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Resoconto dell'Assemblea

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XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 418 di lunedì 17 gennaio 2011

Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ANTONIO LEONE

La seduta comincia alle 16,05.

GREGORIO FONTANA, Segretario, legge il processo verbale della seduta dell'11 gennaio 2011.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Alessandri, Angelino Alfano, Berlusconi, Bocchino, Bonaiuti, Bossi, Brambilla, Brunetta, Carfagna, Casero, Cicchitto, Colucci, Cossiga, Crimi, Crosetto, D'Alema, Fitto, Franceschini, Frattini, Galati, Gelmini, Alberto Giorgetti, Giancarlo Giorgetti, Giro, La Russa, Lupi, Mantovano, Maroni, Martini, Meloni, Miccichè, Leoluca Orlando, Prestigiacomo, Ravetto, Reguzzoni, Rigoni, Roccella, Romani, Rotondi, Saglia, Stefani, Tremonti, Vito e Volontè sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente quarantasette, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Modifica nella composizione del Comitato per la legislazione.

PRESIDENTE. Comunico che, a norma dell'articolo 16-bis, comma 1, del Regolamento il Presidente della Camera ha chiamato a far parte del Comitato per la legislazione l'onorevole Antonio Distaso, in sostituzione dell'onorevole Pino Pisicchio, dimissionario.

Modifiche nella composizione del comitato direttivo di un gruppo parlamentare e affidamento dei poteri di cui all'articolo 15, comma 2, del Regolamento.

PRESIDENTE. Comunico che, con lettere pervenute in data 13 e 14 gennaio 2011, il presidente del gruppo parlamentare Popolo della Libertà ha reso noto di aver effettuato le seguenti nomine integrative degli organi direttivi del gruppo: vicepresidente vicario: Massimo Corsaro; vicepresidenti: Isabella Bertolini (che cessa dalla carica di consigliere), Salvatore Cicu, Barbara Saltamartini (che cessa dalla carica di consigliere); tesoriere: Maurizio Bernardo; vice tesoriere: Pietro Laffranco, in sostituzione del deputato Massimo Corsaro; consiglieri: Mario Baccini e Enrico Pianetta.
È stato, inoltre, affidato anche ai deputati Massimo Corsaro e Jole Santelli l'esercizio dei poteri attribuiti in caso di assenza o impedimento del presidente, secondo quanto previsto dall'articolo 15, comma 2, del Regolamento della Camera.

In morte dell'onorevole Giampaolo Nuvoli.

PRESIDENTE. Comunico che è deceduto l'onorevole Giampaolo Nuvoli, già membro della Camera dei deputati nella XII e nella XIV legislatura. Pag. 2
La Presidenza della Camera ha già fatto pervenire ai familiari le espressioni della più sentita partecipazione al loro dolore, che desidera ora rinnovare anche a nome dell'Assemblea.
Saluto gli allievi e i docenti del III circolo di Empoli (le scuole di Serravalle e Pozzale), che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).

Discussione della relazione territoriale sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti nella regione siciliana approvata dalla Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti (Doc. XXIII, n. 2) (ore 16,15).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della relazione territoriale sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti nella regione siciliana approvata dalla Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
Avverto che le eventuali risoluzioni debbono essere presentate entro il termine della discussione.

(Discussione - Doc. XXIII, n. 2)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione.
Ha facoltà di parlare il presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti, onorevole Pecorella.

GAETANO PECORELLA, Presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti. Signor Presidente, onorevoli colleghi, voglio in primo luogo esprimere la mia soddisfazione e quella di tutti i componenti la Commissione parlamentare d'inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti per l'odierno dibattito. Non è abituale che la relazione di una Commissione d'inchiesta sia oggetto di discussione presso l'aula di Montecitorio. Ringrazio per questo motivo la Presidenza della Camera e la Conferenza dei Presidenti dei gruppi parlamentari.
L'odierno dibattito dimostra l'attenzione che le istituzioni parlamentari dedicano oggi al settore dei rifiuti che, in molte regioni del Paese, a causa di una inadeguata gestione del ciclo integrato, è fonte di gravi danni per l'ambiente e di preoccupanti tensioni sociali. La Commissione, che ha iniziato la propria attività nella scorsa primavera, sta sviluppando la propria inchiesta sotto un duplice profilo: da un lato, sono in corso approfondimenti a carattere regionale (su Campania, Basilicata, Puglia, Abruzzo, Lombardia, Trentino Alto Adige, Lazio e Calabria, questi ultimi due in fase di conclusione) e, dall'altro, approfondimenti a carattere tematico (in primo luogo le questioni delle cosiddette «navi a perdere», bonifiche e dei rifiuti radioattivi). Si tratta di due segmenti che spesso presentano elementi che si intersecano tra loro e che consentono di disporre di un ampio quadro analitico sulla materia.
La relazione territoriale sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti nella regione siciliana (Doc. XXIII, n. 2), approvata all'unanimità dalla Commissione nella seduta del 20 ottobre 2010, è il frutto di un intenso lavoro iniziato nel 2009. Infatti, una delegazione della Commissione si è recata in Sicilia dal 17 al 19 settembre 2009, per approfondire la situazione della Sicilia occidentale, e dal 28 al 30 settembre 2009 per approfondire la situazione della Sicilia orientale.
Una ulteriore missione, finalizzata ad approfondire la tematica relativa alle discariche di Bellolampo e alle indagini giudiziarie in merito alla gara per la realizzazione di termovalorizzatori in Sicilia, si è svolta dall'8 al 10 giugno 2010. Nel corso di queste missioni sono state impiegate complessivamente circa 44 ore per raccogliere durante le audizioni le testimonianze delle persone che a vario Pag. 3titolo sono coinvolte nel ciclo dei rifiuti. Sono state audite 126 persone, provenienti da ambiti diversi: dalla magistratura alle forze di polizia, dalla pubblica amministrazione ai rappresentanti degli enti pubblici e della società civile.
Nel corso delle missioni sono stati inoltre effettuati dei sopralluoghi presso alcune discariche al fine di verificare in modo diretto il loro stato e la loro gestione. Sono state anche visitate alcune delle aree sulle quali era stata prevista la costruzione dei termovalorizzatori. Il lavoro è proseguito a Roma, dove sono state svolte altre sei sedute per raccogliere le informazioni necessarie al completamento dell'indagine.
Nell'archivio della Commissione sono conservate 7.730 pagine di documentazione, raccolte nel corso di questa attività di indagine, che sono state catalogate in 297 schede, di cui 27 riguardano documenti riservati o segreti. Tutti i documenti sono stati digitalizzati e sull'intero archivio è possibile effettuare ricerche testuali. Si è trattato di un'indagine oltremodo approfondita, che ha consentito alla Commissione di disporre di tutte le informazioni necessarie ai fini della predisposizione della relazione, che si caratterizza proprio per una sostanziale completezza.
A questo proposito intendo ringraziare il deputato Giovanni Fava, della Lega Nord, e il senatore Giampiero De Toni, dell'Italia dei Valori, che hanno svolto il compito di relatori in Commissione e che, con il loro serio e approfondito lavoro, hanno consentito alla Commissione stessa di approvare all'unanimità, come detto, questa relazione. Voglio ringraziare altresì tutti i collaboratori della Commissione, che hanno fornito il loro contributo determinante e, in primo luogo, la consulente dottoressa Luisa Spinelli.
La relazione in esame è dunque frutto di questa indagine a tutto campo. Ha evidenziato l'inettitudine di un sistema, fino ad oggi vigente, a gestire il ciclo dei rifiuti in sintonia con la salvaguardia degli interessi che la legge intende tutelare in materia ambientale, nonché con le direttive europee.
Dalla relazione emerge che in Sicilia vi è una drammatica carenza strutturale e impiantistica, che comporta un'esigua raccolta differenziata dei rifiuti (circa il 6-7 per cento). Di conseguenza la regione smaltisce in discarica il 93 per cento dei rifiuti prodotti, violando così apertamente i principi della normativa comunitaria in materia, che vogliono quella in discarica quale forma residuale di smaltimento.
Le discariche dislocate sul territorio siciliano sono per la maggior parte inadeguate, sia sotto il profilo dimensionale sia sotto il profilo strutturale. La situazione risulta ulteriormente aggravata dal pesante deficit finanziario degli ATO siciliani (originariamente in numero di ventisette e poi ridotti a dieci dal Governo Lombardo) e delle relative società. Tale deficit ha superato nel corso dell'anno 2010 la cifra di 800 milioni di euro, per il quale non risulta ancora essere stata efficacemente attuato un piano di risanamento.
Le carenze sul piano gestionale-amministrativo hanno rappresentato un fertile terreno di infiltrazione della criminalità organizzata e non, come emerge dai procedimenti penali in corso presso gli uffici giudiziari siciliani, che hanno riguardato sia propriamente i reati ambientali, sia reati contro la pubblica amministrazione connessi ai primi e imputati a pubblici amministratori.
Su questo punto, che rappresenta quello maggiormente significativo per le competenze della Commissione, la relazione evidenzia come la criminalità organizzata di stampo mafioso risulti essere fortemente infiltrata nel campo dei rifiuti. Allo stato attuale degli approfondimenti effettuati dalla Commissione sono emersi più livelli di inserimento della criminalità di stampo mafioso nel settore dei rifiuti: attraverso le tipiche attività estorsive, ovvero mediante l'imposizione del pizzo, ovvero di assunzione all'interno delle società che operano nel settore dei rifiuti o altresì attraverso il controllo diretto o indiretto dell'attività del settore. Non ci si riferisce solo a quelle principali, quale ad esempio la gestione di discariche, ma anche a Pag. 4quelle di tipo accessorio, come il trasporto, la fornitura di mezzi d'opera e le attività di manutenzione dei mezzi.
Si tratta - questa appena descritta - di una ricostruzione elaborata sulla base delle dichiarazioni rilasciate dai magistrati impegnati in questo settore. Bisogna dire però che i risultati conseguiti dalle forze dell'ordine e dalla magistratura in questo settore sono assolutamente rilevanti. Le attività investigative concluse e quelle ancora in corso testimoniano un'attenzione costante degli organi inquirenti rispetto ai reati ambientali e ai reati a questi connessi.
È stata altresì rilevata una serie di criticità nel sistema della prevenzione. In particolare, risultano poco incisivi i controlli finalizzati a prevenire le infiltrazioni mafiose negli appalti di maggiore entità, come emerso dall'indagine sulla gara indetta per la realizzazione di quattro termovalorizzatori, che poi non ha avuto luogo, lasciando la Sicilia in una situazione di preoccupante arretramento sotto il profilo impiantistico. La Commissione continuerà a seguire con attenzione le inchieste in corso su questa vicenda e ad approfondirne i risvolti di eventuale illegalità.
Si è poi riscontrata in molte zone della Sicilia una altrettanto preoccupante carenza di polizia giudiziaria e di magistrati, sicché spesso gli organi investigativi non sono adeguatamente attrezzati con gli uomini e i mezzi necessari per combattere il fenomeno. La Commissione non si è limitata a svolgere un'approfondita analisi della realtà siciliana, ma ha posto obiettivi precisi da raggiungere per superare la difficile situazione in cui versa il ciclo dei rifiuti, a partire dalla necessità di assicurare una normativa più rigorosa sul ciclo dei rifiuti. Va potenziato il sistema dei controlli giurisdizionali e amministrativi. Infine è necessario garantire all'autorità giudiziaria la disponibilità di tutti gli strumenti investigativi che il codice di procedura penale prevede per la ricerca della prova. Concludendo, desidero aggiungere che la settimana prossima, nella mattinata di martedì 25 gennaio, i contenuti della relazione oggi in discussione saranno oggetto di un convegno che si svolgerà a Palermo, al quale parteciperà una delegazione della Commissione. L'auspicio è che la Sicilia possa intraprendere il percorso necessario per superare la fase emergenziale in cui versa, anche alla luce del contributo di questa relazione. A questo processo devono evidentemente partecipare non solo gli interpreti direttamente interessati - la Regione siciliana in primo luogo, trattandosi di una materia di competenza regionale - ma anche chi, come lo Stato, gli enti locali e la stessa Unione europea, è in grado di svolgere un ruolo importante di sostegno, a partire dalla prevenzione e dalla repressione dei comportamenti illeciti nel ciclo dei rifiuti.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Granata. Ne ha facoltà.

