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Resoconto dell'Assemblea

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XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 503 di lunedì 18 luglio 2011

Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE
ROSY BINDI

La seduta comincia alle 16,05.

RENZO LUSETTI, Segretario, legge il processo verbale della seduta dell'11 luglio 2011.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Angelino Alfano, Berlusconi, Bonaiuti, Bossi, Brambilla, Brunetta, Carfagna, Casero, Catone, Cicchitto, Colucci, Crimi, Crosetto, D'Alema, Dal Lago, Della Vedova, Fitto, Franceschini, Frattini, Gelmini, Alberto Giorgetti, Giancarlo Giorgetti, Giro, La Russa, Lupi, Mantovano, Maroni, Martini, Meloni, Miccichè, Misiti, Moffa, Leoluca Orlando, Polidori, Prestigiacomo, Ravetto, Reguzzoni, Roccella, Romani, Rotondi, Saglia, Stefani, Tremonti e Vito sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente quarantasei, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 1o luglio 2011, n. 94, recante misure urgenti in tema di rifiuti solidi urbani prodotti nella regione Campania (A.C. 4480) (ore 16,08).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 1o luglio 2011, n. 94, recante misure urgenti in tema di rifiuti solidi urbani prodotti nella regione Campania.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 4480)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari Italia dei Valori e Partito Democratico ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
A questo punto dovremmo procedere dando la parola al relatore, ma siamo in assenza del Ministro che, d'altra parte, ha fatto sapere di essere stata trattenuta per impegni istituzionali e ci sta raggiungendo.
Sospendo, quindi, la seduta per qualche minuto in attesa del Ministro.

La seduta, sospesa alle 16,10, è ripresa alle 16,15.

PRESIDENTE. Avverto che la VIII Commissione (Ambiente) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, onorevole Ghiglia, ha facoltà di svolgere la relazione.

AGOSTINO GHIGLIA, Relatore. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il Governo è intervenuto più volte in questa legislatura Pag. 2attraverso la decretazione d'urgenza per affrontare i gravi problemi di gestione del ciclo dei rifiuti in Campania, frutto di anni e anni di cattiva politica e di cattiva amministrazione locale.
Dopo il primo provvedimento d'urgenza del maggio 2008, decreto-legge n. 90 del 2008, che aveva dettato incisive misure per fronteggiare la grave situazione di emergenza allora in atto, sono stati emanati altri due decreti-legge - n. 195 del 2009 e n. 196 del 2010 - che hanno disposto la cessazione dello stato di emergenza e dettato le condizioni per consentire il subentro da parte degli enti territoriali campani nelle ordinarie attività di gestione del ciclo dei rifiuti.
Con il decreto-legge oggi all'esame dell'Assemblea il Governo torna a dettare quelle misure che si sono rese necessarie per superare le criticità emerse nella gestione del ciclo integrato dei rifiuti in Campania.
Prima di illustrare il contenuto di questo provvedimento d'urgenza consentitemi, tuttavia, di svolgere alcune brevi osservazioni di carattere generale indispensabili, a mio avviso, per apprezzare compiutamente le ragioni e le finalità delle poche disposizioni da esso dettate.
Sotto questo profilo osservo, anzitutto, che il contenuto del decreto-legge è assolutamente coerente con la scelta politica di fondo adottata dal Governo Berlusconi di fare in modo che le istituzioni territoriali campane, a partire da quella regionale alla quale sono stati attribuiti poteri particolarmente incisivi, possano e sappiano porre in essere tutti gli atti occorrenti a realizzare in tempi brevi gli impianti necessari ad avviare un corretto ciclo dei rifiuti.
La richiesta avanzata dalle opposizioni di nuove dichiarazioni dello stato di emergenza, a parte la totale insussistenza dei presupposti di fatto e giuridici, anche a causa dei vincoli posti dall'Unione europea per l'emanazione di un simile provvedimento, non è e non può essere la soluzione.
L'unica soluzione esistente, l'unica strada da percorrere per conseguire finalmente l'obiettivo della autosufficienza nella gestione del ciclo integrato dei rifiuti in Campania è quella che si fonda, certamente in un quadro di collaborazione e di solidarietà da parte di tutte le regioni, sulla responsabilità delle istituzioni campane. Esse devono sentire, a mio avviso, l'orgoglio di potere e di dovere farcela da sole.
Certo, questo non toglie nulla alla necessità di tenere ferma l'azione di supporto del Governo nazionale nella fase di transizione per l'uscita dalla lunga stagione emergenziale, e questo decreto-legge testimonia della piena consapevolezza del Governo e della sua capacità di realizzare, anche sul piano normativo, le condizioni necessarie per risolvere la grave situazione in atto, a partire dallo sgombero in tempi rapidissimi delle strade di Napoli dai rifiuti, anche per scongiurare eventuali rischi sanitari per la popolazione.
Se a pochi giorni dall'emanazione del provvedimento la regione Campania ha già sottoscritto diversi accordi per il trasferimento dei rifiuti in altrettante regioni, se il presidente della regione Campania ha potuto firmare in pochi giorni due ordinanze con cui si rideterminano i flussi extraprovinciali dei rifiuti e si consente il trasferimento di quelli provenienti da Napoli negli impianti delle province di Avellino, Benevento e Caserta, allora occorrerebbe ammettere da parte di tutti che il Governo si è mosso con efficacia in questa partita, con l'emanazione di un provvedimento equilibrato ed adeguato che, da un lato, ha reso possibile avviare un percorso di solidarietà tra le regioni consentendo in via straordinaria, temporanea e controllata il trasferimento fuori regione dei rifiuti campani, dall'altro lato, ha consentito al presidente della regione, con il rafforzamento dei suoi poteri e del suo ruolo, di operare fattivamente per consentire nell'immediato lo sgombero delle strade di Napoli e per procedere alla rapida individuazione e all'attivazione di nuove discariche, nonché per l'avvio dei lavori per la realizzazione degli impianti Pag. 3indispensabili per dare autosufficienza al ciclo integrato di gestione dei rifiuti in Campania.
All'interno di questo perimetro di scelte politiche imperniate sulla convinzione che spetta alle istituzioni campane affrontare e risolvere la questione rifiuti attraverso il ritorno alle procedure ordinarie, senza far ricorso a nuove procedure emergenziali ma in un contesto di forte collaborazione da parte delle altre regioni e di forte supporto del Governo nella fase di transizione, il decreto-legge detta poche e chiare disposizioni che passo a illustrare rapidamente.
Il comma 1 dell'articolo 1 prevede che, in considerazione dello stato di criticità derivante dalla non autosufficienza del sistema di gestione dei rifiuti urbani non pericolosi prodotti nella regione Campania, è consentito, sino al 31 dicembre 2011, lo smaltimento fuori regione dei rifiuti derivanti dalle attività di tritovagliatura praticata negli impianti STIR, stabilimenti di tritovagliatura e imballaggio rifiuti, della regione Campania.
Lo stesso comma precisa che tale smaltimento potrà avvenire in deroga sia al divieto di smaltimento extraregionale disposto per i rifiuti urbani dall'articolo 182, comma 3, del decreto legislativo n. 152 del 2006, sia alle procedure di cui all'articolo 1, comma 7, del decreto-legge n. 196 del 2010.
Al riguardo ricordo che l'attuale testo del comma 3 dell'articolo 182 del decreto legislativo n. 152 del 2006, come sostituito dal decreto legislativo n. 205 del 3 dicembre 2010 prevede il divieto di smaltire i rifiuti urbani non pericolosi in regioni diverse da quelle dove gli stessi sono prodotti, fatti salvi eventuali accordi regionali ed internazionali, qualora gli aspetti territoriali e le opportunità tecnico-economiche di raggiungere livelli ottimali di utenza servita lo richiedano.
Ricordo altresì che l'articolo 1, comma 7, del decreto-legge n. 196 del 2010 prevede che, sino alla completa realizzazione degli impianti necessari per la chiusura del ciclo integrato di gestione dei rifiuti della regione Campania previsti dal decreto-legge n. 90 del 2008, ove si verifichi la non autosufficienza del sistema di gestione dei rifiuti urbani non pericolosi prodotti in Campania, tali da non potere essere risolta con le strutture e le dotazioni esistenti nella stessa regione, il Governo promuove, nell'ambito di una seduta della Conferenza Stato-regioni appositamente convocata anche in via d'urgenza su richiesta della regione, un accordo interregionale volto allo smaltimento dei rifiuti campani anche in altre regioni.
Segnalo peraltro che, a chiusura della norma derogatoria dettata dal comma 1 dell'articolo 1 del decreto-legge in esame, è previsto che, ai fini dello smaltimento, è comunque sempre richiesto il nulla osta della regione di destinazione.
Su questo punto ritengo opportuno ricordare che, ai sensi della disciplina emergenziale dettata dal decreto-legge n. 90 del 2008, i rifiuti derivanti dall'attività di tritovagliatura praticata dagli impianti STIR della regione Campania oggetto della disposizione recata dal comma in esame sono assimilati ai rifiuti urbani e, quindi, come tali, soggetti al divieto di smaltimento extraregionale, divieto che, come ribadito dalla sentenza della Corte costituzionale n. 10 del 23 gennaio 2009, si applica solo ai rifiuti urbani e non anche a quelli speciali.
Ciò detto rilevo che, in stretto collegamento con la disposizione contenuta nel comma 1 appena illustrato, il successivo comma 3 dell'articolo 1 prescrive che, in attuazione del principio comunitario della prossimità per lo smaltimento dei rifiuti, i trasferimenti extraregionali consentiti dal comma 1 abbiano come destinazione prioritaria gli impianti ubicati nelle regioni limitrofe alla Campania.
Al riguardo, ricordo che l'articolo 16 della direttiva 2008/98/CE, recepita nell'ordinamento nazionale con il decreto legislativo n. 205 del 2010, con cui è stata profondamente modificata la parte IV del decreto legislativo n. 152 del 2006, detta i principi di autosufficienza e prossimità. In particolare, il paragrafo 3 stabilisce che la rete di impianti di smaltimento dei rifiuti e gli impianti per il recupero dei rifiuti Pag. 4urbani non differenziati provenienti dalla raccolta domestica deve permettere lo smaltimento o il recupero in uno degli impianti appropriati più vicini, grazie all'utilizzazione dei metodi e delle tecnologie più idonei, al fine di garantire un elevato livello di protezione dell'ambiente e della salute pubblica.
Tali principi sono stati trasfusi nella normativa nazionale dall'articolo 182-bis del decreto legislativo n. 152 del 2006, introdotto dal citato decreto legislativo n. 205 del 2010, che ha sancito, peraltro riprendendo il contenuto del previgente articolo 182 del decreto legislativo n. 152 del 2006, che lo smaltimento dei rifiuti ed il recupero dei rifiuti urbani non differenziati sono attuati con il ricorso ad una rete integrata ed adeguata di impianti, tenendo conto delle migliori tecniche disponibili e del rapporto tra i costi e i benefici complessivi, al fine di: realizzare l'autosufficienza nello smaltimento dei rifiuti urbani non pericolosi e dei rifiuti del loro trattamento in ambiti territoriali ottimali; permettere lo smaltimento dei rifiuti ed il recupero dei rifiuti urbani indifferenziati in uno degli impianti idonei più vicini ai luoghi di produzione o raccolta, al fine di ridurre i movimenti dei rifiuti stessi, tenendo conto del contesto geografico o della necessità di impianti specializzati per determinati tipi di rifiuti; utilizzare i metodi e le tecnologie più idonei a garantire un alto grado di protezione dell'ambiente e della salute pubblica.
Quanto al contenuto dell'articolo 1, comma 2, del decreto-legge in oggetto, osservo innanzitutto che esso integra le disposizioni contenute nell'articolo 1, comma 2, secondo periodo, del decreto-legge n. 196 del 2010, al fine di introdurre ulteriori compiti e funzioni in capo al commissario straordinario. Quest'ultimo, nominato dal presidente della regione Campania per un periodo massimo di dodici mesi, ha il compito di provvedere all'individuazione di ulteriori aree dove realizzare siti da destinare a discarica, anche tra le cave abbandonate o dimesse, con priorità per quelle acquisite al patrimonio pubblico.
Ai sensi dell'articolo 1, comma 2, del decreto-legge in oggetto, al citato commissario regionale spetta non solo individuare i siti da destinare a discarica, ma anche provvedere alla conseguente attivazione e allo svolgimento di tutte le attività finalizzate a tali compiti.
Un'ulteriore novella prevede che il commissario provveda, con oneri a carico degli enti locali interessati, nei limiti delle risorse presenti e dei rispettivi bilanci, ai compiti affidatigli dalla norma, anche esercitando in via sostitutiva le funzioni attribuite in materia alle province e ai comuni interessati, e in deroga agli strumenti urbanistici vigenti, nonché operando con i poteri di cui all'articolo 2, commi 1, 2 e 3, del decreto-legge n. 90 del 2008.
Ricordo che i richiamati commi 1, 2 e 3 dell'articolo 2 del decreto-legge n. 90 del 2008, che disciplinava i poteri attribuiti al sottosegretario di Stato per l'emergenza dei rifiuti in Campania, consentivano al sottosegretario stesso di: provvedere, anche in deroga a specifiche disposizioni legislative e regolamentari in materia ambientale, paesaggistico-territoriale, di pianificazione del territorio e della difesa del suolo, nonché igienico-sanitaria, e fatto salvo l'obbligo di assicurare le misure indispensabili alla tutela della salute e dell'ambiente previste dal diritto comunitario, mediante procedure di affidamento coerenti con la somma urgenza o con la specificità delle prestazioni occorrenti, all'attivazione dei siti da destinare a discarica; utilizzare talune procedure previste dal decreto del Presidente della Repubblica n. 327 del 2001 - cosiddetto testo unico sugli espropri - per l'acquisizione di impianti, cave dismesse o abbandonate, o altri siti per lo stoccaggio e lo smaltimento dei rifiuti; porre in essere, d'intesa con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, con le procedure sopra descritte, misure di recupero e riqualificazione ambientale; disporre l'acquisizione di ogni bene mobile funzionale al corretto espletamento delle attività di Pag. 5propria competenza, riconoscendo al proprietario gli indennizzi relativi alle spese sostenute rivalutate a norma di legge.
Infine, segnalo che le novelle di cui al comma 2 tengono, in ogni caso, ferma la necessità che il commissario proceda all'aggiudicazione mediante la procedura di cui all'articolo 57 del decreto legislativo n. 163 del 2006 - cosiddetto codice dei contratti pubblici -, che disciplina il ricorso alla procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando di gara.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

STEFANIA PRESTIGIACOMO, Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Signor Presidente, mi riservo di intervenire in sede di replica.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Piffari. Ne ha facoltà.

SERGIO MICHELE PIFFARI. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, colleghi, stiamo affrontando, con un ennesimo decreto-legge, la questione dei rifiuti in Campania, sapendo che, purtroppo, vi sono anche altre regioni che andrebbero monitorate. Non dico questo per farvi diventare ancora un po' più tristi, ma Sicilia, Calabria e lo stesso Lazio stanno entrando in situazioni di criticità.
È un decreto-legge che tende a risolvere - almeno così si dice - la situazione di criticità nella raccolta dei rifiuti, in particolare, nella città di Napoli e, nello senso tempo, ad evitare che vi siano conseguenze sulla salute dei cittadini e danni irreparabili all'ambiente.
Ciò, di fatto, è stato già evidenziato dall'Unione europea, che, già a maggio del 2010, ha provveduto a richiamare l'Italia, attivando, quindi, una procedura che può concludersi in modo sanzionatorio, proprio in conseguenza delle gravi violazioni compiute dallo Stato italiano nei confronti della popolazione della Campania e dell'ambiente. Ciò, perché non sono state realizzate le infrastrutture necessarie ad una raccolta normale dei rifiuti e al loro smaltimento.

Il relatore ci ha aiutato a ricordare anche la sequenza di alcuni decreti, tra cui, naturalmente, quelli più importanti, più incisivi. Ne vorrei ricordare uno, sul quale tornerò in seguito, tralasciato, per dire che a volte le cose sono un po' inutili, perché è vero che bisogna usare poteri anche straordinari come i decreti in situazioni critiche o di emergenza, ma non devono essere gli strumenti da utilizzare quasi quotidianamente.
Con il decreto-legge 6 novembre 2008, n. 172, si individuavano, tra l'altro, forme di vigilanza nei confronti degli enti locali, per garantire l'osservanza delle normative ambientali; era prevista anche una speciale disciplina sanzionatoria, che prevedeva addirittura, nel caso più eclatante, l'arresto di chi lasciava in strada rifiuti anche solo superiori al mezzo metro cubo, dimenticando allora, come oggi, che i rifiuti in strada ci stanno non perché non vi è una cultura adeguata nella popolazione della Campania, ma perché non vi sono le infrastrutture necessarie allo smaltimento. Quindi, una persona può tenere i rifiuti in casa una settimana, dieci giorni, un mese, un mese e mezzo, ma poi, o decide di portarli fuori o decide di uscire lui per andare ad abitare in qualche campeggio, perché non è che si può stare in casa accumulando rifiuti.
Con quel decreto-legge abbiamo stanziato risorse importantissime per l'educazione ambientale, perché eravamo convinti che nel 2008 mancasse ancora l'educazione ambientale. Alla base vi era la necessità, intanto di ridurre - e questo vale per tutto il territorio italiano, naturalmente - in Europa la produzione di rifiuti e, dall'altro, la necessità di ridurre anche i rifiuti cosiddetti tradizionali urbani, invece di valorizzarli attraverso un recupero, dove possibile, direttamente come materie secondarie quali carta, cartone, ferro, vetro - che conosciamo bene tutti - e anche attraverso impianti di compostaggio.
Tuttavia, si è ritenuto di stanziare milioni di euro sull'educazione, sapendo che, invece, vi sono comuni eccellenti, che raggiungono risultati superiori al 60 per cento Pag. 6di raccolta differenziata, e sapendo che anche parte di Napoli città - dove viene fatta la raccolta differenza - registra percentuali superiori al 60 per cento.
Quindi, il problema non sta nell'educazione dei cittadini in sé o nel reprimerli con delle sanzioni, ma nella necessità di avere un chiaro piano di infrastrutturazione, un chiaro sistema di controllo in chi deve fare e cosa. In questo contesto si inserisce una serie di proposte emendative già da noi presentate in Commissione e che ripresenteremo in Aula: vorremmo vi fosse attenzione su questo, perché riteniamo fondamentale gestire i rifiuti nel modo più normale più possibile.
In primo luogo perché abbiamo le buone pratiche da «copiare». Infatti, vi è parecchio territorio al Sud, al Centro e al Nord che fa bene, con moduli o modelli non sempre uguali, e abbiamo buone pratiche da «copiare»; non dobbiamo andare all'estero, ci basta guardare in casa nostra.
In secondo luogo perché nella normalità ognuno si assume i propri impegni e, quindi, le proprie responsabilità. Parlo delle amministrazioni, in particolare degli enti locali: i comuni, i quali possono usare gli strumenti dei consorzi e delle associazioni; le province, che possono, naturalmente, coordinare il lavoro dei comuni; e la stessa regione.
Ci siamo inventati con decreti-legge l'emergenza e la concessione di poteri quasi illimitati a chi esercita la funzione di commissario, che una volta può essere il sindaco come magari continua a suggerire la Lega. Questo come se al sindaco di Napoli mettessimo in testa un cappellino e una bacchetta magica in mano e lui risolvesse le questioni con tutti i poteri oppure una volta ai presidenti delle province, un'altra volta alla regione e un'altra volta - come adesso - ai prefetti funzionari o dirigenti dello Stato che possono operare con velocità e risolvere i problemi.
Sappiamo che, invece, poi - uno per una cosa e uno per un'altra - questi strumenti straordinari sanno più di provvedimenti di emergenza in guerra o di calamità naturale e applicati ad una cosa di tutti i giorni, perché i rifiuti li produciamo tutti giorni, rappresentano qualcosa di sbagliato. Quindi, abbiamo proposto una serie di emendamenti che riportano alla normalità, che fanno tornare la gestione in capo ai comuni, ai loro consorzi e in capo alla regione il compito che pare sia stato svolto nel mese scorso e, quindi, che ci sia già stata l'approvazione del piano regionale di smaltimento dei rifiuti e dove le province dovrebbero fare la loro parte. Invece, anche a questo proposito attraverso decreti-legge «centrali» (li abbiamo fatti qui noi a Roma) abbiamo disposto chi deve fare gli inceneritori, se le province, con che poteri e come farli.
Credo che sia pericoloso ragionare in questa maniera. Si inserisce in questo il provvedimento del Consiglio di Stato. Chiedo scusa perché non l'ho ancora letto, ma credo che entro domani dovremo prendere cognizione di causa anche di questo. Infatti, se consideriamo speciali i rifiuti tritovagliati in questi stabilimenti (ciò è semplicemente servito a nient'altro se non a compattarne il volume), aggiriamo la norma che impedisce ai rifiuti solidi urbani di trasferirsi fuori dalle regioni. Ma non è con le furbate della norma che riusciamo poi a risolvere il problema. A noi servono infrastrutture.
Noi sappiamo che una buona parte della Campania le infrastrutture le ha. Abbiamo sentito in Commissione alcuni autorevoli rappresentanti delle istituzioni campane. Potevamo sentirne di più, ma non c'era il tempo. Tuttavia, quelli che abbiamo sentito ci hanno sicuramente aiutato ad avere il quadro più chiaro della situazione in Campania e molte province sono autonome.
Il problema è che noi, qui, invochiamo e cerchiamo di trovare soluzioni, anche magari dribblando alcune norme di salvaguardia ambientale o di individuazione, dicendo anche che forse le cave ormai abbandonate e inutilizzate di ghiaia possono diventare siti comunque di discariche definitive o provvisorie, ma le discariche di rifiuti solidi urbani sono comunque beni ad esaurimento. È vero che poi quelle aree, forse tra cento anni, saranno utilizzate in maniera diversa, però non sono dei Pag. 7beni infiniti e, quindi, anche quelle province, quegli enti locali e quei territori che con sacrifici individuano delle aree e le attrezzano per ricevere rifiuti solidi urbani non accettano volontariamente e con senso del dovere di ricevere i rifiuti di Napoli. Infatti, questo si può fare, se l'emergenza ha una dimensione di inizio e di fine. Se non riusciamo a dare credibilità al sistema di infrastrutturazione e, quindi, della fine dell'emergenza, questo non succede.
Mi sono trovato come sindaco (per fortuna di un piccolo paese) a dover portare i rifiuti solidi urbani in Svizzera. A differenza di Napoli, ero in un territorio con 1.200-1.300 abitanti e 100 chilometri quadrati abbondanti a disposizione. Invece, a Napoli è il contrario e, quindi, non ha territorio a disposizione.
Però, pur avendo territorio a disposizione non ve ne era neanche un pezzettino che poteva essere utilizzato per depositare in modo illimitato i rifiuti. Ora, se mi permettete, vorrei fare un piccolo esempio: abbiamo un bellissimo centro sportivo in comune, una palestra che è stata edificata su un deposito di rifiuti solidi urbani che si utilizzava negli anni Settanta, appena cominciata la raccolta dei rifiuti nel Paese. All'epoca il consolidamento delle fondamenta costò qualche centinaio di milioni di vecchie lire ma i rifiuti non sono certo spariti e li abbiamo ritrovati tutti, ancora lì intatti. Vi erano pezzi di cellophane, cartoni o altro che marciva. Purtroppo, con il tempo abbiamo pagato con gli interessi questa «furbata» di pensare di seppellire in qualche buca in paese i rifiuti. Quindi, questo sicuramente non è più possibile.
Oggi, il comune di Napoli, appena insediato, ha preso con serietà e impegno - con atti veri e propri - il «toro per le corna» (come si suol dire). Intanto, si è impegnato a potenziare quell'area della città con la raccolta differenziata. Sono passati da 140 mila abitanti, dove la raccolta differenziata è superiore al 60 per cento, e li hanno portati - se non sbaglio - a 340 o 350 mila abitanti. Forse non ci vorranno né 60 né 90 giorni ma 120. Tuttavia, si tratta sicuramente di un obiettivo credibile. Se avessero parlato di tutta la città in un così breve tempo, forse nessuno di noi lo avrebbe creduto.
Quindi, vi è un obiettivo credibile e che si può realizzare anche in questo caso attraverso un minimo di infrastrutturazione, cioè dal cassonetto a qualche piazzola ecologica di primo livello locale a qualche mezzo per la raccolta un po' più sostenuto. Poi bisogna affrontare la realtà e si deve avere un impianto come si deve per il compostaggio e per la lavorazione dell'umido. Forse un impianto si può trovare anche a Napoli. Tuttavia, per come è concentrata e urbanizzata la città e il territorio del comune di Napoli, è chiaro che si deve dialogare e trovare una soluzione con la provincia di Napoli perché, se non si fanno impianti di compostaggio, sicuramente ci si ferma già al primo giro.
Va bene fare la raccolta dei rifiuti anche in strada a turni di 24 ore e, quindi, far girare i mezzi con il massimo della resa, ma se poi questi mezzi non si possono scaricare la cosa finisce lì. I camion si fermano e tutta la buona volontà dei tre turni non serve a niente. Quindi, è assolutamente necessario trovare anche in questo momento dove scaricare i camion e, quindi, discariche o inceneritori.
Inoltre, bisogna assolutamente invitare al dialogo gli enti territoriali. Il comune di Napoli dichiara che non vuole l'inceneritore ma la regione prosegue con il bando di gara ed è in atto un ricorso al TAR. Credo che un tavolo debba essere obbligatorio, non perché lo diciamo noi o perché lo stabilisce la legge, ma per il buon senso degli amministratori locali - presidenti di provincia, sindaco o sindaci e regione - che devono sedersi intorno a un tavolo e dire: «Troviamo una soluzione». Questa faccenda non può essere relegata solo al giudizio dei giudici del tribunale.
Poi vi è un'altra questione. Nell'emergenza non possiamo dire alla Campania o a quelle province che, in qualche maniera, sono autosufficienti di andare in difficoltà o in default (ormai questi vocaboli inglesi o americani piacciono). Ma per non andare in deficit infrastrutturale e, quindi, per non mandare in crisi non solo l'area Pag. 8di Napoli - compresa la provincia - ma tutta la Campania credo che sia necessario chiedere di andare oltre quello che è... Ministro, la prego di fare attenzione.

STEFANIA PRESTIGIACOMO, Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Mi scusi, onorevole Piffari.

SERGIO MICHELE PIFFARI. Noi chiediamo di andare un po' oltre. Io vivo in un bellissimo posto, dove la mattina ci sono dodici gradi. Quindi, sono costretto a venire qui per forza.
Credo che sia assolutamente necessario convincere le altre regioni ad utilizzare senza preclusioni quello spazio di riserva, che oggi hanno, sia in inceneritori, sia - se necessario - in discariche, ma anche solo in inceneritori, per la raccolta di quei rifiuti, che comunque costano alla collettività perché costa portare i rifiuti da Napoli al nord, ma costa anche portarli all'estero.
Credo che questo blocco, volto a far sì che ciascuno si arrangi - abbiamo fatto così anche noi - non vada bene. La Conferenza Stato-regioni - a costo di convocarla in via permanente - è la sede giusta per trovare le soluzioni a questo problema. Sappiamo che amministratori responsabili anche al nord stanno dibattendo, discutendo e sostenendo che i loro impianti sono in grado di ricevere un certa quantità di tonnellate al giorno, limitatamente ad un certo periodo di tempo, magari nel periodo estivo, in cui le città si svuotano per una serie di questioni, legate anche al giusto diritto di andare in vacanza o in ferie e che, quindi, sono in grado di smaltire una certa portata di rifiuti.
Credo che ragionare su queste soluzioni sia legittimo e non sia una forzatura. Certamente se abbiamo investito, stanziando risorse per l'educazione, usiamole anche per educare alla solidarietà, dall'altra parte, non pensando che invece si debba usarle soltanto nell'ambito del territorio campano perché vanno educati coloro che producono i rifiuti. I rifiuti li produciamo tutti e tutti conosciamo le conseguenze.
Quindi, sullo sfondo, c'è la necessità di dotare i comuni campani di un minimo di risorse: per comprare cassonetti e camion e per fare investimenti di questo tipo occorre stanziare qualche risorsa in più. Il comune di Napoli ha detto che ha fatto una serie di delibere, ricapitalizzando la società che fa la raccolta differenziata in comune, investendo più di 40 milioni di euro perché si trattava di una società che non pagava più nessun fornitore di servizi o di beni e che quindi non era in grado neanche di fare un minimo di manutenzione ai mezzi che aveva. Inoltre, avevano bruciato tutto il capitale sociale della società e quindi era necessario stanziare risorse per ricostituirlo, per pagare i creditori e prevedere risorse minime - mi pare di capire che abbiano deciso di investire circa 8 milioni di euro - per ricomprare un po' delle attrezzature necessarie per la raccolta differenziata.
Tuttavia, forse è bene che si utilizzino un po' più di quelle risorse che in parte ancora ci sono, ma sono inutilizzate perché la Comunità europea potrebbe, alla fine, applicare la sanzione e quindi bloccare quei 150 milioni di euro destinati a questo capitolo e, se necessario, ragionare con le regioni del sud per usare i fondi infrastrutturali anche con maggiori risorse rispetto a quelle già individuate.
Ci auguriamo quindi che questi decreti-legge, approntati per l'emergenza, siano efficaci per i bisogni effettivi degli enti locali perché, altrimenti, continuiamo a produrre norme e leggi che rimangono sulla carta, ma non vanno incontro alle esigenze dei cittadini. Se vogliamo aiutarli facciamo la nostra parte.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Realacci. Ne ha facoltà.

ERMETE REALACCI. Signor Presidente, riteniamo - come gruppo del Partito Democratico - questo provvedimento insufficiente ad affrontare la situazione pesante che sussiste nella Campania in generale e, in particolare, nell'area napoletana e inadeguato per rimettere sul binario giusto la soluzione dei problemi dei Pag. 9rifiuti in Campania. È un provvedimento insufficiente perché è operativo da quindici giorni, ma nella zona di Napoli i rifiuti sono ancora per strada, quindi è chiaro che le misure contenute in questo decreto-legge non erano sufficienti per affrontarlo. Inoltre, si tratta di un provvedimento inadeguato per mettere sul piede giusto la questione: a tal proposito, dobbiamo confessare tutti un imbarazzo per il fatto di dover, ancora una volta, provvedere con un decreto-legge ad affrontare una questione che, in un grande Paese civile come l'Italia, dovrebbe essere affrontabile, ossia quella dello smaltimento dei rifiuti urbani.
Qui voglio dire con chiarezza che noi, che abbiamo sempre seguito questa vicenda, conosciamo le responsabilità, che sono trasversali in questa situazione, e sappiamo che la camorra non può essere un alibi per questa vicenda.
La camorra è un nemico insidioso, tanti clan camorristi hanno fatto e continuano a fare affari nel campo dei rifiuti, hanno avvelenato ampie aree della Campania; è un nemico che bisogna combattere senza abbassare mai la guardia con provvedimenti seri e non con misure fantasiose; il collega Piffari ricordava che ad un certo punto è stato varato un provvedimento che prevedeva l'arresto per chi abbandonava un materasso per strada, ma non è questo il problema della Campania e del contrasto all'illegalità, però ripeto non può essere questo l'alibi per non fare delle buone politiche di smaltimento dei rifiuti urbani. Peraltro, aggiungo, a maggior ragione perché c'è questo sullo scenario, bisogna che la politica sia inattaccabile e questo lo dico a tutti, anche al Governo e al centrodestra: quando ci sono parlamentari esponenti della politica che sono toccati da indagini che hanno a che fare con la malavita organizzata, non è pensabile che vi siano area d'ombra, perché questo compromette la credibilità della politica.
Cosa fare dunque per invertire la rotta oltre che contrastare la criminalità organizzata e l'illegalità nel campo dei rifiuti? Riteniamo necessario fare tre cose: in primo luogo, partire con il piede giusto nell'affrontare questa emergenza. Da questo punto di vista, non credo che ce la caviamo (neanch'io ho esaminato con attenzione, anche se il Ministro ce l'ha inviata, la sentenza del Consiglio di Stato), ribattezzando in maniera diversa i rifiuti, come, se all'improvviso, i rifiuti urbani, ricevendo un certo trattamento, diventano rifiuti di altra natura e possono pertanto circolare liberamente; per affrontare seriamente questa emergenza dobbiamo permettere alle regioni che hanno un impianto (glielo dobbiamo chiedere) di aiutare la Campania, ma da questo punto di vista non condividiamo la formulazione adottata nel provvedimento sulle regioni limitrofe perché le suddette dispongono di pochi impianti e spesso anche loro si trovano in condizione di emergenza rifiuti; pertanto, è un po' una presa in giro sostenere che possono accogliere i rifiuti che sono ancora attualmente in larga parte purtroppo per strada a Napoli e provincia.
Occorre avviare queste politiche con il piede giusto, partendo dalla raccolta differenziata e per far ciò bisogna premiare chi la sta ponendo in essere. Ciò implica, in primo luogo, l'attribuzione di responsabilità piena ai comuni in questo campo. In Campania non sono tutti uguali: vi sono comuni che hanno fatto delle buone raccolte differenziate (al riguardo voglio ricordare che il comune di Salerno, assieme al comune di Novara, è il comune capoluogo sopra i centomila abitanti che ha il livello più alto di raccolta differenziata in Italia con circa il 70 per cento); vi sono circa settanta comuni che hanno più del 60 per cento di raccolta differenziata. Ricordava il collega Piffari che anche circa 130-140 mila cittadini napoletani oggi hanno un buon livello di raccolta differenziata; bisogna estenderla ma per far ciò, come in tutt'Italia, i comuni devono essere responsabili della raccolta differenziata come pure del trasporto dei rifiuti.
L'idea che, dal 1o gennaio 2011 prossimo, questa responsabilità passerà alle province è bizzarra, perché ciò deresponsabilizzerebbe i comuni virtuosi. Ritengo inoltre che sia un elemento di malcostume Pag. 10politico il fatto che i quattro presidenti di provincia di centrodestra in Campania siano tutti e quattro parlamentari; francamente, in una situazione così difficile, bisognerebbe stare lì, sempre sul pezzo, per affrontare queste problematiche e non credo che aiuterebbe la Campania togliere la responsabilità a chi sta facendo bene, mentre bisogna semmai penalizzare chi non sta operando, fra questi anche il comune di Napoli sino ad oggi. Saluto con favore il fatto che la nuova amministrazione abbia fatto della raccolta differenziata una sua priorità, ma anche la raccolta differenziata ha bisogno di una filiera, di impianti. Facciamo l'esempio dell'area napoletana che è quella più delicata, lo ricordava ancora Piffari: Napoli ha 115 chilometri quadrati, vi sono 10 mila abitanti per chilometro quadrato; è inutile che giriamo intorno al problema, ma è un comune che inevitabilmente può avere alcuni impianti sul suo territorio e altri nei territori vicini, ma anche la raccolta differenziata richiede impianti; se si facesse seriamente la raccolta differenziata (penso sia un obiettivo realistico ma ambizioso raggiungere il 50 per cento di raccolta differenziata nella provincia di Napoli), questo significherebbe avere a disposizione qualcosa come impianti per 200 mila tonnellate di frazione umida, per fare compost per capirci; attualmente ce ne sono per ventimila tonnellate.
Quindi, bisogna fare impianti per la raccolta differenziata, bisogna fare termovalorizzatori alla fine della raccolta differenziata, bisogna fare discariche finali. Per far questo c'è bisogno di responsabilizzare pienamente i comuni. Il terzo punto cui teniamo molto è che ci sia una responsabilità più generale da parte della politica. Noi non condividiamo la disposizione che è prevista in questo decreto-legge, secondo cui si andrebbe a rinominare un commissario per determinare dove vadano collocate le discariche in Campania. Capisco benissimo le difficoltà in cui si trova ad operare il presidente della regione Campania Caldoro, che penso sia una persona civile. Peraltro, in Campania c'è un assessore all'ambiente che nel suo comune ha fatto una buona raccolta differenziata. L'assessore Romano è persona che sa cosa si vuol dire, ma in Campania non ne veniamo fuori se le istituzioni e la politica non si assumono fino in fondo la propria responsabilità. La decisione di dove collocare impianti in Campania deve essere delle massime autorità politiche campane, quindi deve essere in capo al presidente della regione. Noi riteniamo che vedano affrontati questi nodi. In primo luogo, per affrontare l'emergenza occorre che il trasporto dei rifiuti venga effettuato nelle regioni che hanno impianti effettivamente utilizzabili, non usando quindi soltanto lo stratagemma delle regioni limitrofe per ammorbidire l'atteggiamento della Lega, perché poi di questo si tratta. È un atteggiamento che ha ragioni culturali, propagandistiche e psicologiche condivisibili, ma che nell'immediato è un handicap per affrontare il problema. In secondo luogo, occorre ridare piena responsabilità ai comuni, a partire da un premio ai comuni che stanno operando bene. Ricordo peraltro - questo il Ministro lo sa - che c'è bisogno anche di sbloccare i fondi, che sono fondi FAS, che vanno indirizzati per favorire le raccolte differenziate e il ciclo virtuoso di gestione dei rifiuti, così come vanno recuperati anche i fondi di 135 milioni bloccati dall'Unione europea di euro affinché questo accada. In terzo luogo, occorre dare responsabilità alla politica: la politica campana da questo punto di vista non è stata all'altezza di questa sfida, ed uso un eufemismo. In Campania abbiamo speso, tra soldi versati e debiti che sono ancora in piedi, qualcosa come 3 o 4 miliardi di euro senza che la Campania sia ancora dotata di un sistema di smaltimento dei rifiuti urbani degno di questo nome. Questo provvedimento non risolve la questione. Se non verranno modificati questi punti sarà impossibile per il Partito Democratico votare a favore di questo provvedimento, ma siamo fiduciosi che l'intelligenza, la voglia di voltare pagina, la voglia di dare un segnale anche all'Europa che l'Italia è in grado di affrontare questo tema, possano prevalere Pag. 11nel dibattito parlamentare (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Zinzi. Ne ha facoltà.

