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Resoconto dell'Assemblea

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XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 439 di giovedì 24 febbraio 2011

Pag. 1

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANFRANCO FINI

La seduta comincia alle 9,05.

LORENA MILANATO, Segretario, legge il processo verbale della seduta di ieri.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Alessandri, Bocchino, Bonaiuti, Bossi, Brugger, Brunetta, Caparini, Casero, Cicchitto, Cirielli, Colucci, Crimi, D'Alema, D'Amico, Dal Lago, Donadi, Fava, Fitto, Franceschini, Gelmini, Giro, La Russa, Lo Monte, Mantini, Martini, Meloni, Miccichè, Migliavacca, Leoluca Orlando, Picchi, Ravetto, Reguzzoni, Roccella, Romani, Rotondi, Saglia, Sardelli, Stucchi, Tabacci, Vernetti e Vito sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente sessantuno, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

S. 2518 - Seguito della discussione del disegno di legge: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie (Approvato dal Senato) (A.C. 4086) (ore 9,07).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie.

(Ripresa esame dell'articolo unico - A.C. 4086)

PRESIDENTE. Riprendiamo l'esame dell'articolo unico del disegno di legge di conversione (Vedi l'allegato A - A.C. 4086) nel testo recante le modificazioni apportate dal Senato (Vedi l'allegato A - A.C. 4086).
Avverto che le proposte emendative presentate sono riferite agli articoli del decreto-legge, nel testo recante le modificazioni apportate dal Senato (Vedi l'allegato A - A.C. 4086).
Avverto che, prima dell'inizio della seduta, l'onorevole Beccalossi ha ritirato tutte le proposte emendative a sua prima firma.
Avverto inoltre che l'emendamento Garavini 2.354 è stato rinumerato come 2.354-bis.
Avverto altresì che la Presidenza non ritiene ammissibili, ai sensi dell'articolo 96-bis, comma 7, del Regolamento le seguenti proposte emendative già dichiarate inammissibili nelle Commissioni:
Delfino 1.111, identico all'emendamento Beccalossi 1.5, già dichiarato inammissibile Pag. 2in Commissione, Di Biagio 1.03, 1.01 e 1.04, Di Biagio 1.02, Mario Pepe (IR) 1.08, Nannicini 1.010, Bucchino 2.25, gli identici emendamenti Sardelli 2.21 e Rao 2.138, gli identici emendamenti Sardelli 2.20 e Rao 2.137, gli identici emendamenti Sardelli 2.19 e Rao 2.136, gli identici emendamenti Sardelli 2.18 e Rao 2.135; gli identici emendamenti Sardelli 2.17 e Rao 2.134, gli identici emendamenti Sardelli 2.15 e Rao 2.132, gli identici emendamenti Sardelli 2.16 e Rao 2.133; Ruvolo 2.72, 2.70 e 2.69; Razzi 2.65 e 2.66; gli identici emendamenti Lo Monte 2.42 e Lo Presti 2.189, Oliverio 2.29, Scilipoti 2.64, Lo Presti 2.75, Di Biagio 2.5, Luongo 2.83, Lo Presti 2.73, Divella 2.80, Mario Pepe (IR) 2.10, Granata 2.78 e Buttiglione 2.208, Lo Presti 2.74, Marchi 2-ter.1 e Baretta 2-ter.2, Damiano 2-quater.4, Bocchino 2-quater.7, Di Biagio 2-sexies.01, Cenni 2-sexies.02 e 2-sexies.05, gli identici emendamenti Lulli 2-sexies.06 e Lo Presti 2-sexies.07, Milo 2-sexies.027, Vannucci 2-sexies.09.
Avverto inoltre che la Presidenza non ritiene ammissibili, ai sensi degli articoli 96-bis, comma 7 e 86, comma 1 del Regolamento le seguenti ulteriori proposte emendative, non previamente presentate in Commissione: Ciccanti 1.103, Rigoni 1.122, Vaccaro 1.205, Porta 1.101, Delfino 1.104 e 1.105, Borghesi 1.108, Brandolini 1.133, Realacci 1.142, Ghizzoni 1.0200 e 1.0202, Vannucci 2.355, Maurizio Turco 2.361, Viola 2.354, Garavini 2.354-bis, Bucchino 2.370, Vannucci 2.376, Miotto 2.371 e 2.372, Pedoto 2.374, Fontanelli 2.377, Vannucci 2.380 e 2.379, Enzo Carra 2.119, Levi 2.142, Siragusa 2.471, 2.480, 2.475, 2.481 e 2.482, Bachelet 2.483, Levi 2.472 e 2.473, Siragusa 2.458 e Ria 2.141, De Pasquale 2.468, Tassone 2.114, Galletti 2.124, Esposito 2.485, Mariani 2.456, Tassone 2.112, Lusetti 2.113, Occhiuto 2.118, Delfino 2.126, Ghizzoni 2.510, Bachelet 2.514, Ghizzoni 2.516 e 2.517, Bachelet 2.515, Ghizzoni 2.518 e 2.519, Paladini 2.509, Naro 2.115 e 2.116, Poli 2.129 e 2.131, Mario Pepe 2.139 (IR), Ciccanti 2.123, Laganà Fortugno 2.581, Braga 2.557 e 2.556, Galletti 2.122, 2.120 e 2.121, Compagnon 2.231, De Biasi 2.300, Ghizzoni 2.598, 2.599, 2.600 e 2.601, Melandri 2.596, Poli 2.222 e 2.223, Ruggeri 2.220, Tassone 2.215, Tullo 2.594, Dionisi 2.555, De Micheli 2.597, Pes 2.305, Braga 2.587, Iannuzzi 2.585, Meta 2.591, Madia 2.652, Servodio 2.653, Sani 2.654, Damiano 2.655, 2.656, 2.657 e 2.658, Compagnon 2.230, Schirru 2.661 e 2.662, Realacci 2.664, Schirru 2.665, Della Vedova 2.666, Gatti 2.667, Fontanelli 2.668, Zazzera 2.205, Occhiuto 2.207, Ruggeri 2.220, Ciccanti 2.221, Marchioni 2.100 e 2.101, Mariani 2.0100, Vassallo 2.0101, Ciccanti 2-ter.152, Poli 2-ter.151, Rubinato 2-quater.105 e 2-quater.650, De Poli 2-quater.103, Paladini 2-quater.104, Vannucci 2-quater.106, De Micheli 2-quater.653 e 2-quater.655, Poli 2-quater.102, 2-quater.100 e 2-quater.101, Occhiuto 2-quinquies.0100, Vannucci 2-sexies.651 e 2-sexies.100, Murer 2-sexies.0101, Sbrollini 2-sexies.0652, Pizzetti 2-sexies.0653, Motta 2-sexies.0100, identici Distaso 3.100 e Di Biagio 3.102.
La Presidenza non ritiene altresì ammissibile, ai sensi del punto 5.2 della circolare del 10 gennaio 1997, l'emendamento Bossa 2.373, in quanto modifica in modo del tutto frammentario e parziale disposizioni contenute in atti normativi non aventi forza di legge.
Avverto inoltre che la Presidenza non ritiene ammissibile, sulla base di quanto stabilito dalla Giunta per il Regolamento nella seduta del 7 marzo 2002, l'emendamento Della Vedova 2.306 che, intervenendo in materia di programmazione dei lavori parlamentari, si pone in contrasto con l'autonomia costituzionale delle Camere.
Avverto infine che la Presidenza, all'esito del vaglio di ammissibilità, ha ritenuto ammissibile l'emendamento del Governo Dis. 1.1 (Vedi l'allegato A - A.C. 4086) e lo ha trasmesso unitamente alla relazione tecnica nella serata di ieri alle Commissioni affari costituzionali e bilancio, che ne hanno preso visione.
L'emendamento del Governo Dis. 1.1 è in distribuzione. Pag. 3
Chiedo al presidente della Commissione bilancio, onorevole Giancarlo Giorgetti, se vi siano questioni emerse da tale esame.

GIANCARLO GIORGETTI, Presidente della V Commissione. Signor Presidente, il Comitato dei diciotto delle Commissioni I e V ha valutato nella seduta di ieri il maxiemendamento presentato dal Governo.
Le Commissioni hanno rilevato che le modifiche apportate rispetto al testo trasmesso dal Senato, nella sostanza, sono tutte quelle già discusse nella seduta di ieri. Le uniche differenze sono rappresentate dalla soppressione del comma 2-septies dell'articolo 1, relativo alle demolizioni in Campania che, anziché essere riscritto come concordato nella seduta di ieri, è stato integralmente soppresso dal Governo.
L'altra modifica è di mero coordinamento, posto che era stata erroneamente cancellata dall'elenco 1 la proroga, già contenuta nel testo del decreto-legge nella sua formulazione originaria, della possibilità di utilizzo delle risorse stanziate dall'elenco 1 della legge finanziaria per il 2010 per gli interventi a sostegno dell'autotrasporto. Con questa nuova formulazione del maxiemendamento viene ripristinata coerentemente al testo originario.
Infine, con riguardo alla richiesta di chiarimenti in ordine all'articolo 43, comma 12, del Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici, si rileva la necessità di un coordinamento formale dovendo procedere alla soppressione del comma 12-duodecies dell'articolo 2, in quanto la proroga è già contenuta nell'allegato 1 del decreto-legge fino al 31 marzo 2011, successivamente prorogabile al 31 dicembre 2011 con il previsto decreto del Presidente del Consiglio dei ministri. Inoltre, le Commissioni ritengono che debba essere accolta la soppressione richiesta dalla Ragioneria generale dello Stato relativa alle parole «già di proprietà privata in quanto» contenute nell'articolo 2, comma 1-ter, poiché per questa parte la relazione tecnica non risulta verificata positivamente. Le Commissioni ritengono, infine, di aver individuato alcune correzioni del testo di carattere materiale delle quali posso e direi devo dare lettura.
A pagina 9, all'articolo 2, i commi da 4-octiesdecies a 4-vicies sono rinumerati come commi 4-septiesdecies, 4-octiesdecies e 4-noviesdecies; a pagina 11, all'articolo 2, comma 5-duodecies, le parole: «dei commi da 5-undecies» devono intendersi sostituite dalle seguenti: «dei commi da 5-novies»; a pagina 22, all'articolo 2, comma 28, le parole: «dal comma 18-octies» devono intendersi sostituite dalle seguenti: «dal comma 26»; a pagina 23, all'articolo 2, comma 37, le parole: «della legge 13 dicembre 2011, n. 220» devono intendersi sostituite dalle seguenti: «della legge 13 dicembre 2010, n. 220»; a pagina 28, all'articolo 2, comma 71, le parole: «introdotto dal comma 2 del presente articolo» devono intendersi sostituite dalle seguenti: «introdotto dal comma 63 del presente articolo»; a pagina 28, all'articolo 2, comma 72, le parole: «di cui al comma 10» devono intendersi sostituite dalle seguenti: «di cui al comma 71»; a pagina 28, all'articolo 2, comma 74, le parole «di cui al comma 12» devono intendersi sostituite dalle seguenti: «di cui al comma 73»; a pagina 28, all'articolo 2, comma 75, le parole: «di cui al comma 12» devono intendersi sostituite dalle seguenti: «di cui al comma 73»; a pagina 29, all'articolo 2, comma 76, le parole «di cui al comma 12» devono intendersi sostituite dalle seguenti: «di cui al comma 73»; a pagina 29, all'articolo 2, comma 77, le parole: «di cui al comma 12» devono intendersi sostituite dalle seguenti: «di cui al comma 73».

PRESIDENTE. È tutto chiaro, non c'è dubbio. Credo che l'onorevole Giancarlo Giorgetti concordi con me che nel testo di padronanza della lingua italiana occorrerà inserire anche queste espressioni.

GIANCARLO GIORGETTI, Presidente della V Commissione. Signor Presidente, come lei sa, io sono di origine barbara.

PRESIDENTE. Torniamo alle cose serie. Qual è il parere del Governo sulle correzioni proposte?

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ALBERTO GIORGETTI, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Signor Presidente, il Governo concorda.

GIANCLAUDIO BRESSA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIANCLAUDIO BRESSA. Signor Presidente, intervengo per una constatazione molto semplice. La relazione resa in questo momento dal presidente Giancarlo Giorgetti dimostra come il testo che è stato sottoposto alla Camera sia un limpido esempio di scrittura legislativa, di chiarezza normativa e di efficacia. Si vede che c'è chiaramente la mano del Ministro per la semplificazione normativa e degli uffici che nel corso di questi mesi hanno più volte ripetuto in quest'Aula come la leggibilità e la chiarezza delle leggi sia una delle condizioni fondamentali per garantire la democrazia nel nostro Paese. Dopo lo speech del presidente Giorgetti siamo convinti che moltissimi avvocati si fregheranno le mani, perché avranno di che lavorare nei prossimi mesi per smontare pezzo per pezzo questo provvedimento. A questo punto, è del tutto evidente che ritirare questo provvedimento e confezionare una legge che sia degna di questo nome sarebbe la cosa auspicabile.
Non sappiamo se il Governo, però, abbia il coraggio di ammettere che ha prodotto un testo normativo che non solo è pericoloso per i suoi contenuti, ma è anche illeggibile e incomprensibile per i più (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. L'emendamento Dis 1.1 del Governo si intende pertanto modificato nel senso indicato dal presidente della Commissione Bilancio.

(Posizione della questione di fiducia - Emendamento Dis. 1.1. del Governo - A.C. 4086)

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il Ministro per i rapporti con il Parlamento, Elio Vito. Ne ha facoltà.

ELIO VITO, Ministro per i rapporti con il Parlamento. Signor Presidente, onorevoli colleghi, credo che l'andamento dell'esame del decreto-legge in discussione sia stato abbastanza chiaro ed è sotto gli occhi di tutti. La scadenza ravvicinata del provvedimento e la necessità di determinare un nuovo esame da parte dell'altro ramo del Parlamento rendono necessario che adesso, a nome del Governo, autorizzato dal Consiglio dei ministri, io ponga la questione di fiducia sull'approvazione, senza subemendamenti ed articoli aggiuntivi, dell'emendamento Dis. 1.1 del Governo, nel testo modificato, interamente sostitutivo dell'articolo unico del disegno di legge di conversione del decreto-legge del 29 dicembre 2010, n. 225, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie.

PIER PAOLO BARETTA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PIER PAOLO BARETTA. Signor Presidente, cosa dobbiamo dire ancora? Come abbiamo constatato anche ieri, credo che sia la quarantaduesima volta che il Ministro Vito è sottoposto - non si sottopone, è anche sottoposto - a questa pratica che, francamente, a questo punto, non solo è inaccettabile, ma rasenta anche il ridicolo.
La cosa più seria, però, è quanto avvenuto ieri: voi ponete la questione di fiducia e la motivazione pubblica di ciò è quella che ha dato il Presidente del Consiglio, intervenendo ieri mattina in un'occasione qui a Roma. Egli ha detto che il Governo è «costretto» tra questi poteri che, per superare il ventennio, sono stati giustamente previsti dai padri costituenti a suo tempo: da una parte il Presidente della Repubblica e dall'altra il Parlamento, che comprimono la libera attività del Governo, che, Pag. 5se potesse non avere questi orpelli, potrebbe tranquillamente legiferare.
Non intervengo, ovviamente, su tutta la discussione teorica e politica sull'articolazione dei poteri. Intervengo sull'altra parte, quella nella quale, proseguendo, il Presidente del Consiglio ha detto che, per questi motivi, il testo snello che avevate prodotto 58 giorni fa è diventato - testuale - un «ippopotamo» a seguito del lavoro parlamentare.
Abbiamo seguito il dibattito in Senato: i senatori sono in grado di autotutelarsi nella loro dignità e non vi è dubbio che il dibattito del Senato abbia arricchito il testo, ma che il Governo sia stato estraneo alla costruzione di questo «ippopotamo», francamente, mi sembra irriguardoso e sbagliato. Effettivamente, come è stato rilevato qualche minuto fa anche dal collega Bressa, questo «ippopotamo» è il prodotto di un'incapacità legislativa, che, a questo punto, non può essere più francamente considerata, neanche dal punto di vista verbale, nei termini in cui viene definita.
È stato detto anche questo ieri: la questione di fiducia, alla fine, è l'unico strumento che consente di sfuggire da questa massa di poteri che comprimono il Governo. Diamoci una regolata, diamoci una regolata tutti, e se la dia innanzitutto il Governo.
Questo non c'entra con la dialettica politica, che tutti facciamo; c'entra con il fatto di una normale dignità istituzionale, che è stata ampiamente e vergognosamente superata (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, Italia dei Valori e Unione di Centro).