BENEDETTO FABIO GRANATA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ho avuto la possibilità di approfondire una relazione che ritengo di straordinaria rilevanza, portata avanti dalla Commissione autorevolmente presieduta dall'onorevole Pecorella. Attraverso un lavoro paziente sul territorio di riscontro dei dati che sono stati raccolti, la Commissione è riuscita perfettamente nel suo compito istituzionale, cioè quello di fornire al Parlamento uno strumento di conoscenza, di approfondimento, ma anche uno strumento utilissimo per l'intervento. In questo senso, fuori da ogni retorica, voglio ringraziare il presidente, e ringrazio anche il relatore Fava che in modo particolare ha curato, insieme al presidente e ad altri membri della Commissione, un'indagine che è stata quanto mai dettagliata anche perché ha comportato una serie di trasferte sui luoghi. C'è stata, dunque, la percezione diretta di una situazione gravissima proprio perché insiste in una regione - lo dico non per spirito di parte o campanilistico - che merita ben altro rispetto ad una tutela doverosa di un enorme patrimonio ambientale, culturale e paesaggistico. Voglio ricordare i cinque siti Unesco, i 74 parchi e riserve, le cinque aree marine protette. Pag. 5Si tratta di una dimensione di patrimonio diffuso, che è anche patrimonio immateriale e materiale, che viene gravemente rovinato (in grande sintesi basta dire questo) da una gestione dei rifiuti che non può dirsi tale, ma che - come sapientemente è stato sottolineato - è stata negli anni una sorta di sistema affaristico confinante con un sistema criminale.
Rispetto a questa situazione non si può neanche parlare di ciclo dei rifiuti per il semplice fatto che non vi è alcun ciclo - così come è stato lucidamente sottolineato dai commissari - perché esiste un ciclo quando il rifiuto (così come avviene in ogni parte d'Italia e d'Europa dove esiste un meccanismo avanzato di governo delle questioni) è anche una ricchezza, produce energia, crea opportunità. Qui invece si tratta solo e semplicemente di conferimenti in discariche, gestite molto spesso attraverso procedure assai attaccabili anche dalla magistratura (cosa che regolarmente per nostra fortuna avviene), e attraverso una complicità precisa tra apparati burocratici e criminalità organizzata. Questo è il quadro che la Commissione fornisce e, purtroppo, è un quadro estremamente realistico, estremamente vicino alla realtà dei fatti. Devo dire che ci sono stati dei segnali positivi che la Commissione non ha mancato di sottolineare, come la riduzione drastica degli ATO da 27 a 9, ATO che erano diventati - cito la relazione - strumenti per gli appalti e per il clientelismo anche dei sistemi criminali, e - devo anche dire - con una fortissima compromissione di una classe politica che in questo caso non può essere definita classe dirigente.
In questo senso, la Commissione ha voluto, con forza, escludere la solita, l'ennesima dichiarazione di emergenza: perché potrebbe diventare un sistema che aggrava ulteriormente la situazione, che non va da nessuna parte e che non porta ad alcun risultato.
Vi è un dato che più di ogni altro fotografa in maniera oggettiva la situazione. Si tratta di un dato numerico e, come spesso si dice, i numeri, alla fine, sono argomenti molto testardi. Si pensi, infatti, che soltanto il 7 per cento dei rifiuti viene destinato alla raccolta differenziata, che il 93 per cento va nelle discariche e che non esistono termovalorizzatori. Ciò significa non soltanto che non esiste il ciclo dei rifiuti, ma che la situazione non può che arrivare al collasso e al definitivo «impazzimento» del sistema, senza che, in questo senso, si sia mosso un dito in direzioni diverse.
Sono state bandite gare di appalto attraverso bandi internazionali per la realizzazione di ben quattro termovalorizzatori sul territorio della regione siciliana, e sappiamo come è andata a finire: in maniera preventiva e in modo opportuno, in questo caso, la regione ha denunciato la sostanziale infiltrazione della criminalità organizzata nelle stesse gare, che sono state bloccate. Quindi, allo stato, si tratta di una situazione di vero allarme.
Ritengo che le considerazioni finali soltanto adesso espresse dal presidente, ma molto chiare da parte della Commissione, siano tali da essere condivisibili, certamente, dal nostro gruppo parlamentare, ma anche dall'intero Parlamento, per la serietà e per la precisione con cui l'analisi viene portata avanti. Quindi, in questo senso, la risoluzione che il relatore Fava, insieme al presidente Pecorella, ha già predisposto, trova il nostro assenso pieno, completo e convinto.
Vorrei sottolineare soltanto due aspetti, che servono da memoria al Parlamento e ritengo anche, in questo caso, soprattutto, all'interno della Commissione, ed anche alla ristretta ed autorevole rappresentanza parlamentare che ascolta e che segue questo dibattito.
Vi è una grande emergenza. La prima è quella di recepire, con un ritardo che è già gravissimo, come titolo del codice penale, tutta una serie di fattispecie legate a reati ambientali. È qualcosa in ordine alla quale la comunità europea, da molto tempo, sollecita la politica e il Parlamento italiano, e deve essere un impegno da parte del Governo e del Parlamento. Oggi, in Italia, non esiste il reato ambientale in quanto tale, codificato all'interno del codice. Credo che ciò rappresenti una deminutioPag. 6gravissima nella possibilità di intervento non solo repressivo, ma anche successivo, con riferimento alla commissione dei reati.
Vorrei svolgere un'ulteriore considerazione in ordine alla necessità di applicare con un rigore molto maggiore - scusate il bisticcio di parole - rispetto a ciò che avviene oggi, la normativa legata alla rimozione dei sindaci, che non muovono un dito sulla raccolta differenziata. Si tratta di una normativa esistente e poco applicata.
Assistiamo molto spesso a rimozioni di interi consigli comunali e di amministrazioni per collusione con la criminalità organizzata. Non so se esagero, ma credo che, molto spesso, gli stessi sindaci che omettono di curarsi minimamente della raccolta differenziata, lo facciano anche per finalità di confine rispetto a quelle previste dalla normativa vigente in chiave di scioglimento delle amministrazioni comunali al fine di prevenire le infiltrazioni mafiose.
Pertanto, da una parte, vi è la grande preoccupazione per il quadro disegnato dalla relazione in oggetto, ma dall'altra parte, vi è la consapevolezza piena di uno strumento utile e politicamente produttivo che la Commissione ha portato all'attenzione del Parlamento, che, con la risoluzione che ne deriverà, avrà certamente il sostegno pieno e la condivisione, oltre che un'ulteriore sottolineatura positiva del lavoro svolto, da parte del gruppo parlamentare di Futuro e Libertà per l'Italia (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Realacci. Ne ha facoltà.

ERMETE REALACCI. Signor Presidente, anch'io mi associo ai complimenti per il buon lavoro svolto dalla Commissione, dal presidente Pecorella, dai commissari, dal relatore Fava - il senatore De Toni, ovviamente, non è presente a questo nostro dibattito - e mi auguro che questo lavoro, che è stato già approvato all'unanimità in Commissione, possa essere altrettanto unanimemente condiviso dal Parlamento e che, soprattutto, sia alla base di un cambiamento delle politiche.
Prendo da ultimo il riferimento, che faceva il collega Granata, anche alla necessità di un aggiornamento legislativo, che da tempo è tra le proposte che emergono dai lavori della Commissione bicamerale di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti. Tale aggiornamento fatica, tuttavia, a essere tradotto in legge da varie legislature.
Siamo di fronte a un lavoro serio, approfondito, rigoroso, che mette in luce un problema molto rilevante nella regione Sicilia, ma anche in altre regioni del Sud - come abbiamo avuto modo di vedere - che consiste in quella morsa tremenda che si crea tra l'illegalità, che ha spesso i tratti delle ecomafie e che è di stampo mafioso e criminale, e la cattiva politica e la cattiva amministrazione.
Sono i due corni del problema che la relazione mette - a mio avviso - bene in luce, con dovizia di dati e di materiali - conosco la vicenda anche per l'impegno sulle ecomafie che da tempo ho avuto in Legambiente. In quella regione sono molte le famiglie mafiose, i clan, che hanno affari in questa materia. Sono nomi sinistri, che vanno dai corleonesi ai Lo Piccolo, ai Messina Denaro, ai Pulvirenti, ma nella relazione c'è un elenco di molte inchieste, incluse, da ultimo, quelle che hanno interessato il sistema dei termovalorizzatori, che è stato poi - come ricordava anche il presidente - fermato per non ottemperanza alle normative europee, ma che aveva visto, nelle cordate chiamate a costruire un sistema di termovalorizzazione - molto più forte di quello che era necessario rispetto a una corretta politica dei rifiuti -, la presenza di interessi collegati alla malavita organizzata. Questo è un problema antico: la Sicilia ha avuto meno traffici transregionali per ragioni logistiche, ma una presenza fortissima della mafia nella gestione dei rifiuti. Vi ricordo che il procuratore nazionale antimafia, Pietro Grasso, ha citato, in un'occasione, un'intercettazione fra due mafiosi in cui - qui chiedo scusa al collega Granata: io, il siciliano, non lo parlo Pag. 7adeguatamente - si diceva che in questo campo trasi munnizza e n'iesci oro, cioè entrano rifiuti ed esce oro.
Mi ha colpito molto, tempo fa, vedere un minuziosissimo «pizzino» di Provenzano in cui, oltre agli auguri di Pasqua per una serie di amici, spiegava le condizioni a cui si era arrivati nel gestire una certa partita di smaltimento dei rifiuti, che produceva profitti consistenti per la malavita organizzata, per la mafia.
Al tempo stesso, accanto a questo, la relazione deve mettere in evidenza che questo fronte richiede anche un maggiore investimento di mezzi, sia per la magistratura che per le forze dell'ordine. Molti degli esponenti della magistratura che sono stati auditi ricordavano la carenza di mezzi a disposizione, inclusi quelli legati all'indagine e all'analisi. In particolar modo, c'è un giudizio molto negativo in alcune di quelle relazioni sull'ARPA regionale siciliana, considerata da molti inaffidabile per fare una serie di analisi e, peraltro, molto sottodimensionata rispetto a quelle che dovrebbero essere le sue effettive risorse.
Ma accanto a questo fronte, che è quello del contrasto senza se e senza ma, senza abbassare la guardia, con gli strumenti adeguati nei confronti dell'illegalità e della malavita organizzata, che mette a repentaglio spesso anche la vita delle persone - ricordo che la carenza di controlli sul fronte della sicurezza del lavoro e sul fronte ambientale ha prodotto, qualche tempo fa, una tragedia a Mineo, sono morti sei lavoratori che operavano in un depuratore - accanto a questo, c'è il terreno della buona politica, e qui bisogna dire che siamo molto, molto indietro. La Sicilia, assieme al Molise - ma il Molise è una piccola regione - è la peggiore regione italiana per quanto riguarda la raccolta differenziata dei rifiuti. Lo ricordava anche il presidente Pecorella, siamo attorno al 7 per cento dei rifiuti raccolti in maniera differenziata e, devo dire, non è obbligatorio che sia così: qualche anno fa, assieme alla Sicilia, agli ultimi posti c'era la regione Sardegna, che aveva nel 2004 il 5,3 per cento di raccolta differenziata, mentre la regione Sicilia si trovava qualche decimale sopra. La regione Sardegna ha oggi il 35 per cento di raccolta differenziata, quindi, senza fare riferimento anche a regioni e territori più evoluti, come accade nel centro-nord Italia, in Veneto, in Lombardia, in tante parti dell'Emilia, della Toscana, del Piemonte, siamo di fronte a un dato assolutamente inaccettabile.
Tale dato si affianca - oltre a dati analoghi nelle grandi città siciliane, a Palermo, a Catania e a Messina, che sono tra le peggiori città italiane come raccolta differenziata - ad un sistema che, al tempo stesso, vede una situazione di non rispetto delle norme ambientali pesantissimo.
Molti sono gli esempi riportati nella relazione, cito in particolare quello più rilevante: la discarica di Bellolampo, a Palermo. Si tratta di una discarica che raccoglie, da sola, un terzo dei rifiuti urbani della regione Sicilia. I dati presentati sono, francamente, agghiaccianti: si parla di oltre centomila metri cubi di percolato che non si è in grado di controllare e che inquinano corsi d'acqua e pozzi. Si tratta di dati che - lo dice anche il comandante del Nucleo operativo ecologico (NOE) della zona di Palermo - tendono a peggiorare nel corso del tempo.
Siamo di fronte ad un sistema che ha prodotto una vasta ramificazione clientelare: parliamo non solo dell'AMIA di Palermo, ma di una situazione veramente imbarazzante - direi - in cui la regione Sicilia, ad un certo punto, ha avuto ventisette ambiti territoriali ottimali (ATO). Questi ultimi, oggi, fortunatamente, sono stati ridotti a dieci, tuttavia siamo lontani dalla razionalizzazione del sistema. Tali ATO erano, al tempo stesso, delle Spa completamente di proprietà pubblica, ma deresponsabilizzavano sostanzialmente i comuni rispetto all'attuazione delle politiche.
In Sicilia, infatti, vi è anche una carenza drammatica di impianti: come ricorda ancora la relazione, non vi sono impianti per la gestione del percolato, per i rifiuti sanitari e del marmo, così come Pag. 8per tanti altri segmenti, i quali possano creare un'economia pulita, anziché alimentare un'economia sporca e illegale.
Ebbene, questi ATO hanno prodotto non solo lo sbilanciamento - già citato - di, si valuta, 800 milioni di euro, ma un sistema di assunzioni clientelari vastissimo. Se mi è consentita una battuta, più che di ATO, ossia di ambiti territoriali ottimali, si dovrebbe parlare di ACO, ossia di ambiti clientelari ottimali: in altre parole, organismi che hanno prodotto una proliferazione di assunti, stipendi, incroci e prebende, ma non hanno prodotto una buona politica. E spesso i cittadini siciliani sono chiamati a pagare, nella tariffa, servizi che non vengono forniti, né nell'impiantistica, né nella raccolta differenziata.
Concludo dicendo che in questa relazione vi sono tutti gli elementi per avviare un'inversione di rotta. Qualcosa è stato fatto dalla regione Sicilia, perché, bene o male, è stata sospesa la partita dei termovalorizzatori ed è stato ridotto il numero degli ATO. Tuttavia, vi è ancora moltissimo da fare. Per esempio, gli obiettivi di raccolta differenziata, che sono indicati nella legge regionale approvata l'8 aprile di quest'anno, sono del tutto privi di credibili percorsi, di un piano attendibile, verificabile e in grado di tradurre quegli obiettivi in pratica.
Ciò nonostante, da lì occorre partire - come dice la relazione - non con i commissariamenti, che potrebbero persino peggiorare la situazione attuale, ma con la buona politica, con la responsabilizzazione della politica, degli amministratori e, quindi, anche dei cittadini, su una frontiera in cui la legalità, l'ambiente e la buona economia stanno assieme (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Piffari. Ne ha facoltà.