DOMENICO ZINZI. Signor Presidente, signor Ministro, sono uno dei quattro deputati presidenti di provincia in Campania. In questo momento ho la possibilità di affermare, come ho detto nell'audizione in Commissione, che la provincia di Caserta è tra le più virtuose delle province campane. Ma credo che in questo momento dobbiamo dare un contributo alla discussione sul decreto-legge in via di conversione. Chiedo alcune modifiche indispensabili per l'approvazione di questo decreto-legge, modifiche che peraltro sono diventate oggi necessitate al di là della stessa situazione di emergenza, poiché imposte dalla doverosa considerazione delle implicazioni derivanti dall'ordinanza che il massimo organo di giustizia amministrativa, il Consiglio di Stato, cui abbiamo fatto riferimento poc'anzi, ha adottato in data 15 luglio, in merito alla qualificazione giuridica dei rifiuti derivanti da operazioni di tritovagliatura. Ritengo però opportuno ripercorrere i fatti, sia pure molto sinteticamente, perché il Parlamento e la pubblica opinione possano avere piena e chiara consapevolezza della posta in gioco. Sollecito al riguardo l'attenzione del Governo e, in particolare, dell'onorevole signor Ministro affinché l'uno e l'altro concorrano ad apportare al vigente quadro ordinamentale le modifiche necessarie per uscire dal vicolo cieco in cui ci troviamo.
Per alleggerire la pressione sulle discariche campane, il dipartimento della protezione civile, nell'agosto 2010, bandì una gara per affidare il trasporto e lo smaltimento fuori regione di 61 mila tonnellate di rifiuti speciali non pericolosi, contrassegnati con il codice CER 191212, prodotti dagli STIR campani, che avevano intasato i siti di smaltimento regionali.
La copertura finanziaria dell'appalto era assicurata dall'amministrazione statale. Dopo l'aggiudicazione della gara nel dicembre 2010, disposta in favore del consorzio Cite, che ha indicato come impianti finali di contenimento tre discariche pugliesi, tra cui quelle gestite dalla Italcave, Campania e Puglia firmavano un protocollo di intesa per disciplinare l'ingresso e lo smaltimento in quest'ultima regione di una parte dei rifiuti oggetto del predetto appalto.
Italcave, società titolare di un impianto di discarica e trattamento dei rifiuti speciali non pericolosi regolarmente autorizzato, stipulava, poi, del tutto autonomamente, contratti di smaltimento con operatori autorizzati dalla regione Campania per accogliere nella propria discarica anche i rifiuti non compresi nell'appalto in questione.
A questo punto interveniva, nel febbraio 2011, la regione Puglia, con un provvedimento finalizzato ad interdire all'Italcave l'acquisizione di rifiuti speciali, serie 191212, al di fuori dei quantitativi di cui al protocollo di intesa con la regione Puglia. Ne è sorto un contenzioso che è stato portato dinanzi al TAR Lazio, competente per materia.
Il problema oggetto di contenzioso è stato questo: i rifiuti contrassegnati con il codice CER 191212, vale a dire i rifiuti derivanti da operazioni di cosiddetta tritovagliatura di rifiuti urbani, possono circolare liberamente fra le regioni. La soluzione del problema discende dalla qualificazione di tali rifiuti. Difatti, se essi sono rifiuti urbani, trova applicazione l'articolo 182 del decreto legislativo n. 152 del 2006, che, al comma 3, pone per essi il divieto di smaltimento extraregionale, cioè il divieto di trasferirli e smaltirli al di fuori della regione in cui sono prodotti, derogabile solo in casi eccezionali e sulla base di accordi regionali e internazionali.
Se, invece, essi sono rifiuti speciali non pericolosi, vige il principio opposto di libera circolazione, e dunque la possibilità di trasferirli e smaltirli fuori dalla regione di produzione, anche a prescindere da accordi interregionali in tal senso.
Il TAR Lazio, come noto, ha accolto la prima opzione interpretativa, con la conseguenza che i rifiuti in discorso non Pag. 12possono circolare liberamente tra le regioni, se non previa intesa tra le stesse. È da qui, proprio da qui, da una sentenza, forse, sbagliata, che è nata la drammatica crisi dei rifiuti che sta strozzando la Campania, la sua sicurezza sanitaria, la sua integrità ambientale e la sua economia.
La tesi propugnata dal TAR Lazio appariva estremamente discutibile e si poneva, inoltre, in contrasto con quanto previsto dal Codice dell'ambiente, che dispone espressamente che i rifiuti che iniziano con il codice 19 sono rifiuti speciali, mentre quelli che iniziano con il codice 20 sono urbani. Tra l'altro, ad ulteriore riprova di quanto sopra affermato, evidenzio come, a distanza di appena due settimane dalla sentenza del TAR Lazio, sull'argomento si sia pronunciato anche il TAR Toscana, affermando la tesi opposta. I rifiuti con codice 191212 sono rifiuti speciali, e prima ancora, e precisamente nel 2007, la stessa tesi era stata sostenuta dal TAR Friuli Venezia Giulia.
Da qui l'appello al Consiglio di Stato contro la sentenza del TAR Lazio, che è stato discusso il 15 luglio e che ha de facto ribaltato i termini della vicenda. Si poteva attendere che fosse il Consiglio di Stato a pronunciarsi? Forse, tenuto conto di quanto accaduto, sì, ma, nel frattempo, la drammaticità della situazione, che voglio ribadire, ha assunto i contorni di una vera e propria catastrofe ambientale e sanitaria. Si è verificato persino un episodio di tifo murino, che non si vedeva dai tempi del colera.
È stato sollecitato, anche alla luce delle autorevolissime iniziative assunte dallo stesso Presidente della Repubblica, l'intervento del Governo, per porre rimedio al descritto stato di cose con un decreto-legge. Il decreto-legge n. 94 del 2011, però, costituisce un'occasione sprecata e provo a spiegare perché.
L'articolo 1, comma 1, ha stabilito che, fino al 31 dicembre 2011, i rifiuti derivanti dalle attività di tritovagliatura praticate negli STIR della regione Campania possono essere smaltiti, in deroga al divieto disposto dall'articolo 182, comma 3, del decreto legislativo n. 152 del 3 aprile 2006 anche se, viene precisato, pur sempre sulla base del nulla osta della regione di destinazione. Il comma 3 del medesimo articolo ha puntualizzato poi che, in attuazione del principio comunitario della prossimità, in sede di smaltimento dei rifiuti, i trasferimenti connessi allo smaltimento dei rifiuti di cui al comma 1 abbiano come destinazione prioritaria gli impianti ubicati nelle regioni limitrofe della Campania.
È evidente che il decreto-legge in esame ha finito per avallare, implicitamente, la tesi del TAR del Lazio secondo cui i rifiuti con codice identificativo 191212, frutto di tritovagliatura di rifiuti urbani, sono ancora e sempre rifiuti urbani. Tuttavia, eccezionalmente, il decreto-legge in questione consente il trasferimento di questi rifiuti fuori dalla regione in base ad accordi interregionali.
Proprio per questa ragione il decreto-legge in oggetto è inutile e, anzi, persino controproducente. Perché è inutile? Semplice: se i rifiuti derivanti dalle attività di tritovagliatura sono urbani, non vi era alcun bisogno di emanare una norma ad hoc, poiché già l'articolo 182 del codice dell'ambiente stabilisce che il divieto di trasferimento fuori dalla regione può essere derogato, eccezionalmente e senza alcun limite di tipo temporale, sulla base di accordi interregionali o internazionali. Quale sarebbe l'utilità minima della medesima previsione inserita nel testo del decreto-legge in esame? Sarebbe solo procedurale: le regioni potrebbero raggiungere un'intesa senza passare attraverso lo strumento della Conferenza Stato-regioni. Tutto qui? Sì, tutto qui. In questo è consistito l'intervento risolutore del Governo attraverso l'esercizio della funzione materialmente legislativa. È difficile allora negare che il decreto-legge in oggetto abbia assunto un rilievo pressoché esclusivamente propagandistico o, tutt'al più, di mera rassicurazione sociale dell'opinione pubblica, sempre più allarmata ed esacerbata dalla situazione di degrado sanitario e ambientale provocato dall'ennesima emergenza rifiuti. Pag. 13
A ben vedere, però, il decreto-legge in esame corre il rischio, se convertito senza le necessarie modificazioni, di essere addirittura dannoso. Spiego perché. Come già accennato, il Consiglio di Stato ha accolto l'appello cautelare, sospendendo la sentenza del TAR del Lazio ritenendola evidentemente, sia pure in sede solo cautelare, errata e movente da presupposti impropri. Bene, se non vi fosse stato il decreto-legge in oggetto, la pronunzia del Consiglio di Stato sarebbe stata risolutiva, invece rischia di non esserlo perché, se il Parlamento converte il decreto-legge in oggetto così come è, paradossalmente, introduce per legge una nuova qualificazione dei rifiuti STIR: prima erano speciali, come stabilito dalle sentenze dei TAR della Toscana e del Friuli Venezia Giulia e come ribadito ora dal Consiglio di Stato, mentre, dopo la legge di conversione, diventerebbero urbani e scatterebbe, quindi, per essi il divieto di trasferimento fuori regione, sia pure temperato dalla possibile e limitata, dal punto di vista temporale, eccezione di accordi interregionali. Qualunque regione potrebbe, così, opporre il proprio diniego ai conferimenti e, stavolta, con la copertura di una legge del Parlamento. Insomma, oltre al danno la beffa. La Campania sprofonderebbe in una crisi senza rimedi, in una spirale di paura, di disordine e di pericoli in cui, nessuno si illuda, verrebbe trascinato l'intero Paese. Per questo il Parlamento ha il dovere di prendere atto dell'ordinanza del Consiglio di Stato e, altresì, di quanto stabilito dal diritto comunitario, segnatamente dalla decisione della Commissione Europea 2000/532/CE, del 3 maggio 2000, secondo cui i rifiuti il cui codice identificativo a sei cifre inizia con il numero 19 sono da considerarsi speciali, mentre quelli il cui codice identificativo a sei cifre inizia con il numero 20 sono rifiuti urbani.
Vi chiedo dunque, alla luce di quello che precede, di non convertire l'articolo 1, comma 1, del decreto-legge oggetto della presente discussione sulle linee generali o, in alternativa, di riformularlo attraverso una norma di interpretazione autentica che espressamente qualifichi i rifiuti derivanti da operazioni di tritovagliatura con codice CER 191212 come rifiuti speciali non pericolosi, così come puntualizzato dalla giurisprudenza amministrativa e come, in modo inequivocabile, stabilito dalla normativa comunitaria.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole D'Anna. Ne ha facoltà.

VINCENZO D'ANNA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, parlare in un'Aula deserta di un problema che attanaglia Napoli e la Campania in maniera drammatica è di per se stesso imbarazzante per chi deve intervenire. Credo che questo segni la misura giusta del disagio e della distanza tra i problemi che avvertono i cittadini e la sensibilità politica e istituzionale che c'è, purtroppo, nel Parlamento della Repubblica.
Ho ascoltato attentamente tutto quello che ha detto il collega Zinzi, il quale ci ha informati di un recentissimo accadimento, cioè di un intervento, ancora una volta vicariante, della magistratura rispetto alla vacatio legis, alla inattività o all'inerzia con cui la politica decide rispetto a certi problemi, che si manifestano con un'urgenza e in una cronologia che non ha niente a che vedere con l'elefantiasi di cui molto spesso la politica è affetta.
È ora vero che, contrariamente a quanto si afferma nel decreto-legge che noi dovremmo convertire, i rifiuti derivanti dalla tritovagliatura vengono definiti rifiuti, per così dire, non nocivi e quindi, come tali, esportabili anche nelle regioni vicine. Credo che questo possa procurare nell'immediato un sollievo, ma non ci fa uscire da un'emergenza che si trascina da dieci anni a questa parte, perché nessuno vuole affrontare il nodo vero del problema: portare avanti in Campania una politica sul ciclo dei rifiuti, nel quale vengano individuati tutti i vari componenti della filiera, dalle discariche ai CDR, agli STIR, fino ai termovalorizzatori.
Ancora oggi il nuovo sindaco di Napoli si attarda nell'immaginare, per così dire, che si possa continuare ad andare avanti non aprendo discariche, non costruendo Pag. 14termovalorizzatori, seguendo quello che Lavoisier diceva: «Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma». Non è così, purtroppo. Vi è una parte non biodegradabile dei rifiuti, che va eliminata in altro modo. Ed è questa, se ricordate bene, la teoria che ci ha portati come Campania in questo fosso, ed è la teoria di Pecoraro Scanio, il quale dall'alto di un ecologismo apodittico, che non aveva né riscontri scientifici né riscontri pratici, ha imposto questa filosofia nella regione Campania, facendo credere alle popolazioni che tutto poteva essere trasformato e nulla dovesse essere distrutto.
Quindi, vi è stata la polemica sulla diossina che si sarebbe sprigionata dai termovalorizzatori, quasi che gli abitanti di Bologna o di Schio, in provincia di Vicenza, fossero dei suicidi, perché hanno dei termovalorizzatori al centro delle loro città. Ma noi napoletani siamo, come diceva Eduardo, degli esagerati: quando siamo fessi siamo troppo fessi; quando siamo intelligenti pensiamo di essere estremamente intelligenti. È questa esagerazione, purtroppo, che ci porta poi a cadere nelle circostanze che qui lamentiamo.
Voglio portare in questa Aula una testimonianza. Io ero amministratore provinciale, ero assessore alle finanze dell'amministrazione provinciale di Caserta, e per il tramite di un assessore provinciale del Partito Liberale - stiamo parlando del 1986, quando la delega all'ambiente era ben poca cosa, quindi canonicamente il manuale Cencelli assegnava, nell'ambito del pentapartito, ai Liberali e ai Repubblicani le deleghe meno appetibili sotto il profilo della gestione -, all'epoca in cui era Altissimo il Ministro che si occupava di ecologia, riuscii ad ottenere il finanziamento di un progetto dell'ENEA, quindi del massimo organismo per competenza che c'è in Italia, con lo stanziamento da parte della Comunità europea di ben 36 miliardi di lire, lo ripeto, nel 1986.
In provincia di Caserta non siamo stati mai capaci di poter realizzare quell'impianto, e stiamo parlando di 25 anni fa, perché la continua polemica fatta dagli ambientalisti - che sono un po' come i cocomeri, verdi dentro ma a guardarli bene erano rossi dentro - ha criminalizzato gli impianti di termovalorizzazione fino al punto che le popolazioni della provincia di Caserta hanno rifiutato quell'impianto. Noi perdemmo 36 miliardi di lire, per cui oggi il presidente della provincia di Caserta, l'onorevole Zinzi, non avrebbe di cosa lamentarsi se noi avessimo ante litteram realizzato quell'impianto.
Perché dico questo? Se noi non affrontiamo dal punto di vista culturale e scientifico in Campania il problema del trattamento dei rifiuti, e se i napoletani - di Napoli si tratta, non dell'intera Campania - non si mettono in testa di dovere individuare le loro discariche, di dover fare una raccolta differenziata, e di avere un termovalorizzatore per il trattamento di quello che non è biodegradabile, noi non usciremo mai da questa emergenza. Non che vogliamo mandare i nostri rifiuti in Danimarca o in Svezia, perché - hanno ragione gli amici della Lega - una regione dissanguata dal debito in ogni meandro della pubblica amministrazione non si può permettere il lusso di spendere decine di milioni di euro per conferire la propria immondizia alla Danimarca, alla Svezia o alle regioni circostanti, più lontane o più vicine. Questa è la verità. Questo fallimento è un fallimento culturale, non il fallimento di chi in questo momento dirige la regione, o la provincia o è il sindaco del comune capoluogo, e la politica dovrebbe sapersi assumere le proprie responsabilità dicendo che con i termovalorizzatori non si produce la diossina perché la diossina si denatura a 680 gradi mentre gli altiforni bruciano a 1.300 gradi, e dicendo che è possibile, con l'atomizzazione, avere dei piccoli impianti per 70-80 mila abitanti che riducono a livello atomico i rifiuti. Quindi, laddove non è possibile fare la differenziata noi siamo in grado di bruciare per intero i rifiuti senza avere delle scorie. Ovviamente ci vogliono i finanziamenti perché sono impianti ad alto costo. Occorrerebbe inoltre dire che la città di Napoli si dovrebbe dotare di una discarica e che il sindaco di Napoli se ne dovrebbe fare carico. Il sindaco di Napoli si deve far Pag. 15carico di costruire un termovalorizzatore. Oggi cosa fa? Sversa, in accordo col presidente della giunta regionale, che è di altro segno politico, sulle province di Avellino, di Benevento e di Caserta i rifiuti che indistintamente vengono raccolti.
Quindi, c'è una politica dello sversamento ad oltranza, prima in maniera prossimale, Ministro, poi in maniera parentelare con le regioni che sono più affini, fino poi a fare la battaglia diretta a mandare questi rifiuti anche in Val d'Aosta. Ma la verità è che i rifiuti devono rimanere in Campania e devono essere smaltiti come sono smaltiti nelle altre regioni d'Italia, e il Governo si deve fare carico di questo. Non c'è bisogno di essere all'opposizione per chiedere queste cose. Faccio parte della maggioranza e voterò questo decreto, ma in questo momento questo decreto è un altro pannicello caldo, è un qualcosa che non risolve assolutamente niente. Allora, perché sono intervenuto? Non certamente per portare i lumi scientifici, ma per dirvi che questo che noi stiamo patendo è il figlio di una cultura mendace, della cultura di un ecologismo da quattro soldi che ha criminalizzato tutto ciò che non gli aggradava, di un ecologismo da quattro soldi che ha criminalizzato gli impianti, di un ecologismo da quattro soldi che non ha fatto capire ai cittadini della Campania che la raccolta differenziata è un obbligo civico.
Allora, scusate, dicevano i giuristi tedeschi che una norma senza precetto è come una spada senza punta. Perché non inserite nei decreti anche il precetto per chi non adempie e non osserva la norma? Perché non fate decadere il presidente della Giunta regionale? Perché non fate decadere il presidente della Giunta provinciale? Perché non fate decadere il sindaco del comune che non si attivi precisamente, attraverso un cronoprogramma, a fare quello che è stato fatto nelle altre regioni? Non appartengo, come meridionale, alla categoria dei petenti, ossia quelli che stanno con le mani tese per avere l'obolo da Tizio o da Caio. Non voglio l'obolo da nessuno, ma voglio che il Governo che sostengo metta nelle condizioni gli amministratori locali di attendere completamente a tutte le operazioni per un ciclo integrato dei rifiuti, così come avviene in Lombardia e nelle altre regioni d'Italia.
Emanare dei decreti e farne, poi, di questi decreti anche una specie di ordalia tra il Nord ed il Sud, quasi che il Nord e il Sud siano in antitesi tra di loro, è sbagliato. Infatti, è lo stesso problema dei costi standard che stiamo affrontando con il federalismo fiscale. È sempre la stessa storia. Diceva don Lorenzo Milani che la più grande delle ingiustizie è fare parti eguali tra diseguali. Voi volete dai napoletani, che hanno avuto dei pessimi amministratori, dei pessimi governanti, a cui nessuno ha mai imposto di comportarsi civilmente e correttamente nel ciclo dei rifiuti, che si trasformino in delle arche di scienze dalla sera alla mattina, perché i signori del Nord così pare abbiano determinato. Questo è sbagliato. È lo stesso principio delle regioni benchmark in sanità, le quali hanno una presunzione di essere regioni virtuose perché hanno un prodotto interno lordo più alto ed hanno dei cittadini che si possono pagare le prestazioni di tasca propria, al contrario dei cittadini delle regioni meridionali che questi esborsi non li possono sostenere.
Noi cosa facciamo? Ci inventiamo un sistema di pesi e di costi standard che diminuisce i finanziamenti alle cosiddette regioni canaglia e, quindi, diamo ad esse meno soldi perché devono diventare virtuose. La virtù se la debbono guadagnare, dalla sera alla mattina, con meno fondi di quanto ad esse abbiamo assegnato, non perché viene in mente che c'è una sottostima del finanziamento, ma perché qualche solone al Ministero dell'economia e delle finanze ha deciso che quello che le regioni del Sud hanno speso in più è dovuto alle inefficienze di queste medesime regioni, le quali, tra l'altro, si sono costruite attraverso un sistema sanitario che è stato un sistema politico-clientelare, uno stipendificio molto spesso. Vogliamo andare a misurare adesso negli ospedali, Pag. 16che sono serviti da ammortizzatori sociali, un'efficienza sanitaria che non potremo trovare.
Lo stesso problema lo affrontiamo così con i rifiuti. Pretendiamo, dalla sera alla mattina, che tutta la filiera produttiva dei rifiuti diventi tale perché abbiamo deciso ipse dixit, o meglio qualcuno lì a Pontida ha deciso, che così deve essere. Non è così. Allora, nel momento in cui rivendico, come cittadino della Campania e come parlamentare, una maggiore attenzione ed una maggiore severità nel punire i comportamenti, invoco e chiedo al Governo di integrare questo decreto-legge che, come diceva il collega Zinzi, da oggi, da solo, non basta. Con la consapevolezza, cari colleghi parlamentari, che non servirà l'ennesimo decreto, l'ennesimo pannicello caldo, per portare avanti una cultura, sia dal punto di vista scientifico, che dal punto di vista dell'eccellenza dei comportamenti civici, in una regione dalla quale vengono pessimi esempi, sia dal Governo nazionale, che dai governi locali.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Piccolo. Ne ha facoltà.

SALVATORE PICCOLO. Signor Presidente, signor Ministro, dagli interventi che ho ascoltato mi è parso di capire, anche dalla diversa provenienza politica, che su una cosa siamo tutti d'accordo: che questo decreto-legge è inutile. Ed è un decreto-legge che assolutamente non assolve e non riesce a conseguire gli obiettivi che si era prefisso, cioè quello di far fronte alle criticità drammatiche della situazione dei rifiuti in Campania e, in particolare, a Napoli città e in provincia di Napoli. È un decreto questo che è stato varato dal Governo con colpevole ritardo, dopo un travagliato percorso in Consiglio dei ministri che ha visto l'ostinata e strumentale opposizione della Lega a qualsiasi soluzione.
Qui devo subito constatare l'assenza in quest'Aula su questo problema dei rappresentanti della Lega. La Lega non viene in Aula, non parla nella discussione sulle linee generali, evidentemente non vuole vincolarsi o impegnarsi perché probabilmente non sa neanche se deve votare a favore o se, conformemente alla sua posizione, deve votare contro: problemi di divisione nella maggioranza, problemi di strumentalità di posizioni rispetto agli elettori. Questo decreto dovrebbe servire a superare le difficoltà e le criticità. Dovrebbe perché evidentemente questo provvedimento è l'esito deludente di una sintesi ambigua ed equivoca che il barcollante Governo Berlusconi ha tentato di compiere per sanare le contraddizioni nell'ambito della maggioranza e per superare quella che ho detto prima, la manifesta ostilità della Lega. È un decreto sostanzialmente pilatesco, che non risolve i problemi, anzi che attesta, se ancora ve ne fosse bisogno, l'incapacità di questo Governo ad assumere determinazioni adeguate alla gravità della situazione: un atteggiamento a dir poco superficiale ed approssimativo che è chiaramente condizionato dalla necessità di non irritare gli alleati leghisti e in qualche modo di tacitarne le contestazioni.
La verità è che si continua a giocare su una questione molto seria, così com'è stato fatto in questi anni dal Presidente dei Consiglio, che ha tentato di far credere al Paese di avere risolto miracolosamente e definitivamente il problema dei rifiuti a Napoli. Propaganda, solamente propaganda politica ed elettorale consumata cinicamente sulla pelle dei cittadini, con deplorevole indifferenza verso gli effetti e le conseguenze di una condotta così irresponsabile. È del tutto evidente che il decreto-legge in discussione non consente il superamento dell'emergenza ed in pratica abbandona al suo destino la regione Campania, che dovrebbe confidare unicamente sulla generosa disponibilità di alcune regioni italiane più sensibili al dovere della solidarietà nazionale. Non può sfuggire a nessuno che il meccanismo che è stato configurato nel provvedimento ritarda ed ostacola lo smaltimento dei rifiuti fuori dalla regione, determinando di fatto una situazione di lentezza procedurale che confligge fortemente con la condizione di emergenza vissuta dalla città e dalla provincia Pag. 17di Napoli. Qui voglio dirlo con chiarezza, perché c'è un equivoco che si trascina da anni su questa vicenda. Si parla sempre della città di Napoli, come se il problema fosse soltanto la città di Napoli. Vorrei ricordare agli onorevoli colleghi che la provincia di Napoli conta 3 milioni 200 mila abitanti. Poco meno di un terzo sono gli abitanti della città di Napoli. E il dramma dei rifiuti non è soltanto nella città di Napoli ma è in tutti i maggiori comuni della provincia di Napoli: a Giugliano, città guidata dal centrodestra, che conta 117 mila abitanti; a Casoria; a Pozzuoli e in tanti altri comuni.
E qui si continua il giochino di tentare di individuare il colpevole di turno. Un tempo, fino a qualche anno fa, è stato il governo regionale di centrosinistra il depositario di tutte le nefandezze e di tutte le responsabilità. Oggi Caldoro ci fa scoprire che la regione ha competenze residuali, contraddicendo tutto un atteggiamento politico che in questi anni ha caratterizzato il comportamento del Popolo della Libertà.
Noi sappiamo bene che le responsabilità ci sono state, i limiti di un'azione di Governo in questo settore ci sono stati, ma questo non può essere più sufficiente ad esimere dalle responsabilità la regione Campania, con un atteggiamento che io direi quasi disincantato del governatore della Campania rispetto alla gravità del problema e con una provincia, che da due anni governa il territorio di Napoli, che non ha fatto nulla e che non fa nulla, in dispregio a tutte le previsioni che in tutti i decreti recenti sono state fatte.
Lo ha detto finanche Bertolaso - una volta tanto possiamo essere d'accordo con lui - in un'intervista su Il Messaggero, quando ha bollato come «inutile» il decreto e lo ha qualificato come un provvedimento sbagliato, che non risolve il problema. Anzi, ha detto di più: ha detto senza fronzoli che, oltre a questo decreto-legge, stigmatizzando le responsabilità del Governo Berlusconi, anche il precedente decreto-legge, il n. 196 del 2010, era un provvedimento sciagurato. Lo ha detto l'ex sottosegretario all'emergenza rifiuti in Campania.
Lo stesso Caldoro, sia pure sommessamente, con il suo stile cauto e timido, ha avanzato riserve nei confronti del Governo, tentando di sollecitare i parlamentari campani del Popolo della Libertà ad assumere atteggiamenti conseguenti, ad incidere sulla modifica del provvedimento. È vero che il Popolo della Libertà oggi in Campania è arrovellato da ben altri problemi, che in qualche modo pure interferiscono con una presa di posizione seria: abbiamo un consigliere regionale arrestato, abbiamo un assessore regionale che continua a mantenere doppi incarichi; nonostante abbia una competenza specifica e delicata come quella della gestione del settore dell'ambiente, continua invece a mantenere altri incarichi. Abbiamo una condizione di confusione estrema ed io credo che sia difficile, in una situazione così compromessa dal punto di vista politico ed istituzionale, adottare iniziative adeguate e giusti provvedimenti.
Io voglio sperare che i parlamentari del Popolo della Libertà abbiano un sussulto di reazione a questa condizione. In Commissione ambiente non c'è stato: il Partito Democratico e l'opposizione avevano presentato emendamenti significativi e correttivi che configuravano un decreto-legge più efficace e più risolutivo. Sono stati tutti respinti, con sovrana indifferenza. Sono stati tutti respinti e noi li abbiamo oggi ripresentati in Aula e li riportiamo all'attenzione e all'esame della Camera.
Però, c'è un fatto nuovo di cui bisogna tener conto e lo ha citato già il presidente della provincia di Caserta: è intervenuto in queste ore un provvedimento, una decisione del Consiglio di Stato. Mi viene quasi da dire che il Consiglio di Stato riesce ad avere più sensibilità ed attenzione ai problemi del Paese di quanta ne abbia il Governo. Il Consiglio di Stato ha sostanzialmente cancellato la sentenza del TAR Lazio che, classificando i rifiuti campani come pericolosi, ne interdiceva il trasferimento in altre regioni.
Guardate che siamo ad un punto paradossale in questo momento: se il Parlamento Pag. 18approva il decreto-legge in esame così come è conformato all'articolo 1, noi rischiamo addirittura di avere una situazione peggiorativa e più penalizzante rispetto alla condizione che oggi è venuta a crearsi dopo la decisione del Consiglio di Stato. Questo lo diciamo non perché vogliamo organizzare il trasferimento dei rifiuti in dispregio alla volontà delle regioni. Noi riteniamo che occorra il consenso e l'accordo delle regioni.
E alle regioni rivolgiamo un appello a compiere uno sforzo di solidarietà nazionale, ben sapendo, però, che le istituzioni campane devono assolvere ai propri doveri e mettere in campo un programma concreto, fatto non di chiacchiere, né solamente di rammarico per il passato, per portare a compimento un ciclo integrato e, soprattutto, per organizzare gli impianti per lo smaltimento dei rifiuti.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

SALVATORE PICCOLO. È questo che riteniamo sia necessario fare, in un quadro di serietà e di amore per la verità. Signor Presidente, mi avvio subito alla conclusione e preannunzio l'intenzione di consegnare il mio intervento, affinché siano riportate le ulteriori riflessioni che intendevo svolgere.
Ma una cosa devo dirla con fermezza: quando sento dire che la responsabilità, quasi quasi, adesso, è del neosindaco di Napoli, siamo al ridicolo. Se oggi vi è un'istituzione - e lo dico per amore della verità - che sta svolgendo il proprio dovere in Campania è il comune di Napoli, rispetto all'inerzia, all'assoluta indifferenza, all'ignavia istituzionale della regione e della provincia di Napoli.
Il sindaco De Magistris, con ordinanza, ha individuato quattro siti di trasferenza: uno è già attivato, un altro entrerà in funzione tra pochi giorni, il terzo è in allestimento e il quarto è stato allocato in un'area adiacente al porto per consentire il deposito dei rifiuti ed il trasferimento sulle navi.

