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Resoconto dell'Assemblea

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XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 426 di lunedì 31 gennaio 2011

Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROSY BINDI

La seduta comincia alle 14,35.

SILVANA MURA, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 17 gennaio 2011.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Alessandri, Angelino Alfano, Berlusconi, Bocchino, Bonaiuti, Bossi, Brambilla, Brunetta, Carfagna, Casero, Cicchitto, Colucci, Cossiga, Crimi, Crosetto, D'Alema, Fitto, Franceschini, Frattini, Gelmini, Alberto Giorgetti, Giro, La Malfa, Lupi, Malgieri, Maroni, Martini, Meloni, Miccichè, Migliavacca, Leoluca Orlando, Prestigiacomo, Ravetto, Reguzzoni, Roccella, Romani, Rotondi, Saglia, Stefani e Tremonti sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente quarantatré, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Modifica nella composizione della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale.

PRESIDENTE. Comunico che il Presidente del Senato della Repubblica ha chiamato a far parte della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale il senatore Alberto Balboni, in sostituzione del senatore Raffaele Stancanelli, dimissionario.

Discussione della mozione Reguzzoni ed altri n. 1-00540 concernente iniziative per il rilancio dell'economia ed il sostegno alle piccole e medie imprese (ore 14,40).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Reguzzoni ed altri n. 1-00540 concernente iniziative per il rilancio dell'economia ed il sostegno alle piccole e medie imprese (Vedi l'allegato A - Mozioni).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione è pubblicato in calce al resoconto stenografico di giovedì 27 gennaio 2011.
Avverto altresì che sono state presentate le mozioni Borghesi ed altri n. 1-00544, Lulli ed altri n. 1-00546, Anna Teresa Formisano ed altri n. 1-00549 e Vignali ed altri n. 1-00550 che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente (Vedi l'allegato A - Mozioni). I relativi testi sono in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni. Pag. 2
È iscritto a parlare l'onorevole Maggioni, che illustrerà anche la mozione Reguzzoni ed altri n. 1-00540, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

MARCO MAGGIONI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signori sottosegretari, il sistema produttivo ed economico del Paese si basa sulle piccole e medie imprese e sulle microimprese, che costituiscono il vero motore dell'economia, rappresentando la quasi totalità del tessuto imprenditoriale italiano e occupando, non dimentichiamolo, circa il 50 per cento della forza lavoro.
Inoltre, esse rappresentano l'eccellenza produttiva e la capacità di fare impresa, sapendo competere sui mercati nazionali ed internazionali. Tuttavia, dobbiamo considerare le criticità che le piccole e medie imprese devono affrontare ogni giorno, difficoltà che hanno radici sia nel sistema Italia, sia nel contesto internazionale. A livello interno sono elementi di difficoltà operativa la minore liquidità dovuta alla difficoltà che le imprese di minori dimensioni hanno nel vedere soddisfatti in tempi ragionevoli i propri crediti, anche a causa della lentezza della giustizia civile.
I dati ISTAT ci dicono che in media occorrono 1765 giorni per la conclusione di un procedimento, con un conseguente onere a carico delle aziende stimato in 2,3 miliardi di euro. Questo dato ci sottolinea che l'efficienza della giustizia è un elemento indispensabile per garantire la crescita economica e che la riforma della stessa non è più rinviabile.
Inoltre, le piccole e medie imprese, già fortemente provate dalle difficoltà di accesso al credito bancario dovuto alle dimensioni intrinseche delle stesse piccole e medie imprese, che mal si coniugano con i requisiti patrimoniali imposti dall'accordo di Basilea 2, accusano più delle grandi imprese i ritardi nei pagamenti, rischiando la propria stessa sopravvivenza con conseguenze dannose per l'intera filiera produttiva.
Non possiamo non considerare tra gli elementi che creano difficoltà alle piccole e medie imprese il Patto di stabilità che, se da un lato ha aiutato a garantire la tenuta dei conti pubblici, dall'altro ha imposto vincoli stringenti agli enti locali, penalizzando soprattutto quelli più virtuosi che si vedono costretti a dover sospendere i progetti di investimento ed i pagamenti alle aziende.
Un ulteriore freno agli investimenti e al rilancio delle attività produttive è rappresentato dai pesanti costi burocratici che gravano sulle nostre piccole e medie imprese, e su questo versante, nonostante le importanti iniziative già assunte dal Governo, diventa indispensabile completare la riforma del Paese in senso federale al fine di snellire la burocrazia.
Tra i fattori internazionali che hanno comportato un aumento delle difficoltà imprenditoriali del nostro Paese, va sicuramente annoverata la pesante crisi, dapprima finanziaria ed in seguito economica, che ha colpito l'economia mondiale nel biennio 2008-2009. Una crisi che ha colpito duramente settori che già pagavano negli anni precedenti una concorrenza sleale da parte delle imprese indo-cinesi. Queste, caratterizzate da un bassissimo costo del lavoro, da normative ambientali pressoché nulle e da una notevole aggressività mercantile, hanno rappresentato e rappresentano tuttora un pericolo per le nostre imprese. Non è ammissibile che si possa operare sui mercati europei con regole produttive e sociali completamente differenti dalle nostre e ciò rappresenta uno spunto di riflessione su cui chiaramente tutte le forze politiche sono chiamate a confrontarsi concretamente.
Nonostante questi fattori negativi, a dimostrazione della grande capacità imprenditoriale che insiste nelle piccole e medie imprese, registriamo come le piccole e medie imprese italiane si confermano un tassello importante del patrimonio economico europeo, così come dimostrano i dati recenti sul valore aggiunto. Nel 2008 il manifatturiero italiano ha generato un valore aggiunto di 86,4 miliardi di euro, il 40 per cento in più di quello delle omologhe imprese tedesche e oltre il 60 per cento in più di quello delle Pag. 3francesi. Sempre nel 2008 le micro imprese italiane dei settori tessile, abbigliamento, cuoio, pelletteria, calzature e mobile hanno generato un valore aggiunto di quasi 9 miliardi di euro, superiore a quello dell'industria aerospaziale francese. Si tratta di segnali importanti che ci spingono a cercare sempre maggiori tutele alle piccole e medie imprese, vero patrimonio produttivo del Paese.
Per dare concreta attuazione a misure di sostegno e tutela delle piccole e medie imprese, la Lega Nord ha presentato la mozione a sostegno delle stesse perché, dialogando quotidianamente con l'imprenditoria che ogni giorno affronta le sfide e le opportunità dei mercati, vogliamo portare forme tangibili di sostegno alle imprese e di prosecuzione ulteriore dell'azione riformatrice del Governo. In particolar modo oggi, dove le continue polemiche di questi giorni, che non hanno nulla di politico, vorrebbero distogliere la maggioranza di Governo dall'affrontare i problemi reali del Paese. Ebbene, noi siamo qui a dimostrare che vogliamo concretamente le riforme e risolvere le questioni che rappresentano un freno allo sviluppo del Paese (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania)!
Federalismo, lotta all'immigrazione clandestina, ma anche sostegno alle nostre imprese e lotta alla disoccupazione sono le priorità che ci siamo posti nelle campagne elettorali del 2008, 2009 e 2010, e il consenso sempre crescente della gente testimonia come questa sia la strada maestra da percorrere.
La scorsa settimana abbiamo avuto in Commissione attività produttive l'audizione del Ministro Romani e abbiamo apprezzato come in questi mesi di lavoro il Ministro abbia già affrontato in modo pragmatico le problematiche del sistema produttivo. Siamo fiduciosi nell'azione del Governo, che già in tema di sostegno alle imprese ha adottato importanti provvedimenti, come la detassazione delle prestazioni di lavoro straordinario e l'introduzione della detrazione del 10 per cento dell'IRAP dall'IRES; il differimento del pagamento dell'IVA al momento dell'effettivo incasso delle fatture, al fine di favorire soprattutto le piccole imprese; le agevolazioni per alcuni tra i settori industriali più importanti quali quello automobilistico, tessile e degli elettrodomestici che sono stati oggetto di forti incentivi; la possibilità di rivalutazione degli immobili iscritti a bilancio a fronte del pagamento di un'imposta sostitutiva. Altre misure - varate a sostegno di una nuova politica produttiva - vanno dalle agevolazioni per l'accesso al credito con il rifinanziamento del Fondo di garanzia, alla moratoria sui debiti, dalla semplificazione del rapporto con la pubblica amministrazione attraverso strumenti quali la comunicazione unica, lo sportello unico per le attività produttive e la segnalazione certificata di inizio attività, al contratto di rete per accrescere la competitività e la capacità innovativa ed, infine, al taglio degli oneri amministrativi, gravanti sulle imprese, relativi al Fondo nazionale di investimento a sostegno dei processi di patrimonializzazione.
Non da ultima, dobbiamo citare l'importante normativa in materia di tutela del made in Italy che porta la firma del nostro presidente Reguzzoni e dell'onorevole Versace, che prevede il rafforzamento delle misure di contrasto all'ingresso sul territorio nazionale di prodotti industriali contraffatti e l'obbligo di etichettatura dei prodotti.
Il nostro sistema produttivo ha bisogno di riforme da adottarsi in tempi rapidi. Abbiamo bisogno di ulteriori meccanismi di incentivazione degli investimenti effettuati dalle imprese, soprattutto medie e piccole, mediante l'adozione di misure di impulso al rinnovamento dei macchinari e delle attrezzature sul modello della Tremonti-ter incentivando, in particolare, i progetti di imprenditoria giovanile e femminile e adottando nel contempo misure a sostegno dei distretti produttivi italiani.
È necessario assumere quanto prima iniziative di modifica della attuale disciplina sui ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, con particolare riguardo alle pubbliche amministrazioni, e rivedere ulteriormente il Patto di stabilità Pag. 4interno consentendo alle amministrazioni locali l'utilizzo delle risorse disponibili per portare a termine gli investimenti già programmati, in particolare per gli interventi necessari sulle infrastrutture, l'edilizia scolastica, le manutenzioni ordinarie e straordinarie ritenute essenziali per l'erogazione dei servizi ai cittadini.
Occorre proseguire nel processo di informatizzazione e semplificazione dei procedimenti amministrativi, anche introducendo il principio di proporzionalità, al fine di correlare l'onerosità degli adempimenti amministrativi alla dimensione dell'impresa con l'obiettivo di snellire i tempi e le modalità di esecuzione degli obblighi a carico delle imprese. Occorre rafforzare il sistema di controlli contro la contraffazione e bisogna proseguire nella revisione degli studi di settore nella loro architettura generale, ma soprattutto nella concreta applicazione sul territorio.
L'utilizzo delle stime operate dagli studi non può avvenire in maniera automatica, ma deve tenere in massima considerazione gli elementi forniti dal contribuente. Infine, vanno monitorate le condizioni di accesso al credito per le piccole e medie imprese alla luce del progressivo recepimento degli accordi di Basilea 3.
Siamo certi che l'azione di Governo - volta da sempre alle riforme - saprà adottare questi necessari provvedimenti a tutto vantaggio delle imprese, dei lavoratori e delle regioni del Paese (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Porcino, che illustrerà anche la mozione Borghesi ed altri n. 1-00544, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

GAETANO PORCINO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevoli membri del Governo, alla luce di quanto andrò a sostenere adesso e secondo la nostra analisi, emerge con tutta evidenza come l'attuale Governo non sia ancora riuscito a proporre una politica economica idonea a stimolare concretamente la domanda interna sostenendo i diritti delle famiglie, promuovendo lo sviluppo dell'impresa ed, in particolare, delle micro, piccole e medie imprese.
Ma per dire questo veniamo alla situazione delle imprese e al quadro socio-economico generale del nostro Paese. Secondo recentissimi dati, che sono stati diffusi ultimamente (il 18 gennaio ultimo scorso) dalla Banca d'Italia, la crescita dell'economia italiana resterà moderata nel corso del 2011 e si attesterà più o meno intorno all'1 per cento, con un PIL, il prodotto interno lordo, che manterrà, sia nel 2011 sia nel 2012, il basso ritmo di crescita che abbiamo avuto nel 2010 che è, come dicevo prima, più o meno all'1 per cento.
In particolare, la Banca d'Italia sottolinea che nel biennio 2011-2012 la ripresa economica sarà ancora trainata dalle esportazioni, ma risentirà molto della debolezza della domanda interna e degli effetti delle misure di riequilibrio dei conti pubblici varate la scorsa estate.
Anche i dati resi noti qualche giorno fa dal centro studi di Confindustria, oltre a quelli della Banca d'Italia, confermano come il nostro Paese fatichi ad andare oltre l'1 per cento. Nonostante i dati positivi della ripresa globale l'Italia, rileva Confindustria, non terrebbe il passo con Paesi appartenenti all'eurozona, quali la Germania, e altri, come i Paesi asiatici e gli Stati Uniti d'America.
Ma facciamo ora un accenno anche al debito pubblico, signor Presidente. Intanto il debito pubblico continua a crescere. Secondo l'ultimo supplemento al Bollettino di finanza pubblica, fabbisogno e debito della Banca d'Italia, il debito pubblico italiano è salito ultimamente all'imponente cifra di 1.869.924 milioni di euro. Questo tradotto significa che nell'ultimo periodo, nel 2010, è aumentato di 83,2 miliardi di euro. Tradotto ancora, per farlo capire alle famiglie e a chi ci ascolta, si tratta di 6.933 miliardi al mese e, dunque, volendo fare i conti in tasca a tutti gli italiani che sono sul territorio, i 60 milioni di abitanti si ritroveranno 1.155 euro in più a testa pro capite di debito pubblico da dover saldare. Pag. 5
Veniamo ai dati sulla disoccupazione. Il tasso di disoccupazione registrato dall'ISTAT a ottobre 2010, quindi poco tempo fa, risulta pari all'8,7 per cento, il più alto da quando, nel gennaio 2004, sono iniziate le serie storiche mensili. In particolare, i disoccupati in Italia, ad ottobre 2010, risultano 2.167.000, più del doppio rispetto a tre anni fa, nel 2007. Secondo il già citato centro studi di Confindustria il biennio di crisi economica è costato all'Italia, negli ultimi due anni, 540 mila posti di lavoro. Se vogliamo entrare nel dettaglio, circa due milioni risultano i giovani di età compresa tra i 15 e i 29 anni che secondo l'ISTAT rientrano nella categoria NEET (Not in education, employment or training), cioè quelli che non studiano né lavorano. Si tratta di un dato confermato dagli esperti dell'OCSE, che vedono l'Italia al terzo posto tra i Paesi industrializzati. Il valore del tasso di disoccupazione per i giovani tra i 15 e 24 anni si attesta a 24,7 per cento, una cifra che sale poi al 36 per cento se parliamo di donne e del Mezzogiorno.
Parliamo ora di cassa integrazione. Nel 2010 le ore di cassa integrazione richieste dalle imprese italiane, secondo l'INPS, sono state pari a 1.200.000.000, ossia il 31,7 per cento in più rispetto al 2009, quando erano state 914 milioni. Pertanto, vi è stato un incremento notevole delle ore di cassa integrazione richieste.
La pressione fiscale, la famosa e ormai famigerata pressione fiscale che doveva ridursi, nel 2009 rispetto al PIL, secondo le stime preliminari OCSE di dicembre 2010, è pari al 43,5 per cento, con un aumento dello 0,2 per cento rispetto ai dati precedenti.
Anche secondo Federconsumatori e Adusbef le famiglie italiane dovranno pagare 1.016 euro in più ogni anno, a partire dal 2012, per acquistare le stesse e identiche cose che acquistavano negli anni precedenti. Acquistando gli stessi beni e servizi, quindi, avranno un incremento da pagare sul loro reddito pari a 1.016 euro.
Come dicevo, alla luce di tutto questo a noi sembra di tutta evidenza che l'attuale Governo non sia ancora riuscito a proporre una seria politica economica. Gli ultimi dati ISTAT disponibili, relativi al 2007, confermano la prevalenza di microimprese nel sistema produttivo del nostro Paese, con oltre quattro milioni di imprese con meno di dieci addetti. Questa è la situazione delle imprese italiane.
Le microimprese rappresentano il 95 per cento del totale delle imprese che abbiamo in Italia. Il 46 per cento degli addetti sono impiegati in queste aziende: il 21 per cento degli addetti pari al 3,7 per cento lavora nelle imprese da 10 a 49 occupati, la quota rilevata nelle medie imprese da 50 a 249 addetti è del 12, 6 per cento, pari a 2 milioni e 200 mila addetti. Rimangono solo 3.630 imprese che impiegano oltre 250 addetti. Secondo il nostro modo di vedere, c'è un'ampia serie di adempimenti e di iniziative, che deve essere messa in atto per porre rimedio a questa situazione, che riteniamo vada verso un declino che bisogna in qualche modo frenare. Avendo riguardo alle problematiche specifiche delle micro, piccole e medie imprese, non risultano ancora attuati nell'ambito del nostro ordinamento gran parte degli obiettivi sanciti a livello europeo dallo SBA, lo Small Business Act. Secondo le indicazioni espresse da questo documento, il cambiamento radicale del nostro modello di sviluppo dovrebbe basarsi su di un più incisivo programma di investimenti in materia di educazione, di formazione e di ricerca e le micro, piccole e medie imprese dovranno essere sostenute attraverso l'adozione di specifiche misure nei settori della fiscalità e dell'assistenza agli imprenditori e attraverso l'emanazione di provvedimenti volti a favorirne la crescita dimensionale e la capitalizzazione. Possono essere incentivate attraverso la creazione di condizioni più favorevoli agli investimenti anche a livello transfrontaliero, il ricorso all'implementazione di procedure semplificate per la creazione dell'avvio e dell'esercizio dell'attività di impresa e il miglioramento della loro governance e visibilità.
Secondo una stima del Ministero dello sviluppo economico, che è stata pubblicata lo scorso 24 gennaio su Il Sole 24 ore, Pag. 6attuando a regime le indicazioni dello Small Business Act, si potrebbe ottenere un impatto aggiuntivo sulla crescita del prodotto interno lordo del Paese in un triennio di circa l'1 per cento - e allora mi chiedo: perché non farlo? - grazie al valore aggiunto prodotto dalle piccole e medie imprese.
Sul tema dell'accesso al credito da parte delle imprese si rileva che l'indagine trimestrale Banca d'Italia, pubblicata lo scorso 17 gennaio, evidenzia come le condizioni di accesso al credito per le imprese presentino sempre profili di particolare criticità e, di fatto, siano rimaste del tutto invariate rispetto al settembre dell'anno scorso.
Sul tema dello snellimento delle procedure si evidenzia che, nonostante l'obiettivo corrisponda a quello di ridurre gli oneri amministrativi sulle imprese, l'Italia rappresenta il Paese europeo a più alto tasso burocratico.
Detto ciò, riteniamo che ci vogliano una serie di accorgimenti: innanzitutto, riteniamo che il Governo debba avviare una politica commerciale più attenta alle esigenze del nostro sistema e capace di accompagnare le imprese nella sfida dell'internazionalizzazione, promuovendo e tutelando il made in Italy. Riteniamo che occorra promuovere l'immagine dell'Italia all'estero rafforzando la ripresa dell'export e la presenza internazionale delle imprese italiane. Riteniamo che occorra investire sulla modernizzazione ecologica dell'economia tramite la riconversione dell'insieme delle attività produttive e dei servizi, riconversione che realmente può rappresentare l'occasione per creare nuovi posti di lavoro qualificati nel settore delle energie rinnovabili, dell'edilizia, dei trasporti, dell'agricoltura e in molti altri ancora. Allo stesso modo, riteniamo che bisogna investire sul capitale umano, salvaguardando i livelli occupazionali e prevedendo la graduale deduzione del costo del lavoro dall'imponibile IRAP, in particolare per le piccole e medie imprese. Riteniamo inoltre che occorra adottare specifici interventi per l'imprenditoria femminile, attraverso l'attuazione del Piano straordinario per la conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro e l'attivazione di iniziative di sostegno alle lavoratrici e imprenditrici madri, garantendo l'effettiva tutela previdenziale e assistenziale per le madri libere professioniste o assunte con contratti atipici. Crediamo peraltro che occorra prevedere adeguati strumenti per incentivare l'imprenditoria giovanile in senso lato, riconoscendo alle persone fisiche di età inferiore ai 35 anni, che intendano avviare l'esercizio dell'attività di impresa, per i primi tre anni dalla data di inizio dell'attività, di potersi avvalere del regime di fiscalità agevolato.
Fatta questa premessa, in questa mozione abbiamo inserito una serie di punti, che richiamano quello che ho esposto finora, con i quali impegniamo il Governo a una serie di iniziative che riteniamo possano essere utili, consone e addirittura indispensabili per portare le micro, piccole e medie imprese ai livelli che noi ci attendiamo.
Tanto per citarne alcune, con questa mozione chiediamo e impegniamo il Governo ad adottare le opportune iniziative finalizzate a rilanciare la domanda interna e il potere di acquisto delle famiglie, sostenendo il reddito da lavoro e da pensione così da accelerare la dinamica dei consumi in Italia.
Chiediamo in particolare di sostenere le micro, piccole e medie imprese assumendo le necessarie iniziative, anche normative, volte ad entrare nella fase operativa dell'attuazione - come dicevo in precedenza - dello Small Business Act così come previsto dal documento comunitario, dando attuazione alle principali proposte volte a rilanciare la competitività delle piccole e medie imprese, mettendo in campo nuovi strumenti finanziari per il sostegno della patrimonializzazione e capitalizzazione delle PMI e avviando l'operatività del Fondo italiano di investimento istituito a marzo 2010 presso il Ministero dell'economia e delle finanze.
Chiediamo di monitorare le condizioni di accesso al credito per le PMI alla luce del recepimento degli accordi internazionali di Basilea e, da ultimo, di Basilea 3. Pag. 7
Chiediamo di proseguire nel processo di semplificazione degli oneri burocratici e amministrativi, dando concreta attuazione, nell'ambito del nostro ordinamento giuridico, al principio della proporzionalità fra l'onerosità degli adempimenti amministrativi e la dimensione delle imprese.
Speriamo che il Governo prenda atto e accolga positivamente - c'è nel testo della mozione un'altra serie di punti che richiamano ciò che ho appena esposto - queste proposte che noi riteniamo opportune, sensate e indispensabili per condurre le imprese a una migliore competitività e per far emergere il made in Italy. Pertanto ci aspettiamo che il Governo accolga benevolmente la nostra mozione.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Lulli, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00546. Ne ha facoltà.

ANDREA LULLI. Signor Presidente, innanzitutto vorrei far rilevare che, nonostante l'apprezzamento che posso e voglio dare alla presenza della sottosegretaria in questa discussione, constato l'assenza del Ministero dello sviluppo economico - del resto già dimezzato ampiamente nelle funzioni e nelle risorse - che non è nuova e che credo testimoni il grado di attenzione - reale e non propagandistica - che il Governo riserva alle tematiche di cui qui stiamo discutendo.
Comprendo che i colleghi della Lega Nord Padania abbiano presentato una loro mozione sulla piccola e media impresa ma, al di là delle parole che ho sentito dal collega Maggioni che ha illustrato - a suo avviso - i grandi interventi fatti dal Governo, evidentemente chi come noi, Partito Democratico, è presente ed è a contatto, fianco a fianco con gli artigiani, piccoli imprenditori e commercianti, ha un pensiero opposto rispetto a quello che ci è stato manifestato. È un pensiero che esprime lo scontento di essere stati lasciati soli a fronteggiare la crisi, a non vedere nessuna prospettiva di politica di sviluppo né tanto meno di politica industriale per questo Paese.
Del resto, siamo il Paese che ha registrato un allargamento dello spread dei nostri titoli di Stato nei confronti della Germania. Siamo un Paese in cui l'aggiustamento stentato dei conti pubblici ha creato problemi numerosi perché non è stato accompagnato da una politica di rilancio della crescita ed ha lasciato sole le famiglie con una decelerazione dei salari, con un'occupazione che, oltre ad essere spesso molto precaria e incerta, si sta anche riducendo e con problemi molto seri di depressione della domanda interna che risultano a malapena limati da una dinamica delle esportazioni che, certo, sta un po' riprendendo ma, ahimè, abbiamo perso un 20-30 per cento della nostra capacità produttiva che stentiamo a recuperare.
Siamo il Paese che ha avuto la peggiore caduta di produzione industriale d'Europa. Politiche industriali di sostegno allo sviluppo, zero. Questa è la verità, che poi si può anche edulcorare.
Quello che è più impressionante è che, di fronte a questa situazione, che vede anche l'aumento della pressione fiscale, certificata anche dai documenti del Ministero dell'economia e delle finanze, ancorché ovviamente tenuta nascosta dalla propaganda di regime, noi abbiamo un aumento dell'evasione fiscale ed una caduta dell'efficienza dei servizi pubblici e privati verso le imprese, che è la testimonianza più chiara del fallimento della politica economica di questo Governo.
Di fronte a questa situazione - il collega Maggioni ha detto che in queste settimane si parla di argomenti che niente hanno a che fare con la politica e con le priorità che ha il Paese - forse sarebbe utile per tutti noi riflettere, per esempio, sull'ammonimento che è venuto dal mondo ecclesiastico sul disastro antropologico. Credo che tutti dovremmo riflettere, tutte le forze politiche, credenti e non credenti. Al di là di questo, la cosa che più impressiona è che, dopo quasi tre anni di Governo, il Presidente del Consiglio, risvegliandosi improvvisamente, propone un patto all'opposizione, al Partito Democratico, per la crescita e lo sviluppo. È molto curioso perché noi, dall'inizio della crisi e dall'inizio di questa legislatura, abbiamo Pag. 8proposto di lavorare insieme per affrontare una crisi, certamente la più importante dal dopoguerra ad oggi, che ha messo a dura prova tante famiglie e che ha rotto tanti equilibri sociali e creato tanta povertà. Ed è curioso perché il Presidente del Consiglio non fa menzione delle proposte concrete con cui affrontare questo tema, perché - lo voglio dire - è veramente incredibile che si pensi che il problema si possa risolvere anche in questo caso modificando la Carta costituzionale, in particolare l'articolo 41. Forse il Presidente del Consiglio non è neppure informato - o forse sì e probabilmente lo teme - sul progetto di legge sullo statuto delle imprese a cui abbiamo lavorato in modo unitario in Commissione attività produttive, senza mettere in discussione l'articolo 41 della Costituzione italiana. Esso affronta una serie di nodi che anche qui ho sentito ripetere dallo stesso collega della Lega Nord. Se vogliamo davvero impegnarci, perché non mandiamo avanti questo provvedimento che da varie settimane è in catalessi e certamente non per responsabilità delle forze di opposizione, ma forse perché nelle forze di maggioranza non si condivide quell'approccio pragmatico e importante che mette al centro della politica economica e industriale di questo Paese la piccola impresa, non per elogiarla, ma per tentare di darle un contesto migliore per competere nella nuova economia globalizzata.
Questi sono i fatti, il resto è rappresentato da discorsi anche molto strumentali, come il diniego verso la patrimoniale. Peccato che essa figuri nel prospetto di riforma del federalismo fiscale. Noi cari colleghi della Lega - mi riferisco almeno ai colleghi parlamentari e alla collega del Governo - faremo volantini su questo: calcoleremo quanto con l'IMU raddoppiate i costi per i laboratori artigiani, per i commercianti e i piccoli imprenditori. Quella è, infatti, una tassa patrimoniale che grava sulla piccola impresa e che ha previsto un aumento consistente in una situazione difficile per quelle realtà, senza che vi sia un miglioramento dei servizi erogati da parte dei servizi pubblici locali né un impegno sul tema delle liberalizzazioni, anche qui richiamato dal Presidente del Consiglio, che dimentica che in questi primi due anni e mezzo non ha fatto altro che smantellare le cose che il Ministro Bersani aveva avviato. Cosa si fa?
Si punta ad aumentare i costi in modo secco per le piccole imprese, per gli artigiani e per i commercianti. Su questo vi sfideremo: non si può ragionare in questi termini, non si può fare propaganda. Il nostro Paese ha bisogno di scelte importanti e condivise, non di propaganda. Voi continuate a fare propaganda; nei fatti, invece, create difficoltà alla gente che lavora, che si rimbocca le maniche tutti i giorni, a chi sa che è difficile mantenere aperta la propria impresa e mantenere i propri lavoratori.
È l'ora di farla finita: ci vuole un'operazione di verità e di onestà intellettuale. Quando si ha a che fare con questi problemi, non si può continuare a prendere in giro la gente, perché, attenzione, ne va del nostro stesso livello di civiltà. Voi pensate che tutti i cittadini siano facilmente ingannabili con la propaganda, ma non è così. Attenzione, perché nel mondo della piccola impresa vi è un sentimento di ribellione molto forte e molto serio, che può veramente creare problemi enormi a questo Paese, proprio perché la politica, soprattutto il Governo centrale, si dimentica, al di là della propaganda, di affrontare in concreto il tema.
Certo, si dice che la giustizia civile non funziona. È così, solo che il Governo si dimentica di affrontare questi temi. Anzi, quando abbiamo sollevato in quest'Aula i problemi legati, per esempio, ai concordati, che oggi spesso vengono fatti al 5 per cento, uccidendo tante filiere di piccole imprese contoterziste, con gente che usa questo strumento della legge fallimentare non già per ritentare un'avventura imprenditoriale, ma per scaricare i costi verso i contoterzisti, le risposte che arrivavano dal Governo sono state che non era un problema, che la legge funzionava benissimo.
Andiamo a ragionare con tanti artigiani che rimangono in questi concordati e che Pag. 9vedono svanire il frutto del loro lavoro, andiamo a ragionare e poi vediamo. Però, è chiaro che questo tema non è in cima ai pensieri del Presidente del Consiglio e del Ministro dello sviluppo economico, e neppure del Ministro della giustizia, che si dimentica spesso che questi sono problemi concreti che quotidianamente tanti cittadini e tanti piccoli imprenditori hanno l'onere di affrontare, se non quotidianamente, molto spesso.
Per non parlare, poi, dei ritardi nei pagamenti. In questo caso vi è una direttiva europea. Lo statuto delle imprese, che stiamo discutendo nella X Commissione, tenta di dare una risposta. Si può fare sempre meglio, però non vi è alcuna misura che vada in questa direzione. Ci si lamenta del Patto di stabilità interno: vorrei ricordare quante volte in quest'Aula, oltre che nelle Commissioni di merito, abbiamo sollevato il problema, fino ad approvare anche mozioni firmate dal nostro capogruppo, che sono state completamente disattese dal Governo.
Anche qui, facciamo un passo avanti, perché questo è un tema rilevante, che distrugge ricchezza nel Paese. Facciamo questo passo avanti! Visto che si fa l'elogio della piccola impresa, figuriamoci se non sono un conoscitore e un estimatore di tanti piccoli imprenditori e artigiani che si dannano l'anima per portare avanti la propria azienda e dare un contributo al proprio Paese, ma non dimentichiamoci che il problema del ritardo nei pagamenti esiste anche nel rapporto tra privati. Esiste anche qui un problema legato a grandi aziende o a committenti che, siccome hanno il mercato in mano, scaricano i costi con pagamenti ritardati nei confronti delle imprese a cui danno lavoro.
Abbiamo presentato una proposta in questa direzione, in parte inserita anche nello statuto delle imprese. In altre parole, c'è un abuso relativo alla posizione che l'imprenditore che ha in mano la committenza svolge nei confronti del contoterzista. Si tratta ora di regolare tale abuso, come è regolato l'abuso di posizione dominante in altri Paesi europei. Perché non facciamo almeno questo, che è un intervento importante, che darebbe un segnale di fiducia a tanta parte del nostro apparato produttivo?
E però c'è bisogno anche di dare strumenti di politica industriale che aiutino le nostre piccole imprese e il nostro sistema industriale a svilupparsi e a innovarsi, a stare al passo con i tempi.

PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Lulli.

ANDREA LULLI. Permettetemi una considerazione: si può stare al passo con i tempi, se si ha in mente la coesione sociale, non la divisione. Quando sento dire che il modello è Pomigliano o è Mirafiori, vi invito a fare attenzione. Non discuto della capacità di investimento, ma che si possa rilanciare il Paese pensando di dividere le forze del lavoro. E qui il Governo sì che è intervenuto. Non è intervenuto certo per proporre l'auto elettrica o per favorire l'innovazione e la ricerca nella piccola impresa: è invece intervenuto per sostenere che era giusto dividere il mondo del lavoro, unico Governo dei Paesi democratici avanzati.
Vi assumete una grande responsabilità, attenzione: il tempo della propaganda è finito e, se non assumiamo comportamenti concreti e coerenti, questo Paese rischia davvero di non farcela (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Anna Teresa Formisano, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00549. Ne ha facoltà.

ANNA TERESA FORMISANO. Signor Presidente, ringrazio per la sua presenza il sottosegretario Viale. Mi associo ovviamente alle considerazioni svolte dal collega Lulli prima di me, ma vorrei evidenziare alcuni aspetti.
Se tutte le forze politiche di un Parlamento, in maniera più o meno unidirezionale, presentano oggi delle mozioni sulla piccola e media impresa, qualche motivo ci sarà. Se oggi, come già la settimana scorsa in Commissione attività Pag. 10produttive, abbiamo chiesto con grande forza un'attenzione particolare al Ministro Romani - che rivedremo giovedì, sempre in Commissione - alle piccole e medie imprese, vuol dire che noi non abbiamo l'idea di vivere in un altro mondo. Noi viviamo con i piedi per terra ed incontriamo questi imprenditori, incontriamo gli artigiani, incontriamo i commercianti, che non ce la fanno più.
Con tutto il rispetto per i colleghi della Lega, quando alla legge sul made in Italy - che passa come legge Reguzzoni-Versace, ma che è stata firmata da tutti, compresa la sottoscritta, accorpando leggi diverse - si vuole attribuire la panacea, la soluzione per i problemi delle piccole e medie imprese, francamente mi sembra molto riduttivo.
Addirittura c'è stato un passaggio - credo, mi auguro di aver capito male - per cui la colpa di tutto il distrarre il Governo dal lavoro, rispetto alle polemiche di questi giorni, quasi quasi è dell'opposizione. Ne prendiamo atto, perché qui bisogna essere veramente fuori dal mondo! Quando infatti sento dire che vogliono continuare a lavorare, nonostante le opposizioni ci vogliano distrarre, signori cari, qui allora si è rigirato il mondo, come si dice dalle mie parti, perché non mi pare che siamo noi i colpevoli di tutto quello che sta succedendo in questi giorni.
Ma veniamo a noi. Il 2011 era stato previsto e presentato come l'anno della stabilizzazione delle aspettative e della riduzione dell'incertezza, soprattutto per le piccole e medie imprese, come anche confermato dal Centro studi di Confindustria.
Oggi i ritmi di crescita sono molto differenziati. Il nostro Paese fatica ad andare oltre l'1 per cento di PIL. I tribunali tributari registrano numeri inimmaginabili per quanto riguarda le procedure fallimentari che interessano le piccole e medie imprese. Vi do un dato: l'aumento dei fallimenti medio è arrivato al 18 per cento nel terzo trimestre 2010, questa è una cifra mai raggiunta nel nostro Paese. Questo cosa ci dice? Conferma la necessità per la politica - ovviamente per il Governo in primis - di riformare le politiche legate alla creazione e allo sviluppo d'impresa, tenuto conto che non servono solo le chiacchiere quando si sostiene che le piccole e medie imprese sono il tessuto portante del nostro PIL, della nostra economia. Questo lo sappiamo tutti e su questo siamo tutti perfettamente d'accordo. Bisogna capire che cosa si vuole fare concretamente per le piccole e medie imprese di questo Paese. Ovviamente, noi non parliamo ed è inutile che ci soffermiamo sulle altre cifre. Vorrei soltanto ricordare alcuni numeri (che non sono numeri dati a caso): la quasi totalità delle piccole e medie imprese - il 95 per cento - è costituita da imprese con meno di dieci addetti, e per la maggior parte è a carattere familiare; il resto è formato da imprese che impiegano dai 10 ai 49 addetti (pari al 4,5 per cento), mentre le imprese cosiddette di taglia grande - dai 50 ai 250 addetti - sono appena lo 0,5 per cento del totale. Allora con questi numeri noi cosa vogliamo evidenziare? L'intervento che va messo al primo punto della politica industriale del Governo di questo Paese (e le opposizioni non si tirano indietro, sono pronte a dare il loro contributo, ma non a chiacchiere, fattivamente), e che noi chiediamo, deve consistere in un complesso di misure attive, concrete, ma immediate per le piccole e medie imprese di questo Paese, per i commercianti di questo Paese che non arrivano più, non alla terza settimana, ma ad a onorare i pagamenti, i fitti, gli stipendi degli addetti.
Signor Presidente, noi dobbiamo anche dire una cosa: rispetto ad altri Paesi dell'Unione europea l'Italia è il fanalino di coda, perché davanti a noi ci sono Germania, Francia e Gran Bretagna. Questo lo sappiamo, però nella globalizzazione noi dobbiamo tener conto di queste problematiche. Dobbiamo tener conto del fatto che i nostri giovani (le migliori teste del nostro Paese), che non trovano uno sbocco occupazionale nelle nostre aziende perché queste si trovano in situazione di crisi, vanno via dall'Italia (poi non possiamo far finta di piangere per il fatto che i migliori cervelli se ne vanno all'estero). Pag. 11
Un'altra questione che vorrei evidenziare, non meno importante, è che noi non abbiamo visto alcun tipo di riforma nel settore degli incentivi. Mi riferisco alle misure utili al rilancio dell'economia nelle zone depresse, soprattutto quelle ad alto disagio sociale. Voglio fare un accenno ad una questione che non mi ricordo più quante volte ho trattato in Commissione e in quest'Aula. Due anni fa erano state stabilite, con decreto, le zone franche urbane, che erano quelle zone ad alta concentrazione imprenditoriale, dove veniva concesso uno sgravio fiscale per i piccoli e medi imprenditori.
Sono cambiati i Ministri, sono passati i Ministri, ma tutto è fermo come allora. Ho chiesto, anche mercoledì scorso, al Ministro Romani di dire o sì o no, perché i comuni e gli imprenditori di queste zone, che non sono solo - badate bene - nel Mezzogiorno, ma anche in altre regioni d'Italia, non possono avere il punto interrogativo su quello che dovranno fare. Non si capisce, infatti, se il Ministro dell'economia e delle finanze ci metterà o meno i soldi su queste zone franche urbane. Si metta un punto, si dica o sì o no perché sono due anni che c'è un rimpallo tra Ministeri a danno, come al solito, degli imprenditori e dei territori.
Così come voglio dire - ma ci ritorneremo e lo faremo mediante proposte di legge che voglio anticipare in questa seduta - che non siamo affatto soddisfatti dell'occupazione femminile e dei finanziamenti legati all'imprenditoria femminile, che è un'altra questione della quale tutti si beano, quando si parla di imprenditorialità, salvo poi togliere, come prima cosa, i fondi sul capitolo dell'imprenditoria femminile medesima. Se non vi sono le risorse, chiudiamolo questo capitolo, chiudiamole queste misure, non diamo le illusioni alle imprenditrici facendo loro, poi, tante scuse perché il finanziamento non c'è più, non ci sono più i fondi per dare risposta alla richiesta. Facciamo meglio: chiudiamolo e siamo tutti più tranquilli. Penso anche all'imprenditoria giovanile: vi sono misure realizzate e fondi stanziati, ma i decreti di attuazione sono fermi ed i giovani non sanno come districarsi in mezzo a quelle migliaia e migliaia di discipline e documenti che servono per avere un piccolo finanziamento.
Vorrei, signor Presidente, rivolgere sommessamente un invito a questo Governo: in un Paese come il nostro, fare soltanto un taglio lineare a tutti i Ministeri è la cosa più semplice di questo mondo, per poi dire che abbiamo i conti a posto. Bravi! Ma questa non è la politica che vogliamo noi e che vogliono gli italiani. In un momento di crisi, si fanno le scelte e si decide dove andare a tagliare e dove andare ad incrementare. La presente mozione vuole proprio questo: chiediamo che venga fatta una scelta precisa sulle piccole e medie imprese. Il Governo ci dica quanto è disposto ad investire perché non se ne può più, non possiamo fare un livellamento su tutti i ministeri, non sono tutti uguali i ministeri. Ed è facile fare un taglio lineare a tutti, lo può fare chiunque, anche il neoragioniere dell'ultimo istituto. Il difficile è fare le sue scelte; noi siamo pronti, dalla nostra parte, dall'opposizione, a dare una mano se si farà una scelta coraggiosa, efficace e veloce verso le piccole e medie imprese. Il resto è rappresentato da chiacchiere e le lasciamo agli altri.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ventucci, che illustrerà anche la mozione Vignali ed altri n. 1-00550, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

COSIMO VENTUCCI. Signor Presidente, preoccupa tutti che il mondo intero sia scosso da una crisi economica che, a giudicare da quanto accade negli Stati arabi a noi dirimpettai, sta sfociando in una crisi politica di dimensioni che potrebbero essere devastanti. Alla fine degli anni Novanta, la crescita delle borse rafforzava un clima di ottimismo appena intaccato dalla crisi sui titoli tecnologici del 2000 e da quanto avvenuto con l'attacco alle Torri gemelle. L'intero sistema economico sembrava poggiare su una solidità dell'economia statunitense e sull'attivismo mercantile dei Paesi emergenti Pag. 12come la Cina, l'India ed il Brasile. Purtroppo, ad agosto del 2007, poco più di tre anni fa, le borse mondiali perdono 30 trilioni di dollari, cioè la metà del PIL mondiale, con tutte le conseguenze patite, non solo dalle strutture economiche, che sono la base della società globalizzata, ma, soprattutto, dalle famiglie che fanno parte di quella società, intricate nella gestione del proprio quotidiano.
Quella crisi economico-finanziaria è ancora in atto e ha investito tutti i settori dell'economia italiana, tra cui le piccole e medie imprese, in una situazione politico-sociologica che ci trasciniamo da sempre e che è stato oggetto di una riflessione ormai lontana nel tempo del Ministro Tremonti e cioè che la particolare criticità del caso italiano si trova nel fatto che all'erosione esterna si somma una crisi interna. All'estero non sono in discussione la struttura e la ragione d'essere fondamentali dello Stato, mentre in Italia il principale fattore di crisi si trova proprio dentro la struttura stessa dello Stato. Lo Stato italiano non rischia soltanto l'erosione ma anche l'implosione. È in specie attiva in Italia una straordinaria combinazione di fattori che può produrre alternativamente l'evoluzione o l'involuzione politica del Paese e - continuava Tremonti - l'Italia è soggetta ad una situazione vicina all'alternativa post-moderna tra essere uno Stato senza società o essere una società senza Stato. E ben sappiamo come l'ingerenza dello Stato confermi una nota affermazione di Marx che dice che i ricchi i si trovano bene ovunque si trovino e sono i poveri che hanno bisogno dello Stato. Potremmo utilizzare termini del caso italiano non solo perché è il Paese più statizzato e più indebitato lasciando da parte la corruzione che è tale quanto negli altri Paesi più scaltri nel coprirla con un manto di ipocrisia, ma perché strutturalmente la nostra economia poggia su microstrutture economiche. Basti considerare che le piccole e medie imprese costituiscono realtà numericamente molto significative: su 4.338.766 imprese, il 99,9 per cento sono infatti piccole e medie imprese che assorbono circa l'81 per cento degli occupati nazionali, concentrati per il 76 per cento nel comparto del terziario. Inoltre, la quasi totalità delle piccole e medie imprese, il 95 per cento, come accennava poc'anzi l'onorevole Formisano, è costituita da imprese con meno di dieci addetti. Il resto è formato da imprese che impiegano dai 10 ai 49 addetti - sono 196 mila unità, pari al 4,5 per cento - mentre le imprese di taglia più grande da 50 ai 249 addetti sono appena 21.867 ossia lo 0,5 per cento del totale. Stiamo per festeggiare la ricorrenza dei 150 anni dall'unità d'Italia. Ritengo che non sfuggano alcune analogie con l'economia di allora, fortemente presenti nel nostro attuale assetto imprenditoriale. Si diceva che piccolo è bello. Oggi, con l'apertura del mercato comune europeo, con Maastricht e la conseguente globalizzazione questo piccolo ci crea affanni concorrenziali ed essendo ancora agganciati a quell'arte di arrangiarsi che esprime solo un minimalismo che non può appartenere ad uno Stato di 60 milioni di abitanti e che è stato ed è al centro della cultura mondiale. Tuttavia, se questo è il nostro secolare assetto socio-economico, riteniamo sia doveroso tutelarlo in quanto rappresenta la principale spinta all'economia del nostro Paese, ancora più invischiato nel mezzo di una crisi mondiale.
L'attuale Governo ha invero varato una serie di provvedimenti che hanno evitato il peggio introducendo significative misure innovative per accrescere la competitività nella duplice prospettiva di affrontare l'emergenza economica da un lato, e individuare obiettivi di medio termine per lo sviluppo del nostro sistema industriale e in particolare le piccole e medie imprese dall'altro. Tra queste ricordiamo anche i principi contenuti nello statuto delle imprese che pone al centro la persona oltre gli steccati della burocrazia e nel codice della partecipazione che è una raccolta selezionata della normativa vigente che porta a riconoscere il diritto dei lavoratori a collaborare alla gestione delle aziende, di cui all'articolo 46 della Costituzione, realizzando quell'idea di politica sociale che Luigi Einaudi esprimeva nelle sue lezioni Pag. 13alla fine della seconda guerra mondiale. Ebbene, le piccole e medie imprese stanno bene rispondendo e i dati più recenti sul manifatturiero ci dicono che esso ha prodotto un valore aggiunto del 40 e del 60 per cento in più del manifatturiero della Germania e della Francia anche rispetto ad alcuni comparti industriali dei suddetti nostri partner europei. Ciò non toglie che la necessaria politica di rigore del Governo mal si adatta alla difficile congiuntura economica che continua a limitare il nostro sistema produttivo. Lo si avverte con evidenza nel massiccio ricorso alla cassa integrazione, nella notevole difficoltà nel reperire credito dalle banche, sia quello necessario per il sostegno alle innovazioni strutturali di aziende sia quello, altrettanto necessario, a fronte di un fatturato e iscritto in bilancio ma non incassato anche nel caso in cui il debitore è lo Stato stesso.
In data 30 aprile 2010 il Governo italiano ha per primo firmato una direttiva sullo Small Business Act; tenendo conto dei 10 principi guida contenuti in esso, accenniamo ad alcune priorità: adoperarsi affinché i testi normativi siano redatti con disposizioni chiare e facilmente comprensibili; dare piena attuazione e massima evidenza agli strumenti orientati a garantire che l'avvio dell'attività imprenditoriale sia il più veloce possibile, in particolare spostando in un secondo momento la verifica dei requisiti necessari all'esercizio della stessa; ridurre il carico degli adempimenti amministrativi che ostacolano l'esercizio dell'attività imprenditoriale, limitando la competitività delle imprese ed imponendo loro un aggravio di costi e procedure; incentivare ed accompagnare le imprese all'utilizzo del contratto di rete; agevolare, anche dando attuazione alla recente riforma della legge fallimentare, il ricorso alla composizione negoziale delle crisi d'impresa, attraverso la configurazione dei nuovi istituti di risanamento che favoriscano il raggiungimento di accordi tra impresa in difficoltà e creditori; incoraggiare e sostenere l'imprenditorialità giovanile, compresa quella femminile, e sviluppare la cultura d'impresa e l'orientamento al lavoro autonomo nelle scuole; incoraggiare e sostenere l'imprenditorialità presso quegli immigrati che intendono avviare delle attività, anche promuovendone l'istruzione e la formazione; favorire il trasferimento d'impresa, con particolare attenzione alla fase del passaggio generazionale all'interno delle imprese familiari, anche grazie alla creazione di un istituto che favorisca l'incontro tra domanda e offerta; favorire la trasformazione, in tutto o in parte, delle aziende in crisi in cooperative; agevolare l'accesso al credito a favore del sistema delle imprese svolto in questi anni dal fondo centrale di garanzia (avviato già nel 2000), con l'auspicio di trovare un ulteriore motivo di rafforzamento sia mediante l'apporto di nuove risorse finanziarie in collaborazione con gli analoghi strumenti finanziari attivati dalle regioni, sia perfezionando la natura di infrastruttura finanziaria, quale strumento di politica industriale e produttiva, con particolare attenzione al sostegno dei progetti di innovazione e di internazionalizzazione delle piccole e medie imprese; verificare l'operatività del nuovo fondo nazionale per l'innovazione, che ha come obiettivo il sostegno finanziario a progetti innovativi realizzati dalle piccole e medie imprese che prevedano lo sfruttamento dei brevetti e dei disegni industriali, mettendo a loro disposizione, in collaborazione con il sistema creditizio e finanziario, una linea di finanziamento in capitale di rischio ed una in capitale di debito.
Oltre agli altri principi ampiamente descritti nella prima parte della nostra mozione, ricordiamo il sostegno alle piccole e medie imprese attraverso le norme approvate dall'Italia con la legge per il made in Italy, di cui ha ampiamente parlato il collega della Lega, chiedendo all'Unione europea di vigilare sui controlli di confine da parte di tutti gli Stati aderenti all'Unione e di approvare il regolamento sul made in Europe recentemente approvato a larga maggioranza dal Parlamento europeo.
Sosteneva don Giussani, in un contesto non certo mercantile, che le capacità che sono in noi non si sono fatte da sé, ma Pag. 14anche non si traducono in atto da sole: sono come una macchina che, oltre ad essere stata costruita da altri, ha bisogno anche di un altro che la metta in marcia e che la faccia funzionare. Ogni capacità umana, in una parola, deve essere provocata, sollecitata per mettersi in azione. È lo spirito di iniziativa che vogliamo possa coinvolgere la nostra classe imprenditoriale, con quello slancio e capacità dimostrati all'inizio degli anni Settanta con la creazione dei distretti industriali.
Di contro ci rivolgiamo al Governo e ne chiediamo l'impegno a realizzare gli 11 punti della nostra mozione, che evito di elencare per questioni di tempo, signor Presidente, ma chiedo a lei di far trascrivere in allegato al mio intervento.
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna di considerazioni integrative del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Ventucci, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione del testo unificato delle proposte di legge Schirru ed altri; Fedriga ed altri: Interpretazione autentica del comma 2 dell'articolo 1 della legge 23 novembre 1998, n. 407, in materia di applicazione delle disposizioni concernenti le assunzioni obbligatorie e le quote di riserva in favore dei disabili (A.C. 3720-3908-A) (ore 15,40).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del testo unificato delle proposte di legge di iniziativa dei deputati Schirru ed altri; Fedriga ed altri: Interpretazione autentica del comma 2 dell'articolo 1 della legge 23 novembre 1998, n. 407, in materia di applicazione delle disposizioni concernenti le assunzioni obbligatorie e le quote di riserva in favore dei disabili.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali - A.C. 3720-3908-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare Partito Democratico ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che la XI Commissione (Lavoro) si intende autorizzata a riferire oralmente.
La relatrice, onorevole Pelino, ha facoltà di svolgere la relazione.