SERGIO MICHELE PIFFARI. Signor Presidente, anche noi dell'Italia dei Valori ci uniamo al ringraziamento per questo lavoro corposo, serio, anche incisivo e, tra l'altro, approvato all'unanimità, il quale ha scavato sul territorio e sugli amministratori, è andato a riprendersi il giusto lavoro fatto dalla Commissione bicamerale nella precedente legislatura, e ha lavorato e studiato attentamente i rilievi fatti anche dalla Corte dei conti. Si tratta, pertanto, di un lavoro approfondito, che, tuttavia, ci dice una serie di cose che non possono essere prese come uno dei tanti lavori dell'Aula e del Parlamento.
Intanto, si rileva che, rispetto a quanto già evidenziato dalla precedente Commissione bicamerale su questa materia, le condizioni sono peggiorate. Non c'è niente di buono e nuovo, e ciò fa un po' riflettere.
Si comincia nel 2002 con un buon piano, o così almeno sembrava, da parte della regione Sicilia, approvato dalla Commissione europea, e quindi rispettoso di quelle indicazioni che la Comunità europea richiedeva, in quel periodo, non solo alla Sicilia, ma a tutte le regioni italiane. Arriviamo poi, con un salto, al 2010, quando la regione Sicilia approva un qualcosa di nuovo, prende atto di tutti i rilievi fatti dal Parlamento, a partire dalla legge finanziaria del 2008, dalla relazione della Corte dei conti, che evidenziavano il disastro di questi grandi ATO, come, già prima, alcuni colleghi hanno richiamato. La regione elabora, tuttavia, un documento con dei principi bellissimi, trionfalistici che probabilmente piacciono anche alla Comunità europea quando viene a leggere le carte e piacciono magari a chi ritiene ci sia una ventata di nuovo. La cosa che mi spaventa però è che la stessa Commissione rileva che abbiamo letto dei buoni principi, ma ci manca qualcosa di concreto, ci manca il piano regionale rifiuti, ci manca uno strumento operativo per dire come investire, con quale gradualità e con quale priorità intervenire. Tanto è vero che si dice che nell'anno 2010 la raccolta differenziata andrà al 20 per cento con un recupero della materia del 15 per cento: magari, avremmo già raddoppiato tutti i parametri rispetto agli ultimi dieci anni di lavoro.
Purtroppo non stiamo così e quindi temiamo che anche questo sia un bel vestito nuovo, ma dentro non sia cambiato niente. Dovremo sicuramente intervenire, Pag. 9come Parlamento, poteva farlo la Commissione, ma ha dato delle indicazioni ben precise, stiamo attenti a pensare che i commissari straordinari possano risolvere tutto. Commissariare la regione vuol dire dare ancora una giustificazione a qualcosa che non si risolve o che non si prova a risolvere. È assolutamente necessario rivedere la normativa in materia penale e anche, quindi, rivedere gli strumenti. Non si possono utilizzare intercettazioni telefoniche al fine di seguire la criminalità in una materia così grave e pesante. Sappiamo, anche al di fuori della Sicilia, quante altre situazioni critiche ha portato il traffico di rifiuti; non c'è soltanto la gestione dei rifiuti solidi urbani, il problema è che sul traffico di questi rifiuti pericolosi si innesta anche un meccanismo pericoloso perché laddove non c'è controllo, come si evidenzia, non c'è assolutamente possibilità di capire dove effettivamente sia il business.
Tra l'altro, come la Commissione stessa ha rilevato, questa situazione comporta dei costi pesantissimi, che non trovano traccia di soluzione. Costi che fanno sì che alcune situazioni tipo la gestione del percolato, cioè il liquido che esce dalle discariche, debba finire poi in Calabria come se in Calabria fossero così ben attrezzati per gestire questo percolato. Sarebbe interessante quindi capire in Calabria quali succhi di frutta producono con questo materiale. Certo noi ci siamo sforzati, con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di approvare un sistema di controllo satellitare di tutto il traffico dei rifiuti, stranamente non riusciamo ad attivarlo e già in Commissione ambiente qualcuno aveva proposto di attivare delle buone pratiche: anziché pretendere che dalla Valle d'Aosta alla Sicilia tutto funzioni, potrebbe essere opportuno cominciare a farlo funzionare in qualche area di disagio e la Sicilia poteva essere il laboratorio giusto per cominciare a sperimentare il controllo e magari potrebbe essere opportuno mettere lì tutti i contributi affinché le scatole nere e altro vengano attivate sulle macchine.
Sono queste delle proposte che naturalmente dovranno essere valutate, certo è che per la Campania, sebbene in tale regione risulti una situazione molto meno grave rispetto a quella che avete evidenziato in Sicilia, ho letto che qualcuno vuole ripristinare l'arresto per chi abbandona i rifiuti in strada in misura superiore al mezzo metro cubo. Non abbiamo mai arrestato nessuno in Campania, almeno da quello che ho letto, finché la norma è rimasta. Spero che non siano queste le soluzioni che il Parlamento produrrà perché il problema non sta nel cittadino che, tra l'altro, nel caso della Sicilia, finalmente, ha cominciato anche a pensare di non pagare più la cartella esattoriale che gli viene mandata perché è tre volte, quattro volte superiore rispetto al giusto e poi, comunque pagherebbe per un servizio che non ha. Dobbiamo cominciare a pensare che anche i cittadini hanno delle ragioni quando protestano.
La soluzione va trovata a monte, naturalmente nel sistema di gestione dei rifiuti, che qui non si vede. Ho cercato di concentrare una sintesi del documento, che comunque invito a leggere; sicuramente da parte nostra, dall'Italia dei Valori, vi sarà questo sforzo anche sul territorio, perché bisogna assolutamente che tale documento non rimanga nei serbatoi dei documenti della Camera, ma venga divulgato, non solo in Sicilia, ma anche nelle regioni del nord, perché, se i rifiuti industriali pericolosi, da Torino finiscono in Sicilia, dobbiamo capire chi è che fa questo business anche nelle regioni industriali del nord.
In pratica, in questa relazione viene delineato un quadro impietoso, essa è una fotografia inquietante della situazione siciliana, che lascia esterrefatti, e a confronto della quale - come dicevo prima - l'emergenza rifiuti in Campania impallidisce. Si tratta di un vero e proprio desolante bollettino di guerra, che vede intrecciarsi senza soluzione di continuità: malaffare, pessima gestione del ciclo dei rifiuti, clientelismi, contiguità con la criminalità organizzata che continua a farla da padrona, pubblici amministratori Pag. 10inadempienti e corresponsabili e spesso corrotti, appalti assegnati senza alcuna trasparenza e spesso con il consenso della stessa pubblica amministrazione, patti scellerati tra mafia e cattiva politica, assenza sostanziale di controlli da parte degli organi amministrativi a ciò deputati, deresponsabilizzazione degli enti, società di gestione dei rifiuti in dissesto finanziario, distruzione dell'ambiente con gravi rischi per la salute pubblica.
Per questo tipo di reati non vi è lo scioglimento dei comuni, che abbiamo previsto in Campania; anzi, in Campania abbiamo sciolto dei comuni che, in termini di raccolta differenziata, avevano raggiunto anche degli ottimi risultati, ma sono stati sciolti solo perché erano negligenti nel rispettare la legge e dovevano quindi impegnarsi a trasmettere dati e risorse alle province e quindi anche solo per aver messo in dubbio le modalità che la legge aveva loro imposto.
Il Parlamento deve imparare da questo affinché la severità arrivi anche su territori non campani; quindi, non adottiamo provvedimenti solo per la Sicilia, ma se ci sono comuni anche in Lombardia o in Piemonte che non rispettano certe norme, questi vanno assolutamente sanzionati in materia. Evitiamo di fare leggi ad hoc solo per la Sicilia, che farebbero sentire i siciliani puniti in questo senso.
Vi è stata la questione - richiamata prima - degli ATO, queste società di gestione dei rifiuti dove, di fatto, per dieci anni sono stati trasferiti i guai. Si tratta di società previste da una legge - credo sia del 2001 - che permetteva agli enti locali di creare società di capitali al cento per cento anziché aziende speciali, e ne hanno approfittato. La regione Sicilia ha usato benissimo la legge in materia, ma l'ha usata per fare delle scatole che producessero debiti e quindi bidoni agli imprenditori, perché da consorzi sono diventate Spa e oggi sono con i registri in tribunale, ma vi sono dei creditori.
In queste società vi è stata una forzatura anche nell'assunzione del personale, e vorrei citare solo l'esempio della società AMIA Spa, che è la società affidataria del servizio raccolta e smaltimento dei rifiuti prodotti nel comune di Palermo. Dico ciò perché abbiamo approvato in quest'Aula un finanziamento speciale, in termini di risorse, per aiutare il comune di Palermo: mi sembrava che questo fosse un provvedimento una tantum risolutivo ma, in realtà, abbiamo dato soldi nostri e quindi faranno il buco anche alle nostre casse, temo che non ce li restituiranno.

GIOVANNI FAVA. Erano fondi FAS.

SERGIO MICHELE PIFFARI. Erano fondi FAS, ma l'Europa e l'Italia li hanno messi lì per sostenere il rilancio economico ed il tessuto imprenditoriale, mentre in realtà spariscono nel nulla, sono buchi neri del cosmo italiano.
La società AMIA, che è quella che gestisce - come dicevo prima - anche la discarica di Bellolampo, nel comune di Palermo, ha un gravissimo deficit finanziario, tanto che il 27 gennaio del 2010 il tribunale di Palermo ne ha dichiarato lo stato di insolvenza.
Si tratta di una società con un debito di 85 milioni di euro nei confronti di fornitori e manutentori e con un numero di dipendenti a carico a dir poco esorbitante: 3 mila dipendenti direttamente dell'AMIA e altri 2 mila dipendenti delle aziende dell'indotto legato all'AMIA, una realtà complessiva di 5 mila dipendenti solo per la raccolta dei rifiuti a Palermo. Non vado oltre. Vi è la questione delle discariche, di fatto non esiste una gestione dei rifiuti - come richiamavo all'inizio dell'intervento - , vi è una condizione ottimale per il business delle ecomafie ed è per questo che nulla cambia.
La situazione disastrosa in cui versano le discariche siciliane e che emerge con nettezza dalla lettura della relazione della Commissione è allarmante, basta fare qualche esempio. Come dicevo prima, Bellolampo, in provincia di Palermo, rappresenta un'emergenza assoluta dal punto di vista ambientale. Negli anni il percolato non è stato smaltito secondo le modalità adeguate in termini di quantità e tempi di prelevamento, con conseguente fuoriuscita Pag. 11del medesimo percolato e interessamento delle zone limitrofe.
Nella relazione dei commissari giudiziari si legge che a Bellolampo si sta consumando da mesi un disastro ambientale che non potrà essere eliminato se non con interventi straordinari. Il problema quindi che si evidenzia ancor più gravemente non è solo la gestione del crimine e del business dei rifiuti, ma è il danno che stiamo facendo all'ambiente e, di conseguenza, alle persone e ai siciliani che devono vivere in questi territori.
Con sprezzo del ridicolo, nel corso dell'audizione in Commissione del 16 novembre 2009, il sindaco di Palermo dichiarava che la discarica di Bellolampo è collegata bene ed è in buone condizioni e che è la migliore discarica esistente in Sicilia. Questo è ciò che dichiara il sindaco. Diamo risorse al sindaco per venire a dichiarare queste cose e poi ci troviamo di fatto di fronte a situazioni totalmente opposte.
Gran parte delle discariche pubbliche è in via di esaurimento e questo è un altro grosso problema perché, al di là delle condizioni in cui sono, di fatto si stanno anche esaurendo. Tali discariche non funzionano in modo adeguato, vengono conferiti rifiuti diversi, anche pericolosi, ed è in atto troppo spesso l'inquinamento delle zone circostanti determinato da fuoriuscite di percolato. Inoltre, spesso non viene comunicato agli organi competenti il superamento delle cosiddette concentrazioni sulle contaminazioni derivanti dalla presenza di metalli pesanti altamente inquinanti.
La situazione delle discariche pubbliche siciliane è analoga a quella delle discariche private, in gran parte fuori norma rispetto alla legislazione ambientale e molte di queste gestite da personaggi che hanno collegamenti con la criminalità organizzata.
Accanto a ciò, la relazione della Commissione segnala inoltre la frequente consuetudine allo smaltimento di rifiuti speciali pericolosi, compreso l'eternit che viene conferito insieme ad altro materiale inerte. Non dimentichiamo cosa è successo in Italia con l'eternit e quali danni alle persone ancora oggi abbiamo, da quelli più eclatanti che abbiamo letto sui giornali, anche la settimana scorsa, con riguardo alla centrale Enel di Larderello, in provincia di Pisa, ad altre situazioni in nord Italia, dove giacciono incolte - se così possiamo dichiarare - tonnellate di eternit che stanno portando alla morte i cittadini italiani.
Nella sola città di Messina sono state censite ben 61 discariche abusive. Il territorio di Gela, per esempio, risulta fortemente compromesso dal punto di vista ambientale e disseminato di discariche a cielo aperto. Si fa naturalmente business sulle false fatturazioni e, dentro questa relazione così ben fatta, troviamo tutto ciò che serve per prendere decisioni. È chiaro che bisogna avere il coraggio di prendere atto di questo e di mettere risorse a disposizione degli inquirenti perché non si possono avere le procure deserte, non si può non avere il personale per fare le inchieste necessarie e per garantire i controlli. Non si può avere, nel caso della regione Sicilia, un assessorato che dovrebbe dare risorse all'ARPA, ossia all'azienda che deve garantire la qualità dell'aria ma deve fare anche i controlli sull'acqua e sull'aria in queste discariche, ed è in grado di rifiutare il supporto tecnico alle procure qualora glielo chiedano. Le procure sono così prive di quegli strumenti che invece dovrebbero avere.
Se, laddove si assumono 5 mila dipendenti per la raccolta dei rifiuti, non riusciamo a metterne 50 per effettuare il controllo, in provincia di Palermo, sul trattamento dei rifiuti e, quindi, sul percolato e sulle discariche - anche magari su quelle abusive naturalmente e non solo su quelle regolari - credo che le soluzioni non riusciremo a trovarle. Pertanto, oltre che trovare dei paletti nelle leggi in termini di risposta, sia dal punto di vista penale sia dal punto di vista del controllo delle amministrazioni pubbliche, credo che dobbiamo trovare dei paletti anche nell'utilizzo delle risorse e dei fondi, affinché questi settori vengano effettivamente potenziati. Ripeto che nella conclusione Pag. 12vi sarà un impegno naturalmente a portare fuori da quest'Aula questa relazione perché è assolutamente necessario che tutti gli italiani ne abbiano contezza (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fava. Ne ha facoltà.