ANTONIO BORGHESI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANTONIO BORGHESI. Signor Presidente, penso due cose: innanzitutto, dovremmo consigliare al Presidente del Consiglio un ripasso della Costituzione, perché in qualunque regime democratico la divisione dei poteri fa sì che il potere esecutivo e quello legislativo siano separati, e devono restare separati. Per cui, il potere del Governo non può essere assoluto, ma, anche quando agisce in via legislativa, lo deve fare in modo provvisorio.
È per questo che le norme legislative emanate dal Governo devono poi passare per il Parlamento.
Ora, vorrei ricordare che l'altro giorno ho letto una lettera aperta indirizzata al Presidente della Repubblica nella quale rilevavo alcune cose che, mi pare evidente, pensi anche lo stesso Presidente Napolitano e che ha già segnalato.
Non credo, però, che questi modesti interventi del Governo abbiano, in qualche modo, eliminato la mancanza dei requisiti richiesti dall'articolo 77 della Costituzione sia per quanto riguarda l'eterogeneità, che resta pienamente, sia per quanto riguarda i requisiti di necessità e d'urgenza.
In particolare, tornando al mio discorso iniziale, resta un vulnus che credo sia un precedente gravissimo perché il provvedimento in esame è stato arricchito di norme tutt'altro che marginali che non hanno seguito alcun iter parlamentare. Mi riferisco a ciò che è stato inserito dal Governo nel maxiemendamento dopo la conclusione dei lavori delle Commissioni al Senato e che non è stato né discusso né votato dalle Commissioni alla Camera.
Si tratta di norme non di poco rilievo. Vi è la riforma della tassazione dei fondi di investimento. La legge comunitaria prevede, all'articolo 12, una revisione dettata da norme europee. Poteva essere quella la sede in cui si inseriva una riforma della tassazione dei fondi di investimento, dando modo al Parlamento di discutere e di far conoscere le sue osservazioni ed il suo pensiero!
Vi sono anche la riforma della legge Marzano sulla ristrutturazione delle grandi imprese in crisi, modifiche retroattive ai criteri di redazione dei bilanci delle banche e - questo è ancora più grave - modifiche, con effetto retroattivo, ai termini di prescrizione riguardo al cosiddetto anatocismo che hanno un impatto rilevante sui diritti dei consumatori. Pag. 6
Signor Presidente, non ho dubbi ed ho piena fiducia riguardo al fatto che il Presidente della Repubblica userà anche questa volta il rigore con cui ha sempre esaminato questo tipo di provvedimenti e mi rimetto, con piena fiducia, alle determinazioni che prenderà. Credo, però, che, sul piano politico, le obiezioni che vi erano, restano e permane nella sua pienezza anche il vulnus più grave che si sia mai consumato ai danni della Costituzione in seguito a provvedimenti legislativi adottati dal Governo che diventano legge senza seguire l'iter parlamentare previsto. Un vulnus davvero gravissimo (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

SIMONE BALDELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, com'era prevedibile abbiamo ascoltato alcuni gruppi dell'opposizione stracciarsi le vesti di fronte alla posizione della questione di fiducia da parte del Ministro Vito che mi sembra più che motivata.
Infatti, signor Presidente, abbiamo affrontato una discussione sulle linee generali chiusasi con una votazione, ma nella quale avevamo oltre 250 iscritti a parlare residui.
Era stato presentato anche un complesso degli emendamenti che se avessimo affrontato ieri, signor Presidente, avrebbe avuto 206 iscritti ed altri che avevano la possibilità di aggiungersi; credibilmente avremmo dovuto chiudere con un'altra votazione per poi entrare nel merito dell'esame del provvedimento e degli emendamenti che, allo stato attuale, rimangono ancora oltre 490, quindi quasi 500.
È evidente che, con l'imminenza della scadenza del termine per l'approvazione del decreto-legge in esame e con la necessità, avendo apportato in questa Camera del Parlamento delle modifiche al testo, di convocare anche il Senato per approfondire ed esaminare il suddetto decreto e convertirlo definitivamente in legge, i tempi impongono al Governo di fare l'unica cosa che è nella possibilità dello stesso, ossia quella della posizione della questione di fiducia.
Credo che questo sia un atto di serietà rispetto al quale la maggioranza si assume la propria responsabilità anche attraverso il voto di fiducia e l'atteggiamento politico e parlamentare conseguente.
Signor Presidente, è evidente anche che, ogni qual volta succede qualcosa del genere, assistiamo ad una sorta di festival dell'ipocrisia.
Invito il collega Baretta, che non ricordo se fosse deputato o meno nella scorsa legislatura, ad andarsi a guardare il decreto-legge milleproroghe del Governo Prodi del 2007, detto anche decreto-legge millederoghe, con il quale a proposito di ippopotami - e mi rivolgo in particolare ai colleghi Baretta e Borghesi, che erano nella maggioranza nella scorsa legislatura - parliamo di 52 articoli e 107 commi, non certo scritti meglio in letteratura italiana, non certo scritti da Dante, ma scritti credibilmente in un linguaggio giuridico, che somiglia molto a quello delle correzioni testé lette in Aula dal presidente della Commissione bilancio, onorevole Giancarlo Giorgetti.
Credo allora, signor Presidente, che il punto sia sempre il solito. Quest'Aula, tra l'altro, non vede la posizione della questione di fiducia da parte del Governo dal luglio dell'anno scorso, quindi le ultime questioni di fiducia che sono state votate, ovvero le ultime tre volte che i nostri colleghi sono passati sotto il banco della Presidenza a dire «sì» o «no» alla questione di fiducia, sono state poste per questioni sottoposte dalle dinamiche politiche di questo Parlamento, il 29 settembre, il 14 dicembre e ancora recentemente di fronte alla sfiducia individuale nei confronti del Ministro Bondi ed è sotto gli occhi di tutti e di tutta evidenza come è andato a finire quel voto di fiducia.
In questo caso, a differenza di quelle altre tre volte, il Governo pone la questione di fiducia su un provvedimento, ed era da luglio del 2010 che questo non avveniva. Quindi, per cortesia, risparmiateci lo stracciarsi le vesti nei confronti Pag. 7della mortificazione del Parlamento e dell'uso eccessivo dei decreti-legge. Questa volta - sì, è vero - rispetto al solito vi è stato un elemento nuovo, ovvero la lettera del Capo dello Stato e la collaborazione che il Governo ha inteso mettere in campo e con il Governo - permettetemi - anche forse la maggioranza nei confronti dei rilievi posti dal Capo dello Stato. È quindi una dialettica certamente positiva e proficua di un confronto leale tra le istituzioni, tra il Governo e il Capo dello Stato. Se si fosse voluto, anche tra il Governo e il Parlamento, che certamente è l'organo che poi sancisce questo momento di incontro istituzionale, si sarebbe potuto registrare - ne prendo atto con rammarico - la leale collaborazione tra maggioranza e opposizione e un cambio di atteggiamento.

PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Baldelli.

SIMONE BALDELLI. È evidente che non essendoci stato questo cambio di atteggiamento, permanendo un numero di proposte emendative così importante e disponendo l'opposizione, per le ragioni che tutti conosciamo, di un tempo illimitato sul disegno di legge di conversione del decreto-legge, che va dall'illustrazione delle proposte emendative che anche qualora fossero state ridotte, come pure aveva accennato nella sua ipotesi l'onorevole Franceschini, non avrebbe comunque dato la possibilità di convertire il decreto-legge...

PRESIDENTE. Deve concludere, onorevole Baldelli.

SIMONE BALDELLI. Infatti, signor Presidente, le dichiarazioni di voto illimitate e gli ordini del giorno con un tempo che tutti conosciamo, è bene evidente...

ROBERTO GIACHETTI. Ma che stai dicendo! Stai svalvolando!

PRESIDENTE. Onorevole Giachetti, la richiamo all'ordine, onorevole Giachetti, la prego!
Concluda, onorevole Baldelli, il tempo a sua disposizione è terminato.

SIMONE BALDELLI. Ci sarebbe stata la possibilità da parte delle opposizioni di far decadere comunque il decreto-legge...

PRESIDENTE. Onorevole Baldelli, è terminato il tempo a sua disposizione, l'ho richiamata due volte.

AMEDEO CICCANTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

AMEDEO CICCANTI. Signor Presidente, noi dell'Unione di Centro volevamo sottolineare che in questa vicenda forse il nostro è il gruppo più coerente in questo Parlamento, perché già nel 2006, nel 2007 e nel 2008 dicevamo le stesse cose che diciamo adesso. Avevamo infatti contestato allora le milleproroghe del Governo Prodi, e le milleproroghe del Governo Berlusconi e le stiamo contestando adesso.
Abbiamo fatto un'opposizione costruttiva su questo provvedimento nelle Commissioni e direi che con tutta l'opposizione siamo stati costruttivi, perché pur volendo discutere del provvedimento riducendo al massimo le proposte emendative (ci siamo limitati ad una trentina), l'auto-ostruzionismo che ha fatto la maggioranza non ci ha consentito di discuterli. Oggi ci troviamo quindi di fronte a una situazione per cui l'opposizione non ha potuto discutere nelle Commissioni né può discutere qui in Aula di questo provvedimento a causa del voto di fiducia.
Va detto che quando l'onorevole Baldelli dice che da luglio 2010 non si pongono questioni di fiducia su provvedimenti del Governo, questo avviene per la semplice ragione che il Governo dal 2010 è paralizzato e non riesce a produrre legislazione in questo Parlamento.

SIMONE BALDELLI. Abbiamo fatto la finanziaria!

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AMEDEO CICCANTI. È un dato di fatto, lo ha riconosciuto anche lei. Il voto di fiducia, dobbiamo aggiungere, viene posto oggi per tutelare la maggioranza dalle proprie divisioni interne, perché è noto a tutti quanto alcuni parlamentari che si sono trasferiti dai banchi dell'opposizione ai banchi della maggioranza in quest'aula abbiano fatto battaglie per esempio sull'anatocismo, proprio da quei banchi lì, ed oggi hanno qualche difficoltà ad approvare un provvedimento che su questo punto praticamente vessa i risparmiatori, che, nonostante le sentenze a loro favore, si vedono negata la restituzione degli interessi.
Voglio dire che la responsabilità del provvedimento in esame, ancorché il Primo Ministro Berlusconi faccia riferimento a dei purosangue che scalpitano dentro al Governo e che poi diventano ippopotami qui in aula, è del Governo, che nella sua collegialità, quando si esprime nel Parlamento, ha dato il parere favorevole su tutti gli emendamenti che al Senato sono stati aggiunti al provvedimento originario. Non si può chiamare fuori: è vero che la responsabilità è della maggioranza, perché degli emendamenti aggiuntivi, ancorché si vogliano considerare quelli bipartisan, concordati o dell'opposizione, i due terzi - e sono i peggiori se andate a vedere la firma di chi li ha inseriti - appartengono alla maggioranza. Quindi maggioranza e Governo, uniti in queste atrocità giuridiche che sono state riscontrate anche dalla lettura che ha fatto il presidente Giorgetti sulle modifiche che devono essere apportate, hanno una comune matrice e una comune responsabilità, che vi dovete assumere fino in fondo.
Quindi, signor Presidente, noi riteniamo che si sia consumato anche in questa occasione un autogol, una débâcle della maggioranza e non è che questo è stato determinato soltanto dalla lettera del Presidente della Repubblica che lei correttamente ha letto in quest'aula, perché il Presidente della Repubblica aveva dato una via d'uscita e la via d'uscita non è stata seguita.

PRESIDENTE. Concluda.

AMEDEO CICCANTI. È stata fatta una cosa a mezza strada, che è un rimedio peggiore del male (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).

BENEDETTO DELLA VEDOVA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BENEDETTO DELLA VEDOVA. Signor Presidente, intervengo sull'ordine dei lavori anche per rispondere alle parole del collega Baldelli: nessuno si straccia le vesti per l'ennesima fiducia e siamo stati in maggioranza e all'opposizione. Il problema però, onorevole Baldelli, è anche che è comprensibile richiamare i precedenti delle parti avverse, però lo sforzo complessivo dovrebbe essere quello di fare meglio, non sempre di fare peggio da tutti i punti di vista. Questa vicenda è segnata da quello che lei ha chiamato episodio di collaborazione tra Governo e Capo dello Stato, che contiene un richiamo che mi auguro possa essere seguito nel prosieguo della legislatura: va bene collaborare, teniamo conto anche delle cose che sono state dette e scritte per non ritrovarci nella stessa situazione.
Volevo concludere dicendo che la leale collaborazione tra maggioranza ed opposizione in questo frangente è saltata - lo dico anche al presidente Giorgetti ed al presidente Bruno - perché noi ci siamo trovati nella lunare situazione di essere ore e ore nelle Commissioni congiunte bilancio e affari costituzionali senza riuscire a votare nulla, nemmeno il mandato al relatore sul provvedimento, e certamente non per responsabilità dell'opposizione. Pertanto se la situazione si è particolarmente ingarbugliata è perché probabilmente vi era qualcuno che confidava sul fine settimana e confidando sul fine settimana ha impedito alle Commissioni di merito di esprimere qualsiasi valutazione sul provvedimento che poi è arrivato e come sappiamo ci ha portato fino qui. Pag. 9
Quindi, va bene richiamare i precedenti, ma facciamo in modo tutti quanti che si vada avanti e che i precedenti non servano per giustificare i passi indietro.

PRESIDENTE. A seguito della decisione del Governo di porre la questione di fiducia, la Conferenza dei presidenti di gruppo è convocata fra cinque minuti al piano Aula per organizzare il seguito del dibattito.
Sospendo, quindi, la seduta, che riprenderà al termine della riunione della Conferenza dei presidenti di gruppo.

La seduta, sospesa alle 9,45, è ripresa alle 10,10.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MAURIZIO LUPI

Sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Comunico che la Conferenza dei Presidenti di gruppo si è testé riunita per definire l'organizzazione del dibattito conseguente alla posizione della questione di fiducia sull'approvazione, senza subemendamenti e articoli aggiuntivi, dell'emendamento Dis. 1.1 del Governo, nel testo modificato, interamente sostitutivo dell'articolo unico del disegno legge di conversione del decreto-legge proroga termini (approvato dal Senato - scadenza 27 febbraio 2011).
Nella seduta odierna avranno luogo gli interventi per l'illustrazione degli emendamenti, con eventuale prosecuzione notturna.
Le dichiarazioni di voto sulla fiducia avranno luogo domani, venerdì 25 febbraio, a partire dalle ore 9. Seguirà la votazione per appello nominale sulla questione di fiducia.
Domani, dopo il voto di fiducia, si passerà alla fase dell'esame degli ordini del giorno. Nella stessa giornata di domani, a partire dalle ore 14, avranno luogo le dichiarazioni di voto finale, con ripresa televisiva diretta degli interventi dei rappresentanti dei gruppi e delle componenti politiche nel gruppo Misto. Seguirà la votazione finale del disegno di legge di conversione.
Il termine per la presentazione degli ordini del giorno è fissato alle ore 16 di oggi.

Si riprende la discussione.

(Illustrazione delle proposte emendative A.C. 4086)

PRESIDENTE. Essendo stata posta la questione di fiducia il dibattito proseguirà a norma dell'articolo 116 del Regolamento, così come costantemente interpretato su conforme parere della Giunta per il Regolamento. Pertanto, potranno intervenire i presentatori degli emendamenti che non siano stati già illustrati, per non più di 30 minuti.
Ha chiesto di parlare l'onorevole Nannicini. Ne ha facoltà per non più di 30 minuti.

ROLANDO NANNICINI. Me ne basteranno 27, signor Presidente.

PRESIDENTE. Molto gentile, onorevole Nannicini, la ascolterò con molta attenzione.

