatto il credito di imposta per gli investimenti e svuotato il FAS. Avete fatto investimenti per le infrastrutture? No, il taglio maggiore per la spesa pubblica è stato al centro sulla spesa in conto capitale e poi avete impedito gli investimenti di regioni ed enti locali con il Patto di stabilità interno.
Avete fatto liberalizzazioni? Neanche una. Avete fatto politiche energetiche fallite con buio totale sulle prospettive e la Robin tax colpisce anche le energie alternative. Avete fatto politica industriale e di settore? No: avete semplicemente demolito quelle del Governo Prodi, in particolare il progetto Industria 2015. Avete sostenuto il lavoro o fatto politiche per il lavoro? No: il Ministro Sacconi è occupato a tempo pieno a dividere i sindacati. Avete fatto spot e annunci? Sì, tanti e continuate a farne.
Il Partito Democratico ha presentato una contromanovra all'insegna del «paghi di più chi ha di più», ma è una manovra più ampia di 65 miliardi con 18 miliardi per la crescita. Ci sono provvedimenti per la crescita che abbiamo proposto che non costano, come le liberalizzazioni per la distribuzione dei farmaci, della filiera petrolifera, delle assicurazioni auto, dei servizi bancari, delle reti energetiche, come misure di liberalizzazione dei servizi professionali e anche liberalizzazioni, ma non privatizzazioni forzate, dei servizi pubblici locali.
In questo decreto-legge non c'è nulla di questo, ma una provocazione agli elettori, che viene definita «adeguamento al referendum». Riproducete il testo delle privatizzazioni forzate dei servizi pubblici locali, ad esclusione del servizio idrico, testo già bocciato dal referendum di giugno. Poi delegate una specie di mission impossible a regioni ed enti locali da farsi entro un anno con effetti comunque postumi.
Proponiamo altre cose a costo zero: riorganizzazione della giustizia per migliorare quella civile; misure per la trasparenza e la concorrenza; contrasto di interessi per la manutenzione di case e la riparazione di auto e moto, che può fare emergere del nero e stimolare ulteriori interventi nell'edilizia; misure attraverso la Cassa depositi e prestiti per i ritardati pagamenti della pubblica amministrazione (non possiamo continuare a non pagare le imprese che lavorano per il pubblico).
Certamente vi sono anche misure onerose, ma che possono produrre effetti positivi per la crescita: la stabilizzazione delle agevolazioni fiscali del 55 per cento per l'efficienza energetica degli edifici; 3 miliardi per lo sblocco degli investimenti agli enti locali; progetti per l'innovazione tecnologica italiana, la ricerca, il sostegno e il capitale di rischio delle piccole e medie imprese; sostegno ai giovani e alle donne lavoratrici con figli a carico; la graduale soppressione dell'IRAP nella componente lavoro; la riduzione dell'aliquota IVA per Pag. 30il turismo e il sostegno delle imprese esportatrici; investimenti sulle infrastrutture per il Mezzogiorno. Nel decreto-legge non c'è nulla di tutto ciò. C'è una norma su obiettivo convergenza e piano Sud, ma non ha effetti perché scarica l'eventuale costo sulle altre regioni. Non avrà effetti perché occorrerà il consenso di queste ultime e difficilmente si otterrà.
Quindi, crescita, sviluppo e lavoro debbono essere il primo obiettivo, non la coda che non arriva mai e che viene continuamente rimandata. Devono essere il primo obiettivo, se si vuole risanare stabilmente e poi equità. Serve per lo sviluppo una migliore e più diffusa ed equa distribuzione della ricchezza, che è la condizione per la ripresa della domanda interna e dei consumi. L'equità è essenziale per il risanamento. Per risanare bisogna che le modalità siano condivise e giuste.
La prima questione di giustizia è la lotta all'evasione fiscale. Avete fatto delle retromarce rispetto a quanto sostenuto in questi tre anni su alcuni provvedimenti, ad esempio sulla tracciabilità. Prima avevate cancellato le norme del Governo Prodi, poi in parte ripristinate. Ma su questo bisogna andare avanti con coraggio. Il Partito Democratico propone la tracciabilità a fini antiriciclaggio dei pagamenti superiori ai mille euro e a fini antievasione dei pagamenti superiori a 300 euro. Proponiamo il ripristino di una serie di norme del Governo Prodi, tra cui sottolineo la responsabilità in solido di appaltatore e subappaltatore.
Proponiamo un accordo con la Svizzera, come hanno fatto la Germania e il Regno Unito, per le attività finanziarie detenute presso gli istituti di credito svizzeri. Insomma, va bene rendere gli enti locali più protagonisti della lotta all'evasione fiscale, ma ci vogliono anche nuovi strumenti e nuove regole e misure nazionali. L'unica proposta che avete accolto è relativa al mancato pagamento delle rate dei condoni del 2002, ma viene il sospetto che vi siate sentiti obbligati dalla denuncia della Corte dei conti e dall'impopolarità di un diniego. Tuttavia, non siete andati oltre nel far pagare gli evasori che fin qui hanno pagato poco o nulla.
Ribadiamo la proposta di un contributo straordinario a carico dei soggetti che hanno beneficiato dello scudo fiscale. Darebbe 15 miliardi e sarebbe un messaggio forte contro gli evasori e sarebbe giusto. Dite che si rompe un patto. Ma quanti patti si rompono con le persone perbene con questa manovra?
Alla lotta all'evasione fiscale si collega anche la lotta all'illegalità, che può avere effetti positivi per la finanza pubblica. Il Partito Democratico ha presentato proposte per rivedere le norme sulle false comunicazioni sociali, perché il falso in bilancio torni ad essere un reato punito severamente. Ha presentato proposte per inserire il reato di autoriciclaggio, come ci richiedono i magistrati dell'antimafia. Ha presentato proposte per irrobustire le norme contro il caporalato. Anche qui non avete accolto nulla.
Equità vuol dire anche un fisco che agevola lavoro e imprese e colpisce le rendite. Dopo anni di diniego avete finalmente recepito l'idea di portare al 20 per cento l'aliquota sulle rendite finanziarie. Non ne avete voluto sapere fino a luglio, ma poi si è resa necessaria. Ma fatta con il fuoco alla casa ora è una norma che prende solo, per risanare i conti, ma non dà nulla in cambio per il lavoro e le imprese, che avrebbero bisogno, invece, di riduzioni di imposte come alcune che il Partito Democratico propone nella sua contromanovra. Ad esempio, una riduzione dei contributi sociali sui contratti a tempo indeterminato, per eliminare i vantaggi sul piano dei costi dei contratti dei precari. Ci sarebbe bisogno di una riduzione dell'IRPEF, in via prioritaria sulle mamme lavoratrici, e di una graduale eliminazione del costo del lavoro a tempo indeterminato, sulla base imponibile dell'IREF.
È maturo il tempo, anche per un consenso crescente tra chi la dovrebbe pagare, per introdurre un'imposta erariale ordinaria sui grandi valori immobiliari, basata su criteri fortemente progressivi. È maturo Pag. 31il tempo per una patrimoniale. Prendiamo atto della disponibilità ad avviare un confronto, disponibilità emersa in Commissione. Vedremo se sarà foriera di scelte in futuro. Avreste, però, potuto fare una scelta più lungimirante e accogliere la nostra proposta, della patrimoniale sugli immobili al posto del punto in più di IVA. Avrebbe dato un gettito pari o superiore e sarebbe stata più equa, non inflazionistica e non depressiva per l'economia. Lo dico anche perché il resto della manovra sul fisco è un disastro. Non avete voluto accogliere nemmeno l'emendamento che, sul cosiddetto contributo di solidarietà, allineava lavoratori pubblici e lavoratori privati. Sembra quasi che ciò che è pubblico vi appaia come colpevole, da colpire. Poteva essere l'occasione per correggere ciò che il Governo ha introdotto nel maxiemendamento al Senato, in cui si dice: «Con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, l'efficacia delle disposizioni di cui al presente comma può essere prorogata anche per gli anni successivi al 2013, fino al raggiungimento del pareggio di bilancio». Se non ci crede il Governo di raggiungere il pareggio di bilancio, con questa manovra nel 2013, come potete pensare che ci credano i mercati?
Anche in questo decreto-legge avete cercato di colpire parti del Paese che considerate ostili. Ho già detto dell'articolo 8. Avete provato anche ad abolire, di fatto, il 25 aprile, il 1o maggio e il 2 giugno. Poi avete dovuto fare retromarcia per la reazione nel Paese. Allora, avete subito individuato un nuovo soggetto da colpire: la cooperazione, un soggetto che avete dipinto come privilegiato sul piano fiscale. Il Governo stesso smentisce questa tesi nel momento in cui quantifica in meno di 62 milioni - ben poca cosa - il gettito che deriva dai commi 36-bis e 36-ter dell'articolo 2, relativi a più tasse per le cooperative. Avete voluto dire che le cooperative non pagano tasse, ma da queste cifre si vede che non è così. Volete colpire un modello di impresa diverso dalle società di capitali - d'altra parte, è stato il vostro primo atto di Governo nel 2001 - e non valorizzate imprese che sono rimaste in piedi, sono cresciute in questi anni di crescita zero, non hanno licenziato durante la crisi e investono, per statuto, i loro utili per il futuro delle imprese. Chi fa gli interessi del Paese per voi è un soggetto da colpire. I detentori di capitale scudati, invece, non si possono toccare.
Sul fisco vi è poi la questione delle questioni: la delega fiscale. Il Ministro Sacconi la presenta come una grande riforma sociale. Può essere, se riformare vuol dire un welfare povero per i poveri e niente per gli altri allora voi siete dei riformatori, perché 20 miliardi, tra riduzioni degli interventi assistenziali per i disabili e altri soggetti deboli e riduzione delle detrazioni fiscali sull'IRPEF, in particolare, per famiglie, lavoratori e pensionati, vuol dire semplicemente meno welfare e più tasse. Non è meno tasse meno welfare o più tasse più welfare. No, lo ripeto, è meno welfare e più tasse. Un massacro. A differenza degli annunci di questi mesi, non ci sarà spazio per alleggerire l'IRPEF. Ve lo siete già tolto, mangiato. Nemmeno per uno scambio meno IRPEF più IVA. Un punto di IVA lo avete già utilizzato per la manovra e l'IVA resta un elemento di salvaguardia se non riuscite ad arrivare a 20 miliardi con le altre due voci.
Sì, si può ancora aumentare - non so di quanti punti - ma l'effetto sui consumi sarebbe troppo pesante e comunque vi sarebbero ulteriori più tasse. La delega fiscale è il buco nero della manovra: è un terzo della manovra ora, ma ha rappresentato anche una quota maggiore nell'iter. Non si sa che succederà: i mercati non si fidano perché voi continuate a dire che riformerete il fisco con meno tasse e con la delega nel decreto-legge scrivete che dalla delega devono arrivare 20 miliardi allo Stato. Come potete essere credibili? Questo è un punto da cambiare profondamente nelle prossime settimane.
C'è un'altra leva per le entrate, che il Partito Democratico ha proposto in una situazione d'emergenza, ma anche per ridurre un debito pubblico troppo elevato da troppo tempo, che voi non avete voluto Pag. 32accogliere in modo adeguato. Vi abbiamo proposto un piano quinquennale di dismissioni e valorizzazione di immobili demaniali, in partenariato con gli enti locali per almeno 25 miliardi di euro e vi abbiamo anche proposto un'asta competitiva per le frequenze televisive da tre miliardi l'anno per ognuno degli anni della manovra, ma ovviamente questo è un argomento off limits per questa maggioranza.
Veniamo alla spesa pubblica, che arrivando a superare il 51 per cento del PIL, deve essere ridimensionata: lo si deve fare producendo efficienza: ciò non si ottiene con i tagli lineari, che colpiscono alla cieca e non producono effetti duraturi, se non nei settori in cui questo dovrebbe essere evitato, come quello della scuola. Lo si fa con la spending review e con le riforme. Al Senato avete accolto un importante emendamento sulla spending review, ma ci credete poco perché lo avete quantificato zero e non solo per il 2012, ma per tutto il triennio e lo fate convivere con i tagli lineari che quantificate pesantemente per 8 miliardi e mezzo nei vari ministeri. Poi aumentate - nessuno lo dice - di 2 miliardi per il 2012 il Fondo discrezionale della Presidenza del Consiglio per gli interventi strutturali di politica economica che, in questi anni, di strutturale non hanno avuto nulla.
La spesa pubblica dello Stato centrale deve ridursi, ma attraverso una riorganizzazione della stessa che selezioni e riorganizzi la struttura dello Stato attraverso veri e propri piani industriali e con l'introduzione e l'estensione delle migliori pratiche dei costi standard per ciascuna amministrazione. Avevano iniziato questo lavoro il Ministro Padoa Schioppa ed il Governo Prodi, voi l'avete interrotto ed i risultati sono disastrosi. Vi abbiamo proposto l'accorpamento degli uffici periferici dello Stato, la revisione delle norme sugli appalti, con una drastica riduzione delle stazioni appaltanti, la centrale unica per l'acquisto di beni e servizi, l'unificazione INPS INPDAP, la riduzione delle auto blu e così via. Abbiamo presentato proposte per ridurre i costi della politica, lo abbiamo già fatto nella discussione sul bilancio della Camera, in particolare con la proposta volta a superare i vitalizi. Vi proponiamo una sessione parlamentare per ridurre il numero dei parlamentari, cambiare la legge elettorale e approvare una legge di attuazione dell'articolo 49 della Costituzione sui partiti.
Voi avete presentato due disegni di legge costituzionale: quello sull'articolo 81 e quello sulle province, che però sembra un gioco dell'oca, in cui quando si arriva alla fine si torna al punto di partenza. Il disegno di legge costituzionale sulla riduzione del numero dei parlamentari, senza collegarlo ad altre questioni, l'avete tenuto in un cassetto. Non avete preso in considerazione le proposte che il Partito Democratico ha presentato per riformare il sistema delle regioni e degli enti locali, le proposte per lo snellimento degli organi di rappresentanza e di Governo, per l'obbligo della gestione associata di tutte le funzioni dei comuni con meno di cinquemila abitanti, per la radicale riduzione delle società partecipate da regioni ed enti locali, per le città metropolitane e per la riforma della province. Uno strumento fondamentale è la Carta delle autonomie, che procede tra continui stop and go, ma sostanzialmente al rallentatore. Voi producete continuamente nuove norme, che scombinano l'ordinamento, senza delineare il punto di approdo e tagliate. Tra tagli della manovra del 2010, che incidono sul 2012 e su tutti gli anni successivi, e inasprimento del Patto di stabilità su regioni, province e comuni, l'impatto è di 14, 9 miliardi nel 2013-2014, con manovre che incidono complessivamente sulla spesa pubblica per poco più di 30 miliardi. Quindi, il taglio riguarda soprattutto regioni e comuni. Nel 2012 è già di 14,5 miliardi, che adesso si possono ridurre di 1,8 con le entrate della Robin tax. Ci saranno quelle entrate? Con questi tagli ci sono le risorse per il trasporto pubblico locale? Pare di no, ma dovete dirlo. Il federalismo non c'è più, è morto, in particolare quello regionale, non c'è più nulla da fiscalizzare. Pag. 33
Il decreto legislativo sulle entrate regionali è impraticabile, c'è scritto che quando si applicano le addizionali IRPEF bisogna recuperare i tagli dalla manovra dello scorso anno, e non lo fate; c'è scritto che se non lo si fa, si deve concordare con le regioni il nuovo approdo e voi non avete concordato nulla. Quel decreto è da riscrivere, se non lo fate è impraticabile e il federalismo è morto prima di nascere. È solo il federalismo delle addizionali IRPEF per tutti, ma per le regioni non si sa come sia praticabile. È il federalismo del «meno welfare e più tasse», e tra i soggetti che non hanno più fiducia nel Governo ci sono anche gli amministratori regionali e locali, tutti, anche del centrodestra, come si è visto a Milano il 29 agosto.
Un dirigente sindacale che abbiamo audito in Commissioni riunite ha affermato che non è detto che più soldi a regioni ed enti locali equivalga a più welfare, ma certamente meno soldi è meno welfare. Prendiamo i non autosufficienti, con il fondo nazionale azzerato, con i prossimi tagli all'assistenza, con le famiglie che pagheranno più tasse perché avranno meno detrazioni fiscali, con il fondo per la sanità che si ridurrà di 11 miliardi nel 2014 - calcolo delle regioni - e con le regioni e gli enti locali con meno risorse complessive e minore capacità di intervento chi si occuperà di queste persone, in gran parte pensionati ed ex lavoratori? Anche le badanti costano e vanno sostenute le famiglie per pagarle e possibilmente assumerle regolarmente. Pensate che si risolva tutto con la sussidiarietà e il volontariato? Sussidiarietà e volontariato hanno spazio se lo Stato c'è, non se il pubblico è assente. Questa manovra va azzerata per regioni ed enti locali, e gli emendamenti del Partito Democratico vanno in quel senso. Poi c'è il capitolo pensioni, noi vi abbiamo presentato una proposta per la flessibilità in uscita sostenibile finanziariamente, equa socialmente per le persone.

PRESIDENTE. Onorevole Marchi, la invito a concludere.

MAINO MARCHI. Signor Presidente, mi avvio alla conclusione. Voi usate le pensioni per fare cassa, vi accanite sulle donne, riducete i loro diritti e sarà così anche per le prossime manovre. La diga della Lega è già crollata e non c'è più freno al Governo e alla maggioranza.
È l'ennesima manovra sbagliata, andrebbe completamente rifatta, è poco credibile, anche l'Unione europea ci crede poco, se già ora la Commissione mette le mani avanti affermando che l'Italia deve essere pronta a nuove misure aggiuntive se le entrate fiscali saranno minori del previsto per le difficoltà sui tagli. Così siamo a prendere l'ennesima sottolineatura negativa invece di essere protagonisti di quello scatto europeo necessario per fare l'Europa politica, gli Stati Uniti d'Europa, una vera integrazione economica e fiscale. Eppure le forze e le intelligenze le avremmo, come dimostra la proposta di Prodi sugli eurobond, ma anche qui è un problema di fiducia. Quando si doveva decidere l'ingresso nell'euro l'Italia fece un enorme sforzo, ma non poteva avere tutti gli elementi allineati ai parametri europei, in particolare sul debito pubblico. Ma Kohl, guardando Prodi e Ciampi, disse «mi fido di loro», credete che anche la Merkel direbbe la stessa cosa di Berlusconi e Tremonti (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico)?

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Giulietti. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE GIULIETTI. Signor Presidente, vorrei invitare lei, Presidente Bindi, a non insistere troppo con il Presidente del Consiglio e il Ministro Tremonti per avere la lettera segreta della BCE, perché conoscendo il tradizionale riserbo del Presidente Berlusconi la mangerebbe piuttosto che rendere pubblico un documento, quindi non lo induca in tentazione! Signor Presidente, l'assenza di questo documento, lo dico anche ai colleghi della maggioranza, non è un elemento del cabaret, è la negazione di un atto fondamentale, lo dico in particolare ai colleghi della Lega. In quel testo non può esserci un riferimento Pag. 34alla Costituzione italiana, tanto meno allo Statuto dei lavoratori, sarebbe gravissimo, sarebbe un principio senza precedenti, sarebbe un atto grave, sottosegretario, ma che se ne fa di quella lettera? Rendetela nota, se avete suggerito voi o se si è aperta una discussione, non si scherza con cose di questa delicatezza, non è nella vostra disponibilità la Costituzione, non è un gioco dell'oca, né tanto meno un problema di un'azienda privata del Presidente. È un problema di serietà. Bene hanno fatto i colleghi Baretta, Ciccanti, Cambursano e Marchi a porre questo tema, e voi non potete sfuggire! Non ce l'ho con lei, sottosegretario, non si può giocare su carte di questa natura! Parliamo di un diritto alla conoscenza individuale e collettiva di un'Aula, questa è un'Aula parlamentare. Vi dò una notizia: non è possibile aggirarla o bypassarla, si corrono rischi a determinare tensioni di questa natura. Non ci sono problemi di galateo e non poneteceli oggi, quando gli italiani hanno sotto mano alcune dichiarazioni del Presidente del Consiglio sui leader europei, non potete porre, voi, questioni di stile o di garbo. Dovete prima «dimetterlo», poi potrete porre questioni di sgarbo - sì di sgarbo, esattamente, proprio in questo senso - e di stile, ma di quale stile stiamo parlando?
Signor Presidente, il mio sarà, anche a nome di un gruppo di associazioni che si occupano della libertà della cultura e dell'informazione, un «no» triplo: è un «no» alla manovra, un «no» alla fiducia annunciata, un «no» alla legge bavaglio. Mentre parliamo di coesione sociale, si annuncia una legge bavaglio con la fiducia: bisogna essere matti, matti politicamente, a porre il tema del confronto sulla questione sociale e ad avvelenare contestualmente i pozzi.
Avete al vostro interno dei dinamitardi politicamente, che tentano di sabotare voi medesimi. Speriamo che ve ne siate accorti! Questo ennesimo atto di fiducia è un atto di sfiducia verso voi stessi, che non potete votare in modo limpido, verso il Parlamento, verso i cittadini. Ma come fate a chiedere un voto, dopo che avete negato la crisi stessa e le sue ragioni? Signor sottosegretario, non chiedo il suo giudizio: si faccia dare quello splendido spot della Presidenza del Consiglio dove un omino travestito da Ridolini correva a comprare dentro ai supermercati e una voce stentorea diceva: comprate, comprate! Era una campagna della Presidenza del Consiglio. Guardatevela adesso, nel segreto del Consiglio dei ministri e provate un po' di vergogna!
Siete arrivati a porre questo tema dopo che avete detto che la crisi era colpa di gruppi di giornalisti, autori e scrittori nemici; di untori, avrebbe detto il Manzoni; di diffusori di cattive notizie, bad news, come dicono alcuni di voi. Lo ha fatto Berlusconi in persona: vi risparmio le sue agenzie, queste ed altre; altre ve le risparmio per rispetto all'Assemblea. Avete dato la caccia alle notizie sgradite, non alle ragioni della crisi. Vi è stato l'elenco di Berlusconi e del suo Ministro Romani: hanno indicato Annozero, Saviano, la Gabanelli, Fazio, Crozza, i comici, la Repubblica, il Fatto Quotidiano, l'Unità, Il Sole 24 Ore, il Corriere della Sera, Avvenire, Famiglia Cristiana, la Marcegaglia. Fermiamoci qui, per carità di patria e dell'Aula!
Per questo è impensabile darvi un «sì», non dovreste darvelo neanche voi, e tanto meno è pensabile votare la fiducia. Lo ha detto bene in questo caso l'onorevole Buttiglione: il voto di fiducia in realtà è una cosa diversa. La fiducia è un sentimento indispensabile per uscire dalla palude; la fiducia non è un atto tecnico, è un atto di grandezza politica, con il quale fai dimettere chi ha fallito e costruisci un altro «schema di gioco», se davvero la crisi è profonda ed è sentita. È quella fiducia che i cittadini, non a caso, ripongono nel Presidente della Repubblica e non in Berlusconi. Avete notato che i sondaggi sono spariti? L'Italia non è più una Repubblica dei sondaggi: sono cancellati, oscurati, «incappucciati» (usiamo questa espressione). Non ci sono più i sondaggi (Applausi del deputato Cambursano)!
E allora, come si fa? Io sono uno che crede molto nelle istituzioni e anche nelle parole del Presidente Napolitano e penso che la crisi non sia colpa vostra, signor Pag. 35sottosegretario, ma sia una crisi planetaria, una crisi strutturale, che richiederebbe democrazia internazionale, equità, ridistribuzione della ricchezza, ben altre politiche. Ma anche chi crede in questo, come fa, come fa a dare un solo «sì»? Voi dal Presidente della Repubblica avete ascoltato l'invito a fare presto, non l'invito alla sobrietà, al rigore, al rispetto sostanziale della Carta costituzionale. Questo è il contesto invotabile, e qui non c'entra niente la questione giudiziaria o le intercettazioni, non c'entrano niente!
È mai possibile, signor sottosegretario, che anche in queste ultime settimane di crisi devastante e progressiva siate riusciti, e lei lo sa, ad insultarvi? Ministri che si danno dei cretini, evidentemente con una competenza in materia, se lo dicono loro; altri che preparano dossier contro il Ministro Tremonti, che arriva ad evocare il «metodo Boffo», quel metodo squadrista, melmoso che fu usato contro il direttore di Avvenire, un grande giornale cattolico italiano. Altro che black bloc, altro che black bloc! Questi sono gli eversori istituzionali, i mandanti e gli esecutori. Altri hanno detto di tutto al povero Ministro Brunetta, al quale ormai è rimasto solo l'affetto dei precari che lo contestano, perché i suoi colleghi gli dicono di tutto, di più. E non parliamo del «Presidente del Consiglio bulimico», preoccupato delle sue telefonate con Tarantini e con Lavitola, preoccupato di scappare dal tribunale. Ma perché parlava al telefono con questi durante le crisi? Non mi interessa quello che si diceva, non mi interessano le intercettazioni. Perché uno statista ha di queste conversazioni e frequentazioni, anche solo per dirsi «buongiorno»? Perché, nei momenti più acuti di una crisi? Questa è la vera domanda! Altro che bavaglio all'informazione: mettete il bavagliolo a chi non sa contenersi, avendo un ruolo istituzionale. È cosa molto diversa (Applausi del deputato Cambursano)! Penso al videomessaggio di ieri.
Persino il giorno della strage diventa un giorno di comizi contro gli oppositori chiamati delinquenti, eversori... Parole in libertà! Parole in libertà pericolose, tuttavia, per chi deve rappresentare un Paese sullo scenario internazionale.
Con quale faccia chiedete la fiducia, in senso ampio, dopo esservi sfiduciati tra di voi e avere sfiduciato l'Italia? Se il contesto è pessimo, il testo è peggiore. Come avrebbe scritto e detto Ilvo Diamanti, giornalista e studioso, non trasuda di senso civico, trasuda di senso cinico, che è cosa diversa.
Perché avevate pensato di inserire nella manovra l'abrogazione o la declassificazione delle feste laiche e repubblicane? Perché, se non per provocare? Perché avete aspettato la protesta delle associazioni partigiane? Chi ve lo ha fatto fare? Perché minacciate di toccare l'articolo 41 della Costituzione?
Presidente Bindi, provi ad inviare un libro sulla rerum novarum per far sapere che l'utilità sociale non nasce con la rivoluzione bolscevica, ma nasce con la rerum novarum e nel pensiero precedente, laico e cristiano. Bisogna leggere! Cosa c'entra l'utilità sociale con il bolscevismo? Quale virus ha preso questo Paese (Applausi del deputato Cambursano)?
Sono sciocchezze.
Voi sapete chi furono i padri dello statuto dei lavoratori, sì? Brodolini e Giugni! Come potete confonderlo con l'estremismo? Di che cosa stiamo parlando? Vi è una manovra ideologica che rende cinica questa operazione e che non c'entra niente con i conti.
Cosa c'entra l'articolo 41 della Costituzione? Cosa c'entra l'articolo 18 dello statuto dei lavoratori in un Paese che già licenzia ogni anno? Ma di quali statistiche parlate? L'articolo 8 del provvedimento in esame va ritirato, cambiato, inquina i pozzi, distrugge la coesione sociale, come hanno detto bene, in altre occasioni, gli onorevoli Damiano, Cambursano e Marchi.
Ha ragione chi vi contesta. Basta guardare alla costituzionalità del provvedimento in discussione. E non vi contesta solo la CGIL o Susanna Camusso, alla quale non basta dedicare qualche barzelletta. Insomma, un po' di vergogna nel parlare di suore stuprate e di conventi.

Pag. 36

PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Giulietti.

GIUSEPPE GIULIETTI. Ho quasi terminato, signor Presidente.
Non si risponde con le barzellette.
Vi è un appello di costituzionalisti, come l'avvocato D'Amati o Rodotà, che spiegano l'abrogazione dell'articolo 3 della Costituzione e del principio di uguaglianza, l'introduzione del sindacalismo giallo. Questo statuto nacque dopo la schedatura di molte fabbriche. Rileggetevi i testi di Bianca Guidetti Serra, straordinaria avvocatessa. Così nascono questi provvedimenti. Ecco perché la manovra è pericolosa, perché estende il principio di disuguaglianza.
Signor Presidente, mi avvio alla conclusione.
Vi inviterei a riflettere sul fatto che non avete avuto il coraggio di avviare neanche un'asta sulle frequenze. Avete preferito colpire la piccola e media impresa, nonostante le Lega lo avesse sottolineato; chiudere molta parte dell'editoria italiana, pur di non fare un'asta sulle frequenze e non disturbare il conflitto di interessi.
Sottosegretario, le chiedo almeno una cosa: oggi, domani o quando vuole dica che nessuno toccherà il risultato referendario, dica che non è vero che si è riaperta la porta alle privatizzazioni, dica che nessuno trufferà 27 milioni di voti! Date la risposta alle migliaia di lettere, dite che si riprende il processo di ripubblicizzazione, rispondete ai cittadini che hanno votato perché è la malapolitica che alimenta l'antipolitica, con il silenzio, la truffa e l'imbroglio!
Su una cosa sono d'accordo con il Presidente del Consiglio. Egli ha detto che è uso aiutare le famiglie bisognose, solo alcune. Una richiesta e una proposta: ditegli di dimettersi, così potremo dedicarci anche a tutte le altre famiglie bisognose (Applausi del deputato Cambursano).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Nola. Ne ha facoltà.

CARLO NOLA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, avevo preparato un intervento ben diverso da quello che farò, però tengo a mettere agli atti dei lavori di quest'Aula un seppur modesto intervento, a testimonianza che l'aria che si respira a fronte del provvedimento in esame è ben diversa da quella che alcuni colleghi hanno dipinto or ora.
Rimpiango un po' il dibattito accorato, complesso e dettagliato che si è svolto in Commissione bilancio, perché lì, a parte qualche travalicamento che, comunque, si mette in conto rispetto al dibattito e all'argomento affrontati, mi sembra che si sia effettivamente entrati nell'argomento.
Tutti erano consapevoli di quello che ci obbligava a fare la ristrettezza dei tempi e, quindi, il dibattito sarebbe stato limitato nel tempo e avremmo avuto la possibilità di affrontare alcuni argomenti nel dettaglio e altri in modo solo accennato, però in questi tre giorni di lavoro di Commissione si sono sviscerati molti nodi e si è svolto un dibattito che, secondo me, lascerà agli atti elementi utili per continuare il percorso iniziato con questa manovra.
Tutti sanno che sono stati versati ettolitri di inchiostro. Molti commentatori televisivi si sono sbizzarriti nell'interpretare le motivazioni che hanno portato a quella che Il Sole 24 Ore ha già battezzato la «manovra di Ferragosto». Noi stessi siamo consapevoli che i tempi hanno dettato sicuramente un'accelerazione nel percorso normativo, però oggi in quest'Aula è stato più volte ribadito: «Possibile che non ce ne fossimo accorti? Tutti lo sapevano!» Ed, allora, perché, caro collega Cambursano che è stato operatore di borsa, non abbiamo notizie di colleghi, sia qui in Italia che all'estero, che, investendo sulle valute o sui titoli sovrani, si siano arricchiti, se era così prevedibile? Era così prevedibile questo declassamento del debito degli Stati Uniti, che ha colto impreparati gli stessi Stati Uniti e tutti i mercati europei, le borse europee ed il governo europeo. Noi conosciamo lo scenario che si è dipinto anche subito dopo quella prima manovra innescata dalla richiesta delle autorità bancarie comunitarie del 7 giugno, se non sbaglio. Abbiamo dovuto riprendere in mano la nostra situazione Pag. 37economico-finanziaria ed il Governo, subito dopo Ferragosto, è dovuto intervenire. È dovuto intervenire, certo, per il declassamento del debito USA e per tutta la tempesta finanziaria che ha investito i mercati, per l'attacco ai debiti sovrani e per la speculazione sull'euro. Infatti va ricordato - molte volte viene ricordato, ma poi quando si arriva alle conclusioni lo si dimentica - che l'attacco non è rivolto al debito dell'Italia, del nostro Paese, non è rivolto al nostro sistema economico-finanziario. L'attacco è rivolto ai Paesi della comunità europea e alla loro divisa: l'euro. Certamente poi l'attacco sul debito sovrano è rivolto anche all'Italia e noi sappiamo benissimo che, se gli speculatori devono attaccare un sistema economico-finanziario, è più facile attaccare un sistema economico-finanziario che per vent'anni ha mandato in pensione i quarantenni. Ancora oggi si dice che, con la manovra, si arriva al 2026 per stabilire che nel sistema privato le donne andranno in pensione a 65 anni. Non se ne parla certo in Paesi e sistemi economici dove si va già in pensione a 65 anni, tutti, uomini e donne, e dove mai nessuno si è sognato di pensare di andare in pensione prima dei 55 anni, negli anni che venivano.
Ma io voglio fare una considerazione mia, personale, modesta (non sono un economista), nel momento in cui la speculazione attacca il nostro debito pubblico, ovvero i nostri titoli di debito e nel momento in cui i mercati reagiscono male anche all'acquisto da parte della BCE di parte dei nostri titoli. Noi sappiamo che la speculazione scommette sul nostro sistema, ben contenta che si arrivi al 4 per cento di interesse o anzi anche di più. Se la BCE non avesse acquistato i nostri titoli, probabilmente l'interesse sarebbe stato superiore e, siccome il sistema della speculazione scommette sul nostro Paese, perché gli speculatori sicuramente sono pronti a giurare che mai andrà in default, un intervento a favore dei nostri titoli li coglie in imbarazzo. Infatti, la speculazione si realizza, appunto, nel cercare di ottenere dei tassi di interesse ben più elevati: avrebbero comprato i titoli al 4,5 per cento, al 5 per cento o al 5,5 per cento. Queste sono considerazioni mie personali, ma che vedo apparire sui giornali finanziari anche con una certa frequenza.
Quindi, la manovra è stata improntata a dare risposte a questi problemi ed allo scenario, che avevo delineato. La richiesta dell'autorità bancaria e monetaria europea era di fare presto. Certamente noi ci troviamo di fronte ad un documento normativo che è diverso da quello inizialmente adottato. Io devo dire, sinceramente, che a mio parere è sicuramente un documento normativo migliore, più rispondente ai nostri interessi, ma che, comunque, come il primo documento uscito dal Consiglio dei ministri, ha un obiettivo: arrivare in maniera chiara, trasparente e credibile a numeri che garantiscano un pareggio di bilancio per l'anno prossimo.
Come sappiamo, ci eravamo adoperati per arrivare a prevedere un pareggio di bilancio nel 2014. Siamo ora scesi al 2013. Perché abbiamo dovuto correre? Perché era importante stabilire dei paletti (quei famosi 45,5 milioni di euro) e che fosse chiaro per tutti, per i mercati e per gli investitori. Una volta stabilita la cornice, allora vi sono i passi successivi. Qui si dice: «Ma come è possibile! Saremo costretti ad una manovra bis o ad una manovra ter!» Certamente questo tipo di intervento copre uno dei problemi, poi noi abbiamo la necessità di ridurre l'entità del debito pubblico. Tutti sono coscienti che questo è il problema principale da affrontare da oggi in poi e che questa manovra solamente in parte limitata affronta questo tipo di problema. Quando poi si parla di arrivare a predisporre normative e provvedimenti per ridurre il debito pubblico, tutti gridano allo scandalo: «Un'altra manovra!». Ragazzi, lo sapevamo: si va sul tavolo della bilancia e l'obiettivo è quello di arrivare in fretta per cominciare a mettere il primo punto, il primo pacchetto per poi costruire tutto il resto.
Credo che ormai si sia consapevoli di quali siano le cornici del problema. In Commissione Bilancio sono stati sviscerati molti di questi temi, sono state avanzate molte proposte, ma credo che la maturità Pag. 38del provvedimento che andiamo ad approvare in questi giorni dipenda proprio dal fatto che, posto in essere il primo provvedimento da parte del Consiglio dei Ministri per dare una risposta immediata in quei giorni (il 18-19 di agosto), si è cercato poi di raccogliere non solo le osservazioni dell'opposizione (ce ne sono, checché se ne dica, in questo testo), ma anche quelle delle parti sociali, degli enti intermedi, della Corte dei conti, della Banca d'Italia. Mi permetto, un po' polemicamente, ma fino a un certo punto, di sottolineare come alcune parti sociali, una in particolare, ci hanno dato lezioni su tutti i giornali nel mese di agosto su come fare per risolvere i problemi del nostro Paese e su come la manovra andasse bene o meno (ogni giorno si cambia idea), ma nell'audizione al Senato ci hanno fatto ridere, o meglio sorridere: non è venuta la presidente, impegnata a pontificare sui giornali, ma il direttore generale, il quale ci ha detto: ma come, il Governo non ha avuto coraggio, noi avevamo chiesto di estendere la tracciabilità bancaria fino ai movimenti fino a 500 euro! Ad un collega allibito, il quale gli ha obiettato il fatto che, rispetto al perseguire l'evasione e l'elusione fiscale di 600-700 euro, forse è più importante scovare gli evasori di 6 milioni di euro, questo signore ha avuto l'arroganza di dire che le piccole evasioni sono quelle che fanno il differenziale.
Se vi è una nota tecnica dell'ABI secondo la quale già è difficile arrivare a tracciare tecnicamente milioni e milioni di transazioni fino a 2 mila e cinquecento euro, figuriamoci per quelle sotto i 500 euro. Questa è la situazione; vi sono appelli sicuramente ben accolti del Presidente della Repubblica e di tante istituzioni a fare quadrato. Si condividono le analisi e poi sulle ricette si diverge, a volte anche senza motivo, per puro spirito di polemica. Infatti oggi in questa Aula qualcuno ha trattato i temi di cui stiamo parlando (con responsabilità si parla delle famiglie degli italiani, dei conti degli italiani, degli stipendi e delle tasse degli italiani), mentre qualcuno altro invece ha divagato. Credo che nel passaggio tra la Camera e il Senato vi sia soprattutto una serie di differenze. Anzitutto alcune misure che mi permetto di definire un po' troppo «funzionariali» (d'altra parte sono stati impiegati 4-6 giorni per redigere la manovra a metà agosto) sono state eliminate.
Ne rimane qualcuna che personalmente ritengo poco funzionale: ad esempio quella sicuramente impopolare, e secondo me altrettanto ingiusta, del ritardo nella corresponsione del trattamento di fine rapporto ai pubblici dipendenti. Credo sia una misura che causa un sacrificio che non è compensato dall'introito che questa potrebbe apportare. Perché dico questo? Perché tutti noi siamo consapevoli che questa manovra presenta sicuramente misure e interventi che nel frattempo possono essere migliorati. L'importante era - tutti dicono a parole di esserne convinti ma poi nei fatti dimostrano il contrario - chiudere il cerchio, portare a compimento questa manovra. Nessuno si può scandalizzare del fatto che al Senato si è dato atto che la manovra doveva essere chiusa in quei giorni e in quei termini. Ci si scandalizza perché non è stato accettato questo o quell'emendamento. Ma quanti emendamenti io stesso ed altri componenti della maggioranza, a fronte di un approfondimento delle tematiche, delle audizioni, del trascorrere del tempo e del verificarsi di diverse situazioni, avremmo potuto porre in essere? Ma se l'obiettivo da tutti condiviso è chiudere entro un giorno tale, non ci si può scandalizzare cinque minuti dopo, dicendo: ma come, l'emendamento era importante, ero bello! Io stesso ne avrei avuto qualcuno da presentare.
Quello che volevo dire è che il passaggio successivo sicuramente importante è quello della riduzione del debito. Sono stati affrontati tanti temi. Credo che anche tra gli emendamenti e le proposte dell'opposizione, delle parti sociali, e anche del gruppo Popolo e Territorio, che sono stati avanzati al Senato, alcuni sono stati recepiti in questo documento soprattutto per quanto riguarda la razionalizzazione della spesa pubblica e la riorganizzazione delle Pag. 39pubbliche amministrazioni. Credo che già lì si veda una differenza, un cambio di passo. Credo che anche in questo senso siano state sicuramente accettate proposte fatte al Senato dall'opposizione, in particolare dal Partito Democratico. Per quanto riguarda la riduzione del debito pubblico, si è accennato a tante possibilità. Credo che su alcuni possibili interventi sia necessario discutere. Lo diceva il presidente Buttiglione, e non vedo niente di scandaloso nell'esaminare la possibilità giusta e meditata (come ha detto il presidente Buttiglione) di una patrimoniale. Quindi non oggi si poteva introdurre una patrimoniale.
Non abbiamo tempi lunghissimi, si può parlarne, approfittarne per approfondire il tema.
Certo, non una patrimoniale come vorrebbe qualcuno. Mi ricordo, ad esempio, un manifesto affisso sui muri qualche tempo fa recante la scritta: «Anche i ricchi piangono». A noi non interessa far piangere nessuno, ma interessa salvare il Paese e interessa che, giustamente, i ricchi, chi ha più soldi, chi ha più possibilità, in coerenza con la Costituzione, proporzionalmente al proprio reddito, contribuisca. Riguardo al condono, parlarne vuol dire, comunque, mettere mano in maniera ancor più forte al tema del recupero e della lotta all'evasione, ma il condono, se finalizzato solamente alla riduzione del debito pubblico, credo sia un tema sicuramente da prendere in considerazione.