GIOVANNI FAVA. Signor Presidente, avevo chiesto di parlare per ultimo in quanto sono stato il relatore e avevo lasciato il posto al collega Piffari.

PRESIDENTE. Vi è il consenso di tutti e, dunque, sta bene.
È iscritto a parlare l'onorevole Capodicasa. Ne ha facoltà.

ANGELO CAPODICASA. Signor Presidente, innanzitutto vorrei associarmi ai ringraziamenti alla Commissione e al suo presidente per il lavoro svolto, che è di estrema utilità per il numero di informazioni che la relazione mette insieme e associa e per il dato di conoscenza che, con oggettività, viene portato all'esame del Parlamento.
Devo dire che per chi vive ed opera in Sicilia molte delle notizie che qui sono riportate, in un certo senso, sono di ordinaria e quotidiana conoscenza. Di tutto ciò che gravita intorno al pianeta rifiuti, sia dal punto di vista dei sistemi illegali sia per quanto riguarda gli aspetti relativi alla sua inefficienza, leggiamo quotidianamente sulla stampa e ne patiamo direttamente anche le conseguenze. Tuttavia, devo ammettere che vedere sistemate tali informazioni nell'ambito di una relazione che oggi, come diceva poc'anzi il presidente Pecorella, in modo inusuale viene all'esame del Parlamento, suscita una certa impressione.
È vero che molte delle criticità che qui sono rilevate erano già state individuate, sia pure in modo più sintetico, nella relazione della Commissione parlamentare di inchiesta insediata nella legislatura precedente. Tuttavia, nella relazione in esame questi elementi vengono ulteriormente approfonditi e vengono più analiticamente esaminati e, dunque, la relazione ci restituisce un quadro allarmante e di estrema gravità che, a mio giudizio, giustifica gli accenti preoccupati che vi sono contenuti. Si parla di un'illegalità che si è fatta norma, di un sistema che si pone l'obiettivo del non smaltimento dei rifiuti e quindi, paradossalmente, che si ritorce nel suo contrario. Si parla, inoltre, di una disfunzione organizzata, che è qualcosa che ha a che vedere con il diabolico, cioè un sistema che organizza la propria disorganizzazione per favorire interessi illeciti, sia sul piano criminale sia su quello politico.
Il tutto ci porta a dire che se non interverrà, nei tempi più brevi, una qualche iniziativa da parte delle istituzioni (la regione, in primo luogo) che vada a fondo al sistema di illegalità e che metta mano anche ad una riorganizzazione, così come è preconizzato nella legge di recente approvata dall'assemblea regionale siciliana, il rischio di un imminente collasso del sistema è estremamente vicino. Infatti, ve ne sono tutti gli elementi. Abbiamo un'elefantiasi degli assetti degli ATO, che sono stati di recente ridotti a dieci.
Tuttavia, bisogna pur dire che questa proliferazione abnorme degli ATO è intervenuta nell'ambito di quel piano del 2002 che noi, nonostante fosse stato approvato dalla Commissione europea, continuiamo a giudicare come nefasto perché nelle scelte e nelle linee direttrici che aveva individuato c'erano tutti gli elementi del fallimento a cui in seguito è pervenuto.
Vi è stata la proliferazione degli ATO a 27 perché il PR, ossia il Piano di interventi per l'emergenza rifiuti in Sicilia, approvato dalla Commissione tecnico-scientifica istituita per il commissariamento in Sicilia, ne aveva previsti 9 - uno per ogni provincia - così come il decreto legislativo Ronchi in qualche misura suggeriva. Il PR aveva previsto una raccolta differenziata spinta, perseguiva come obiettivo minimo il 55 per cento della raccolta differenziata, che doveva poi portare ad un conferimento al termovalorizzatore di una quota minima, di circa 600 mila tonnellate di rifiuti su un totale di 2 milioni e 400 mila Pag. 13che la Sicilia produce ogni anno. Si trattava di piccoli inceneritori in un numero non definito, ma comunque non elevato, che avrebbero dovuto consentire il recupero di energia, senza che il sistema ne venisse a soffrire.
Invece, con quel Piano si è abbassata la percentuale della raccolta differenziata al 35 per cento, si sono moltiplicati gli ATO, che sono passati da 9 a 27 e si è dato vita al sistema della termovalorizzazione, ossia a quattro termovalorizzatori di grandi dimensioni, con una capacità di termovalorizzazione di 2 milioni e 400 mila tonnellate, che costituisce cioè la quasi totalità dei rifiuti prodotti in Sicilia.
Per di più, nei contratti con gli operatori industriali che si erano aggiudicati le gare era prevista una clausola che disponeva il risarcimento agli operatori industriali per la mancata produzione di energia nel caso in cui i comuni conferissero ai termovalorizzatori una quantità inferiore al 65 per cento dei rifiuti. Ciò costituiva un potentissimo disincentivo alla raccolta differenziata, con la chiara individuazione dell'obiettivo - che poi le indagini giudiziarie hanno in qualche modo confermato - che attorno ai termovalorizzatori nascesse un grande business, nell'ambito del quale l'imprenditoria, la politica e la mafia si davano la mano.
È lì che il sistema si è inceppato e ha dato vita a dieci anni di tormenti e solo la disponibilità di alcune discariche di discreta capienza, delle quali ci si era preventivamente dotati, ha impedito che esplodesse un fenomeno macroscopico simile a quello campano e napoletano, anche se molti elementi lasciano prefigurare uno sbocco analogo se non si pone immediatamente mano al sistema.
Le assunzioni clientelari - come è stato ricordato - hanno raggiunto livelli abnormi non soltanto per effetto della mafia.
Credo che molto ci abbia messo le mani la politica, spinta dal bisogno che, in una terra dove la disoccupazione giovanile raggiunge il 50 per cento e la disoccupazione ordinaria il 24-22-23 per cento, ha finito per individuare in questi nascenti organismi il luogo dove scaricare una parte delle tensioni occupazionali.
Il sistema si è gonfiato in modo artificioso ed è stato reso inefficiente. Il risultato è che oggi siamo in una situazione di gravissimo allarme, non abbiamo i termovalorizzatori, non abbiamo impiantistica intermedia, non abbiamo ATO con una qualche parvenza di funzionalità, abbiamo un indebitamento degli ATO - mi avvio alla conclusione - che supera gli 850 milioni di euro e che si avvia all'obiettivo - che io ritengo a questo punto prefallimentare - del miliardo di euro. Chi pagherà?
I cittadini sono esasperati, la regione si trova in stato deficitario dal punto di vista finanziario, i comuni altrettanto, si è creata una gravissima emergenza di cui non si riesce a intravedere lo sbocco.
Signor Presidente, sto concludendo. L'auspicio è che la relazione della Commissione di inchiesta - che giustamente sottolinea gli elementi di criticità presenti nel sistema - dia luogo a una svolta, non solo per quanto concerne le modifiche normative che sono state invocate in questa sede...

PRESIDENTE. Onorevole Capodicasa, la invito a concludere.

ANGELO CAPODICASA. ...e riportate nella relazione, ma anche per quanto riguarda l'efficientamento del sistema per dare risposta soprattutto ai cittadini e agli utenti (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cavallaro. Ne ha facoltà.

MARIO CAVALLARO. Signor Presidente, anch'io non posso che, avendone anche fatto brevemente parte, apprezzare l'opera della Commissione ed in particolare del presidente Pecorella, che ha svolto un'indagine senza sconti e senza reticenze su ciò che ritengo un dramma, una grave emergenza nazionale.
Più che soltanto alla nostra attività ispettiva di controllo - seppure in questo caso straordinaria - attraverso una Commissione, Pag. 14forse avremmo dovuto ricorrere persino alla penna dei grandi intellettuali e scrittori della Sicilia, Sciascia, Pirandello, ma anche alla penna di Kafka per altri aspetti di questa singolare vicenda, poiché gli accertamenti che l'intera Commissione - e in parte anche io personalmente - ha esperito anche sul posto denotano una condizione drammatica, non solo sotto il profilo oggettivo per l'incapacità conclamata dell'intera classe dirigente siciliana di dare una risposta organica e qualificata a questi problemi, ma anche per quell'attitudine addirittura non casuale e onnisciente rispetto alla rischiosità, alle prassi dilatorie, alla deresponsabilizzazione ed anche, diciamolo, solo in qualche occasione ad un rapporto se non conflittuale, di sussiegoso distacco se non di disprezzo verso l'opera anche dei poteri dello Stato e della stessa Commissione. Io stesso ricordo che in qualche occasione sono stati chiamati più volte gli amministratori locali a rendere una testimonianza e a dare il loro contributo informativo.
Questo è uno scenario di grande preoccupazione, lo dico con ancor più amarezza nel cuore da siciliano di nascita e con profonda preoccupazione da amministratore pubblico.
Abbiamo registrato un livello tale di inadeguatezza voluta dell'organizzazione in materia di smaltimento e trattamento dei rifiuti in Sicilia che credo che, in questo momento, soltanto per ragioni mediatiche, più che per ragioni effettive e sostanziali, il caso non abbia già preso la via di quello campano, o forse per una maggiore abilità nel nascondere la gravità e la drammaticità del fenomeno, che riguarda praticamente tutti i suoi aspetti. Non c'è momento e non c'è atto del ciclo del trattamento dei rifiuti nel quale non abbiamo verificato una somma di inadeguatezze, ritardi, incompetenze e incapacità, unite quasi sistematicamente alla consistenza della pressione della criminalità organizzata.
Pertanto, a partire da quello che non sarebbe neppure compito diretto dell'indagine della Commissione, cioè la vera e propria raccolta dei rifiuti, che come è noto è compito dei singoli comuni o delle società ai quali i medesimi l'affidano, per poi passare alla gestione vera e propria del ciclo integrato dei rifiuti, cioè la raccolta differenziata, il trattamento, l'avvio a discarica e, ove possibile, la riutilizzazione in ciascuna di queste fasi, noi abbiamo trovato il duplice fenomeno della inadeguatezza, della vischiosità, della criminosità, se così si può dire, o comunque dell'attitudine criminogena delle condotte, e infine di un grave danno. Abbiamo trovato, infatti, le prove di un dissesto di carattere finanziario che il presidente Lombardo ha qualificato, solo per gli ATO, intorno agli 800 milioni, ma che con l'esperienza comune di ciascuno di noi può essere quantificato anche in molto di più, perché tra l'altro si sminuzza anche nelle pieghe dei bilanci di tutti gli enti locali interessati.
Credo che la relazione della Commissione «parli» già quasi da sola e, quindi, sia inutile parlare ulteriormente di questo, anzi è talmente amaro, triste e tragico che credo, tra l'altro, che la Commissione dovrà poi riservarsi eventuali ulteriori interventi, proprio perché bisogna anche cominciare a capire che le Commissioni parlamentari non svolgono semplicemente belle indagini, ma hanno anche dei poteri significativi. Credo che dovremo individuare responsabilità specifiche e precise che nelle conclusioni non sono più evocate, ma sono largamente individuate nel testo della relazione, e verificare se non ci siano condotte che non sono soltanto renitenti o reticenti, ma costituiscono anche reato.
Ma non mi pare sia questo il punto, cioè certamente non è compito della Commissione sostituirsi all'attività della magistratura. Dunque, vorrei, a sintesi di questo mio intervento, più specificamente dedicato a questa riflessione sul cosa fare, offrire qualche brevissima considerazione su alcuni punti. In primo luogo, è urgente ed emergenziale dotare di maggiori risorse e di maggiore capacità di controllo e di impatto sul territorio tutte le strutture statali che sono operative in questo settore. Quindi, non si tratta soltanto di parlare della necessità di intervenire per Pag. 15quanto riguarda le procure della Repubblica, ma anche per tutti gli uffici centrali o periferici dello Stato o di indagine o che fiancheggiano l'attività della magistratura.
Non è possibile - lo ricorda la relazione - che di fronte alla richiesta di audizione di due procuratori sia stato risposto che non potevano venire perché non avevano neppure un sostituto da lasciare sul territorio. Quand'anche non fosse una giustificazione valida al 100 per cento, certamente è impensabile che in un territorio come quello siciliano non ci sia un sostituto, almeno in quelle procure che sappiamo essere di frontiera, non solo in questo tipo di indagini, ma a largo spettro in tutte le indagini che riguardano la criminalità organizzata. Questo riguarda il NOE, l'attività della Guardia forestale e, in generale, tutti coloro che operano nell'interesse dello Stato su questo territorio. È già molto ed è importante che questo accada.
Vi è un'altra importante riflessione da fare: questa fortissima contrapposizione, neanche evidente, non tracciata in maniera nitida, ma esistente, reale, carsica, tra i poteri dello Stato e l'organizzazione politica regionale merita, forse, un ulteriore approfondimento e, credo, una riflessione, anche alla luce di quello che sta accadendo nella coeva e drammaticamente coincidente vicenda campana.
Qui abbiamo la prova, intanto, del fallimento - lo dice anche la relazione della Commissione - dei sistemi emergenziali e commissariali. Occorre che partiamo da questo punto con la consapevolezza che non è più il tempo e il caso di organizzare il sistema, anche verificando situazioni drammatiche come quelle che ci consegna la Commissione, attraverso un sistema di carattere emergenziale, fatto di provvedimenti straordinari e di nomina di commissari. Anzi, abbiamo la prova, seppure forse non strettamente in maniera voluta, almeno all'origine, che il piano del 2002, che parte da una gestione non partecipata, ma commissariale, è uno dei «cavalli di Troia» in cui si insinua la criminalità organizzata per tentare di coartare la famosa gara per i quattro grandi termovalorizzatori.
Dunque, non è questa la strada percorrere. Peraltro, incidentalmente, possiamo dire che, anche di fronte alle questioni campane, lo stesso tipo di modalità ha dato pessimi risultati. Occorre fare una riflessione: qui non rassegno delle conclusioni compiute, ma occorre dire chiaramente che, di fronte a un così massiccio e a un così poco renitente tentativo da parte di tutte le autorità locali di entrare in maniera incisiva e non più corriva nella gestione del sito, forse è il caso che lo Stato riprenda, sotto il profilo normativo, la materia del trattamento della gestione integrata del ciclo dei rifiuti e determini...