PAOLA PELINO, Relatore. Signor Presidente, signori rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi, la Commissione lavoro ha deciso di portare all'attenzione dell'Assemblea un provvedimento di grande rilevanza sociale, che intende assicurare il rispetto dei diritti di tutti quei soggetti disabili che a seguito di un intervento normativo del luglio 2010 si trovano ad incontrare oggettive difficoltà nell'applicazione della normativa in tema di avviamento al lavoro.
Si tratta di un testo condiviso all'interno della Commissione che avrebbe potuto anche essere approvato in sede legislativa. Tuttavia, non essendosi ancora perfezionati alcuni requisiti per il trasferimento di sede, si è convenuto di avviarne direttamente la discussione in Aula per non perdere tempo prezioso e fare rapidamente chiarezza sul tema.
Rammento, infatti, che il testo in esame, frutto dell'unificazione delle due proposte di legge rispettivamente a prima firma dei colleghi Schirru e Fedriga, è volto a fornire un'interpretazione autentica Pag. 15del quarto periodo del comma 2 dell'articolo 1 della legge 23 novembre 1998 n. 407, introdotto dall'articolo 5, comma 7, del decreto-legge 6 luglio 2010, n. 102, convertito con modificazioni dalla legge 3 agosto 2010, n. 126, al fine di stabilire che resta comunque ferma l'applicazione delle disposizioni di cui all'articolo 3 della legge 12 marzo 1999, n. 68 in materia di assunzioni obbligatorie e quote di riserva ad esclusivo beneficio dei lavoratori disabili.
Si ricorda, infatti, che per effetto del citato articolo 5, comma 7, del decreto-legge n. 102, è venuta a crearsi una situazione penalizzante per tali soggetti disabili, poiché la predetta norma ha previsto la non applicabilità della quota di riserva per gli avviamenti al lavoro di orfani e vedove di vittime del terrorismo e della criminalità organizzata e di soggetti ad essi equiparati, con ciò determinando, di fatto, la precedenza di queste categorie nel collocamento obbligatorio rispetto ad ogni altra categoria. Con questa disposizione, infatti, si rischia che i familiari delle vittime, non essendo entro la quota di legge dell'1 per cento, possano andare ad occupare i posti riservati ai disabili. Al riguardo, peraltro, segnalo che la situazione venutasi a determinare a seguito dell'entrata in vigore di questa disposizione ha già generato un forte disorientamento nei servizi per l'impiego a livello territoriale, molti dei quali hanno avanzato richieste di chiarimento al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, presso il quale è stato costituito un apposito tavolo tecnico che non ha tuttora potuto dirimere le questioni problematiche sul tappeto.
Restano inoltre sospesi in molte sedi i bandi per il collocamento dedicati alle quote riservate. Dunque, le proposte di legge all'esame dell'Assemblea intendono cercare di accelerare la soluzione dei problemi emersi, dettando un'interpretazione autentica in grado di chiarire inequivocabilmente l'esclusivo diritto dei lavoratori disabili ad accedere alle quote ad essi riservate dall'articolo 3 della legge n. 68 del 1999.
Vorrei anche ricordare che il testo del provvedimento tiene conto dei pareri espressi dalle Commissioni competenti in sede consultiva. Infatti, la Commissione attività produttive ha formulato un nulla osta e la Commissione affari sociali ha espresso parere favorevole, mentre la Commissione bilancio ha formulato un parere favorevole con condizione, che è stata recepita nel testo unificato in discussione al fine di assicurare il rispetto dell'articolo 81, quarto comma, della Costituzione.
La Commissione Lavoro infatti, ha preso atto che il testo unificato, nel proporre l'interpretazione autentica delle disposizioni di cui al quarto periodo, del comma 2, dell'articolo 1 della legge n. 407 del 1998, intende escludere che un eventuale ampliamento della quota di riserva delle assunzioni a favore delle vittime del dovere, possa comportare una conseguente riduzione della quota obbligatoria di assunzioni spettante ai lavoratori disabili. Al contempo, tuttavia, la Commissione Bilancio ha chiesto di aggiungere un inciso al comma 1 dell'articolo unico del testo unificato, rilevando che la normativa in materia di limitazione delle assunzioni fa salve le assunzioni di personale appartenente alle categorie protette e che un eventuale ampliamento delle quote di riserva potrebbe rischiare di determinare maggiori assunzioni con conseguenti maggiori oneri per la finanza pubblica. A tal fine, è stato approvato un apposito emendamento che ha testualmente trasferito il parere della Commissione Bilancio all'interno del testo.
Resta infine un'ultima questione legata al parere espresso dalla Commissione Affari costituzionali che si è pronunciata in senso favorevole, formulando, tuttavia, una osservazione che ha invitato a valutare l'opportunità di chiarire anche la disciplina del collocamento obbligatorio applicabile alle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata e ai soggetti ad essi equiparati. In proposito, vorrei riferire che la Commissione Lavoro ha al momento ritenuto chiara la disciplina che resterebbe in vita anche per tali soggetti, Pag. 16permanendo tuttavia qualche dubbio sulla possibile disciplina delle quote in favore dei familiari delle vittime che non siano disabili. A tal fine è stato preannunziato un possibile intervento emendativo da parte di alcuni gruppi che la Commissione si riserva di verificare in sede di Comitato dei nove. In qualità di relatrice, allo stato, non posso che dare la più ampia disponibilità alla riflessione e al confronto su questi argomenti, fermo restando che su ogni eventuale modifica al testo, come avvenuto finora, mi riprometto di ricercare comunque il consenso dei gruppi.
In conclusione, non mi resta che ringraziare i componenti della Commissione per il lavoro comune sinora svolto e auspicare una sollecita approvazione del testo unificato da parte dell'Aula (Applausi).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

GUIDO CROSETTO, Sottosegretario di Stato per la difesa. Signor Presidente, mi riservo di intervenire in sede di replica.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Porcino. Ne ha facoltà.

GAETANO PORCINO. Signor Presidente, come si diceva prima, le due proposte di legge abbinate, gli A.C. 3720-A e 3908-A, rispettivamente presentate dal partito Democratico e dalla Lega Nord Padania, con identico contenuto, sono state congiunte in un unico testo approvato dalla Commissione Lavoro. Così come diceva la collega Pelino, sul provvedimento si è registrata una sostanziale condivisione e convergenza di tutti i gruppi, compreso il gruppo di Italia dei Valori che io, qui, rappresento. Vi è una piccola nota dolente che vorrei subito precisare per poi passare alla disquisizione sull'iter e sul contenuto del provvedimento. Visto che c'è stata condivisione da parte di tutti i gruppi, per l'approvazione del testo unificato come modificato a seguito della condizione posta dalla V Commissione e di cui dirò dopo, la Commissione Lavoro ha convenuto di avviare la procedura per il trasferimento alla sede legislativa. In attesa della sua conclusione la Commissione ha convenuto di procedere comunque al conferimento del mandato al relatore e di riferire all'Assemblea. Vista la convergenza di tutti i gruppi non si capisce per quale motivo vi siano state queste resistenze a livello ministeriale e non risulta pervenuto l'assenso del Governo al trasferimento del provvedimento in sede legislativa. Comunque siamo qui e continuiamo a discutere. Giusto per fare il punto su questo provvedimento, partiamo dal parere delle Commissioni. Queste ultime hanno espresso tutte parere favorevole ma, come diceva la collega Pelino, la I Commissione aveva fatto una osservazione, e la V Commissione aveva posto una condizione. L'osservazione della I Commissione chiedeva di chiarire la disciplina del collocamento obbligatorio applicabile alle vittime del terrorismo, della criminalità organizzata e ai soggetti ad esse equiparati.
Tali soggetti, pur restando titolari del diritto al collocamento obbligatorio con precedenza rispetto ad ogni altra categoria (come previsto dall'articolo 1, comma 2, primo periodo della legge n. 407 del 1998) non sembrerebbero infatti potersi avvalere né della quota dell'1 per cento di cui all'articolo 18, comma 2, della legge n. 408 del 1999, né della quota di riserva del 7 per cento prevista dall'articolo 3 della legge n. 68 del 1999 per i lavoratori disabili.
Il dubbio della I Commissione è stato superato osservando che il testo si propone di chiarire proprio che la quota di riserva applicabile alle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata si mantiene entro l'1 per cento previsto dalla legislazione vigente.
La V Commissione, invece, ha posto la condizione del rispetto dell'articolo 81, quarto comma, della Costituzione, chiedendo di aggiungere un inciso al comma 1 dell'articolo unico del testo unificato che stiamo discutendo. Secondo la Commissione ciò si rende necessario in quanto la normativa in materia di limitazione delle assunzioni fa salve le assunzioni di personale appartenente alle categorie protette Pag. 17e un eventuale ampliamento delle quote di riserva potrebbe rischiare di determinare maggiori assunzioni con conseguenti e maggiori oneri per la finanza pubblica.
In Commissione abbiamo poi proceduto in questo modo, dopo aver esaminato i pareri: il testo, come si diceva prima, è stato unificato e si compone di un unico articolo recante un'interpretazione autentica finalizzata ad assicurare la tutela del diritto al collocamento obbligatorio dei soggetti disabili la cui quota di riserva è stata messa in discussione da una disposizione adottata in favore delle vittime del terrorismo e del dovere e dei loro familiari superstiti.
In questo modo, per fortuna (siamo arrivati ad una condivisione unanime), viene chiarito che in materia di assunzioni obbligatorie di soggetti svantaggiati il legittimo diritto all'assunzione delle vittime del terrorismo e della criminalità non viene ad incidere sulla quota di riserva stabilita a favore dei soggetti disabili, che si mantiene entro la percentuale prevista dalla legislazione vigente.
Si tratta dell'interpretazione autentica del quarto periodo del comma 2 dell'articolo 1 della legge 23 novembre 1998, n. 407 che è stato introdotto dall'articolo 5, comma 7, del decreto-legge 6 luglio 2010, n. 102. Il periodo introdotto dal citato articolo 5 ha creato dubbi interpretativi e una situazione penalizzante per le persone disabili poiché ha previsto la non applicabilità della quota di riserva dell'1 per cento per gli avviamenti al lavoro di orfani e vedove di vittime del terrorismo e della criminalità organizzata e di soggetti ad essi equiparati, con ciò determinando di fatto la precedenza di queste categorie nel collocamento obbligatorio rispetto ad ogni altra. Con questa disposizione, infatti, si rischia che i familiari delle vittime, non essendo entro la quota di legge dell'1 per cento, possano andare ad occupare i posti riservati ai disabili.
In Commissione è stato rilevato che il diritto al collocamento obbligatorio delle vittime del terrorismo e del dovere, nonché dei familiari superstiti, pur motivato dal rispettabile intento di tutelare persone fortemente colpite da eventi drammatici, non può fondarsi sulla negazione del diritto, altrettanto legittimo, dei disabili per i quali le possibilità di lavoro sono limitate, di fatto, al solo collocamento obbligatorio.
Vi è, quindi, un concreto rischio per i soggetti disabili di vedere esauriti i posti disponibili in virtù di procedure di avviamento al lavoro di orfani e vedove di vittime del terrorismo e della criminalità organizzata che sembrerebbero contemplare la chiamata diretta. È stato segnalato che, a seguito dell'entrata in vigore di detta disposizione, si è venuta a creare una situazione di forte disorientamento nei servizi per l'impiego, molti dei quali hanno avanzato richiesta di chiarimento al Ministero del lavoro e delle politiche sociali sul tema.
Inoltre è stato chiarito alla XI Commissione in fase di discussione, in risposta ad un'interrogazione della collega Schirru, che è stato costituito un apposito tavolo tecnico per dirimere le questioni problematiche venutesi a creare.
In definitiva, con questa proposta di legge, attraverso l'interpretazione autentica - in modo condiviso e partecipato - si chiarisce l'esclusivo diritto dei lavoratori disabili ad accedere alle quote ad essi riservate dall'articolo 3 della legge n. 68 del 1999.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Schirru. Ne ha facoltà.

AMALIA SCHIRRU. Signor Presidente, la proposta di legge al nostro esame, di cui sono prima firmataria insieme ad altri parlamentari anche della maggioranza, intende fornire un'interpretazione autentica del quarto periodo del comma 2 dell'articolo 1 della legge 23 novembre 1998, n. 407, in materia di applicazione delle disposizioni concernenti le assunzioni obbligatorie a favore delle vittime del terrorismo, del dovere e altre categorie equiparate, nonché dei loro familiari, in modo da chiarire l'esclusivo diritto dei lavoratori disabili di accedere alle quote del 7 per cento di riserva, ai sensi dell'articolo 3 della legge n. 68 del 1999. Pag. 18
L'articolo 5, comma 7, del decreto-legge n. 102 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2010, n. 126 - come è stato già rilevato dall'onorevole Pelino -, ha introdotto una disposizione in favore non solo delle vittime del terrorismo e del dovere, ma anche dei loro familiari superstiti e ha disposto l'assunzione per chiamata diretta e con precedenza assoluta rispetto ad ogni altra categoria. Tuttavia, mancando la specificazione che la norma per i familiari, cioè per le persone normodotate, si potesse applicare entro la quota dell'1 per cento, prevista dall'articolo 18 della medesima legge n. 68 del 1999, valida anche per orfani e vedove di vittime sul lavoro, modifica sostanzialmente la normativa vigente sul collocamento obbligatorio. Con la precedenza a queste ultime categorie rispetto ad ogni altra, si è messo a rischio in questi mesi il diritto al lavoro degli invalidi, tutelato dalla Costituzione italiana, dalla Convenzione ONU e dalle diverse raccomandazioni europee in materia, precludendo quindi un altro diritto fondamentale, ossia quello dell'autonomia, della libertà e dell'integrazione sociale delle persone disabili.
Vorrei rammentare che la tutela del collocamento obbligatorio per gli invalidi è stata già nel tempo modificata in questi ultimi anni. La legge n. 68 del 1999, infatti, ha ridotto al 7 per cento l'occupabilità dei lavoratori invalidi e la riserva massima obbligatoria per le imprese con più di 50 dipendenti, che la vecchia norma, di cui alla legge n. 482 del 1968, prevedeva invece al 15 per cento; ha ampliato ed esteso l'obbligo di assunzione di un lavoratore disabile alle imprese del settore privato con più di 16 dipendenti (per esempio, due unità per le imprese da 36 a 50 dipendenti) ed è stata individuata anche una quota fissa dell'1 per cento per le vedove, gli orfani, le vittime di infortuni sul lavoro (una percentuale che - ahimè - sta aumentando, come dimostrano i dati sulle morti del lavoro e le vittime del terrorismo).
Purtroppo, abbiamo assistito in questi ultimi dieci anni a troppe inadempienze della legge n. 68 del 1999. Troppa è stata la disattenzione all'integrazione lavorativa dei disabili, innanzitutto con il blocco delle assunzioni nella pubblica amministrazione. Molto scarsa è stata l'attuazione dell'articolo 12, quello delle convenzioni con il mondo della cooperazione per conto delle amministrazioni pubbliche, e oggi ci vediamo quasi usurpare l'articolo 3, che prevede la quota fissa del 7 per cento per l'occupazione degli invalidi. Si è lasciato invece ancora molto vago l'articolo 18, che invece, così come dice la legge n. 68, andrebbe definito e regolamentato. Una norma quindi mai applicata fino in fondo e su cui registriamo purtroppo ancora forti pregiudizi culturali, vissuta a volte con molto fastidio anche da molti soggetti pubblici e privati. Forti sono state le limitazioni derivanti dai provvedimenti anticrisi.
Diverse amministrazioni pubbliche che prima hanno bloccato il collocamento dei disabili sulla base di quanto previsto da questa norma - che vogliamo modificare - oggi sono però in attesa di pubblicare i bandi per le selezioni e procedere all'occupazione mirata dei disoccupati iscritti al collocamento obbligatorio. In questi ultimi mesi si parla inoltre di un programma di nuova occupazione giovanile e femminile, di nuovi investimenti pubblici e privati che, se fosse vero, sarebbe almeno un segnale di avanzamento e un cambio di rotta. Ecco perché vi è preoccupazione, e si richiede con forza ed urgenza l'interpretazione autentica di questa norma che, così come è, se non viene modificata, blocca il diritto al lavoro delle persone disabili.
Il provvedimento compromette per i disabili la possibilità di integrarsi a tempo pieno nel mondo nel lavoro e lancia anche un segnale negativo a tutto il mondo del lavoro, incentivando le imprese a venir meno ad un fondamentale diritto-dovere civile. Aggiungo che trovo anche fortemente non corretto lasciare che l'impegno dell'integrazione venga assunto solo dal mondo della cooperazione e di impresa sociale con il sistema delle convenzioni di cui all'articolo 11, l'unico, forse, della legge Pag. 19n. 68 del 1999, completamente attuato ed applicato. Non ci consola il giusto provvedimento governativo di questi ultimi mesi che aumenta gli importi delle sanzioni, affidandosi al sistema oneroso della multa per chi, come solo nel caso dell'impresa privata, non adempie agli obblighi di legge.
L'integrazione della persona disabile è quindi il nostro obiettivo, per riconoscere loro il diritto ad una concreta opportunità di lavoro e un adeguato inserimento professionale e sociale. Venti anni di lotte e un lungo e minuzioso lavoro parlamentare per arrivare alla legge n. 68 del 1999: si tratta di una buona legge che, grazie all'introduzione del collocamento mirato, è riuscita ad inserire la persona con disabilità rispettando per ciascuna il proprio percorso formativo, le competenze, le aspirazioni personali nonché le proprie difficoltà.
È da queste doverose considerazioni e premesse che è nato il testo unificato delle proposte di legge Schirru atto Camera n. 3720 e Fedriga atto Camera n. 3908, adottato dalla Commissione con voto unanime che sancisce l'esclusivo diritto dei lavoratori disabili ad accedere alle quote ad essi riservate dall'articolo 3 della citata legge n. 68 del 1999. Si tratta di un'iniziativa che nasce dall'impegno e dal lavoro congiunto di numerose associazioni di disabili, di tante famiglie e di tanti operatori impegnati in questo percorso formativo di inserimento nel lavoro e, non ultimo, dal gruppo del Partito Democratico in Commissione lavoro, che, con diversi atti parlamentari, ha sottoposto all'attenzione del Parlamento questa ingiustizia.
La nuova norma è quindi in parte frutto del combinato disposto di più provvedimenti legislativi, fra tutti la legge 23 novembre 1998, n. 407, e la legge n. 244 del 2007, nate dal lodevole e condiviso intento di tutelare persone pesantemente colpite da eventi drammatici, ma non è pensabile che il diritto di queste persone possa fondarsi sulla negazione di quello altrettanto legittimo di disabili, per i quali il lavoro è limitato realmente solo al collocamento obbligatorio.
La norma avrebbe dovuto precisare che la nuova disposizione, che consente alle categorie sopramenzionate di superare la quota dell'1 per cento, non va ad intaccare quella del 7 per cento di posti che la legge riserva agli invalidi. Come suggerito dalla Commissione bilancio con parere favorevole, il superamento della quota di riserva di cui all'articolo 18, comma 2, della legge n. 68 del 1999 deve avvenire per le amministrazioni pubbliche nel rispetto dei limiti consentiti dalla normativa vigente. Tale raccomandazione è stata recepita con una proposta emendativa del relatore e accolta da tutta la Commissione.
Il collocamento obbligatorio delle vittime del terrorismo e del dovere dei familiari superstiti, pur lodevolmente motivato dall'intento di tutelare persone fortemente colpite da eventi drammatici, non può, lo ripeto, fondarsi sulla negazione del diritto al lavoro dei disabili. Al riguardo, sono molte le richieste di chiarimento pervenute al Ministero del lavoro e delle politiche sociali sulla situazione creatasi con l'entrata in vigore della disposizione, segnalate anche nei lavori preparatori in Commissione lavoro, innanzitutto per il forte disorientamento nei servizi per l'impiego che ha bloccato i nuovi avviamenti. A tutto ciò - e rimanendo su questo tema - in riferimento a una mia interrogazione, svolta presso l'XI Commissione, si è risposto indicando l'apertura, appunto, da parte del Governo di un apposito tavolo tecnico, che avrebbe dovuto dirimere le questioni poste di carattere problematico.
A questo, lo ripeto, si aggiunge la crescente preoccupazione delle associazioni di tutte le categorie. La norma, introdotta senza neanche un confronto nella Commissione di competenza, viene vissuta, lo ribadisco, come un attacco che si aggiunge ad una situazione molto difficile. Per questo già il 18 dicembre scorso famiglie, operatori, associazioni ma anche semplici persone con disabilità si sono date appuntamento sotto la sede del Ministero per i rapporti con il Parlamento, chiedendo il rispetto delle riassicurazioni fornite dal Governo lo scorso autunno. In quell'occasione una delegazione ha chiesto Pag. 20anche alla Presidenza della Camera dei deputati la calendarizzazione delle presenti proposte di legge, volte a sanare una svista che, se non corretta, mette a rischio migliaia di posti di lavoro.
Pertanto, con queste proposte di legge ripristiniamo l'autenticità della legge n. 68 del 1999 e prendiamo impegni anche per le vittime, gli orfani e le vedove di atti di terrorismo, su cui resta aperto il problema di aumentare, magari, la percentuale dell'1 per cento. Infatti, ricordo che la legge n. 68 del 1999 prevede una riserva dell'1 per cento, ma dato l'aumento di questa fattispecie credo che sia giunto il momento in cui il Governo e lo stesso Parlamento si attivino, con un apposito provvedimento, per fornire una risposta al problema. Per questo serve una volontà politica molto forte e unanime. Tuttavia, vi è anche la necessità di chiamare intorno a un tavolo i diversi attori coinvolti per addivenire a questa volontà.
Domani vi sarà il voto finale su questo provvedimento. Molte sono le famiglie, i lavoratori e i disabili che aspettano e attendono questo voto perché, lo ripeto, così si aprono delle opportunità concrete che le proposte di legge Atti Camera n. 3720 e n. 3908 vanno, appunto, a creare. Si tratta di un provvedimento che mi vede particolarmente coinvolta perché, come dicevo, ne sono la prima firmataria, unitamente a tutti i colleghi deputati della Commissione lavoro del Partito Democratico ma anche di tanti colleghi dell'opposizione e della stessa maggioranza, che ringrazio per il loro impegno (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Delfino. Ne ha facoltà.

TERESIO DELFINO. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, il provvedimento che giunge oggi in Aula riveste, come già affermato dal relatore e dai colleghi che sono intervenuti, una grande rilevanza sociale riconosciuta con un consenso ampio e trasversale in sede referente dalla XI Commissione (lavoro) e, in sede consultiva, nelle Commissioni di merito che hanno espresso pareri favorevoli con alcune osservazioni.
Preliminarmente, mi auguro, signor Presidente - e lo dico soprattutto all'esponente del Governo - visto l'encomiabile lavoro che la Commissione XI ha svolto su questi temi, come su altre proposte di legge - ricordo, una per tutte, la legge per i benefici previdenziali a carico di lavoratori con familiari disabili gravissimi a loro carico - che questo provvedimento non si areni come altri, per le più diverse questioni, nel successivo iter.
Esprimo anch'io - a nome dei colleghi del gruppo e segnatamente del collega Nedo Poli - una certa amarezza. Infatti mi sembrava che, almeno su temi così fondamentali, che toccano la dignità delle persone e che mettono in condizioni di equità e di pari dignità chi ha maggiori difficoltà, la sollecitazione unanime dei gruppi all'approvazione in Commissione in sede legislativa fosse un atto dovuto e doveroso. Così non è stato, il Governo è stato di diverso avviso, sappiamo che ci sono sempre molte sfaccettature nella lettura delle verità, quindi non esprimo un giudizio di merito o di colpa di qualcuno, ma un disagio, un rammarico rispetto a quanti ci stanno ascoltando e soprattutto a quelle associazioni che - come è già stato rilevato in questo dibattito - si sono battute perché fosse fornita un'interpretazione autentica del comma 2 dell'articolo 1 della legge 23 novembre 1998, n. 407.
Come sappiamo, la proposta di legge intende sanare una situazione penalizzante per l'avviamento al lavoro dei disabili, creatasi per effetto dell'articolo 5, comma 7, del decreto-legge 6 luglio 2010, n. 102, attraverso il ricorso ad una norma di interpretazione autentica del comma stesso che chiarisca, senza ombra di dubbio, l'esclusivo diritto dei lavoratori disabili ad accedere alle quote ad essi riservate dall'articolo 3 della legge n. 68 del 1999.
La norma richiamata va ad essere modificata perché penalizza le persone già abbastanza svantaggiate dal punto di vista della possibilità di occupazione rispetto ai normodotati e potrebbe essere ulteriormente causa di drammatiche riduzioni di opportunità di lavoro per le persone con disabilità. La modifica sostanziale, introdotta Pag. 21dalla legge n. 126 del 2010, che converte il decreto-legge 6 luglio 2010, n. 102, si concretizza sostanzialmente in due punti: nel diritto di precedenza all'assunzione di orfani e vedove in luogo delle persone con disabilità, ma anche nella quota di riserva per la disabilità stessa. La norma infatti va a toccare la quota riservata alle persone disabili diminuendola e aumentando quella riservata a orfani e vedove, andando ben oltre all'1 per cento previsto dalla legge n. 68.
Per effetto di tali modifiche, il diritto al collocamento obbligatorio delle vittime del terrorismo e del dovere, nonché dei familiari superstiti, pur motivato dall'assolutamente condiviso intento di tutelare persone pesantemente colpite da eventi drammatici, non è pensabile però che possa fondarsi sulla privazione di quello altrettanto legittimo dei disabili, per i quali le possibilità di lavoro sono limitate di fatto al solo collocamento obbligatorio.
C'è sempre, in queste riflessioni, l'amarezza di constatare che questioni drammatiche - come sono naturalmente quelle concernenti i familiari di coloro che sono vittime, direttamente o indirettamente dei loro familiari, di attentati o di eventi drammatici - vengono messe quasi in competizione con altre esigenze estremamente gravi e degne di tutela, riconosciute dalla nostra Costituzione. Mi pare che si verifichi una sorta di guerra dei poveri che - in un Paese così altamente civile, come consideriamo noi il nostro Paese, la nostra bella Italia - dovrebbe invece essere evitata, per cercare di trovare, davanti ad esigenze nuove, risposte e risorse nuove.
Non bisogna andare a cercare e scavare in un barile o in un pozzo che è già praticamente insufficiente e inadeguato a rispondere alle esigenze primarie per cui era stato, dopo tantissime discussioni, previsto.
Pertanto la norma avrebbe dovuto precisare che la nuova disposizione che consente alle categorie sopramenzionate di superare la quota dell'1 per cento non va ad intaccare il 7 per cento di posti che la legge riserva ai disabili. La situazione che si verificherebbe per effetto della legge, qualora venisse applicata, è già da ora causa di un comprensibile disorientamento dei servizi per l'impiego - come ha detto il relatore - molti dei quali hanno già avanzato richiesta di chiarimenti al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, bloccando i nuovi avviamenti.
Per inciso, voglio anche sottolineare - non è una situazione che riguarda nello specifico la provincia da cui io provengo - che indubbiamente il passaggio delle competenze alle province in questa materia, nel più ampio contesto della gestione del mercato del lavoro, ha creato anche una minore vigilanza rispetto agli obblighi che i datori di lavoro, pubblici e privati, hanno in ordine all'applicazione piena - in questo condivido quanto diceva la collega Schirru - delle disposizioni che prevedono l'inserimento lavorativo delle persone in disabili.
È noto comunque che su questa questione evidentemente si era aperto un dibattito, però voglio ricordare anch'io che le vittime del terrorismo e della criminalità organizzata hanno diritto al collocamento obbligatorio indipendentemente dallo stato di disoccupazione, con precedenza e preferenza a parità di titoli rispetto ad ogni altra categoria, in virtù di quanto disposto dal comma 2 dell'articolo 1 della legge 23 novembre 1998, n. 407, come sostituito dall'articolo 2 della legge 17 agosto 1999, n. 288. Possono essere inoltre assunte con chiamata diretta e nominativa nei ruoli della pubblica amministrazione fino al quinto livello retributivo, fino all'ottavo livello nei ruoli dei Ministeri, fino al 10 per cento dei posti vacanti per i livelli dal sesto all'ottavo, con le modalità illustrate dalla circolare del Dipartimento della funzione pubblica numero 2 del 2003.
La categoria comprende coloro che hanno riportato un'invalidità permanente in conseguenza di atti di terrorismo, di eversione o di fatti delittuosi commessi dalle associazioni di stampo mafioso di cui all'articolo 416-bis del codice penale, purché non abbiano concorso nel reato o a causa di operazioni di prevenzione e repressione di tali fatti, compresi i cittadini Pag. 22cui sia stato legalmente richiesto di prestare assistenza ai pubblici ufficiali impegnati in tali operazioni.
Il beneficio è esteso, con lo stesso diritto di precedenza, anche ai magistrati, ai militari, agli agenti di pubblica sicurezza, agli agenti della guardia di finanza ed ai vigili del fuoco, che abbiano riportato un'invalidità permanente superiore all'80 per cento o che comunque abbia comportato la cessazione del rapporto di impiego in conseguenza di eventi connessi all'espletamento delle loro funzioni o dipendenti dai rischi specificatamente attinenti all'operazione di polizia o di soccorso.
Il beneficio spetta anche al coniuge, ai figli, ai fratelli conviventi a carico qualora siano gli unici superstiti in sostituzione di coloro che, a causa dei suddetti eventi, siano deceduti o rimasti permanentemente invalidi, purché - secondo la consolidata prassi amministrativa - non abbiano mai usufruito di alcun atto di avviamento obbligatorio, anch'essi con diritto di precedenza ed esenzione dal requisito dello stato di disoccupazione e possibilità di assunzione con chiamata diretta nominativa alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni.
La norma è preesistente alla legge 12 marzo 1999, n. 68, ma non è mai stata abrogata e contiene un richiamo alle vigenti disposizioni legislative che le consente di adattarsi al mutato contesto normativo. In virtù di tale richiamo, ad esempio, può ritenersi che il grado di invalidità occorrente per accedere al beneficio riconosciuto alle vittime della criminalità, per quanto non specificato dalla disposizione, non possa essere inferiore a quello ordinariamente richiesto per aver diritto al collocamento obbligatorio dei disabili.
Nel nuovo quadro normativo, però, non ha trovato facile collocazione il diritto di precedenza accordato ai familiari normodotati delle vittime della criminalità e del dovere in sostituzione del congiunto deceduto o invalido. A distanza di dieci anni, però, il Ministero del lavoro è intervenuto con la circolare n. 2 del 2010 per affermare che tutti i soggetti normodotati indicati dall'articolo 18 e dalla legge n. 407 del 1998 hanno diritto di collocamento obbligatorio esclusivamente nell'ambito della specifica quota aggiuntiva dell'1 per cento prevista dal citato articolo 18 e non sono computabili ai fini dell'assolvimento della quota di riserva prevista a favore dei disabili dall'articolo 3. Il diritto di precedenza riconosciuto dalla legge n. 407 del 1998, quindi, secondo il Ministero, si gioca all'interno di ciascuna quota di riserva separatamente e non può attribuirsi ai normodotati la precedenza sui disabili nell'ambito della quota loro riservata dall'articolo 3. Il citato articolo 5, comma 7, del decreto-legge n. 102 del 2010, convertito dalla legge n. 126 del 2010, ha aggiunto un ultimo periodo al secondo comma dell'articolo 1 della legge n. 407 del 1998, a norma del quale all'assunzione di cui al presente comma non si applica la quota di riserva di cui all'articolo 18, comma 2, della legge 12 marzo 1999, n. 68.
Una così esplicita interpretazione autentica impedisce di restringere il beneficio riconosciuto ai familiari delle vittime della criminalità e del dovere nei ristretti limiti della quota dell'1 per cento prevista dall'articolo 18 della legge n. 68 del 1999. Risulta confermata la prassi di computarla nell'ambito della quota riservata ai disabili dall'articolo 3 della legge n. 68, l'unica altra quota di riserva prevista dall'attuale normativa sul collocamento obbligatorio, per quanto appaia stridente il diritto di precedenza riconosciuto a questi normodotati rispetto ai veri disabili, specialmente se si considera che l'attuale disciplina del collocamento obbligatorio offre già ampio margine alla possibilità di richiesta da parte dei datori di lavoro, che prevedibilmente privilegeranno i lavoratori meno svantaggiati.
Come già ricordato dai colleghi, vi sono numerose associazioni che nel tempo hanno manifestato il proprio dissenso in merito. Nello specifico voglio ricordare la FISH, la Federazione italiana per il superamento dell'handicap, che in una nota ha confermato che alla quota di riserva negli imminenti bandi di assunzione nella pubblica amministrazione, circa diecimila posti, Pag. 23le persone con disabilità saranno ammesse solo dopo gli orfani e i superstiti delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata, il cui numero è ben superiore alle persone con disabilità candidate a lavorare.
Questa proposta è quindi necessaria. Esprimo ovviamente anche io un apprezzamento e un plauso ai presentatori, alla Schirru e agli altri colleghi ed a Fedriga, augurandomi che ci sia una profonda e incisiva lettura di tutto il quadro normativo. Signor Presidente, vorrei concludere, soprattutto auspicando che ci sia da parte della Commissione lavoro una riflessione profonda sulla legge n. 68 del 1999, perché è una di quelle normative che la civiltà giuridica, la disponibilità e la sensibilità umana, anche del Parlamento, hanno connotato con grandi potenzialità, ma che non sempre, ahimè, come il decreto-legge n. 102 del 2010, vengono poi portate alla piena attuazione.
Nella cruda e dura realtà della vita delle famiglie che hanno persone disabili al loro interno e delle persone disabili sole, che possono anche esserlo diventate nel tempo, considerata l'importanza della possibilità di un lavoro e della riscoperta di una nuova possibilità di una vita e di una dignità, credo e mi auguro che, dopo questo primo importante contributo interpretativo sulla materia di cui stiamo discutendo, ci siano proprio da parte della Commissione lavoro e del presidente Moffa un'analisi, una sollecitazione ed una possibilità di sviluppare appieno tutte le potenzialità che sono insite nella legge n. 68 del 1999.
Come Unione di Centro, naturalmente, ci associamo alle indicazioni che sono già venute per una rapida approvazione di questo testo, cosa che avverrà di sicuro. Lo voglio dire: qui siamo pochi, ma, quando si discute di queste cose, si deve dare anche sempre il merito a chi presenta i provvedimenti e a chi guida la Commissione di merito, in questo caso il collega presidente Moffa, che, anche sull'altro provvedimento per i benefici previdenziali ai lavoratori con familiari gravi a carico, è stato sempre capace di dare un'indicazione e un sostegno pieno.
Mi auguro che questa indicazione e questo sostegno pieno - sicuramente verranno oggi e domani dalla Camera dei deputati - possano trovare nell'attento sottosegretario, che segue sempre i nostri lavori, una volontà di accelerare l'iter di questa normativa, perché essa va nella direzione non di escludere qualcuno da dei benefici, ma di garantire a tutti gli spazi che sono necessari perché tutti possano avere dignità di un lavoro nella loro esistenza. Per queste considerazioni e condividendo l'urgenza di questo provvedimento, esprimo naturalmente fin d'ora l'avviso favorevole del gruppo dell'Unione di Centro su questo provvedimento (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Munerato. Ne ha facoltà.

EMANUELA MUNERATO. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, mi preme subito sottolineare che il provvedimento che quest'Assemblea si accinge a discutere, peraltro risultante anche da una proposta normativa della Lega Nord, ha registrato in Commissione un consenso pressoché unanime, a dimostrare che, quando l'intervento legislativo è un atto dovuto, non esistono logiche di partito o giochi di coalizione che possano impedire di migliorare la norma.
Di questo, infatti, si tratta, cari colleghi: di un'interpretazione autentica atta a chiarire la portata della disposizione del comma 2, dell'articolo 1, della legge 23 novembre 1998, n. 407, relativamente all'avviamento al lavoro di orfani e di vedove di vittime del terrorismo e della criminalità organizzata, come da ultimo modificato dall'articolo 5, comma 7, del decreto-legge n. 102 del 2010.
Con questa disposizione, infatti, si rischia che i familiari delle vittime del dovere, non essendo entro la quota di legge dell'1 per cento, possano andare ad occupare i posti riservati ai disabili. Si Pag. 24tratta, quindi, di una miglioria normativa, affinché sia chiaro che un eventuale ampliamento della quota di riserva delle assunzioni a favore delle vittime del dovere non debba causare una conseguente riduzione delle quote obbligatorie di assunzione spettanti ai lavoratori disabili.
Invero, se così fosse, rischieremmo di vedere cancellato un importante traguardo del collocamento mirato, raggiunto nel nostro ordinamento con la legge n. 68 del 1999 in materia di diritto al lavoro dei disabili. Riteniamo, invece, che orfani e vedove vittime di atti terroristici e della criminalità organizzata debbano ricevere da parte del legislatore, ai fini di un inserimento occupazionale, pari attenzione rispetto a quella riservata alle persone affette da disabilità o da minoranze fisiche, senza, però, che gli uni vadano a scapito degli altri.
Per questi motivi, consideriamo il provvedimento giunto in Aula di grande rilevanza sociale, perché, lo ribadisco, mira a chiarire che il lecito diritto all'assunzione delle vittime del dovere non vada a scapito dei diritti dei soggetti disabili, incidendo sulla quota di riserva stabilita per legge in favore di questi ultimi.
Abbiamo apportato delle modifiche durante l'elaborazione del testo unificato per rispondere alle condizioni poste dalla Commissione bilancio nel suo parere, al fine di esplicitare che il superamento della quota di riserva deve comunque avvenire, per le pubbliche amministrazioni, nell'ambito dei limiti delle assunzioni consentite dalla normativa vigente per l'anno di riferimento, parere recepito dalla Commissione lavoro con l'approvazione dell'emendamento del relatore.
Per tutti questi motivi, cari colleghi, auspichiamo un sollecito esame ed una rapida approvazione del testo da parte dell'Assemblea, per dare una risposta concreta ai familiari delle vittime del dovere e, al contempo, tranquillizzare tutti i soggetti affetti da disabilità sul loro diritto in tema di avviamento al lavoro (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Pedoto. Ne ha facoltà.

LUCIANA PEDOTO. Signor Presidente, il testo che inizia oggi l'esame dell'Assemblea, come hanno ripetuto i relatori che mi hanno preceduto, registra un ampio consenso da parte di tutti i gruppi.
Questo è ovviamente uno degli esempi, in cui diverse forze politiche riescono a superare le divisioni o le difficoltà, come qualche volta è successo nell'esame del provvedimento.
Come sappiamo e come ha detto il relatore, il testo mira a ripristinare il diritto all'inserimento lavorativo delle persone con disabilità, un diritto che è stato messo in discussione nel corso dell'approvazione di un altro provvedimento legislativo: quest'estate il Parlamento ha approvato giustamente una forma di tutela alle vittime del dovere ed è stato leso il diritto al lavoro di un'altra categoria. La legge, quindi, di cui inizia l'esame in Assemblea oggi e che speriamo venga approvata domani stesso, sgombra il campo da equivoci, da ritardi e da ingiustizie, ovvero gli equivoci che si sono creati in questo semestre, i ritardi che ci sono stati nelle pubbliche amministrazioni nell'emanazione dei bandi, e anche un poco le ingiustizie, perché si è creata un'ingiusta gerarchia, un'ingiusta scala di disagi e nessuno voleva questo. In tal senso pertanto auspichiamo tutti che tale legge sia approvata al più presto.
Mi consenta, tuttavia, signor Presidente, un'osservazione un poco più ampia in tema di diritto al lavoro dei disabili. La legge n. 68 del 1999, che è stata citata più volte in Aula questo pomeriggio, prevede che periodicamente il Governo presenti al Parlamento una relazione. Recentemente il Governo ha annunziato tale relazione. So che non è questa la sede per esaminarne dettagliatamente le informazioni e i dati, ma chi ha avuto modo di leggerla non può non rendersi conto che alcune informazioni e alcuni dati presenti sono veramente sconfortanti.
Leggo che diminuiscono i disabili avviati al lavoro, con un calo di oltre il 30 per cento, passando quindi da 31.535 avviati nel 2007 a poco più di 20 mila nel 2009, appunto oltre il 30 per cento; vi è un Pag. 25grave divario tra posti disponibili e avviamento al lavoro effettuato, sono indicati 78 mila posti disponibili, complessivamente tra pubblico e privato, ma gli avviamenti effettuati sono poco più di 20 mila. Questo squilibrio tra scoperture accertate ed avviamenti, in parte, riflette una carenza di controlli: sembrerebbe infatti che alcune aziende possano facilmente eludere le norme a tutela dei disabili.
Certo è vero che il Governo - e l'onorevole Schirru che mi ha preceduto lo ho voluto ricordare - a dicembre di quest'anno ha approvato un provvedimento in cui sono state inasprite le sanzioni per il mancato avviamento, ma leggendo i dati della relazione vediamo che il numero delle sanzioni comminate è bassissimo: in un anno nel Lazio solo venti sanzioni; in Lombardia solo due sanzioni e nelle Marche nessuna sanzione. Ora io vorrei pensare che nessuna sanzione significhi nessuna violazione, ovvero che poche sanzioni corrispondano a poche violazioni, ma temo purtroppo che non sia così. Credo piuttosto che un così basso numero di sanzioni sia legato all'assenza di attività ispettive e di controllo. Ciò è ancor più vero se ricordiamo e se pensiamo che è stato abolito l'obbligo della presentazione del certificato di ottemperanza per quelle aziende che vogliono partecipare ad una gara.
A questo aggiungiamo elementi di riflessione, che sono stati ripetuti molto spesso sia in quest'Aula che fuori di qui. Cosa è successo nella manovra finanziaria del 2011? Tutti i fondi statali di carattere sociale hanno subito un drastico ridimensionamento.
Ne ricordo solo uno: il Fondo per il diritto al lavoro dei disabili è stato ridotto ad un terzo della sua consistenza (quindi, nel 2010 ammonta a 14 milioni, nel 2011 a soli 11 milioni). Se a tutto quello che ho detto aggiungiamo le riduzioni di risorse che probabilmente deriveranno dall'approvazione del federalismo fiscale, non penso di sbagliare se temo fortemente che la situazione potrebbe essere quasi drammatica per alcune famiglie, e certamente molto difficile per i comuni. Nel ribadire un giudizio positivo sul provvedimento in esame, chiedo che vi sia un livello di attenzione più alto per le politiche sociali del Paese. Ricordo - l'onorevole Schirru lo ha detto prima di me - i vantaggi che possono derivare dal ricorso alla sussidiarietà, al terzo settore, in un modello di Stato sociale, di welfare, che non interviene solo nella fase della redistribuzione della ricchezza, ma che cerca di intervenire anche a monte, dove la ricchezza viene prodotta (quindi, un welfare che sia anche motore di sviluppo). Insieme al Partito Democratico - lo ripeto - auspichiamo che questo provvedimento venga approvato in settimana, ed esprimiamo sulla stesso un giudizio positivo, ma vorremmo che questa fosse l'occasione per una riflessione, per uno stimolo, e anche per un po' di coraggio per le politiche sociali del nostro Paese (Applausi).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 3720-3908-A)

PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore e il rappresentante del Governo rinunciano alla replica.
Il seguito del dibattito è rinviato ad alta seduta.

Sull'ordine dei lavori (ore 16,35).