MASSIMO VANNUCCI. L'ha già detto Scilipoti!

CARLO NOLA. L'avrà detto Scilipoti, chiunque l'abbia detto, io parlo per me ed esprimo le mie idee. A volte sento anche dalle vostre bocche delle considerazioni intelligenti ed interessanti e non ho problemi ad aderirvi. Spero lo facciate anche con voi nei miei confronti. Per quanto riguarda il tema delle pensioni, come oggi è stato detto più volte da qualcuno in maniera un po' contraddittoria, non possiamo fare da soli, poiché l'attacco è globale, tant'è vero che, anche nella giornata odierna, come tutti gli altri giorni, le Borse non danno sicuramente un grande risultato. Non solo Piazza Affari, per la verità, ma mi sembra che anche le Borse di Francoforte e Parigi non brillino, così come è stato in tutta questa estate in cui la nostra Borsa ha fatto da maglia nera, ma anche da maglia rosa, oppure si è trovata in mezzo. L'attacco è globale, quindi dobbiamo fare tutti insieme; ma come possiamo pensare di fare tutti insieme con una politica economica e fiscale così diversa, con una politica previdenziale e negli assetti principali e strategici così diversa nei Paesi dell'Eurozona? È stato detto che la manovra è già stata bocciata dai mercati, ma credo sia diversa la realtà. Non è stata bocciata la manovra, ma la politica economica, la politica previdenziale, la governance dei Paesi dell'Eurozona. Questa è stata bocciata. Infatti, a volte - e lo abbiamo visto anche pochi giorni fa con le dimissioni del componente tedesco del Comitato esecutivo della BCE - piccoli campanilismi possono impedire a questo organismo nascituro, ossia l'Eurozona, di crescere (non lo sta facendo) con i presupposti di solidità necessari per battersela alla pari con le altre divise. Come dicevo, quindi, ad essere bocciata è, probabilmente, la governance europea. Ecco perché credo che, nonostante sia chiaro a tutti, a me in primis, ed anche al gruppo Popolo e Territorio, che, in questa manovra, vi siano sicuramente temi, misure ed interventi che possono essere meglio ricalibrati in un prosieguo, noi dobbiamo approvarla nei tempi stabiliti e certi come un dovere preciso e dobbiamo anche pensare che i prossimi passi saranno sicuramente, come è stato già sottolineato e richiesto, in direzione di un incentivo allo sviluppo. Ma perché questo incentivo allo sviluppo sia credibile e si possa coniugare con i provvedimenti già presi, sicuramente bisognerà intervenire in maniera corposa e, come diceva il presidente Buttiglione, in maniera seria e meditata, anche sulla riduzione del debito pubblico. Credo che questo sia l'obiettivo finale di qualsiasi forza politica e sociale del nostro Paese per risalire la china. Credo questo sia Pag. 40l'auspicio che il gruppo Popolo e Territorio - poi il collega Marmo interverrà a specificare meglio - possa lasciare a quest'Aula (Applausi dei deputati del gruppo Popolo e Territorio e di deputati del gruppo Lega Nord Padania).

ROBERTO GIACHETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, intervengo poiché, sia ora il collega Nola, che anche il relatore nel corso del suo intervento, hanno detto delle cose che non rappresentano la realtà. Lei partecipa alla Conferenza dei presidenti di gruppo, come vi partecipano tutti e pure il collega Baldelli che è qui presente. Intervengo per evitare che al danno si aggiunga la beffa. Non è vero che non vi sarebbe stato il tempo per approvare la manovra se vi fossero stati emendamenti, perché i gruppi si erano impegnati, in particolare il mio, in sede di Conferenza dei presidenti di gruppo, a far approvare addirittura un giorno prima la manovra se non fosse stata posta la fiducia, a condizione che fosse stata data la possibilità di poter votare una decina di emendamenti. Intervengo sull'ordine dei lavori perché, a mio avviso, è necessario rimanga agli atti della nostra Assemblea che non è possibile che ognuno si alzi e dica una cosa non vera; possiamo non essere d'accordo su mille cose - ripeto che il collega Baldelli era presente nella Conferenza dei presidenti di gruppo, come altri, come lei -, si può dire tutto, però non si possono dire le falsità. L'opposizione e, in particolare, il mio partito, si era fatta promotrice di una proposta di garantire l'approvazione un giorno prima purché il Governo non mettesse la fiducia e consentisse di poter votare una decina di emendamenti con le proposte essenziali dell'opposizione. Questo è stato negato, ovviamente il Governo e la maggioranza avranno le loro ragioni, ma almeno si ripristini la verità perché altrimenti qui ognuno viene, interviene e racconta una storia che non corrisponde alla realtà.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Polledri. Ne ha facoltà.

MASSIMO POLLEDRI. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, ringrazio il signor maestro che ha bacchettato nel primo giorno di scuola il collega Nola.
Venendo a Roma si può passare anche da Collecchio e qui, ogni tanto, si verifica una sindrome particolare, quella dello smemorato. È una sindrome che colpisce e che causa una vertigine, un senso di instabilità, in qualche modo un senso di perdita della memoria sul quale bisogna intervenire subito. Signor Presidente, mi ha colpito nel venire, e per fortuna che avevo una rassegna stampa su questa manovra in modo da poter ricordare tutte le nefandezze e quant'altro.
La Repubblica: Standard and Poor's boccia la manovra, niente riforme, impatto lieve sul debito. L'accusa: settore pubblico inefficiente e sovradimensionato. E ancora, signor Presidente: Napolitano contro il Governo. Manovra: distorsioni clamorose. Il Capo dello Stato: troppe le tensioni, vedo seri rischi. Governabilità: va garantita qualunque sia lo schieramento vincente la governabilità. Il Sole 24 Ore: la manovra intasa gli enti. Sono dieci i nuovi adempimenti che attendono uffici e consigli. Ancora la Repubblica: manovra abnorme, troppe fiducie. Napolitano striglia Governo e Camere. Grave fallire le riforme. Rispetto tra politica e giustizia. E, ancora, Antonio Stella: nella manovra finì di tutto, muli e idrovolanti, e quant'altro.
E poi vidi un elenco di 67 nuove tasse: IRPEF più cara, detrazioni anziché deduzioni, pensioni, addizionali comunali, imposta di scopo, successione, donazione, spese mediche, ricette mediche, esami clinici da pagare, ticket, intrattenimento, tassa sui voli, sigarette più care, più tasse sulla vendita della casa. Nuovo catasto, cambiano le rendite, immobili in leasing, ipoteche e catasto; automobile, bollo auto sempre più caro, bollo moto più caro, stangata sull'auto aziendale, auto dei disabili, benzina più cara, pedaggi più cari. E andiamo avanti saltando: autonomi, Pag. 41contributi, IRAP in rialzo, IVA sull'energia, imposta pubblicitaria (siamo a 56 ma sto saltando, signor Presidente), sponsor sportivi, export, imposta di bollo, tassa di soggiorno, caro riscossione, Campione d'Italia, reverse charge. Poi ho guardato la data: 2007-2008, manovra Prodi; e mi sono detto: torniamo, per carità, alle nostre difficoltà.
Se fossimo rimasti in Francia o in Germania, come sarebbero i conti? Perché credo che valga la pena vederlo. Allora, magari, i nostri uffici studi ci vengono in aiuto. Infatti, è abbastanza curioso - mi dicono che certe cose non si possono dire più di tanto - come le cartoline, le lettere su cui siamo tutti curiosi arrivano all'Italia, ma se parlassimo francese dovremmo dire: considerato che l'indebitamento netto - chiedo scusa ma forse la casalinga di Voghera deve saperlo - è il saldo del conto economico consolidato, cioè la differenza tra le spese complessive e le entrate complessive e che è parametro di riferimento, calcoliamo che noi abbiamo anche la spesa per interessi che sono, di fatto, l'ipoteca, il freno a mano tirato sul futuro dei nostri figli.
Ebbene, sull'indebitamento della pubblica amministrazione, se vogliamo, se parlassimo italiano, francese e tedesco, vedremmo i dati delle Commissione UE, poi dell'OCSE e del Fondo monetario che parlano dell'Italia al 4 per cento. La Francia al 5,8 per cento; la Germania al 2 per cento; la Spagna al 6,3 per cento; il Regno Unito all'8,6 per cento. Quindi, indebitamento molto più elevato rispetto a noi. Voi dite: lo dicevate prima e siamo andati in crisi lo stesso, certo. La disoccupazione in Italia, a maggio 2011, è all'8,4 per cento; Francia: 9,5 per cento; Germania: 6,4 per cento; Spagna: 20,6 per cento. Regno Unito: 8 per cento.
Vorrei citare altri dati. Secondo Il Sole 24 Ore, quest'anno, l'indebitamento della Francia, il debito pubblico francese, è pari ad oltre l'85,4 per cento del PIL. L'Istituto nazionale di ricerca, quindi, riporta un dato che va dall'85 all'84 per cento, con un deficit pubblico pari al 7,1 per cento del PIL, che scenderà nel 2012 e nel 2013, e arriverà al 2 per cento nel 2014. Questo conto porterà, invece, l'Italia, tra lacrime e sangue - lo sappiamo -, nel 2013, al pareggio di bilancio.
È altrettanto interessante, se parlassimo tedesco, l'articolo di poco tempo fa di Marco Fortis, che attesta come, secondo le revisioni contabili di Eurostat, la Germania abbia aumentato di colpo il debito, nel 2010, di 319 miliardi di euro, arrivando a 2.080 miliardi di debito. Si tratta del primo debito europeo a superare la soglia dei 2 mila miliardi.
Vorrei ricordare che Eurostat ha incluso nel perimetro del debito pubblico le società veicolo, Cassa depositi e prestiti, che si sono fatte carico dei salvataggi delle banche pericolanti durante la crisi. Quindi, abbiamo un dato che va dal 73 al 75 per cento, mentre, invece, si parla dell'83 per cento. Si tratta, dunque, di un debito più alto di 236 miliardi di euro rispetto a quello dell'Italia.
Anche il debito della Gran Bretagna cresce dal 77 per cento all'80 per cento del PIL, senza considerare le passività contingenti, cioè quella parte di emissioni a favore delle banche in crisi che non sono ancora considerate nel debito pubblico. Nel 2010, l'Eurostat ha stimato le passività contingenti al 24,7 per cento del PIL per la Gran Bretagna, al 12,5 per cento per l'Irlanda, al 5,6 per cento per la Spagna e al 2,8 per cento per la Germania. L'Italia non ha passività contingenti.
Il debito è sicuramente una crescita rubata al futuro. Devo ripetere le responsabilità del debito? Devo ripetere che, in quest'Aula, oggi siedono gli eredi di quel CAF e di quel consociativismo che, in qualche modo, ha messo un debito, un freno e un'ipoteca sul futuro dei nostri figli? Tuttavia, mentre, in qualche modo, il nostro Paese sta mettendo i conti in ordine, cercando, quindi, di salvaguardare virtuosamente il nostro futuro, altri Paesi si stanno indebitando (Commenti). Quindi, signor Presidente... mi rivolgo al collega che dubita: basta leggere non quanto dice un povero medico leghista che, per carità, non gode di conoscenze eccelse, ma quanto dicono gli analisti. Pag. 42
Oggi, questa manovra viene, in qualche modo, approvata dalla BCE, su di essa ha svolto un ruolo positivo il Governatore Draghi e viene approvata da Napolitano: è una manovra necessaria. Ora vi è il tema della crescita. Certo, noi attendiamo le quaranta disposizioni contenute nel cosiddetto decreto sviluppo che abbiamo approvato da poco. Tutti sappiamo che la crescita è il faro di orientamento per il nostro futuro, tuttavia, signor Presidente, dobbiamo parlare chiaro agli italiani e ai padani. Io diffido dei pescatori quando parlano del pesce, delle pettegole e dei politici quando parlano delle virtù proprie e declamano i difetti degli altri. E diffido dei medici pietosi, diffido di chi predica lo zuccherino: la medicina non è uno zuccherino, la medicina è amara e ha degli effetti collaterali. Medicine zuccherino o servono per i non malati o rischiano di uccidere il malato.
Noi siamo coscienti di chiedere un sacrificio pesante agli italiani anche se, lo ripeto, i suggerimenti, le toppe da mettere che ci vengono proposte dall'opposizione non solo non ci convincono, ma sarebbero state peggiori.
Siamo coscienti che gli enti locali avranno delle ripercussioni, ne siamo coscienti e abbiamo cercato delle soluzioni nei limiti del possibile e dei tempi, perché i tempi del provvedimento, i tempi della democrazia non sono sicuramente i tempi della BCE, non sono i tempi del mercato.
In questi tredici giorni si è discusso di una manovra da 45 miliardi di euro a luglio e da 56 miliardi di euro adesso, e se cifrassimo anche lo spending review, cioè la possibilità di rivedere la spesa pubblica che abbiamo accolto dall'opposizione e che è pari a circa 20 miliardi di euro, arriveremmo a circa 100 miliardi di euro, il tutto in tredici giorni.
Fortunatamente non abbiamo accolto quello che suggeriva, per esempio, il segretario Bersani, che a luglio ci diceva di non fare il primo decreto-legge, di aspettare poiché ci avrebbero consentito di convertirlo a settembre; ora non solo abbiamo dovuto farne uno, ma addirittura abbiamo dovuto farne altri.
Quindi, è vero: i tempi della democrazia sarebbero più lunghi. In tredici giorni abbiamo assistito - sì, è vero - a varie ipotesi, ma, caspita, è possibile immaginare una scelta così radicale, una scelta così drastica sulle entrate, sui contenimenti della spesa, senza la possibilità non solo di cambiare idea, ma di trovare la terapia giusta? È possibile centrare una terapia immediatamente al primo colpo? No. Certo, da parte della stampa c'è stata una amplificazione; se avessimo deciso più tardi, ci avrebbero detto che eravamo divisi, che eravamo insicuri e che facevamo crollare i mercati; poiché abbiamo deciso in tempi relativamente brevi, ci sentiamo dire che non ascoltiamo i suggerimenti e che non ascoltiamo la democrazia.
Certamente, sono tempi difficili, la globalizzazione pone in seria difficoltà il principio di democrazia, soprattutto di democrazia parlamentare, a cui noi della Lega Nord Padania siamo fortemente attaccati. Noi pensiamo innanzitutto che i partiti siano necessari, il partito più vecchio di questo Parlamento pone più fiducia nel Parlamento stesso, nei partiti piuttosto che in altri interessi o in altri sistemi di selezione; noi pensiamo che la selezione che avviene all'interno dei partiti, che viene dal basso sia una selezione che ha sempre funzionato nelle democrazie e per questo noi pensiamo che i parlamentari debbano rappresentare il territorio e che possano venire qui anche i sindaci che conoscono e che portano le istanze del territorio.
Tutto ciò proprio in questo consesso parlamentare che forse è il vaso di coccio tra gli altri poteri: tra il potere della magistratura, che sicuramente, a detta di tutti, bene si difende e il potere del Governo, dell'Esecutivo che bene o male si difende, c'è di mezzo un ruolo, il sistema parlamentare, a proposito del quale dovremmo discutere, a proposito del quale mi auguro si apra una stagione riformatrice, una stagione di discussione.
Signor Presidente, non credo nel «benaltrismo» e nel «maanchismo», nella ricetta magica, nel mantra che viene ripetuto Pag. 43ad ogni intervento. Questo mi ricorda quei venditori di pozioni magiche; non voglio offendere nessuno e voglio sottolineare che alcuni emendamenti presentati dall'opposizione in sede di esame in Commissione sono stati ottimi e hanno trovato anche un terreno fertile, ma quando viene detto apertamente «i nostri emendamenti», ebbene, caro collega Bersani, non ci sono emendamenti magici, e non c'è la medicina che serve a tutto, che serve a far crescere i capelli e serve anche a far digerire, non esiste la medicina magica che si chiama «mandare a casa Berlusconi». Questa non è la medicina magica, non esistono medicine magiche.
Esistono anche critiche poco sincere, francamente poco credibili. Leggiamo del signor Carlo De Benedetti che, parlando dell'evasione e della lotta all'evasione - argomento che ha sollevato molte critiche - ha sostenuto che avevamo cifrato in qualche modo la lotta all'evasione; non eravamo i primi.
Devo dire, ahinoi, ci abbiamo provato, i mercati non l'hanno pensata così, ma vedrete che qualcosa arriverà, sicuramente, non solo sull'evasione, ma anche sull'elusione e sull'erosione. Leggiamo che Carlo De Benedetti giudica che la lotta all'evasione rimane un mantra appena enunciato; invece, vi sono stati degli elementi, sulle società off-shore e sulle società di comodo, che forse l'ingegnere dovrebbe ricordarsi. Si legge su Il Corriere della Sera del luglio 2000: E l'ingegnere va off-shore. Una girandola di operazioni per finanziare l'acquisto di Aedes con sponda nei paradisi fiscali, come Lussemburgo e Isole Vergini. Su e giù in Borsa con i tedeschi di Tmw e i loro amici di Bruxelles.
È agevole la trattazione di tutti i giri, i gironi ed i giretti per cui, in qualche modo, questa si chiama elusione. Questi «fenomeni» sono pronti a battere il petto del vicino e pronti a dire che il vicino deve fare sacrifici; pronti a dire che vogliono addirittura pagare le tasse, come anche un'altro esperto mancato di automobili, che dovrebbe magari spiegare in che modo è riuscito ad avere qualche concessione e a fare qualche grande plusvalenza occupandosi di treni, quando di treni, le sue società, non ne avevano mai gestito uno. Da questi, forse, ci possiamo permettere di non accettare suggerimenti, e che la pagliuzza, magari, se la vadano a vedere nel loro occhio.
Signor Presidente, vi sono tanti temi: quello del ruolo della politica, una vituperata politica ed una vituperata classe politica, che ha delle colpe, per carità, ma non tutte quelle loro ascritte. Politica che deve però dare l'esempio, che deve accettare anche il ruolo della solitudine e che deve accettare anche di non essere amata, ma che deve ottenere credibilità. Per questo crediamo - e in sede di discussione l'abbiamo detto - che anche la misura, il passo indietro del Senato, circa alcuni tagli che sono presenti, forti, e che credo andrebbero spiegati agli italiani, sia stato, di fatto, un autogol, perché è stato venduto dai mezzi d'informazione a cui forse difetta, qualche volta, l'autocritica. Infatti, se andiamo a vedere chi utilizza la barberia, e l'utilizza pienamente, dovremmo guardare tra i giornalisti. Tuttavia, detto questo, sostengo che dobbiamo dare l'esempio, proprio perché crediamo in questa democrazia.
Signor Presidente, credo allora che qualche critica e qualche dubbio vadano sollevati nei confronti di questi organismi che non sono votati e che non rappresentano il popolo, come per esempio la BCE, che ieri ha tentennato sulla Grecia, che oggi forse tentenna nei nostri confronti e che ci impone, in qualche modo, delle manovre. Certo, lo Stato nazionale è superato ma, in qualche modo, questo deve far pensare.
Inoltre, vi sono altre due considerazioni: questa è una crisi di ricchezza. Aveva ragione il presidente Buttiglione: dobbiamo dire agli italiani, ai cittadini e ai popoli che compongono l'Italia, che siamo più poveri, mediamente di un venti per cento. Siamo più poveri e dovremmo tirare la cinghia tutti assieme, certo. Dovremmo tirare la cinghia per arrivare nel 2013 a spendere quello che guadagniamo, questo è l'obiettivo, perché non possiamo più permetterci di caricare il peso della Pag. 44crescita del debito sui nostri figli. Vi sono 80 miliardi di euro di spesa per interessi quest'anno, probabilmente 100 miliardi, ma si tratta di un Paese che ha un avanzo primario dello 0,2 per cento, mentre altri Paesi non hanno un avanzo primario. Persino la Germania forse avrà un avanzo primario del 3 per cento.
Quindi crediamo che questo sia un Paese forte non per merito del Governo presente e passato, ma per merito delle persone, per merito della famiglia e per merito del collante sociale che ha tenuto unito questo Paese. Anche la matrice cristiana ha tenuto unito questo Paese, così come la famiglia, che ha svolto un ruolo di ammortizzatore sociale. È per questo che la Lega è intervenuta a favore delle pensioni, è intervenuta cercando - abbiamo fatto tutto il possibile - di non colpire soprattutto la donna su cui grava, ahinoi, veramente il peso della famiglia e della coesione sociale. Non abbiamo toccato le pensioni di anzianità, perché erano al Nord soprattutto, in virtù quindi del nostro mandato, anche e proprio per questo.
Quindi è un Paese che ha creduto nei suoi valori e che deve pensare che questa crisi nasce da quello che diceva Einaudi, anche dal non rispetto dell'etica. Non ci può essere ricchezza, diceva Einaudi, non ci può essere sviluppo al di fuori del catechismo della chiesa sociale. Certo, è un'affermazione pesante, ma anche laica, credo, che però in qualche modo ci deve fare pensare a cosa ha generato questa crisi, che non è solo crisi del PIL, è stata una crisi dovuta alla mancanza di alcuni valori, dovuta all'egoismo di un gruppo di persone, dovuta a una falsità nei subprime, quindi una falsità di comportamento, dovuta ad una mancanza reale di carità. In molti si sono arricchiti e hanno scaricato sul resto.
Queste sono le virtù teologali e credo che nell'analisi di Benedetto XVI, nella Caritas in veritate, questo sia compreso. Credo pertanto che da questo Parlamento debba arrivare un messaggio chiaro, di speranza. È giusto l'articolo di orgoglio di De Bortoli. Ce la possiamo fare e siamo convinti, Presidente, che questo Paese abbia delle energie positive. Sulla tolda della nave la classe dirigente deve dimostrare di meritare questo Paese, deve dimostrare di meritare il Governo, il ruolo che gli è stato affidato, deve fare di più in termini di credibilità, deve fare di più in termini di onestà, deve fare di più in termini di esempio, deve in qualche modo suonare la carica. Deve fare di più anche l'opposizione, a cui non difetta il giudizio anche critico, qualche volta a ragione, ma con i «no» non si può sempre andare avanti.
Non si può sempre andare avanti a pensare di riscuotere un facile credito elettorale nell'immediato. Dobbiamo invece investire sulle generazioni future e per questo si potranno guadagnare due voti andando a bloccare il Giro della Padania, si potranno guadagnare due voti andando a tirare sassi, ma non credo che ne guadagnate o se ne guadagnino andando a tirare sassi sulla TAV, si potranno guadagnare due voti andando a chiedere le dimissioni di Berlusconi, ma forse per questo Paese dovremmo pensare insieme di fare di più (Applausi dei deputati dei gruppi Lega Nord Padania e Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Barbato. Ne ha facoltà.

FRANCESCO BARBATO. Signor deputato Presidente, noi oggi siamo chiamati in Parlamento per la conversione in legge del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, cosiddetto decreto, o meglio manovra di Ferragosto. Poiché questa manovra è stata riscritta quattro volte, forse sarebbe più corretto chiamarla, in luogo della manovra di Ferragosto, la manovra dei colpi di sole di Ferragosto. Solo così si può spiegare che un provvedimento così serio, che riguarda l'economia di un Paese, sembra quasi diventato una barzelletta. Ma la cosa più raccapricciante è che non è questa una manovra da colpi di sole di Ferragosto, perché dovrebbe riferirsi solo a questo provvedimento legislativo.
Ma la cosa più inquietante è che ormai con questo provvedimento nel giro di pochi mesi siamo alla terza manovra economica. Pag. 45La prima - la ricordate - è il decreto-legge n. 70 del maggio 2011; poi c'è stato il decreto-legge n. 98 del luglio 2011. Infine, abbiamo avuto il provvedimento di agosto 2011. Un mese si fa una manovra economica e il mese successivo la si prova. Poi il mese successivo si fa un'altra manovra, perché la manovra di luglio (il decreto-legge n. 98), se non ricordo male, fu chiamata «manovra correttiva», perché con quella manovra economica si correggeva una precedente manovra sbagliata, quella di maggio.
Quindi, vorrei sapere da questo Governo che per tabulas si comporta in modo così ondivago (è un Governo di ubriachi che un mese fa un provvedimento e una manovra correttiva, a luglio, e oggi ad agosto ci presenta un'altra manovra): se quella era la manovra correttiva, questa che cos'è? È la manovra che corregge la manovra correttiva? Ecco perché questo Governo non è serio e soprattutto con questa terza manovra non ha finito, perché in parallelo è partita una quarta manovra. Infatti, solo la settimana scorsa nella VI Commissione (Finanze), di cui faccio parte, si è incardinato un altro provvedimento legislativo: la delega al Governo per la riforma fiscale e assistenziale che sostanzialmente diventerà una quarta manovra in corso parallela, la quarta manovra economica.
Quindi, alla fine secondo me è giusto mutuare la metafora del Ministro Tremonti quando parlava - vi ricordate - dei mostri sui video games che lui puntualmente ammazzava. Ogni volta ne compariva un altro, ma mi sembra che questo Governo spari ogni volta a vuoto perché ha sparato a maggio e ha sparato a vuoto. Ha «risparato» a luglio e non ha centrato l'obiettivo con la manovra correttiva. Spara adesso e siamo punto e a capo.
Questo è un Governo che non sa mirare gli obiettivi, che non li centra. Non sanno puntare con le manovre che stanno facendo un mese sì e l'altro no. Non si tratta di provvedimenti che fanno bene al Paese. Quindi, se questo Governo non riesce a mirare bene e si muove con tanta improvvisazione (perché chi si muove così si muove con improvvisazione), significa che ogni volta «azzecca» un francobollo giusto per dare un contentino. Ci sembra quasi come se questo Governo, anziché affrontare la manovra, stia di volta in volta cantando una «ninna nanna» sulla culla degli italiani per addormentarli e rasserenarli.
Tuttavia, non si risolvono i problemi dell'economia con le «ninne nanna» cercando di addormentare e neanche quest'altra «ninna nanna» servirà a nulla, perché sono delle inutili «ninne nanna» che ci stanno portando qui in Parlamento.
Forse ha ragione il segretario del Popolo della Libertà Alfano che striglia gli uomini del suo partito dicendo che nei weekend devono scrivere dove vanno perché debbono andare nei territori tra i cittadini. Infatti, oramai il Popolo della Libertà non vive più tra i cittadini e nei territori. Non respira più, non conosce i problemi, le difficoltà e le ansie dei cittadini. Tuttavia, peccato che il Ministro Alfano la mattina dice queste cose e dà queste direttive al partito e la sera va a Sant'Antonio Abate in provincia di Napoli con il Vicepresidente Lupi e altri parlamentari ad un banchetto di un altro deputato del PdL, il suo omonimo Alfano. Sabato scorso è andato ad incontrarsi con tanti colleghi.
La domenica successiva sono andato anche io in quella stessa piazza, non con le auto blu, non per vedermi con altri parlamentari e con la casta, ma per stare tra i cittadini, per fare i referendum e raccogliere le firme, per parlare con i cittadini di cosa hanno bisogno e di cosa gli deve dare la politica. Questa è la politica che l'Italia dei Valori dà veramente nei territori.
Sono rimasto veramente entusiasta, signor Presidente, quando addirittura a quel banchetto è giunta una suora, venuta a firmare. Non solo ha firmato ma, addirittura, ha esposto le ragioni per le quali era giusto firmare ed era giusta la nostra iniziativa, dell'Italia dei Valori, di raccogliere le firme e stare lì, tra i cittadini. Sono rimasto contentissimo di quell'incontro avuto sabato, a Sant'Antonio Abate, Pag. 46quando quella suora mi ha regalato addirittura un crocefisso. Mi ha regalato un crocefisso perché ha detto che «veramente state facendo una politica cristiana, perché state lavorando per i cittadini, per gli italiani, per gli esseri umani». Questa è l'Italia dei Valori, questo è il lavoro che facciamo noi, perché cerchiamo di stare davvero vicino ai cittadini.
Per la verità il sabato precedente, invece, ero stato il pomeriggio, dopo la riunione della Commissione bilancio, con gli indignati in piazza San Giovanni, così come la domenica mattina. Così ho trascorso il mio weekend, perché è dovere della politica ascoltare le ragioni dei cittadini, capire perché la gente è indignata e non ci voleva molto per capirlo. Se fossero venuti anche altri parlamentari a piazza San Giovanni, sabato e domenica scorsa, avrebbero incontrato lì i lavoratori della Vinils, l'isola dei cassintegrati - vi ricordate? - che stanno ancora lì a soffrire, perché pochi giorni fa anche l'altra gara indetta dal Governo è andata a vuoto e loro stanno così da due anni, a Porto Torres, a Porto Marghera, a Ravenna, dove vi è l'intero polo chimico, un intero settore industriale che crolla a pezzi e che non ottiene risposte con questo Governo.
Ho incontrato i lavoratori di Eutelia, che mi hanno detto che il 16 ottobre prossimo vi sarà un'altra udienza. Solo in questo Paese e con questo Governo capita che un'azienda importante, nata con la Olivetti, fallisce perché è stata affidata ad un mezzo delinquente che ha buttato tutto all'aria e ha lasciato per strada migliaia di lavoratori. Si tratta di un'azienda che aveva anche il servizio di questa Camera, come di altre strutture pubbliche. Così sta succedendo in questo Paese. Perciò la gente è indignata ed ha ragione ad essere indignata e io la capisco. Ecco perché noi veramente capiamo, perché respiriamo i problemi della gente. Ecco perché veniamo poi qui, nel palazzo, a portare le ragioni della piazza, di una piazza che non ne può più di questo Governo e, men che mai, di questa manovra economica. Questa non è una manovra economica, questa è una manovra odiosa, è una manovra odiosa perché è una manovra ingiusta. Nel momento in cui per far cassa si aumenta l'IVA, portandola dal 20 al 21 per cento, che cosa si fa? Si applica la tassa più odiosa, perché mette le mani soprattutto sul carrello della spesa, perché ogni famiglia, con questa odiosa manovra, pagherà 600 euro in più all'anno. Questo è quello che costerà questa manovra. Ma la cosa più odiosa e più ingiusta è che l'aumento dell'IVA, che toccherà tutti i prezzi e soprattutto quelli degli alimenti, non colpirà chi sta bene e chi è ricco ma chi non arriva a fine mese, i precari, i disoccupati, le famiglie meno abbienti, perché, per chi è abbiente pagare 600 euro in più per comperare la spesa, per mettere gli alimenti nel carrello della spesa, non ha importanza. Ma riempire il carrello della spesa pagando 600 euro in più, per chi già non ha, diventa complicato. Questa è la ragione per cui questa manovra è ingiusta, è immorale ed è odiosa.
Voi non vi accorgerete che l'OCSE - non Barbato o l'Italia dei valori - dice che l'Italia, e solo l'Italia, negli ultimi dieci anni ha aumentato il divario tra ricchi e poveri. Insomma, ci sono sempre più poveri e la concentrazione delle ricchezze si annida nelle mani di sempre meno persone, quindi i capitali, la ricchezza ed il benessere vanno nelle mani di pochi.
Cosa si può dire di questa manovra, di una manovra che si muove in modo così trasversale, che taglia colpendo soprattutto i meno abbienti, imponendo una tassa indiscriminata come quella dell'IVA - chiamatela così - che colpisce i meno abbienti, come i tagli che sono stati perpetrati da questa manovra? Sono stati introdotti tagli all'assistenza: nel 2012 avremo 4 miliardi di tagli all'assistenza, ossia tagli all'invalidità, all'accompagnamento e alle pensioni sociali. Vi rendete conto di cosa state facendo in questo Paese? Ve la prendete con la fasce sociali più deboli, con chi non ha, con chi già soffre e con chi già è in difficoltà? Non ha torto la gente in piazza San Giovanni se è stanca e non ne può più e verrà a prendervi con i forconi, perché non è più Pag. 47possibile tollerare quanto state facendo in questo Paese. Non se ne può proprio più di questa manovra.
Questa è una manovra che andrebbe bene per la razza ariana, in un Paese in cui c'è una bella classe ariana selezionata: tutti ricchi, forti, potenti, intoccabili e duri. Non è così: l'essere umano è vario, c'è chi è forte e chi è debole, c'è chi sta bene e chi sta male, c'è chi ha la sfortuna di nascere con un handicap o con un'invalidità e c'è chi soffre. E voi che cosa fate? Tagliate in modo indiscriminato: infatti quei 20 miliardi, oltre ad incidere sugli enti locali e sulle regioni, andranno per 4 miliardi ad incidere sull'assistenza.
E allora che cosa vogliamo? Io e l'Italia dei Valori vogliamo una politica diversa, una politica che ridia centralità all'essere umano, una politica dal volto umano e soprattutto una politica che metta al centro l'uomo e che ridia all'uomo ed alla natura la piena forza che devono avere. Siamo stanchi di queste politiche «trafficanti»: quella che state facendo è una politica «trafficante» perché è una manovra valida soltanto sulla carta perché solo sulla carta è possibile questo pareggio di bilancio con 54 miliardi 265 milioni nel 2013 e 70 miliardi nel 2014. È tutta politica di carta, che vale come una carta e che crollerà come i castelli di carta. Non è una politica affidabile, con impegni certi e con spese certe, dove si va a toccare in modo certo. È tutto indefinito ed imprecisato.
Per questo non siete affidabili e per questo ancora oggi veniamo puniti dai mercati - anche oggi la borsa di Milano perde intorno al 3,6 per cento - per il fatto che, ancora una volta, c'è una politica inaffidabile e non credibile, ma soprattutto una politica che addirittura pone il 73 per cento delle entrate di questa manovra sulla leva fiscale.
Vorrei dire che soprattutto noi dell'Italia dei Valori abbiamo senso dello Stato, rispetto delle istituzioni e grande sensibilità per la legalità e la giustizia. È questo il motivo per il quale abbiamo un approccio per il quale viviamo nella piazza tra i cittadini e sul territorio, ma poi stiamo nella istituzioni per dar voce ai cittadini ed ai territori. È questa la ragione per la quale ho presentato un emendamento all'articolo 2, con il quale si prevedeva di sopprimere dal comma 2-bis al 2-quater.
Cosa voglia sopprimere? Voglio sopprimere appunto l'applicazione dell'aumento dell'IVA perché non è giusto far pagare con l'IVA chi non ha e chi ha, soprattutto i più deboli, perché la tassa dell'IVA è una tassa indiscriminata.
Inoltre con questo emendamento che ho presentato volevo aggiungere al comma 3 il 3-bis, un comma con il quale si voleva mutuare un principio contenuto nella precedente manovra, appunto la manovra di luglio, il decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98. Signor Presidente, in quel decreto-legge era previsto che ci fosse un condono avente ad oggetto le liti fiscali pendenti alla data del 1o maggio 2011 dinanzi alle commissioni tributarie o al giudice ordinario, e si permetteva a tutti i contenziosi in essere fino all'importo di 20 mila euro di chiudere questa partita. Questo ha proposto questo Governo nella manovra precedente. Allora io mutuando questo principio che già abbiamo assunto in sede legislativa ne ho proposto l'applicazione ad un altro contenzioso che ha lo Stato: lo Stato italiano ha un contenzioso con i concessionari di giochi e scommesse, un settore immorale e antisociale, che dal 2004 la fa franca, per cui dico, mettiamo mano lì, ed ho presentato questo emendamento.
Il Nucleo speciale frodi telematiche, corpo specializzato della guardia di finanza, ha svolto un accertamento ed ha quantificato l'importo nella misura di 98 miliardi di euro. Addirittura su questa vicenda, signor Presidente, è nato in Liguria un movimento, un'associazione denominata «98 miliardi di euro». Allora, se con decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, è stata approvata quella misura, facciamo la stessa cosa pure noi, definiamo il contenzioso e quindi determiniamo ex lege l'importo che i concessionari di giochi devono allo Stato italiano. Vi sembrerà una cosa strana, ma l'Italia dei Valori dice: «condoniamo questi signori», condoniamoli sì, Pag. 48ma nel senso di mettere le mani nelle tasche di questi signori, prendiamocela con questi potenti e prepotenti che la stanno facendo franca perché probabilmente sono riusciti a coinvolgere, a comprarsi, a compromettere - dite come volete - tanta politica, tanti partiti, tante fondazioni, tanti singoli politici. Ecco perché fanno la voce grossa, perché tutt'oggi continuano ad avere l'accompagnamento, gli aiuti di una certa politica.
Allora prima che se ne escano con una tazza di caffè per questo contenzioso, facciamoli pagare e smettiamola di aiutarli perché hanno ricevuto già troppi aiuti. Sono state create delle commissioni, una è la commissione Monorchio, addirittura nominata da AAMS, e guarda un po' trovi sia Monorchio che il direttore di AAMS in un'associazione che si chiama C3. In Italia ormai ci sono P2, P3, P4, ora c'è anche la C3. Allora prima che questa C3 operi e faccia uscire con quattro soldi o con una tazza di caffè i concessionari di giochi, mettiamo le mani addosso a questa gente, anche perché il sostituto procuratore generale della Corte dei conti nella sua requisitoria - stiamo parlando della prima udienza, l'11 ottobre 2010 - ha affermato che bisogna risarcire il valore che in uno Stato di diritto assume il principio di legalità dell'azione pubblica.
Ricordate: il principio di legalità dell'azione pubblica. Infatti, questo atto sarebbe anche dimostrativo e di esempio, per cui chi evade, elude o frega lo Stato - dite come vi pare - e viene colto con le mani nella marmellata, paga, anche se è potente e prepotente come in questo settore. Sarebbe anche una dimostrazione di uno Stato forte, che fa pagare tutti, soprattutto quelli che compiono delle illegalità, come i concessionari dei giochi.
Ecco perché vi abbiamo detto dove e come fare la manovra economica. Facciamo pagare chi deve pagare e non ha mai pagato e ha fregato lo Stato. Ma, addirittura, con i proventi di questa operazione, incassando questi soldi, possiamo finanziare le attività imprenditoriali. In questo Paese, che non ha un Governo che pratichi una politica industriale, ci pensiamo noi, ve lo stiamo dicendo: con i soldi che entrano da questa operazione, possiamo finanziare anche il Piano nazionale dei trasporti, perché in Italia abbiamo nelle nostre città i mezzi pubblici e gli autobus che sono tutti Euro 0, Euro 1,Euro 2, Euro 3, cioè sono tutti fuorilegge, perché sono tutti inquinanti. Sostituiamoli, anche perché abbiamo avuto un avviso di infrazione da parte dell'Unione europea.
Prima di pagare soldi e multe, rinnoviamo il parco macchine, altrimenti ha ragione la Fiat che vuole chiudere l'Irisbus di Grottaminarda. Sono stato davanti a quei cancelli continuamente per due mesi, ho fatto proposte in questa sede. Questa è l'ennesima che sottopongo al Governo, perché bisogna finanziare il Piano nazionale dei trasporti per creare mercato, perché vi siano commesse di autobus.
Quella è l'unica industria in Italia che costruisce autobus. E proprio oggi, signor Presidente, anche il Papa ha speso una preghiera per quei lavoratori, che dal 1o ottobre, forse, non avranno più un futuro. Ecco il nostro lavoro: è un lavoro cristiano, stare vicino ai cittadini con azioni e proposte concrete. Vi stiamo dicendo che con i soldi che ci vengono da quella operazione possiamo finanziare il Piano nazionale dei trasporti. È il modo propedeutico per arrivare al salvataggio di 1.500 lavoratori presenti in quella azienda, perché le altre due aziende, quelle che sono in Francia e nella Repubblica ceca, la FIAT non le chiude, perché il Governo francese, nel 2010, ha messo 55 miliardi di euro sul Piano dei trasporti e vi sono commesse, vi è lavoro. Ecco perché chiude l'azienda di Grottaminarda, si fa saltare un territorio come l'Irpinia e la Campania, e non chiudono le aziende in Francia o nella Repubblica ceca.
Noi diciamo ancora «no» alle privatizzazioni dei servizi pubblici, perché con l'articolo 4, sostanzialmente, ci ripresentate il vecchio decreto Ronchi; vengono addirittura fissate nuove date e scadenze per le prossime privatizzazioni. Addirittura, nell'articolo 5 prevedete dei premi per chi nelle proprie città apra a questa svendita dei servizi pubblici locali. Questi Pag. 49ultimi sono una cosa sacrosanta: mi sono «incazzato» la settimana scorsa quando ho saputo quello che è accaduto al pronto soccorso del Cardarelli. Gli infartuati, la gente che arrivava al pronto soccorso non aveva neanche le barelle! Neanche le barelle c'erano al pronto soccorso, neanche sulle barelle potevano stare gli ammalati e quelli che arrivavano lì in estrema difficoltà; li mettevano sulle sedie che prendevano dagli uffici o gli infermieri li prendevano in braccio. Si sta smontando uno Stato dove erano difesi i diritti dei cittadini. Questi diritti stanno saltando!
Non bisogna svendere la privatizzazione delle aziende pubbliche, bisogna casomai eliminare i carrozzoni che si sono costruiti lì intorno, o meglio, non utilizzare quelle strutture per sistemare i politici «trombati».
E poi, signor Presidente, voglio dire un'ultima cosa, giusto perché stiamo andando sulla politica ed è di grande attualità il tema dei costi della politica. Penso che una bella cura dimagrante dovrebbero farla innanzitutto i partiti. Negli ultimi tre anni ai partiti sono stati versati 3 miliardi 800 milioni di euro. Allora, basta con questo finanziamento. Voi lo chiamate rimborso, ma in ogni caso, in questo momento in cui si chiedono lacrime e sangue agli italiani, vogliamo continuare a camminare con queste strutture, con questi recinti per mammut?
A che servono più i partiti? La degenerazione partitocratica è ciò che i cittadini non vogliono sentire. Non ditemi che questa è antipolitica, perché i cittadini vogliono la politica, vogliono partecipare alla politica, non vogliono, invece, la partitocrazia e la degenerazione dei partiti. Ecco che cosa diciamo, ecco perché noi non siamo l'antipolitica, noi siamo la medicina della malapolitica, noi siamo l'antibiotico della malapolitica!
Allora, smettiamola, smettiamola, e smettiamola davvero perché, su questa manovra, se continuate così, non ci viene neanche voglia di votare contro, non veniamo neanche a votare, io non voto neanche, perché, davvero, la schifo questa manovra che, in questo modo, condanna irreversibilmente gli italiani e le italiane, i ceti più deboli.
Molto spesso, girando tra i cittadini...

PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Barbato.

FRANCESCO BARBATO. Mi avvio alle conclusioni, signor Presidente.
I cittadini mi dicono che con questa politica, con la politica di oggi, siamo diventati delle persone senza speranza. Nel dopoguerra i figli di un bracciante agricolo, di un operaio affrontavano in modo duro la vita, studiavano e riuscivano a realizzare il loro sogno di diventare professionisti o di avere un tenore di vita migliore, diverso. Invece, oggi, con questa politica, si impedisce ai cittadini anche di sognare.
Io, con l'Italia dei Valori, voglio riportare un sogno nel cuore di ogni italiano e di ogni italiana. Io, con l'Italia dei Valori, voglio ridare un volto umano alla politica. Voglio una politica che sia per i cittadini una politica civica, una politica che serva, soprattutto, al meglio il nostro Paese (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tassone. Ne ha facoltà.

MARIO TASSONE. Signor Presidente, del mio gruppo sono già intervenuti, prima di me, gli onorevoli Ciccanti, in qualità di relatore di minoranza, e Buttiglione e, dopo di me, interverranno gli onorevoli Binetti, Delfino, Compagnon e Occhiuto.
Credo che questa sia l'occasione, così come è stato rilevato dai colleghi del mio gruppo che mi hanno preceduto, per svolgere una valutazione di carattere generale, ma, nel contempo, anche stringente, tentando di cogliere quelli che sono i passaggi più importanti anche della vicenda politica ed economica che abbiamo davanti.
Signor Presidente, stiamo affrontando e stiamo per approvare un documento di politica economica, però ritengo che, in questa prospettiva e in questa proiezione, Pag. 50vi sia il dato della politica. Non vi è mai una vicenda economica svincolata dalla politica, nel momento in cui politica significa scelte e nel momento in cui la politica dovrebbe essere il momento di unificazione di tutta la realtà e del nostro Paese.
Abbiamo affrontato, nella nostra storia, tanti momenti congiunturali e difficili, che abbiamo superato, e li abbiamo superati grazie ad una grande mobilitazione. Le grandi mobilitazioni si verificano e si registrano se vi è entusiasmo, se vi è convincimento, se vi è una fede, se vi è un obiettivo, se vi è un comune sentire, e dove l'obiettivo e il traguardo non siano considerati semplicemente di alcuni, ma siano un traguardo ed un obiettivo di tutti. Questo è successo nel nostro Paese nel momento della sua ricostruzione e questo è accaduto nel momento in cui si doveva lottare contro il terrorismo.
Chi ricorda le battaglie in quest'Aula, quando il Paese si seppe ritrovare? Ma si seppe ritrovare, perché ci fu una classe dirigente, che riuscì a determinare una svolta ed una presa di conoscenza dove l'orgoglio, dove la passione e dove la speranza prendevano il sopravvento di fronte a visioni modeste, miopi e rattrappite. Oggi, invece, ci troviamo di fronte ad una congiuntura e sarebbe miope, come è miope questo documento, se la manovra economica - e lo fa purtroppo - prendesse semplicemente un dato particolare, come se fosse semplicemente un intervento congiunturale che vale semplicemente per questo momento, senza una visione di insieme, senza pensare ai lunghi o ai medi tempi, ma soltanto al contingente.
Noi stiamo pensando al contingente. Infatti è stato questo il dato della manovra di luglio ed è stato questo il dato che ha animato e che ha guidato il percorso della manovra di metà agosto. Non c'è dubbio che vi sono delle preoccupazioni. Noi siamo preoccupati. Siamo preoccupati ed abbiamo manifestato sempre una grande responsabilità, non abbiamo mai approfittato di questi momenti, come non approfittiamo di questo particolare momento, per avventurarci su posizioni che certamente non sono costruttive e che andrebbero veramente contro gli interessi generali e complessivi nel nostro Paese. Ed allora come difendiamo questi interessi generali del nostro Paese? Visto e considerato che manovre congiunturali che nascono attraverso aggiustamenti (tagli tecnici, tagli lineari ieri, tagli lineari oggi), sono manovre che sanno di particolarismo. Dopo gli inseguimenti di situazioni particolari certamente perdiamo di vista l'interesse complessivo e gli interessi generali del nostro Paese. Ma perché è debole la politica, l'ha detto l'onorevole Buttiglione. Ma perché è debole la politica? La politica è debole quando ovviamente va in crisi, perché prevalgono gli interessi particolari e le corporazioni e sono sempre messi ai margini gli interessi generali e gli interessi complessivi di un popolo e di una nazione. La politica diventa forte quando sa interpretare le istanze complessive e dove media le istanze e trova poi una sintesi. Quando non riesce a trovare una sintesi, ci sono ovviamente in economia degli interventi e delle soluzioni particolari, e delle soluzioni parziali, settoriali, senza una visione ampia. Allora, non c'è dubbio che da una manovra come questa sono sconfitti tutti. Perché è una manovra che non induce alla speranza? Perché manca alla base una fiducia, dove anche i colleghi della maggioranza hanno parlato senza entusiasmo, più per dovere di copione che per convincimento rispetto ad un approdo e rispetto ad un passaggio che dovrebbero essere significativi.

REMIGIO CERONI, Relatore per la maggioranza. Parla per te!

MARIO TASSONE. Prego, onorevole Ceroni? Ho detto di alcuni colleghi, non ho parlato del relatore Ceroni, che ha svolto una sua relazione, non poteva essere diversamente, ben confezionata. Certamente sono convinto che l'ha confezionata, questa relazione, il relatore Ceroni, ma è una relazione certamente confezionata dal relatore per la maggioranza, ma Pag. 51che non sta in piedi, non rispetto al mio comune sentire, onorevole Ceroni, ma non sta in piedi rispetto alla realtà del Paese. Infatti, molte volte io stento a capire se noi abbiamo contezza di una situazione di sbandamento in generale, che non investe semplicemente la maggioranza, ma investe tutta questa classe dirigente. Questo era, con umiltà, era il mio contributo, ciò che volevo dire. Non mi riferivo ad occupazioni indebite di spazi indebiti. Se tu, collega Ceroni, ti sei sentito toccato o pensi che io abbia potuto introdurmi verso terreni impropri, tenetevi questo terreno. Certamente ciò significa non voler dialogare e non voler accettare un contributo ed una collaborazione che in questo momento noi stiamo dando con grande dignità, con grande responsabilità e con grande serietà. E consentimi, la grande serietà, rispetto ad una situazione del Paese, che ha poco di serio e poco di accettabile.
Signor Presidente, ritengo che sia questo il dato: non c'è dubbio che questa manovra economica non pone delle riforme strutturali, non guarda al lungo periodo, non ha una sua strategia di sviluppo, certamente non si muove rispetto al debito pubblico, rispetto ad una crescita insufficiente e ad una struttura politica e istituzionale arcaica. Su questo vorrei anche fare un accenno molto semplice. Quante volte abbiamo parlato in questi giorni di costi della politica, anche rispetto alle operazioni che si sono fatte riguardo ai piccoli comuni; vi rientrano o meno, le province vanno attenzionate attraverso un provvedimento di riforma costituzionale. Insomma tutto questo non rientra nel tema della manovra economica, non è nel tema, non può essere nel tema. Questo è lo spot di un Governo e - possiamo dire - anche di tutti noi (come Parlamento) e non riusciamo a chiarire cosa significhi in una democrazia rappresentativa il divenire e l'articolarsi delle istituzioni come rappresentanti legittime delle istanze del nostro Paese.
Il fatto vero è che c'è una crisi di democrazia. Il problema è che, certo, forse può essere squalificata una classe dirigente, e possiamo dire anche che manca di credibilità chi sta al vertice dell'Esecutivo nazionale del nostro Paese, ma quando parliamo di crisi della politica e di crisi della democrazia vuol dire che gli organi di rappresentanza sono andati in crisi e non c'è neanche un bilanciamento. In molti periodi storici andava in crisi anche il Presidente del Consiglio ma c'era una classe dirigente, organi istituzionali rappresentativi che erano una valvola di sicurezza perché il Paese potesse andare avanti sull'onda della democrazia, rispettando i principi fondamentali della convivenza civile, della convivenza umana. È questo il dato vero, è questa la crisi della politica.
Quando noi abbiamo parlato di costi non abbiamo mai posto con attenzione il discorso, ad esempio, della centralità del Parlamento. Il Parlamento è alla deriva (non che io voglia salvare privilegi) perché, molte volte, nei nostri convegni basta parlare male del Parlamento, oppure dei benefici dei parlamentari per raccogliere l'applauso, ma questo non è senso forte della responsabilità e neanche un convincimento rispetto ad una verità che a mio avviso dovrebbe essere affermata. Questo è un modo per accedere all'azione che si sta facendo nei confronti delle istituzioni, del Parlamento, ma non si ha il coraggio (lo dico con estrema chiarezza). Nel 2001 abbiamo votato una riforma di riduzione dei parlamentari e io l'ho votata, ma è questo il problema? Il popolo l'ha cancellata, ma è questo il problema? Possiamo dire subito ai cittadini che faremo tutti questi tagli, che elimineremo anche il Parlamento, ma il Parlamento lo si sta eliminando anche attraverso quella parte della manovra finanziaria in cui si stabilisce che i consiglieri regionali possono avere un'indennità non superiore a quella dei parlamentari. Questo significa che certamente il Parlamento è stato «giocato».
Caro relatore, questi dati non riguardano semplicemente l'opposizione ma la sopravvivenza di queste istituzioni democratiche, ma senza la forza di queste istituzioni democratiche, senza avvertire che c'è un senso di disagio morale, e un Pag. 52senso dell'etica e della responsabilità nelle istituzioni, tutto diventa più complesso perché si è rotto il rapporto fiduciario tra noi e il Paese, tra noi e l'Europa. Credo sia questa la forte crisi, la difficoltà che il nostro Paese oggi si trova a dover fronteggiare. Certo, la situazione della crisi economica è planetaria, riguarda il vecchio continente. Ma perché c'è questa aggressione soprattutto nei confronti dell'Italia, come si suol dire? Perché l'Italia avverte la sua debolezza anche nei confronti della Spagna?
Ma c'è una forte crisi di credibilità? Certo, lo dicevo poc'anzi. Forse perché la Spagna cambia certe modalità e, soprattutto, cambia Governo e va alle elezioni. Qui manca la speranza e, soprattutto, la fiducia e la speranza, come dicevo poc'anzi, sono gli elementi da intercettare e da recuperare pienamente. Ma vi è un altro dato: non so chi abbia scritto l'articolo 8 e non lo voglio sapere. È un articolo presentato da questa maggioranza. Ma è possibile? Il problema dei licenziamenti, anche per giusta causa, venne fuori nel 2001 e perdemmo, in quella legislatura, un anno di discussioni. Adesso ritorna nei modi più impresentabili, più antidemocratici, che violentano il Parlamento e le istituzioni di democrazia rappresentativa. Onorevole Ceroni, parlo per me, non per lei, e lei accetta anche queste cose, per carità. Ma lei lo sa che cosa accetta, onorevole Ceroni, lei e la sua maggioranza? Lei accetta che, con un voto dei sindacati a maggioranza, si potrà derogare ad una legge dello Stato. Abbiamo creato un'altra Camera in materia di lavoro, di licenziamento, di giusta causa. Questo che cos'è? Non è un vulnus arrecato al Parlamento? Non c'è dubbio che il Parlamento diventa un ente inutile perché la crisi fiduciaria investe tutta la classe politica. La classe politica ha un dovere, come i partiti lo hanno avuto nel passato, ossia di rappresentare, sul piano culturale, anche nella contrapposizione e nel confronto delle posizioni, come dicevo poc'anzi, un momento unificante di sintesi all'interno del nostro Paese. Quanto manca la cultura, la cultura cristiana, la cultura cattolica, a confronto ieri con la cultura marxista! Prima vi erano due posizioni ideali a confronto, anche tre, quattro, con i laici a confronto. Oggi non c'è una prospettiva. Molte volte le manovre economiche nascevano anche da filosofie e da scuole di pensiero economico. Questa manovra economica non nasce da nessuna scuola di pensiero. Potremmo dire che siamo o non siamo keynesiani; questa manovra nasce da un'accozzaglia di idee e di posizioni, vi sono dei tagli e dei taglietti, delle composizioni e delle ricomposizioni, senza affrontare minimamente una certa prospettiva. Noi parliamo di istituzioni, ma che significa? Va bene la misura sui piccoli comuni con sei consiglieri comunali, ma perché non siamo stati ascoltati quando abbiamo gridato, o meglio chiesto a gran voce, in quest'Aula che, nell'ambito dei provvedimenti sul federalismo fiscale e sul Codice delle autonomie, si prevedesse il ruolo dei comuni e dei piccoli comuni e si capisse se le province ancora avevano un ruolo da sostenere rispetto ai servizi? Tutto questo non appare in nessun modo. Ciò, cosa ci ha fatto dire? Che eliminiamo cinquantamila posti di consigliere comunale nei piccoli comuni? Sono spot, sono lo specchietto per le allodole, solo per deviare, ovviamente, e per dare alla collettività che non ama «la politica» un qualche contentino, una qualche soddisfazione rispetto a frustrazioni e reazioni. Ciò, a proposito dell'articolo 8, ma c'è il livello regionale. Questa non è una mia ossessione, non ho avuto mai ossessioni di questo tipo. Ma è possibile che non si parla mai di regioni in termini seri? Dobbiamo capire che cosa significano questi vari livelli decisionali. Sono contro la tesi che sostiene che vi sono i comuni, poi le regioni, poi il Parlamento e, infine, Strasburgo e che, quindi, il Parlamento è qualcosa di troppo, la federazione si fa a livello di regioni.
Eliminiamo il Parlamento, eliminiamo la centralità, risparmiamo tutto. Se inseguiamo la logica dei costi della politica, eliminiamo il Parlamento. Su questo non sono d'accordo. Non sono stato d'accordo nemmeno con Polledri quando parlava di Pag. 53popoli. Se questa è la tesi della maggioranza, non è la tesi di questa opposizione. Parliamo di un popolo e pensiamo che questi 150 anni dell'Unità d'Italia ha avuto una certa storia e una sua percorrenza oppure rimuoviamo tutto ciò e pensiamo che la soluzione migliore siano quelle bagatelle di Ministeri che sono stati portati a Monza e che certamente non danno né credibilità né dignità al Paese e alle istituzioni democratiche, non sono di decoro nei confronti delle istituzioni democratiche? Ma nessuno ha parlato. Va bene che questa era ovviamente la tesi della maggioranza. Ma sulla maggioranza non voglio entrare nel merito, per carità, ognuno si assume le proprie responsabilità ma posso dire che, di fronte a fatti ridicoli mentre un Paese ha difficoltà di pensare al proprio futuro, lavoriamo e ci adoperiamo rispetto a situazioni che certamente non arricchiscono e non sono esaltanti e non sono caratterizzanti di nuove stagioni ma sanno di vecchie stagioni (ma stiamo attenti quando parliamo di vecchie stagioni). Ho sentito un collega della Lega fare riferimento alla storia del passato. Ma non ci siamo mai trovati in queste situazioni. Il debito pubblico era molto più controllato negli anni del dopoguerra. Andate a vedere quando esplose il debito pubblico all'interno del nostro Paese: verso la metà degli anni Ottanta certamente. E questa situazione avrebbe dovuto dare un respiro diverso e una prospettiva diversa ma non è successo. E allora certamente sono per la lotta all'evasione: quante volte noi abbiamo parlato di lotta all'evasione. È una allocazione di risorse credibile? Mi auguro di sì. È previsto anche il coinvolgimento dei comuni ma tutto questo non deve nascere anche da un processo di maturazione, di sensibilizzazione della collettività o si pensa certamente che i destinatari dei provvedimenti di urgenza rimaneggiati nel corso d'opera possono essere di per se stessi il toccasana di un rilancio e soprattutto una forza collaboratrice e creatrice da parte della collettività? Ritengo che tutto questo vada fatto e ricalibrato in termini molto seri. Certamente anche per saldare le varie generazioni. Quante volte parliamo di welfare, di giovani, di anziani e quante volte forse non siamo molto capaci di fotografare la situazione e di indicare qual è il percorso ma anche perché siamo chiusi nei nostri egoismi e anche questo provvedimento, forse per responsabilità diffusa, risente di questi egoismi, risente di questo individualismo rispetto, come dicevo poc'anzi, a questo formarsi di piccole o grosse corporazioni che non rappresentano il tutto ma una parte. Ma le parti si alleano con altre parti per fare poi la politica e le scelte all'interno del nostro Paese. Molte volte si evitano di fare delle scelte e si lascia una situazione di stallo, come questa manovra che lascia una situazione di stallo senza speranza.
E poi c'è un altro dato. Noi parliamo di formazione: l'aspetto umano è il dato ma non esiste. Parliamo dei nostri cervelli che vanno all'estero, parliamo della scuola, dell'università, parliamo della ricerca ma tutto questo si fa attraverso provvedimenti concreti o attraverso provvedimenti congiunturali dove indichiamo i tagli, la situazione economica e poi domani il prossimo Governo nell'altra legislatura affronterà tutto ciò tranquillamente. Questo è un lascito di irresponsabili. Questo è un lascito certamente che ci deve far preoccupare maggiormente e non vi è dubbio che il problema della fiducia e della formazione è un problema importante. Mi è venuta in mente una riflessione.
Ma è possibile che una parte anche consistente delle risorse economiche sia lasciata senza alcun controllo serio da parte del Parlamento e del Governo centrale? Gli ambiti della sicurezza, della sanità, dell'ambiente e della scuola sono competenze esclusive delle regioni e tolgono una fetta consistente. Rivediamo qualcosa e se è necessario realizzare qualche riforma costituzionale; non come l'inserimento del pareggio di bilancio nell'articolo 81 della Costituzione. Io non sono mai stato d'accordo. Adesso è stato rimaneggiato, a condizione che il ciclo economico risponda, altrimenti si interviene con legge ordinaria. Non credo che questo Pag. 54principio sia oggetto di riferimento, di allocazione costituzionale, anche se certamente è stato attenuato.
Perché non guardiamo alle cose in termini seri? Si pensi alle regioni, rispetto anche ai servizi che offrono al cittadino. Infatti, il cittadino è non solo qualcosa di astratto, ma anche qualcosa di vero, di effettivo. Non si può chiamare il cittadino semplicemente a giustificazione delle proprie tesi e considerarlo come un oggetto per imporre o per essere contrario ad una politica. Ma non è mai un oggetto vero, perché il cittadino viene in un secondo momento, sta emergendo dal nostro corpo, dal nostro spirito, dalla nostra sensibilità. Siamo tutti dei tecnocrati abituati a lavorare sulla materia dei numeri, senza un rapporto serio e forte anche con la realtà. Ritengo che queste siano le occasioni per comprendere maggiormente quali possano essere gli impegni da portare avanti.
Vi è un ulteriore dato, quello relativo al nostro Mezzogiorno: si dice che si sta ancora discutendo il credito d'imposta per gli investimenti. Ritengo che il problema del Mezzogiorno meriti attenzione, non perché si tratta del Mezzogiorno, ma perché esso non è collocato in una politica nazionale. Non è necessario predisporre una serie di interventi assistenziali per una parte.
Inoltre, vi è il problema legato alla criminalità organizzata. Si parla di evasione, ma sappiamo quanto la criminalità organizzata, molte volte, incida negativamente, rompendo il circuito di fiducia per quanto riguarda gli investitori nel Mezzogiorno e nel Paese. Infatti, ormai, la criminalità organizzata non è appannaggio semplicemente delle regioni meridionali: la troviamo dappertutto, diffusa equamente su tutto il territorio nazionale. Su questo piano e, soprattutto, su queste valutazioni non diciamo una parola, che dovrebbe essere, invece, seria e forte.
Ciò vale anche per il problema delle dismissioni e delle permute. Quante volte abbiamo parlato delle permute? Stiamo attenti. Dietro alle permute, così com'è stato allocato, vi sono disegni particolari dei soliti noti o di soliti ignoti, di coloro che hanno scambiato e hanno fatto passare la «finanza allegra» per grande economia. Ma loro sono sempre in agguato, sempre forti, anche attraverso le permute, anche attraverso le dismissioni, con riferimento alle quali fare valutazioni di disponibilità di risorse è sempre un azzardo ed è sempre una sfida importante.
Signor Presidente, io ritengo che questi siano i dati su cui ci dobbiamo confrontare, e lo facciamo seriamente, anche rispetto al contributo di solidarietà del 5 per cento, del 10 per cento e del 3 per cento, rispetto all'eccedenza di 90 mila, 150 mila e 300 mila euro, per tre anni, un'una tantum. Quante volte, signor Presidente, signor rappresentante del Governo, caro amico mio, questo Parlamento ha approvato una misura una tantum? Su cosa si è inciso? Già l'una tantum dà il segno di un'assenza di riforme vere e strutturali, in profondità. Si fa cassa per il momento e la contravvenzione è un obolo, la contravvenzione sulla strada è un obolo: e sulle contravvenzioni o su un obolo non si fanno progetti a medio o a lungo termine. Si vive alla giornata, perché questo nostro Paese è portato a vivere alla giornata.
Allora, non vi è dubbio che sia vero quello che diceva Buttiglione per quanto riguarda l'Europa. Noi siamo entrati in una fase di agnosticismo nei confronti dell'Europa; questo lo avvertiamo perché siamo circondati anche da qualche perplessità da parte dei nostri partner europei.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

MARIO TASSONE. Mi avvio a concludere, signor Presidente, ma certamente quello dell'Europa è un discorso molto lungo e forse non c'è stata, da parte del Governo, una politica di insieme. Non c'è una politica dell'economia, una politica estera, una politica per l'Europa, c'è la politica.
E allora, non credo, come diceva qualche collega, che basti parlare male dei partiti, e abbiamo risolto il problema. Il fatto vero è che i partiti non ci sono più. I partiti non ci sono più, il mio gruppo sta Pag. 55tentando di conservare una storia, una storia forte che deve richiamare tutti coloro che hanno una certa sensibilità e che si riportano a questa storia. Ecco l'importanza delle storie: far capire alle nuove generazioni che le storie si accompagnano a un crescente entusiasmo, a un grande slancio; se questo Paese ha slancio ed entusiasmo andrà avanti, ma bisogna sapere, e bisogna avere qualcosa in cui credere, una fede profonda nel presente e nel divenire di questo Paese. Al di là di questo avremo consegnato il Paese ai giocolieri di occasione e di circostanza; sarà un grande bailamme, un grande circo equestre che potrà far divertire al momento gli spettatori, ma certo non può rassicurare e non può assicurare un avvenire serio e dignitoso per il nostro Paese (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro per il Terzo Polo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Damiano. Ne ha facoltà.