PRESIDENTE. Deve concludere.

SALVATORE PICCOLO. Devo dire di più. Il comune di Napoli, nonostante la concomitanza dell'emergenza, che ovviamente rappresenta un ostacolo all'organizzazione della raccolta differenziata, ha assunto delibere per incrementare la raccolta differenziata a più di 300 mila abitanti, nonostante anche la carenza di risorse finanziarie (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Piccolo, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritto a parlare l'onorevole Barbato. Ne ha facoltà.

FRANCESCO BARBATO. Signora deputato Presidente, per la verità, iniziai nel 2008: ancora non ero stato formalizzato nella veste di parlamentare, ma sapevo di essere stato eletto, e mi chiamarono in una cava a Napoli, la cava di Chiaiano, perché era lì che cominciavano, o meglio, continuavano i grandi traffici relativi ai rifiuti in Campania.
Ed io, dopo più di tre anni, mi trovo ancora qui a parlare di Chiaiano: come siamo soliti fare noi dell'Italia dei Valori, lo facciamo con atti e con proposte concrete, dandovi indicazioni e risoluzioni per le problematiche che interessano i nostri cittadini.
Infatti, anche oggi, in ordine a questo argomento, a quest'ennesimo provvedimento concernente i rifiuti in Campania, tra gli altri, vi è un emendamento, che prevede, dopo l'articolo 1, comma 2, di aggiungere una disposizione volta a prevedere che i siti da destinare a discarica, nonché ad impianti di trattamento o di smaltimento dei rifiuti, devono essere ubicati, sempre e comunque, almeno a 5 chilometri di distanza dai centri abitati, e nel pieno rispetto della normativa in materia igienico-sanitaria. Una volta conseguita la completa saturazione del sito di discarica di Chiaiano - lo ripeto: Pag. 19Chiaiano, dopo tre anni e mezzo ancora si parla di Chiaiano -, si procede alla bonifica del medesimo sito - il sito di Chiaiano - ed alla contestuale preclusione dell'utilizzo delle cave limitrofe.
Ma cosa dicevo tre anni e mezzo fa? Chiedevo: come si fa a localizzare una discarica in una cava che, rispetto alla falda acquifera, dalla base, dista poche decine di metri e, con riferimento alla quale, a 300 metri, si trova il nuovo Policlinico di Napoli e, a 400 metri di distanza, l'istituto ospedaliero specialista nella cura delle malattie asmatiche, bronchiali, asmatiformi? Come si fa a fare ciò, a poche centinaia di metri dai centri abitati?
Chiaiano è sito nel comune di Napoli, ma a poco più di un chilometro vi sono i centri di Marano e di Mugnano; insomma, stiamo parlando di un centro super abitato, dove non esisteva alcuna condizione per prevedervi una discarica.
Ebbene, malgrado le nostre proposte alternative - perché vi indicammo siti alternativi in località totalmente disabitate, dove non vi erano coltivazioni di pregio e problemi per la falda acquifera - anche allora, nulla da fare, orecchie da mercante. E dopo tre anni e mezzo, ci troviamo ancora, non solo sulla vexata quaestio di Chiaiano, ma abbiamo ancora i rifiuti a Napoli. Ad oggi vi sono più di 2 mila tonnellate di rifiuti che giacciono per le strade di Napoli, facendo diventare la vita dei napoletani impossibile. Siamo al più alto degrado dell'essere umano, che deve convivere tra montagne di rifiuti, miasmi e rischi per la salute.
Per la verità, resto anche sgomento a trovare questo provvedimento oggi all'esame dell'Aula. Noi siamo abituati sempre a chiamare le cose con il loro vero nome e cognome. Ho sentito poco fa l'onorevole Zinzi - nonché presidente della provincia di Caserta - fare alcune considerazioni, ma poi leggo su Il Mattino di oggi che, insieme ai sindaci, convoca una riunione presso la discarica di San Tammaro, in provincia di Caserta, e dice: giù le mani dal nostro territorio. Poi, uno dei sindaci presenti aggiunge: siamo stufi dei problemi di Napoli, i loro problemi non possiamo risolverli noi casertani, lo abbiamo già fatto per molti anni.
Quando leggo queste cose, dopo aver sentito l'intervento dell'onorevole Zinzi, direi quasi che hanno ragione la Lega e Salvini, i quali sostengono che i rifiuti, la monnezza, non arriverà mai al nord. È ovvio, se a Caserta si dice «mai i rifiuti di Napoli», per quale ragione, in base a questo principio, dovrebbero andare a Milano, Verona o Novara?
Ciò è sin troppo evidente: è in moto questo tipo di meccanismo egoistico, che non tiene conto della situazione e del contesto storico, ma, soprattutto, delle responsabilità nella determinazione di questo evento e di questa emergenza.
Noi dobbiamo andare subito al cuore del problema. Oggi a Napoli abbiamo una situazione che, dal punto di vista amministrativo della città di Napoli, è stato il vero imprevisto, se così lo possiamo chiamare; perché probabilmente nessuno si aspettava che ad amministrare il comune di Napoli vi fosse l'Italia dei Valori con De Magistris.
Questa variante, imprevedibile per i più, probabilmente ha scassato tutti gli equilibri che esistevano da diciassette anni a Napoli ed in Campania. Infatti, dicendola tutta, i guasti provocati a Napoli e in Campania con i rifiuti erano guasti voluti. Si tratta di una produzione di emergenza che è servita - al di là della camorra, perché non bisogna nascondersi sempre dietro la camorra - innanzitutto alla politica; è servita soprattutto all'intesa consociativa tra il Partito Democratico «bassoliniano» e il PdL «cosentiniano» in Campania, perché sono loro che per diciassette anni hanno messo le mani in questa «incicciata».
Sono loro che per 17 anni attingevano più soldi dalle tette di questa bella «muccarella» che dava tanti soldoni: più soldi e meno controlli, più affari e meno gare, meno appalti normali. Era questo il tipo di «incicciata»: la politica si era ficcata dentro, in questo piatto della spazzatura campana, e vi ha messo le mani e i piedi per 17 anni. Pag. 20
Purtroppo, per questa casta, della quale siamo stanchi e rispetto a cui diciamo «basta» a chiare lettere a tutti, sia a destra che a sinistra, ecco che è arrivato l'imprevisto dell'Italia dei Valori e di De Magistris a Napoli, che in poco più di un mese hanno fatto delle cose normali. Hanno previsto degli impianti di stoccaggio e degli impianti di compostaggio, perché è di questo ciclo intermedio che si ha bisogno: gli impianti intermedi del compostaggio e della biostabilizzazione di cui il comune di Napoli da 15 anni non si è mai dotato da Bassolino alla Jervolino, fino ad un mese fa. In un mese, invece, c'è stato il miracolo che significa solo fare buona amministrazione, prevedere il «porta a porta».
È stata la prima delibera fatta da questa amministrazione, che prevede che nel mese di settembre in alcuni quartieri di Napoli (come Chiaia, Posillipo, il Vomero, e non solo nei quartieri bene, ma anche a Ponticelli, a Barra, nei quartieri operai, a Scampia) ci sarà la raccolta differenziata «porta a porta». Ecco che la previsione del 70 per cento di raccolta differenziata è bella e fatta, e per questa ragione si sta saltando quel vecchio inciucio, quel vecchio impianto che c'era sui rifiuti. Ed è questa la ragione per la quale ancora oggi si denuncia un'attività di sabotaggio su Napoli.
Vi leggo una lettera pubblicata oggi su Il Mattino di un cittadino che dice: Abito ai Colli Aminei (un quartiere di Napoli) dove dal 2009 decine di migliaia di persone fanno la differenziata porta a porta. Dopo un inizio positivo, da più di un anno gli addetti dell'Asìa (la ditta che lavora per la raccolta dei rifiuti), sempre meno numerosi, non rispettano le regole. Dovrebbero prelevare in alcuni giorni fissi l'organico, la carta e la plastica, ma non lo fanno, cambiando i giorni di ritiro e spesso saltandoli con il risultato che i cittadini disorientati sono quasi educati alla «diseducazione». Qui è il pubblico, credo, che educa i cittadini alla «diseducazione», e questa è la spiegazione politica - se la volete chiamare così - se da 17 anni ci sono i rifiuti per strada.
Questa è la ragione per la quale una certa politica di destra e di sinistra voleva montagne di rifiuti per la strada, perché con le montagne di rifiuti per la strada e con l'emergenza rifiuti è fin troppo ovvio che bisogna fare ricorso a poteri straordinari, operare in deroga, non ci sono più gare d'appalto, né controlli.
Anzi, con questa amministrazione a Napoli è previsto addirittura che verranno usate delle navi per trasportare i rifiuti. Infatti, guarda caso, con il sistema navi costa di meno questo servizio, anziché portarli negli impianti di Caivano, Giugliano, Acerra. Insomma, ecco questo sistema che viene smascherato.
Allora, è fin troppo evidente tutto quello che sta facendo l'amministrazione comunale di Napoli. La giunta, il sindaco, i consiglieri comunali non hanno mai partecipato, sono nuovi della politica, non sono come quella vecchia e putrida casta che amministra da tanti anni la Campania, Napoli, il Mezzogiorno, danneggiandone soprattutto il futuro.
Quindi, questa nuova classe politica a Napoli ha messo in moto meccanismi nuovi, ma è fin troppo evidente che stanno cercando di boicottare queste attività.
Come si boicotta questa attività? Anche con il provvedimento di oggi, che provvedimento non è. Si tratta di un provvedimento inutile, che non è servito a nulla, tanto è vero che ad oggi non è riuscito a realizzare alcun effetto positivo. I rifiuti continuano a stare per Napoli, malgrado vi sia un'attività del comune di Napoli, che è addetto solo alla raccolta e alla pulizia delle strade, perché poi gli altri compiti, ovvero quello di individuare le discariche o i termovalorizzatori o di inviare i rifiuti fuori regione, sono in capo agli altri livelli istituzionali. Si tratta della provincia di Napoli, guarda caso guidata dal Popolo della Libertà con una giunta di centrodestra. Si tratta della regione Campania, guarda caso guidata dal Popolo della Libertà con una giunta di centrodestra. Si tratta del Governo centrale, un Governo di centrodestra con il Popolo della Libertà. È il resto della filiera istituzionale che non funziona. Il resto della filiera e gli altri Pag. 21livelli, provinciale, regionale e nazionale, non funzionano. Perché non funzionano? Perché probabilmente vogliono continuare a tenere le mani nella «ciccia». Hanno bisogno di tenere ancora in piedi un'emergenza rifiuti, perché nei rifiuti ormai si realizza il massimo del potere e dei denari.
Come vi dicevo, questo serve non solo alla camorra ma, soprattutto, alla politica. La camorra ormai ha capito che questa è una bella scorciatoia per fare voti, soldi e per farsi fare le campagne elettorali. Non più tardi di ieri l'altro, come io e il presidente Di Pietro avevamo ben previsto (mettemmo sotto osservazione alcuni politici campani un anno fa), un politico campano è stato arrestato l'altro giorno. È un consigliere regionale della Campania ed è il secondo arrestato. Si tratta dell'ex sindaco di Pagani, il consigliere regionale Gambino.
Quando abbiamo evidenziato, un anno e mezzo fa, che vi erano questi intrecci tra la politica e la camorra in Campania, vi era qualche parlamentare indispettito, come il presidente della provincia di Salerno, Cirielli, che ci rispose difendendo questo suo commilitone, questo suo «compagno di merende». Ci diceva: «Che volete, voi dell'Italia dei Valori? Perché ci dite queste cose?» Noi rispondevamo che non era opportuno che vi fosse questo intreccio politica-camorra-affari, perché non fa bene alla Campania ma fa bene a quelle cricche e a questa casta da quattro soldi che dobbiamo toglierci dai piedi.
Ebbene, il presidente della provincia, entusiasta, diceva: «Che bello, finalmente si è fatto il secondo termovalorizzatore in Campania, la settimana scorsa. È partito il nuovo termovalorizzatore pochi giorni fa, a Salerno, ed è stato aggiudicato a una ditta». Ma di chi è questa ditta? È la ditta che fa capo al cognato del consigliere regionale campano arrestato l'altro ieri per camorra.
Insomma, signori, questa è la politica nella gestione dell'emergenza rifiuti in Campania. È un intreccio perverso, pericoloso e micidiale tra la politica - una certa politica -, gli affari e la camorra.
Mi ricordo quando lo scorso anno, in occasione dell'esame di un precedente provvedimento, del 26 novembre 2010, che riguardava sempre i rifiuti della Campania - sembra che siamo all'ottavo provvedimento ormai -, vi facevo notare come funzionava il sistema rifiuti in Campania e di come la politica utilizzava questo sistema. Allora dicevo: «C'è un certo Scialdone, che è il presidente di un consorzio dei rifiuti in Campania, il quale veniva la mattina e, compulsato dai lavoratori che gli chiedevano che cosa dovevano fare, rispondeva: ma non andate a raccogliere i rifiuti in provincia di Caserta, non pensate ai rifiuti in provincia di Caserta. Andate, invece, a procurare i voti per mia sorella, che è candidata per le regionali con Caldoro. Il prossimo mese di marzo bisogna votare. Ma tu pensi ai rifiuti? Pensi a pulire le strade? Che c... te ne fotte della pulizia delle strade...».

PRESIDENTE. Onorevole Barbato, per cortesia!

FRANCESCO BARBATO. Signor Presidente, sto riportando quanto detto allora. Chiedo scusa.
Dunque, questi diceva: «Ma non hai capito che mia sorella è candidata con Caldoro, con il centrodestra e deve essere eletta perché dobbiamo fare politica, affari e dobbiamo gestire gli appalti?».
Questa è l'emergenza rifiuti in Campania, rispetto alla quale abbiamo messo un punto fermo ora perché, proprio con riguardo a Napoli, vi stiamo smascherando e vi stiamo dicendo che con cose normali si può fare a meno dei termovalorizzatori.
Ci stanno chiedendo quasi delle confessioni o delle sottomissioni ideologiche. La Lega poi alla fine, tramite Salvini, ha chiesto a De Magistris di confessare che lui ammette la presenza e la costruzione dei termovalorizzatori. Allora vi domando: ammesso che ideologicamente si riconosca questo principio, per parlare solo di fumo - dato che vogliono parlare di fumo, per un attimo li seguiamo - e si decida di costruire domani il termovalorizzatore a Napoli, per realizzarlo ci occorreranno Pag. 22almeno tra i due e i tre anni, ma nel frattempo la munnezza a Napoli scompare? Scompare la munnezza se facciamo questa affermazione di tipo soltanto ideologico? Questa è la dimostrazione che non si vuole affrontare il problema alle radici, come noi abbiamo già fatto a Napoli.
Molto semplicemente noi abbiamo previsto una raccolta differenziata porta a porta che arriverà a rifiuti zero; entro fine anno saremo al 70 per cento di raccolta con un processo intermedio virtuoso di impianti di riciclaggio, di compostaggio e di biostabilizzazione, che sono stati già previsti; addirittura abbiamo deciso una stabilizzazione temporanea in attesa di immettere il materiale e di trasferirlo altrove e, a tale scopo, abbiamo già individuato dei siti a Napoli. Insomma, il comune di Napoli ha fatto tutto quello che doveva fare. Sono gli altri livelli che non funzionano.
Perché secondo voi? La risposta è molto semplice: fare questo tipo di raccolta, ossia la raccolta differenziata, e gestire in questo modo i rifiuti costa poco. Fare la raccolta differenziata porta a porta significa utilizzare tutte le centinaia di lavoratori che già ci sono e farle lavorare, recuperare questo materiale e mandarlo negli impianti. Ma allora i soldi dove stanno più? Dove stanno più le ditte di trasportatori che possono fare affari, le ditte del movimento merci e del movimento mezzi? Queste imprese non lavoreranno più. Le imprese collegate con la camorra che faranno? Che fine faranno? Non lavoreranno più! E i termovalorizzatori? Non ci saranno più. Ma ogni termovalorizzatore costa tra 200 e 300 milioni di euro, che sono gli unici soldi che oggi sono cash - il Ministro dell'ambiente sa benissimo che c'è tale disponibilità - e pertanto non si vogliono perdere queste belle «polpette» che stanno lì in attesa di essere mangiucchiate da qualcuno.
Invece, noi vi diciamo una cosa molto semplice: con l'impostazione nostra è fin troppo evidente che se a Napoli e provincia si raggiungeranno livelli normali di raccolta differenziata, non ci sarà più materiale che possa servire alle discariche o ai termovalorizzatori. Quindi, ciò significa anche che un solo termovalorizzatore, che è già nel territorio di Napoli - il termovalorizzatore di Acerra - è più che sufficiente se si è a regime con la raccolta differenziata in tutti i comuni.
Per questo, noi del gruppo dell'Italia dei Valori vi chiedemmo per quale ragione avevate escluso dal provvedimento precedente lo scioglimento di quei comuni che non raggiungevano le aliquote minime e i livelli minimi di raccolta differenziata. Noi volevamo che in quei comuni, gli amministratori - che non sono buoni amministratori - venissero presi a calci nel sedere e cacciati fuori dai comuni, perché non abbiamo bisogno di questo tipo di amministratori né a Napoli, né in Campania, né nel Mezzogiorno d'Italia, né in Italia. Abbiamo bisogno di amministratori che siano al servizio del bene comune e dei cittadini, ma in modo vero e autentico, come stiamo facendo noi nel comune di Napoli. Questa è la differenza tra l'Italia dei Valori e la «casta». La differenza risiede nei fatti, nelle cose concrete, nell'emergenza rifiuti a Napoli, dove stiamo già rimarcando il nostro modus operandi, dove per noi l'obiettivo principale è quello di essere al servizio dei cittadini.
L'obiettivo principale è far pagare di meno i cittadini perché, paradossalmente, Napoli non solo sta vivendo in questa situazione di totale invivibilità e gravità non solo dal punto di vista della cartolina di Napoli che si presenta nel mondo, ma anche con gravissimi danni soprattutto per l'economia, per gli albergatori, per i ristoratori, per gli operatori turistici. Non vi rendete conto del grave danno che state facendo a Napoli e all'Italia, perché i turisti che vengono a fare le fotografie con alle spalle le montagne di rifiuti e le fanno circolare per il mondo non pensano a Napoli ma pensano all'Italia!
Ed è soprattutto questa immagine, questa cartolina dell'Italia che sta circolando nel mondo per colpa vostra, di questa filiera di centrodestra che non funziona dalla provincia alla regione e al Governo centrale, perché malgrado la discontinuità e la rottura che con la giunta De Magistris Pag. 23abbiamo prodotto su Napoli voi continuate imperterriti a fare un lavoro di ostruzionismo e di boicottaggio, perché volete continuare a tenere in piedi quel sistema malato, fradicio, puzzolente che grava su Napoli e sulla Campania, mentre invece noi a questo punto non ve la mandiamo buona e stringiamo. Poi il resto, eventualmente in modo più dettagliato, ce lo diremo nella giornata di domani, quando vi proveremo sul banco. Noi il Governo lo proviamo soprattutto sugli atti e sui fatti perché non abbiamo pregiudiziali ideologiche, appartenenze bigotte o rivenienti dal secolo scorso, di destra o di sinistra, siamo al servizio di tutti i cittadini, di destra e di sinistra, e soprattutto vogliamo vedere il Governo nel momento in cui lavora.
Vi abbiamo presentato una serie di emendamenti per cercare di migliorare questo provvedimento, per cercare di approvare un provvedimento che sia utile e che funzioni, perché sapete benissimo che la competenza del comune di Napoli finisce alla raccolta della spazzatura e quello che ha fatto il comune di Napoli in oltre un mese di amministrazione è più che sufficiente.

PRESIDENTE. Onorevole Barbato, la invito a concludere.

FRANCESCO BARBATO. Signor Presidente, mi avvio alla conclusione. Domani vedremo il Governo, come reagirà rispetto alle nostre proposte emendative, alla volontà di Italia dei Valori come forza per la nostra cultura di Governo che abbiamo, perché non solo vi diciamo quello che non si deve fare e che non dovete fare più, non avere più questi rapporti, questa P4 in Campania, questi rapporti con la criminalità organizzata, con il mondo degli affari, con un mondo costruito nell'oscuro, e su questa roba non vi facciamo sconti. State già al secondo consigliere regionale arrestato per rapporti con la camorra e la lista non è finita, ma è destinata a crescere ancora.
Ma non solo vi diciamo quello che non si deve fare, in modo costruttivo, intelligente e propositivo Italia dei Valori vi dice soprattutto quello che bisogna fare per risolvere davvero i problemi e soprattutto per amministrare bene, per fare bene. Questo è lo spirito, questa è la politica dell'Italia della valori per i napoletani ed i campani (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cuomo. Ne ha facoltà.

ANTONIO CUOMO. Signor Presidente, signor Ministro, onorevoli colleghi, penso che questo decreto-legge aiuti un po' tutti a ripercorrere la storia recente del nostro Paese ed in particolare gli ultimi tre anni del Governo Berlusconi, una storia difficile che ha praticamente messo in ginocchio il Paese e la sua economia, ma che ha anche incrinato l'affidabilità della politica e ancor di più la credibilità delle istituzioni. E a poco serve dare la colpa alla crisi economica internazionale che pure c'è e che altri Paesi del nostro rango hanno affrontato con senso di responsabilità e di coesione nazionale.
Noi viceversa siamo ritornati a percepire un clima da prima Repubblica, dove l'incertezza economica, attraverso l'instabilità dei mercati finanziari, ha raggiunto livelli ormai insopportabili e dove sullo sfondo dei prossimi giorni si riaffaccia sempre più forte il fantasma della questione morale. Tutto ciò in un Paese sempre più diviso tra nord e sud e in una società civile sempre più in preda dell'antipolitica. Ma tutto questo appartiene alla dimensione del dibattito politico ed io lo lascio ai partiti e ai loro leader per i prossimi mesi. Vorrei tornare a parlare del decreto-legge, dell'ultimo decreto-legge, quello che poco fa l'onorevole Realacci ha definito insufficiente ed inadeguato.
Penso che questo decreto-legge abbia i requisiti primari della necessità e soprattutto dell'urgenza che, a cominciare da chi vi parla, non vengono negati. Ma la domanda che mi pongo e che pongo anche a voi è perché, dopo tre anni, siamo ancora in queste condizioni. Siamo cioè in presenza di un provvedimento scritto ancora Pag. 24una volta sotto il doppio ricatto, da una parte, della Lega Nord, che ha dichiarato tutta la sua contrarietà e ha manifestato ancora una volta il suo sentimento di egoismo e di intolleranza verso aree più deboli del Paese, e dall'altra parte dell'emergenza, che lambisce preoccupanti aspetti sanitari, considerata l'attuale stagione estiva. Infatti, cari colleghi, le quantità di tonnellate di rifiuti nelle strade della città di Napoli e delle altre città della Campania mi ricordano tanto una sorta di bollettino medico, in cui la situazione precipita di ora in ora e, per quanto ci riguarda, di quartiere in quartiere, di centro abitato in centro abitato.
La situazione appare ancora più grottesca se si pensa che l'ennesimo decreto-legge approvato non risolve il problema. L'abbiamo già visto altre volte: decreti-legge in cui erano stati individuati i siti di discariche e poi immediatamente cancellati sotto la pressione delle proteste, con una assoluta mancanza di responsabilità - ed è questo il punto chiave - per non dire una totale assenza di capacità e di cultura di governo.
Anche questa volta, cari colleghi, le regioni hanno fatto e stanno facendo la loro parte. Certamente il loro impegno rappresenta un segnale di solidarietà, ma non risolve il problema. Napoli è una città straordinaria e lo è, paradossalmente, nel bene e nel male. Napoli e il suo hinterland sono un sistema urbanistico antropizzato senza spazi e forse senza possibilità di soluzioni, ma la politica ha il compito primario di trovare la soluzione. Bisogna uscire dalla logica del pronto soccorso per entrare in una più ampia prospettiva di risanamento e di soluzione definitiva del problema. La logica dell'emergenza non aiuta e non è più sopportabile, anzi aggrava le condizioni di un territorio già di per sé martoriato.
Vedete, cari colleghi, sulla vicenda rifiuti è successo di tutto, anzi posso dire che è cambiato addirittura il corso della storia di questo Paese. Sui rifiuti si sono consumate, nell'ordine, le seguenti campagne elettorali: la prima per le amministrative del 2007, poi quella per le politiche del 2008 - ed in questo caso è cambiata la sorte di questo Paese - poi quelle per le provinciali ed europee del 2009, per le regionali del 2010 e, non ultimo, per le amministrative del 2011, comprese quelle di Napoli.
Penso, a questo punto, che sia giunto il momento di riprendere il monito autorevole del Presidente della Repubblica lanciato in merito alla manovra economica e di promuovere immediatamente, il prima possibile, un confronto in grado di mostrare un minimo di coesione, preso atto che la demagogia, il populismo e le promesse elettorali non servono a risolvere i problemi.
Non si annuncia il numero di giorni per ripulire una città come Napoli, le strade non sono come numeri al lotto (dieci giorni, cinque giorni, sette giorni). Questo vale per Berlusconi e vale, ancora di più, per il neo sindaco di Napoli, Luigi de Magistris.
Cari colleghi, il Partito Democratico, per affrontare la drammatica situazione attuale, ha avanzato una serie di proposte - le ha avanzate prima di me, con molta accortezza e con molta lucidità, l'onorevole Realacci - ma vorrei, su questo, fare una valutazione di ordine anche pratico.
Sappiamo tutti come si riesce ad affrontare e a portare a termine il ciclo integrato dei rifiuti. La Campania è una regione popolosa, è la seconda regione d'Italia. Abbiamo bisogno, innanzitutto, di capire bene come si affronta il problema, così come lo si affronta con il soggetto, il predicato e il complemento.
Abbiamo bisogno, sì, della raccolta differenziata, ma abbiamo bisogno anche di individuare le discariche e di costruire, dove servono, i termovalorizzatori, perché una regione di sei milioni di abitanti ha bisogno di queste strutture per poter affrontare definitivamente il problema dei rifiuti. Non a caso, l'emergenza dei rifiuti in Campania è cominciata nel periodo in cui una legge nazionale chiuse tutte le discariche private e mise a regime, con una nuova normativa, il sistema del ciclo dei rifiuti. Tutto il Paese è riuscito ad avere una prima e concreta risposta al Pag. 25problema; la Campania è entrata immediatamente nel regime commissariale.
Siamo arrivati a quasi 18 anni di commissari, si sono succeduti presidenti e presidenti, e anche commissari governativi.

PRESIDENTE. Onorevole Cuomo...

ANTONIO CUOMO. Signor Presidente, mi avvio alla conclusione. Il dato vero che bisogna affrontare, e su questo mi sento di fare un appello al Governo, è individuare con gli organi competenti, nella società di oggi e con le regole elettorali di oggi, chi è competente ad individuare le sedi di discariche, e cioè i comuni, le province in primo luogo e la regione Campania. Chi deve fare applicare la legge è il Governo.
Voglio dire al Governo, e lo faccio attraverso il Ministro, che questa non può essere un'altra sceneggiata. Questo decreto-legge sarà morto prima di essere approvato, perché è insufficiente, perché non risolve nulla rispetto al precedente decreto-legge. Facciamo un salto di qualità, dobbiamo avere uno scatto di orgoglio: o intimiamo alla regione Campania, e per essa anche al sindaco di Napoli, di trovare sul territorio i siti per le discariche, di avviare a compimento la costruzione dei due termovalorizzatori che sono nel programma e di mettere a regime tutti i comuni con popolazione superiore ai 30 mila abitanti con un sistema di raccolta differenziata, oppure, diversamente, non vi è soluzione.
Non so chi lo ha detto prima di me: in dieci anni abbiamo speso più di quattro miliardi di euro per far fronte alle diverse e tante emergenze che si sono succedute, ma il problema non è stato risolto. Oggi affrontiamo questo ulteriore passaggio, che mi auguro sia l'ultimo, perché domani mattina il Ministro, il Governo, possano, in una sorta anche di coesione con le opposizioni, trovare una soluzione più spedita, ma anche più concreta.
Ripeto, o siamo in grado di raggiungere la concertazione tra gli enti preposti ad individuare i siti, a realizzare i termovalorizzatori e a far rispettare la raccolta differenziata o, viceversa, questo provvedimento aggraverà ancora di più lo stato di salute del nostro Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Zamparutti. Ne ha facoltà.

ELISABETTA ZAMPARUTTI. Signor Presidente, penso che il decreto-legge in esame sia espressione, purtroppo, di una non volontà di risolvere un problema, quello dell'emergenza rifiuti a Napoli, che continua a costituire una piaga irrisolta innanzitutto perché, a mio avviso, gli obblighi a cui le amministrazioni e le istituzioni sono tenute non vengono rispettati, a partire dall'adeguamento alle direttive europee, storia che si trascina da trentatré anni, per arrivare alla necessità dell'adozione di un piano regionale sui rifiuti. Questo perché la politica non ha la forza, la capacità e la volontà di sottrarsi alla morsa delle lobby, da un lato degli inceneritori, dall'altro delle discariche, che impedisce di percorrere vie che possano far uscire questa area e, con essa, secondo me, anche il Paese, da un vero e proprio labirinto.
Come Radicali abbiamo avanzato una proposta che era stata anche accolta, attraverso un ordine del giorno, come raccomandazione dall'allora sottosegretario Bertolaso. Di fronte al permanere della gravità di questa situazione, vogliamo ribadirla anche in occasione della discussione sulle linee generali del decreto-legge in esame. Sappiamo che gli imballaggi, i rifiuti inerti, costituiscono il 60 per cento del volume dei rifiuti prodotti. Torniamo a ripetere che se si disponesse il trattenimento di questi imballaggi alla fonte, in modo tale che, poi, gli esercenti li possano conferire in zone di stoccaggio, potremmo, ad horas, ridurre drasticamente i quantitativi da conferire in discarica.
Vi abbiamo anche indicato centoventi aree di insediamento produttivo che potrebbero essere destinate allo stoccaggio dei rifiuti inerti così separati. Sappiamo che queste aree hanno un'estensione molto importante, di oltre trecentoventi ettari. Se Pag. 26questa via non venisse presa in considerazione, come purtroppo immagino sarà, è evidente che Napoli continuerà ad essere, ancora e soltanto, un vero e proprio affare di Stato perché chiunque si è succeduto al Governo di questa città e di questa regione, nel gestire questa emergenza, altro non ha fatto che approfittare di questa situazione alimentandola e non risolvendola.
Credo che il procuratore Lepore abbia avuto ragione quando ha detto che questa emergenza fa comodo non solo e non tanto alla camorra, ma soprattutto alla politica, che può così gestire risorse senza controlli o con controlli più blandi, tant'è che anche nel decreto-legge in esame si propone, in fondo, l'ampliamento dei poteri dei commissari nominati dal governatore della regione Campania per i siti di conferimento locali.
È un affare di Stato che fa comodo, innanzitutto, ai partiti di questo Paese che vive un assetto assolutamente partitocratico che pregiudica i diritti dei cittadini, i quali si trovano in una situazione folle a Napoli e in Campania: devono pagare la tassa sui rifiuti più alta del mondo a fronte del quantitativo di rifiuti da smaltire più alto del mondo. Questo è frutto del perseverare in una logica criminogena.

PRESIDENTE. Onorevole Zamparutti...