RAFFAELE VOLPI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RAFFAELE VOLPI. Signor Presidente, la ringrazio molto per aver consentito questo mio intervento sull'ordine dei lavori. Le devo dire innanzitutto due cose (lo dico anche ai colleghi), si tratta di due brevissime premesse. Innanzitutto, prima di fare questo intervento ho aspettato, tergiversato, temporeggiato, e ho sperato che nel frattempo arrivassero dei chiarimenti Pag. 26e fossero eliminate delle ombre per i fatti che poi esporrò. In secondo luogo, con questo intervento non voglio assolutamente rivolgermi ad un gruppo politico, ad un gruppo parlamentare, e l'intervento non ha nulla a che vedere con la situazione politica.
Riferisco i fatti. Per ben due volte, Presidente (è facilmente rilevabile attraverso Internet, attraverso il Web), il collega Barbareschi ha fatto delle dichiarazioni assolutamente improprie (mi limito a questo, la valutazione la lascerò a lei e ai colleghi). Attraverso la trasmissione Striscia la notizia circa un mese fa, è stato messo in onda uno spezzone in cui in occasione di un incontro pubblico il collega Barbareschi ha raccontato di aver sentito in quest'Aula due colleghi che, parlando tra di loro, recriminavano il fatto di non aver avuto i giusti pagamenti da parte della criminalità organizzata. Credo che questa, già di per sé stessa, non sia una cosa particolarmente piacevole per chi siede in quest'Aula. Sollecitato poi in un'intervista, riconfermava i fatti, e ovviamente chi lo intervistava, in quella occasione, in quell'incontro gli rivolse questa domanda: scusi, onorevole, lei ha fatto delle denunce, ha parlato con qualcuno? Il collega Barbareschi si limitò, evasivamente, a rispondere dicendo: ma c'è la Presidenza, ci sono i questori. La scorsa settimana - credo anche giustamente - Striscia la notizia è andata a sollecitare il deputato Barbareschi e a chiedergli se fosse successo qualcosa (Presidente, ritengo che non sia una denuncia così marginale), e il collega Barbareschi all'epoca rispose, ovviamente mi limito a dei richiami, ma il contenuto è facilmente rilevabile su Internet: chi deve sapere lo sa, ma c'è la Presidenza, ma c'è la Commissione antimafia.
Signor Presidente, lo dico anche con imbarazzo, ma penso che quest'Aula non sia né una fiction né una telenovela né un telefilm di qualche commissario. Credo che qui non ci sia nemmeno in ballo l'onorabilità di un singolo deputato; con affermazioni del genere si mette in ballo l'onorabilità di tutta questa Assemblea che, fino a prova contraria, è composta da donne e uomini che, con impegno politico, magari a differenza di quello del collega Barbareschi che qui si vede molto poco, lavorano quotidianamente e si rivolgono ad un tessuto sociale che incontrano spesso nei fine settimana per ore confrontandosi, giustamente, con il proprio territorio.
Le chiedo solo una cosa, signor Presidente, ossia che solleciti la Presidenza in modo da chiarire con il deputato Barbareschi quali sono i termini delle sue denunce, perché non vorrei pensare che vi sia un'inadempienza da parte della Presidenza, da parte dei colleghi questori, da parte delle strutture preposte o se sia, invece, una situazione per la quale il collega Barbareschi abbia fatto un suo tentativo di notorietà attraverso una forma assolutamente impropria che scredita questa Assemblea. Credo che al collega Barbareschi non sia difficile - mi permetta - avere un rapporto diretto con il Presidente, essendo anche dello stesso gruppo, però le chiedo, signor Presidente, che sia fatta chiarezza perché qui dentro siamo persone oneste, non siamo dei buffoni e non ci aspettiamo che i buffoni parlino con noi.

PRESIDENTE. Onorevole Volpi, come lei sa le ho dato la parola, perché deve assentarsi immediatamente dall'Aula, e, quindi, ho fatto un'eccezione al Regolamento che, adesso, mi accingo a fare anche con eventuali altri colleghi. Naturalmente, il contenuto del suo intervento non sfuggirà al Presidente della Camera.

ROBERTO GIACHETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, non sarei intervenuto, ma l'argomento, in qualche modo, investe tutti noi. Non conoscevo e, quindi, non conosco le affermazioni fatte dal collega Barbareschi, ma ho ascoltato quanto ci ha detto il collega Volpi. Credo che il punto vero è Pag. 27che non spetta né a noi, né alla Presidenza, né ai questori, dare una risposta in questo senso, ma, probabilmente, la cosa più utile è che se qualcuno di noi, come qualunque cittadino, ha delle informazioni, dei sospetti, delle notizie o qualunque cosa di tale gravità che riguardino chicchessia, l'unica porta di accesso alla quale dovrebbe rivolgersi è quella della magistratura, ovviamente la sede naturale dove, se si hanno notizie di questo tipo, occorre appunto rivolgersi.
Ovviamente, non posso che prendere atto di quello che ha detto qui il collega Volpi, ma penso che queste affermazioni non vanno tanto svolte in televisione quanto, appunto, nelle sedi opportune. E, ovviamente, non credo certo che spetti né alla Presidenza né ai questori - vivaddio ognuno deve fare il suo compito, è bene che la magistratura faccia il suo qualora sia investita di notizie di questo tipo - di dover interrogare, non si sa bene chi, per sapere se qualcuno tra di noi è investito di colpe o, addirittura, di ipotesi di colpe di questo livello. Davvero, per andare ad approssimarci un po' di più a quello che spetterebbe a ciascuno di noi, le vie sono quelle naturali e dovrebbero essere da tutti utilizzate, certo non la televisione o la Camera dei deputati.

Discussione delle mozioni Bosi ed altri n. 1-00488, Di Biagio ed altri n. 1-00451 e Villecco Calipari ed altri n. 1-00541, concernenti iniziative in materia di concessione di alloggi di servizio del Ministero della difesa (ore 16,45).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Bosi ed altri n. 1-00488 (Nuova formulazione), Di Biagio ed altri n. 1-00451 (Nuova formulazione) e Villecco Calipari ed altri n. 1-00541, concernenti iniziative in materia di concessione di alloggi di servizio del Ministero della difesa (Vedi l'allegato A - Mozioni).
Ricordo che lo schema recante la ripartizione dei tempi per la discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
Avverto che sono state, altresì, presentate le mozioni Di Stanislao ed altri n. 1-00543, Cicu ed altri n. 1-00551, Porfidia ed altri n. 1-00553 e Lo Monte ed altri n. 1-00554 (Vedi l'allegato A - Mozioni) che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente. I relativi testi sono in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni presentate.
È iscritto a parlare l'onorevole Bosi, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00488 (Nuova formulazione). Ne ha facoltà.

FRANCESCO BOSI. Signor Presidente, signor sottosegretario, colleghi, la questione oggetto di questa mozione, che mi vede come primo firmatario, e, poi, ripresa anche dai colleghi di altri gruppi, come è stato testè annunciato, solleva un argomento di sicuro interesse e altrettanta sicura complessità.
Voglio dire questo in modo particolare rivolgendomi al sottosegretario alla difesa. Sappiamo che il patrimonio immobiliare abitativo della difesa ammonta a circa 18 mila alloggi, che sono sicuramente insufficienti rispetto alle esigenze complessive degli appartenenti alle Forze armate. È anche vero che c'è una quantità di alloggi sfitti, che si calcola intorno ai 4 mila - poi mi correggeranno se dico male - e ci sono circa 5 mila alloggi che sono occupati dai cosiddetti sine titulo, vale a dire da personale che ha mantenuto l'alloggio a suo tempo assegnato come alloggio di servizio o all'incarico, ma che poi lo ha mantenuto per vari motivi. C'è anche una gestione, senza far carico a nessuno, un po' «lasciva» che negli anni e nei decenni si è verificata.
Adesso il Governo, attraverso il decreto-legge n. 78 dell'agosto scorso e con un Pag. 28nuovo decreto-legge e con altri ancora ha voluto regolamentare e disciplinare questa materia realizzando improvvisamente una situazione che rischia per davvero di creare una serie di vittime incolpevoli. Comprendo l'esigenza del Ministero, soprattutto in epoca di vacche magre, di dover introitare maggiori risorse, di dover anche provvedere all'alienazione di un certo numero di immobili per costruirne altri in zone magari dove si sono ricollocate le nostre Forze armate per le nuove esigenze strategiche. È altrettanto vero però che per gli alloggi che non vengano utilizzati, di cui non si prevede l'utilizzazione per esigenze di servizio oppure per gli stessi alloggi sfitti si debba ricercare un diverso approccio, cioè un approccio più ragionevole. Ho visto, nelle varie mozioni presentate dagli altri gruppi che questa problematica è abbastanza comune come preoccupazione di tutte le forze politiche, di maggioranza e di opposizione. In modo particolare, vorrei evidenziare che questo provvedimento del Governo deve, o dovrebbe, avere una natura pluriennale: non può dalla mattina alla sera irrompere in situazioni che rischiano di gettare nel caos e nella disperazione e che talvolta sicuramente possono apparire non eque, non giuste, non sufficientemente suffragate. Quindi, la prima richiesta che noi facciamo è che vi sia un'applicazione pluriennale, sostanzialmente una gradualità di applicazione.
C'è poi la questione del personale che occupa questi immobili abitativi e che è a basso reddito, oppure si tratta di coniugi superstiti o famiglie che hanno figli con un handicap. Credo che in questi casi si possa tranquillamente ricorrere a quel limite di reddito che ogni anno viene fissato dal Ministero della difesa per la determinazione dei canoni di alloggio negli alloggi occupati sine titulo. Non credo che vi sia da inventare un nuovo limite di reddito per parlare di basso reddito.
Su questo mi differenzio un po' dalla mozione del Popolo della Libertà, dove si tira fuori questo limite di 19.100 euro, che francamente non si sa da dove arrivi e da dove venga. Io credo che debba essere mantenuto lo stesso limite di reddito lordo che veniva applicato nella disciplina della fissazione del canone a nucleo familiare nelle situazioni precedenti, che ogni anno, fino anche al 2010, è stato definito sulla base dei redditi del 2008. Su questo vi è, come ho visto, una distanza abbastanza considerevole.
L'altra questione che voglio richiamare all'attenzione del Governo è quella dell'efficacia dell'atto di eventuale notifica del nuovo canone o, addirittura, di notifica del recupero dell'immobile con provvedimento coattivo. A quel punto il recupero coatto non può essere fatto così, improvvisamente: bisogna concedere un certo tempo, laddove se ne riscontri la necessità in modo rigoroso, perché vi sono esigenze impellenti di militari in servizio. Innanzitutto ci vorrebbe, come in passato è stato chiesto peraltro dallo stesso Popolo delle Libertà nella scorsa legislatura, un qualche controllo anche da parte della Commissione difesa, ma poi si dovrebbe dare il tempo necessario alle persone di programmarsi, organizzarsi, cercare diverse soluzioni.
Anche sulla questione della notifica del nuovo canone, io credo che il canone nuovo che viene applicato - perché in questo decreto si prevede anche l'aggiornamento del canone sulla base del prezzo di mercato o di quello fissato dall'Agenzia del demanio - non possa essere applicato per così dire sul passato, ma debba essere applicato così: nel momento in cui si definisce questo canone, si notifica e si avvisa che il canone è modificato, è cambiato.
Infine, la questione degli ultrasessantacinquenni: molti di questi inquilini del Ministero della difesa, già appartenenti alle Forze armate o al personale della Difesa, sono ultrasessantacinquenni o addirittura gli immobili sono occupati da coniugi superstiti. Noi vogliamo che in questi casi sia consentita l'acquisizione dell'usufrutto a certe condizioni: mi riferisco alle persone anziane, che salvo traumi enormi non possono trasferirsi altrove. D'altro canto, diciamocelo signor sottosegretario, qui vi è anche una responsabilità Pag. 29del Ministero della difesa, che io non ascrivo al sottosegretario Crosetto o al Ministro La Russa, ma se si è consentito che una famiglia di ultrasessantacinquenni o coniugi superstiti sia rimasta lì senza titolo per magari vent'anni, non ci si può svegliare una mattina e dire: «Vattene!». Vuol dire che per vent'anni quell'alloggio non serviva e non vi è una dimostrazione che oggi improvvisamente serva. In quel caso l'acquisizione dell'usufrutto è molto importante, perché consente, mantenendo la proprietà in capo al Ministero della difesa, con una cifra che si calcola probabilmente essere il 20 per cento del reddito del conduttore, di rimanere vita natural durante - l'usufrutto è legato alla vita naturale della persona - con un deposito fideiussorio che può essere intorno sempre a valori definiti con un certo criterio, visto che su questo anche la mozione del gruppo di maggioranza acconsente.
Quindi, credo che questo sia un altro punto positivo che può essere introdotto per evitare situazioni di trauma, che poi è ciò che ci preoccupa e che a noi interessa. Anche perché - facciamo attenzione, ribadisco la questione del reddito - si tratta di personale che, magari, è in quiescenza con 1.800 euro al mese di pensione: gli si fa pagare il prezzo di mercato e praticamente quasi l'intera pensione dalla mattina alla sera. Ecco perché invochiamo prudenza, gradualità e, soprattutto, attenzione alla definizione dei limiti di reddito.
Vorrei inoltre - e concludo - dire al sottosegretario, al rappresentante del Governo, che ritengo che su queste cose non ci si debba o non ci si dovrebbe dividere tra destra, sinistra, centro, eccetera. Io credo che su queste cose dovremmo trovare un punto di intesa. Del resto, parliamo di una platea di persone così ampia, nella quale, in fondo, vivono un po' tutti. Io ho avuto l'onore di essere sottosegretario alla difesa nei panni del collega Crosetto e mi ricordo che sono stato anche molto severo e molto duro quando si trattava di recuperare degli alloggi che veramente servivano al personale di servizio. Ma non mi sembra che, laddove questa circostanza non risieda, si debba intervenire giusto per far cassetta in una realtà delicata. E poi attenzione: oltretutto non vengono fatte manutenzioni, questi alloggi vengono lasciati nel degrado, seppur il Ministero della difesa prelevi cifre ingenti ogni anno per canoni di locazione. Dove sono andate a finire? Perché non sono state utilizzate? Dove e come sono state altrimenti utilizzate, mentre dovevano essere riservate al patrimonio abitativo, tanto per il suo incremento quanto per la sua conservazione, manutenzione e tenuta in efficienza?
Questo è un capitolo molto difficile e delicato che riguarda il Ministero della difesa, in ordine al quale non vogliamo assolutamente - tanto meno io - introdurre elementi di strumentalizzazione né di critiche facili. Si tratta di trovare un equilibrio giusto.
Sono disponibile ad apportare a questa mozione anche qualche cambiamento, purché derivi da una volontà acclarata di addivenire a giusti equilibri e ad una situazione che sia, quanto meno, responsabile anche delle carenze gestionali che, nel corso degli anni e dei decenni, si sono accumulate. Infatti, se questo patrimonio non fosse stato sottostimato e malgestito, probabilmente oggi non saremmo a questa difficile e quasi drammatica situazione.
Mi riservo di intervenire successivamente e auspico che il Governo e i gruppi parlamentari sottoscrittori delle diverse mozioni si rendano disponibili a trovare un giusto e più corretto equilibrio.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Di Biagio, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00451 (Nuova formulazione). Ne ha facoltà.

ALDO DI BIAGIO. Signor Presidente, gentilissimo sottosegretario, onorevoli colleghi, quest'oggi ci troviamo a discutere su una questione complessa e allo stesso tempo delicata, che coinvolge migliaia di famiglie italiane, famiglie di personale dell'amministrazione della difesa in quiescenza, attualmente locate presso circa 5 mila alloggi, per i quali corrispondono un canone definito dall'amministrazione. Pag. 30
A tale riguardo, si ricorda che attualmente l'amministrazione raccoglie circa 35 milioni di euro annui dalle sopraindicate concessioni. Risorse, queste, non trascurabili perché rappresentano una voce indifferibile fra le entrate del Ministero della difesa. Non si tratta di difendere o di tutelare le prerogative di una categoria di cittadini italiani, ma semplicemente di pretendere dall'amministrazione quella coerenza amministrativa, procedurale e normativa, unita alla salvaguardia delle esigenze di economicità, efficacia, efficienza e pubblica trasparenza che dovrebbe avere in ottemperanza al dettato costituzionale.
In sintesi, ricordiamo che sono state emanate disposizioni legislative, che potremmo definire vessatorie, nei confronti di pensionati e vedove, e che prevedono l'aumento dei canoni di concessione; aumenti sulla base dei prezzi di libero mercato, a partire dal 1o gennaio 2011, come stabilisce la legge n. 122 del 2010. Con questo, si vorrebbero costringere centinaia di famiglie di ultrasessantenni ad abbandonare gli alloggi in quanto incapaci di far fronte a canoni insostenibili. Andiamo per ordine: nel 2003 in occasione dell'entrata in vigore della legge n. 326, si disponeva la vendita con il sistema della cartolarizzazione degli alloggi occupati dal personale cosiddetto sine titulo. A fronte di questa vendita, il Ministero della difesa avrebbe ricevuto la somma di 20 milioni di euro annui per affittare un ugual numero di alloggi di quelli alienati. Nella fattispecie, la citata disposizione riconosceva la previsione di alienabilità anche per eventuali alloggi che, pur se non ubicati nelle infrastrutture militari, non erano da considerarsi operativamente posti al loro diretto e funzionale servizio. Spettava al Ministro della difesa stabilire con proprio decreto quali fossero da considerarsi alloggi ubicati ma non utili, così come gli competerebbe stabilire l'insieme degli alloggi siti fuori dalle infrastrutture che annualmente la Difesa intende alienare. Considerando che l'individuazione degli alloggi alienabili tardava ad arrivare, l'attuale Ministro della difesa, all'epoca capogruppo di Alleanza Nazionale, presentò come primo firmatario un atto di sindacato ispettivo, discusso nel dicembre 2005, in cui impegnava il Governo a procedere, senza ulteriori indugi, al trasferimento degli alloggi individuati, senza discrezionalità alcuna, ai sensi della legge n. 326 del 2003, al patrimonio dello Stato. Forse il Ministro si è dimenticato di questa evidenza. Ricordiamo che attualmente sono ancora pendenti diversi ricorsi presentati dagli utenti verso l'amministrazione della Difesa proprio per la mancata vendita. Infatti, molti dei conduttori cosiddetti sine titulo, peraltro sottoposti al pagamento di un fitto definitivo di indennità di occupazione, pari al 150 per cento dell'equo canone, in varie date presentavano e rimandavano domande intese a giungere all'acquisto delle unità immobiliari di interesse. Considerata la legge n. 326 del 2003 che prevedeva per loro un diritto di prelazione al momento della vendita, malgrado le molteplici istanze, il Ministero della difesa non ha fornito alcun riscontro. Anzi, astenendosi dal continuare nei tentativi di rilascio forzoso che in qualche caso hanno avuto successo per sopraggiunta stanchezza dei conduttori, quasi tutti soldati in pensione, cittadini che dopo avere, con onore, servito l'istituzione militare, giunti alla pensione, convivono con lo spettro di un futuro incerto e umiliante, considerando l'inversione di tendenza dell'amministrazione e dell'attuale referente del dicastero, viene da chiedersi cosa sia realmente cambiato. Dopo quattro anni di mancata ottemperanza alle disposizioni della legge n. 326 del 2003, con la legge finanziaria per il 2008, la legge n. 326 fu abrogata, e venne stabilito che il Ministero della difesa dovesse predisporre, con criteri di semplificazione, razionalità e contenimento della spesa, un programma pluriennale per la costruzione, l'acquisto e la ristrutturazione di alloggi di servizio. Ricordiamo che le stesse disposizioni della legge finanziaria sono confluite, a partire dall'ottobre 2010, nel decreto-legislativo n. 66 del 2010, nuovo codice dell'ordinamento militare. Le citate disposizioni prevedevano la possibilità Pag. 31di vendita di una aliquota di alloggi non più utile per soddisfare le esigenze del Ministero della difesa.
Per quanto riguarda i conduttori sine titulo di alloggi che non saranno alienati, confermava l'obbligo di rilascio immediato, prevedendo per gli occupanti un canone sulla base di prezzi di libero mercato.
Appare opportuno ricordare che, in sede di riunione interforze, i vertici della Difesa hanno stabilito che, sulla delicata questione dei 3 mila alloggi da alienare, come possibile escamotage sarebbe stato possibile indicare le aree dove sarebbero stati venduti gli alloggi già individuati, fornendo il dato complessivo, senza specificare le singole unità abitative. Tutto questo dovrebbe essere sufficiente per poter avviare l'iter approvativo del regolamento: un orientamento discutibile ed incoerente da parte delle amministrazioni.
Il citato decreto, registrato dopo rilievi da parte della Corte dei conti in data 18 maggio 2010, ha previsto l'aumento dei canoni di concessione sia per il personale in servizio, sia per quello sine titulo, senza la specifica di una data di decorrenza per entrambi gli aumenti. In questa prospettiva va ad aggiungersi la ratio dell'articolo 6, comma 21-quater, della legge n. 122 del 2010 che prevedeva solo per il personale sine titulo l'aumento dei canoni a decorrere dal 1o gennaio 2011.
La conseguenza inevitabile è che migliaia di famiglie, oltre all'aumento del canone, dovrebbero sostenere anche il pagamento degli arretrati, facendo così venir meno la possibilità di scelta dell'utente se accettare o meno il nuovo canone.
Sembrerebbe, in effetti, che l'amministrazione intenda procedere alla risoluzione dei contratti di locazione con gli attuali intenti attraverso dinamiche che appaiono del tutto assimilabili ad uno sgombro forzato in forma surrettizia, minacciando di ricorrere all'applicazione unilaterale di canoni di mercato economicamente insopportabili da parte degli utenti, non fornendo indicazioni in merito ai criteri di calcolo di questi, né tanto meno riferimenti legislativi sottesi.
Tale rideterminazione del suddetto canone introduce, inoltre, inaccettabili criteri sperequativi tra i conduttori che abitano sul territorio nazionale. Basta tener presente la drammatica differenza che sussiste tra i prezzi locativi di libero mercato nel nostro Paese. Per esempio, rimanendo nel Lazio, verrebbe da dire che Roma non è Frosinone sotto questo punto di vista.
Inoltre, il decreto ministeriale che dovrebbe introdurre questi nuovi canoni, peraltro non ancora emanato, reca ulteriori aggravamenti al canone di libero mercato che la Difesa intende applicare. Si parla di cosiddetti coefficienti, assolutamente al di fuori di ogni logica, ma tali da portare i potenziali nuovi canoni a livelli assolutamente non sostenibili, livelli che rischiano di mettere alla porta migliaia di famiglie italiane che hanno servito lo Stato e che in moltissimi casi si ritrovano a vivere difficili situazioni sotto il profilo umano ed economico.
Paradossalmente si verrebbe a realizzare quanto auspicato dal tavolo di lavoro degli stati maggiori della Difesa nell'ambito della predisposizione del cosiddetto obiettivo 9 citato nella mozione presentata dal gruppo di Futuro e Libertà. Infatti, nel citato progetto si evidenzia come, siccome non sarebbe stato possibile mandare via i sine titulo che con la legge n. 326 del 2003 avevano maturato la legittima aspettativa di acquistare l'alloggio, sarebbe stato il caso di definire un meccanismo che avrebbe condotto gli utenti stessi a decidere di andarsene.
In che modo? Canone maggiorato e minaccia costante di recupero forzato. Appare chiaro che la Difesa, attraverso gli sfratti o in considerazione dei canoni insopportabili, vorrebbe rientrare in possesso degli alloggi. Sappiamo anche che la Difesa ha predisposto un piano con cui si dice debbano essere costruiti 51 mila alloggi per un costo di 5,7 miliardi di euro da finanziare con la vendita dei 3 mila alloggi. Verrebbe anche da chiedersi: perché, se ha bisogno di alloggi per personale in mobilità, non ripristina i 3.500 alloggi vuoti? Pag. 32
Quindi, appare del tutto fuori luogo che l'amministrazione utilizzi a torto la solita legittimazione per sfrattare i vecchi militari secondo la quale bisognerebbe dare gli alloggi ai giovani. Ora sappiamo, per l'appunto, che non è così: l'amministrazione ha tutti gli strumenti per consentire ad entrambe le categorie di godere di un diritto, mantenendo le promesse a suo tempo fatte e dando seguito ai dispositivi legislativi approvati.
Emergerebbe quasi il dubbio che questa confusione di procedure amministrative, legislative ed esecutive sottenda un progetto di natura immobiliare della Difesa, che si colloca ben oltre le naturali esigenze allocative del personale. Su questo punto, ad ogni modo, sarebbe il caso che il Ministero ci desse riscontro, anche per allontanare eventuali dubbi e perplessità sulle eventuali azioni, per così dire, interessate dell'amministrazione da parte non solo degli utenti, ma anche di quei presenti firmatari degli atti in discussione. Attualmente al Senato è in discussione il decreto cosiddetto mille proroghe che, tra l'altro, all'articolo 2 impone la costituzione di fondi in cui fare affluire i beni immobiliari della Difesa. Questo provvedimento, a nostro parere, potrebbe rappresentare il riferimento normativo più adeguato per ripensare l'attuale politica alloggiativa.
Gentile sottosegretario, migliaia di famiglie di persone anziane, spesso con malattie gravi e con pesanti handicap, rischiano di trovarsi da un momento all'altro sul lastrico semplicemente per la volubilità e l'incoerenza legislativa del Ministero. Non dimentichiamo che, già in occasione della legge di stabilità per il 2011, il Governo, sia alla Camera che al Senato, aveva accolto l'impegno di rettifica della normativa in oggetto. Per tali ragioni, voglio innanzitutto salutare con soddisfazione la presentazione delle mozioni degli onorevoli Bosi e Villecco Calipari, affini per materia, che dimostrano la sensibilità di questa istituzione nei confronti di una categoria vessata.
Il mio auspicio è che gli impegni tracciati nelle tre mozioni vengano accolti essendo di medesima portata. Pertanto, come gruppo Futuro e Libertà, chiediamo al Governo di assumere iniziative normative finalizzate a: prevedere che le eventuali maggiorazioni di canone, rispetto a: quello già in vigore, non siano applicate nei confronti degli utenti con reddito familiare annuo lordo non superiore a quello fissato annualmente con decreto del Ministero della difesa, tenendo conto della sostenibilità dei nuovi canoni da introdurre in relazione ai redditi complessivi familiari dei conduttori degli alloggi; ad adottare iniziative al fine di stabilire che l'applicazione di qualunque variazione dei canoni in atto vigenti abbia efficacia solo a partire dalla data di notifica formale agli interessati del nuovo canone, restando invariato il diritto del conduttore a presentare ricorso avverso il provvedimento emesso; a fornire chiarezza al portato dell'articolo 7 del decreto ministeriale n. 112 del 2010, garantendo che l'esercizio del diritto di acquisto dell'usufrutto sia riconosciuto ai conduttori senza la necessità di corrispondere una caparra confirmatoria; a prevedere la sospensione dei recuperi forzati previsti dall'articolo 2, comma 3, del citato decreto ministeriale n. 112 del 2010, sino all'adozione del decreto di trasferimento al patrimonio disponibile dello Stato degli alloggi da alienare, introduttivo al procedimento di alienazione della proprietà, dell'usufrutto e della nuda proprietà degli alloggi risultanti alienabili; a riconoscere, con apposite iniziative normative, per quanto riguarda gli alloggi per i quali non si prevede la vendita, possibili e alternative formule di acquisizione e/o conduzione dell'immobile, ad esempio l'acquisizione dell'usufrutto a vita per i conduttori sine titulo ultrasessantacinquenni che manifestino la volontà di continuare nella conduzione stessa.
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Di Biagio, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti. Pag. 33
È iscritta a parlare l'onorevole Villecco Calipari, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00541. Ne ha facoltà.

ROSA MARIA VILLECCO CALIPARI. Signor Presidente, onorevole sottosegretario, onorevoli colleghi, non è la prima volta che siamo chiamati a interessarci del patrimonio abitativo del Ministero della difesa. Vorrei fare a questo punto un po' di chiarezza perché su questa vicenda, su questo argomento che merita l'attenzione dell'Aula, è bene fare un po' di passi indietro e raccontare tutto ciò che è avvenuto in questi anni in merito al problema che tocca anche tutti noi, ossia quello di garantire i militari delle nostre Forze armate di ogni ordine e grado ed alcuni civili della Difesa per avere un alloggio che gli consenta quindi una migliore qualità di lavoro e di vita e che sia anche adattato alle capacità funzionali dello strumento militare.
In effetti, sono tantissime le categorie di cittadini che a tal fine hanno ricevuto aiuti diversi da parte dello Stato sotto forma di contributi o altre forme di incentivo per disporre di una casa di proprietà o in affitto ad un prezzo compatibile con il loro reddito familiare.
Il patrimonio abitativo di cui la Difesa dispone ha oscillato negli ultimi vent'anni tra i 15 mila e i 18 mila alloggi. Si tratta di una risorsa assolutamente inadeguata a corrispondere alla domanda di un alloggio che è diventata, dopo la sospensione del servizio di leva obbligatorio, assolutamente insufficiente. L'unica sistemazione abitativa che si è in grado di offrire agli oltre 60 mila soldati di carriera è rappresentata da un posto letto nelle camerate dove con molta buona volontà alloggiavano i soldati di leva per poco più di dieci mesi. Avendo ben chiaro tutto questo, noi abbiamo approvato nella scorsa legislatura proprio nella legge finanziaria per il 2007 una serie di norme che abbiamo definito una piccola «legge quadro», per garantire un programma per la valorizzazione del demanio militare.
Tali norme dovevano prevedere anche una parte che definirei construens. Quei pochi commi, infatti, prevedevano una più efficace soluzione per la questione degli alloggi militari e consentivano al Ministero della difesa una pianificazione pluriennale per la costruzione, l'acquisto e la ristrutturazione di unità abitative, utilizzando sia aree demaniali che aree private attraverso joint venture di capitali privati da destinare ad un interesse pubblico. Si trattava, quindi, di una «legge quadro» che poteva consentire di realizzare 50-60 mila unità abitative coinvolgendo risorse private e destinatari pubblici utilizzando risorse in una virtuosa sinergia.
A distanza di tre anni dall'entrata in vigore di quelle norme non è stato fatto quasi nulla e non è stata realizzata neppure una nuova abitazione. Un segmento di questo progetto è costituito da un piano di vendite di parte del patrimonio esistente, che la stessa legge indicava non dover essere inferiore a tremila unità abitative, non più utili alla Difesa e, quindi, da cedere agli stessi conduttori. Per essere sintetici, il punto cardine del piano di vendite, di cui alla legge finanziaria per il 2007, prevedeva la dismissione degli alloggi ritenuti non più utili alle esigenze della difesa, con il riconoscimento di un diritto di opzione in favore degli utenti in grado di acquistare.
A questo proposito, sottolineo la garanzia di poter continuare nella conduzione dell'alloggio per le famiglie con reddito medio-basso che non risultassero in grado di esercitare il diritto d'acquisto e l'assegnazione degli introiti ad un'unità previsionale del Ministero della difesa. Approvata la legge, occorreva predisporre i regolamenti attuativi.
Questo Governo nel 2009 ha quantificato in circa 70 mila alloggi le esigenze abitative presentando in Parlamento anche un piano molto dettagliato (per regioni geografiche e per forza armata) che è rimasto però ancora assolutamente sulla carta. Il risultato di tutto ciò è che attualmente il patrimonio abitativo della Difesa è di 18.939 unità così suddivise: il 57 per cento è rappresentato da alloggi assegnati con una graduatoria a carattere sociale per un periodo di otto anni; il 40 Pag. 34per cento comprende alloggi di servizio assegnati in base all'incarico; il restante 3 per cento è infine costituito da alloggi di servizio gratuiti per consegnatari e custodi e alloggi di servizio con rappresentanza.
Vorrei sottolineare che il superamento del periodo di otto anni o la perdita dell'incarico non determinano automaticamente la scadenza della concessione. Tutto ciò è previsto dalle seguenti leggi: la n. 537 del 1993 (all'epoca il Presidente del Consiglio era Ciampi), che ha stabilito all'articolo 9 il diritto alla continuità della concessione per le famiglie con reddito medio-basso e che annualmente - come ricordava anche l'onorevole Bosi - il Ministro della difesa determini con proprio decreto la soglia di reddito ai fini della concessione dell'alloggio. Il secondo riferimento normativo è la legge n. 724 del 1994 (all'epoca il Presidente del Consiglio era Berlusconi) che ha stabilito la possibilità di prorogare la concessione anche a famiglie con reddito superiore con applicazione di una maggiorazione del canone del 50 per cento.
Penso che fra questi c'è sicuramente anche qualcuno che supera la condizione di necessità, ma ciò non giustifica il tentativo di considerare tutti i conduttori degli alloggi che si trovano nelle condizioni, invece, previste dalla legge (cioè i redditi medio-bassi) di essere indicati come sine titulo e considerati quasi come abusivi.
Il regolamento di attuazione della legge finanziaria 2008 ha infatti concentrato, con grande attenzione e altrettante norme, proprio su di loro tutta l'attenzione, al fine di mettere in discussione il diritto alla continuità nella locazione dell'alloggio proprio per coloro che hanno redditi medio-bassi e che, quindi, non possono acquistare.
Come già detto, la legge finanziaria - e, quindi, mi riferisco alla norma madre - stabilisce precise tutele a favore di costoro, al fine di garantire proprio i conduttori di unità immobiliari che siano ultrasessantacinquenni o che siano vedove di personale militare o che abbiano figli o componenti familiari portatori di handicap. Il regolamento, invece, contraddice quanto disposto dalla norma ridimensionando questa garanzia in maniera del tutto illegittima, laddove prevede solo un obbligo per il soggetto terzo acquirente - e il sottosegretario ricorderà bene che questa discussione è stata fatta proprio in Commissione difesa, dove siamo stati sei mesi a discutere di questo tema - al fine di stipulare un contratto di locazione. Dunque, a questo punto l'acquirente non può poi decidere, attraverso questa norma che avete inserito nel regolamento, tempi, modalità e, tra l'altro, un canone che è al di sotto di quello previsto dallo stesso decreto ministeriale, perché la previsione indica un termine di nove anni se il reddito del conduttore non supera i 19 mila euro annui lordi e di cinque anni se, invece, il reddito è compreso tra i 19 mila euro e quello stabilito dal decreto del Ministro della difesa. Questo, ovviamente, è uno dei punti che, anche leggendo le varie mozioni presentate dai colleghi, ci trova molto diversamente orientati rispetto, invece, alla mozione a prima firma dell'onorevole Cicu, che accetta questa condizione: il reddito è quello stabilito dal decreto del Ministro della difesa, vale a dire 40 mila euro.
Va ribadito che in merito al diritto di continuità nell'alloggio non si prevede, nella legge finanziaria, alcuna scadenza temporale. L'unica limitazione è soltanto quella in cui vengano meno le condizioni che hanno previsto quella garanzia e quella tutela. Inoltre, nonostante i rilievi svolti dallo stesso Consiglio di Stato in sede di esame del regolamento, continua a mancare la dimensione pluriennale del piano di vendite. Quello che viene presentato, insieme al regolamento, come piano pluriennale è, in realtà, un'unica operazione di dismissione relativa a 3.131 alloggi - quello che è previsto praticamente per legge come misura minima - e vi è una mera indicazione delle esigenze abitative della Difesa, fissate a oltre 51 mila alloggi. In merito, poi, alla realizzazione di questi alloggi ben poco è stato fatto se non una calendarizzazione, futura e del tutto Pag. 35generica, secondo cui il primo lotto si costruirà tra cinque anni, il secondo tra dieci e poi per gli altri si vedrà.
Tirando quindi le somme, la legge quadro ha dato origine a un regolamento, emanato nel maggio 2010, che contrasta con la legge quadro su aspetti, come ho sottolineato, non secondari; a un piano di vendite, con contestuale trasferimento all'Agenzia del demanio, per un numero di tremila alloggi ma questo piano esiste solo ufficiosamente sulla carta e non è stato ancora emanato. Inoltre, la pubblicazione del regolamento ha già dato corso all'invio di lettere di preavviso di sfratto a circa 3000 o 3500 famiglie.
Subito dopo il Governo è nuovamente intervenuto, sempre nei confronti dei cosiddetti sine titulo, con decreto ministeriale, adottato d'intesa con l'Agenzia del demanio, per la rideterminazione del canone di occupazione sulla base dei prezzi di mercato. L'obiettivo evidente è, quindi, quello di intimare canoni non sostenibili, determinando le condizioni di morosità o il rilascio dell'immobile e su questa norma si registra - come è evidente, anche a seguito delle mozioni presentate in Aula - un forte dissenso politico da parte del Partito Democratico, di Futuro e Libertà per l'Italia, della stessa Unione di Centro e dell'Italia dei Valori. Vi sono state, inoltre, prese di posizione di alcuni consigli comunali, come quello di Roma, quello di Milano e di altri piccoli comuni, e una mobilitazione da parte degli utenti.
Ricordo che pochi giorni fa alla Cecchignola si è svolta un'assemblea e non erano presenti soltanto - vedo il sorriso del sottosegretario - quelli di «Casa diritto» ma hanno partecipato anche rappresentanti dei Cocer, rappresentanti di amministrazioni comunali - tra l'altro, anche dell'amministrazione Alemanno - e rappresentanti di inquilini di varie città d'Italia. Infine, vi è stata la presentazione di emendamenti da parte del Partito Democratico e di Futuro e Libertà per l'Italia al Senato per far slittare la decorrenza, ormai scaduta, del 1o gennaio e introdurre un limite al canone di libero mercato, calcolato in base a una sorta di quoziente familiare.
Sono stati accolti dal Governo tre ordini del giorno, uno dell'Italia dei Valori, uno del Partito Democratico e uno dell'onorevole Angela Napoli, che impegnavano il Governo a non applicare il canone di libero mercato agli inquilini con un reddito non superiore a quello fissato dal decreto ministeriale.
Dopo tutta questa produzione normativa e di atti parlamentari di indirizzo, la data del 1o gennaio 2011 è trascorsa senza che il Ministero della difesa sia riuscito ad emanare alcunché. Infatti, gli atti istruttori da compiere per definire il presunto canone di mercato sono piuttosto complessi e devono riuscire a determinare, per ogni unità abitativa, i requisiti, le caratteristiche e le condizioni d'uso e l'eventuale canone deve essere notificato al conduttore prima di poterne esigere la corresponsione. Resta il fatto che, in coerenza con gli ordini del giorno che il Governo ha accolto in quest'Aula, questo presunto canone non dovrebbe essere applicato ai conduttori che hanno quel reddito medio basso.
In conclusione, signor sottosegretario, mi rivolgo a lei di cui apprezzo e conosco la rapidità e la velocità di pensiero, affinché accolga le mozioni. Infatti, le mozioni dell'onorevole Di Biagio, dell'onorevole di Stanislao, dell'onorevole Bosi, in fin dei conti, chiedono al Governo proprio gli impegni che ho cercato sinteticamente di illustrare e di mettere in luce.
Vengo ad un ultimo punto che vorrei sottolineare - non vedo l'onorevole Cicu in Aula - perché credo che, nell'ambito della mozione Cicu ed altri, sia il punto più difficile da sostenere o da condividere e quindi spero che i colleghi di maggioranza vogliano ripensarci. Nel regolamento c'è un punto che fa riferimento alla questione dei cinque anni in merito al reddito, se 19 mila o 22 mila. La norma regolamentare rappresenta in effetti, secondo me, un eccesso di delega in quanto è in contrasto con la norma madre e si avvale di parametri di reddito che vengono stabiliti dalla Pag. 36legge n. 410 del 2001, che recava disposizioni urgenti in materia di privatizzazione e valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico e che specificava anche come i 19 mila euro e i 22 mila euro devono essere calcolati. Applicando quel criterio di calcolo, questi redditi diventano al lordo pari a 32 mila e a 35 mila, riferiti però all'anno 2001, quindi bisogna indicizzarli per riportarli ai valori correnti; così arriviamo ai 40 mila di cui parlava poco fa l'onorevole Bosi.
Quindi, la norma regolamentare è doppiamente illegittima e servirà solo ad alimentare un contenzioso, che vedrà l'amministrazione soccombente.
Infine, è rimasta senza conseguenze la modifica individuata dalla Commissione bilancio come condizione irrinunciabile all'atto dell'esame del regolamento del maggio 2010 circa le condizioni che consentano l'assegnazione di un alloggio in relazione all'incarico; si tratta dei cosiddetti alloggi ASI. Infatti, continuano a rimanere assegnati ad altrettanti utenti, a titolo di ASI, più di 8.000 alloggi, a fronte dei quali viene corrisposto un canone di soli circa 90 euro al mese. Un utente sine titulo - come voi dite - paga invece un canone tra i 400 e i 1.000 euro, a seconda del proprio reddito.
Ho sentito l'onorevole Bosi rivolgersi al Governo e a lei, signor sottosegretario, dicendole che ci auguriamo che oggi - visto quello che è avvenuto in Commissione difesa e visti i pareri che sono stati con grande fatica elaborati e il successivo rifiuto delle condizioni che avevamo posto - lei accolga queste quattro mozioni, la nostra, così come quella degli altri colleghi, Di Stanislao, Di Biagio e Bosi, che presentano impegni eguali e faccia uscire da questa posizione di arroccamento l'amministrazione, che difende norme ormai superate dalla nuova struttura professionale delle Forze armate (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Di Stanislao, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00543. Ne ha facoltà.

AUGUSTO DI STANISLAO. Signor Presidente, voglio ricordare che oggi ci troviamo finalmente a discutere di queste mozioni relative alla materia che riguarda la concessione degli alloggi di servizio del Ministero della difesa, che coinvolgono migliaia di famiglie che da mesi chiedono disperatamente risposte e, soprattutto, che vengano rispettati i loro diritti.
Cito qualche numero, qualche cifra per far capire anche il tenore di questa varia umanità che si muove e verso cui il Governo e la maggioranza dovrebbero dare insieme al Parlamento risposte immediate, non più reticenti. Solo negli ultimi giorni, vi sono più di tremila, tra fax ed e-mail, arrivati sul tavolo del Presidente del Consiglio, di Tremonti e di La Russa e oltre 500 sono le raccomandate inviate al Ministero della difesa da parte di questa varia umanità a cui, dicevo, bisogna dare delle risposte per il rispetto e per dare senso ai loro diritti. È arrivato quindi il momento di dare risposte e soprattutto di prendere impegni da parte di questo Governo che fino ad ora è stato sordo di fronte alle richieste e alle esigenze di questi cittadini.
Veniamo ai fatti. Gli alloggi di servizio, quelli connessi all'incarico, gli alloggi di temporanea sistemazione per le famiglie dei militari, gli alloggi di servizio gratuiti per consegnatari e custodi e gli alloggi connessi con l'incarico legati a locali di rappresentanza sono circa 18.447, di cui quelli non più utili alle esigenze istituzionali sono 3.439 e se ne prevede l'alienazione ai sensi della legge 24 dicembre 2007, n. 244.
Le vendite previste saranno effettuate dopo il decreto di passaggio a bene disponibile dello Stato, con le modalità previste dal decreto del Ministro della difesa 18 maggio 2010, n. 112. Gli alloggi vuoti sono 1.619 e gli alloggi vuoti in attesa di finanziamento sono 2.036, mentre gli alloggi condotti da utenti con titolo scaduto sono 5.117.
Ad essere presi di mira sono i residenti nelle case del demanio militare, quelli che prima della regolarizzazione avviata con la legge 23 dicembre 1994, n. 724, venivano Pag. 37definiti «sine titulo» e che da gennaio 2011 dovrebbero pagare canoni d'affitto di mercato o essere sfrattati anche nel caso non riescano ad acquistare gli alloggi messi in vendita dal Ministero.
La maggior parte del gettito dei canoni proviene dai possessori sine titulo; il Ministero della difesa non ha mai erogato - questo lo ricordo ai componenti del Parlamento e al sottosegretario - mutui al personale in servizio, come invece prescriveva la legge 23 dicembre 1994, n. 724, all'articolo 43 prevedendo l'accantonamento e la distribuzione delle somme dei canoni versati sine titulo pari al 15 per cento dell'intero ammontare.
Il differenziale tra gli alloggi di temporanea sistemazione per le famiglie dei militari e gli alloggi connessi all'incarico tende ad annullarsi a favore di questi ultimi, ed è noto che gli alloggi connessi all'incarico danno un gettito assolutamente inferiore a quello degli alloggi di sistemazione temporanea, e questo aumenta ulteriormente il deficit gestionale.
Con lo sfratto già programmato dei conduttori sine titulo per effetto dei recuperi coatti si prevede la riduzione verticale del gettito, malgrado i previsti aumenti dei canoni di mercato e l'aumento clamoroso di ulteriore alloggi vuoti a causa della mancanza dei necessari finanziamenti per la manutenzione o la ristrutturazione.
Il Ministero della difesa, in relazione al comma 627 articolo 2 della legge 24 dicembre 2007, n. 244, avrebbe dovuto emanare negli otto mesi successivi il regolamento di attuazione del programma infrastrutturale all'interno della riforma organica connessa al nuovo modello delle Forze armate, attraverso la predisposizione di un piano pluriennale per la costruzione, acquisto e ristrutturazione degli alloggi di servizio. La lettera b) della comma 628 della legge sopra citata stabilisce che il Ministro della difesa, ai fini della realizzazione del programma di cui al comma 627, provvede all'alienazione della proprietà, dell'usufrutto e della nuda proprietà degli alloggi non più funzionali alle esigenze istituzionali, i cui proventi sono riassegnati in apposita unità previsionale di base allo stato di previsione del Ministero della difesa.
L'audizione del Comitato famiglie militari per la casa, svoltasi nell'ormai lontano 25 febbraio 2009 - ma è l'ultima di una serie di audizioni - ha evidenziato l'urgenza della presentazione del regolamento e di misure concrete che prevedano la vendita di tutti gli immobili situati al di fuori delle infrastrutture militari e non più utili a esigenze della difesa.
L'articolo 9 comma 7 della legge 24 dicembre 1993, n. 537, recita che entro il 31 marzo di ciascun anno il Ministero della difesa emana un proprio decreto in cui viene stabilito il limite di reddito al di sotto del quale gli attuali utenti degli alloggi di servizio, ancorché di personale in quiescenza o di vedove non legalmente separate, possono mantenere la conduzione dell'alloggio purché non proprietari di altra abitazione di certificata abitabilità.
Nel corso dell'incontro tra il sottosegretario Crosetto, presente questa sera, che ha la delega agli immobili, e il coordinatore nazionale di Casadiritto, è stata avanzata nei dettagli la proposta della soglia di sostenibilità riguardante tutti gli utenti cui sono destinati i nuovi canoni di mercato. Tale meccanismo si propone di costituire un argine di sicurezza, la sostenibilità appunto, ad un'eventuale macroscopica applicazione di un canone davvero insostenibile che potrebbe essere raggiunto con la metodologia indicata attualmente nella bozza del decreto ministeriale. La soglia della sostenibilità riguarda tutti i redditi e si controlla attraverso l'introduzione di un coefficiente da applicare sulla base dei redditi complessivi familiari. Essa costituisce appunto un controllo finale e ha il vantaggio di permettere alle famiglie di pagare un canone pure esoso, ma almeno sostenibile, e di permettere alla difesa di fare affidamento su risorse certe e non virtuali. Sono esclusi dall'applicazione dei canoni di mercato e quindi dalla necessità di applicare la soglia della sostenibilità attraverso il controllo gli utenti che sono compresi nell'ambito di applicazione dell'articolo 2 del decreto di gestione Pag. 38annuale del Ministero della difesa, cioè gli utenti che l'amministrazione della difesa stessa definisce protetti. È stata poi affrontata la questione della contestualità, cioè nell'entrata in vigore dei nuovi canoni. Il coordinatore Boncioli ha prospettato la necessità di uno scivolamento della data del 1o gennaio 2011, ormai già trascorso, in quanto l'iter che dovrà affrontare il citato decreto ministeriale, unitamente ai necessari adempimenti dei tecnici che dovranno verificare le varie condizioni degli alloggi, dovrebbe rendere inevitabile lo spostamento di tale data. È comprensibile e ragionevole, oltre che degno di uno Stato di diritto, considerare che un canone totalmente nuovo sia comunicato alla controparte dal proprietario, almeno dal momento in cui avvenga notifica per raccomandata, e che, quindi, entri in vigore all'atto dell'avvenuta conoscenza dell'importo del nuovo canone.
Per questi motivi, riteniamo sia necessario inserire all'interno del provvedimento cosiddetto milleproroghe, che è previsto che giunga in Aula, una proroga dal 1o gennaio 2011 almeno fino al 1o luglio 2011, al fine di consentire al Ministero della difesa di determinare, nella complessa e singola applicazione dei canoni di mercato, il canone stesso, comunicando all'utente l'importo almeno contestualmente alla sua applicazione. Occorre prevedere, altresì, i tempi tecnici per il decreto attuativo una volta approntato, costituiti dall'emanazione, registrazione alla Corte dei conti e pubblicazione, nonché applicazione tecnica, in modo tale da poter svolgere il normale iter senza impossibili aggravi di carattere retroattivo.
Parimenti è necessario che i recuperi forzosi, eventualmente in programma per gli alloggi non alienati, non siano resi esecutivi prima dell'inizio delle operazioni effettive delle alienazioni previste. È stata fatta richiesta di provvedere all'interpretazione autentica delle seguenti disposizioni del decreto ministeriale 18 maggio 2010, n. 112: All'articolo 7, comma 4, lettera a), in materia di usufrutto, occorre chiarire che le rate del 20 per cento del reddito comprendono il costo della garanzia della fideiussione bancaria o assicurativa. Rispetto a quanto riportato al comma 5 lettera a), dovrebbe essere precisata la validità del citato comma 4, lettera a), nel caso di ultrasessantacinquenni che rientrino nei limiti previsti dal decreto ministeriale, in quanto il versamento della caparra sarebbe del tutto incomprensibile oltre che inutile. All'articolo 7, commi 13 e 14, i limiti del reddito individuale (da 19 mila a 22 mila euro) debbono essere calcolati secondo i criteri previsti dall'articolo 21 della legge 5 agosto 1978, n. 457, e successive modificazioni, così come chiaramente indicato al comma 4 dell'articolo 3 del decreto-legge 25 settembre 2001, n. 351, richiamato dallo stesso articolo 7, comma 1, del decreto del Ministro della difesa 18 maggio 2010, n. 112.
Il rappresentante di Casadiritto ha sottolineato che il sottosegretario Crosetto si è impegnato ad esaminare nel merito le proposte e le osservazioni, trovandole tutte interessanti e di pari dignità. Risulta altresì che siano stati inviati agli utenti degli alloggi dell'amministrazione difesa avvisi di sfratto e di canoni al prezzo di libero mercato a partire dal 1o gennaio 2011, senza tener conto del reale fabbisogno abitativo che ne legittimasse l'applicazione. Con il 15 per cento degli affitti degli utenti cosiddetti sine titulo incassati dal Ministero della difesa, che, per legge, dal 1994 avrebbe dovuto impiegare il Fondo casa per costruire nuovi alloggi, a quanto risulta neppure un alloggio è stato costruito da quel tempo ad oggi, pur avendo incassato ingenti somme.
In data 19 dicembre 2010, è stata inviata una mail ai componenti della Commissione difesa della Camera dei deputati, nella quale veniva messa in evidenza la lettera di un giovane militare, diffusa nella rubrica «Domande & Risposte» del sito di Casadiritto, che è emblematica del clima di tensione che si respira tra i militari delle Forze armate.
Infatti, nella stessa sono espresse le conseguenze dei danni riguardo al complesso problema casa per i militari, che verrebbero ascritte al Ministro della difesa e al Capo di Stato maggiore della difesa Pag. 39per effetto del regolamento di cui al decreto ministeriale 18 maggio 2010, n. 112, che non appare conforme allo spirito della legge n. 244 del 2007 e dell'articolo 6, comma 21-quater del decreto-legge n. 78 del 2010, che ha finito per cancellare, di fatto, decenni di lavoro e leggi equilibrate, introducendo canoni ai prezzi di libero mercato e ripristinando gli sfratti, e dell'emendando decreto del Ministro della difesa in tema di sfratti e canoni a libero mercato.
Nella citata mail il Ministero della difesa è ritenuto responsabile di riportare indietro le lancette dell'orologio a prima del 1993, attribuendo nuovamente lo status di occupante agli utenti degli alloggi demaniali legittimati fino a luglio 2010 alla conduzione delle loro case con equo canone, anche maggiorato del 50 per cento.
Nel contempo, secondo quanto sostenuto nella citata lettera, si cercherebbe di distrarre l'attenzione del personale militare in servizio da quelle che appaiono inadempienze a danno di tutti i militari dipendenti. Nella lettera vengono, altresì, riportate le parole proprio del Ministro della difesa, che, durante lo svolgimento di un'interrogazione a risposta immediata in Assemblea alla Camera dei deputati il 1o dicembre 2010, ha testualmente affermato nella sua risposta: «Attenzione, però, per ognuno senza titolo che rimane vuole dire che ve ne è uno con titolo che resta fuori».
Far credere (questo è grave), denuncia la lettera, ai giovani militari con famiglia che la colpa della mancata assegnazione di un alloggio militare è da ascrivere agli utenti cosiddetti «occupanti senza titolo», oltre che non corrispondere alla realtà dei fatti, è anche moralmente e assolutamente, ritengo io, censurabile.
Risulta, pertanto, evidente che la situazione in cui versano gli utenti degli alloggi dell'amministrazione della difesa è drammatica e richiede interventi immediati e concreti, e non le solite promesse, che rischiano di essere disattese, anche alla luce degli esiti dell'incontro tra il sottosegretario Crosetto e il rappresentante di Casadiritto e tenendo conto delle problematiche e delle richieste di tutti gli utenti degli alloggi.
Voglio ricordare al sottosegretario e ai colleghi che il 19 novembre è stato accettato in Parlamento un ordine del giorno, a mia prima firma, che prevedeva l'impegno, nell'ambito del bilancio, ad adottare iniziative a sostegno degli utenti degli alloggi della difesa. Lo ricordo perché è avvenuto qualche tempo fa, non anni fa.
Pertanto, l'Italia dei Valori, che in questi ultimi anni si è sensibilizzata e ha sensibilizzato e spronato la maggioranza e il Governo a prendere delle decisioni, con questa mozione intende, ancora una volta, impegnare il Governo ad adottare opportune iniziative, anche di carattere normativo, volte a: evidenziare la natura pluriennale del programma di alienazione del patrimonio abitativo non più utile, esplicitando che il programma di vendita degli immobili non si esaurisce con l'individuazione di un primo elenco, ma prosegue al fine di un consistente rinnovo e ampliamento del patrimonio abitativo della difesa; garantire la permanenza negli alloggi dei conduttori con basso reddito non sulla base di un limite temporale prefissato, ma in relazione al permanere del reddito familiare al di sotto della soglia determinata annualmente con decreto ministeriale, includendo anche le famiglie con portatori di handicap, dietro corresponsione del canone all'acquirente dell'alloggio comunque venduto dalla Difesa in «nuda proprietà», non pregiudicando, quindi, la vendita dell'intero stabile; individuare un numero consistente di unità immobiliari da alienare non inferiore al 30 per cento, considerando che l'adozione del modello di difesa su base esclusivamente volontaria rende necessaria la disponibilità di risorse finanziare importanti da investire in unità abitative da assegnare al personale volontario; procrastinare ad una data successiva al 1o gennaio 2011 il termine di applicazione di quanto previsto dal decreto-legge n. 78 del 2010, al fine di consentire al Ministero della difesa di espletare i complessi adempimenti relativi alla determinazione dei canoni di mercato, Pag. 40comunicando all'utente l'importo almeno contestualmente alla sua applicazione; rendere noto l'elenco degli alloggi alienabili, che sarebbe un atto di trasparenza e di rispetto; per ultimo, ma non da ultimo, valutare ed adottare ogni altra possibile iniziativa di sostegno agli utenti degli alloggi del Ministero della difesa e recepire le richieste delle associazioni rappresentative degli utenti degli alloggi dell'amministrazione della difesa, di fronte alle quali il Governo stesso si è espresso, anche se solo verbalmente, in maniera positiva.

