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Resoconto dell'Assemblea

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XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 498 di lunedì 11 luglio 2011

Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MAURIZIO LUPI

La seduta comincia alle 16,05.

GREGORIO FONTANA, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 14 giugno 2011.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Alessandri, Angelino Alfano, Berlusconi, Bonaiuti, Bossi, Brambilla, Brunetta, Carfagna, Casero, Catone, Cicchitto, Colucci, Cossiga, Crimi, Crosetto, D'Alema, Dal Lago, D'Antoni, Della Vedova, Farinone, Fitto, Franceschini, Frattini, Gelmini, Alberto Giorgetti, Giancarlo Giorgetti, Giro, La Russa, Leone, Mantovano, Maroni, Martini, Antonio Martino, Meloni, Miccichè, Misiti, Moffa, Leoluca Orlando, Polidori, Prestigiacomo, Ravetto, Reguzzoni, Roccella, Romani, Rotondi, Saglia, Stefani, Tremonti, Vernetti e Vito sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente cinquantaquattro, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 23 giugno 2011, n. 89, recante disposizioni urgenti per il completamento dell'attuazione della direttiva 2004/38/CE sulla libera circolazione dei cittadini comunitari e per il recepimento della direttiva 2008/115/CE sul rimpatrio dei cittadini di Paesi terzi irregolari (A.C. 4449-A) (ore 16,08).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 23 giugno 2011, n. 89, recante disposizioni urgenti per il completamento dell'attuazione della direttiva 2004/38/CE sulla libera circolazione dei cittadini comunitari e per il recepimento della direttiva 2008/115/CE sul rimpatrio dei cittadini di Paesi terzi irregolari.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 4449-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare del Partito Democratico ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che la I Commissione (Affari costituzionali) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, onorevole Bertolini, ha facoltà di svolgere la relazione.
Buongiorno presidente Bruno, è un piacere averla qui fra di noi.

Pag. 2

MARIO TASSONE. Signor Presidente, non è un suo piacere esclusivo.

PRESIDENTE. È un piacere di tutti noi, dell'onorevole Tassone, dell'onorevole Giachetti e dei rappresentanti del Governo. Prego onorevole Bertolini.

ISABELLA BERTOLINI, Relatore. Signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevole sottosegretario, il decreto-legge in esame riguarda le disposizioni urgenti per il completamento dell'attuazione della direttiva 2004/38/CE sulla libera circolazione dei cittadini comunitari e per il recepimento della direttiva 2008/115/CE sul rimpatrio dei cittadini di Paesi terzi irregolari. Infatti, il decreto-legge si divide proprio in queste due parti. Partirei dal Capo I, articoli 1 e 2, che riguarda la libera circolazione e il soggiorno dei cittadini comunitari, che modifica il decreto legislativo n. 30 del 2007, così rivisto anche in base al recepimento delle osservazioni della Commissione europea. La prima modifica che viene introdotta con il decreto-legge riguarda l'ingresso e il soggiorno del partner del cittadino dell'Unione europea. Ciò nasce da un rilievo della Commissione e prevede che la relazione stabile tra questo cittadino e il partner debba essere ufficialmente attestata, anziché debitamente attestata dallo Stato del cittadino dell'Unione, come il testo prevedeva prima di questo decreto-legge. Su questo punto c'è stato un dibattito in Commissione. Come relatrice, mi sono impegnata - e lo farò in sede di Comitato dei nove - a svolgere un approfondimento, riservandomi di proporre anche una modifica. Credo sia importante assicurare la certezza della prova dell'esistenza di una relazione stabile tra il cittadino dell'Unione ed il partner, soprattutto per evitare, a mio avviso, il rischio di eventuali frodi che potrebbero consentire di usufruire di una specie di canale agevolato per l'ingresso in Italia a tutti coloro che abbiano un amico già sul nostro territorio disposto ad apparire come partner. Viene poi eliminato dal decreto-legge l'obbligo del visto di ingresso che è previsto ai fini del soggiorno fino a tre mesi per i cittadini dell'Unione e per i loro familiari, dell'iscrizione anagrafica per i familiari del cittadino comunitario, nonché del rilascio della carta di soggiorno di durata superiore a tre mesi per i medesimi soggetti. È introdotta, oltre alla verifica della sussistenza del requisito della disponibilità delle risorse economiche sufficienti a garantire il soggiorno oltre i tre mesi, anche una valutazione della situazione complessiva personale dell'interessato che viene nel nostro Paese, quale ulteriore elemento da tenere in considerazione. Questo perché la Commissione europea nei suoi rilievi ha fatto presente che la direttiva non prevede la fissazione, come era previsto nel decreto legislativo, di un importo minimo di reddito stabilito per legge, ma contiene solo un generico richiamo alla disponibilità di risorse ritenute sufficienti ad escludere il ricorso a prestazioni di assistenza sociale.
Su questa disposizione in particolare, in Commissione è intervenuto un emendamento con cui si è precisato che, nella valutazione della situazione personale complessiva dell'interessato, si deve avere particolare riguardo alle spese che riguardano l'alloggio, sia esso in locazione, in comodato, di proprietà o detenuto in base ad un altro diritto soggettivo.
Sono poi apportate modifiche in tema di iscrizione anagrafica dei familiari non comunitari del cittadino dell'Unione e in tema anche di rilascio della carta di soggiorno. Per quanto riguarda la verifica della persistenza delle condizioni richieste per il soggiorno dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari nel nostro Paese, si precisa nel decreto-legge che questa non può essere effettuata se non in presenza di ragionevoli dubbi in ordine alla persistenza delle condizioni stesse.
In base ai rilievi della Commissione europea, è stata poi apportata un'ulteriore modifica, che dispone che la qualità di titolare di diritto di soggiorno o di titolare di diritto di soggiorno permanente può essere attestata con un qualsiasi mezzo di prova previsto dalla norma attuale, fermo restando che il possesso del relativo documento non costituisce condizione per Pag. 3l'esercizio di un diritto. Anche su questo punto, in Commissione è stato approvato un emendamento, presentato dall'opposizione, con il quale si è precisato che il possesso del documento non costituisce condizione necessaria per l'esercizio di un diritto.
Per quanto riguarda, poi, l'altro tema importante di questo decreto-legge, che è la procedura di allontanamento del cittadino comunitario, il decreto-legge reca modifiche alla disciplina delle limitazioni al diritto di ingresso e soggiorno e all'allontanamento per cessazione delle condizioni che determinano questo diritto di soggiorno. Si sono circoscritti i motivi di sicurezza dello Stato che erano stati introdotti a suo tempo dal decreto legislativo e sono state introdotte, ai fini della limitazione del diritto di ingresso e soggiorno, anche le eventuali condanne per delitti contro la personalità dello Stato, e ciò perché la Commissione europea ha ritenuto troppo generiche le definizioni così come erano state introdotte nel decreto legislativo.
Con le modifiche apportate dal decreto-legge, la qualificazione della minaccia ai diritti fondamentali della persona ovvero all'incolumità pubblica deve essere concreta, effettiva e sufficientemente grave, e lo stesso vale anche per i comportamenti individuali del soggetto che rappresentano una minaccia concreta e attuale all'ordine pubblico o alla pubblica sicurezza.
Con riferimento, poi, ai provvedimenti di allontanamento adottati dal Ministro dell'interno per i beneficiari del diritto di soggiorno che hanno soggiornato nel territorio nazionale nei precedenti dieci anni o che siano minorenni, viene soppresso il riferimento al presupposto dei motivi di ordine pubblico, con l'effetto, quindi, che il provvedimento del Ministro adesso interviene solo in presenza di motivi di sicurezza dello Stato.
L'adozione, poi, di provvedimenti di allontanamento, con il decreto-legge, per motivi di ordine pubblico, spetta al prefetto. Viene poi modificata una parte del decreto legislativo n. 30 del 2007 nel senso di prevedere che il provvedimento di allontanamento per motivi di sicurezza dello Stato o per motivi imperativi di pubblica sicurezza o per altri motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza è immediatamente eseguito dal questore, qualora si ravvisi, caso per caso - quindi la valutazione non può essere fatta se non rispetto alla singola questione - l'urgenza dell'allontanamento, perché l'ulteriore permanenza del soggetto sul nostro territorio è incompatibile con la civile e sicura convivenza.
L'allontanamento è disposto anche per il venire meno dei requisiti che determinano il diritto di soggiorno. È stata, però, introdotta una modifica per la quale l'eventuale ricorso al sistema di assistenza sociale da parte di un cittadino dell'Unione non è più considerato automaticamente causa di allontanamento, ma, anche qui, deve intervenire una valutazione soggettiva. Sono state anche modificate le procedure di allontanamento. Infatti, in caso di inottemperanza all'ordine di allontanamento, è previsto che, al posto delle sanzioni dell'arresto e dell'ammenda, il prefetto, dopo aver valutato il singolo caso, possa adottare un ulteriore provvedimento di allontanamento per motivi di ordine pubblico immediatamente eseguito dal questore.
È stata poi introdotta la possibilità di chiedere informazioni, che siano ritenute utili, sui precedenti penali del cittadino comunitario agli Stati membri di provenienza. Lo Stato membro consultato deve, entro 60 giorni, rispondere. Infine, le norme relative all'allontanamento si estendono anche ai familiari del cittadino comunitario. La seconda parte del decreto-legge, che è quella che recepisce nel nostro ordinamento nazionale la cosiddetta direttiva rimpatri del 2008, apporta alcune modifiche all'attuale normativa nazionale sull'immigrazione.
Innanzitutto, viene introdotto il permesso di soggiorno per motivi umanitari. Quindi, non si dà più luogo al rifiuto o alla revoca del permesso di soggiorno in presenza di motivi seri, in particolare di carattere umanitario, che risultano da obblighi costituzionali, quali il diritto d'asilo, Pag. 4o internazionali. Questa disposizione prevede che, in questi casi, il permesso di soggiorno per motivi umanitari venga rilasciato direttamente dal questore.
Per incentivare, poi, quanto prevede la direttiva comunitaria in oggetto sul cosiddetto esodo volontario dei cittadini stranieri che sono presenti in maniera irregolare sul nostro territorio, il decreto-legge in esame esclude dal reato di ingresso o soggiorno illegale nel territorio dello Stato lo straniero identificato dalla Polizia di frontiera quando esce dal territorio nazionale. Ovviamente, questa deroga, però, non pregiudica l'intervento dell'autorità di polizia nel caso sia compiuto un reato più grave.
Si ripristina la procedura di espulsione coattiva immediata per tutti gli extracomunitari clandestini. Viene specificato che l'espulsione, di competenza del prefetto, anche qui viene disposta caso per caso, in ossequio al principio più volte ribadito dalle norme comunitarie. È integrato l'elenco delle situazioni che comportano l'espulsione e viene ricompresa l'ipotesi di rifiuto di rilascio del permesso di soggiorno. Si tratta di una disposizione che non è finalizzata ad attuare la direttiva comunitaria in oggetto, ma solo a colmare un vuoto normativo del nostro ordinamento.
Viene individuata un'ulteriore fattispecie che comporta l'espulsione prefettizia, vale a dire il trattenimento dello straniero non comunitario oltre il periodo di tre mesi, considerato soggiorno di breve durata e per il quale non è necessario richiedere il permesso di soggiorno, ma è sufficiente una semplice dichiarazione di presenza. Anche in questo caso, la finalità della norma è quella di colmare una lacuna della normativa previgente.
Il decreto-legge in esame, poi, prescrive che l'espulsione non sia disposta né eseguita quando lo straniero irregolare è identificato alla frontiera dalle forze di polizia.
Viene anche riformulata la disciplina che riguarda tutte le modalità di espulsione rispetto a come era integrata dalla legge Bossi-Fini. Quindi, l'esecuzione dell'espulsione in base al nuovo decreto-legge viene eseguita dal questore attraverso l'accompagnamento alla frontiera solo in una serie tassativa di casi: motivi di ordine pubblico o sicurezza dello Stato; se lo straniero è un delinquente abituale o indiziato di appartenere ad associazioni criminali di stampo mafioso; rischio di possibili attività terroristiche; pericolo di fuga; presentazione di domanda di soggiorno manifestamente infondata o fraudolenta; inosservanza, senza giustificato motivo, del termine concesso per la partenza volontaria; violazione di una delle misure disposte dal questore in caso di partenza volontaria; provvedimento di espulsione a titolo di misura di sicurezza o di sanzione alternativa o sostitutiva alla detenzione; assenza di richiesta da parte dello straniero di un termine per la partenza volontaria. Questi requisiti sono stati introdotti in recepimento di diverse disposizioni della direttiva comunitaria in oggetto.
Il decreto-legge in esame definisce i criteri che il prefetto deve valutare per verificare, anche qui caso per caso, l'esistenza del pericolo di fuga del soggetto per potere attivare automaticamente la procedura di espulsione, quali non possedere un documento di espatrio valido, non avere la disponibilità di un alloggio stabile, avere fornito false generalità, non avere ottemperato all'esecuzione dell'espulsione tramite intimazione a lasciare il territorio dello Stato, avere violato le prescrizioni che riguardano la partenza volontaria e le misure meno coercitive, di cui dirò, rispetto al trattenimento, previste dal decreto-legge. Sono poi indicate anche le fattispecie residuali per cui non si procede all'espulsione forzata, bensì tramite un'intimazione ad abbandonare il territorio dello Stato entro quindici giorni.
Il decreto-legge in esame recepisce, poi, una parte importante della direttiva comunitaria sulla cosiddetta partenza volontaria. Questo meccanismo prevede che lo straniero per il quale è già stato emanato un decreto di espulsione e per cui non ricorrono, però, le condizioni per l'allontanamento coatto, possa chiedere al prefetto Pag. 5la concessione di un periodo per la partenza volontaria, anche attraverso programmi di rimpatrio volontario ed assistito. Il prefetto, anche qui valutando la situazione singola, intima allo straniero di lasciare il Paese entro un termine che può andare da un minimo di sette ad un massimo di trenta giorni, termine che, però, può essere prorogato in considerazione di diversi fattori che riguardano il soggetto. Una volta eseguito il rimpatrio, il questore ne dà comunicazione al giudice per la deliberazione di non luogo a procedere nei confronti dello straniero in relazione al reato di immigrazione illegale. Questa è un'innovazione importante del decreto-legge in esame.
Inoltre, lo stesso decreto-legge prevede che, per consentire allo straniero di usufruire della facoltà di richiedere il termine per la partenza volontaria, il questore provvede ad informare adeguatamente lo straniero di questo suo diritto di chiedere un termine per l'espulsione. Qualora lo straniero non voglia richiederlo, l'espulsione allora viene eseguita con accompagnamento alla frontiera.
Nel caso di concessione di un termine per la partenza volontaria, sono previste misure di garanzia idonee ad evitare il rischio di fuga dello straniero imposte dal questore. Prima di tutto è richiesta la dimostrazione della disponibilità di risorse economiche sufficienti e che soprattutto derivino da fonti lecite. L'importo anche in tal caso è proporzionale al termine concesso ed è compreso tra una e tre mensilità dell'assegno sociale annuo.
Il questore dispone una o più delle seguenti misure: la consegna del passaporto o di un documento equipollente - che naturalmente sia valido -, l'obbligo di dimora in un luogo dove lo straniero possa essere rintracciato o l'obbligo di presentazione presso un ufficio della forza pubblica territorialmente competente. La violazione di queste misure cosiddette di sicurezza viene sanzionata con una multa, da 3 mila a 18 mila euro, e con il provvedimento di espulsione. In questo caso - quando il soggetto non ha ottemperato al rispetto di queste misure per così dire di sicurezza - non è più richiesto il rilascio del nulla osta da parte dell'autorità giudiziaria competente all'accertamento del reato: il questore esegue immediatamente l'espulsione.
È poi anche stato modificato dal decreto-legge il divieto di reingresso per lo straniero espulso. La disposizione in esame sostituisce l'espressione «straniero espulso» con quella di «straniero destinatario di un provvedimento di espulsione».

PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Bertolini.

ISABELLA BERTOLINI, Relatore. Mi avvio alla conclusione, signor Presidente, mi conceda solo due minuti, magari, se dopo me lo consente, chiederei di depositare la relazione, perché il provvedimento è molto articolato.

PRESIDENTE. La Presidenza assolutamente lo consentirà, quindi può semplicemente proporre una sintesi delle conclusione della sua relazione e poi richiederne la pubblicazione in calce al resoconto.

ISABELLA BERTOLINI, Relatore. Sì, signor Presidente. Cito un altro articolo importante, che è stato anche oggetto di discussione in Commissione e anche oggetto di presentazione di emendamenti da parte di più gruppi. È stata aumentata la possibilità di trattenimento all'interno dei centri di identificazione e di espulsione entro i limiti di sei mesi prorogabili al massimo di altri 12 mesi, in caso di mancata cooperazione del cittadino o di ritardo nell'ottenimento della necessaria documentazione per il riconoscimento. Si arriva quindi al limite di 18 mesi, così come previsto dalla direttiva e come avviene già in altri Paesi europei, come per esempio la Germania.
Vi è un'altra innovazione che abbiamo apportato in Commissione e ci tengo a sottolinearla: abbiamo introdotto un emendamento che comporta una modifica importante al Testo unico sull'immigrazione, Pag. 6in particolare all'articolo 32. Tale proposta emendativa prevede che ai minori stranieri non accompagnati, affidati, ovvero sottoposti a tutela, che siano stati ammessi ad un progetto di integrazione sociale e civile, possa essere rilasciato al compimento della maggiore età un permesso di soggiorno per motivi di studio, di accesso al lavoro o di lavoro subordinato.
La normativa precedente prevedeva l'espressione: «sempreché non sia intervenuta una decisione del Comitato per i minori stranieri di cui all'articolo 33», mentre con la modifica introdotta dall'emendamento si prevede che il parere del Comitato per i minori stranieri sia precedente e quindi la situazione viene singolarmente vagliata. L'obiettivo è che si vuole fare in modo che i minori non accompagnati che arrivano nel nostro Paese, che hanno seguito un percorso di integrazione, al compimento della maggiore età non si rendano clandestini, ma essendosi formati in Italia, parlando la nostra lingua, avendo prospettive concrete di lavoro o di studio, possano rimanere sul nostro territorio.
Credo che questo sia un segnale importante anche perché ha dato, per così dire, formalizzazione ad una mozione che era stata votata all'unanimità nell'ottobre 2010 da tutti i gruppi della Camera, che proprio invitavano il Governo ad intervenire dal punto di vista normativo su questo punto.
Per quanto riguarda, infine, i pareri espressi dalle altre Commissioni, mi rimetto alla relazione.
Signor Presidente, chiedo, dunque, che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale della mia relazione.

PRESIDENTE. Onorevole Bertolini, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire in sede di replica.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tassone. Ne ha facoltà.

MARIO TASSONE. E il Governo?

PRESIDENTE. Mi scusi onorevole Tassone, non ho interpellato il Governo semplicemente perché aveva comunicato alla Presidenza che si riservava di intervenire alla fine.

MARIO TASSONE. Signor Presidente, la ringrazio, pensavo che lei avesse equivocato, attribuendomi qualche incarico di Governo.

PRESIDENTE. Era un auspicio per lei per il futuro.

MARIO TASSONE. Signor Presidente, la ringrazio in questa fase ovviamente...

PRESIDENTE. Lei sa che la Presidenza non può intervenire su questioni che riguardano la politica.