ELISABETTA ZAMPARUTTI. Signor Presidente, sto per concludere, visto che il tempo sta scadendo.
Vorrei replicare a quanto ho sentito sul fatto che si alimentano paure e fobie dei cittadini napoletani e campani. Credo che questo non sia vero.
Credo che comunque, da parte di chi avanza critiche di questo tipo, basterebbe in fondo rafforzare i controlli ambientali sugli inceneritori e sulle discariche, rendendo accessibile la conoscenza dei dati di questo monitoraggio sull'inquinamento e sulla salute. Anche a tal riguardo vi è una nostra proposta in termini emendativi, che penso potrebbe essere utile non solo ad evitare allarmismi o false paure, come qualcuno ha voluto dire, ma che servirebbe anche a cercare di conquistare un minimo di democrazia per questo disastrato Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 4480)

PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore, onorevole Ghiglia, rinunzia alla replica.
Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

STEFANIA PRESTIGIACOMO, Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Signor Presidente, ringrazio le colleghi e i colleghi che sono intervenuti nella discussione sulle linee generali, dalla quale sono venuti fuori alcuni spunti condivisibili, altri meno.
Ritengo doveroso soprattutto ribadire in premessa qualcosa che ho sempre avuto modo di sostenere dal momento in cui è stato varato questo provvedimento, e cioè che questo decreto-legge non è nato per risolvere il problema del corretto ciclo di smaltimento dei rifiuti in Campania. Tale onere e tale responsabilità, dal momento in cui si è conclusa la lunghissima fase emergenziale che è durata 14 anni e quindi restituiti tutti i poteri alla regione Campania, spetta alla stessa regione e agli enti locali. Il Governo, ovviamente, sostiene ed agevola la regione in questa che noi definiamo e abbiamo sempre definito una fase di transizione, ma non si può più sostituire alla regione, a meno che non si verifichi di nuovo uno stato di emergenza, con una dichiarazione di stato di emergenza. Quindi è del tutto fuorviante valutare l'utilità e l'efficacia di questo provvedimento, come fosse uno strumento per affrontare complessivamente l'antico problema dei rifiuti a Napoli e in Campania.
Il decreto-legge ha una finalità primaria, chiara ed espressamente limitata nel Pag. 27tempo e cioè fino al 31 dicembre 2011: consentire il trasferimento dei rifiuti fuori dalla regione, ovvero quel qualcosa che la Campania oggi non riesce a smaltire da sola. Giornalmente a Napoli viene prodotta una quantità di rifiuti che non tutti riescono ad essere smaltiti dalla regione Campania ed allora, per poter smaltire questi rifiuti, interviene il decreto-legge in esame, che attraverso il nulla osta della regione ricevente dà la possibilità, in deroga a quanto previsto dall'attuale Codice dell'ambiente, di potere trasferire questa quota di rifiuti.
Tale finalità si è già iniziata a perseguire attraverso i trasferimenti avviati in tre regioni d'Italia, che hanno dato la loro disponibilità, e noi confidiamo si aggiungeranno presto altre regioni. Certamente l'effetto non può essere immediato né abbiamo inviato i militari a Napoli. È evidente che per risolvere il problema dei rifiuti nel suo complesso sono necessari gli interventi, che molti dei colleghi hanno anche sollecitato in questa discussione: innanzitutto un incremento significativo della raccolta differenziata (ciò serve a limitare le quantità dei rifiuti prodotti), la realizzazione degli impianti intermedi (a questo scopo con l'ultimo provvedimento abbiamo stanziato ben 150 milioni di euro) e la realizzazione degli impianti in grado di trasformare i rifiuti in energia e cioè i termovalorizzatori.
È chiaro che nelle more della realizzazione degli impianti devono essere individuati ed aperti in Campania altri siti di smaltimento, ovvero delle discariche. Per attivare questo processo esistono risorse adeguate, che sono state assegnate alla Campania, e sono stati conferiti dei poteri commissariali appropriati per velocizzare le procedure. Nel provvedimento definiamo ulteriormente queste procedure in modo da sollecitare ancor di più l'attivazione delle stesse discariche. Quindi non è vero quanto sosteneva l'onorevole Realacci e cioè che, in base al comma 2 dell'articolo 1 di questo decreto-legge, dovremo rinominare i commissari. Semplicemente vengono meglio definiti i poteri di velocizzazione delle procedure.
L'alternativa a questo decreto - colleghi e colleghe - sarebbe stata solo una nuova dichiarazione dello stato d'emergenza. So che molti colleghi sollecitano questo tipo di intervento, però faccio presente che una nuova emergenza in Campania incontrerebbe serissimi ostacoli da parte dell'Europa. Ricordiamoci di essere già stati condannati per la Campania, abbiamo appena presentato un piano per il corretto ciclo dei rifiuti in Campania, quindi riaprire nuovamente lo stato d'emergenza significherebbe dovere chiedere all'Europa deroghe che non ci consentirebbe. Tuttavia, credo che una dichiarazione dello stato d'emergenza segnerebbe una nuova sconfitta per la classe dirigente campana a tutti i livelli di governo. Credo che a Napoli e alla Campania vada data invece la possibilità di dimostrare, con tutto il sostegno del Governo, di essere in grado di affrontare e finalmente di risolvere il problema dei rifiuti.
Ma la situazione contingente non consentiva rinvii, e non intervenire per superare questa fase di crisi avrebbe potuto infatti innescare rischi per la salute pubblica che il Governo non può certo sottovalutare, quindi l'intervento, un intervento specifico, mirato e urgente era assolutamente necessario. L'unica soluzione, in assenza di disponibilità di conferimento nel territorio regionale ed in particolare in quello della provincia di Napoli, era dare la possibilità alla Campania di derogare temporaneamente al divieto di trasferire i rifiuti fuori della regione senza attendere i tempi necessari per espletare la complessa procedura di coinvolgimento della Conferenza Stato-regioni.
Non è vero quello che diceva l'onorevole Zinzi, che pure è presidente di una provincia importante (Caserta) che sta offrendo la sua solidarietà in questo momento alla provincia di Napoli, che questo era già possibile senza il passaggio in Conferenza Stato-regioni, con accordi bilaterali tra regioni, altrimenti non avremmo fatto questo provvedimento. Per poter derogare ai vincoli previsti dal Codice ambientale e per poter fare accordi interregionali e smaltire fuori dalla regione Pag. 28è necessario che vi siano alcune condizioni di partenza, che oggi la Campania non ha. Il Governo nello stesso tempo non ha ritenuto di dover escludere completamente un qualsiasi coinvolgimento delle regioni di destinazione alle quali chiediamo un gesto di solidarietà.
Per questo si è deciso di prevedere un semplice e celere nulla osta che consenta quantomeno a queste ultime di essere partecipi, anche al fine di valutare le modalità e l'entità dei conferimenti che riguardano il proprio territorio. Ricordiamoci che la gestione dei rifiuti urbani è una competenza delle regioni, e quindi è quantomeno doveroso che una regione sia informata di un quantitativo di rifiuti urbani, pure tritovagliati, che arrivano da altre regioni, altrimenti salterebbe totalmente la pianificazione della regione. Credo che tanto era stato chiesto al Governo e tanto il Governo responsabilmente ha fatto.
Il nodo dei rifiuti ovviamente resta, e credo che la classe dirigente campana debba impegnarsi tutta, a fondo, diversamente dal passato, mettendo da parte le divisioni politiche perché il problema non può essere rinviato nel tempo. Credo che oggi ci siano le condizioni per poter finalmente realizzare le quattro cose che tutti reclamiamo e che sappiamo essere alla base della risoluzione del problema dei rifiuti in Campania. Non poteva essere e non può certo ritenersi il trasferimento fuori dalla regione una soluzione. Se noi continuiamo a mettere pezze e ad allungare la possibilità di risolvere il problema dello smaltimento dei rifiuti della Campania fuori dalla regione non aiutiamo la Campania a trovare all'interno della sua ragione quelle soluzioni che tutte le altre regioni hanno adottato.
Oggi è intervenuta un'ordinanza del Consiglio di Stato che di fatto sospende gli effetti di quella sentenza del TAR Lazio a seguito dell'intervento di una società di smaltimento pugliese per la quale poi è nato questo provvedimento; di fatto - tramite la sentenza del TAR Lazio - si sospendeva il trasferimento dei rifiuti in parte lavorati ma non chimicamente stabilizzati attraverso il cambio del codice, quindi attraverso la procedura dello smaltimento dei rifiuti speciali.
Il Governo si riserva, ovviamente, di valutare gli effetti di questa sospensione che, quindi, non è una decisione di merito, la quale, invece, è stata rinviata al 6 dicembre. Eventualmente, valuteremo se è il caso di riconsiderare la formulazione del primo comma. Abbiamo l'opportunità, domani mattina, in sede di Comitato dei nove, di riconsiderare anche tutti gli emendamenti che sono stati un po' frettolosamente valutati in Commissione. Ci riserviamo, quindi, di venire, poi, in Aula, almeno noi del Governo e la maggioranza, ma ci auguriamo tutto il Comitato dei nove, con una valutazione e avendo rivisto e un po' approfondito gli effetti dell'ordinanza del Consiglio di Stato (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Organizzazione dei tempi di discussione dei disegni di legge di ratifica.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione dei disegni di legge di ratifica nn. 4142, 4143, 4192, 4201, 4388, 4373, 4374, 4433 e 4470.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati all'esame dei disegni di legge di ratifica all'ordine del giorno è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

Discussione del disegno di legge: Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo dello Stato del Qatar sulla cooperazione nel settore della difesa, fatto a Doha il 12 maggio 2010 (A.C. 4142) (ore 18,30).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo Pag. 29della Repubblica italiana ed il Governo dello Stato del Qatar sulla cooperazione nel settore della difesa, fatto a Doha il 12 maggio 2010.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 4142)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che la III Commissione (Affari esteri) si intende autorizzata a riferire oralmente.
L'onorevole Narducci, vicepresidente della Commissione affari esteri, ha facoltà di svolgere la relazione in sostituzione del relatore.

FRANCO NARDUCCI, Vicepresidente della III Commissione. Signor Presidente, l'Accordo tra Italia e Qatar, siglato un anno fa, è oggetto di esame in una fase significativa del ruolo politico e diplomatico svolto da tale Paese, a partire dal tentativo di mediazione della crisi politica libanese avviato alla fine del 2010. Il Qatar, maggiore alleato degli Stati Uniti d'America nella regione, collabora fattivamente con la NATO nell'Iniziativa di Istanbul ed ha assunto un ruolo significativo nel quadro della missione militare in Libia, alla quale contribuisce fin dall'inizio con proprie forze aeree.
Inoltre, truppe del Qatar, seppure con un piccolo contingente, partecipano alla forza militare del Consiglio di cooperazione del Golfo, intervenuta nel Bahrein a fronte delle proteste della maggioranza sciita contro la locale dinastia sunnita. Il nuovo ruolo del Qatar ha trovato riconoscimento nella nomina a Presidente dell'Assemblea generale dell'ONU dell'ambasciatore Nasser Al-Nasser, diplomatico di notevole esperienza, impegnato a favore del dialogo tra le civiltà e del raggiungimento degli obiettivi di sviluppo del millennio. Proprio nei giorni scorsi, tra l'altro, il Qatar ha lanciato un programma speciale per promuovere la conoscenza, da parte degli imam, degli standard internazionali in tema di diritti umani, con particolare attenzione alla discriminazione di genere e ad una lettura illuminata dei testi sacri. Peraltro, l'emiro del Qatar, massima carica istituzionale del Paese, è stato in visita in Italia nei mesi scorsi al fine di incrementare le relazioni politiche e commerciali con il nostro Paese.
Per tutti questi motivi, non può sfuggire il rilievo politico-strategico dell'Accordo in esame. Quanto ai contenuti dell'Accordo stesso, richiamando in particolare l'articolo 3, esso contempla i seguenti settori: la cooperazione, le politiche degli appalti nel settore militare, l'importazione, esportazione e trasporto di armi conformemente alle rispettive normative nazionali, la partecipazione ad operazioni umanitarie di peacekeeping, l'ottemperanza ai trattati internazionali in materia di sicurezza, difesa e controllo degli armamenti, l'organizzazione e l'equipaggiamento delle unità militari, come anche il relativo addestramento e formazione, l'impatto ambientale provocato dalle attività militari, gli sport militari.
Tra le forme attraverso cui strutturare la cooperazione si prevede lo scambio di know-how tra le Parti, come anche la partecipazione reciproca all'attività di formazione ed esercitazione. È prevista altresì la visita a navi da guerra, aerei ed altre installazioni militari, come anche lo scambio di attività culturali e sportive.
Assai importante appare l'articolo 5, dedicato allo scambio di armamenti in base al quale si potrà procedere allo scambio di materiali bellici, armi e munizioni, che potrà essere attuato sia con modalità diretta da Paese a Paese, sia previa autorizzazione rilasciata ad aziende private dai rispettivi Governi. La norma di cui all'articolo 5 non è tuttavia equiparabile a quelle previste dalle cosiddette apposite intese governative, contemplate dall'articolo 9 della legge n. 185 del 1990, che disciplina l'esportazione di materiali da armamento.
Quanto agli oneri, si autorizza ad anni alterni e con decorrenza dal 2011 la spesa di 12.245 euro mila annui disponendo che l'onere sia coperto mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto Pag. 30ai fini del bilancio 2011-2013 nell'ambito del programma Fondi di riserva speciali e della missione Fondi da ripartire dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, con parziale utilizzazione dell'accantonamento relativo al Ministero degli affari esteri.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

LUCA BELLOTTI, Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali. Signor Presidente, il Governo si riserva di intervenire in sede di replica.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Evangelisti. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signora Presidente, è difficile non ripetersi in queste occasioni e quindi chiedo scusa in anticipo ai colleghi e a lei, perché devo anch'io sottolineare come l'Italia e il Qatar attraverso questa intesa intendano rafforzare ancor più i già buoni rapporti da tempo avviati.
Quello al nostro esame oggi è un Accordo di cooperazione in materia di difesa, ma va ricordato che con questo Paese arabo abbiamo già stipulato altri accordi: uno sull'eliminazione delle doppie imposizioni fiscali e l'altro, proprio il mese scorso, lo abbiamo ratificato in materia di cooperazione culturale. La ratifica di questo Accordo di cooperazione nel campo della difesa consentirà, speriamo consentirà, al nostro Paese, di consolidare ancor più i rapporti di amicizia e collaborazione con un Paese importante dal punto di vista soprattutto geopolitico, ma anche economico perché no, soprattutto dopo i fatti che dall'inizio dell'anno hanno sconvolto e ancora sconvolgono sia il Maghreb che il Mashrek, ma che ancora si può dire come Paese lontano dalla democrazia, almeno nell'accezione che comunemente ne diamo in Occidente. Va detto tuttavia che probabilmente, mentre il Medio Oriente esplode in cerca di libertà e democrazia, questo Paese, il Qatar, potrebbe essere il primo a raggiungerla senza spargimento di sangue.
Tra l'altro questo è anche il Paese dov'è nata ed ha sempre più influenza un'emittente TV, Al Jazeera, che abbiamo imparato a conoscere e che ha costantemente gli occhi puntati sul mondo, purtroppo un po' meno sul Qatar stesso, e dove tra 11 anni si svolgeranno i mondiali di calcio e diventerà una vetrina mondiale e diventa sin da ora un osservato speciale. Lo Stato del Qatar, come già detto e ricordato, ha assunto una posizione centrale dall'inizio della cosiddetta primavera araba, nel contesto dei Paesi arabi, perché svolge un ruolo da protagonista nella crisi libica e ha contribuito in maniera determinante insieme ad altri membri del consiglio di cooperazione del Golfo a convincere la Lega araba ad appoggiare l'imposizione di una no fly zone in Libia. Il Qatar è stato il primo Stato arabo ad avere garantito il proprio sostegno in Libia a fianco del Regno Unito, della Francia e anche del nostro Paese, poi sotto le insegne della Nato. Tuttavia dobbiamo ricordare che non è soltanto il contesto libico a vedere impegnato il Qatar.
Infatti nel contingente di forze di Paesi arabi dispiegate nella piccola monarchia - parlo del Bahrein, in questo caso - sono presenti anche truppe qatariote, con l'obiettivo di bloccare le proteste della maggioranza sciita contro la dinastia sunnita e ristabilire l'ordine e la sicurezza.
Inoltre il Qatar è stato il primo Paese arabo a riconoscere il consiglio nazionale transitorio come legittimo rappresentante del popolo libico e attualmente partecipa alla missione militare, seppur con un apporto puramente simbolico in termini di uomini e mezzi. Né va dimenticato che il Qatar è diventato indipendente il 3 settembre 1971, quindi ormai si avvia a festeggiare i quarant'anni dall'indipendenza.
Nel merito del contenuto dell'Accordo al nostro esame, vi è da dire che intende favorire lo sviluppo della cooperazione bilaterale, con lo scopo di consolidare le rispettive capacità difensive e migliorare la comprensione reciproca sulle questioni della sicurezza. Dunque, il tema di questo Accordo è la sicurezza e la politica di Pag. 31difesa. Quindi si parla di import-export di armamenti, secondo quanto ribadito, per quel che ci riguarda, dalle disposizioni della legge n. 185 del 1990. Si parla in questo Accordo di scambi di esperienza acquisita in operazioni umanitarie di peacekeeping, di formazione militare, di conformità ai trattati internazionali nel settore della difesa, della sicurezza e del controllo delle armi, di diritto ambientale e di inquinamento possibile causato dalle attività militari stesse.
Tra l'altro, come già evidenziato dal relatore - e ho concluso, signor Presidente - la sottoscrizione di accordi bilaterali come questo rappresenta anche una parallela azione stabilizzatrice soprattutto in una regione, qual è quella del Golfo, dall'assoluto valore strategico e futuro probabile ponte diplomatico ed economico con l'Iran, soprattutto in considerazione dei comuni interessi e degli impegni assunti nella regione.
Voglio soltanto concludere sottolineando, come abbiamo avuto modo di fare come gruppo dell'Italia dei Valori in Commissione difesa, che è stato varato un parere dalla Commissione difesa stessa che pone un'osservazione alla Commissione di merito: valuti - era questa l'osservazione - che siano stipulate apposite intese intergovernative, che indichino con precisione il contenuto delle operazioni ai sensi del traffico delle armi regolate dalla legge n. 185 del 1990. Questo rilievo e questa osservazione volevo che risuonassero anche nell'Aula di Montecitorio.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pianetta. Ne ha facoltà.

ENRICO PIANETTA. Signor Presidente, obiettivo di questo Accordo tra Italia e Qatar è lo sviluppo della cooperazione bilaterale nel settore della difesa tra le Forze armate dei due Paesi, con l'intento di promuovere e migliorare la reciproca comprensione nel settore appunto della difesa, quindi rafforzare le capacità difensive attraverso il consolidamento della cooperazione fra i due Ministeri della difesa.
A premessa dell'Accordo le due Parti confermano il proprio impegno al rispetto della Carta delle Nazioni Unite e questo quadro di riferimento e questo richiamo sono importanti perché qualificano l'Accordo, volto alla promozione della sicurezza internazionale. Ciò è vero in particolare considerando che questi obiettivi e queste azioni stabilizzatrici si svolgono principalmente, data l'ubicazione geografica dei due Paesi, in una regione di particolare valore strategico, quale il Mediterraneo e l'area del Golfo. Entrambi i Paesi svolgono un'azione diplomatica e operativa molto intensa. Non è sfuggita a nessuno, come il relatore del resto ha evidenziato, l'intensa attività diplomatica dell'Emiro del Qatar sia per la crisi libanese sia per la crisi libica e del Bahrein, come pure l'attiva, seppur limitata, partecipazione militare. La Presidenza all'Assemblea generale delle Nazioni Unite affidata al Qatar è testimonianza di questa attività e dell'impegno di questo Paese nell'ambito dei rapporti internazionali. I rapporti tra i nostri due Paesi sono ottimi e consolidati anche dalla visita che lo stesso Emiro del Qatar ha svolto in Italia.
Questo Accordo non può che rafforzare tale rapporto positivo tra i due Paesi e va, quindi, visto molto positivamente. Esso consente di promuovere attività di formazione militare e di addestramento, partecipazione ad esercitazioni e scambio di attività e pubblicazioni informative, scambio di armamenti e di know-how. Quest'ultimo aspetto è definito dall'articolo 5, che riporta l'elenco e le modalità che possono avvenire in via diretta da Paese a Paese, oppure previa autorizzazione rilasciata ad aziende private dai rispettivi due Governi.
Per quanto riguarda i materiali, rilevo che al punto c) sono menzionate le mine. Quello delle mine è un argomento particolarmente delicato e auspico che sia gestito con tutta l'attenzione e nell'ambito delle normative internazionali che sono state sottoscritte dai due Paesi.
Concludo, preannunciando il voto favorevole del gruppo del Popolo della Libertà, perché questo Accordo certamente Pag. 32contribuirà a rafforzare i vincoli politici e strategici tra Italia e Qatar in materia di sicurezza in un'area così strategica per la pace mondiale, ma sarà anche nella condizione di offrire e produrre effetti positivi anche in settori produttivi e commerciali dei nostri due Paesi.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 4142)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare, in sostituzione del relatore, l'onorevole Narducci, Vicepresidente della Commissione affari esteri.

FRANCO NARDUCCI, Vicepresidente della III Commissione. Signor Presidente, mi riservo di intervenire nel prosieguo del dibattito.

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

LUCA BELLOTTI, Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali. Signor Presidente, anch'io mi riservo di intervenire nel prosieguo del dibattito.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione del disegno di legge: Ratifica ed esecuzione del Protocollo emendativo della Convenzione del 1988 tra gli Stati membri del Consiglio d'Europa ed i Paesi membri dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico - OCSE - sulla reciproca assistenza amministrativa in materia fiscale, fatto a Parigi il 27 maggio 2010 (A.C. 4143) (ore 18,50).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Ratifica ed esecuzione del Protocollo emendativo della Convenzione del 1988 tra gli Stati membri del Consiglio d'Europa ed i Paesi membri dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico - OCSE - sulla reciproca assistenza amministrativa in materia fiscale, fatto a Parigi il 27 maggio 2010.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 4143)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che la III Commissione (Affari esteri) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, onorevole Barbi, ha facoltà di svolgere la relazione.

MARIO BARBI, Relatore. Signor Presidente, il Protocollo in discussione emenda la Convenzione sulla mutua assistenza amministrativa in materia fiscale, conclusa sotto l'egida dell'OCSE nel 1988, con l'obiettivo di fornire alle amministrazioni fiscali degli Stati membri strumenti più efficaci per il contrasto dell'evasione a livello nazionale ed internazionale. Il nostro Paese ha ratificato la Convenzione nel 2005.
Il Protocollo emendativo si è reso necessario al fine di allineare il testo della Convenzione allo standard dell'OCSE attualmente in uso in materia di trasparenza e di scambio di informazioni.
Gli articoli iniziali del Protocollo prevedono rispettivamente alcune modifiche al preambolo della Convenzione (articolo 1) e precisazioni sull'ambito di applicazione dello scambio di informazioni effettuato ai sensi della Convenzione (articolo 2), nonché sul livello di dettaglio necessario per le richieste di informazioni (articolo 3).
Per quanto riguarda l'adeguamento allo standard internazionale in materia di scambio di informazioni, il Protocollo dispone che il segreto bancario ed il requisito dell'interesse fiscale nazionale non Pag. 33possano essere invocati a fondamento del rifiuto di scambiare informazioni a fini fiscali (articolo 5).
Il Protocollo prevede espressamente che gli Stati membri dell'Unione europea e Parti nella Convenzione possano applicare, nelle reciproche relazioni, le disposizioni convenzionali ogni qual volta esse consentano una cooperazione più ampia rispetto alle possibilità offerte dalle norme applicabili dell'Unione europea (articolo 7).
Per quanto concerne gli aspetti tecnico-finanziari derivanti dall'entrata in vigore del Protocollo sul piano interno, si rappresenta che si avranno senza dubbio vantaggi per il bilancio dello Stato relativi ad un maggiore introito fiscale. La lotta all'evasione fiscale in campo internazionale disporrà, infatti, di ulteriori strumenti di conoscenza sui conti correnti e sulle situazioni bancarie presenti nei Paesi aderenti.
Il Protocollo prevede, in particolare, una più ampia assistenza amministrativa in materia fiscale nel rispetto della sovranità nazionale e dell'adeguata tutela dei diritti dei contribuenti, garantendo, nel contempo, un'estesa protezione della riservatezza delle informazioni scambiate.
Segnalo che alla Convenzione, così come emendata dal Protocollo in oggetto, potranno aderire anche Stati che non aderiscono né all'OCSE né al Consiglio d'Europa.
Il disegno di legge di ratifica non contiene la clausola di copertura finanziaria, poiché, come è attestato nella dichiarazione allegata alla relazione illustrativa, esso rientra nella categoria dei disegni di legge di ratifica di accordi che non prevedono nuove spese o istituzione di nuovi uffici.

PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire in sede di replica.
È iscritto a parlare l'onorevole Evangelisti. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, la Convenzione sulla mutua assistenza amministrativa in materia fiscale, di cui stiamo parlando, è di fatto un trattato multilaterale, entrato in vigore il 1o aprile 1995, e concluso, come ricordava il relatore, sotto l'egida dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), nell'ambito del Consiglio di Europa.
L'Italia è parte di questa Convenzione, il cui obiettivo è la promozione della cooperazione amministrativa in materia fiscale in tutte le sue forme, dallo scambio di informazioni, all'assistenza e al recupero dei crediti di natura tributaria, al fine di intensificare la lotta all'evasione e all'elusione fiscale in ambito internazionale.
Oggi, però, nello specifico, al nostro esame vi è il Protocollo di modifica di quella Convenzione, anche in funzione del recepimento del suo contenuto sul piano interno, cosa che si rende necessaria al fine di allineare il testo della Convenzione agli standard OCSE attualmente in uso in materia di trasparenza e di scambio di informazioni.
Il Protocollo di cui stiamo discutendo definisce, altresì, il rapporto tra lo strumento convenzionale e il diritto dell'Unione europea e prevede espressamente che gli Stati membri dell'Unione europea e parti della Convenzione possano applicare, nelle reciproche relazioni, le disposizioni convenzionali ogni qualvolta esse consentano una cooperazione più ampia rispetto alle possibilità offerte dalle norme applicabili dell'Unione europea.
Inoltre, questo Protocollo consente di aprire la Convenzione all'adesione di Stati non membri dell'OCSE, né componenti del Consiglio d'Europa, prevedendo un'apposita procedura in tal senso, che richiede, al momento necessario, l'espressione di un parere favorevole all'adesione di uno Stato terzo da parte degli Stati membri della Convenzione.
Altri Paesi membri dell'OCSE e del Consiglio d'Europa - alcuni dei quali fanno parte del G20 - hanno espresso l'intenzione di aderire alla Convenzione, che, dunque, è stata aperta all'adesione anche di Stati non membri. Pag. 34
I Paesi in via di sviluppo potranno anch'essi diventare parti contraenti di questa Convenzione una volta emendata, e avvalersi dei vantaggi derivanti dal nuovo contesto di cooperazione fiscale basato su una maggiore trasparenza.
Il relatore ha già illustrato dettagliatamente il contenuto del Protocollo e a me non resta che anticipare il voto favorevole del gruppo dell'Italia dei Valori su questa ratifica.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pianetta. Ne ha facoltà.

ENRICO PIANETTA. Signor Presidente, questo Protocollo emendativo alla Convenzione in materia fiscale del 1988, stipulato tra i Paesi aderenti all'OCSE e al Consiglio d'Europa, si è reso necessario al fine di migliorare le modalità operative e così intensificare la lotta all'evasione e all'elusione fiscale in ambito internazionale.
L'applicazione della Convenzione del 1988 così emendata potrà offrire vantaggi per il bilancio dello Stato italiano con un prevedibile ed auspicabile maggiore introito fiscale.
Come è riportato nella relazione del disegno di legge, infatti, da tali obiettivi possono verosimilmente attendersi effetti positivi per l'erario con riguardo all'efficacia dell'attività di accertamento espletata dall'amministrazione finanziaria, consentendo l'emersione di maggiore base imponibile e andando in definitiva a configurare per l'erario italiano un potenziale recupero di gettito non quantificabile. Quindi, tutto questo ben si inserisce nel contesto delle norme nazionali finalizzate al contrasto dell'evasione e dell'elusione fiscale.
Vorrei anche sottolineare il fatto che, oltre ai Paesi dell'OCSE del Consiglio d'Europa, potranno aderire a questo Protocollo anche altri Paesi secondo modalità definite nel Protocollo stesso. Penso, ad esempio, ad alcuni paesi del G20 e anche a Paesi in via di sviluppo, che potranno avere vantaggi derivanti da una reciproca collaborazione, e anche noi ne potremo trarre dei benefici.
A tale riguardo, desidero anche sottolineare la positiva soppressione dell'articolo 19 della Convenzione, che prevedeva la possibilità che uno Stato potesse rifiutare una richiesta di assistenza.
Resta, in ogni caso, salvaguardata la tutela della persona in questo settore, nel senso che nessuna disposizione di questo provvedimento può essere interpretata nel senso di limitare i diritti e le garanzie concesse alle persone dalla legislazione o dalla prassi amministrativa dello Stato richiesto.
Dunque, si tratta di un testo equilibrato, ma senz'altro più incisivo per contrastare l'evasione fiscale internazionale.
In questo senso preannuncio, anche a questo riguardo, il voto favorevole del gruppo del Popolo della Libertà.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 4143)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, onorevole Barbi.

MARIO BARBI, Relatore. Signor Presidente, rinuncio.

PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo dell'esame del provvedimento.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione del disegno di legge: Ratifica ed esecuzione dell'Accordo quadro di partenariato globale e cooperazione tra la Comunità europea e i suoi Stati membri, da una parte, e la Repubblica di Indonesia dall'altra, con Atto finale, fatto a Giacarta il 9 novembre 2009 (A.C. 4192) (ore 18,55).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Ratifica ed esecuzione dell'Accordo quadro di partenariato Pag. 35globale e cooperazione tra la Comunità europea e i suoi Stati membri, da una parte, e la Repubblica di Indonesia dall'altra, con Atto finale, fatto a Giacarta il 9 novembre 2009.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 4192)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che la III Commissione (Affari esteri) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il vicepresidente della Commissione affari esteri, onorevole Narducci, ha facoltà di svolgere la relazione in sostituzione della relatrice, onorevole Biancofiore.

FRANCO NARDUCCI, Vicepresidente della III Commissione. Signor Presidente, l'Indonesia, con una crescita demografica enorme ed una notevole avanzata economica, svolge ormai un ruolo di potenza e cerca di rappresentare, sia pure tra difficoltà ed incertezze, un modello di coesistenza tra democrazia, Islam e modernità.
L'Unione europea guarda con molto interesse al rafforzamento della collaborazione con Giacarta con cui intende stabilire una partnership strategica volta a promuovere la stabilità politica e la salvaguardia dei diritti umani nella regione e ad affrontare congiuntamente le grandi sfide globali.
L'Accordo quadro di partenariato globale e cooperazione va in questa direzione ed è destinato a fornire un nuovo quadro giuridico di riferimento, fissando una serie di importanti impegni in tema di rispetto dei diritti umani ed una serie di obblighi in materia di lotta al terrorismo ed alla proliferazione delle armi di distruzione di massa. Sappiamo tutti che in Indonesia in passato ci sono stati gravi atti di attentati terroristici.
Al tempo stesso, l'intesa pone le basi per rafforzare il dialogo euro-indonesiano in numerosi settori a partire da quello della cooperazione. Si tratta del primo Accordo di partenariato siglato con un Paese dell'area ASEAN (Associazione delle nazioni dell'Asia sudorientale) ed è auspicio condiviso a livello comunitario che il rafforzamento dei vincoli con Giacarta possa consentire non soltanto di ampliare l'influenza europea in un'area tradizionalmente orientata alla Cina ed agli Stati Uniti, ma che l'Accordo possa funzionare come modello di riferimento per gli altri paesi della regione.
L'Accordo prevede la creazione di un fondo denominato «EU Economic cooperation facility» allo scopo di facilitare le relazioni commerciali e di ridurre le numerose misure protezionistiche indonesiane (soprattutto barriere non tariffarie), che penalizzano le esportazioni dei paesi dell'Unione europea.
Per quanto attiene più specificamente alle relazioni italo-indonesiane, esse sono eccellenti e sono segnate da una fase di forte dinamismo. L'Indonesia ha altresì appoggiato la candidatura di Milano ad ospitare l'Expo 2015.
Nel marzo 2009 è stato firmato un memorandum d'intesa che pone le premesse per l'approfondimento della cooperazione politica.
Venendo ai contenuti dell'Accordo, che è stato illustrato nel dettaglio in sede referente, esso si compone di 50 articoli organizzati in sette titoli che investono quattro aree di cooperazione prioritarie: commercio e investimenti, ambiente e cambiamento climatico, istruzione e cultura, diritti umani e democrazia.
Le disposizioni istituzionali di cui al Titolo VI prevedono, tra l'altro, l'istituzione di un comitato misto con incontri biennali, che avrà il compito di garantire la corretta attuazione dell'Accordo, di definire le priorità d'azione da perseguire e di risolvere le eventuali controversie connesse all'applicazione o all'interpretazione dell'Accordo.
Le maggiori spese che deriveranno dall'attuazione della cooperazione rafforzata nei settori identificati dall'Accordo nonché dall'organizzazione dei nuovi dialoghi settoriali e delle riunioni del comitato misto saranno interamente coperte, per quanto concerne l'Unione europea, dal bilancio Pag. 36comunitario. Pertanto, non si evincono ulteriori oneri finanziari a carico degli Stati membri.
Mi preme, infine, evidenziare che dalla formulazione dell'Accordo non si evincono, appunto, oneri finanziari a carico del nostro Paese.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

LUCA BELLOTTI, Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali. Signor Presidente, mi riservo di intervenire in sede di replica.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Evangelisti. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signora Presidente, come è stato già ricordato, l'Indonesia rappresenta un partner importante per il nostro Paese, sia sotto il profilo politico sia sotto quello economico. Ma è altrettanto apprezzato il suo proficuo impegno a favorire il dialogo interreligioso e nel contrastare ogni forma di fondamentalismo.
Proprio da qualche mese l'Indonesia, tra l'altro, ha la Presidenza di turno dell'ASEAN e si sta già adoperando per la soluzione del conflitto tra Cambogia e Thailandia, con la decisione di inviare degli osservatori nelle zone di confine contese tra i due Paesi che hanno raggiunto almeno il traguardo della stipula di un accordo preliminare volto a ripristinare, quanto prima, i negoziati bilaterali e ad accettare l'intervento, appunto, dell'Indonesia come sostegno nei compiti di risoluzione pacifica delle controversie.
Insomma, questo è un Paese che sembra sappia bene operare per il progresso della stabilizzazione regionale, con particolare riguardo alla soluzione di alcune crisi come quella della Birmania in cui sembra ultimamente aprirsi un qualche spiraglio.
In questa ottica è, dunque, certamente auspicabile che l'Unione europea si adoperi con maggiore impegno nel favorire il dialogo euroasiatico. Come già evidenziato dal vicepresidente della Commissione, è stato anche approvato recentemente il disegno di legge di ratifica del memorandum per l'istituzione a Milano di un centro per lo sviluppo degli investimenti indonesiani in Italia, in attesa che sia presto possibile aprirne anche uno italiano a Giacarta, soprattutto se consideriamo il consistente tasso di crescita dell'economia di quel Paese - la realtà indonesiana - e il conseguente incremento dell'interscambio bilaterale che ha caratterizzato l'ultimo anno.
Il disegno di legge al nostro esame ci consente, dunque, di rafforzare i rapporti di collaborazione tra i due Paesi, oltre che con quelli degli altri Paesi europei, con questo Accordo destinato non solo a modificare il quadro giuridico di riferimento della cooperazione bilaterale - direi finalmente all'interno di una ratifica - ma anche a prevedere impegni vincolanti in materia di tutela dei diritti umani.
Con l'articolo 4, infatti, le parti si impegnano a collaborare per le questioni attinenti allo sviluppo dei rispettivi sistemi giuridici e anche nei preparativi per la ratifica e l'applicazione degli strumenti internazionali sui diritti umani, quali la Convenzione per la prevenzione e la repressione del genocidio e lo Statuto di Roma, istitutivo della Corte penale internazionale.
Sostanzialmente, il provvedimento che ci accingiamo a ratificare si riferisce a quattro aree di cooperazione: la prima, commercio e investimenti; la seconda, ambiente e cambiamento climatico; la terza, istruzione e cultura; la quarta, diritti umani e democrazia, nonché l'avvio della cooperazione sia in una serie di settori di mutuo interesse sia nella gestione di dossier globali, quali il contrasto al terrorismo e alla criminalità transnazionale.
Interessante, però, è anche ciò che prevede l'articolo 3 di questo Accordo, che impegna le parti a cooperare nella lotta alla proliferazione delle armi di distruzione di massa attraverso l'attuazione degli obblighi assunti nell'ambito dei trattati Pag. 37e degli accordi internazionali sul tema, nonché di quelli sanciti dalla Carta delle Nazioni Unite.
Insomma, Unione europea e Indonesia adotteranno le misure necessarie per la firma, la ratifica, l'adesione - a seconda dei casi - e la piena applicazione di tutti gli altri strumenti internazionali pertinenti. Le parti, infatti, convengono che tale disposizione costituisca un elemento fondamentale di questo Accordo.
Per questi motivi, non abbiamo difficoltà, come gruppo dell'Italia dei Valori, a preannunciare un voto favorevole alla ratifica di questo Accordo.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Barbi. Ne ha facoltà.