ROLANDO NANNICINI. Signor Presidente, il gruppo del Partito Democratico quale gruppo di opposizione ha sempre prestato, su questo decreto-legge, attenzione ai contenuti e siamo veramente dispiaciuti di quanto è accaduto anche nella discussione nelle Commissioni poiché ci sono stati cinquanta giorni di esame al Senato e solo dieci giorni alla Camera dei deputati. Quindi sapevamo fin dall'inizio quale sarebbe stato lo spazio emendativo e gli elementi di risoluzione di un provvedimento già molto esteso. Esso era partito con cinque articoli e 26 commi - come ci ricorda la lettera del Presidente della Repubblica - e si è trasformato nel testo Pag. 10arrivato alla nostra attenzione con l'aggiunta di ulteriori cinque articoli e 128 commi.
Al di là di qualunque riflessione sul contenuto, qual è il metodo? Il metodo è stato quello inaugurato già nel 2001 con lo strumento del decreto-legge «milleproroghe», che poteva aggirare la legge finanziaria, ma che era coerente rispetto ad alcuni elementi di alcuni testi legislativi che necessitavano attenzione per prorogare o per rispettare l'attuazione di alcune scadenze.
Questa volta invece il «milleproroghe» è stato trasformato con tre passaggi. Al primo testo inviato al Senato la Commissione bilancio ha apportato alcune modifiche, non sui quattro articoli e sui contenuti, ma estendendo a dismisura i contenuti del decreto-legge e successivamente, con la presentazione del maxiemendamento, neppure la Commissione bilancio del Senato e l'Aula sono stati in grado di discutere e di verificarne i contenuti.
Quindi, noi abbiamo un decreto-legge originario che parte da alcuni temi, che è ristretto ed ha una sua dimensione e che, nel dibattito nell'altro ramo del Parlamento, viene dilatato e ampliato con l'obiettivo sbagliato della maggioranza e del Governo di convertire non il decreto-legge riguardante i temi iniziali, ma uno allargato a nuovi temi.
Non si tratta di cose di poco conto: tassazione privilegiata del sistema bancario, quote latte, alcuni elementi aggiuntivi su enti lirici, come l'Arena di Verona e il Teatro alla Scala (e non si comprende poi quali siano gli elementi) e il 5 per mille, per il quale noi abbiamo fatto una grande battaglia sulla copertura totale, già discussa sia nel decreto-legge n. 78 del 2010 sia nella legge di stabilità, e per il quale ci si dice che vi è la totale copertura dei 400 milioni di euro, ma non è così perché 100 milioni di euro sono stati sottratti e gli altri 300 milioni non sono coperti. Vi sono di nuovo, sempre, elementi di propaganda e di aggiustamento. Vi è una legislazione continua e nessuno mai ferma questi elementi.
Altra questione è rappresentata dalla proroga, giusta, della sospensione delle imposte nelle aree terremotate della provincia de L'Aquila e per i comuni coinvolti dal terremoto - norma sollecitata anche dall'opposizione -, senza però una copertura: non importa, l'articolo 81 della Costituzione è un optional.
Non potete pensare di adottare dei provvedimenti senza un confronto dialettico con l'intero Parlamento, perché i provvedimenti che vengono così approvati non risolvono i problemi e contengono degli errori, sia nella copertura che nell'indirizzo. Poi, al provvedimento si dà un grande tono, con i termini «imprese» e «famiglie», che nel titolo sono tutti presenti; ma quali sono i problemi ai quali il cosiddetto decreto milleproroghe dà una soluzione rispetto alla situazione economica del Paese?
Voglio prendere ad esempio le quote latte: bisogna cessare di discuterne in questo modo, perché vi è una precisa norma europea che stabilisce che noi, come Italia, concorriamo con il 12 per cento degli incassi IVA - cioè dei 160 miliardi degli incassi IVA nazionali - alla politica comunitaria, che prevede, per il settore lattiero caseario, un indirizzo - giustamente europeo - di non applicazione del prezzo di mercato, perché non è remunerativo; è presente un sostegno alla produzione ma, allo stesso tempo, un vincolo alle quote di produzione. Vi sono almeno 200-300 produttori, non tanti, che non rispettano questa norma, vivono in una zona del nostro Paese e possono dare un risultato elettorale a qualche partito della maggioranza; si stanziano così 5 milioni di euro per pagare le loro multe e si congelano 1 miliardo e 36 milioni di euro di contributi europei per l'agricoltura italiana. Questo è il metodo, questo è il rigore e questa è l'attenzione: si paga due volte la stessa cosa!
Sappiate che non possiamo restare in una gestione di bilancio - in un Paese europeo come l'Italia, dove la spesa complessiva del nostro bilancio è pari a 798 miliardi di euro, almeno nell'ultimo rendiconto, non voglio dare una cifra totale - Pag. 11che prevede di pagare due volte le stesse cose; in questo modo si mettono poi in discussione altri interventi, perché è chiaro che dobbiamo mantenere lo stato sociale. Abbiamo rischi di carattere individuale che sono collettivi: il rischio di anzianità è legato alla previdenza, il rischio salute è legato al Servizio sanitario nazionale e i giovani devono avere necessariamente rispetto per il loro futuro: scuola, ricerca e università. Tuttavia, si prendono i fondi e si mescolano in una panacea di interventi dei parlamentari e del Governo di centrodestra, senza un indirizzo preciso e senza rigore. Non è credibile quindi nemmeno il rigore che si sostiene, invece, rispetto ad alcune leggi, anche di bilancio.
Non si possono proiettare tutte le difficoltà territoriali e corporative dentro il bilancio dello Stato, ma questo state realizzando in tutti i provvedimenti, anche nell'impostazione del federalismo fiscale, rispetto al quale non troviamo una riforma strutturale.
Ma vi rendete conto? Sul federalismo municipale si è inserita la norma per cui i comuni avranno finanziamenti dalle tasse immobiliari. Se andiamo a fare il conto, negli anni 2008-2010 questa tassazione è diminuita del 18 per cento. Se andrà così tutti gli anni, i comuni non troveranno i loro soldi. Non si distingue tra grande e piccolo comune, per cui una grande città potrebbe avere ristoro da questi finanziamenti per il suo intervento, mentre un piccolo comune o un comune di una certa dimensione non può avere risposta.
Tuttavia si va avanti, perché si dice che è stato realizzato il federalismo municipale, che è stato emanato il decreto-legge «milleproroghe» ed è stato risolto il problema dell'economia del Paese. È ingiusto il modo con cui state mortificando il dibattito nel Paese e non solo in Parlamento. Rilevo la mancanza di rispetto delle regole; infatti, quando un decreto-legge parte con dei principi e con dei contenuti, rimane su quei principi e su quei contenuti. Si fa un disegno di legge, si fa un nuovo decreto d'urgenza, si fa un'altra cosa.
Si discute di cosa fare in ordine alle banche e si discute di cosa fare sulla piccola e media impresa. Si tratta invece di norme casuali e disattente. Avete soppresso necessariamente, come ci ha detto il Ministro dell'economia, alcune norme chiamate anche (penso al salvataggio acquatico, che riguardava i bagnini e i relativi corsi) con nomi abbastanza divertenti. Siete stati costretti a riportare questo decreto-legge nell'ambito del rispetto dei principi dell'andamento legislativo e della correttezza procedurale, ma avete conservato nel testo alcune norme.
È chiaro che nella vostra maggioranza si arrabbia qualcuno. Perché lui ci rimane ed io sono stato escluso? Abbiamo visto una scena penosa ieri: rabbia dei deputati della maggioranza e due posizioni del Consiglio dei Ministri, una del sottosegretario Giorgetti e una del Ministro per i rapporti con il Parlamento, che non se la sentiva e non diceva che bisognava andare verso la fiducia, due posizioni vissute direttamente in Aula.
Vi è stata poi la scena di capannelli di parlamentari, come quelli campani, che vogliono sanare tutto quello che c'è di abusivo in circolazione ed insistevano, perché alcuni avevano tenuto le quote latte. Rappresentate quindi il Paese in modo diviso e disorganico, senza un progetto di riforma, né sulla situazione politica ed economica del Paese, né sulla necessaria ristrutturazione del nostro Stato sociale.
Di questo siete la rappresentanza e questo ci fate pensare.
Il decreto-legge è in scadenza ed è un decreto che fa una tagliola sui regolamenti parlamentari. Non ce la faremo a farlo saltare, perché fra tutte le norme non riusciremo mai a far saltare provvedimenti zibaldone di questo tipo, però è chiaro che dobbiamo denunciare al Paese che siamo di fronte ad un Governo che, rispetto alla sua impostazione originaria, ed ad un centrodestra sempre di più divisi nel Paese e sempre più egoisti rispetto ai suoi territori di rappresentanza. Pag. 12
Ma una visione nazionale e una visione europea non c'è mai su un problema? Si discute delle quote latte e si danno gli spiccioli, compromettendo l'intervento dello Stato e la garanzia di tale intervento a sostegno del settore lattiero-caseario. Chi ha pagato la multa, chi è stato in regola è da apprezzare nel settore della produzione lattiero-casearia; non si può fare sempre la scelta di risolvere i problemi di quei 300 perché sono di un certo territorio e di una determinata realtà.
Rispetto a chi ha costruito in modo abusivo nel Paese, senza fogne, senza strada e senza rispetto delle regole non si può attendere che sia passata in giudicato la sentenza, se non c'è la sentenza di demolizione, quando arriverà la sentenza. È solo un elemento territoriale, siamo sempre lì, perché in Campania dobbiamo risolvere i problemi del rapporto con i cittadini campani su un obiettivo sbagliato, che è l'abusivismo edilizio. Questo è il messaggio che state dando al Paese.
Incominciate a rendervi conto che sarebbe ora di cambiare registro, perché siete una maggioranza che non tiene nel Paese e non avete un'impostazione di carattere nazionale sui temi.
Voi ci dite che dal punto di vista elettorale questo Governo dal 2008 aumenta i consensi. Noi ci siamo permessi di fare i conti veri. In occasione delle elezioni europee del 2009 non c'è stata una grande flessione. C'è stata una riduzione di partecipazione al voto e di consensi ben distribuiti. Nel 2010, nelle 13 regioni in cui si è votato, avete perso, rispetto al 2008, 4 milioni e 850 mila voti. Questo è il tema! Il centrosinistra nel Paese ne ha persi 4 milioni e 350 mila, ma ne aveva persi tanti dal 2008 al 2009.
Nel 2010, quindi, il Paese vi ha chiesto di cambiare registro. Non potete tenere una maggioranza legata solo ai temi territoriali di un partito territoriale come la Lega Nord perché poi i parlamentari del sud o altri parlamentari - anche vostri - si stanno arrabbiando. Cercano degli elementi territoriali su questo, come la fine dei fondi FAS, che è diventato sempre un bancomat e non c'è una politica di indirizzo su questo. Potremmo portare 100 mila esempi. Quindi, su questo vi invitiamo a riflettere in questa fase politica, ad avere una dimensione nazionale sui temi che ci riguardano, ad avere delle regole ed un giusto rigore e rispetto riguardo ai cittadini. Infatti, i temi reali del Paese non sono dentro questo provvedimento: i giovani, le problematiche relative alla situazione economica sulla disoccupazione incipiente che si sta sviluppando.
Non sono solo gli ammortizzatori sociali che possono risolvere i problemi, anche se si stenta nell'intervento degli ammortizzatori. Quindi, quando adottate un provvedimento economico o di rapporto prima di tutto non è questo il contenitore, perché un «milleproroghe» non si poteva dilatare come avete fatto. Ci avete messo tutto e mi stupisco anche del Ministro Tremonti che molte volte ci abbaglia con la sua riflessione di rigore e di attenzione sul tema dei conti e poi ci porta un provvedimento che nella prima stesura costava un miliardo, con carenza di copertura. Lo ripeto: un miliardo, con carenza di copertura. Questi sono i fatti: rispondete a questo!
Quando, questa mattina, sono entrato in Aula l'onorevole Baldelli parlava di nuovo del Governo Prodi. Ma in dieci anni abbiamo governato due anni! In due anni abbiamo distrutto sempre il Paese? Siamo stati noi? Ma smettetela con questa discussione! Avete governato otto anni, avete iniziato voi ad approvare i decreti-legge «milleproroghe» e sarebbe l'ora di smettere di fare un provvedimento di fine anno che aggira la legge finanziaria ora legge di stabilità e che non sta nel rigore rispetto all'attenzione di alcune leggi promosse sulle scadenze e di alcuni temi.
Fate divenire straordinaria la possibilità di mettere addizionali dappertutto nelle realtà campane sottoposte al tema dei rifiuti. Si possono aumentare le accise, si può aumentare qui, si può aumentare là. Avete perso una riflessione di carattere nazionale, insisto su questo elemento. Quindi, noi vi diamo un semplice suggerimento: quando si imposta un provvedimento è necessario e indispensabile avere Pag. 13il necessario rigore e non soddisfare tutti gli appetiti territoriali o corporativi presenti nel Paese, perché su questo non risolviamo i problemi di un Paese industrializzato come l'Italia nel contesto europeo, non diamo soluzione ai suoi temi, creiamo delle aspettative, diamo degli elementi di disordine. Guardate che la vostra figura non è bella, perché si parte con un decreto-legge robusto, con l'intenzione di porre la fiducia e ottenere e poi risvuotate il provvedimento.
Staremo attenti sui successivi provvedimenti che volete prendere su questo settore. Speriamo che questi provvedimenti vengano all'interno del Parlamento e che la prima lettura si faccia alla Camera e non sempre al Senato dove vi è un Regolamento che consente di inserire qualsiasi cosa in qualunque provvedimento, mentre il nostro Regolamento è molto più rigoroso e più attento. Quindi, vi invitiamo a non procedere più in questo modo, con egoismi territoriali, corporativi e con disattenzione ai problemi del Paese (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Levi. Ne ha facoltà.

RICARDO FRANCO LEVI. Signor Presidente, interverrò con una breve introduzione di carattere generale ma poi vorrei soffermarmi su una questione più specifica, che è il tema della cultura, il grande tema che è uscito massacrato da questo provvedimento.
In termini generali, gli interventi che hanno preceduto il mio - e soprattutto quello del collega Baretta - hanno già dato il senso di questo modo di legiferare, improvvido nella forma e improvvido, ancor più, nella sostanza. Stiamo esautorando il Parlamento passo dopo passo, in una deriva che appare a tutti talmente preoccupante da superare ormai ogni limite di liceità. Ma avevo preannunciato, signor Presidente, che avrei voluto intrattenermi sul tema della cultura. In ordine al tema della cultura - e, dunque, di diffusione del sapere in tutte le forme consentite dalle nuove e dalle più antiche tecnologie - vi è un punto che ha toccato, in modo evidente, anche la sensibilità ordinaria dei cittadini italiani. Si tratta della misura con cui il Governo dispone, con questo provvedimento appunto, di imporre una nuova tassa. Questo Governo, che si è tanto costruito la propria immagine sullo slogan del «non mettiamo le mani nelle tasche degli italiani», ha messo, invece, prepotentemente le mani nelle tasche degli italiani, di tutti i cittadini in quanto spettatori del cinema.
Abbiamo assistito, in un certo senso, alla stravagante e inconcepibile decisione di imporre una tassa di un euro ad ogni cittadino che vorrà andare al cinema per uno spettacolo. Bastano pochi elementi di ordinaria aritmetica per calcolare quanto potrà costare di più a una normale famiglia italiana che desideri trascorrere una serata piacevole, magari nel fine settimana, andando a guardare uno dei film italiani che stanno facendo riprendere e che stanno dando senso alla produzione cinematografica e all'industria cinematografica italiana. Ebbene, questo svago e questa occasione anche di apprendimento, di cultura e di socializzazione viene tassato dal Governo e viene tassato dal Governo con quale logica perversa? Lo si tassa per affermare che con questa misura proroghiamo la possibilità di finanziare gli sgravi fiscali per chi voglia investire nel cinema stesso, ossia sostanzialmente facendo pagare agli spettatori italiani la possibilità di vedere dei buoni prodotti cinematografici.
Questo è un atteggiamento totalmente privo di senso da un punto di vista sociale, culturale e industriale. Si mettono a rischio, una volta di più, le certezze dell'industria cinematografica. Tra l'altro, vorrei precisare che questa misura implica mettere delle nubi anche su una futura possibilità di investimenti esteri nell'industria cinematografica italiana e, per di più, appare come un atto odioso nei confronti delle famiglie italiane. Basta pensare a quanto può già costare oggi, per una famiglia di quattro persone, andare al cinema tra biglietto, mezzi pubblici e ciò Pag. 14che si accompagna alla fruizione di uno spettacolo cinematografico. Ebbene, aggiungere un euro vuol dire proprio avere, in un certo senso, in disprezzo le ragioni della cultura, dei nostri cittadini e delle nostre famiglie.
Vi è un altro piccolo particolare che vorrei sollevare, forse meno immediatamente percepibile dai nostri cittadini, ma altrettanto grave.
Ci tengo a sollevarlo qui, dopo averlo già sollevato anche ieri in una seduta della Commissione cultura. L'anno scorso fu adottato un provvedimento che prendeva le mosse dal condivisibile scopo di difendere l'economia delle nostre famiglie, impedendo alle famiglie stesse di dover sopportare un gravame ingiustificato per un ingiustificato ed eccessivo mutamento nell'adozione dei testi scolastici, che ha segnato dunque - tutti lo condividono - una difesa dell'economia delle famiglie italiane.
Fu adottato, dunque, un bizzarro provvedimento che, per quanto riguarda l'adozione dei testi scolastici nella scuola primaria e nella scuola secondaria, disponeva un blocco delle adozioni stesse per un periodo di cinque anni nella scuola secondaria e per un periodo di sei anni nella scuola secondaria di primo grado. Pertanto, il complesso di tutti testi doveva essere interamente adottato una volta sola ogni cinque anni o ogni sei anni a seconda del grado delle scuole.
L'adozione di questo provvedimento - pur mosso da uno scopo condivisibile e che in realtà si inquadrava in un provvedimento più generale di smantellamento del modulo che aveva sin qui governato la scuola primaria - nella prassi ha evidenziato una serie di inconvenienti molto gravi.
Innanzitutto, una limitazione della libertà di insegnamento dei nostri docenti, che si trovano nell'impossibilità di poter cambiare i testi scolastici nel caso, ad esempio, fossero assegnati ad una nuova cattedra, e danni consistenti all'industria del libro, che si è trovata nelle condizioni di un congelamento nel funzionamento ordinario, per cui i testi scolastici non potranno più essere aggiornati in modo regolare sulla base delle nuove conoscenze scientifiche. Vi è stato peraltro un danno ulteriore perché tutta la catena di coloro che lavorano nel settore dei libri scolastici viene di fatto a trovarsi in una situazione precaria per questo andamento a singhiozzo con periodi di cinque o sei anni. Tutto ciò è avvenuto senza in realtà alcun beneficio per le famiglie italiane, in quanto è stato dimostrato che il risparmio è davvero risibile.
Per questo, noi avevamo presentato al Senato un emendamento, peraltro condiviso da tutte le parti politiche, che introduceva elementi di flessibilità nel sistema delle adozioni dei testi, prevedendo che ci fosse ogni anno la possibilità, salvo il 100 per cento della spesa, di intervenire con nuove adozioni sino ad un massimo del quinto del totale, con una norma sostanzialmente di buon senso, che consentiva di trovare un equilibrio tra le ragioni delle famiglie, dell'industria del libro e della libertà di insegnamento dei nostri docenti. Neanche questo emendamento - unitamente a tanti altri - è stato accettato nel corso dell'esame del provvedimento al Senato e oggi, ovviamente, non ce lo ritroviamo qui.
Come vedete, ho citato due esempi: uno più eclatante e più capace di trovare risalto sulle pagine dei giornali, ossia quello concernente l'odiosa tassa sul biglietto del cinema, l'altro che interviene più direttamente sul modo in cui è organizzato il nostro sistema scolastico.
Lasciatemi concludere con un riferimento - per tornare al mondo dello spettacolo - allo scempio realizzato, ancora una volta, in tema di fondazioni lirico-sinfoniche. Dopo lo sciagurato intervento dello scorso anno, ora si interviene con una mancia attribuita a due soltanto delle nostre fondazioni: alla Scala e all'Arena di Verona.
Voglio solo ricordare a commento di questo irragionevole - direi talmente irragionevole da essere offensivo - provvedimento l'insensata scelta che ha giustamente portato alle proteste degli operatori del Teatro dell'Opera di Roma e del Teatro La Fenice di Venezia e di tutti gli altri teatri Pag. 15che hanno eguale titolo a un supporto pubblico. La spiegazione di questo è venuta da un parlamentare della Lega Nord Padania che ha pubblicamente dichiarato - come riportato su tutti i giornali del Veneto - che la decisione era perfettamente comprensibile, i partiti della maggioranza avevano deciso che avendo da spendere due gettoni per le proprie fondazioni ed avendoli attribuiti alle loro regione forti - uno alla Lombardia e l'altro al Veneto - si erano chiesti dove all'interno del Veneto i voti della Lega Nord Padania si concentrassero, per cui, essendo più numerosi intorno a Verona piuttosto che a Venezia, sono stati assegnati all'Arena di Verona e non al Teatro La Fenice di Venezia perché, così ci fu spiegato, sono i voti che contano. Se sono i voti che debbono contare nella selezione degli interventi a favore della cultura, se questo è il modo nel quale questa maggioranza e questo Governo amministrano queste risorse, povera Italia, povera Italia in questo centocinquantesimo anniversario della propria Unità (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Di Stanislao. Ne ha facoltà.