MARIO TASSONE. Signor Presidente, lei è molto gentile, anche perché lasciamo questi problemi ad altri in questo particolare momento: noi abbiamo altri temi ed altri argomenti da trattare, come questo che ha testé definito nel suo intervento, in termini di grande lucidità, la relatrice del provvedimento.
Debbo intanto ringraziare l'onorevole Bertolini per il suo lavoro; l'ho fatto anche in sede di Commissione Affari costituzionali quando ci siamo trovati ad affrontare questo argomento che, per la verità, è estremamente articolato e complesso.
Mi limiterò a fare qualche osservazione e qualche valutazione molto rapida, per dare anche conforto all'attesa, all'aspettativa e agli auspici da parte del presidente di questa Commissione.
Signor Presidente, dicevo che questa è una materia estremamente articolata e complessa, lo abbiamo anche compreso dall'esposizione che ha svolto la relatrice. Ci sono una serie di fattispecie e molte previsioni nuove rispetto al decreto legislativo n. 30 del 2007. Qui c'è ovviamente un'ottemperanza a una direttiva comunitaria.
Allora, il primo interrogativo che ho posto in sede di Commissione e che ripropongo anche in questa occasione è il Pag. 7seguente: era proprio necessario fare un decreto-legge, un decreto d'urgenza, oppure c'era anche la possibilità di un confronto molto ampio per capire quali potessero essere gli sbocchi di questa materia? Perché non credo che questa materia, questo tema, questo argomento possano essere circoscritti rispetto agli input che sono stati dati da parte delle direttive comunitarie.
Molte volte, ovviamente, si cerca la via breve, diciamo così, quindi la procedura d'urgenza, la decretazione d'urgenza, proprio per affrontare in modo rapido la materia, evitando un allargamento di orizzonti rispetto a quelli che sono, invece, i nodi che questo provvedimento d'urgenza non riesce a risolvere. Ma questo, ahimè, è un tema che più volte ha interessato il Parlamento, un tema che abbiamo sotto gli occhi continuamente, una vicenda che si trascina senza che ci sia una politica univoca di coordinamento che affronti in termini seri ed esaustivi tutta quella problematica che, certamente, lo ripeto, questo provvedimento non riesce ad esaurire.
Certo, ci sono i vari riferimenti fatti dalla relatrice alle varie fattispecie: il diritto di soggiorno, la permanenza, la documentazione, ovviamente, chi ha diritto e le tutele che vengono ad essere definite con maggiore puntualità e precisione. Ma quello che si voleva - e lo abbiamo anche chiesto durante i lavori della Commissione - è un esame comparato rispetto non solo al decreto legislativo del 2007, che la relatrice ha ricordato, ma anche alla legislazione pregressa rispetto ai risultati raggiunti e rispetto alle politiche che l'Unione europea dovrebbe adottare per quanto riguarda l'immigrazione e la presenza di immigrati all'interno del nostro Paese.
Si tratta più di un aggiustamento in termini tecnici, se vogliamo, anche per alcuni aspetti e alcune politiche, ma non è un aggiustamento complessivo rispetto ad una situazione che certamente vedrà sempre di più un allargamento, una situazione che è un fenomeno, un allargamento, un'estensione di cui ovviamente l'Europa deve prendere coscienza e consapevolezza.
Allora, l'interrogativo che mi pongo è il seguente: ma questa è la politica dell'Unione europea o è semplicemente una direttiva? La direttiva comprende la politica complessiva per quanto riguarda l'immigrazione nel nostro Paese e nei Paesi membri? Questo credo sia il primo interrogativo, il primo quesito che ci dobbiamo porre. Infatti, nel parlare di immigrazione non dobbiamo riferirci soltanto ai soggiorni temporanei, a coloro che arrivano senza permesso anche nel nostro Paese; voglio ricordare che nel passato questa Camera ha dovuto affrontare un'indicazione che veniva da parte del Governo dove l'immigrato senza permesso, l'immigrazione senza permesso veniva ad essere considerata un reato, e noi ci siamo opposti a tutto questo.
Questa direttiva in fondo entra in una nuova logica. Avremmo, allora, preferito che, anche su questo tema, si facesse un minimo di chiarezza rispetto agli sbocchi che avremo anche nel futuro, perché non c'è dubbio che noi, qui, abbiamo fotografato una situazione esistente.
Ovviamente, ho seguito con attenzione il dato narrativo che ha accompagnato e caratterizzato la relazione in alcuni passaggi importanti: alcuni appesantimenti burocratici, alcuni alleggerimenti burocratici, le sanzioni e le pene, ovviamente gli accompagnamenti, più alcune condizioni della permanenza nel nostro territorio.
Ma esiste una politica di immigrazione in termini complessivi e generali? Infatti, anche nell'ultima formulazione avanzata dalla collega Bertolini per quanto riguarda i giovani e i ragazzi che sono cresciuti nel nostro Paese, si dice che essi possono restare per acquisire una laurea, e via dicendo. Questo richiama un altro tema, un altro argomento, quello concernente la cittadinanza e il superamento dello ius soli rispetto allo ius sanguinis: sono questioni che si intrecciano tra di loro e che non possono essere considerate semplicemente in termini isolati, bensì in una visione complessiva e di carattere generale.
Questa discussione, che viene un po' allentata, come dicevo poc'anzi, rispetto alla natura del provvedimento in discussione, Pag. 8poteva essere anche l'occasione affinché il nostro Paese desse un contributo molto forte: non vi sono, infatti, una politica complessiva dell'Europa né una sua gestione, che, molte volte, è mancata di respiro e, soprattutto, di coordinamento e di risultati concreti. Pertanto, un altro interrogativo che mi pongo è il seguente: che tipo di risultati porterà l'adozione della direttiva comunitaria in oggetto, fra qualche tempo, tra i Paesi comunitari?
Signor Presidente, vorrei sottolineare un ulteriore aspetto ai colleghi, al rappresentante del Governo e anche alla relatrice in particolar modo, in ordine ad un dato molto importante che emerge: vi è il tentativo di ridurre tutto ad una riflessione parziale, tuttavia, si entra anche nel merito del Trattato di Schengen.
Il Trattato di Schengen, molte volte, fa «capolino» rispetto all'esigenza di riformare, perché, quando è stato stipulato, riguardava alcuni Paesi e, forse, il fenomeno non era esploso. Ebbene, anche i riferimenti normativi ed innovativi a cui ha fatto riferimento la relatrice propongono, a mio avviso, una rivisitazione o quanto meno una riflessione sul Trattato di Schengen per quanto riguarda l'immigrazione dei comunitari.
Vi sono, poi, una serie di altri temi e di altri argomenti che avremo modo di affrontare, tornandoci sopra, di approfondire e di amplificare in relazione alle varie posizioni, attraverso le valutazioni e l'esame delle proposte emendative.
Con riferimento alle questioni dell'immigrazione, della presenza e del trattenimento, io fui contro, ad esempio, i CIE, almeno nella denominazione: «Centri di identificazione ed espulsione». È necessario, dunque, svolgere una riflessione sui CIE. Io vengo da una realtà, Isola di Capo Rizzuto, che è ben gestita, per carità, dalla Misericordia o quant'altro; tuttavia, ritengo che non si possa affermare, anche se ciò deriva dall'accoglimento di una direttiva comunitaria, che gli immigrati possano restare in permanenza - questo era l'ultimo passaggio del relatore - fino a 18 mesi. Quello, infatti, era un termine straordinario, eccezionale, previsto dalla direttiva: 6 mesi più 12 sembra un fatto quasi normale, ma 18 mesi sono tanti.
E la vita nei CIE com'è? Come si articola? Qual è il rapporto con il territorio? Qual è lo sbocco? Qual è la prospettiva? Inoltre, non vi sembra che tutti i passaggi burocratici - l'accompagnamento, il questore, l'invio di certificati e documenti al giudice - siano complessi, ma che, soprattutto, comportino un appesantimento dei costi, creando così, certamente, qualche problema e qualche difficoltà? Signor Presidente, per me 18 mesi sono tanti e - lo ripeto, tornando anche sull'assunto precedente - sembrano un fatto quasi ordinario.
Vi è, poi, un altro aspetto, un altro dato, che non attiene semplicemente al fatto che il nostro Governo o, soprattutto, il Parlamento vadano a recepire, delibare ed accogliere una direttiva comunitaria. Qui vi è un problema importante e fondamentale: quello che gira intorno rispetto alle permanenze e alla circolazione dei comunitari o degli extracomunitari, degli immigrati. Dove vi sono rendite di posizione? Vorrei capire.
Il dipartimento della protezione civile presso la Presidenza del Consiglio, rispetto alla disponibilità di alcune associazioni di volontariato (io, ad esempio, ne ho una nel Savuto, in Calabria), quale risposta fornisce? Ci dite che è un problema di condizioni di vita; noi stiamo deliberando la delibazione, l'accoglimento, l'accettazione, l'ottemperanza a direttive comunitarie senza capire che dietro ad esse ci sono degli uomini.
Viene tutto trattato come se ci trovassimo di fronte a dei numeri (non dico l'abbia fatto la relatrice, che anzi ha dato una dimensione opportuna, giusta e perciò l'ho ringraziata all'inizio del mio intervento), dove prevale il tecnicismo rispetto a un «alleggerimento», anche nel rispetto, certamente, di alcune sanzioni, di alcune decisioni che devono essere assunte per quanto riguarda l'espulsione di fronte ad alcuni reati e soprattutto rispetto alla pericolosità o alla reiterazione di questi reati. Pag. 9
Non c'è dubbio che sono temi ed argomenti che noi abbiamo affrontato, ma una visione molto forte e significativa dovremo pure assumerla in questo particolare momento.
Qualcuno potrebbe sostenere che noi siamo chiamati semplicemente a dare attuazione a tali direttive. Io, invece, ritengo che questo non è un consiglio di amministrazione che dà attuazione all'indirizzo di un organo esecutivo o di governo; noi siamo un Parlamento libero che dovrebbe dare e potrebbe dare un contributo rispetto a una situazione diffusamente presente sul nostro territorio. Avrebbe avuto certamente senso e significato se noi avessimo avuto la possibilità di capire, di comprendere e di cogliere qual è la dimensione della vita, le sue prospettive e lo sbocco che consente.
Vi è poi un altro argomento che credo trovi sensibilità in tutti, signor Presidente, e anche in lei che ovviamente rappresenta in questo momento tutti noi, ed è quello dell'integrazione, della prospettiva e dello sbocco. Ecco che fa capolino il problema dello sbocco dei giovani che nascono qui, che sono vissuti qui e possono rimanere a studiare; ma poi qual è lo sbocco che gli si offre? Finisce lì e, accanto ai giovani, ci sono tanti altri tipi di realtà.
Qui non è un problema semplicemente di permanenza, qui c'è un problema da affrontare in termini seri, un problema a cui ovviamente si tenta, in questo momento, attraverso la decretazione d'urgenza in ottemperanza alle direttive comunitarie, di dare una sistemazione, una sistematica.
Questo è un contributo al superamento del decreto legislativo del 2007, ma ci sono temi ed argomenti che non possono essere lasciati né in penombra, né in ombra, oppure superati attraverso un provvedimento che sembra essere libertario, che riconosce diritti ai soggetti. Questa è la realtà di una umanità dolente rispetto alla quale una politica più consona, non soltanto da parte del nostro Paese, ma anche dei Paesi comunitari e dell'Unione europea, dovrebbe certamente essere portata avanti, dovrebbe avere un suo sbocco, una sua esplicitazione, una sua affermazione.
Detto ciò, signor Presidente, mi fermo qui, rimanendo in attesa non soltanto di garanzie o di rassicurazioni.
Non facciamo nessuna raccomandazione perché fare raccomandazioni in questo periodo credo che sia pericoloso e non le voglio fare non avendo rapporti con centri più o meno evidenti od occulti all'interno del nostro Paese; ma una sollecitazione la dobbiamo pur fare, tra di noi in questo momento; questo è un fenomeno che non finisce qui.
Posso dire che le direttive comunitarie per quanto riguarda la permanenza, l'emigrazione e l'espulsione presentano una qualche venatura di ipocrisia da parte dell'Unione europea. Non c'è, soprattutto, la volontà certa di gestire, di normare il presente rispetto ad alcune richieste che riguardano i diritti degli immigrati e riguardo alle esigenze della sicurezza e dell'ordine all'interno dei Paesi membri.
Ritengo che questo sia il dato e il pensiero che ci accompagna in questa materia, un pensiero orientato al testo; ma se fosse un pensiero che si ferma semplicemente al testo, dovremmo evitare di fare i parlamentari; dobbiamo, invece, guardare oltre per capire che questo dato, questo aspetto, questo fenomeno e questa situazione vanno oltre la norma, oltre la direttiva, e devono ricomprenderci tutti in una politica che sia molto più puntuale, molto più opportuna e che ispiri il futuro, perché questa è una vicenda che riguarda non solo il presente ma anche il futuro con diverse implicazioni, con diversi coinvolgimenti e con diversa espansione.
Signor Presidente, la ringrazio per l'attenzione; rinnovo il mio ringraziamento al relatore e al signor presidente della Commissione che, come al solito, è sempre bravo a far rispettare i tempi e il termine dei nostri lavori e, certamente, ringrazio anche la sottosegretario che oggi ha seguito i nostri lavori, e che li ha seguiti con diligenza anche in Commissione.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Zaccaria. Ne ha facoltà.

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ROBERTO ZACCARIA. Signor Presidente, il decreto-legge che oggi è al centro del dibattito in quest'Aula con il suo disegno di legge di conversione è un tipico esempio di una vicenda italiana, emblematica di come noi, gestiamo i rapporti con l'Europa.
Infatti, non bisogna andare molto indietro con la memoria alle sedute precedenti per ricordare come la legge comunitaria sia «caduta» in modo abbastanza triste in quest'Aula. Una legge comunitaria - lo dico, e lo ricordo per inciso - nella quale vi era, su proposta del Partito Democratico, la richiesta di dare attuazione alla «direttiva rimpatri»; e tale richiesta non vi è stata soltanto per questa legge comunitaria, ma anche per quelle precedenti, del 2008 e del 2009.
La «direttiva rimpatri» non è l'unica ad essere al centro di questo provvedimento, perché vi è anche la direttiva sulla libera circolazione, sia pure in una rivisitazione di interventi di attuazione che, peraltro, vi erano stati in precedenza.
In merito a tale situazione (poiché penso che chi osserva l'Italia dall'Europa guardi non solo alla situazione economica, ma anche a come vengano attuati e rispettati gli impegni comunitari), non si potrà fare a meno di notare come il documento principe per l'attuazione delle normative comunitarie «cada» o arrivi molto tardivamente, e si debba ricorrere ad un decreto-legge. Un decreto-legge che ha per oggetto, inevitabilmente, due sole direttive, rispetto al quale - come ha detto correttamente l'onorevole Tassone - dovrebbero essere presenti condizioni straordinarie di necessità ed urgenza.
Quali sono le condizioni straordinarie di necessità ed urgenza? I ritardi che il Governo ha tenuto consapevolmente nell'attuazione delle direttive di cui si parla. Lo ricordo perché proprio all'inizio di questa legislatura, nel 2008, il Governo aveva ritoccato non solo le direttive che riguardavano i rifugiati e le direttive riguardanti il ricongiungimento, ma aveva affrontato anche questo argomento. Poi, con una procedura singolare, si è innestata una sorta di consultazione europea, al termine della quale quest'Aula non ha più saputo nulla di quel provvedimento, ritrovandoselo poi in una versione edulcorata e tardiva (tardiva perché su questo è stata aperta una procedura di infrazione); dunque, con una grande consapevolezza, ma che nasconde un'idea di fondo - che poi vedremo per la direttiva rimpatri - che cioè il Governo cerca di attuare le direttive a modo suo e, naturalmente, questo non va bene all'Europa, che poi censura questi comportamenti.
Ma con riferimento alla direttiva rimpatri vi è una vicenda ancora più singolare, che viene descritta molto bene in un articolo di una professoressa fiorentina di diritto internazionale, Chiara Favilli, che già nel titolo dice cose che potrebbero essere memorizzate: l'attuazione della direttiva rimpatri in Italia, dall'inerzia all'urgenza, con scarsa leale cooperazione.
Cosa fa il Governo con riferimento alla direttiva rimpatri? Prima dice apertamente e ufficialmente il Ministero dell'interno che l'attuazione della direttiva non è necessaria.
Guardate bene che questa affermazione, con riferimento ad una materia come quella dell'immigrazione, ormai tipica competenza concorrente, l'esercizio della quale limita la discrezionalità degli Stati membri che devono adeguare la propria normativa agli obblighi sanciti dall'Unione, sostanzialmente diventa una sorta di auto-assoluzione.
Infatti, il Governo, per dire che non è necessaria l'attuazione di una direttiva, deve dimostrare (cosa peraltro assai difficile) che le norme dell'ordinamento interno (si legga in particolare: il testo unico in materia di immigrazione) sarebbero in linea con la direttiva, ossia sarebbero in qualche modo migliori. In realtà, se si guarda tutto l'ordinamento, questo è assai difficile da dimostrare.
Ma la cosa ancora più grottesca - vorrei che quest'Assemblea avesse la consapevolezza di quello che è il nostro rapporto con l'Europa - è che, dopo che il Ministero ha detto che non era necessaria l'attuazione della direttiva, in prossimità della scadenza del termine per Pag. 11l'attuazione, ha coniato un'altra «perla» emanando una circolare - si pensa che le direttive possano essere attuate con circolare, cosa che non risulta al momento attuale - che, cosa assai bizzarra e abbastanza sorprendente, affermava che l'ordinamento italiano era conforme alla direttiva.
La circolare diceva questo, ma allora l'infrazione rispetto alla direttiva da cosa nasce? Se la direttiva esplicitamente dice che, ove ordinamento interno sia migliore della direttiva, non richiede attuazione, l'infrazione nasce invece dal fatto che l'Europa ritiene che il nostro ordinamento non sia effetto compatibile con la direttiva. Quindi, vorrei dire che stiamo convertendo un decreto-legge la cui urgenza nasce da un consapevole ritardo, da un chiaro intento disapplicativo realizzato dallo stesso Governo che ha adottato questo decreto-legge.
Questo è un primo elemento sul quale si deve riflettere, perché capite che un conto è la tecnica che accompagna le leggi comunitarie, altro conto è l'ampiezza della partecipazione al voto e all'elaborazione dei contenuti di un decreto-legge e di un disegno di legge di conversione.
Il secondo dato, molto significativo, è rappresentato dal fatto che questa direttiva si accompagna ad un altro elemento, ossia alla presenza di una serie di modifiche parziali di singoli articoli e commi della legge Bossi-Fini. Nonostante ciò sia inevitabile con un intervento d'urgenza, sarebbe stato invece logico pensare che questi articoli 14 e 15, che vengono modificati e «rattoppati», meritassero ben altra impostazione di riforma.
Infatti, è difficile rendere compatibile una normativa che si basa sui respingimenti coattivi con una direttiva che si basa, come prima scelta, sui rimpatri volontari. Sono due cose che fanno sostanzialmente a pugni fra di loro. Ci sono scostamenti in questa direttiva.
Voglio solamente leggere - condividendo questo giudizio - le parole di un altro professore fiorentino Emilio Santoro, specializzato da anni su questi argomenti, che dice: il decreto-legge n. 89 del 23 giugno 2011 mi sembra un disperato tentativo di salvare le espulsioni coattive e, in tal senso, per il 70 per cento in contrasto con la direttiva stessa.
C'è qualche elemento di preoccupazione, perché davanti ad una procedura di infrazione avviata e a norme - in base a quello che dice la sentenza della Corte di giustizia - che sono ormai direttamente applicative, si emana un decreto-legge che viene convertito con contenuti che appaiono, almeno ad alcuni, in particolare a noi, in contrasto con lo spirito della direttiva, cioè con il destino duplice di non eliminare l'infrazione, ma di rendere le norme del tutto inutili.
Vi sono poi altre questioni. Certamente è meno rilevante il problema dell'attuazione della direttiva sulla circolazione dei cittadini comunitari, ma anche in questo caso vi è qualche scivolata vistosa. Mi riferisco a quello che la relatrice ha voluto citare - ho fatto attenzione alle parole utilizzate dalla relatrice Bertolini -, cioè che quando si parla del partner di fatto è la direttiva che usa la parola «debitamente comprovate»; debitamente vuol dire con documentazione ritenuta congrua, mentre il decreto sostituisce l'espressione «ufficialmente comprovate» che significa che devono provenire da organi ufficiali di quello Stato.
Non siamo onestamente sicuri che ci siano Stati disposti a provare ufficialmente che quello è il partner di fatto. Quindi, credo che anche alcune sue colleghe della maggioranza che hanno presentato proposte di legge, in questo ramo del Parlamento, si sono poste il problema di non rendere una prova impossibile. Credo che certamente la prova ci debba essere, ma se la direttiva dice «debitamente» e voi mettete «ufficialmente», inserite un paletto, una difficoltà, un ostacolo, un'asticella più alta di quello che sia possibile realizzare.
Vi sono altri profili sui quali ora non mi voglio soffermare, ma di cui parleremo certamente durante l'esame del testo. Tuttavia, un argomento sul quale è difficile non soffermarsi è quello che riguarda il trattenimento nei CIE. Vi ricordo che già in quest'Aula abbiamo discusso molto a Pag. 12lungo e con discussioni molto calde quando vi fu il problema dell'estensione del periodo massimo di trattenimento da due mesi a sei mesi. Furono presentate, sia alla Camera che al Senato, pregiudiziali di costituzionalità e sostanzialmente quella norma allora - si trattava del cosiddetto pacchetto sicurezza - era stata anticipata singolarmente e deliberatamente. Ora ho sentito le parole del collega Tassone e prima di tutto bisognerebbe cercare di capire - noi lo abbiamo chiesto ed io lo penso - che allungare la permanenza in questi centri abbia delle previsioni di costi molto rilevanti sulla base dei dati statistici e previsionali.
Mi pare che non abbiamo ancora il parere della Commissione bilancio, ma i costi aumentano certamente se sono veri quei dati che parlano di 50-55 euro al giorno, che moltiplicati per 18 mesi portano a circa 30 mila euro per soggetto il costo delle operazioni. Inoltre bisognerebbe fare una riflessione - mi pare che anche questo qualcuno l'abbia già detto -, cioè se questo è il possibile investimento che uno Stato fa per trattenere persone da sei mesi a diciotto mesi con la motivazione di cercarne l'identificazione esatta. Ciò che mi dicono gli addetti ai lavori è che in questa materia o si identifica in sei mesi, ma quei pochi che non vengono identificati in sei mesi non vengono identificati comunque, quindi si introduce un meccanismo automatico con una sorta di pena carceraria. Infatti, Isola di Capo Rizzuto, citato dal collega Tassone, potrà essere un centro esemplare, però la media dei centri di identificazione ed espulsione non è certamente paragonabile alla tipologia dei villaggi vacanze.
Credo che abbiamo problemi molto seri, non soltanto con riferimento alla direttiva. Voi dite che la direttiva prevede di trattenere anche fino a diciotto mesi, ma essa prevedeva una media tenendo conto che vi erano dei Paesi che addirittura non avevano un limite e, quindi, ha messo il limite più ampio per rendere compatibili quei Paesi. Tuttavia lo spirito della direttiva non è quello di portare tutti a diciotto mesi, perché la direttiva dice chiaramente che devono essere proporzionate queste misure. Bisogna quindi agire con misure via via più intense, ma non partire da quella in qualche modo più drastica che è il trattenimento, con conseguente e forte limitazione della libertà personale.
Noi abbiamo delle norme costituzionali (gli articoli 3 e 13 della Costituzione) che pongono, oltre al principio di proporzionalità che ci pone l'Europa, principi di ragionevolezza e tali principi sono intaccati da una normativa sommaria di questa natura, così come è concepita in questo provvedimento. Quindi, vi sono problemi e non soltanto di compatibilità comunitaria. Bisognerebbe vedere semmai se ciò non urta lo spirito della direttiva con riguardo al fatto che un Paese prima prevedeva un periodo massimo di trattenimento nei CIE di due mesi divenuti poi sei, ed ora da sei si è arrivati a diciotto, senza dimostrare peraltro che questo sarà lo strumento per evitare quell'inconveniente che si dichiarava di voler scongiurare all'inizio. Ma poi c'è il problema più generale di come questo si rapporta con tutte le altre disposizioni.
Vorrei anche parlare sempre in maniera molto sintetica - ho quasi concluso, signor Presidente - della mancanza di una graduazione delle misure per dare esecuzione al rimpatrio e quello che dice la direttiva con riferimento a questo argomento. La direttiva - lo abbiamo detto - sostanzialmente configura in questo schema la partenza volontaria come la regola. Questo è l'obiettivo che si deve perseguire e tutti gli istituti devono lavorare in questa direzione. Il nostro ordinamento - quale risulta per effetto del decreto-legge - configura un'altra regola: l'espulsione mediante accompagnamento, mentre il rimpatrio volontario diventa l'eccezione. Senza andare ad analizzare nel dettaglio - questo lo vedremo poi con l'esame degli emendamenti -, se tutto questo risponda ad una corretta interpretazione della direttiva, un fatto è certo: dopo due anni arriviamo a produrre una normativa interna che nella sua struttura è esattamente l'opposto nel rapporto tra Pag. 13eccezione e regola. Facciamo diventare regola l'eccezione e viceversa. Questo non sta in piedi e credo che non resista di fronte all'obiezione di cui parlavo prima di compatibilità comunitaria.
Fatemi fare un'ultimissima osservazione con riferimento sempre alla decisione della Corte di giustizia, che da questo punto di vista è il nostro punto di riferimento. Infatti, dobbiamo guardare a quelle due sentenze della Corte di giustizia, che aveva giudicato incompatibile con i principi comunitari la pena della reclusione prevista per la disobbedienza all'ordine di allontanamento. Questa è una sentenza che ha fatto clamore. È stata riportata soprattutto per quest'ultimo profilo, ma è una sentenza che dice molte altre cose condivisibili... Signor Presidente, mi sembra che lei abbia applaudito: devo forse concludere?

PRESIDENTE. No, onorevole Zaccaria... Ha ancora qualche minuto. Prosegua pure...

ROBERTO ZACCARIA. Signor Presidente, non volevo che fosse un applauso di consenso che lei non potrebbe del resto dare.
Riprendo il filo del discorso per dire che: la Corte di giustizia afferma l'incompatibilità della pena della reclusione. Qui si crea un sistema articolato di multe - udite, udite perché questo credo che sia utile averlo presente - al posto della reclusione. Ad un povero soggetto nelle condizioni di cui parliamo (che viene cioè espulso perché irregolare), anziché la pena della reclusione, si erogano sanzioni che vanno da 10 a 20 mila euro. Lo ripeto: da 10 a 20 mila euro. Ora voi ditemi onestamente se pensate che una povera persona in quelle condizioni sarà in grado di pagare questo tipo di multa.
Vorrei conclusivamente dire anche a questo proposito che noi dovremmo riflettere più attentamente sugli istituti che introduciamo e non prendere solo le bandierine in mano. I profili critici attengono prima di tutto all'effettività della sanzione. È effettiva una sanzione di 20 mila euro ad una persona in queste condizioni? Occorre tenere conto delle normali condizioni di indigenza dei destinatari e, conseguentemente, dell'effetto dissuasivo della medesima sanzione.
Ha un effetto dissuasivo una sanzione di questa portata? Poi, vi è la idoneità della sanzione rispetto al perseguimento degli obiettivi previsti dalla direttiva, come richiesto dalla Corte di giustizia. Vi poteva essere maggiore fantasia - diciamo la verità - proprio su questo percorso, nell'adeguarsi a una sentenza della Corte di giustizia. Anziché un adempimento formale e illusorio si potevano percorrere altre strade, come le sanzioni amministrative o qualcos'altro che fosse nello stile della direttiva.
Questo è quanto volevo segnalare e penso che dopo di me il collega Gozi potrà ancora meglio sviluppare queste considerazioni. Per il resto, ci rivedremo nel corso dell'esame degli emendamenti per approfondire ulteriormente (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bragantini. Ne ha facoltà.