PRESIDENTE. La prego di concludere.

MARIO CAVALLARO. ...alcune questioni importanti, per esempio quelle relative al rapporto tra gli ambiti territoriali e le società di gestione, alle modalità di organizzazione delle gare, all'affidamento di responsabilità precise nell'organizzazione degli appalti e delle gare, che sono una precondizione, attraverso la formazione di principi di trasparenza, affinché poi l'allocazione dei poteri nei livelli regionali non sia una caratteristica che, invece di essere positiva e di riportare a livello di sussidiarietà gli interventi, crei le condizioni per un approfittamento, anzi, per quella diffusa deresponsabilizzazione che abbiamo percepito.
In conclusione, quello che ha svolto la Commissione è un lavoro importante, che peraltro continua e continuerà per gli altri ambiti territoriali, ma, secondo me, è l'ora per una riflessione su come lo Stato, oltre che intervenire a sostegno di misure di prevenzione e repressione, debba rivedere, anche sotto il profilo legislativo, il suo rapporto con le dinamiche regionali (Applausi).

Modifica nella composizione della Giunta per le autorizzazioni.

PRESIDENTE. Comunico che il Presidente della Camera ha chiamato a far parte della Giunta per le autorizzazioni Pag. 16il deputato Armando Dionisi, in sostituzione del deputato Domenico Zinzi, dimissionario.

Si riprende la discussione.

(Ripresa discussione - Doc. XXIII, n. 2)

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fava. Ne ha facoltà.

GIOVANNI FAVA. Signor Presidente, il mio è l'intervento conclusivo, credo, del dibattito di oggi pomeriggio, senza avere l'ambizione di voler scrivere l'ultima pagina di un libro che, purtroppo per noi, è in continua evoluzione.
La relazione, che porta la data, in termini di approvazione, dell'ottobre scorso, potrebbe già essere aggiornata allo stato attuale, perché la situazione siciliana evolve quotidianamente. Volevo prendere spunto dagli interventi dei colleghi per fare alcune considerazioni nella mia veste di relatore, che ho condiviso con il collega senatore De Toni.
Parto dalla fine, citando una frase che ritengo fortemente emblematica di quella che, in estrema sintesi, potrebbe essere l'analisi della relazione stessa: «Il ciclo dei rifiuti in Sicilia è un esempio di disfunzione organizzata».
Abbiamo ritenuto utile usare toni sicuramente non troppo eleganti nell'ambito della suddetta relazione proprio per sottolineare come sia stato fatto uno sforzo in direzione di una verità che è stata fotografata, dal mio punto di vista, con grande serietà e attenzione, scevra da interessi e da logiche di parte.
Abbiamo preso spunto dal materiale - come ricordava il presidente Pecorella, oltre settemila pagine dello stesso fanno parte del dossier - che ci è stato fornito dalle forze dell'ordine, dalla magistratura e da tutti coloro che si sono resi disponibili, devo dire, con soddisfazione da parte nostra. Non è mancata la collaborazione, anche laddove, a volte, gli stessi magistrati ci hanno segnalato delle difficoltà stante l'oggettiva impossibilità, per carenze d'organico, di intervenire immediatamente rispetto alle nostre sollecitazioni. Devo dire, con una certa soddisfazione, che alla fine, comunque, siamo riusciti ad avere un quadro esaustivo che ci dà, pur senza gettarci nello sconforto, una sensazione spiacevole rispetto a tutta questa vicenda.

PRESIDENTE. Onorevole Fava, la interrompo per salutare il Presidente della Repubblica di Slovenia, Danilo Türk, che assiste ai lavori dell'Aula, accompagnato dal Presidente della Camera, Gianfranco Fini. Benvenuto (Applausi).

GIOVANNI FAVA. Signor Presidente, mi associo ai saluti e riprendo il ragionamento da dove lo avevo interrotto.
Abbiamo iniziato questo lavoro molto tempo fa utilizzando la formula delle audizioni territoriali che poteva sembrare, all'inizio, forse, una formula un po' irrituale visto che nelle Commissioni parlamentari siamo sempre stati abituati, in questi anni, a svolgere l'attività stando a Roma, ossia facendoci portare la documentazione e cercando di recuperare dati direttamente da qui. Abbiamo invertito questa tendenza e siamo andati sul territorio procedendo ad una serie di audizioni in loco che ci hanno dato grandi soddisfazioni. Per questo devo riconoscere merito al presidente Pecorella che ha avuto questa intuizione e cogliere questa occasione per ringraziarlo per avermi permesso di fare questa esperienza che è stata, personalmente, molto importante. In questo modo, siamo riusciti ad avere una maggior quantità di informazioni direttamente sul territorio, avendo anche dei riscontri oggettivi e visivi rispetto a quello che ci veniva raccontato.
Posso dirvi che la situazione è grave, decisamente grave, probabilmente molto più di quello che avrei immaginato prima di iniziare questo percorso. È grave perché, ripeto, non vi è stata finora, ritengo, la volontà politica di superare la questione. È innegabile che siamo di fronte ad una vicenda che rischia di diventare ulteriormente Pag. 17paradossale. Non si può pensare di liquidarla semplicisticamente con l'ennesimo commissariamento all'italiana o, peggio ancora, senza porre rimedio alla questione strutturale, perché non dobbiamo dimenticare che oggi il problema è prevalentemente di tipo impiantistico.
Con tutto il rispetto per le soluzioni che sono state prospettate anche dall'attuale giunta, come ricordava giustamente il collega Realacci nel suo intervento, oggi siamo ancora in assenza di un piano organico che possa risolvere la questione dal punto di vista della strutturazione vera e propria di un servizio che possa avere una continuità nel tempo. Assistiamo ad una situazione contingente che vede tra le possibilità che ci sono state proposte e sottoposte da parte dell'amministrazione regionale siciliana quella di esportare i rifiuti all'estero - in Olanda, in Belgio o, addirittura, in Finlandia - con il rischio che questa diventi una soluzione organica per un'emergenza che, col protrarsi del tempo, possa diventare sistema.
Non vogliamo entrare nel merito di questa soluzione, perché il compito precipuo della Commissione non era sicuramente quello di indagare su tematiche che sono di esclusiva competenza dell'amministrazione pubblica, non abbiamo intenzione di creare problemi di concorrenza da questo punto di vista in termini di proposte.
Le proposte le fa la pubblica amministrazione, ma deve farle in modo che abbiano un senso logico, stante il fatto che tutto ciò che è venuto avanti fino ad oggi ha creato le disfunzioni di cui parliamo ed ha creato quelle disfunzioni che hanno permesso l'intromissione e l'intrusione in questi settori, a vario titolo e a vario livello, della criminalità più o meno organizzata.
La vicenda dell'AMIA - è stato ricordato dai colleghi anche prima - francamente lascia sbalorditi, quantomeno per le dimensioni. Il problema di cui stiamo parlando supera ampiamente i 100 milioni di euro e credo che la procedura che i commissari stanno ponendo in essere, anche se andasse a buon fine, non risolverebbe comunque il problema che sta a monte, cioè il fatto di come sia possibile che ciò possa essere avvenuto per tanti anni, nel sostanziale disinteresse da parte di tutti. E questo è infatti quanto è accaduto.
Dall'altra parte abbiamo visto la vicenda della soluzione, che ci è stata prospettata come una delle grandi soluzioni impiantistiche, cioè la vicenda di Bellolampo, la quale in realtà «fa acqua» da tutte le parti, per usare questa metafora, con tutto quello che ne consegue.

GAETANO PECORELLA, Presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti. «Fa percolato».

GIOVANNI FAVA. «Fa percolato» - mi suggerisce il presidente - con tutto quello che ne consegue, anche in termini proprio di infiltrazioni vere e proprie della criminalità organizzata. E guardate che intorno alla gestione del ciclo del percolato di Bellolampo si è creato un meccanismo che ha dell'incredibile, anche per come viene prospettato: lo stesso assessore regionale diceva che sarebbe impossibile pensare che così tanto percolato sia stato, non solo prodotto, ma anche smaltito, stante le difficoltà oggettive che vi sono. Il fatto che nessuno si sia posto il problema in dieci anni di autorizzare un impianto di trattamento in sito di percolato lascia pensare che a un certo punto elementi di disorganizzazione di questo tipo servano a poter scoraggiare sistemi che non sempre vanno d'accordo con i meccanismi di legittimità e serietà che dovrebbero contraddistinguere la pubblica amministrazione.
Arrivo all'altro tema - ovviamente sorvolando, perché la relazione è corposissima e voglio contenere i tempi - dei termoutilizzatori per dire - con una battuta, magari poco spiritosa, ma che magari rende in termini efficaci - che il grande business dei termoutilizzatori siciliani sta nel fatto che questi non siano stati realizzati. Oggi infatti siamo di fronte ad una vicenda che è paradossale, che è la vicenda degli indennizzi e che irride e grida vendetta al cospetto di Dio. Pag. 18
Abbiamo assistito a meccanismi - talmente grossolani per i termini nei quali si sono presentati - di passaggi di proprietà da società più o meno legate a famiglie che sappiamo essere discusse e abbiamo assistito a tutta una serie di questioni che hanno dell'incredibile. Sta di fatto che oggi abbiamo cumulato un contenzioso con dei soggetti più o meno privati che chiedono di essere indennizzati per centinaia di milioni di euro, forti di non aver realizzato nulla.
Anche questa è un'altra questione che si è posta. Scherzando - ma non fino in fondo - ci siamo chiesti: ma quale stato è il business? Il business consisteva nel realizzare questi impianti sovradimensionati - e tutti sapevano che probabilmente non sarebbero stati in linea con una programmazione seria perché quei quantitativi di rifiuti non c'erano - o il vero business è consistito nel non organizzare gli impianti? Questo ci dobbiamo chiedere ed è per questo che credo vada aperta una riflessione seria.
Quando poi infatti tornano in quest'Aula, come spesso capita in modo ormai quasi rituale, i temi dei commissariamenti e delle misure straordinarie ed urgenti, piuttosto che dei finanziamenti straordinari per situazioni disagiate o disastrate di questo tipo, dobbiamo chiederci se qualcuno non abbia contribuito seriamente alla costruzione di queste emergenze. Tali emergenze è evidente che in questi anni hanno fatto comodo a qualcuno e quindi la politica non può restare insensibile a questo tipo di situazioni.
Noi abbiamo cercato di fare un lavoro il più possibile serio, nel senso che io personalmente e - devo dire - nessuno di coloro che hanno collaborato a questo lavoro abbiamo subito condizionamenti di alcun tipo, fotografando la situazione, che è drammatica, ma che - fate attenzione - rischia di peggiorare, anziché migliorare, perché non si vedono nell'immediato soluzioni concrete e definitive.
Concludo quindi ringraziando il presidente Pecorella, i collaboratori e in particolare, come ha ricordato egli stesso nel suo intervento, la dottoressa Spinelli, che è stata una preziosissima collaboratrice, insieme al personale della Commissione, che ha operato con noi in questi mesi.
Mi auguro che la risoluzione, che è già stata condivisa da parte gran parte dei gruppi, domani sia supportata da un voto il più possibile unanime di questo ramo del Parlamento. Auspico altresì che questo sia un segnale che vada nella direzione di spronare gli enti locali ad assumersi le proprie responsabilità, e a cercare di dare delle soluzioni che, una volta per tutte, abbiano un orizzonte temporale che non sia quello di domani o dopodomani, ma che sia un orizzonte temporale che ci assicuri qualche soluzione definitiva per qualche decennio prossimo venturo (Applausi).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione.