PRESIDENTE. Saluto gli studenti dell'Istituto Marietta Alboni di Città di Castello, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune, anche se credo sia rimasto solo un piccolo gruppo. Gli altri hanno dovuto lasciare le tribune, ma potrete portare voi il saluto dell'Aula (Applausi).
È iscritto a parlare l'onorevole De Angelis, che illustrerà anche la mozione Cicu ed altri n. 1-00551, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

MARCELLO DE ANGELIS. Signor Presidente, mi rivolgo immediatamente al sottosegretario, manifestando un po' di confusione su alcuni punti, in relazione agli interventi ascoltati di alcuni colleghi, che sembrano possedere alcune certezze, per esempio sul regolamento che ancora non mi risulta essere stato emanato, riguardante gli adeguamenti dei canoni, che invece proprio perché non sono ma stati pubblicizzati non sono in mio possesso.
Ho sentito alcuni colleghi esprimere, addirittura con una certa certezza, la convinzione che le intenzioni del Governo, e in particolare del Dicastero della difesa, non siano volte a dare delle risposte alle esigenze abitative, ma a realizzare delle speculazioni immobiliari, che da una parte non sono a nostra conoscenza e di cui, francamente, non vediamo esattamente quale sarebbe il senso.
Siamo consapevoli - credo tutti - del fatto che la difesa è chiamata ad affrontare e a dipanare una questione, tra l'altro annosa, piuttosto complessa. Sono circa dieci anni che si dibatte del problema e di come dare una risposta, bene o male congiunta, a due esigenze: quella del personale militare di ottenere degli alloggi a prezzi convenienti e l'esigenza, comprensibile, di alcuni che già occupano effettivamente questi alloggi e che hanno perso il titolo di occupazione e sostanzialmente dovrebbero trovare un altro alloggio.
È difficile sicuramente tutelare e contemperare dei diritti concorrenti. Da una parte vi è sicuramente il diritto principale, che è quello dell'amministrazione della difesa, ovvero il diritto di gestire il proprio patrimonio immobiliare, insomma un diritto che non si negherebbe a nessuna amministrazione, né privata né pubblica. Vi è poi, senz'altro, la necessità e il diritto del personale attualmente in servizio di ricevere quanto meno un trattamento simile a quello che veniva concesso al personale in servizio negli anni passati, ovvero la possibilità di ottenere dall'amministrazione che li impiega un alloggio a prezzi che siano inferiori a quelli del costo di mercato.
È utile fare dei banali esempi. Nel caso in cui vi è o vi sia un dipendente che guadagna 1.200-1.500 euro al mese, che viene trasferito per esigenze di servizio da un comune o da un territorio, dove i canoni di mercato sono più bassi, a una città come Roma o Milano, dove sono molto più alti, se ci si aspettasse che fosse lui a provvedere individualmente e a trovare un alloggio a prezzi di mercato, per sé o per la propria famiglia, praticamente lo si metterebbe in condizioni di non prestare più servizio, di cambiare lavoro o di non essere in grado di sostentare la propria famiglia.
Vi è poi ovviamente il diritto o quanto meno la necessità di chi occupa oramai da decenni questi alloggi - e di conseguenza considera l'alloggio casa propria - che, o perché è andato in pensione e perché ha perso il congiunto, perderebbe il titolo per occupare un alloggio di servizio e che effettivamente si troverebbe in difficoltà.
Ora bisogna però chiaramente comprendere qual è il diritto prevalente affinché non vi siano dei diritti che poi Pag. 41valgono come privilegi. Sui numeri stessi mi sembra che non vi sia nulla di certo. È certo che la difesa sostiene - e non c'è motivo di non credergli - di avere bisogno di 50 mila alloggi per rispondere alle esigenze. Ciò è legittimo e siamo tutti quanti d'accordo su quello che dovrebbe costare questa operazione, che potrebbe essere di acquisto o di costruzione.
Sappiamo tutti che ci sono circa 18 mila alloggi, ma devo ricordare che il censimento finale, sicuro, definitivo, non ci è mai pervenuto. Sappiamo anche quanti sono i sine titulo, dovrebbero essere 5 mila e 384 e - stiamo parlando di alloggi - dovrebbero essere 3 mila 284 (è quello che ci risulta, non altre cifre citate) gli alloggi detenuti da utenti che non ricadono nelle fasce già tutelate (che sarebbero quelle che riguardano le vedove, le famiglie con reddito inferiore a 40 mila euro, e quelle con familiare a carico portatore di handicap). Ho sentito un collega comunicarci (non ne ero al corrente) che sarebbero arrivate 3.500 lettere di sfratto. Non riesco a commisurare questo dato, perché, se sono 3.284 gli alloggi detenuti da utenti non ricadenti nelle fasce di tutela, ciò vuol dire che queste 3.500 lettere di sfratto sarebbero addirittura un numero superiore a quello degli alloggi che andrebbero recuperati. È ovvio, scontato, che c'è un problema di gestione del piano pluriennale di alienazione, di vendita, e di costruzione degli alloggi. In Commissione difesa - come i colleghi ricorderanno - abbiamo discusso addirittura quasi per quattro mesi (tre o quattro mesi) per formulare un parere, un parere molto articolato, passato all'unanimità, proprio volto a cercare di tutelare le esigenze del nuovo personale in servizio, senza vessare o senza intervenire aggravando situazioni già critiche. Mi sembra che in linea di massima i punti salienti delle mozioni presentate siano coincidenti. Per quanto riguarda l'eventuale rideterminazione dei canoni mi rimetto, per maggiori delucidazioni, al sottosegretario, perché effettivamente so che la questione è in itinere, e di conseguenza come poi effettivamente il Dicastero voglia, non tanto calcolarla, ma applicarla è un dato che attualmente ignoro. Ma sicuramente è una norma di buon senso, da noi condivisa, quella secondo cui le eventuali maggiorazioni intervengano in un momento successivo alla notifica agli utenti (quindi non a valere dal 1o gennaio, come era previsto dalla legge, in quanto si tratterebbe di una retroattività incomprensibile, o - se comprensibile - a mio avviso di cattivo gusto). Credo che siamo sicuramente tutti d'accordo sul fatto che sia necessario fare chiarezza sul disposto dell'articolo 7 del decreto-legge n. 112 del 2010, in merito alla non necessità di corrispondere la caparra nel caso di acquisto e di usufrutto da parte degli attuali occupanti. Siamo preoccupati - come tutti - del fatto che eventuali recuperi futuri avvengano dopo approfondita verifica, caso per caso, delle criticità e degli adeguamenti dei redditi, e che effettivamente s'intervenga con tutte le comunicazioni del caso e con i necessari preavvisi.
Sicuramente (per nostra tranquillità d'animo e di coscienza) è necessario un chiarimento - lo chiedo al sottosegretario - in merito alla questione del calcolo dei redditi. Infatti, la questione indicata dalla collega Villecco Calipari, in merito alla contabilizzazione del reddito, come soglia al di sotto della quale occorre tutelare le fasce di reddito, può risultare oggetto di dibattito. È ovvio che il Ministero, proprio per evitare ricorsi, e per evitare che si trascini questo dibattito, dovrebbe quanto meno dare delle indicazioni incontrovertibili, condivisibili o meno, ma comunque chiare e sulle quali non si torni a discutere.
Mi sembra - e lo ribadisco - che per la maggior parte dei punti le mozioni siano tutte quante concordanti. Mi appello chiaramente alla capacità di sintesi e anche di chiarezza di risposta che ha sempre dimostrato il sottosegretario perché faccia un tentativo per magari addivenire ad un testo condivisibile (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

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PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e, pertanto, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.
Il seguito del dibattito è rinviato ad alta seduta.

Discussione delle mozioni Oliverio ed altri n. 1-00513 e Fogliato ed altri n. 1-00542, concernenti iniziative in materia di riforma della politica agricola comune (PAC) (ore 17,55).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Oliverio ed altri n. 1-00513 (Nuova formulazione) e Fogliato ed altri n. 1-00542, concernenti iniziative in materia di riforma della politica agricola comune (PAC) (Vedi l'allegato A - Mozioni).
Ricordo che lo schema recante la ripartizione dei tempi per la discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
Avverto che sono state, altresì, presentate le mozioni Delfino ed altri n. 1-00545, Beccalossi ed altri n. 1-00547 e Di Giuseppe ed altri n. 1-00548 (Vedi l'allegato A - Mozioni) che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente. I relativi testi sono in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni presentate.
È iscritto a parlare l'onorevole Oliverio, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00513 (Nuova formulazione). Ne ha facoltà.

NICODEMO NAZZARENO OLIVERIO. Signora Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, è ancora il Partito Democratico ad accendere i riflettori sull'agricoltura, sulla grave crisi che morde il settore, sulle tante sfide e, soprattutto, sulle sue prospettive. Per questo, abbiamo presentato, sollecitandone la discussione, la mozione sulla politica agricola comune, perché è necessario avviare una riflessione attenta, partecipata, estesa a tutti i soggetti della filiera agricola per elaborare una posizione comune che sia di forte sostegno all'Italia in Europa. Per questo obiettivo, abbiamo salutato con soddisfazione l'accoglimento della nostra proposta da parte del Ministro Galan di convocare, per il 22 febbraio prossimo, il Forum dell'agricoltura sulla PAC. Signora Presidente, mentre in Italia, nel Palazzo, anzi nelle ville, imperversa il bunga-bunga, in Europa si sta giocando una partita fondamentale per la tenuta del comparto agricolo ed agroalimentare e delle migliaia di imprese, lavoratori e famiglie in esso impegnati.
La politica comunitaria vive un periodo intenso e delicatissimo. Nei prossimi mesi sarà disegnato il sostegno all'agricoltura per il periodo 2014-2020. Il percorso legislativo che porterà all'implementazione della nuova PAC è iniziato il 18 novembre 2010, con la comunicazione europea. A luglio del 2011, la Commissione europea presenterà le proposte legislative le quali saranno approvate, presumibilmente, entro il secondo semestre del 2012. Sono appuntamenti importanti per definire il futuro del sostegno che verrà garantito ai nostri agricoltori. Un appuntamento nel quale il nostro Governo non ci sembra si sia distinto finora per un protagonismo né forte né positivo. Altri Paesi europei hanno già assunto una posizione ufficiale per avere più forza e peso. La principale politica economica europea è, infatti, la PAC che assorbe, attualmente, circa il 40 per cento del budget comunitario sul quale molti Paesi membri vorrebbero affondare le forbici, mentre la crisi economica in atto difficilmente consentirà di ipotizzare un aumento del contributo degli Stati membri. Occorre, quindi, prioritariamente evitare un possibile rivoluzionamento del bilancio agricolo, anteponendo la definizione Pag. 43degli obiettivi e dei contenuti della politica agricola a quella dei vincoli di budget.
Il tema, poi, della ripartizione dei fondi comunitari tra gli Stati membri sarà uno dei nodi più difficili del negoziato. Su questa questione, l'Italia dovrà fare fronte comune ed il Partito Democratico, fin d'ora, manifesta la sua disponibilità a promuovere, in tutte le sedi, una forte e significativa battaglia affinché non venga ridotto il plafond destinato alla nostra agricoltura.
Per l'Italia si tratta, in termini finanziari, di 4 miliardi e 370 milioni di euro annui per i pagamenti diretti della PAC e di un miliardo e 18 milioni per i PSR regionali. Non potrà essere accettabile che di fronte ad un contributo italiano al bilancio europeo del 13,5 per cento l'Italia possa ricevere solo il 10 per cento. Bisogna pertanto evitare sia l'incremento della posizione dell'Italia come netto finanziatore della PAC sia il danno economico derivante dalla riduzione del sostegno dell'agricoltura nazionale. La riforma, secondo gli intenti della Commissione, deve essere coerente con gli obiettivi della strategia Europa 2020, finalizzata a stimolare una crescita sostenibile, intelligente e inclusiva, e volta a rendere il settore agricolo europeo più dinamico, competitivo ed efficace.
La comunicazione della Commissione individua tre macrosfide. La sfida dell'alimentazione, che si inquadra nelle più generali sfide economiche dell'agricoltura, che deve rispondere all'obiettivo della sicurezza alimentare in una situazione di volatilità dei prezzi e di crisi economica. La sfida ambientale, in particolare la gestione delle risorse naturali e il terreno, la biodiversità, l'acqua e l'aria, e le azioni a favore del clima, la riduzione delle emissioni di gas serra. La sfida territoriale, per garantire la vitalità delle zone rurali e la diversità dell'agricoltura nell'Unione europea.
Secondo l'ipotesi della Commissione, la PAC manterrà una struttura in due pilastri e tre categorie di strumenti: pagamenti diretti, misure di mercato, sviluppo rurale. Il documento della Commissione non entra nello specifico delle questioni più spinose, tuttavia rappresenta una buona base di partenza su cui costruire una riforma ambiziosa, che tuteli le specificità del nostro settore primario. Per queste motivazioni il Governo italiano ha una grande opportunità: deve e può svolgere un ruolo importante. Lo scopo della nostra mozione è promuovere l'azione del Governo italiano tesa ad individuare ed esercitare un posizionamento attivo. In tal senso, la mozione impegna il Governo italiano a formulare una posizione negoziale dell'Italia che è stata gravemente assente nella fase antecedente la comunicazione della Commissione; ad effettuare una valutazione di impatto per l'Italia, inerente il nuovo sistema di pagamenti diretti, in particolare la ridistribuzione dei pagamenti diretti e il loro spacchettamento in quattro componenti: pagamenti diretti di base, pagamento per l'agricoltura verde, pagamenti per le zone con handicap naturali e pagamenti accoppiati per l'agricoltura ad alto valore strategico; ad individuare soluzioni proposte per tener conto della particolarità dell'agricoltura italiana, caratterizzata da produzioni di alto valore aggiunto, in modo da evitare un drastico ridimensionamento dei pagamenti diretti che, in base alla proposta attuale della Commissione, rischiano di essere distribuiti in base al solo parametro della superficie; a predisporre proposte confacenti con le caratteristiche dell'agricoltura italiana, in particolare per l'olivicoltura del sud Italia e per la zootecnia del nord Italia, che saranno fortemente penalizzate dalla redistribuzione dei pagamenti diretti; ad individuare gli strumenti per il miglioramento ed il funzionamento delle filiere, tema particolarmente importante per l'agricoltura italiana, in modo da migliorare il valore aggiunto dei produttori, rafforzarne il potere di mercato, valorizzando il ricco sistema di strutture associative presenti in Italia; ad individuare gli strumenti per contrastare situazioni di crisi di alcuni comparti produttivi importanti per l'Italia (l'olio d'oliva, il tabacco, il vino e il latte ovino), particolarmente penalizzati Pag. 44dall'ultima riforma della PAC; a proporre strumenti per la gestione dei rischi che consenta di valorizzare il sistema di assicurazione agevolata, particolarmente attivo in Italia grazie al sistema dei consorzi di difesa, allargando tale strumento alle assicurazioni per contrastare le fluttuazioni del reddito e l'instabilità dei mercati; ad individuare i criteri di ripartizione del sostegno allo sviluppo rurale tra gli Stati membri, evitando la riduzione degli importi attualmente disponibili per il nostro Paese.
Signora Presidente, il raggiungimento di questi obiettivi passa per una serie di sfide di portata straordinaria che coinvolgono direttamente l'agricoltura: dalla lotta al cambiamento climatico, al tema del lavoro e dell'inclusione sociale, dalla tutela dell'ambiente, al tema della sicurezza degli approvvigionamenti alimentari. Una crescita esponenziale dei consumi, in particolare in alcune aree del mondo, rischia di farci entrare in uno scenario inedito, in parte già sperimentato, in cui il cibo è destinato a diventare una risorsa scarsa e costosa. Un nuovo e moderno neocolonialismo dettato da ragioni di sicurezza si prospetta nel mondo. La produzione alimentare dovrà crescere significativamente ed il ruolo delle attività agricole risulterà strategico.
La sfida che abbiamo di fronte, pertanto, è quella di produrre di più con minori risorse, terra e acqua in primis, e inquinando meno. Solo valorizzando e rafforzando il lavoro agricolo potremo assicurare all'Europa un futuro sostenibile. Questo significa sostenere i redditi. Dobbiamo dare più forza ad un mondo che in questi anni ha indubbiamente sofferto molto, in tutti i comparti, dalle carni, al latte, ai cereali. Occorre intraprendere un percorso nuovo, coraggioso, di riposizionamento, al fine di fornire agli imprenditori una politica agricola che vada al di là dei proclami. La sofferenza della nostra agricoltura non ha neanche sfiorato un Governo, che si è distinto in Italia, e soprattutto in Europa, solo per aver favorito un manipolo di produttori di latte furbi, a scapito degli operatori onesti.
La PAC deve fornire pertanto il proprio sostegno agli agricoltori sulla base di comportamenti che si impegnano a mettere in campo e non perché rivestono un semplice status, come può essere la proprietà o l'uso della terra, la titolarità dell'azienda o il riconoscimento di un diritto acquisito.
Con la mozione in esame vogliamo che la PAC si rivolga prevalentemente al futuro, che sostenga i redditi degli agricoltori che producono cibi salubri e genuini e che creano lavoro, che sostenga la produttività delle nostre imprese e che inneschi la leva della competitività. Chiediamo al Governo, alla maggioranza che lo sostiene e al qui presente sottosegretario per la difesa, Crosetto di difendere l'agricoltura italiana e di approvare la mozione in esame, perché l'Italia, Paese fondatore dell'Unione europea, sia protagonista in Europa e non sia al traino di altri Paesi, perché la politica agricola italiana dia valore alla propria agricoltura e difenda i valori dei propri agricoltori, perché la politica agricola italiana esca dal torpore e dia voce alla ricchezza dei suoi territori e all'impegno dei suoi lavoratori e dei suoi imprenditori. Soltanto così possiamo davvero consentire a tutto il nostro mondo agricolo di trasformare le tante potenzialità in straordinarie e concrete realtà (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rainieri, che illustrerà anche la mozione Fogliato ed altri n. 1-00542, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

FABIO RAINIERI. Signor Presidente, l'evoluzione della politica agricola comune, detta anche PAC, il sostegno della competitività degli agricoltori e dello sviluppo delle zone rurali, in particolare di quelle svantaggiate, sono sempre stati gli assi portanti appunto della PAC. Il cammino della riforma, dall'inizio degli anni Novanta, ha incluso due riforme principali, nel 1992 e nel 2003, e due significative revisioni, nel 1998 e nel 2008, che hanno consentito alla politica di adattarsi alle sfide degli ultimi due decenni. Momenti Pag. 45importanti nell'evoluzione della PAC hanno riguardato il graduale svincolo dell'erogazione dei sussidi dalle quantità prodotte, puntando piuttosto sulla qualità dei prodotti, passando quindi dall'aiuto alla produzione all'aiuto ai produttori, includendo inoltre nella politica agricola nuovi criteri, tra i quali la tutela ambientale. La necessità di riformare la PAC dopo il 2013 è scaturita principalmente dall'esigenza di tenere maggiormente conto della diversità e della ricchezza delle agricolture dei 27 Stati membri della UE.
Alcune considerazioni (io partirei da una fondamentale, che era già stata detta anche dal collega): attualmente l'Italia, che realizza il 12,5 per cento della produzione lorda vendibile, il 17 per cento del valore aggiunto dell'Unione, riceve soltanto il 10 per cento della spesa agricola comunitaria, a fronte di un contributo italiano al bilancio dell'Unione del 13,5 per cento, con un conseguente saldo negativo per il capitolo italiano del 3,5 per cento.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ANTONIO LEONE (ore 18,10)

FABIO RAINIERI. Il rischio da scongiurare è duplice: l'incremento della posizione italiana di Paese netto finanziatore della politica agricola comune e il forte danno economico della riduzione del sostegno all'agricoltura nazionale.
Detto questo, è doveroso e non marginale sottolineare come nel settore dell'agricoltura le strategie politiche dell'Unione europea nei prossimi anni stiano seguendo alcuni concetti essenziali che nel recente passato ed ancora oggi l'Italia sostiene, insieme ai suoi operatori agricoli ed ai suoi consumatori. Si tratta del consolidato principio della conoscenza dell'origine dei prodotti agricoli ed alimentari posti in commercio e della tutela dell'autenticità della loro produzione e preparazione. Questi fondamentali requisiti vedono il nostro Paese, e soprattutto la Lega Nord Padania, impegnati in lunghi e faticosi contenziosi con la Commissione europea, la quale, fino a ieri, era arroccata nelle sue posizioni di non considerare legittimi e conformi ai principi della libera circolazione delle merci gli obblighi di riportare nelle etichette di vendita delle derrate agricole i loro luoghi di coltivazione o, trattandosi di produzione alimentare, le zone di produzione e di trasformazione delle materie prime con cui sono state realizzate. Queste posizioni non sono mai state strumentali o protezionistiche, ma un requisito di trasparenza che serve a tutelare il reddito dei nostri operatori rurali, la reputazione del made in Italy e la sicurezza dei consumatori.
Abbiamo iniziato la battaglia dell'obbligo dell'indicazione dell'etichetta di origine dei luoghi di produzione già alla fine dal 1990, con l'emanazione di norme nazionali sull'origine dell'olio extravergine di oliva finalizzate ad introdurre il vincolo di riportare la provenienza delle olive ed i territori di molitura e di imbottigliamento. L'Unione europea ci ha impedito per lunghi anni la possibilità di attuare queste norme, addirittura portandoci in Corte di giustizia. Ma ora è la stessa Commissione che ha cambiato rotta e sta inserendo in atti legislativi comunitari i nostri principi. Ecco che, in tal senso, la Lega Nord Padania chiede al Governo di essere attento e propositivo nelle prossime sedi di confronto in cui il Consiglio tratterà le strategie future della politica agricola comune. Ciò in particolare nell'ambito della prossima sessione che dovrà esaminare la proposta dell'Unione europea sui regimi di qualità dei prodotti agricoli approvata il 10 dicembre 2010 e che vedrà l'attuazione a decorrere dal 2012.
Gli obiettivi della proposta sono: garantire la qualità ai consumatori a un prezzo equo per gli agricoltori con un insieme di misure riferite ai regimi di certificazione, alle indicazioni che conferiscono valore aggiunto alle proprietà dei prodotti agricoli e alle norme di commercializzazione. Sino ad oggi questi elementi erano sparsi in vari atti normativi. In questo pacchetto la Commissione intende riunire tutti gli aspetti legati alla qualità, che vanno dal rispetto di norme minime fino ai prodotti più specifici. Il pacchetto Pag. 46comprende: una proposta di nuovo regolamento sui regimi di qualità dei prodotti agricoli, volta a conferire coerenza e chiarezza ai regimi dell'Unione europea, che prevede un rafforzamento del regime di riferimento per le denominazioni di origine e le indicazioni geografiche protette, le DOP e le IGP, tanto care al nostro Paese e al nostro movimento; la revisione del regime per le specialità tradizionali garantite, le STG; e la definizione di un nuovo contesto per la creazione di indicazioni facoltative di qualità, che conferiscano ai consumatori informazioni sempre più richieste, come «allevato all'aperto», o «prima spremitura a freddo», riguardante le olive. Una proposta volta a semplificare l'adozione da parte della Commissione di norme di commercializzazione, inclusa la competenza di estendere l'obbligo dell'indicazione in etichetta del luogo di produzione, in funzione delle specificità di ciascun settore agricolo. Nuovi orientamenti sulle buone pratiche applicabili ai sistemi di certificazione volontaria dell'etichettatura dei prodotti che utilizzano l'indicazione geografica come ingredienti.
L'invito al Governo non si limita solo ad intervenire in ambito comunitario, ma già da subito in sede nazionale perché nelle more che vengano approvate le predette norme è urgente porre mano all'attività sanzionatoria per debellare i fenomeni di contraffazione, di concorrenza sleale e di frode commerciale che sono presenti in Italia. Bisogna impedire che falsi operatori agricoli possano invadere i nostri mercati cittadini e vendere in maniera irregolare prodotti agricoli comprati nei mercati all'ingrosso e quasi mai di origine locale italiana. Soprattutto nei mercati del Nord si vanno sempre di più diffondendo questi comportamenti, che danneggiano i consumatori e gli agricoltori italiani.
Il pacchetto qualità costituisce la prima fase della riforma della politica di qualità dei prodotti agricoli. È il risultato di tre anni di vaste consultazioni, con la partecipazione degli interessati e che apre la strada ad una politica più coerente in materia di qualità dei prodotti agricoli. Per il futuro la Commissione ha annunciato la propria intenzione di analizzare con maggiore attenzione i problemi incontrati dai piccoli produttori per partecipare ai sistemi di qualità nonché ai problemi incontrati dai produttori di montagna per commercializzare i propri prodotti e di proporre, ove necessario, un follow up supplementare sulla base di questa analisi. La prima proposta legislativa della Commissione è volta a raffigurare i regimi di qualità esistenti nell'Unione europea, in materia di indicazione geografica, specialità tradizionali e indicazioni facoltative di qualità, riunendoli in un unico strumento legislativo, adottando una procedura di registrazione comune, semplificata e abbreviata per le indicazioni geografiche e per le specialità tradizionali, nonché adottando disposizioni più chiare sulle relazioni tra i marchi commerciali e le indicazioni geografiche, sul ruolo delle associazione richiedenti e sulla definizione di specialità tradizionale garantita. Gli orientamenti non vincolanti sull'etichettatura dei prodotti che utilizzano indicazioni geografiche come ingredienti adottati in contemporanea forniscono l'interpretazione della Commissione in merito alle norme attualmente vigenti. Le norme di commercializzazione contribuiscono a migliorare le condizioni economiche di produzione e commercializzazione dei prodotti agricoli, nonché la qualità di tali prodotti. Le norme settoriali di commercializzazione vigenti continueranno ad esistere; in futuro potranno essere razionalizzate in modo più coerente grazie ad un meccanismo uniforme che prevede una delega di poteri alla Commissione conformemente al Trattato di Lisbona. Le specifiche tecniche potranno essere in tal modo adeguate alle concrete realtà locali; ai produttori, per i quali non esiste una norma di commercializzazione specifica, verranno applicati i requisiti base. La Commissione propone inoltre di estendere le disposizioni settoriali, anche in questo caso, con atti delegati relativi all'indicazione del luogo di produzione, sulla base di valutazioni di Pag. 47impatto, tenendo conto della specificità di ciascun settore e delle esigenze dei consumatori in materia di trasparenza.
Il quarto elemento del pacchetto qualità è costituito dagli orientamenti della Commissione sul funzionamento dei regimi facoltativi di certificazione dei prodotti agricoli alimentari volti ad evidenziare le migliori pratiche relative al funzionamento delle centinaia di sistemi di certificazione volontari sviluppatisi nel corso di quest'ultimo decennio. Uno studio recente pare abbia pubblicato una relazione dove si individuano oltre 400 sistemi in vigore all'interno dell'Unione europea.
Tornando alla politica agricola comune, dopo il 2013 preme ricordare le basi sulle quali l'Unione europea dovrà fondarsi. Per quanto riguarda il Trattato di Lisbona, in materia di politiche agricole quest'ultimo ha attribuito poteri decisionali al Parlamento europeo che sarà quindi protagonista, insieme alla Commissione e al Consiglio, delle iniziative in materia. Importanti implicazioni per la politica agricola comune dovrebbero scaturire dalla piena attuazione delle dimensioni territoriali della coesione introdotte dal Trattato di Lisbona tra gli obiettivi e le politiche dell'Unione europea. L'articolo 174 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea precisa espressamente che la coesione territoriale deve tradursi in una specifica attenzione alle zone rurali e alle regioni che presentano gravi e permanenti svantaggi naturali o demografici, quali tra le altre, le regioni di montagna.
In relazione al programma di lavoro della Commissione, la riforma della politica agricola comune figurava tra le trentaquattro iniziative strategiche del programma 2010 della Commissione europea, in particolare nella road map allegata al programma di lavoro. Essa individuava i principali problemi che la futura politica agricola comune dovrebbe contribuire a risolvere: l'aumentata volatilità dei mercati e il rischio per la sicurezza alimentare determinato dal cambiamento climatico; l'aumento della popolazione e l'incremento della domanda; la persistente tendenza all'abbandono delle terre in molte aree e, per contro, le possibili prospettive di ulteriore intensificazione dello sfruttamento di altre aree che aumenta la pressione sulle risorse naturali e l'ambiente. Ulteriori problemi sono rappresentati dall'aumento della variabilità dei redditi e la diseguale distribuzione del sostegno dell'Unione europea agli agricoltori; la poca trasparenza dei prezzi nella catena di approvvigionamento; la divergente evoluzione dei redditi agricoli rispetto ai redditi provenienti da altre attività e le sue conseguenze sullo sviluppo sociale ed economico delle aree rurali; le attese pressioni sulle risorse finanziarie disponibili e la necessità di una maggiore efficienza nel sostegno pubblico all'agricoltura.
Nel programma della Commissione europea per il 2011 si afferma che la promozione dell'uso sostenibile delle risorse naturali e lo sfruttamento del potenziale innovativo di settori come l'agricoltura e la pesca saranno al centro delle proposte della Commissione riguardanti la revisione della politica agricola comune e della politica comune della pesca per il periodo coperto dal nuovo quadro finanziario pluriennale.
La Commissione presenterà una serie di comunicazioni e relazioni sui principali settori strategici, tra l'altro, sulla riforma della PAC, della politica comune della pesca e del futuro della politica di coesione, su cui ci si baserà anche per elaborare le proposte di bilancio del quadro finanziario pluriennale.
A partire dall'estate del 2011 la Commissione presenterà proposte legislative sugli strumenti finanziari e sui programmi specifici per l'attuazione del nuovo quadro finanziario pluriennale scaglionate in più pacchetti fino alla fine dell'anno.
Il dibattito on-line è un dibattito pubblico che si è concluso l'11 giugno 2010; oltre al contributo che la PAC può offrire allo sviluppo della strategia europea del 2020 si è concentrato su quattro questioni principali: perché una politica agricola e comune europea; quali sono gli obiettivi che la società assegna all'agricoltura in tutta la sua diversità; perché riformare la PAC Pag. 48e in quale modo renderla rispondente alle attività della società; quali sono gli strumenti per la PAC di domani.
Il Comitato per le regioni della UE, nella seduta plenaria del 9-10 giugno 2010, ha approvato un parere di iniziativa. Il Parlamento europeo, nella riunione plenaria del 8 giugno 2010, ha approvato una risoluzione sul futuro della PAC dopo il 2013 su proposta del documento di indirizzo della Commissione parlamentare agricoltura nella quale esprime la necessità di una politica alimentare e agricola multifunzionale e sostenibile.
In particolare, il Parlamento europeo ha individuato cinque obiettivi della PAC dopo il 2013: garantire la sicurezza degli approvvigionamenti e il commercio equo; garantire la sostenibilità ambientale ed economica; mantenere l'attività agricola nelle aree svantaggiate e nelle regioni ultraperiferiche; garantire la qualità degli alimenti; contribuire alla biodiversità e alla protezione ambientale, favorendo la crescita verde.
Nella risoluzione si chiede inoltre di affiancare agli strumenti finanziari classici nuovi strumenti economici e finanziari: polizze assicurative, mercati a termine, fondi mutualistici, prevedendo una riserva destinata a rispondere rapidamente a situazioni di crisi.
Il 18 novembre 2010 la Commissione europea ha presentato anche la comunicazione: «La politica agricola comune verso il 2020: rispondere alle future sfide dell'alimentazione, delle risorse naturali e del territorio». La Commissione dovrà presentare le proposte legislative nel mese di luglio del 2011.
Nell'ambito della risoluzione sul riconoscimento dell'agricoltura come settore strategico e nel contesto della sicurezza alimentare approvata dal Parlamento europeo in sessione plenaria il 18 gennaio 2011 si afferma che una forte politica comune è la base per assicurare un approvvigionamento sicuro di prodotti alimentari a prezzi accessibili, scoraggiare la speculazione su materie prime e aiutare i giovani ad intraprendere l'attività agricola e mantenere le validità delle zone rurali.
Dal punto di vista dell'occupazione, poiché l'Unione europea avrà bisogno di 4,5 milioni di agricoltori nei prossimi dieci anni, il documento approvato propone di rafforzare le misure esistenti per attrarre i giovani verso l'agricoltura, come i premi di installazione e i tassi di interesse agevolati sui prestiti.
Sottolinea, inoltre, la necessità di attuare una PAC più equa, che garantisca una distribuzione equilibrata del sostegno agli agricoltori, sia tra gli Stati membri che al loro interno, una maggiore coesione territoriale e la progressiva eliminazione dei sussidi all'esportazione e invita l'Unione europea a riconoscere l'importanza di sostenere i settori agricoli dei Paesi in via di sviluppo.
La PAC del futuro dovrà anche permettere la diffusione di informazioni nutrizionali e favorire la realizzazione di programmi come il latte nelle scuole o la frutta nelle scuole. In sintesi e concludendo sulla nuova PAC, la Lega Nord invita il Governo ad operare a 360 gradi per rendere pienamente compatibile con le esigenze del nostro Paese la PAC dopo il 2013. Per tali scopi chiediamo una consultazione aperta e costante, soprattutto senza preclusioni, con tutte le associazioni che rappresentano il settore primario italiano, un confronto periodico con il Parlamento, anche in vista di approvare una specifica risoluzione nelle Commissioni competenti.
La riforma che si inserisce nell'ambito della strategia di Europa 2020, volta a conseguire una crescita sostenibile, intelligente e inclusiva, intende rendere il settore agricolo europeo più dinamico, competitivo ed efficace. Poiché il quadro finanziario della PAC si concluderà nel 2013, occorrerà adeguare la PAC del post 2013 alla strategia europea del 2020. La comunicazione della Commissione indica tre sfide più importanti e tre obiettivi principali della nuova PAC. Le sfide sono quelle economiche, ambientali e territoriali. Gli obiettivi si ravvisano nella produzione alimentare economicamente redditizia, nella gestione sostenibile delle risorse naturali, in azioni a favore del clima, Pag. 49nella promozione della crescita verde mediante l'innovazione, l'attenuazione e l'adattamento ai cambiamenti climatici, nel mantenimento dell'equilibrio territoriale della diversità delle zone rurali, nel sostegno della vitalità delle aree rurali e dell'occupazione, nella promozione della bio-diversificazione e della diversità sociale e strutturale delle zone rurali.
Con riguardo agli strumenti, la Commissione esamina strumenti che consentiranno di realizzare tali obiettivi: pagamenti diretti, razionalizzazione degli aiuti e sostegno al reddito sulla base di criteri economici e ambientali, oggettivi ed equi, facilmente comprensibili per il contribuente e orientati verso gli agricoltori attivi. Uno degli approcci possibili potrebbe consistere nel fornire un sostegno di base ai redditi eventualmente uniformi per regione, ma non forfetario per tutta l'Unione, sui nuovi criteri con un massimale definito; un pagamento per vincoli naturali specifici, definiti a livello di Unione europea, e importi complementari versati tramite le misure di sviluppo rurale; un'opzione limitata di pagamento accoppiato per alcune forme di agricoltura particolarmente sensibili. Un regime di sostegno semplice e specifico dovrebbe rafforzare la competitività delle piccole aziende, ridurre le formalità amministrative e contribuire alla vitalità delle zone rurali.
Quanto alle misure di mercato: intervento pubblico e aiuto all'ammasso privato, possibile adozione di misure di razionalizzazione e di semplificazione, eventualmente introducendo nuovi elementi volti a migliorare il funzionamento della catena alimentare. Benché tali meccanismi costituissero degli strumenti tradizionali della PAC, le successive riforme hanno potenziato l'orientamento al mercato dell'agricoltura dell'Unione europea, riducendo queste misure a reti di sicurezza al punto che le scorte pubbliche sono state praticamente eliminate. Mentre nel 1991 le misure di mercato rappresentavano ancora il 92 per cento della spesa della PAC, nel 2009 è stato loro destinato il 7 per cento del bilancio della PAC. La politica di sviluppo rurale ha permesso di rafforzare la sostenibilità economica, ambientale e sociale nel settore agricolo e nelle zone rurali, ma esiste una forte richiesta di integrare tutti i programmi con le necessarie considerazioni in materia di ambiente, cambiamento climatico e innovazione.
Ai fini di una maggiore efficacia, si propone di adottare una strategia basata principalmente sui risultati, eventualmente con obiettivi qualificati. Dovrebbe essere previsto un pacchetto di strumenti per la gestione dei rischi, per affrontare l'incertezza dei mercati e l'instabilità dei redditi. Gli Stati membri dovrebbero poter far fronte ai rischi legati alla produzione e al reddito con strumenti di stabilizzazione dei redditi compatibili con l'OCM oppure con un sostegno rafforzato agli strumenti assicurativi e ai fondi comuni. Sarebbe auspicabile altresì l'introduzione di una nuova ripartizione dei fondi basata su criteri oggettivi.
In merito a questo, la nostra mozione impegna il Governo ad adottare tutte le iniziative necessarie affinché, nell'ambito delle prospettive finanziarie per il periodo 2014-2020, il livello del sostegno all'agricoltura e alle politiche di sviluppo rurale non subisca ridimensionamenti e che rispetto al recente passato sia maggiormente finalizzato al perseguimento degli obiettivi dichiarati; ad elaborare un documento di posizione da presentare e sostenere in sede comunitaria, dove siano chiaramente delineate le linee strategiche che si ritengono prioritarie affinché la nuova PAC possa sostenere lo sviluppo futuro del nostro sistema agro-alimentare, legato alle produzioni DOP (produzioni tipiche che tutto il mondo in questo momento ci sta invidiando); a definire le linee strategiche di cui sopra in riferimento alle caratteristiche e alle potenzialità della nostra agricoltura e, in specie, al rapporto con il territorio e le altre componenti socio-economiche, alla peculiarità del modello di sviluppo del nostro sistema agro-alimentare fondato sulla qualità e non sulla quantità delle proprie produzioni, al ruolo multifunzionale dell'agricoltura e, in specie, Pag. 50ai servizi che può rendere alla collettività e alle funzioni che può svolgere nell'ambito della politica energetica. Per questo, vi ringrazio e concludo.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Delfino, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00545. Ne ha facoltà.