AUGUSTO DI STANISLAO. Signor Presidente, ormai è chiaro a tutti che non basteranno uno, dieci, cento decreti milleproroghe a salvare credo né il Governo né tanto meno la maggioranza dalla confusione, dal voto, dall'accavallamento di annunci, dai proclami, dalle scelte sbagliate che Governo e maggioranza hanno voluto mettere in campo, tutte tese a propinare agli italiani una serie imbonimenti che non cambiano nella sostanza le condizioni di vita di interi settori della nostra società e della nostra economia.
Non basterà certamente aver intitolato questo decreto - che è un'ennesima presa in giro, ormai lo abbiamo capito tutti - proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie, quando in esso non troviamo un solo euro aggiuntivo per questi interventi, non una sola risorsa in più, ma solo uno spostamento di poste di bilancio, una diversa allocazione delle stesse risorse. È un gioco delle tre carte che ormai è palesemente scoperto.
Ricordo che nel nostro Paese abbiamo a che fare con un milione di persone senza lavoro ed in cassa integrazione, il dato della spesa complessiva per gli ammortizzatori sociali continua ad essere sconcertante. Fornisco qualche dato per far comprendere meglio. Non si tratta di propaganda o polemica spicciola ma si vuole indurre i colleghi della maggioranza a riflettere - laddove il Governo è sordo ai richiami della concretezza del quotidiano che vengono dal nostro Paese - sull'inquietudine che muove sia interi settori del comparto dell'economia sia interi nuclei familiari.
A questo riguardo, l'Italia spende, in termini di PIL, circa la metà degli altri Paesi europei, meno della Germania, della Francia, del Belgio, e siamo agli ultimi posti insieme - non è una buona compagnia - alla Grecia ed alla Bulgaria.
Nelle azioni di aiuto alle famiglie viene confermato anche in questo decreto un panorama desolante, con il Fondo nazionale politiche sociali ridotto di un terzo, il Fondo per le famiglie ridotto a pochi milioni di euro, il Fondo per la non autosufficienza quasi azzerato. Forse si potrà dire che non era questo il provvedimento, lo strumento, né il momento per affrontare tali questioni, ma questo non è vero. In realtà lo è stato, com'è stato dimostrato affrontando - per darvi risposte - alcune problematiche, sempre aperte ed annose, quali quelle delle quote latte, dell'abusivismo edilizio in Campania, dell'aumento del numero degli assessori della giunta Alemanno, degli interessi degli oligopoli televisivi, del Banco Posta, degli interessi del sistema bancario, dell'anatocismo. A questo riguardo, vorrei tanto sapere cosa dirà il nostro caro ex collega che si è tanto battuto su questi temi e se avrà il coraggio di votare a favore, quando arriverà in Aula domani, per dare la fiducia al Governo. Pag. 16
Che cosa farà e che cosa dirà questo nostro ex collega, che si è speso formalmente su questi temi, coinvolgendo tante persone in tutta Italia? Vediamo se avrà ancora la faccia di venire in Aula a sostenere quelle battaglie, che non sono di un tempo ma di qualche settimana, che hanno a che fare con il sistema bancario e con l'anatocismo. Sarà un bel vedere domani. La questione di fondo cui siamo arrivati, su cui la maggioranza ci chiede di votare, è che siamo costretti a confrontarci con il controllo di bilancio pubblico, che è cosa importante, ma che andava affrontato in modo diverso e sicuramente più equo. Voi avete scelto la strada più facile. Avete rinnegato le riforme promesse, non siete stati capaci di investire sul futuro puntando sull'istruzione, la ricerca e l'innovazione. Avete fatto pagare il conto ai lavoratori dipendenti, ai giovani, ai precari, ai piccoli imprenditori e alle famiglie, proprio quelli che volevate aiutare con questo strumento di proroga. Vi sono stati tagli alla cieca nei trasferimenti agli enti locali, con la conseguenza di aumenti delle tariffe per i servizi pubblici, mense scolastiche, trasporti, assistenza agli anziani. Nel frattempo, gli italiani hanno perso in media mille euro di reddito a testa, con una recessione che colpisce duramente non solo il sud, ma anche le più forti regioni del nord ovest, come la Lombardia e il Piemonte. Sono questi i dati recenti e drammatici che vengono forniti non dall'Italia dei Valori, ma dall'ISTAT. Noi non vediamo spiragli concreti di uscita né vediamo che lo strumento del federalismo, che è così confuso, possa dare veramente qualche risposta agli enti locali attraverso il Parlamento. Si aumenta la tassazione su fabbricati di artigiani e piccoli imprenditori, si introducono le imposte di scopo e di soggiorno, al contrario si fanno sconti fiscali con la cedolare secca ai grandi proprietari.
Non mi arrischio a definire questo milleproroghe con un termine indelicato, però, per far capire a chi è sordo e non vuole ascoltare il grido di dolore che viene dal nostro Paese - come dicevo dai settori determinanti dell'economia - il senso vero, molto probabilmente serve una battuta che tolga di mezzo i formalismi, la propaganda e metta in campo, invece, una concretezza e una crudeltà nuda, con la quale dovremo confrontarci. Evidentemente, questo milleproroghe contiene molto probabilmente - sicuramente andando a leggerlo e a ridefinire alcuni aspetti che sono emersi in Aula - novecentonovanta marchette e dieci proroghe, dieci questioni concrete. Le restanti sono cose che non hanno niente a che fare con gli interessi generali del Paese.
Credo che su questo tema ci dovremmo interrogare, perché se così è, come viene fuori da questi atti, evidentemente questo milleproroghe dimostra un altro aspetto fondamentale: forse questo Paese in questo momento, in questa situazione e nella sua immediata prospettiva, da qui a qualche settimana, non a qualche anno, di tutto aveva bisogno meno che di un decreto milleproroghe. Forse, finalmente, dopo tanti annunci, tanti proclami e tante situazioni fumose ed evanescenti che si giocano sulla pelle dell'economia e delle famiglie e soprattutto sul futuro negato ai giovani, era necessaria una vera e propria manovra di politica economica, cosa che non si mette in campo, che non si riesce a fare. Dunque, come Italia dei Valori, noi crediamo che sia urgente costruire una manovra di politica economica degna di questo nome. È urgente per affrontare la situazione delle famiglie, delle imprese, per sostenere la crescita e lo sviluppo, ma anche perché a breve, a marzo, quindi fra qualche decina di giorni, il Consiglio europeo varerà le nuove linee di azione in campo socio-economico. Noi siamo qui a guardare, anzi voi siete qui a guardare e ci costringete a perdere giornate intere a non fare nulla. Quindi, è necessaria una manovra a sostegno delle famiglie, della ricerca, delle infrastrutture, delle forze di sicurezza, delle forze dell'ordine, dei carabinieri e della polizia, che hanno subito, loro sì, dei tagli, che non riescono a mettere in campo le loro azioni, che non riescono ad accendere le macchine perché Pag. 17sono stati tagliati 60 milioni di euro, mentre 30 milioni sono stati regalati per le quote latte.
Evidentemente, in questo contesto, vi è poco da ridere e da fare propaganda. Noi stiamo cercando di sostenere un impegno teso a fare aprire gli occhi agli italiani, visto che il Governo e la maggioranza non vogliono farlo e si comportano da bella addormentata. Stiamo dicendo che forse la misura è colma e che certamente questi interventi non hanno nulla a che fare con una capacità di rimessa in moto della macchina economica.
Non siamo assolutamente credibili: siamo sempre agganciati agli ultimi, alla Bulgaria, alla Grecia. Forse qualcuno deve fare i conti con la realtà, che da un momento all'altro ci costringerà a fare i conti anche con quegli Stati che, fino ad oggi, hanno segnato il passo. Rischiamo di essere risucchiati in un limbo che non ci meritiamo, perché il Paese, le famiglie, le imprese, il complessivo sistema Paese hanno fatto interamente il proprio dovere.
Chi non ha fatto il proprio dovere sono questo Governo e questa maggioranza. Il tema non è se sono state previste 35, 36 o 40 proroghe o questioni di fiducia. Il tema è che non vi è in questo Paese una manovra di politica economica seria, moderna, che punti all'innovazione, che guardi al futuro, che dia speranza, che dia certezza, che dia risorse, che scelga, finalmente.
Non vi è una scelta degna di un Governo moderno ed europeo, che faccia dell'innovazione il perno per le sue azioni. Non vi è un fondo, non vi è una lira sulla ricerca e l'innovazione, per l'università. Non vi è nulla che faccia prefigurare uno straccio di futuro all'interno del quale qualcuno almeno possa inserirsi, tanto meno le nuove generazioni. Competenze, professionalità, ma di cosa stiamo parlando?
Volete finalmente svegliarvi, fare delle scelte e mettere risorse, piuttosto che andarle a polverizzare per dare prebende agli amici degli amici e soddisfare qualcuno a danno di qualcun altro? Voi ogni volta soddisfate qualcuno, mentre tanti altri non ce la fanno ad arrivare alla fine del mese. Tante famiglie non ce la fanno ad arrivare alla fine del mese, ma nemmeno alla terza settimana: siamo alla seconda settimana e voi vi permettete il lusso di fare, ancora una volta, un decreto milleproroghe indegno, che non tiene conto di tutti questi elementi, che non aiuta il sistema Paese, che aiuta qualche amico, ma, soprattutto, che non ci aggancia ad una ripresa di carattere europeo.
Il fatto che non vi siate assolutamente posto il problema che tra qualche decina di giorni il Consiglio europeo varerà le nuove linee guida di azione, che metteranno in campo elementi di politica economica forte, evidentemente sta a significare che voi ci fate veramente diventare una Repubblica a sé, che non fa sostanzialmente parte del sistema europeo, che non si aggancia a quella profondità di azione, a quel futuro e a quella forza di competitività che mettono in campo gli altri Paesi europei.
Credo che su questo l'intero Parlamento si debba domandare se sia giusta o meno la riflessione sterile alla quale voi ci costringete in questo Camera, se ogni volta ci portate un decreto milleproroghe. Credo che dobbiamo rifiutare - lo dico ai colleghi dell'opposizione - questo tipo di atteggiamento verso il quale ci portate costantemente, perché è un vicolo cieco, un vicolo chiuso, e cominciare a incastrarvi per ragionare di politica economica, per capire se avete un'idea dello scenario, se qualcuno ha idea di come mettere in campo nuove e diverse opzioni, oppure se ci meritiamo un Ministro dell'economia, come Tremonti, che viene a dirci le cose da cassare, piuttosto che quelle da mettere in campo.
Pensavo che ieri il Ministro venisse per dirci che, probabilmente, si era sbagliato su alcuni elementi che riguardavano lo scenario, per dirci di volerli rimodulare, anche sulla base delle indicazioni forniteci dal Capo dello Stato, e quindi di voler togliere, non tagliare, alcune cose che sono indegne di un decreto, per metterci le cose di sostanza che danno finalmente risposte, Pag. 18soprattutto perché avete titolato il decreto-legge come un intervento a favore delle imprese e delle famiglie.
Di tutto si parla, tante risorse vengono messe in campo, meno che per le famiglie e per le imprese. Vi ricordo che il sistema delle piccole e medie imprese rappresenta oltre l'80 per cento del nostro sistema economico e finanziario. È la spina dorsale della nostra economia.
Quale attenzione vi è rispetto a questi dati? Me lo dicano i colleghi della maggioranza ed il Governo. Dicano, voce per voce, quali e quanti elementi di azione sono stati messi in campo in questo decreto milleproroghe a sostegno del sistema delle imprese e a favore delle famiglie. Credo che non vi sia nulla a tale proposito e qui non si tratta di propaganda e di opposizione, è un dato di fatto.
Quando citiamo gli elementi che hanno a che fare con i dati dell'ISTAT non vi è colore politico, ma un dato talmente asettico ed inquietante verso cui dovreste indignarvi per primi!
Esprimiamo l'indignazione dell'intero Parlamento e di gran parte del Paese, ma questa indignazione arriva a voi e diventa un elemento di sordità. Non vi accorgete di essere ormai lontanissimi dal Paese reale, disegnate costantemente delle situazioni che non esistono più, promettete ancora, per la quarta volta, piani case, la creazione della Banca del Mezzogiorno, tanti elementi che dovrebbero servire a dare finalmente uno scossone.
Non è che siamo alla frutta, ma per la presenza di alcuni autorevoli colleghi che hanno a che fare con il mondo dello spettacolo, forse bisogna dire che questo Governo e questa maggioranza oggi appartengono più al mondo dell'avanspettacolo che ad uno con elementi di concretezza.
Cari colleghi, cara maggioranza, non siamo indelicati né maleducati, vi stiamo rappresentando un'Italia che esiste veramente. Uscite fuori da questo Palazzo, andate nei mercati, in giro, vedete se nei negozi trovate ancora gente che riesce a comprare, che va ancora in giro. Guardate se esistono ancora facce che sorridono, che hanno ancora voglia di vivere e qualche speranza.
Voi pensate o no a questa gente? Parliamo della stragrande maggioranza degli italiani, ossia di quelle persone di cui parlavo prima che oggi hanno mille euro in meno all'anno per poter fare delle cose di sostanza, non per permettersi qualche eccesso.
Credo che, su questi temi, oggi, come opposizione, come maggioranza, come persone che hanno una coscienza propria al di là delle appartenenze politiche, questo dovrebbe essere l'ultimo elemento che ci porta a ragionare su un decreto milleproroghe per cominciare a vincolarvi verso l'impegno che avete preso, al di là della fascinazione e dell'imbroglio grande che avete propinato agli italiani due anni fa e iniziare, finalmente, a lavorare, mettere in campo e costruire una manovra di politica economica degna di questo nome. Su questo tema dovremo poi confrontarci tutti, ma fate che questo confronto avvenga su questioni di concretezza.
Ci avete fatto perdere giornate, settimane intere a non fare niente! In questi tre o quattro giorni non abbiamo fatto nulla se non aspettare che qualcuno vi dicesse che avete sbagliato quasi tutto nell'impostazione messa in campo.
Credo che oggi non facciamo qui in Aula testimonianza, ma segnaliamo la necessità che il Paese si possa avvalere di un Governo finalmente consapevole, maturo, europeo, moderno, ma, soprattutto - concludo - che si assuma definitivamente le proprie responsabilità perché con i proclami non si può più andare avanti.
Questo nostro Paese merita di più e qualcosa di diverso: un Governo e gente affidabili, capaci di reggere l'urto della sfida della globalizzazione e che ci porti fuori dalle secche e ci faccia ridiventare quel Paese che era tra le prime potenze del mondo e che dava, a quei tempi, una grande prospettiva ed un grande futuro non solo alle famiglie e alle imprese, ma soprattutto alle nuove generazioni (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

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PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Bachelet. Ne ha facoltà.