MATTEO BRAGANTINI. Signor Presidente, rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, il decreto-legge in esame reca disposizioni finalizzate al recepimento di due direttive europee. Una, la 2004/38/CE in tema di libera circolazione dei cittadini comunitari; l'altra, la 2008/115/CE, relativa alle procedure applicabili negli Stati membri per il rimpatrio di cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare.
La prima delle due direttive fu recepita dallo Stato italiano con il decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 30. Tuttavia, a causa di un non completo recepimento, la Commissione europea ha preannunziato l'avvio di un procedimento di infrazione. Nel caso della seconda direttiva, invece, il termine di recepimento è scaduto il 24 dicembre 2010 e, quindi, si potrebbe profilare una procedura di infrazione per mancato recepimento. Per tali ragioni si giustifica l'adozione di un provvedimento Pag. 14di urgenza, atto ad evitare l'esposizione dell'Italia a responsabilità per inosservanza di obblighi comunitari.
In base alla normativa attuale e vigente il cittadino comunitario può fare ingresso in Italia e ivi soggiornare per un periodo non superiore ai tre mesi senza alcuna condizione o formalità, salvo il possesso di un documento di identità valido per l'espatrio, secondo la legislazione dello Stato di cui ha cittadinanza. Il cittadino dell'Unione europea può soggiornare per periodi superiori ai tre mesi a certe condizioni: che sia lavoratore subordinato o autonomo dello Stato; che disponga, per se stesso e per i propri familiari, di risorse economiche sufficienti per non diventare un onere a carico dell'assistenza sociale dello Stato durante il periodo di soggiorno e di un'assicurazione sanitaria o di altro titolo idoneo o, comunque, denominato che copra tutti i rischi nel territorio nazionale; che sia iscritto presso un istituto pubblico o privato riconosciuto per seguirvi, come attività principale, un corso di studio o di formazione professionale e che disponga, per se stesso e per i propri familiari, di risorse economiche sufficienti per non diventare un onere a carico dell'assistenza sociale dello Stato durante il suo periodo di soggiorno, da attestare attraverso una dichiarazione - o con altra idonea documentazione -, e di un'assicurazione sanitaria o di altro titolo idoneo che copra tutti i rischi nel territorio nazionale.
È familiare, come definito dall'articolo 2, colui che accompagna o raggiunge un cittadino dell'Unione che ha diritto di soggiornare ai sensi della lettera a), b) o c). Su questo punto vorrei subito collegarmi all'intervento che ha svolto poc'anzi l'onorevole Zaccaria. Come Lega Nord diciamo che deve essere debitamente e ufficialmente attestato che si tratti di un familiare. Altrimenti, veramente si potrebbe andare incontro a casi di abuso di questa norma e si correrebbe il rischio di far giungere molte persone che non sono veri familiari. Dunque, siamo molto attenti, insieme alla relatrice, per trovare una soluzione migliore, in modo da impedire un abuso di questa norma. Si potrebbe anche magari ipotizzare una formula in lingua originale o ancora altre misure, come avviene con altri Stati. Comunque, cominciamo a piccoli passi in modo che non vi sia nessuno che ne abusi.
Dunque, il cittadino comunitario deve chiedere l'iscrizione all'anagrafe della popolazione residente nel comune della propria dimora abituale, producendo documenti attestanti le occupazioni lavorative e via dicendo (non vado ad elencare tutto). Il cittadino dell'Unione che ha soggiornato legalmente e in via continuativa per cinque anni nel territorio nazionale acquisisce il diritto di soggiorno permanente.
Quanto all'ipotesi di allontanamento dal territorio italiano di cittadini comunitari, il decreto legislativo n. 30 del 2007 contempla distinte ipotesi: all'articolo 20 disciplina l'ipotesi di allontanamento dal territorio per motivi di sicurezza dello Stato, per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza e per motivi imperativi di pubblica sicurezza. Per questa ipotesi è, tuttavia, precisato nel medesimo articolo che l'esistenza di condanne penali non giustifica automaticamente l'adozione di tali provvedimenti e che nel disporre l'allontanamento si tengano presenti una serie di circostanze, riguardanti le condizione dell'interessato e la durata del suo soggiorno in Italia.
Il provvedimento è adottato dal Ministro dell'interno, quando sia disposto per motivi di sicurezza dello Stato o per altri motivi nei confronti di persone che hanno soggiornato nel territorio nazionale nei precedenti dieci anni. Nei casi di allontanamento sin qui descritti è previsto un divieto di reingresso sul territorio nazionale che non può essere superiore a dieci anni nei casi di allontanamento per motivi di sicurezza dello Stato e di cinque anni negli altri casi. È previsto un termine per lasciare il territorio nazionale che non può essere inferiore ad un mese, fatti salvi i casi di comprovata urgenza. La violazione del divieto di reingresso è punita con pene detentive che possono essere sostituite dall'allontanamento immediato con divieto di reingresso nel territorio nazionale per un Pag. 15periodo da cinque a dieci anni. Nel secondo caso, all'articolo 21, si prevede la diversa ipotesi di allontanamento del cittadino comunitario per il venir meno delle condizioni che determinano il diritto di soggiorno. In questo caso, il provvedimento è adottato dal prefetto territorialmente competente secondo la residenza o la dimora del destinatario, anche su segnalazione motivata del sindaco. Anche in questo caso il termine per lasciare il territorio non può essere inferiore ad un mese, ma il provvedimento non può contenere il divieto di reingresso sul territorio nazionale.
Le modifiche di maggiore impatto che vengono apportate al decreto-legislativo in oggetto riguardano proprio questa seconda parte, relativa all'allontanamento dal territorio italiano del cittadino comunitario che, in quanto tale, non può essere destinatario in senso stretto di un provvedimento di espulsione. Le principali modifiche sono: in primo luogo si è proceduto a meglio specificare le ragioni di ordine pubblico e sicurezza che giustificano l'allontanamento dei cittadini comunitari, facendo esplicito riferimento all'appartenenza della persona da allontanare a una delle categorie di cui all'articolo 18 della legge 22 maggio 1975, n. 152 («Disposizioni a tutela dell'ordine pubblico»), nelle quali rientra il compimento di atti sovversivi nei confronti dell'ordinamento dello Stato, la condanna per uno dei delitti in materia di armi, ovvero quando vi sono fondati motivi di ritenere che la sua permanenza nel territorio dello Stato possa, in qualsiasi modo, agevolare organizzazioni e attività terroristiche, anche internazionali. Nell'adozione dei provvedimenti di allontanamento sono valutate anche le eventuali condanne per i delitti contro la personalità dello Stato.
In secondo luogo, anche con riferimento all'allontanamento per motivi imperativi di pubblica sicurezza si precisa che essi sussistono quando la persona da allontanare abbia tenuto comportamenti che costituiscono una minaccia concreta, effettiva e sufficientemente grave ai diritti fondamentali della persona, ovvero l'incolumità pubblica, e che gli eventuali precedenti penali o l'appartenenza a categorie di soggetti pericolosi vanno valutate in collegamento con detti comportamenti.
In terzo luogo, viene meno la competenza del Ministro all'interno per l'adozione dei provvedimenti di allontanamento per motivi di ordine pubblico, che sono demandati al prefetto, mentre rimangono nella competenza del Ministro i provvedimenti di allontanamento per motivi di sicurezza dello Stato.
In quarto luogo, in materia di esecuzione dell'allontanamento, si stabilisce che l'urgenza dell'esecuzione debba essere valutata, in conformità al dettato della direttiva, caso per caso, in relazione all'incompatibilità dell'ulteriore permanenza dell'interessato sul territorio nazionale rispetto al mantenimento della civile e sicura convivenza. Viene, da ultimo, innovata la disciplina relativa alle conseguenze della mancata ottemperanza all'ordine di allontanamento impartito dal prefetto nel caso del venir meno delle condizioni che determinano il diritto al soggiorno: al posto dell'attuale contravvenzione si prevede che il prefetto possa adottare un ulteriore provvedimento di allontanamento per motivi di ordine pubblico e, quindi, immediatamente eseguito dal questore con accompagnamento alla frontiera.
Su questo primo capo del decreto-legge in oggetto va rimarcata con particolare soddisfazione l'approvazione del nostro emendamento che ha stabilito che nel valutare la sussistenza dei requisiti relativi alla disponibilità di risorse economiche sufficienti al soggiorno di lungo periodo del cittadino comunitario, per se e per i propri familiari, occorre tener conto delle spese afferenti l'alloggio, perché capitava troppo spesso che i sindaci si trovavano a dover procedere all'iscrizione all'anagrafe della popolazione residente di cittadini comunitari che presentavano contratti di locazione per cifre di gran lunga superiore ai redditi dichiarati, dovendo così avallare situazioni logicamente incongrue.
Per quanto attiene, invece, al capo II del decreto-legge in esame, dedicato al recepimento della cosiddetta direttiva rimpatri, Pag. 16le principali modifiche sono le seguenti. In primo luogo, viene introdotto un nuovo caso di esclusione del reato di ingresso e soggiorno illegale per lo straniero identificato durante il controllo della polizia di frontiera in uscita dal territorio nazionale, similmente al caso già previsto dallo straniero che si era spinto in prossimità della frontiera. Nel nuovo caso indicato non si è disposta né si procede all'espulsione.
In secondo luogo, viene stabilito che l'espulsione disposta del prefetto debba essere disposta caso per caso. Si aggiunge, tra le ipotesi di espulsione, quella conseguente al rifiuto del rilascio del permesso di soggiorno e quella del trattenimento dello straniero non comunitario oltre il termine del soggiorno di breve durata fino a tre mesi.
In terzo luogo, viene profondamente rivisto il comma 4 dell'articolo 13 del testo unico che disciplina le modalità di esclusione. In particolare, si prevede che l'espulsione sia eseguita dal questore con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica nei seguenti casi: per il rischio di possibili attività terroristiche; quando sussiste il rischio di fuga di cui al comma 4-bis; quando la domanda di permesso di soggiorno è stata respinta in quanto manifestamente infondata o fraudolenta; qualora, senza giustificato motivo, lo straniero non abbia osservato il termine concesso per la partenza volontaria; quando lo straniero abbia violato anche una delle misure di cui al comma 5.2 per il caso di partenza volontaria di cui all'articolo 14, comma 1-bis (che prevede prescrizioni meno coercitive rispetto al trattenimento, come ad esempio l'obbligo di dimora o l'obbligo di presentarsi in giorni ed orari prestabiliti ad un ufficio della forza pubblica); nell'ipotesi di cui agli articoli 15 e 16 (espulsione a titolo di misura di sicurezza o di sanzione alternativa o sostitutiva alla detenzione) e nelle altre ipotesi in cui sia stata disposta l'espulsione dello straniero come sanzione penale o come conseguenza di una sanzione penale; nell'ipotesi di cui al comma 5.1, e cioè in assenza di richiesta da parte dello straniero di un termine per la partenza volontaria.
Si precisa quindi che il pericolo di fuga che giustifica l'adozione di un provvedimento coercitivo di espatrio si configura in presenza di una delle seguenti circostanze, che il prefetto deve accertare caso per caso: mancato possesso del passaporto o di altro documento equipollente in corso di validità; mancanza di idonea documentazione atta a dimostrare la disponibilità di un alloggio ove possa essere agevolmente rintracciato; avere in precedenza dichiarato o attestato falsamente le proprie generalità; non avere ottemperato ad uno dei provvedimenti emessi dalla competente autorità in applicazione dei commi 5 e 13, nonché dell'articolo 14 (e cioè non aver ottemperato all'espulsione tramite intimazione e al divieto di reingresso); aver violato anche una delle misure di cui al comma 5.2, connesse alla partenza volontaria.
Al di fuori dei casi appena elencati, in cui si procede all'espulsione con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica, lo straniero può chiedere l'attivazione della procedura di partenza volontaria secondo la seguente disciplina: lo straniero, destinatario di un provvedimento di espulsione, qualora non ricorrano le condizioni per l'accompagnamento immediato alla frontiera - di cui al comma precedente - può chiedere al prefetto, ai fini dell'esecuzione dell'espulsione, la concessione di un periodo per la partenza volontaria, anche attraverso programmi di rimpatrio volontario ed assistito di cui all'articolo 14-ter. Il prefetto, valutato il singolo caso, con lo stesso provvedimento di espulsione intima lo straniero a lasciare volontariamente il territorio nazionale entro un termine compreso tra sette e trenta giorni. Tale termine può essere prorogato, ove necessario, per un periodo congruo, commisurato alle circostanze specifiche del caso individuale.
La questura, acquisita la prova dell'avvenuto rimpatrio dello straniero, avvisa l'autorità giudiziaria competente per l'accertamento del reato di immigrazione illegale Pag. 17al fine della deliberazione di non luogo a procedere. Le presenti disposizioni non si applicano comunque allo straniero destinatario di un provvedimento di respingimento. Affinché lo straniero sia posto nelle condizioni di usufruire di questa procedura, la questura provvede a dare adeguata informazione allo straniero della facoltà di richiedere un termine per la partenza volontaria, mediante schede informative plurilingue. In caso di mancata richiesta del termine, l'espulsione è eseguita coattivamente. In caso di concessione di un termine per la partenza volontaria, il questore chiede allo straniero di dimostrare la disponibilità di risorse economiche sufficienti derivanti da fonti lecite, per un importo proporzionato al termine concesso, compreso tra una e tre mensilità dell'assegno sociale anno.
Il questore dispone altresì una o più delle seguenti misure: la consegna del passaporto o altro documento, da restituire al momento della partenza; l'obbligo di dimora in luogo preventivamente individuato dove possa essere agevolmente rintracciato; l'obbligo di presentazione in giorni ed orari stabiliti presso l'ufficio della forza pubblica territorialmente competente. Le predette misure sono adottate con provvedimento motivato, che ha effetto dalla notifica all'interessato recante l'avviso che lo stesso ha facoltà di presentare personalmente o a mezzo di difensore memorie o deduzioni al giudice della convalida. Il provvedimento è comunicato entro 48 ore dalla notifica al giudice di pace competente per territorio. Il giudice, se ne ricorrono i presupposti, dispone con decreto la convalida nelle successive 48 ore.
Le misure, su istanza dell'interessato, sentito il questore, possono esser modificate o revocate dal giudice di pace. Il contravventore anche solo ad una delle predette misure è punito con la multa da 3 a 18 mila euro. Questo non è essere cattivi, come diceva l'onorevole Zaccaria, perché se uno non rispetta le leggi deve avere una sanzione adeguata e che possa costituire anche da deterrente.
Viene ridotta la durata del divieto di reingresso, prevista in dieci anni del vigente testo unico in materia di immigrazione. Viene infatti stabilita una durata da tre e cinque anni, valutato il singolo caso, salvo che lo straniero sia stato espulso per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sicurezza nazionale (in tal caso, il divieto di reingresso può superare i cinque anni). Per gli stranieri ai quali è stato concesso un termine per la partenza volontaria, il divieto di reingresso decorre dalla scadenza del termine assegnato. Al fine di incentivare la partenza volontaria lo straniero irregolare che abbia rispettato il termine concesso per partenza volontaria può chiedere la revoca del divieto di reingresso, che deve essere valutata dalle autorità italiane, anche per agevolare appunto le partenze volontarie e dunque avere meno costi come Stato.
Allorché non sia possibile procedere all'espulsione con accompagnamento immediato - per le cause già oggi previste, alle quali si aggiungono situazioni transitorie che ostacolano la preparazione del rimpatrio o l'effettuazione dell'allontanamento - il questore dispone che lo straniero sia trattenuto per il tempo strettamente necessario presso il centro di identificazione ed espulsione più vicino. Nei casi in cui lo straniero è in possesso di passaporto o altro documento equipollente in corso di validità e l'espulsione non è stata disposta per gravi motivi di ordine pubblico e sicurezza dello Stato, in alternativa al trattenimento possono essere adottate le misure meno coercitive sopra viste, come la consegna del passaporto e così via. Il periodo massimo di trattenimento nei CIE è esteso da sei a diciotto mesi, attraverso proroghe successive.
A questo proposito mi inserisco proprio in quella polemica che è venuta da molti esponenti del Partito Democratico, in particolare dall'onorevole Zaccaria, e dall'onorevole Tassone, per quanto riguarda l'Unione di Centro. Intanto ricordo che si tratta di un termine massimo, nessuno di noi vuole mantenere queste persone a spese dello Stato con vitto e alloggio per troppo tempo, anche perché è un costo per lo Stato. Dunque, prima riusciremo a sapere chi sono e ad espellerli, prima Pag. 18saremo contenti perché li manterremo il meno possibile. Indubbiamente diciotto mesi è il termine massimo. Ricordo anche all'onorevole Zaccaria che proprio lui ha firmato un emendamento in Commissione, il 3.20, che prevedeva con varie proroghe, come prevede anche il testo vigente, la durata massima di diciotto mesi. Dunque, non riesco a capire come si possa presentare un emendamento dove il termine finale è sempre di diciotto mesi e allo stesso tempo lamentarsi che ci siano i diciotto mesi. Nessuno vuole utilizzare tutto questo tempo, anche perché, come dicevo prima, mantenere persone in strutture protette, dandogli vitto e alloggio e magari anche strutture sportive in modo che non si annoino, per lo Stato è un costo un po' troppo alto. Se poi queste persone stanno male in questi CIE, perché non è un posto dove possono andare dove vogliono e non mangiano quello che vorrebbero, possono benissimo ritornare nel loro Paese di origine, perché qui nessuno li obbliga a stare. Qui in Italia - lo ricordiamo - devono venire solo le persone che possono inserirsi, che conoscono la lingua, cui noi possiamo dare un lavoro. Dal momento che il lavoro ultimamente scarseggia anche per i nostri cittadini, forse il messaggio che bisogna dare verso l'esterno è di non venire in Italia, perché in Italia si troverà solo la fame, con un costo per tutti noi cittadini italiani.
Al fine di adeguare alla direttiva il termine attualmente vigente per l'esecuzione dell'ordine del questore di allontanamento - adottato nei casi in cui non sia stato possibile trattenere lo straniero presso un CIE ovvero la permanenza nella struttura non abbia consentito l'esecuzione dell'espulsione -, è stato elevato da cinque a sette giorni il periodo per ottemperare al suddetto ordine. Si è precisato, inoltre, che l'ordine del questore, in cui sono indicate conseguenze sanzionatorie in caso di inottemperanza, può essere accompagnato, anche su richiesta dell'interessato, dalla documentazione necessaria per raggiungere gli uffici della rappresentanza diplomatica del suo Paese in Italia, nonché per rientrare nello Stato di appartenenza ovvero, quando ciò non sia possibile, nello Stato di provenienza, compreso il titolo di viaggio per raggiungere gli uffici diplomatici. La violazione dell'ordine di allontanamento è punita, salvo che sussista un giustificato motivo, con la multa da diecimila a ventimila euro, nel caso in cui il provvedimento iniziale di espulsione prevedeva l'accompagnamento alla frontiera, o se lo straniero, ammesso ai programmi di rimpatrio volontario ed assistito, di cui all'articolo 14-ter, vi si sia sottratto. Si applica la multa da seimila a quindicimila euro se l'espulsione è stata disposta in forma di partenza volontaria. In tutti questi casi, viene disposta un'ulteriore espulsione e in caso di inottemperanza senza giustificato motivo è prevista la multa da quindicimila a trentamila euro.
Torno al ragionamento di prima: se non prevediamo una sanzione vera e pesante, la gente non rispetterà queste regole, dunque non mi sembra niente di particolare. Poi, come dicevo all'onorevole Zaccaria, a queste persone, che sono indigenti e sono già nella situazione di avere poche risorse economiche, consiglio di tornare il prima possibile nei Paesi di origine, dove il costo della vita è molto più basso che in Italia. Conclusivamente, si evidenzia che il decreto-legge in esame realizza un contemperamento tra le esigenze di rigore nell'esecuzione dell'espulsione degli extracomunitari e dell'allontanamento dei comunitari con le garanzie imposte dalla normativa comunitaria e costituisce perciò un atto necessario per assicurare l'effettività della legislazione nazionale in materia. All'onorevole Tassone ricordo che anche noi, come Lega, riteniamo che forse l'Europa dovrebbe fare molto di più, in modo da coordinare meglio e soprattutto dare più risorse a quegli Stati come il nostro che hanno difficoltà e purtroppo troppe coste vicine a Paesi da cui arriva molta immigrazione.
Forse, dovrebbero darci maggiormente una mano. Questa, forse, è l'unica cosa che potremmo avere in comune con l'onorevole Tassone. Ringrazio ancora (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

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PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Stasi. Ne ha facoltà.

MARIA ELENA STASI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il decreto-legge che ci apprestiamo a convertire, come già ricordato, nasce dall'esigenza di recepire appieno la direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, ed armonizzarla con quanto previsto dall'articolo 117, primo comma, della Costituzione. Questo anche per evitare che la procedura di infrazione aperta nei confronti dell'Italia possa portare un ulteriore aggravio economico alla nostra nazione.
La decretazione di urgenza è stata necessaria per completare l'adempimento di obblighi comunitari, peraltro già affrontati in parte con il decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 30, e per rispettare scadenze temporali imposte dalla normativa della stessa Unione europea. Certamente, questo è un decreto-legge che nasce anche dall'urgenza causata dalla crisi di tutto il Nord Africa, ed in modo particolare da quella libica, che ci vede ancora impegnati all'interno della NATO. Si tratta di una situazione di emergenza che aveva bisogno di una risposta immediata ed efficace, e quindi non possiamo che essere favorevoli alla conversione del decreto-legge in esame.
Però, crediamo che sia giunto il momento di affrontare il tema in maniera più organica, soprattutto perché il mondo si evolve in maniera veloce e dobbiamo dare delle risposte al passo con i tempi. Va, peraltro, pensata anche una rivisitazione della legge Bossi-Fini, «resettarla» per renderla al passo con i tempi. Ci sono due aspetti su cui vorremmo aprire un confronto con tutto il Parlamento: la dignità della persona e la questione di alcuni lavori che, ormai, vengono svolti solo da cittadini di Paesi terzi.
È innegabile che per chi, come noi, si rapporta ai valori del popolarismo, sia italiano sia europeo, l'uomo, con i suoi bisogni e la sua dignità, viene posto al centro del sistema. Quindi, dobbiamo sforzarci per tutelare tutto ciò. Non vogliamo, però, farlo con demagogia. Siamo consapevoli che l'Italia non può caricarsi milioni di persone che, fuggendo da un disagio nel loro Paese di origine, vengano a popolare le nostre strade, vivendo, in moltissimi casi, ancor peggio che nella loro terra.
Lo sforzo che dobbiamo fare è quello di aiutare, in maniera concreta, quelle nazioni a progredire sia nella democrazia sia nello sviluppo economico. È necessario, anche in piena crisi economica, investire di più nella cooperazione internazionale, orientando in maniera più selettiva le risorse disponibili, anche attraverso forme di collaborazione con i Governi locali nella realizzazione di infrastrutture atte a rendere possibile una crescita economica. Questo ci renderebbe, realmente, un Paese degno di essere chiamato civile e solidale.
Nei giorni passati, nella Commissione lavoro della Camera, si sono succedute alcune audizioni molto interessanti, tra cui quella dei vertici dell'ISTAT. Dall'esposizione dei dati è stato evidenziato, tra l'altro, che ormai anche nel Mezzogiorno vi è una richiesta di forza lavoro che viene offerta solo da persone di Paesi terzi. Insomma, vi è una domanda per talune occupazioni che ormai noi e i nostri figli non facciamo più. Anche qui bisogna aprire una riflessione. Noi riteniamo che sia necessario colmare questa richiesta per raggiungere un duplice obiettivo, e cioè quello di una nostra crescita economica e, nello stesso tempo, combattere la piaga del lavoro nero, del caporalato, dell'evasione fiscale e contributiva.
Non possiamo più permetterci, stante anche la complessità della società mondiale in cui viviamo, di fare leva sulla paura dell'altro e sulla chiusura tout court delle frontiere, ma dobbiamo imparare a governare il fenomeno con una disciplina che coniughi la difesa della dignità umana, del valore aggiunto, della crescita economica e della sicurezza. Dobbiamo, cari colleghi di maggioranza ed opposizione, prendere atto che il mondo cambia velocemente e che dobbiamo essere pronti a dirigere i cambiamenti, altrimenti, nostro malgrado, saremo costretti solo a subirli, con grave danno per l'economia e, soprattutto, per l'alto valore della persona. Pag. 20
Noi di Popolo e Territorio siamo pronti a metterci in gioco, senza paure, senza demagogie e senza preconcetti, e chiediamo a tutti di fare lo stesso, invitando l'abile Ministro dell'interno e il sottosegretario competente a volersi fare promotori di una nuova organica normativa, su cui lavorare, tutti insieme, nel Parlamento (Applausi dei deputati del gruppo Popolo e Territorio).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Gozi. Ne ha facoltà.