TERESIO DELFINO. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, la discussione sul futuro della politica agricola comune è sicuramente la sfida più decisiva che il mondo dell'agricoltura deve affrontare per garantire prospettive di crescita e di consolidamento dell'attività agricola e agro-alimentare in Europa e nel nostro Paese, avendo come sfondo il tema fondamentale della tutela del reddito degli agricoltori e dei produttori agricoli. Infatti, senza di loro non ci può essere una vera agricoltura, né una grande realtà agro-alimentare.
La nuova PAC, che ha un ambito temporale 2014-2020, si trova ad affrontare un quadro molto diverso rispetto alle riforme agricole precedenti perché, nel corso di questi ultimi anni, l'Europa ha modificato profondamente il suo assetto ampliando il suo ambito territoriale a 27 paesi con evidenti riflessi qualitativi e quantitativi sull'agricoltura europea. Siamo davanti ad una questione che pone problematiche nuove, che tuttavia non fanno venir meno la pregnanza delle questioni già affrontate con le riforme precedenti della politica agricola comune, soprattutto se riferita a quelli che sono da sempre gli obiettivi fondamentali della PAC: garantire la sicurezza dell'approvvigionamento alimentare; migliorare le condizioni di esercizio dell'attività agricola garantendo una sostanziale stabilità dei prezzi, anche grazie alle possibilità di intervento della comunità europea; dare ai produttori un prezzo remunerativo; promuovere la qualificazione nella produzione di derrate alimentari sempre più di pregio e sempre più sicure sotto il profilo dell'alimentazione; orientare le imprese agricole verso una maggiore capacità produttiva limitando i fattori della produzione e aumentando lo sviluppo tecnologico e utilizzando le migliori tecniche agronomiche.
Tuttavia, nell'attuale contesto non si può non osservare come tali ambiziosi obiettivi non siano stati completamente raggiunti, in quanto il reddito degli agricoltori è al di sotto di quello medio complessivo. Inoltre, le ripetute crisi e la volatilità dei mercati penalizzano fortemente i redditi dei produttori agricoli. Dinnanzi alla complessità della riforma della nuova PAC, appare evidente la necessità di definire una posizione italiana comune e condivisa che sorregga con forza il negoziato comunitario, nel quale la posizione dell'Italia dovrà assicurare il raggiungimento di linee di riforma coerenti con la politica agricola realizzata in questi ultimi decenni nel nostro Paese.
Al riguardo c'è da recuperare il tempo perso - e lo devo dire con una certa amarezza - in questi ultimi anni rispetto al confronto in Europa. Inoltre, vorrei aggiungere, che deve registrarsi anche una mancanza di iniziativa da parte del Governo nazionale, troppo latitante in sede europea. Tuttavia, ormai siamo in una fase, dopo la comunicazione della Commissione sul futuro della PAC del 18 novembre scorso, dove il percorso che ci condurrà all'approvazione della riforma per il periodo 2014-2020 è bene scandito. L'Italia, a nostro giudizio, deve avere una proposta adeguata e unitaria così come una rappresentanza unitaria, con delle proposte di modifiche e di implementazione di quegli aspetti sui quali riteniamo indispensabile ottenere soddisfazione in sede europea.
L'agricoltura sta attraversando un momento di profonda trasformazione da imputarsi a tanti fattori, come l'ampliamento dei mercati, la comparsa di nuove problematiche sull'ambiente, la concentrazione oligopolistica nel campo della trasformazione agro-industriale e della commercializzazione dei prodotti agricoli, le nuove forti sensibilità dei consumatori sulla sicurezza alimentare, le crescenti innovazioni tecnologiche e produttive e le modificazioni genetiche. Sono tutti fattori che Pag. 51richiedono misure molto puntuali per tutelare la specificità e la qualità dell'agricoltura italiana rispetto alla nuova riforma della PAC.
Siamo consapevoli che si dovrà perseguire il superamento degli squilibri territoriali e produttivi e, pertanto, la PAC dovrà ispirarsi a principi di equità sull'intero territorio comunitario. Ma riteniamo fondamentale consolidare la crescita delle produzioni di qualità, della loro sicurezza alimentare e di un'agricoltura sostenibile, capace di coniugare produzione, ambiente e tutela del paesaggio. Vogliamo far sì che nella nuova riforma i passi in avanti compiuti dal nostro Paese, nella tutela delle produzioni di pregio e delle produzioni protette nelle linee della certificazione, della tracciabilità e dell'indicazione dell'origine dei nostri prodotti, siano elementi che trovino accoglienza nella nuova riforma agricola.
Per comprendere quale PAC si avrà dopo il 2013 dobbiamo avere ben presente l'attuale situazione della politica agricola, caratterizzata e condizionata dalle recenti crisi dei mercati, da una ritrovata centralità planetaria del tema del cibo, dall'instabilità dei mercati agricoli a causa delle forti speculazioni e da un problema di sicurezza alimentare, minata da frodi e da scandali sempre più vasti. Tale realtà richiama la necessità di perseguire certamente il miglioramento della competitività del mondo agricolo nei confronti dei mercati internazionali e di definire un diverso potere contrattuale delle aziende agricole all'interno delle filiere.
Ma vorrei, prima di tutto, richiamare qui la questione fondamentale, quella che deve poter garantire e mantenere un ammontare adeguato di risorse del bilancio comunitario alla politica agricola in modo che questo livello di risorse sia adeguato alle sfide che l'agricoltura europea è chiamata ad affrontare. In questo contesto, proprio per l'ampliamento a 27 Stati membri e per l'esigenza di migliorare in via strutturale e produttiva l'agricoltura dell'Unione europea occorrerebbe un incremento di risorse comunitarie, per assicurare quella stabilità reddituale dei produttori agricoli e per garantire all'impegno dei produttori agricoli verso la qualità il necessario ritorno economico.
Questo non sembra sia assolutamente possibile, ma credo che comunque ci debba essere un livello rispetto al quale, sulla questione del budget comunitario, il nostro Paese debba essere unitariamente impegnato nel mantenere almeno il livello delle attuali risorse perché, senza questo, diventerebbe oltremodo difficile, da un lato soddisfare le esigenze dei nuovi Stati membri e, nel contempo, tutelare i precedenti budget storici agli Stati già fruitori della PAC. È stato già ricordato da altri colleghi - ed io lo richiamo per sottolinearlo - che l'Italia è un finanziatore netto della PAC: riceve il 10 per cento di risorse rispetto al 13 per cento del suo contributo al bilancio comunitario. Pertanto è chiaro che ci debba essere da parte nostra un'attenzione per far sì che il livello di risorse che perviene al nostro Paese non solo non peggiori rispetto a questo dato, ma soprattutto diventi un limite rispetto alle politiche di miglioramento qualitativo della nostra agricoltura.
Per questo, anche noi ribadiamo un «no» chiaro alla distribuzione delle risorse della PAC con il solo parametro della superficie agricola. Sappiamo che il confronto sui nuovi criteri di ripartizione è un tema molto delicato e molto difficile, tuttavia riteniamo che l'ipotesi di un aumento del peso dei criteri quantitativi per la distribuzione delle risorse tra i Paesi membri rispetto al dato fondamentale di coniugare la tutela della qualità, dell'ambiente e del paesaggio debba essere assolutamente e decisamente contrastata, proprio per il ruolo che gli imprenditori e i produttori agricoli ricoprono nel nostro Paese, per la loro multifunzionalità.
La riforma della PAC - come è già stato detto e come emerge dalla comunicazione della Commissione del 18 novembre scorso - indica che la futura PAC sia rivolta verso i seguenti obiettivi: la garanzia degli approvvigionamenti, la sicurezza della produzione alimentare, la sostenibilità ambientale delle produzioni, la qualità delle derrate alimentari, la tutela dell'occupazione Pag. 52nelle zone rurali. Il documento della Commissione citato, anche se non affronta in maniera specifica le questioni di maggiore rilievo, a nostro avviso, è comunque una buona base di partenza per puntare ad una riforma robusta, ambiziosa e coerente con le politiche agricole, che il nostro Paese da anni sta portando avanti. Riteniamo che lo sforzo di cambiamento della nuova PAC debba rivolgersi soprattutto a superare le inadeguatezze esistenti a livello europeo, ad individuare nuovi strumenti di intervento e a migliorare le sinergie tra politica comunitaria e iniziativa degli Stati nazionali per far crescere efficienza ed efficacia nel mondo agricolo europeo, ma anche italiano.
Questa riflessione impone a nostro giudizio di approfondire la relazione tra i diversi fondi europei che, senza stravolgerne l'attuale assetto, consenta tuttavia di rivisitare la loro funzione nell'ottica di corrispondere alle esigenze rappresentate dal mondo agricolo.
Sono molte le questioni da sottoporre ad una verifica puntuale per poi approdare ad un testo di riforma condiviso. Voglio ricordare la questione della semplificazione, c'è sempre una grande - anche aulica - enfatizzazione della volontà di semplificare nel nostro Paese come in Europa, i nodi burocratici si complicano sempre di più, pertanto riteniamo che quello della semplificazione sia uno degli aspetti importanti da portare avanti, soprattutto rispetto agli strumenti comunitari. Riteniamo importante la rivisitazione delle attuali regole dell'utilizzo delle risorse finanziarie, riteniamo essenziale un sistema di controllo efficace sui regimi di aiuti erogati.
Sono necessari nuovi strumenti di livello comunitario non co-finanziati a livello nazionale per la gestione dei rischi e delle crisi di mercato e, in particolare, la creazione di un fondo anticiclico in grado di intervenire nelle situazioni di crisi affiancato anche da strumenti assicurativi. È un percorso che il nostro Paese ha già avviato da tempo ma che deve trovare anche in sede europea un riconoscimento.
Voglio trattare un'altra fondamentale questione, quella rappresentata dalla finalizzazione degli aiuti della PAC. È indubbia la necessità di sostenere gli agricoltori attivi, quelli che lavorano e rischiano in agricoltura, remunerare i servizi collettivi che essi forniscono alla società aumentandone l'efficacia e l'efficienza, contribuendo a dare ancor più legittimità alla PAC. Per questo bisogna valorizzare un ruolo degli agricoltori come produttori di cibo, sapendo che più il cibo è adeguato alla qualità e alla sicurezza alimentare, più si fa una sinergia, una forte cooperazione con i consumatori, perché c'è sempre una maggiore e crescente domanda di informazione e di trasparenza da parte di questi ultimi.
È problematico a nostro avviso continuare a finanziare soggetti che svolgono altre attività, altri mestieri e che beneficiano della PAC come fosse una rendita o peggio effettuano delle vere e proprie speculazioni. Bisogna creare le condizioni giuridiche per sostenere la gestione da parte degli agricoltori di filiere corte e trasparenti, attraverso il riconoscimento di una maggiore reciprocità commerciale. Sono infatti noti gli ostacoli doganali e fito-sanitari messi in atto per impedire lo sbocco di merci europee ma soprattutto di quelle di qualità, quali quelle italiane, verso i mercati di Paesi terzi.
Ancora, la PAC deve farsi carico di queste problematiche e definire un quadro di riferimento complessivo nel quale i singoli Stati possono rivendicare standard amministrativi e igienico-sanitari nei confronti dei Paesi terzi. È evidente che non possiamo pensare che rispetto alla produzione agricola ci siano modalità e standard di produzione che non siano assoggettati alle stesse regole sanitarie che ci sono nei Paesi più evoluti.
La proposta in discussione presenta a nostro avviso aspetti molto positivi che meritano di essere rafforzati, quale l'intervento riservato agli agricoltori attivi, l'indicazione del lavoro come parametro cui fare riferimento nella distribuzione dei pagamenti diretti, il sostegno alla competitività dell'impresa all'interno della filiera agro-alimentare. Pag. 53Si dovrà prestare invece massima attenzione alle ambiguità presenti nel documento, circa il sostegno ai piccoli agricoltori con la richiesta di un livello minimo di pagamenti diretti sulle misure di mercato e sull'assegnazione delle risorse tra gli Stati membri.
Come affermato all'inizio - e concludo, signor Presidente - siamo davanti ad un pacchetto di riforma che giudichiamo aperto, nel quale possiamo e dobbiamo far valere la nostra capacità di proposta per incidere nella direzione più positiva per la nostra agricoltura nazionale.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Biava, che illustrerà la mozione Beccalossi ed altri n. 1-00547, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

FRANCESCO BIAVA. Signor Presidente, onorevole sottosegretario, onorevoli colleghi, sottolineo quanto sia importante questo appuntamento che, come hanno ricordato i colleghi, si svolge in più tappe: entro quest'estate la Commissione europea presenterà una comunicazione e poi il relativo piano finanziario per gli anni 2014-2020. Questa riforma della PAC è stata evidenziata da tutti i colleghi. Voglio cogliere il richiamo fatto da tutti all'unità e al fatto di fare fronte comune, anche perché il contributo che porto con questa mozione, come Popolo della Libertà, è simile. Tale richiamo, secondo me, può prevedere anche la possibilità di unificare queste mozioni in una unica.
Fin dalla sua creazione la politica agricola comune ha dato una prova di flessibilità ed adattabilità di fronte all'emergere di nuove sfide. Nei primi anni il suo obiettivo principale, fissato dall'articolo 39 del Trattato, era quello di un rapido aumento della produttività agricola. Questa impostazione ha dato presto buoni frutti. Il successo è stato infatti tale che in breve tempo l'intervento della PAC è stato invocato per gestire eccedenze produttive di taluni settori. Le misure prese a tal fine sono volte a ridurre l'offerta tramite l'applicazione di restrizioni quantitative. In tempi più recenti la PAC ha adottato una nuova strategia che si fonda su due elementi: ridurre i prezzi istituzionali dei prodotti più importanti e compensare il conseguente impatto di questi tagli sui redditi dei produttori agricoli tramite i pagamenti diretti.
Questa impostazione è alla base della riforma del 1992, che ha ottenuto un notevole successo sia in termini di equilibrio di mercato che per quanto riguarda la stabilizzazione dei redditi agricoli. Nel corso degli anni Novanta la Commissione ha presentato agli Stati membri nuove strategie agricole definite in una prospettiva di lungo termine e all'inizio del nuovo millennio, attraverso l'agenda 2000, furono dettate le basi per un documento programmatico sul futuro della politica dell'Unione contenente proposte per la riforma della politica agricola comune. Tali proposte hanno preso a fondamento i risultati positivi della riforma del 1992, tenendo tuttavia conto anche delle nuove sfide e opportunità con cui saranno confrontate l'agricoltura e le economie rurali comunitarie del nuovo millennio.
L'iniziativa della Commissione per una riforma radicale della politica agricola guarda sia all'interno che all'esterno delle frontiere comunitarie. I principali fattori di origine esterna includono la crescente domanda mondiale di generi alimentari, una maggiore liberalizzazione globale degli scambi e le nuove prospettive offerte dall'ampliamento dell'Unione verso i Paesi dell'est. Sul fronte interno esistono quattro fattori principali. In primo luogo, per alcuni fattori esiste il rischio concreto di un ritorno a squilibri di mercato. In secondo luogo, il Trattato di Amsterdam, entrato in vigore il 1o maggio 1999, affida al legislatore comunitario il compito di integrare la dimensione ambientale all'insieme della normativa. In terzo luogo, la PAC deve tener conto dell'accresciuto interesse del consumatore per la sicurezza degli alimenti, la qualità dei prodotti e il benessere degli animali. Infine, la PAC deve adeguarsi per rispondere alle esigenze di un maggior decentramento, di una maggiore trasparenza e di una semplificazione delle norme. Pag. 54
Occorre ribadire come l'agricoltura abbia rappresentato fin dai tempi dei negoziati del Trattato di Roma uno degli obiettivi prioritari delle istanze politiche e decisionali europee. A quell'epoca era ancora vivo il ricordo delle penurie alimentari dell'immediato dopoguerra e l'agricoltura ha costituito un elemento chiave delle politiche europee fin dagli esordi della Comunità economica europea. È senza dubbio importante confermare, pertanto, come la politica agricola comune, la PAC, sia una delle politiche comunitarie di maggiore importanza, impegnando circa il 34 per cento del bilancio dell'Unione europea. Nel 1988 la quota di bilancio era del 65 per cento, mentre in questi anni abbiamo avuto una notevole riduzione. In ogni caso, bisogna anche far fronte comune per scongiurare che con la riforma ve ne siano ulteriori.
È una cifra peraltro insufficiente, i cui cardini fondamentali consistono in una serie di norme e meccanismi che regolano la produzione, gli scambi e la lavorazione dei prodotti agricoli nell'ambito dell'Unione europea. Come è noto, inoltre, la base giuridica della politica agricola comune è definita ad oggi dagli articoli 38-44 del Titolo III del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea.
Il Trattato di Roma definiva gli obiettivi generale della politica agricola comune, principi fissati durante la Conferenza di Stresa nel luglio del 1958. Nel 1960 i sei membri fondatori della Comunità economica europea hanno adottato i meccanismi della PAC e due anni dopo, nel 1962, la PAC è entrata in vigore.
Oggi l'Esecutivo europeo, attraverso il dibattito sulla riforma della politica agricola comune, tenutosi dal mese di aprile al giugno dello scorso anno, intende puntare la massima attenzione sugli obiettivi della politica agricola, in considerazione che sia l'agricoltura sia l'industria agroalimentare europea contribuiscono in misura sostanziale alla crescita economica e all'occupazione e possono costituire un volano importante per il rilancio dell'economia dell'Unione europea.
Come giustamente ha ricordato il Ministro Galan, proprio i recenti eventi e la crisi globale che ha coinvolto l'Italia e tutto il mondo in questi ultimi anni hanno mostrato come non siano sufficienti i prodotti finanziari, ma sia proprio l'economia reale a consentire e assicurare la crescita e lo sviluppo di un Paese e di una Nazione.
Per questo il settore primario, come quello agricolo, rimane conseguentemente strategico. L'Europa ha saputo costruire, nel corso dei decenni, un modello agroalimentare capace di garantire disponibilità di alimenti sani di elevata qualità. La PAC, peraltro, può avere un ruolo strategico e fondamentale nell'Europa del 2020, contribuendo alla ripresa economica. Risulta, tuttavia, necessario focalizzare l'attenzione sul miglioramento della competitività e sulla modernizzazione delle aziende, stimolandone l'innovazione, così come occorre essere pronti alle sfide future dell'alimentazione, delle risorse naturali e del territorio, attraverso tre obiettivi delineati dalla Commissione europea nel novembre del 2010, ritenuti principali e fondamentali.
Il primo è una produzione alimentare redditizia, che sia in grado di introdurre una maggiore equità nella ripartizione dei pagamenti diretti tra gli Stati membri, senza modificare il meccanismo vigente, e, contestualmente, prevedere per il livello di misura del mercato il rafforzamento degli strumenti di gestione dei rischi e la razionalizzazione e la semplificazione, ove necessario, degli strumenti di mercato esistenti.
Il secondo obiettivo è una gestione sostenibile delle risorse naturali e un'azione di sostegno sull'ambiente e sul cambiamento climatico, attraverso l'introduzione di una maggiore equità nella ripartizione dei pagamenti diretti tra gli Stati membri e una sostanziale modifica della loro concezione. I pagamenti diretti sarebbero composti da: un tasso base, che funge da sostegno al reddito; un aiuto supplementare obbligatorio per determinati beni pubblici ritenuti ecologici; un pagamento supplementare, volto a compensare Pag. 55vincoli naturali specifici; infine, una componente di aiuto accoppiato e facoltativo a favore di determinati settori e regioni.
Si intende, quindi, porre una serie di azioni volte ad introdurre un nuovo regime per le piccole aziende agricole, oltre che migliorare e semplificare, ove necessario, gli strumenti di mercato esistenti. Il terzo obiettivo è un mantenimento dell'equilibrio territoriale e dello sviluppo della diversità delle zone rurali, con la finalità di abolire gradualmente i pagamenti diretti nella loro forma attuale, resa storica, e sostituirli con pagamenti limitati per i beni pubblici ambientali e con pagamenti aggiuntivi per vincoli naturali specifici. A livello di mercato, si vogliono abolire tutte le misure di mercato, con la potenziale eccezione di clausole in caso di turbative, che potrebbero essere attivate nei periodi di grave crisi.
Per lo sviluppo rurale, l'intento consiste nell'adeguare ed integrare gli strumenti esistenti per renderli più coerenti con le priorità dell'Unione europea, ad esempio focalizzando il sostegno per l'ambiente, il cambiamento climatico e la ristrutturazione e l'innovazione per favorire iniziative regionali e locali.
Da quanto esposto, lo schema di riforma della politica agricola europea, suddiviso in tre obiettivi, risulta evidentemente ambizioso, complesso e articolato, in considerazione della profonda revisione che il documento proposto dal commissario europeo all'agricoltura intende introdurre sul futuro della PAC e che sarà associato al progetto preliminare sulle prospettive finanziarie per il periodo 2014-2020.
Si tratta di una revisione che tende a rivisitare nel complesso gli aiuti diretti al reddito degli agricoltori, con l'obiettivo di riequilibrare il livello dei pagamenti tra i diversi Stati membri dell'Unione europea, ma anche all'interno dello stesso Stato membro o della regione, nonché tra le produzioni stesse. Questo potrebbe generare una riduzione degli aiuti diretti agli agricoltori italiani, cosa che dobbiamo scongiurare. Dal punto di vista procedurale e temporale i contenuti della nuova PAC dovranno tuttavia essere ricondotti e coordinarsi in un quadro complessivo della strategia Europa 2020, definita dal Consiglio europeo dello scorso giugno 2010.
In uno scenario e in una previsione complessiva come quella precedentemente descritta, appaiono incoerenti e non privi di difficoltà i principi di riforma della politica agricola comune sopra esposti e volti alla revisione della ridistribuzione delle risorse, in base a principi esclusivamente riconducibili alla superficie, in considerazione che non verrebbe pertanto premiata la qualità, che al contrario ne caratterizza le coltivazioni. Un modello così concepito penalizzerebbe le regioni europee dove i produttori hanno lavorato con maggiore impegno e profuso grandi sforzi e sacrifici per realizzare un'agricoltura di qualità. La costante ricerca di investire sulla qualità deve, infatti, caratterizzare la produzione agricola dei Paesi più industrializzati e pertanto occorre sostenere le produzioni di qualità, difendendole con tutte le azioni.
Appare inoltre inaccettabile l'ipotesi di ridurre il budget della PAC che oggi rappresenta, come già detto, soltanto il 34 per cento del totale, in considerazione che la filiera agricola contribuisce in maniera rilevante al prodotto interno lordo degli Stati dell'Unione europea e in particolare per l'Italia.
In definitiva, con la mozione in esame, il gruppo del Popolo della Libertà, sostenendo convintamente il Ministro Galan per gli interventi introdotti e le iniziative promosse a sostegno dell'intero comparto agricolo e agroalimentare italiano, affinché possa affermarsi sempre più positivamente il nome della qualità, della trasparenza e dell'internazionalizzazione del comparto, impegna in sede comunitaria il Governo al fine di valutare, con riferimento alle possibili modifiche del sistema dei pagamenti diretti, l'impatto che tali mutazioni comporterebbero per il nostro Paese, evitando altresì soluzioni troppo radicali e repentine, che potrebbero danneggiare una molteplicità di imprese agricole italiane con Pag. 56evidenti gravi ripercussioni sul piano non solo economico, ma anche occupazionale. È una richiesta di impegno rivolta anche a sostenere le strategie finalizzate ad incentivare il sistema agroalimentare italiano, attraverso la promozione di investimenti finalizzati allo sviluppo della qualità del settore stesso.
Con riferimento all'ipotesi di modifica dei criteri di ripartizione dei fondi destinati alla politica agricola comune, chiediamo altresì al Governo ogni impegno in sede europea affinché si tenga conto dei fattori fondamentali: oltre a quello della superficie, come sopra esposto, anche l'impatto occupazionale, il valore aggiunto e la qualità della produzione. Sotto l'aspetto produttivo e remunerativo appare altresì rilevante promuovere in sede comunitaria lo sviluppo degli strumenti necessari per migliorare il raccordo e il funzionamento delle filiere, valorizzando l'esperienza maturata negli ultimi anni nel settore ortofrutticolo, in modo da remunerare adeguatamente la fase produttiva agricola, anello fondamentale e primario di qualsiasi filiera agroalimentare.
Ed infine occorre promuovere ogni sforzo per lo sviluppo delle nuove generazioni di agricoltori, favorendo l'innovazione del settore e l'introduzione di incentivi mirati, quale la dotazione di capitali fissi e un migliore accesso al credito, investendo nello sviluppo della produzione e premiandone la qualità.
All'interno delle nuove regole che determineranno la nuova politica agricola comune sarà altresì necessario l'impegno del Governo affinché siano introdotti adeguati strumenti di gestione del rischio di mercato, a garanzia del reddito degli agricoltori, in previsione dello smantellamento dei sistemi di intervento divenuti obsoleti e non più compatibili con le regole dell'Organizzazione mondiale del commercio. Occorre quindi impegnarsi affinché la proposta di riforma della PAC presentata dalla Commissione europea superi con decisione gli attuali problemi di sovrapposizione e di demarcazione tra gli strumenti d'intervento disponibili, la cui gestione rappresenta un inutile onere sia per la pubblica amministrazione, sia per gli agricoltori italiani, che auspicano, al contrario, nuove linee programmatiche per risollevare il proprio reddito, ridotto oggi di un terzo.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Di Giuseppe, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00548. Ne ha facoltà.

ANITA DI GIUSEPPE. Signor Presidente, la mozione del gruppo dell'Italia dei Valori intende rendere, per quanto possibile, più efficace la PAC, quella politica agricola comune che ha l'obiettivo (un obiettivo oltretutto logico) di rispondere alle future sfide dell'alimentazione, delle risorse naturali e quindi anche del territorio. Obiettivi che spingono, e che hanno spinto l'Unione europea, a fare scelte determinanti per il futuro del settore agricolo e delle zone rurali, e queste scelte sono tese a conservare il potenziale di produzione alimentare secondo i criteri di sostenibilità, proprio per garantire quella che è la sicurezza dell'approvvigionamento alimentare a lungo termine. Obiettivi che sono tesi anche a sostenere le comunità agricole, che forniscono a tutti i cittadini europei una grande varietà di produzione alimentare, oltretutto di pregio e di qualità, e che è prodotta in modo sostenibile, perseguendo anche quelli che sono gli obiettivi dell'Unione europea in materia di tutela dell'ambiente, della salute e del benessere. Si tratta di scelte utili anche a conservare le comunità rurali per le quali l'agricoltura costituisce sicuramente un'attività economica importante, in grado soprattutto di creare occupazione locale. È chiaro allora, Presidente, che il futuro della PAC è assai determinante per l'agricoltura dei Paesi membri dell'Unione europea. Dobbiamo pensare (e chiaramente c'è l'obbligo di pensare) quanto sia fondamentale, rilevante, il lavoro degli agricoltori, i quali, attraverso la loro attività, garantiscono l'approvvigionamento alimentare e un'ampia gamma di beni e servizi pubblici, apportando così quei benefici tanto cari a tutti i cittadini europei. Pag. 57Ecco perché è importante il sostegno della PAC, di questa politica agricola comune. Non lo si può negare quindi: l'agricoltura è decisiva, è indispensabile, perché dobbiamo pensare alla sicurezza alimentare per i 500 milioni di consumatori, attraverso il mantenimento della capacità produttiva in tutta l'Unione europea, ma dobbiamo anche pensare ai metodi di produzione sostenibile rispondenti ai criteri più seri e più severi al mondo in termini di sicurezza alimentare, di tracciabilità, di protezione ambientale, di benessere degli animali stessi, e poi anche all'occupazione e solidità economica delle zone rurali. Infatti circa 30 milioni di addetti lavorano nelle aziende agricole, e oltre 40 milioni sono impiegati all'interno di tutta la filiera agroalimentare. Da sottolineare poi anche la gestione di oltre tre quarti della superficie agricola dell'Unione europea in maniera da offrire un passaggio, anche attrattivo e variegato, agli abitanti delle zone rurali, ai loro visitatori ed anche ai turisti.
Pensiamo infine al mantenimento della produzione nelle zone svantaggiate. Ecco, a tutto questo pensano gli agricoltori dell'Unione europea. Però, nonostante questo, si è verificato un evidente peggioramento di quello che è il reddito degli agricoltori, anche se le riforme recenti hanno reso l'agricoltura più orientata al mercato.
Queste riforme, tuttavia, non sono riuscite comunque a migliorare i ricavi che gli agricoltori ottengono dal mercato stesso. Non lo dobbiamo dimenticare, perché gli agricoltori sono, innanzitutto, imprenditori e, chiaramente, vorrebbero ricavare la maggior parte del loro reddito dal mercato. Una delle principali priorità deve essere allora quella di rafforzare il ruolo economico degli agricoltori in quanto produttori, in modo tale che essi possano ottenere un ricavo equo dal mercato. La prospettiva deve essere una politica agricola comune forte, seria, corredata da un bilancio adeguato che permetta agli agricoltori di continuare ad offrire i vantaggi di diversa natura che ho illustrato e di contribuire anche a raccogliere le sfide che l'Unione europea dovrà affrontare nei prossimi anni.
Il Governo deve farsi carico di queste problematiche ed insistere, a livello europeo, in modo tale che questi obiettivi, poi, vengano raggiunti. Secondo il gruppo dell'Italia dei Valori vi sono dei nodi della PAC che devono essere sciolti e che riguardano, innanzitutto, l'esigenza di salvaguardare il budget comunitario complessivo che è destinato all'agricoltura; poi, la necessità di basare i meccanismi di ripartizione delle somme più sul criterio qualitativo, sul valore della produzione, che sul criterio dell'estensione delle superfici. Vi è da evidenziare, poi, che l'instabilità del mercato è in aumento; durante la crisi agricola del 2009, le autorità non disponevano più degli strumenti necessari per far fronte alla crisi grave e, quindi, ai redditi degli agricoltori che sono scesi, in media, del 12 per cento. Oltre 13 milioni di agricoltori europei hanno un potere contrattuale estremamente scarso nei confronti di un gruppo ristretto di fornitori, di trasformatori e di distributori di grandissime dimensioni. Ci pare scontato, allora, che la PAC debba intervenire sull'intero territorio comunitario ed ispirarsi a principi di equità. Questo è un principio veramente essenziale: il principio di equità, seppure differenziato territorialmente tenendo conto, in primo luogo, delle necessità espresse dagli stessi Stati membri e, in secondo luogo, dell'importanza, come sostenevo prima, di non diminuire i budget storici per poter mantenere adeguato, poi, il livello di stabilità di reddito degli agricoltori europei.
Per tutto questo, le risorse finanziarie da destinare alla PAC, nella sua globalità, nel suo insieme, devono essere adeguate a quelle sfide che l'agricoltura è chiamata ad affrontare in futuro. È evidente, quindi, quello che non va nella politica agricola comune perché fornisce sostegno agli agricoltori, non sulla base dei comportamenti futuri che si impegnano a mettere in atto o dei progetti che intendono realizzare, bensì sulla base del titolo di possesso del fondo e dei diritti acquisiti in passato. In questo modo, si determinano rendite di posizione e discriminazioni, soprattutto e specialmente nei confronti dei giovani, di Pag. 58quei giovani che vogliono magari iniziare questa attività. E, poi, viene penalizzata in maniera evidente la nostra agricoltura perché tutti sanno - e sappiamo anche noi - che l'agricoltura italiana è impostata soprattutto sulla qualità delle produzioni. È il nostro fiore all'occhiello. Inoltre, i pagamenti disaccoppiati: questi sono stati erogati ai beneficiari storici perché compensativi di una situazione pregressa che concedeva agli agricoltori determinate garanzie di prezzo e di mercato. Oggi, questa voce di spesa, però, rimane determinante per il reddito degli agricoltori e, conseguentemente, per i beni pubblici che il settore agricolo garantisce alla collettività.
Tuttavia questo criterio di assegnazione su base storica dei pagamenti diretti disaccoppiati non risulta più giustificabile dopo diversi anni di applicazione: si sta rischiando di generare delle disparità di trattamento tra soggetti beneficiari e comparti produttivi. Allora, occorre che i fondi necessari per il rilancio del comparto agricolo siano ricercati soprattutto in ambito comunitario. Per questo è fondamentale una discussione in ambito europeo sulla riforma della PAC, considerato anche lo scarso interesse che questo Governo ha dimostrato nei confronti della nostra agricoltura. Non c'è stato molto interesse nell'arco di questi due anni e mezzo di legislatura, un interesse rivolto all'agricoltura, all'operato degli agricoltori stessi. Un'agricoltura che è in crisi, un'agricoltura che ha sempre chiesto aiuto al Governo, ma il Governo non ha mai risposto in modo adeguato. Quindi, le nuove politiche comunitarie devono offrire una spinta alla stessa agricoltura perché diventi più attrattiva, soprattutto per i giovani, e siano salvaguardate le imprese che hanno come obiettivo la qualità e la sicurezza del prodotto.
Pertanto, con la mozione presentata dal gruppo dell'Italia dei Valori si vuole impegnare il Governo ad adoperarsi innanzi tutto per eliminare le incongruenze, le inefficienze dell'attuale PAC, facendo in modo che da semplice politica di sostegno al reddito diventi una vera e propria politica di promozione di beni pubblici e di processi innovativi per assicurare il mantenimento dei budget della PAC - questo è fondamentale - al fine di consentire agli agricoltori di continuare ad usufruire di tutti quei benefici economici, sociali e rurali che sono poi di bassa portata, e, in relazione ai pagamenti diretti, a semplificare l'attuale criterio di erogazione dei pagamenti stessi, rendendolo più selettivo, in maniera da concentrarlo maggiormente sugli agricoltori professionali. Il tutto non consentendo comunque criteri di selettività arbitrari che determinerebbero delle discriminazioni tra i produttori e quindi anche contrari a quelle che sono le norme del Trattato.
In relazione agli interventi di mercato bisogna soprattutto impegnarsi per introdurre una rete di sicurezza che sia effettiva, reale e che permetta di affrontare in maniera tempestiva, ma soprattutto efficace, le crisi di mercato anche istituendo - perché no? - un fondo anticrisi per tutti i settori, per tutti i comparti dell'agricoltura. Inoltre, in relazione allo sviluppo rurale bisogna indirizzare la spesa verso obiettivi prioritari dell'attuale politica dello sviluppo rurale, che dovrà soprattutto concentrarsi su misure a vantaggio delle imprese, puntando principalmente sull'aumento della competitività.
Insomma, secondo noi la spesa dovrà essere finalizzata a sostenere gli investimenti aziendali, con particolare priorità a quelli indirizzati all'introduzione dell'innovazione tecnologica e organizzativa delle imprese; ancora, a sostenere il ricambio generazionale, e riteniamo che questo sia di fondamentale importanza; inoltre, a sostenere il recupero di competitività sui mercati con iniziative di integrazione di filiera e di promozione all'export. Ancora, la PAC deve garantire la sicurezza alimentare e la tracciabilità rafforzando il ruolo di produzione economica degli agricoltori e consentendo agli stessi agricoltori di ricavare un reddito equo dal mercato e di contribuire ulteriormente a fornire servizi economici, sociali e rurali che siano di vasta portata. È necessario anche rafforzare le misure intese a consentire agli agricoltori e alle cooperative di svolgere un Pag. 59ruolo positivo nel far fronte alle nuove sfide. Insomma, c'è da assicurare che il contributo offerto agli agricoltori, sia per ridurre le emissioni sia per provvedere alla sicurezza energetica, sia massimizzato attraverso la produzione di energie rinnovabili.
L'Unione europea deve impegnarsi anche per assicurare che tutte le importazioni soddisfino i criteri europei di sicurezza alimentare e di tracciabilità e che sia raggiunta una parità di condizioni per la produzione europea. L'Italia lo ha già fatto: abbiamo approvato poche settimane fa in quest'Aula la legge sull'obbligo dell'etichettatura su tutti i prodotti alimentari. L'Italia deve insistere affinché anche l'Europa segua questa strada, si muova in tale direzione.
Poi, la PAC deve anche garantire incentivi agli Stati membri, affinché migliorino le misure fiscali applicate agli agricoltori e facilitino l'accesso al credito. Bisogna inoltre assumere iniziative per individuare nella nuova politica agricola comune gli strumenti per contrastare le situazioni di crisi di alcuni comparti produttivi importanti per l'Italia, come ad esempio il tabacco o la barbabietola da zucchero, comparti che sono stati molto penalizzati dall'ultima riforma della politica agricola comune.
Infine, si devono individuare strumenti idonei ai miglioramenti delle filiere, tali da poter potenziare il valore aggiunto dei produttori, rafforzarne il potere di mercato e valorizzare il sistema di strutture associative presenti in Italia, così come è emerso nelle esperienze positive delle organizzazioni dei produttori ortofrutticoli.
Noi dell'Italia dei Valori, signor Presidente, siamo convinti che solo una PAC così intesa possa veramente dare una mano all'agricoltura, una politica agraria comune che sostenga e sia a favore dell'agricoltura, che premi l'agricoltura, un settore tanto importante per l'economia europea. Quindi, occorre una PAC sicuramente più verde, più equa, ma una PAC che sia soprattutto efficace ed efficiente ed il Governo italiano deve adoperarsi proprio per questo motivo: per fare in modo che questa PAC sia efficace e ed efficiente sul serio (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fiorio. Ne ha facoltà.

MASSIMO FIORIO. Signor Presidente, rappresentante del Governo e onorevoli colleghi, finalmente - mi si permetta: tardivamente - si parla in quest'Aula di politica agricola europea. Lo si fa tardivamente, dal momento che altri Parlamenti hanno già iniziato un percorso per arrivare preparati e pronti ad un appuntamento importante per il sistema produttivo agroalimentare europeo, per coloro che producono il cibo, per coloro che lo consumano, ma non solo, anche per le nuove sfide che, in modo innovativo, sono incrociate dal settore agricolo.
La politica agricola europea, cioè l'impianto legislativo che riguarda il settore, è stata una conquista importante di quel nucleo dei Paesi che hanno dato vita alla Comunità europea per come la conosciamo oggi. Anzi, l'agricoltura è stata una delle prime questioni. Certamente allora nacque con la priorità dell'autosufficienza alimentare dei Paesi europei e in un contesto storico vanno valutate le successive riforme che ha vissuto. La politica agricola, prima dunque fra le politiche economiche comunitarie, è stata protagonista di un percorso di revisione che ad un principio produttivistico ha sostituito nuovi traguardi legati ai bisogni espressi dai cittadini europei. Con la riforma Fischler si è definitivamente smantellato il sistema di sussidi distorsivi del mercato e si è sancito un definitivo orientamento ai cittadini consumatori.
La politica agricola europea, un po' come madre di tutta la legislazione agricola, significa oggi sicurezza alimentare, sanità e qualità degli alimenti, governo del territorio, ambiente e biodiversità, contenimento e adeguamento al cambiamento climatico, senza dimenticare il contributo che una politica per l'agricoltura con un sistema agroalimentare competitivo è in grado di dare al rilancio dell'economia. Il Pag. 60dibattito sul futuro della PAC si inserisce in un nuovo contesto dell'Europa: per la prima volta si deciderà a 27 Paesi membri, con agricoltura e interessi politici molto diversi, e in un quadro economico di crisi, la più grave crisi economica del dopoguerra. Tutto ciò avviene anche in un mutato quadro istituzionale: la codecisione, la più importante delle procedure legislative dell'Unione, è fondata sul principio di parità tra il Parlamento europeo, che è direttamente eletto e rappresenta i cittadini dell'Unione, ed il Consiglio, che rappresenta i Governi.
Questo nuovo scenario, che vede rafforzate le prerogative del Parlamento europeo, viene a delinearsi in un momento di fondamentale importanza per il futuro della PAC. All'interno del dibattito che porterà a formulare i cardini delle risorse della PAC del futuro, il rinnovato ruolo del Parlamento europeo può infatti rappresentare un elemento straordinariamente importante a garanzia della continuità di una politica che è stata fondamentale nel processo di costruzione dell'Europa e che ora può essere decisiva nelle sfide che attendono la nostra società da qui ai prossimi anni.
Una innovazione sostanziale, quindi, che arriva in una fase storica decisiva per il futuro dell'intervento europeo per il settore agricolo e i territori rurali, una innovazione che, spero, potrà permettere alla società europea di essere al riparo da alcune tendenze volte a ridimensionare il ruolo delle politiche agricole, a partire dalle risorse ad esse dedicate.
Certo, la codecisione rappresenta per noi una grande opportunità, ma, diciamolo, anche una grande responsabilità. Il dibattito sulla PAC non è isolato dal contesto europeo. Infatti, esso si inserisce nel documento dell'Unione europea per il 2020 che è stata lanciato dalla Commissione il 3 marzo 2010 e dal titolo «Europa 2020. Una strategia per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva». La quasi totalità degli esperti, ma soprattutto dei cittadini europei, valuta positivamente la funzione nodale ricoperta dalla PAC in termini di fornitura di beni pubblici, sia per quanto riguarda il contributo sociale, arginando l'esodo dai territori, sia per quanto riguarda lo sviluppo economico delle regioni rurali, dall'agriturismo alla produzione di importanti denominazioni di origine e indicazioni geografiche protette, sia per quanto riguarda la tutela ambientale e l'utilizzo dell'acqua e dei terreni per evitare i progressivi processi di desertificazione.
Il dibattito sarà molto impegnativo, anche perché i suddetti vantaggi per l'agricoltura della PAC dovranno trovare spazio all'interno delle altre innumerevoli priorità ed esigenze dell'Unione europea: ricerca, innovazione, occupazione, competitività, formazione e difesa comune, politiche dell'immigrazione, trasporti, ambiente, contrasto ai cambiamenti climatici, lotta alla povertà e politica estera. Certo, le questioni sono tante e sono state elencate nella illustrazione della mozione a sua prima firma dal collega Oliverio. Tra queste, sicuramente, la questione della dotazione finanziaria tra gli Stati membri non è indifferente. L'Italia rischia di perdere risorse rispetto ad altri grandi Paesi che per estensione possono assorbire opportunità finanziarie notevoli. Lo abbiamo rilevato. Sebbene la nostra superficie rappresenti il 12 per cento della superficie eleggibile totale, noi produciamo più in termini di valore, quasi il 13,5 per cento. Un pagamento basato sulla superficie agricola a livello europeo significherebbe un importo di circa 200 euro ad ettaro, quando attualmente l'Italia percepisce mediamente 300 euro ad ettaro, mentre la Grecia, Paese con il più alto pagamento medio per superficie, percepisce 600 euro ad ettaro, e la Romania, Paese con il più basso pagamento medio per superficie, percepisce 40 euro ad ettaro. È evidente che il criterio della superficie agricola è insoddisfacente. Non si può mettere sullo stesso piano un ettaro di pascoli irlandesi e un ettaro di frutteto romagnolo o un ettaro di oliveto pugliese. Inoltre, alcuni Paesi sarebbero troppo penalizzati rispetto alla situazione attuale e non potrebbero accettare un cambiamento così drastico. Pertanto le proposte devono andare alla Pag. 61ricerca di altri elementi aggiuntivi al criterio della superficie per l'assegnazione dei pagamenti diretti.
Noi ribadiamo con forza quello del valore aggiunto, ma crediamo che ciò non basti. Crediamo che debba essere valutata opportunamente anche la capacità occupazionale. Sappiamo che nell'agricoltura ad alto valore aggiunto è maggiore la richiesta di manodopera. Non abbiamo letto questo tema nella relazione del Ministro che quest'ultimo ha consegnato la scorsa settimana. Non è paragonabile il lavoro di seminativo a prato del nord Europa con un vigneto di pregio. Spesso queste colture di pregio - altra questione - si realizzano in zone in cui è difficoltoso lavorare. Emerge dunque un altro tema, quello dell'attenzione alle zone svantaggiate.
Vede, rappresentante del Governo, abbiamo richiamato quelle zone tante volte negli interventi che sono stati fatti in Commissione e in Aula, perché nei tagli di questo pessimo Governo nazionale voi avete guardato a quelle zone con sufficienza, intervenendo con le agevolazioni contributive per le zone svantaggiate quasi di mese in mese, considerando quello strumento, che è vitale per quei territori, come delle gentili concessioni. Noi chiediamo con forza che quei territori, nella discussione, diventino centrali.
Siamo nel pieno della discussione del bilancio comunitario e alcune posizioni che scontano una visione miope e forse pregiudiziale nei confronti della PAC rischiano di depotenziare la portata di questa politica. Noi riconosciamo al Ministro attuale di aver liquidato una retorica, che ha molto contraddistinto chi lo ha preceduto, che vedeva nell'Europa una sorta di matrigna, una visione che considerava la Comunità europea un pericolo da contrastare.
Sappiamo che quell'atteggiamento era anche strumentale per consentire quello sfregio alla legalità e alla giustizia che è stata la vicenda delle quote latte. Riconosciamo al Ministro che il suo atteggiamento è diverso, gliene abbiamo dato atto; certo, se fosse stato conseguente alle sue parole che contestavano la proroga del pagamento della prima rata per coloro che dovevano regolarizzare il pagamento delle quote, avrebbe dato più garanzie a chi guarda alla partita europea con legittime aspettative. Lo diciamo con franchezza, non nel senso che avrebbe dovuto dimettersi, ma dare seguito alle sue parole, fermare l'ultima schifezza, in ordine di tempo, su quella questione che ha macchiato la credibilità del nostro Paese in ambito comunitario. Ci aspettiamo molto dalla trattativa europea ma siamo convinti che essa sarà assolutamente inutile se nel contempo non si interviene per rendere competitivo il nostro sistema agroalimentare.
Nonostante ciò che questo Governo continua a blaterare sull'uscita dalla crisi, la situazione è quella fotografata da Eurostat. Nel 2010 il reddito agricolo reale per lavoratore è aumentato del 12,3 per cento in Europa, mentre in Italia è calato del 3,3 per cento. Sono ormai anni che vi diciamo di mettere mano al comparto primario e di intervenire in modo strutturale, come hanno fatto altri Paesi. Invece, in questi anni la discussione, fuori e dentro quest'Aula, è stata diretta ad inseguire il Fondo di solidarietà, le agevolazioni contributive e poco altro. Altro che inseguire il Fondo di solidarietà, noi avremmo dovuto discutere di nuovi strumenti per proteggere i nostri agricoltori dalle crisi di mercato, che rischiano sempre più di essere fenomeni tipici della globalizzazione. Avremmo dovuto discutere di credito alle aziende agricole all'indomani di Basilea 3. Un tema fondamentale è l'introduzione di un sostegno agli agricoltori nella filiera agroalimentare, favorendo gli strumenti di regolamentazione del mercato gestiti direttamente dagli agricoltori, come l'associazionismo ed il cofinanziamento dei programmi operativi e delle organizzazioni dei produttori.
Occorre aggiornare le politiche di filiera, stimolando e sostenendo piattaforme strategiche condivise, quelle intese di filiera di cui abbiamo sempre parlato. Su questo fronte si gioca la creazione di nuovi spazi di mercato, la possibilità di utilizzare la Pag. 62leva della qualità per realizzare un patto di fiducia con il consumatore. Dobbiamo quindi mettere mano alle filiere produttive, organizzando adeguatamente le OP, altrimenti rischiamo di gettare al vento l'opportunità comunitaria salvo poi, con l'ipocrisia che abbiamo visto nei mesi passati, affrontare in modo strumentale il tema delle risorse non utilizzate dalle regioni. Discussioni sterili, che vanno bene per un po' di propaganda, che è stata l'unica prerogativa di questo Governo.
Il gruppo del Partito Democratico arriva con aspettative a questo confronto, sa che l'Italia può giocare una partita importante, sappiamo che nell'ottica di una agricoltura vista come fattore di crescita locale e di sviluppo economico sociale come componenti economiche in grado di rispondere alle richieste di salute e sicurezza alimentare, l'Italia può essere leader. Naturalmente ci serve una politica con la «P» maiuscola che sappia accompagnare in questa dimensione competitiva legata alla qualità e all'innovazione, che sappia sviluppare un'organizzazione delle relazioni che sia in grado di fare sistema. Politica con la «P» maiuscola che in questi anni il Governo Berlusconi non ha saputo avviare in nessun settore economico e tanto meno in agricoltura, settore che avete continuato a considerare un elemento marginale della nostra economia, invece è da lì che partono molte delle fortune del made in Italy nel nostro Paese. Naturalmente l'invito è ad accogliere la mozione proposta dal Partito Democratico, ma non con un parere favorevole che sia solo formale, ma che riconosca effettivamente le richieste. Chiediamo un impegno diretto non soltanto al Ministro, ma a tutte le parti politiche, anche della maggioranza perché in virtù della codecisione, questa è una partita che l'Italia non può perdere (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Servodio. Ne ha facoltà.