CESARE DAMIANO. Signor Presidente, vorrei cercare di sviluppare un ragionamento su questo tema così importante della manovra, ribadendo quello che è già stato detto dai colleghi del mio gruppo e cioè che noi ci troviamo di fronte, purtroppo, ad una manovra non solo socialmente iniqua ma inefficace dal punto di vista delle risposte che il Paese, i mercati, l'Europa si aspetterebbero.
Non c'è dubbio che il risultato di oggi, l'ennesimo risultato negativo della Borsa di Milano dimostra come, nonostante sia in corso una discussione, i mercati rispondono negativamente e come questo fatto, è incontrovertibile, sia dovuto al carattere fondamentale della manovra che oltre al dato dell'iniquità sociale porta in sé quello della mancanza di sviluppo, di indicazioni di crescita per questo Paese.
Non abbiamo mai negato, come Partito Democratico, l'esigenza di andare nella direzione del rigore e della quadratura dei conti; nelle manovre precedenti abbiamo dimostrato di assumere un atteggiamento di grande responsabilità, ma vorrei distinguere la responsabilità dalla corresponsabilità di una manovra che, come anche quelle precedenti, non condividiamo perché pensiamo che senza equità e crescita non si aiuti il Paese ad uscire da questa situazione.
Penso, e lo dico con lucidità, che questo Governo purtroppo non sia all'altezza della situazione. È un Governo che si dimostra diviso; mi ha colpito il livello di incompetenza, di confusione e di caos che ha animato l'azione di alcuni ministri. Se penso ad un argomento che ho trattato per lunghi anni come quello del lavoro, posso portare ad esempio le giravolte del Ministro Sacconi: mi riferisco al tema del riscatto della laurea e del servizio militare, proposto e poi ritrattato perché c'è stata giustamente una rivolta popolare. Cittadini che hanno contratto una sorta di accordo con lo Stato riscattano la loro laurea, riscattano il servizio militare e poi si vedono negare, da quello stesso Stato con il quale hanno contratto un patto che dovrebbe essere onorato, ai fini della pensione, il riconoscimento di un atto che ha comportato anche una spesa notevole.
Sappiamo tutti quanto costi riscattare quegli anni. Si dice: non valgono soltanto per i quarant'anni di lavoro. Ma vuol dire che una persona, in quel caso, prolungherebbe il lavoro a 41, 42, 43, 44, 45, 46 anni di attività. Mi si spieghi poi - perché il Ministro Sacconi, nella sua incompetenza, non ha saputo spiegarlo - che cosa succederebbe, perché, come sappiamo, dopo i 40 anni, le pensioni non vengono più rivalutate e, quindi, si tratta di una beffa nei confronti di cittadini onesti.
Così come mi ha molto stupito - sotto il profilo, ancora una volta, dell'incompetenza - che nella riscrittura, dopo le correzioni del Senato del famoso e discusso articolo 8, il Ministro Sacconi se ne sia uscito, in modo anche molto ingenuo, dicendo: effettivamente, nella prima stesura, noi avremmo consentito la sottoscrizione di contratti pirata, perché ci si riferiva, oltre che alle organizzazioni comparativamente più rappresentative, anche ad organizzazioni aziendali, di comodo, costruite ad hoc per avere contratti al Pag. 56ribasso e, quindi, avremmo agevolato un dumping sociale che, un Governo serio, dovrebbe combattere.
Tutto questo mi fa confermare il mio giudizio di un Governo diviso, di un Governo incompetente, di un'Italia anello debole della speculazione internazionale. Sappiamo come funziona la speculazione, soprattutto la speculazione finanziaria: si avventa sui corpi deboli.
Ormai, purtroppo, e di questo vorrei parlare, a livello di finanza internazionale siamo in una sorta di legge della giungla che abbiamo tollerato da trent'anni a questa parte e, nella giungla, gli sciacalli, le iene e gli avvoltoi si avventano, o girano attorno all'animale morente. Si percepisce come il Governo italiano sia un Governo chiaramente declinante, in crisi, diviso al suo interno, non in grado di dare le risposte necessarie e, per questo, noi corriamo il rischio, se rimane questo Governo, di essere percepiti come l'anello debole di questa catena.
A nessuno sfugge un fatto - del quale dovremmo occuparci con grande forza e con grande fermezza -, ossia che siamo di fronte ad un attacco a livello globale all'euro. Questo attacco è partito, lo stiamo vivendo, e l'attacco all'euro significa anche attacco all'Europa. Perché questo attacco arrivi a termine è necessario che vi sia una sorta di default, di fallimento delle banche europee. Il calo del valore dei titoli bancari sui mercati dimostra come queste banche nostrane siano diventate molto più fragili, siano scalabili, si possano comperare con molte meno risorse di quanto valevano soltanto pochi mesi fa.
Allora, anche di questo dovremmo parlare, perché in una situazione così difficile, se si attacca l'euro e se dovessimo cadere in una situazione in cui vi sono l'euro di serie «A» e l'euro di serie «B» (al quale noi apparterremmo), non vi sarebbe più l'Europa.
Dobbiamo parlare di questa finanza internazionale che abbiamo tollerato e abbiamo alimentato. Ricordiamolo, perché qualcuno qui parla delle grandi banche di interesse, soprattutto di quelle statunitensi. Alla vigilia della grande crisi del 2008, una banca come la Goldman Sachs aveva venduto ai clienti dei suoi hedge-fund dei pacchetti ribassisti, a base di credit default swap, per lucrare su un crollo del mercato immobiliare americano, mentre, contestualmente, la stessa Goldman e altre rivali di Wall Street erano tra le istituzioni che confezionavano i titoli tossici dei mutui sub-prime. Questa banca è la stessa che scommette, con i suoi clienti vip, i principali del mondo, le cento istituzioni principali, sul crollo dell'euro, ed è la stessa banca che fa da consulente al Governo spagnolo per piazzare i bond spagnoli sul mercato europeo, incoraggiando quindi la tenuta dell'euro.
Finché non ci libereremo di queste contraddizioni, finché non saremo capaci di combattere l'invadenza della finanza e della speculazione che, in nome del mercato ha messo in mora la produzione materiale, ormai da trent'anni (è scomparsa la produzione e sono scomparsi gli operai, e noi siamo la seconda nazione manifatturiera dopo la Germania) e finché non prenderemo atto che, se la politica rimane debole, rimangono deboli le istituzioni, non ce la faremo.
Questo è il regalo del liberismo trentennale che ci ha dominato e che è in declino, verso il quale noi dobbiamo avere la capacità di anteporre, di contrapporre una nostra ricetta alternativa.
Mentre negli Stati Uniti si scommette sulla crescita, noi scommettiamo solo sui tagli. Mi si dica quello che c'è in questa manovra per quanto riguarda la politica industriale, l'innovazione di prodotto, l'innovazione di processi tecnologici, il sostegno alle piccole e medie aziende.
Leggevo in questi giorni inchieste sui piccoli imprenditori della cosiddetta Padania, che avevano affidato a questo Governo gran parte del loro destino e tra i quali serpeggia una grande delusione per scelte di questo Governo che alla fine non hanno fatto nient'altro che aumentare la pressione fiscale nei confronti del lavoro e nei confronti dell'impresa.
Noi, come Partito Democratico - l'ha detto l'onorevole Baretta -, abbiamo fornito Pag. 57le nostre proposte alternative. Qualcuno di voi addirittura ha apprezzato alcuni dei nostri emendamenti di buonsenso, correttivi, ma non avete colto il senso fondamentale della nostra proposta.
Di fronte alle nostre proposte alternative probabilmente domani voi porrete la questione di fiducia, ma sappiamo già tutti - ce lo dice l'Europa - che questa manovra da sola ancora una volta non basterà. È, infatti, una manovra che ha un difetto fondamentale, è fatta più che altro per mettere d'accordo, per trovare un accordo tra i partiti di una maggioranza che fa fatica a rimanere assieme, abbiamo visto le contrapposizioni e i contrasti. Quindi, un conto è trovare un compromesso di carattere politico per stare in piedi, per galleggiare in una crisi terrificante, un altro conto è trovare un compromesso per il bene del Paese.
Pertanto riteniamo che il declino del liberismo, il declino di una logica finanziaria che ha sostituito la logica della produzione, di una logica che ha visto relegare la politica ai margini di quelle che sono le scelte fondamentali, comporti che ci voglia invece una visione alternativa, una politica alta, capace di dare chiare indicazioni.
Avremmo voluto una finanziaria che guardava ai grandi patrimoni. Ricordiamo ancora una volta che abbiamo nel nostro Paese il 10 per cento delle famiglie che detengono il 48 per cento della ricchezza. Verso queste famiglie non si è fatto niente, non si è fatto quel riequilibrio sociale che sarebbe stato necessario dal punto di vista del prelievo.
Ricordiamo che poco è stato fatto verso le transazioni di carattere finanziario e speculativo. Noi abbiamo chi si arricchisce mettendo sul lastrico milioni di famiglie a livello nazionale, europeo e mondiale, e sarebbe giusto che chi lo fa pagasse la sua parte, così come sarebbe anche giusto in qualche modo far pagare le rendite improduttive piuttosto che, come fa questa manovra, colpire ripetutamente e in modo molto forte i lavoratori della pubblica amministrazione; colpire i cittadini; colpire i consumatori per quanto riguarda, ad esempio, l'adozione dell'aumento dell'IVA dal 20 al 21 per cento; avviare una strada, con l'articolo 8, che renderà più facili i licenziamenti e gli accordi aziendali sostitutivi dei contratti nazionali; andare in una direzione, nonostante i proclami della Lega, che continuerà e ha continuato nel passato a colpire le pensioni e i pensionati che a parole si vorrebbero difendere; colpire l'assistenza; colpire i più deboli; colpire quelli che rappresentano la parte più indifesa della popolazione.
Per questo ripetiamo non in termini demagogici, ma in termini di futuro, di prospettiva, di sopravvivenza, che ci vuole un nuovo Governo, ci vuole qualcuno che sia autorevole nel Paese e a livello internazionale, che possa rassicurare con una manovra che, accanto al rigore, sia capace di suscitare delle tracce, delle linee, che guardino al tema dell'equità sociale e al tema dell'efficacia per quanto riguarda un'indicazione di sviluppo del Paese. Siamo purtroppo sull'orlo di un baratro.
Speriamo di non fare il classico passo avanti dopo tre anni di negazionismo. Ricordiamo ancora tutti quanti - ce l'abbiamo purtroppo nelle nostre orecchie - il fatto ripetuto in modo parossistico del «non c'è nulla da temere», «la crisi è alle nostre spalle», «non abbiamo assolutamente nient'altro da fare che essere ottimisti».
Quando noi in qualche modo avvertivamo il Governo che le cose andavano nella direzione sbagliata, ci avete sempre accusati di essere delle persone che cercavano o la rissa o la contrapposizione sterile o che demagogicamente cercassero in qualche modo di lucrare da una situazione sicuramente difficile. Così non è stato: noi abbiamo consapevolmente visto quello che stava capitando. Abbiamo scambiato questa sorta di ottimismo di maniera come un grave atteggiamento di irresponsabilità nei confronti del Paese.
Vorrei, come ho detto, affrontare alcuni argomenti di merito, perché mi interessa anche della nostra discussione, al di là delle nostre posizioni politiche, capire anche meglio. È chiaro che, se porrete la fiducia, non avremo una grande occasione Pag. 58di dibattito, ma credo che le scelte che si stanno compiendo con questa manovra faranno discutere molto nei prossimi mesi.
Quindi, mi interessa approfondire e capire, soprattutto per quanto riguarda i temi del lavoro, perché, dopo questa manovra, temo che altri annunci (penso a quelli del Ministro Sacconi sul cosiddetto «statuto dei lavori») ci riserveranno altre negative sorprese.
Vorrei partire da questo articolo 8, del quale si è discusso molto e che continuerà a far discutere. Il Ministro si è sforzato, soprattutto a seguito dei cambiamenti introdotti al Senato, di spiegare come questo articolo sarebbe del tutto coerente con l'impostazione data dalle parti sociali.
Vorrei spiegare perché secondo me non c'è nessuna coerenza. In primo luogo, il Ministro Sacconi ha ripetuto fino alla nausea - anche quando noi sollecitavamo (io l'ho fatto parecchie volte) una cosiddetta «legislazione di sostegno agli accordi stipulati unitariamente dal sindacato e dalle imprese» - che questo Governo non avrebbe mai legiferato su temi di pertinenza delle parti sociali. Allo stesso modo, questo Ministro ha ripetuto più volte che mai avrebbero introdotto l'innalzamento dell'età pensionabile per quanto riguarda le donne dei settori privati, quell'età che porterà gradualmente a 65 anni.
Invece, il Ministro - nonostante le sue affermazioni - ha compiuto degli atti che vanno nella direzione opposta: con l'articolo 8 c'è una prepotente e inedita invasione di campo della politica nella sfera dell'autonomia contrattuale delle parti sociali. Quello che è più grave è che ciò avviene all'indomani di un accordo che tutti - credo - abbiamo salutato, ad eccezione del Ministro Sacconi, come un accordo positivo unitario firmato da CGIL, CISL, UIL e Confindustria, evidentemente non digerito da un Ministro e da un Governo che hanno come obiettivo fondamentale la divisione del sindacato e l'indebolimento dei corpi intermedi come strumento di governo.
Questo è tanto stupefacente in quanto si trattava al massimo di recepire quelle indicazioni e non di contraddire quelle indicazioni, tant'è che alla fine CGIL, CISL e UIL hanno protestato comunemente e hanno cercato di ricondurre quel testo alla logica dell'accordo dello scorso 28 giugno. Ciò differisce - mi sembra pesante da questo punto di vista - con l'intendimento delle parti sociali. Vorrei ricordare a tutti che l'accordo di Confindustria, CGIL, CISL e UIL reca nella premessa il fatto che il ruolo del contratto collettivo nazionale di lavoro è fondamentale, dal momento che quest'ultimo ha la funzione di garantire la certezza di trattamenti economici e normativi comuni per tutti i lavoratori del settore ovunque impiegati nel territorio nazionale.
Tale concetto viene completamente cassato e stravolto. Nessuno di noi, a partire dal Partito Democratico, nega la validità di un potenziamento - lo dico con chiarezza - della contrattazione decentrata di azienda e di territorio. Anzi, noi siamo favorevoli ad un potenziamento di tale contrattazione.
Altra cosa è la sostituzione del ruolo primario del contratto nazionale con una contrattazione di azienda sostitutiva del contratto nazionale, derogatoria del contratto nazionale, derogatoria, quindi, della contrattazione e delle leggi. Vorrei dire che dal periodo corporativo ad oggi un'affermazione così forte di deregolazione non era mai avvenuta. Qui, addirittura, vi è un principio che destruttura il fondamento del diritto del lavoro italiano, che fonda sul principio della non derogabilità - non derogabilità, lo ripeto - di leggi e contratti l'essenza della sua azione. Qui siamo al contrario e siamo alla derogabilità come principio motore. Questa è la prima questione.
La seconda questione è la certificazione della rappresentatività. Il Ministro ha fatto marcia indietro, perché era arrivato, nella prima stesura, addirittura a concepire il fatto che in un'azienda una rappresentanza aziendale qualsiasi, non riconducibile alle grandi organizzazioni - CGIL, CISL e UIL -, potesse stipulare un accordo in deroga a leggi e contratti. Si chiamano sindacati di comodo, sindacati gialli, accordi pirata, dumping sociale. Si Pag. 59cerca di avere una «controparte bonaria» con la quale stipulare un contratto chiaramente inferiore, per livello di salario, di normativa e di regole, a quello stipulato a livello nazionale. Si è fatta una marcia indietro, ma si è introdotto un concetto pericolosissimo, contro il quale ho sempre combattuto. Lo dico ai colleghi della Lega. Si tratta del concetto di sindacato territoriale.
La possibilità di stipulare un contratto deriva da una rappresentatività nazionale. I contratti nazionali sono il fondamento, come recita l'accordo del 28 giugno, e sono possibili perché chi li sottoscrive ha una certificazione della rappresentatività che deriva dalle deleghe raccolte - l'INPS può, in qualche modo, stabilire la certificazione di queste deleghe raccolte, vale a dire le iscrizioni - e dei consensi ottenuti nelle elezioni a livello nazionale (vi è una soglia di sbarramento del 5 per cento). Si introduce il concetto che chiunque si costituisca a livello territoriale può contrattare. Capisco che vi è un sindacato che si chiama Sinpa e altri si costituiranno, che hanno qualche centinaio o migliaio di iscritti, ma equiparare un sindacato territoriale di migliaia di iscritti a sindacati che hanno cinque, quattro o tre milioni - parlo di CGIL, CISL e UIL - mi sembra un'operazione francamente un po' garibaldina (mi rifaccio anche a un concetto di unità d'Italia). Quindi, penso che questo sia un atto estremamente grave, che scardina il modello e l'impianto stipulato e riconfermato il 28 giugno scorso.
L'altra questione è quella delle deroghe. La questione delle deroghe, per come era scritto nell'accordo e per come è certificata attraverso l'articolo 8, è, come si dice, di profonda contraddizione, perché nel contratto tra CGIL, CISL e UIL e Confindustria si parlava di contratti collettivi aziendali che possono attivare strumenti di articolazione contrattuale mirati ad assicurare la capacità di aderire alle esigenze di specifici contesti produttivi. I contratti collettivi aziendali possono, pertanto, definire, anche in via sperimentale e temporanea, specifiche intese modificative della regolamentazione contenuta nei contratti collettivi nazionali di lavoro, nei limiti e con le procedure previste dagli stessi contratti nazionali di lavoro.
Ma tutto questo non è previsto dall'articolo 8. Vi è, dunque, una profonda lesione di un vincolo che deriva dal fatto che i contratti nazionali stabiliscono le regole in base alle quali si può derogare un contratto nazionale per il quale contratto sono definite, ovviamente, delle materie che sono materie modificative chiaramente limitate, mentre nel caso dell'articolo 8 potrebbe addirittura avvenire - mi dicono i miei amici giuslavoristi, i professori di diritto del lavoro - che in un'azienda, sulla base di una deroga contrattata con un sindacato che può essere il Sinpa, un sindacato minoritario o un sindacato territoriale, si decida che in quell'azienda l'inquadramento professionale non prevede più la presenza, ad esempio, dei dirigenti, dei quadri, degli intermedi, che sono tutti impiegati, che sono tutti operai, che la paga è di natura diversa e inferiore a quella di un contratto nazionale, che gli orari sono talmente su misura da essere derogatori e tutti i principi per far crescere l'azienda, perché c'è una crisi, sono principi talmente elastici che possono essere usati in tantissime situazioni.
E poi c'è la questione della certificazione: per fortuna, nell'ultima stesura il Ministro Sacconi ha introdotto un concetto di rappresentatività. Queste intese debbono essere sottoscritte sulla base di un criterio maggioritario relativo alle rappresentanze aziendali, ma non si dice - come prevedeva l'accordo del 28 giugno - che cosa succeda nel caso in cui queste rappresentanze sindacali unitarie elette dai lavoratori non esistano. In quell'accordo si diceva che, se vi sono rappresentanze nominate dai sindacati, è diritto di una sola organizzazione, in presenza di una stipula dell'accordo, di chiedere il referendum tra i lavoratori. Si tratta di una differenza di non poco conto di certificazione - come si dice - e di democrazia a livello aziendale. L'assenza di una certificazione di rappresentatività e l'assenza coerente di un livello di democrazia nelle decisioni che riguardano la scrittura Pag. 60di accordi che possono stravolgere non solo il diritto del lavoro, ma anche le condizioni salariali e normative è un elemento - credo - piuttosto pesante.
Per questo, noi abbiamo detto con forza che sarebbe stato meglio cancellare quell'articolo, perché esso produrrà guai molto seri.
In prima stesura, siamo arrivati ad una formula che parlava di impedire il licenziamento, possibile in tutti gli altri casi, della lavoratrice in concomitanza di matrimonio. Mi sono domandato se, finita la luna di miele, si possa incorrere in un licenziamento. Poi qui si è aggiunto - e meno male - per azione nostra e delle parti sociali il divieto di licenziamento della lavoratrice dall'inizio del periodo di gravidanza fino al termine del periodo di interdizione al lavoro. Mi chiedo come mai questo Ministro, che sulla spinta nostra e delle parti sociali, ha inserito questa clausola di salvaguardia, abbia cancellato una legge parlamentare voluta da tutti i gruppi e da tutte le deputate di tutti i gruppi di maggioranza ed opposizione della scorsa legislatura, concernente la tutela dalle dimissioni in bianco, ossia quella pratica perfida per la quale si assumono donne giovani, lasciando in bianco la data del licenziamento, da inserire nel momento in cui le lavoratrici restano incinte. Questa norma è stata cancellata. Pertanto, credo che questo sia un Governo che, per quanto riguarda le questioni sociali, abbia fatto grandi danni.
Concludo su un altro punto, quello delle pensioni, soltanto con una battuta: ho già detto all'inizio della questione dei riscatti e dico solo che è inutile che la Lega continui a ripetere attraverso Bossi e alcuni suoi ministri che il Governo difende i lavoratori padani. Voi non difendete i lavoratori padani, diteglielo! Quelli che sono entrati precocemente, a quindici, sedici, diciassette o diciotto anni nelle fabbriche a lavorare, che hanno quarant'anni di contributi, li costringete dopo i quarant'anni, a restare a lavoro un altro anno, agganciando il momento di andare in pensione all'aspettativa di vita che si innalza: se è un dipendente quaranta anni più un anno più tre mesi, se è un autonomo quaranta anni più diciotto mesi più tre mesi. Si tratta di un regalo che anche la Lega ha fatto agli operai padani.
Queste cose bisogna spiegarle: porterete l'età pensionabile delle donne padane, quelle delle catene di montaggio delle fabbriche del bresciano e delle operaie dei settori tessili, a 65 anni nonostante le promesse di questo Governo di non farlo. L'aggancio all'aspettativa di vita sappiamo cosa comporterà: un aumento di un mese all'anno per i prossimi anni perché chiaramente la vita di ciascuno aumenta.
Noi abbiamo proposte alternative - non ho tempo ovviamente di spiegarle - e concludo dicendo che mi auguro che anche per il pubblico impiego si interrompa questa opera perversa di punizione continua: i tagli alla tredicesima, al trattamento di fine rapporto, al rinnovo dei contratti. Allo stesso modo, mi auguro che sulla questione dei tirocini, abbiate almeno la bontà - se avete un po' di competenza - di concordare con le regioni che hanno titolo su questa materia per vedere cosa occorra fare.
Concludo dicendo che siamo di fronte a una situazione sicuramente difficile, ma non la risolve questo Governo né questa manovra.
Avremmo bisogno dell'esatto contrario, non di un Governo che divide ma di un Governo che unisce, non di un Governo che persegue la divisione del sindacato e l'indebolimento dei corpi intermedi ma di un Governo capace, com'è stato nel passato, di lanciare un nuovo grande patto sociale tra le forze produttive del capitale che investe e le forze del lavoro contro le rendite parassitarie, anche perché andiamo incontro ad un autunno difficile, sarà un autunno che avrà un grande shock occupazionale, le casse in deroga colpiscono. Come si aiutano quelle persone, artigiani e commercianti, che purtroppo hanno già chiuso la serranda?
Le casse integrazioni fanno sì che le persone siano temporaneamente protette, ma non torneranno tutte nei luoghi di provenienza e mi domando, ultima domanda: avete tenuto in considerazione nei Pag. 61vostri tagli che forse è giunta l'ora di preoccuparsi di rinnovare le casse integrazioni in deroga che scadono il 31 dicembre di quest'anno? Perché se non lo faremo lo shock occupazionale sarà effettivamente terribile e colpirà una platea di persone che non avrà nessun'altra possibilità di difendersi (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Binetti. Ne ha facoltà.

PAOLA BINETTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la prima cosa che mi sorprende di questa manovra - ormai siamo tutti abituati a chiamarla manovra - è che il suo titolo suona in questo modo: stabilizzazione finanziaria e sviluppo. Se ci sono due caratteristiche che mi sembra che manchino strutturalmente a questa manovra sono proprio la dimensione della stabilizzazione e soprattutto, com'è stato fatto notare da tutti anche in questo pomeriggio, la dimensione dello sviluppo. Cioè mi sembra un tipo di strumento in flagrante contraddizione con sé stesso.
Perché dico che l'elemento di stabilizzazione mi sembra del tutto carente? Mi riferisco come primo elemento al fatto che questa manovra non è riuscita a ridare fiducia agli italiani e, se non ha dato fiducia agli italiani, figuriamoci quanta fiducia ha potuto trasmettere a livello europeo o in modo ancora più allargato ai mercati internazionali. Per questo è stato detto ripetutamente e ancora una volta proprio nel pomeriggio di oggi - ma lo leggiamo su tutti i giornali e soprattutto ce lo dice la gente che incontriamo per la strada - che la gente non si sente affatto più sicura, non pensa che questa manovra avrà garantito a ognuno di loro delle condizioni magari di maggiore limitazione nelle risorse e, però, di maggiore sicurezza per il proprio assetto esistenziale e nelle garanzie per le propria famiglia. In realtà queste famiglie, queste persone, queste imprese si sentono tutte travolte in un turbinio di incertezza davanti alla quale manca una prospettiva concreta di cosa potrà contribuire a dare loro la possibilità di affrontare - lo diceva in questo momento il collega Damiano - l'autunno che ci attende e l'inverno freddo che potrà derivarne.
L'altro giorno Emma Marcegaglia che era presente alla convention dell'UdC ha affrontato il problema dicendo che siamo in una situazione molto difficile, c'è un problema molto serio di credibilità. O il Governo dimostra velocemente di essere in grado di fare questa grande operazione di grandezza ma anche di equità a breve termine, nei prossimi giorni, superando i veti, oppure dovrebbe trarne le conseguenze perché il Paese così rischia molto. Cioè il rischio che la presidente di Confindustria poneva sotto i nostri occhi era il rischio legato alla credibilità. Io credo che questo sia dimostrato anche dalla presenza in aula, oggi, perché non abbiamo avuto il piacere di vedere nessuno della maggioranza salvo i rappresentanti del Governo e il relatore di maggioranza, quindi diciamo tra virgolette qualunque tipo di intervento da parte nostra è come qualcosa che «cade in un sacco vuoto». Questo dimostra ancora una volta l'elemento della mancanza di credibilità, perché le opposizioni, sia pure da angolature diverse, con sensibilità diverse e con toni diversi, parlano soltanto tra di loro; non c'è nessuno che ascolta, non c'è nessuno che fa propria queste esigenze, e questo è un elemento tra virgolette «di mancanza di credibilità» perché sembra riecheggiare una sorta di supponenza e di arroganza: non solo mettiamo la fiducia e quindi dopo tutto le vostre proposte sono destinate a non trovare spazio, ma nemmeno le vostre parole sono destinate a trovare ascolto.
Questa mancanza di credibilità attraversa un po', credo, tutta l'azione del Governo in questo momento, ma si rovescia su tutti quanti noi. Non è soltanto il Governo ad apparire poco credibile nel Paese: appare poco credibile il Governo, appare poco credibile questa maggioranza, ma tutti ben sappiamo come l'ondata dell'antipolitica travolge tutti noi, per cui ognuno di noi appare totalmente poco credibile, anche quando ci affanniamo a Pag. 62dare una dimensione critica della manovra, cercando di salvaguardare questo elemento di credibilità del valore complessivo della politica.
La mancanza di credibilità scaturisce anche dalla mancanza di consapevolezza negli obiettivi di crescita e di sviluppo, non soltanto a livello di macrosistema, che per la maggioranza dei casi sfugge alla percezione dei cittadini, che comunque possono avere anche un limitato potere di immaginazione. Quello che, però, hanno tutti è un fortissimo potere di sperimentazione, e in questo livello di sperimentazione, lì dove in fondo prende forma la percezione di ognuno di loro, non può mancare l'indubbia coscienza che, dall'entrata nell'euro, in questi dieci anni, i prezzi medi dei beni di largo consumo sono aumentati del 53,7 per cento e il potere di acquisto delle famiglie è sceso del 39,7 per cento.
Questa doppia dimensione evidenzia che ciò che ho, le mie risorse, sono sempre meno in grado di fronteggiare la risposta ai miei bisogni, e, in questa logica, ciò che cresce è sostanzialmente il taglio delle risorse, mentre l'azione di rivalsa, di cui tutti quanti si potranno in qualche modo fregiare, a cominciare anche dall'aumento dell'IVA, sarà una perdita progressiva del potere di acquisto.
È questo che genera non solo la mancata credibilità nei confronti del Governo, ma anche il forte elemento di ansia e di angoscia che si palpa e si tocca con mano nelle famiglie. In questo senso, credo che sia stato un deterrente formidabile nel sottrarre consenso a questo Governo il fatto che, per molto tempo, abbiamo viaggiato sulla lunghezza d'onda del «no problem». Lo stesso Presidente del Consiglio è apparso in televisione, mi sembra ieri o sabato - adesso non ricordo esattamente - per affermare di avere fatto un miracolo. Per carità, che Dio ci liberi da questi miracoli, verrebbe proprio fatto di dire, però l'idea che questo sia il miracolo, qualcosa che tutti gli italiani percepiscono come un luogo di ansia e di incertezza verso il quale stanno marciando rapidamente e verso il quale vengono condotti, dà ancora una volta l'idea dell'impossibilità materiale che abbiamo di prestare fiducia a ciò che viene detto.
Questa ansia, questa incertezza, questa mancanza di credibilità viene percepita in modo particolarmente drammatico dalle fasce più deboli del Paese. Ricordo perfettamente nella legislatura precedente quando il Governo Prodi mise i ticket a pagamento. Furono ticket - lo ricordo perché eravamo in una Commissione che anche allora concerneva la sanità - fortemente avversati da tutta la componente di Rifondazione comunista, in quel momento. Di fatto quei ticket, inseriti, non sono mai passati all'incasso reale.
Adesso sembra che questi ticket vengano reinseriti non solo in modo teorico, ma de facto e vanno ad incidere, soprattutto, sul settore della diagnostica, laddove costruiamo la prevenzione. Tutti noi sappiamo che le grandi battaglie che la sanità ha fatto in questi anni sono battaglie che si sono consumate, più che sul profilo di cura, proprio sotto il profilo della prevenzione e dell'intervento precoce. Il ticket messo su queste cose può certamente scoraggiare un uso improprio. Potremmo dire che può scoraggiare l'idea che ci possano essere quei famosi falsi positivi che costituiscono, forse, un appesantimento apparentemente inutile, ma, disgraziatamente, non permetterà nemmeno di evidenziare quei casi realmente positivi sui quali dovrebbe essere importante intervenire.
La paura è che la distanza che vi è tra i cittadini e lo strumento diagnostico precoce, che passa sotto il nome di screening, ma che passa anche attraverso una lettura attenta delle proprie condizioni fisiche, finisca con il riconsegnare i cittadini a quelle diagnosi tardive in cui i costi per la sanità sono particolarmente alti e pesanti.
In tutto questo, mi piacerebbe anche commentare due cose rispetto ai famosi ticket relativi al pronto soccorso. Il Ministro Fazio, sempre nella convention che vi è stata pochi giorni fa a Chianciano, ha detto «faremo di tutto per togliere questi ticket». Di fatto i ticket ci sono, giocano il loro ruolo e, in qualche modo, creano Pag. 63anche quell'appesantimento che si vorrebbe evitare nei pronto soccorso. Ci si chiede perché la gente va con tanta facilità al pronto soccorso. Chiunque di noi sia mai stato in un pronto soccorso sa come i pronto soccorso sono fatti apposta per scoraggiare la presenza delle persone. Ci va perché questo segna, in qualche modo, uno degli insuccessi più clamorosi della medicina di famiglia nell'architettura del sistema, che è un'architettura farraginosa e costosa per cui il malato deve andare dal medico di famiglia, fare la fila per stare dal medico di famiglia, dopodiché deve andare dello specialista, fare la fila dallo specialista, dopodiché viene inviato all'ospedale, dopodiché fa un'altra volta una fila per andare all'ospedale e, probabilmente, gli si dirà che magari sarà messo in lista d'attesa per chissà quando. Non vi è dubbio che l'andare al pronto soccorso costituisca, come dire, una sorta di scorciatoia.
Ecco che allora, invece di mettere il ticket sul pronto soccorso, sarebbe stato molto più semplice snellire tutte le procedure, cioè applicare a quella riforma dei modelli organizzativi della sanità quella lungimiranza che ti permette di evitare quegli sprechi che sono gli sprechi umani, che non sono nemmeno sprechi direttamente economici, ma sono quegli sprechi che, alla lunga, costituiscono una sommatoria di situazioni che fanno sentire il cittadino sempre più solo e sempre più lasciato da solo. Questo è quello che noi chiamiamo il pesante costo della non qualità che, alle volte, è difficile quantificare, ma che in realtà incide non poco in tutta l'organizzazione del sistema sanitario.
Un altro aspetto che a noi sembra drammatico dal punto di vista dell'insicurezza che questa manovra genera nelle persone è questa minaccia, che è tutt'altro che una minaccia, che presto vi sarà un'altra manovra. Un'altra manovra. È come quando si vuole indorare la pillola, a proposito della sanità. Quando tu vuoi indorare la pillola della prossima, della terza manovra, in attesa, quello che conta è che questa manovra dovrebbe essere quella che, di fatto, mette in movimento lo sviluppo. Non si capisce perché la parte dello sviluppo non dovesse essere inclusa già in questa manovra, esattamente come recita il titolo, stabilizzazione finanziaria e sviluppo, e come, invece, sembra abortita dalla realtà drammatica di questo. Siamo arrivati invece alla percezione, i cittadini hanno la percezione, che quello che una volta era il DPEF, cioè quel documento di programmazione economico-finanziaria, che aveva carattere annuo e che, in qualche modo, si cercava di anticipare all'inizio dell'estate anziché esaminarlo in autunno, per rendere più snelle tutte le procedure, adesso sta diventando una sorta di DPEF mensile. Ne abbiamo già avuti tre, ne abbiamo avuto uno a luglio, ne abbiamo avuto uno ad agosto, ne è annunciato uno a settembre e, probabilmente, i cittadini si faranno l'idea che, se non stanno attenti, ne arriverà presto uno ulteriore, a novembre.
Però, tutta questa incapacità di avere uno sguardo lungo sulle cose, questa sorta di miopia che ci fa non andare oltre i trenta giorni quasi dal momento di programmare le cose, la dice lunga sul fatto che non siamo in grado, non siamo in condizione, di pensare alle nuove generazioni. Le nuove generazioni sono veramente la realtà che è drammaticamente penalizzata nel modo maggiore da questa manovra, sia perché mancano, appunto, tutte le iniziative relative allo sviluppo, sia perché non vi è alcuna cultura di promozione che riconosca a questi giovani la capacità di essere loro stessi risorsa. Come dire, sono tutti messi a debito, invece dovrebbero essere messi a credito in questa manovra, dovrebbero essere messi a credito per la capacità di innovazione, per la capacità di fare ricerca, dovrebbero essere messi a credito anche per la capacità di produrre reddito con quell'entusiasmo, con quella generosità, non appesantiti, come si è detto, da questa sorta di cinismo che, in qualche modo, attraversa, quando non si confonde con la rassegnazione, tutta la lettura degli articoli di questa manovra. Loro avrebbero potuto restituire l'entusiasmo di volere ricominciare e, invece, sono stati tenuti accuratamente Pag. 64lontano da tutta quanta la manovra. Non solo, come prima accennavo, l'idea di questi DPEF quasi mensili, è come un segno dell'incompetenza economica di questa maggioranza, ma questa io la chiamo l'incompetenza sociale di questa manovra.
All'incompetenza sociale di questa manovra ovviamente corrisponde un altro grande fattore di incompetenza politica, che è quello che ha generato, attraverso i calcoli che sono stati ripetutamente fatti dagli esperti, un aumento di pressione fiscale che nel 2014 arriverà a superare abbondantemente il 44,5 per cento e che probabilmente riuscirà a sfiorare anche il 50 per cento, cosa drammatica, perché veramente espone le persone ad essere espropriate dai frutti del loro lavoro, prima ancora di poter godere del sacrificio fatto.
In tutto questo noi ci troviamo davanti ad una situazione per cui i titoli che vengono messi, come dire, dalla parte delle risorse, sono tutti titoli ipotetici. Questo è un ulteriore elemento dell'incertezza che questa manovra genera nelle persone. Perché dico che sono titoli che sorprendentemente generano incertezza? Perché i calcoli sul gettito fiscale potrebbero avere anche una loro credibilità, ma io sono rimasta estremamente sorpresa da quella norma che si riferisce al famoso condono tombale del 2002. Io pensavo che tutti coloro che avessero richiesto il condono tombale nel 2002 avessero onestamente fatto fronte a tutti quelli che erano i costi strettamente collegati con questo condono. Invece noi scopriamo dalla manovra che c'è una sorta, per così dire, di prolungamento che va oltre il 31 dicembre 2011. Sono prolungati per un altro anno i tempi per tutti coloro che non hanno saputo fare fronte a quel condono, che comincia ad avere dieci anni di vita. Se un Governo non è stato capace di esigere quanto dovuto e quanto, tutto sommato, messo a reddito dieci anni fa, con quale speranza noi immaginiamo che possa mettere a reddito quelle voci che esso identifica come gettito fiscale, che dovrebbe attribuire a questa manovra un valore complessivo pari a 14 miliardi nel 2012 ed a 22 miliardi nel 2013? Sarebbero molto più credibili queste due cifre, i 14 miliardi e i 22 miliardi, se noi avessimo avuto la certezza che gli importi relativi al condono del 2002 erano stati già incassati tutti. Invece quelli di dieci anni fa sono ancora a debito e questo la dice lunga sull'incapacità veramente di tradurre i propositi in fatti concreti.
Un altro aspetto, che secondo me è interessante mettere a fuoco in questa manovra e che perlomeno lascia molti di noi stupiti, è che sotto un Governo, che ha fatto del valore della famiglia il centro non solo di una campagna elettorale condotta con grande capillarità e con la grande capacità anche di porsi in contrasto con quanto in un certo senso aveva fatto il Governo precedente, venga varata questa manovra. Poi mi soffermerò ancora un poco più in dettaglio su questo aspetto, perché il Forum delle famiglie la definisce la prima manovra che programma una vera e propria stangata per le famiglie. Quali sono i fatti concreti che mi portano a dire questo? Intanto la certezza che tutto quello che riguarda l'aumento dell'IVA avrà una ricaduta enorme sulle famiglie e soprattutto sulle famiglie con figli e soprattutto su quelle famiglie che già cominciano ad avere i famosi tre figli, che definiscono ormai la soglia proprio di rischio per la povertà.
Un'altra cosa, che mi è sembrata sorprendente, è relativa ai dati strutturali. Quella che si dice l'unica misura strutturale di questa manovra è quella che innalza l'età pensionabile delle donne, soprattutto di quante lavorano nel settore privato. L'idea che l'unica misura sia questa è sorprendente. Per carità, come donna penso che il prolungamento dell'età pensionabile in gran parte dipende dal lavoro che una persona fa. Se una persona fa un lavoro che ama, un lavoro che in qualche modo gli restituisce il senso, il gusto ed il piacere di contribuire in modo proficuo al bene comune, e che la mette anche in condizione di mettere in gioco le proprie capacità ed i propri talenti, è ben contenta di prolungare i tempi di lavoro e di Pag. 65raggiungere l'età pensionabile più tardi. Qui, però, parliamo di donne che fanno anche lavori molto pesanti, dei lavori nei quali la gratificazione è molto modesta, dei lavori nei quali anche il corrispettivo economico è francamente molto limitato. Bene, l'unica misura strutturale è quella che riguarda l'età pensionabile delle donne. È come dire che un prezzo non irrilevante di questa manovra, ancora una volta, saranno le donne a pagarlo sulla loro pelle.
Ma tra le cose che ancora penalizzano la famiglia - mi faccia dire, Presidente che è una delle cose che più mi hanno sorpreso per l'intrinseca dimensione di ridicolezza che questo punto rappresenta - vi è quella di chiedere la restituzione del bonus bebé a chi ne aveva indebitamente goduto. Devo dire che non riesco a dire questa cosa - mi conceda - senza ridere. Ma come, gli unici evasori fiscali riconosciuti sono i bambini che adesso stanno andando alla scuola materna?
L'unico evasore fiscale è il bambino di tre anni a cui probabilmente, all'uscita dell'asilo, qualcuno potrà dire: restituiscimi il bonus bebè, perché era di qualche anno fa e ne hai goduto. Siamo ridicoli. Questo accade in un Paese di cui noi lamentiamo l'inverno demografico, un Paese che da un punto di vista demografico è l'ultimo in Europa (forse solo la Grecia in tutte le cose sta peggio di noi). A questi bambini, a queste famiglie non solo non diciamo di mantenere il loro bonus bebè, che gli diamo un valore aggiunto, ma invece gli chiediamo la restituzione del bonus bebè. Quindi, li penalizziamo con l'IVA, li penalizziamo con l'aumento dei costi, li penalizziamo con la riduzione dei servizi, e per di più diciamo loro di ridarci 800 euro. Lo trovo talmente ridicolo che non so con quale faccia il Governo abbia potuto pensare di rimpinguare le proprie casse in tal modo. Mi sembra la storia di quando si toglie la caramella ai bambini. Mi sembra stupido, oltre che ridicolo.
D'altra parte, non voglio allontanarmi da questa idea che vorrei approfondire (è l'ultimo passaggio del mio intervento): questa lettura della manovra, o, se preferiamo, della stabilizzazione finanziaria e dello sviluppo proprio dal punto di vista delle famiglie. Insisto, ripeto che il Forum delle famiglie l'ha considerata la prima manovra che programma una vera e propria stangata per le famiglie. Devo dire che questa critica dovrebbe pesare molto a questo Governo.
Il Forum delle famiglie aveva chiesto due cose: una revisione dell'ISEE e l'introduzione del fattore famiglia. In realtà tutto questo non è accaduto e tutte le manovre fiscali hanno colpito in modo particolare le famiglie con figli, sia in maniera diretta, con il taglio delle detrazioni per i figli a carico, sia in maniera indiretta, con l'inevitabile aumento del costo dei servizi alle famiglie - asili, scuole, mense, mense scolastiche, trasporti ed altro - causato dalla progressiva riduzione dei trasferimenti dallo Stato alle regioni ed ai comuni. Di fatto, le famiglie con i figli pagheranno più degli altri il costo della manovra finanziaria perché chi non ha figli non usufruisce né di detrazione per i figli a carico né, tantomeno, dei servizi nido, quindi tutto sommato di questo aspetto nemmeno si rende conto. Viceversa, pagheranno le manovre le famiglie con i figli, dunque potremmo dire: a chi poco ha sarà tolto anche il poco che ha. Di fatto, la stessa cosa accade con l'aumento dell'IVA, che non potrà che penalizzare di più le famiglie con i figli. Questo lo sanno perfettamente tutti quei genitori che proprio oggi, il primo giorno di scuola, vi hanno accompagnato i figli e hanno dovuto comprare i grembiuli, le cartelle, i quaderni, e pagare le tasse. Basta chiederlo a queste famiglie e avremmo una consapevolezza di cosa sta succedendo, non di cosa succederà in autunno, perché non ci dimentichiamo che l'aumento dei prezzi è già percepibile e percepito dalle famiglie.
L'ISTAT nel luglio 2011, in occasione della manovra precedente, segnalava che l'11 per cento delle famiglie vive sotto la soglia della povertà relativa, ma se si considerano le famiglie con tre o più figli minori questa quota sale al 30,5 per cento. Pag. 66Il numero di queste famiglie è destinato a crescere perché l'impoverimento che la manovra provocherà farà sì che la quota delle famiglie a soglia di povertà, attualmente al 30,5 per cento, è destinata ad aumentare perlomeno di un altro 12 per cento. Il che significa - mi conceda l'arrotondamento della cifra - che il 44 per cento delle famiglie italiane sarà sotto la soglia di povertà. Questo è un dato di fatto, non è demagogia. Questi sono numeri. È vero che io non credo all'anonimato dei numeri e non credo nemmeno che i numeri siano indifferenti, che quindi possano essere buoni o cattivi a seconda dell'interpretazione. Credo che questi numeri siano numeri intrinsecamente cattivi, perché parlano di malattia, di solitudine degli anziani. Infatti, si troveranno gravemente in difficoltà le famiglie a fornire quei badanti che nei casi degli anziani non autosufficienti non possono essere meno di tre. Sappiamo tutti che vi sono anziani che sono in famiglia e che richiedono però un'assistenza 24 ore su 24. Come faranno i nonni ad andare a prendere i bambini agli asili, a fare i baby sitter, a fare i baby sitter dei più anziani? Si troveranno veramente in una situazione di grandissima complessità.
Sul versante opposto, dei dati forniti dalla Banca d'Italia - lo sappiamo, è stato detto ripetutamente, anche oggi pomeriggio - emerge che il 10 per cento delle famiglie più ricche possiede quasi il 45 per cento dell'intera ricchezza netta delle famiglie italiane. In Italia, i grandi patrimoni sono i meno tassati d'Europa, ma in momenti di crisi e di difficoltà economiche, è giusto che chi può dare dia di più, altrimenti ci troviamo in una situazione per cui i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. Attenzione: molti di questi ricchi si sono offerti di pagare di più. Inoltre, mi lasci dire una cosa anche a rispetto e ad onore di tutti i colleghi parlamentari con i quali in queste settimane ci siamo confrontati: non c'è nessun parlamentare che si sottrae al suo contributo di solidarietà. Se ne fa una questione per discutere la modalità, ma non c'è nessuno di noi che non è consapevole che la sua è una situazione comunque di privilegio e sente la responsabilità del servizio e la volontà di venire incontro agli altri. Ma non sarà il nostro 3 per cento che cambierà la vita del Paese. Viceversa, se penso che il 10 per cento delle famiglie possiede il 45 per cento della ricchezza, devo dire che una patrimoniale su quelle condizioni economico-finanziarie non credo avrebbe fatto male a loro e penso avrebbe fatto bene a tutto il Paese.
Cosa fare allora? Cosa avremmo potuto fare? Non era difficile fare quello che chiedeva il Forum delle famiglie, la riforma dell'ISEE, dell'indicatore della situazione economica equivalente, non sarebbe stata difficile da attuare ed avrebbe costituito un fattore equilibratore, attraverso tutte le dimensioni, per una ridistribuzione più equa rispetto ai carichi familiari, insieme alla riduzione drastica delle situazioni di elusione e alle false dichiarazioni. Avrebbe consentito alle famiglie con figli di assorbire meglio l'inevitabile aumento del costo dei servizi locali. Avremmo potuto mettere in atto anche l'introduzione immediata del fattore famiglia - non stiamo parlando del quoziente familiare -, ma forse il non averlo applicato ha fatto sì che questo fattore si sia evoluto e perfezionato e, in qualche modo, risponda sempre più e sempre meglio a bisogni reali e alle esperienze concrete fatte. Perlomeno il primo gradino di applicazione avremmo potuto attuarlo. Avrebbe alleggerito il carico fiscale delle famiglie e avrebbe potuto rilanciare i consumi e rimettere in movimento l'economia, creando un vero e proprio intervento per lo sviluppo.
Dove avremmo potuto prendere le risorse? Sicuramente non solo attraverso le riduzioni dei costi della politica, ma anche dalla razionalizzazione della spesa della pubblica amministrazione. E, sicuramente, l'altro punto che avremmo potuto mettere in pratica è quello di coinvolgere un po' tutti con più coraggio. Avremmo potuto coinvolgere meglio maggioranza ed opposizione per costruire delle misure condivise e avremmo potuto coinvolgere un po' di più le parti sociali per condividere una Pag. 67realtà. Non basta nemmeno farla la manovra, non basta nemmeno decidere cosa non daremo. Noi dobbiamo decidere cosa faremo per coloro che non hanno; dovremmo decidere che cosa faremo. Cosa faremo quando le persone non si potranno permettere l'asilo nido? Diremo alle mamme che è meglio stare a casa? Torneremo ancora una volta a porre quella domanda, drammatica, tra lavoro professionale e scelta familiare? Cosa diremo alle giovani coppie, non dico a quelle che non si sposano perché non sono in condizione di vedere assicurato un lavoro professionale, ma a quelle che sono sposate o, comunque, alle giovani coppie? Diremo: non rischiate a mettere al mondo figli? Cosa diremo agli anziani? Portateli in ospizio quando ci diranno dalle RSA che non vi sono posti? Cosa diremo? Credo che non basti tagliare, che non basti ridurre, bisogna anche chiederci che risposte daremo quando la gente verrà a bussare alla nostra porta (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro per il Terzo Polo).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Miotto. Ne ha facoltà.