SANDRO GOZI. Signor Presidente, anche io vorrei ringraziare il Presidente Bruno e la relatrice Bertolini per il lavoro svolto e svolgere alcune considerazioni che si collegano a quanto detto in precedenza dal collega Zaccaria.
Innanzitutto, la presenza dei requisiti di necessità e di urgenza è reale? Certamente sì, è reale nel senso che è stata causata dalle contraddizioni, dagli errori e dai ritardi del Governo. Passiamo in rassegna queste contraddizioni, questi ritardi e questi errori. Le contraddizioni sono flagranti. Addirittura la direttiva rimpatri era stata presentata a livello europeo dall'allora Commissario europeo Frattini; è stata fortemente voluta dal gruppo del PPE, di cui il PdL fa parte nel Parlamento europeo, ed è stata sostenuta, approvata e votata dal Ministro Maroni nel Consiglio dei Ministri dell'interno dell'Unione europea. Poi il Governo italiano si è rifiutato di recepirla e attuarla, ha fatto spirare il termine per il recepimento, che era il 24 dicembre dello scorso anno, ha esposto l'Italia ad un'ennesima procedura di infrazione che è stata prontamente avviata, nel gennaio di quest'anno, dalla Commissione europea, e ad una condanna da parte della Corte di giustizia dell'Unione europea. Tutto questo dopo avere ripetutamente respinto le proposte emendative presentate dal gruppo del Partito Democratico volte ad inserire, nelle leggi comunitarie per il 2009 e per il 2010, proprio il recepimento della direttiva rimpatri.
Dobbiamo chiederci, allora, il perché di questa contraddizione e di questi errori e ritardi. Perché la direttiva comunitaria in questione segna il definitivo fallimento dell'approccio repressivo del Ministro Maroni riguardo la questione dell'immigrazione e perché, nel suo spirito, così come è stata concepita a livello europeo, è agli antipodi rispetto all'approccio ideologico seguito, senza alcun risultato concreto, dal Governo in materia di immigrazione.
È proprio per queste ragioni, signor Presidente, che l'unico sforzo che compie veramente il decreto-legge che stiamo esaminando è di limitare l'impatto della suddetta direttiva comunitaria, di recepirne, veramente, solo alcune parti, di invertire la logica. Quindi, la conseguenza che ci preoccupa in particolare è che il decreto-legge in esame non risolve del tutto il contenzioso aperto con l'Unione europea. Esso consiste in una serie di integrazioni e di correzioni molto difficili da leggere, prive di un disegno organico e senza le norme necessarie per governare veramente il fenomeno migratorio, nel rispetto dei diritti fondamentali e quindi, come dicevo, lontano dagli obiettivi della direttiva rimpatri perché questa mira a rimpatri efficaci, effettivi, nel rispetto dei diritti fondamentali, mentre il decreto-legge in questione si concentra realmente solo sulle espulsioni coatte e fa delle partenze volontarie e dei rimpatri delle mere eccezioni. Questo è ciò che ci spinge ad affermare, purtroppo con un ragionevole grado di certezza, che viene stravolta la logica e vengono disattesi gli obiettivi europei.
La Corte di giustizia dell'Unione europea, che da ultima ci ha indicato qual è il senso della direttiva rimpatri e gli obiettivi, ci ha ricordato, nella sentenza dell'aprile di quest'anno, la successione delle fasi della procedura di rimpatrio. Questa è una successione graduale, che va dalla misura minima e meno restrittiva per la libertà dell'immigrato, ossia la concessione di un termine per la sua partenza volontaria, alla misura più restrittiva, extrema ratio, cioè il trattenimento nel CIE. Tutto questo deve avvenire, secondo la Corte e in base alla direttiva comunitaria in oggetto, nel pieno rispetto del principio di proporzionalità Pag. 21che esige, per la misura più restrittiva, ossia il trattenimento nel CIE, che questo non superi mai il tempo strettamente necessario al raggiungimento dello scopo perseguito. Questo è evidente alla luce del principio di proporzionalità. Quindi, che cosa richiede la citata direttiva comunitaria per essere veramente ed interamente recepita nell'ordinamento italiano? Richiede una riforma dell'intero sistema italiano dell'immigrazione che va rivisto attorno alla regola che, in materia di rimpatri, è rappresentata dal principio della partenza volontaria e agevolata, mentre quella forzata, come ha detto la Corte di giustizia dell'Unione europea e come è scritto nella direttiva in questione, deve rimanere l'eccezione.
Gli stessi trattenimenti, essendo una misura estrema, vanno previsti solo laddove sussista un concreto pericolo di fuga, da valutare ovviamente caso per caso.
Inoltre va eliminata - proprio per evitare ulteriori rilievi dal punto di vista comunitario - la mescolanza tra misure di privazione della libertà, derivanti dal diritto penale, e misure derivanti dalla cosiddetta detenzione amministrativa.
Signor Presidente, occorre attenzione, non siamo di fronte a questioni astratte o di dottrina. La Corte di giustizia - tra l'altro investita in via pregiudiziale proprio da un tribunale italiano, dal tribunale di Trento - ha riconosciuto un effetto diretto alla direttiva rimpatri. Cosa vuol dire? Vuol dire che la direttiva rimpatri è direttamente invocabile e che le norme nella direttiva sono direttamente invocabili - a prescindere dal disegno di legge di conversione del decreto-legge che esaminiamo - di fronte al giudice italiano o al giudice di qualsiasi altro Stato membro. Quindi, la Corte di giustizia ha già invitato in quella sentenza i giudici dell'Italia e di altri Stati a disapplicare le norme interne non solo esistenti all'epoca della sentenza, ma anche quelle che verranno in essere successivamente, come il disegno di legge di conversione del decreto-legge che stiamo esaminando, se verrà approvato. Ebbene, la Corte di giustizia ha invitato a disapplicare le norme interne in contrasto con la direttiva e ad applicare le disposizioni della direttiva.
Ecco perché, secondo la nostra interpretazione e in base all'analisi interpretativa che noi diamo del decreto-legge, questo decreto-legge non ci permette di uscire dalla situazione di incompatibilità comunitaria e soprattutto non ci permette di uscire dalla situazione di incertezza giuridica, in cui siamo piombati a causa proprio di quei ritardi e di quelle reticenze del Governo, di cui dicevo più sopra.
È, infatti, evidente quella situazione di incertezza che ha portato i giudici di Firenze, di Torino, di Milano e di Pinerolo ad applicare la direttiva rimpatri ed a disapplicare le norme interne italiane, ivi compresa la circolare di cui parlava prima il collega Zaccaria. Ebbene, quella situazione di incertezza giuridica con questo decreto-legge si può riprodurre, quindi è un punto a capo: si torna alla casella di partenza. Perché dico ciò? Perché le norme rimangono disapplicabili da parte di qualsiasi giudice.
In maniera più ampia emerge, a nostro modo di vedere, il carattere del tutto illusorio di una politica dell'immigrazione di questo Governo, basata sulla priorità repressiva. È una scelta che contraddice la stessa analisi del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e del Ministro Sacconi, secondo cui, per la crescita e per il mercato del lavoro italiani, servono almeno 300 mila immigrati regolari all'anno, mentre l'Italia ne fa entrare - se ne fa entrare - un massimo di 100 mila. È questo il dato politico fondamentale, che oltre alle considerazioni giuridiche di incompatibilità comunitaria, dovrebbe fare riflettere il Governo. Come notava a ragione del resto anche la collega Stasi, che è intervenuta in precedenza, questa politica, accanto alle finzioni giuridiche su cui si basa la legge Bossi-Fini, che finge che gli immigrati arrivino in Italia con un contratto di lavoro per utilizzare in realtà le quote annuali come sanatorie nascoste, questa politica, che rivediamo anche nel Pag. 22decreto-legge in esame oggi, è la vera causa dell'alto numero di irregolari presenti in Italia.
Ed è per questo che siamo preoccupati ed è per questo che nell'interesse nazionale del Paese e per mettere l'Italia in regola con l'Unione europea abbiamo presentato in Commissione varie proposte emendative - e le ripresenteremo in Aula - con le quali chiediamo che il Governo modifichi la sua posizione ed esprima un parere favorevole che ne permetta l'approvazione.
Ne cito solo alcune, come quella relativa all'esplicita previsione di una decisione di rimpatrio, distinta dal provvedimento di allontanamento, una previsione che è obbligatoria - ed indispensabile peraltro - per permettere all'Italia di utilizzare il Fondo rimpatri stanziato dall'Unione europea. A questo proposito voglio rispondere al collega Bragantini della Lega Nord (è andato via) che invocava di nuovo l'Unione europea e la scarsità di risorse. Sono previsti 139 milioni di euro per i rifugiati, per i controlli delle frontiere esterne e per i rimpatri come fondo rimpatri, ma il Ministro Maroni non ci ha ancora detto come li abbia utilizzati e se li stia utilizzando! Soprattutto con questo testo, che non prevede la fattispecie specifica della decisione di rimpatrio, è lo stesso decreto-legge che impedisce di utilizzare quel Fondo rimpatri messo a disposizione dall'Unione europea anche per l'Italia.
Quindi, certamente, al riguardo, invito il Governo a riflettere perché è una chiara esigenza di interesse nazionale, politica e finanziaria. I termini e le modalità per la partenza volontaria rappresentano il secondo punto su cui presenteremo emendamenti; vi sono poi questioni relative alla disponibilità economica dell'immigrato da espellere, che costituisce una garanzia da esigere solo se sussiste un reale pericolo di fuga e non è un presupposto per la concessione del termine per la partenza volontaria (questo è un punto di incompatibilità che qualsiasi giudice potrebbe sollevare nei confronti dell'Italia); vi è poi un'interpretazione più ampia della norma relativa alla documentazione relativa all'alloggio - al riguardo non ripeto le discussioni che abbiamo svolto sia in sede di I Commissione che di XIV Commissione su questo punto - nonché i presupposti del trattenimento nel CIE e le misure alternative al trattenimento ivi compresa la valutazione relativa alla pericolosità sociale.
In modo più generale, signor Presidente, vorrei sottolineare che l'approccio che privilegia unicamente respingimenti ed espulsioni in modo indiscriminato non serve, né i CIE possono venire utilizzati, sfruttando un termine massimo di permanenza di 18 mesi, concepito dalla direttiva non certo per Paesi come l'Italia che un termine di detenzione nei centri lo avevano già, ma per casi come quello della Danimarca in cui nessun termine era previsto. Ebbene, il medesimo termine non può venire utilizzato come una forma nascosta di reclusione in alternativa e in sostituzione dello sciagurato reato di clandestinità con reclusione voluto dalla maggioranza e condannato dalla Corte. Su questo punto, signor Presidente, vorrei fare un piccolo approfondimento, perché la direttiva rimpatri è stata adottata, come dicevo, per riavvicinare le legislazioni di ventisette Stati membri e quindi prevedere anche un termine massimo di detenzione nei centri, pari a 18 mesi, nei casi ovvero negli ordinamenti in cui questo termine massimo non era previsto. Ne conseguono due cose. In primo luogo, nella direttiva non c'è alcun obbligo per gli Stati membri di prolungare il termine fino a diciotto mesi: sono scelte di opportunità politica e noi riteniamo questa scelta non opportuna. Ma soprattutto, al momento della firma finale della direttiva in Consiglio, gli Stati membri - e quindi il Ministro Roberto Maroni - si sono impegnati a non inasprire le legislazioni nazionali vigenti sulla scorta della direttiva, con la firma di un protocollo allegato alla direttiva stessa. C'è un protocollo allegato alla direttiva, firmato dal nostro Ministro dell'interno, con il quale costui ha impegnato l'Italia a non utilizzare, nel recepirla, la direttiva rimpatri per inasprire alcuni aspetti della Pag. 23legislazione italiana sui rimpatri ed è esattamente un simile inasprimento che prevede questo decreto-legge. Quindi c'è una flagrante violazione del protocollo firmato dal Ministro Maroni. Del resto - gli esami e le indagini al riguardo sono stati approfonditi e lunghi e rimando alla Commissione De Mistura che già aveva identificato tantissime gravi debolezze dei CIE nonché a quell'indagine conoscitiva che, con l'ottima collaborazione della collega Bertolini, avevamo condotto nel Comitato Schengen nella passata legislatura - è evidente che i CIE italiani hanno bisogno di una profonda revisione.
Credo che le scelte del Governo, soprattutto quella relativa ai CIE operata con questo decreto-legge, siano in contrasto con i diritti fondamentali e, lo diceva il collega Zaccaria, con la ragionevolezza economica. Infatti, la stessa relazione allegata al decreto-legge ci indica che i trattenimenti nei CIE ci costano 55 euro al giorno. Ciò significa che il costo della durata del trattenimento fino ai 18 mesi è di trentamila euro. Allora, come non pensare, guardando allo scopo della direttiva, che la stessa somma potrebbe largamente finanziare un rimpatrio assistito e magari anche aiutare l'immigrato ad avviare un'attività professionale nel suo Paese di origine? Il che sarebbe, dopo tutto, il vero obiettivo nell'ottica europea. Peraltro, la collega Stasi richiamava...

PRESIDENTE. La prego di concludere.

SANDRO GOZI. ... la cooperazione internazionale - ho concluso Presidente - ma vorrei ricordare che non possiamo invocare la cooperazione internazionale quando è necessario rispetto ai rimpatri e poi azzerarla. Infatti, oggi la cooperazione internazionale dell'Italia è pari allo 0,1 per cento del bilancio dello Stato e quindi siamo ben lontani da quell'obiettivo dello 0,7 per cento del PIL, stabilito negli Obiettivi del Millennio che l'Italia è obbligata a raggiungere.
Delle due l'una: o non vogliamo la cooperazione internazionale, oppure non possiamo invocarla per giustificare il fatto che non vogliamo immigrati, di cui peraltro il nostro Paese ha bisogno, sul territorio italiano.
Anche questa volta, dunque, l'Europa per questo Governo è solo qualcosa da evitare il più possibile, non è una grande opportunità vitale per un Paese esposto come il nostro. Mentre lasciamo - e concludo, signor Presidente - alla deriva nel Mediterraneo migliaia di immigrati e di profughi, noi andiamo - tutti noi, come Italia - alla deriva non solo finanziaria, ma anche politica, sempre più lontani dall'Unione europea (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Favia. Ne ha facoltà.

DAVID FAVIA. Signor Presidente, innanzitutto, mi sia consentito di svolgere alcuni appunti preliminari di metodo. È ormai da un periodo piuttosto lungo, troppo lungo, che, anziché ragionare in maniera organica di questa materia estremamente importante con legge ordinaria, il Governo aggiusta via via leggi precedenti attraverso lo strumento del decreto-legge.
In questo caso, ci si viene a dire: abbiamo dovuto farlo con urgenza attraverso un decreto-legge, perché siamo sotto procedura di infrazione. Ma perché siamo sotto procedura di infrazione? Proprio perché il Governo e la maggioranza, in maniera assolutamente inadeguata, non hanno saputo intervenire tempestivamente, tanto da ridursi - forse volendolo, per raggiungere determinati propri obiettivi repressivi, anche sotto l'onda, forse, dell'emozione - a lavorare, come dicevo, per decreto-legge. Non credo che questa sia una cosa positiva. Quindi, siamo qui ad intervenire e a lavorare in fretta e furia per l'ennesima inadeguatezza del Governo.
L'altra questione da rilevare è che ci si dice che si deve normare per adeguare la legislazione italiana alle direttive comunitarie. Fin qui, ovviamente, nulla di strano, è assolutamente un atto dovuto, ma così, in realtà non è. Infatti, se è vero che i Parlamenti sono sovrani e che, quindi, possono legiferare accanto all'acquisizione Pag. 24nel corpus normativo delle direttive comunitarie, in questo caso, con la scusa dell'adeguamento alla normativa comunitaria, si va molto al di là, e si legifera autonomamente, senza avere il coraggio di dirlo, ma nascondendosi dietro a queste direttive.
Potrei citare a bizzeffe pronunce giurisprudenziali ma, per brevità, esprimo soltanto il concetto. Con riferimento alla materia dell'immigrazione, proprio per questo modo che il Governo ha di legiferare, siamo davanti alla disapplicazione da parte della magistratura ordinaria della normativa italiana a favore della normativa europea. Non credo sia una bella cosa vedere la nostra legislazione - più che altro, la vostra legislazione - regolarmente disapplicata dalla nostra giurisprudenza.
Dirò, poi, quali sono i casi in cui vi siete allontanati e siete andati molto al di là della normativa europea: per quanto riguarda tre di questi casi, abbiamo presentato degli emendamenti. Farò, dunque, riferimento ad un emendamento apparentemente - fino ad un certo punto - corretto della relatrice, ma sul quale inviterò la relatrice stessa ad essere più coraggiosa... Signor Presidente siamo all'alfabeto muto?

PRESIDENTE. Onorevole Favia, non sto parlando con lei, non volevo disturbarla, però vedo che è molto attento.

DAVID FAVIA. Signor Presidente, lei sta tentando di cassare il diritto della relatrice di replicare su questa materia così importante.

PRESIDENTE. Onorevole Favia, non legga nelle intenzioni del Presidente. Il Presidente è sempre disponibile a tutti!

DAVID FAVIA. Leggo dai gesti del Presidente! Comunque, due minuti di ulteriore dibattito sulla materia così importante dei minori non sarebbero male, al di là dello scherzo.
Vogliamo segnalare, tra l'altro, che, il 24 marzo ultimo scorso, il Parlamento europeo ha approvato, in prima lettura, una risoluzione relativa ad una procedura unica di domanda per il rilascio di un permesso unico che consente ai cittadini di presentarsi, di soggiornare e lavorare nel territorio di uno Stato membro e ad un insieme comune di diritti per i lavoratori dei Paesi terzi che soggiornano legalmente in uno Stato membro.
Questo per dire che purtroppo, invece, al di là della volontà contenuta in questa risoluzione, la nostra normativa ci allontana dalla volontà comune dei 27 Paesi membri dell'Unione europea.
Il 24 dicembre 2010 è scaduto il termine entro il quale l'Italia e gli altri Paesi europei avrebbero dovuto recepire la direttiva «rimpatri» e purtroppo ci troviamo davanti a questa situazione.
Un'altra cosa che vorrei segnalare è che, proprio a detta del Ministero dell'interno, il termine medio entro il quale, ragionevolmente, è possibile identificare uno straniero è di centoventi giorni. Noi lamentiamo quindi, sia l'ulteriore introduzione di fattispecie di detenzione amministrativa, sia la inutilità del termine massimo, previsto anche in Europa (credo che solo la Germania abbia un termine di questo tipo), di centottanta giorni, per questa che appare essere una vera e propria detenzione punitiva, repressiva, mentre l'invito dell'Unione europea è quello di sostituire formule di questo tipo con altre meno cogenti e meno repressive.
Prima di parlare dei nostri emendamenti vengo all'emendamento 3.50 della relatrice approvato in Commissione: nelle sue intenzioni è assolutamente positivo ma potrebbe essere un pochino più coraggioso. È stata approvata una mozione in cui si invita a disporre - cosa che l'emendamento non fa, perché non dispone sic et simpliciter, come richiesto espressamente da un ordine del giorno approvato dal Governo - in favore dell'estensione ai minori stranieri non accompagnati delle prerogative vigenti per i minori normali, e offre loro tale opportunità sottoponendola al giudizio del comitato. Credo che bisognerebbe avere il coraggio di disporre l'automatismo, come mi sembra che si volesse nella mozione di cui ho parlato. Pag. 25
Passiamo ora alle disparità, alle distanze presenti in questa normativa rispetto a quello che vorrebbe l'Unione europea e, quindi, di fatto, a quelli che sono i nostri emendamenti.
All'articolo 1, comma 1, la lettera a) modifica l'articolo 3, comma 2, lettera b), del decreto legislativo n. 30 del 2007 con riferimento all'ingresso e al soggiorno del partner di cittadino dell'Unione europea della cui circolazione o soggiorno si tratti, prevedendo che la relazione stabile tra il suddetto cittadino e il partner debba essere «ufficialmente» anziché «debitamente» attestata. Tale modifica elimina dal testo la parola «debitamente» contenuta invece nel testo della direttiva.
La lettera c), numero 2, lettera b), e la lettera d), sempre del comma 1, dell'articolo 1, modificano rispettivamente la lettera b) del comma 5 dell'articolo 9 e l'articolo 10, comma 3, lettera b), della normativa di riferimento, sostituendo la previsione della presentazione di un documento che attesti la qualità di familiare e, qualora richiesto, di familiare a carico con quella della presentazione di un documento rilasciato dall'autorità competente del Paese di origine, o provenienza, che attesti la qualità di familiare e, qualora richiesto, di familiare a carico ovvero di membro del nucleo familiare oppure di familiare affetto da gravi problemi di salute che richiedano l'assistenza personale del cittadino dell'Unione, titolare di un autonomo diritto di soggiorno.
Tali previsioni, che secondo la relazione illustrativa costituiscono un'integrazione normativa espressamente richiesta dalla Commissione europea, pur conformi a quanto previsto dall'articolo 8, paragrafo 5, lettera e), e dall'articolo 10, paragrafo 2, lettera e), della direttiva non si aggiungono a quanto già previsto dall'articolo 9, comma 5, lettera b), e dall'articolo 10, comma 3, lettera b) del citato decreto legislativo, a loro volta già parzialmente conformi alla normativa della direttiva stessa che si riferisce a un documento che attesti la qualità di familiare o all'esistenza di una unione registrata, ma la sostituisce.
In ogni caso i citati paragrafo 5 dell'articolo 8 e paragrafo 2 dell'articolo 10 della direttiva, recano un elenco di documenti la cui richiesta ha carattere facoltativo e non obbligatorio per gli Stati membri.
La lettera e), invece, dell'articolo 1, comma 1, introduce nell'articolo 13, comma 2, del citato decreto legislativo, la disposizione secondo la quale la verifica della sussistenza delle condizioni richieste ai fini del mantenimento del diritto di soggiorno non può esser effettuata se non in presenza di ragionevoli dubbi in ordine alla preesistenza delle condizioni medesime. Tale disposizione è conforme alle previsioni dell'articolo 14, paragrafo 2, secondo periodo della direttiva, nel quale è espressamente esclusa la sistematicità delle verifiche; non trova però espressa formulazione nella novella.
Dirò ancora che all'articolo 3, comma 1, lettera c), numero 3, i casi di esecuzione dell'espulsione, con accompagnamento alla frontiera per violazione di una delle misure disposte dal questore in caso di partenza volontaria o di una delle prescrizioni meno coercitive rispetto al trattenimento, nonché di mancata richiesta da parte degli stranieri di un termine per la partenza volontaria, non sembrano riscontrabili nella direttiva che si recepisce.
Quindi, per brevità non starò ad elencare tutte le altre distanze della normativa rispetto alla direttiva; dirò solo, per esempio, che la legge italiana prevede in generale l'accompagnamento coattivo alla frontiera come modalità ordinaria di espulsione, mentre la direttiva dispone che la modalità ordinaria sia il rimpatrio volontario entro il termine compreso fra sette e trenta giorni; che in caso di impossibilità di eseguire l'accompagnamento coattivo la legge italiana prevede che sia disposto il trattenimento, mentre la direttiva impone che prima siano adottate misure coercitive meno lesive della libertà personale e che per l'Italia il trattenimento nei CIE è consentito in presenza di difficoltà di esecuzione dell'accompagnamento coattivo, mentre per l'Unione europea eventuali Pag. 26difficoltà possono essere presupposto per la sola proroga del trattenimento.
In buona sostanza, signor Presidente, noi lamentiamo non solo che la normativa di questo decreto-legge non sia attuativa della direttiva europea, ma che se ne discosti in maniera più punitiva, più coercitiva, più repressiva, e che non attui assolutamente quelli che sono i principi della direttiva, così sottoponendoci al rischio della disapplicazione, come già abbiamo visto accadere più volte da parte della magistratura italiana.
Concludo facendo ancora un appello alla relatrice per quanto riguarda i minori e anche per quanto riguarda - mi sembra - la mancata tutela delle donne incinte: credo che in sede di illustrazione e votazione delle proposte emendative si possa fare qualcosa perché questo provvedimento, che noi non condividiamo e contro il quale voteremo, contenga qualcosa di meglio.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 4449-A)

PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore ed il rappresentante del Governo rinunziano alla replica.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione della mozione Nirenstein, Corsini, Polledri, Adornato, Della Vedova, Vernetti ed altri n. 1-00669 concernente iniziative relative alla crisi siriana (ore 17,55).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Nirenstein, Corsini, Polledri, Adornato, Della Vedova, Vernetti ed altri n. 1-00669, concernente iniziative relative alla crisi siriana (Vedi l'allegato A - Mozioni).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione della mozione è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
Avverto che è stata altresì presentata la mozione Leoluca Orlando ed altri n. 1-00687 che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verrà svolta congiuntamente (Vedi l'allegato A - Mozioni). Il relativo testo è in distribuzione.
Avverto che in data odierna la mozione Nirenstein, Corsini, Polledri, Adornato, Della Vedova, Vernetti ed altri n.1-00669 è stata sottoscritta dall'onorevole Gianni che, con il consenso degli altri, ne diventa il sesto firmatario.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritta a parlare l'onorevole Boniver, che illustrerà anche la mozione n. 1-00669 di cui è cofirmataria. Ne ha facoltà.