GIOVANNI BATTISTA BACHELET. Signor Presidente, anzitutto mi sembra importante esprimere soddisfazione per la soppressione della norma che prevedeva il congelamento delle graduatorie per gli insegnanti di tutte le scuole, un congelamento che sarebbe giunto sino a quasi due anni scolastici a partire da oggi. È una cosa importante.
È un peccato che molte altre cose che pure erano incostituzionali e contrastavano con principi fondamentali, come vedremo, o avrebbero potuto causare gravi danni non siano state parimenti rimosse.
Tuttavia, anche a proposito di questa osservazione positiva, vorrei avvertire e chiedere al Ministro di stare attento prima di fare un altro «papocchio» ed essere sommerso da una valanga di ricorsi.
Infatti, quando c'è di mezzo l'articolo 3 della Costituzione e una sentenza della Corte costituzionale, occorre muoversi con i piedi di piombo. Occorre ricordare, ad esempio, le categorie protette dalla riserva della legge n. 68 del 1999, ovvero quelli che scoprono all'improvviso di avere una brutta malattia o sono colpiti da una grave disabilità, ai quali deve essere consentito per legge di aggiornare la propria posizione; vi sono poi dei laureati in scienze della formazione, che sono stati automaticamente abilitati nel frattempo, e vi sono quelli che sono stati abilitati in strumento musicale.
Tutto questo grande pastrocchio, in realtà, non è risolubile soltanto con pannicelli caldi. La verità è che non si può mettere fine a una guerra fra poveri e al caos della scuola con assunzioni a contagocce. Se il piano triennale di Fioroni di 150 mila assunzioni per coprire almeno i posti vacanti e disponibili non fosse stato fermato dal Ministro, tutti quelli che oggi combattono per un posto in più o in meno in graduatoria sarebbero stati già assunti. E dunque la vera soluzione è almeno pensare a coprire i posti vacanti e disponibili, come il PD chiede da tempo.
Oltre ciò vi sono molte altre cose che sono state rese impossibili dalla decisione del Governo e della maggioranza di non potere in questo ramo del Parlamento fare assolutamente nulla. È piuttosto triste trovarsi a discutere dopo avere già saputo che è stata posta la questione di fiducia su questo provvedimento e che dunque nessuna delle nostre proposte emendative potrà essere, non dico votata, ma nemmeno discussa in dettaglio.
Ora io vorrei almeno menzionare alcune delle proposte emendative che sono state dichiarate inammissibili al Senato e che avremmo qui riproposto. Ad esempio lo scorporo parziale dello stipendio del personale medico nelle università. È un punto fondamentale, perché nelle università il personale medico è parzialmente impegnato in assistenza, ma questo artificio contabile è quello che l'anno scorso, grazie a una nostra proposta emendativa passata in questo ramo del Parlamento, ha consentito a molte università di non cadere sotto la cosiddetta tagliola del 90 per cento. È una tagliola, peraltro, discutibile che definisce virtuosa quell'università che spende meno del 90 per cento in stipendi dei propri dipendenti. È una vera follia nel momento in cui il fondo di finanziamento ordinario viene ridotto, perché, non essendo comprimibile il numero dei propri docenti o tecnici attraverso l'uso di camere a gas, è evidente che l'ammontare degli stipendi può soltanto rimanere uguale o aumentare. In queste circostanze, dopo i tagli degli ultimi tre anni, università che si trovavano al di sotto di questa soglia vanno a finire al di sopra, non perché hanno assunto troppa gente, ma perché il loro fondo ordinario è stato ridotto. È anche paradossale che il calcolo avvenga sul fondo ordinario. Se si calcolasse sul bilancio totale, esistono università che si troverebbero in ottima condizione. L'università di Modena, ad esempio, spende per stipendi solo il 50 per cento del bilancio totale, perché è brava ed è capace di attirare altri finanziamenti, oltre a quelli del fondo ordinario, ma la percentuale si calcola solo sul fondo ordinario e così anche università davvero virtuose, che riescono Pag. 20ad attirare altri finanziamenti in misura importante, non possono salvarsi.
Un'altra proposta emendativa che avrebbe aiutato, ad evitare la tagliola del 90 per cento, sarebbe stata quella che riportava almeno lo stipendio, dei portantini e degli infermieri che operano nei policlinici universitari, nell'ambito delle aziende sanitarie e non dei bilanci universitari. Ovviamente dopo la fiducia non sarà possibile presentare neanche tale proposta. Al Senato tali proposte sono state dichiarate inammissibili: è stato detto dalla loro Commissione bilancio, perché non c'è copertura per esse; ma questa è una balla, perché una di queste proposte emendative è già stata avanzata l'anno scorso e approvata da questo ramo del Parlamento.
Cosa dire della proroga dei concorsi? Consisteva in una semplice proposta emendativa, anch'essa morta grazie all'apposizione della questione fiducia, con la quale si assicurava che fino all'entrata in vigore delle nuove regole di reclutamento era possibile bandire posti sulla base di quelle già vigenti. Ora, siccome la regola del 90 per cento, cui facevo riferimento prima, impedisce di assumere, succederà che in 36 università non si potrà assumere nessuno, e anche nelle rimanenti 53 università non si potrà assumere, perché non ci saranno per tutto il 2011 le nuove regole del concorso, che non sono ancora uscite.
Tutte le balle dunque, relative ai 1.500 nuovi professori universitari nel 2011, come già avevamo detto al momento della discussione della legge Gelmini, si possono considerare ormai svelate: sono solo fumo e non ci saranno assunzioni di nessun tipo.
Neppure è stato possibile fare emendamenti che andassero incontro ai rilievi di criticità avanzati dal Presidente Napolitano quando fu promulgata la legge: vi erano quattro rilievi. Per esempio c'era quello sui lettori di madre lingua, i quali hanno dalla loro una sentenza della Corte costituzionale ed una della Corte europea, questione che era stata segnalata fra le quattro criticità del Presidente della Repubblica, ma non potrà essere corretta. E che dire del 10 per cento di riserva di borse per gli studenti di quel territorio voluto dalla Lega, che il Presidente aveva segnalato a suo tempo come incostituzionale? Anche qui non potremo correggere.
Al Senato molto di ciò fu dichiarato inammissibile, perché materia estranea al decreto originario. Allora, come ha fatto Schifani a permettere che il maxiemendamento al Senato contenesse i commi che avevano a che vedere con nientepopodimeno che l'istituzione del sistema di valutazione delle scuole dei docenti, una cosa importantissima, sulla quale il nostro partito ha presentato un ordine del giorno approvato dal Governo alla fine della manovra della scorsa primavera-estate per segnalare che ci volevano risorse per la valorizzazione del merito, dopo che quelle che erano state inizialmente previste saranno invece utilizzate per gli scatti stipendiali, sia pure in modo ancora oscuro? Ebbene, questo sistema di valutazione, che è un fatto cruciale e strategico, non è mai passato in nessun ramo del Parlamento, non è mai stato discusso, non è mai stato presentato dal Ministro: è un emendamento al milleproroghe e consiste nell'impegno ad emanare regolamenti su una materia per la quale non esiste una legge primaria, benché l'articolo 117 della Costituzione, il nuovo Titolo V, stabilisca che le norme generali dell'istruzione devono essere oggetto di una legge apposita.
Nel merito avremmo molto da dire su questa possibile organizzazione della valutazione, ma basti il fatto che non sono previsti oneri aggiuntivi e che ieri, nelle Commissioni, a proposito di una questione collegata (il nuovo regolamento dell'ANSAS, l'agenzia per il sostegno all'autonomia scolastica), la maggioranza ci ha vietato di mettere perfino in un'osservazione il fatto che dovesse esserci una pianta organica. Dunque, non vengono aggiunti soldi per la valutazione e non vengono previste nuove risorse umane. Come sempre si fa soltanto propaganda sul merito, perché invece nel maxiemendamento una cosa c'è: è la terza proroga del decreto legislativo che impedisce di usare il 10 per cento per il punteggio del diploma scolastico nell'ammissione alle università ed ai corsi Pag. 21universitari che hanno l'accesso a numero chiuso. Quindi la proposta, piuttosto moderata, di Mussi, quella che prevedeva che oltre alle crocette famigerate, ad esempio per l'entrata in medicina, vi fosse un peso almeno del 10 per cento dei voti della scuola, i voti del diploma e i voti della maturità, ebbene questa cosa è stata per la terza volta rimandata. Quindi, il merito non sembra interessare davvero, è soltanto oggetto di propaganda.
La nuova fiducia ci costringe oggi a dover spiegare le nostre idee e ad illustrare le nostre posizioni soltanto per il piacere degli ascoltatori di Radio Radicale e dei lettori dei resoconti parlamentari. Tutti i punti che abbiamo illustrato e che avrebbero potuto essere corretti attraverso una normale dialettica parlamentare rimarranno, infatti, soltanto agli atti.
Dunque, cosa dirò al mio collega Guido, capo di una realtà universitaria che non potrà assumere nessuno e quindi dovrà chiudere il settore di neuroscienze, perché va in pensione un professore, ma non è possibile assumerne un altro? Cosa dirò al mio collega Stefano, che non verrà chiamato benché abbia vinto un concorso da ordinario, perché la sua università ha sfondato il 90 per cento? Che cosa dirò alla mia amica Claudine, lettrice di madrelingua?
Cosa dirò al mio amico Roberto, il quale sposterà i suoi fondi sul CERN di Ginevra perché le nuove regole del decreto-legge Gelmini, che pure avrebbero potuto essere corrette con un emendamento, non permettono di spendere i fondi, benché vengano dall'Europa o dagli Stati Uniti, non appena passino attraverso la cassa del dipartimento del proprio ateneo? Dunque, l'unica cosa da fare è destinare i progetti ad altri Paesi: davvero un bel risultato.
Cosa potrò dire, dunque, a questi amici e a tanti altri? Potrò dire che non c'è, evidentemente, altro rimedio che sciogliere questo Parlamento e ottenere che il Paese voti un'altra maggioranza: solo questo potrà liberarci da un Governo che non ama il nostro Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Saluto gli studenti dell'università Roma Tre, del corso «Progetto opportunità delle regioni in Europa» (PORE), che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).
Saluto anche gli studenti della scuola secondaria di secondo grado Don Bosco, di Pordenone, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).
Ha chiesto di parlare l'onorevole Gnecchi. Ne ha facoltà.

MARIALUISA GNECCHI. Signor Presidente, onorevoli colleghi e onorevoli colleghe, parlerò di pensioni, anzi, per essere precisa, di ciò che si sarebbe potuto fare con il «milleproroghe» e che, invece, non è stato fatto.
Il decreto-legge in oggetto avrebbe potuto spostare di un anno l'entrata in vigore delle norme demolitorie del sistema previdenziale o, almeno, di sei mesi, come molti colleghi, anche di maggioranza, auspicavano. In questo periodo di tempo, si sarebbe potuto pensare realmente alle pensioni, a cosa fare e a come intervenire, tenendo conto che, in un periodo di crisi economica, di perdita del lavoro, di lavori precari e di difficoltà di arrivare alla fine del mese, agire negativamente anche sulle pensioni, senza che vi sia l'oggettiva necessità di farlo, significa solo peggiorare la situazione economica generale delle famiglie e, quindi, del Paese tutto.
Citerò, in seguito, le affermazioni del Ministro Sacconi e del collega Cazzola in campagna elettorale e all'inizio della legislatura, e la relazione del presidente dell'INPS, Mastropasqua, che, appunto nella relazione sul bilancio 2009 dell'INPS, il 27 aprile 2010, proprio qui alla Camera, aveva dichiarato che i fondi pensione dell'INPS erano in attivo di 9 miliardi e 700 milioni di euro.
Questa maggioranza è intervenuta sulle pensioni più volte e in modo molto contraddittorio. Non si capisce il disegno, il quadro che si vuole tracciare, con quale visione, e con quale idea di società si vogliono affrontare le modifiche.
Il sistema di sicurezza sociale e il sistema fiscale sono la carta di identità di uno Pag. 22Stato: continuare a modificare le regole, senza che si capiscano i motivi, crea insicurezza, alimenta la sfiducia nelle istituzioni, istiga al lavoro nero. Le conseguenze dell'insicurezza e della sfiducia nel futuro creano una società a rischio di devianza, riducono il livello di legalità e modificano strutturalmente il senso comune. Bisogna fidarsi, infatti, del Parlamento, di chi governa e di chi legifera: le leggi devono dare un'idea di futuro e di fiducia. Solo così una società può realmente crescere.
Gli interventi sul pubblico impiego, poi, dal maggio del 2008, dall'inizio della legislatura, sono stati deleteri. Con il decreto-legge n. 112 del 2008, convertito nella legge n. 133 del 2008, è stato previsto il pensionamento coatto al compimento dell'anzianità contributiva di 40 anni. Nello stesso provvedimento, però, si prevede la possibilità di esonero dal servizio - e, quindi, di esonero dal lavoro - fino ad un massimo di 5 anni e solo nel pubblico impiego. Il dipendente pubblico che ha 35 anni di contributi può chiedere l'esonero dal servizio e riceve il 50 per cento dello stipendio; riceve il 70 per cento se è impegnato in associazioni di volontariato.
Che messaggio si dà al - e del - dipendente pubblico con interventi di questo tipo? Se hai 40 anni di contributi, ti si può obbligare alla pensione; se ne hai 35, e stai a casa, ti regalo il 50 per cento dello stipendio. Si risparmia. Quindi, i dipendenti pubblici sono costosi e a volte inutili: meglio risparmiare.
Noi del gruppo Partito Democratico siamo per una pubblica amministrazione efficiente ed efficace, al servizio dei cittadini e delle cittadine. Se esiste chi non lavora, ovviamente, va punito ma non si possono generalizzare giudizi negativi, perché noi tutti abbiamo bisogno di chi lavora nel pubblico impiego, nella scuola, nella sanità, nei servizi e negli enti locali. La qualità della pubblica amministrazione determina direttamente la qualità della vita dei cittadini, delle imprese e della società.
Nel marzo 2009, quindi solo sette mesi dopo, con la legge n. 15 del 2009, i quarant'anni di contributi sono diventati quarant'anni di servizio effettivo, ma dopo altri quattro mesi, con la legge n. 102 del 2009 si ritorna ai quarant'anni di contributi, tranne che per i magistrati, i professori universitari e i medici. In un solo anno tre cambiamenti: pensionamenti coatti, ma contemporaneamente innalzamento dei requisiti per la pensione di vecchiaia per le donne nel pubblico impiego. Quindi, la domanda è la seguente: si vogliono tenere in servizio o mandare in pensione i pubblici dipendenti e in particolare le donne del pubblico impiego?
Si arriva così al luglio del 2010 e con un unico maxiemendamento si demoliscono pilastri e certezze del sistema previdenziale. A fronte dei pensionamenti coatti di cui sopra, cosa prevede la legge n. 122 del 2010? Il posticipo della pensione di un anno per tutti i lavoratori e le lavoratrici dipendenti, pubblici e privati, 18 mesi per gli autonomi e 18 mesi anche per tutti coloro che, pur dipendenti, hanno bisogno di totalizzare e di mettere insieme i contributi da diverse gestioni. Dunque, per tre volte si è agito per mandare in pensione almeno i pubblici dipendenti con quarant'anni di contribuzione e poi si vuole che tutti, pubblici e privati, lavorino un anno in più? Se esiste una logica, qualcuno deve veramente spiegarcela, perché per noi è assolutamente incomprensibile e come minimo indice di reale schizofrenia. Per la prima volta nella storia delle riforme pensionistiche, non si è tenuto conto di chi ha perso il lavoro, di chi è disoccupato, di chi è stato autorizzato alla prosecuzione volontaria, di chi è in cassa integrazione o in mobilità; non si garantisce a chi ha quarant'anni di contributi di poter andare in pensione da subito o almeno con le finestre previste già dal 2007. Una piccola azienda che sperava di poter risparmiare e reggere la crisi non dovendo più pagare un dipendente non si ritrova né un aiuto né una riduzione dei contributi da versare e il lavoratore o la lavoratrice non avrà un miglioramento pensionistico per l'anno in più di lavoro perché, come tutti sanno, il limite di settimane contributive su cui si calcola la pensione è 2.080, Pag. 23quarant'anni. Questo è un danno alle imprese e un danno ai lavoratori; con quale logica? Con la crisi in atto che non permette sicuramente di trovare lavoro a chi lo perde, il legislatore dovrebbe dare sicurezza, non continuare a minare certezze, certezze minate in continuazione.
La posizione del Partito Democratico è molto chiara, ed è sintetizzata nell'ordine del giorno, approvato all'unanimità nell'assemblea del Partito Democratico di Varese del 19 ottobre, che recita testualmente: «Il protocollo sul welfare del 2007 ha visto il coinvolgimento di 5 milioni di lavoratori, lavoratrici e pensionati e pensionate che hanno confermato nel referendum ciò che il Governo Prodi aveva proposto per lo Stato sociale. Questo Governo ha effettuato i maggiori tagli e il più clamoroso peggioramento di tutto il sistema con un maxiemendamento approvato alla fine di luglio con la fiducia, senza dibattito né in Parlamento né con le forze sociali. Una vera vergogna. Si allunga il lavoro di un anno nel pubblico impiego, di un anno e mezzo per gli autonomi, ma nel settore privato si rischia di lasciare la gente senza retribuzione, senza ammortizzatori sociali e senza pensione. Per la prima volta in una modifica significativa non si sono garantiti i senza lavoro e chi sta proseguendo volontariamente la contribuzione INPS o INPDAP. Non si sono adeguati i coefficienti di calcolo, non si sono previsti vantaggi per le aziende che mantengano il lavoro fino alla pensione; si è aumentata l'età per tutti, oltre che per lo spostamento di un anno si programma l'allungamento dei periodi di lavoro anche in base all'aumento dell'aspettativa di vita senza però prevedere miglioramenti per il calcolo della pensione. Per impedire alle donne del pubblico impiego di trasferire i contributi all'INPS e poter andare in pensione a sessant'anni si è abrogata la legge che ben dal 1958 era un pilastro del sistema previdenziale e che consentiva di creare la posizione assicurativa all'INPS. È stato tolto, a tutti, quello che era un diritto minimo: crearsi un'unica pensione.
Questo senza aver previsto una vera possibilità di unificare i contributi, la cosiddetta totalizzazione, per poter godere della pensione frutto almeno di tutti i contributi realmente versati.
Il Partito Democratico vuole garantire a chi ha quarant'anni di contributi, a chi ha perso il lavoro e a chi ha l'autorizzazione alla prosecuzione volontaria il mantenimento dei requisiti previsti nel 2007. Il Partito Democratico sosterrà questi contenuti nella battaglia politica in Parlamento e con il confronto con le parti sociali. Noi siamo per una vera riforma delle pensioni che sia discussa con le forze sociali e valuti che la situazione del lavoro e delle garanzie sia modificata e che le regole devono tenerne conto per garantire il futuro, la sostenibilità del sistema, ma anche l'adeguatezza degli importi pensionistici e per garantire la reale possibilità di vivere con la pensione».

PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Gnecchi.

MARIALUISA GNECCHI. Un'altra gravissima e drammatica situazione si è creata per tutti coloro che devono ricongiungere contributi per andare in pensione. Dal 1958 la legge n. 322 è sempre stata una certezza per tutti. Se i contributi versati in un fondo esclusivo esonerativo, per esempio da lavoro dipendente nel pubblico impiego, non fossero stati sufficienti per prendere la pensione da quel fondo si poteva costituire la posizione assicurativa all'INPS. Questo dimostrava che l'INPS è l'ente previdenziale pubblico per eccellenza e che i contributi versati non andavano mai persi, si sarebbe comunque arrivati alla pensione.
I trasferimenti di contributi dall'INPS ai fondi che poi avrebbero liquidato una prestazione più favorevole sono sempre stati onerosi quindi si viveva in un sistema certo: per avere una pensione migliore si pagava il trasferimento dei contributi, per avere la pensione INPS si potevano trasferire i contributi dagli altri fondi all'INPS in modo gratuito. La manovra di luglio ha reso tutti i trasferimenti onerosi senza Pag. 24una logica creando danni enormi che non erano stati previsti.
Avevamo accusato la maggioranza già a luglio di voler abrogare la legge n. 322 del 1958 per impedire alle pubbliche dipendenti che si erano viste aumentare l'età per la pensione di vecchiaia di trasferire gratuitamente i propri contributi all'INPS per poter andare in pensione a sessant'anni.
Speravamo di sbagliare in questa visione di una maggioranza perfida contro le donne, purtroppo avevamo ragione: non si erano neanche resi conto di cosa stavano smantellando.
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Onorevole Gnecchi, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
Si sono così esauriti gli interventi svolti a norma dell'articolo 116 del Regolamento.
Il seguito del dibattito è rinviato alla seduta di domani, a partire dalle ore 9.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Venerdì 25 febbraio 2011, alle 9:

Seguito della discussione del disegno di legge:
S. 2518 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie (Approvato dal Senato) (C. 4086).

La seduta termina alle 11,25.

TESTO INTEGRALE DELL'INTERVENTO DEL DEPUTATO MARIALUISA GNECCHI IN SEDE DI ILLUSTRAZIONE DELLE PROPOSTE EMENDATIVE RIFERITE AL DISEGNO DI LEGGE DI CONVERSIONE N. 4086

MARIALUISA GNECCHI. Parlerò di pensioni, anzi per essere più precisa di ciò che si sarebbe potuto fare con il milleproroghe e non è stato fatto.
Questo decreto avrebbe potuto spostare di un anno l'entrata in vigore delle norme demolitorie del sistema previdenziale, o almeno di 6 mesi come molti colleghi anche di maggioranza auspicavano, in questo periodo di tempo si sarebbe potuto pensare realmente alle pensioni e a cosa fare e come intervenire, tenendo conto che in un periodo di crisi economica, di perdita del lavoro, di lavori precari, di difficoltà di arrivare alla fine del mese, agire negativamente anche sulle pensioni senza che ci sia l'oggettiva necessità di farlo è solo peggiorare la situazione economica generale delle famiglie.
Citerò in seguito le affermazioni di Sacconi e Cazzola in campagna elettorale e all'inizio della legislatura e la relazione di Mastrapasqua, presidente dell'Inps, che nella relazione sul bilancio 2009 dell'INPS il 27 aprile 2010 alla Camera aveva dichiarato che i fondi pensione dell'INPS erano in attivo di 9 miliardi e 700 milioni.
Questa maggioranza è intervenuta sulle pensioni più volte e in modo contraddittorio, non si capisce il disegno, il quadro che vuole ridisegnare, in che visione e con quale idea di società si vogliano affrontare le modifiche.
Il sistema di sicurezza sociale e il sistema fiscale sono la carta di identità di uno stato, continuare a modificare le regole senza che si capiscano i motivi crea insicurezza, alimenta la sfiducia nelle istituzioni, istiga al lavoro nero, le conseguenze dell'insicurezza e della sfiducia nel futuro creano una società a rischio di devianza, riducono il livello di legalità, modificano strutturalmente il senso co- mune: bisogna Pag. 25fidarsi del Parlamento, di chi governa, di chi legifera, le leggi devono dare un'idea di futuro e di fiducia, solo così una società può crescere.
Gli interventi sul pubblico impiego dal maggio del 2008, dall'inizio della legislatura, sono stati deleteri: con il dl 112, convertito in legge n. 133 nel 2008 è stato previsto il pensionamento coatto al compimento dell'anzianità contributiva di 40 anni, nello stesso provvedimento si prevede la possibilità di esonero dal lavoro fino a un massimo di 5 anni (solo nel pubblico impiego), il dipendente pubblico che ha 35 anni di contributi può chiedere l'esonero dal servizio e ricevere il 50 per cento dello stipendio, il 70 per cento se impegnato in associazioni di volontariato; che messaggio si dà al e del dipendente pubblico con interventi di questo tipo?
Se hai 40 anni di contributi ti si può obbligare alla pensione, se ne hai 35 e stai a casa e ti regalo il 50 per cento dello stipendio si risparmia! Quindi i dipendenti pubblici sono costosi a volte inutili, meglio risparmiare!
Noi siamo per una pubblica amministrazione efficiente ed efficace, al servizio dei cittadini e delle cittadine, se esiste chi non lavora va punito, ma non si possono generalizzare giudizi negativi perché noi tutti abbiamo bisogno di chi lavora nel pubblico, nella scuola, nella sanità, nei servizi, negli enti locali, la qualità della pubblica amministrazione determina direttamente la qualità della vita dei cittadini, delle imprese, della società.
Nel marzo del 2009, quindi solo 7 mesi dopo, con la legge n 15 del 2009 i 40 anni di contributi sono diventati 40 anni di effettivo servizio, ma dopo altri 4 mesi con la legge n. 102 del 2009 si torna a 40 anni di contributi, tranne che per i magistrati, i professori universitari e i medici.
In un solo anno 3 cambiamenti, pensionamenti coatti, ma contemporaneamente innalzamento dell'età per la pensione di vecchiaia per le donne nel pubblico impiego, quindi la domanda è: si vogliono tenere in servizio o mandare in pensione i pubblici dipendenti e le donne del pubblico impiego?
Si arriva al luglio del 2010 e con un unico maxiemendamento si demoliscono pilastri e certezze del sistema previdenziale.
A fronte dei pensionamenti coatti di cui sopra cosa prevede la legge n. 122 del 2010?
Il posticipo della pensione di 1 anno per tutti i lavoratori e le lavoratrici dipendenti, pubblici e privati, 18 mesi per gli autonomi e 18 mesi anche per tutti coloro che pur dipendenti hanno bisogno di «mettere insieme/totalizzare» contributi da diverse gestioni.
Quindi per tre volte si è agito per mandare in pensione almeno i pubblici dipendenti con 40 anni di contribuzione e poi si vuole che tutti pubblici e privati lavorino un anno in più? Se esiste una logica, qualcuno deve veramente spiegarcelo perché per noi è assolutamente incomprensibile e come minimo indice di schizofrenia.
Per la prima volta nella storia delle riforme pensionistiche non si è tenuto conto di chi ha perso il lavoro, di chi è disoccupato, di chi è stato autorizzato alla prosecuzione volontaria, di chi è in cassa integrazione o in mobilità, non si garantisce a chi ha già 40 anni di contributi di poter andare in pensione da subito o almeno con le finestre previste già dal 2007.
La piccola azienda che sperava di poter risparmiare e reggere la crisi non dovendo più pagare un dipendente, non si ritrova né un aiuto, o una riduzione nei contributi da versare e il lavoratore o la lavoratrice non avrà un miglioramento pensionistico per l'anno in più di lavoro, perché, come tutti sanno, il limite di settimane contributive su cui si calcola la pensione è 2080, 40 anni.
Un danno alle imprese e un danno ai lavoratori, con quale logica? Con la crisi in atto che non permette sicuramente di trovare lavoro a chi lo perde. Il legislatore dovrebbe dare sicurezza non minare certezze in continuazione. Pag. 26
La posizione del PD è molto chiara ed è sintetizzata in questo ordine del giorno approvato all'unanimità nell'assemblea di Varese del 19 ottobre:
«Il protocollo sul welfare del 2007 ha visto il coinvolgimento di 5 milioni di lavoratori, lavoratrici e pensionati e pensionate, che hanno confermato nel referendum ciò che il Governo Prodi aveva proposto per lo stato sociale.
Questo governo ha effettuato i maggiori tagli e il più clamoroso peggioramento di tutto il sistema con un maxiemendamento approvato alla fine di luglio con la fiducia, senza dibattito né in Parlamento, né con le forze sociali. Una vera vergogna.
Si allunga il lavoro di un anno nel pubblico impiego, di un anno e mezzo per gli autonomi, ma nel settore privato si rischia di lasciare la gente senza retribuzione, senza ammortizzatori sociali e senza pensione. Per la prima volta in una modifica significativa non si sono garantiti i senza lavoro e chi sta proseguendo volontariamente la contribuzione INPS o Inpdap.
Non si sono adeguati i coefficienti di calcolo, non si sono previsti vantaggi per le aziende che mantengono al lavoro fino alla pensione. Si è aumentata l'età per tutti, oltre che per lo spostamento di un anno si programma l'allungamento dei periodi di lavoro anche in base all'aumento dell'aspettativa di vita, senza però prevedere i miglioramenti per il calcolo della pensione.
Per impedire alle donne del pubblico impiego di trasferire i contributi all'Inps e poter andare in pensione a 60 anni, si è abrogata la legge che dal 1958 era un pilastro del sistema previdenziale che consentiva di creare la posizione assicurativa all'INPS. È stato tolto a tutti quello che era un diritto minimo: crearsi un'unica pensione. Questo senza aver previsto una vera possibilità di unificare i contributi, la cosiddetta totalizzazione per poter godere della pensione frutto almeno di tutti i contributi realmente versati.
Il Partito Democratico vuole garantire a chi ha 40 anni di contributi, a chi ha perso il lavoro, a chi ha l'autorizzazione alla prosecuzione volontaria il mantenimento dei requisiti previsti nel 2007.
Il PD sosterrà questi contenuti nella battaglia politica in Parlamento e con il confronto con le parti sociali. Noi siamo per una vera riforma delle pensioni che sia discussa con le forze sociali e valuti che la situazione del lavoro e delle garanzie si è modificata e che le regole devono tenerne conto per garantire il futuro, la sostenibilità del sistema, ma anche l'adeguatezza degli importi pensionistici per garantire la reale possibilità di vivere con la pensione».

Un'altra gravissima e drammatica situazione si è creata per tutti coloro che devono ricongiungere contributi per andare in pensione. Dal 1958 la legge n. 322 è sempre stata una certezza per tutti, se i contributi versati in un fondo esclusivo/esonerativo, per esempio da lavoro dipendente nel pubblico impiego, non erano sufficienti per poter prendere la pensione da quel fondo, si poteva costituire la posizione assicurativa all'INPS, e questo dimostrava che l'INPS è l'ente previdenziale pubblico per eccellenza e che i contributi versati non andavano mai persi, si sarebbe arrivati alla pensione comunque. I trasferimenti di contributi dall'Inps ai fondi che poi avrebbero liquidato una prestazione più favorevole sono sempre stati onerosi.
Quindi si viveva in un sistema certo: per avere una pensione migliore si pagava il trasferimento dei contributi, per avere la pensione Inps si potevano trasferire i contributi dagli altri fondi all'Inps in modo gratuito.
La manovra di luglio ha reso tutti i trasferimenti onerosi, senza una logica e creando danni enormi che non erano stati previsti.
Noi avevamo accusato la maggioranza, già a luglio, di voler abrogare la legge n. 322 del 1958 per impedire alle pubbliche dipendenti, che si erano viste aumentare l'età per la pensione di vecchiaia, di trasferire gratuitamente i propri contributi all'INPS per poter andare in pensione a 60 anni. Pag. 27
Speravamo di sbagliare in questa nostra visione di una maggioranza perfida contro le donne, purtroppo avevamo ragione, non si erano neanche resi conto di cosa stavano smantellando.
Siamo assolutamente convinti che pochissime, forse nessuna donna avrebbe scelto di avere una pensione inferiore pagata dall'INPS anziché dall'Inpdap pur di averla prima, solo qualcuna perché costretta per assistere familiari non autosufficienti avrebbe potuto fare una scelta di questo tipo, ma sicuramente non la generalità delle donne.
I nostri emendamenti sono stati bocciati in Senato e dichiarati inammissibili qui alla Camera.
Noi vogliamo dire che tutta la manovra di luglio 2010 sulle pensioni avrebbe dovuto essere ritenuta inammissibile, perché ingiustificata, ingiusta, un vero e proprio furto ai lavoratori e alle lavoratrici.
Forse è più facile capire di cosa stiamo parlando sentendo le storie vere vissute dai lavoratori e dalle lavoratrici che da luglio 2010 sono disperati e non capiscono più cosa sia successo e perché debbano ripagare contributi già versati, in particolare questa maggioranza non capisce cosa sia successo nel mercato del lavoro in questi anni, tanti si sono ritrovati a passare da un fondo all'altro, le privatizzazioni nel campo delle telecomunicazioni e dell'energia hanno comportato tanti cambiamenti, non dipendenti dalla volontà del singolo, ma da provvedimenti legislativi o modifiche di mercato.
Non si tratta, però, solo di questi specifici settori, migliaia di singole persone hanno contributi in fondi diversi e da un giorno all'altro si trovano penalizzate, senza capire perché. Un ex dipendente di un comune scrive:
«On.le Gnecchi, so che sta lavorando sul problema delle ricongiunzioni. Volevo dirLe che il problema non riguarda solo i telefonici e gli elettrici. Io sono un ex dipendente pubblico di un Comune che ha versato 18 anni di contribuzioni all'INPDAP. Ora per ricongiungere i periodi (non l'ho fatto prima perché INPS, INPDAP e patronati me lo sconsigliavano) dovrei pagare 120.000 euro! In alternativa la mia situazione previdenziale ne verrà stravolta (in pensione più tardi e con un importo molto più basso), senza alcuna colpa! La prego di valutare la possibilità di proporre una decorrenza delle nuove regole che sia più in là nel tempo, in modo che chiunque possa effettuare la propria ricongiunzione come aveva previsto e come gli era stato consigliato! Sono cose che fanno cadere nella disperazione».