(Annunzio di una risoluzione - Doc. XXIII, n. 2)

PRESIDENTE. Avverto che è stata presentata la risoluzione Pecorella, Bratti, Fava, Libè, Granata, Piffari e Melchiorre n. 6-00054 (Vedi l'allegato A - Doc. XXIII, n. 2).

(Intervento e parere del Governo - Doc. XXIII, n. 2)

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo, che esprimerà altresì il parere sulla risoluzione presentata.

ANDREA AUGELLO, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Signor Presidente, il Governo esprime parere favorevole sulla risoluzione presentata.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

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Discussione delle mozioni Casini ed altri n. 1-00517 e Antonione ed altri n. 1-00519 concernenti iniziative volte all'estradizione di Cesare Battisti (ore 17,35).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Casini ed altri n. 1-00517 e Antonione ed altri n. 1-00519 (Nuova formulazione) concernenti iniziative volte all'estradizione di Cesare Battisti (Vedi l'allegato A - Mozioni).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario). Avverto che sono state altresì presentate le mozioni Reguzzoni ed altri n. 1-00523, Tempestini ed altri n. 1-00524, Carlucci ed altri n. 1-00525, ed Evangelisti ed altri n. 1-00526 (Vedi l'allegato A - Mozioni) che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente. I relativi testi sono in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritto a parlare l'onorevole Mantini, che illustrerà anche la mozione Casini ed altri n. 1-00517, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

PIERLUIGI MANTINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il gruppo Unione di Centro ha per primo presentato la mozione parlamentare sul caso Battisti nella convinzione del notevole rilievo del tema e della necessità che sia l'intero Parlamento italiano, con un voto che auspichiamo unanime, a sorreggere l'azione del Governo per ottenere finalmente l'estradizione (sin qui negata) attraverso i rimedi diplomatici e giurisdizionali che sono esperibili. Cesare Battisti, autore di efferati delitti comuni e quindi associatosi ad un'organizzazione terroristica con finalità politiche, è stato condannato all'ergastolo - come è noto - con sentenza della Corte d'assise d'appello di Milano nel 1988, definitiva in Cassazione nel 1993, per omicidio plurimo oltre che per i reati di banda armata, rapina e detenzione di armi. Nel corso degli anni ben sette processi e ventiquattro giudici ne hanno dichiarato e stabilito la colpevolezza. Battisti, sottrattosi alla giustizia italiana e rifugiatosi in Francia, è stato tratto in arresto l'11 febbraio 2004 in esecuzione di una richiesta d'estradizione avanzata dalla giustizia italiana, ma non appena la Francia si è pronunciata in senso favorevole all'estradizione egli si è reso latitante. La Corte europea dei diritti dell'uomo nel 2006 ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato da Battisti contro il provvedimento d'estradizione concesso dalla Francia, stabilendo - tra l'altro - che i giudici italiani avevano perfettamente rispettato gli standard europei quanto a diritto d'accesso e informazioni sul procedimento e ai diritti della difesa in relazione ai processi svolti in contumacia per volontà dell'imputato.
Sulla base delle richieste del Governo italiano e del Governo francese il 18 marzo 2007 Cesare Battisti è stato arrestato a Rio de Janeiro il 24 marzo dello stesso anno. L'Italia ne ha chiesto l'estradizione. È importante porre in rilievo che nel mese di novembre 2008 persino il Comitato nazionale per i rifugiati, organo del Ministero della giustizia brasiliana competente a esaminare le richieste di asilo politico, aveva respinto la richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato politico avanzata dai legali di Cesare Battisti al fine di non rendere concreta l'estradizione.
Tuttavia, il 13 gennaio 2009, l'allora Ministro della giustizia brasiliano, Tarso Genro, ha concesso a Battisti lo status di rifugiato politico, nonostante l'evidente matrice comune dei delitti commessi, a cui in seguito è stata attribuita finalità politico-terrorista.
Il 18 novembre 2009, il Tribunale supremo federale ha, tuttavia, annullato il Pag. 20provvedimento di rifugio e ha concesso l'estradizione richiesta dall'Italia, autorizzando il Presidente Lula a consegnare Cesare Battisti al nostro Paese, in conformità al vigente Trattato bilaterale in materia di estradizione, pur precisando che la pronuncia faceva salve le competenze del Presidente stesso.
Il Capo dello Stato e il Governo italiano, forti del consenso pressoché unanime delle forze politiche, nelle molteplici occasioni di contatto, non hanno mai mancato di sottolineare alle autorità brasiliane la necessità di rispettare la decisione del supremo tribunale federale circa la concessione dell'estradizione del Battisti.
Il 30 dicembre 2010, l'Avvocatura generale dello Stato brasiliana ha reso pubblico il proprio parere, approvato dal vice avvocato generale, che è stato inopinatamente contrario all'estradizione, richiamando l'articolo 3, capo I, lettera f), del Trattato bilaterale di estradizione, secondo cui: «(...) L'estradizione non sarà concessa se la parte richiesta ha serie ragioni per ritenere che la persona richiesta verrà sottoposta ad atti persecutori o discriminatori per motivi di razza, di religione, di sesso, di nazionalità, di lingua, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali, o che la situazione di detta persona rischia di essere aggravata da uno degli elementi suddetti». Questo è il testo del Trattato.
Il 31 dicembre 2010, l'allora Presidente del Brasile Lula ha reso nota la propria decisione - conforme al parere dell'Avvocatura - che non accoglie la richiesta di estradizione dell'Italia nei confronti del connazionale.
Sotto il profilo della cronologia dei fatti, occorre inoltre ricordare che il presidente del supremo tribunale federale del Brasile, con decisione del 6 gennaio 2011, ha negato la scarcerazione di Battisti e ha inviato gli atti al giudice relatore per un ulteriore esame del caso in sede plenaria.
Nel merito, dobbiamo osservare che il Brasile, nei confronti dell'Italia, commette un'evidente violazione del diritto internazionale, contravvenendo alla regola «pacta sunt servanda», sancita dall'articolo 26 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del 1969, secondo cui ogni trattato in vigore vincola le parti e deve essere eseguito da esse in buona fede. Infatti, il Trattato di estradizione, entrato in vigore nel 1991, costituisce la fattispecie da cui una regola generale del diritto internazionale fa discendere la conseguenza di obbligare sia il Brasile che l'Italia all'osservanza delle norme dell'Accordo.
Il Governo del Brasile, al contrario, ha asserito che il rifiuto di estradizione troverebbe fondamento, in primo luogo, nella lettera b) dell'articolo 3 del Trattato di estradizione, che preclude l'estradizione nel caso in cui un fatto per il quale essa viene richiesta sia considerato dalla parte richiedente reato politico. Diventa incomprensibile come l'omicidio premeditato o la rapina a mano armata possano essere definiti reati politici unicamente perché commessi a fini di terrorismo o al fine di finanziare un'organizzazione eversiva.
In secondo luogo, il parere dell'Avvocatura brasiliana fa riferimento alla lettera c) dello stesso articolo 3 che inibisce l'estradizione nel momento in cui la parte richiesta manifesti fondate motivazioni per ritenere che la persona di cui viene richiesta l'estradizione possa essere sottoposta ad atti persecutori o discriminatori per motivi di razza, religione, sesso, nazionalità, lingua, opinioni politiche o condizioni personali e sociali, con ciò dando udienza ai farneticanti timori espressi dal Battisti per la propria vita in caso di estradizione in Italia.
Vorrei ricordare che, nello stesso parere reso dall'Avvocatura dello Stato al Presidente del Brasile, si sostiene che Cesare Battisti, agitatore politico che operò negli anni della storia italiana, sebbene condannato per crimini di matrice comune - quindi, anche questo fatto è ammesso dalla stessa Avvocatura dello Stato brasiliano - potrebbe subire conseguenze negative dalla sua estradizione.
Ci sono ponderate ragioni per ipotizzare che il detenuto potrebbe soffrire forme di aggravamento della sua situazione. Questa tesi è davvero infondata. Si basa, questa tesi, sulle motivate richieste di estradizione di esponenti istituzionali e Pag. 21politici italiani, da ciò deducendo, anche questa è una citazione testuale del parere dell'Avvocatura, che «è abbastanza chiaro che la vicenda di Battisti scontenta settori della destra e della sinistra, a voler usare espressioni del vocabolario della guerra fredda, mentre ciò non dovrebbe avere conseguenze sul caso in esame». Questo è un passaggio del parere dell'Avvocatura.
Risulta evidente l'assoluta incongruità di queste motivazioni, poiché sono del tutto legittime le libere esternazioni politiche in favore dell'estradizione nel Paese dove i gravi crimini sono stati commessi e perché da ciò non può dedursi alcun aggravamento del trattamento riservato dal sistema giudiziario dell'Italia nei confronti del condannato Battisti. Non sussiste alcun elemento persecutorio o di aggravamento della situazione personale nei confronti di Cesare Battisti, che dovrà scontare in Italia la pena comminata dai tribunali, con sentenza definitiva, nelle ordinarie condizioni di detenzione e con i benefici, peraltro, previsti dall'ordinamento giudiziario in relazione alla condotta e alle circostanze; tra queste condizioni, vi è la valutazione, da parte del giudice indipendente, dell'elemento soggettivo e della condotta del detenuto, con effetti sulla misura della pena, secondo principi di civiltà giuridica, e non sussistono in Italia, né tra i familiari delle vittime, né tra le forze politiche o nell'opinione pubblica, richieste o atteggiamenti vendicativi che possano mettere in dubbio tali garanzie.

PRESIDENTE. Onorevole Mantini, mi permetto di interromperla per salutare, anche a nome dell'Assemblea, il primo Vicepresidente della Camera dei rappresentanti tailandese, l'onorevole Samart Kaewmechai, che siede nelle tribune (Applausi).
Prego, Onorevole Mantini, prosegua nel suo intervento.

PIERLUIGI MANTINI. Signor Presidente, si potrebbe inoltre rilevare che il Trattato di estradizione prevede, quale unico limite all'estradizione derivante dalla tipologia di pena inflitta, esclusivamente la pena capitale, stabilendo all'articolo 4 che, nel caso in cui un fatto per il quale l'estradizione richiesta sia punibile con la pena di morte, l'estradizione può essere concessa solo se la parte richiedente dà assicurazione che la pena capitale non verrà inflitta o eseguita. Ma anche su tale punto il Governo italiano, su richiesta della procura generale del Brasile, aveva dato già assicurazione che la pena dell'ergastolo non sarebbe stata scontata integralmente e che la carcerazione di Battisti non avrebbe comunque superato i 30 anni, o anche meno, come abbiamo già osservato.
Dunque, l'Italia ha le sue fondate ragioni. È importante, però, che il Governo italiano si muova con cura. Come è stato osservato da attenta dottrina - mi riferisco ad un saggio del professor Natalino Ronzitti - prima di poter ricorrere alla Corte internazionale di giustizia, che può essere investita di competenza solo con il consenso delle parti in lite, occorre seguire la procedura le cui tappe sono indicate dal Trattato di conciliazione e di regolamento giudiziario tra Italia e Brasile del 24 novembre 1954. Le tappe sono tre: innanzitutto, il tentativo di una soluzione della controversia per via diplomatica; quindi, qualora il tentativo fallisca, le parti possono fare affidamento su una procedura di conciliazione; se anche la conciliazione non sortisce effetto, si può ricorrere alla Corte internazionale di giustizia. Quindi, non si può ricorrere alla Corte se prima non sia stato esperito un tentativo di conciliazione.
A supporre che la commissione di conciliazione sia già stata istituita, come prescrive il Trattato del 1954, essa dovrebbe concludere celermente i lavori avendo quattro mesi di tempo a disposizione, tranne che le parti si accordino per una dilazione. Dopodiché, le parti hanno tre mesi di tempo per decidere se accettare le conclusioni della commissione, le quali, trattandosi di conciliazione, non sono obbligatorie.
Tra l'altro, nella conciliazione, le parti cercano un compromesso che, nel caso Pag. 22concreto, può essere difficile da raggiungere a causa dell'oggetto della controversia, che è, in larga misura, già deciso e imbrigliato da sentenze definitive.
Se le conclusioni della Commissione non sono accettate, è aperto il ricorso alla Corte internazionale di giustizia, a richiesta di una delle due parti. Tuttavia, il ricorso non è automatico: Italia e Brasile dovranno concludere un accordo che definisca l'oggetto della controversia. Qualora questo non possa essere raggiunto, ciascuna parte potrà unilateralmente ricorrere entro tre mesi alla Corte.
Il caso Battisti, infine, non sembra limitarsi ad una semplice questione bilaterale tra Italia e Brasile. Infatti, mettendo in dubbio che il sistema giudiziario dell'Italia sia in grado di offrire adeguate garanzie al condannato, il provvedimento brasiliano mette in dubbio il rispetto dei principi stessi di civiltà giuridica da parte di tutta l'Unione europea, quale omogenea comunità di valori e spazio di libertà e giustizia, essendo l'Italia un Paese membro.
La discussione, presso il Parlamento europeo, di una mozione sul caso Battisti può contribuire ad un maggiore impegno dell'Unione europea sul caso Battisti, impegno che auspichiamo.
Inoltre ed infine, ma certo non per importanza, la cooperazione giudiziaria tra gli Stati in ambito penale è, a nostro avviso, il presupposto essenziale per la lotta al crimine, il quale è ormai organizzato su scala globale ed è parte di quella crescita del diritto globale in molti campi, che riteniamo un nostro compito storico.
Per questi motivi, la mozione Casini ed altri n. 1-00517, presentata dal gruppo dell'Unione di Centro, impegna il Governo a promuovere ogni opportuna iniziativa presso il tribunale supremo federale del Brasile, la Commissione di conciliazione istituita ai sensi del vigente accordo bilaterale tra Italia e Brasile, presso la Corte internazionale di giustizia ONU dell'Aja e in ogni altra sede istituzionale o giurisdizionale competente affinché, ricercando ogni soluzione condivisa con l'amica Repubblica federativa del Brasile, si pervenga all'estradizione di Cesare Battisti.
In tal senso, facciamo appello all'unità del Parlamento, delle forze politiche e delle istituzioni, nonché alla ricca tradizione della nostra migliore diplomazia, poiché ogni conflittualità o strumentalità sarebbero fuori luogo o dannose.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Holzmann, che illustrerà anche la mozione Antonione ed altri n. 1-00519 (Nuova formulazione), di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