MARGHERITA BONIVER. Signor Presidente, onorevoli colleghi, credo sia chiarissimo l'intento dei presentatori, cui sono onorata di appartenere, di questa mozione relativa alla crisi siriana, ossia quello di ottenere un voto unanime da parte di questo ramo del Parlamento.
La situazione siriana si contraddistingue per la sua durezza, la sua asprezza e la repressione durissima nei confronti dei manifestanti, anche se impropriamente questa situazione viene descritta come appartenente alla cosiddetta «primavera araba».
La definizione «primavera araba», in realtà, è una definizione soffice e cortese di quello che è stato un vero e proprio terremoto e sommovimento che ha toccato dapprima la Tunisia, poi l'Egitto e via via tutta una serie di Paesi, incluso il Bahrein e parzialmente anche il Marocco e che in ogni Paese ha trovato una sua risposta relativamente soft (diciamo così). Pag. 27
Infatti, mentre in Tunisia si stanno approntando le prime elezioni generali libere dopo molti decenni a partire da questo ottobre e mentre in Egitto la situazione continua a rimanere estremamente complessa e molto poco decifrabile, rimane altissimo il livello di guardia per quello che potrebbe derivare da questi primi appuntamenti elettorali non soltanto in Tunisia e in Egitto, ma anche altrove, perché in queste settimane il vuoto politico e la situazione di stallo di questi Paesi comportano l'indubbio rafforzamento delle formazioni dei fratelli musulmani.
In Siria, Paese geograficamente e politicamente estremamente sensibile, non soltanto per i suoi confini, la risposta data dal regime di Assad, figlio di quell'Assad che ha regnato sul Paese per moltissimi decenni, è stata di una durezza e di una ferocia assolutamente non comparabili con qualsiasi altra risposta dura che pure c'è stata anche negli altri Paesi del Maghreb e del Makresh.
La repressione siriana deriva non soltanto da una lunga consuetudine, ma anche dalla repressione di ogni dissenso che ha trovato un suo modo e che ha tenuto la situazione in Siria in qualche modo sotto controllo. Infatti, come succede in ogni regime, anche il più oppressivo, ci sono delle fasce di popolazione che sono evidentemente avvantaggiate da tali regimi e tali sistemi.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROCCO BUTTIGLIONE (ore 18)

MARGHERITA BONIVER. Questo è successo in Siria; però, diversamente dagli altri Paesi, qui hanno fatto scendere i carri armati per le strade e si calcola che siano più di 1400 le persone che hanno perso la vita, a cominciare dai primi «venerdì della collera» che hanno punteggiato questo lungo passaggio dal 15 marzo 2011 ad oggi.
Gli ultimi atti repressivi sono avvenuti venerdì scorso nella città di Hama, la quarta città per importanza nel Paese, dove appunto, per mano della IV divisione corazzata agli ordini del fratello di Assad, sono morte decine di manifestanti. Questo è naturalmente assolutamente intollerabile, e l'unica voce concretamente fuori dal coro in quella città è stata la presenza dell'ambasciatore americano e dell'ambasciatore francese, i quali non hanno voluto abbandonare la popolazione di Hama durante questa feroce repressione.
Pronta è arrivata la risposta del regime, il quale oggi ha mandato dei suoi manifestanti ad invadere il compound dell'ambasciata americana a Damasco ed anche il locale dell'ambasciata francese come ritorsione e dimostrazione di dissenso per questo raro atto di coraggio da parte dei diplomatici occidentali. Questa è, in linee molto generali, la cronistoria degli ultimi avvenimenti in Siria.
Tuttavia credo che dobbiamo anche aprire la nostra visione a quello che oggi la Siria rappresenta, soprattutto per il pericolo che la Siria, questo regime, rappresenta non soltanto per la sopravvivenza di Israele, ma anche per le continue interferenze che questo Paese provoca in Libano innanzitutto e anche in altre situazioni, basti pensare che il capo di Hamas, Khaled Meshaal, ha trovato rifugio politico proprio a Damasco da moltissimi anni. Quindi, si tratta di un regime granitico, un regime che sembrerebbe perdere colpi per via delle imponenti manifestazioni di pacifici cittadini siriani, tuttavia è un regime che rimane assolutamente destabilizzante non soltanto per il proprio Paese, ma per tutto lo scenario mediorientale. Stiamo quindi parlando di un major player, come si dice in gergo internazionalistico, per quello che riguarda il Governo e il regime alla guida di Assad e tuttavia, fino ad oggi, la risposta internazionale a questi avvenimenti è stata, a nostro avviso, assolutamente insufficiente, molto debole, divisiva e probabilmente anche confusa.
Quindi, questa mozione, nel suo dispositivo, affronta o cerca di affrontare concretamente questi scenari che si sono aperti anche in quel Paese. Il primo punto impegna il Governo a operare affinché si crei, a livello internazionale, una pressione, Pag. 28ma soprattutto - direi - una consapevolezza, che possa diventare determinante nei confronti del Governo siriano, volta innanzitutto a far cessare la violenza nei confronti dei pacifici e inermi manifestanti siriani, i quali scelgono ogni occasione per scendere in piazza a rischiare la vita e che a migliaia hanno trovato la via dell'esilio. Quindi, un primo punto affinché si concorra a creare questa consapevolezza e questa pressione in ogni sede utile, a partire evidentemente da una primissima valutazione, che ancora non c'è stata con la necessaria importanza, al Consiglio di sicurezza sulla questione siriana.
Con il secondo punto vorremmo che si potesse promuovere l'estensione delle sanzioni contro il regime siriano di modo che la riprovazione del consesso internazionale assuma un carattere concreto, continuativo e anche prolungato nel tempo. Sappiamo perfettamente che il regime delle sanzioni è un'«arma» nelle mani della comunità internazionale e delle grandi democrazie. Raramente il regime delle sanzioni ottiene velocemente il risultato che si prefigge, comunque è un elemento molto importante per dimostrare non soltanto la condanna morale, ma anche per cercare di danneggiare il più possibile quegli elementi del regime che continuano ad usare dei metodi atroci e assolutamente inaccettabili, e soprattutto per cercare di farli ragionare affinché ci possa essere un'evoluzione prima o poi - prima piuttosto che poi - della situazione e si possa veramente dare la parola alla concreta valutazione dei cittadini di quel Paese.
Vi è poi il punto che riguarda il monitoraggio della posizione internazionale della Siria, in modo che non possa compiere azioni di destabilizzazione regionale. L'intento qui, anche se il linguaggio è squisitamente diplomatico, sta a significare che siamo scandalizzati dalla continua interferenza siriana nelle vicende interne del Libano, come abbiamo visto anche negli ultimi decenni, così come della sua posizione assolutamente a fianco dei principali nemici di Israele che sono sia l'Iran che Hamas, di cui si diceva prima, che hanno trovato il modo di dare asilo politico a Khaled Meshaal.
Un altro punto è che noi desideriamo che ci si adoperi per impedire che la Siria introduca potenze e forze di sicurezza straniere sul suo territorio onde reprimere i manifestanti. È successo nel passato e anche di recente. Anche questo è un elemento che consideriamo assolutamente inaccettabile, che deve essere sanzionato con il linguaggio, ma anche con le sanzioni, le più forti possibili.
Infine, occorre esercitare tutte le pressioni diplomatiche a livello europeo e internazionale affinché una missione di inchiesta delle Nazioni unite (già richiesta autorevolmente da Navi Pillay, che è l'Alto commissario per i diritti umani dell'ONU, e segnalo l'Italia è stata di recente eletta con un larghissimo consenso nel Consiglio per i diritti umani) possa visitare la Siria e valutare la situazione umanitaria del paese. Occorre, inoltre, assumere iniziative perché il regime siriano garantisca l'accesso alla stampa internazionale.
Come vediamo, nel dispositivo vi sono richieste che consideriamo non soltanto ragionevoli, ma assolutamente anche indispensabili per meglio poter inquadrare, in un contesto di legalità, democrazia e trasparenza la questione della Siria che sta diventando assolutamente incandescente. Allo stesso modo, ci auguriamo - lo abbiamo appena detto - che il popolo siriano così come il popolo tunisino, egiziano e degli altri Paesi del nord Africa, del Maghreb e del Medio Oriente possa veramente trovare finalmente la via per potersi esprimere liberamente senza terrore e senza il timore di cadere sotto le grinfie di regimi autocratici o cleptocratici (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Leoluca Orlando, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00687. Ne ha facoltà.

LEOLUCA ORLANDO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, intanto intendo premettere che Italia dei valori voterà a Pag. 29favore della mozione illustrata dall'onorevole Boniver, sottoscritta dall'onorevole Nirenstein e da altri parlamentari dei diversi gruppi, e chiede attenzione nei confronti della mozione che abbiamo presentato con una considerazione. Intanto, il tema è di drammatica attualità. Giunge notizia proprio in queste ore di manifestazioni delle truppe lealiste del Presidente Assad, che avrebbero assaltato le ambasciate francese e americana, a conferma del clima di tensione che in quel Paese si registra da tanto tempo.
La mozione dei colleghi, illustrata dall'onorevole Boniver, e la nostra mozione fanno riferimento alla condizione di emergenza nella quale la Siria si trova in buona sostanza sin dal 1963. Fa presente anche le denunce intervenute da parte delle autorità internazionali (da Amnesty International in particolare proprio di recente) e la condizione di emarginazione nella quale si trovano alcune comunità diverse dalla maggioranza arabo-sunnita, quali per esempio i curdi, così come le azioni nei riguardi e ai danni dei diritti delle donne. Inoltre, l'asse Damasco-Teheran rende ancora più pesante l'attuale situazione siriana.
Si tratta, quindi, di argomenti ed elementi forti perché si possa chiedere un intervento da parte del Governo a sostegno di una risoluzione a livello internazionale. La speranza degli Stati Uniti, espressa dalla responsabile del Dipartimento di Stato, la senatrice Hillary Clinton, sostanzialmente appare essere veramente fallita, così come è stato riconosciuto dalla stessa senatrice Clinton. Siamo, quindi, in presenza di una condizione nella quale non basta affidarsi alle posizioni dei singoli Stati, ma occorre che ci sia un intervento delle Nazioni Unite e che si promuova al massimo livello possibile quello che anche la Germania recentemente ha richiesto che venga fatto con riferimento alla realtà siriana.
Ci permettiamo soltanto di far presente ai colleghi che hanno presentato l'altra mozione che abbiamo pensato nel nostro atto di indirizzo di fare un riferimento che certamente potrà essere considerato con attenzione.
La realtà vera è che l'attuale drammatica situazione siriana è tornata conveniente agli equilibri internazionali. La realtà vera è che nessuna particolare posizione è stata espressa dai diversi attori del panorama internazionale, per cui a giorni alterni - e sostanzialmente complessivamente tutti i giorni della settimana - si è verificato un atteggiamento di acquiescenza delle singole potenze, dagli Stati Uniti d'America all'Arabia Saudita e passando attraverso l'Iran, in questa stranissima alleanza, perché la situazione non subisse delle modifiche.
La rivolta dei cittadini, che è stata richiamata peraltro recentemente da sette intellettuali di tutto il mondo - e fra questi Umberto Eco e Wole Soyinka, Nobel della letteratura -, serve essenzialmente a richiamare questo bisogno di un intervento. È ora che la comunità internazionale la finisca, sopra il tavolo, di criticare il regime di Assad e poi, sotto il tavolo, sostanzialmente di acconsentire a che tutto rimanga come prima. Per questo nessuna singola potenza ha, drammaticamente, credibilità per intervenire. Forse tutti insieme e in una dimensione internazionale si può recuperare quella forza e quella credibilità che la somma delle singole incredibilità e dei singoli difetti impedisce di realizzare. Per questo, sottoponiamo al voto dell'Assemblea questa mozione. Allo stesso modo preannunziamo il nostro voto favorevole alla mozione presentata dall'onorevole Nirenstein e da altri colleghi.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Giachetti. Ne ha facoltà.

ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, ringrazio la Presidenza e i gruppi per questa piccola eccezione che ci viene consentita ma che è necessaria soprattutto per ribadire la nostra posizione favorevole. Abbiamo sottoscritto con i colleghi Corsini, Maran e D'Antona la mozione che ha come prima firma quella della collega Pag. 30Nirenstein e che è stata illustrata dalla collega Boniver. Credo che quando si è d'accordo e si sottoscrive una mozione non vi è nessuna difficoltà a sottoscrivere anche le parole attraverso le quali i colleghi Boniver e Leoluca Orlando hanno illustrato dettagliatamente anche il senso nella ricostruzione di quelli che sono stati i fatti che hanno colpito, in generale, quella che è stata definita la «Primavera araba». Ma, come ha spiegato molto bene l'onorevole Boniver, la vicenda della Siria, in particolare, e anche altre vicende hanno non solo loro autonome ricostruzioni ma anche un loro autonomo divenire, purtroppo, spesso e volentieri, tragico.
Mi permetto, inoltre, una sola considerazione che rafforza la nostra opinione positiva in relazione ai diversi impegni che sono presenti in questa mozione. Sappiamo anche quanto sia difficile intervenire in situazioni nelle quali la repressione da parte dei regimi è così violenta e colpisce così duramente le popolazioni. Ma sappiamo anche quanto sia importante la capacità di intervento della comunità internazionale, attraverso forme che non siano necessariamente quelle del conflitto. Il conflitto, anzi, dovrebbe essere sempre l'ultima ratio da utilizzare e a cui ricorrere per tentare di risolvere i problemi, ammesso che poi si riesca mai a risolvere in pieno questi problemi attraverso il conflitto. Abbiamo sempre pensato - e personalmente ne sono convinto - che siano utili tutta una serie di azioni che sono necessarie per mettere sotto pressione i regimi e i poteri che con violenza cercano di reprimere situazioni e rivolte democratiche di questo tipo e che si stanno verificando in questi Paesi.
Sappiamo che vi è la possibilità di mettere in campo tante iniziative. Probabilmente ve ne potrebbero essere delle altre e probabilmente sarà necessario anche far sì che l'impegno dell'Italia sia anche quello di innovare, in qualche modo, la proposta che si può portare a livello internazionale per intervenire in queste situazioni. Credo comunque che ciò sia un fatto importante.
Spesso e volentieri l'azione della comunità internazionale è un po' lenta e non è del tutto efficace. Tuttavia, siamo convinti che questi sono i requisiti minimi per poter dare un segnale forte, da parte della comunità internazionale, al regime siriano affinché immediatamente cessino le repressioni che sono in corso e soprattutto, come ricordava giustamente l'onorevole Boniver, affinché questi regimi si predispongano a confrontarsi con questa realtà piuttosto che a reprimerla nel sangue, come spesso è avvenuto soprattutto in Siria e in tanti Paesi che sono in questo momento colti dalla rivolta democratica delle popolazioni.
Comunque queste sono le pochissime considerazioni aggiuntive, che volevo apportare alla discussione e attraverso le quali annunciare - cosa che faremo anche domani in sede di dichiarazione di voto - il nostro voto favorevole su queste mozioni.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.

(Intervento del Governo)

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il sottosegretario di Stato per gli affari esteri, onorevole Scotti.