GIUSEPPINA SERVODIO. Signor Presidente, l'anno che abbiamo di fronte non sarà facile; nell'ambito della revisione del bilancio dell'Unione europea per il periodo 2014-2020, si prevedono forti restrizioni anche sulla politica agricola comune. All'Italia toccherà nei prossimi mesi cimentarsi in questa difficile trattativa e lo potrà fare solo se il Governo, forte della condivisione del mondo agricolo e delle istituzioni interessate, si farà carico, fino in fondo, della complessità di questo passaggio.
Esso sarà segnato da una forte dialettica tra i Paesi, portatori di interessi diversi ed anche conflittuali tra loro e conflittuali con i nostri.
Il quadro di crisi economica e l'allargamento ad altri Paesi in Europa sono elementi che rappresentano le nuove condizioni per una riforma della PAC e noi ci dobbiamo far carico di tutto ciò senza perdere di vista gli obiettivi fondamentali di crescita dell'agricoltura del sistema agro-alimentare, puntando sulla qualità, sulla sicurezza alimentare, sul ruolo multifunzionale dell'agricoltura, sul reddito degli agricoltori e sulla tutela del territorio.
Un terreno molto delicato è quello dei nuovi criteri di ripartizione dei fondi per l'agricoltura, come dicevano gli altri colleghi. Siamo di fronte ad un'ipotesi: l'aumento del peso dei criteri quantitativi rispetto a quelli qualitativi per l'assegnazione delle risorse. Ovviamente questo criterio va contrastato, perché non risponde alla missione di un'agricoltura di qualità, di un'agricoltura aperta ai giovani, di un'agricoltura aperta all'innovazione e inoltre è penalizzante per il nostro Paese.
Questo criterio sancisce, purtroppo, le rendite di posizione e la nuova PAC deve dire «no e basta» alle rendite di posizione nel mondo agricolo. La Commissione europea già dal novembre 2010 ha prodotto un documento contenente alcune ipotesi di riforma. Purtroppo - questo lo diciamo con grande rammarico - a differenza di altri Paesi come la Spagna, la Francia e la Germania la riforma della politica agricola comune non ha suscitato in Italia subito il necessario interesse e il Governo ha assunto Pag. 63nelle prime battute, che poi sono essenziali nel confronto e nella trattativa, una tiepida e insicura posizione.
Recentemente una risoluzione del Parlamento europeo del gennaio 2011 ha detto con chiarezza che si devono mantenere i livelli quantitativi della spesa agricola comunitaria e l'Italia deve impegnarsi su questo tema e sul mantenimento dell'attuale distribuzione tra Stati membri, eventualmente - lo diciamo in questa sede - accettando un moderato aumento a favore dei nuovi Stati membri, purché basato su una serie di parametri obiettivi come valore aggiunto ed occupazione agricola e non solo sugli ettari.
Il Partito Democratico ha ritenuto urgente un confronto in quest'Aula. Certo, si tratta di un confronto tardivo e ciò nell'interesse di contribuire a costruire una posizione unitaria dell'Italia da sostenere a Bruxelles perché gli interessi degli agricoltori sono interessi di rilievo nazionale e quindi di rilievo politico.
Sei miliardi di euro sono le risorse assegnate al nostro Paese che rischiano di essere ridimensionate se si sceglierà il principio: «tanti ettari tante risorse». La Francia ha 26 milioni di ettari, la Spagna 14 milioni e l'Italia solo 8 milioni. L'Italia deve impedire l'Europa del «vinca il più forte», impegnandosi a sostenere l'agricoltura come valore aggiunto, qualità, innovazione e occupazione, proprio quello che ha reso importante il made in Italy.
Il Governo italiano deve assumere una posizione innovativa e coraggiosa, proponendo criteri che valorizzino il protagonismo dei produttori delle reti di impresa e criteri che premino i produttori per precisi comportamenti, per i nuovi fattori di competitività che dimostrano di perseguire e soprattutto, in modo particolare, per l'incremento dell'occupazione in agricoltura.
Signor Presidente, non pensiamo di sostituirci ai mercati, ma l'Unione europea, nel mentre discute la riforma della PAC, deve assumere un ruolo importante nel contrastare contraffazioni e illegalità, senza assumere posizioni neoprotezionistiche (siamo di quella parte politica che ha sempre creduto nel valore della comunità europea).
Occorre promuovere adeguati spazi per la commercializzazione delle produzioni di qualità e garantire la tracciabilità anche ai fini di una doverosa informazione ai consumatori. Certo le frontiere non si possono e non si devono chiudere, ma è necessario promuovere la reciprocità dei requisiti richiesti in Europa, anche alle produzioni agricole dei Paesi terzi.
Il Governo - lo diciamo nella nostra mozione - dovrà particolarmente sostenere tra gli obiettivi generali della PAC, oltre a quello di valorizzare il ruolo degli agricoltori come produttori di cibo, anche quello di incentivare la produzione di beni pubblici da parte degli agricoltori che il mercato non remunera, per mantenere una agricoltura sostenibile sotto il profilo sociale e ambientale.
Un altro terreno di confronto importante, sul quale chiediamo al Governo di impegnarsi, è quello della platea dei beneficiari della PAC, allo scopo di valorizzare i cosiddetti agricoltori attivi, vale a dire le imprese agricole, il cui status e i cui comportamenti siano tali da porle effettivamente in grado di produrre beni pubblici per i cittadini europei e adottare comportamenti coerenti con gli obiettivi della PAC. Un altro tema - lo accennava il collega Delfino - riguarda la sburocratizzazione e la semplificazione. Si tratta di un altro campo sul quale dobbiamo chiedere più coerenza e più coraggio. Troppi sono gli adempimenti amministrativi e burocratici, bisogna garantire un alto grado di flessibilità per far fronte alle differenze tra gli Stati membri e tra i mercati locali e regionali dell'Unione europea.
Vi è un altro tema, ossia il riconoscimento di nuove responsabilità alle organizzazioni dei produttori. Occorre rafforzare gli strumenti di aggregazione dell'offerta, di programmazione della produzione, di miglioramento delle relazioni interprofessionali. Certo, l'Italia non ha le carte in regola. Questo Governo purtroppo negli ultimi anni ha poco pensato alle filiere Pag. 64e a mettere in campo strumenti di aggregazione dell'offerta. Dobbiamo fronteggiare anche la volatilità dei prezzi. Come hanno già detto altri colleghi, dobbiamo mantenere una rete di sicurezza gestita con un fondo anticrisi e vanno attivati nuovi strumenti, flessibili e meno burocratici, di assicurazione del reddito degli imprenditori agricoli.
Vorrei prestare una particolare attenzione al futuro delle produzioni mediterranee, le cui specificità, tradizionalmente riconosciute dall'Unione europea con OCM e budget ad essa dedicate, rischiano di essere disperse e sacrificate nel quadro del regime di OCM unica per la nuova PAC. Pur non avendo, fino ad oggi, messo in campo azioni riformatrici e di sostegno al comparto nella complessiva politica economica, il Governo deve fortemente credere in questa battaglia non solo per difendere e promuovere la nostra agricoltura, ma per difendere il nostro «sistema Italia» che, grazie all'agricoltura, è riconosciuto e apprezzato in tutto il mondo. Il Partito Democratico ci crede e alla maggioranza e al Governo propone una mozione sulla quale ci auguriamo si possano registrare convergenze e condivisioni. Sono in gioco interessi nazionali e siamo disponibili a fare quadrato a condizione che il Ministro e il Governo si spendano con determinazione, autorevolezza e convinzione, capaci di fare sintesi delle proposte istituzionali e del mondo agricolo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Marco Carra. Ne ha facoltà.

MARCO CARRA. Signor Presidente, già il nostro capogruppo, l'onorevole Oliverio, ha ricordato che questo dibattito si svolge - diciamolo pure - per merito del gruppo del Partito Democratico, che ha inteso proporre questa mozione su un tema poco discusso nel Paese. Dobbiamo anche dire che la settimana scorsa il Ministro Galan, audito dalla Commissione, ha portato una giustificazione circa questo silenzio. Pur comprendendo che sicuramente questo non è un tema che scalda i cuori, egli ha detto che in sostanza non si dovevano scoprire le nostre carte. È un'argomentazione che non regge sul silenzio del Governo su questo tema. Noi peraltro abbiamo anche sollecitato - e apprezziamo che sia stata convocata - la convocazione di una sorta di stati generali dell'agricoltura specifici su questo tema. Ripeto che è stata una nostra sollecitazione, che certifica tuttavia il nostro ritardo poiché già nel settembre scorso Francia e Germania hanno redatto un documento congiunto circa l'invarianza della dotazione finanziaria per la PAC, al quale ha fatto seguito un altro documento che, oltre a Francia e Germania, metteva insieme Regno Unito, Finlandia e Paesi Bassi. Quest'ultimo documento è un po' meno condivisibile; tuttavia - lo ribadisco - gli altri Paesi si stanno muovendo e si sono mossi. Si è aperto in sostanza questo negoziato con l'Unione europea ma senza di noi. Devo dire che le partite aperte con l'Unione europea sono diverse. Abbiamo l'esigenza non solo sulla PAC ma anche su altri temi di mantenere la schiena dritta.
È un appello che rivolgiamo al Ministro: non come gli accade spesso in Consiglio dei ministri, laddove è costretto a soccombere alle esigenze di altri dicasteri e a non tenere nella debita considerazione l'agricoltura.
Abbiamo temi di vitale importanza per il comparto come l'etichettatura, la direttiva nitrati, i contributi per i foraggi essiccati, il costo dell'acqua per l'agricoltura. Torna ancora d'attualità il tema delle quote latte. Al rappresentante del Governo qui presente vorrei chiedere che l'Esecutivo al Senato questa settimane esprima un parere negativo di fronte all'emendamento della Lega Nord Padania che intende prorogare ancora una volta il pagamento della prima rata delle multe per quei produttori che hanno aderito (e, quindi, sono «splafonatori») alla legge n. 33 del 2009. Infatti, hanno già ottenuto una ingiustificata proroga. Potrebbero ottenerne un'altra. Su tale questione, dal mio punto di vista, il Ministro l'estate scorsa si è giocato metà della sua faccia. Pag. 65Rischia di giocarsela per intero laddove questa proposta emendativa dovesse essere approvata. Ecco perché chiedo che il nostro Ministro mantenga la schiena dritta e su questo tema sa di poter contare sulla nostra collaborazione.
La riforma della PAC serve ed è necessaria per rispondere alle future sfide economiche, ambientali e territoriali. L'Unione europea dovrà poter contribuire a soddisfare la domanda globale di prodotti alimentari, a continuare a crescere a livello mondiale, in presenza di una crescente richiesta da parte dei cittadini europei di prodotti di alta qualità che rispettino elevati standard di sicurezza alimentare e che rispettino il benessere animale. La nuova PAC dovrà contribuire a sostenere i redditi agricoli e limitarne la volatilità come hanno già ricordato i miei collegi.
Dovrà migliorare la competitività della produzione agricola e la quota di valore aggiunto a lei destinata all'interno della catena alimentare. Dovrà anche compensare quelle zone che soffrono di vincoli naturali. La PAC dovrà garantire la fornitura di beni pubblici ambientali, promuovendo con l'innovazione la crescita cosiddetta «verde» e del biologico di questo settore con l'obiettivo di attenuare i cambiamenti climatici. Insomma, l'agricoltura dal nostro punto di vista dovrà continuare a svolgere un ruolo trainante per l'economia di molti territori, laddove poi ritroviamo un indotto interessante legato all'agricoltura, ovviamente all'industria alimentare, ma anche il turismo e il commercio. In sostanza, si tratta di un comparto che definisce l'identità sociale e le tradizioni locali di un territorio, salvaguardando la diversità dell'agricoltura italiana ed europea.
Certamente bisognerà anche interrogarsi su quali strumenti utilizzare e adottare per garantire il raggiungimento di questi obiettivi. Naturalmente, dopo l'approvazione del trattato di Lisbona, il Parlamento europeo ha acquistato un ruolo importante attraverso il meccanismo della codecisione, ma non c'è dubbio che, in ordine alle tre aree di intervento che il capogruppo Oliverio richiamava (cioè i pagamenti diretti, le misure di mercato e lo sviluppo rurale), occorre davvero immaginare gli strumenti necessari per affermarli.
Da un certo punto di vista, il documento del commissario Ciolos mantiene un suo dato di incertezza e lascia al dibattito - almeno questo immagino - le necessarie soluzioni. Ad oggi, infatti, non c'è alcuna certezza sulle risorse. L'obiettivo deve essere quello di difendere le risorse fin qui destinate considerando - se non ricordo male - che nel 2014 entreranno due nuovi paesi e, quindi, da 27 passeremo a 29. Quindi, difendendo quelle risorse si difenderanno anche quelle che giungeranno in Italia.
In particolare, preoccupa una possibile ripartizione dei fondi - come già hanno ricordato i colleghi - che tenga conto solo della superficie agricola. In base a questo criterio, l'Italia potrebbe essere valutata come sovraremunerata, dal momento che ha un gettito elevato rispetto alla superficie agricola coltivata. Se questo fosse il criterio dominante vi sarebbero ripercussioni negative soprattutto nel settore dei bovini da carne.
Provengo da una zona molto forte da questo punto di vista, dove i premi formano una parte sostanziale del reddito.
Inoltre, pensiamo che la riforma non debba appesantire la burocrazia e non diventi, in sostanza, la riforma dei burocrati. Si definisca, inoltre, come già richiamava molto bene la collega Servodio, il concetto di agricoltori attivi senza ambiguità al fine di sostenere i veri agricoltori.
Vi è poi la necessità di introdurre un regime specifico per la piccola e media impresa agricola e non vi è dubbio che altrettanto rilevante dovrà essere una sorta di pacchetto per la gestione dei rischi, sebbene anche questo sia un concetto che è già stato espresso dai colleghi. Allo stesso modo, è già stato ricordato che occorrerà avere grande attenzione per il ricambio generazionale, per garantire l'accesso agli aiuti alle giovani generazioni.
Prima di concludere il mio intervento vorrei affrontare, per un attimo, un'ultimissima Pag. 66questione che alla PAC è collegata, rappresentata dal pacchetto latte. Si tratta di un pacchetto che è stato, in qualche modo, approvato intorno all'8 o al 9 dicembre e che, naturalmente, è passibile di ulteriori integrazioni, poiché rappresenta sicuramente un passo avanti importante ma non esaustivo. Inoltre, è sicuramente un fatto positivo l'introduzione dell'organizzazione dei produttori, dell'OP e delle interprofessioni. Questo permetterà di rafforzare il sistema contrattuale, soprattutto con riferimento ai complicati rapporti con la grande distribuzione organizzata. Va precisato sicuramente meglio il ruolo delle OP visto che anche nel settore lattiero-caseario devono rispondere all'obiettivo di concentrare l'offerta, come già è stato affermato, e di migliorare la trasformazione e la commercializzazione dei prodotti. Non è invece positivo, dal nostro punto di vista, il fatto che non sia stato affrontato il tema della programmazione produttiva, elemento decisivo per lo sviluppo concreto delle nostre produzioni di qualità, DOP e IGP, e si deve ricordare che, ad esempio, nel 2015 terminerà il regime delle quote latte.
Signor Presidente, in conclusione si conferma l'esigenza di sviluppare politiche pubbliche comunitarie e, come è già stato detto, anche nazionali. Tuttavia, su questo punto, visto il recente passato, non confidiamo molto di sviluppare politiche pubbliche comunitarie per sostenere l'agricoltura. Chi pensa che la PAC debba orientarsi esclusivamente al mercato e che con il tempo in qualche modo il mercato riequilibrerà i rapporti economici all'interno della filiera agricola sbaglia. Chi sopravvivrà se questo fosse l'assunto o il principio da applicare? È una questione che in Europa riguarda la sicurezza alimentare di alcune centinaia di milioni di cittadini, grosso modo 500, e di 28 milioni di posti di lavoro nel settore agricolo. Per questo vi è la necessità davvero di rafforzare le politiche agricole comunitarie, dando quel forte significato che i colleghi del gruppo del Partito Democratico hanno portato qui all'attenzione del Parlamento quest'oggi e auspicando, evidentemente, che la nostra mozione possa essere accolta dal Governo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire successivamente.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione della proposta di legge: Barbieri ed altri: Concessione di contributi per il finanziamento della ricerca sulla storia e sulla cultura del medioevo italiano ed europeo (A.C. 2774-A) (ore 19,55).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge d'iniziativa dei deputati Barbieri ed altri: Concessione di contributi per il finanziamento della ricerca sulla storia e sulla cultura del medioevo italiano ed europeo.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione sulle linee generali è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali - A.C. 2774-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari Unione di Centro e Partito Democratico ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Il relatore, onorevole Barbieri, ha facoltà di parlare.

EMERENZIO BARBIERI, Relatore. Signor Presidente, per ragioni che sono Pag. 67facilmente intuibili, data l'ora, faccio riferimento alla relazione scritta che consegnerò agli uffici.
Voglio soltanto dire che la proposta di legge, che è stata sottoscritta da deputati sia di maggioranza sia di opposizione e che è stata profondamente rielaborata nel corso dell'esame presso la Commissione, è volta a sostenere la ricerca sulla storia e sulla cultura del medioevo italiano ed europeo. Come sanno tutti i colleghi che di questo settore si occupano si tratta di un settore molto vasto, di crescente importanza nel panorama degli studi e anche nell'interesse del pubblico, poiché tale epoca è ormai generalmente riconosciuta come un passaggio fondamentale nella formazione dell'identità culturale e istituzionale dell'Europa e dell'Italia.
Tenga conto, signor Presidente, e ne tengano conto i anche i colleghi del fatto che, nel 1836 - e ciò è talmente vero che il Risorgimento italiano fu consapevole dell'importanza di questo periodo - iniziò a Torino la pubblicazione degli Historiae patriae monumenta, promossa dal re Carlo Alberto come illustrazione delle fonti medievali dell'identità nazionale. Nel 1842 Michele Amari pubblicava a Palermo il suo studio storico sulla guerra del Vespro, che gli procurò - come tutti sanno - la fama e l'esilio.
Questa proposta di legge riguarda un settore di studi, nel quale l'Italia ha meritato una posizione di primo piano, grazie a studiosi, anche giovani, che con impegno e passione hanno costruito e consolidato questa posizione di eccellenza a livello internazionale.
Gli articoli 1, 2 e 3 prevedono infatti contributi annui per le quattro principali istituzioni italiane, pubbliche e private, operanti da lungo tempo nell'ambito degli studi medievali. Questi sono: l'Istituto storico italiano per il medio evo, che è un ente pubblico vigilato dal Ministero per i beni e le attività culturali, come ben sa il sottosegretario Giro che è qui presente, il Centro italiano di studi sull'alto medioevo, particolarmente impegnato nell'organizzazione di studi e convegni annuali sulla storia e sulla cultura dei secoli dal V all'XI, che è un ente pubblico che ha accettato la sfida posta dalle «leggi Bassanini», trasformandosi in fondazione di diritto privato. La Società internazionale per lo studio del medioevo latino e la Fondazione Ezio Franceschini sono, rispettivamente, un'associazione tra gli studiosi italiani e stranieri della materia e una fondazione privata di analoga origine che, in più di trent'anni d'attività, hanno raggiunto rilevanza internazionale, specialmente con la redazione di importanti strumenti bibliografici.
Ognuno di questi enti gestisce una biblioteca specializzata, aperta agli studiosi della materia e presso due di esse - l'Istituto storico italiano per il medioevo e la SISMEL - sono istituiti corsi di studi per la formazione superiore dei giovani studiosi che intendono dedicarsi agli studi scientifici in queste discipline e tutti sanno come ci sia bisogno in un momento come questo di giovani che si occupano di cultura.
Non si tratta quindi di erogazioni casuali, ma di un intervento coordinato che la Commissione ha valutato attraverso un'attenta istruttoria. I contributi sono stati modulati oculatamente nel rispetto delle attuali condizioni della finanza pubblica. Lo scopo non è stato tanto quello di accrescere la misura del sostegno statale, ma piuttosto quello di favorire iniziative di lunga durata, la cui realizzazione può essere programmata soltanto con una base finanziaria, anche modesta, ma certa e prevedibile nel tempo.
Ecco perché, signor Presidente, mi sento di concludere con un'osservazione di carattere generale.
In un momento nel quale ci si lamenta per la scarsità delle risorse disponibili per la cultura, questo provvedimento non sottrae un solo euro, sottosegretario Giro, al bilancio del Ministero per i beni e le attività culturali e quindi al suo impegno sui diversi versanti della salvaguardia del patrimonio artistico, bibliografico e archivistico nazionale. Al contrario accresce sia pure di un modesto importo - ma queste sono le condizioni date - le risorse finanziarie dal Ministero erogate per il funzionamento Pag. 68delle istituzioni culturali. È un concreto segno di attenzione per un intero settore di studi, per le istituzioni che in esso operano, per gli studiosi che si dedicano alla ricerca con serietà, impegno e risultati. In questo senso la Commissione cultura spera che sarà apprezzato dai colleghi e potrà incontrare la loro approvazione.
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Barbieri, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

FRANCESCO MARIA GIRO, Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali. Signor Presidente, mi riservo di intervenire successivamente.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Zazzera. Ne ha facoltà.

PIERFELICE ZAZZERA. Signor Presidente, anch'io rispetterò così come d'intesa i tempi e consegnerò il mio intervento, che è più complesso, facendo una riflessione comune sul provvedimento in discussione, che va lodato per lo spirito e per l'iniziativa che l'onorevole Barbieri ha voluto prendere con la condivisione delle forze di maggioranza e di opposizione in Commissione, lodevole perché evidentemente tutto quello che serve a fare cultura in questo Paese ed a finanziare iniziative ed enti di ricerca di eccellenza non può che essere apprezzato.
Questo provvedimento cade in un momento e in un contesto sbagliati. In un contesto sbagliato perché c'è l'amaro in bocca per il fatto che avremmo potuto non portarlo in Aula, bensì procedere con l'esame in sede legislativa e, in una forma di condivisione, accelerare i tempi ed evitare anche ulteriori perdite di tempo. Questo provvedimento viene esaminato nel momento sbagliato perché arriva in Aula dopo la votazione della mozione di sfiducia al Ministro Bondi, che per noi dell'Italia dei Valori rappresenta il responsabile del dissesto culturale del nostro Paese, responsabile di non aver dato una linea politica culturale autorevole e credibile, responsabile perché non ha saputo valorizzare un patrimonio che è soprattutto risorsa.
La proposta di legge oggi in discussione interviene proprio in questo settore, quindi con un complesso di interventi nel settore culturale sia finanziari che ordinamentali - va riconosciuto - riguardante alcuni specifici istituti che tuttavia rappresentano sostanzialmente il tessuto della ricerca in un intero ambito disciplinare. Un provvedimento, pertanto, che rappresenta una lodevole iniziativa, ma che non deve restare isolata da un contesto dove la politica culturale di questo Governo, lo ribadisco, risulta inesistente.
È importante a tal riguardo - lo dico al relatore - soprattutto perché parliamo di soldi pubblici, garantire due elementi: la certezza del metodo di selezione degli enti destinatari, che sicuramente in questo caso riguarda enti di eccellenza, e la certezza dei controlli su come vengono impiegati i finanziamenti.
Riconosco al relatore la caparbietà e il merito di aver voluto portare avanti un provvedimento nonostante il Governo e di aver trovato risorse da destinare alla cultura nonostante il Ministro Tremonti. Un'iniziativa che però non può essere lasciata alla buona volontà del singolo o all'estemporaneità, ma necessita di un'azione più generale e di una politica culturale più organica che oggi manca. Rimane francamente l'amaro in bocca per la decisione del Governo di non acconsentire all'esame in sede legislativa, tuttavia questo ci permette oggi di discutere pubblicamente in Aula un provvedimento che testimonia l'attenzione della Camera e di tutto il Parlamento verso il mondo della cultura e del sapere, una risposta autorevole delle istituzioni dopo i disastri culturali. Pag. 69
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Zazzera, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritto a parlare l'onorevole Lusetti. Ne ha facoltà.

RENZO LUSETTI. Signor Presidente, colleghi, un dibattito sui beni culturali rischia sempre di trasformarsi in un elenco di quotidiane emergenze o anche di urgenti necessità, come è stato testimoniato dal dibattito della scorsa settimana sulla mozione di sfiducia al Ministro Bondi. Quando si pensa ai beni culturali, la prima immagine che si affaccia alla mente è quella dello straordinario patrimonio archeologico e artistico che l'Italia conserva, che non è soltanto memoria storica della nazione italiana, ma testimonianza di intere epoche della cultura mondiale; un patrimonio la cui vastità e importanza rendono di per se stesse difficile e oneroso il compito di assicurarne la salvaguardia e la trasmissione alle generazioni future e, in particolar modo, alle giovani generazioni di oggi. Accanto a questo però esiste, colleghi, un altro patrimonio materiale, forse meno visibile, ma sicuramente non meno importante, costituito dalle biblioteche e dagli archivi, che necessita di conservazione e di cura. Vi sono infatti documenti storici fondamentali e spesso unici: materiali insostituibili per lo studio e la conoscenza del passato, non solo del nostro Paese, ma anche dell'Europa intera.
Le esigenze della tutela di questi beni - come ha detto prima il relatore, il collega Barbieri - si scontrano con problemi finanziari, organizzativi e strutturali. Come il collega Zazzera anche io apprezzo il lavoro fatto dall'onorevole Barbieri, sia come presentatore della proposta di legge, insieme a tanti altri colleghi, sia come relatore, per poter realizzare un impegno comune per la difesa di una cultura storica, quella del Medioevo, cui tutti siamo legati. Non si possono capire la storia moderna e contemporanea se non c'è un generale apprezzamento della funzione che il Medioevo in qualche modo ha avuto per lo sviluppo del nostro Paese e dell'Europa intera.
Pertanto, possiamo dire che il patrimonio culturale di cui stiamo parlando è un patrimonio millenario e non è soltanto fonte di identità nazionale, in cui noi crediamo, ma è anche una risorsa preziosa sul piano economico ed è anche un elemento caratterizzante dell'Italia a livello internazionale.
Per questo motivo, credo che si possa dire che la proposta di legge che oggi stiamo discutendo miri specificatamente a questo scopo, cioè sostenere non solo attraverso contributi finanziari, ma anche mediante specifiche misure organizzative, un intero settore di ricerca quale quello riguardante la storia e la cultura del Medioevo. Perché il Medioevo? Lo hanno già detto i colleghi che mi hanno preceduto. Accade spesso anche a noi di qualificare come medievale una sorta di idea arretrata o barbara. Tuttavia, più di un secolo di studi scientifici - come ha detto il collega Barbieri prima - hanno dimostrato che questa idea di Medioevo è un'idea sbagliata, perché c'è una storia e una cultura molto forte che ha animato il prosieguo della storia del nostro Paese e dell'Europa nell'età moderna e anche nell'età contemporanea.
Il collega Barbieri ha già parlato delle quattro istituzioni che sono destinatarie dei contributi che sono oggetto di questo provvedimento. Abbiamo anche accennato alla relativa modestia degli oneri finanziari di cui si parla in questo provvedimento, però sappiamo che, anche se questa può sembrare una goccia nel mare, tale non è perché comunque è un contributo veramente importante per questi istituti che studiano il Medioevo.
Oltre al contributo finanziario, abbiamo anche disposizioni di carattere organizzativo molto significative. La prima è l'istituzione di un'edizione nazionale degli scrittori latini medievali d'Italia e la seconda misura di grande importanza riguarda Pag. 70il coordinamento delle attività degli enti e istituzioni destinatari dei contributi previsti da questa proposta di legge.
Per questo motivo, credo che tutti gli studi sulla lingua latina e sulla cultura letteraria del Medioevo possano essere acquisiti ormai a livello scientifico anche per quanto riguarda la loro autonomia e rilevanza.
Ora, colleghi, per rispettare i tempi che ci siamo prefissati all'inizio di questa discussione, consegnerò per la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico il testo scritto più completo e articolato sul tema del contributo al finanziamento dell'attività di ricerca sul Medioevo, conscio che questa è una grande iniziativa che tutti insieme, maggioranza e opposizione, assumiamo per lo sviluppo della cultura italiana, sapendo che è anche un elemento storico importante per difendere l'unità nazionale in cui noi molto crediamo.
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Lusetti, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritta a parlare l'onorevole Giammanco. Ne ha facoltà.

GABRIELLA GIAMMANCO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il provvedimento oggi in discussione, che presto sarà approvato da quest'Assemblea, è di fondamentale importanza per sostenere la ricerca storica sulla cultura latina del Medioevo e assume un significato particolare il fatto che sia discusso proprio oggi, nel giorno in cui il Ministero dell'istruzione dell'università e della ricerca ha scelto, fra le materie da presentare agli esami di maturità, il latino per i licei classici.
Non solo, questo provvedimento è il segnale tangibile, reale e concreto dell'attenzione che questa maggioranza attribuisce alla cultura e all'importante ruolo che essa riveste nella società. Alle sterili e, a mio parere, strumentali polemiche degli ultimi giorni nei confronti dell'ottimo Ministro Sandro Bondi, questa maggioranza, ancora una volta, risponde con i fatti, essendo consapevole del ruolo svolto dalla cultura nella crescita sociale, civile ed economica di un Paese.
È noto che la situazione della finanza pubblica italiana ha chiamato tutti i dicasteri ad una razionalizzazione della spesa, ma, come ha ben rilevato il Ministro Bondi, per salvare la cultura non è solo necessario disporre di adeguate risorse, ma è indispensabile che queste vengano spese in modo oculato e che siano accompagnate da grandi riforme nella gestione del settore dei beni culturali. È inutile, quindi, proseguire sulla strada della recriminazione. Ciò che più conta, onorevoli colleghi, è unire le forze e lavorare per far ripartire, anzi, oserei dire decollare, un settore che in Italia è di straordinario pregio per la storia che ci contraddistingue.
Disponiamo del 70 per cento del patrimonio storico-artistico di tutta l'Europa e del 50 per cento del patrimonio storico-artistico del mondo. Anziché puntare il dito, si dovrebbe andare oltre la logica delle divisioni politiche tout court e lavorare per l'interesse comune ad un'efficace azione di tutela e di valorizzazione dei beni culturali. Si inserisce in questa logica il provvedimento in questione, che, volto a preservare la cultura del Medioevo italiano ed europeo, è stato sostenuto da deputati di diversi gruppi parlamentari.
In sostanza, il testo propone di garantire un adeguato sostegno finanziario alle più autorevoli realtà culturali che si occupano di preservare e di tramandare ciò che la cultura dell'età medievale tra il V e il XV secolo ha prodotto in Italia e in tutta Europa.
È un'epoca fondamentale per la formazione dell'identità culturale dell'Europa e che ha visto il nostro Paese al centro di relazioni con le regioni del bacino del Mediterraneo, con l'Europa continentale e con l'Oriente. Ecco perché il testo del provvedimento stanzia un contributo di 600 mila euro l'anno, a partire dal 2012, a favore della Società internazionale per lo Pag. 71studio del medioevo latino, associazione che, lo ricordo, è senza scopo di lucro, è accreditata nel panorama scientifico italiano ed internazionale e promuove la ricerca e la documentazione sulla latinità medievale, oltre che la formazione di giovani ricercatori.
La SISMEL, infatti, organizza convegni, seminari e attività di formazione superiore con il corso triennale di perfezionamento postuniversitario in filologia e letteratura latina medievale, equipollente al dottorato di ricerca, offrendo anche borse di studio a favore di giovani studiosi italiani e stranieri. L'associazione, inoltre, ha promosso numerose iniziative editoriali e dispone di una biblioteca prestigiosa con un patrimonio di oltre 120 mila unità bibliografiche, che gestisce con la fondazione Ezio Franceschini, che opera in stretto collegamento con la SISMEL e alla quale è stato concesso un contributo annuo di 450 mila euro. Sono stati previsti anche dei contributi in favore dell'Istituto storico italiano per il medioevo, che ha la sua sede a Roma, e del Centro italiano di studi sull'alto medioevo, che ha sede a Spoleto.
Entrambi, infatti, hanno acquisito reputazione internazionale per l'attività svolta: il primo nello studio delle fonti storiche medievali e il secondo nella promozione della ricerca sulle istituzioni e sulla cultura dei primi secoli del Medioevo. In tutti i casi, si tratta di contributi versati dal Ministero per i beni e le attività culturali, utilizzabili esclusivamente per lo svolgimento delle attività istituzionali, allo scopo di dare maggiore certezza e stabilità ad un complesso di iniziative che necessitano di una programmazione a lungo termine, che non può essere garantita se non da una disponibilità minima delle risorse.
Per lo stesso scopo, infine, è previsto un contributo annuo a favore dell'Edizione nazionale dei testi mediolatini d'Italia, di cui si riorganizza nello stesso tempo anche la disciplina.
In breve l'ENTMI provvede alla pubblicazione dei testi letterari latini, redatti in Italia nel Medioevo. In nove anni di attività l'Edizione nazionale dei testi mediolatini d'Italia ha pubblicato nuove edizioni critiche di 22 opere, alcune tra le quali inedite. Le edizioni critiche sono curate da specialisti, con introduzione e note di commento, e sono spesso accompagnate dalla traduzione in italiano. Anche in questo caso risorse finanziarie scarse e incerte hanno impedito negli anni una programmazione adeguata alla complessità dei lavori scientifici, che richiedono lunghi tempi di ricerca e di elaborazione. È stato quindi necessario prevedere l'erogazione di un contributo annuo anche a favore dell'ENTMI, le cui attività vengono programmate da un'apposita commissione scientifica, che svolge il suo ruolo a titolo gratuito.
In conclusione, cari colleghi, nel condividere il provvedimento in esame e lo spirito ad esso sotteso, in primis, la volontà di preservare un patrimonio storico relativo ad un'epoca di fondamentale importanza per comprendere le nostre radici culturali, mi auguro che quanto prima la stessa attenzione venga rivolta dalla Commissione cultura e dal Parlamento tutto anche al sostegno della ricerca e dello studio in settori che propongano progetti, che guardano al futuro e al miglioramento della qualità di vita del nostro Paese (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Goisis. Ne ha facoltà.

PAOLA GOISIS. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor sottosegretario, prima di entrare nel merito del provvedimento che stiamo esaminando, è bene chiedersi quali siano le ragioni che possono indurci a considerare opportuno un contributo in favore degli studi sul Medioevo.
Se qualcuno avesse dubbi sull'importanza di una riflessione sul passato, le iniziative promosse quest'anno per il 150o anniversario dell'Unità d'Italia stanno a dimostrare che vi sono momenti in cui occorre tornare con il pensiero agli eventi della storia, che ha prodotto la realtà di oggi. Ciò non può risolversi nell'enfasi di Pag. 72celebrazioni retoriche, ma deve costituire invece l'occasione per riconsiderare, senza forzati revisionismi ma consapevolmente e criticamente, le ragioni che ci hanno portato ad essere ciò che siamo, per chiederci in che misura e in quale modo quel passato viva ancora nel presente e nel futuro delle persone e delle istituzioni. Ciò appare più facile per gli eventi della storia recente, che richiedono una più vigile attenzione critica, proprio per le emozioni e le passioni che ancora possono muovere; ma non è meno importante per i processi storici di più lunga portata, quelli che magari a distanza di secoli hanno caratterizzato momenti epocali nella storia dei popoli e delle civiltà.
Il Medioevo è certamente una di queste fasi. Se guardiamo ad uno solo fra i tanti aspetti di quell'età, quello della storia giuridica ed istituzionale, vediamo che il Medioevo è un vero banco di prova per una teoria della pluralità degli ordinamenti. Esso infatti mostra come si formano, interagiscono, coesistono, vengono a conflitto e si armonizzano diversi livelli di potere e di produzione normativa: il diritto romano, come diritto comune o nelle forme delle diverse legislazioni nazionali da esso derivate, le costituzioni imperiali, il diritto della Chiesa, la legislazione degli studi nazionali, le consuetudini, gli statuti delle autonomie cittadine e gli ordinamenti di corpi intermedi, come le corporazione di arti e mestieri.
Pur senza volere indulgere a paragoni impropri con l'attualità, è difficile non pensare alla complessità degli interessi e alla conseguente molteplicità dei livelli di governo che caratterizza il mondo di oggi. La ricerca di un principio ordinatore sta faticosamente evolvendo verso l'applicazione di nozioni come la sussidiarietà, l'autonomia e il federalismo, da guardare non come occasioni di disgregazione, ma come criteri per la gestione di una realtà complessa, strumenti di allargamento della partecipazione, metodi per l'organizzazione di una molteplicità che supera, senza negarle, le forme in cui finora si è realizzata l'unità statale.
Questo è solo un esempio - scelto, tuttavia, non a caso - dell'utilità di una riflessione storica che, partendo da lontano, ci permette di elaborare su basi più larghe la comprensione del presente e di rimodellarlo per rispondere alle esigenze sempre nuove di una società vivente, pur nella continuità delle sue origine e delle sue tradizioni.
Riteniamo dunque opportuno che si sia pensato a promuovere misure non solo di finanziamento ma di organizzazione degli studi su un'epoca la cui importanza - se ve ne era bisogno - si è venuta riconoscendo sempre più negli ultimi decenni. Questo progetto di legge ha il pregio di non limitarsi, come avviene talvolta in iniziative consimili, a prevedere mere misure di finanziamento, che pure sono importanti, o peggio, a realizzare indiscriminate erogazioni a pioggia incompatibili con l'attuale momento economico finanziario, e comunque contrarie ad una seria programmazione della politica culturale.
Esso, infatti, ha un carattere organico in quanto provvede stabilmente a quattro istituti che in un ambito vasto ma determinato operano con caratteristiche e finalità distinte: l'Istituto storico italiano per il medioevo, il Centro di studi di Spoleto, la Società internazionale per lo studio del medioevo latino e la Fondazione Ezio Franceschini di Firenze. Il primo, un ente pubblico con la specifica finalità istituzionale di curare lo studio della storia medievale italiana, anche attraverso la pubblicazione delle fonti; il secondo, costituito come fondazione vigilata dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, derivante dalla trasformazione di un soggetto pubblico preesistente, attivo nell'organizzazione di convegni, seminari e pubblicazioni relativi alla storia dei primi secoli del Medioevo e all'archeologia medievale; la SISMEL è un'associazione nata tra gli studiosi italiani e stranieri della materia, che ha costituito un centro di ricerca internazionale, e promuove e realizza una vasta serie di attività e pubblicazioni sulla produzione letteraria latina medievale; l'ultimo infine, una fondazione privata che, in coordinamento con la Pag. 73stessa SISMEL, promuove in particolare gli studi bibliografici ed eroga borse di studio per la specializzazione dei giovani ricercatori.
La proposta di legge copre così un intero settore disciplinare che - come dimostra la relazione scritta della Commissione - ha una posizione rilevante nella ricerca universitaria italiana di carattere storico umanistico e nella sua proiezione internazionale; oltre a ciò, affronta alcuni nodi organizzativi, sia relativamente al controllo sull'utilizzazione dei contributi, sia per il coordinamento delle attività delle istituzioni interessate con un meritorio sforzo di uniformità e di razionalizzazione, assicurando, pur nel doveroso rispetto dell'autonomia delle istituzioni medesime, che all'impegno finanziario dello Stato corrispondano l'efficienza nell'utilizzazione e la responsabilità circa il conseguimento dei risultati da parte dei destinatari delle somme disposte.
Signor Presidente, mi rendo conto del fatto che il tempo che ci siamo dati è forse già trascorso. Chiedo quindi che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento (Applausi dei deputati dei gruppi Lega Nord Padania e Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. Onorevole Goisis, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritta a parlare l'onorevole Coscia. Ne ha facoltà.

MARIA COSCIA. Signor Presidente, anche io - come i colleghi - intendo consegnare il testo integrale del mio intervento.
Signor Presidente, colleghi, sottosegretario Giro, come già è stato detto, la proposta di legge che stiamo esaminando ha come primo firmatario l'onorevole Barbieri, e anch'io gli riconosco la determinazione di portare avanti un provvedimento, seppur riferito ad un'area specifica, sicuramente importante per un settore della nostra cultura. Devo dire che in Commissione c'è stata una discussione ampia, aperta, che ha consentito di modificare in meglio la proposta iniziale, che prevedeva il finanziamento ad un solo ente, e cioè la Società internazionale per lo studio del medioevo latino. Con le nostre proposte il finanziamento è stato esteso a quattro soggetti: in particolare sono stati inseriti la Fondazione Ezio Franceschini, l'Istituto storico italiano per il medioevo e la fondazione Centro italiano di studi sull'alto medioevo.
Tutto ciò, tuttavia, non può far venir meno una nostra critica radicale riguardo, complessivamente, a come il Governo in questi due anni e mezzo ha portato avanti le sue politiche sulla cultura, anzi le sue non politiche, che hanno determinato una situazione insostenibile. Credo proprio che il Governo ce l'abbia messa tutta per attaccare le fondamenta del nostro sistema culturale, dei nostri enti e beni culturali, che sono - come veniva ricordato - ben il 52 per cento del patrimonio mondiale, e che rappresentano la nostra storia, la nostra memoria, l'identità, il futuro, dunque una ricchezza straordinaria per il nostro Paese.
È particolarmente grave che, con queste scelte, siamo arrivati a disinvestire, anzi a tagliare e quasi ad azzerare, le risorse destinate alla cultura. Siamo arrivati al primato negativo dello 0,3 per cento del PIL, mentre altri Paesi europei, meno dotati di noi, investono almeno l'1 per cento. A questo proposito, voglio anche ricordare il taglio del 50 per cento che è stato stabilito con il decreto-legge n. 78 del 2010 e che ha colpito, in modo indiscriminato, anche tutti gli enti culturali.
Ecco perché - voglio farla breve e rispettare gli impegni che ho preso -, pur apprezzando il provvedimento, che riguarda un settore - ripeto - specifico, ma importante, della nostra ricerca culturale, chiediamo che vi sia un segnale di inversione di tendenza. E voglio ancora una volta ricordare l'impegno dell'onorevole Barbieri che, in qualche modo, ci fa sperare in una possibilità, attraverso un lavoro di stimolo della Commissione, di far forza verso il Governo affinché si aprano nuove strade e vi siano dei segnali forti. Pag. 74Pensiamo che, anche in questo provvedimento, si possa fare uno sforzo in più che possa far emergere un segnale di attenzione più ampio. Per questo, abbiamo presentato degli emendamenti, in modo particolare un emendamento che chiede di ripristinare i contributi per tutte le istituzioni, gli enti e gli organismi culturali, erogati fino al 2009, e che, invece, poi sono stati tagliati del 50 per cento.
Si tratta, dunque, di dare un segnale importante alla ricerca culturale del nostro Paese - voglio dirlo al sottosegretario Giro, ma so che anche lui è sensibile a questo - che, come bisognerà con più forza spiegare al Ministero dell'economia e delle finanze, attraverso una misura siffatta, non inciderebbe in modo significativo sul bilancio dello Stato e potrebbe dare un po' di ossigeno alla cultura del nostro Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
Signor Presidente, come avevo preannunciato all'inizio, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Coscia, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritto a parlare l'onorevole Enzo Carra. Ne ha facoltà.

ENZO CARRA. Signor Presidente, un filosofo e medievalista, Tullio Gregory, ha scritto, qualche mese fa, su Il Corriere della Sera, un pezzo interessante proprio per la proposta di legge che stiamo discutendo oggi. In questo articolo afferma: «non so quanti nostri parlamentari si sottoporrebbero, come in Francia, alla prova della dictée (in italiano dettato), né quanti supererebbero una prova scritta di italiano corrente, come è stata proposta per regolarizzare gli immigrati. Le poche persone colte (si constati il progressivo deterioramento dei profili dei parlamentari dalla Costituente ad oggi) confermano la norma; e la vuotezza, la banale ripetitività del linguaggio politico, sono specchio fedele di una dilagante incultura del potere». Per questo, dobbiamo essere grati all'onorevole Emerenzio Barbieri e a quanti, nella VII Commissione cultura della Camera dei deputati hanno mandato avanti questa piccola, ma significativa, smentita al pessimismo di Tullio Gregory e di tanti studiosi, e non solo, come lui, e al nostro pessimismo, ancora forte, sulla politica culturale di questo Governo.
Questa è una piccola smentita, ma importante, perché, poi, riguarda un passaggio fondamentale - è già stato detto - della nostra identità nazionale: il Medioevo appunto. Un passaggio complesso che richiede enormi sforzi di ogni genere perché è vicino e lontano allo stesso tempo, richiede studi e ricerche di ogni tipo. Il Medioevo è lontano da noi, ma è così vicino e, qualche volta, non ce ne accorgiamo, ma siamo in pieno Medioevo anche noi.
E certo non bastano a restituircelo i film e un genere anche molto di successo di alcuni grandi scrittori e intellettuali come Umberto Eco.
Vorrei aggiungere che il lavoro preparatorio di questo provvedimento - per come ho letto e ho potuto seguire - è stata accurato certamente e in questo ha dato un grande contributo uno studioso al quale io ero particolarmente vicino che è Claudio Leonardi. Discepolo anche lui in Cattolica di Ezio Franceschini dell'omonima fondazione Franceschini, Claudio Leonardi - voi sapete - ha costituito molti anni fa la Società per gli studi del Medioevo che insieme al centro di Spoleto quello sull'Alto medioevo, fondato da un altro studioso cristiano Filippo Ermini, un tempo anche Ministro della pubblica istruzione, sono gli istituti ai quali stiamo dando un contributo piccolo ma significativo. Di talento eccezionale Claudio Leonardi è morto il giorno dopo l'ultima audizione che aveva avuto in Commissione - absit iniuria verbis - e di lui voglio leggere - perché mi pare utile - un compendio della sua visione del Medioevo.
Dice Leonardi in uno dei suoi scritti: «La cattiveria dell'uomo e il male storico può essere enorme ma non grande quanto la sapienza di Dio verso la storia così come Pag. 75è incommensurabile la misericordia di Dio verso la persona. Il Medioevo è un'epoca singolare perché è l'epoca segnata da questa coscienza del tempo e del compiersi del tempo in Dio, anzi del tempo compiuto in Dio». Questo era Claudio Leonardi e questa era la visione dell'uomo in una fase molto più infantile e forse anche più vera di quella che riguarda noi.
Questa legge ovviamente non ha le ambizioni di Claudio Leonardi e di tanti studiosi ma contribuisce certamente ad avvicinarci - se non altro - al profilo che dovrebbe avere un Parlamento e che spesso il Parlamento non ha (Applausi dei deputati dei gruppi Unione di Centro e Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Frassinetti. Ne ha facoltà.

PAOLA FRASSINETTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, sottosegretario Giro, anch'io come chi mi ha preceduto devo ringraziare l'onorevole Barbieri per aver avuto la sensibilità di presentare questa proposta di legge che ha la caratteristica di essere il frutto di un lavoro approfondito. Io e l'onorevole Ghizzoni ci siamo recati insieme nella sede dell'Isime in Piazza dell'orologio a Roma e abbiamo potuto constatare l'importanza di questo istituto, abbiamo potuto ammirare la biblioteca e anche capire i problemi che quotidianamente il professor Miglio, presidente dell'istituto, deve sostenere. Questo lo dico per far capire come ci sia stato un lavoro istruttorio ma anche un lavoro di sensibilità che ha riguardato tutta la Commissione e che poi l'onorevole Barbieri ha avuto la prontezza di concretizzare in una proposta di legge.
Abbiamo quindi un conferimento di contributi alle quattro principali istituzioni italiane, come già è stato detto, tutte istituzioni che svolgono attività meritoria e hanno bisogno di un supporto proprio per fare la programmazione che penso sia l'attività più importante. Senza finanziamenti anche la programmazione è sicuramente in bilico e risulta difficile. Quindi trovo che soprattutto per la programmazione sia importante questo contributo che riceveranno queste associazioni.
Importante è ovviamente l'articolo 1 che riguarda l'edizione nazionale dei testi mediolatini in Italia che succede all'istituto già esistente ed è essenziale per la pubblicazione delle opere latine composte in Italia tra il V e il X secolo.
Quindi, senza nulla togliere agli altri istituti, voglio ancora soffermarmi sull'importanza dell'Isime, che vanta la scuola per l'edizione delle fonti, fondamentale per la formazione degli studiosi. Si è parlato tanto di ricerca anche in occasione della riforma universitaria discussa poco tempo fa in quest'Aula.
La formazione degli studiosi delle università italiane e straniere viene proprio effettuata tramite le scuole di questo istituto, che ha una biblioteca preziosa e che sicuramente contribuisce alla rivisitazione di un periodo importante come il Medioevo.
Per concludere, non posso non fare un riferimento all'attività che questi istituti svolgono in concomitanza anche con la celebrazione dei 150 anni dell'unità d'Italia, proprio perché la storia patria nasce anche da quelle decine di migliaia di pagine, anzi è inserita in quelle decine di migliaia di pagine. L'unità d'Italia non può prescindere dal Medioevo e non può ovviamente riferirsi solamente al periodo risorgimentale: deve effettuare un collegamento con i tempi dei longobardi, dei carolingi, delle repubbliche marinare e dei comuni, solo così se ne può capire il senso compiuto, senza quella storia non vi sarebbe potuta essere l'epopea risorgimentale. Attraverso questi istituti la memoria storica si trasforma in coscienza critica della propria identità nazionale, evitando di trasformare l'identità nazionale in una questione quotidiana e conseguentemente banalizzandola.
In conclusione, colleghi, l'approvazione del provvedimento in esame agevolerà mi auguro la promozione della ricerca, nonostante gli oneri finanziari in questo caso siano complessivamente modesti, ma sarà la forza, il rigore scientifico e la buona amministrazione che questi enti hanno Pag. 76sempre avuto - ed è importante sottolineare ciò - che farà sì che anche questi contributi che noi eroghiamo potranno essere determinanti per la loro sopravvivenza.
In conclusione, voglio anche raccogliere l'auspicio della collega del Partito Democratico che mi ha preceduto: penso che un'iniziativa come questa sarà un segnale sicuramente per potenziare la nostra cultura, che resta a parer mio la maggior risorsa della nostra nazione (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 2774-A)

PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore e il rappresentante del Governo rinunziano alla replica.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Sul calendario dei lavori dell'Assemblea (ore 20,38).