È veramente inaudito, ed ecco la lettera di un lavoratore elettrico, elettrici e telefonici stanno agendo in modo un po' più organizzato, ma, nonostante questo, questa maggioranza e questo Governo sembrano sordi:
«Gentilissima Signora Deputato, con questa lettera intendo informarla in merito all'ingiustizia sorta a causa dell'entrata in vigore della Legge 122/2010 (patto di stabilità) che ha reso oneroso il ricongiungimento delle posizioni pensionistiche riguardanti il Fondo Pensioni Lavoratori Elettrici. Questo provvedimento riguarda me e tanti miei colleghi che, dopo la fusione per incorporazione di CISE Spa in ENEL Spa, avvenuta il 1 Giugno 1998, si ritrovano in questa situazione: Fino alla fine di maggio 1998 il personale ex-CISE ha versato i contributi pensionistici all'INPS, avendo CCNL metalmeccanico. Il personale ex-CISE dal 1 giugno 1998 (per atto di cessione ramo d'azienda CISE-ENEL articolo 8) è entrato nel fondo pensioni elettrico (FPLE), con un particolare codice (Z o X1). A tale data il Fondo Pensioni Lavoratori Elettrici risulta completamente armonizzato all'INPS e gestito da INPS. Il dettaglio di tale armonizzazione è contenuto nel Decreto Legislativo 16 Settembre 1996. Il Fondo Pensioni Lavoratori Elettrici è stato soppresso con la finanziaria legge 488 del 23.12.1999 - articolo 41, che in particolare recita: «A decorrere dal 1o gennaio 2000 il Fondo di previdenza per i dipendenti dell'Ente nazionale per l'energia elettrica (ENEL) e delle aziende elettriche private e il Fondo di previdenza per il personale addetto ai pubblici Pag. 28servizi di telefonia sono soppressi. Con effetto dalla medesima data sono iscritti all'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti dei lavoratori dipendenti i titolari di posizioni assicurative e i titolari di trattamenti pensionistici diretti e ai superstiti presso i predetti soppressi fondi. La suddetta iscrizione è effettuata con evidenza contabile separata nell'ambito del Fondo pensioni lavoratori dipendenti e continuano ad applicarsi le regole previste dalla normativa vigente presso i soppressi fondi». La soppressione non ha effetti pratici su quanti già erano iscritti al Fondo al 31 Dicembre 1999, come noi ex CISE, che quindi continuiamo a contribuire in FPLE. Le regole per la ricongiunzione tra FPLE e INPS (AGO): Fino al 1996: ricongiunzione gratuita dei fondi in entrambe le direzioni (da INPS a FPLE, da FPLE a INPS). Da 1996 fino a giugno 2010: ricongiunzione gratuita solo da FPLE a INPS. Difatti i nostri colleghi che sono andati in pensione (dal 1998 al giugno 2010) hanno unificato le due posizioni gratuitamente in INPS. Dal luglio 2010 la legge 122/2010 «Patto di Stabilità (in vigore dal 31/7/2010 con effetti retroattivi all'1/7/2010), cambia le cose: rende onerosa la riunificazione delle posizioni, anche in INPS. Ricadute: Si tratta di un importante aggravio sia che si proceda alla riunificazione delle posizioni pensionistiche (80-200 mila euro, riferiti ad un periodo di permanenza in FPE di 11 anni), sia che si abbiano i requisiti (20 anni contributivi in ciascun fondo) per avere la erogazione di due pensioni separate (decurtate del 20-30% a causa della cumulabilità di più pensioni). Le ricordo che come me tutti i lavoratori ex-CISE le contribuzioni al FPLE le abbiamo effettuate negli anni successivi alla armonizzazione del fondo con INPS (ovvero abbiamo sempre versato «quote INPS»), quindi non abbiamo potuto usufruire delle condizioni di miglior favore in essere fino al 1995 (contribuzione inferiore da parte del lavoratore e maggiore rendimento pensionistico); quindi la ricongiunzione non porterebbe ad acquisire privilegi, ma a ottenere un periodo omogeneo senza penalizzazioni. Mi chiedo perché dopo 40 di contributi interamente versati (ho iniziato a lavorare al CISE nel 1972 a 15 anni), per andare in pensione debba o pagare una «penale» o rinunciare ad una quota di questa (dopo aver ulteriormente allungato il periodo lavorativo visto che dovrò raggiungere minimo i 20 anni di contributi in FPLE (adesso ne ho 13) per aver diritto alla pensione. Spero vivamente che Lei ed i suoi colleghi vogliate intervenire in merito a questa ingiustizia modificando la legge in questione, perlomeno posticipare la data di entrata in vigore inserendo una clausola che permetta tutti quei lavoratori in «regola» di riunificare senza oneri aggiuntivi la pensione. Ringraziandola anticipatamente Distinti saluti».

Eccone un'altra, sempre di dipendenti vittime:
«Sottopongo alla Sua cortese attenzione l'iniqua disposizione introdotta dall'articolo 12 della Legge 122/2010 che rende a pagamento, da parte dei lavoratori dipendenti, la ricongiunzione di versamenti pensionistici in fondi gestionali diversi tra loro.
Per un lavoratore dipendente, i fondi pensionistici in cui confluiscono totalmente i versamenti, sia per la quota parte a carico del datore di lavoro sia per quella a carico del lavoratore dipendente, non sono una libera scelta del lavoratore, ma derivano da un obbligo di legge.
L'avere reso oneroso il ricongiungimento di periodi contributivi obbligatori confluiti in fondi differenti per cause indipendenti dalla volontà del lavoratore stesso, costituisce un'aberrazione legislativa che rende retroattiva fino a 40 anni prima una norma entrata in vigore solo quest'anno e colpisce in particolar modo i lavoratori dei settori elettrici e telefonici i cui fondi separati gestiti dall'INPS sono stati soppressi nel 2000. Il calcolo degli importi da versare da parte dei suddetti lavoratori scaturisce da un oscuro e farraginoso che solo l'INPS è titolato ad eseguire ma solo a seguito di una richiesta Pag. 29ufficiale del lavoratore stesso. Da considerare anche l'ulteriore aggravante che, una volta conosciuti gli importi dovuti (dell'ordine di decine di migliaia di euro), una eventuale e molto probabile rinuncia da parte del lavoratore, lo priverebbe, da un lato, del diritto al ricongiungimento per i dieci anni seguenti la domanda, e dall'altro, del diritto ad usufruire della pensione in misura commisurata agli anni di effettiva contribuzione. Tale legge costituisce quindi una discriminazione per i lavoratori con contribuzioni «spezzate» nei confronti di quelli con contribuzione «continua» privandoli del diritto di vedersi riconosciuta una pensione proporzionata alla reale anzianità contributiva, in palese contrasto con l'articolo 3 della Costituzione.
Sono certo che si tratti di un errore formale derivante o da un vizio nella formulazione dell'articolo di legge o di una interpretazione restrittiva della stessa da parte dell'INPS, per cui Le chiedo di attivarsi affinché, prima dell'approvazione del cosiddetto «decreto milleproroghe» possa valutare insieme a tutti i Suoi onorevoli colleghi, di qualsiasi schieramento politico, la possibilità di abrogare l'articolo 12 legge 122 o, in alternativa, studiare i correttivi necessari come, ad esempio, rendendo gratuita la ricongiunzione dei contributi versati ad un medesimo ente, nel caso in particolare l'INPS, sebbene in fondi separati».

Abbiamo anche ci suggerisce soluzioni:
«Sappiamo che, nonostante le lettere di sensibilizzazione inviate dai Sindacati al Ministro del Lavoro e nonostante la sensibilizzazione dei capigruppo al Senato all'atto del voto (mi leggono tutti in copia), l'emendamento a Sua firma che avrebbe posto temporaneamente rimedio, mediante una proroga, ai guasti di detta legge è stato respinto.
Intanto sono riuscito ad ottenere la pubblicazione di una mia lettera su "IL MATTINO" di Napoli, testata della quale ringrazio il direttore e che provvedo ad aggiornare inserendola in copia.
Ho motivo di ritenere che vada sottolineato il carattere anticostituzionale della legge in questione la quale, a parità di anzianità contributiva, con contributi versati presso lo stesso ente, l'INPS, sebbene in fondi separati, discrimina i lavoratori a seconda del loro percorso contributivo ed in particolar modo crea una eccezione penalizzante specifica dei lavoratori dei settori elettrico e telefonici.
Infatti, il trattamento di pensione riservato ad un lavoratore con contribuzione presso un unico fondo sarà priviliegiante, a parità di anzianità contributiva, rispetto a quello riservato a lavoratori i cui contributi siano stati versati parte nel FLPD (Fondo Pensioni Lavoratori Dipendenti) e parte nel Fondo Telefonico e/o Elettrico in palese contrasto con quanto previsto dall'articolo 3 della Costituzione. Vale la pena ricordare, per chi legge in copia, che lo stesso articolo individua nella "Repubblica" il soggetto deputato ad eliminare le condizioni discriminatorie. Per tale motivo ho già scritto anche alla Presidenza della Repubblica dalla quale ho ricevuto riscontro col quale mi si informa che (riporto testualmente) "Questo Ufficio ha provveduto a sottoporre la Sua lettera all'attenzione del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per l'esame ed il seguito della trattazione.".
Dall'esame della mia situazione contributiva e dal confronto con alcuni colleghi la cui vita lavorativa, come la mia, è articolata fra varie aziende del settore telefonico, ho avuto modo di appurare come, ancora oggi, i miei contributi previdenziali obbligatori stiano confluendo tutt'oggi nel Fondo Telefonici, ad undici anni dalla sua soppressione avvenuta nel 01/01/2000. È quindi evidente che, alla base dell'enorme confusione che si sta generando, vi siano dei vizi normativi. Sarebbe bastato all'atto della soppressione del fondo creare d'ufficio, automaticamente e gratuitamente, una nuova posizione contributiva per ciascun lavoratore totalizzando l'anzianità contributiva maturata presso un unico fondo, comunque gestito dall'INPS. Pag. 30
Fermo restando il principio che, l'eventuale ricongiunzione, per il passato gratuita, di posizioni afferenti fondi diversi che dia luogo a condizioni di maggior favore debba avvenire a richiesta dell'interessato ed a titolo oneroso, e che l'onere debba essere commisurato alla miglior condizione economica derivante dalla ricongiunzione stessa, io credo che si possa comunque percorrere la strada della ricongiunzione gratuita d'ufficio per le posizioni di tutti quei lavoratori attualmente discriminati dall'articolo 12 legge n. 122 del 2010.
Nei fatti, con l'intento di sanare la precedente situazione la quale prevedeva comunque la ricongiunzione a titolo gratuito, a prescindere dai maggiori benefici derivanti e dei relativi costi a carico dello Stato, con l'attuale normativa si va a penalizzare solo e soltanto alcune categorie di lavoratori, a prescindere dal beneficio economico, marginale, derivante per lo Stato e del danno, enorme, derivante per ciascuno dei lavoratori interessati dal provvedimento.
Non vorrei peccare di presunzione del suggerirLe una proposta, dettata dal semplice buonsenso, che le illustro i tre punti:
- la totale ed effettiva abolizione dei Fondi Telefonico ed Elettrico (com'è possibile, ed a che titolo, che vi siano ancora versamenti afferenti in tali fondi dopo 11 anni dalla loro abolizione?);
- un ricongiungimento una tantum, gratuito e d'ufficio da parte dell'INPS delle posizioni relative a tutti i lavoratori interessati (solo e soltanto le posizioni INPS);
- il differimento di tutte le eventuali operazioni future da attuarsi nel rispetto della norma di nuova introduzione (es. il lavoratore telefonico che cambia settore in futuro e che al momento della collocazione in pensione intende ricongiungere le proprie posizioni).

Ne parli a tutti i suoi colleghi, sia della maggioranza che dell'opposizione e faccia in modo, se può, che prevalga il buonsenso».
Abbiamo anche giornalisti che sperano in leggi giuste che permettano di utilizzare tutti i propri contributi:
«Salve, on. Gnecchi. Sono uno dei pochi giornalisti interessati alla pdl 3327 e alla pdl 3871 presentate su Sua iniziativa (e di questo la ringrazio) e su sollecitazione FNSI (faccio parte del Dipartimento Uffici Stampa del nostro sindacato). Avrei bisogno di sapere se la proposta ha qualche, remota, possibilità di andare avanti. A me, ad esempio, INPGI ha chiesto la bellezza di 355 mila euro per fare il ricongiungimento dei miei 32 anni Inpdap (giornalista in Regione Toscana) con gli 8 anni di contributi INPGI di giornalista in Regione Toscana: cosa ovviamente impossibile. La strada alternativa è la cosiddetta "totalizzazione" su INPS ma così ci rimetteremmo, da pensionati, diverse centinaia di euro al mese. Oltretutto non è più possibile neanche portare tutti i contributi all'inps perché la legge 122 del 2010 ha reso onerosi anche i trasferimenti all'inps, siamo disperati. L'unica soluzione buona sta in queste leggi. Compatibilmente con i tempi che stiamo vivendo, mi può per cortesia tenere aggiornato sul cammino e su eventuali novità (anche se ho il sospetto che sarà un cammino ... complicato)?».