ENZO SCOTTI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Signor Presidente, il Governo segue con la massima attenzione gli eventi della «Primavera araba», con tutte le distinzioni cui ha fatto riferimento prima l'onorevole Boniver e continua a lavorare sul piano bilaterale e internazionale perché la crisi in atto possa tradursi in maggiore democrazia e stabilità per i Paesi del Mediterraneo.
Guardiamo naturalmente con particolare preoccupazione agli eventi della Siria, la cui leadership, nonostante alcune caute promesse di apertura, non accenna a mollare la morsa della repressione, compromettendo la propria legittimità agli occhi del mondo. Quella siriana è una crisi di particolare gravità perché rischia di esportare Pag. 31tensione in tutta l'area e di avere effetti destabilizzanti. Ringrazio, quindi, il Parlamento per la sensibilità, ancora una volta, dimostrata in maniera trasversale su temi e scacchiere di tale delicatezza, proponendo mozioni che confortano il Governo nell'impegno a contribuire ad una presa di posizione forte della comunità internazionale, tesa a condannare e a far cessare le violenze e a garantire l'accesso a operatori umanitari e media.
La situazione sul campo rimane molto tesa e anche il bilancio della repressione appare drammatico: è elevato il numero di vittime (circa 1.500), di arresti (circa 10 mila) e di rifugiati (circa 10 mila in Turchia e 5 mila in Libano), mentre vi sarebbero 40 o 50 mila sfollati nelle campagne e nei villaggi del Paese, di cui 30 mila circa al confine con la Turchia.
Questa situazione sta progressivamente alienando molti consensi al regime di al-Assad. La recente mobilitazione di Hama segna un ulteriore salto di qualità del movimento di protesta siriano, dimostrando la crescente capacità dei manifestanti di indebolire il controllo del regime sul territorio. Il fine settimana appena concluso si è trascorso facendo registrare un numero di incidenti leggermente in calo rispetto alle precedenti settimane. Le fonti più accreditate parlano di 13 vittime, di cui una a Damasco. Il ricorso delle autorità all'esercito per la riconquista di Hama, dopo che le manifestazioni del venerdì precedente avevano raccolto centinaia di migliaia di persone che avevano chiesto la fine del regime paventato da molti per le prevedibili conseguenze sanguinose, alla fine fortunatamente non c'è stato. A tal risultato, hanno probabilmente contribuito sia la presenza in città, venerdì mattina, degli ambasciatori americano e francese, successivamente convocati dal Ministero degli esteri siriano e accusati di ingerenza interna, sia il ritorno sul terreno, ancorché sotto stretta sorveglianza del Ministero dell'informazione di una ristretta pattuglia di corrispondenti di alcune televisioni satellitari internazionali: Al Jazeera e CNN. A queste considerazioni potrebbe anche essersi aggiunta la valutazione dei rischi da parte delle autorità siriane di uno showdown con la piazza di Hama, dove ormai la protesta ha raggiunto numeri che sfiorano il mezzo milione.
L'onorevole Leoluca Orlando ha ricordato come i sostenitori di Bashar al-Assad hanno fatto irruzione nelle ambasciate di Stati Uniti e Francia a Damasco. I manifestanti hanno ingaggiato uno scontro con le forze di sicurezza che sorvegliano la rappresentanza diplomatica francese. Naturalmente una notizia successiva riporta che la folla dei lealisti del Presidente siriano al-Assad ha lasciato il compound dell'ambasciata USA a Damasco, dopo avervi fatto irruzione.
Tuttavia è stata chiara l'ingerenza del Governo nei confronti degli ambasciatori per la loro presenza a Hama. In un'atmosfera di scetticismo e di incertezza ieri si sono aperti i lavori dell'Assemblea consultiva che aspira a riunire, sotto la direzione della Commissione per il dialogo nazionale presieduta dal vicepresidente al-Shara, intellettuali, esponenti del mondo politico e dell'opposizione e imprenditori per discutere dei provvedimenti di riforma delle leggi sui partiti, le elezioni, i media annunciati sinora, nonché per valutare ulteriori necessità di riforme che potrebbero toccare la Costituzione, tra cui l'articolo ottavo sul primato politico del partito Baath.
Due figure rilevanti del panorama dell'opposizione democratica, Michel Kilo e Anwar al Bunni, hanno fatto sapere che non vi avrebbero preso parte in mancanza del contesto appropriato al successo dell'iniziativa. In parallelo i principali media ieri hanno annunciato il rinvio a data da destinarsi delle elezioni politiche generali che avrebbero dovuto tenersi entro la fine dell'estate. Tale decisione deriverebbe dalla volontà di far cristallizzare i cambiamenti normativi e nella vita politica del Paese innescati dalle annunciate riforme della legge sui partiti e sulle elezioni, nonché dagli emendamenti costituzionali che dovessero essere introdotti nei prossimi mesi.
L'atteggiamento del regime sta provocando una crescente erosione della sua posizione internazionale, se si esclude l'aperto sostegno iraniano. Netto appare il Pag. 32raffreddamento nei rapporti con la Turchia, che si sta prodigando nell'assistere i profughi siriani al confine. Restano inoltre preoccupanti rischi di uno spillover della crisi nella regione circostante - Libano, Israele, Iraq, Turchia - così come di violenze settarie all'interno se la situazione dovesse degenerare.
Il movimento di opposizione nel suo complesso pur articolato sta gradualmente consolidando la propria capacità organizzativa e trovando piattaforme concordate di rivendicazione. Non esiste tuttavia alcuna leadership unitaria dell'opposizione e le manifestazioni non si sono per il momento estese a Damasco, toccandone solo qualche quartiere periferico. Resta da vedere quale sarà l'impatto delle crescenti difficoltà economiche sperimentate dalla popolazione, nonché di un'eventuale presa di posizione da parte della componente curda del Paese che ha mantenuto per il momento un atteggiamento prudente.
In tale contesto le autorità siriane, che si auspica stiano prendendo coscienza del fatto che la repressione non può condurre alla soluzione della crisi, hanno di recente incominciato a mostrare alcuni timidi segnali di apertura la cui consistenza rimane tutta da verificare. Ciò si è tradotto in particolare nell'autorizzazione concessa per la svolgimento della riunione di intellettuali e oppositori a Damasco lo scorso 27 giugno, la conferenza consultiva tenutasi ieri su iniziativa della Commissione per il dialogo nazionale che citavo prima, il permesso concesso ad alcuni media di entrare in Siria e l'accesso limitato consentito ad una delegazione della Croce rossa per una visita a Jisr al-Shughur, città ai confini con la Turchia, particolarmente colpita dalla repressione.
L'Italia continua a seguire l'evolversi della situazione ed a fornire il suo contributo perché la comunità internazionale condanni con la necessaria fermezza le repressioni del regime siriano e incoraggi l'avvio di quel che potremmo definire un dialogo nazionale. In questo senso si è espressa la signora Ashton rilasciando venerdì 8 luglio un comunicato di ferma condanna della continua e brutale repressione contro manifestanti pacifici perpetuata su larga scala anche dalle Forze armate siriane nella città di Hama e altrove. Questo percorso di repressione e violenza scredita le promesse fatte dalla leadership siriana nonché la sua legittimità e l'impegno che questa si era assunta a intraprendere delle riforme. La repressione violenta ed il dialogo sono incompatibili, ella ha sottolineato la necessità di un autentico dialogo nazionale che si deve svolgere senza paura né intimidazioni e in cui l'opposizione deve svolgere un ruolo chiave. Infine, ha chiesto che il Governo siriano consenta l'accesso senza indugio agli osservatori indipendenti, ai media internazionali e alle agenzie umanitarie.
Sempre in sede europea, abbiamo contribuito a definire la linea da ultimo espressa nelle conclusioni del Consiglio europeo del 23 e 24 giugno. La repressione in corso con atti di violenza inaccettabili e barbarici, che il regime siriano continua a compiere contro i propri cittadini, sono stati condannati con assoluta severità. Il Consiglio prende atto con seria preoccupazione delle segnalazioni di attività militari siriane nei pressi della frontiera turca e ribadisce i precedenti inviti a dare prova della massima moderazione. Segnala, inoltre, come scegliendo la strada della repressione, anziché rispettare le promesse di ampie riforme, il regime stia mettendo in questione la propria legittimità. Il Consiglio europeo ribadisce, inoltre, che i responsabili di reati e di atti di violenza contro la popolazione civile saranno chiamati a rispondere del loro operato e accoglie favorevolmente un rafforzamento delle sanzioni europee al regime. Per rafforzare ulteriormente le pressioni sul regime siriano, abbiamo inoltre appoggiato al Consiglio affari esteri del 23 maggio l'adozione di misure sospensive in materia di cooperazione europea con la Siria. Queste hanno portato al blocco dei nuovi programmi di cooperazione e all'attuazione di quelli in corso a valere sugli strumenti di vicinato ENPI e MED, mentre la BEI è stata invitata a non approvare nuove operazioni finanziarie. Sul piano bilaterale è stata inoltre condotta una Pag. 33revisione dei programmi in corso, che ha stabilito come dovessero proseguire sono quelli a valenza umanitaria e ad impatto diretto a favore della popolazione sofferente, come quelli di assistenza ai rifugiati iracheni, sospendendo tutti i progetti nuovi o da avviare.
L'Europa si sta adoperando affinché le proprie posizioni possano essere estese su più vasta scala. L'ultimo Consiglio europeo ha per questo offerto appoggio incondizionato agli sforzi diplomatici tesi a far sì che il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite possa assumere le proprie responsabilità e dare adeguata risposta alla situazione in Siria. Riteniamo sia giunto il momento di una forte condanna del Consiglio di sicurezza. Questa potrebbe realisticamente andare nella direzione di una accresciuta condivisione internazionale delle azioni individuali nazionali ed europee già in essere. A nostro avviso, è improbabile infatti che una parte qualificata della membership del Consiglio di sicurezza possa andare oltre tali misure. Il Consiglio potrebbe anche utilmente pronunciarsi in materia umanitaria, chiedendo accesso senza condizioni alle agenzie umanitarie. Sarebbe un passo importante per affrontare una crisi che rischia di destabilizzare l'intera regione. È un esito che credo tutti noi vogliamo evitare. Signor Presidente, per quanto riguarda il parere del Governo, rinviando a domani l'espressione analitica, è sostanzialmente favorevole su tutte e due le mozioni che sono state presentate.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione delle mozioni Reguzzoni ed altri n. 1-00671 e Cimadoro ed altri n. 1-00684 concernenti iniziative volte a contrastare il fenomeno della contraffazione e ad assicurare il rispetto dei requisiti di sicurezza e di conformità dei prodotti all'ordinamento comunitario (ore 18,30).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Reguzzoni ed altri n. 1-00671 e Cimadoro ed altri n. 1-00684 concernenti iniziative volte a contrastare il fenomeno della contraffazione e ad assicurare il rispetto dei requisiti di sicurezza e di conformità dei prodotti all'ordinamento comunitario (Vedi l'allegato A - Mozioni).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
Avverto inoltre che la mozione Reguzzoni ed altri n. 1-00671 è stata sottoscritta anche dagli onorevoli Baldelli, Mistrello Destro, Galati, Ascierto e Golfo. Avverto altresì che, con il consenso degli altri firmatari, l'onorevole Baldelli diventa il secondo firmatario della mozione Reguzzoni ed altri n. 1-00671. Avverto infine che, in data odierna, sono state presentate le mozioni Moffa ed altri n. 1-00688 e Anna Teresa Formisano ed altri 1-00689 (Vedi l'allegato A - Mozioni) che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, saranno svolte congiuntamente. I relativi testi sono in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritto a parlare l'onorevole Bragantini, che illustrerà anche la mozione Reguzzoni ed altri n. 1-00671, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

MATTEO BRAGANTINI. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, il fenomeno della contraffazione ha ormai assunto proporzioni mondiali, interessando tutti i settori economici, con particolare impatto sul tessuto produttivo italiano di eccellenza.
La commercializzazione delle merci contraffatte danneggia gli interessi delle imprese che producono prodotti originali del made in Italy e crea gravi disagi ai consumatori. Questi ultimi, infatti, acquistando Pag. 34un prodotto contraffatto, vengono in contatto con beni di scarsissima qualità, che possono risultare dannosi per la loro sicurezza e per la loro salute. Pensiamo, ad esempio, ai farmaci, agli alimenti o anche ai giocattoli contraffatti, i cui effetti potrebbero avere un impatto importante sulla salute dei consumatori, a partire dalla nascita di allergie, che possono, nei casi più gravi, tramutarsi in vere e proprie patologie.
Come attestato dal rapporto OCSE del 2009 sull'impatto economico della contraffazione relativa agli atti 2000-2007, il fatturato stimato per il solo commercio transnazionale di merci contraffatte potrebbe aver superato i 250 miliardi di euro. L'Italia è uno dei Paesi più danneggiati dallo sviluppo del mercato del falso. La sua struttura produttiva, composta per la gran maggioranza da imprese piccole e medio-piccole, si fonda, infatti, sulla produzione di merci di alta qualità e di eccellenza, sistematicamente copiate e contraffatte, soprattutto da imprese cinesi, e poi immesse sul mercato a prezzi molto bassi, con gravi ripercussioni sul sistema economico del Paese.
Secondo i dati forniti dal Censis, il mercato del falso nel nostro Paese ha realizzato nel corso del 2008 un fatturato di 7 miliardi 107 milioni di euro. Si tratta di una stima che fa riferimento esclusivamente al mercato interno, senza considerare le merci contraffatte che partono dall'Italia verso l'estero. Le perdite per il bilancio dello Stato in termini di mancate entrate fiscali sono state calcolate in 5 miliardi 281 milioni di euro e sono 130 mila i posti di lavoro sottratti all'economia regolare. Secondo il Censis, se si riportasse il fatturato complessivo della contraffazione sul mercato legale, si genererebbe una produzione aggiuntiva, diretta e indotto, per un valore di quasi 18 miliardi di euro, con un valore aggiunto di circa sei miliardi.
Per ogni euro sottratto al mercato della contraffazione, si attiverebbe nell'economia nazionale legale una produzione aggiuntiva di 2,5 euro, stimolando acquisti di materie prime, semilavorati, servizi e attivando nuova occupazione regolare.
Sempre secondo le rilevazioni del Censis, il fenomeno, che si avvale di metodi sempre più sofisticati, risulta in aumento nel nostro Paese, come testimoniano i dati ufficiali più recenti: 61.375 operazioni di contrasto effettuate nel 2007, 39.066 sequestri e 70,9 milioni di prodotti sequestrati dalle forze di polizia, 17,5 milioni di prodotti sequestrati alle dogane, 14.318 persone denunciate, 21.299 sanzionate e 1.522 arrestate.
Il settore maggiormente colpito dal fenomeno della contraffazione è risultato quello dell'abbigliamento e degli accessori, 2,6 miliardi, seguito dal comparto CD, DVD e software, più di 1,6 miliardi, e i prodotti alimentari, oltre 1,1 miliardo. Il sequestro di prodotti contraffatti registra, tuttavia, un ulteriore aumento. Ad esempio, nel settore della moda, nel 2009, rispetto al precedente anno, si sono registrati oltre 32 milioni di sequestri, oltre 22 milioni sequestri di beni di consumo e oltre 22 milioni di sequestri di giocattoli.
La Lega Nord si batte per la tutela del made in Italy e per l'impiego di un sistema di etichettatura di origine dei prodotti, allo scopo di evitare l'ingresso nel Paese di prodotti contraffatti, spesso provenienti dalla Cina, a danno delle imprese nazionali e dei consumatori. Un traguardo importante in materia è stato raggiunto con la promulgazione della legge 8 aprile 2010, n. 55, di iniziativa dei deputati Reguzzoni e Versace, recante disposizioni concernenti la commercializzazione dei prodotti tessili, della pelletteria e calzaturieri, che promuove e sostiene l'industria manifatturiera italiana, attraverso l'introduzione di un sistema di etichettatura a garanzia della qualità del made in Italy.
Le produzioni italiane sono, infatti, la storia manifatturiera del Paese e rappresentano un motivo di vanto dell'economia italiana. Questa eccellenza, che ci rappresenta in tutto il mondo, passa nelle mani di oltre 450 mila artigiani e piccoli imprenditori, che, producendo in Italia, danno lavoro a un milione 800 mila addetti e realizzano un valore aggiunto di 58 miliardi. Sono queste imprese il traino della nostra economia, ed è quindi necessario Pag. 35che, proprio in questo momento di difficile congiuntura economica, le istituzioni forniscano loro risposte chiare e di maggiore garanzia per la tutela dei loro prodotti.
Per le ragioni sopra esposte chiediamo, quindi, al Governo di farsi promotore in ambito comunitario di iniziative volte a contrastare il fenomeno della contraffazione, ponendo fine all'uso fraudolento del marchio CE, quale acronimo di «China Export», e implementando anche i controlli per bloccare l'ingresso di tali prodotti nel nostro territorio, e di impegnarsi affinché sia garantita la conformità dei prodotti stessi ai requisiti di sicurezza previsti dalle direttive comunitarie, a tutela delle imprese, ma, soprattutto, dei consumatori (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Favia, che illustrerà la mozione Cimadoro ed altri n. 1-00684, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

DAVID FAVIA. Signor Presidente, mi accingo ad illustrare, per l'appunto, la mozione Cimadoro ed altri n. 1-00684, di cui sono cofirmatario.
Devo dire che la cosa più impressionante di questo settore, che abbisogna di una vera e propria acculturazione della popolazione, è che la contraffazione, nell'immaginario collettivo, continua ad essere considerata un trascurabile fenomeno di microcriminalità, più folcloristica che preoccupante, invece presenta le caratteristiche di un vero e proprio cancro che aggredisce progressivamente la società in tutto il suo insieme.
I dati sono veramente preoccupanti, le cifre di questo settore rappresentano una vera e propria economia parallela, una volta si sarebbe detto che rappresentano una cifra equivalente ad una manovra, ma oggi stiamo parlando di manovre di contenuto ben più importante. Parliamo, però, di un fatturato annuo di 7 miliardi di euro e parliamo di una deprivazione del mercato del lavoro di ben 130 mila posti, quindi, parliamo di un qualcosa al quale bisogna fare molta attenzione.
Nel 2010 la guardia di finanza ha sequestrato 110 milioni di prodotti contraffatti e sono state denunciate all'autorità giudiziaria ben 13.234 persone. Impressionante è anche l'ambito nel quale ci andiamo muovere e la molteplicità dei settori merceologici che vanno dai ricambi per auto ai caschi per le motociclette, dai farmaci ai cosmetici - questo è un settore in crescita estremamente preoccupante perché comporta tantissimi decessi in Europa e in Italia ogni anno - dagli oggetti di bigiotteria alle figurine addirittura, dai giocattoli agli alimenti. In buona sostanza, sebbene l'alta moda, l'abbigliamento e i suoi accessori si siano confermati settori in cui la contraffazione e la falsa indicazione del made in Italy sono ancora fortemente diffusi, abbiamo un aumento considerevolissimo, cioè del più 36 per cento e del più 33 per cento, sui beni di largo consumo e sui prodotti pericolosi per la salute. Inoltre, questo è un settore nel quale opera fortemente la criminalità organizzata italiana e straniera.
Altrettanto preoccupanti sono i dati del 2011: nei primi cinque mesi sono state sequestrate quasi 37 milioni di merci contraffatte. Abbiamo pur sempre il settore della moda, che continua ad essere quello in cui si registrano i sequestri più ingenti, ma aumentano, come dicevo, esponenzialmente i sequestri dei beni di largo consumo. Consentitemi di rappresentare con grande preoccupazione il cancro rappresentato dalla contraffazione dei prodotti farmaceutici, alimentari, giocattoli e parti di veicoli, in quanto abbiamo un dato veramente tremendo: ogni anno, in Europa, muoiono 200 mila persone di malaria perché curate con farmaci contraffatti, mentre 50 mila bambini perdono la vita dopo avere ricevuto una vaccinazione antimeningite rivelatasi, in seguito, contraffatta.
Al di là di questo, che è veramente grave ed importante, vi è il rischio concreto per la nostra nazione, per l'Italia, di perdere competitività, in quanto le nostre produzioni sono soprattutto in capo alle piccole e medie imprese e perché la nostra produzione di lusso è una produzione di Pag. 36nicchia, ma una nicchia estremamente importante perché, come si sa, nelle economie emergenti, essendovi una forbice estremamente ampia tra ricchezza e povertà, vi sono fasce di ricchi, di veramente ricchi, quindi di persone che possono comperare prodotti di lusso che la nostra nazione produce notevolmente. Ebbene, la contraffazione proprio dei prodotti di lusso, soprattutto dei prodotti di moda, che hanno una filiera estremamente ampia che va dai produttori, agli intermediari, ai rappresentanti e ai negozi, rischia di creare un vulnus nella nostra società e nella nostra economia estremamente consistente.
Ovviamente alla base di tutto ciò vi è la globalizzazione, vi è il costo assolutamente ridotto del lavoro nei Paesi dell'Est europeo e lo sfruttamento dei lavoratori, uomini e soprattutto donne, e dei minori. Questa produzione arriva sul nostro mercato in maniera imponente. Sappiamo che le regioni al centro di queste produzioni e di questi traffici sono la Campania principalmente, ma anche la Lombardia per quanto riguarda il settore della componentistica elettronica e dei profumi, il Veneto per quanto riguarda gli occhiali e le calzature, le Marche, la Toscana, in particolare Prato nel settore della pelletteria, e la Puglia.
La contraffazione dei prodotti costituisce il principale business delle organizzazioni criminali cinesi in Italia e Roma rappresenta il principale centro di smistamento e stoccaggio. Sappiamo che molto si basa su questo infido acronimo «CE», che da una parte sembra significare «Conformità europea» e che in realtà viene così iscritto quale acronimo di «China Export».
Questo fenomeno della contraffazione si presenta come un insieme complesso di violazioni a leggi, norme, regolamenti e vincoli contrattuali che regolano i diritti di proprietà intellettuale e di sfruttamento commerciale. Esse trovano un habitat favorevole nella nostra nazione attraverso varie procedure tra cui: le sovrapproduzioni illegittime approntate da licenziatari di produzione infedeli e da questi smerciate, con o senza il marchio originale, ma comunque in violazione del contratto di licenza; le produzioni destinate contrattualmente a specifiche aree geografiche, ma dirottate da licenziatari commerciali infedeli fuori dalle zone di loro pertinenza; la produzione di prodotti che, senza violare direttamente marchi o modelli, ne imitano in maniera tendenziosa e confusiva l'aspetto.
Come può essere facile comprendere, lo scopo del contraffattore è quello di realizzare guadagni attraverso l'inganno, quindi non c'è nessun bisogno per lui di investire né in termini di ricerca, né in termini di produzione, né in termini di pubblicità, perché ovviamente i margini di guadagno, pur svendendo, sono enormi. Quindi, come notavo prima, bisogna lavorare molto sull'opinione pubblica e sull'immaginario collettivo, perché purtroppo si tende a pensare che siano episodi di microcriminalità e di folklore, quando invece creano delle violente ferite alla nostra struttura economica, alle nostre imprese e alla nostra società.
Com'è noto, nella seduta del 13 luglio dello scorso anno, la Camera ha approvato la costituzione di una Commissione parlamentare monocamerale di inchiesta sui fenomeni della contraffazione e della pirateria in campo commerciale. Pur tuttavia, le audizioni di recente svoltesi del comandante generale della Guardia di finanza, generale di Corpo d'armata Nino Di Paolo, e del sottocapo di Stato maggiore dell'Arma dei carabinieri, generale di divisione Antonio Ricciardi, non tranquillizzano affatto. Infatti, accanto al problema economico, accanto al problema di perdita di posti di lavoro, di introito fiscale da parte dello Stato e di competitività da parte della nostra nazione, vi è un pesante intreccio criminale che non si riesce a tenere sotto controllo. Poi questi utili vengono riciclati in attività più o meno lecite e vi è tutta una dinamica criminosa che, oltre a creare un problema direttamente nei settori di competenza, in maniera indiretta, attraverso il reinvestimento degli utili riciclati, va poi a creare esponenzialmente problemi in altri settori.
Pag. 37Per cui noi crediamo che sarebbe veramente opportuno un impegno del Governo, sia con una maggiore operatività delle forze dell'ordine sia con un intervento sull'educazione della società, a prestare molta più attenzione a questo fenomeno, che purtroppo va a colpire anche il commercio attraverso Internet. Crediamo che si debbano adottare tutti i provvedimenti possibili ed immaginabili per proteggere il made in Italy, magari anche incrementando il personale soprattutto della Guardia di finanza, perché possa agire dove si sa comunemente che queste organizzazioni agiscono, a Roma, come si è detto, a Prato. È nella conoscenza comune quello che succede, ma probabilmente mancano i mezzi per agire in maniera repressiva nei confronti di tale organizzazioni e in maniera educativa nei confronti della popolazione, proprio per convincerla a non acquistare. Ma, come si sa, convincere a non acquistare un prodotto a prezzo più basso è abbastanza complicato se non si convince la gente - credo sia facile farlo - che i prodotti che si vanno ad acquistare possono essere lesivi, oltre che dell'economia, anche della salute. Quindi vogliamo, con questa mozione, portare l'attenzione del Governo sull'esigenza di occuparsi del contrasto alla contraffazione, sia perché rovina la salute dei nostri concittadini sia perché mette a rischio l'economia della nostra nazione.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Galati. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE GALATI. Signor Presidente, la contraffazione è oggi un fenomeno in forte espansione perché partendo dall'abbigliamento si è poi estesa a settori molto più sensibili quali gli alimenti, i prodotti per l'igiene della persona, i farmaceutici ed anche i giocattoli. Oggi, purtroppo, è difficile difendersi dalla concorrenza mondiale per alcuni comparti produttivi, quali ad esempio l'agroalimentare o l'industria manifatturiera che sono, nel nostro Paese, elementi fondanti della nostra economia. E proprio continuamente nei confronti della tutela del cosiddetto made in Italy e nell'ottica, anche europea, nei confronti di tutti quei manufatti con corrispondenza e conformità ai requisiti essenziali della commercializzazione c'è un attacco importante, con fenomeni continui e costanti di taroccamento, soprattutto i prodotti agroalimentari, che rappresentano la nostra eccellenza e su cui si basa non soltanto gran parte della nostra economia ma anche per esempio la nostra salutare dieta mediterranea. Ci sono danni importanti ai produttori il cui lavoro viene offuscato dalla furba concorrenza in una duplice modalità: da una parte si offrono ai consumatori a costi inferiori prodotti di dubbia qualità e dall'altra si arrecano danni incalcolabili a tutto il settore agroalimentare. Ma quella che è diventata ancor più deprecabile è la piaga della contraffazione per quanto attiene direttamente alla salute e alla sicurezza delle persone.
E le mozioni che oggi sono state presentate - di una di esse sono cofirmatario insieme a Reguzzoni, Baldelli ed altri - lanciano proprio un forte grido d'allarme, chiedendo iniziative urgenti da parte del Governo. Parliamo di un fenomeno che oggi rappresenta un fatturato di 7 miliardi di euro, che sottrae all'economia regolare 130 mila posti di lavoro e che è sotto gli occhi di tutti. Basti ricordare quello che è successo pochi giorni fa nel padovano, con un maxisequestro di 700 milioni di prodotti di bigiotteria contraffatti. Ma soprattutto si ripropone - e la nostra mozione lo pone in maniera forte - il problema della tutela della difesa del marchio CE della Comunità europea, che molto spesso viene alterato dalla presenza, in diverso materiale proveniente dalla Cina, dello stesso marchio che, però, evidentemente suona diversamente «China Export». Si tratta di un fenomeno preoccupante, sul quale c'è una forte attenzione da parte della Guardia di finanza e dell'Arma dei carabinieri che però continua a essere in aumento. Al riguardo il Parlamento si è mosso con la costituzione nello scorso anno di una Commissione parlamentare di inchiesta che si occupa della materia della contraffazione. Ho partecipato ad essa in Pag. 38qualità di vicepresidente e abbiamo svolto una serie di audizioni in diversi settori, con diversi attori fondamentali e soprattutto con le forze dell'ordine preposte.
Nell'audizione del comandante generale della Guardia di finanza del 16 febbraio 2011, il generale Di Paolo, proprio la contraffazione è stata manifestata come un'attività criminale che ha una dimensione trasversale, perché mette insieme l'evasione fiscale e contributiva, lo sfruttamento del lavoro nero ed irregolare, il favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, il riciclaggio e il reimpiego dei proventi illeciti.
Vi è, poi, una seconda peculiarità che risiede nella notevole estensione e diversificazione dei prodotti soggetti a contraffazione: non più solo i prodotti di lusso, ma anche i più svariati prodotti di uso comune.
Anche nell'ambito internazionale di globalizzazione, sono ormai 140 i Paesi dell'OCSE nei quali si ha un'origine di contraffazione, e 27 di essi sono altamente industrializzati. Per l'Italia, questo è un fenomeno rilevante perché è il terzo Paese per numero di articoli sequestrati: se da un lato, vi è il Trattato di Schengen, dall'altro lato, però, non si capisce perché non ci si debba opporre a tale circolazione, a fronte di tutti questi fenomeni illegali. In questo senso, in Europa, anche dalle audizioni che abbiamo svolto, si ha l'impressione che vi sia qualche debolezza in qualche Paese, che a fronte di criticità emerse, non dà risposte efficaci in questa direzione.
Per questo, la mozione presentata vuole mettere in rilievo la necessità di uno sforzo unitario, un'esigenza anche a livello nazionale, uno sforzo che la Camera deve affrontare, possibilmente, attraverso un voto comune: questo fenomeno, infatti, pesa fortemente sull'economia del nostro Paese e, ovviamente, in una situazione di crisi, tutto ciò ha un valore ancora più forte.
In questo senso, è necessario uno spirito unitario, soprattutto, per la necessità che il Governo si faccia promotore, a livello comunitario, di iniziative a difesa del marchio CE e della lotta all'uso fraudolento del marchio «China export», perché produce danni fortissimi non solo sul piano economico, ma anche sul piano della sicurezza e della salute. Quindi, è una necessità, soprattutto, perché bisogna dare fiducia ai mercati e tutelare gli apparati produttivi, ma, cosa indispensabile, bisogna anche garantire e preservare la salute dei cittadini.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Marchioni. Ne ha facoltà.