PRESIDENTE. Comunico che, a seguito dell'odierna riunione della Conferenza dei presidenti di gruppo, è stato stabilito che giovedì 3 febbraio, alle ore 15, avrà luogo l'esame della domanda di autorizzazione ad eseguire perquisizioni domiciliari nei confronti del deputato Berlusconi (Doc. IV, n. 13-bis).
La votazione è prevista per le ore 19 e sarà preceduta dalle dichiarazioni di voto dei rappresentanti dei gruppi e delle componenti politiche del gruppo Misto, che avranno luogo con ripresa televisiva diretta.
L'organizzazione dei tempia per l'esame del Doc. IV, n. 13-bis sarà pubblicata in calce al resoconto stenografico della seduta odierna.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Martedì 1o febbraio 2011, alle 11:

1. - Svolgimento di una interpellanza e di interrogazioni.

(ore 16).

2. - Seguito della discussione delle mozioni Reguzzoni ed altri n. 1-00540, Borghesi ed altri n. 1-00544, Lulli ed altri n. 1-00546, Anna Teresa Formisano ed altri n. 1-00549, Vignali ed altri n. 1-00550 e Polidori ed altri n. 1-00552 concernenti iniziative per il rilancio dell'economia ed il sostegno alle piccole e medie imprese.

3. - Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge:
SCHIRRU ed altri; FEDRIGA ed altri: Interpretazione autentica del comma 2 dell'articolo 1 della legge 23 novembre 1998, n. 407, in materia di applicazione delle disposizioni concernenti le assunzioni obbligatorie e le quote di riserva in favore dei disabili (C. 3720-3908-A).
Relatore: Pelino.

4. - Seguito della discussione delle mozioni Bosi ed altri n. 1-00488, Di Biagio ed altri n. 1-00451, Villecco Calipari ed altri n. 1-00541, Di Stanislao ed altri n. 1-00543, Cicu ed altri n. 1-00551, Porfidia ed altri n. 1-00553 e Lo Monte ed altri n. 1-00554 concernenti iniziative in materia di concessione degli alloggi di servizio del Ministero della difesa.

5. - Seguito della discussione delle mozioni Oliverio ed altri n. 1-00513, Fogliato ed altri n. 1-00542, Delfino ed altri Pag. 77n. 1-00545, Beccalossi ed altri n. 1-00547 e Di Giuseppe ed altri n. 1-00548 concernenti iniziative in materia di riforma della politica agricola comune (PAC).

6. - Seguito della discussione della proposta di legge:
BARBIERI ed altri: Concessione di contributi per il finanziamento della ricerca sulla storia e sulla cultura del medioevo italiano ed europeo (C. 2774-A).
Relatore: Barbieri.

La seduta termina alle 20,40.

CONSIDERAZIONI INTEGRATIVE DELL'INTERVENTO DEL DEPUTATO COSIMO VENTUCCI IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DELLE MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE PER IL RILANCIO DELL'ECONOMIA ED IL SOSTEGNO ALLE PICCOLE E MEDIE IMPRESE

COSIMO VENTUCCI. La nostra mozione impegna il Governo: a continuare ad adottare provvedimenti finalizzati al recepimento ed alla piena applicazione della direttiva sullo Small Business Act, favorendo l'adozione di «SBA regionali» da parte delle regioni e sostenendo le proposte di revisione ed integrazione dello stesso recentemente trasmesse dall'Italia alla Commissione europea;
a fare in modo che tutte le misure di agevolazione finanziaria e fiscali prevedano specifici criteri a favore di tutte le forme di aggregazione delle imprese previste dall'ordinamento, con particolare attenzione al contratto di rete;
a dare piena implementazione ai nuovi modelli di aggregazione industriale, ed in particolare allo strumento del contratto di rete (disciplinato con la legge n. 99 del 2009 e che nei giorni scorsi ha avuto il parere favorevole da parte della Commissione europea), che rappresenta lo strumento giuridico che permette alle imprese di accrescere la propria competitività e capacità innovativa sul mercato tramite accordi di collaborazione con altre aziende, strumento utile a sostenere lo sviluppo di nuove filiere produttive che possano agganciare le nuove dinamiche dei mercati;
a razionalizzare, nell'ambito della riforma degli enti per l'internazionalizzazione, le competenze e le strutture organizzative degli enti coinvolti; ad individuare un modello di nuova presenza all'estero per il sostegno delle nostre imprese; a migliorare il coordinamento con gli altri attori del comparto (Enit-Agenzia nazionale del turismo, Buonitalia, regioni, enti in Italia ed all'estero che fanno capo al sistema camerale), a semplificare e aggiornare i meccanismi di riconoscimento delle agevolazioni pubbliche gestite dal Ministero, migliorando le prospettive di accesso al credito per le imprese esportatrici;
ad avviare un processo di riforma complessiva del sistema tributario, che deve essere orientato anche alla progressiva riduzione della pressione fiscale, in particolare sulle imprese di piccole e medie dimensioni;
ad assumere iniziative volte a prevedere, nel rispetto dei vincoli di bilancio, ulteriori benefici fiscali per le piccole e medie imprese sul modello della cosiddetta « Tremonti ter»;
a procedere rapidamente alla riforma degli incentivi alle imprese basata su criteri di semplificazione, di ampia telematizzazione e trasparenza nelle procedure di accesso, e che preveda che non meno del 50 per cento delle risorse di incentivazione vengano riservate alle micro e piccole imprese;
a favorire l'accesso agli appalti pubblici delle micro, piccole e medie imprese attraverso l'obbligo della pubblica amministrazione ed alle autorità competenti di suddividere i contratti in lotti; a rendere visibili le possibilità di subappalto nonché a riservare una quota degli stessi, non inferiore al 30 per cento, alle stesse micro, piccole e medie imprese, e a verificare che le misure di semplificazione delle procedure d'appalto di cui all'articolo 17 della Pag. 78legge n. 69 del 2009 siano efficaci, proponendo, se del caso, interventi migliorativi;
ad adottare ulteriori misure per incrementare l'informatizzazione e la semplificazione dei procedimenti amministrativi, al fine di snellire i tempi degli adempimenti burocratici a carico delle imprese e di ridurre l'onere economico che ne deriva;
a seguire attentamente la fase di transizione dell'entrata in vigore dell'accordo di Basilea 3, al fine di garantire adeguate condizioni di accesso al credito, in particolare a favore delle piccole e medie imprese e delle famiglie;
ad incrementare la lotta alla contraffazione al fine di tutelare i prodotti made in Italy e, in particolare, ad attivare tutti i canali diplomatici e di pressione politica a disposizione, affinché venga definitivamente approvata la proposta di regolamento sul «made in» europeo, recentemente approvata a larga maggioranza dal Parlamento europeo.

TESTO INTEGRALE DELL'INTERVENTO DEL DEPUTATO ALDO DI BIAGIO IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DELLE MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE IN MATERIA DI CONCESSIONE DEGLI ALLOGGI DI SERVIZIO DEL MINISTERO DELLA DIFESA

ALDO DI BIAGIO. Quest'oggi ci ritroviamo a discutere su una questione complessa e allo stesso tempo delicata che coinvolge migliaia di famiglie italiane.
Famiglie di personale dell'amministrazione della difesa in quiescenza attualmente locate presso i circa 5.000 alloggi, per i quali corrispondono un canone definito dall'amministrazione.
E a tal riguardo si ricorda che attualmente l'amministrazione raccoglie circa 35 milioni di euro annui dalle sopra indicate concessioni. Risorse non trascurabili perché rappresentano una voce indifferibile tra le entrate del Ministero della difesa.
Non si tratta di difendere o tutelare le prerogative di una categoria di cittadini italiani. Semplicemente di pretendere dall'Amministrazione quella coerenza amministrativa, procedurale e normativa unita alla salvaguardia delle esigenze di economicità, efficacia, efficienza, pubblicità e trasparenza che questa dovrebbe avere in ottemperanza al dettato costituzionale.
In sintesi, ricordiamo che sono state emanate disposizioni legislative, potremmo dire vessatorie, nei confronti di pensionati e vedove, come l'aumento dei canoni di concessione. Aumenti sulla base dei prezzi di libero mercato, a partire dal 1o gennaio 2011, come la legge n. 122 del 2010 stabilisce. Con questo si vorrebbe costringere centinaia di famiglie di ultrasettantenni ad abbandonare l'alloggio in quanto incapaci di far fronte a canoni insostenibili.
Ma andiamo per ordine.
Nel 2003, l'entrata in vigore della legge n. 326 disponeva la vendita, con il sistema della cartolarizzazione, degli alloggi occupati dal personale cosiddetto sine titulo. A fronte di questa vendita la Difesa avrebbe ricevuto la somma di 20 milioni di euro annui per affittare eguale numero di alloggi di quelli alienati.
Nella fattispecie, la citata disposizione riconosceva la previsione di alienabilità anche per eventuali alloggi che, pur se ubicati nelle infrastrutture militari, non erano da considerarsi operativamente posti al loro diretto e funzionale servizio.
Spettava al Ministro della difesa stabilire, con proprio decreto, quali erano da considerarsi gli alloggi «ubicati ma non utili».
Così come gli competerebbe stabilire l'insieme di alloggi siti fuori delle infrastrutture che annualmente la Difesa intende alienare.
Considerando che l'individuazione degli alloggi alienabili tardava ad arrivare, l'attuale ministro della difesa, all'epoca capogruppo di AN, presentò come primo firmatario un atto di sindacato ispettivo, discusso nel dicembre 2005, con cui si impegnava il Governo a procedere «senza ulteriori indugi al trasferimento degli alloggi individuati, senza discrezionalità alcuna ai sensi della legge 326 del 2003, al patrimonio dello Stato». Pag. 79
Forse il ministro si è dimenticato di questa evidenza.
Ricordiamo che attualmente sono ancora pendenti diversi ricorsi presentati dagli utenti verso l'Amministrazione della difesa proprio per la mancata vendita.
Infatti molti dei conduttori cosiddetti sine titulo, peraltro sottoposti al pagamento di un fitto definito «indennità di occupazione» e pari al 150 per cento dell'equo canone, sotto varie date presentavano e rimandavano domande intese a giungere all'acquisto dell'unita immobiliare di interesse, considerata la legge 326/2003 che prevedeva il loro diritto di prelazione al momento della vendita.
Malgrado le molteplici istanze, la Difesa non ha fornito alcun riscontro, anzi, non astenendosi dal continuare i tentativi di rilascio forzoso che in qualche caso hanno avuto successo per raggiunta stanchezza dei conduttori, quasi tutti soldati in pensione.
Cittadini che, dopo aver con onore servito l'Istituzione militare, giunti alla pensione convivono con lo spettro di un futuro incerto e umiliante.
Ma considerando l'inversione di tendenza dell'amministrazione e dell'attuale referente di Dicastero, viene da chiedersi cosa sia realmente cambiato.
Dopo quattro anni di mancata ottemperanza delle disposizioni della legge del 2003, con la legge finanziaria del 2008 viene abrogata la legge n. 326 del 2003.
Veniva stabilito che il Ministero della difesa predisponesse con criteri di semplificazione, razionalizzazione e contenimento della spesa un programma pluriennale per la costruzione, l'acquisto e la ristrutturazione di alloggi di servizio.
Ricordiamo che le stesse disposizioni della legge finanziaria sono confluite a partire dall'ottobre 2010 nel decreto legislativo n. 66 del 2010 (nuovo codice militare).
Le citate disposizioni prevedevano la possibilità di vendita di un'aliquota di alloggi non più utili per soddisfare esigenze della Difesa.
E per quanto riguarda i conduttori sine titulo di alloggi che non saranno alienati, confermava l'obbligo di rilascio immediato, prevedendo per gli occupanti un canone sulla base dei prezzi di libero mercato.
Appare opportuno ricordare che in sede di riunione interforze i vertici della difesa hanno stabilito che sulla delicata questione dei 3.000 alloggi da alienare, come possibile escamotage, sarebbe stato possibile indicare le aree dove sarebbero stati venduti gli alloggi già individuati fornendo il dato complessivo senza specificare le singole unità abitative. Tutto questo dovrebbe essere sufficiente per poter avviare l'iter approvativo del Regolamento.
Un orientamento discutibile ed incoerente da parte dell'amministrazione.
Il citato decreto, registrato, dopo rilievi da parte della Corte dei Conti, in data 18 maggio 2010, ha previsto l'aumento dei canoni di concessione sia per il personale in servizio che per quello sine titulo, senza la specifica di una data di decorrenza per entrambi gli aumenti.
In questa prospettiva va ad aggiungersi la ratio dell'articolo 6, comma 21-quater, della legge n. 122 del 2010 che prevedeva, solo per il personale sine titulo, l'aumento dei canoni a decorrere dal 1o gennaio 2011.
La conseguenza inevitabile è che migliaia di famiglie oltre all'aumento del canone dovrebbero sostenere anche il pagamento degli arretrati, facendo così venir meno la possibilità di scelta all'utente se accettare o meno il nuovo canone.
Sembrerebbe in effetti che l'Amministrazione intenda procedere alla risoluzione dei contratti di locazione con gli attuali utenti attraverso dinamiche che appiano del tutto assimilabili ad uno sgombero forzoso in forma surrettizia, minacciando di ricorrere all'applicazione unilaterale di canoni di mercato, economicamente insopportabili da parte degli utenti, non fornendo indicazioni in merito ai criteri di calcolo di questi né tantomeno i riferimenti legislativi sottesi.
Tale rideterminazione del suddetto canone introduce inoltre inaccettabili criteri sperequativi Pag. 80tra conduttori che abitano sul territorio nazionale. Basta tener presente la drammatica differenza che sussiste tra prezzi locativi di libero mercato nel nostro Paese. Per esempio, rimanendo nel Lazio, verrebbe da dire che Roma non è Frosinone sotto questo profilo.
Inoltre il decreto ministeriale che dovrebbe introdurre questi nuovi canoni, peraltro non ancora emanato, reca anche ulteriori aggravi al canone di libero mercato che la Difesa intende applicare.
Si parla di cosiddetti coefficienti, assolutamente al di fuori di ogni logica, ma tali da portare i potenziali nuovi canoni a livelli assolutamente non sostenibili.
Livelli che rischiano di mettere alla porta migliaia di famiglie italiane che hanno servito lo Stato e che - in moltissimi casi - si ritrovano a vivere difficili situazioni sotto il profilo umano ed economico.
Paradossalmente si verrebbe a realizzare quanto auspicato dal tavolo di lavoro degli Stati Maggiori della Difesa nell'ambito della predisposizione del cosiddetto obbiettivo 9 citato nella mozione presentata dal gruppo FLI.
Infatti nel citato progetto si evidenzia che siccome non sarebbe stato possibile mandar via i sine titulo - che con la legge 326 avevano maturato la legittima aspettativa ad acquistare l'alloggio, - sarebbe stato il caso di definire un meccanismo che avrebbe condotto gli utenti stessi a decidere di andarsene.
In che modo? Canone maggiorato e minacce costanti di recupero forzoso.
Appare chiaro che la Difesa, attraverso gli sfratti o con canoni insopportabili, vorrebbe rientrare in possesso degli alloggi.
Noi sappiamo anche che la Difesa ha predisposto un piano con cui si dice debbano essere costruiti 51.000 alloggi, per un costo di 5,7 miliardi di euro da finanziare con la vendita di 3.000 alloggi.
Verrebbe anche da chiedersi perché - se ha bisogno di alloggi per il personale in mobilità - non ripristini i 3.500 alloggi vuoti.
Quindi appare del tutto fuori luogo che l'amministrazione utilizzi a torto la solita legittimazione per sfrattare i vecchi militari, secondo la quale bisognerebbe dare gli alloggi ai giovani.
Ora sappiamo per l'appunto che non è così.
L'Amministrazione ha tutti gli strumenti per consentire ad entrambe le categorie di godere di un diritto, mantenendo le promesse a suo tempo fatte e dando seguito ai disposti legislativi approvati.
Emergerebbe quasi il dubbio che questa confusione di procedure amministrative, legislative ed esecutive sottenda un progetto di natura immobiliare della Difesa che si colloca ben oltre le naturali esigenze allocative del personale.
Su questo punto - ad ogni modo - sarebbe il caso che il Ministero desse riscontro, anche per allontanare eventuali dubbi e perplessità sulle eventuali azioni per così dire «interessate» dell'amministrazione, da parte non solo degli utenti ma anche dei qui presenti firmatari degli atti in discussione.
Attualmente al Senato è in discussione il decreto «mille proroghe» che tra l'altro all'articolo 2 impone la costituzione di fondi in cui far affluire i beni immobili della Difesa.
Questo provvedimento a nostro parere potrebbe rappresentare il riferimento normativo più adeguato per ripensare all'attuale politica alloggiativa.
Gentile Ministro, migliaia di famiglie di persone anziane, spesso con malattie gravi o con pesanti handicap, rischiano di trovarsi da un momento all'altro sul lastrico, semplicemente per la volubilità e l'incoerenza legislativa del Ministero.
E non dimentichiamo che già in occasione del provvedimento di stabilità per il 2011 il Governo - sia alla Camera che al Senato - aveva accolto l'impegno a rettificare la normativa in oggetto.
Per tali ragioni voglio innanzitutto salutare con soddisfazione la presentazione delle mozioni Bosi e Villecco Calipari, Pag. 81affini per materia, che dimostrano la sensibilità di questa istituzione nei confronti di una categoria vessata.
Il mio auspicio è che gli impegni tracciati nelle tre mozioni vengano accolti, essendo di medesima portata.
Pertanto, come gruppo FLI, chiediamo al Governo di assumere iniziative normative finalizzate a prevedere che le eventuali maggiorazioni di canone, rispetto a quello già in vigore, non siano applicabili nei confronti degli utenti con reddito familiare annuo lordo non superiore a quello fissato annualmente con decreto del Ministro della difesa, tenendo conto della sostenibilità dei nuovi canoni da introdurre in relazione ai redditi complessivi familiari dei conduttori degli alloggi; di adottare iniziative al fine di stabilire che l'applicazione di qualunque variazione dei canoni in atto vigenti abbia efficacia solo a partire dalla data di notifica formale, agli interessati, del nuovo canone, restando invariato il diritto del conduttore a presentare ricorso avverso il provvedimento emesso; a fornire chiarezza al portato dell'articolo 7 del decreto ministeriale n. 112 del 2010, garantendo che l'esercizio del diritto di acquisto dell'usufrutto, sia riconosciuto ai conduttori, senza la necessità di corrispondere una caparra confirmatoria; a prevedere la sospensione dei recuperi forzosi previsti all'articolo 2, comma 3, del citato decreto 112, sino all'adozione del decreto di trasferimento al patrimonio disponibile dello Stato degli alloggi da alienare, introduttivo al procedimento di alienazione della proprietà, dell'usufrutto e della nuda proprietà degli alloggi risultati alienabili; a riconoscere, con apposite iniziative normative, per quanto riguarda gli alloggi per i quali non si prevede la vendita, possibili ed alternative formule di acquisizione e/o conduzione dell'immobile, ad esempio l'acquisizione dell'usufrutto «a vita» per i conduttori sine titulo ultrasessantacinquenni che manifestino la volontà di continuare nella conduzione stessa.

TESTO INTEGRALE DELL'INTERVENTO DEL RELATORE EMERENZIO BARBIERI IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DELLA PROPOSTA DI LEGGE N. 2774-A

EMERENZIO BARBIERI, Relatore. Signor Presidente, onorevoli colleghi, espongo brevemente gli aspetti più salienti della proposta di legge oggi all'esame dell'Assemblea, rinviando alla relazione scritta per un'illustrazione più approfondita.
La proposta di legge, sottoscritta da deputati sia di maggioranza sia di opposizione e profondamente rielaborata nel corso dell'esame presso la Commissione, è volta a sostenere la ricerca sulla storia e sulla cultura del medioevo italiano ed europeo.
Si tratta di un settore molto vasto, di crescente importanza nel panorama degli studi e anche nell'interesse del pubblico, poiché tale epoca è ormai generalmente riconosciuta come un passaggio fondamentale nella formazione dell'identità culturale e istituzionale dell'Europa e dell'Italia, che nel medioevo è stata il centro di intense relazioni culturali, politiche ed economiche con le altre regioni europee e con l'intero mondo mediterraneo.
È significativo che questa proposta venga in esame nell'anno in cui celebriamo i centocinquant'anni dell'Unità nazionale. Essa si colloca infatti nello stesso spirito che informa le iniziative previste per quest'anniversario: non celebrazioni destinate ad esaurirsi nella retorica dell'«evento», bensì occasioni di conoscenza e di riflessione, anche di carattere storico, sulle radici profonde della realtà italiana di oggi, una realtà unitaria e molteplice che iniziò a delinearsi proprio nei secoli del medioevo.
Di ciò fu ben consapevole il Risorgimento italiano.
Ai suoi primordi, nel 1836, iniziò a Torino la pubblicazione degli Historiae patriae monumenta, promossa dal re Carlo Alberto come illustrazione delle fonti medievali dell'identità nazionale. Pag. 82
Nel 1842 Michele Amari pubblicava a Palermo il suo studio storico sulla guerra del Vespro, che gli procurò la fama e l'esilio.
L'edizione del Codex Astensis, raccolta dei documenti pubblici medievali della città di Asti, impegnò gli ultimi anni della vita di un grande politico e uomo di scienza come Quintino Sella, che volle concorrere così «a far conoscere uno dei lati più brillanti del nostro passato» (come scrisse egli stesso nella Memoria presentata all'Accademia dei Lincei).
Questa proposta di legge riguarda un settore di studi nel quale l'Italia ha meritato una posizione di primo piano, grazie a studiosi, anche giovani, che con impegno e passione hanno costruito e consolidato questa posizione di eccellenza a livello internazionale.
Le iniziative previste intervengono sia sul piano finanziario, sia su quello della promozione e dell'organizzazione della ricerca.
Gli articoli 1, 2 e 3 prevedono infatti contributi annui per le quattro principali istituzioni italiane, pubbliche e private, operanti da lungo tempo nell'ambito degli studi medievali.
L'Istituto storico italiano per il medio evo è un ente pubblico vigilato dal Ministero per i beni e le attività culturali, avente il compito istituzionale di pubblicare le fonti relative alla storia d'Italia.
Il Centro italiano di studi sull'alto medioevo, particolarmente impegnato nell'organizzazione di studi e convegni annuali sulla storia e sulla cultura dei secoli dal quinto all'undicesimo, è un ente pubblico che ha accettato la sfida posta dalle «leggi Bassanini», trasformandosi in fondazione di diritto privato.
La Società internazionale per lo studio del medioevo latino e la Fondazione Ezio Franceschini sono, rispettivamente, un'associazione tra gli studiosi italiani e stranieri della materia, e una fondazione privata di analoga origine, che, in più di trent'anni d'attività, hanno raggiunto rilevanza internazionale, specialmente con la redazione di importanti strumenti bibliografici.
Queste istituzioni sono state individuate sulla base della loro produzione scientifica, dell'estensione e della complementarità dei settori di ricerca dei quali statutariamente si occupano, della rilevanza nazionale e internazionale della loro attività.
Ognuna gestisce una biblioteca specializzata, aperta agli studiosi della materia, e presso due di esse - l'Istituto storico italiano per il medio evo e la SISMEL - sono istituiti corsi di studi per la formazione superiore dei giovani studiosi che intendono dedicarsi agli studi scientifici in queste discipline.
Non si tratta quindi di erogazioni casuali, ma di un intervento coordinato che la Commissione ha valutato attraverso un'attenta istruttoria. I contributi sono stati modulati oculatamente nel rispetto delle attuali condizioni della finanza pubblica. Lo scopo non è stato tanto quello di accrescere la misura del sostegno statale, ma piuttosto quello di favorire iniziative di lunga durata, la cui realizzazione può essere programmata soltanto con una base finanziaria, anche modesta, ma certa e prevedibile nel tempo.
La stessa motivazione sottostà all'istituzione dell'Edizione nazionale dei testi mediolatini d'Italia, oggetto dell'articolo 4 della proposta di legge. Con questa disposizione si conferisce maggiore stabilità e più puntuale organizzazione a un'analoga iniziativa, già esistente secondo le disposizioni della legge n. 420 del 1997. Tuttavia, a differenza delle edizioni nazionali previste da quella legge, l'edizione dei testi latini medievali d'Italia non ha per oggetto le opere di un solo autore, ma un numero di testi quantitativamente molto vasto e con problemi critici assai complessi. Si tratta spesso di testi importantissimi per la storia culturale dell'Europa intera. La preparazione di ogni volume può richiedere diversi anni e non può venire programmata efficacemente in un quadro finanziario variabile stabilito soltanto anno per anno, come avviene per le edizioni regolate dalla citata legge n. 420 del 1997. Pag. 83
Ho accennato alle esigenze di rigore finanziario, che la Commissione ha tenuto ben presenti nel costruire le linee di questo provvedimento.
Sia in relazione a ciò, sia per la sua importanza sistematica nell'economia del provvedimento, vorrei richiamare l'attenzione sull'articolo 6. Esso è volto, infatti, ad assicurare il coordinamento delle attività di ricerca e a promuovere la massima efficienza nell'impiego delle risorse pubbliche destinate a questo scopo. L'articolo prevede che gli enti e le istituzioni destinatarie dei contributi adottino forme di consultazione, di programmazione e di collaborazione, allo scopo di evitare duplicazioni e di realizzare le più utili sinergie.
Allo stesso fine, nella formulazione delle norme, si è disposta l'esclusiva finalizzazione dei contributi allo svolgimento delle attività istituzionali e si sono previste forme di rendicontazione annuale idonee ad assicurare - in aggiunta ai controlli di natura contabile previsti in via generale - un impiego responsabile, efficiente e proficuo delle risorse destinate alla ricerca.
La Commissione cultura ha svolto un'approfondita istruttoria legislativa, acquisendo la documentazione relativa all'attività degli enti e delle istituzioni interessate e alle loro pubblicazioni e procedendo all'audizione dei loro rappresentanti. Sono state accolte le condizioni formulate dalle Commissioni competenti in sede consultiva ed è stato predisposto un testo largamente condiviso, per il quale, con l'assenso unanime dei rappresentanti dei gruppi parlamentari, era stato chiesto il trasferimento alla sede legislativa. Ciò non è stato possibile, essendo mancato l'assenso del Governo, il quale pure si era espresso positivamente sul contenuto della proposta sia durante l'esame in Commissione, sia presso la Commissione bilancio relativamente agli aspetti di copertura finanziaria.
Concludo con un'osservazione di carattere generale. In un momento nel quale si lamenta la scarsità delle risorse disponibili per la cultura, questo provvedimento non sottrae un solo euro al bilancio del Ministero per i beni e le attività culturali, e quindi al suo impegno sui diversi versanti della salvaguardia del patrimonio artistico, bibliografico e archivistico nazionale: al contrario, accresce, sia pure di un modesto importo, le risorse finanziarie da esso erogate per il funzionamento delle istituzioni culturali.
È un concreto segno di attenzione per un intero settore di studi, per le istituzioni che in esso operano, per gli studiosi che si dedicano alla ricerca con serietà, impegno e risultati.
In questo senso, la Commissione Cultura spera che sarà apprezzato dai colleghi e potrà incontrare la loro approvazione.

TESTO INTEGRALE DEGLI INTERVENTI DEI DEPUTATI PIERFELICE ZAZZERA, RENZO LUSETTI, PAOLA GOISIS E MARIA COSCIA IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DELLA PROPOSTA DI LEGGE N. 2774-A.

PIERFELICE ZAZZERA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, questo provvedimento che oggi iniziamo ad esaminare arriva nel contesto sbagliato al momento sbagliato.
Nel contesto sbagliato perché è incomprensibile la decisione del Governo di affidare all'aula l'approvazione di un provvedimento che invece avrebbe meritato la sede legislativa in Commissione evitando intralci e un'approvazione in tempi decisamente più rapidi. L'impressione è che si spendano più risorse per l'utilizzo dell'aula che non i fondi destinati agli istituti medievali. Il paradosso è che il Governo porta in aula questo provvedimento, mentre trasforma (e non riforma) con atti di Governo la scuola secondaria senza fare alcun passaggio parlamentare.
Questo provvedimento viene esaminato nel momento sbagliato. Perché arriva in aula dopo la mozione di sfiducia respinta nei confronti del Ministro ai beni culturali Sandro Bondi. Sandro Bondi per noi dell'IDV è il responsabile del dissesto culturale nel nostro paese, responsabile di non Pag. 84aver dato una linea politica culturale autorevole e credibile. Responsabile perché non ha saputo valorizzare un patrimonio che è soprattutto risorsa economica.
Questo provvedimento arriva in aula dopo il recente crollo di Pompei o, più indietro nel tempo, dopo i danni verificatisi nella Domus aurea. Sono eventi che hanno richiamato l'attenzione dell'opinione pubblica e del mondo politico sullo stato di conservazione dei beni culturali in Italia, accendendo il dibattito sui problemi della loro tutela. Si tratta infatti di avvenimenti che chiamano in causa non soltanto il comportamento dell'amministrazione preposta alla salvaguardia di questo insostituibile patrimonio nazionale, ma anche e soprattutto quello della politica, fino ai più alti livelli governativi, e in particolare le scelte operate sul piano dell'assegnazione delle risorse necessarie per assicurare questa funzione. Ogni volta che fatti così gravi si sono verificati, non abbiamo mancato di denunziarne le responsabilità e di chiederne conto con gli atti politici conseguenti.
I problemi della tutela dei beni archeologici sono noti ed evidenti e richiedono urgentemente soluzioni, che non possono essere trovate se non attraverso un ampio progetto dotato di risorse finanziarie ingenti, adeguate alla dimensione del patrimonio storico-artistico interessato, probabilmente il più vasto nel mondo. E oggi queste risorse però non ci sono, anzi vengono tagliate.
Esistono tuttavia anche altri settori colpevolmente trascurati dalla politica culturale del Governo. Basti ricordare i continui allarmi che provengono dalle biblioteche nazionali e dagli archivi di Stato. Le continue riduzioni dei finanziamenti e del personale mettono oramai a rischio la stessa funzionalità di queste istituzioni e la possibilità di utilizzazione da parte degli studiosi, mentre i loro fondi bibliografici e archivistici richiedono un costante impegno di conservazione per il quale mancano sovente le risorse, con il rischio di irreparabili perdite.
Nel settore, poi, delle istituzioni culturali, l'ultima manovra finanziaria ha imposto una drastica riduzione dei finanziamenti, già falcidiati negli anni precedenti. L'impatto dell'operazione è stato aggravato dal fatto che essa è stata compiuta in corso d'anno, sconvolgendo le previsioni di bilancio di numerosi istituti che hanno rischiato, e ancor più rischiano per il futuro, la paralisi operativa e l'interruzione delle loro attività.
È certamente innegabile che, proprio in questo settore, la politica intrapresa abbia talvolta privilegiato la quantità rispetto alla qualità, con finanziamenti magari esigui, ma spesso concessi a molti enti senza una seria valutazione delle finalità, dell'operato e del reale valore culturale e scientifico delle iniziative da loro promosse. Insomma fondi a pioggia, per accontentare qualche amico, per fare clientela, ma perdendo di vista la qualità. In quest'àmbito, quindi, appare necessario completare la riflessione sul metodo di distribuzione delle risorse, sia sul piano amministrativo, sia - ove risulti necessario - su quello della disciplina legislativa, con l'obiettivo di assicurare che le somme disponibili non siano disperse con scelte casuali o, peggio, clientelari, ma indirizzate verso soggetti che assicurino buona gestione ed efficace utilizzazione dei contributi in vista di un effettivo interesse pubblico.
Non bisogna tuttavia dimenticare che molte di queste istituzioni svolgono spesso una funzione di integrazione, se non di supplenza, rispetto a università ed enti di ricerca che, per mancanza di fondi o per discutibili scelte di gestione, non sono in grado di valorizzare le competenze e la passione di giovani studiosi, completandone la formazione superiore e consentendo loro di realizzare i progetti di ricerca cui vorrebbero dedicarsi.
La proposta di legge oggi in discussione interviene proprio in questo settore, con un complesso di interventi, sia finanziari, sia ordinamentali, riguardanti alcuni specifici istituti, che tuttavia rappresentano sostanzialmente il tessuto della ricerca in un intero àmbito disciplinare, quello relativo alla storia e alla cultura medievale. Pag. 85
Un provvedimento pertanto che rappresenta una lodevole iniziativa, ma isolata da un contesto dove la politica culturale di questo Governo è inesistente!
Siamo di fronte ad un provvedimento non organico trattandosi di contributi statali da indirizzare ad alcuni enti tra cui il SISMEL, la Fondazione Franceschini, l'Istituto storico italiano per il medioevo, la Fondazione Centro italiano di studi per l'alto medioevo. La scelta in favore degli studi medievali ha il limite della occasionalità, ma va colto certamente l'impegno a finanziare enti di studio e ricerca le cui qualità sono da tutti riconosciute di eccellenza.
Va inoltre apprezzato il fatto che questa iniziativa legislativa raccoglie l'appello di numerose e qualificate adesioni alla campagna «Medioevo negato», promossa dal presidente dell'Istituto storico italiano per il medio evo.
Non sono però la somma da finanziare né il tipo di enti finanziati il vero problema. È opportuno che questa iniziativa legislativa sappia mettere insieme la capacità di investimento nella cultura e il controllo della spesa pubblica. In tal senso qualche dubbio resta soprattutto perché si interviene sul piano ordinamentale.
È importante pertanto garantire due elementi: certezza nel metodo di selezione degli enti destinatari dei finanziamenti in funzione della qualità dei risultati raggiunti e certezza dei controlli su come vengono impiegati i finanziamenti pubblici erogati.
L'articolo 4 per esempio introduce disposizioni relative all'Edizione nazionale dei testi mediolatini d'Italia che va a sostituire l'Edizione nazionale dei testi mediolatini istituita con decreto ministeriale nel 2001. L'attività - nonostante la continua riduzione dei finanziamenti disponibili - è stata in questi anni significativa e costante: venticinque opere pubblicate in edizione critica (molte con traduzione italiana e commento), tra cui alcuni testi finora inediti. Le nuove norme qui proposte da un lato riorganizzano l'ente e dall'altro ci auguriamo possano assicurare l'attività con risorse regolari nel tempo al fine di mantenere il ritmo di pubblicazione intrapreso e progettare con sicurezza i lavori più impegnativi, che richiedono attività di gruppo e tempi di realizzazione maggiori. Come per il passato, potranno collaborare anche studiosi stranieri di provata competenza.
L'Edizione nazionale risulterà tanto più capace di raggiungere i suoi scopi, divenendo anche sede di elaborazione teorica e di serio dibattito metodologico, quanto maggiore sarà la partecipazione degli studiosi effettivamente impegnati nell'attività di edizione critica di testi latini medievali.
Resta da chiarire le modalità di finanziamento dell'Edizione Nazionale dei testi mediolatini d'Italia e la nomina dei componenti il comitato scientifico da parte del Ministero, al fine di escludere ogni rischio di oneri aggiuntivi alla finanza pubblica.
Riconosco al relatore la caparbietà e il merito di aver voluto portare avanti un provvedimento nonostante il Governo e di aver trovato risorse da destinare alla cultura nonostante il Ministro Tremonti. Un'iniziativa che però non può essere lasciata alla buona volontà del singolo o alla estemporaneità, ma necessita di un'azione più generale e di una politica culturale più organica, che oggi manca.
Rimane francamente l'amaro in bocca per la decisione del Governo di aver rifiutato di acconsentire all'esame in sede legislativa. Tuttavia, questo ci permette oggi di discutere pubblicamente in Aula un provvedimento che testimonia l'attenzione della Camera e del Parlamento tutto verso il mondo della cultura e del sapere. È una risposta autorevole delle istituzioni dopo i disastri del Governo.

RENZO LUSETTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, un dibattito sui beni culturali rischia sempre di trasformarsi in un elenco di quotidiane emergenze e di urgenti necessità.
Quando si pensa ai beni culturali, la prima immagine che si affaccia alla mente è quella dello straordinario patrimonio archeologico e artistico che l'Italia conserva, che non è soltanto memoria storica della nazione italiana, ma testimonianza di Pag. 86intere epoche della cultura mondiale; un patrimonio la cui vastità e importanza rendono di per se stessi difficile e oneroso il compito, pur inderogabile, di assicurarne la salvaguardia e la trasmissione alle generazioni future.
Accanto a questo esiste, poi, un altro patrimonio materiale, forse meno visibile ma sicuramente non meno importante, costituito dalle biblioteche e dagli archivi, che necessita di conservazione e di cura. Vi sono infatti documenti storici fondamentali spesso unici: materiali insostituibili per lo studio e la conoscenza del passato, non solo del nostro Paese, ma dell'Europa intera e di molti paesi extraeuropei.
Le esigenze della tutela di questi beni si scontrano con problemi finanziari, organizzativi e strutturali e noi insieme impegniamo, per quanto possibile, ad affrontare, pur nelle attuali ristrettezze di bilancio. È bene, comunque, mantenere l'attenzione su questa funzione, fondamentale per un Paese com'è il nostro, per cui il patrimonio culturale millenario è non soltanto fonte di identità nazionale, ma anche risorsa preziosa sul piano economico ed elemento caratterizzante dell'Italia a livello internazionale.
Ciò non deve tuttavia far dimenticare che, oltre a questo patrimonio materiale, vi è un patrimonio immateriale, costituito dalla preparazione e dall'impegno degli studiosi e dei ricercatori che alla comprensione e alla valorizzazione delle testimonianze del passato si dedicano con sacrificio, tenacia, direi quasi ostinazione, nonostante la scarsità delle risorse e i tanti problemi che la ricerca incontra in discipline dalle quali non possono attendersi evidenti ritorni economici immediati.
Si tratta di un patrimonio di competenze, senza il quale anche gli interventi di salvaguardia dei beni più visibili, quelli materiali, rischiano di perdere di significato o, addirittura, di non essere realizzati correttamente. Ricordiamo la prodigiosa ricostruzione degli affreschi della basilica di San Francesco ad Assisi, che sono tornati a nuova vita quando sembravano irrimediabilmente perduti a seguito del crollo delle volte nel terremoto dell'Umbria. Che cosa rende possibile il successo di così difficili operazioni di restauro, se non l'altissima qualità dei nostri studiosi e tecnici? Egualmente, che cosa fa tornare alla vita un manoscritto antico o una raccolta di documenti, se non la perizia dello studioso capace di interpretarli e di collocarli nel complesso delle fonti e delle conoscenze che costituiscono il grande disegno della storia?
Questo patrimonio immateriale, formato dagli studiosi delle diverse discipline, è molto difficile a costruirsi, perché richiede una combinazione di ingegno naturale e di formazione culturale, di passione e dedizione individuale e di organizzazione complessiva del lavoro di ricerca. È invece assai agevole a distruggersi, quando venga a mancare il sostegno alle iniziative e alle istituzioni che promuovono quest'attività e rimanga impedita la trasmissione delle esperienze che, nel ricambio tra le generazioni degli studiosi, garantisce la continuità e il progresso degli studi.
Perciò, se oggi esaminiamo un complesso di interventi in favore di istituzioni di ricerca di uno specifico ambito disciplinare, non riteniamo che ciò contraddica l'attenzione doverosa verso altri bisogni urgenti nel settore dei beni culturali.
Sarebbe miope considerare tolto a qualcuno quanto viene dato ad un altro, allorché si esamina un provvedimento che invece accresce l'impegno dello Stato nel campo della cultura, e in particolare proprio nei riguardi di quel patrimonio immateriale, nella cui promozione e formazione l'intervento pubblico risulta determinante, con i diversi mezzi attraverso i quali dev'essere esercitato.
In primo luogo, la scuola e l'università, poiché la formazione e la selezione degli studiosi possono avvenire soltanto nell'ambito di un sistema che assicuri una solida cultura di base, sviluppi percorsi specialistici adeguati, riconosca e favorisca il merito sia nei diversi gradi dell'istruzione sia nell'accesso agli incarichi d'insegnamento e di ricerca. Di alcuni problemi si è dibattuto nelle scorse settimane e - pur tra Pag. 87accese contrapposizioni - nel lavoro della Commissione cultura non è mai mancata la volontà di accogliere i contributi volti a raggiungere questo condiviso obiettivo.
Secondo ma non meno determinante fattore, gli strumenti di base che costituiscono presupposti necessari per qualsiasi ricerca: biblioteche - generali e specializzate, cataloghi e repertori, reti informatiche, raccolte digitali di fonti e documenti. Su questo versante sono in corso importanti progetti - come il catalogo unificato delle biblioteche italiane, la digitalizzazione di importanti fondi manoscritti - nei quali il Ministero per i beni e le attività culturali e numerose istituzioni di ricerca sono attivamente impegnate, grazie alle nuove possibilità offerte dal progresso tecnologico.
Infine, le istituzioni specificamente impegnate nell'organizzazione della ricerca, per le quali occorre assicurare mezzi, garantire autonomia e prevedere controlli idonei ad accertare l'efficace impiego delle risorse loro destinate, premiando anche in quest'ambito il merito e il valore dei risultati e delle realizzazioni.
In tutti questi ambiti, le necessità primarie sono un'organizzazione di vasto respiro, non limitata a particolari iniziative ma capace di accogliere e coordinare i progetti e gli apporti di singoli studiosi e gruppi di ricerca, e una programmazione di lunga durata, adeguata a iniziative complesse che necessariamente si sviluppano nell'arco temporale di anni.
La proposta di legge che viene oggi in esame mira specificamente a questo scopo: sostenere, non solo attraverso contributi finanziari ma anche mediante specifiche misure organizzative, un intero settore di ricerca, quello riguardante la storia e la cultura del medioevo.
Perché il medioevo?
Accade spesso anche a noi di qualificare come «medievale» qualche idea, condotta o situazione che intendiamo deplorare come arretrata o barbara. Tuttavia, più di un secolo di studi scientifici ha dimostrato superata e antistorica l'idea di un medioevo «oscuro». Si tratta di una rappresentazione che trova la sua origine nella politica culturale dell'umanesimo quattrocentesco e nelle dispute religiose dell'epoca della Riforma. E tuttavia lo studio delle fonti ha dimostrato quanto la formazione dei maggiori fra gli umanisti fosse improntata agli scritti dell'età precedente, alla quale si deve pure la conservazione della tradizione classica che essi dichiararono di avere riscoperta.
Come ha ben rilevato la Commissione cultura nella relazione all'Assemblea, questo periodo storico, che copre uno spazio di dieci secoli, rappresenta la fase fondamentale nella quale si forma la facies culturale e istituzionale dell'Europa. Il medioevo realizza infatti la costruzione di una civiltà nuova attraverso l'incontro dialettico e la sintesi fra le culture greco-romana, cristiana e germanica; né si devono dimenticare i contatti con l'Oriente bizantino, con le popolazioni slave divise fra l'influsso di Costantinopoli e quello di Roma, con la cultura araba e con quella ebraica, fino ai rapporti più rari e indiretti con i popoli dell'Estremo Oriente nel basso medioevo.
Tutto ciò ha formato i tratti di una nuova fase della storia intellettuale e sociale dell'Occidente, quella che ancor oggi viviamo. Non è casuale che alcune caratteristiche della civiltà occidentale - a partire da fondamentali distinzioni come quella tra la sfera civile e quella religiosa - ignote al mondo antico, siano parimenti estranee ad altre culture, come ad esempio quella islamica, che non hanno conosciuto eventi storici analoghi a quelli attraversati dall'Europa fra il quinto e il tredicesimo secolo.
Aggiungiamo che l'Italia - proprio come centro della Cristianità, erede delle tradizioni di Roma, punto di conflitto talvolta, sempre d'incontro tra il mondo centro-europeo e i popoli del Mediterraneo - è uno dei luoghi cruciali per l'elaborazione di questa civiltà nuova. Pensiamo, ad esempio, allo straordinario intreccio di civiltà e culture che, nella prima metà del Duecento, fiorisce alla corte palermitana di Federico II. Pag. 88
Italiani sono alcuni tra i personaggi più significativi per la cultura europea del medioevo: nell'intero corso di esso, l'Italia ha dato contributi culturali altissimi nei diversi campi del pensiero e del sapere.
Basti ricordare Boezio e Cassiodoro nel momento di passaggio tra la tarda antichità e l'alto medioevo, durante il regno del re ostrogoto Teodorico che per primo tenta l'unificazione fra la tradizione romana e il mondo germanico; Paolo Diacono, lo storico dei Longobardi affacciato verso la nuova epoca del Sacro romano Impero di Carlo Magno; Anastasio Bibliotecario, uomo di cultura e diplomatico attento alle questioni della Chiesa bizantina, traduttore dal greco nell'avanzato nono secolo; Liutprando da Cremona, ambasciatore dell'Impero d'occidente a Bisanzio e storico delle intricate vicende italiane e germaniche del decimo secolo; Pier Damiani, teorico della riforma della Chiesa nell'età gregoriana; il monaco Graziano, sistematore del diritto canonico, lodato da Dante come colui «che l'uno e l'altro fòro aiutò sì che piace in paradiso»; Tommaso d'Aquino, cui si deve la più vasta sintesi del pensiero teologico, filosofico e scientifico medievale; Iacopo da Varagine, la cui Legenda aurea sarà fonte d'ispirazione per l'arte religiosa fino all'età moderna; Marsilio da Padova, autore di una profonda riflessione politica nella crisi dei poteri universali del primo Trecento; infine, Dante e Petrarca, le cui opere costituiscono il vertice di una cultura pienamente medievale ma già proiettata vigorosamente verso l'età moderna. Italiane sono anche, in questi secoli, alcune grandi istituzioni d'insegnamento: la scuola medica salernitana e l'università di Bologna, centro della rinascita medievale del diritto romano.
L'interesse crescente verso questo periodo storico è testimoniato non solo dal successo incontrato presso il pubblico da varie opere divulgative e romanzi, ma anche da una tradizione di studi oramai consolidata in tutto il mondo: cattedre universitarie e istituzioni di ricerca specificamente dedicate alle discipline medioevalistiche esistono in gran parte dei Paesi europei, negli Stati Uniti e in Canada. In questo panorama internazionale, gli studiosi italiani hanno raggiunto da tempo un'elevata reputazione per la qualità della loro produzione scientifica.
In questo settore operano le quattro istituzioni, di oramai consolidata tradizione, destinatarie dei contributi previsti dalla proposta di legge oggi in esame.
L'Istituto storico italiano per il medio evo è un ente pubblico fondato nel 1883 sulla base del riconoscimento dell'interesse pubblico a promuovere la conoscenza e la ricerca sulla memoria storica della nazione.
Il Centro italiano di studi sull'alto medioevo è un'istituzione, costituita come ente pubblico nel 1957, che ha accettato la sfida di assumere la natura di fondazione di diritto privato, secondo quanto previsto dalle «leggi Bassanini» per continuare a perseguire, sotto questa nuova forma, le finalità statutarie di promozione della ricerca.
La Fondazione Ezio Franceschini è una fondazione privata, costituita nel 1987 e riconosciuta nel 1990, avente la finalità di promuovere gli studi sulla letteratura e la cultura latina medievale, attraverso la produzione di repertori bibliografici e la formazione superiore di giovani ricercatori, mediante l'erogazione di borse di studio e l'organizzazione di progetti di ricerca.
Accanto ad essa è attiva da oltre trent'anni la Società internazionale per lo studio del medioevo latino, un'associazione privata tra gli studiosi italiani e stranieri del latino medievale, che, oltre alle forme tradizionali di pubblicazione di riviste e collane editoriali specialistiche, ha sviluppato un'importante serie di iniziative nei campi dell'editoria elettronica e delle banche di dati informatiche.
Queste istituzioni rappresentano sostanzialmente l'intero settore disciplinare degli studi sul medioevo in Italia e hanno dato vita alle iniziative più cospicue e accreditate anche a livello internazionale. Operando sotto diverse forme e discipline giuridiche, esse hanno dimostrato nel tempo la capacità di vivere di poco, di far fruttare il poco per realizzare molto: progetti Pag. 89 di ricerca, edizioni di fonti, monografie e riviste scientifiche, convegni, corsi di formazione superiore. Per questo, ognuna di esse merita l'attenzione e la fiducia del legislatore.
Ho accennato alla relativa modestia degli oneri finanziari di quest'iniziativa. Se consideriamo le immense necessità dell'ingente patrimonio culturale italiano l'importo di questo provvedimento può parere una goccia nel mare. Tuttavia, ciò che per altre necessità sarebbe una goccia, per il settore degli studi sul medioevo è un contributo veramente importante allo scopo di permettere un'ordinata programmazione delle attività di ricerca.
Oltre al contributo finanziario, la proposta di legge prevede anche disposizioni di carattere organizzativo assai significative.
La prima è l'istituzione di un'Edizione nazionale degli scrittori latini medievali d'Italia. Con essa si dà stabilità a un'iniziativa già esistente nel 2001, sulla base di un decreto del Ministro per i beni e le attività culturali, che in dieci anni di attività ha prodotto risultati di indubbio valore scientifico. La nuova organizzazione proposta tiene conto dell'esperienza decennale già maturata.
L'iniziativa permetterà di approfondire lo studio dei testi, mediante edizioni rispondenti a tutte le esigenze del moderno metodo filologico, per estendere la conoscenza della cultura italiana e delle sue relazioni con le altre culture europee e mediterranee nei dieci secoli che vanno dalla caduta dell'Impero d'Occidente agli esordii dell'età moderna. Non casualmente, è lo stesso arco cronologico su cui si estende la grande raccolta di Ludovico Antonio Muratori, il fondatore degli studi di storia italiana.
La seconda misura di grande importanza, riguarda il coordinamento delle attività degli enti e istituzioni destinatari dei contributi previsti dalla proposta di legge medesima.
La funzione primaria di ciascun istituto di ricerca è, nell'ambito di rispettiva competenza, quella di agevolare e sostenere gli studi attraverso un'appropriata organizzazione.
Nel caso di istituzioni che operano in ambiti distinti ma contigui all'interno di un unico settore, il coordinamento delle rispettive attività non è soltanto un doveroso impegno per accrescere l'efficacia nell'uso dei fondi loro destinati, ma anche un principio metodo logico: il coordinamento delle attività e delle iniziative, infatti, permette di associare competenze diverse, superando i confini tra discipline, che hanno certamente una ragione pratica nella necessaria specializzazione degli studi scientifici moderni, ma che non possono opporre artificiose barriere alla comprensione unitaria di fenomeni ed eventi storici.
Credo che con quest'iniziativa si sia fatto molto per un settore di studi meritevole di attenzione e di interesse. Ciò non significa che ogni problema sia risolto e che non rimangano altre questioni da considerare, sia nell'ambito specifico, sia sul piano più vasto della promozione della ricerca.
Per quanto riguarda, in particolare, gli studi sulla lingua latina e sulla cultura letteraria del medioevo, sono oramai acquisite, a livello scientifico, l'autonomia e la rilevanza di questa disciplina, che negli ultimi cinquant'anni ha avuto, tra gli studiosi italiani, cultori di altissimo livello sul piano internazionale: Ezio Franceschini, Gustavo Vinay, Franco Munari, Lorenzo Minio Paluello, Giovanni Orlandi, Claudio Leonardi, Tuttavia, si tratta ancora di un settore altamente specialistico, che rischia continuamente di perdere la propria identità nella commistione con altre discipline numericamente più ricche e accademicamente più forti. Occorrerà dunque che di ciò tenga conto il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, nella configurazione dei settori scientifico-disciplinari che - in base alle nuove norme - saranno determinanti per la selezione e il reclutamento di docenti e ricercatori. L'università italiana non può perdere posizioni in una disciplina che tra quelle Pag. 90storico-umanistiche offre ancora un vastissimo campo di seria e proficua ricerca.
Più in generale, sarà necessario affrontare in futuro in una prospettiva più larga i problemi del finanziamento degli istituti culturali che negli ultimi anni sono stati considerati soltanto in base a impellenti esigenze della finanza pubblica.
Proseguire la necessaria opera di razionalizzazione, che non deve significare riduzione dei finanziamenti, bensì migliore organizzazione delle competenze, anche tra i diversi livelli di governo; individuazione di criteri oggettivi per discernere le realtà di rilevanza nazionale o internazionale; contestualizzazione degli interventi, da considerarsi non isolatamente ma in relazione ai settori di studio in cui operano gli istituti; coordinamento delle iniziative, al fine di evitare dispersioni e duplicazioni; aumento dell'efficacia dei contributi, da commisurare al valore dei risultati in base a idonei controlli.
Credo che anche a questo riguardo, grazie all'attenta istruttoria che lo ha preceduto, il testo oggi all'esame della Camera possa costituire un modello, ancorché perfettibile, e comunque un'esperienza utile ed esemplare.