GIORGIO HOLZMANN. Signor Presidente, onorevoli colleghi, condivido quanto è stato espresso dal collega che mi ha preceduto. Tuttavia, prima di entrare nel merito della discussione di questa mozione, vorrei tentare, nel poco tempo a disposizione, di tracciare un breve profilo di Cesare Battisti.
Non possiamo, infatti, nasconderci il fatto che, attorno a questo personaggio, si siano determinate solidarietà inspiegabili, non soltanto a livello politico, da parte delle autorità politiche brasiliane, ma anche in certi ambienti intellettuali, soprattutto francesi.
Ebbene, Cesare Battisti, che nel 1971 abbandonò la scuola, si rese più volte protagonista di atti di teppismo. Era personaggio ben conosciuto alle Forze dell'ordine: fu arrestato per la prima volta nel 1972 per una rapina a Frascati e nel 1974, una seconda volta, per una rapina con sequestro di persona a Sabaudia. Nel 1977 venne arrestato una terza volta per rapina e, nel carcere di Udine, dove scontava la propria pena, si arruolò nelle fila delle organizzazioni terroristiche di estrema sinistra.
Parliamo, quindi, di un delinquente abituale, di una persona dedita a commettere reati gravi, la quale, solo successivamente, si è arruolata nelle fila del terrorismo. Pertanto, nel tracciare il profilo di questo personaggio, non possiamo non dimenticare che costui, ben prima di adottare i metodi tipici delle organizzazioni Pag. 23terroristiche, si era già reso protagonista di reati e crimini particolarmente efferati.
Successivamente trasferitosi in Lombardia, a Milano, partecipò a varie azioni dei cosiddetti Proletari Armati per il Comunismo, rapine, i cosiddetti espropri proletari. Nel 1978 commise, a Udine, l'omicidio di un maresciallo della polizia penitenziaria, sette mesi dopo, nel febbraio del 1979, a Milano, le sentenze lo riconobbero come l'organizzatore e l'ideatore della rapina e dell'uccisione del gioielliere Pierluigi Torregiani, fatto piuttosto noto. In quell'occasione, in quello scontro il figlio purtroppo fu colpito da una pallottola vagante e rimase paralizzato per tutta la vita, questo forse è l'episodio più noto per il quale Cesare Battisti è stato riconosciuto come organizzatore e ideatore. In quello stesso giorno a 300 chilometri di distanza il Battisti partecipò in prima persona a una rapina a Santa Maria di Sala, vicino Mestre, che terminò con l'uccisione di un commerciante, Lino Sabbadin; due mesi dopo, il 19 aprile 1979, Battisti uccise a Milano, con diversi colpi di arma da fuoco sparati al volto, un agente della Digos, Andrea Campagna, reo soltanto di aver condotto le indagini sul caso Torregiani. Finalmente, nel 1979, nel corso di una vasta operazione antiterrorismo, fu finalmente arrestato e rinchiuso nel carcere di Frosinone dal quale purtroppo riuscì a fuggire due anni dopo.
Questo è quindi il breve profilo, il curriculum di Cesare Battisti, un delinquente comune che trasferitosi nel terrorismo di estrema sinistra ha continuato la sua vita con aveva sempre fatto, commettendo ogni genere di reati gravi e dimostrando, altresì, assoluto spregio per la vita umana. Le vicende processuali parlano da sole ma su quelle mi pronuncerò tra breve, Battisti sfuggì alla legge italiana, non pagò per i suoi crimini, non collaborò con la giustizia, si sottrasse da ogni ammissione di responsabilità. Riparò dapprima in Francia come latitante, come clandestino e successivamente in Messico, per poi rientrare in Francia sotto la cosiddetta tolleranza dell'era Mitterrand. Nel 2004 venne finalmente arrestato in Francia e, grazie all'intervenuto patto tra il Ministro della giustizia italiana Castelli e quello francese Perben, il Consiglio di Stato e la Corte di cassazione francesi autorizzarono l'estradizione del Battisti, che nel frattempo si rese irreperibile. Anche il ricorso presentato dai legali del Battisti alla Corte europea dei diritti dell'uomo contro la sua estradizione venne dichiarato inammissibile nel 2006, in quanto manifestamente infondato.
Veniamo ora al merito della questione, il 13 gennaio 2009 il Brasile accorda lo status di rifugiato politico a Cesare Battisti; il Ministro della giustizia in quella sede espresse quindi un giudizio assolutamente contrario rispetto agli organi giurisdizionali addotti in quel Paese, ovvero il Comitato nazionale dei rifugiati che appunto esamina in Brasile le richieste di asilo politico esprimendo il fondato timore di persecuzione del Battisti per le sue idee politiche. Si tratta di una affermazione, a mio avviso, gravissima, che offende l'Italia, il proprio ordinamento giudiziario e gli italiani tutti. Il 18 novembre 2009 il Tribunale supremo federale, che è la più alta istituzione giurisdizionale del Brasile, si è espresso a favore dell'estradizione lasciando però al Presidente della Repubblica la decisione definitiva. Sappiamo tutti che, come ultimo atto del suo mandato, il Presidente Lula ha concesso, il 31 dicembre dello scorso anno, l'asilo politico al criminale Cesare Battisti. Come risulta anche dalle premesse della mozione, Battisti ha subìto ben sette processi e ventiquattro giudici hanno sentenziato la sua colpevolezza. In Italia il potere giudiziario è un potere autonomo, non è subordinato ad autorità politica, così come avviene in altri Paesi.
Il Presidente della Repubblica italiana, il Governo e il Parlamento chiedono da tempo al Brasile l'estradizione di questo brutale assassino: un criminale senza anima e senza scrupoli capace di sparare al viso di un poliziotto - che neppure conosceva - solo perché compiva il proprio dovere.
Non sussistono motivi di sorta per i quali si possa sostenere che Battisti sia Pag. 24perseguitato con accanimento per ragioni politiche, o abbia subìto o possa rischiare di subire atti discriminatori per motivi di razza, di religione, di sesso, di nazionalità, di condizione sociale o di lingua o di condizioni personali, motivi che, se sussistessero, giustificherebbero il rifiuto all'estradizione.
È di solare evidenza, quindi, che il rifiuto del Presidente Lula alla concessione dell'estradizione di Cesare Battisti costituisce una palese violazione del trattato bilaterale di estradizione del 1989, ed è per noi assolutamente ingiustificato. L'Italia ha rapporti di amicizia con il Brasile, e questa decisione del Presidente Lula - che noi non condividiamo - non può comprometterli. Pertanto, ci attendiamo che il Governo italiano prosegua la sua azione diplomatica parallelamente a quella giudiziaria, nelle sedi giurisdizionali del Brasile e nelle sedi internazionali, al fine di consentire il rientro in Italia del criminale Battisti, fortemente voluto dall'opinione pubblica e da tutte le istituzioni politiche italiane. In questo senso ci riconosciamo appieno nelle premesse e nelle motivazioni della mozione.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Lussana, che illustrerà anche la mozione Reguzzoni n. 1-00523, di cui è cofirmataria. Ne ha facoltà.

CAROLINA LUSSANA. Signor Presidente, intervengo brevemente per illustrare la nostra mozione. È chiaro che la vicenda Battisti e la negazione della sua estradizione da parte del Presidente brasiliano Lula - proprio nell'ultimo giorno di espletamento del suo mandato - costituiscono un precedente grave nei rapporti di cooperazione giudiziaria tra Italia e Brasile, ma soprattutto una grave offesa alla amministrazione della giustizia del nostro Paese e alle tante vittime del terrorismo degli anni Settanta, che attendono che i responsabili di gravi fatti di sangue paghino il loro debito con la legge.
Già negli interventi dei colleghi che mi hanno preceduto è stata ricordata la figura del criminale Cesare Battisti, perché Cesare Battisti non è solo un terrorista ma, appunto, un criminale, che è stato condannato in contumacia all'ergastolo, con sentenza passata in giudicato, come è stato detto. Ventiquattro giudici si sono espressi sulla colpevolezza del Battisti per aver commesso quattro omicidi in concorso durante i cosiddetti anni di piombo.
La vicenda Battisti si trascina ormai da tantissimi anni, da quando, nel 1979 per la prima volta, venne arrestato in Italia nell'ambito di una operazione di antiterrorismo di vaste proporzioni, e detenuto nel carcere di Frosinone. Ma, dopo poco tempo, il 4 ottobre 1981, Battisti riuscì ad evadere e a fuggire in Francia, dove visse da clandestino per circa un anno. Successivamente si trasferì in Messico e, durante la sua latitanza messicana, i giudici italiani lo condannarono in contumacia all'ergastolo perché giudicato responsabile dei quattro omicidi e di varie rapine.
Nella capitale francese frequentò le comunità di latitanti italiani e, anche se dopo poco tempo venne arrestato a seguito di una richiesta di estradizione del Governo italiano nell'aprile del 1991, dopo quattro mesi di detenzione la Chambre d'accusation di Parigi lo dichiarò non estradabile, proprio in virtù di quella tolleranza che passa sotto il nome della cosiddetta dottrina Mitterrand, che aveva un occhio di benevolenza nei confronti di coloro che appunto avevano compiuto atti di terrorismo nel nostro Paese e che in Francia venivano visti, in un certo qual modo, come dei perseguitati di carattere politico.
Del caso Battisti si torna però a parlare il 10 febbraio 2004, quando viene arrestato a Parigi. Questo arresto fu possibile grazie ad un mutamento dell'atteggiamento da parte del Governo francese, ma soprattutto al ricordato accordo fra il Ministro della giustizia italiana, Castelli, e Perben, il suo corrispondente francese, i quali avevano stabilito in un patto la possibilità di consentire per casi di eccezionale gravità l'estradizione anche per coloro che venivano considerati, o che erano stati considerati, rifugiati politici. Cesare Battisti fu considerato soggetto da far rientrare in Pag. 25tale casistica. Infatti, la magistratura italiana richiese nuovamente la sua estradizione, che viene concessa dalle autorità francesi il 30 giugno.
Poco prima, il Presidente francese Jacques Chirac, successore di Mitterrand, aveva palesato il suo consenso all'estradizione in Italia in caso di esito negativo del ricorso in Cassazione presentato dai legali di Battisti. Sia il Consiglio di Stato francese che la Corte di cassazione autorizzarono finalmente la consegna di Battisti alle autorità italiane. A questo punto però Battisti si rese latitante, lasciando la Francia e facendo perdere le sue tracce. A favore dell'estradizione di Battisti si era nel frattempo pronunciata anche la Corte europea dei diritti dell'uomo, alla quale Battisti aveva presentato altro ricorso contro la sua estradizione in Italia. Per la Corte, infatti, il ricorso di Battisti era del tutto infondato.
Nel nostro Paese, da allora, vari esponenti politici hanno cercato e lanciato iniziative e raccolte di firme a favore dell'estradizione di Cesare Battisti. Abbiamo assistito anche ad una strenua difesa da parte di Battisti che nel 2006, nonostante le condanne tutte confermate, si dichiarava addirittura innocente per i quattro omicidi commessi all'epoca di quando era il leader dei Proletari Armati per il Comunismo, così definito dal suo partito. Si tratta di un atteggiamento che ancora una volta ci dà l'essenza di quello che è il personaggio, quindi non solo del terrorista, ma anche del criminale Cesare Battisti. Un atteggiamento assolutamente riprovevole, di non riconoscimento di quella che è stata la propria attività nel passato, insomma nessun atteggiamento che possa farci pensare ad un pentimento per quanto commesso.
Nel 2007 Battisti è stato arrestato in Brasile a seguito di indagini congiunte di agenti francesi e carabinieri del Raggruppamento Operativo Speciale. Nel gennaio 2009 il Brasile ha accordato lo status di rifugiato politico a Cesare Battisti, con decisione del Ministro della giustizia che ha affermato in modo arbitrario il fondato timore di persecuzione di Battisti per le sue idee politiche, decisione fortemente contestata dal Tribunale supremo federale che ha bloccato la scarcerazione di Battisti. La decisione del Governo brasiliano ha suscitato aspre reazioni in Italia da parte di tutte le forze politiche che giudicano le affermazioni tanto infondate quanto offensive. Sempre nel 2009 viene votata all'unanimità una mozione che chiede la revoca dello status di rifugiato. In materia interviene anche il Presidente della Repubblica che invia una lettera al Presidente Lula per esprimere rammarico e stupore per la decisione del Governo brasiliano.
Nel novembre 2009 la più alta istituzione giurisdizionale del Brasile, il Supremo tribunal federal, ha considerato illegittimo lo status di rifugiato politico concesso dal Governo brasiliano. La pronuncia - cinque voti favorevoli e quattro contrari - è favorevole all'estradizione di Battisti in Italia, ma ha lasciato alla Presidenza della Repubblica del Brasile la parola definitiva sulla sua effettiva esecuzione. Il 5 marzo 2010 Battisti subisce dal Tribunale di Rio de Janeiro una condanna a due anni da scontare in regime di semilibertà per uso di passaporto falso. Arriviamo poi al 31 dicembre 2010, quando Lula annuncia il proprio rifiuto all'estradizione di Battisti in Italia seguendo l'orientamento dell'Avvocatura dello Stato brasiliano.
Ora è chiaro che l'estradizione rappresenta la forma classica e più antica di collaborazione internazionale nella lotta contro il crimine, consistendo nella consegna da parte di uno Stato di un individuo che si trova sul territorio ad un altro perché sia da quest'ultimo giudicato e sottoposto all'esecuzione di sanzioni penali già inflittegli.
L'estradizione è un istituto essenzialmente convenzionale tra Italia e Brasile e consiste in un Accordo internazionale rappresentato dal Trattato di estradizione, firmato a Roma il 17 ottobre 1989 e in vigore dal 1o agosto 1993. Pertanto, l'accertamento delle condizioni cui è subordinata l'estradizione riguarda unicamente le condizioni previste dal Trattato. Lo Pag. 26Stato non se ne può discostare e deve rispettare gli obblighi internazionali assunti con il Trattato. Due sole sono le eccezioni, due soli i casi in cui in base al suddetto Trattato l'estradizione non può essere concessa: se il fatto per il quale è domandata è considerato dalla parte richiesta reato politico e se la parte richiesta ha serie ragioni per ritenere che la persona verrà sottoposta ad atti persecutori per motivi politici. Proprio per questo l'atto presidenziale di diniego dell'estradizione di Cesare Battisti ha suscitato profonda indignazione nel nostro Paese, perché si è fatto appello alla sottoposizione di Battisti a trattamenti persecutori in Italia e anche alla natura politica dei reati.
Veniamo agli pseudo-trattamenti persecutori in Italia. Si tratta chiaramente di un'affermazione molto grave, che deve suscitare tutta la nostra capacità di indignazione e di reazione. Addirittura, si può parlare di un attentato alla sovranità del nostro Paese, dell'Italia, dal momento che mette in dubbio il rigore e l'indipendenza della nostra magistratura e afferma l'esistenza di un rischio per l'integrità di Battisti, sostenendo, appunto, che potrebbe essere sottoposto a trattamenti persecutori ove fosse consegnato alle autorità italiane. Tali motivazioni non solo appaiono totalmente infondate, ma sono profondamente offensive e del tutto ignare delle garanzie dell'ordinamento giuridico e della tradizione democratica dell'Italia, dove il regime di detenzione, oltre a prevedere numerosi benefici, è supportato da un sistema di garanzie interne e internazionali.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROSY BINDI (ore 18,05)