MARIO BARBI. Signor Presidente, noi del gruppo del Partito Democratico siamo favorevoli - e lo dico subito - alla ratifica di questo Accordo di partenariato globale tra l'Europa e la Repubblica di Indonesia, Accordo i cui contenuti sono stati illustrati dal relatore, e a questa illustrazione mi rifaccio.
Sottolineo soltanto che l'Unione europea, stipulando questo Accordo, mostra almeno di comprendere le necessità di svolgere un ruolo a livello globale in un'area centrale per il futuro del mondo.
Spenderò qualche parola per indicare le ragioni per le quali consideriamo la ratifica dell'Accordo un fatto politico di rilievo e non un mero fatto formale. Queste ragioni sono sostanzialmente tre: il rilievo dell'Indonesia, il suo ruolo nel sud-est asiatico e la sollecitazione che ne viene al nostro Paese dall'intensificare i rapporti bilaterali.
Per quanto concerne il primo punto, ricordo che l'Indonesia ha quasi 250 milioni di abitanti - il 90 per cento musulmani e l'8 per cento cristiani - distribuiti in un arcipelago di oltre 13 mila isole, che collegano idealmente India, Indocina, Cina, Filippine e Australia.
L'Indonesia - dicevo - è una potenza regionale importante e un modello - è stato ricordato - di coesistenza tra democrazia e Islam. Dunque, è un fatto notevole che l'Unione europea abbia posto le premesse per rafforzare la collaborazione con questo Paese, con la partnership strategica volta a promuovere stabilità politica, salvaguardia dei diritti umani nella regione e ad affrontare congiuntamente le sfide globali. Questo Accordo di cooperazione, a giudizio di entrambe le parti, segna l'inizio di una nuova era nelle relazioni bilaterali.
L'intesa prevede giustamente un'ambiziosa parte politica - gli impegni vincolanti in materia di diritti umani e gli obblighi in materia di lotta al terrorismo e alla proliferazione di armi di distruzione di massa sono stati ricordati da un collega prima di me - e pone le basi per l'approfondimento del dialogo in numerosi settori e l'avvio di numerosi e nuovi programmi di cooperazione.
Per quanto concerne il secondo punto, con questo Accordo l'Europa riconosce una convergenza di interessi con l'Indonesia e la sua importanza geopolitica ed economica. L'Indonesia è membro dell'ASEAN - di cui fanno parte Thailandia, Singapore, Indonesia, Filippine, Malesia e Brunei - e ne detiene attualmente la Presidenza. È evidente che l'Indonesia può svolgere in tale rete di rapporti un ruolo rilevante, nel senso del dialogo interreligioso, dell'evoluzione democratica, dei diritti umani e della lotta al terrorismo.
Tra questi Paesi, l'Indonesia è stata la prima ad avere concluso un accordo con l'Unione europea e, dal punto di vista europeo, vi è l'attesa di migliorare l'insieme delle relazioni con i Paesi del sud-est asiatico.
Allo stesso tempo, per l'Indonesia l'Accordo può rappresentare una risorsa per diversificare i propri legami, considerati il peso e la forza di attrazione esercitata in tutta l'area da Cina e Stati Uniti. Quindi, un ampliamento della presenza europea potrebbe essere nell'interesse degli stessi Paesi dell'ASEAN e il Consiglio europeo ha infatti autorizzato la Commissione a negoziare analoghi accordi con gli altri Paesi dell'Associazione delle nazioni dell'Asia sudorientale e anche ad aggiornare l'Accordo di partenariato con il Vietnam. Pag. 38
Per quanto concerne il terzo e ultimo punto, la volontà delle autorità indonesiane di approfondire il dialogo con l'Europa va di pari passo con il potenziamento delle relazioni bilaterali con l'Italia che, da alcuni anni, attraversano una fase di forte dinamismo. Da parte italiana vi è interesse a fare dell'Indonesia un partner con cui promuovere, a livello mondiale, alcuni importanti temi quali la convivenza e il dialogo multireligioso.
Nel marzo 2009 - lo ricordo - è stato firmato un memorandum d'intesa che pone le premesse per l'approfondimento della cooperazione politica.
Ricordo anche che l'avvio della procedura di ratifica dell'Accordo in Commissione era stato preceduto da un incontro con una folta delegazione di parlamentari del Parlamento indonesiano, che aveva sottolineato uno spiccato interesse ai rapporti con il nostro Paese.
In quell'occasione si era anche espresso l'auspicio che l'Indonesia potesse esercitare un ruolo nella soluzione delle crisi regionali, sono state ricordate quella della Birmania, della Thailandia e della Cambogia.
Sotto il profilo bilaterale nei rapporti con l'Indonesia, in particolare in ambito economico e commerciale, per l'Italia ci sono grandi possibilità ma anche molto da fare. Ricordo che l'interscambio con l'Indonesia è tuttora modesto - 2,4 miliardi di euro nel 2008, con un deficit di oltre un miliardo per l'Italia - e che l'interscambio Italia-Indonesia è tuttavia una piccola frazione di quello complessivo tra Unione europea e Indonesia, disciplinato complessivamente dalla partnership da ratificare.
Recentemente la Camera ha ratificato un memorandum per l'istituzione a Milano di un centro per lo sviluppo degli investimenti indonesiani in Italia. Analoghe iniziative da parte italiana non sono purtroppo in vista mentre c'è da augurarsi - lo dico incidentalmente - che la soppressione dell'ICE preluda ad un rilancio effettivo della promozione dell'export italiano e non abbia invece contraccolpi negativi e contrari.
Questo è il quadro di riferimento e queste sono le regioni del nostro voto a favore della ratifica.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pianetta. Ne ha facoltà.

ENRICO PIANETTA. Signor Presidente, un Paese con oltre 230 milioni di abitanti e un tasso di crescita di oltre il 6 per cento riferito al 2010, membro influente del G20 e componente dell'ASEAN, questa è l'Indonesia, con la quale l'Unione europea ed i suoi Stati membri hanno stipulato nel 2009 l'Accordo quadro di partenariato globale e cooperazione, un accordo attraverso il quale si vuole non solo incrementare la già buona cooperazione economica e commerciale e gli investimenti, ma anche collaborare nelle aree dell'ambiente, dei cambiamenti climatici, dell'istruzione, della cultura e in particolare dei diritti umani e della democrazia. Anche le relazioni tra Indonesia e Italia sono buone e alcune delle nostre principali aziende sono presenti in Indonesia.
Ricordo anch'io l'approvazione del memorandum per l'istituzione a Milano di un centro indonesiano e per lo sviluppo degli investimenti indonesiani in Italia; in tal senso sarebbe opportuno auspicare la reciprocità da parte nostra anche a Giacarta. Altrettanto interessante è il tema dell'ambiente e dello sviluppo che rappresentano elementi di particolare criticità e l'attenzione dell'Indonesia per questi temi - oltre che per i buoni rapporti con l'Italia - ha fatto sì che si esprimesse a favore di Milano per l'Expo 2015 che come sappiamo ha come tema «nutrire il pianeta, energia per la vita».
Vi è da rilevare e da sottolineare positivamente che l'Accordo promuove una proficua cooperazione nell'ambito delle organizzazioni regionali. Giacarta con l'ASEAN ha rafforza il dialogo politico con l'Unione europea sugli aspetti relativi alla sicurezza e al rafforzamento dei principi democratici e alla promozione e protezione dei diritti umani.
Si affronta così anche la collaborazione sui grandi temi delle cosiddette sfide globali: Pag. 39la gestione dei flussi migratori, il contrasto al terrorismo e alla criminalità organizzata transnazionale e anche la lotta contro la proliferazione delle armi di distruzione di massa e il conseguimento degli obiettivi di sviluppo del millennio entro il 2015. Sono temi che recentemente, come è stato ricordato in occasione della visita di una delegazione parlamentare indonesiana qui a Montecitorio, sono stati oggetto di discussione e di scambio di opinioni. Vi è stata una convergenza di vedute anche per la lotta contro il terrorismo internazionale di matrice fondamentalista. Ricordo che nel 2002 a Bali vi è stato un attacco terroristico da parte di un gruppo legato a Al Qaeda che ha provocato la morte di molte persone.
Per l'Unione europea e per l'Italia l'Indonesia rappresenta quindi un partner essenziale nella regione del Sud-Est asiatico per la lotta contro il terrorismo. Per questo occorre rafforzare la cooperazione con l'Indonesia anche nel settore della difesa, come è stato richiesto dai colleghi parlamentari indonesiani che hanno fatto visita qui da noi, e al fine di promuovere lo sviluppo e la sicurezza a livello globale, come pure il dialogo interreligioso che rappresenta - in particolare per cristiani e musulmani - ancora oggi uno dei temi dell'agenda politica indonesiana.
È un tema che preoccupa ma che deve essere risolto proprio nella prospettiva della salvaguardia dei diritti umani. I principi, gli obiettivi e le modalità operative di questo Accordo sono validi e condivisibili e per questo già preannunzio il voto favorevole del gruppo della Popolo della Libertà.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 4192)

PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore e il rappresentante del Governo rinunziano alla replica.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione del disegno di legge: Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra la Comunità europea e i suoi Stati membri da un lato e la Repubblica sudafricana dall'altro, che modifica l'Accordo sugli scambi, lo sviluppo e la cooperazione, firmato a Kleinmond, Sud Africa, l'11 settembre 2009 (A.C. 4201) (ore 19,18).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra la Comunità europea e i suoi Stati membri da un lato e la Repubblica sudafricana dall'altro, che modifica l'Accordo sugli scambi, lo sviluppo e la cooperazione, firmato a Kleinmond, Sud Africa, l'11 settembre 2009.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 4201)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che la III Commissione (Affari esteri) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Ha facoltà di svolgere la relazione, in sostituzione del relatore, l'onorevole Narducci, vicepresidente della Commissione.

FRANCO NARDUCCI, Vicepresidente della III Commissione. Signor Presidente, il Sudafrica rappresenta oggi il maggior partner commerciale dell'Unione europea in Africa. Dal 2007 Sudafrica e Unione europea sono legati anche da un partenariato strategico, mentre per il periodo 2007-2013 è stato concertato un documento di strategia, che prevede per il periodo indicato un budget di circa 980 milioni di euro.
La principale cornice di collaborazione tra Unione europea e Sudafrica è rappresentata dall'Accordo sugli scambi, lo sviluppo e la cooperazione, firmato l'11 ottobre 1999 a Pretoria, ratificato dal nostro Pag. 40Paese nel 2003 ed entrato in vigore il 1o maggio 2004. L'Accordo al nostro esame invece, firmato l'11 settembre 2009, si inserisce in un percorso già previsto dall'Accordo del 1999, che contemplava, entro cinque anni dall'entrata in vigore, la revisione del testo, i cui negoziati si sono conclusi nel 2007. Vorrei qui ricordare che nel frattempo il famoso BRIC è diventato BRICS, con l'aggiunta di una S, che sta per Sudafrica, grazie al forte ruolo di impulso che ha dato l'India, legando a sé il Sudafrica con un trattato di cooperazione.
La revisione si propone di aprire nuove possibilità di liberalizzazione in specifici settori, e soprattutto di allineare l'Accordo del 1999 ai più recenti sviluppi del quadro giuridico internazionale, come la revisione intervenuta nella cooperazione tra Unione europea e gruppo di Stati dell'Africa, Caraibi e Pacifico, l'entrata a regime dell'operatività della Corte penale internazionale e la lotta contro il terrorismo internazionale dopo il 2001.
La prima modifica riguarda il preambolo stesso, al quale viene operata un'aggiunta per includere nel dialogo politico tra le parti anche le questioni dei trattati multilaterali in materia di disarmo e di non proliferazione delle armi di distruzione di massa. Seguono poi le modifiche alla sezione IV dell'Accordo del 1999, dedicata alla cooperazione economica, mentre il Titolo V dell'Accordo del 1999, dedicato alla cooperazione allo sviluppo, subisce modifiche soprattutto allo scopo di aggiornare il testo in ordine alla problematica della valutazione sull'efficacia degli aiuti.
Tutte le restanti modifiche si concentrano sul Titolo VI dell'Accordo del 1999. L'articolo 91-bis è dedicato alle armi di distruzione di massa ed ai relativi vettori, mentre gli articoli 91-ter e 91-quater riguardano gli strumenti di lotta al terrorismo internazionale. Gli articoli 91-quinquies, 91-sexies e 91-septies riguardano rispettivamente la lotta al crimine organizzato, la cooperazione tra le parti contro la proliferazione delle armi leggere e di piccolo calibro e la prevenzione dell'impiego di mercenari nei conflitti. L'articolo 91-novies riguarda la cooperazione in materia di immigrazione. Le parti riconoscono il collegamento tra migrazioni e sviluppo - accettando tra l'altro di agevolare la partecipazione degli emigrati allo sviluppo dei Paesi d'origine, anche mediante rimesse facilitate e poco onerose - e si impegnano alla riammissione dei propri immigrati clandestini, su richiesta dello Stato interessato e senza ulteriori formalità.

Il disegno di legge di ratifica si compone di tre articoli e non si rilevano effetti finanziari a fronte dell'autorizzazione alla ratifica dell'Accordo in esame.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

LUCA BELLOTTI, Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali. Signor Presidente, il Governo si riserva di intervenire in sede di replica.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Evangelisti. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, le ratifiche di oggi sono tutte importanti e tutte degne della massima considerazione, però lei mi permetterà di sottolineare il particolare significato e valore che ha questo disegno di legge di ratifica, che riguarda la Repubblica sudafricana.
Infatti, lo sappiamo bene, il Sudafrica, dall'inizio degli anni Novanta, come noto, è stato attraversato da forti tensioni sociali e da una travagliata transizione politica, che, però, poi è sfociata nell'abbandono di un odioso sistema di apartheid. Ha finito, quindi, con il rappresentare, soprattutto con il suo leader Nelson Mandela, che proprio in questi giorni compie gli anni e a cui rivolgiamo un augurio forte, un modello, se non per il resto del mondo, sicuramente per il resto del continente africano. Vi è ancora, ovviamente, molto da fare perché questo grande Stato possa emergere e crescere compiutamente. Pag. 41
Le sfide che ha davanti sono tutte cruciali. Fra le tante, mi viene in mente la lotta all'AIDS, che è una piaga che colpisce particolarmente il Paese, strettamente collegata alla povertà. Vi sono problemi che riguardano la disoccupazione e la criminalità. Insomma, è un Paese in crescita, che si è liberato, ma ha ancora molto da fare.
Attualmente, il Sudafrica è comunque il maggior partner commerciale dell'Unione europea nell'intero continente e senza dubbio rappresenta la più forte economia in ambito subsahariano, con esportazioni verso l'Europa in forte crescita e in ulteriore differenziazione, comprendendo oggi anche prodotti manifatturieri.
Il Sudafrica e l'Unione europea intrattengono relazioni istituzionali dal 1994 e sono legati dal 2007 da un partenariato strategico basato su valori e interessi comuni, finalizzato al dialogo politico e alla cooperazione su base regionale, continentale e globale in diversi settori.
Il Paese ha sottoscritto un Accordo con la Comunità europea e gli Stati membri della stessa per la cooperazione allo sviluppo durante il periodo 2007-2013, i cui obiettivi sono ridurre la povertà, promuovere la stabilità sociale, salvaguardare l'ambiente, favorire la creazione di posti di lavoro, migliorare le relazioni e i servizi. Insomma, questo Accordo viene attuato piano piano, lentamente, attraverso un piano indicativo pluriennale, come ho detto, il cui budget nell'arco di sette anni è di circa 980 milioni di euro.
Attualmente, il principale quadro di riferimento delle relazioni tra l'Unione europea e il Sudafrica è rappresentato da un Accordo sugli scambi, lo sviluppo e la cooperazione, firmato nel 1999, che viene modificato proprio da questo Accordo la cui ratifica stiamo oggi discutendo, il quale è stato firmato nel 2009, come previsto, al termine di un periodo di transizione di dieci anni, a Kleinmond.
Il primo Accordo contemplava la creazione di un'area di libero scambio, il cui acronimo è FTA, con la previsione di arrivare a coprire circa il 90 per cento del commercio tra le due parti e la promozione dell'integrazione regionale con i Paesi confinanti, con gli altri Stati dell'Africa australe, con i Paesi dell'Africa, dei Caraibi e del Pacifico (la sigla è ACP).
La presente prima revisione, dunque, pone, unitamente al piano di azione congiunto del partenariato strategico, le basi per relazioni approfondite più avanzate, aggiungendo a quelli consueti nuovi fori di dialogo su temi quali immigrazione, sanità, spazio, energia, trasporti e sicurezza. L'Accordo che stiamo discutendo, oltre a prevedere la cooperazione tra l'Unione europea e il Sudafrica in settori come il commercio, l'economia, la finanza e collaborazioni in ambito spaziale e assistenza tecnica, istituisce anche un dialogo politico regolare e disciplina l'assistenza allo sviluppo.
Dagli operatori e da quanti si occupano della materia viene evidenziato che, a proposito delle ripercussioni di questa revisione dell'Accordo sul sistema Italia, la nostra industria potrà trarre beneficio da un'intensificazione dei contatti e delle relazioni nei settori che ho citato. Dobbiamo augurarcelo, atteso che la concretizzazione di ipotesi di collaborazioni congiunte finora non ha trovato sbocco sul piano bilaterale. Infatti, con un approccio europeo, sia dal punto di vista istituzionale, sia finanziario, attraverso la possibilità di cofinanziamenti di progetti con i fondi propri dell'Unione europea, si potrà maggiormente favorire questa prospettiva.
I progetti attualmente in corso di valutazione riguardano il potenziamento della connettività della rete Internet, il monitoraggio e la salvaguardia delle coste, anche in zone rurali prive di infrastrutture, i programmi di cooperazione economica nel settore marittimo che potrebbero favorire la nostra industria nelle prossime gare che il Governo sudafricano ha in programma di bandire. Penso, soprattutto, a quelle relative al potenziamento della propria flotta navale.
Insomma, si tratta di un Accordo di ampio respiro e di vitale importanza sul Pag. 42quale il gruppo Italia dei Valori, sicuramente, non farà mancare il proprio voto favorevole.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pianetta. Ne ha facoltà.

ENRICO PIANETTA. Signor Presidente, l'Accordo del 1999 sugli scambi, lo sviluppo e la cooperazione tra Sudafrica e Unione europea ha costituito la base fondamentale dei rapporti tra queste due entità e ha contribuito, altresì, ad accelerare la transizione politica ed economica del Sudafrica uscito, lo ricordo, dall'apartheid. Oggi il Sudafrica rappresenta il maggior partner commerciale dell'Unione europea in Africa, ma, al tempo stesso, è ancora un Paese coinvolto nel superamento di problemi cruciali quali la lotta alla povertà e all'AIDS, la criminalità, la disoccupazione. Per questo è importante il contributo dell'Unione europea attraverso il Piano di cooperazione allo sviluppo che deve porsi l'obiettivo di ridurre la povertà e il sottosviluppo e, in particolare, di conseguire il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo del millennio.
La revisione dell'Accordo del 1999 tiene conto delle ultime realtà internazionali, quali la revisione dell'Accordo di Cotonou, che affronteremo fra poco, la lotta contro il terrorismo e le organizzazioni malavitose internazionali e, anche, l'istituzione della Corte penale internazionale. L'Accordo, quindi, persegue l'obiettivo di configurare miglioramenti e nuove possibilità in specifici settori di scambio. Da qui le nuove e più incisive disposizioni in materia di disarmo e non proliferazione delle armi di distruzione di massa, di telecomunicazioni, di politica ambientale, di lotta contro la criminalità organizzata e il traffico di droga e, soprattutto, l'ottenimento e il conseguimento degli obiettivi di sviluppo del millennio attraverso una fattiva ed incisiva collaborazione. A tale proposito, ritengo utile sottolineare l'impegno contro il crimine organizzato, un settore di particolare rilievo anche alla luce dell'applicazione della Convenzione ONU di Palermo.
Lo sviluppo della società informatica e l'utilizzo delle tecnologie connesse rappresentano un'opportunità per il nostro Paese per contribuire alla crescita socioeconomica del Sudafrica, come pure le politiche energetiche, che contribuiscono alla sostenibilità ambientale. Per quanto attiene alla non proliferazione delle armi di distruzione di massa, ritengo utile sottolineare la clausola che prevede di instaurare un efficace sistema di controllo sulle esportazioni di materiali di duplice uso. Infatti, è importante che siano messi in atto efficaci controlli all'esportazione e al transito di beni strumentali connessi alla produzione di armi di distruzione di massa.
Mi avvio alla conclusione dicendo che si tratta di un aggiornamento di clausole e di norme che, inserite in un quadro di riferimento solido e collaudato, possono ulteriormente rafforzare la collaborazione tra l'Unione europea e il Sudafrica e, anche, con il nostro Paese che, indubbiamente, può ottenere e svolgere un ruolo importante.
Per questo, preannunzio il voto favorevole del gruppo del Popolo della Libertà.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 4201)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare, in sostituzione del relatore, l'onorevole Narducci, Vicepresidente della Commissione affari esteri.

FRANCO NARDUCCI, Vicepresidente della III Commissione. Signor Presidente, rinunzio alla replica.

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

LUCA BELLOTTI, Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali. Signor Presidente, rinunzio alla replica.

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PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione del disegno di legge: S. 2648 - Ratifica ed esecuzione dell'Accordo di mutua assistenza amministrativa per la prevenzione, l'accertamento e la repressione delle infrazioni doganali tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica argentina, con Allegato, fatto a Roma il 21 marzo 2007 (Approvato dal Senato) (A.C. 4388) (ore 19,33).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato: Ratifica ed esecuzione dell'Accordo di mutua assistenza amministrativa per la prevenzione, l'accertamento e la repressione delle infrazioni doganali tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica argentina, con Allegato, fatto a Roma il 21 marzo 2007.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 4388)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che la III Commissione (Affari esteri) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, onorevole Pianetta, ha facoltà di svolgere la relazione.

ENRICO PIANETTA, Relatore. Signor Presidente, l'Accordo in esame, sottoscritto dal nostro Paese e dall'Argentina il 21 marzo 2007, è finalizzato ad assicurare il pieno rispetto della legislazione doganale ed a realizzare un'efficace azione di prevenzione, investigazione e repressione delle violazioni a tale normativa per rendere maggiormente trasparente l'interscambio commerciale tra i due Paesi.
Ricordo a tale proposito che l'interscambio bilaterale italo-argentino, che aveva evidenziato una flessione durante il 2009, mostra nel 2010, secondo i dati forniti dall'ICE, un'inversione della tendenza durante il primo semestre del 2010, soprattutto a causa di un significativo aumento delle importazioni di prodotti italiani. Considerando la sequenza storica dell'interscambio nell'ultimo decennio, si è passati da un interscambio commerciale sostanzialmente in equilibrio nel 2001 ad un saldo negativo per l'Italia, che continua ancora nel primo semestre del 2010 con meno 163,5 milioni di dollari. La quota italiana sul totale dell'import argentino risulta pari al 2,3 per cento. Nel quadro dell'Unione europea l'Italia si posizione al terzo posto, dopo la Germania e la Francia.
Venendo ai contenuti dell'Accordo, composto da un breve preambolo, da 24 articoli, aggregati in 12 capitoli, ed un allegato, essi sono largamente modellati sul testo standard redatto dall'Organizzazione mondiale delle dogane, improntato al rispetto dei principi di completezza, chiarezza e semplicità, che caratterizzano ogni efficace strumento di cooperazione.
È istituita una commissione mista italo-argentina, che si riunirà quando se ne ravvisi la necessità e su richiesta di una delle amministrazioni per seguire l'evoluzione dell'Accordo e per individuare le soluzioni agli eventuali problemi. La commissione è composta dal direttore dell'Agenzia delle dogane italiana e dall'amministratore federale delle entrate pubbliche argentine o da loro rappresentanti, assistiti da esperti.
L'Accordo ha durata limitata, ma è denunciabile in qualsiasi momento con notifica per via diplomatica, che avrà effetto dopo tre mesi. Le parti potranno anche eventualmente riunirsi per un riesame dell'Accordo a richiesta di una di esse dopo i cinque anni dalla vigenza dello stesso.
Il disegno di legge di ratifica, approvato dal Senato il 25 maggio scorso, costa di 4 articoli. Gli articoli 1 e 2 recano, come di consueto, rispettivamente l'autorizzazione alla ratifica e l'ordine di esecuzione dell'Accordo. L'articolo 3 autorizza per l'attuazione della legge la spesa di 31.914 euro per anno, a decorrere dal 2011, Pag. 44disponendo che l'onere sia coperto mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2011-2013, nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze con parziale utilizzazione dell'accantonamento relativo al Ministero degli affari esteri.
Sottolineo conclusivamente che l'Accordo al nostro esame disciplina a livello intergovernativo aspetti della materia doganale non coperti da intese sulla cooperazione doganale tra l'Unione europea e la Repubblica argentina. Nel corso di una recentissima missione di una delegazione del Parlamento europeo in America latina è, peraltro, emersa l'intenzione di arrivare alla firma di un accordo di libero scambio tra Mercosur e Unione europea nel 2012. Per quanto permangano ancora aperte alcune questioni, i negoziati sono già in fase avanzata e si è trovato un compromesso su oltre il 90 per cento dei punti nel settore industriale e su oltre l'80 per cento nel settore agricolo.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

LUCA BELLOTTI, Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali. Signor Presidente, il Governo si riserva di intervenire in sede di replica.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Evangelisti. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signora Presidente, alla nostra attenzione c'è ancora una volta uno di quegli Accordi che prevedono la mutua assistenza amministrativa per la prevenzione, l'accertamento e la repressione delle infrazioni doganali, stipulato in questo caso tra il nostro Paese e la Repubblica argentina, attraverso il quale i due Paesi si impegnano reciprocamente a fornirsi - sia su richiesta sia spontaneamente - reciproca assistenza e cooperazione per il tramite delle rispettive autorità doganali.
L'Accordo disciplina a livello intergovernativo aspetti della materia non coperti da Accordi sulla cooperazione doganale tra l'Unione europea e la Repubblica argentina, ed è stato elaborato conformemente al testo standard redatto dall'OMD (Organizzazione mondiale delle dogane), necessario in quanto allo stato attuale non esiste un quadro giuridico ad hoc, sebbene sia in vigore la Convenzione per l'assistenza giudiziaria in materia penale del 1987 (in vigore dal 1991). Certamente questo Accordo potrà favorire il rinsaldamento della fiducia tra quanti operano nei diversi settori economici interessati, e soprattutto aiuterà ad incentivare maggiormente la nostra presenza in un Paese in cui, a livello imprenditoriale (penso a Telecom, all'Enel, all'Iveco-Fiat, a Finmeccanica, e recentemente anche alla Pirelli), siamo da sempre presenti e in sintonia.
Mi riferisco naturalmente anche ad antiche e consolidate affinità umane e culturali che ci legano a quel popolo. Mi lasci dire che in un recente viaggio ho sentito riecheggiare un detto per cui gli argentini in fondo sono soltanto degli italiani che parlano spagnolo, pensano in inglese, desiderando di andare a vivere a Parigi. Quindi i nostri legami sono proprio forti, sono legami appunto con la nostra cultura europea, latina in particolare. Da tempo i rapporti fra il nostro Paese e l'Argentina hanno ripreso a funzionare non soltanto dal punto di vista economico e culturale ma anche a livello politico dopo un periodo opaco.
La collaborazione si rende dunque necessaria anche per le criticità che gli operatori italiani ancora riscontrano e che impediscono ai rapporti economici di potersi esprimere al meglio, per cui la ratifica di questo Accordo determinerà sicuramente un incentivo all'interscambio commerciale, soprattutto all'insegna della trasparenza. Si tratta di un Accordo che noi reputiamo di grande interesse e per questo preannunzio, fin da adesso, il voto favorevole del gruppo dell'Italia dei Valori su questo provvedimento.

Pag. 45

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Narducci. Ne ha facoltà.

FRANCO NARDUCCI. Signor Presidente, anzitutto voglio ringraziare il relatore che ha puntualmente inquadrato la portata e l'importanza di questo Accordo, documentandolo con dati e cifre estremamente significativi. Anche il gruppo del Partito Democratico sottolinea l'importanza della ratifica di questo Accordo di mutua assistenza tra Italia e Argentina per contrastare le infrazioni doganali. Italia e Argentina, oltre a essere uniti da storici legami - come ha ricordato il collega Evangelisti - di amicizia e di cooperazione grazie anche alla presenza di milioni di cittadini con origini italiane discendenti dalla nostra emigrazione, sono legate da un rapporto commerciale che alimenta un interscambio di grande valenza economica. Ma possiamo certamente fare di più, visto che negli ultimi anni l'interscambio ha fatto registrare una flessione notevole (per esempio nel 2009), flessione che dobbiamo recuperare e stiamo recuperando.
Certamente rispetto alla Germania e alla Francia, che ci precedono nella graduatoria relativa al volume di scambi commerciali e ci relegano in terza posizione considerando le sole nazioni dell'Unione europea, paghiamo il progressivo calo di presenza della nostra industria automobilistica, anche se c'è stato un tempo in cui abbiamo avuto la possibilità di essere grandi protagonisti del mercato dell'auto in Argentina. Ora i nostri punti di forza e di eccellenza riguardano altri settori produttivi strategici, anche essi molto importanti, che dobbiamo mettere al riparo da eventuali infrazioni doganali, adottando - come avviene con questo Accordo - le regole standard elaborate dall'OMD (l'Organizzazione mondiale delle dogane).
Signor Presidente, l'Italia è tornata a guardare con fiducia al mercato argentino, superando anche le diffidenze e le incomprensioni legate alle vicissitudini dei tango-bond. Gruppi imprenditoriali italiani di primaria importanza, come ENEL, Iveco-FIAT, Telecom, Pirelli e Finmeccanica, sono tornati a scommettere sull'importanza del sistema economico argentino, per cui la ratifica che stiamo discutendo appare in tutta la sua importanza. L'America latina sta superando molti dei gravi problemi che, in passato, ne hanno pesantemente frenato lo sviluppo, in primis la criminalità legata al narcotraffico e le lotte armate innescate dalla vicenda politica. Certamente, resta tantissimo da fare, ma è nota l'importanza delle grandi opere infrastrutturali che si stanno progettando dall'America centrale fino all'Argentina. In Paesi come la Colombia, tanto per citarne uno, sta crescendo notevolmente la presenza delle imprese italiane nonostante esse non possano contare su quella altrettanto importante del sistema bancario italiano. L'accresciuta presenza delle imprese italiane promuove e favorisce le nostre esportazioni e sappiamo tutti quanto sia importante la protezione dei nostri prodotti e la necessità che ne discende di combattere le infrazioni che pregiudicano gli interessi economici, industriali, agricoli e sociali dell'Italia e dell'Argentina nello stesso tempo, ma anche per favorire il nostro saldo di bilancio, a nostro favore evidentemente. Soltanto così si possono combattere le contraffazioni ed evitare nuovi casi di Parmesan o Parmesanin che, alcuni anni fa, fecero discutere e riflettere molto in merito alla difesa dei grandi brand italiani.
Signora Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, il gruppo del Partito Democratico voterà a favore di questa ratifica, così come voterà a favore di quei provvedimenti che possono stimolare la crescita economica del nostro Paese, soprattutto nelle relazioni con i Paesi che ospitano grandi comunità di cittadini con origini italiane, che rappresentano un'importante capitale per l'Italia, fondamentale per la costruzione di un sistema Paese a 360 gradi capace di vincere le sfide della globalizzazione.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

Pag. 46

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 4388)

PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore ed il rappresentante del Governo rinunciano alla replica.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione del disegno di legge: Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo del Regno Hascemita di Giordania sulla cooperazione e sulla mutua assistenza in materia doganale, fatto a Roma il 5 novembre 2007 (A.C. 4373) (ore 19,45).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo del Regno Hascemita di Giordania sulla cooperazione e sulla mutua assistenza in materia doganale, fatto a Roma il 5 novembre 2007.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 4373)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che la III Commissione (Affari esteri) si intende autorizzata a riferire oralmente.
L'onorevole Narducci, vicepresidente della Commissione affari esteri, ha facoltà di svolgere la relazione in sostituzione del relatore.