Esistono inoltre migliaia di lavoratori e lavoratrici senza lavoro, quindi senza reddito e senza ammortizzatori sociali, che stanno versando volontariamente i contributi e che si trovano spostata la decorrenza della pensione. Ecco l'e-mail di una tra le tante:
«G.le Sig.ra Gnecchi, ho letto con soddisfazione della presentazione delle vostre proposte che dovrebbero rimediare, in qualche misura, alla legge riforma pensioni del luglio 2010. Mi fa piacere vedere che qualcuno si preoccupa dei problemi veri. Io ho perso il lavoro a dicembre 2009 e sto versando i contributi volontari senza alcun ammortizzatore sociale. Il prossimo 31 marzo avrò raggiunto 40 anni di contribuzione e pensavo di percepire la pensione a luglio, invece dovrò aspettare l'anno prossimo, senza reddito né alcun sostegno, Pag. 31ho lavorato per quasi 39 anni, iniziando prima dei 18. Ho 57 anni. Le chiedo se c'è speranza che questo disegno presentato venga discusso e quali saranno i tempi.
Avevo deciso di pagare i contributi volontari per 15 mensilità per raggiungere i 40 anni, quindi oltre a non avere un lavoro, nessun ammortizzatore sociale sto anche pagando i contributi!
Mi aspettavo di andare in pensione a Luglio 2011. Adesso, dopo quasi 39 anni di lavoro, iniziato prima dei 18 anni e due maternità, mi trovo a dover aspettare marzo 2012 per l'assegno pensione. Ciò è veramente ingiusto per chi non ha più un posto di lavoro e nemmeno alcun sostegno al reddito e sta pagando i contributi volontari».
Forse vedere singole storie rende tutto più comprensibile, ma bisogna veramente intervenire, non è più possibile attendere; noi pensavamo che il milleproroghe potesse essere una possibilità almeno di sospensiva per poterne discutere, non si è colta neppure questa occasione. Abbiamo la posta elettronica intasata da proteste, la gente vede che noi ci stiamo occupando di correggere i danni della maggioranza, solo che scrivono a noi del Partito Democratico che siamo convinti dei loro diritti e che sono stati calpestati ed annullati principi fondamentali di sicurezza, mentre dovrebbero scrivere alla maggioranza, ai ministri Sacconi e Tremonti.
Onorevoli Colleghi! Onorevoli Colleghe! possibile che non si capiscano i danni e gli errori fatti?
Ci ritroviamo invece nuovamente oggi di fronte all'ennesimo voto di fiducia richiesto dal Governo in Senato e siamo alla Camera nel pieno di un richiamo del Presidente della Repubblica che chiede alla maggioranza e al Governo di rispettare la Costituzione! E questa mattina è stata posta la fiducia anche alla Camera.
Abbiamo cercato, presentando degli specifici emendamenti sul decreto mille proroghe, di correggere la manovra d'estate decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 che è intervenuto pesantemente sulle pensioni e approvato con voto di fiducia in sede di conversione in legge.
Eppure uno studio del CNEL-CER del 2009 sull'andamento delle pensioni italiane smentiva qualsiasi tipo di timore, sulla tenuta del sistema, dimostra, infatti, che da qui al 2050 il sistema reggerà e i conti rimarranno in ordine grazie alle riforme Amato e Dini.
Lo stesso on. Giuliano Cazzola, vicepresidente della Commissione Lavoro della Camera e componente della Commissione bicamerale di vigilanza sugli enti previdenziali, quindi tra i massimi esperti in materia, ebbe a scrivere su Il Sole 24 Ore:
«Bonus-Maroni? Meglio incentivi.
Stando alle prime dichiarazioni di Silvio Berlusconi le pensioni non saranno, nell'immediato, una priorità del prossimo Governo. Durante la campagna elettorale, tuttavia, erano stati indicati alcuni obiettivi tra i quali un migliore adeguamento dei trattamenti rispetto al costo della vita e il ripristino del superincentivo al rinvio del pensionamento di anzianità disposto dalla legge Maroni e scaduto alla fine del 2007. Mentre il primo costituisce un problema effettivo, se si pensa che nel 2008 le pensioni saranno rivalutate (sulla base delle regole vigenti) dell'1,6 per cento (poi corretto in via definitiva nell'1,7 per cento) a fronte di un'inflazione più che doppia, il secondo obiettivo riaprirebbe una vicenda chiusa che merita di restare tale. Dal novembre del 2004 alla fine dell'anno scorso sono state poco meno di 100mila le prestazioni rinviate e beneficiarie del bonus. A valutare i dati delle nuove pensioni di anzianità liquidate nel medesimo arco di tempo (il loro numero è stato più o meno lo stesso di quando non era operante l'incentivo) viene da ritenere che, in larga parte, il beneficio sia stato riconosciuto a persone che già avevano compiuto la scelta di restare al lavoro o che l'avrebbero fatta comunque. Inoltre, il bonus del 2004 era stato istituito allo scopo di supplire in qualche modo - sul terreno del rinvio della quiescenza - alla scelta, di natura politica, di far decorrere solo dal 2008 il passaggio (il cosiddetto scalone) da un Pag. 32requisito anagrafico di anzianità di 57 anni ad uno di 60; per poi salire ancora - gradualmente - a 61/62 per i dipendenti e a 62/63 per gli autonomi. Adesso - pur nell'ambito del sistema dei gradini+quote - il percorso di innalzamento resta tracciato. Quanto meno, allora, andrebbe valutato un sistema di incentivazione meno generoso di quello già previsto dalla legge n.243/2004. Sarebbe opportuno riconsiderare, poi, lo schema di decreto legislativo sui lavori usuranti, almeno in due punti fondamentali: a) la manipolazione delle regole del lavoro notturno (compreso in un range modulato da 64 a 78 notti in un anno, a fronte di una previsione legislativa di 80 notti) unicamente allo scopo di allargare la platea dei lavoratori interessati; b) la fissazione addirittura fino a tutto il 2017 del periodo transitorio all'interno del quale i criteri per il riconoscimento del lavoro usurante sono più favorevoli (sette anni di «esposizione» negli ultimi dieci. In questo modo sarebbe vanificata, nei fatti, l'innalzamento dell'età pensionabile per molti lavoratori (essendo, a regime, il requisito anagrafico del lavoro usurante ridotto di tre anni). Solo manutenzione, dunque, almeno per un congruo periodo. Avendo davanti un quinquennio d'iniziativa politica sarebbe utile mettere a fuoco, in una prospettiva di medio termine, taluni aspetti strategici tuttora irrisolti. Età pensionabile - Strada facendo si è perduta una delle più interessanti soluzioni individuate dalla riforma Dini: il pensionamento flessibile nel sistema contributivo.
L'idea potrebbe essere recuperata alle nuove condizioni, prevedendo, a regime, un trattamento pensionistico unificato, liberamente fruibile a partire da 62 e fino a 67 anni (e corredato da adeguati coefficienti di trasformazione). www.comitatoleggebiagi.it.
Una siffatta soluzione, con una prestazione unica per uomini e donne, consentirebbe altresì di elevare - in parallelo con i tempi previsti dalla legge n.247/2007 - l'età pensionabile delle lavoratrici, pur salvaguardando una certa flessibilità in uscita. Oltre a superare l'attuale incongruenza per la quale le donne potranno andare in pensione di vecchiaia ad un'età più bassa di quella prevista per l'anzianità. Pensione di base - Rebus sic stantibus, nel modello contributivo sarà possibile conseguire un trattamento appena sufficiente soltanto versando un'aliquota contributiva insostenibile (pari al 33 per cento come quella prevista per il lavoro dipendente). Un obiettivo siffatto (che crea enormi problemi pure al costo del lavoro subordinato) è improponibile per il lavoro autonomo, libero-professionale e atipico. In questi settori saranno erogate quindi pensioni pubbliche assolutamente inadeguate a meno di non intraprendere (come sta avvenendo nel caso dei parasubordinati) incrementi delle aliquote con effetti punitivi e devastanti per l'occupazione. La via da seguire potrebbe quella di allineare - per i nuovi assunti in tutte le tipologie lavorative - l'aliquota contributiva intorno al 24-25 per cento istituendo nel contempo una pensione di base, finanziata dalla fiscalità generale. Si tenga conto che, nel 2008, lo Stato eroga almeno 34 miliardi di euro in qualità di «soccorso» assistenziale alla spesa pensionistica. Tali risorse, invece di inserirsi «a pettine» nel sistema, a tutela di varie e differenti situazioni, potrebbero più razionalmente essere utilizzate per divenire la base di un modello contributivo obbligatorio, divenuto meno oneroso per i lavoratori e le imprese.
Un secondo pilastro per il lavoro parasubordinato. Per consentire agli atipici in via esclusiva il ricorso alla previdenza complementare, andrebbe riconosciuto loro il diritto all'opting out, consentendo di stornare, se lo riterranno, una parte dell'aliquota obbligatoria (fino a 6 punti a regime: per un ammontare, cioè, equipollente rispetto al TFR) allo scopo di costituire e finanziare, in una forma privata di loro scelta, una posizione individuale a capitalizzazione».
Deputati Del Popolo della Libertà, ritengo importante riportare l'intera posizione del collega Cazzola pubblicata su Il Sole 24 Ore del maggio 2008, quindi all'inizio della legislatura, perché mette in evidenza che poteva anche esistere un progetto Pag. 33di riforma e di interventi, su cui poter discutere, essere d'accordo o meno, ma lavorare sia in Commissione che in aula con un quadro generale su cui pensare e in cui agire, mentre il Governo ha agito solo ed esclusivamente con tagli e demolizioni significative mettendo nei guai tanti, ma contando sul fatto che le singole persone penalizzate lo scoprono nel momento in cui fanno o faranno domanda di pensione; quindi quando Sacconi si vanta del fatto che non ci sia stato uno sciopero generale contro la manovra di luglio è solo ed esclusivamente perché non c'è ancora la consapevolezza collettiva delle demolizioni fatte.
Egli dichiarò inoltre il 6 maggio 2009:
«Con il Ministro Sacconi ho avuto una discussione amichevole, ma non c'è dubbio che adesso bisogna aspettare, perché in tempi di crisi la pensione fa anche da ammortizzatore sociale. C'è da attendere e vedere cosa accade nella seconda metà dell'anno. Tra l'altro proprio oggi vediamo come il ministro del Welfare affronterà il tema nel Libro Bianco. In ogni caso, l'intervento sul pubblico impiego rappresenta già un segnale importante che non ha controindicazioni sul fronte del mercato del lavoro».

Lo stesso Ministro Sacconi, il 20 maggio 2010 dichiarava:
«Nessun intervento di carattere strutturale sulle pensioni né nuove tasse saranno contenuti nella manovra. Ad assicurarlo è il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi intervenuto su Canale 5: «Abbiamo spiegato più volte che il nostro sistema previdenziale è sostanzialmente in equilibrio grazie alle riforme che abbiamo avviato e che si tratta ora di realizzare. Siamo entrati nel meccanismo che dal 2010 fa calcolare l'aumento dell'aspettativa di vita perché nel 2015 l'età di pensione si alzi in base all'aspettativa di vita. Insomma, non abbiamo bisogno di interventi di carattere strutturale».
Questo Governo aveva assicurato agli italiani che non avrebbe messo di nuovo le mani sulla previdenza perché non ce ne era bisogno e l'hanno sempre sostenuto sia il ministro Sacconi, sia il ministro Tremonti. La promessa come sempre non è stata mantenuta, anzi nella manovra del Governo approvata con il decreto-legge n. 78 del 2010, gli interventi sulla previdenza risultano particolarmente pesanti, soprattutto particolarmente iniqui, e il riordino degli enti e della governance degli enti stessi è tutto teso a dare pieni poteri ai presidenti e a colpire la presenza delle parti sociali. Le nuove finestre di accesso alla pensione di vecchiaia ed alla pensione di anzianità non hanno carattere transitorio, così come inizialmente ipotizzato, ma hanno carattere strutturale, così come hanno carattere strutturale anche tutte le altre misure contenute nel maxi-emendamento presentato dal Governo prima di porre la fiducia.
È da rilevare che la legge di conversione n. 122 del 2010 rende insostenibile la situazione per molti lavoratori e lavoratrici: le finestre a scorrimento si applicano a tutti i regimi pensionistici, quindi anche alle pensioni anticipate previste nell'AGO (assicurazione generale obbligatoria INPS) e ai regimi speciali previsti per i vigili del fuoco, la Polizia di Stato, la Polizia penitenziaria, il Corpo forestale dello Stato, i Carabinieri, la Guardia di finanza, le forze armate, facendo salvi soltanto i lavoratori per i quali, al raggiungimento del limite di età previsto per il pensionamento, viene meno il titolo per lo svolgimento della mansione svolta; viene previsto l'aumento dell'età pensionabile progressivamente a 65 anni, a decorrere dall'1 gennaio 2012, per le donne dipendenti del pubblico impiego, alle quali inoltre si applicano anche le finestre a scorrimento.
L'ulteriore aumento dell'età pensionabile previsto a decorrere dall'1 gennaio 2019 e poi successivamente ogni tre anni è legato alle aspettative di vita ed è illimitato. Così i giovani perderanno per sempre ogni certezza sul loro diritto a pensione. È da rilevare che l'aumento dell'età pensionabile avviene con decreto direttoriale, quindi non vi è alcuna consultazione con le parti sociali, né alcuna Pag. 34possibilità di intervento da parte del Parlamento, che da questo Governo viene sempre più esautorato del suo ruolo.
Le finestre a scorrimento si applicano anche a coloro che maturano i 40 anni di contribuzione; ai lavoratori parasubordinati si applicano le finestre a scorrimento previste per i lavoratori autonomi; alle pensioni conseguite con la totalizzazione si applicano le finestre a scorrimento previste per i lavoratori autonomi. Né sono state apportate modifiche alle deroghe (preavviso, lavoratori in mobilità, titolari di prestazione straordinaria a carico dei fondi di solidarietà di settore - credito, assicurazioni) con tutti i problemi che si pongono in un periodo di grave crisi economica. Né tra le deroghe sono stati inseriti coloro che stanno effettuando i versamenti volontari.
La manovra economica approvata a luglio mantiene in vigore le regole precedenti, legge n. 247 del 2007, solo per tutte le lavoratrici e tutti i lavoratori che matureranno i requisiti per il diritto a pensione (vecchiaia, anzianità) entro il 31 dicembre 2010.
Per le lavoratrici e per i lavoratori che maturano i previsti requisiti per il diritto alla pensione di vecchiaia o alla pensione di anzianità, a decorrere dall'1o gennaio 2011, è prevista invece una sola finestra di accesso sia per la pensione di vecchiaia sia per la pensione di anzianità.
La finestra è mobile e varia per ogni singolo lavoratore, visto che la decorrenza del trattamento pensionistico si consegue trascorsi dodici mesi dalla data di maturazione dei requisiti per i lavoratori dipendenti privati e pubblici e trascorsi 18 mesi dal raggiungimento dei requisiti per i lavoratori autonomi (artigiani, commercianti, coltivatori diretti, coloni e mezzadri) e per i lavoratori iscritti alla gestione separata INPS (parasubordinati) e per coloro che utilizzano la totalizzazione.
Ripetiamo e ripeteremo fino allo sfinimento queste cose perché ci accorgiamo che la gente non sa cosa sia successo con la manovra di luglio 2010; veniamo tutti accusati di aver permesso che passasse sotto silenzio, noi gridiamo con forza di aver fatto tutto ciò che era per noi possibile come opposizione e continueremo a denunciare gli errori e le ingiustizie di questa maggioranza.
Con l'articolo 12 e seguenti del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, sono state introdotte norme estremamente penalizzanti in materia pensionistica, con particolare riferimento alle lavoratrici e ai lavoratori della fascia di età compresa tra 55 e 65 anni che vedono allontanarsi di molto la possibilità di maturare i requisiti per l'accesso alla pensione.
Sono note, infatti, quali e quante siano le difficoltà per la ricollocazione lavorativa delle persone con oltre 50 anni di età e a ciò si aggiunge che le imprese, soprattutto in questo periodo di crisi, tendono ad espellere dal mercato del lavoro gli occupati più anziani, in quanto rappresentano un costo del lavoro superiore e tendenzialmente risultano meno inclini ad adattarsi ai cambiamenti del ciclo produttivo ed a riqualificarsi nelle aziende in continua trasformazione. Il tasso di occupazione nella fascia compresa tra 55 e 64 anni, ha registrato un costante aumento dal 2000 al 2008, ma presenta comunque una percentuale di occupazione molto bassa, 34,4 per cento (maschi 45,5 per cento - femmine 24 per cento), secondo i dati relativi all'anno 2008 diffusi da Focus Isfol 2009. D'altronde basta verificare le offerte di lavoro dei servizi per l'impiego o delle borse lavoro consultabili via internet, per rendersi conto quanto siano rare, se non rarissime, le offerte di lavoro rivolte a persone di età superiore a 50 anni.
In questo senso non risulta siano stati particolarmente incisivi gli ultimi provvedimenti varati dal Governo con la finanziaria 2010, che prevedono uno sconto sui contributi del 10 per cento per le imprese che assumono ultracinquantenni disoccupati o con già 35 anni di contributi maturati.
La situazione dei giovani è altrettanto preoccupante: secondo le rilevazioni dell'Istituto nazionale di statistica (ISTAT), Pag. 35infatti, nel nostro Paese, un giovane su due è senza lavoro ed il tasso di disoccupazione nella fascia di età tra 15 e 24 anni nello scorso mese di maggio ha raggiunto il 29,2 per cento.
Il permanere di una situazione di grave crisi economica colpisce in maniera più drammatica proprio i giovani che hanno sempre più difficoltà a trovare lavoro, in particolare nelle regioni del Mezzogiorno, e con contratti a tempo determinato: il 63 per cento dei posti di lavoro persi nel 2009 ha riguardato lavoratori a termine e a progetto, in larghissima parte giovani e donne, nella fascia di età tra 18 e 29 anni, e la perdita di occupati ha raggiunto le 300.000 unità corrispondenti al 79 per cento della flessione occupazionale complessiva.
Secondo dati elaborati da Confartigianato nel 2009 in sei regioni il tasso di disoccupazione dei giovani tra 15 e 24 anni è risultato superiore al 30 per cento: in Sardegna è al 44,7 per cento, in Sicilia al 38,5 per cento, in Basilicata al 38,3 per cento, in Campania al 38,1 per cento, in Puglia al 32,6 per cento, in Calabria al 31,8 per cento e nel Lazio al 30,6 per cento.
Per questi motivi rinnoviamo l'invito al Governo e alla maggioranza a correggere la manovra sulle pensioni di luglio 2010 e consentire quindi che siano garantiti i precedenti requisiti per l'accesso alla pensione e vadano finalmente portate a compimento tutte quelle opportunità, già in precedenza previste, ma da perfezionare, quali la flessibilità in uscita, la possibilità per l'accesso alla totalizzazione per tutti, senza penalizzazioni, riscatto e contribuzione volontaria.
Noi abbiamo presentato una proposta di legge sulla totalizzazione (proposta di legge n. 3871) che garantirebbe la soluzione a tutti questi problemi, soprattutto eliminerebbe le differenze tra lavoratori e lavoratrici che hanno avuto la fortuna di lavorare con continuità ed essere iscritti ad un unico fondo pensionistico rispetto a chi ha avuto cambiamenti. La nostra proposta è l'unica sicurezza anche per i giovani che sempre di più si ritroveranno a cambiare lavoro, a passare anche da un lavoro dipendente ad un lavoro autonomo, professionale o altro.
Ogni fondo pensionistico deve pagare una quota di pensione in base ai contributi che ha ricevuto, questa è l'unica formulazione per garantire tutti.