ELISA MARCHIONI. Signor Presidente, intervengo a nome del mio gruppo e colgo l'occasione per annunciare che anche il mio gruppo sta per depositare - credo proprio in questi minuti - una mozione su questo tema.
Quindi, come i colleghi hanno ricordato, intervengo, innanzitutto, per tracciare un quadro di quello che rappresenta il mercato della contraffazione nel mondo. In base alle stime dell'OCSE, una quota tra il 7 e il 10 per cento del commercio mondiale è costituita da merci contraffatte; un volume d'affari che potrebbe arrivare a 500 miliardi di euro e che - sempre secondo i dati OCSE - coinvolge 149 Paesi da cui originano prodotti contraffatti; 24 Paesi sono della stessa area OCSE e, quindi, sono altamente industrializzati, mentre 5 Paesi sono fonti principali da cui deriva l'80 per cento delle merci contraffatte, tra cui Cina, Hong Kong e Thailandia.
In Italia, il mercato delle merci contraffatte è stimato tra i 5 e i 7 miliardi di prodotti. I dati del Censis indicano che questo mercato genera un mancato gettito di 5 miliardi di euro, pari al 2,5 per cento del totale delle entrate tributarie. E oltre alle mancate entrate tributarie, sempre solo in Italia, sono stimati 130 mila posti di lavoro irregolari: si tratta di 130 mila famiglie, di persone che non hanno tutele.
Nel mondo, si stima che, in dieci anni, siano stati 270 mila i posti di lavoro persi, metà nella zona Ue, perché, in qualche modo, il mercato legale è stato eroso dalla criminalità del mercato parallelo della Pag. 39contraffazione. Ed è un fenomeno in crescita: se nel 2007, le dogane comunitarie hanno sequestrato 79 milioni di articoli contraffatti nel corso di oltre 43 mila operazioni, riportando un più 17 per cento rispetto all'anno precedente, sono state ancora di più quelle negli anni successivi. È corretto tener presente che una parte molto grande della contraffazione segue rotte internazionali, sbarcando preferibilmente nei porti di Amburgo, Rotterdam e altrove.
In varie economie emergenti, la produzione dei beni contraffatti ha raggiunto dimensioni allarmanti, tanto che sono divenute necessarie speciali misure per potenziare il coordinamento fra le dogane e gli organi giudiziari e di polizia dei Paesi interessati e favorire l'armonizzazione delle normative con quelle dell'Unione europea.
Anche in Italia l'industria del falso ha registrato, negli ultimi anni, una crescita molto consistente: dai 34 milioni di beni sequestrati nel 2003 dalla Guardia di finanza agli oltre 110 milioni nel 2010. Quando parliamo di contraffazione affrontiamo un tema molto complesso che va dalla copiatura dei prodotti commercializzati di marchi noti, realizzando quindi la violazione del diritto di proprietà intellettuale, al porre sul mercato prodotti con marchi falsificati del tutto simili agli originari, alla cosiddetta usurpazione o evocazione dei marchi, cioè quando ci sono dei prodotti a latere che sfruttano la nomea di un prodotto famoso per vendere un prodotto che non è altrettanto noto. Questo danneggia in gran modo l'Italia che infatti è forte di un'economia caratterizzata da eccellenze anche locali e molto particolari; nel solo campo dell'agro-alimentare, secondo i dati di Coldiretti e Eurispes, il giro d'affari complessivo dell'italian sounding, cioè di questo mercato di prodotti che si rifanno a prodotti noti italiani, tanto per fare un esempio come il Parmesan per il Parmigiano, è di oltre 60 miliardi di euro all'anno, cifra superiore di due volte e mezzo all'attuale valore dell'export del settore.
C'è una contraffazione contro l'invenzione e cioè contro i brevetti: c'è chi utilizza i brevetti riproducendo ciò che questi dovrebbero rendere proprietà esclusiva di chi li ha depositati; c'è anche una vera e propria pirateria con la riproduzione di musiche e film su CD e DVD. Vi è una contraffazione di marchi in base alla quale vengono utilizzati marchi di proprietà di altri e l'abuso dell'indicazione di origine dei prodotti, cioè si certificano provenienze di prodotti in modo falso. Tutta la filiera è esattamente da colpire e così fanno le forze dell'ordine che, così come le audizioni in Commissione hanno evidenziato, lavorano incessantemente proprio per rompere questi legami criminali. Si tratta infatti di un fenomeno che ha una propria rete di produzione, una propria rete di distribuzione che va fino ai venditori al dettaglio, come ad esempio nei casi di prodotti venduti nei mercatini, oppure che confluisce in punti vendita tradizionali a volte anche all'insaputa di venditori e compratori.
Chi falsifica immette sul mercato prodotti al più basso prezzo possibile e copiati; sono prodotti privi di quei costi che caratterizzano tutti i prodotti innovativi, sono realizzati senza garanzie, sia in termini di qualità, sia in termini di sicurezza. È questo un fenomeno che colpisce i Governi che sono impegnati spesso ad incentivare l'economia e che si trovano in difficoltà proprio perché viene a mancare quel contributo in termini di fiscalità; è un fenomeno contro l'economia perché colpisce tutti coloro che sul mercato, invece, lavorano legalmente. Infatti, diventa più difficile concorrere con chi non ha spese, non ha spese perché non paga le tasse, non ha spese perché non fa innovazione, non ha spese perché non fa ricerca. Il mercato dei falsi però è un fenomeno pericoloso soprattutto per i consumatori, e spetta a noi il compito di tutelarli, ai quali si vende un prodotto che il più delle volte è non solo falso ma anche nocivo per la salute.
Se infatti sono prevalentemente i prodotti della moda a essere presi di mira, ci sono molti settori merceologici ora colpiti Pag. 40dalla contraffazione; non sono più soltanto i beni di lusso o comunque di costo elevato ma sono interessate le più svariate merci di uso comune. In vendita spesso su Internet vi sono molti farmaci, rubati o rietichettati e spesso privi di principio attivo; secondo i dati dell'Organizzazione mondiale della sanità, la contraffazione riguarda anche gli antibiotici, gli ormoni, gli antiallergici e gli antimalarici, e se nei Paesi occidentali le confezioni contraffatte non superano l'1 per cento dei prodotti, in Africa, in Asia e in America latina si attestano fra il 30 e il 50 per cento. Il Parlamento europeo ha dovuto varare una legge per impedire l'ingresso di medicinali contraffatti nella filiera farmaceutica legale.
Sul mercato delle merci contraffatte troviamo poi i cosmetici, la bigiotteria, i ricambi per auto, gli accessori, la meccanica di precisione e l'utensileria domestica; i beni sono cresciuti enormemente in questa filiera, tanto che si è passati dai 9 milioni di pezzi ritirati nel 2008 agli oltre 40 milioni del 2010: sono più economici ma spesso sono pericolosi. Scarpe e borsette contengono spesso cromo esavalente, le sigarette contraffatte contengono spesso percentuali elevatissime di catrame e di arsenico; i termocaloriferi sono assemblati con fibre di amianto e i rubinetti rilasciano sostanze metalliche pesanti come il piombo e il nichel. Più volte la cronaca ha riportato episodi in cui è esploso il problema della sicurezza dei giocattoli e dei prodotti per l'infanzia non controllati. Sono questi dati che danno l'idea dell'entità preoccupante di questo mercato che sta erodendo spazi di legalità; sicuramente ha trovato uno spazio maggiore perché i prodotti a basso costo hanno esercitato un fascino particolare in questo momento, a causa delle difficoltà legate alla recessione che molte famiglie trovano.
Quindi, il mercato del falso finisce per diventare più appetibile, proponendo ai consumatori prodotti dalle caratteristiche simili a quelli ufficiali, ma a prezzi più bassi. Non sempre si ha la consapevolezza che acquistando un prodotto di questo tipo si alimenta, invece, un mercato criminale.
La Camera dei deputati ha istituito proprio un anno fa, nella seduta del 13 luglio, una Commissione di inchiesta contro la contraffazione e la pirateria. La deliberazione di inchiesta parlamentare del 20 luglio scorso ha dato origine ad un ampio lavoro. Voglio rivendicare come sia stato il mio gruppo, il Partito Democratico, ad aver depositato per primo una proposta di legge - a prima firma di Andrea Lulli - proprio per chiedere una Commissione - la richiesta era per una bicamerale e non una monocamerale, come poi è stato approvata - per conoscere meglio questo fenomeno, che anche solo per le prime e sintetiche indicazioni che ho delineato presenta questi contorni inquietanti e diffusi e spesso sottovalutati.
Risulta più che mai che per contrastare la contraffazione alla pirateria occorra, prima di tutto, conoscerla a fondo, e poi raccogliere dati fondamentali per combattere questo fenomeno e anche studiare le buone prassi sperimentate in Europa e la legislazione applicata nei Paesi membri dell'Unione europea. La Commissione lavoro, dall'ottobre scorso, ha raccolto testimonianze e audizioni, facendo emergere dai rappresentanti delle forze dell'ordine e dalle categorie economiche che sono state audite veramente elementi di grande preoccupazione, tra questi il legame del mercato parallelo della contraffazione con la criminalità organizzata della mafia, della camorra e della 'ndrangheta in Italia.
Nel corso delle audizioni, infatti, i rappresentanti delle forze dell'ordine, ai quali va il nostro plauso per l'impegno e i risultati ottenuti nel contrasto alla criminalità, è emerso che sono stati scoperti molti casi di collusione, alcuni casi anche in cui il pizzo che veniva richiesto era l'imposizione della vendita di prodotti contraffatti. Il mercato parallelo della contraffazione non è solo italiano - lo dicevamo anche prima -; secondo l'ultimo rapporto della Commissione europea, il 64 per cento delle produzioni di merci contraffatte riguarda articoli che provengono Pag. 41dalla Cina. Alla luce di ciò, questo fenomeno non può essere ricondotto e contrastato soltanto attraverso le legislazioni nazionali, anche se provvedimenti come quelli assunti da questo Parlamento come la legge sulle etichettature, che consente di risalire alla filiera di produzione, e la legge di tutela del made in Italy - legge cui il Partito Democratico ha dato un appoggio importante per la definizione e l'approvazione - sono passi che vanno sicuramente nella direzione giusta, e costituiscono tappe a tutela del mercato legale e dei consumatori.
Ma a fronte della diffusione del mercato parallelo di prodotti falsificati, già la legislazione europea è forse ormai insufficiente a contrastare fenomeni che sono globali, tenendo presente, soprattutto, l'utilizzo, anche questo in grande crescita, di Internet, come nuova frontiera della contraffazione e della pirateria. È una strada pericolosa, perché enorme è la velocità di accesso e veloci sono le transazioni e la garanzia di un sostanziale anonimato. Internet è un canale privilegiato, spesso per alcune tipologie di acquisti, specialmente dei medicinali. Le caratteristiche di Internet rendono il controllo non sempre agevole, la Guardia di finanza, però, negli ultimi anni ha sequestrato 42 siti web, e oscurato, per la prima volta in Europa, un sito allocato sulla piattaforma estera in Svezia.
A fronte di questo mercato globale l'impegno dell'Unione europea è comunque un imprescindibile punto di partenza, e per questo l'Unione europea ha già preso una serie di provvedimenti: il 20 gennaio 2009 il Parlamento europeo ha chiesto alla Commissione una politica più ambiziosa di lotta alla contraffazione e alla pirateria. Anche a seguito di tale richiesta, la Commissione europea ha inaugurato il 2 aprile 2010, in occasione della XII Conferenza di alto livello sulla contraffazione e la pirateria, un osservatorio europeo che nasce per garantire un maggiore rispetto dei diritti di proprietà intellettuale. L'osservatorio è in prima linea nella lotta contro il commercio di beni contraffatti e contro il fenomeno della pirateria e contro ogni altra violazione dei diritti di proprietà intellettuale, diritti d'autore, marchi, di disegni, di modelli e di brevetti.
Con la comunicazione dello scorso 22 novembre 2010 inviata dalla Commissione europea al Parlamento ed al Consiglio europeo si sottolinea poi l'importanza nell'economia del fenomeno di penetrazione mafiosa attraverso la contraffazione e la pirateria. Anche questa è una segnalazione molto importante, che ci dà l'idea di quanto l'Unione europea sia impegnata sotto questo versante.
Giungo allora alle richieste che con questa mozione vogliamo presentare. Uno dei nodi è che l'illegalità si contrasta con una diffusa coscienza pubblica e sociale, con una diffusa cultura della legalità. Quindi, il primo impegno che noi chiediamo al Governo è di effettuare campagne pubbliche di informazione per invitare i consumatori a comportamenti etici nei confronti dell'economia legale, con una cultura che sappia fare a meno dell'immagine e dell'apparire a tutti i costi.
È importante che si discuta di questo nelle scuole, anche se sappiamo che già qualche progetto viene portato avanti. La Guardia di finanza, ad esempio, sta portando avanti progetti di sensibilizzazione, anche con testi a fumetti per gli alunni, anche i più giovani. Il ruolo della scuola è fondamentale perché è lì che i ragazzi acquisiscono gli strumenti per diventare adulti consapevoli ed esercitino la coscienza critica. Per questo critichiamo senza sosta i tagli a cui avete sottoposto la scuola italiana.
Il tema della legalità, però, è un tema che va anche oltre la scuola e coinvolge le famiglie. Dobbiamo porci tutti come adulti e come educatori, perché il messaggio che i giovani ricevono troppo spesso è tutto orientato a una cultura dell'apparire. Noi, invece, dobbiamo saper offrire anche altro ai ragazzi che crescono perché, se l'acquisto consapevole di un bene contraffatto o falso, di provenienza illecita, riusciamo a far capire che è una scorciatoia fuori dalla legalità, dobbiamo sostenerlo e far sì che sia chiaro. Infatti, si tratta di un gesto che collega l'acquirente alla filiera di illegalità Pag. 42che lo ha prodotto, lo rende complice, lo rende una piccola ruota di un ingranaggio che produrrà ancora danni, danni all'economia legale, danni ai lavoratori, danni a tutti coloro che operano in modo corretto e concorrenziale sul mercato.
Dobbiamo dire che, in alcuni casi, il consumatore è consapevole di acquistare prodotti che sono contraffatti, anzi può trovarli di particolare convenienza, poiché sono prodotti che assomigliano molto, ma che sono solo imitazioni quasi perfette degli originali. La lotta alla contraffazione è particolarmente difficile proprio a causa della sottovalutazione del fenomeno, perché da una larga fascia della popolazione questo non viene percepito come un problema criminale di grave rilevanza.
Per questo è importante che la Camera oggi si occupi di questo tema e per questo è importante votare le mozioni che impegnano il Governo ad impegnarsi su questo versante. È infatti fondamentale non abbassare la guardia sul versante delle regole, cercando una maggiore collaborazione e ponendo il tema in sede europea, al fianco delle forze dell'ordine, dalla guardia di finanza ai carabinieri, al Corpo forestale dello Stato, a tutte le associazioni di categoria e a tutela dei consumatori.
Per questo chiediamo al Governo che si impegni a sostenere con risorse adeguate, a partire da questa manovra finanziaria in discussione al Senato, le aziende e i distretti che operano nel made in Italy, perché è proprio la produzione italiana che dobbiamo difendere e proteggere, anche evitando di sopprimere l'ICE, dotando le dogane di strumenti tecnologici adeguati al controllo qualitativo delle merci e le forze di polizia di personale e strumenti adeguati al contrasto della vendita di prodotti contraffatti via Internet.
Chiediamo al Governo che si impegni ad adottare con urgenza ogni iniziativa presso le competenti sedi europee volte a conseguire azioni preventive comuni fondate sulla tracciabilità dei prodotti tali da contrastare forme di contiguità o sovrapposizione fra mercato legale e illegale.
Impegniamo il Governo ad una nuova dimensione della lotta alla contraffazione che coniughi il contrasto effettuato attraverso il controllo dei territori dei confini europei al problema dei traffici illeciti e dei luoghi ove in Europa si ricevono le merci e con quelle merci si fanno affari, l'armonizzazione della normativa comunitaria in tema di sequestri preventivi e di contraffazione in generale, fino a giungere ad attività di euro-confisca, ovvero al reciproco riconoscimento delle decisioni relative a confische e sequestri patrimoniali in tutti i Paesi membri dell'Unione e a rendere più stringenti gli obblighi degli istituti di credito, delle società finanziarie e dei professionisti riguardo all'obbligo di segnalazione di operazioni sospette.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.
Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Martedì 12 luglio 2011, alle 10,30:

1. - Seguito della discussione della proposta di legge:
S. 10-51-136-281-285-483-800-972-994-1095-1188-1323-1363-1368 - d'iniziativa dei senatori: IGNAZIO ROBERTO MARINO ed altri; TOMASSINI ed altri; PORETTI e PERDUCA; CARLONI e CHIAROMONTE; BAIO ed altri; MASSIDDA; MUSI ed altri; VERONESI; BAIO ed altri; RIZZI; BIANCONI ed altri; D'ALIA e FOSSON; CASELLI ed altri; D'ALIA e FOSSON: Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e di Pag. 43dichiarazioni anticipate di trattamento (Approvata, in un testo unificato, dal Senato) (C. 2350-A)

e delle abbinate proposte di legge: BINETTI ed altri; ROSSA ed altri; FARINA COSCIONI ed altri; BINETTI ed altri; POLLASTRINI ed altri; COTA ed altri; DELLA VEDOVA ed altri; ANIELLO FORMISANO ed altri; SALTAMARTINI ed altri; BUTTIGLIONE ed altri; DI VIRGILIO ed altri; PALAGIANO ed altri (C. 625-784-1280-1597-1606-1764-bis-1840-1876-1968-bis-2038-2124-2595).
- Relatori: Di Virgilio, per la maggioranza; Palagiano, di minoranza.

2. - Seguito della discussione del disegno di legge:
Conversione in legge del decreto-legge 23 giugno 2011, n. 89, recante disposizioni urgenti per il completamento dell'attuazione della direttiva 2004/38/CE sulla libera circolazione dei cittadini comunitari e per il recepimento della direttiva 2008/115/CE sul rimpatrio dei cittadini di Paesi terzi irregolari (C. 4449-A).
- Relatore: Bertolini.

La seduta termina alle 19,10.

TESTO INTEGRALE DELLA RELAZIONE DEL DEPUTATO ISABELLA BERTOLINI IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE DI CONVERSIONE N. 4449-A