FRANCO NARDUCCI, Vicepresidente della III Commissione. Signor Presidente, l'Accordo al nostro esame, concluso tra l'Italia e la Giordania nel novembre 2007, è volto alla prestazione di assistenza e cooperazione reciproca ai fini del rispetto della legislazione doganale ed alla realizzazione di un'efficace azione di prevenzione, investigazione e repressione delle violazioni a tale normativa, per rendere maggiormente trasparente l'interscambio commerciale tra i due Paesi. L'entrata in vigore dell'Accordo potrà ulteriormente consolidare la nostra proiezione economica in Giordania. A tale proposito ricordo che, secondo i dati dell'ICE, l'Italia occupa l'ottava posizione tra i fornitori del Regno. Tra gli Stati aderenti all'Unione europea, l'Italia si mantiene saldamente al secondo posto dopo la Germania - tanto per non smentire la potenza tedesca - che ha, però, un export quasi doppio rispetto al nostro. Sul piano più propriamente politico-diplomatico, è appena il caso di richiamare il ruolo strategico svolto dalla Giordania negli equilibri regionali. In particolare, a seguito del Trattato del 1994, la Giordania è, insieme all'Egitto, tra gli unici due Stati della regione ad aver siglato un trattato di pace con Israele. Anche nei confronti dell'Iraq, la Giordania sta svolgendo un ruolo equilibrato e di stimolo alla riconciliazione. La Giordania è oggi investita, al pari degli altri Paesi dell'area, da profondi venti di cambiamento che non hanno fortunatamente ancora avuto uno sbocco violento ed eversivo.
Nel marzo si è insediata una commissione per il dialogo nazionale composta da 53 membri tra cui accademici e componenti dell'opposizione con il compito di mettere a punto una serie di riforme democratiche tra cui la riforma elettorale, oggi criticata dalle forze di opposizione mentre il 13 giugno scorso in un intervento televisivo il re Abdallah II ha promesso una serie di riforme in senso parlamentare dell'assetto istituzionale giordano senza però specificare i tempi di attuazione. Per quanto attiene ai contenuti dell'accordo, nel rinviare all'illustrazione svolta in Commissione, sottolineo che l'articolo 3 disciplina lo scambio di informazione tra le amministrazioni doganali ai fini dell'esatta percezione dei diritti e tasse doganali mentre il successivo articolo 4 riguarda lo scambio di informazioni circa la legittimità delle operazioni di importazione ed esportazione delle merci. Sono Pag. 47previste particolari forme di cooperazione dirette tra l'altro a prevenire il traffico illecito di merci e di beni artistici, il contrabbando, il traffico di stupefacenti. Una commissione mista italo-giordana si riunirà quando se ne ravvisi la necessità e su richiesta di una delle amministrazioni per seguire l'evoluzione dell'accordo e per individuare le soluzioni agli eventuali problemi. Il disegno di legge di ratifica, oltre a contenere le consuete previsioni sull'autorizzazione alla ratifica e sull'ordine di esecuzione dell'accordo, autorizza all'articolo 3 la spesa di 11.325 euro l'anno a decorrere dal 2011 disponendo che l'onere sia coperto mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto ai fini del bilancio 2011-2013 nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze con parziale utilizzo dell'accantonamento relativo al Ministero degli affari esteri.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

LUCA BELLOTTI, Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali. Signor Presidente, il Governo si riserva di intervenire in sede di replica.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Evangelisti. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, il Regno Hascemita di Giordania è considerato il primo Governo islamico democratico del Medio oriente moderno. È una monarchia costituzionale con un Governo rappresentativo scelto dal popolo. Ha un re che oltre che essere comandante supremo delle Forze armate, Capo di Stato e dell'Esecutivo pone la democrazia come principio «rispettabile», lo dico tra virgolette. Come è accaduto per altri Paesi del Medio oriente e del nord Africa anche la Giordania è stata raggiunta dagli eventi legati alla cosiddetta primavera araba, legati all'esigenza di cambiamento e di democrazia (appunto manifestata in quella che è stata chiamata la primavera araba), anche se fortunatamente in quel Paese senza sbocchi violenti o eversivi. Certo la promessa dell'avvio di un tavolo di riforme avanzata dal re Abdallah II non risulta ancora pienamente convincente pur dopo aver insediato una commissione per il dialogo nazionale con il compito proprio di mettere a punto una serie di riforme democratiche tra cui la legge elettorale. C'è da augurarsi soprattutto che, anziché arroccarsi pericolosamente come sta facendo la vicina Siria, il re giordano riesca concretamente ad avviare e consolidare questo processo democratico. Il nostro Paese manterrà sempre buoni rapporti con la Giordania e certamente la ratifica di questo accordo non può che contribuire a sostenere e favorire maggiormente la nostra proiezione economica e commerciale in quel Paese. Come ha già ricordato il collega relatore - cito i dati offerti dall'ICE - l'Italia occupa l'ottava posizione tra i fornitori del regno: era al settimo posto nel 2008, è all'ottavo nel 2009 mentre tra gli Stati aderenti all'Unione europea l'Italia si mantiene saldamente al secondo posto dopo la Germania con la non trascurabile differenza della presenza di un export quasi doppio rispetto al nostro.
Dopo il primo accordo con l'Italia, un accordo di libero scambio del 2004, nel corso dell'ultima visita dei reali in Italia tenutasi nel 2009 prima a Roma e poi a Milano fu ribadita l'importanza nel nostro Paese in quanto grande serbatoio di risorse per il regno arabo. In quell'occasione fu stipulato tra gli altri un accordo di cooperazione con il supporto al piano di rivalorizzazione di importanti aree della Giordania e della capitale Amman, con lo scopo di favorire la costruzione di città industriali per una riqualificata ricerca scientifica e di città universitarie che hanno l'obiettivo di diventare le più grandi del Medio oriente nonché del primo porto di collegamento merci con il resto dei Paesi del Maghreb e del sud-Asia ed un'ampia rete autostradale e ferroviaria per rendere più rapidi gli spostamenti dentro il Paese e con i Paesi vicini. Pag. 48
Insomma, in termini assoluti la penetrazione commerciale italiana, per quanto non molto elevata in termini percentuali, non è da considerarsi per niente insoddisfacente, mentre la struttura del nostro export sembra ancora piuttosto ingessata, non particolarmente pronta a cogliere le opportunità che si presentano in quel Paese.
Per quanto riguarda le relazioni con l'Unione europea, esse si inquadrano nel contesto del partenariato euromediterraneo e così la Giordania figura oggi nel primo gruppo dei sette partner con cui l'Unione europea ha elaborato un piano di azione nel quadro della politica europea di vicinato, una strategia - lo ricordiamo - lanciata per il rafforzamento delle relazioni con i nuovi vicini dell'Europa, allargata ad incoraggiarne la partecipazione ai programmi ed alle politiche dell'Unione europea.
Ben venga allora la ratifica di un provvedimento come quello al nostro esame, che potrà contribuire certamente a consolidare questi rapporti e migliorare l'assistenza e la cooperazione reciproca ai fini del rispetto della legislazione doganale, oltre naturalmente ad avviare un'efficace azione di prevenzione, investigazione e repressione in relazione a tale normativa, nella direzione di una maggiore trasparenza dell'interscambio commerciale fra i due Paesi. Anche in questo caso il nostro gruppo, il gruppo dell'Italia dei Valori, favorirà la celere ratifica dell'Accordo con il regno Hascemita di Giordania.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pianetta. Ne ha facoltà.

ENRICO PIANETTA. Signor Presidente, tra l'Italia e la Giordania non esiste al momento un quadro giuridico adeguato per prevenire, accertare e reprimere le infrazioni doganali. L'esperienza internazionale - lo abbiamo visto anche nel caso dell'Argentina - conferma che l'unico strumento in grado di produrre effetti positivi di contrasto al traffico illecito è un accordo bilaterale che vincoli le parti alla sua osservanza. Questo Accordo, elaborato sulla base di un testo standard dell'organizzazione mondiale delle dogane, risponde alle esigenze ricordate per dare luogo ad un'efficace cooperazione tra le due rispettive amministrazioni.
Come è riportato nell'analisi annessa al provvedimento, le due amministrazioni potranno infatti intensificare gli scambi e conseguire positivi risultati di repressione delle violazioni doganali e degli illeciti extratributari. Di riflesso si potranno ottenere ricadute positive per la competitività dei due Paesi.
Inoltre questo Accordo, ampiamente e puntualmente illustrato dal relatore Narducci, potrà rendere più trasparente l'interscambio commerciale tra i due Paesi e meno complessa ed onerosa l'attività degli operatori. Si potrà così incrementare anche l'interscambio commerciale tra Italia e Giordania, che vede l'Italia occupare l'ottavo posto tra i fornitori del regno Hascemita, secondo a livello europeo. In questo particolare momento risulta utile consolidare i rapporti con la Giordania, anche per la sua funzione, capace di dare equilibrio nella regione mediorientale. Anche la Giordania è attraversata da fermenti e cambiamenti economico-sociali, a fronte dei quali il re Abd Allah ha preannunciato una serie di riforme. La stabilità giordana è fattore positivo ed in tal senso ogni strumento capace di offrire sviluppo sociale ed economico deve essere considerato favorevolmente. Per questo preannuncio il voto favorevole del gruppo del Popolo della Libertà.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 4373)

PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore ed il rappresentante del Governo rinunciano alla replica.

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Discussione del disegno di legge: Ratifica ed esecuzione dell'Accordo che modifica per la seconda volta l'Accordo di partenariato tra i membri del gruppo degli Stati dell'Africa, dei Caraibi e del Pacifico, da un lato, e la Comunità europea e i suoi Stati membri, dall'altro, firmato a Cotonou il 23 giugno 2000, riveduto per la prima volta a Lussemburgo il 25 giugno 2005, con Atto finale e dichiarazioni allegate, aperto alla firma a Ouagadougou il 22 giugno 2010 (A.C. 4374) (ore 19,57).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Ratifica ed esecuzione dell'Accordo che modifica per la seconda volta l'Accordo di partenariato tra i membri del gruppo degli Stati dell'Africa, dei Caraibi e del Pacifico, da un lato, e la Comunità europea e i suoi Stati membri, dall'altro, firmato a Cotonou il 23 giugno 2000, riveduto per la prima volta a Lussemburgo il 25 giugno 2005, con Atto finale e dichiarazioni allegate, aperto alla firma a Ouagadougou il 22 giugno 2010.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 4374)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che la III Commissione (Affari esteri) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, onorevole Barbi, ha facoltà di svolgere la relazione.

MARIO BARBI, Relatore. L'Accordo in discussione rappresenta la seconda modifica dell'Accordo di partenariato che caratterizza i rapporti tra l'Unione europea e il vasto gruppo di Stati dell'Africa, dei Caraibi e del Pacifico (ACP) nei cui confronti, tradizionalmente, la comunità europea aveva rivolto la maggior parte delle attenzioni in ordine alle problematiche dello sviluppo, sin dalle Convenzioni di Yaoundé del 1963 e di Lomé del 1975.
Il successivo Accordo di Cotonou del 23 giugno 2000, ratificato dal nostro Paese nel 2002, è stato, infatti, riveduto una prima volta con l'Accordo firmato a Lussemburgo il 25 giugno 2005, a sua volta ratificato dall'Italia nel 2007. Anche questo Accordo, aperto alla firma a Ougadougou il 22 giugno 2010, si basa sull'articolo 95 dell'Accordo del 2000, che ne prevede la revisione quinquennale. La nuova modifica è volta, com'è naturale, all'adattamento del quadro normativo dei rapporti UE-ACP ai mutamenti che si sono verificati nelle relazioni internazionali.
Una delle questioni centrali oggetto della revisione è la valorizzazione della dimensione dell'integrazione regionale, particolarmente sentita nel continente africano, con una crescita progressiva del ruolo dell'Unione africana. Viene, tuttavia, posta attenzione, più in generale, a tutte le aree di integrazione economica regionale che riguardino Stati ACP ed al ruolo delle relative organizzazioni.
Un altro aspetto della revisione consiste nel porre al centro dell'attenzione il rapporto tra sicurezza e sviluppo, nel senso che senza la prevenzione dei conflitti non è immaginabile un'azione duratura di impulso decisivo al decollo economico e sociale dei Paesi svantaggiati. In particolare, la prevenzione e la soluzione dei conflitti, oggetto dell'articolo 11, vengono estese al contrasto delle attività mercenarie ed alla lotta alla criminalità organizzata internazionale, in applicazione dello statuto della Corte penale internazionale.
Vengono, poi, aggiunti l'articolo 11-bis e l'articolo 11-ter, che impegnano le Parti alla cooperazione, rispettivamente, in materia di lotta contro il terrorismo e contro la proliferazione delle armi di distruzione di massa.
Il riferimento agli Obiettivi di sviluppo del millennio, assente nella precedente revisione dell'accordo di Cotonou, è oggetto delle modifiche che l'Accordo del 2010 introduce sin dal preambolo.
Si introducono, altresì, in posizione preminente, anche le problematiche dell'efficacia degli aiuti allo sviluppo e della coerenza delle politiche relative, nonché i Pag. 50profili relativi ai cambiamenti climatici. Particolare riguardo è stato dedicato agli Stati ACP più vulnerabili ai mutamenti del clima, quali, ad esempio, i piccoli Stati insulari del Pacifico, ovvero i Paesi africani della fascia subsahariana del Sahel.
Per quanto riguarda gli aspetti commerciali, le modifiche, scontato il venir meno dei residui regimi preferenziali a favore degli Stati ACP, scaduti dal 31 dicembre 2007, riaffermano con forza il ruolo degli Accordi di partenariato economico (APE), che sono volti a sostenere i Paesi ACP, migliorandone, al tempo stesso, le economie, soprattutto, con una sempre maggiore integrazione nel commercio internazionale.
Dal punto di vista istituzionale, è accresciuto il novero degli attori del dialogo politico nel quadro del partenariato UE-ACP, includendovi i Parlamenti nazionali, nonché soggetti ed esponenti delle società civili dei Paesi ACP. Gli Stati ACP vengono, altresì, in quanto gruppo, maggiormente considerati nelle modifiche all'allegato 7, ispirato ai diritti umani, ai principi democratici ed allo Stato di diritto.

PRESIDENTE. La invito a concludere, onorevole Barbi.

MARIO BARBI, Relatore. È stata già adottata una dichiarazione congiunta su migrazioni e sviluppo - mi avvio a concludere, signor Presidente - come orizzonte programmatico di una cooperazione in settori rilevanti, quali le rimesse dei migranti, la riammissione e la tratta di esseri umani.
Mi preme, infine, segnalare che questa seconda revisione dell'Accordo di Cotonou non è accompagnata da un nuovo Protocollo finanziario, rimanendo in vigore il Protocollo finanziario relativo al decimo Fondo europeo di sviluppo, che copre il periodo 2008-2013. L'Italia contribuisce con l'importo globale non incrementabile di 2.916.905.200 euro, come stabilito dall'Accordo riguardante il finanziamento degli aiuti comunitari.
Da ultimo, ne consegue che la prosecuzione delle attività poste in essere in attuazione dell'Accordo rientra nelle clausole di neutralità finanziaria, non prevedendo richieste di contributi addizionali o di cofinanziamento aggiuntivo da parte dell'Italia.

PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire in sede di replica.
È iscritto a parlare l'onorevole Evangelisti. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, anch'io in questo caso mi riservo un eventuale approfondimento in sede di dichiarazione di voto. Devo però fare i complimenti al relatore, perché è stato davvero esaustivo nella sua illustrazione; per cui, posso soltanto annunciare che il gruppo dell'Italia dei Valori non farà mancare l'appoggio e il voto favorevole a questo Accordo di partenariato con i Paesi dell'Africa, dei Caraibi e del Pacifico.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pianetta. Ne ha facoltà.

ENRICO PIANETTA. Signor Presidente, sin dal 1963, con la prima Convenzione di Yaoundé, l'Europa ha inteso dare organicità agli aiuti rivolti ai Paesi dell'Africa, dei Caraibi e del Pacifico; poi con la seconda convenzione di Yaoundé e le quattro Convenzioni di Lomé, del 1975 e del 2000, tra i Paesi ACP si è via via stabilito un partenariato più complesso, che operava in modo complementare tra cooperazione e sviluppo e cooperazione economica e commerciale. L'Accordo di Cotonou del 2000 ha confermato quest'approccio, superando il mero aiuto allo sviluppo. I Paesi ACP si sono resi più partecipi alla crescita dell'economia mondiale, con l'accresciuto ruolo di partenariato responsabile unitamente all'attenzione per il loro consolidamento istituzionale. Anche le risorse sono consistenti, e l'Italia contribuisce con 2 milioni 916 mila euro al decimo Fondo europeo di sviluppo.
Dopo una prima revisione, nel 2005, questa seconda revisione del 2010 tiene conto dell'evoluzione più recente della situazione Pag. 51internazionale. Da qui il rafforzamento della collaborazione per il raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo del millennio e, quindi, sicurezza alimentare, sviluppo sostenibile dell'agricoltura, lotta all'AIDS, malaria, tubercolosi e istruzione, con l'obiettivo di ridurre la povertà; più coinvolgimento dei Governi e dei cittadini e più responsabilità nella corretta gestione dei bilanci statali. Quindi, con l'obiettivo di raggiungere e conseguire una maggiore efficacia degli aiuti con migliore coordinamento dei donatori. Inoltre, vengono previsti più importanza al ruolo dei Parlamenti nazionali e della società civile, più integrazione regionale, con ruolo più cogente dell'Unione africana, che deve svolgere una funzione più rilevante nelle relazioni fra Unione europea e ACP.
Si tratta di aggiornamenti puntuali e organici dell'azione di partenariato tra i 79 Paesi ACP e i 27 dell'Unione europea. Resta il fatto che l'Africa è il continente nel quale esistono le più ampie sacche di povertà e sottosviluppo, nelle quali gli Obiettivi di sviluppo del millennio sono lontani dall'essere raggiunti. Ricordo il richiamo di ieri del Papa per quanto riguarda la disastrosa situazione umanitaria nel Corno d'Africa: questo ci deve suggerire di agire ancora con più determinazione per quanto riguarda questo continente. L'Africa, infatti, rappresenta l'area naturale di collaborazione da parte dell'Europa, ma nonostante gli sforzi, l'Unione europea perde influenza in Africa, se penso, per esempio, alla crescente influenza da parte della Repubblica popolare cinese. Questo deriva da una carenza strutturale, deriva da un'incapacità ad essere più efficaci? Credo che questo Accordo, che modifica l'Accordo di Cotonou, è corretto, e con la sua più precisa applicazione, l'Unione europea può contribuire a migliorare le condizioni dei popoli d'Africa e svolgere anche un ruolo più efficace di natura economica e sociale.
È un obiettivo che possiamo raggiungere e, con la collaborazione di tutta l'Europa, possiamo dare un grande segnale nei confronti di questo grande continente.
Per questo, annuncio preliminarmente il voto favorevole del gruppo del Popolo della Libertà.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 4374)

PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore e il rappresentante del Governo rinunciano alla replica.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione del disegno di legge: S. 2622 - Ratifica ed esecuzione dell'Accordo nel campo della cooperazione militare tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo del Regno del Marocco, fatto a Taormina il 10 febbraio 2006 (Approvato dal Senato) (A.C. 4433) (ore 20,08).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato: Ratifica ed esecuzione dell'Accordo nel campo della cooperazione militare tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo del Regno del Marocco, fatto a Taormina il 10 febbraio 2006.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 4433)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che la III Commissione (Esteri) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, vicepresidente della Commissione affari esteri, onorevole Narducci, ha facoltà di svolgere la relazione.

FRANCO NARDUCCI, Relatore. Signor Presidente, l'Accordo al nostro esame è volto allo sviluppo della cooperazione bi Pag. 52laterale tra le Forze armate dei due paesi allo scopo di consolidare le rispettive capacità difensive e di migliorare la reciproca comprensione sulle questioni della sicurezza. Ricordo che tra l'Italia e il Marocco è in vigore il Trattato di amicizia e cooperazione, fatto a Roma il 25 novembre 1991 e ratificato in Italia con la legge 12 aprile 1995, n. 128 che, all'articolo 6, disciplina la cooperazione con particolare riferimento alla realizzazione di corsi di formazione e perfezionamento, lo scambio di personale e di esperienze nel campo dei materiali di difesa.
Mi preme sottolineare come il Marocco stia tentando in questi mesi, sulla scorta dei processi di riforma che animano le società civili del mondo arabo mediterraneo, una sua propria strada, all'insegna dell'equilibrio e del dialogo tra Governo ed opposizione, come ha avuto modo di verificare lo scorso mese una delegazione di questa Commissione che si è recata in visita a Rabat. Il re Maometto VI, infatti, ha promosso un programma di riforme istituzionali in senso democratico e pluralista, che è stato approvato con un'amplissima maggioranza in un referendum svoltosi lo scorso 1o luglio.
Venendo sinteticamente ai contenuti dell'Accordo, già illustrato in sede referente, particolare rilievo assume l'articolo 2 che individua i campi e le forme di cooperazione, mentre l'articolo successivo individua gli obiettivi dell'Accordo nella definizione di programmi comuni di ricerca, nello stesso sviluppo e promozione di materiale ed equipaggiamenti e per quel che riguarda l'assistenza reciproca mediante scambio di informazioni.
L'articolo 17 regola l'entrata in vigore e la durata dell'Accordo, stabilita in cinque anni, tacitamente rinnovabile per periodi di un anno. Il disegno di legge, che reca l'autorizzazione alla ratifica, l'ordine di esecuzione e la copertura finanziaria, autorizzando la spesa di 9.268 euro annui ad anni alterni a decorrere dal 2011, è stato licenziato dal Senato il 16 giugno scorso.
Esprimo piena condivisione per le preoccupazioni espresse nell'ordine del giorno presentato in tale occasione dal senatore Tonini ed accolto dal Governo che impegna il Governo stesso a mantenere e rafforzare la pressione diplomatica sulle parti in sede bilaterale europea nonché in ambito ONU affinché la questione del Sahara occidentale sia affrontata e risolta attraverso il dialogo politico e il negoziato diplomatico, nel rigoroso rispetto dei diritti umani e dei diritti dei popoli. Auspico, pertanto, che analogo atto di indirizzo sia adottato anche da questo ramo del Parlamento.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

LUCA BELLOTTI, Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali. Signor Presidente, mi riservo di intervenire in sede di replica.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Evangelisti. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, questa è una delle ratifiche più delicate alla nostra attenzione e, anche raccogliendo l'auspicio che veniva dal relatore, anziché procedere alla disamina del provvedimento, mi preme richiamare l'attenzione dell'Aula su un ordine del giorno, che abbiamo depositato a firma congiunta insieme ai colleghi Leoluca Orlando e Augusto Di Stanislao, con il quale appunto, in considerazione della materia che tratta questo Accordo nel campo della cooperazione militare tra la Repubblica italiana e il Governo del Marocco, impegniamo il Governo a vigilare affinché le forniture di armi, oggetto della ratifica dell'Accordo in questione, non siano impiegate a scapito di una soluzione pacifica della crisi sul piano politico nei confronti del popolo saharawi e a rafforzare la pressione diplomatica sulle parti affinché la questione del Sahara Occidentale sia affrontata e risolta con il dialogo politico e il negoziato diplomatico, nel rigoroso rispetto dei diritti umani e dei diritti dei popoli, e anche come base per l'ulteriore sviluppo della collaborazione in ambito militare. Pag. 53
Non vogliamo far discendere direttamente il nostro voto favorevole alla ratifica di questo provvedimento a un parere del Governo su questo nostro ordine del giorno, che illustreremo meglio in sede di dichiarazione di voto, ma, ovviamente, auspichiamo un'analoga considerazione di quanto fatto in analogia con quanto fatto al Senato dal Governo stesso.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pianetta. Ne ha facoltà.

ENRICO PIANETTA. Signor Presidente, attraverso programmi addestrativi, l'agevolazione e la fornitura di equipaggiamenti, la promozione della cooperazione industriale ed altre iniziative nel settore della difesa, Italia e Marocco, con questo Accordo di cooperazione militare, intendono consolidare le rispettive capacità difensive e collaborare attivamente sulle questioni della sicurezza internazionale. Si potranno, altresì, conseguire positivi risultati nei settori produttivi e commerciali ma, soprattutto, si potrà svolgere un'azione politica finalizzata a mantenere stabile un'area di particolare interesse strategico per i nostri due Paesi.
Il Marocco, nell'ambito dei fermenti politici, sociali ed economici del Nord Africa tuttora in corso, sembra occupare una posizione relativamente meno preoccupante. Ciò grazie anche alla capacità del sovrano marocchino, Maometto VI, che tempestivamente ha programmato riforme istituzionali mirate a sviluppare percorsi politici democratici e pluralisti. Quindi, vi è un costruttivo atteggiamento, basato su equilibrio e dialogo e finalizzato a conseguire obiettivi di sviluppo, maggiore equità sociale e più partecipazione democratica.
L'area del Mediterraneo ha bisogno, anche nella sua sponda sud, di sviluppo economico e sociale e, in generale, tutta l'area ha bisogno di sicurezza attraverso un'intensa e fattiva collaborazione.
Questo Accordo si inserisce in questo contesto e può contribuire a raggiungere questi obiettivi. In tal senso va il voto favorevole del gruppo del Popolo della Libertà.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 4433)

PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore e il rappresentante del Governo rinunziano alla replica.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione del disegno di legge: S. 2623 - Ratifica ed esecuzione dell'Accordo di partenariato economico tra gli Stati del Cariforum, da una parte, e la Comunità europea e i suoi Stati membri, dall'altra, con Allegati, Protocolli, Dichiarazioni e Atto finale, fatto a Bridgetown, Barbados, il 15 ottobre 2008 (Approvato dal Senato) (A.C. 4470) (ore 20,16).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato: Ratifica ed esecuzione dell'Accordo di partenariato economico tra gli Stati del Cariforum, da una parte, e la Comunità europea e i suoi Stati membri, dall'altra, con Allegati, Protocolli, Dichiarazioni e Atto finale, fatto a Bridgetown, Barbados, il 15 ottobre 2008.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 4470)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che la III Commissione (Affari esteri) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il vicepresidente della Commissione affari esteri, onorevole Narducci, ha facoltà di svolgere la relazione in sostituzione del relatore.

FRANCO NARDUCCI, Vicepresidente della III Commissione. Signor Presidente, l'Accordo al nostro esame rientra tra gli Pag. 54accordi di partenariato economico - APE - tra la Comunità europea e gli Stati ACP, Africa, Caraibi e Pacifico, previsti dall'Accordo di Cotonou del 2000, ratificato dal nostro Paese nel 2002 e più volte riveduto, da ultimo con l'Accordo di Ouagadougou del 2010, anch'esso in esame nella seduta di oggi.
Segnalo che l'Accordo con i quindici Paesi del Cariforum rappresenta l'unico accordo di partenariato economico fino ad oggi portato a termine in tale ambito.
Il Cariforum raggruppa i Paesi facenti parte della Comunità e del mercato comune dei Caraibi, il Caricom, e cioè: Antigua e Barbuda, Bahamas, Barbados, Belize, Dominica, Grenada, Guyana, Haiti, Giamaica, Montserrat, Saint Kitts e Nevis, Saint Lucia, Saint Vincent e Grenadines, Suriname, Trinidad e Tobago, cui si aggiunge la Repubblica Dominicana che nel Caricom figura come osservatore.
Al centro dell'Accordo di partenariato economico vi è la creazione di un mercato regionale integrato nei Caraibi, con l'armonizzazione progressiva delle tariffe esterne dei Paesi Cariforum contestualmente alla liberalizzazione del flusso di merci tra le economie del Caraibi. L'Accordo favorirà le condizioni per stimolare gli investimenti e l'iniziativa del settore privato innescando, mediante una maggiore competitività, la crescita economica durevole nella regione caraibica.
Da parte degli Stati caraibici vi è l'impegno all'avvio di riforme nazionali e regionali che l'Unione europea vorrà, dal canto suo, sostenere mediante misure di cooperazione. Ciò dovrebbe anche rendere la regione più attraente, in quanto mercato di investimenti e di scambi.
L'Accordo fruirà di un'assistenza finanziaria da parte del Fondo di sviluppo dell'Unione europea, in particolare dal programma regionale per un ammontare di 165 milioni di euro per il periodo 2008-2013.
I finanziamenti verranno impiegati, tra l'altro, per creare programmi di sviluppo delle aziende e per fornire assistenza nella riforma dei sistemi di tassazione dei Paesi Cariforum. Segnalo che l'Accordo di partenariato tra la Comunità europea e gli Stati del Cariforum si compone di 250 articoli, con sette Allegati, tre Protocolli e alcune Dichiarazioni finali.
Quanto al disegno di legge licenziato dal Senato il 29 giugno scorso, esso reca l'autorizzazione alla ratifica, l'ordine di esecuzione e la disposizione sull'entrata in vigore.
La relazione tecnica esclude che la partecipazione italiana all'Accordo di partenariato economico tra la Comunità europea e gli Stati del Cariforum possa comportare ulteriori oneri per il bilancio dello Stato.
Desidero, infine, sottolineare che l'Accordo rappresenta uno strumento idoneo sia a rafforzare la cooperazione tra gli Stati caraibici e l'Unione europea, sia a ridurre progressivamente le barriere all'interscambio commerciale e, dunque, a favorirne l'integrazione nell'economia mondiale, con ampliamento delle prospettive di crescita e di contrasto alla povertà.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

LUCA BELLOTTI, Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali. Signor Presidente, mi riservo di intervenire in sede di replica.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Evangelisti. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, cercherò di evitare di ripetere quanto ha detto, in maniera chiara ed esaustiva, il relatore, sulle caratteristiche di questo Accordo. Mi faccia, però, sottolineare alcuni aspetti che forse meritano attenzione.
Colpisce tra i Paesi del Cariforum sottoscrittori di questa intesa la presenza di molti paradisi fiscali, alcuni, peraltro, già noti alle nostre cronache e con qualche riverbero nella politica nazionale. Penso a Santa Lucia e penso, in particolare, ad Antigua, dove sono noti gli investimenti immobiliari del Presidente del Consiglio, dei quali si è molto parlato nei mesi scorsi Pag. 55anche per la poca trasparenza, non proprio cristallina come quella del mare dei Paesi di cui stiamo parlando.
Voglio sottolineare due cose: il fatto che alcuni Stati della regione caraibica hanno dimostrato scarsa disponibilità a sottoporre la propria sovranità nazionale ai limiti connessi al rispetto del diritto internazionale e il fatto che, attraverso l'Accordo, verranno incrementate le relazioni commerciali con alcuni degli Stati in cui transitano i flussi di cocaina destinati al mercato europeo.
C'è un'altra perplessità che riguarda il fatto che in questi Paesi, pur tutti abolizionisti di fatto della pena di morte, si continuano a comminare condanne, anche se da dieci anni e più non si pratica alcuna esecuzione, tranne che nell'isola di Saint Kitts e Nevis, che ha purtroppo ripreso le esecuzioni nel 2008. Solo Haiti è decisamente abolizionista. In occasione del voto nell'Assemblea Generale dell'ONU relativo alla mozione promossa dall'Italia che ha deliberato la proclamazione di una moratoria universale della pena di morte tutti i Paesi del Cariforum, con l'eccezione del Suriname, che si è astenuto, e di Haiti, che ha votato a favore, hanno votato contro.
È quindi opportuno che il nostro Governo, nel momento in cui il Parlamento ratificherà questo Accordo, si impegni a sostenere iniziative volte a far avanzare anche le legislazioni nazionali di questi Paesi che ancora prevedono la pena di morte affinché adottino una moratoria de iure oltre che de facto, prevedendo anche la possibilità di sospendere gli Accordi in questione laddove dovessero effettivamente riprendere le esecuzioni capitali. Per questo motivo, come già anticipato in precedenza, insieme ai colleghi Leoluca Orlando e Augusto Di Stanislao presenterò un ordine del giorno da votare al termine di queste ratifiche per impegnare il Governo ad avviare tutte le opportune iniziative, anche in sede europea, volte a far avanzare tali legislazioni che ancora prevedono la pena di morte, pur non applicandola di fatto nella quasi totalità dei Paesi, affinché passino a una moratoria de iure e a promuovere in sede comunitaria adeguate iniziative, anche sanzionatorie, nei confronti dei Paesi membri del Cariforum qualora dovessero riprendere le esecuzioni capitali.
Questa volta - lo dico espressamente - il voto dell'Italia dei Valori sarà condizionato dal parere del Governo su questo nostro ordine del giorno.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Barbi. Ne ha facoltà.