ANNA MARGHERITA MIOTTO. Signor Presidente, i decreti-legge di luglio ed agosto di quest'anno vanno letti insieme, non solo per gli effetti cumulativi con le precedenti manovre e per i tagli previsti a carico delle politiche pubbliche, ma anche per una elementare ragione: dopo il decreto-legge di luglio vari esponenti del Governo hanno parlato di errori compiuti che avrebbero meritato delle correzioni con questo decreto-legge. Addirittura sono stati intrattenuti confronti fra regioni e Governo per cambiare alcune misure e sono state fatte ammissioni importanti, che avrebbero meritato le necessarie correzioni. A cosa mi riferisco?
Mi riferisco ai ticket considerati iniqui dal ministro Fazio. Mi riferisco alla riforma dell'assistenza con la quale il Ministro Sacconi intendeva riordinare l'assistenza ed, invece, ora vuole fare cassa. Mi riferisco al sospiro di sollievo di vedove e orfani dopo l'annuncio della Lega che avrebbe salvato le pensioni. Mi riferisco alle dichiarazioni dello stesso Presidente del Consiglio, il quale prometteva poche settimane fa che salute, ricerca e scuola sarebbero rimaste al riparo dai tagli mostruosi operati invece dal Ministro Tremonti. Nulla di quanto promesso o di quanto detto in queste settimane trova riscontro nel decreto cosiddetto correttivo. Pertanto, nel breve spazio concesso per la discussione di questa legge di conversione, intendo denunciare l'estinzione delle politiche assistenziali esistenti nel nostro Paese e il pericolo del gravissimo impoverimento del sistema sanitario indirizzato verso la perdita del carattere universale. La scelta di sottofinanziare la sanità è molto grave. In un solo decreto-legge, quello di luglio, si cancella il governo pattizio della spesa sanitaria che è fondato sul rapporto tra quantificazione finanziaria e livelli essenziali di assistenza e sega alla radice l'albero sul quale occorreva costruire i costi standard e i nuovi livelli essenziali di assistenza in attuazione del federalismo fiscale. È evidente che, d'ora in poi, non si potrà più chiedere responsabilità alle regioni. Lo sa l'unico Ministro di questo Governo che è il Ministro Tremonti: già, perché è evidente che tutti gli altri sono sottosegretari, essendo stati privati di ogni autonomia. Ma lo sa Ministro Tremonti che ha fatto venir meno il principio sul quale poggiava la responsabilità condivisa del Governo della sanità e cioè il principio del cosiddetto del «chi rompe paga»? Il Governo, all'insaputa del Ministro della salute e delle regioni soprattutto, ha deciso che il finanziamento dei livelli essenziali sarà incrementato dello 0,5 nel 2013 e dell'1,4 nel 2014, pari circa ad un terzo del PIL nominale, circa metà dell'inflazione. I tagli programmati per la sanità sono di 8 miliardi a cui vanno aggiunti gli effetti cumulati dalle precedenti manovre che determinano una diminuzione di risorse rispetto al fabbisogno di circa 13 miliardi di euro. Ora la ricaduta di queste scelte comporta una estensione delle regioni che non raggiungeranno il pareggio. Si moltiplicheranno i piani di Pag. 68rientro e quindi aumenteranno tasse locali e nuovi ticket, rischiando di diffondere l'idea che il nostro sistema sanitario sia finanziariamente insostenibile. Ha interesse a perseguire questo obiettivo chi pensa ad una sanità privata o comunque ad un modello di tutela sanitaria che abbandona il modello universale, usando il pretesto di qualche aria di spreco che comunque è da combattere e da contrastare, spesso frutto di politiche clientelari e di colpevoli timidezze nella programmazione regionale. Già le conseguenze di questa deriva privatistica sono emerse a seguito dell'introduzione dei ticket che hanno reso più costoso per numerose prestazioni di laboratorio l'accesso al servizio pubblico rispetto a quello privato. Anche a questo proposito è incomprensibile la cecità del Governo sui fenomeni distorsivi indotti dalle scelte di questi mesi anche in ordine ai criteri di appropriatezza nel consumo delle prestazioni che rappresenta la preoccupazione più rilevante quando si discute di sostenibilità del sistema sanitario. Al di là dei valori di riferimento a cui ispirare l'azione politica - da parte nostra sono ovviamente alternativi a quella della destra - esiste una ragione seria per colpire il sistema di welfare nei settori della salute e dell'assistenza del nostro Paese? Non è la causa della crisi mondiale, non è la causa dell'esplosione della spesa pubblica. Faccio notare che l'andamento della spesa e il relativo finanziamento pubblico sono in Italia tra i più bassi della media UE e dei Paesi OCSE. Recenti indagini anzi dimostrano che l'Italia vanta una elevata speranza di vita accanto ad una contenuta dinamica della spesa sanitaria e ai bassi livelli di inefficienza comparando il nostro sistema con quello dei 34 Paesi dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico.
Viene da pensare che le misure di contenimento della spesa pubblica siano servite in verità da pretesto per realizzare quel disegno di Stato minimo rintracciabile nell'ideologia della big society che dalla Thatcher a Cameron hanno influenzato i liberisti europei fino alla destra nostrana che con il libro bianco di Sacconi ha liquidato il sistema di tutele costruito nel tempo e che trova ora nella delega per la riforma dell'assistenza, dopo l'azzeramento già avvenuto dei fondi per le politiche sociali della famiglia e della non autosufficienza, il compimento definitivo.
È incomprensibile il cinismo di tanto accanimento. Anticipate al 2012 il reperimento di 4 miliardi di euro, che verosimilmente dovrete ottenere mediante la riduzione delle detrazioni fiscali. In altri termini, fate cassa sulle detrazioni per i carichi familiari, sulle detrazioni per l'assistenza ai non autosufficienti, sulle spese mediche, sul mutuo della casa, sui costi per l'istruzione e sulla spesa per l'asilo nido.
Ho detto che vi è del cinismo nel vostro operato. Come chiamare diversamente gli intenti del Governo di migliorare i saldi (è un eufemismo per non chiamare «tagli»), i 20 miliardi di euro provenienti dalla spesa per l'assistenza, che ammonta a circa 60 miliardi di euro? Come si fa a ridurre di oltre il 30 per cento la spesa assistenziale, dopo aver azzerato i trasferimenti che erano destinati ai servizi per i disabili e i non autosufficienti, e dopo i tagli operati a carico di comuni e regioni?
A metà agosto, è sembrato che qualche dubbio avesse attraversato la vostra mente, ma si è capito subito che le preoccupazioni più evidenti riguardavano il Presidente del Consiglio, che non vuole passare come l'uomo delle tasse, e riguardavano la Lega, che porta su di sé la responsabilità di aver colpito, come mai era accaduto, le autonomie locali. Ma nessuno nella maggioranza ha sollevato un dubbio sul massacro di 7 milioni e 200 mila persone fra le meno abbienti del Paese.
Di cosa si tratta? Si tratta di invalidi civili, di persone non autosufficienti al 100 per cento che percepiscono l'assegno di accompagnamento, di vedove e orfani percettori di assegni di reversibilità. Per tutti costoro, la manovra di luglio, ora anticipata di un anno, prevede che gli emolumenti percepiti siano sottoposti ad un'operazione eufemisticamente definita come riordino, ma che, in verità, deve produrre Pag. 69un risparmio di 4 miliardi di euro nel 2012 e ulteriori 16 miliardi di euro nel 2013. Per realizzare quest'obiettivo il Governo ha approvato un progetto di legge delega che sarebbe da dichiarare irricevibile.
I contenuti, pur celando abilmente le intenzioni che saranno oggetto dei futuri decreti legislativi, fanno però trapelare dalla relazione e dal testo del provvedimento, che vengono travolte le pur esili politiche assistenziali che erano sopravvissute ai tagli effettuati dal 2008 ad oggi e prefigurano un nuovo assetto dell'assistenza, con una riforma che ci fa tornare indietro di un secolo. Guardate, ritorniamo a prima della legge Crispi del 1890.
A chi si vogliono sottrarre i soldi? Agli invalidi civili, che percepiscono una pensione di 260 euro al mese, 3.300 euro all'anno. La spesa complessiva per l'invalidità civile è di 3,8 miliardi di euro. L'argomento reiterato, anche in questi giorni, per colpire gli invalidi è la vicenda dei falsi invalidi: ovviamente, nessuno vuole proteggerli, ma l'argomento è pretestuoso. Basti pensare, che la mastodontica operazione di verifica messa in atto dal 2009 ad oggi, ha prodotto l'11 per cento di pensioni revocate, ma i ricorsi presentati dagli interessati hanno restituito il maltolto nel 70 per 100 dei casi, limitando i falsi invalidi al 3 per cento.
Il secondo gruppo di persone che saranno colpite sono i superstiti, che percepiscono la pensione di reversibilità: 4 milioni e mezzo di persone, mediamente 600 euro al mese.
Il terzo gruppo è costituito dalle persone gravemente non autosufficienti, al 100 per cento di invalidità, incapaci di deambulare, che percepiscono un'indennità di 487 euro al mese. L'indennità viene erogata direttamente a ciascuna persona per far fronte al fabbisogno assistenziale: corrisponde a circa un terzo del costo di una badante, a circa un quarto della retta in una casa di riposo. Nei casi in cui una famiglia abbia una persona non autosufficiente da assistere, spesso, è la famiglia stessa che subentra, con l'aiuto dei familiari, del comune e della regione, soprattutto per la quota di rilievo sanitario.
Ebbene, lo Stato spende circa 12 miliardi di euro per questo intervento ma le recenti indagini ci dicono che le famiglie in Italia spendono circa 9 miliardi di euro per 700 mila badanti. Quando si sente dire che non si può dare tutto a tutti, dovete sapere che fate la più odiosa demagogia che si possa immaginare, perché, a fronte di 10 miliardi di assegni di accompagnamento, le famiglie spendono 9 miliardi di euro solo per 700 mila badanti. Tutti gli altri, qualche centinaio di migliaio di persone, fanno fronte ai bisogni di assistenza con mezzi propri. Ebbene, con la delega del Governo si pensa di scippare persino l'assegno ai diretti interessati e si crea un fondo da suddividere tra le regioni, peraltro un fondo che subirà la tagliola della riduzione ad un terzo perché il complesso della cosiddetta riforma deve produrre 20 miliardi di risparmi. Lo Stato cioè spende 60 miliardi e ha deciso di tagliarne un terzo. Con tagli lineari? Ma, forse no, i tagli lineari probabilmente saranno riservati alla diminuzione delle detrazioni. Per i disabili invece il Governo pensa al reddito familiare; capiamoci subito, cari colleghi, per quale ragione dovrebbe valere il riferimento al reddito familiare quando lo Stato deve riconoscere una pensione, mentre se ne dimentica quando calcola il prelievo fiscale? Questa asimmetria rivela l'idea che la famiglia, secondo il Governo, è puro e semplice ammortizzatore sociale; utile per ridurre la spesa sociale, ma dimenticata quando si parla di fisco. Ecco chi paga con la manovra di questo Governo che è nemico della famiglia: pagano le persone più in difficoltà, pagano le famiglie.
Tuttavia, con il voto di fiducia su questo decreto consumate anche alcune vendette; la prima è con il sindacato che non vi sta simpatico e la seconda è con il movimento delle donne che si è mobilitato nel Paese, che aveva al centro della mobilitazione la dignità delle donne, il lavoro, un welfare rinnovato e potenziato. Le donne con il doppio ruolo che svolgono, doppio ruolo da conciliare, pagano due Pag. 70volte; pagano come lavoratrici - lo ha detto un attimo fa il collega Damiano - e pagano come quasi esclusive titolari del lavoro di cura. Le donne pagano anche una terza volta, spesso sono lavoratrici della pubblica amministrazione con contratti bloccati e se lavorano nel welfare subiscono le ripercussioni dei tagli nei servizi ove agli operatori sarà richiesto di raddoppiare l'impegno dopo aver subito gli insulti del Governo sui dipendenti pubblici considerati tutti fannulloni. Poiché gli asili nido sono scomparsi dalle linee di finanziamento del Governo, si affievoliranno le opportunità di lavoro delle donne in contrasto con quanto le donne si attendono, con quanto avviene in Europa e con quanto, aggiungo, sarebbe necessario per garantire condizioni di crescita in questo Paese. E che cosa ne sarà del fondo derivante dall'innalzamento dell'età pensionabile per le donne dipendenti della pubblica amministrazione? Insomma, all'interno delle troppe iniquità dell'azione del Governo, questo prezzo fatto pagare alle donne è davvero insopportabile. Penso che la forza delle donne di questo Paese sarà capace di esprimere la propria indignazione per questo ennesimo voltafaccia, per questo silenzio imbarazzato di tante colleghe del centrodestra. A partire da loro e con loro creeremo le condizioni per un'alternativa nel Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Causi. Ne ha facoltà.

MARCO CAUSI. Signor Presidente, non è un momento normale quello di questi giorni nella storia della Repubblica; è una fase di passaggio storica, una vera e propria fase di emergenza. Se lo spread fra titoli pubblici italiani e titoli tedeschi dovesse permanentemente assestarsi al di sopra dei 300 punti base come avvenuto in queste settimane e ancora oggi, secondo quanto la Banca d'Italia ha dichiarato durante una audizione presso questo Parlamento qualche giorno fa, ogni 100 punti base in più di spread, trasmettendosi dopo tre anni, comporterebbero mezzo punto in più di PIL di spesa per interessi. Quindi 7 miliardi e mezzo di euro in più di spesa per interessi, dopo tre anni, per ogni 100 punti base.
Capiamo quindi tutti qual è l'emergenza storica che sta di fronte alle politiche economiche del nostro Paese in questi giorni, in queste ore. È dire poco che il Governo non sia stato all'altezza di questa emergenza. Si tratta di un Governo che da troppi mesi gioca col fuoco, guarda alla crisi con troppa sufficienza, con grande superficialità, molto spesso con sciatteria e, comunque, sempre con una arroganza da autosufficienza, che ha fatto ancor male al Paese. Ancora oggi leggiamo sui giornali il Presidente del Consiglio dei ministri affermare che la crisi è stata risolta dagli interventi che abbiamo in Aula a partire da domani. Non si capisce bene di quale Paese il Presidente del Consiglio dei ministri stia parlando. La crisi sarebbe risolta se gli spread tornassero, come era alcuni mesi fa, al di sotto dei cento punti base, ma non certo, come è successo oggi, con spread arrivati a 384 punti base, nonostante la manovra di Ferragosto e, soprattutto, direi in modo ancora più preoccupante, con una trasmissione, a questo punto superiore ai 100 punti base (di quasi 110 punti base) delle nuove condizioni di rischio sul debito pubblico italiano alle nuove emissioni di BOT collocate stamattina dal Tesoro. Gli errori del Governo sono stati numerosi e attengono sia alla tempistica della manovra sia alle modalità della sua costruzione.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROCCO BUTTIGLIONE (ore 20,45)

MARCO CAUSI. L'errore principale - ma è stato detto prima di me da altri colleghi e colleghe del Partito Democratico - è stato di impegnarsi con l'Europa, fin da aprile, per una manovra correttiva dei 2,3 punti di PIL e poi di emanare a luglio una prima versione del decreto, quella emanata dal Consiglio dei ministri, che cifrava, invece, soltanto 25 miliardi di euro, a parte le questioni relative ai debiti Pag. 71aziendali delle aziende possedute dal Presidente del Consiglio dei ministri.
È stato da quel momento che la credibilità negli annunci di politica di bilancio italiana è stata seriamente minata. È cominciata una fase troppo lunga (settimane e settimane, da metà luglio sino ad adesso, in pratica) di ondeggiamenti, nuove misure, trattative tra i partiti di Governo, nuove misure, che in parte sono aggiuntive ed in parte sono sostitutive e, adesso, si arriva ad una manovra che cifra, al lordo, quasi 54 miliardi di euro, molto di più di quanto in origine ci aveva chiesto l'Europa ed avevamo promesso alla stessa. Alla fine, oggi, mi domando e vi domando: non era meglio fare fin da subito una manovra dimensionata il giusto, quei 2,3 punti di PIL, ma vera, certa, non oscura, trasparente e non disordinata, non roboante, ma incisiva? L'incertezza, l'oscurità, gli indietreggiamenti e le brutte trattative politiche hanno in queste settimane seriamente minato la credibilità del Governo, nonostante i roboanti annunci sui saldi finanziari.
Venendo al disegno fiscale di questa manovra, altri prima di me hanno detto che si tratta di un disegno inefficiente ed iniquo. Lo ribadisco in questo mio intervento, ma in più dico che vi è una grande contraddizione, perché, da un lato, tramite il disegno di legge di delega sulla riforma cosiddetta fiscale ed assistenziale, il Governo ha posto a questo Parlamento e al Paese il tema di una riforma della struttura fiscale ma, dall'altra parte, nell'intreccio fra questa manovra, che prevede 20 miliardi di euro nel 2014 da quella riforma, e le prospettive concrete di attuazione di quella riforma, vi è invece, da parte del Governo e della maggioranza, una grandissima contraddizione ed una grande confusione.
Vorrei cercare con queste parole, in questi minuti, di portare un contributo. Credo che sia urgente tornare a parlare di struttura del sistema fiscale. Dopo anni in cui l'attenzione e anche le fibrillazioni della politica e della discussione pubblica si sono concentrati sul livello e sulla pressione fiscale, è importante tornare a parlare di struttura del sistema fiscale.
Tuttavia, rispetto agli obiettivi che la maggioranza e il Governo si erano posti, devo registrare un serio sbandamento culturale e politico. Si tratta di uno sbandamento anche forse comprensibile alla luce degli eventi in Europa e nel mondo, ma è uno sbandamento che oggi dovete riconoscere perché bisogna da questo punto di vista riscrivere alcuni elementi importanti dell'agenda politica del Paese.
Due idee forza, infatti, hanno condotto questa maggioranza e questo Governo in questi anni. In primo luogo, l'ipotesi, contenuta all'inizio in quella delega, di trasferire la tassazione, come spesso ci ha detto il Ministro dell'economia e delle finanze, dalle persone alle cose e, in secondo luogo, il federalismo fiscale. Entrambi questi elementi della vostra agenda politica sono oggi falliti. In questo momento la maggioranza e il Governo subiscono un serio sbandamento dovuto al fatto che questi due fondamentali perni della politica di questi anni non sono più rintracciabili in questa manovra e nel futuro politico del Paese.
Spostare la tassazione dalle persone alle cose, e le cose sono gli immobili. Ma il centrodestra non può tassare gli immobili perché fin dal 2006 si è impegnato in modo anche strumentale per l'abolizione di ogni tipo di tassazione sulle prime case. Lo abbiamo visto con i decreti sul fisco municipale, sul fisco comunale, la cui enorme carenza è appunto l'assenza di un'imposta propria comunale che è tipicamente legata allo spazio occupato, se non al suo valore patrimoniale, almeno allo spazio in quanto indicatore indiretto di consumo di servizi. In secondo luogo, le cose sono i consumi. Tuttavia, nelle convulse modifiche delle ultime ore di questa manovra avete utilizzato un pezzo importante di manovra sull'IVA ai fini dei saldi finanziari della manovra complessiva e, quindi, sarà adesso molto più difficile utilizzare l'IVA per raggiungere i 20 miliardi di euro di obiettivo della delega fiscale. Infine, le cose sono i patrimoni e, quindi, la ricchezza. Pag. 72
Senza un ragionamento relativo all'imposizione sugli immobili, sui consumi e sul patrimonio, la delega fiscale che avete proposto al Parlamento sembra ormai priva di obiettivi e di strumenti.
Vi diamo atto positivamente di aver accolto in questa manovra la riforma sulle rendite finanziarie, che da anni si aspettava, ma invece molto male avete fatto a mettere mano all'IVA per far cassa. L'IVA si può usare per ridurre il costo del lavoro, oppure per anticipare la nuova DIT, che proponete tramite l'ACE, ma certamente non per far cassa.
Inoltre, bisogna tener conto che il vostro Ministro aveva già considerato una parte dell'IVA dentro quei 20 miliardi di euro mentre, invece, come poco fa Margherita Miotto ha spiegato molto bene, pensare di fare 20 miliardi di euro di gettito solo con la riduzione degli sgravi fiscali sull'IRPEF, e quindi a carico dei redditi da lavoro e da pensione medi e medio bassi, ovvero con una riorganizzazione e razionalizzazione della spesa assistenziale, significa pensare di fare una cosa che è infattibile. Anzi, questo è forse uno degli elementi di incoerenza e di scarsa credibilità della manovra perché tutto il mondo sa, gli analisti di Bruxelles sanno, così come qualsiasi analista di qualsiasi fondo di investimento sa che la spesa per l'assistenza in Italia è pari a 50 miliardi di euro, che gli sgravi sull'IRPEF sono difficilmente modificabili e che quindi lì, in quei 20 miliardi di euro, vi è un elemento di debolezza della manovra.
Il federalismo fiscale è un altro elemento su cui la maggioranza e il Governo manifestano ormai un totale sbandamento culturale e politico, ovviamente e naturalmente per i rilevantissimi tagli a carico di regioni ed enti locali, ma anche perché emergono in pieno a questo punto le carenze strutturali e di fondo dei decreti sul federalismo e soprattutto di quello più manchevole, quello appunto sulla finanza comunale. Supplite in questa manovra a quelle manchevolezze liberando le addizionali IRPEF, sia per regioni che per comuni, e addirittura concedendo ai comuni la facoltà di differenziare l'addizionale IRPEF comunale per scaglioni di reddito. I sostituti d'imposta di questo Paese dovranno modificare i loro modelli e il loro circuito di pagamento a seconda del comune di residenza di ciascun dipendente. Si tratta di una vera e propria follia dal potuto di vista della semplificazione.
Emerge ancor più oggi il contributo del Partito Democratico, qui lo voglio ribadire.
Spesso si dice nella polemica politica che le opposizioni non hanno proposte. Questo è un campo, invece, nel quale emerge con grande nettezza che il contributo che il Partito Democratico si è assunto di dare sul fisco comunale (e, quindi, quello di istituire un'imposta comunale sui servizi non di tipo patrimoniale e di cancellare contemporaneamente l'addizionale comunale all'IRPEF lasciando l'addizionale IRPEF solo come strumento di flessibilità fiscale per le regioni) è un contributo di cui tener conto nella futura agenda politica del Paese.
C'è un altro contributo che il Partito Democratico si è sentito in dovere di dare anche in questo caso su un terreno difficile e non propagandistico come quello fiscale: proponiamo, in questo Parlamento, al Paese un ragionamento finalmente di fondo sul riequilibrio della struttura del sistema fiscale. Da questo punto di vista, dobbiamo ragionare sul ruolo che possono esercitare le imposte sulla ricchezza, le cosiddette patrimoniali. Le imposte sulla ricchezza sono, infatti, quelle preferibili dal punto di vista sia dell'efficienza che dell'equità.
L'OCSE ritiene le imposte patrimoniali quelle meno distorsive ai fini della crescita. Nella delega fiscale, se dobbiamo pensare ad un nuovo mix di struttura fiscale, oltre a pensare di passare dalle persone alle cose, dobbiamo pensare a qualcosa in termini di imposizione sui patrimoni.
In Italia, come la Banca d'Italia ci ha ricordato, abbiamo un punto di PIL in meno rispetto ai principali Paesi europei e non soltanto europei. Naturalmente questo offre un elemento di efficienza. Infatti, si tratta delle imposte meno distorsive, dal momento che quelle più distorsive per la Pag. 73crescita economica sono quelle sul lavoro e sull'impresa. Quindi, l'obiettivo di questa legge delega di riforma fiscale dovrebbe essere di ridurre il peso dell'imposta sul lavoro e sull'impresa aumentando il peso delle imposte sulle cose (come diceva il Ministro Tremonti) e, quindi, sui patrimoni, sugli immobili e sui consumi.
Tuttavia, c'è anche un elemento di equità, perché in Italia il 10 per cento delle famiglie possiede il 48 per cento della ricchezza mobiliare e immobiliare. Il primo 1 per cento delle famiglie italiane possiede il 15 per cento della ricchezza. Invece, l'IRPEF è pagata al 94 per cento (dato del 2009) dal lavoro dipendente e dalle pensioni.
Quindi, pensare di fare una riforma fiscale che ottenga quei 20 miliardi o con l'IVA oppure tassando i redditi da lavoro dipendente e da pensioni basse e medio basse significa pensare di fare una cosa che non è sostenibile socialmente, oltre a non essere fattiva e produttiva degli obiettivi finanziari posti.
È proprio il caso di dire che in questo momento e in questa circostanza (non soltanto per l'emergenza finanziaria, ma anche per un riequilibrio permanente e strutturale del sistema fiscale) chi ha di più deve dare di più e l'imposizione patrimoniale deve tornare in Italia ad essere al livello medio degli altri Paesi europei.

PRESIDENTE. Onorevole Causi, la prego di concludere.

MARCO CAUSI. Concludo, signor Presidente. Da questo punto di vista, penso che il ruolo principale che il Governo ha svolto in queste settimane è di non aver cercato una condivisione insieme alle parti sociali e a tutte le componenti politiche del Paese per trovare insieme il modo per far uscire il Paese dalla difficoltà in cui si trova.
Gli sgravi fiscali sono l'esempio di questo. La rielaborazione e la riscrittura del decreto sul fisco comunale ne sarebbe un altro. Il Ministro Calderoli ha accettato di rivedere quel decreto, ma poi si è perduto in altre emergenze della sua agenda estiva. Invece che sostenere l'accordo del 28 giugno, che avrebbe ricomposto il mondo della rappresentanza del lavoro, con l'articolo 8 avete, invece, cercato di dividerlo nuovamente.

PRESIDENTE. Onorevole Causi, dovrebbe concludere.

MARCO CAUSI. Ma vi sono ancora altri esempi: come si pensa di intervenire sulle pensioni? Come si pensa di riformare la struttura del sistema fiscale italiano soltanto con una maggioranza scarsamente autosufficiente? L'esempio della Spagna è di fronte a tutti: chiamando alla condivisione quel Paese, che qualche mese fa aveva degli spread tripli rispetto ai nostri, oggi li ha più bassi dei nostri.
Quindi, nel dare un parere fortemente negativo nei confronti di questa manovra, come ha detto Pier Paolo Baretta nella sua relazione di minoranza, siamo tutti convinti - e ve lo vogliamo dire - che qui non abbiamo finito.
Ci saranno ulteriori momenti di fronte al Paese, ulteriori scelte, e il Paese ne uscirà soltanto con un quadro politico e un Governo diverso, capace di affrontare fino in fondo i nodi a medio termine della crisi.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Lanzillotta. Ne ha facoltà.

LINDA LANZILLOTTA. Signor Presidente, 138 miliardi: a tanto ammonta il complesso delle manovre di finanza pubblica realizzate da questo Governo, circa 8 punti di PIL, e a tanto ammontano i tagli di spesa ma, soprattutto, le tasse che questo Governo ha inflitto inutilmente agli italiani. Infatti, queste manovre sono state fatte quasi per il 70 per cento da maggiori tasse anche per finanziare maggiore spesa. E tutto questo è risultato inutile, perché i risultati della vostra politica economica, anche prima della bufera che si è abbattuta sui mercati finanziari, sono disastrosi.
La pressione fiscale salirà nel 2012 quasi al 47 per cento, livello mai raggiunto sino ad ora e il pareggio di bilancio, che Pag. 74dovrebbe essere realizzato nel 2012, nasconderà in effetti un deficit occulto di circa 60 miliardi di euro, cioè 4 punti di PIL all'incirca, che è la cifra dei mancati pagamenti delle amministrazioni pubbliche alle imprese che da questi crediti inesigibili sono messe letteralmente in ginocchio. La crescita flette pericolosamente verso lo zero, la disoccupazione giovanile è al 30 per cento, con punte del 50 nel Mezzogiorno, gli investimenti pubblici non sono mai stati così bassi e la corruzione mai così alta.
Oggi, in queste condizioni, mentre l'Unione europea già ci chiede un'altra manovra e i titoli pubblici sono collocati a un costo altissimo, il Parlamento si trova costretto, con un senso di rabbia e di impotenza che attraversa - onestamente bisogna dirlo - tutti i settori, di opposizione ma anche di maggioranza, a votare l'ennesima manovra che scarica sugli italiani altri sacrifici, sapendo già che saranno divorati, in poche settimane, dalla bassa crescita e dall'aumento vertiginoso del costo del debito.
L'ennesima manovra inutile, perché non avete messo le basi per una riduzione strutturale della spesa, per una riduzione del debito, per un rilancio della nostra economia che renda credibile la stabilità del risanamento finanziario e la sostenibilità del livello di indebitamento. È quello che, invece, altri Paesi, in situazioni certo non migliori delle nostre, hanno fatto e stanno facendo, riuscendo così a resistere alla bufera dei mercati. Lo hanno fatto la Gran Bretagna e l'Irlanda, lo stanno facendo la Spagna e il Portogallo e lo sta facendo anche la Francia, i cui problemi strutturali sono certo diversi ma non meno gravi di quelli italiani.
È questo il motivo per cui anche gli eurobond, idea sostenuta forse giustamente dal Ministro Tremonti, oggi non possono essere accettati dalla Germania, perché non possiamo pensare che l'Europa garantisca il nostro debito e che possiamo beneficiare di questa garanzia se non facciamo la nostra parte, se non facciamo le riforme che la Germania di Schroeder ha fatto da tempo, già dal 2005, e che altri Paesi stanno facendo ora; Paesi in cui le classi di Governo e le classi politiche pagano anche un prezzo, il prezzo dell'impopolarità e dei voti persi, ma si mostrano all'altezza delle loro responsabilità.
Invece, lo spettacolo che avete dato ai mercati, all'Europa e ai nostri cittadini, in queste settimane, è stato penoso e umiliante, perché ha mostrato tutta la pochezza di una classe di Governo che, nel momento in cui il Paese corre rischi gravissimi, continua a far prevalere l'interesse di partito e le convenienze delle proprie basi elettorali sull'interesse nazionale.
Non è certo una classe di Governo come la vostra a poter essere legittimata a parlare agli italiani il linguaggio della verità e a fare appello al Paese per rimboccarsi le maniche e costruire il futuro delle giovani generazioni.
Voi quel futuro lo state divorando e, purtroppo, è quello che avete fatto durante tutti questi tre anni di Governo ed è la più grave e imperdonabile, a mio avviso, responsabilità del Ministro dell'economia e delle finanze, quel Ministro dell'economia e delle finanze che oggi, dopo averci ripetuto che il PIL non si fa con le leggi, annuncia un tagliando per la crescita. Un Ministro dell'economia e delle finanze che in questi anni ha goduto del consenso e anche dell'adulazione dei media e della gran parte delle forze economiche e sociali, che ha goduto della maggioranza parlamentare più ampia della storia italiana, che ha goduto, all'interno del Governo e della sua maggioranza, di un'eccezionale potere di decisione e di interdizione.
Un Ministro che, pur consapevole della gravità della crisi e dei suoi potenziali e devastanti sviluppi, non ha usato questo suo grande potere al servizio del Paese per renderlo più forte, per modernizzarlo e per realizzare le riforme per la crescita, ma che, al contrario, pur di non dispiacere la Lega, suo partito di riferimento, ha continuato a raccontare agli italiani bugie e illusioni ed ha usato il potere solo per rafforzare la sua posizione personale. Pag. 75
Almeno oggi, però, che siamo arrivati sull'orlo dell'abisso, credo che noi dobbiamo dire la verità agli italiani e assumere le decisioni conseguenti.
La manovra alternativa che il Terzo Polo ha proposto - e su cui anche al Senato ha inutilmente sollecitato un confronto con il Governo, arrivando a dichiarare la disponibilità a votare con la maggioranza misure che andassero nella direzione di interventi strutturali sull'economia e sulla finanza pubblica senza che ciò implicasse una diversa collocazione politica, ma solo per agire insieme in un momento drammatico nell'interesse dell'Italia - va in questa direzione: una riduzione strutturale della spesa ai diversi livelli di Governo per finanziare una riduzione delle tasse a carico dei redditi medio-bassi pesantemente impoveriti dalla crisi, una riduzione delle imposte per le imprese, incentivi fiscali agli investimenti, riduzione immediata, a Costituzione vigente, delle province, interventi sulle pensioni di anzianità per reinvestire le risorse così liberate in nome di una sorta di scambio generazionale in interventi per il lavoro dei giovani e delle donne e in servizi sociali per i bambini e per gli anziani e, infine, liberalizzazioni serie e privatizzazioni per stimolare la crescita.
La vostra manovra va ostinatamente nella direzione opposta: una scarica di tasse, alcune delle quali nuove di zecca, che se le avesse introdotte Visco sarebbe stato - poverino - messo in croce letteralmente, tagli alla spesa pubblica che, in assenza di una riorganizzazione delle strutture amministrative, si tradurranno in altrettanti aumenti della pressione fiscale a livello locale. Non una, ma neppure una misura per la crescita.
Forse saranno rispettati i saldi e - come si sa - anche questo aspetto non appare scontato, ma nessuno può credere che, con una manovra così, l'Italia abbia imboccato la strada del cambiamento, nessuno può credere che gli italiani abbiano davvero capito che non è possibile inseguire la spesa che cresce, imponendo sempre più tasse, che bisogna ridurre la spesa riducendo apparati e semplificando i livelli del Governo, che bisogna potare agenzie e società pubbliche e restringere radicalmente il perimetro dell'intervento pubblico.
In questi anni avete umiliato e sbeffeggiato chi lavora nel settore pubblico invece di dare alla funzione pubblica una nuova dignità in cambio di più efficienza, più produttività e più responsabilità. Avete fatto propaganda invece di riforme e oggi abbiamo una pubblica amministrazione più costosa e meno produttiva e sacche di corruzione sempre più un vaste e profonde.
Neppure avete tentato di vincere le resistenze corporative per aprire settori di servizi e professioni, che sono leve fondamentali dello sviluppo di un'economia moderna e per creare nuove opportunità di lavoro per i giovani, più meritocrazia - perché si fa con le liberalizzazioni la meritocrazia - e dunque anche più giustizia sociale.
Non avete neppure tentato di attuare quel progetto liberale che avevate promesso agli italiani, a cominciare da una seria revisione del titolo V della Costituzione e dal federalismo fiscale, che non ha portato il Bengodi che Tremonti e Calderoli avevano preconizzato, che non ha fatto il miracolo di diminuire la spesa, diminuire le tasse e migliorare servizi, ma che invece ha significato dilatazione della burocrazia e della corruzione, aumento di tasse, tariffe e addizionali.
Abbiamo il paradosso di una spesa sanitaria aumentata del 90 per cento negli ultimi dieci anni e su questo aumento sono stati costruiti i costi standard e cioè il modello dell'efficienza, invece di dire: prima riduciamo e realizziamo l'efficienza e poi, in base a questo, misuriamo lo standard. L'Italia non si può più permettere nuovi livelli di Governo perché sono tanti, a partire dalla Commissione europea per finire alle ASL e alle altre strutture che a livello locale gestiscono i servizi.
La riforma delle province presentata dal Governo è una pura presa in giro perché moltiplica gli organismi invece di ridurli e inoltre - se mi consentite - deturpa la Costituzione, che è anche un Pag. 76testo bello ed elegante da leggere e che, con le norme Calderoli, diventerà veramente illeggibile.
Il dramma è che chi verrà dopo di voi, data questa situazione, si troverà obbligato in un disastro di queste dimensioni a infliggere al Paese un altro shock fiscale che inevitabilmente sarà un altro colpo per la crescita. Insomma, andiamo verso il disastro, e se ciò non bastasse all'interno di una manovra che ha i caratteri descritti sono contenute iniquità, furbizie e norme talvolta oscure.
È giusto tassare i redditi elevati, ma perché tassare più i dipendenti pubblici che comunque le tasse le hanno sempre pagate e che le superaddizionali le pagheranno a partire dai 90 mila euro mentre gli altri, tra i quali si annida la gran parte degli evasori, paga solo dai 300 mila euro in su? E come mai dopo aver cancellato le norme antievasione introdotte dal Governo Prodi, prima annunciate misure feroci e subito dopo le attenuate? Forse per lenire le ferite del cuore sanguinante del Premier che all'idea di essere uno che le tasse le fa pagare proprio non resiste? E che dire di misure di liberalizzazione per le professioni e per i servizi pubblici locali come quelle contenute nell'articolo 4, sulle quali si sono abbattute le critiche aspre dell'Autorità Antitrust che le ha giudicate del tutto inefficaci? E ancora cosa ci fa quella norma del comma 26-bis dell'articolo 1 che esternalizza affidandola ad una società dello Stato la gestione dei debiti del comune di Roma, una massa di 9 miliardi di euro che vengono sottratti a una gestione trasparente e pubblica per essere affidata a un soggetto di diritto privato non si sa bene con quali procedure?
Colleghi, oggi i mercati hanno dato un altro duro colpo, i titoli delle banche italiane hanno avuto l'ennesimo crollo, i titoli pubblici sono stati collocati a tassi mai raggiunti. Per uscire da una situazione così drammatica, dalla situazione in cui questo Governo ci ha cacciati, certo in una crisi che è globale ma che per l'Italia - che pure come sempre abbiamo detto non sta strutturalmente peggio di altri - si sta rivelando drammatica, bisogna voltare pagina, per dare al Paese un Governo credibile, che sia interlocutore affidabile, autorevole, rispettabile e rispettato dalla comunità internazionale, dai mercati, dalla Banca centrale europea. C'è una sola ricetta: che il Governo passi la mano e prenda atto di aver fallito.
Una cosa comunque la vogliamo dire con chiarezza: finora, perché ci sia un punto fermo che credo debba essere condiviso da tutte le opposizioni, l'opposizione ha mostrato un eccezionale senso di responsabilità accettando di approvare a tempo di record due manovre che giudicava inutili e sbagliate, ma continuare a consentire che questo Governo impoverisca gli italiani senza porre le basi del suo futuro sarebbe irresponsabile, dunque non ci potrà essere un'altra manovra gestita da questo Governo. Da mesi questo Governo tenta di resistere ad un'inarrestabile agonia, non potremo consentire che per salvare voi stessi trasciniate a fondo l'Italia.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Vannucci. Ne ha facoltà.