ISABELLA BERTOLINI, Relatore. Il decreto in esame si compone di due capi.
Il capo I (articoli 1 e 2) reca soprattutto modifiche al decreto legislativo n. 30 del 6 febbraio 2007 sulla libera circolazione e sul soggiorno dei cittadini comunitari e dei loro familiari nel territorio degli Stati membri, rispondendo ai rilievi formulati dalla Commissione europea in merito al recepimento della direttiva 2004/38.
Il capo II (articoli 3, 4 e 5) reca invece disposizioni per recepire la direttiva 2008/115/CE sulle procedure relative al rimpatrio di cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare: la cosiddetta direttiva rimpatri.
Veniamo ora al dettaglio dell'articolato.
La prima modifica introdotta (articolo 1 che modifica l'articolo 3, comma 2, lettera b), del decreto legislativo n. 30 del 2007) si riferisce all'ingresso e al soggiorno del partner del cittadino dell'Unione europea. Nasce da un rilievo della Commissione europea e prevede che la relazione stabile tra il suddetto cittadino e il partner debba essere ufficialmente attestata, anziché debitamente attestata dallo Stato del cittadino dell'Unione, come prevedeva il testo prima del decreto.
Su questo punto, nel corso del dibattito in Commissione mi sono impegnata, come relatrice, a svolgere un approfondimento riservandomi eventualmente di proporre al Comitato dei nove una modifica al testo che risponda ai rilievi della Commissione europea, ma nel contempo assicuri la certezza della prova dell'esistenza di una relazione stabile tra il cittadino dell'Unione ed il partner. Soprattutto per evitare il rischio di eventuali frodi, che consentirebbero di usufruire di una specie di «canale agevolato» per l'ingresso in Italia a tutti coloro che abbiano un amico disposto ad apparire come «partner».
Viene poi eliminato l'obbligo del visto d'ingresso previsto ai fini del soggiorno fino a tre mesi, per i cittadini dell'Unione ed i loro familiari - articolo 6, comma 2; articolo 9, comma 5, lettera a) e articolo 10, comma 3, lettera a) - dell'iscrizione anagrafica per i familiari del cittadino comunitario nonché del rilascio della carta di soggiorno di durata superiore a tre mesi per i medesimi soggetti.
Si introduce, oltre alla verifica della sussistenza del requisito della disponibilità delle risorse economiche sufficienti a garantire il soggiorno oltre i tre mesi, anche la «valutazione della situazione complessiva personale dell'interessato» quale ulteriore elemento da tenere in considerazione.
Questo perché la Commissione europea ha rilevato che la direttiva non prevede la Pag. 44fissazione di un importo minimo stabilito per legge, contenendo solo un generico richiamo alla disponibilità di risorse sufficienti ad escludere il ricorso a prestazioni di assistenza sociale.
Su questa disposizione è peraltro intervenuto un emendamento approvato in Commissione, con il quale si è precisato che nella valutazione della situazione personale complessiva dell'interessato si deve avere particolare riguardo alle spese afferenti l'alloggio, sia esso in locazione, in comodato, di proprietà o detenuto in base ad altro diritto soggettivo.
Vengono poi apportate modifiche in tema di iscrizione anagrafica dei familiari non comunitari del cittadino UE - articolo 9, comma 5, lettera b) - e in tema di rilascio della carta di soggiorno - articolo 10, comma 3, lettera b) -, sostituendo la previsione della presentazione di «un documento che attesti la qualità di familiare e, qualora richiesto, di familiare a carico» con quella della presentazione di «un documento rilasciato dall'autorità competente del paese di origine o provenienza che attesti la qualità di familiare e, qualora richiesto, di familiare a carico ovvero di membro del nucleo familiare ovvero familiare affetto da gravi problemi di salute, che richiedono l'assistenza personale del cittadino dell'Unione, titolare di un autonomo diritto di soggiorno». Tale modifica costituisce un'integrazione normativa espressamente richiesta dalla Commissione europea.
Per quanto riguarda la verifica della persistenza delle condizioni richieste per il soggiorno dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari, viene precisato che questa non può essere effettuata se non in presenza di ragionevoli dubbi in ordine alla persistenza delle condizioni stesse. La Commissione europea, infatti, ha rilevato che nei casi di soggiorno superiore a 3 mesi, di decesso o di partenza del cittadino dell'Unione europea e di divorzio o annullamento del matrimonio, la verifica delle condizioni richieste ai fini del mantenimento del diritto di soggiorno non deve rivestire carattere sistematico «in quanto la direttiva prevede tali verifiche in casi specifici, qualora vi sia un dubbio ragionevole».
In base ai rilievi della Commissione viene anche modificato il comma 4 dell'articolo 19, che dispone che: «La qualità di titolare di diritto di soggiorno e di titolare di diritto di soggiorno permanente può essere attestata con qualsiasi mezzo di prova previsto dalla normativa vigente, fermo restando che il possesso del relativo documento (attestazione anagrafica o documento di soggiorno) non costituisce condizione per l'esercizio di un diritto».
Anche su questo punto è intervenuto un emendamento approvato in Commissione, con il quale si è precisato che il possesso del documento non costituisce condizione necessaria per l'esercizio di un diritto.
Per quanto riguarda la procedura di allontanamento del cittadino comunitario, il decreto in esame reca modifiche alla disciplina delle limitazioni al diritto di ingresso e di soggiorno e all'allontanamento per cessazione delle condizioni che determinano il diritto di soggiorno (articoli 20 e 21 del decreto legislativo n. 30).
Si sono circoscritti i motivi di sicurezza dello Stato che erano stati introdotti dal decreto legislativo n. 30/2007 e sono stati introdotti, ai fini della limitazione del diritto di ingresso e soggiorno, anche le eventuali condanne per i delitti contro la personalità dello Stato. Ciò perché la Commissione ha ritenuto troppo generiche le definizioni precedenti. Con le modifiche apportate dal decreto la qualificazione della minaccia ai diritti fondamentali della persona ovvero all'incolumità pubblica deve essere «concreta, effettiva e sufficientemente grave» (articolo 20, comma 3, primo periodo). Lo stesso vale anche per i comportamenti individuali del soggetto che rappresentano una minaccia concreta e attuale all'ordine pubblico o alla pubblica sicurezza (articolo 20, comma 4, primo periodo).
Al comma 9, con riferimento ai provvedimenti di allontanamento adottati dal Ministero dell'interno per i beneficiari del diritto di soggiorno che hanno soggiornato Pag. 45nel territorio nazionale nei precedenti dieci anni o che siano minorenni, è soppresso il riferimento al presupposto dei motivi di ordine pubblico, con l'effetto quindi che il provvedimento del ministro interviene ora solo in presenza di motivi di sicurezza dello Stato.
L'adozione poi dei provvedimenti di allontanamento per motivi di ordine pubblico spetta ora al Prefetto.
II comma 11 è modificato nel senso di prevedere che il provvedimento di allontanamento per motivi di sicurezza dello Stato o per motivi imperativi di pubblica sicurezza, per altri motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza è immediatamente eseguito dal Questore qualora si ravvisi, caso per caso, l'urgenza dell'allontanamento perché l'ulteriore permanenza dell'interessato sul territorio nazionale è incompatibile con la civile e sicura convivenza.
Ovviamente l'allontanamento è disposto anche per il venir meno dei requisiti che determinano il diritto di soggiorno (articolo 21, comma 1). È stata, però, introdotta una modifica in base alla quale l'eventuale ricorso al sistema di assistenza sociale da parte di un cittadino dell'Unione europea non è considerato, automaticamente, come causa di allontanamento, ma deve essere valutato caso per caso.
Sono state anche modificate le procedure di allontanamento. Infatti, in caso di inottemperanza all'ordine di allontanamento, viene previsto, al posto delle sanzioni dell'arresto e dell'ammenda, che il Prefetto, valutato il singolo caso, possa adottare un ulteriore provvedimento di allontanamento per motivi di ordine pubblico immediatamente eseguito dal Questore.
È stata inoltre introdotta (articolo 23-bis) la possibilità di consultare gli Stati membri per chiedere informazioni sui precedenti penali del cittadino comunitario al Paese di provenienza. E lo Stato membro consultato deve rispondere entro due mesi.
Infine, le norme relative all'allontanamento si estendono anche ai familiari del cittadino comunitario (articolo 2, che integra l'articolo 183-ter delle norme di attuazione del codice di procedura penale). Il Capo II del decreto in esame (articoli 3, 4 e 5) è volto, come detto, al recepimento nell'ordinamento nazionale della cosiddetta direttiva rimpatri (2008/115/CE).
Il termine fissato dalla direttiva per il suo recepimento da parte degli Stati membri è scaduto il 24 dicembre 2010 e la Commissione europea ha avviato la fase prodromica all'apertura dell'infrazione per mancato recepimento.
Recependo la direttiva si apportano alcune modifiche all'attuale normativa nazionale sull'immigrazione.
Innanzitutto viene introdotto il permesso di soggiorno per motivi umanitari: non si dà luogo a rifiuto o a revoca del permesso di soggiorno in presenza di seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali (diritto di asilo) o internazionali (articolo 3, comma 1, lettera a).
Tale disposizione prevede che in questi casi il permesso di soggiorno per motivi umanitari è rilasciato dal Questore (secondo la procedura indicata nel regolamento di attuazione - decreto del Presidente della Repubblica n. 394 del 1999).
Per incentivare quanto previsto dalla direttiva sull'esodo volontario dei cittadini stranieri irregolarmente presenti sul territorio nazionale, il decreto - articolo 3, comma 1, lettera b) - esclude dal reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato lo straniero identificato dalla polizia di frontiera quando esce dal territorio nazionale.
Ovviamente, tale deroga non pregiudica l'intervento dell'autorità di polizia in caso di più grave reato.
Viene ripristinata la procedura di espulsione coattiva immediata per tutti gli extracomunitari clandestini (modificando con la lettera c) - l'articolo 13 del T.U., che disciplina l'espulsione amministrativa).
Innanzitutto viene specificato che l'espulsione di competenza del Prefetto è disposta caso per caso (numero 1 lettera c), in ossequio a un principio più volte ribadito dalla normativa comunitaria. Pag. 46
Viene integrato l'elenco delle situazioni che comportano l'espulsione, comprendendovi l'ipotesi di rifiuto di rilascio del permesso di soggiorno (che si va ad aggiungere ai casi di mancata richiesta, revoca, annullamento e mancata richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno).
In questo caso si tratta di una disposizione non finalizzata ad attuare la direttiva, ma a colmare uno specifico vuoto normativo.
Viene individuata un'ulteriore fattispecie che comporta l'espulsione (prefettizia), vale a dire il trattenimento dello straniero non comunitario oltre il periodo di 3 mesi, che è quello considerato soggiorno di breve durata e per il quale non è necessario richiedere il permesso di soggiorno, ma è sufficiente una semplice dichiarazione di presenza. Anche in questo caso la finalità della norma è quella di colmare una lacuna nella normativa previgente.
Il comma 2-ter, aggiunto all'articolo 13 - dal numero 2 della lettera c) -, prescrive che l'espulsione non è disposta, né eseguita quando lo straniero irregolare è identificato alla frontiera dalle forze di polizia. La finalità è analoga a quella della disposizione di cui alla lettera b), di cui ho detto in precedenza, che esclude, nella medesima situazione, la contestazione del reato di immigrazione clandestina.
Viene riformulato il comma 4 dell'articolo 13 - numero 3 lettera c) - che disciplina le modalità di espulsione. (La legge Bossi-Fini n. 189 del 2002 ha stabilito il principio che l'espulsione è sempre eseguita con l'accompagnamento alla frontiera ad eccezione dei casi di violazioni di minore entità, quali permesso di soggiorno scaduto o del quale non è stato richiesto il rinnovo).
L'esecuzione è eseguita dal Questore mediante accompagnamento alla frontiera in una serie tassativa di casi: motivi di ordine pubblico o sicurezza dello Stato (articolo 13, comma 1); lo straniero sia un delinquente abituale o sia indiziato di appartenere ad associazioni criminali di tipo mafioso - articolo 13, comma 2, lettera c) - rischio di possibili attività terroristiche; pericolo di fuga (specificato dal nuovo comma 4-bis); presentazione di domanda di soggiorno manifestamente infondata o fraudolenta; inosservanza, senza giustificato motivo, del termine concesso per la partenza volontaria; violazione di una delle misure disposte dal questore in caso di partenza volontaria (nuovo comma 5.2) o di prescrizioni meno coercitive rispetto al trattenimento (nuovo comma 1-bis dell'articolo 14); provvedimento di espulsione a titolo di misura di sicurezza (articolo 15 del T.U.) ovvero di sanzione alternativa o sostitutiva alla detenzione (articolo 16 T.U.) e nelle ipotesi di espulsione disposta come sanzione penale o come conseguenza di una sanzione penale; assenza di richiesta da parte dello straniero di un termine per la partenza volontaria (come previsto al comma 5.1).
Tali requisiti sopra richiamati sono introdotti in recepimento di disposizioni diverse della direttiva.
Il nuovo comma 4-bis - introdotto dal numero 4 della lettera c) - definisce i criteri che il Prefetto valuta per verificare, caso per caso, l'esistenza del rischio di fuga, quali: non possedere un documento di espatrio valido; non avere la disponibilità di un alloggio stabile; aver fornito in passato false generalità; non avere ottemperato all'esecuzione dell'espulsione tramite intimazione a lasciare il territorio dello Stato e al divieto di reingresso; aver violato le prescrizioni connesse alla partenza volontaria e alle misure meno coercitive rispetto al trattenimento.
Sono poi indicate (numero 5 della lettera c) che modifica il comma 5 dell'articolo 13 del T.U.) le fattispecie (residuali) per le quali non si procede all'espulsione forzata, bensì tramite intimazione ad abbandonare il territorio dello Stato entro 15 giorni. Quest'ultima ipotesi si realizza (nel testo previgente) nei confronti dello straniero che si è trattenuto nel territorio dello Stato con permesso di soggiorno scaduto da più di 60 giorni e non ne è stato richiesto il rinnovo.
Il decreto-legge recepisce poi l'articolo 7 della direttiva sulla partenza volontaria.
Il nuovo meccanismo prevede quanto segue. Pag. 47
Lo straniero per il quale è già stato emanato un decreto di espulsione, per il quale non ricorrono le condizioni per l'allontanamento coatto (ossia le ipotesi di cui al nuovo comma 4) può chiedere al Prefetto la concessione di un periodo per la partenza volontaria, anche attraverso programmi di rimpatrio volontario ed assistito (di cui all'articolo 14-ter).
Il Prefetto, valutato il singolo caso, «intima allo straniero di lasciare volontariamente» il Paese entro un termine tra 7 e 30 giorni. Il termine può essere prorogato in considerazione di diversi fattori (durata pregressa del soggiorno, presenza di minori che frequentano la scuola, ammissione di programmi di rimpatrio volontario eccetera).
Una volta eseguito il rimpatrio, il Questore ne comunica l'esito al giudice per la deliberazione di non luogo a procedere nei confronti dello straniero in relazione al reato di immigrazione illegale (di cui all'articolo 10-bis del testo unico).
Rispetto alla normativa previgente, viene meno l'obbligatorietà di concedere un periodo di tempo (15 giorni) prima di procedere all'espulsione con intimazione ad abbandonare il territorio dello Stato: è stata cioè esercitata l'opzione prevista dalla direttiva (articolo 7, paragrafo 1) secondo la quale gli Stati membri possono prevedere che la concessione di un periodo di tempo avvenga unicamente dietro richiesta dell'interessato.
Il decreto (comma 5.1 di cui al numero 6) prevede che, per consentire allo straniero di usufruire della facoltà di richiedere il termine per la partenza volontaria - in conformità ad una precisa disposizione in questo senso contenuta nell'articolo 7, paragrafo 1, della direttiva - la questura deve provvedere a informare adeguatamente lo straniero del suo diritto di chiedere un termine per l'espulsione. Qualora lo straniero non intenda richiedere la partenza volontaria, l'espulsione viene eseguita con accompagnamento alla frontiera.
Nel caso di concessione di un termine per la partenza volontaria vengono previste misure di garanzia idonee ad evitare il rischio di fuga dello straniero imposte dal Questore (comma 5.2)
In primo luogo è richiesta la dimostrazione della disponibilità di risorse economiche sufficienti derivanti da fonti lecite. L'importo è in proporzione al termine concesso (che si ricorda va dai 7 ai 30 giorni) ed è compreso tra una e tre mensilità dell'assegno sociale annuo.
Il questore dispone, inoltre, una o più delle seguenti misure: consegna del passaporto o altro documento equipollente in corso di validità, che verrà restituito al momento della partenza; obbligo di dimora in un luogo dove lo straniero possa essere agevolmente rintracciato; obbligo di presentazione, in giorni ed orari stabiliti, presso un ufficio della forza pubblica territorialmente competente.
Queste misure sono adottate con provvedimento motivato, comunicato entro 48 ore dalla notifica al giudice di pace competente per territorio. Il giudice, se ne ricorrono i presupposti, dispone con decreto la convalida nelle successive 48 ore. Su richiesta dell'interessato, il giudice di pace, sentito il Questore, può modificare o revocare le misure.
La violazione delle misure di sicurezza viene punita con la multa da 3.000 a 18.000 euro e l'espulsione.
In questo caso non è richiesto il rilascio del nulla osta (di cui al comma 3) da parte dell'autorità giudiziaria competente all'accertamento del reato e il questore esegue l'espulsione (disposta ai sensi del comma 4, anche mediante le modalità previste all'articolo 14).
È modificato il comma 13 dell'articolo 13 T.U. che prescrive il divieto di reingresso per lo straniero espulso. La disposizione in esame sostituisce l'espressione «straniero espulso» con quella di «straniero destinatario di un provvedimento di espulsione».
Secondo la relazione illustrativa l'intervento normativo è adottato «In conformità alla definizione di rimpatrio (articolo 3, paragrafo 1, n. 3) della direttiva quale processo di ritorno di un cittadino di un paese terzo, sia in adempimento volontario Pag. 48di un obbligo di rimpatrio sia forzatamente», al fine di «sanzionare qualsiasi straniero rientrato sul territorio nazionale prima della scadenza del divieto di reingresso, indipendentemente dalla tipologia del provvedimento di espulsione adottato (volontaria o forzata). In tale modo, la sanzione penale per l'inosservanza del divieto di reingresso viene comminata anche allo straniero espulso mediante l'intimazione a lasciare il territorio nazionale, in quanto destinatario di una decisione di rimpatrio».
Si ricorda che l'articolo 11, paragrafo 1, della direttiva prevede l'applicazione automatica del divieto di reingresso in due casi: qualora non sia stato concesso un periodo per la partenza volontaria, oppure qualora non sia stato ottemperato all'obbligo di rimpatrio.
I singoli Paesi possono individuare altri casi nei quali le decisioni di rimpatrio possono essere corredate dal divieto d'ingresso.
Viene ridotta - numero 9 lettera c) - la durata del divieto di reingresso in ottemperanza alla direttiva (articolo 11, paragrafo 2) in un periodo da tre a cinque anni (era 10), valutato il singolo caso, salvo che lo straniero sia stato espulso per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sicurezza nazionale.
In questi casi può essere disposto un periodo più lungo, sempre tenendo conto delle circostanze del singolo caso. Per gli stranieri ai quali è stato concesso un termine per la partenza volontaria, il divieto di reingresso decorre dalla scadenza del termine assegnato.
Lo straniero irregolare che abbia rispettato il termine concesso per la partenza volontaria può chiedere la revoca del divieto di reingresso, che deve essere valutata dalle autorità italiane. Tale ultima disposizione, come si legge nella relazione illustrativa, è finalizzata ad incentivare la partenza volontaria.
È modificato l'articolo 14 del T.U. sulle disposizioni relative all'esecuzione dell'espulsione.
È riformulato il comma 1, che prevede il trattenimento presso i centri di identificazione ed espulsione (CIE) degli stranieri qualora non sia possibile procedere all'espulsione.
Vengono mantenute le fattispecie per le quali è previsto il trattenimento: necessità di prestare soccorso allo straniero, accertamento della sua identità o nazionalità, acquisizione di documenti per il viaggio, verifica della disponibilità di un mezzo di trasporto idoneo.
A ciò viene aggiunta una causa generale relativa alle «situazioni transitorie che ostacolano la preparazione del rimpatrio o l'effettuazione dell'allontanamento».
All'articolo 14 è aggiunto il comma 1-bis che prevede misure alternative al trattenimento nei CIE per lo straniero irregolare che non sia pericoloso, quali la consegna del passaporto, l'obbligo di dimora e l'obbligo di presentazione presso gli uffici della forza pubblica. Misure, procedura e sanzioni sono identiche agli obblighi che il questore può imporre nelle more dell'esecuzione dell'espulsione (notifica all'interessato, convalida del giudice di pace, sanzioni eccetera).
Viene modificato il comma 5 dell'articolo 14, innalzando il periodo massimo di trattenimento nei CIE da 6 a 18 mesi (in attuazione dell'articolo 15, paragrafi 5 e 6 della direttiva).
La disposizione comunitaria prevede, infatti, che ciascuno Stato definisca i tempi di permanenza nel CIE entro il limite di 6 mesi, prorogabile al massimo di altri 12 mesi in caso di mancata cooperazione del cittadino o di ritardo nell'ottenimento della necessaria documentazione. Ciò avviene già in altri Paesi come la Germania.
Qualora non sia stato possibile il trattenimento presso il CIE viene elevato da 5 a 7 giorni il termine entro il quale lo straniero deve lasciare il territorio nazionale su ordine del questore.
Ordine che può essere accompagnato, anche su richiesta dell'interessato, dalla documentazione necessaria per raggiungere gli uffici della rappresentanza diplomatica del suo Paese in Italia, nonché per rientrare nello Stato di appartenenza ovvero, quando ciò non sia possibile, nello Pag. 49Stato di provenienza, compreso il titolo di viaggio per raggiungere gli uffici diplomatici.
Vengono attenuate le sanzioni per l'inottemperanza all'ordine del questore a lasciare il territorio nazionale qualora non sia stato possibile il trattenimento presso il CIE: le pene alla reclusione ivi previste vengono sostituite con un articolato sistema di multe che vanno da 10 a 20 mila euro per coloro i quali il provvedimento di espulsione iniziale prevedeva l'accompagnamento alla frontiera (articolo 14, comma 4) e da 6 a 15 mila euro negli altri casi (articolo 13, comma 4).
È stata poi introdotta una modifica (comma 5-quater) in conseguenza della sentenza della Corte costituzionale n. 359 del 17 dicembre 2010 riguardante l'esimente del «giustificato motivo», già prevista per il primo ordine di allontanamento del questore (di cui al comma 5-ter).
Al fine di fornire al giudice un ulteriore criterio per vagliare la sussistenza del giustificato motivo, la valutazione della condotta tenuta dall'interessato è basata sull'effettiva consegna allo stesso della documentazione necessaria per raggiungere gli uffici della rappresentanza diplomatica del suo Paese in Italia, alla quale potersi rivolgere per ottemperare all'ordine di rimpatrio, ovvero del titolo di viaggio per lasciare il territorio nazionale, di cui al precedente comma 5-bis. Il giudice deve, altresì, accertare la cooperazione resa dallo straniero ai fini dell'esecuzione dell'espulsione.
È attribuita (numeri 8 e 9) al giudice di pace la competenza anche sui reati di violazione e reiterata violazione dell'ordine del Questore di lasciare il territorio e sui reati di violazione delle misure di garanzia per evitare il pericolo di fuga e di violazione delle misure alternative al trattenimento imposte dal Questore.
È previsto che, ai fini dell'esecuzione dell'espulsione dello straniero denunciato per violazione dell'ordine del questore, non sia richiesto il rilascio del nullaosta da parte del giudice (comma 5-sexies). Quest'ultimo, acquisita la notizia dell'avvenuta espulsione, pronuncia sentenza di non luogo a procedere (5-septies).
Nel caso di indebito allontanamento dello straniero irregolare dal CIE, è previsto che sia adottato un nuovo provvedimento di trattenimento. La disposizione, nella formulazione previgente, si limitava a prevedere che il questore ripristinasse senza indugio il trattenimento.
È aggiunto un articolo 14-ter al T.U. che disciplina il rimpatrio volontario e assistito degli stranieri da espellere verso i Paesi di origine o provenienza.
È prevista l'emanazione di un decreto del Ministro dell'interno per la definizione delle linee-guida per la realizzazione dei programmi di rimpatrio e delle priorità da seguire nella loro attuazione e dei criteri per l'individuazione dei soggetti chiamati a collaborare (enti locali, associazioni di volontariato eccetera).
Sono escluse dai programmi alcune categorie di soggetti: quelli pericolosi, gli inottemperanti all'ordine di allontanamento, gli espulsi in conseguenza di una sanzione penale, eccetera.
La lettera f) del comma 1 dell'articolo 3, modificando l'articolo 16 del testo unico estende l'applicazione delle disposizioni in materia di espulsione a titolo di sanzione sostitutiva o alternativa ai reati di inottemperanza all'ordine del questore di lasciare il territorio nazionale (articolo 14, commi 5-ter e 5-quater).
La lettera g) modifica l'articolo 19 del testo unico inserendo il riferimento alle disposizioni per le categorie vulnerabili come individuate dalla direttiva, ossia i minori, i minori non accompagnati, i disabili, gli anziani, le donne in gravidanza, le famiglie monoparentali con figli minori e le persone che hanno subito torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale (articolo 3, paragrafo 1, punto 9).
Il comma aggiuntivo 2-bis subordina l'espulsione o il respingimento delle «persone vulnerabili» alla verifica della loro concreta situazione personale debitamente accertata, in conformità al disposto della direttiva (articolo 4, paragrafo 4, lettera a). Pag. 50
Con emendamento del relatore approvato dalla Commissione è stata poi inserita una modifica al comma 1-bis dell'articolo 32 T.U., il quale prevede che ai minori stranieri non accompagnati, affidati ovvero sottoposti a tutela, che siano stati ammessi a un progetto di integrazione sociale e civile, può essere rilasciato, al compimento della maggiore età, un permesso di soggiorno per motivi di studio, di accesso al lavoro ovvero di lavoro subordinato o autonomo, sempreché non sia intervenuta una decisione del Comitato per i minori stranieri.
Le modifiche introdotte mirano in sostanza a rendere più elastica la procedura per il rilascio del permesso di soggiorno, al compimento della maggiore età, agli stranieri che siano giunti in Italia da minori non accompagnati e abbiano seguito un percorso di integrazione: questo al fine di evitare che i medesimi, al compimento della maggiore età, si rendano clandestini mentre, essendosi formati in Italia e parlando l'italiano, hanno concrete prospettive di lavoro. È mantenuto fermo, d'altra parte, il controllo del comitato per i minori sui singoli casi.
L'approvazione dell'emendamento è stato un segnale importante di attenzione alla problematica dei minori stranieri non accompagnati, sulla linea della mozione n. 1-00459, approvata il 20 ottobre 2010 dalla Camera all'unanimità, la quale ha impegnato il Governo, tra l'altro, a considerare la possibilità di assumere le necessarie iniziative per rilasciare il permesso di soggiorno anche per quei minori stranieri che abbiano raggiunto la maggiore età e che abbiano già intrapreso un percorso documentato di integrazione sociale e civile.
L'articolo 5 reca la clausola di copertura finanziaria relativa all'aumento del periodo di trattenimento nei CIE (da 6 a 18 mesi).
Per quanto riguarda, infine, i pareri espressi sul nuovo testo, sono favorevoli i pareri delle Commissioni giustizia, affari esteri e affari sociali; è favorevole con un'osservazione il parere della Commissione politiche dell'Unione europea. La Commissione cultura non si è espressa sul provvedimento in esame, mentre la Commissione bilancio dovrebbe esprimersi per l'Assemblea. Il Comitato per la legislazione ha espresso un parere con osservazioni. Sulle osservazioni del Comitato per la legislazione e della Commissione politiche dell'unione europea mi sono riservata di riflettere per proporre eventuali soluzioni al Comitato dei nove.