MARIO BARBI. Signor Presidente, qualche minuto per spiegare le ragioni del favore del gruppo del Partito Democratico alla ratifica dell'Accordo di partenariato economico tra gli Stati del Cariforum e l'Unione europea.
Anticipo che quello che diceva l'onorevole Evangelisti poc'anzi relativamente alla questione della pena di morte non espressamente abrogata in alcuni di questi Paesi costituisce una questione sulla quale ci sono anche da parte nostra un interesse e un'attenzione particolari - peraltro già mostrati nella fase di ratifica al Senato, dove appunto la ratifica del provvedimento è stata associata a un ordine del giorno, che anche noi presenteremo, accolto dal Governo - affinché espressamente un eventuale passaggio dalla situazione di moratoria di fatto alle esecuzioni capitali in uno di questi Paesi sia associato a provvedimenti relativi all'attuazione dell'Accordo.
Detto questo in premessa, vorrei però attirare l'attenzione su un altro aspetto particolare: come ha ricordato il relatore, l'Accordo è collegato ed è attuativo in ambito regionale del partenariato fra l'Unione europea e i Paesi ACP (Africa, Caraibi e Pacifico), ne parlavamo poc'anzi discutendo della seconda modifica dell'Accordo di Cotonou. L'Accordo attuativo di quest'Accordo di Cotonou con i Paesi del Cariforum - che sono quindici - rappresenta al momento l'unico accordo di partenariato economico portato a termine in tale contesto.
Il relatore ha sottolineato come l'Accordo con la comunità caraibica intenda rafforzare e promuovere la cooperazione Pag. 56con i Paesi dell'Unione europea mediante una progressiva riduzione delle barriere commerciali, nel rispetto degli accordi dell'Organizzazione mondiale del commercio, e favorendo l'integrazione dei Paesi dei Caraibi nell'economia mondiale, con un conseguente auspicato ampliamento delle prospettive di crescita e di contrasto alla povertà.
In proposito, ricordo che l'interscambio tra Unione europea e comunità dei Caraibi rappresenta circa 30 milioni di abitanti, considerato il complesso di questi quindici Stati. L'interscambio ammontava a circa 6 miliardi di euro nel 2007 con un leggero vantaggio per i Paesi dell'Unione europea. Nel quadro di questo partenariato un punto particolarmente rilevante è il contrasto alla povertà ed il richiamo agli Obiettivi di sviluppo del millennio.
Segnalo che proprio questo è il primo degli obiettivi indicati nell'Accordo. Lo cito: contribuire alla riduzione e in prospettiva all'eliminazione della povertà mediante l'istituzione di un partenariato commerciale coerente con l'obiettivo di uno sviluppo sostenibile con gli Obiettivi di sviluppo del millennio e con l'Accordo di Cotonou. Si potrebbe dire che in questo modo è detto tutto. A me preme mettere in risalto questo aspetto che rinvia anche alla centralità della cooperazione allo sviluppo con tutti gli strumenti disponibili, compresi gli impegni del Fondo di sviluppo dell'Unione europea ricordati dal relatore, perché questo è l'asse fondamentale di questo partenariato.
Che sia così si capisce meglio se guardiamo un po' più da vicino la realtà di cui stiamo parlando, che è una realtà molto variegata. È vero che ci sono i paradisi fiscali, come ricordava il collega Evangelisti, ma ci sono i Paesi più importanti relativamente alla popolazione, come Haiti, che ha 9 milioni di abitanti su una superficie di meno di 30 mila chilometri quadrati, più o meno quanto l'adiacente Repubblica dominicana, che pur come osservatore rientra nell'Accordo ed è lo Stato più popoloso della comunità dei Caraibi, nonché il più povero, con un reddito medio pro capite prima del terremoto di poco più di 500 dollari l'anno.
Dal punto di vista della ricchezza, ricorderei la Guyana, con 1.250 dollari pro capite. Si tratta però di un Paese con pochissimi abitanti su una superficie pari a circa due terzi dell'Italia, con meno di un milione di abitanti. Poi vi è la Repubblica dominicana, di cui parlavo prima, anch'essa con 9 milioni di abitanti e 3.500 dollari pro capite. Abbiamo poi altri Paesi come la Giamaica, terzo Paese per abitanti con 2,6 milioni, il Suriname, con mezzo milione di abitanti, ma su un ampio territorio, poi ci sono Saint Lucia, Grenada, Grenadine, Commonwealth di Dominica e Belize, che sono tutti piccoli e piccolissimi Paesi con qualche decina di migliaia di abitanti o qualche centinaia di migliaia. All'altro estremo, con redditi pro capite che vanno da circa 9.000 a 17 mila dollari, troviamo le Barbados, le Bahamas, passando per Saint Christopher, Antigua e Repubblica di Trinidad e Tobago. Complessivamente sono 2 milioni di persone su un territorio di poco più di 20 mila chilometri quadrati.
Insomma, la comunità caraibica con le sue isole e qualche zona continentale, unite dalla geografia e da caratteristiche ambientali, è assai ricca di contrasti sociali, economici e linguistico-culturali. Ho menzionato queste varietà e queste diverse densità di popolazione e di livelli di povertà o di ricchezza, che interessano 30 milioni di persone in 15 Stati, per evidenziare come l'attuazione dell'Accordo da parte dell'Unione europea non sia affatto semplice, ma richieda elasticità e capacità di modulare le priorità a seconda delle realtà con cui si ha a che fare. Lo spettro dell'Accordo è ampio, come si capisce dall'articolato, e quindi gli strumenti non dovrebbero mancare. È con questo auspicio che dichiariamo il nostro favore alla ratifica dell'Accordo.
Ricordo, infine, la questione della moratoria della pena di morte, che dovrà essere posta come una condizione alla ratifica.

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PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pianetta. Ne ha facoltà.

ENRICO PIANETTA. Signor Presidente, sarò molto breve perché la relazione del relatore è stata puntuale e molto esaustiva.
Sottolineo soltanto che l'Accordo di Cotonou, di cui abbiamo discusso in precedenza, prevede la stipula di accordi di partenariato economico, gli APE, finalizzati a sostenere i Paesi ACP, le loro economie e le loro partecipazioni al commercio internazionale, ponendo le basi di uno sviluppo sostenibile attraverso la progressiva rimozione delle barriere al commercio e l'aiuto per agevolare gli scambi commerciali.
È stato anche ricordato che il Cariforum è l'unica delle sei regioni geografiche che ha messo in atto questo provvedimento. La creazione di un mercato regionale integrato nei Caraibi potrà favorire lo sviluppo degli investimenti, e quindi dare un impulso alla crescita economica e sociale e creare tutte le condizioni per il raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo del millennio. D'altra parte, l'Unione europea si impegna ad utilizzare il sostegno finanziario di aiuto al commercio per dare attuazione all'Accordo.
Voglio anche io menzionare la questione della moratoria sulla pena di morte e ricordare che i Governi italiani si sono sempre impegnati nei confronti di questo argomento, anche ottenendo dei risultati positivi in sede di Nazioni Unite.
In occasione dell'ultima votazione nell'Assemblea generale, gli Stati del Cariforum hanno votato contro la risoluzione, ad eccezione di Haiti e del Suriname. Quindi, credo che questo fatto debba impegnare tutti quanti noi a chiedere al Governo, nell'ambito, evidentemente, di un'intesa con i partner europei, di svolgere le opportune iniziative in maniera tale che i Paesi del Cariforum prossimamente possano modificare la propria posizione, in particolare in occasione del prossimo voto nell'Assemblea generale delle Nazioni Unite per quanto riguarda la moratoria universale della pena di morte.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 4470)

PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore e il rappresentante del Governo rinunziano alla replica.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione delle mozioni Cesa, Franceschini, Della Vedova, Di Pietro, Tabacci ed altri n. 1-00607 e Vannucci, Ciccanti, Favia ed altri n. 1-00693 concernenti iniziative in relazione ai danni causati dall'eccezionale ondata di maltempo che ha colpito le Marche nel mese di marzo 2011 (ore 20,35).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Cesa, Franceschini, Della Vedova, Di Pietro, Tabacci ed altri n. 1-00607 e Vannucci, Ciccanti, Favia ed altri n. 1-00693, concernenti iniziative in relazione ai danni causati dall'eccezionale ondata di maltempo che ha colpito le Marche nel mese di marzo 2011 (Vedi l'allegato A - Mozioni).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritto a parlare l'onorevole Ciccanti, che illustrerà anche la mozione n. 1-00607, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

AMEDEO CICCANTI. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli Pag. 58colleghi, oggi discutiamo due mozioni, quella presentata il 28 marzo scorso a firma dell'onorevole Cesa e di tutto il gruppo dell'Unione di Centro, con i capigruppo del Partito Democratico, dell'Italia dei Valori e del Terzo Polo, e quella più recente del 15 luglio, a prima firma dell'onorevole Vannucci, di cui sono, come ha ricordato lei, firmatario.
Ambedue le mozioni portano la mia firma in quanto di medesimo contenuto sostanziale. Con esse chiediamo, per prima cosa, di rivedere la modifica dell'articolo 5 della legge n. 225 del 1992, istitutiva del Servizio nazionale della protezione civile, così come modificato dall'articolo 2, comma 2-quater, del cosiddetto decreto milleproroghe.
Con tale decreto sono state introdotte due norme: il comma 5-quater, che prevede modalità per finanziare gli interventi necessari a seguito di eventi che richiedono di essere fronteggiati con mezzi straordinari a carico del bilancio della regione interessata, e il comma 5-quinquies, che, a sua volta, prevede il Fondo nazionale di protezione civile e, se necessario, anche l'attivazione del fondo per le spese impreviste, il cosiddetto Fondo di riserva, da reintegrare, però, obbligatoriamente attraverso l'aumento delle aliquote nazionali delle accise su benzina e gasolio.
Quindi, sono previste due modalità di finanziamento, una regionale e l'altra nazionale. Quella regionale si attua attraverso l'aumento delle imposizioni tributarie e delle addizionali di propria competenza, compresa l'accisa sulla benzina, sino ad un massimo di 5 centesimi per litro, oltre la misura massima già consentita alle regioni dall'articolo 17 della legge n. 398 del 1990. Il canale finanziario nazionale, invece, si attiva quando le misure regionali poste in essere non risultano sufficienti e, negli altri casi, quando gli eventi previsti dal comma 5-quinquies sono da ritenersi di rilevanza nazionale.
Si tratta di capire se i due canali finanziari sono alternativi o possono cumularsi e cosa si intende per eventi di rilevanza nazionale. La norma è scritta male: non si capisce bene se la rilevanza nazionale dell'evento attivi da sola il canale del Fondo nazionale di protezione civile, con le forme previste di reintegrazione da applicarsi a livello nazionale, oppure svolga una funzione sussidiaria, nel senso che integra il canale finanziario attivato dalla regione.
A parere di chi parla, condividendo il parere espresso dal professore Valerio Onida alla regione Marche il 14 marzo scorso, la qualificazione dell'evento calamitoso come evento di rilevanza nazionale è una determinazione ammessa all'apprezzamento politico del Governo in sede di deliberazione dello stato di emergenza. Si tratta, cioè, di valutare se l'evento naturale è di portata regionale oppure richiede la solidarietà nazionale, ossia quella di altre regioni.
Venendo alla portata dei danni subiti dalle Marche tra l'1 e il 6 marzo scorsi che hanno colpito l'intero litorale regionale, duecento chilometri di costa, le infrastrutture turistiche, ferroviarie e viarie presenti sulla costa, oltre alle abitazioni private, alle attività agricole, artigianali, commerciali e di servizi, è indubbia la sproporzione tra le risorse finanziarie locali rinvenibili e quelle occorrenti.
Come risulta agli atti, con puntuale e certosina rendicontazione del Servizio di protezione civile della regione Marche, i danni ammontano a 493 milioni 377 mila euro, senza considerare quelli all'agricoltura che risultano essere di pari entità, a fronte di risorse finanziarie rinvenibili a livello regionale stimabili tra i 20 e i 25 milioni di euro. Sono, pertanto, di tutta evidenza la portata e la rilevanza nazionale dell'evento calamitoso.
Come detto nella mozione in esame, le Marche, come tutte le altre regioni, hanno subito, con la manovra finanziaria di cui al decreto-legge n. 78 del 2010, un drastico taglio dei trasferimenti statali: dai 220 milioni di euro del 2009 si è passati a 41 milioni di euro, con un taglio netto di 179 milioni di euro sulle funzioni trasferite dallo Stato alle regioni con i decreti Bassanini. Certamente, ci troviamo di fronte ad un limone spremuto. Vi è anche una valutazione di buon senso che chi Pag. 59governa dovrebbe fare. Se non si può chiedere ad una regione di tagliare il proprio bilancio, già tagliato drasticamente da questo Governo, non si può nemmeno chiedere alla stessa regione di aumentare l'IRAP alle imprese danneggiate oppure l'IRPEF alle aliquote basse quando quelle alte sono già state tassate al massimo.
L'illogicità di una tale norma sta anche nello sfondo storico della legislazione nazionale che ha sempre sospeso i tributi e i contributi alle imprese colpite da calamità naturali, come ad esempio un terremoto. Le stesse Marche ebbero la sospensione dei tributi e dei contributi per il terremoto del 1991, mentre in questa occasione non solo non si sospendono i tributi ed i contributi, ma si incrementano.
Dall'illogicità si passa alla perversione politica, quando si affronta un altro tema di finanziamento, quello relativo alla difesa del sistema idrogeologico erogato dal Ministro dell'ambiente. Dopo che, per un decennio, lo Stato non ha erogato un solo euro alle regioni, lo scorso 25 novembre la regione Marche ha sottoscritto un accordo di programma con il Ministro Prestigiacomo per un importo complessivo di oltre 50 milioni di euro.
Lo scorso 2 marzo, in piena alluvione, lo stesso Ministro ha comunicato che tale finanziamento sarebbe stato ridotto del 10 per cento per finanziare interventi a favore di Veneto, Liguria, Campania e provincia di Messina, per far fronte a precedenti eventi calamitosi. A nulla sono valse le proteste del governatore Spacca delle Marche, affinché il Governo si accorgesse della beffa che arrecava alle stesse Marche. Le Marche hanno contestato l'incongruenza delle norme adottate anche di fronte alla Corte costituzionale, alla quale hanno fatto ricorso in data 22 aprile scorso su mandato unanime del consiglio regionale.
A parte la contraddizione delle norme introdotte nel cosiddetto decreto-legge milleproroghe, dianzi ricordate, e a parte l'impianto della legge n. 225 del 1992, dove all'articolo 2, comma 1, lettera c), chiaramente si riservano gli interventi della Protezione civile nazionale quali interventi relativi a calamità naturali, catastrofi o altri eventi, che per intensità ed estensione debbono essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari, c'è da richiamare anche il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 10 marzo scorso, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 65 del 21 marzo 2011, con il quale si dichiara lo stato di emergenza e nel quale si dice chiaramente che detta situazione di emergenza per intensità ed estensione non è fronteggiabile con mezzi e poteri ordinari. Sicché è di tutta evidenza la rilevanza nazionale dell'evento metereologico, che ha danneggiato le Marche dal 1o al 6 marzo scorso.
Il fatto che le norme di cui ai commi 5-quater e 5-quinquies, prima ricordate, devono essere riviste come si chiede nelle due mozioni in discussione, è provato anche da altre considerazioni, che appaiono agli occhi dei più abbastanza scontate. Non è pensabile, infatti, ammesso e non concesso che i danni siano posti tutti a carico del bilancio regionale, che le regioni - in questo caso la regione Marche - si carichino anche di funzioni e di interventi della Protezione civile, che sono riconducibili alla competenza dello Stato oppure delle province e dei comuni.
Sorvoliamo l'improvvida espressione usata dal comma 5-quater, che pone in capo al presidente della regione l'obbligo di esercitare la potestà tributaria, che per statuto spetta al consiglio regionale; sorvoliamo pure sulla circolare emanata il 14 marzo scorso dal Presidente del Consiglio dei ministri, contenente gli indirizzi interpretativi delle norme, che abbiamo contestato in sede di approvazione del decreto-legge milleproroghe e che si contestano con le mozioni in discussione, laddove si attribuisce allo stesso Presidente del Consiglio dei ministri la titolarità delle politiche di protezione civile, attribuendogli poteri per emanare speciali ordinanze derogatorie dell'ordinamento generale vigente ed istituire eccezionali assetti organizzativi facenti capo a specifici commissari delegati, i quali possono essere anche diversi dal presidente della regione (si prefigura così la paradossale situazione Pag. 60per cui il presidente della regione è autorizzato ad aumentare le tasse regionali e il delegato del Presidente del Consiglio dei ministri a spendere le stesse risorse); sorvoliamo altre considerazioni minori.
Non si può sorvolare, però, in merito alla circostanza politica di un Governo che ha fatto dell'articolo 119 della Costituzione - sul quale ha costruito tutta la riforma del federalismo fiscale - il pilastro per il riassetto dei poteri locali, per tradirne poi l'essenza, laddove al quinto comma si richiama allo Stato affinché garantisca le risorse aggiuntive e gli interventi speciali per la promozione dello sviluppo economico, della coesione e della solidarietà sociale, quale effettivo esercizio dei diritti della persona.
Su questo punto riteniamo si debba rivendicare il diritto dei cittadini marchigiani ad essere non solo uguali agli altri, ma anche a vedersi riconoscere la solidarietà sociale di chi rappresenta l'unità nazionale, ossia la nazione, cioè questo Governo.
Per tale ragione le norme in discussione contenute nel decreto milleproroghe riteniamo siano di natura incostituzionale. Lo sono sicuramente per la parte che esenta lo Stato da interventi con il Fondo nazionale per la Protezione civile per eventi valutati di rilievo nazionale, così come si evince nella dichiarazione dello stato di emergenza prima richiamato. Oltre a richiedere la rivisitazione delle norme del decreto milleproroghe si chiede la deroga al Patto di stabilità per le spese relative ed attinenti gli interventi di ripristino dei luoghi danneggiati.
Riteniamo assurdo che ci siano comuni che dispongono di residui attivi che possono essere utilmente destinati a prevenire ulteriori danni oppure a ripristinare lo stato quo ante l'evento calamitoso, e non possono farlo perché sforano i parametri del Patto di stabilità interno. Si faccia subito interprete questo Governo di questo dibattito e delle istanze di questa mozione, anzi di queste due mozioni, affinché emetta le ordinanze di Protezione civile per gli stati di emergenza deliberati, interpretando le norme citate in quanto riferite ad eventi di rilevanza nazionale (sottolineo: di rilevanza nazionale), facendo così fronte agli indennizzi alle persone fisiche, alle imprese e agli enti locali, affinché essi possano fronteggiare le tendenze più urgenti in corso.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Vannucci, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00693. Ne ha facoltà.

MASSIMO VANNUCCI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'evento calamitoso che ha colpito Marche ed Abruzzo è avvenuto nei primi del mese di marzo 2011. Il Consiglio dei ministri ha prontamente deliberato, il 10 marzo, lo stato di emergenza. Deliberando lo stato d'emergenza si è accorto che una legge che nel frattempo avevamo approvato, la n. 10 del 26 febbraio 2011, che ha convertito il cosiddetto milleproroghe, di fatto ne bloccava l'operatività.
La mozione a prima firma onorevole Cesa, e sottoscritta da tutti i gruppi di opposizione (dal nostro capogruppo Dario Franceschini, da Benedetto Della Vedova, da Di Pietro, da Tabacci), è stata presentata il 28 marzo 2011. Ovviamente l'ho firmata anch'io e la condivido; ho ritenuto però con i colleghi marchigiani di tutti i gruppi di opposizione di presentare una mozione proprio perché era trascorso molto tempo, cioè andava aggiornato il tema rispetto al 28 marzo 2011.
L'onorevole Ciccanti ha già detto quali sono i problemi, voglio però ricordarli: ci sono state tre vittime in questa alluvione nelle Marche; 52 sono state le zone allagate, 73 strade interrotte, numerose migliaia le famiglie evacuate; molte aziende (ha colpito soprattutto il settore del calzaturiero con molte piccole e medie aziende) si sono allagate con blocco di attività; le coste dell'Adriatico sono state distrutte dalle mareggiate; i danni sono stati stimati in 493 milioni, senza considerare il settore agricolo; la zona colpita è soprattutto il settore florovivaistico della Valle del Tenna.
Benissimo, questo è successo; era successo anche qualche mese fa in Veneto, Pag. 61però c'era un'altra legge. La legge di conversione del decreto milleproroghe (la n. 10) infatti cosa dispone? Prevede che in caso di calamità la regione prima procede ad una ricognizione delle risorse nel proprio bilancio, e se queste non sono sufficienti aumenta tutti i tributi (le addizionali, le tasse, l'IRPEF, l'IRAP e quant'altro), e se ancora queste risorse non sono sufficienti aumenta l'accisa sui carburanti sino a ulteriori 5 centesimi al litro; solo dopo aver aumentato tutto questo può chiedere l'utilizzo del Fondo di Protezione civile.
Se il Fondo di protezione civile è incapiente, si attiva il Fondo per le spese impreviste. E cosa succede? Sempre in base al milleproroghe, se si attiva il Fondo per le spese impreviste, il direttore dell'Agenzia delle dogane è automaticamente autorizzato a ripristinare i fondi ancora una volta con l'aumento delle accise. Traduco: qualsiasi calamità, in Italia, dal 26 febbraio in poi, è pagata dalle regioni o dalle accise sulla benzina.
Le voglio dire la singolarità di questa norma. Le Marche, per fare un esempio, sono una piccola regione di un milione e mezzo di abitanti e sono colpite da una calamità di circa 1 miliardo tra i danni che ho citato e quelli al patrimonio agricolo. Se aumentassero tutte le sue tasse, tariffe e così via, comprese le accise sui carburanti, si arriverebbe a 20-25 milioni. Ma cosa succederebbe? Succederebbe che le sue aziende non sarebbero più competitive, perché ci sarebbe una tassazione diversa rispetto alle altre regioni, e che i suoi distributori di carburante non sarebbero più competitivi. Insomma, ci sarebbe una forte spinta a spostarsi fuori regione. Quindi, questa norma - sottosegretario Bellotti, mi auguro che lei, nella replica, riprenda questi temi e ci spieghi - non funziona. Le dico la singolarità: la dichiarazione dello stato di emergenza che il Presidente del Consiglio ha emanato, riconosce alla fattispecie degli eventi avvenuti nelle Marche la categoria di tipo C, il che significa che non è affrontabile dalla regione con strumenti ordinari. Nelle altre calamità, fino ad oggi, cosa abbiamo fatto? Qual è la prima norma che noi abbiamo applicato? La prima azione? È quella di dire alle imprese che si farà una moratoria visto che esse non possono lavorare ed operare, rinviando il pagamento delle imposte di sei, sette, otto mesi, di un anno. In questo caso non lo si è fatto, ma si dice loro che, dato che hanno subito una calamità, tutte le imposte vengono aumentate. Questo è il risultato. Che si aumentano tutte le imposte. Non può funzionare, non sta in piedi la competitività di una singola regione.
Le dicevo, però, signor Presidente, che abbiamo, con i colleghi Ciccanti e Favia, inteso presentare una nuova mozione, una mozione aggiuntiva - la prima la condivido, però è una mozione aggiornata - in quanto da quegli eventi sono passati cinque mesi. Cos'è successo in questi cinque mesi? È stato dichiarato lo stato di emergenza di tipo C, che significa non affrontabile dalla regione con strumenti ordinari, ma non è stata emessa alcuna ordinanza di protezione civile. Non si può emettere un'ordinanza di protezione civile perché le condizioni della legge per la quale la regione deve fare la verifica di bilancio non si sono verificate in quanto, giustamente, la regione, cosa ha fatto? È ricorsa alla Corte costituzionale e l'ha fatto assieme ad altre regioni. Signor Presidente, non le sto ponendo un tema locale delle Marche, ma questo è un problema nazionale. Infatti, la stessa cosa è successa dopo in Basilicata e l'altro giorno non so in che lago del nord, forse il lago di Como, o non so quale altro lago. Tuttavia, non si emetterà un'ordinanza di protezione civile perché le condizioni che ci sono prima non si verificheranno nell'immediatezza.
Signor Presidente, noi abbiamo udito il prefetto Gabrielli che, oggi, è il nuovo responsabile della Protezione civile, ma dal 26 febbraio non sono più state emesse ordinanze. Il sistema di Protezione civile, vanto di questo Paese per alcuni aspetti, per altri meno, ma, comunque, vanto di questo Paese - lo ripeto: per alcuni aspetti, per altri meno - è assolutamente fermo, bloccato, non operativo, non si può intervenire. Tutte le calamità sono ferme Pag. 62perché c'è questo macigno, c'è questa condizione. Non essendo stata emessa l'ordinanza di protezione civile, nessuna impresa, signor Presidente, è stata indennizzata. Aziende chiuse non hanno potuto riaprire e non sanno che cosa succederà loro in futuro, non c'è nemmeno un impegno preso per loro, non è stata adottata alcuna moratoria per le banche, non è stata decisa alcuna sospensione nel pagamento dei tributi. Ci sono strade ancora interrotte, ci sono frane ancora ferme lì, ci sono pericoli incombenti non rimossi. Noi abbiamo un accorato appello del sindaco di Sant'Elpidio a Mare, il quale ci informa che, quando c'è stata l'emergenza, ha chiamato le imprese ad intervenire per liberare le strade, per liberare le fogne, per aprire i canali, ma oggi non può pagarle.
Non può pagarle perché non c'è stata un'ordinanza di protezione civile. Non c'è alcuna deroga al Patto di stabilità. Supererebbe i vincoli del patto di stabilità che, com'è noto, lo vincolano a tenere i saldi che ha avuto nel triennio 2006-2008. Non può pagare, nessuno ha avuto indennizzi e i pericoli sono ancora tutti lì. Questo è il quadro della situazione.
Dunque cosa chiediamo noi, signor Presidente? C'è un passaggio particolare. Noi, sottosegretario Bellotti, abbiamo di fronte cinque mesi di sperimentazione. Abbiamo visto cosa è accaduto in questi cinque mesi. Non è successo niente. La norma non funziona. Il prefetto Gabrielli, responsabile della protezione civile, ci manda dopo l'audizione, perché glielo abbiamo chiesto, una serie di proposte di modifica delle norme introdotte. E allora la prima cosa che noi diciamo nella nostra mozione, signor Presidente, vediamo queste modifiche, vediamo di modificare la legge, perché non lo diciamo noi, lo dice il prefetto Gabrielli.
Rivolgo un appello ai colleghi anche delle altre forze politiche, anche da lei, collega Baldelli, mi aspetto molto nel suo intervento, lei parlerà, mi sembra, dopo di me ed è parlamentare marchigiano come noi. Spero che in questa mozione vi sia almeno la convergenza di tutti i parlamentari marchigiani di tutti i gruppi, oltre alla visione del Governo perché in fondo chiediamo cose fattibili, possibili, anzi necessarie. La rivedremo questa legge. Intanto cosa è necessario fare? Perché capisco che per modificare quella legge c'è un percorso. Intanto è necessario dire: dal momento che c'è stato un ricorso alla Corte costituzionale, nelle more di questo ricorso il Presidente del Consiglio dei ministri emetta l'ordinanza di protezione civile perché c'è una fattispecie nuova. È stata promulgata una legge, ma non è ancora stata applicata perché pende il ricorso: allora, nelle more di questo ricorso intanto facciamo qualcosa. Cosa possiamo fare? Un minimo di indennizzi alle imprese che non hanno potuto lavorare. Un minimo di indennizzi alle famiglie che sono state evacuate. Facciamo sì che i comuni possano pagare i primi interventi che hanno fatto e quindi una prima ordinanza di protezione civile. È un'altra cosa che è fondamentale perché se volessimo tenere così questa legge, bisognerebbe almeno aggiungere una norma. Perché qui la somma urgenza non si fa più. Infatti, le faccio un esempio, signor Presidente: oggi accade una catastrofe, questa notte si è verificato un evento, mi sembra un terremoto. Nessuno è in grado di intervenire e di impegnare le somme.
Collega Baldelli, aggiungiamo un comma nella legge n. 225 del 1992, sulla protezione civile, che dice che in caso di calamità il Ministro dell'economia e delle finanze può derogare al patto di stabilità per i comuni colpiti fissando un importo, 50-100 milioni che siano, in base all'entità dei danni, dicendo alla regione di ripartire questa quota per le province e i comuni interessati, di guardare alla disponibilità di cassa che hanno i comuni. Posso dire che nelle Marche vi sono milioni nelle casse dei comuni che non possono essere spesi per i vincoli e però c'è un'emergenza che non trova una risposta. Allora, diciamo ai comuni di spendere non i nostri soldi perché se mandiamo loro i soldi, sono già esclusi dal patto ma i loro fondi. C'è stata un'emergenza. Ti pongo un limite, ti faccio un controllo. Puoi spenderli solo per questo, però ti do la possibilità di spenderli. Pag. 63
Questa mi sembra una norma di assoluto buonsenso. Abbiamo tentato di inserirla nella manovra, in vari decreti che sono passati, ma non ci si è riusciti. Quindi, le ricapitolo l'impegno che chiediamo al Governo: nelle more del ricorso alla Corte costituzionale emanare l'ordinanza di protezione civile; cercare di fare una deroga al Patto di stabilità, con tutte le garanzie, senza impegni per i saldi perché, fatte le verifiche con i soldi disponibili, è soltanto una questione di cassa, e, con un po' più di tempo, invece riguardare questa riforma, che è stata fatta alla legge n. 225 del 1992, perché blocca il nostro Paese. Il danno che c'è stato nelle Marche è stato segnalato. Ci sono stati tre decessi. Il rischio è che di fronte ad una calamità ben più grave ci troveremmo assolutamente fermi e bloccati.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Favia. Ne ha facoltà.

DAVID FAVIA. Signor Presidente, in questa vicenda abbastanza grottesca e paradossale ci troviamo ancora una volta a combattere quasi a mani nude contro un modo di legiferare che ha questo Governo e che ha questa maggioranza, che è veramente incredibile. È come se una persona ferita, gravemente ferita - nella fattispecie alcune zone della mia regione - si trovasse sanguinante per strada e nessuno la soccorresse, non vi fosse modo di farla soccorrere, perché questa è la situazione. Il primo di marzo vi è stata questa catastrofica alluvione che ha creato grandi dissesti, ha distrutto anche impianti imprenditoriali sul mare. Ci sono stati 3 morti e 500 milioni di danni alle attività ordinarie, più altrettanti per quanto riguarda l'agricoltura.
Devo dire per la verità che l'attivismo di noi parlamentari marchigiani e la risposta da parte del sottosegretario Letta e del prefetto Gabrielli è stata rapida, nel senso che il 10 marzo avevamo già la dichiarazione dello stato di emergenza, ma all'improvviso, anche a detta del sottosegretario Letta e del prefetto Gabrielli, ci si è trovati a sbattere davanti a questo moloch che è la nuova normativa di protezione civile contenuta nel milleproroghe, una normativa assurda che impone ai danneggiati di aiutarsi da soli. È come se, nell'esempio che facevo prima, alla persona che si è rotta una vertebra perché è caduta si dicesse: «Vedi un po', aggiustatela da sola, riduci la frattura da solo, fai tutto da solo». Infatti, la realtà è questa, la realtà è che questa normativa, che purtroppo è entrata in vigore 2 giorni prima di questa calamità naturale, dice che la regione colpita deve prima andare a cercarsi i soldi nel proprio bilancio e la nostra regione non ce li ha, anche perché questo Governo le ha tagliato il 67 per cento dei trasferimenti, altri trasferimenti ha tagliato agli enti locali e si sta adoperando per effettuare ulteriori tagli. Dopodiché gli dice: «Aumenta l'IRPEF». Ma noi nella nostra regione l'addizionale IRPEF l'abbiamo portata ai massimi, all'1,4 per cento verso i redditi più alti per salvaguardare i redditi più bassi. Dovremmo aumentare l'IRPEF nei confronti dei redditi più bassi? Non lo faremo, non lo abbiamo fatto. «Bisogna aumentare l'IRAP»: l'abbiamo già aumentata, dal 4,73 al 4,82. Non è possibile comprimere ancora la competitività delle nostre imprese. Se facessimo tutto ciò che la legge richiede, tireremmo su non più di 20 milioni di euro, una bazzecola rispetto ai 500 più 500 di cui parlavo prima. Cosa succederebbe se accadesse ciò, a costo della lesione della competitività del nostro sistema socio-economico? Succederebbe che si dovrebbe andare ad attingere al Fondo di protezione civile, che è alimentato ancora una volta dalle accise e, nell'insufficienza acclarata che già sappiamo sussistere di questo fondo, si dovrebbe attingere al Fondo spese impreviste, anch'esso alimentato dalle accise sui carburanti. Questo significherebbe che, ferma restando la finale solidarietà del resto d'Italia - e per metterla in moto ci vuole tutto quello che ho detto prima - un cittadino marchigiano, immaginiamo colpito dalla catastrofe dell'alluvione, sarebbe colpito per tre volte consecutive sull'accisa dei Pag. 64carburanti. Figuriamoci se fosse per esempio un piccolo trasportatore colpito dall'alluvione. Ebbene, credo che questo sistema non funzioni, lo capiamo da soli.
La regione Marche ha ricevuto un parere pro veritate dal presidente emerito della Corte costituzionale, Valerio Onida: è ovvio, credo soltanto a discuterne così prosaicamente, banalmente, amatorialmente, senza essere professionisti, come alcuni di noi in realtà sono, che questa normativa puzza di incostituzionalità lontano un miglio, come si usa dire. Pertanto, senza attendere la pronuncia della Corte costituzionale, il Governo e la maggioranza potrebbero, votando anche la mozione in oggetto, intervenire immediatamente in modo legislativo, per rimediare a questo vulnus.
Oggi, gli interventi urgenti sono stati finanziati, come dicevano i miei colleghi, dalla regione e dagli enti locali. Ricordo, ancora una volta, una regione che ha subito un taglio del 67 per cento dei trasferimenti ordinari, enti locali che hanno subito tagli, regioni ed enti locali che subiranno ulteriormente tagli. Ciò significa, quindi, che questi danari, che sono stati utilizzati nella somma urgenza, sono stati distolti dalle previsioni verso cui erano destinati, quando la regione e gli enti locali avevano previsto come investire i pochi soldi che gli rimanevano dopo i tagli perpetrati dallo Stato per tenere in piedi un minimo di competitività e di coesione sociale.
Ora, la situazione assurda è che, poiché questo Governo non ha saputo intervenire sullo scenario internazionale, gli enti locali sono impossibilitati a pagare per non violare il Patto di stabilità. È notizia di due giorni fa che, alla presenza della presidente nazionale di Confindustria Marcegaglia, il nuovo presidente del centrosinistra della provincia di Macerata, peraltro il segretario regionale dell'Unione di Centro, Tonino Pettinari, ha fatto presente che la provincia di Macerata ha 10 milioni di euro liquidi in cassa per pagare lavori già fatti e 10 milioni di euro pronti per far partire degli appalti già assentiti. Tutto ciò non è possibile sulla base del vincolo del Patto di stabilità. Mi riferisco sia alla fattispecie dell'alluvione, sia al fatto che occorre ridare fiato, in questo momento di crisi, alla nostra economia: infatti, da una parte, i vincoli del Patto di stabilità, poiché gli enti non sono pagati, costringono i cittadini a non poter fruire delle opere pubbliche che sono in corso, che sono in stato di avanzamento già pagate...