MASSIMO VANNUCCI. Signor Presidente, sottosegretario Cesario, onorevoli colleghi, finalmente questo tormentone estivo arriva in quest'Aula, e come ci arriva? Secondo me ci entra malissimo, perché la Commissione di merito proporrà all'Aula di approvare il provvedimento nello stesso testo licenziato dal Senato. Il provvedimento è rimasto intonso, la discussione in Commissione non è servita a modificarlo. Sì che ci sarebbero stati i tempi, l'abbiamo dimostrato, avremmo forse anche anticipato l'approvazione definitiva, anche se fosse stata necessaria una terza lettura.
Perché, signor Presidente, questo non è avvenuto? Non certo per volontà dell'opposizione che ha proposto un accordo fra gentiluomini per apportare alcune modifiche condivise, ma perché la maggioranza era consapevole che, riaprendo la discussione, avrebbe rivissuto quello che si è vissuto in questo mese: continui scontri, proposte contraddittorie, analisi sbagliate, Pag. 77immagine esterna pessima. E c'era la possibilità di rafforzarla.
Le nostre proposte, le proposte del Partito Democratico, andavano tutte verso questa direzione. Ne ha dato conto nella sua relazione di minoranza l'onorevole Baretta, ne ha dato conto l'onorevole Marchi. Perché andava rafforzata questa manovra? In quale direzione? Intanto, per renderla più equa, per chiedere un impegno a tutti i cittadini italiani, e non solo a una parte, non solo e sempre agli stessi.
Bisognava renderla più equa per rispettare l'articolo 53 della Costituzione, che ci impegna a chiedere sacrifici, quando è necessario, o contribuzioni proporzionali al reddito delle persone. Qual era il modo? Era quello di agire sulla spesa, soprattutto, sulla spesa impropria. In questa manovra e con questa manovra i costi delle istituzioni, impropriamente chiamati «costi della politica», rimangono sostanzialmente intatti, non si affrontano i problemi veri del Paese. Su molte norme, anche rispetto al testo del Governo, in prima lettura il Senato è tornato indietro.
Stiamo vivendo in queste ore un film che abbiamo già visto. Oggi la Commissione europea è intervenuta e ha detto: attenzione, perché se le norme che state approvando non funzioneranno, dovrete tornarci sopra, dovrete ancora correggerle. Questo film lo abbiamo già visto, signor Presidente, perché siamo venuti in quest'Aula a luglio: in sette giorni abbiamo permesso di approvare una manovra che non condividevamo, ma per senso di responsabilità - ce lo chiese il Capo dello Stato -, pur argomentando le nostre ragioni, abbiamo detto che rinunciavamo alle nostre prerogative e ai nostri tempi.
Qual era il punto di critica fondamentale e sostanziale che ponevamo? Era l'obiettivo del pareggio di bilancio spostato al 2014. Era una manovra fatta nel 2011 che spostava tutto il peso ed era completamente squilibrata verso il 2014. Avevamo detto che era una furbizia della maggioranza, perché, come si sa, la legislatura scade nel 2013, ma, soprattutto, che la manovra non avrebbe risolto alcun problema. Cosa è avvenuto? Quello che avevamo anticipato, quello che avevamo detto. È intervenuta la BCE, che è stata più volte evocata e richiamata con questa famosa lettera che non si sa dove sia finita, non si trova, non si riesce a conoscere, e da lì è cominciato il balletto all'interno della maggioranza, le incertezze, le decisioni, i vertici, le varie versioni, le definizioni che questa manovra ha avuto.
Ricordo questo vertice di Arcore, in cui, alla fine, si sono stappate delle bollicine per brindare ad un accordo che è durato circa 12 ore. Solo questo, siglare a casa del Premier un accordo che non stava in piedi, che si è rivelato risibile dopo 12 ore, avrebbe dovuto far trarre le conclusioni di un assoluto fallimento di questa manovra.
Invece, abbiamo esposto il nostro Paese a questa immagine internazionale: un Paese fondatore dell'Europa, che è stato traino dell'Europa dal punto di vista culturale e non solo, oggi è considerato un peso per l'Europa, oggi è considerato un problema per l'Europa. Perché questa manovra è debole e andava rafforzata? Perché, Presidente Buttiglione, la manovra è recessiva, non fa crescere. Non è un elemento proprio di questo provvedimento: lo abbiamo vissuto nel corso dei 13 provvedimenti anticrisi. L'altro giorno l'OCSE ha registrato per il terzo trimestre per l'Italia una decrescita dello 0,1 per cento; per il quarto trimestre prevede un più 0,1 per cento. Siamo assolutamente fermi!
È stato stimato che la manovra di luglio avrebbe prodotto una decrescita dell'1 per cento. Avendola così appesantita, come è stato fatto in questo modo, produrrà ancora più malefici effetti. Questo perché il peso di questa manovra non incide sul contenimento della spesa, della spesa corrente e della spesa improduttiva, ma è tutta squilibrata sulle entrate: 70 per cento sulle entrate e 30 per cento sulla spesa.
È un vertiginoso aumento di pressione fiscale come non si era mai registrato.
Il presidente Giancarlo Giorgetti vuole fonti certe e, allora, vorrei citare - lui lo ha già sentito, ma glielo voglio ricordare - la relazione che la Corte dei conti ha Pag. 78svolto. Nell'ipotesi più ottimistica, ossia nel caso in cui non debbano registrarsi effetti depressivi sul prodotto, la cui dinamica tendenziale è ufficialmente confermata all'1,3 per cento nel 2012 e all'1,5 per cento nel 2013, tassi di crescita che sappiamo di doverci scordare, l'aumento di pressione fiscale dovrebbe risultare, nel 2014, di circa due punti rispetto al livello attuale. Arriveremo, signor Presidente, al 44 per cento di imposizione fiscale. Un Paese, in questo modo, non può assolutamente crescere.
Le faccio una domanda. Lei ha mai visto qualcuno, una famiglia, un'impresa, un Paese, onorare e rimborsare i propri debiti senza lavorare di più? Per un Paese che cosa vuole dire? Vuole dire crescere di più. Se non vi è crescita, non raggiungeremo nemmeno questi obiettivi.
In questa discussione, però, è stata messa in ombra la madre di tutti gli errori che vi sono in questa manovra finanziaria, perché è stata fatta a luglio. Qual è la cosa più importante, fondamentale e più pericolosa? È la scelta di prevedere un taglio di 20 miliardi di euro dalle deduzioni e dalle detrazioni fiscali. Questo vuole dire aumentare di 20 miliardi di euro la tassazione sui redditi in un Paese dove le entrate fiscali sono determinate quasi esclusivamente dai redditi. Da dove deriviamo le nostre entrate, signor Presidente? Dai redditi, dalle rendite, dai consumi (IVA, giochi e così via), dal patrimonio. È noto che in Italia vi è questo squilibrio sui redditi che fa sì che redditi da lavoro, autonomo o dipendente, e da pensione paghino in Italia qualcosa come 70 miliardi di euro in più. Tutto questo, squilibrando la distribuzione, provoca una difficoltà nella crescita. Le nostre famiglie hanno uno dei poteri d'acquisto più bassi d'Europa.
Allora, il peso fiscale andava riequilibrato fra redditi, rendite, IVA e patrimonio, ma non è stato fatto e non sarà più possibile farlo perché ci siamo giocati già due partite per i saldi di bilancio, le rendite che vi sono in questa manovra e l'operazione sull'IVA.
Per ragioni ideologiche la maggioranza non vuole affrontare il tema di un'equa tassazione dei patrimoni, quelli più alti, e anche per questo voglio citare la Banca d'Italia che dice che l'Italia è l'unico Paese ad avere abolito l'imposta sul possesso dell'abitazione principale. Dice anche che altri Paesi come il Regno Unito, Spagna, Francia, hanno un'incidenza di tassazione sul patrimonio tre volte superiore a quella italiana.
Benissimo, tutto quello che è successo in questa settimana quanto ci è costato? Anche oggi i nostri titoli di Stato hanno scontato, per essere collocati, uno spread, ossia un differenziale rispetto ai titoli tedeschi, di circa il 4 per cento in più di interessi. Abbiamo, come è noto, un debito di 1900 miliardi di euro, certo distribuito in sette anni, ma vi ricordo le scadenze, come ha fatto la Banca d'Italia: 70 miliardi di euro in scadenza a settembre, 130 entro la fine dell'anno, 250 nel 2012. Quindi, in un periodo piuttosto breve abbiamo 400 miliardi di euro di collocamenti da effettuare sui quali stiamo pagando il 4 per cento in più.
Le voglio dire, signor Presidente, che anche i tassi di interesse che i cittadini pagano alle banche, e sappiamo che le nostre imprese e le nostre industrie sono molto legate al credito, partono da qui, partano dai tassi di interesse che si pagano sui titoli pubblici. Da lì in su. Quindi, anche in questo abbiamo un freno alla nostra economia.
Allora dobbiamo chiederci quanto ci costa l'insistenza di questo Governo a volere rimanere in carica, malgrado non abbia più il sostegno del Paese.
Ma la manovra del 20 per cento di riduzione delle deduzioni e delle detrazioni porta in sé molte altre insidie. Noi sappiamo che sono circa 460 e che valgono circa 160 miliardi. Hanno tre caratteristiche.
La caratteristica principale è di garantire la coesione sociale, perché in quelle deduzioni e detrazioni c'è il coniuge a carico, ci sono i figli a carico, c'è il caso di chi tiene degli handicappati in casa, c'è tutto il terzo settore, c'è il lavoro, ci sono Pag. 79le pensioni, gli enti non commerciali, le agevolazioni sulle accise. Ci sono molte e molte cose. Allora il primo problema è la coesione sociale. Incidendo in quel settore, come possiamo garantirla?
Per il secondo aspetto porto solo un esempio di un comparto, quello delle costruzioni, che in questi anni è potuto stare in piedi grazie a quelle norme: 36 per cento sulle ristrutturazioni, 55 per cento sull'efficientamento energetico o il mutuo prima casa per i giovani, che si può dedurre. E voi intendereste ridurre queste del 20 per cento? E l'incidenza sulla crescita è stata calcolata? Cosa succederà in questo comparto?
Terzo elemento, signor Presidente, è che queste scelte, che nel tempo e negli anni sono state fatte, hanno anche un altro obiettivo, quello di introdurre sempre di più il contrasto di interesse. C'è, insomma, la convenienza da parte del cliente di farsi fatturare il bene, perché ha la possibilità poi di portarlo in detrazione e di dedurlo dal reddito. Ebbene, il presidente dell'ISTAT Giovannini, che ha presieduto la commissione per l'evasione fiscale, ha detto: aumentate le opportunità di detrazione e di deduzione, prendete dei settori e magari insistete su quelli; in qualche modo voi avreste un'anagrafe di quanto succede e potreste abituare la gente anche temporaneamente.
Noi lo abbiamo proposto. Fra le nostre proposte ad esempio c'è la possibilità per tutte le spese della casa - che vedono purtroppo molte attività di evasione e di elusione - di portarle in detrazione, in modo di farle emergere e di avere l'anagrafe, per vedere se quel fornitore dopo qualche anno continua ad avere lo stesso livello di attività.
Ebbene, ma la causa principale di questo vostro fallimento dove sta? Ve l'ha detta il Presidente della Repubblica nel suo discorso al meeting di Rimini. Ha detto: possibile che si sia esitato a riconoscere la criticità della nostra situazione e la gravità effettiva delle questioni?

PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Vannucci.

MASSIMO VANNUCCI. Perché non è stata detta la verità?
È questo il problema. Noi abbiamo sempre chiesto, signor Presidente, un tavolo di crisi, un confronto e di dire al Paese parole vere. Ebbene, siamo stati accusati di catastrofismo. Siamo stati accusati di non voler bene al nostro Paese e di attività antitaliana. Se avessimo detto la verità, allora sarebbe venuto fuori il fallimento di questo Governo! Perché aver fatto le norme per cancellare quel che avevamo fatto noi sull'evasione fiscale? Perché interrompere la spending review, che oggi si «rimette»? Perché aver fermato tutto il processo di liberalizzazioni? Perché aver fatto lo scudo fiscale in quel modo o avere abolito l'ICI o fatto operazioni sull'Alitalia o altre operazioni, come più volte abbiamo denunciato, sulle quote latte?

PRESIDENTE. Deve concludere, onorevole Vannucci.

MASSIMO VANNUCCI. Ebbene, signor Presidente io ho concluso e non posso che concludere dicendo e rifacendomi al fondo di ieri del Corriere della Sera che sostiene: o questo Governo è in grado di far ritrovare a questo Paese uno scopo e una missione, in grado di stimolare negli italiani uno scatto di dignità e di orgoglio oppure si faccia da parte.
Voi non siete in grado di ridare un'ambizione a questo Paese e, quindi, è giusto che passiate la mano (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Delfino. Ne ha facoltà.

TERESIO DELFINO. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, l'attuale crisi economica nazionale e mondiale vede il nostro Paese coinvolto in modo completo. Avrebbe dovuto questa grave crisi indurre tutti ad un elevato senso di responsabilità politica, istituzionale e sociale.
Dobbiamo constatare, ahimè, che questo approccio, autorevolmente sollecitato Pag. 80dal Presidente della Repubblica, ripetutamente sollecitato, non appartiene a questo Governo e - devo dirlo con rammarico - neppure a questa maggioranza. Il modo con cui sono state affrontate le ultime due manovre testimonia dell'incapacità del Governo, del Presidente del Consiglio, della maggioranza, di avviare un confronto vero, con una qualità forte, basato su elementari presupposti: il presupposto della verità reale del Paese, il presupposto della trasparenza, quello della serietà.
Purtroppo nessuno di questi è stato messo in campo, se non l'evocazione, il richiamo ad un senso di responsabilità delle opposizioni che - io credo - in queste ultime settimane, in questi ultimi mesi, mai è venuto meno. Quello che invece non c'è stato, e dobbiamo tutti riconoscerlo con onestà, è stata questa disponibilità, perché chi ha più responsabilità, chi ha più potere ha maggiori doveri di ascolto e di dialogo, mentre abbiamo assistito ad una chiusura autoreferenziale, ad un dialogo che veniva sollecitato ma solo per dire che noi avremmo dovuto, come opposizione, aderire in modo del tutto pacifico, senza alcuna possibilità di entrare nei meccanismi di una crisi che, se affrontata - e dovremo, ahimè, ancora affrontarla nel prossimo futuro - con il coinvolgimento vero di tutte le forze politiche, sociali e istituzionali, sicuramente avrebbe condotto a provvedimenti più equilibrati, ma vorrei dire anche a provvedimenti più rigorosi.
Allora invece di trincerarsi dietro ad una urgenza, urgenza che c'era, urgenza che un Governo saggio e previdente avrebbe potuto affrontare, anche alla luce di quelle che erano una serie di situazioni che emergevano in Europa, pensiamo alle crisi di altri Paesi europei. E nel mondo, invece noi avevamo quel dire tranquillizzante del Presidente del Consiglio e del Ministro dell'economia e delle finanze, che dicevano: va tutto bene, noi siamo i migliori, noi abbiamo i conti più a posto. E, poi, improvvisamente tutto è crollato. Direi che questo è un altro elemento preoccupante per il futuro. Perché se queste manovre, comunque da noi respinte nel merito, ma accettate nella velocità dei tempi che ormai l'urgenza poneva, avessero risolto il problema definitivamente noi avremmo potuto comunque dire: la responsabilità di scelte inadeguate non ci appartiene, ma ci appartiene la responsabilità di chi ha una certa visione del Paese, della società italiana, delle realtà istituzionali italiane; ha fatto una scelta e questo ci ha messo in sicurezza.
Noi siamo lontani da questi risultati, da questa prospettiva, e quindi questo approccio, che devo definire arrogante e blindato rispetto alle opposizioni, penso abbia minato nel profondo il livello di credibilità, di affidabilità, e di autorevolezza delle proposte che sono state approvate l'altro ieri e che verranno approvate in questa settimana qui alla Camera.
Le misure sbandierate come provvidenziali per il contenimento dei costi, per il recupero di una situazione finanziaria e di cambio di direzione rispetto alle settimane scorse, sono, invece, finite in un dato che ha visto le Borse reagire drammaticamente in modo negativo. Pertanto, credo che i sacrifici che, comunque, in queste misure sono contemplati, non saranno ancora sufficienti e avremo un Governo che ci verrà un'altra volta a spiegare che la responsabilità, la colpa, è soltanto esterna, della crisi mondiale, ma che questo Governo e questa maggioranza hanno fatto tutto quello che potevano. Non può essere questa una giustificazione a cui possiamo aderire.
Se oggi siamo, come ha detto il presidente Casini l'altro giorno, sull'orlo del baratro, lo dobbiamo anche a questa incapacità, non volontà, non disponibilità ad uno sforzo comune, ad una vera coesione nazionale che avrebbe dovuto far prevalere fortemente gli interessi del Paese rispetto ad una rivendicazione orgogliosa di una capacità di Governo che, purtroppo - lo dicono i fatti, non le mie parole - non c'è stata. Per cui, la valutazione che diamo di questa manovra finanziaria discende da quelle che sono le risposte che il mercato dà alle proposte che sono state approvate. Vediamo che questa manovra non ha quella capacità di segnare una Pag. 81svolta profonda e, anzi, è una manovra che aumenta il disagio sociale nel nostro Paese. Vediamo come la coesione del Paese sia sempre più a rischio, vediamo crescere le forme di protesta ed esprimiamo una forte preoccupazione rispetto al dato secondo cui questa manovra incide in modo assolutamente iniquo rispetto a quelle che sono le ricchezze e le disponibilità presenti nel nostro Paese.
L'ha già richiamato prima la collega Binetti, quando ha sottolineato con forza qual è il sacrificio che sopporteranno le famiglie prima di tutto e i giovani. Credo che davanti a questa situazione, ad una manovra confusa, raffazzonata, iniqua, dobbiamo consentire al nostro Paese una prospettiva diversa. Dobbiamo cercare tutti insieme di guardare a quella che è la realtà economica e sociale del nostro Paese e, approvata questa manovra - perché, oggi, certamente, non si può fare altro -, si dovranno trovare gli elementi di convergenza per superare le questioni più inique e che più profondamente incidono nel nostro tessuto sociale ed economico.
È una manovra, così come è articolata, che potrà avere degli effetti contabili certamente positivi, ma è una manovra che incide sul complesso del nostro Stato, a partire dai comuni e dagli enti locali. Le misure ad essi destinate sono assolutamente sbagliate. Lo diciamo senza timore perché la storia, l'analisi delle manovre fatte negli ultimi anni dimostrano che gli enti locali, i comuni in particolare, hanno fatto, assieme alle regioni ed alle province, tutti il loro dovere ed hanno rispettato tutte quelle che erano le previsioni di risparmio, di razionalizzazione e di miglioramento della spesa. Tra l'altro, avendo fatto, come tanti di noi qui in quest'Aula, l'amministratore comunale, so che i comuni rappresentano il cuore del nostro Paese, della nostra democrazia. Credo veramente, quindi, che la norma che tende a ridurre la rappresentanza democratica comunale sia del tutto demagogica ed indebolisca la tenuta del nostro Paese.
Soprattutto se andiamo a vedere quale è stato il confronto quando i padri costituenti elaborarono le norme che prevedono una tutela specifica e particolare per la montagna, se confrontiamo quel dibattito, quelle discussioni con la povertà, con la meschinità contabile che questo Governo e questa maggioranza hanno messo in campo per dire: facciamo un grande risparmio, aboliamo 50 mila poltrone e poi se andiamo a vedere che queste sono poltrone di persone che operano, che sono una risorsa insostituibile dei territori montani, delle aree più marginali del Paese. Credo che veramente a livello comunale si realizza l'eccellenza del rapporto democratico tra cittadini e istituzioni. Volere intervenire, senza un confronto adeguato con le associazioni rappresentative - l'ANCI, l'UPI, le regioni, i piccoli comuni - in modo così estemporaneo, così improvviso, per poter brandire questo slogan di un taglio delle poltrone è quanto di più sbagliato, quanto più di ingratitudine verso migliaia di amministratori comunali che, a titolo largamente di volontariato e gratuitamente, servono le nostre piccole comunità locali.
Quindi ho detto che questa norma è sbagliata, è una norma che un Parlamento consapevole e cosciente di qual è l'azione che portano avanti questi amministratori dovrebbe cancellare senza alcun dubbio, fermo restando che l'indicazione di una gestione associata dei servizi è un'indicazione assolutamente giusta, è un'indicazione che, anche per il ruolo che hanno le regioni, avrebbe dovuto trovare una norma di indirizzo, di coordinamento, anche premiata da incentivi, ma demandando alle regioni di realizzare per ambiti locali queste benedette unioni e associazioni. Ma fare una norma per «dare in testa», per sbandierare un dato quale quello dell'eliminazione delle poltrone, indicando che questi amministratori comunali di questi piccoli comuni sono detentori di poltrone a me sembra un'azione veramente squalificante per il nostro Parlamento.
Un altro dato che volevo richiamare: chi paga in sostanza questa manovra, questa ultima manovra, come le precedenti. I dati dell'impoverimento delle famiglie italiane, i dati delle difficoltà dei Pag. 82giovani a trovare uno sbocco occupazionale che non sia l'eterna precarietà che si voleva qualificare nominalmente come flessibilità. Un capitale umano flessibile che cambia e che è disponibile per le imprese. Francamente sono assolutamente convinto che ci debba essere una sforzo per far sì che la nostra realtà giovanile sia una realtà fortemente qualificata, professionalizzata e capace di dare il suo contributo al Paese, ma non può esserci un'esaltazione di tutta una normativa che ha portato la realtà dal precariato ad essere un vero ostacolo per i nostri giovani per costituire una famiglia, per avere un progetto di futuro. Quindi, tra coloro che sono chiamati a pagare con grande impegno, con grande dispendio questa manovra finanziaria sicuramente entrano i giovani, che non vedono prospettive di futuro, entrano le famiglie, entrano quelli che una volta si chiamavano i ceti popolari.
Non sono certamente i ricchi a dare un contributo determinante a questa manovra: sarebbe sufficiente calcolare, come qualcuno ha fatto, qual è il 70 per cento di copertura della manovra, che deriva dall'imposta da cui giungono queste risorse, per capire che ci troviamo di fronte ad una manovra che penalizza, ancora una volta, coloro che percepiscono 20, 30, 40, 50 mila euro lordi di salario o di competenze.
Per cui, anche di fronte alla questione, forte, che era la questione del contributo di solidarietà, che era un contributo che prima era stato richiesto a coloro che detenevano redditi eccedenti i 90 mila euro, che poi è stato cancellato totalmente, ed in seguito è stato richiesto per i redditi oltre 300 mila euro, credo che indubbiamente si andava ancora una volta a colpire i soliti noti. Certamente, però, siamo davanti ad un Paese che si trova ad una svolta drammatica e difficile: se non ricordo male, la Costituzione prevede che vi sia un'imposizione progressiva in base alla quale chi più ha, più contribuisce. E quale era la misura che poteva, in qualche modo, dare una giustificazione ed una motivazione a questo contributo di solidarietà? Era una chiara politica contro l'evasione fiscale. Anche in questo caso, siamo partiti alla grande, sono state evocate le manette, e così via, ma, poi, alla fine, mi dicono gli esperti - perché non mi considero certamente un esperto tributarista -, che quelle misure, così come sono state previste, sono più una grida manzoniana che una vera capacità di incidere con una lotta seria contro l'evasione fiscale.
Allora, siamo in Europa, in un'Europa che ci vuole aiutare: non ho ascoltato, ma ho letto l'intervento, in particolare l'introduzione, del Presidente Buttiglione, che ha fatto un accenno alla nomina del sostituto del rappresentante tedesco in seno alla BCE. Dunque, l'Europa ci guarda, ma tutti abbiamo qualche frequentazione di colleghi parlamentari europei, che ci chiedono: perché voi avete un'evasione che arriva attorno al 25-30 per cento, mentre la media europea di evasione è dell'8-10 per cento? Fate in modo di recepire nel vostro ordinamento fiscale alcune norme dei Paesi che hanno una più efficace capacità di combattere l'evasione fiscale e vedrete che con il contrasto di interessi, con altre misure, con la tracciabilità dei pagamenti, e così via dicendo, riuscirete anche a scalfire questo tremendo problemaccio, che è il problema dell'evasione fiscale.
Un'altra questione che non vedo in questa manovra, che mi auguro sia più dettagliatamente esplicitata nei prossimi provvedimenti, riguarda un attacco forte ai costi della burocrazia. Credo che il nostro Paese, come diceva prima la collega Lanzillotta, non possa reggere tanti livelli di Governo. Innanzitutto, i nostri livelli di Governo sono quelli previsti dalla Costituzione e sono quattro: lo Stato, le regioni, le province e i comuni. Gli altri sono invenzioni che potrebbero essere ricondotte, sulla base di indicazioni stringenti, a questi quattro. Al di là di questo, al di là di quello che è stato il dibattito che venne fatto negli anni Settanta con la nascita delle regioni, con riferimento, quindi, alla possibilità o meno di abolire totalmente le province, è chiaro che dagli anni Settanta abbiamo assistito a ciò. Vorrei fare una provocazione: si vada a Pag. 83vedere quanto sono cresciuti, dal 1970 o anche solo dal 1o gennaio 1980, nel nostro Paese, i posti di dirigenti nella pubblica amministrazione, dal Governo ai Ministeri, alle regioni, alle province, ai comuni, a tutte le altre società pubbliche. Allora, si intervenga, perché è chiaro - e parlo anche come funzionario pubblico che ha esercitato per 35 anni quel mestiere - che poi ognuno vuole lasciare un segno della sua presenza.
Quindi, questi costi si tramutano in nuovi vincoli e allora si faccia una politica seria di verifica di questi costi e si incida effettivamente con un taglio che sia credibile e che consenta, anche per questa via, di dare una risposta di semplificazione. Tale semplificazione è assolutamente necessaria perché a tutti gli incontri delle associazioni di imprenditori a cui partecipiamo, siano esse industriali, artigianali, commerciali, agricole, tutti ci dicono: «voi, tante parole, avete fatto un grande e bel falò con 30 mila leggi, ma per noi gli adempimenti burocratici, i costi della nostra burocrazia sono assolutamente cresciuti». Credo che noi dobbiamo guardare al dato reale, non possiamo immaginare di continuare a governare questo Paese, sognando un grande progetto liberale quando poi tuteliamo in modo assolutamente totale le corporazioni. Abbiamo assistito, in queste manovre, e lo dico al Governo, lo dico ai colleghi della maggioranza, a qualche timido tentativo di liberalizzare le professioni e subito c'è stata, in questo stesso Parlamento e al Senato, una raccolta di firme: guai se passa la liberalizzazione delle professioni. Eppure, siamo in Europa! Vogliamo stare in Europa? Critichiamo solo l'Europa quando non ci sostiene, non ci viene incontro, sia per le politiche dell'immigrazione piuttosto che per l'attuale difficile situazione finanziaria, ma perché non cerchiamo, in un processo graduale di armonizzazione sulle professioni, di portare avanti la stessa filosofia che si è affermata in Europa? Credo che questo valga per la liberalizzazione delle professioni, valga per l'affermazione di un nuovo welfare nel nostro Stato, ma non possiamo certamente ritenere che queste questioni siano questioni privilegiate che assolutamente non vadano affrontate. Non sono molto innamorato di nuove tasse però c'è una grande discussione intorno alla patrimoniale; non so se quella è la misura più efficace, lo lascio dire agli economisti, agli esperti del fisco, però è chiaro che, se per la nostra Costituzione, chi più ha più deve contribuire a fare uscire il Paese dalle difficoltà in cui si trova, è chiaro che questo tema di un riequilibrio fiscale debba essere assolutamente affrontato. Così come deve essere affrontata la possibilità di colpire quelli che magari hanno gli yacht e i macchinoni da 150, 200 mila euro e magari poi figurano con un reddito minore dell'operaio che lavora per loro.
Voglio chiudere, signor Presidente, con un'ultima riflessione collegata alla manovra per quanto riguarda il settore agricolo ed agroalimentare. Noi non abbiamo, e qualcuno potrebbe dire meno male, nessuna attenzione all'agricoltura. Non ci sono misure, anzi, una misura c'è, perché qualora i saldi non tornino, i conti non tornino, è previsto il taglio lineare di tutti gli incentivi che vengono erogati ai vari settori per lo sviluppo e quindi anche l'agricoltura ne verrà toccata. Io credo che un approccio più iniquo di quello di considerare uguali situazioni profondamente diverse nei vari settori sia un approccio che va contro la capacità di raccogliere la ricchezza, la qualità, e va contro la necessità che il nostro sistema agricolo sia un sistema efficiente, presente, sostenuto in tutte le aree del Paese. Altrimenti possiamo soltanto immaginare il dissesto qualora l'agricoltura venga abbandonata in tutte le aree marginali della montagna, delle colline e così via. Possiamo soltanto immaginare le conseguenze della mancanza di un autoapprovvigionamento per una sicurezza alimentare di qualità come questo Paese invece sta realizzando e per cui si è qualificato in questi ultimi decenni.
Possiamo soltanto immaginare cosa potrebbe capitare se, improvvisamente, le migliaia e migliaia di imprese agricole, che ricevono il sostegno comunitario, ma non Pag. 84solo, anche nazionale, non mantenessero una forte presenza e una forte realtà agricola ed agro-alimentare nel nostro Paese. Quindi, anche su questo settore, non vi è assolutamente bisogno di spot, non vi è bisogno di proclami, ma di lavorare in modo serio, per ridare certezza e prospettiva a quelle centinaia di migliaia di famiglie che vivono in agricoltura e che, sul nostro territorio agricolo, garantiscono una vera qualità ambientale.
Signor Presidente, concludo dicendo - riprendendo quello che sostenevo all'inizio - che se è vero che siamo davanti ad una situazione di estrema gravità, abbiamo la necessità di una svolta nel nostro Paese, una svolta che renda credibile lo sforzo di tutti quegli italiani che non cercheranno di evadere le tasse, che non cercheranno di andare contro le misure e che hanno ancora una larga disponibilità, perché credono fortemente nel nostro Paese e, quindi, hanno una larga disponibilità a sostenere gli sforzi e a sostenere i sacrifici che gli vengono richiesti. Tuttavia, per far questo bisogna che il Parlamento, ma soprattutto il Governo e la maggioranza, riacquistino quella credibilità che oggi tutti i sondaggi dicono che non vi sia più.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Duilio. Ne ha facoltà.

LINO DUILIO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ancora una volta, nel breve volgere di mesi, ci troviamo ad esaminare e a licenziare una pesante manovra economica, come è stato ricordato, di circa 54 miliardi di euro da qui al 2013, quasi 60 miliardi se si tiene conto degli effetti cumulati derivanti dalla manovra di luglio.
Solo per rinfrescare la nostra memoria e la memoria di chi ci dovesse ascoltare, questa è una manovra che si colloca lungo una sequenza drammatica che si snoda, in soli due anni, nei seguenti termini: 12 miliardi e mezzo di euro con il decreto-legge n. 78 di luglio 2009; 25 miliardi di euro con il decreto-legge ancora n. 78 del 2010; circa 48 miliardi di euro con il decreto-legge n. 98 di luglio 2011 e circa 54 miliardi di euro con l'attuale decreto-legge n. 138 e, come detto, quasi 60 miliardi di euro in regime cumulato. Sono cifre da economie di guerra, dobbiamo dire.
Questa situazione, che non è esagerato definire drammatica, è certamente frutto dello scoppio della crisi economica mondiale, ma sarebbe, credo, intellettualmente scorretto, non osservare che essa, nel nostro Paese, costituisce anche l'esito di un insieme di cause tutte nostre: problemi infrastrutturali storici non affrontati; mancate liberalizzazioni e privatizzazioni; disordine ed inefficienza dell'apparato pubblico; inadeguato sostegno alla crescita; decisioni, anche recenti, errate e colpevoli. Uso non casualmente questo termine, colpevoli, come l'abolizione dell'ICI; la risibile sanzione per enormi capitali illegalmente esportati all'estero; la cancellazione di efficaci misure di contrasto all'evasione e all'elusione fiscale; autorizzazione di spesa non correttamente coperte; iscrizione a bilancio di entrate sovrastimate e via continuando, lungo una linea d'azione politica improntata ad una colpevole sottovalutazione, se non negazione, di una crisi che si andava addensando all'orizzonte.
Ricordava il collega Vannucci, prima, che quando provavamo a dire alcune cose, venivamo etichettati come profeti di sventura, come catastrofisti, perché bisogna essere ottimisti e così via. Chiacchiere! Siamo una Repubblica che è stata trasformata nella Repubblica delle chiacchiere, che ci stanno portando alla rovina.
Sono tutte cose che peraltro, rileggendo i resoconti dei lavori dell'Aula, si potrebbero tranquillamente rintracciare. Suggerirei di fare questo esercizio una volta tanto, ossia di andare a rileggersi i resoconti dell'Aula degli anni precedenti per andare a vedere che cosa si è detto e che cosa ciascuno ha detto. Sono tutte cose che oggi ci presentano il conto salato che è sotto i nostri occhi: uno Stato indebitato fino al collo, una crescita inesistente, un'estrema difficoltà di reazione a fronte delle pressioni esterne, comprese quelle Pag. 85della speculazione, una scarsa e gravemente debole credibilità a livello sovranazionale.
Giunti a questo punto, quasi angosciosa credo risuoni la domanda sul che fare, non solo per la maggioranza ma per tutti noi evidentemente, lungo una scala di preoccupazioni che ogni giorno si aggravano sino ad arrivare al cittadino comune, sul quale grava pesante l'ipoteca di un futuro denso di incognite. Che fare dunque, per il «malato Italia» che ha la febbre molto alta e tutti gli indici fuori misura, con l'aggravante che si tratta di una crisi economico-finanziaria unita ad una seria crisi di autorevolezza politica e istituzionale, se non si pone rimedio alla quale si rischia che intervenga anche una grave crisi sociale e la combinazione di queste tre crisi potrebbe diventare esplosiva.
Noi che rappresentiamo il principale partito di opposizione, lungi dal soffermarci sulle responsabilità di questa deriva perché - come ha avuto modo di dire il nostro segretario, Pierluigi Bersani - non dovevamo arrivare qui, potevamo non arrivare qui, lungi dal fare questo, non ci sottraiamo alle nostre responsabilità, come sempre occorre fare quando la casa brucia. Questo non vuol dire peraltro che ci neghiamo il diritto di esprimere le nostre critiche alle modalità di reazione alla crisi accompagnandole con le nostre proposte, come ha ampiamente dimostrato sin qui, se ce ne fosse bisogno proprio su questa manovra, l'esempio degli emendamenti presentati al Senato, come ha ampiamente dimostrato sin qui il nostro comportamento, peraltro - lo riconosco - anche rilevato dal relatore nella sua relazione introduttiva. Che fare, dunque?
È di tutta evidenza che per la gravità e complessità della crisi sarebbe necessario prendere decisioni su un insieme di terapie perché numerose sono oramai le nostre patologie ed è l'intero sistema economico e sociale, dopo dieci anni perduti, come è stato detto con un'efficace immagine, ad essere sotto stress. Quindi non è possibile procedere semplicemente con riferimento all'una o all'altra patologia ma, pur nella gravità della situazione, è bene mantenere i nervi saldi e procedere senza improvvisazione e malintesa creatività. In questi anni abbiamo imparato che di finanza creativa si può anche morire, e noi di finanza creativa in questi anni ne abbiamo avuta parecchia. Anche in questo caso sarebbe interessante fare un esercizio di memoria e andare a rivisitare quello che è accaduto negli anni scorsi in materia di finanza creativa.
Venendo dunque alla manovra è innanzitutto necessario abbassare quella febbre che sta divorando il nostro sistema economico. Da qui condividiamo l'esigenza di riportare il bilancio dello Stato e della pubblica amministrazione più in generale in pareggio. Per ottenere ciò occorre agire su un mix di misure che interessino contemporaneamente il versante delle spese e quello delle entrate, ma sapendo che la pressione fiscale è oramai arrivata alle stelle, oltre il 44,5 per cento. Ce lo ricordiamo tutti quanta polemica si è consumata sulla elevata pressione fiscale che, quasi come uno stigma peculiare, si portava dietro il centrosinistra, perché lo stigma peculiare del centrodestra era quello di abbassare la pressione fiscale. Ebbene, siamo arrivati ad una pressione fiscale che ha oltrepassato le stelle e allora con questa pressione fiscale è soprattutto sul fronte delle spese che si deve incidere, come noi sappiamo. Da qui la nostra, e non solo nostra, prima critica: questa manovra agisce per due terzi e più, quasi il 70 per cento, sulle maggiori entrate, più 36 miliardi di euro nel biennio 2012-2013 e solo per un terzo sulle minori spese, meno 18 miliardi di euro circa nello stesso periodo.
È esattamente l'opposto di quello che si dovrebbe fare. Lo ripeto: è esattamente l'opposto di quello che si dovrebbe fare.
Sappiamo bene che non è facile agire sul versante delle spese e meno che mai è opportuno agire con la rozzezza, in qualche altra occasione, evidentemente senza acrimonia, ho provato a dire con la volgarità dei tagli lineari, come si è fatto in questi anni. Infatti, i tagli lineari come sappiamo - procedendo alla rinfusa e alla Pag. 86cieca - finiscono per colpire magari dove non si deve colpire e per non colpire dove si deve colpire.
Questo noi lo sappiamo bene però. Anche qui, cari colleghi della maggioranza, si dovrebbe riflettere sulla responsabilità che vi siete assunti all'inizio di questa legislatura, quando avete cancellato la Commissione per la cosiddetta spending review che il compianto Ministro Padoa Schioppa aveva con lungimiranza istituito quattro anni fa. Questo organismo, che è stato proprio in questa manovra ricostituito grazie ad un nostro emendamento presentato al Senato (anche qui riconosco al relatore il fatto di averlo ricordato), se fosse esistito e se lo si fosse utilizzato in questi quattro anni (avevamo iniziato una sperimentazione anche in quattro ministeri come sappiamo: Ministero della pubblica istruzione, Ministero della difesa, Ministero dei trasporti, eccetera) avrebbe certamente aiutato oggi questo Governo e, quindi, il nostro Paese ad individuare le voci di spesa pubblica da tagliare, evitando di ricorrere, come si è fatto in questi anni come ho già detto, a indiscriminati tagli lineari che finiscono per produrre distorsioni dannose ed improduttive nell'azione dello Stato.
È una cosa di cui nessuno parla. Sarebbe interessante domandarci quale è il confine oltre il quale non si può andare con i tagli anche per l'efficienza e l'efficacia della pubblica amministrazione. O non esiste un confine? Perché quando questo lo travalicassimo evidentemente produrremmo ulteriori danni sul sistema economico del nostro Paese.
Un'ulteriore critica che ci sentiamo di fare riguarda l'aumento dell'IVA dal 20 al 21 per cento, almeno per come è stato introdotto in questo decreto-legge e anche qui bisognerebbe riconoscerlo con onestà intellettuale. Lo dico perché poi alla fine voglio tirare una «morale» della favola. Ricordiamo tutti, infatti, che a seguito dell'iniziale abolizione del contributo di solidarietà che è stato richiamato da alcuni colleghi (quello che faceva grondare di sangue il cuore del nostro Presidente del Consiglio e che era stimato in circa 4 miliardi di euro), dopo avere inventato fantasiose misure sostitutive durate lo spazio di un mattino (come l'abolizione dei contributi legati al riscatto della laurea e del periodo prestato di servizio militare) nell'urgenza di decidere si è inserito come gettito compensativo un introito di pari importi «alla virgola», diciamo così. Non si è pensato di mettere nemmeno un qualcosina in più o in meno.
Si tratta di un introito derivante da misure peraltro improvvisate, velleitarie e di scarsa efficacia, come diceva il collega Delfino prima, di contrasto all'evasione fiscale. Si tratta di un introito scorrettamente «cifrato» a bilancio e che ha immediatamente suscitato delle perplessità dovute, a livello interno e internazionale, con la conseguenza di aver dovuto compensare il pari importo con una azione di moral suasion (chiamiamola così), non con l'indicazione evidentemente specifica dello stesso Presidente della Repubblica nel passaggio dalla Commissione all'Aula del Senato, individuando un cespite che fosse più affidabile per quanto riguarda evidentemente l'introito da mettere a bilancio e cioè l'incremento dell'aliquota dell'IVA dal 20 al 21 per cento.
Si tratta di una decisione per un verso necessitata e per altro verso riprovevole secondo noi, in quanto andava semmai assunta - lo abbiamo detto in più occasioni - all'interno della delega fiscale per favorire il doppio beneficio di una riduzione dell'aliquota IRPEF e di una riduzione del costo del lavoro. Si sarebbe trattato di effetti entrambi utili a concorrere al rilancio della nostra economia.
Peraltro, dico in questa occasione, come abbiamo sottolineato insieme a tanti altri colleghi, sebbene non sia un'idea particolarmente originale, che non è corretta questa abitudine che si è, non da oggi, introdotta nella nostra pratica parlamentare, di cifrare a bilancio previsioni di entrata, cioè stimandone un gettito a volte improbabile e che, comunque, bisognerebbe certificare ex post, perché quando si vogliono mettere a bilancio le speranze di entrata - a volte le illusioni di entrata - evidentemente si costruisce un Pag. 87bilancio «taroccato». A bilancio, in queste occasioni, si deve mettere zero; dopo di che, ex post, si vede quanto entra e magari si scopre quello che abbiamo chiamato a suo tempo, con un termine che, ahimè, non ha avuto molto fortuna, un «tesoretto», che fa riferimento esattamente alla differenza tra quanto entra e quanto si è messo a bilancio e, cioè, zero.
Quanto alla lotta all'evasione, visto che siamo in tema, la nostra proposta va in una direzione più credibile ed efficace e, riteniamo, molto semplice: il ripristino del «pacchetto Visco». Ve lo ricordate? Visco Dracula? Si è costruito con una campagna mediatica...

PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Duilio.

LINO DUILIO. Non impiegherò molto, signor Presidente. Si è costruita con una campagna mediatica un'immagine di un civil servant che evidentemente, nel cercare di colpire gli evasori e gli elusori, non poteva distribuire cioccolatini, ma aveva semplicemente posto in essere una serie di misure che portavano ad emersione l'evasione, facendo pagare meno tasse ai contribuenti onesti che pagavano le tasse. Avete costruito un mostro, salvo oggi andare a riscoprire qualche parzialissima misura di quel pacchetto che aveva una sua efficacia con un atteggiamento, se posso dire, sul piano politico, evidentemente, anche abbastanza goffo.
Riteniamo che si debba semplicemente ripristinare il «pacchetto Visco», inopinatamente cancellato nel primo mese di questa legislatura.
Riteniamo, inoltre, che si debbano intensificare le misure di contrasto all'evasione fiscale attraverso magari quella pratica di contrasto di interessi ma non general-generica e un po' demagogica che tutti richiamano perché, come ha opportunamente sottolineato il presidente dell'ISTAT nell'audizione al Senato, se si detrae tutto bisognerebbe tassare il risparmio.

PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Duilio.

LINO DUILIO. Signor Presidente, non credo di aver parlato mezz'ora. Ho capito che ho a disposizione 15 minuti, però...

PRESIDENTE. Il mio è un atto di cortesia verso il suo gruppo che ha segnalato che i tempi a lei assegnati sono di 15 minuti.

LINO DUILIO. La ringrazio, signor Presidente, ma comunque concludo in fretta. Dicevo dell'intensificazione delle misure di contrasto di interessi, magari accelerando l'intesa con la Federazione elvetica, così come hanno fatto la Germania e l'Inghilterra.
Vorrei poi fare un accenno alla pratica di questo articolo 8, relativo ai contratti di prossimità. Lo tralascio perché non ho tempo. Mi limito a dire che, oltre alla scorrettezza e anche alla eccentricità nella manovra, non è certamente una misura che favorisce la coesione sociale, di cui avremmo bisogno in questo periodo.
Vorrei fare un accenno anche alla parte che tratteremo spero più organicamente tra poco, relativa alla crescita e, cioè, al denominatore evidentemente su cui da troppo tempo si fanno solo evocazioni generiche.
Concludo, signor Presidente, semplicemente con una considerazione di carattere più generale di stampo più politico, in un certo senso. È stato detto giustamente che il nostro Paese, di fronte a questa situazione drammatica, avrebbe bisogno di un sussulto, di un colpo d'ala, che non può che partire dalla nascita di un clima sociale predisponente alla sopportazione di sacrifici che siano considerati, più che costi, come investimenti sul futuro, evidentemente.
Al di là di ogni considerazione di parte - e siamo consapevoli di essere di parte - è realistico ritenere in grado di fornire una risposta adeguata questa maggioranza rabberciata con qualche espediente, che si presenta con un'integrità improbabile ed una capacità strategica risibile?
Ricordo a lei, signor Presidente, visto che è un filosofo, questa citazione di Kierkegaard e così vado a concludere il Pag. 88mio intervento: «La nave ormai è in mano al cuoco di bordo e le parole che trasmette il megafono del comandante non riguardano più la rotta ma il menu del giorno dopo». Ebbene, è realistico ritenere, dicevo, che questa maggioranza e questo Governo siano in grado di fornire una risposta adeguata alle dimensioni quantitative e qualitative drammatiche della crisi in atto?
È certamente vero, come ha detto l'onorevole Alfano, che non sono i mercati a stabilire le maggioranze e i Governi - lo sappiamo anche noi, lo abbiamo imparato a scuola e guai se fosse così - però mi permetto di dire in chiusura che possono capitare delle circostanze straordinarie e drammatiche nella vita di un Paese e, quando in queste circostanze la politica dovesse smarrire il contatto con la realtà rifugiandosi nella sua interessata rappresentazione, essa rischierebbe probabilmente di consumare il sostanziale tradimento della ragione della sua esistenza, cioè il perseguimento del bene comune del proprio Paese. A noi tutti, dunque, è richiesto di assumere decisioni più responsabili in questo momento per evitare che il nostro Paese si debba pentire di non averle assunte.
Quindi, per queste ragioni di contenuto ed ovviamente per le ragioni politiche, ritengo che si debba negare il nostro consenso a questa manovra (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Marsilio. Ne ha facoltà.

MARCO MARSILIO. Signor Presidente, la crisi economica di livello mondiale investe il nostro Paese, l'Europa e tutto il mondo occidentale e sviluppato. Qualcuno sembra essersi dimenticato che, poche settimane fa, lo Stato più ricco del mondo, lo Stato guida dell'economia mondiale, gli Stati Uniti d'America hanno rischiato di non poter onorare il loro debito e di non riuscire a pagare gli stipendi ai loro dipendenti statali, rischiando quindi la bancarotta. Una tesissima e durissima stagione di confronto politico all'interno di quella nazione ha portato in extremis, nelle ultimissime ore disponibili, a scongiurare questo rischio, ma il rischio corso ha evidentemente alimentato ulteriormente la spirale della sfiducia, dell'incertezza e della crisi economica.
Quando questa spirale si innesca, naturalmente scatta anche l'onda della speculazione finanziaria ed internazionale da parte di chi, per mestiere, vive sulle disgrazie altrui e tenta di produrre profitto da momenti di fluttuazione dei valori delle materie prime e dei titoli finanziari sui mercati, da parte di chi ha le capacità sia professionali che finanziarie per poter affrontare certi marosi e poter produrre grandi profitti in poco tempo.
Quando questa ondata di speculazione si alza, naturalmente sommerge, per primi, i Paesi più deboli: in Europa la debolezza vera consiste nel fatto che abbiamo 27 diversi Paesi, ognuno con la propria politica economica, fiscale, monetaria e di bilancio; la parte maggioritaria di questi Paesi è unita da una stessa moneta, ma questa moneta non ha una politica comune alle spalle che difenda il suo valore e quello delle economie che ci sono dietro.
Di fronte a questa crisi sentiamo ancora di più l'assenza e l'urgenza che l'Europa possa avere delle politiche comuni e che possa affrontare i problemi. Per questo, il Governo italiano è stato in prima fila - e lo ringraziamo di questo - nel porre correttamente il termine della questione, invocando - primo fra tutti - una gestione comune del debito europeo, con l'emissione dei cosiddetti eurobond e una revisione anche dei parametri utilizzati per stabilire quali siano i Paesi solvibili o non solvibili in base al fatto che rientrino o meno in alcuni parametri piuttosto che in altri, facendo ad esempio notare come la crisi che da qualche anno a questa parte ha investito tutto il mondo non nasceva dal debito pubblico, ma da debiti privati rispetto ai quali l'Italia ha senz'altro dei fondamentali molto migliori del resto del mondo e di molti nostri competitori. Pag. 89
Allo stesso modo, se misurassimo la ricchezza reale e non soltanto quella certificata l'Italia avrebbe altri parametri.
Abbiamo un enorme sommerso, è colpa nostra, è una grave responsabilità che ci portiamo dietro da decenni ma rispetto alla quale va anche detto che le capacità economiche e finanziarie del nostro Paese sono diverse da come vengono descritte dai numeri, perché abbiamo potenzialità da questo punto di vista non certificate, che renderebbero e rendono l'Italia sicuramente meno esposta per la sua solvibilità e solidità economica rispetto a come possa essere dipinta nei testi ufficiali.
Così come ha correttamente posto il problema dell'Italia in Europa, in particolare, il nostro Ministro Tremonti, quando si è affrontata la vicenda - in seguito al terremoto e al maremoto giapponese - del debito nucleare che investe molti Paesi europei, a cominciare dai nostri vicini francesi. Proprio oggi un incidente in una centrale nucleare ha risollevato la questione. I famosi stress test che devono essere eseguiti ci faranno capire anche quanto costerà in più la sicurezza di queste centrali ai Paesi che le ospitano e che fondano la propria politica energetica prevalentemente o comunque in maniera solida sul nucleare, e quanto costerà appunto il decommissioning delle centrali: la Germania, che ha fatto una scelta che condivido, la scelta giusta di uscire dal nucleare, dovrà comunque porsi il problema di come pagare decine di centrali nucleari che oggi esistono, che vanno riconvertite e di cui vanno smaltite le scorie (oggi ancora nessuno sa come si faccia e nessuno sa dirci esattamente quanto costerà); si tratta di costi che l'Italia non ha o ha in maniera molto minore e marginale, e rispetto ai quali anche ragionamenti di prospettiva devono assolutamente essere svolti.
Dobbiamo senz'altro affrontare questi temi a testa alta e mettendo alle spalle del Governo un sistema solido di coesione nazionale che certo non si realizza con le piccinerie di un'opposizione che affronta una crisi mondiale pensando che il problema sia chi è il Capo del Governo oggi in Italia e pensando e illudendo il popolo che, se cambiassimo il Capo del Governo e magari l'intero Governo, domani l'Italia non sarebbe più esposta alla crisi, avrebbe maggiore fiducia e credito sui mercati internazionali, e questo per obbedire a una piccola meschina vicenda di bottega interna che dimostra, ancora una volta, il provincialismo e l'arretratezza del dibattito politico italiano.
Voglio, invece, sottolineare come oggi la questione non sia chi guidi o no il Paese, chi sieda a Palazzo Chigi, fermo restando che ribadisco in questa sede il diritto-dovere del Governo eletto dai cittadini di continuare a governare e di portare avanti la legislatura e difendo la sostanza dei provvedimenti che abbiamo assunto; va, però, detto che abbiamo un problema forte, vero, sul quale invochiamo e dobbiamo assumerci la responsabilità come maggioranza di fare il tanto invocato colpo d'ala: il problema del debito pubblico.
Il debito pubblico è esploso a partire dagli anni Settanta, negli anni del compromesso storico, negli anni in cui si regalavano pensioni d'oro e pensioni privilegiate: nel 1973 con il Governo Rumor vengono inventate le pensioni a 14 anni, sei mesi e un giorno per le dipendenti con figli nel pubblico impiego e a 18 anni, sei mesi e un giorno per gli uomini dipendenti del pubblico impiego; cioè, dagli anni Settanta in poi, abbiamo permesso a persone che non avevano compiuto neanche 35 anni - non di lavoro, ma di età - di poter andare in pensione, e ancora oggi paghiamo 8-9 miliardi l'anno per queste pensioni, mentre qualcuno continua a considerarle diritti acquisiti.
Io penso che non siano diritti acquisiti bensì privilegi, soprusi che devono essere quanto prima tolti di mezzo e dei quali dobbiamo porci il problema di ammortizzarne gli effetti finanziari. Infatti, non possiamo pensare che intere generazioni paghino il debito delle generazioni che le hanno precedute, che hanno goduto di una stagione irripetibile, di irresponsabilità sociale e generazionale grazie alla quale, per permettere appunto a qualcuno di continuare a godere di questi privilegi e di Pag. 90andare - per passare alle pensioni di anzianità - in pensione a 57, 58 o 59 anni e magari godere di venti o trent'anni di pensionamento, i prossimi e i nostri figli andranno in pensione a ottant'anni per percepire la metà di quello che si percepisce normalmente oggi.
Penso che questo non sia corretto, non sia giusto e che tutto lo sforzo economico che stiamo facendo per inseguire l'emergenza del momento, dei mercati, delle fluttuazioni, degli spread, dei crolli in Borsa e così via, sia un'emergenza...

PRESIDENTE. La prego di concludere.

MARCO MARSILIO. Signor Presidente, mi conceda un paio di minuti per completare. Dicevo che lo sforzo economico è un'emergenza che non possiamo continuare a inseguire. Infatti, oggi abbiamo faticato per individuare l'asticella dei 300 mila euro per il contributo di solidarietà, per non abbassarla a 150 mila piuttosto che a 90 mila, abbiamo sofferto e discusso a lungo prima di accettare di aumentare l'IVA di un punto, abbiamo cercato di capire se sulle pensioni si potesse ritoccare qualcosa, quanto e come ritoccare. Magari ognuno ha difeso una parte: la Lega si è intestata la difesa delle pensioni, noi abbiamo cercato di intestarci la difesa dei redditi rispetto a una tassazione eccessiva, di spostarla più sui consumi e così via, la sinistra ha provato a imporre un discorso sulla patrimoniale.
Penso che, invece della patrimoniale, se dovessimo arrivare a questa norma, dovremmo pensare, più che ad effettuare un esproprio nei confronti di quei capitali, a chiedergli di sottoscrivere emissioni straordinarie di titoli, il cosiddetto prestito forzoso. Li chiamerei buoni pluriennali di solidarietà, con rendimenti molto bassi, ma comunque sarebbe sempre un prestito piuttosto che una tassa. Tutte queste misure messe insieme possono servire ad abbattere il debito pubblico.
È stato ricordato che in questi tre anni abbiamo fatto manovre che, messe insieme, mettono circa oltre 200 miliardi di euro in movimento. Mi rendo conto che il discorso può sembrare astratto e virtuale, ma se uno sforzo del genere siamo in grado di ripeterlo per i prossimi tre o quattro anni - e probabilmente verremo costretti a farlo, di tre mesi in tre mesi, per tenere, di manovra in manovra, i conti a posto, come si suole dire - rischiamo di impoverire la nazione, di andare domani a toccare l'IVA dal 21 al 22 per cento, dal 10 all'11 per cento, dal 4 al 5 per cento, di andare a ritoccare tutte le aliquote, poi metteremo la patrimoniale, poi abbasseremo l'asticella del contributo di solidarietà, poi magari saremo costretti a fare come altri Paesi, ossia tagliare gli stipendi e cose ancora più impopolari, senza ottenere il risultato necessario a uscire da questo cono d'ombra.
L'Italia è un anello debole della catena europea non perché governi il centrodestra o perché abbia un Presidente del Consiglio che sta antipatico all'opposizione (ma che è simpatico alla maggioranza degli italiani che lo hanno votato), ma perché ha un debito pubblico troppo elevato. Se non aggrediamo il debito pubblico, non usciamo da questa spirale. Spendere 200 o 300 miliardi in qualche anno per fronteggiare la falla del momento significa dilapidare risorse che poi sono irripetibili, che non troveremo altrove e che non ci permetteranno di affrontare il problema vero.
Chiedo alla maggioranza e al Governo di affrontare di petto questo problema e di presentare un piano straordinario di riduzione del debito pubblico, che ci consenta, con sforzi simili a quelli che stiamo facendo, entro tre o quattro anni, di scendere sotto il 100 per cento nel rapporto tra debito e PIL, per tornare ad essere un Paese credibile e solvibile, liberando così le energie per la crescita.
È inutile stare qui a pontificare e a dare lezioni sul fatto che bisogna alimentare la crescita quando tutto il mondo non cresce: Paesi molto più forti di noi sono praticamente in stagnazione e di qualcuno si annuncia persino la recessione (Commenti del deputato Lulli). Guardatevi i dati Pag. 91per davvero e non andate a raccontare fandonie, perché non c'è alcun Paese sviluppato che sta crescendo.
Con il debito che ci portiamo dietro dovremmo crescere come la Cina per poter risolvere il tema del debito pubblico attraverso la crescita. È irrealistico pensare e illudere qualcuno che, buttando un po' di soldi nella fornace per alimentare sovvenzioni a qualche categoria e incentivi a qualche settore produttivo, si possa così fare il miracolo, il boom economico, e rimettere in piedi l'Italia. Non è quella la strada!
Le energie per dare anche soldi alla crescita si libereranno quando la smetteremo di pagare 80-90 miliardi all'anno di interessi sul debito, quando la smetteremo di collocare buoni poliennali al 4, 5, 6 per cento all'anno e quando li ricominceremo magari a collocare all'1,5, 2, 2,5 per cento, e quindi a liberare le risorse che non bruceremo per pagare questo enorme debito.
Allora potremo utilizzare tali risorse per allentare la pressione fiscale, per dare respiro all'economia e, magari, per spendere anche qualche piccolo tesoretto per incentivare, cum grano salis, le categorie che meritano e non per buttare soldi in contributi a pioggia.
È appunto su questo che vorrei che non solo la maggioranza ed il Governo, ma tutto il Parlamento, riflettessero e che affrontassimo con decisione questa sfida perché, se non avremo il coraggio, la forza d'animo, la lungimiranza di affrontare questo tema e continueremo a sperare di campare alla giornata, superando l'ostacolo del momento, allenandoci a saltare sempre più in alto, prima o poi non cadrà il Governo, cadrà il nostro Paese, cosa molto più seria e drammatica sulla quale bisognerebbe fare riflessioni molto più profonde di quelle che abbiamo sentito nelle ore in cui siamo stati in quest'Aula e nei giorni in cui stiamo affrontando questo problema.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Lulli. Ne ha facoltà.

ANDREA LULLI. Signor Presidente, mentre stiamo discutendo dell'ennesima manovra, i dati sulla produzione industriale ci dicono che perdiamo l'1,5 per cento a luglio 2011 rispetto a luglio 2010 e che gli organismi internazionali vedono in ribasso le stime di crescita del nostro Paese. Quindi, come dire, manca una componente fondamentale per affrontare i problemi che abbiamo davanti giacché, se il denominatore, la produzione di ricchezza, nel Paese arretra, è chiaro che i problemi si fanno più pesanti e che le stesse previsioni che vengono avanzate nella manovra rischiano di non essere in grado di raggiungere gli obiettivi.
Non so se questa è polemica o se è dibattito provinciale, certo, però, è molto buffo sentire i colleghi della maggioranza, come ha fatto ora il collega Marsilio, dire che la responsabilità è tutta da un'altra parte. La colpa è della crisi internazionale - certamente, questo è il dato di base con cui tutti facciamo i conti - o addirittura, sentite un po', dei Governi del compromesso storico. Non importa che questa maggioranza, di cui fanno parte Berlusconi, Tremonti e Bossi, governi quasi ininterrottamente dal 2001. Questo è un dettaglio. Il dibattito si deve fare, ma si deve negare la verità, non vi è discussione.
Vorrei ricordare che quei Governi, che certamente hanno avuto tanti problemi, caro collega Marsilio, hanno congelato le liquidazioni degli operai per salvare la lira nel 1977! Bisognerebbe avere più rispetto per la storia e, magari, ricordarsi come è progredito il debito pubblico negli anni Ottanta se si deve fare un'analisi seria della progressione del debito pubblico nel nostro Stato.
Veniamo all'oggi, però, che è molto più importante. Come si può pensare di affrontare un tema di questo tipo avendo questi problemi che riguardano la crescita? Potrei poi fornire anche altri dati. Dal luglio 2008 al luglio 2011 abbiamo un crollo nell'industria dei beni strumentali pari al 14 per cento, un crollo nell'industria dei beni intermedi pari al 19 per cento e abbiamo anche un crollo del settore dell'energia di sette punti percentuali. Pag. 92Mi chiedo: vogliamo prendere atto di questa realtà oppure vogliamo continuare a negare i problemi che sono all'origine di questa crisi? Perché i problemi di sostenibilità dei conti pubblici derivano soprattutto dai modesti tassi di crescita previsti, dalla stagnazione della produttività del nostro settore manifatturiero e dalla perdita di competitività rispetto alle altre economie dell'area euro.
Ma di che cosa si parla? Si continua a negare la verità, ma per che cosa? Si pensa che, negando e nascondendo la verità, si possano affrontare meglio i problemi? Se questi sono i problemi di fondo, e cioè stagnazione della produttività e perdita di competitività, come pensiamo di risolverli e di affrontarli? È difficile che si possa risolvere problemi di questo tipo con qualche aggiustamento fiscale. Anche questo è veramente una piccineria di chi probabilmente forse, al di là di fare il fiscalista, è abituato a fare le lezioni di filosofia, quando si affrontano i problemi del bilancio e della politica in nome di questo Paese, e non di confrontarsi con i problemi reali.
Se non si affronta la questione del recupero di competitività del sistema Paese, che è insufficiente, non si sorte da questa situazione ed è per questo che l'aggiustamento e le continue manovre di aggiustamento dei conti pubblici, che voi fate in modo affannoso in queste settimane, non risultano credibili agli occhi dei mercati, perché non è credibile il sistema Paese e, se mi permettete, è men che meno credibile chi in questi anni ha negato la crisi. L'ha negata, giocando a dare un'immagine del Paese distorta, «barzellettiera» e, come dire, buttandosi a godere la vita, senza guardare ai problemi reali.
E come pensate ci giudichino i mercati e gli altri Capi di Governo? Si sostiene che non è il problema di credibilità del Presidente del Consiglio. Mah! Può anche essere, ma mi dovete spiegare perché l'Italia è l'unico Paese in questo momento che, manovra dopo manovra - il collega Duilio vi ha detto le cifre che abbiamo impegnato in queste manovre in questi anni -, non riesce ad uscire da questa situazione. Anzi, addirittura, ancora oggi già ci viene detto che probabilmente ci saranno da prendere altre misure per rispettare gli impegni.
Allora questo è il problema che abbiamo di fronte, cioè un Paese, un Governo ed una maggioranza, che non hanno creduto che per affrontare la crisi occorreva condurre una politica di sviluppo e certo anche di risanamento della cosa pubblica. Per quanto riguarda il debito pubblico, andiamo a vedere le serie storiche del debito pubblico ed andiamo a vedere quando ha governato il centrosinistra invece che il centrodestra. Certo, non tutto è positivo ed anche noi probabilmente non siamo stati all'altezza delle necessità del Paese però, quando al Governo ci siete stati voi, anche in questi ultimi tre anni, il debito pubblico è aumentato, è aumentata la spesa corrente e soprattutto è aumentata la spesa discrezionale. Anche in questa manovra avete aumentato i fondi alla Presidenza del Consiglio della gestione discrezionale. Come pensate che la leggano questa cosa i mercati? Pensate che queste cose non siano valutate quando si esamina l'affidabilità di un Paese e l'affidabilità delle proprie classi dirigenti?
Io credo che questo sia il tema che abbiamo di fronte. Come si risolve questo problema? Certamente dovremmo risolverlo con uno scatto d'orgoglio della classe dirigente di questo Paese, non solo della politica, facendosi carico del problema. Questo è, infatti, un Paese che avrebbe le risorse, perché tanta è la forza del lavoro e dell'impresa in questo Paese, ma, purtroppo, non riusciamo a valorizzarla. Ed in questo caso rischiamo di penalizzare in modo pesantissimo le giovani generazioni, perché in sostanza siamo «impiccati» in un dibattito politico in cui la maggioranza racconta balle.
Racconta balle perché bisogna sostenere in tutti i modi questo equilibrio e questo Presidente del Consiglio. E magari nei prossimi giorni saremo chiamati - chissà - a ridiscutere di qualche provvedimento in tema di giustizia.
Credo che da questo punto di vista noi vi incalziamo. Qui non è più tempo di Pag. 93giocare. Qui il problema è che ci vuole un patto nel Paese che sia fondato su, certo, un ricorso anche alla patrimoniale, e allo stesso tempo ad una riduzione e a una riqualificazione della spesa pubblica con un'assunzione di responsabilità delle classi dirigenti, anche da parte della politica. Io sono sempre stato ostico sui costi della politica, ma quando si tratta di dare l'esempio credo che noi possiamo fare di più e lo dobbiamo fare, e dobbiamo indicare al Paese questa strada: ristrutturazione dello Stato, patrimoniale, e riduzione della pressione fiscale e burocratica sul lavoro e sull'impresa, e trasferirla in altre direzioni. Questo credo che sia la sfida che ci attende tutti. Certo c'è una precondizione, che bisogna volerlo fare, bisogna cioè mettere in condizioni il Paese di liberare le proprie risorse positive, e voi siete, con il vostro Presidente del Consiglio, con la vostra maggioranza, l'ostacolo principale per cui l'Italia non cresce, e noi non possiamo essere d'accordo a sostenere questa manovra (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Occhiuto. Ne ha facoltà.

ROBERTO OCCHIUTO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, sembra sia passata un'era geologica dalla prima manovra di questo Governo, quella che il Ministro Tremonti nell'estate del 2008 annunciava di aver fatto approvare dal Consiglio dei ministri in dodici minuti. Erano gli anni nei quali questo Governo aveva forte ancora, consistente, la fiducia dei cittadini in ordine al fatto che sarebbe stato il Governo delle riforme, il Governo che avrebbe cambiato il Paese. Erano gli anni nei quali Tremonti godeva di un grande prestigio a livello europeo e poteva consentirsi proprio in quegli anni, proprio in quell'estate di dire, licenziando una manovra in dodici minuti, che aveva capito tutto.
Di lì a poco la crisi si è abbattuta sull'intero sistema economico occidentale e molti si sono resi conto che proprio tutto non aveva capito. Sembra passata un'intera era geologica e invece sono passati soltanto tre anni per l'appunto. Per il Governo la differenza tra allora ed oggi è che Tremonti non decide quasi più nulla, che il suo prestigio in Europa non è poi così grande come lo era in quegli anni per l'appunto, e che non si capisce - non decidendo più Tremonti - chi decida al posto suo la politica economica del Governo.
La differenza è anche che nessuno in verità dalle parti della maggioranza ha l'ardire di sostenere oggi che l'Esecutivo ha il controllo della situazione e che tutto va bene. Un'altra differenza è che non si decide più in pochi minuti, in dodici minuti, ma al contrario ogni dodici minuti sembra si annuncino, si ritirino, si presentino provvedimenti diversi. Un gran guazzabuglio che disorienta ulteriormente il Paese, i mercati e le istituzioni sovranazionali, come la Banca centrale europea, alle quali chiediamo aiuto come nostri fideiussori. Ad onor del vero va riconosciuto che, anche fuori dalle stanze del Governo, qualcosa è cambiato in questi tre anni. Ha ragione Marsilio, che è intervenuto prima di me, a dire che in questi tre anni ci sono state due crisi, sì, un mondo è finito senza che però un altro abbia iniziato a prendere forma, e due crisi economiche stanno mettendo a dura prova non solo l'Italia ma tutto l'occidente.
Le locomotive della ricchezza mondiale non si identificano più con gli Stati Uniti d'America e con l'Europa, ma sono le nuove economie emergenti del Brasile, dell'India, della Cina, che producono la maggior parte del prodotto interno lordo mondiale, modificando in questo modo ruoli e imponendo sfide che andrebbero approfondite con categorie mentali diverse rispetto a quelle a cui siamo stati abituati.
Chi poteva prevedere, per esemplificare, soltanto qualche anno, fa che gli Stati Uniti d'America avrebbero subito l'onta della svalutazione del proprio debito pubblico sotto l'occhio preoccupato e severo della Cina che detiene gran parte di quel debito o che i titoli di Stato peruviani, come abbiamo letto qualche giorno fa, venissero ritenuti più affidabili, non dico Pag. 94dei nostri o di quelli spagnoli o irlandesi, ma dei titoli di Stato francesi? È l'Occidente ed essere in crisi, ha ragione chi dalla maggioranza queste cose le mette in evidenza, ma l'Italia vive una crisi nella crisi.
Il nostro Paese vive in questa crisi una crisi ancora più profonda. Il nostro Paese ha un rating economico preoccupante per via dell'enorme debito pubblico e della scarsa capacità di crescita e, a tal proposito, vorrei dire che è vero che non possiamo attenderci, in questo tipo di economia, nell'economia globale di oggi, che ci possano essere tassi di incremento del PIL del 5, 6 o 7 per cento, ma è legittimo attendersi che anche il nostro Paese possa crescere con tassi di incremento del PIL del 2 per cento per esempio e, invece, il nostro Paese, anche quando gli altri Paesi crescevano, anche quando la crisi non mordeva, questi incrementi non li registrava. Oggi noi associamo a questo rating economico negativo un rating politico ancora più allarmante per i mercati che giudicano il nostro Governo privo della credibilità necessaria per compiere le scelte che occorrerebbero in questa fase.
Il Presidente Buttiglione lo diceva all'inizio della nostra discussione: i fondamentali della nostra economia non dovrebbero indurre i mercati a comportamenti così preoccupati, non dovrebbero suscitare tanta preoccupazione negli investitori o, comunque, tanti stimoli a speculare sui nostri titoli di Stato o, ancora di più, sulle nostre banche che hanno superato brillantemente gli stress test e che hanno, forse, come unica colpa, quella di avere in pancia troppi titoli di Stato che i mercati giudicano non più di grandissimo valore. Non dovremmo essere esposti con questa pericolosità alle turbolenze dei mercati. Non dovremmo dover ascoltare la Merkel che ingiustamente ci paragona alla Grecia o, cosa che mi ha stupito almeno quanto questa, il portavoce del Governo spagnolo che ci redarguisce perché, con il nostro atteggiamento, noi esporremmo a rischio ulteriore i titoli di Stato spagnoli. Ma noi, non dico fino due o tre anni fa, ma fino a due o tre mesi fa avevamo la percezione di stare un po' meglio della Spagna. E l'avevano anche i mercati perché lo spread dei nostri titoli pubblici non era come quello dei titoli pubblici spagnoli.
In questi ultimi due mesi questo spread è andato via via convergendo ed oggi lo spread dei titoli pubblici italiani è a 384, mentre quello spagnolo è a 350. Qualcosa sarà successo in questi ultimi mesi? C'è o non c'è allora un problema di credibilità del nostro Governo che è diventato ancora più gigantesco nell'ultimo periodo? Se i fondamentali della nostra economia non legittimassero queste turbolenze sul mercato e queste turbolenze sono sempre più violente, ci deve essere un problema ulteriore. Non lo diciamo per fare speculazione politica, non ci interessa farlo.
D'altra parte il relatore lo ha registrato nei lavori di Commissione. Credo che lo abbia registrato anche il Governo. Noi dell'UdC non abbiamo utilizzato questo decreto-legge per fare attraverso il decreto anche la legittima opposizione che una forza di minoranza fa al Governo. Così come abbiamo deciso di fare a luglio abbiamo tentato di favorire la più celere approvazione della manovra anche ad agosto e abbiamo dato la nostra disponibilità ad avviare una discussione, anche con ritmi assai serrati. Abbiamo limitato i nostri emendamenti a diciassette emendamenti soltanto. Al Senato ne avevamo presentati quindici, alla Camera abbiamo deciso di presentarne diciassette soltanto, comprendendo nelle nostre proposte anche le proposte delle altre formazioni politiche che, come noi, militano nel terzo polo. Di queste proposte parlerò tra pochissimo, ma questo atteggiamento che abbiamo voluto rappresentare attraverso la proposizione di così pochi emendamenti è un atteggiamento che nasceva dal tentativo di voler evitare che il Governo potesse utilizzare pretestuosamente l'argomento dell'elevato numero di emendamenti per porre la questione di fiducia e poi perché volevamo tentare, rispettando i tempi ristretti consigliati dalle circostanze, di cambiare davvero una manovra che abbiamo ritenuto iniqua e con un carico di Pag. 95oneri straordinariamente spostato sulle famiglie e sul ceto medio. Sì, sul ceto medio, anche oggi che voi avete escluso il cosiddetto contributo di solidarietà, perché questa manovra contiene un vera e propria «bomba ad orologeria». Se avrò tempo più tardi ne parlerò ancora, ma mi riferisco in particolar modo al taglio delle agevolazioni fiscali che scatterà nell'ipotesi, assai prevedibile, che non si proceda con la riforma fiscale nel 2012 e nel 2013. Ben venti 20 miliardi di tagli attraverso un taglio lineare del 5 per cento per il 2012, del 20 per cento per il 2013 che intanto spostano metà della manovra su interventi che ancora non sono stabiliti, quelli della riforma fiscale, e che inoltre espongono soprattutto le famiglie e le persone fisiche a sopportare gran parte dell'impatto di questa manovra. Vorrei ricordare che dei 160 miliardi di agevolazioni fiscali, dalle quali andrebbero tolti poi questi 20 miliardi, 100 miliardi si riferiscono proprio alle agevolazioni per le famiglie e per le persone fisiche.
Come ho detto, noi abbiamo tentato, limitando i nostri emendamenti, di favorire una discussione utile a modificare e a rendere più equa questa manovra ma non è servito. Avete scelto, come sta avvenendo spesso, prima di rinviare il provvedimento al Senato: ho grande rispetto del Senato ma so che questa scelta che il Governo sta compiendo reiteratamente nelle ultime settimane è una scelta orientata semplicemente ad evitare che ci possa essere un cammino più impervio per la maggioranza nella predisposizione di interventi magari non del tutto popolari. Inoltre avete deciso comunque di porre la fiducia nonostante l'atteggiamento responsabile delle opposizioni. Lo avete fatto non a causa delle opposizioni, ma a causa dell'incapacità di fare sintesi all'interno della vostra maggioranza. Lo avete fatto non perché temevate il confronto con le opposizioni in ordine alla durata del tempi per licenziare la manovra. Lo avete fatto perché non volevate esporre la maggioranza ad altre tensioni, ad altre fratture, come avete fatto nelle settimane passate. Ci avevate detto a luglio che quella manovra, eravate sicuri, sarebbe stata sufficiente. Poi ci avete chiamato l'11 agosto, dopo la lettera della BCE, per dirci che c'era urgenza di intervenire e anche noi eravamo convinti che si dovesse intervenire con urgenza.
Avete proposto la prima versione della vostra manovra, poi siete stati costretti a cancellare gli interventi che avevate proposto, e avete dato l'impressione che questa manovra, urgente, per l'appunto, con la quale bisognava convincere i mercati, fosse come la tela di Penelope.
Come dicevo, aveva ragione il Presidente Buttiglione all'inizio del dibattito, quando ha messo in evidenza la debolezza di questa manovra, dicendo che la vera debolezza sta anche nel modo in cui essa è stata prodotta. Direi che è una manovra debole nel contenuto, ma è ancora più debole nel metodo che avete scelto per licenziarla. Ho paura che il modo con il quale l'avete confezionata abbia aggiunto dubbi ai dubbi che già i mercati e le istituzioni sovranazionali a cui chiediamo aiuto avevano, e avevano in maniera piuttosto radicata.
Avete aggiunto dubbi sulla credibilità della nostra politica e del nostro Governo, quando la manovra doveva servire soprattutto per fugare questi dubbi e per dimostrare che la nostra politica e il nostro Governo avevano il coraggio di mettere mano alle riforme strutturali che ci chiedono. Avete convinto chi nutriva qualche dubbio che aveva ragione a nutrire questi dubbi sulla nostra capacità di fare le riforme strutturali per far diminuire il debito e per far crescere il Paese; in una parola, sulla nostra capacità di rendere sostenibile il nostro debito pubblico, che è enorme e che è sempre stato, negli ultimi anni, enorme. Anche questo diceva il Presidente Buttiglione.
La novità non sta nel fatto che, negli ultimi anni, abbiamo aumentato il nostro debito più di quanto, in proporzione, abbiano fatto in altri Paesi d'Europa. Fino a qualche anno fa, gli altri Paesi d'Europa avevano un debito che oscillava intorno al 60 per cento del prodotto interno lordo, mentre il nostro oscillava intorno al 110 per cento. Ebbene, il nostro debito è Pag. 96cresciuto dal 110 al 120 per cento, mentre la crescita del debito pubblico europeo nella media è passata dal 60 all'80 per cento. Quindi, teoricamente avremmo dovuto anche non pagare questo prezzo che, invece, i mercati ci stanno facendo pagare.
Cosa è cambiato allora? È cambiato il fatto che oggi questo debito, enorme, è giudicato dai mercati ancora più grande non perché sia cresciuto il differenziale, ma piuttosto perché oggi appare ancora più evidente che il nostro Paese non è capace né di farlo diminuire né di mettere in campo provvedimenti che facciano crescere l'altro elemento, il denominatore, il PIL in misura da rendere sostenibile, appunto, il nostro debito.
È vero o non è vero, allora, che questa manovra estiva doveva servire proprio per dare fiducia ai mercati e alla BCE, per convincerli che avevamo energie e forze per invertire la rotta? Che ci chiedevano però? Ci chiedevano riforme strutturali, come quella sull'età pensionabile. E voi cosa avete fatto, invece di spiegare ai padri che occorre stipulare un patto tra generazioni per evitare di rubare il futuro ai figli, invece di spiegare ai padri che stare un anno o due anni in più al lavoro significa costruire per i figli un futuro più sostenibile? Vorrei ricordare che, solo qualche settimana fa, uno studio del Censis ricordava che un giovane che andasse in pensione nel 2040 avrebbe una pensione pari a circa il 40 per cento del suo ultimo stipendio, nell'ipotesi che questo sia un dipendente pubblico o privato. Se invece fosse un lavoratore autonomo, addirittura, avrebbe semplicemente il 30 per cento del suo ultimo guadagno.
Allora, invece di spiegare che l'intervento sull'età pensionabile era un intervento per non rubare ulteriormente il futuro ai nostri giovani, voi avete litigato su quello, avete cercato la quadra proprio su quello, aprendo un contenzioso tra la Lega e il PdL, avete fatto il pasticcio di rappresentare lo Stato come uno Stato che si rimangia gli impegni con i cittadini, quando avete detto che non erano più riscattabili gli anni riscattati per lo studio e per il servizio militare.
Tuttavia, prima o poi, questa riforma saremo comunque costretti a farla, perché mentre chiediamo aiuto alle BCE, mentre chiediamo alla Banca centrale europea di comprare i nostri titoli di Stato, poi abbiamo o non abbiamo il dovere di spiegare perché nel nostro Paese si va in pensione mediamente a cinquantotto anni, quando l'età media pensionabile nel resto d'Europa è sensibilmente più alta?
Ci chiedevano di ridurre il costo dello Stato non solo attraverso un taglio ai costi della politica, ma anche attraverso la riduzione dei livelli di Governo e voi cosa avete fatto? Avete prima introdotto una norma sull'eliminazione parziale delle province, una norma pasticciata, poi l'avete ritirata dicendo che avreste presentato un progetto di legge costituzionale che avrebbe contenuto questa norma insieme a quella sulla riduzione del numero dei parlamentari, insieme a quella sulla riforma dell'articolo 81 della Costituzione. Ebbene, avete fatto questo provvedimento? Io ho il sospetto che con questo provvedimento voi alle province stiate cambiando semplicemente il nome, facendole diventare qualcosa di molto simile alle province stesse che però non si chiameranno più così. Vi siete soprattutto dimenticati di inserire in questo progetto di legge costituzionale la riduzione del numero dei parlamentari.
Ci chiedevano, i mercati, la Banca centrale europea, interventi più decisi sul fronte delle liberalizzazioni, ma questi interventi in questa manovra non ne abbiamo assolutamente rintracciati. Ci chiedevano certo anche il pareggio di bilancio e voi che cosa avete fatto? Prima avete tentato di raggiungere questo pareggio di bilancio con delle coperture finte, come quelle legate alla lotta all'evasione. Queste coperture non si mettono in una manovra. La lotta all'evasione si fa e se gli introiti, come tutti auspichiamo, arrivano, se mai si devono orientare a ridurre la pressione fiscale che nel nostro Paese è già elevatissima, ma non si fanno i bilanci dello Stato mettendo questo tipo di coperture, estremamente aleatorie. Vorrei dire che su questo voi non soltanto dimostrate di Pag. 97avere ancora una propensione per una certa finanza, un po' creativa, ma addirittura volete esportarla anche ai comuni, perché quando nella manovra scrivete che il taglio agli enti locali viene in qualche modo recuperato attraverso gli introiti legati al recupero dell'evasione fiscale che i comuni potranno iscrivere in bilancio, voi dite ai comuni che anche loro possono fare dei bilanci, in qualche modo creativi, scrivendo nella parte delle entrate, entrate che certe non sono perché sono per l'appunto aleatorie. Nel caso dei comuni ancora più aleatorie perché essi non hanno nemmeno gli strumenti per fare compiutamente la lotta all'evasione fiscale.
Avete poi puntato sul pareggio di bilancio senza avere però l'onestà di indicare che il pareggio di bilancio si fa anche se le stime sulla crescita del PIL sono stime attendibili. Voi avete stimato la crescita del nostro PIL dell'1,7 per cento nel 2012, dell'1,8 per cento nel 2013 e dell'1,9 per cento nel 2014. Tutti gli istituti ci dicono che questa crescita non ci sarà. Il Fondo monetario internazionale, che è quello, diciamo, più magnanimo nei confronti dei dati sulla crescita italiana, ci dice che noi cresceremo dello 0,7 per cento nel 2012; 0,7 e non 1,7 per cento come voi avete previsto; dello 0,8 per cento nel 2013, cioè 0,8 e non 1,8 per cento; e dello 0,9 per cento nel 2014 e non dell'1,9 come voi avete invece previsto. Per cui, attese le previsioni di crescita del PIL che voi fate, in assoluta controtendenza rispetto a quelle che fanno il Fondo monetario europeo, l'OCSE, la Banca d'Italia, noi l'azzeramento del deficit di bilancio sicuramente non lo otterremo nel 2013. In qualche modo, voi avete fatto nella manovra una sorta di lapsus freudiano.
Ciò perché, quando avete istituito il contributo di solidarietà per i redditi superiori a 300 mila euro, avete scritto che questo contributo di solidarietà opererà fino al 2013, perché avete detto che si trattava di un contributo di solidarietà che avrebbe operato fino al pareggio di bilancio, poi, però, avete continuato dicendo che, nell'ipotesi in cui nel 2013 non sia raggiunto il pareggio di bilancio, il contributo di solidarietà continuerà ad essere operativo, quasi, anzi, sicuramente, un'ammissione implicita del fatto che neanche voi credete che vi possa essere l'azzeramento del deficit nel 2013.
Ci chiedevano, inoltre, sia i mercati che la Banca centrale europea - che ce lo ha chiesto anche ieri - interventi nella direzione della crescita. Lo ripeto, sono difficili questi interventi, ma voi non ci avete nemmeno provato. Perché non avete autorizzato l'incremento dell'IVA per ridurre il cuneo fiscale? Sarebbe stato più logico, sarebbe stato più utile, sarebbe stato il modo per dimostrare anche alle parti sociali che il Governo vuole farsi carico di una richiesta da tutti avvertita, e avvertita in maniera abbastanza intensa.
Non avete convinto nessuno con questa manovra, avete semplicemente sommato più debolezze: le debolezze di Berlusconi, le debolezze di Tremonti, le debolezze della Lega - che non sa più se è il caso di sostenere o meno Berlusconi -, le debolezze del PdL - che non sa che evoluzione avrà in futuro - e avete fatto soltanto le scelte che servivano a tenere unita la maggioranza tra tutte queste debolezze, non le scelte utili al Paese, che ci chiedevano i mercati e l'Europa. Avete messo soltanto una pezza, e per farlo avete aumentato la pressione fiscale. La Banca d'Italia ci dice che la pressione fiscale, nel nostro Paese, sarà al 44,5 per cento, e avete nascosto nella manovra quella vera e propria bomba - di cui parlavo prima - che potrebbe determinare il massacro sociale, mi riferisco ai 20 miliardi di euro di tagli alle agevolazioni.
Avete ucciso il federalismo, non lo dico io, lo dicono quelli che sono sempre stati federalisti convinti, e che, soprattutto, il federalismo dovrebbero attuarlo davvero. Non lo dico io, l'ha detto prima di tutti gli altri il presidente Formigoni, l'ha detto poi il presidente Polverini, lo dicono i presidenti delle regioni e lo dicono i comuni, quando sostengono che con i tagli delle manovre di questo Governo - che sarebbe dovuto essere il Governo del federalismo - il federalismo è morto nella culla e non potrà realizzarsi. Pag. 98
Nove miliardi 200 milioni di euro sono i tagli alle regioni e al sistema degli enti locali: 6 miliardi nel 2012 e 3 miliardi 200 milioni nel 2013, che faranno crescere ulteriormente la pressione fiscale e che faranno diminuire il livello dei servizi erogati ai cittadini. Non doveva essere questo il Governo che avrebbe realizzato il federalismo? Non doveva essere il federalismo la riforma delle riforme? Registro che, da qualche settimana, di federalismo non parla più nemmeno la Lega, che non agita più questa bandiera come un vessillo da sventolare sulle valli padane e, mentre si parla della necessità di riformare il nostro Paese e di fare le riforme, nessuno più parla del federalismo come una riforma utile a raddrizzare per così dire l'albero storto della finanza, come aveva detto Tremonti. Certo è che, parlando oggi di albero della finanza, verrebbe da dire che questo albero è messo a dura prova alle intemperie e dalle turbolenze dei mercati. Avete tagliato tutte le risorse che dovevano servire a realizzare il federalismo fiscale. Nel 2009, quando abbiamo approvato la legge n. 42, erano presenti 5 miliardi di euro destinati alle regioni per i trasferimenti relativi alle funzioni sulle quali il federalismo avrebbe dovuto operare. Ebbene, non vi sono più queste risorse, le avete tagliate tutte, così come avete tagliato alle regioni il 75 per cento delle risorse per il trasporto pubblico locale.
In cambio avete dato loro la possibilità di innalzare le addizionali aumentando ulteriormente la pressione fiscale che, negli ultimi anni, in Italia è aumentata molto più che negli altri Paesi d'Europa, salvo poi a non considerare che in molte regioni, in tutte le regioni sottoposte al piano di rientro per i deficit sanitari, e non sono poche perché si tratta di quasi tutte le regioni del Centro Sud, l'autonomia impositiva che avete previsto di fatto non potrà nemmeno operare perché in quelle regioni, purtroppo, il livello delle addizionali è già al massimo possibile. State inoltre utilizzando l'argomento dei costi standard in sanità, anche in questa manovra, non per fare il federalismo, così come dovrebbe essere, perché si dovrebbe parlare di fabbisogni standard e di costi standard in un'ottica di realizzazione del federalismo. No, voi non ne parlate per questo e infatti, per esempio, avete dimenticato di aggiornare i livelli essenziali di assistenza.
Voi parlate di costi standard semplicemente per fare cassa. Invece di riformare il welfare puntando davvero sulla sussidiarietà, puntando a costruire uno Stato davvero che faccia della sussidiarietà una categoria fondamentale, magari integrando sull'altro versante anche i fondi che oggi servono per finanziare gli interventi del welfare, il Fondo per il socio-sanitario, per il socio-assistenziale, voi guardate alla sanità e allo Stato sociale semplicemente come ad un castello di risorse da ridurre e scaricate queste responsabilità sulle regioni, alla faccia del federalismo, proprio voi che dovevate essere la maggioranza del federalismo e il Governo del federalismo.

PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Occhiuto.

ROBERTO OCCHIUTO. Presidente, concludo, ma due parole vorrei dire sul Mezzogiorno che ancora una volta è stato dimenticato da questa manovra, eppure sarebbe la parte del Paese che potrebbe dare davvero di più allo sviluppo del nostro Paese, perché è la parte dell'Italia che potrebbe crescere di più. Noi avevamo chiesto di escludere dal Patto di stabilità i contributi delle regioni per il cofinanziamento dei progetti finanziati con i fondi strutturali, voi invece avete inserito una norma senza copertura certa che rischia di aprire un pericoloso contenzioso territoriale tra regioni.
Avete poi tagliato i fondi per la banda larga e noi invece abbiamo chiesto che questi fondi siano ripristinati, peraltro rivedendo la procedura iniziata qualche giorno fa per l'assegnazione gratuita delle frequenze alle emittenti televisive nazionali. Mentre si chiedono sacrifici agli italiani, il Governo regala le frequenze alle emittenti televisive nazionali, quando invece si potrebbe avere un introito in ordine ai 2 miliardi di euro. Pag. 99
Il rischio che rintracciamo nell'atteggiamento del Governo, in conclusione, Presidente, è che mentre si aspettano gli eurobond, che non verranno mai, si rinviano provvedimenti che sarebbero necessari e che forse, quando saremo costretti a prendere, non saranno più sufficienti e saranno sicuramente più costosi (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro per il Terzo Polo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Nannicini. Ne ha facoltà.

ROLANDO NANNICINI. Signor Presidente, poco tempo fa, in un editoriale de la Repubblica, Eugenio Scalfari ci ha ricordato che l'economista Paolo Sylos Labini trent'anni fa assicurava che, se si fosse sentito ancora parlare dell'autostrada Salerno-Reggio Calabria, avrebbe messo mano alla pistola. È questo il Paese. Da trent'anni se ne parlava e diceva che se qualcuno ne avesse parlato avrebbe messo mano alla pistola.
Di alcuni processi di riforma del Paese se ne parla da così tanto che abbiamo veramente la voglia di mettere la mano alla pistola, perché c'è un ritardo culturale e strutturale di discussione. Quando sento dire dal relatore o da alcuni interventi dei colleghi della maggioranza o del Governo che la crisi è mondiale, bisognerebbe mettere mano alla pistola perché il PIL mondiale aumenta di 4,8 punti percentuali in precedenza e adesso.
Il tema è che l'Occidente, l'Europa e l'Italia non adeguano con processi di riforma i sistemi fiscali, nonché gli elementi fondamentali dello stato sociale per competere di nuovo nel mondo con i nostri prodotti. Questo è il tema di fondo e questo Governo in questo periodo ci ha dato veramente la nausea perché non ha discusso e non ha parlato agli italiani di un tema preciso di questo tipo che, attraverso un'eventuale riforma fiscale, è uno degli strumenti che abbiamo per ridare respiro a chi produce ricchezza nel Paese, ai lavoratori e alle imprese.
Ho sentito tante belle parole sui dati della crescita. L'OCSE ci dice che, dal 1994 al 2009, con riferimento alla crescita cumulata nei paesi europei (il PIL cumulato), l'Italia è al 19 per cento. La Finlandia, la Spagna, la Svezia, il Regno Unito, gli Stati Uniti sono al 40 per cento, la Francia al 28 per cento in questi 15 anni e la Germania è al 21 per cento. Quindi, la Germania è vicina a un'altra fabbrica d'Europa anch'essa manifatturiera come l'Italia. Oggi la Germania diviene l'esempio perché ha fatto riforme strutturali e ha affrontato il tema da un punto di vista strutturale: come poter competere con i partner europei all'interno dell'area europea e come restituire all'impresa quell'armonia necessaria perché i nostri prodotti siano competitivi nel sistema mondiale.
Quindi, per quanto riguarda la crisi mondiale vi è una mentalità di attesa che se ne vada: si entra e si esce, perché qualcuno ci farà scappare. Questa è la scommessa sbagliata del centrodestra italiano, che non è stato attivo sui processi di riforma necessari per ridare e sgravare chi produce ricchezza nel Paese: i lavoratori e le imprese. Un altro esempio: si parla tanto di questa pressione fiscale e della fiscalità. I nostri partner europei hanno il 3,4 per cento di media sui beni immobiliari. La ricchezza immobiliare in Italia è tassata all'1,6 per cento.
Con due punti di PIL si metterebbero in moto forse 24-25 miliardi per discutere come eliminare a favore di chi lavora una pressione fiscale forte ed intervenire sulle pensioni minime e sul tema dell'impresa. Anche se si pensa a tutta la discussione sull'IVA e alla filosofia tremontiana «dalle persone alle cose», sembra che queste cose siano neutrali. Quando si va a riempire un carrello della spesa ci vanno la famiglia povera e la famiglia ricca. Sono convinto che incide più sulla famiglia povera. Ma se alla famiglia povera proponiamo il tema che questi strumenti vengono utilizzati per riequilibrare e ridare competizione al sistema nazionale credo che tutti lo comprendiamo. Invece, ci avete dato una scena penosa: accordi di palazzo ad Arcore, nessuna discussione a livello istituzionale, nessuna precisazione su questo. Pag. 100
L'altro elemento sul quale mi soffermo (e spero di stare nella media del tempo dei 10-11 minuti) è il tema del patto di stabilità interno. Prendo semplicemente la norma che riguarda i comuni. È ancora in vigore. Si tratta dell'articolo 1, commi 87 e 124, della legge di stabilità n. 220 del 2010. Tale norma (ancora in vigore!) dice che per i comuni le percentuali per gli anni 2011, 2012 e 2013 sono pari all'11,4 per cento, al 14 per cento e al 14 per cento. Queste percentuali sono sulla spesa dei primi tre titoli del bilancio sulla spesa corrente che in media fa 38,6 miliardi.
Se faccio il 14 per cento, blocco la cassa al saldo netto da finanziare degli enti locali e ho come obiettivo, nel 2012, 5,4 miliardi e nel 2013 altri 5,4 miliardi.
Si è detto che si sono resi i soldi ai comuni con la Robin tax. Che cosa gli si è reso? Con l'addizionale, cosa gli si è reso? Gli si è resa la possibilità di indebitarsi, si è data ai comuni la possibilità di aumentare la loro possibilità di spesa sul bilancio giuridico sulla competenza finanziaria ma non sulla cassa, perché nessuno è andato a modificare l'articolo che ho ricordato prima, ossia l'articolo 1, commi 88 e 91, della legge n. 320 del 2010. Ma c'è di più. Se ai 5,4 miliardi tolgo i tagli pari a 1,6 miliardi, come dicono alcune proposte emendative, il blocco è di 5,4 miliardi perché la cassa è ferma a 5,4 miliardi. Si assegnano 1,6 miliardi alla competenza e si riallargano i debiti pregressi dello Stato. Invece di pagare dopo 420 giorni si pagherà dopo 480 giorni. Questo è il modo di interpretare il Patto di stabilità? Questo è un modo di fare propaganda su ciò che non si vuole discutere.
Il piano degli investimenti nazionali è costituito da somme in competenza. Mettiamoci coerentemente la cassa. Abbiamo provato a fare una proposta. Vi è un settore nazionale per il quale il membro del Governo, il sottosegretario Giorgetti, in modo molto onesto a fronte della nostre osservazioni ha fatto presente che ha una raccolta di 72 miliardi. Si tratta del settore dei giochi. Ai giocatori distribuisce circa 46, 47 miliardi e 10 vanno all'erario. È troppo poco, per un settore che ha una raccolta di 72 miliardi, darne solo 10 all'erario. C'era il periodo dell'illegalità e si doveva far venire fuori tutto. È già venuto fuori. Teniamo regolarità in questo settore di gestione, aumentiamo i controlli, ma è chiaro che occorre farlo attraverso una fiscalità diversa nel settore dei giochi, non come l'articolo 2, comma 3, del decreto-legge in esame, che stabilisce che si può aumentare il prelievo con un decreto e lo può proporre l'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato e si può aumentare tante volte sui tabacchi con il limite di 1,5 miliardi. Da parte nostra avevamo indicato 2,8 miliardi con questo emendamento. Lo abbiamo presentato, ma non avete il coraggio di dirci né «sì» né «no» e nemmeno volete discuterlo successivamente, perché sappiamo che blinderete la legge di stabilità un'altra volta, senza aprire nessun dibattito in questo Parlamento.
Ma state attenti, perché quando si discute sul tema della crescita e si dice «non si può fare» sono tra quelli che ritiene, come il mio gruppo, che non è che deve fare tutto lo Stato e, quindi, è chiaro che si deve ridare alle imprese la capacità di competere con il sistema fiscale e con quello degli incentivi per stare nel mondo e ridare al prodotto italiano la dignità che merita, nei prezzi e nella capacità di produzione.
Ma è anche chiaro che non possiamo tirarci indietro, perché si tratta di una manovra recessiva e lo dite voi nei conti che le spese per investimenti dello Stato nel 2011 rappresentano il 3,1 per cento del PIL e, «di blocco», nel 2012 scendono al 2,5 per cento. In termini assoluti - perché c'è il nominale - vi posso indicare quanto si pensa di spendere con questa manovra in conto capitale. Ebbene, in conto capitale questa manovra ritiene di passare dai 48 miliardi ai 39 del 2014. Questo significa favorire la crescita? Keynes è superato, perché era nel Novecento e nel 1929 non c'erano i problemi che ci sono oggi, ma addirittura si pensa di buttarlo in soffitta e non pensare che lo Stato possa fare un piano di opere necessarie e infrastrutturali per modificare il Paese, operando sia nella Pag. 101competenza sia nella cassa. È inutile riunire sempre il CIPE e stanziare, ad esempio, 7 miliardi oggi. Ho fatto il conto e saremo giunti a 300 miliardi di investimenti, sempre i soliti e mai con la cassa adeguata. Mai! Sempre sulla competenza. Questo è un inganno e quando ridiscuteremo la legge di stabilità - e concludo il mio intervento - vi dovremo stanare.
Come non rivendicare, come opposizione, la nostra funzione di controllo? L'articolo 8 di questo decreto-legge è ideologico perché l'accordo non può cambiare una legge dello Stato. Non lo scrive nessuno questo, nessun Paese dell'occidente si può sognare questo, però non ci avete detto che cosa ne è stato dei fondi per incentivare la contrattazione aziendale e territoriale.
Nel 2007 avevamo approvato una norma precisa, che vorrei che risultasse dal resoconto, perché altrimenti si perde la calma. Lo sgravio contributivo dei contratti di produttività è previsto dall'articolo 1, commi 67 e 68 della legge n. 247 del 2007 in via sperimentale. Erano stati previsti 550 milioni - questa era la cifra - rifinanziata nel 2008, nel 2009, nel 2010 e nel 2011 e dall'articolo 26 del decreto-legge n. 98 del 2011. Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali perché non ci dice che risultato ha avuto questa norma e quali sono le incentivazioni per la crescita che ha avuto il nostro Paese? Un rendiconto lo dovete fare, come quando il buon fantasista Tremonti pensò alla fiscalità di distretto nella finanziaria per il 2005: zero lire e zero risultati. Come quando è stato approvato il decreto-legge sulla ricerca: ci sono imprese che impazziscono per fare accordi con le università. Si è parlato del 90 per cento, e non è nemmeno il 12 o 13 per cento dell'investimento avvenuto.
Dovete rendicontare le cose che avete promesso agli italiani e se non siamo capaci noi di farvelo fare, dovremo insistere tutti giorni anche in questo dibattito, nel quale ci sembra di essere marziani. Giorgetti mi ha ricordato che Marte è il pianeta rosso, io mi onoro di essere rosso e quindi continuerò sempre a dirvi che dovremo batterci per ottenere risposte precise sulle proposte che fate. Non attuate mai una gestione regolare e trasformate tutto - come l'articolo 8 - in un dibattito ideologico, che fa vergogna a questo Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Ferranti. Ne ha facoltà.

DONATELLA FERRANTI. Signor Presidente, siamo qui nonostante l'ora molto avanzata perché c'è il forte impegno e la forte consapevolezza di voler testimoniare l'assoluta contrarietà a questa manovra economica miope ed iniqua, che penalizza quasi esclusivamente i dipendenti pubblici, non colpisce in alcun modo i possessori di grandi ricchezze e gli evasori fiscali e non interviene in maniera organica e razionale sulle numerose fonti di spreco del denaro pubblico.
Il Governo non propone una politica vera ed efficace contro l'evasione fiscale, che costa all'Italia ogni anno circa 300 miliardi di euro. È un grosso male del nostro Paese e una vera piaga che però è stata favorita negli anni, dai provvedimenti di condono, da recenti provvedimenti di questo Governo sullo scudo fiscale per il rientro dei capitali all'estero, a fronte del pagamento di una percentuale irrisoria se confrontata a quella applicata dagli altri Paesi europei, senza contare poi l'abolizione dell'elenco fornitori delle imprese, l'innalzamento della soglia della tracciabilità del contante, la depenalizzazione del falso in bilancio, avvenuta sostanzialmente con il Governo precedente di questa maggioranza, tra il 2001 e 2006. Si tratta di una serie di provvedimenti basati sulla morale del sommerso e del nero, tacitamente tollerato, il motore illusorio della crescita, ma che rappresentano pure chiari messaggi culturali che hanno rafforzato nel cittadino l'idea che evadere - e in genere violare le regole - alla fine paga e che il più furbo, alla fine, vince sul più onesto.
Non ci dimentichiamo che la riforma del 2000 ha ridotto i casi di illecito fiscale - nel 2000 vi era sempre la solita impronta -, Pag. 102ha abbreviato i termini di prescrizione, che in questi tre anni di Governo la politica della giustizia penale è stata tutta orientata a depotenziare lo strumento delle intercettazioni telefoniche, di insostituibile utilità nel caso di frodi, corruzione e reati economici e ambientali in genere, a introdurre prescrizioni più brevi per i cosiddetti incensurati, o processi lunghi e lunghissimi ad uso e consumo di chi ha più mezzi economici per sostenere proprio le lungaggini della giustizia.
Nessun intervento reale, concreto e coerente per effettuare una lotta alla dilagante corruzione nel settore privato e pubblico, causa principale degli sprechi della pubblica amministrazione e della proliferazione dei patrimoni illeciti.
L'articolo 2 di questa manovra fa un'illusoria marcia indietro proprio rispetto a quel decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, abbassa la soglia di imposta evasa a partire dalla quale scatta la rilevanza penale, introduce una speciale attenuante per chi paga i debiti tributari prima dell'apertura del dibattimento, alza di un terzo i limiti della prescrizione per alcuni reati di frode fiscale, ma poi si affretta a specificare che le modifiche si applicano a fatti successivi all'entrata in vigore della legge di conversione.
Quanto poi alla tanto decantata esclusione della sospensione condizionale della pena per gli evasori, in realtà si tratta del classico specchietto per le allodole che potrà avere scarsissime applicazioni, una misura antievasione confezionata su misura per evitare che possa avere un'efficace applicazione. Basti pensare che per i grandi evasori, coloro che sottraggono all'erario imposte superiori a 3 milioni di euro, perché le manette possano scattare in concreto ci vuole anche il superamento del 30 per cento del volume d'affari: una doppia condizione che non ha nessuna ragionevolezza, ma che vuol essere solo una sorta di scudo di protezione rafforzata per gli evasori più potenti.
Sono dichiarazioni di intento fasulle che infatti non hanno avuto presa sull'Unione europea né sulla BCE, di qui la necessità dopo figuracce, passi indietro e vari balletti che hanno caratterizzato tutta l'estate dell'aumento poi di una cosa concreta: l'aumento dell'IVA, che va ad incidere sui consumi e su tutti i cittadini, e la tassazione dei redditi privati oltre 300 mila euro, ma sempre in misura molto inferiore rispetto a quella che riguarda i redditi pubblici.
Per non parlare poi dell'inserimento dell'emendamento sulla revisione delle circoscrizioni giudiziarie che più attiene all'aspetto della giustizia, misure queste più volte richieste dagli operatori della giustizia in questo triennio - Associazione nazionale magistrati, avvocatura, sindacati del personale - e sostenute dall'opposizione. Ma anche qui la scelta dello strumento della legge delega inserita con un emendamento all'interno della manovra finanziaria, senza un dibattito e un confronto, è paradossale se si considera che sin dall'inizio di questa legislatura abbiamo presentato e chiesto la calendarizzazione di proposte di legge di respiro più ampio, che potevano e dovevano essere discusse in Parlamento e che invece sono state bloccate dal Ministro della giustizia Alfano, occupato a portare avanti la serie di leggi ad personam che tutti noi conosciamo e abbiamo visto volte ad impedire soltanto i processi del Premier.
Proprio perché si tratta di norme raffazzonate, dell'ultima ora, si assumono criteri di riferimento a volte incongrui e a volte non adeguatamente ponderati, contraddittori tra di loro, che creano e stanno creando allarme tra gli operatori della giustizia. Per esempio non appare razionale escludere dalla possibilità di accorpamento i tribunali aventi sede nei comuni capoluogo di provincia alla data del 30 giugno 2011 senza un coordinamento con la contemporanea scelta di soppressione di alcune province e senza tener corto assolutamente delle caratteristiche dei tribunali presenti e dell'area economico-sociale di riferimento.
Allo stesso modo è irrazionale la previsione diretta a garantire comunque la presenza di tre tribunali in ogni distretto, a prescindere dalla dimensione del distretto Pag. 103e dei tribunali; prevedere la soppressione delle sezioni degli uffici del giudice di pace non funzionali da un lato e dall'altro mettere in moto una specie di ricatto per gli enti territoriali che se intendono mantenere la sede dell'ufficio del giudice di pace devono improntare risorse e mezzi per il personale, per il giudice e per i palazzi.
Il sistema è volto a creare gravi disfunzioni sul piano organizzativo e poi vi è la previsione di poter dar corso addirittura alla ridefinizione degli uffici di procura, anche mediante ricorso all'accorpamento in un unico ufficio di procura per lo svolgimento delle funzioni requirenti senza lo stretto collegamento con il tribunale e senza il riferimento a criteri specifici, ma soltanto una generica delega basata sulla razionalizzazione di mezzi e risorse. Per delega, in maniera strumentale e ambigua, una delega che ha superato ogni dibattito parlamentare e che introduce una centralizzazione dell'esercizio dell'azione penale, una modifica ordinamentale pericolosissima, senza porsi i minimi problemi di carattere organizzativo connessi alla molteplicità delle esigenze dei diversi tribunali e quindi dei cittadini che sono i fruitori del servizio giustizia.
Due, ritengo, sono le spinte di diversa natura che possono avere suggerito questo emendamento, soprattutto per quanto riguarda le procure. Da un lato, con la possibilità di sopprimere la procura facendo restare in piedi il tribunale si può dare più spazio alle esigenze localistiche, che nulla hanno a che vedere con le esigenze di allocazione razionale delle risorse; dall'altro, la riduzione del numero delle procure e la progressiva verticizzazione degli uffici consente di dare corpo a quel desiderio recondito, ma poi non più di tanto celato, che mira al controllo diretto o indiretto sull'esercizio dell'azione penale.
Gli interventi di riforma per garantire ai cittadini un processo in tempi ragionevoli, signor Presidente, signori colleghi, non possono non considerare che il contenimento dei costi è obiettivo di carattere strutturale, e quindi di recupero di risparmi nel lungo periodo. Esige una programmazione razionale, efficace e condivisa dagli operatori della giustizia, che non può omettere di considerare gli effetti di gravosità, anche economica, che si riverberano nel breve periodo sul personale della giustizia, già sottoposto a ben altri effetti negativi derivanti da altre disposizioni finanziarie della manovra.
Non vi è alcuna attenzione ad un metodo nuovo di organizzazione del lavoro del personale dell'amministrazione giudiziaria, tale da introdurre modelli orientati all'efficienza del servizio, alla valorizzazione delle professionalità degli operatori, a favorire il ricorso a strumenti che consentano una migliore programmazione e una più razionale gestione delle attività degli uffici giudiziari.
Si poteva e si doveva, signor Presidente, signori colleghi, tenere conto delle numerose proposte che erano state depositate dalle opposizioni, dei pareri e delle soluzioni del CSM, si dovevano proporre delle proposte strutturali che potevano e dovevano avere spazio in questa manovra. Qualche esempio: la realizzazione dell'ufficio del processo; la creazione di una figura nuova degli assistenti di studio del giudice, con uno sguardo rivolto ai giovani laureati in giurisprudenza meritevoli, che potessero beneficiare di una borsa di studio, di un contratto di formazione specialistica, così come, per esempio, avviene per i medici inseriti nelle scuole di specializzazione, una figura che esiste in altri Paesi, in Austria, in Francia, in Olanda, in Polonia e che avrebbe consentito...

PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Ferranti.

DONATELLA FERRANTI. Sto concludendo, signor Presidente. Essa avrebbe consentito di avere uno sguardo proprio, da un lato, alle esigenze di organizzazione e di funzionalità, dall'altro, alle esigenze di formazione di giovani laureati, risorse umane preziose attualmente del tutto abbandonate a se stesse.
Un sistema fiscale equo, basato su soluzioni che favoriscano la lealtà del contribuente, Pag. 104ha bisogno di politiche pubbliche limitate e coerenti nel lungo periodo, non di una classe dirigente che consideri la spesa sociale un peso e la frode una furbizia, e di messaggi culturali e comportamentali di chi ricopre incarichi istituzionali responsabili e coerenti.
Occorre avere il coraggio di partire dal fallimento delle politiche fin qui tenute per creare le premesse di un sistema economico, fiscale e penale che ponga il bene comune al fondo delle scelte politiche e che sia in grado di ridurre l'inquinamento sociale che persiste in tante parti dell'attività umana. Occorre un'etica di responsabilità, un'etica pubblica che privilegi gli interessi collettivi e indichi le regole di civiltà, per ridare alla politica il necessario affidamento da parte dei cittadini (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Compagnon. Ne ha facoltà.

ANGELO COMPAGNON. Signor Presidente, siamo a pochi minuti dalla conclusione della giornata parlamentare, credo per la felicità dei dipendenti della Camera, che stanno assistendo da questa mattina a questo dibattito, che ha un po' del surreale per quanto siamo costretti o chiamati a dire e per quanto questo dire potrà in qualche modo incidere sulla manovra che è stata presentata da questa maggioranza e da questo Governo. Per cui, cercherò di essere il più sintetico possibile, anche perché, effettivamente, diventa difficile poter impegnare anche quello che ognuno di noi può impegnare in termini di suggerimenti o di proposte, sapendo che questo non avrà certo alcuna attenzione da parte del Governo e della maggioranza.
Questa manovra, che è una manovra dovuta, richiesta da più parti, richiamata dall'Europa, sollecitata dal Presidente della Repubblica, riconosciuta dai mercati, arriva in un momento difficilissimo ed è spontaneo che ognuno di noi si chieda il perché.
Il perché parte da lontano, non ha sicuramente un genitore solo, certamente è frutto di tante colpe o di tante mancanze, fatto sta che arriva a seguito di un'altra manovra varata poco tempo fa, a fronte di rassicurazioni che erano state date. Allora si dice che questa manovra, in questa situazione, nell'interesse del Paese, va bene. Dopo che Governo e maggioranza avevano detto che non vi era bisogno di altre manovre, che stavamo bene, che eravamo tranquilli a livello nazionale ed internazionale, vediamo come ed in che modo farla finita una volta per tutte, cercando di contribuire a questa manovra affinché vi sia l'efficacia che serve per il nostro Paese.
Quindi, sarebbe normale pensare che una manovra di questo tipo, dovuta, necessaria, fosse fatta assieme alla più larga maggioranza possibile di un Parlamento che guarda preoccupato ai problemi del Paese. Invece, su questa seconda parte, non è stato possibile nemmeno dare un suggerimento, non è stato possibile intervenire in Commissione e, dopo una serie di cambi in corso d'opera, di proposte richiamate, ritirate e riproposte, è arrivato il maxiemendamento, quello definitivo, quello taumaturgico, nei confronti del quale, evidentemente, le Commissioni di Camera e Senato, ma noi pensiamo soprattutto alla Camera, non hanno potuto assolutamente fare niente.
Allora, di cosa parliamo? Parliamo del contenuto? Credo che non ne valga la pena quando, anche con buoni propositi, con convinzione e con umiltà, che riteniamo essere utile, non possiamo avanzare proposte perché non vengono considerate. Allora è inutile entrare nel merito di quanto fatto. È una manovra che, secondo noi, non è fatta bene. Allora, bisogna andare indietro e fare una riflessione di tipo politico. Si tratta del perpetuare di un atteggiamento anche arrogante, oserei dire, di questo Governo e di questa maggioranza rispetto ai problemi economici e finanziari del nostro Paese. Lo aveva già richiamato il mio collega Occhiuto prima, partendo da lontano, dalla prima finanziaria laddove si esaltava il fatto che questa, all'inizio della crisi mondiale, fosse stata fatta in pochi minuti come se farlo Pag. 105in pochi minuti fosse la salvezza del Paese, senza guardare a come veniva fatta e al contenuto.
Dati e numeri sono stati sviscerati da tutti i colleghi che sono intervenuti. Rimane il fatto che, da quel momento, con i sette o dieci minuti impiegati per varare una finanziaria, con i tagli lineari, è iniziato un declino inesorabile per il nostro Paese, una discesa che ci ha portati ad oggi e ogni giorno a peggio.
Le colpe, come diceva prima anche un collega della maggioranza, vengono distribuite ancora oggi su tutti gli altri. Devo dire che sono colpe che andrebbero viste anche guardando al percorso degli ultimi dieci anni nei quali la Lega ed il Popolo della Libertà hanno avuto la responsabilità almeno otto anni su dieci. Non sono pochi. E in otto anni su dieci non è pensabile che la colpa di quanto successo possa essere attribuita ad altri. Il Parlamento, in questo periodo, ha tentato più volte, anche per la nostra parte, di avere un ruolo, come opposizione, di fornire dei suggerimenti, come abbiamo fatto sulle riforme strutturali sulle liberalizzazioni, sulle privatizzazioni e su quelli che solo i veri problemi del Paese, ma mai, mai siamo stati presi in considerazione.
Giungo, dunque, alla conclusione, signor Presidente. Se noi non siamo mai stati in grado di potere incidere nei confronti delle proposte portate avanti da questo Governo e da questa maggioranza, mi viene da pensare che questa maggioranza e questo Governo ritengano che una parte consistente di questo Parlamento - che è una parte consistente dei rappresentanti del popolo italiano - non abbia nulla da dire e che loro hanno la verità in tasca. Ma non è certo pensando così o pensando a quelli che stanno peggio che pensiamo di risolvere i problemi del Paese. Dobbiamo pensare alle altre manovre, che già in questi giorni ci vengono richiamate, perché probabilmente questa non è sufficiente. È ovvio che andando avanti così non si può che andare nel baratro. Non ci andiamo noi parlamentari; ci va il Paese, che è ancora peggio.
Voglio dire una cosa. Questo Paese in questo momento è ovvio che non lo può governare nessuno: nessuno è in grado di governarlo, né il centrodestra, né il centrosinistra, né il centro. Lo può governare solo un'ampia alleanza in grado di affrontare veramente gli interessi del Paese. E quanto, allora, dobbiamo ancora aspettare perché questo Governo e questo Presidente del Consiglio lo capiscano? Troppe fiducie non aiutano nessuno e questa è l'ennesima.
È un problema di credibilità, un problema di credibilità nazionale e di credibilità internazionale, che determinano la debolezza del nostro Paese. Mi permetto di dire che questa manovra, non condivisibile, se fosse stata fatta da un altro Presidente del Consiglio, probabilmente avrebbe ottenuto, nonostante le sue carenze, a livello di credibilità internazionale qualcosa di più. Siamo ridotti veramente male, perché questa è la situazione reale.
Allora, signor Presidente, non la faccio scampanellare; mi fermo qui, con quel senso, come dire, di impotenza che un parlamentare o una forza politica di opposizione in questo momento ha di fronte alla crisi del Paese, per colpa di una maggioranza e di un Governo che fa della presunzione e, al limite, dell'arroganza la sua azione. Così certamente non solo non risolveremo, ma non affronteremo neppure mai i problemi veri del nostro Paese. Mi auguro che qualcuno della maggioranza si renda conto di questo e contribuisca a fare quel cambiamento necessario, di cui in questo momento il Paese ha bisogno.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
Secondo le intese intercorse, lo svolgimento delle repliche da parte dei relatori e del rappresentante del Governo avranno luogo nella seduta di domani, a partire dalle ore 10.

Pag. 106

(Annunzio di una questione pregiudiziale - A.C. 4612)

PRESIDENTE. Avverto che è stata presentata, a norma dell'articolo 96-bis, comma 3 del Regolamento, la questione pregiudiziale Donadi ed altri n. 1 che, come già stabilito in sede di Conferenza dei presidenti di gruppo, sarà esaminata e posta in votazione nella seduta di domani, a partire dalle ore 12 (Vedi l'allegato A - A. C. 4612).

Ordine del giorno della seduta di domani.

Testo sostituito con errata corrige volante PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.
Martedì 13 settembre 2011, alle 10:

Seguito della discussione del disegno di legge (per lo svolgimento delle repliche di cui all'articolo 83, comma 4, del Regolamento, per l'esame e la votazione - dalle ore 12 - della questione pregiudiziale presentata e per il seguito dell'esame):
S. 2887 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, recante ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo. Delega al Governo per la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari (Approvato dal Senato) (C. 4612).
- Relatori: Ceroni, per la maggioranza; Baretta, Borghesi e Ciccanti, di minoranza.
PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Martedì 13 settembre 2011, alle 10:

Seguito della discussione del disegno di legge (per lo svolgimento delle repliche di cui all'articolo 83, comma 3, del Regolamento, per l'esame e la votazione - dalle ore 12 - della questione pregiudiziale presentata e per il seguito dell'esame):
S. 2887 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, recante ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo. Delega al Governo per la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari (Approvato dal Senato) (C. 4612).
- Relatori: Ceroni, per la maggioranza; Baretta, Borghesi e Ciccanti, di minoranza.

La seduta termina alle 23,50.