PAOLA GOISIS. Signor Presidente, onorevoli Colleghi! Prima di parlare del merito del provvedimento oggi in esame, è bene domandarsi quali siano le ragioni che possono indurci a considerare opportuno un contributo in favore degli studi sul medioevo.
Se qualcuno avesse dubbi sull'importanza di una riflessione sul passato, le iniziative promosse quest'anno per il centocinquantesimo anniversario dell'unità d'Italia stanno a dimostrare che vi sono momenti in cui occorre tornare con il pensiero agli eventi della storia che ha prodotto la realtà di oggi. Ciò non può risolversi nell'enfasi di celebrazioni retoriche, ma deve costituire invece l'occasione per riconsiderare - senza forzati revisionismi, ma consapevolmente e criticamente - le ragioni che ci hanno portato ad essere ciò che siamo, per chiederci in che misura e in quale modo quel passato viva ancora nel presente e nel futuro delle persone e delle istituzioni.
Ciò appare più facile per gli eventi della storia recente, che richiedono una più vigile attenzione critica proprio per le emozioni e le passioni che ancora possono muovere. Ma non è meno importante per i processi storici di più lunga portata, quelli che - magari a distanza di secoli - hanno caratterizzato momenti epocali nella storia dei popoli e delle civiltà.
Il medioevo è certamente una di queste fasi. Se guardiamo a uno solo fra i tanti aspetti di quell'età, quello della storia giuridica e istituzionale, vediamo che il medioevo è un vero banco di prova per una teoria della pluralità degli ordinamenti.
Esso, infatti, mostra come si formano, interagiscono, coesistono, vengono a conflitto, si armonizzano diversi livelli di potere e di produzione normativa: il diritto romano, come diritto comune o nelle forme delle diverse legislazioni nazionali da esso derivate; le costituzioni imperiali; il diritto della Chiesa; la legislazione degli Stati nazionali; le consuetudini e gli statuti delle autonomie cittadine; gli ordinamenti di corpi intermedi come le corporazioni di arti e mestieri.
Pur senza voler indulgere a paragoni impropri con l'attualità, è difficile non pensare alla complessità degli interessi e alla conseguente molteplicità dei livelli di governo, che caratterizza il mondo di oggi. La ricerca di un principio ordinatore sta faticosamente evolvendo verso l'applicazione di nozioni, come la sussidiarietà, l'autonomia, il federalismo, da guardare non come occasioni di disgregazione, ma come criteri per la gestione di una realtà complessa, strumenti di allargamento della partecipazione, metodi per l'organizzazione di una molteplicità che supera, senza negarle, le forme in cui finora si è realizzata l'unità statale.
Questo è solo un esempio, scelto tuttavia non a caso, dell'utilità di una riflessione storica che, partendo da lontano, ci permette di elaborare su basi più larghe la comprensione del presente e di rimodellarlo per rispondere alle esigenze sempre Pag. 91nuove di una società vivente, pur nella continuità delle sue origini e delle sue tradizioni. Riteniamo dunque opportuno che si sia pensato a promuovere misure non solo di finanziamento, ma di organizzazione degli studi su un'epoca la cui importanza - se ve n'era bisogno - si è venuta riconoscendo sempre più negli ultimi decenni.
Questo progetto di legge ha il pregio di non limitarsi - come avviene talvolta in iniziative consimili - a prevedere mere misure di finanziamento (che pure sono importanti), o, peggio, a realizzare indiscriminate erogazioni «a pioggia», incompatibili con l'attuale momento economico-finanziario e comunque contrarie a una seria programmazione della politica culturale.
Esso, infatti, ha un carattere organico, in quanto provvede stabilmente a quattro istituti che, in un ambito vasto ma determinato, operano con caratteristiche e finalità distinte: l'Istituto storico italiano per il medio evo, il Centro di studi di Spoleto, la Società internazionale per lo studio del medioevo latino (SISMEL) e la Fondazione Ezio Franceschini di Firenze.
Il primo è un ente pubblico con la specifica finalità istituzionale di curare lo studio della storia medievale italiana, anche attraverso la pubblicazione delle fonti.
Il secondo è costituito come fondazione vigilata dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, derivante dalla trasformazione di un soggetto pubblico preesistente, attiva nell'organizzazione di convegni, seminari e pubblicazioni relativi alla storia europea dei primi secoli del medioevo e all'archeologia medievale.
La SISMEL è un'associazione nata tra gli studiosi italiani e stranieri della materia, che ha costituito un centro di ricerca internazionale e promuove e realizza una vasta serie di attività e pubblicazioni sulla produzione letteraria latina medievale.
L'ultimo, infine, è una fondazione privata che - in coordinamento con la stessa SISMEL - promuove, in particolare, gli studi bibliografici ed eroga borse di studio per la specializzazione di giovani ricercatori.
La proposta di legge copre così un intero settore disciplinare, che - come dimostra la relazione scritta della Commissione - ha una posizione rilevante nella ricerca universitaria italiana di carattere storico-umanistico e nella sua proiezione internazionale.
Oltre ciò, affronta alcuni nodi organizzativi, sia relativamente al controllo sull'utilizzazione dei contributi, sia per il coordinamento delle attività delle istituzioni interessate, con un meritorio sforzo di uniformità e di razionalizzazione, assicurando - pur nel doveroso rispetto dell'autonomia delle istituzioni medesime - che all'impegno finanziario dello Stato corrispondano l'efficienza nell'utilizzazione e la responsabilità circa i risultati da parte dei destinatari delle somme disposte.
Secondo gli stessi princìpi, infine, è regolato il funzionamento dell'Edizione nazionale dei testi mediolatini d'Italia: un'iniziativa che dovrà consentire, nel tempo, la formazione di un autorevole corpus di edizioni delle opere latine medievali, tra cui si annoverano testi importantissimi nello sviluppo della cultura europea.
L'entità del contributo è limitata all'essenziale, sia perché lo impongono le condizioni della finanza pubblica, sia perché il contributo statale deve costituire una base, alla quale ciascuna istituzione, secondo le proprie esigenze e capacità, aggiungerà i fondi che sarà in grado di attrarre da soggetti pubblici e privati mediante accordi e prestazioni specifiche. A questo riguardo, sarebbe importante la partecipazione a progetti di ricerca e valorizzazione delle tradizioni locali, promossi dagli enti territoriali, cui le istituzioni di ricerca interessate potrebbero conferire un qualificato apporto di conoscenze specifiche, organizzando la partecipazione degli studiosi di volta in volta più competenti nell'àmbito della comunità scientifica italiana e internazionale.
Tra le attività rientrano corsi di formazione superiore, convegni e seminari di studio, corsi per lo sviluppo e l'impiego di applicazioni informatiche negli studi umanistici, con l'erogazione di borse di studio Pag. 92in favore di giovani studiosi italiani e stranieri. Inoltre, la SISMEL dispone di una propria casa editrice. Oltre alla pubblicazione del bollettino Medioevo latino , si ricordano, in particolare: la gestione della Biblioteca di cultura medievale, unitamente alla Fondazione Ezio Franceschini; l'organizzazione di un corso triennale di perfezionamento post-universitario in filologia e letteratura latina medievale; l'apertura del portale per la ricerca bibliografica denominato Mirabile - Archivio digitale della cultura latina medievale. La Biblioteca, costituita dal patrimonio librario della SISMEL e della Fondazione Ezio Franceschini, ha sede in Firenze, presso la Certosa del Galluzzo, ed è specializzata per lo studio delle discipline, delle istituzioni, della filologia e dei generi letterari dei secoli VI-XVI.
La Biblioteca dispone attualmente di circa 152.000 unità bibliografiche tra volumi, opuscoli, riviste, microfilm e CD-ROM. Possiede 890 testate di riviste, circa 4000 microfilm di codici medievali, più di 100 CD-ROM di argomento medioevalistico, circa 800 volumi precedenti il 1830, tra cui 169 cinquecentine e 13 incunaboli.
La Fondazione Ezio Franceschini ha avuto un rapporto di stretta collaborazione con la Società Internazionale per lo studio del Medioevo latino (SISMEL) sin dal primo anno della sua costituzione, che risale ufficialmente al 1987.
Il provvedimento in esame pienamente condiviso dalla Lega Nord, ci porta inevitabilmente a fare un breve e significativo excursus storico del periodo medievale.
L'Impero romano aveva unito civiltà e popoli diversi nel segno di un'autorità riconosciuta: secoli di guerre e di conquiste avevano creato un'entità territoriale amplissima, comprendente gran parte dell'Europa, dell'Africa settentrionale e del Medi Oriente, sottoposta alla sovranità di Roma. Tale territorio, diviso in una molteplicità di culture, di religioni e di lingue, era unificato dall'organizzazione amministrativa, politica e giuridica romana e dall'impiego di un'unica lingua, usata in tutte le province romane: la lingua latina.
Con la crisi dell'impero romano, perciò, si sgretola non solo un solido organismo statale, ma anche l'unità linguistica incentrata sul latino che, soprattutto nei documenti scritti, costituiva la lingua ufficiale dell'Impero. Per questo si fa convenzionalmente coincidere con la cosiddetta caduta dell'Impero romano d'Occidente la nascita di una nuova fase storica, di durata millenaria: il Medioevo.
Le migrazioni di popolazioni germaniche segnano il passaggio di un'epoca e molti scrittori percepiscono con chiarezza che il mondo sta mutando. Comincia a delinearsi così uno dei caratteri fondamentali della storia della cultura occidentale: la mescolanza delle etnie e, di conseguenza, differenze e conflitti culturali. Lo scenario è quello di un'Europa percorsa da ondate migratorie, dove ai Celti, ai Germani, ai Gallo-Romani, agli Anglo-Romani, agli Italo-Germani, agli Ibero-Romani, agli Ebrei si mescolano i Normanni, gli Slavi, gli Ungari e gli Arabi. Pur nella rete intricata di questi spostamenti, l'Europa medievale mantiene l'impronta marcatamente mediterranea propria dell'impero romano da cui essa deriva; il rapporto con l'Oriente, con Bisanzio, con gli Arabi è assai intenso al di là delle fratture politiche e delle guerre territoriali e la cultura islamica è fortemente presente nella cultura e nella letteratura medievali, specie nei territori di confine, come la Spagna e l'Italia meridionale.
Gli avvenimenti storici che coinvolgono il territorio europeo sono di tale portata da incidere profondamente sull'immaginario e sull'evoluzione culturale e per questo occorre fermarsi sui momenti più significativi di questa fase storica.
È con l'arrivo dei Goti di Teodorico che nella penisola italiana avviene il primo drammatico confronto tra la cultura classica e il nuovo mondo germanico. A subire le conseguenze di un passaggio epocale sono i due maggiori intellettuali della corte del re goto: Anicio Manlio Severino Boezio (480 ca.-526 ca.) e Flavio Magno Aurelio Cassiodoro (490 circa-583 ca). Boezio e Cassiodoro tentano di conservare l'eredità classica, ancorandola al mondo germanico, Pag. 93senza essere però compresi dall'élite culturale germanica, che si sente minacciata invece dalla rievocazione e dalla riabilitazione del passato romano; per questa ragione Boezio verrà messo a morte dallo stesso Teodorico, mentre Cassiodoro sarà costretto a ritirarsi in Calabria, a Vivarium, dove fonderà un centro di studi. In seguito la cultura medievale sarà debitrice di questi due grandi intellettuali, sia per la riflessione filosofica, sia per lo sforzo di ripensare il mondo classico in rapporto al mondo cristiano.
Ma questo è solo l'inizio di un lungo processo di assimilazione tra culture diverse, che darà vita a nuove (e differenti) letterature nazionali in lingua volgare (in Francia, Italia, Spagna e Germania) e a una cultura europea unitaria, mediolatina e cristiana insieme, in grado di riorganizzare - al di là dei confini nazionali - un sapere antico in relazione alle nuove esigenze spirituali del cristianesimo.
Sono gli stessi avvenimenti storici a contribuire a un complesso processo di integrazione tra la presenza delle popolazioni germaniche, il perdurare della cultura romana e l'affermarsi del pensiero cristiano.
La dominazione longobarda crea una nuova convivenza tra il nuovo popolo germanico e i latini, sotto il controllo costante della Chiesa, avviando una nuova trasformazione culturale.
Tra l'VIII e il X secolo una nuova e potente dinastia germanica conquista gran parte dell'Europa occidentale: i Franchi. Sotto l'autorità del loro re Carlo Magno (768-814) si viene formando una nuova entità politica indipendente, ormai, dall'impero bizantino e contrapposta al mondo islamico: l'impero carolingio.
Con il grande movimento di riforma religiosa e culturale, promosso dallo stesso imperatore, comincia a delinearsi una rinnovata identità europea, che si riconosce, in primo luogo, nel cristianesimo cattolico, di cui i Franchi, fra tutti i popoli germanici insediatisi su territorio romano, sono i primi, veri difensori a fianco della Chiesa di Roma.Difatti, i Franchi cristianizzano altre popolazioni germaniche, controllano a est l'avanzata di Avari e Slavi e, soprattutto, bloccano l'espansione nel continente europeo degli arabi musulmani, che intorno al 700 avevano conquistato l'intera Spagna e minacciato di invadere la Francia.
Il ritratto di Carlo Magno, uscito dalla penna di Eginardo, il dotto vissuto alla sua corte, evidenzia i meriti di quello straordinario personaggio che fu Carlo Magno che non si limitano alle grandi conquiste e alla riorganizzazione politica e amministrativa di buona parte del territorio europeo. A Carlo Magno si deve, infatti, anche la prima riforma dell'istruzione medievale e la rinascita degli studi classici.
Nei primi secoli del Medioevo, successivamente alla disgregazione dell'Impero, si interrompono i normali canali di trasmissione della cultura (scuola, amministrazione, vie di comunicazione). La distruzione di molte biblioteche provoca la perdita di numerose opere classiche custodite fino a quel momento e arresta, di conseguenza, la conoscenza del passato. Diminuisce il numero di coloro che sanno leggere e scrivere e si determina una crisi dell'istruzione che raggiunge il suo culmine intorno al VI secolo.
Anche in seguito alla progressiva ruralizzazione della società, la cultura popolare diventa prevalentemente orale. Ma il fenomeno di analfabetismo non riguarda solo le masse rurali (i contadini), gli artigiani, i lavoratori delle città, ma coinvolge anche i ceti medio-alti, la cui preparazione è sempre più povera. Buona parte dell'aristocrazia laica (ossia non ecclesiastica) e del basso-clero, infatti, ha una conoscenza molto limitata del latino. È in questa fase di decadenza che si inserisce la riforma culturale di Carlo Magno, che imprime una svolta fondamentale nella storia culturale europea. In questi secoli, dunque, la cultura dell'Italia è legata all'esperienza carolingia: l'Italia, insomma, è più fruitrice che creatrice di questo rinnovamento culturale. È infatti un re germanico, per di più sostanzialmente analfabeta, a intuire la gravità delle conseguenze civili, politiche e spirituali dell'arretramento culturale di questi secoli. Pag. 94Carlo Magno comprende che la decadenza dei saperi avrebbe minato nel tempo la solidità del suo vasto impero. Decide, così, di promuovere una politica di rinnovamento scolastico e una riforma della Chiesa, che divengono i capisaldi della formazione della cultura medievale.
La riforma carolingia poggia su un principio di fondo: la sacralità della politica. Carlo Magno è convinto che spetti al re la guida del popolo, e quindi anche della Chiesa e della cultura, verso la salvezza. E lo stretto legame tra fede cristiana, formazione culturale e azione politica è alla base anche della sua riforma scolastica. Per questo si patrocina lo studio dei testi letterari latini attraverso una accurata rilettura cristiana, in un lingua latina, parlata nell'ampio territorio romanizzato, sotto la pressione di tante parlate diverse, comincia gradualmente a modificarsi.
Per diffondere il sapere al di fuori delle mu monastiche e unificare sotto la sua autorità l'insegnamento, Carlo Magno mobilita le migliori forze intellettuali del tempo. Riunisce a corte un gruppo di intellettuali, di provenienze diverse, per formare una classe dirigente colta e istruita: l'anglosassone Alcuino di York (735-804), gli irlandesi Dungal e Clemens, lo spagnolo Teodulfo, i chierici italiani Pietro da Pisa, Paolo Diacono, Paolino d'Aquileia, tutti uomini di Chiesa provenienti dai maggiori centri monastici europei. Uomini di etnie diverse (visigoti, irlandesi, anglosassoni, celti, gallo-romani, germani) confluiscono alla corte carolingia in nome di un patrimonio comune da salvare e da tramandare.
Con questo gruppo di intellettuali (che oggi diremmo internazionale) Carlo Magno fonda una scuola di palazzo, estesa anche ai laici della corte e promuove un circolo letterario che favorisce lo studio degli autori classici e che si occupa anche di realizzare programmi politici e religiosi ben definiti (tra le altre iniziative, ricordiamo la formazione dei quadri dell'impero, l'unificazione della liturgia, la redazione e la revisione di testi ufficiali). Vi si formano i maestri che, andando a ricoprire il ruolo di caposcuola in molti centri monastici ed episcopali, renderanno capillare la rinascita degli studi e la riforma scolastica. Tra tutti si distingue l'inglese Alcuino di York, che diventerà presto il consigliere più ascoltato e insieme il maestro di Carlo Magno, dispiegando una notevole attività di rinnovamento degli studi all'interno della corte e fuori di essa. Egli fonda, per l'appunto, l'abbazia di Tours, in cui apre una scuola degna di ospitare i maggiori maestri dell'impero.
Tra il 600 d.C. e l'anno Mille l'Europa conosce una grande trasformazione linguistica. Con l'affermazione dei regni romano-barbarici si creano infatti nuove frontiere, che accentuano le differenze etniche preesistenti, e la lingua latina, parlata nell'ampio territorio romanizzato, sotto la pressione di tante parlate diverse, comincia gradualmente a modificarsi.
A partire dal 600 d.C., e per quasi due secoli (VI-VIII secc. d.C.), si apre così un periodo di transizione in cui si compie una sostanziale rottura tra il latino letterario o scritto, praticato da una ristretta cerchia di uomini colti, e il latino parlato, ossia la lingua d'uso corrente, strumento quotidiano di comunicazione per la maggioranza degli abitanti dell'Impero.
Questa prima divaricazione tra latino volgare (o parlato) e latino classico (o scritto) è la premessa allo sviluppo delle future lingue romanze.
Dal VI secolo fino almeno al XII secolo, la cultura scritta proviene dai chierici e dai sapienti cristiani: è la cultura mediolatina, infatti, a lasciare in questi secoli una copiosa, complessa e articolata testimonianza scritta.
La Chiesa ha una funzione centrale nella storia della nostra letteratura: per mezzo delle nuove istituzioni ecclesiastiche radicate nel territorio, come le abbazie e i monasteri, per un verso promuove la cultura e, per un altro, si apre alla realtà popolare e contadina, mantenendo un rapporto solidale con la massa dei fedeli. E da Assisi proviene il più antico componimento poetico in volgare, diretto a un pubblico «umile» e cristiano: è il Cantico delle creature, la prima poesia del territorio Pag. 95italiano di cui si conosca l'autore, Francesco d'Assisi, e la data di composizione (ca. 1224-26).
L'ingresso delle prime prove scritte in volgare non produce affatto la morte del latino, ma segna piuttosto una separazione marcata tra un nuovo tipo di latino (il latino medioevale o mediolatino), ancora vivo tra gli uomini di cultura, e le lingue volgari, parlate dal vulgus, cioè dal popolo.
Il latino medievale, insomma, resta una lingua universale, in cui persino la classe dirigente franca (e quindi la classe dirigente di un popolo germanico) sceglie di esprimersi nei documenti ufficiali. È, in definitiva, la lingua del cristianesimo, fattore primo di coesione tra gli uomini di Chiesa in Europa e strumento linguistico principale di tutta la cultura medievale. Infine è la lingua comune e unitaria in cui si esprimono i letterati di ogni parte d'Europa, che con le loro opere di filosofia, di teologia, di scienza, di giurisprudenza pongono i fondamenti della cultura "mediolatina" (cioè medievale e latina). D'altra parte anche i primi testi scritti in volgare delle letterature romanze sono strettamente connessi alla cultura mediolatina, poiché sulla loro stesura agisce il modello linguistico del latino classico, studiato e praticato dalle stesse classi colte, che scrivono i testi.
La cultura scritta dell'Alto Medioevo, quindi, si forma e si sviluppa sull'eredità della lingua di Roma e sulla nuova lingua latina del cristianesimo, della Bibbia, della Chiesa e di tutti gli autori (auctores) di epoca classica e medievale, che contribuiscono a formare un robusto paradigma culturale, alla base di tutto il mondo europeo.
In particolare, nella nostra penisola la convivenza tra mondo mediolatino e mondo volgare produce un marcato bilinguismo (tra la lingua latina e la lingua volgare), che caratterizzerà la produzione letteraria italiana fino almeno a tutto il 1500.
Tra il V e il VII secolo, tra aspri rifiuti e illuminate aperture, si fissa il canone degli autori «classici», ossia il quadro degli autori da imitare: Virgilio per la poesia epica, Orazio per la satirica, Terenzio per la comica, Lucano per la storica, Ovidio per la lirica e Cicerone per la prosa.
Risulta dunque evidente che gli uomini di cultura del Medioevo si trovano in una situazione al tempo stesso di dipendenza e di autonomia rispetto al passato. Questa situazione è ben definita da una celebre similitudine di Bernardo di Chartres, tramandata da Giovanni di Salisbury nel suo Metalogicon: «Diceva Bernardo di Chartres che noi siamo come nani che stanno issati sulle spalle di giganti, così che possiamo vedere di più e più lontano di loro, ma non certo per l'acutezza della nostra vista e neppure per l'altezza del corpo, ma perché siamo sollevati ed elevati dall'altezza del gigante». Bernardo voleva dire che il dotto medievale si sentiva debitore, sebbene cristiano, della sapienza antica.
La letteratura mediolatina è, dunque, una letteratura fondamentalmente dotta, che si pratica lontano dal popolo e che ha bisogno di modelli con cui dialogare. Per questo i tratti fondamentali non solo della cultura ma anche dell'istruzione nel Medioevo risalgono all'antichità greca e latina. Lo stesso insegnamento medievale richiede, infatti, studi detti «liberali», perché non tendono al guadagno e si addicono perciò a un uomo «libero», non obbligato a lavorare per vivere.
I monaci, dunque, durante tutto il Medioevo hanno un ruolo fondamentale nella vita sociale e culturale tra il V e l'VIII secolo (dalla caduta dell'Impero romano d'Occidente al regno di Carlo Magno), quando si formano le fondamenta della cultura medievale europea.
L'Italia è la culla di un'esperienza fondamentale per la cultura europea: quella promossa da San Benedetto da Norcia (480-549), che nel 530 fonda in Italia il primo monastero dell'ordine: l'abbazia di Montecassino.
Risale a questo stesso periodo un altro centro molto vitale in Italia: lo scriptorium organizzato da Cassiodoro a Vivarium in Calabria verso il 555, scomparso però con la morte del suo fondatore. Pag. 96
I monasteri benedettini, maschili e femminili, si moltiplicheranno rapidamente sia in Italia che in Europa, diventando centri importantissimi per la trasmissione della cultura. Di derivazione benedettina sono anche i celebri monasteri francesi di Cluny e di Citeaux (fondato da Bernardo di Chiaravalle), che diedero vita a loro volta agli ordini rispettivamente cluniacense e cistercense.
Nel vasto territorio dell'Impero romano d'Oriente e d'Occidente dai primi secoli del Medioevo alla fine del X secolo si sviluppa una produzione architettonica, scultorea e pittorica che viene definita «paleocristiana», perché esprime la spiritualità cristiana delle origini (paleo vale infatti «antico»).
Le opere artistiche di questo periodo nascono con uno scopo essenzialmente morale e didascalico: come avviene anche nella coeva produzione letteraria in lingua latina dei primi pensatori cristiani (Agostino, Girolamo, Boezio e Cassiodoro), anche nell'espressione artistica, figurale e architettonica si avverte il forte e schietto impegno spirituale nel diffondere il pensiero cristiano. Negli affreschi delle catacombe (i primi cimiteri cristiani), nelle miniature dei manoscritti si esprime la tendenza a spiritualizzare la realtà con il ricorso a una rappresentazione piatta e incorporea. Inoltre i soggetti sono prevalentemente tratti dalla Bibbia: le scene vengono proposte mediante uno stile semplice e diretto, che illustra come in un racconto la successione degli avvenimenti trattati. Da questo punto di vista lo scarto rispetto all'arte classica è netto: per gli antichi l'opera d'arte poteva avere un valore solamente estetico, mentre per i cristiani essa diventa uno strumento per interpretare e affermare il pensiero cristiano. Tuttavia esattamente come avviene nella letteratura mediolatina e nelle riflessioni dei Padri della Chiesa, l'arte classica non viene cancellata, in quanto arte pagana. Viene, anzi, rimodellata e adoprata per esprimere il nuovo immaginario cristiano.
Anche Teodorico, il re dei Goti (493-526), rilancia l'ideale artistico tardo-antico, unito alla conservazione di alcuni elementi dell'arte germanica, come si può notare nell'edificazione del proprio Mausoleo, ispirato ai mausolei romani ma con forti influenze barbariche. Inoltre tra VI e VII secolo si datano alcuni celebri mosaici ravennati come l'Apoteosi della corte di Bisanzio in San Vitale e la Trasfigurazione in Sant'Apollinare in Classe.
Alla luce dei sopra citati riferimenti storici, concludo affermando che non dobbiamo interpretare il medioevo in termini etnici e nazionali, considerando successivamente la fede religiosa e la lingua delle popolazioni autoctone o immigrate in una visione della storia che abbiamo ereditato dall'epoca romantica. La tarda antichità e il medioevo ci mostrano, infatti, come l'appartenenza etnica fosse secondaria rispetto all'eredità del mondo antico, in particolare nei confronti della fede religiosa e della sua pratica, che, in forme diverse in Occidente e in Oriente, appaiono strettamente connesse alla lingua del culto e della cultura.
Tornando al provvedimento l'istruttoria svolta ha accertato la qualificazione delle istituzioni destinatarie del provvedimento, verificato la loro produzione scientifica, individuato le specifiche esigenze del settore disciplinare, elaborato le conseguenti misure.
Quest'attento lavoro preliminare, il cui merito va riconosciuto alla Commissione e, in particolare, al relatore, ha permesso di creare le condizioni tecniche e politiche per un risultato largamente apprezzato, che ha trovato anche l'assenso del Governo. Ritengo quindi che esistano adesso tutti i presupposti affinché l'Assemblea condivida e approvi il testo oggi in esame.

MARIA COSCIA. Signor Presidente, colleghi, sottosegretario Giro, la proposta di legge che stiamo esaminando e cioè quella relativa alla «Concessione di contributi per il finanziamento di attività di ricerca sulla cultura latina del medioevo europeo» di cui è primo firmatario l'onorevole Barbieri è una proposta di legge che inizialmente prevedeva la concessione di finanziamenti ad un solo ente e che, invece Pag. 97grazie alle nostre proposte è stata modificata e ampliata in VII Commissione.
Tuttavia si tratta di un provvedimento che riguarda uno specifico settore e che non fa venir meno la nostra critica radicale all'assoluta mancanza di strategia e di politiche da parte del Governo sulla cultura e in particolare sul sostegno agli enti culturali del nostro paese. Anzi, questo Governo ce l'ha messa propria tutta per attaccare le fondamenta del nostro sistema culturale, dei nostri enti e beni culturali che rappresentano la storia, la memoria, l'identità, il futuro e, dunque, una ricchezza straordinaria per il nostro Paese.
Signor Presidente, mi permetta di ricordare anche in questa occasione ciò che l'onorevole Walter Veltroni ha avuto modo di sottolineare in quest'aula e cioè che la cultura si respira, è come l'aria e dalla qualità di quest'aria dipende la qualità della vita di un Paese.
Invece, il Governo continua a perseguire una linea che produce una sorta di annichilimento della nostra cultura attraverso interventi che non solo non hanno una strategia di crescita, ma neanche una strategia di mantenimento. L'unica strategia adottata è quella dei tagli indiscriminati e del disfacimento, che trova nell'uso dei proclami, degli spot, la strada maestra seguita a tutt'oggi e che anche qui, con questa proposta, viene reiterata. Noi continuamente cerchiamo, tentiamo di promuovere un cambiamento e, responsabilmente come opposizione, avanziamo proposte, suggeriamo modifiche anche per correggere un provvedimento così specifico come è questa proposta di legge.
Anche in questo caso ci troviamo, dunque, innanzi allo stesso format come sopra detto ma con alcune eccezioni per le quali abbiamo cercato di portare il nostro contributo, non solo di competenza ma anche di buon senso, come sempre in questi due anni e mezzo, per riuscire a fare qualche cosa di comunque valido e che non solo tutelasse la nostra cultura ma che in un certo qual modo la aiutasse a crescere.
La presente proposta di legge nel testo elaborato e approvato dalla VII Commissione il 2 dicembre 2010, è l'ennesimo nostro tentativo in questo senso. La legge infatti è volta a sostenere la ricerca sulla storia e sulla cultura del medioevo italiano ed europeo.
Nello studio delle discipline medioevalistiche, l'Italia ha meritato una posizione di primo piano, collocandosi a fianco di Paesi - come la Germania e la Francia - che vantano in questo settore istituzioni pubbliche di ricerca dotate di mezzi finanziari ben più cospicui.
È un intero settore di studi che la presente proposta di legge intende sostenere, sia sul piano economico, sia attraverso misure organizzative e di promozione della ricerca.
Il provvedimento intende dare riconoscimento alle capacità e alla passione di studiosi, anche giovani, che hanno lavorato e lavorano per costruire e consolidare questa posizione di eccellenza a livello internazionale.
Nella prima versione incardinata presso la VII commissione della proposta presentata dalla maggioranza, l'unico ente che era stato inserito era il Sismel, poi, a seguito del nostro intervento, sono state introdotte anche le altre istituzioni culturali.
Di fatto abbiamo operato in modo che nella legge siano presenti almeno le maggiori realtà italiane che studiano il medioevo a livello internazionale
Infatti gli articoli 1, 2 e 3 prevedono il conferimento di contributi annui alle quattro principali istituzioni italiane, pubbliche e private, operanti nell'ambito degli studi medievali.
In particolare, l'articolo 1 riguarda la Società internazionale per lo studio del medioevo latino (SISMEL) e la Fondazione Ezio Franceschini, attive da oltre trent'anni nel settore della ricerca filologica e bibliografica sul medioevo latino europeo.
La SISMEL è infatti un'associazione senza scopo di lucro, costituita su iniziativa di Claudio Leonardi, eminente studioso della cultura e della spiritualità medievali, scomparso nel maggio di quest'anno. Essa è composta da studiosi italiani e stranieri delle discipline medioevalistiche Pag. 98e opera soprattutto nei campi della storia letteraria e culturale e della documentazione Bibliografica.
La Fondazione Ezio Franceschini - intitolata allo studioso che si può considerare il fondatore degli studi di letteratura latina medievale nell'università italiana, essendone stato il primo docente di ruolo presso l'università cattolica di Milano dal 1939 al 1976 - è stata riconosciuta con decreto del Presidente della Repubblica 17 aprile 1990. Essa promuove gli studi sulla civiltà medievale, latina e volgare (in questo settore, ha acquisito e conserva fra l'altro la biblioteca e l'archivio di Gianfranco Contini), anche attraverso convenzioni e rapporti di collaborazione con altri istituti scientifici italiani ed esteri.
L'articolo 2 riguarda l'Istituto Storico Italiano per il Medio Evo (ISIME), ente pubblico istituito nel 1883, attualmente sottoposto alla vigilanza del Ministero per i beni e le attività culturali. Alle collane editoriali, attraverso le quali esso svolge il compito istituzionale di pubblicare le fonti relative alla storia d'Italia, si sono aggiunti nel tempo altri importanti strumenti di ricerca storica, tra cui la pubblicazione del «Bullettino» ed il grandioso Repertorium fontium historiae medii aevi, opera recentemente portata a compimento con il concorso di studiosi italiani e stranieri, riuniti in una trentina di comitati nazionali. L'Istituto possiede una biblioteca specializzata di oltre 100.000 volumi, aperta agli studiosi; presso di esso è altresì istituita la Scuola nazionale per la ricerca e lo studio delle fonti per la storia d'Italia e la loro pubblicazione.
L'articolo 3 riguarda la Fondazione Centro Italiano di Studi sull'Alto Medioevo (CISAM). Il Centro italiano di studi sull'alto medioevo è stato fondato nel 1952 per iniziativa di Giuseppe Ermini, poi costituito come ente di diritto pubblico con legge 20 dicembre 1957, n. 1232, e ora trasformato in fondazione ai sensi del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 419.
Esso promuove convegni annuali e studi interdisciplinari sulla storia e sulla cultura dell'alto medioevo (secoli V-XI). Accanto alla tradizionale attività nello studio delle fonti e della storia istituzionale, ha sviluppato recentemente un nuovo impegno nel campo dell'archeologia medievale.
Sia l'ISIME sia il CISAM intrattengono importanti e fruttuosi rapporti di collaborazione scientifica con analoghe istituzioni straniere e con gli organismi internazionali di promozione e coordinamento della ricerca storica. L'organizzazione delle attività sopra descritte, richiede una programmazione di lungo periodo. A questo fine, i tre articoli attribuiscono ai suddetti enti contributi annui destinati esclusivamente allo svolgimento dell'attività istituzionale e soggetti a rendiconto.
Per analoghe finalità, l'articolo 4 istituisce l'Edizione Nazionale dei Testi Mediolatini d'Italia (ENTMI), nella quale dovranno essere pubblicate le principali opere latine composte in Italia tra il V e il XV secolo.
Essa succederà all'esistente Edizione Nazionale dei Testi Mediolatini, istituita con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali 16 gennaio 2001, che in dieci anni ha già pubblicato venticinque opere per complessivi ventotto volumi.
L'articolo 5 determina la copertura finanziaria del provvedimento, mediante l'utilizzazione del fondo speciale di parte corrente a decorrere dall'anno 2012. Di grande importanza è, infine, la disposizione contenuta nell'articolo 6, volta ad assicurare il coordinamento delle attività di ricerca e a promuovere la massima efficienza nell'impiego delle risorse pubbliche destinate a questo scopo, evitando duplicazioni e realizzando le più utili sinergie. L'articolo prevede che gli enti e le istituzioni destinatarie dei contributi di cui al presente provvedimento adottino, secondo princìpi di leale cooperazione, le opportune forme di consultazione, di programmazione e di collaborazione, anche sulla base di convenzioni eventualmente stipulate fra essi e con altri soggetti pubblici o privati, italiani e stranieri.
La Commissione ha svolto un'approfondita istruttoria legislativa, acquisendo la documentazione relativa all'attività degli Pag. 99enti e delle istituzioni interessate e alle loro pubblicazioni e, in particolare, procedendo, il 20 maggio 2010, all'audizione dei loro rappresentanti.
A seguito di ciò è stato adottato, il 29 luglio 2010, il testo predisposto all'unanimità dal comitato ristretto nominato il 16 giugno 2010. Nella seduta del 12 ottobre 2010 la Commissione, sulla richiesta di tutti i rappresentanti dei gruppi, aveva chiesto il trasferimento alla sede legislativa, che tuttavia non ha avuto l'assenso del Governo, il quale pure si era espresso positivamente sul contenuto della proposta, sia durante l'esame in Commissione, sia presso la Commissione bilancio relativamente agli aspetti di copertura finanziaria. Questa circostanza e' stata da noi stigmatizzata anche in commissione, visto che l'accordo e la condivisione della stesura della norma, avrebbe dovuto impegnare il Governo a concedere, come già assicurato, la legislativa in Commissione.
Non c'era davvero bisogno di arrivare in aula. Ma forse si è voluto enfatizzare oltre misura un provvedimento così specifico in un momento in cui il tema della cultura è tornato di attualità dopo che il Ministro, la scorsa settimana, ha ottenuto una fiducia non per quello che è stato capace di fare, o meglio non è stato capace di fare, ma solo per ragioni politiche più generali. Probabilmente occorreva anche dare un minimo di senso ai lavori dell'aula con qualche proposta di legge già istruita, visto che tutte le proposte di legge, presentate tanto da deputati della maggioranza, quanto dell'opposizione, che potrebbero essere di contro calendarizzate e che riguardano la vita vera, reale, concreta degli italiani giacciono invece inascoltate e non considerate da un Governo che non riesce a fare scelte utili per il paese reale.
E questo è cosi vero che persino in questa semplice legge troviamo l'inghippo che ci riporta alla sola politica che questo Governo sa costruire, quella dei proclami e dei tagli, infatti tutti i fondi previsti per le istituzioni sopra descritte saranno disponibili solo dal 2012. Noi riteniamo che questo non sia corretto anche perché alcune istituzioni se non riceveranno subito nuove disponibilità non potranno nemmeno pagare i dipendenti.
A questo proposito non possiamo fare a meno di ricordare che l'articolo 7, comma 24, del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, ha ridotto, a decorrere dalla data della sua entrata in vigore, gli stanziamenti sui capitoli iscritti negli stati di previsione delle amministrazioni centrali vigilanti, relativi al contributo dello Stato a enti, istituti, fondazioni e altri organismi per una quota pari al 50 per cento delle dotazioni dell'anno 2009.
La stessa disposizione ha, altresì, previsto che, i Ministri competenti, entro 60 giorni, stabilissero con decreto il riparto delle risorse rimaste disponibili nei citati capitoli. Tra le istituzioni taglieggiate vi sono enti molto importanti che rappresentano la cultura e la storia del nostro Paese.
Si tratta di istituzioni varie che si occupano di molti ambiti.
Tra questi basti ricordare alcune come Italia Nostra, il FAI, la Fondazione Rossini, la Fondazione Festival Pucciniano, il Museo storico della liberazione di via Tasso qui a Roma, la Fondazione Basso, l'Istituto Sturzo, l'Accademia nazionale di Santa Cecilia, la Società italiana geografica.
Nei confronti di queste istituzioni, signor Presidente, si potrebbe dire che il Governo in carica si è accanito con metodo scientifico. Vi sono prove evidenti che, sin dall'inizio della legislatura, con le diverse leggi finanziarie, i fondi destinati a queste istituzioni sono stati dimezzati sistematicamente. Ora, evidentemente, l'obiettivo del Governo, e' quello di chiudere quei luoghi di ricerca e di studio, di approfondimento libero e autonomo, ritenuti inutili zavorre oppure improduttive istituzioni, andando a realizzare la propria strategia di disfacimento. Credo che questa sia una politica assolutamente miope e irresponsabile, ma è altresì la manifestazione plastica di un Governo che non è in grado - perché non ne ha la volontà - di tutelare il patrimonio culturale, di promuovere Pag. 100la cultura, e in questo modo di incrementare il grado di civiltà e di progresso civile del nostro Paese.
Proprio per questo, visto che la normativa che dovrebbe individuare le nuove modalità per l'erogazione dei contributi finanziari dovuti non è stata ancora emanata - si è di fronte all'ennesimo vuoto legislativo, dove l'unica notizia certa per gli enti interessati è l'ulteriore decurtazione di risorse.
Si sta procedendo quindi con tagli indiscriminati che non aiutano il nostro paese ad uscire dalla crisi e a promuovere una nuova crescita.
Noi pensiamo che per il futuro del nostro paese sia necessario tagliare la spesa laddove ci sono sprechi e inefficienze e che invece occorra investire nei settori che possono promuovere una crescita e un nuovo ed equilibrato sviluppo, e che per fare questo sia necessario puntare sui punti di forza del nostro paese come la cultura, l'ambiente, la ricerca, l'innovazione, e dunque sulla formazione e sulla società della conoscenza. Il Governo, viceversa, ha fatto tanta propaganda su dei provvedimenti legislativi, chiamati impropriamente riforme, come sulla scuola e sull'università finalizzati esclusivamente a giustificare i tagli e ad umiliare la cultura, la ricerca,la scuola e l'università, senza affrontare con rigore e risolvere efficacemente i veri punti critici con i tagli agli enti di ricerca.
In questo quadro, è particolarmente grave la scelta di non investire anzi di tagliare e quasi azzerare la spesa nel campo della cultura, come lo stesso Ministro Bondi ha ammesso, che scende al di sotto dello 0,3 per cento del prodotto interno lordo a fronte di Paesi europei che investono quanto meno l'uno per cento.
Siamo al disfacimento di una ricchezza senza pari al mondo perché l'Italia possiede ben il 52 per cento del patrimonio artistico mondiale, secondo i dati dell'UNESCO. Altri Paesi, con molto meno, fanno molto di più, consapevoli che la cultura è non solo un volano di crescita civile e umana, del quale sembra che il Governo non abbia assolutamente coscienza, ma che la cultura è l'Anima di un Paese.
La cultura è socialità, la cultura è bellezza, la cultura è ricerca della verità, guai ad un popolo che smette di cercare. Per concludere, signor Presidente, voglio ancora sperare che sia possibile cambiare le politiche fin qui perseguite e mi appello al Governo e alla maggioranza affinché riflettano, ripensino criticamente alle scelte fatte. Mi auguro che sia ancora possibile una inversione di rotta, per il bene della cultura e del futuro del nostro paese. Un segnale utile in tale direzione sarebbe anche quello di accogliere i nostri emendamenti su questo provvedimento che riguarda un settore specifico della ricerca culturale e che, dunque, non dà risposte all'insieme delle realtà della ricerca culturale del nostro paese. In particolare proponiamo un emendamento che prevede di ripristinare i contributi a tutte le istituzioni, gli enti e gli organismi culturali e organismi così come erogati fino all'anno 2009. Si tratta, dunque, di dare un segnale importante alla ricerca culturale nel nostro paese che non inciderà in modo significativo sul bilancio dello Stato e potrà dare un po' di ossigeno alla cultura del nostro Paese.

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ORGANIZZAZIONE DEI TEMPI DI ESAME DEL DOC. IV, N. 13-BIS

Doc. IV, n. 13-bis - Domanda di autorizzazione ad eseguire perquisizioni domiciliari nei confronti del deputato Berlusconi

Tempo complessivo: 4 ore.

Relatore per la maggioranza 15 minuti
Relatori di minoranza 15 minuti
Richiami al Regolamento 5 minuti
Tempi tecnici 5 minuti
Interventi a titolo personale 35 minuti (con il limite massimo di 5 minuti per il complesso degli interventi di ciascun deputato)
Gruppi 2 ore e 35 minuti
Popolo della Libertà 38 minuti
Partito Democratico 35 minuti
Lega Nord Padania 17 minuti
Unione di Centro 14 minuti
Futuro e Libertà per l'Italia 14 minuti
Italia dei Valori 13 minuti
Iniziativa Responsabile 13 minuti
Misto: 11 minuti
Alleanza per l'Italia 4 minuti
Movimento per le Autonomie - Alleati per il Sud 3 minuti
Liberal Democratici - MAIE 2 minuti
Minoranze linguistiche 2 minuti

Al gruppo di appartenenza del deputato interessato si aggiungono 10 minuti ulteriori, già inclusi nel computo del tempo complessivo.