PRESIDENTE. La invito a concludere.

DAVID FAVIA. ...ma dall'altra parte, la cosa più grave è che le imprese che non incassano i soldi falliscono e licenziano, e fallendo, ovviamente, mettono in mezzo ad una strada tanti padri di famiglia.
Allo stesso modo, siamo dovuti intervenire alla vigilia della stagione turistica, della stagione estiva, per rimettere in piedi gli stabilimenti balneari che erano stati duramente colpiti dal maltempo.
Abbiamo ancora un ponte, che è un simbolo della catastrofe della destra, il ponte di Colbuccaro, sotto Macerata, vicino a Corridonia, una cui spalla è «saltata». In via di emergenza, è stato attivato un guado, ma questo ponte non funziona e non può essere utilizzato. Sono passati cinque mesi, e lo Stato non ha mandato una lira sulla scorta di una legge, consentitemi di dire, omicida.
Signor sottosegretario, io la prego di farsi carico di questa problematica ancor prima che intervenga la sentenza della Corte costituzionale, perché non solo le Marche, ma anche l'Abruzzo e la Basilicata, che hanno fatto ricorso alla Corte costituzionale, stanno patendo questa norma come prime cavie. Ci stanno «lasciando le penne» dal punto di vista socio-economico, dal punto di vista imprenditoriale - imprese che chiudono - e dal punto di vista occupazionale, perché le imprese chiudendo, o non avendo lavoro, licenziano.
Inoltre, lo dico per ultimo, ma sicuramente è la cosa più importante: non si rende giusta e corretta memoria a chi, in questa catastrofe, ha perso la vita, e sono ben tre persone. Noi chiediamo che possa essere emessa l'ordinanza di protezione Pag. 65civile, che possano essere allentati e derogati, nella fattispecie, i vincoli del Patto di stabilità, e che il Governo e lo Stato facciano qualcosa per aiutare una regione che è stata martoriata dai tagli e dall'alluvione. È una regione che ha fatto da sé, sempre, tanto, ma le cui dimensioni, oggi, non consentono di reagire come si dovrebbe ad una tragedia di queste dimensioni perché è come se si avessero le mani legate.
Ci aspettiamo una risposta concreta. Sappiamo che anche il prefetto Gabrielli, finanche il sottosegretario Letta sentono di avere le mani legate, ma sono passati cinque mesi senza che sia stato fatto nulla. Vi preghiamo di approvare queste nostre mozioni, modificate o meno, una più «antica», firmata da tutta l'opposizione, e una più aggiornata, con meno firme, ma comunque non meno rappresentativa in quanto figlia dell'altra; ci auguriamo che queste mozioni vengano approvate quanto prima e che ad esse facciano seguito strumenti e provvedimenti amministrativi e legislativi che tolgano le Marche da questa situazione tragica in cui voi l'avete messa (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Baldelli. Ne ha facoltà.

Testo sostituito con errata corrige volante SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, inizierò con una breve battuta di risposta a quanto diceva l'onorevole Favia: le Marche sono state messe in difficoltà dall'alluvione, non certo dal Governo, a meno che non si voglia attribuire al Governo anche la facoltà di produrre alluvioni. Una volta si diceva: piove, Governo ladro! Ci mancherebbe che questo non sia il caso di specie né tantomeno vi è da ironizzare su una vicenda che, purtroppo, ha annoverato anche delle vittime tra la popolazione civile.
Tuttavia, credo che, al di là delle considerazioni di schieramento, le mozioni che oggi sono all'ordine del giorno pongano un problema reale, esistente. È ovvio che esse vadano valutate non solo in base alla loro coerenza, nel senso che vi è una questione di differenza, di sfasamento anche temporale nella loro presentazione. Infatti, vi è la mozione Cesa ed altri n. 1-00607, sottoscritta anche dall'onorevole Ciccanti, che, evidentemente, risale ad un periodo immediatamente successivo al verificarsi della calamità, che quindi oggi, forse, pare superata dalla stessa mozione Vannucci, Ciccanti, Favia ed altri n. 1-00693.
Vi è una situazione oggettiva di difficoltà nel declinare le esigenze che pure vi sono in termini di risorse, di sostegno alla popolazione, alle imprese e agli enti locali, con la quantità di risorse disponibili, da un lato e, dall'altro, la lettera della legge di conversione del cosiddetto decreto milleproroghe. Quasi per uno scherzo del destino, infatti, quest'ultimo è stato approvato il 26 febbraio, quando il 27 e 28 febbraio e il 1o marzo si verificavano questi eventi e queste calamità che conosciamo.
Sappiamo che nella finanziaria per il 2010 vi è stato un finanziamento che va a valere su alcuni fondi destinati alla prevenzione del dissesto idrogeologico, per circa 900 milioni di euro. Sono stati stanziati dal Governo come poste per questa prevenzione così importante. Sappiamo che nello stesso «milleproroghe» venivano destinati circa 100 milioni di euro proprio per le calamità verificatesi in alcune zone d'Italia, penso a Messina, alla Toscana e al Veneto; in particolare, sono stati stanziati: per la Liguria, 45 milioni di euro; per il Veneto, 30 milioni di euro; per la Campania, 20 milioni di euro e, per Messina, 5 milioni di euro.
Quindi, quel provvedimento interveniva anche con un finanziamento importante su quel punto e stabiliva una nuova norma sulla quale pur tuttavia, come è scritto anche nella mozione Vannucci, Ciccanti, Favia ed altri n. 1-00693, pende un ricorso presso la Corte costituzionale promosso dalla regione Marche.
Pertanto, credo che, con grande senso di responsabilità, tutti quanti dovremmo ragionare senza tirarci addosso le responsabilità di quanto accade. Se è vero che il Governo e il Parlamento hanno votato una Pag. 66norma che stabilisce un certo percorso, è anche vero che la regione Marche ha presentato un ricorso legittimo presso la Corte costituzionale che però, di fatto, ha immobilizzato quelle che potevano essere le procedure attualmente previste dalla legge e che permettono alla regione Marche di intervenire sulle aliquote che, però, sono già alte, come si legge anche nelle mozioni. Conosciamo poi i problemi. Si può aumentare ancora l'IRAP o si può aumentare di più l'IRPEF, portandola ai massimi storici. È una scelta politica ma, comunque, è al massimo livello come addizionale regionale. Si può anche intervenire sulle accise della benzina. Questo non è stato fatto perché si è preferito - ed è stata anch'essa una scelta politica da parte della regione Marche, in qualche modo - intervenire con un ricorso.
Di fatto, sappiamo che in questo momento in Italia vi sono ancora 54 posizioni di calamità naturali, di interventi e di stati di emergenza. È evidente che per lo Stato centrale vi è una difficoltà oggettiva nel sostenere tutte le calamità naturali che si verificano ed è altrettanto evidente che quella norma, che è stata inserita nel decreto-legge «milleproroghe», non vale solo per la regione Marche. Vale nella regione Marche per il caso specifico ma anche per tutti quegli eventi di calamità naturali che avvengono successivamente all'entrata in vigore della conversione in legge del decreto-legge.
Quindi, credo che da questo punto di vista vi siano ancora problemi sul tappeto e che questi non siano semplici da risolvere. Comunque, essi vanno affrontati con grande serenità e anche con grande senso di responsabilità. Per questo credo che tutti quanti noi dovremmo portare avanti un ragionamento comune che coinvolga i gruppi di appartenenza, i firmatari delle mozioni di cui stiamo discutendo oggi, i gruppi di maggioranza e il Governo, concedendo a noi stessi e a questo Parlamento un tempo utile per un ulteriore approfondimento. Credo che la calendarizzazione in questa fase di una mozione o di più mozioni su questo tema sia un elemento che difficilmente ci porterebbe a una soluzione serena se non ad un voto di confronto tra maggioranza e opposizione che inevitabilmente potrebbe comprimere o, addirittura, interrompere di netto un dibattito che, invece, credo debba essere ulteriormente approfondito.
Siamo ormai a diversi mesi di distanza dall'evento - perché parliamo di un evento, appunto, verificatosi tra la fine di febbraio e i primi di marzo - e, quindi, credo che da questo punto di vista forse sarebbe utile dedicarci tutti insieme, come forze politiche, ad un approfondimento con il Governo, per cercare di uscire, tutti quanti insieme, da questa situazione di difficoltà che vede coinvolte diverse amministrazioni locali, la regione Marche e il Governo nazionale. In particolare, credo che quest'ultimo avendo varato, attraverso un voto libero della maggioranza di questo Parlamento, una normativa che è in vigore, non possa essere accusato - come è stato sottolineato da diversi colleghi che sono intervenuti prima di me e anche con gli interventi del sottosegretario Letta e di altri esponenti, che hanno dimostrato sensibilità - di non avere la percezione di questo problema dato che, da questo punto di vista, ha promosso una normativa inequivocabile al riguardo.
Quindi, credo che con grande serenità, anziché affrettare la strada di un voto parlamentare su questo specifico argomento, potremmo dedicare del tempo di approfondimento per individuare con le forze politiche ed i gruppi di appartenenza di questa Assemblea e con il Governo stesso e, in particolare con il Dicastero dell'economia e delle finanze, una possibile soluzione che possa venire incontro ad esigenze legittime, sollevate a più riprese e che, nello stesso tempo, salvaguardino i saldi, che pure vanno salvaguardati, a maggior ragione a fronte di una manovra che abbiamo testè approvato e che pure ha operato dei tagli molto importanti, non mettendo a disposizione del Governo ulteriori risorse di qualsivoglia natura.
Credo che, da questo punto di vista, uno sviluppo armonico della vicenda potrebbe essere utile per tutti coloro che hanno inteso sollevare questa questione a Pag. 67livello parlamentare, a mio avviso forse un po' tardivamente rispetto agli appuntamenti che ci siamo trovati, anche freneticamente, ad affrontare. Credo, tuttavia, che un'interlocuzione possa essere senza dubbio proficua.
SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, inizierò con una breve battuta di risposta a quanto diceva l'onorevole Favia: le Marche sono state messe in difficoltà dall'alluvione, non certo dal Governo, a meno che non si voglia attribuire al Governo anche la facoltà di produrre alluvioni. Una volta si diceva: piove, Governo ladro! Ci mancherebbe che questo sia il caso di specie tantomeno vi è da ironizzare su una vicenda che, purtroppo, ha annoverato anche delle vittime tra la popolazione civile.
Tuttavia, credo che, al di là delle considerazioni di schieramento, le mozioni che oggi sono all'ordine del giorno pongano un problema reale, esistente. È ovvio che esse vadano valutate non solo in base alla loro coerenza, nel senso che vi è una differenza, uno sfasamento anche temporale nella loro presentazione. Infatti, vi è la mozione Cesa ed altri n. 1-00607, sottoscritta anche dall'onorevole Ciccanti, che, evidentemente, risale ad un periodo immediatamente successivo al verificarsi della calamità, che quindi oggi, forse, pare superata dalla stessa mozione Vannucci, Ciccanti, Favia ed altri n. 1-00693.
Vi è una situazione oggettiva di difficoltà nel declinare le esigenze che pure vi sono in termini di risorse, di sostegno alla popolazione, alle imprese e agli enti locali, con la quantità di risorse disponibili, da un lato e, dall'altro, la lettera della legge di conversione del cosiddetto decreto milleproroghe. Quasi per uno scherzo del destino, infatti, quest'ultimo è stato approvato il 26 febbraio, quando il 27 e 28 febbraio e il 1o marzo si verificavano questi eventi e queste calamità che conosciamo.
Sappiamo che nella finanziaria per il 2010 vi è stato un finanziamento che va a valere su alcuni fondi destinati alla prevenzione del dissesto idrogeologico, per circa 900 milioni di euro, stanziati dal Governo come poste per questa prevenzione così importante. Sappiamo che nello stesso «milleproroghe» venivano destinati circa 100 milioni di euro proprio per le calamità verificatesi in alcune zone d'Italia, in particolare per la Liguria, 45 milioni di euro; per il Veneto, 30 milioni di euro; per la Campania, 20 milioni di euro e, per Messina, 5 milioni di euro.
Quindi, quel provvedimento interveniva anche con un finanziamento importante su quel punto e stabiliva una nuova norma sulla quale pur tuttavia, come è scritto anche nella mozione Vannucci, Ciccanti, Favia ed altri n. 1-00693, pende un ricorso presso la Corte costituzionale promosso dalla regione Marche.
Pertanto, credo che, con grande senso di responsabilità, tutti quanti dovremmo ragionare senza tirarci addosso le responsabilità di quanto accade. Se è vero che il Governo e il Parlamento hanno votato una Pag. 66norma che stabilisce un certo percorso, è anche vero che la regione Marche ha presentato un ricorso legittimo presso la Corte costituzionale che però, di fatto, ha immobilizzato quelle che potevano essere le procedure attualmente previste dalla legge e che permettono alla regione Marche di intervenire sulle aliquote che, però, sono già alte, come si legge anche nelle mozioni. Conosciamo i problemi: si può aumentare ancora l'IRAP o si può aumentare di più l'IRPEF, portandola ai massimi storici. È una scelta politica ma, comunque, è al massimo livello come addizionale regionale. Si può anche intervenire sulle accise della benzina. Questo non è stato fatto perché si è preferito - ed è stata anch'essa una scelta politica da parte della regione Marche, in qualche modo - presentare un ricorso.
Di fatto, sappiamo che in questo momento in Italia vi sono ancora 54 posizioni di stati di emergenza. È evidente che per lo Stato centrale vi è una difficoltà oggettiva nel sostenere tutte le calamità naturali che si verificano ed è altrettanto evidente che quella norma, che è stata inserita nel decreto-legge «milleproroghe», non vale solo per la regione Marche. Vale nella regione Marche per il caso specifico ma anche per tutti quegli eventi di calamità naturali che avvengono successivamente all'entrata in vigore della conversione in legge del decreto-legge.
Quindi, credo che da questo punto di vista vi siano ancora problemi sul tappeto non semplici da risolvere. Comunque, essi vanno affrontati con serenità e senso di responsabilità. Per questo credo che tutti quanti noi dovremmo portare avanti un ragionamento comune che coinvolga i gruppi di appartenenza, i firmatari delle mozioni di cui stiamo discutendo oggi, i gruppi di maggioranza e il Governo, concedendo a noi stessi e a questo Parlamento un tempo utile per un ulteriore approfondimento. Credo che la calendarizzazione in questa fase di una mozione o di più mozioni su questo tema sia un elemento che difficilmente ci porterebbe a una soluzione serena se non ad un voto di confronto tra maggioranza e opposizione che inevitabilmente potrebbe comprimere o, addirittura, interrompere di netto un dibattito che, invece, credo debba essere ulteriormente approfondito.
Siamo ormai a diversi mesi di distanza dall'evento - perché parliamo di un evento, appunto, verificatosi tra la fine di febbraio e i primi di marzo - e, quindi, credo che da questo punto di vista forse sarebbe utile dedicarci tutti insieme, come forze politiche, ad un approfondimento con il Governo, per cercare di uscire, tutti quanti insieme, da questa situazione di difficoltà che vede coinvolte diverse amministrazioni locali, la regione Marche e il Governo nazionale. In particolare, credo che quest'ultimo avendo varato, attraverso un voto libero della maggioranza di questo Parlamento, una normativa che è in vigore, non possa essere accusato - come è stato sottolineato da diversi colleghi che sono intervenuti prima di me e anche con gli interventi del sottosegretario Letta e di altri esponenti, che hanno dimostrato sensibilità - di non avere la percezione di questo problema dato che, da questo punto di vista, ha promosso una normativa inequivocabile al riguardo.
Quindi, credo che con grande serenità, anziché affrettare la strada di un voto parlamentare su questo specifico argomento, potremmo dedicare del tempo di approfondimento per individuare con le forze politiche ed i gruppi di appartenenza di questa Assemblea e con il Governo stesso e, in particolare con il Dicastero dell'economia e delle finanze, una possibile soluzione che possa venire incontro ad esigenze legittime, sollevate a più riprese e che, nello stesso tempo, salvaguardino i saldi, che pure vanno salvaguardati, a maggior ragione a fronte di una manovra che abbiamo testè approvato e che pure ha operato dei tagli molto importanti, non mettendo a disposizione del Governo ulteriori risorse di qualsivoglia natura.
Credo che uno sviluppo armonico della vicenda potrebbe essere utile per tutti coloro che hanno inteso sollevare questa questione a Pag. 67livello parlamentare, a mio avviso forse un po' tardivamente rispetto agli appuntamenti che ci siamo trovati, anche freneticamente, ad affrontare. Credo, tuttavia, che un'interlocuzione possa essere senza dubbio proficua.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Intervento del Governo)

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali, Luca Bellotti.

LUCA BELLOTTI, Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali. Signor Presidente, intervengo brevemente perché credo che l'argomento, in qualche maniera, per la sua gravità, necessiti di essere sicuramente rinviato ad una fase successiva, ma che anche in questa fase debba avere il conforto di una vicinanza alle popolazioni che stanno tuttora soffrendo per queste calamità.
Relativamente alle mozioni presentate dai colleghi Cesa, Ciccanti e Vannucci, devo dire che esse, così come i loro interventi, riportano lo stato dell'arte di una situazione e di uno stato di gravità in cui versano questi ambiti territoriali.
Le osservazioni hanno messo in rilievo aspetti sia di carattere normativo che di carattere giuridico, ma vi sono aspetti altrettanto importanti che hanno un impatto economico assolutamente rilevante. Quindi, siccome credo che sia assolutamente necessario un approfondimento in tutte le varie forme che si rendono necessarie - sia con riferimento agli aspetti normativi e giuridici, che sono stati rilevati dagli interventi precedenti, sia con riferimento gli aspetti economici che vedono sicuramente anche un coinvolgimento del Governo per quanto riguarda l'economia - credo che potremmo definire che c'è un'assoluta sensibilità e l'intento di continuare a seguire questa norma, per cui approfitteremo di questo tempo per dare le risposte - me lo auguro - che il territorio si attende.

PRESIDENTE. Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

In morte dell'onorevole Ernesto Pucci.

PRESIDENTE. Comunico che è deceduto l'onorevole Ernesto Pucci, già membro della Camera dei deputati dalla III all'VIII legislatura.
La Presidenza della Camera ha già fatto pervenire ai familiari le espressioni della più sentita partecipazione al loro dolore, che desidera ora rinnovare anche a nome dell'Assemblea.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Martedì 19 luglio 2011, alle 15:

1. - Seguito della discussione del disegno di legge:
Conversione in legge del decreto-legge 1o luglio 2011, n. 94, recante misure urgenti in tema di rifiuti solidi urbani prodotti nella regione Campania (C. 4480).
- Relatore: Ghiglia.

2. - Seguito della discussione delle mozioni Donadi ed altri n. 1-00670, Iannaccone ed altri n. 1-00676, Mosella ed altri n. 1-00677, Ghiglia ed altri n. 1-00678, Libè, Della Vedova, Lo Monte ed altri n. 1-00679, Bratti ed altri n. 1-00680 e Zamparutti ed altri n. 1-00681 concernenti iniziative urgenti sull'emergenza rifiuti a Napoli.

3. - Seguito della discussione delle mozioni Poli ed altri n. 1-00620, Di Stanislao ed altri n. 1-00622, Miotto ed altri n. 1-00626, Mosella ed altri n. 1-00630 e Pag. 68Reguzzoni, Cazzola, Moffa ed altri n. 1-00682 concernenti iniziative per l'incremento dei controlli relativi alle pensioni di invalidità.

4. - Seguito della discussione della mozione Cazzola, Gnecchi, Fedriga, Poli, Della Vedova, Moffa, Borghesi, Lanzillotta, Lo Monte ed altri n. 1-00690 concernente iniziative relative alla disciplina dei contributi pensionistici.

5. - Seguito della discussione della proposta di legge (previo esame e votazione delle questioni pregiudiziali di costituzionalità e della questione sospensiva presentate):
SORO ed altri: Norme per la tutela delle vittime di reati per motivi di omofobia e transfobia (C. 2802-A).
- Relatori: Costa, per la maggioranza; Concia, di minoranza.

6. - Seguito della discussione delle mozioni Nirenstein, Corsini, Polledri, Adornato, Della Vedova, Gianni, Vernetti ed altri n. 1-00669 e Leoluca Orlando ed altri n. 1-00687 concernenti iniziative relative alla crisi siriana.

7. - Seguito della discussione delle mozioni Reguzzoni, Baldelli ed altri n. 1-00671, Cimadoro ed altri n. 1-00684, Moffa ed altri n. 1-00688 e Anna Teresa Formisano, Della Vedova, Lanzillotta, Lo Monte ed altri n. 1-00689 concernenti iniziative volte a contrastare il fenomeno della contraffazione e ad assicurare il rispetto dei requisiti di sicurezza e di conformità dei prodotti all'ordinamento comunitario.

8. - Seguito della discussione dei disegni di legge:
Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo dello Stato del Qatar sulla cooperazione nel settore della difesa, fatto a Doha il 12 maggio 2010 (C. 4142).
- Relatore: Stefani.
Ratifica ed esecuzione del Protocollo emendativo della Convenzione del 1988 tra gli Stati membri del Consiglio d'Europa ed i Paesi membri dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico - OCSE - sulla reciproca assistenza amministrativa in materia fiscale, fatto a Parigi il 27 maggio 2010 (C. 4143).
- Relatore: Barbi.
Ratifica ed esecuzione dell'Accordo quadro di partenariato globale e cooperazione tra la Comunità europea e i suoi Stati membri, da una parte, e la Repubblica di Indonesia dall'altra, con Atto finale, fatto a Giacarta il 9 novembre 2009 (C. 4192).
- Relatore: Biancofiore.
Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra la Comunità europea e i suoi Stati membri da un lato e la Repubblica sudafricana dall'altro, che modifica l'Accordo sugli scambi, lo sviluppo e la cooperazione, firmato a Kleinmond, Sud Africa, l'11 settembre 2009 (C. 4201).
- Relatore: Osvaldo Napoli.
S. 2648 - Ratifica ed esecuzione dell'Accordo di mutua assistenza amministrativa per la prevenzione, l'accertamento e la repressione delle infrazioni doganali tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica argentina, con Allegato, fatto a Roma il 21 marzo 2007 (Approvato dal Senato) (C. 4388).
- Relatore: Pianetta.
Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo del Regno Hascemita di Giordania sulla cooperazione e sulla mutua assistenza in materia doganale, fatto a Roma il 5 novembre 2007 (C. 4373).
- Relatore: Scandroglio.
Ratifica ed esecuzione dell'Accordo che modifica per la seconda volta l'Accordo di partenariato tra i membri del gruppo degli Stati dell'Africa, dei Caraibi e del Pacifico, da un lato, e la Comunità europea e i suoi Stati membri, dall'altro, Pag. 69firmato a Cotonou il 23 giugno 2000, riveduto per la prima volta a Lussemburgo il 25 giugno 2005, con Atto finale e dichiarazioni allegate, aperto alla firma a Ouagadougou il 22 giugno 2010 (C. 4374).
- Relatore: Barbi.
S. 2622 - Ratifica ed esecuzione dell'Accordo nel campo della cooperazione militare tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo del Regno del Marocco, fatto a Taormina il 10 febbraio 2006 (Approvato dal Senato) (C. 4433).
- Relatore: Narducci.
S. 2623 - Ratifica ed esecuzione dell'Accordo di partenariato economico tra gli Stati del Cariforum, da una parte, e la Comunità europea e i suoi Stati membri, dall'altra, con Allegati, Protocolli, Dichiarazioni e Atto finale, fatto a Bridgetown, Barbados, il 15 ottobre 2008 (Approvato dal Senato) (C. 4470).
- Relatore: Stefani.

9. - Seguito della discussione delle mozioni Cesa, Franceschini, Della Vedova, Di Pietro, Tabacci ed altri n. 1-00607 e Vannucci, Ciccanti, Favia ed altri n. 1-00693 concernenti iniziative in relazione ai danni causati dall'eccezionale ondata di maltempo che ha colpito le Marche nel mese di marzo 2011.

10. - Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge:
TOMMASO FOTI; IANNUZZI ed altri; IANNUZZI; BOCCI ed altri: Disposizioni per la riqualificazione e il recupero dei centri storici e dei borghi antichi d'Italia (C. 169-582-583-1129-A).
- Relatore: Stradella.

(ore 19)

11. - Dimissioni del deputato Fassino.

La seduta termina alle 21,30.

TESTO INTEGRALE DELL'INTERVENTO DEL DEPUTATO SALVATORE PICCOLO IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE DI CONVERSIONE N. 4480

SALVATORE PICCOLO. Signor Presidente, signor Ministro, onorevoli colleghi, il decreto-legge n. 94, oggi in esame, varato dal Governo con colpevole ritardo e dopo un tormentato percorso in Consiglio dei ministri, dovrebbe servire a superare le gravissime criticità della gestione dei rifiuti in Campania. Non a caso ho detto «dovrebbe»: sì, perché questo provvedimento è l'esito deludente di una sintesi ambigua ed equivoca che il barcollante Governo Berlusconi ha trovato per tentare di superare le insanabili contraddizioni all'interno della maggioranza ed, in particolare, la manifesta ostilità della Lega che si è tenacemente e strumentalmente opposta all'adozione tempestiva di misure urgenti a far fronte alla drammatica emergenza in atto nella città e nella provincia di Napoli.
È un decreto sostanzialmente pilatesco che non risolve i problemi e che attesta l'incapacità di questo Governo ad assumere determinazioni adeguate alla gravità della situazione. Un atteggiamento, a dir poco, superficiale ed approssimativo che è chiaramente condizionato dalla palese necessità di non irritare gli alleati leghisti e, in qualche modo, di tacitarne le contestazioni.
Si continua a giocare su una questione molto seria, così come ha fatto in questi anni il Presidente del Consiglio che ha tentato di far credere al Paese di aver risolto miracolosamente e definitivamente il problema dei rifiuti a Napoli. Propaganda, solamente propaganda politica ed elettorale, consumata cinicamente sulla pelle dei cittadini, con deplorevole indifferenza agli effetti ed alle conseguenze di una condotta irresponsabile.
È del tutto evidente, difatti, che il decreto in discussione non consente il superamento dell'emergenza ed, in pratica, abbandona al suo destino la Regione Campania Pag. 70che dovrebbe confidare sulla generosa disponibilità di alcune Regioni italiane, più sensibili al dovere della solidarietà nazionale. Non può sfuggire che il meccanismo legislativo, così come configurato nel decreto, ritarda ed ostacola lo smaltimento dei rifiuti fuori della regione determinando - di fatto - una situazione di lentezza procedurale che confligge fortemente con la condizione di emergenza vissuta dalla città e dalla provincia di Napoli.
Lo ha detto bene anche l'ex sottosegretario all'emergenza rifiuti Guido Bertolaso, in una recente intervista al Messaggero, bollando come «inutile» il decreto e qualificandolo come «un provvedimento sbagliato che non risolve il problema», Nella stessa dichiarazione, non ha mancato anche di stigmatizzare le responsabilità del Governo anche in ordine al precedente decreto-legge n. 196 del 2010, da lui definito, senza fronzoli, come un provvedimento «sciagurato».
Sommessamente e nel suo stile cauto e timido, ha avanzato critiche e riserve anche lo stesso Governatore Caldoro che, pure, non si è particolarmente distinto per capacità di iniziativa istituzionale e per determinazione ad affrontare e risolvere il problema. Quando ha tentato di protestare con il Governo e ha sollecitato i parlamentari campani del Popolo della Libertà, ad impegnarsi per modificare il decreto in sede di conversione, è stato sostanzialmente ignorato, tant'è che il provvedimento arriva in aula senza alcuna rettifica, essendo stati respinti in Commissione tutti gli emendamenti proposti dal Partito Democratico e dall'opposizione.
In queste ore è intervenuto un decisivo fatto nuovo che non può essere ignorato dal Parlamento. Il Consiglio di Stato ha cassato la sentenza del TAR Lazio che aveva interdetto il trasporto dei rifiuti campani fuori regione, avendoli classificati come «rifiuti speciali pericolosi». Alla luce di tale rilevante decisione i rifiuti della Campania possono circolare liberamente ed essere, quindi, smaltiti anche in altre regioni d'Italia. A questo punto, il decreto deve essere assolutamente modificato per evitare che, paradossalmente, esso diventi peggiorativo per la situazione napoletana in quanto annullerebbe, di fatto, l'effetto positivo dell'ordinanza del Consiglio di Stato e porrebbe un evidente ostacolo al superamento dell'emergenza. Il che non significa ignorare il consenso delle regioni interessate alle quali va chiesta e sollecitata l'adesione e l'accordo in uno sforzo di solidarietà.
Non si può omettere in questa sede di non rilevare il singolare e assai discutibile atteggiamento del Presidente Caldoro che, per attenuare le inadempienze e i ritardi del suo governo regionale, continua a sostenere - nientedimeno - che sulla materia dei rifiuti «la Regione ha solo competenze residuali», quasi secondarie, e scarica ogni responsabilità sugli altri livelli istituzionali locali, dimenticando - tra l'altro - che la sua parte politica ha tenuto per anni sotto accusa il precedente governo regionale di centro-sinistra, al quale ha fatto totale carico della drammatica situazione della gestione dei rifiuti in Campania, «senza se e senza ma».
E che dire dell'inerzia assoluta della Provincia di Napoli e del suo Presidente in carica da più di due anni ? Che cosa ha fatto la Giunta provinciale e come ha assolto le competenze che in materia gli erano assegnate? Nell'audizione in Commissione Ambiente il Presidente Cesaro ha affermato che il Commissario straordinario per l'impiantistica ha individuato cinque cave dismesse, situate nel territorio napoletano, che dovrebbero essere in grado di garantire la piena autosufficienza della città e della provincia di Napoli fino alla realizzazione dell'impiantistica per il ciclo e, comunque, per almeno quattro anni. Un'ennesima, sia pure molto tardiva, buona intenzione. Ma quanto tempo occorre per realizzarle ed attrezzarle a norma di legge? E quando inizieranno i lavori ? Domande dall'esito incerto sulle quali la Provincia e la Regione continuano a balbettare.
Si continua a procedere con ordinanze a singhiozzo, senza mettere in campo un programma definitivo e credibile, con tempi certi per l'apertura di siti nei quali Pag. 71sversare, tenuto conto che i siti di trasferenza e di stoccaggio sono ormai prossimi alla saturazione.
È bene dirlo con chiarezza: senza l'apertura di adeguate discariche il problema non si risolve. Per i prossimi tre-quattro anni occorre predisporre siti attrezzati per il conferimento dei rifiuti, fin tanto che non saranno realizzati gli impianti per un ciclo integrato e completo, implementando al massimo la raccolta differenziata che, è il caso di dirlo, già sta sortendo esiti positivi in molti comuni della Campania.
È giusto e doveroso, in questa discussione, riconoscere che il nuovo Sindaco di Napoli si sta muovendo oggi con grande determinazione, assumendosi - nell'interesse della città - anche responsabilità che non rientrerebbero nella sua stretta competenza istituzionale. Di fronte ai ritardi ed all'inerzia della Regione e della Provincia di Napoli, De Magistris sta agendo concretamente, facendosi carico di individuare ed attrezzare rapidamente siti di trasferenza e di stoccaggio e attivandosi nella direzione coraggiosa di una gestione autonoma e indipendente per far fronte alla crisi. Sono già quattro i siti prescelti, di cui uno già pienamente operativo, un altro che sarà messo in funzione in questi giorni ed un terzo in corso di allestimento. Il quarto sito, individuato con recente ordinanza sindacale, si trova in un'area che consente il deposito e l'immediato trasferimento dei rifiuti raccolti presso le navi che li trasporteranno in un paese estero. Senza dimenticare che, nel frattempo, sono state già adottate dal Comune di Napoli specifiche delibere per estendere la raccolta differenziata ad altri trecentomila abitanti, nonostante le difficoltà finanziarie e la concomitanza ostativa dell'emergenza.
Questa è la verità: chi tenta di dirottare le responsabilità sul Comune di Napoli, per tentare di assolvere la regione e la Provincia distorce clamorosamente la realtà. Oggi l'unico ente che sta facendo il proprio dovere è il Comune di Napoli!
Abbiamo consapevolezza realistica anche dei ritardi e degli errori del passato e dei governi locali di centro-sinistra in questo settore. Ne abbiamo preso atto, anche se riteniamo che occorrerà riscrivere la storia di questi anni passati con maggiore serenità e con un'analisi più obbiettiva e conforme alla verità storica.
Ciò, però, non può costituire una esimente permanente per coloro che oggi governano la Regione e le province: il centro-destra non può più sfuggire alle sue responsabilità.
Battano un colpo il Presidente della Regione Campania e quello della Provincia di Napoli: escano dal torpore amministrativo e dall'ignavia istituzionale. Diversamente, abbandonino il campo, riconoscendo di non essere in grado di governare efficacemente.
II Partito Democratico sta facendo seriamente la sua parte, in Parlamento come negli enti locali. Abbiamo messo in campo proposte concrete ed efficaci che, ad oggi, non hanno trovato alcun riscontro positivo. Abbiamo presentato una proposta di legge per la gestione dell'emergenza rifiuti in Campania. Abbiamo in esame emendamenti al decreto-legge. Auspichiamo che su di essi ci siano una riflessione ed una considerazione maggiori di quelle che hanno trovato in sede di Commissione. Vogliamo, almeno, sperare che i deputati campani del Popolo della Libertà trovino la forza per concorrere a modificarlo, nell'interesse di Napoli e della Campania.