CAROLINA LUSSANA. Veniamo poi all'altra motivazione per cui è stata negata l'estradizione, cioè la natura politica dei reati commessi. Ricordiamo, dunque, la figura di Cesare Battisti. Come ho affermato in precedenza, Cesare Battisti è stato condannato all'ergastolo per quattro omicidi e questi quattro omicidi non hanno alcun carattere politico. Infatti, è vero che tali omicidi sono stati compiuti negli anni di piombo, che dietro vi era l'ideologia del PAC, il Partito proletario armato comunista, ma se andiamo a vedere i profili di coloro che sono caduti vittime della ferocia di Battisti, vediamo che si tratta di Andrea Santoro, Pierluigi Torregiani, Lino Sabbadin e Andrea Campagna. Erano persone comuni, onesti lavoratori e onesti servitori dello Stato, completamente estranei al potere politico. I loro profili sono già stati ricordati dal collega che mi ha preceduto, ma è bene spendere due parole, ad esempio, su Andrea Santoro, maresciallo della polizia penitenziaria al quale Battisti sparò insieme ad un complice. Ancora ricordiamo Pierluigi Torregiani, il gioielliere, e le conseguenze che ancora si trascina, purtroppo, nella sua vita il figlio Alberto, che da quel giorno vive paralizzato su una sedia a rotelle per un colpo sparato al padre durante il conflitto a fuoco con gli attentatori. Come è stato detto, vi è ancora Lino Sabbadin, il macellaio di Mestre e, ancora, Andrea Campagna, agente della Digos. Vorrei aggiungere - ed è anche importante ricordarlo - che sia Andrea Campagna sia Andrea Santoro sono stati, in seguito, insigniti della medaglia d'oro al merito civile alla memoria. Pertanto, non vi è nessuna valenza di carattere politico, ma un criminale feroce che si è basato su un'ideologia terrorista per uccidere degli onesti cittadini e - torno a dirlo - servitori dello Stato.
Pertanto, la decisione del Governo brasiliano appare del tutto immotivata. Non vi sono fondamenti giuridici per la sua accettazione. Si tratta di una decisione immotivata, ingiusta, palesemente contraria allo spirito della Convenzione sottoscritta tra Italia e Brasile e completamente in contraddizione, quindi, con il Trattato di estradizione e anche con le pronunce delle Corti europee e internazionali che più volte si sono espresse in favore delle estradizioni in Italia evidenziando, altresì, una rottura nella cooperazione giudiziaria internazionale diretta alla lotta contro il terrorismo e la criminalità organizzata. Pag. 27
Oggi ce l'hanno con me, signor Presidente: Prima l'influenza, ora il collega con la suoneria del telefonino. Mi scuso con chi osserva il nostro lavoro dall'esterno, ma non è facile proseguire.

PRESIDENTE. Onorevole Lussana, non si preoccupi.

CAROLINA LUSSANA. Inoltre, bisogna dire che, nonostante il Presidente Lula abbia negato l'estradizione, nello stesso Brasile tra le varie istituzioni, la posizione di Battisti è da tempo controversa, al punto che lo scorso novembre non solo il Tribunale supremo federale ha dichiarato nullo il provvedimento di riconoscimento dello stato di rifugiato - come ricordato - ma ha anche negato a Battisti nei giorni scorsi la scarcerazione e ha inviato gli atti al giudice relatore per un ulteriore esame nel caso di sede plenaria.
Quindi, chiediamo un impegno al Governo perché si promuova ogni opportuna iniziativa presso ogni sede istituzionale e giurisdizionale, innanzitutto, chiaramente presso il Tribunale supremo federale del Brasile, presso la Commissione di conciliazione, istituita ai sensi del ricordato accordo bilaterale Italia-Brasile, presso la Corte internazionale di giustizia ONU dell'Aja affinché Cesare Battisti possa essere estradato in Italia e scontare il debito in sospeso da anni nei confronti della nostra giustizia che, in più sedi, lo ha riconosciuto colpevole di efferati delitti.
Anche noi pensiamo che si debba comunque persistere nella via diplomatica, tenuto conto dei buoni rapporti che l'Italia ha sempre avuto con il Brasile anche per quanto riguarda la cooperazione giudiziaria: evitiamo che il caso Battisti interrompa questa storica tradizione! Quindi, invitiamo il Governo a mantenere forte l'attenzione sul tema e a riallacciare i rapporti politici con il nuovo Presidente del Brasile, Dilma Rousseff, affinché sia data una corretta interpretazione, un'interpretazione conforme alla legge, del Trattato bilaterale e possa essere quindi rivista una decisione eticamente discutibile, che offende la memoria delle vittime del terrorismo, i familiari e tutti i cittadini italiani.
Anche noi - come ricordato dal collega Mantini - auspichiamo che ci possa essere una condivisione unanime da parte del Parlamento perché questo è un tema che non ci deve vedere divisi né utilizzare delle posizioni strumentali, ma chiaramente uniti e fermi nell'affermazione di un pieno principio di giustizia, che viene negata per le vittime di questi reati. È nostro dovere porre in essere tutte le azioni possibili fino in fondo e con determinazione perché finalmente una giustizia attesa da anni possa trionfare e un criminale possa finalmente scontare il suo debito con le vittime e con la società tutta (Applausi dei deputati dei gruppi Lega Nord Padania e Futuro e Libertà per l'Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Porta, che illustrerà anche la mozione Tempestini ed altri n. 1-00524, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

FABIO PORTA. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, esattamente due anni fa, il 17 gennaio del 2009, il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, scriveva una lettera al suo collega brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva: «Caro Presidente Lula, in nome della nostra personale amicizia, oltre che dell'amicizia tra i nostri due Paesi, le scrivo per manifestarle stupore e profondo rammarico dinanzi alla decisione del Ministro della giustizia, Tarso Genro, di concedere lo status di rifugiato politico al terrorista Cesare Battisti (...)».
Nella sua breve ma ferma ed articolata missiva il nostro Presidente della Repubblica ripercorreva i drammatici anni del terrorismo e riferiva gli efferati delitti per i quali il Battisti era stato già condannato dalle nostre autorità giudiziarie, confutando in maniera chiara e dettagliata le motivazioni con le quali il Governo brasiliano negava la richiesta di estradizione. Quella lettera, il cui contenuto integrale è stato reso noto soltanto poche settimane fa, si concludeva con un appello accorato alla comprensione delle ragioni dell'Italia. Pag. 28
«Caro Presidente - concludeva il Presidente Napolitano scrivendo a Lula - questa mia lettera è dettata dalla memoria sempre vivissima dei rischi per la democrazia repubblicana e delle sofferenze per centinaia e centinaia di famiglie che gli anni del terrorismo, specie di quello ispirato da una sedicente sinistra rivoluzionaria, rappresentarono per l'Italia. Confido nella sua comprensione per le considerazioni che ho voluto personalmente esporle».
Il Presidente della Repubblica allegava alla lettera inviata al Presidente Lula questo libro che tengo tra le mani, ossia un'edizione della Presidenza della Repubblica che contiene quel triste elenco di tutte le vittime italiane del terrorismo.
Un mese dopo la consegna di quella lettera, una delegazione parlamentare composta dal sottoscritto e dal Vicepresidente della Camera, onorevole Maurizio Lupi, si recò a Brasilia per spiegare e trasmettere il sentimento unanime del nostro Parlamento e del popolo italiano ai nostri colleghi brasiliani. Incontrammo parlamentari di diverse forze politiche, di maggioranza e di opposizione, e lo stesso Presidente del congresso della repubblica federale del Brasile, Michel Temer, che oggi riveste la carica di Vicepresidente della Repubblica.
Ricordo che fummo accolti e ascoltati con grande disponibilità, interesse e comprensione per le motivazioni che stavano alla base della mozione che pochi giorni dopo avremmo approvato proprio qui, in quest'Aula del Parlamento italiano. Il 26 febbraio del 2009 infatti approvavamo in maniera unitaria una mozione che respingeva con forza la decisione brasiliana di concedere lo status di rifugiato politico a Cesare Battisti, arrestato a Rio di Janeiro il 18 marzo 2007.
Anche il testo di quella mozione, che aveva tra i primi firmatari i colleghi Cazzola e Bachelet, ripercorreva la parabola storica del terrorismo, con la scia di violenza e sangue che l'aveva accompagnata, respingendo così le motivazioni con le quali in maniera ingiusta e opinabile le autorità brasiliane avevano concesso lo status di rifugiato politico al Battisti, negandone l'estradizione all'Italia e disattendendo palesemente il Trattato bilaterale di estradizione firmato a Roma il 17 ottobre 1989 e ratificato con legge 23 aprile 1991, n. 144.
La mozione che approvammo un anno e mezzo fa impegnava il Governo ad adottare ogni opportuna azione utile per la tutela del proprio ordinamento giuridico in sede internazionale, perseguendo e potenziando gli interventi già intrapresi dal Governo sul piano delle relazioni diplomatiche, economiche e commerciali, al fine di richiamare il Governo della Repubblica federativa del Brasile al rispetto dei trattati internazionali sottoscritti in materia di estradizione e dunque invitare il Governo del Brasile ad operare immediatamente per la revoca dello status di rifugiato politico a Cesare Battisti, concedendo l'immediata sua estradizione affinché potesse scontare in Italia la pena a lui comminata per i reati commessi.
Voglio qui ricordare anche il secondo paragrafo degli impegni che la mozione chiedeva al Governo, cioè quello di rafforzare gli strumenti di cooperazione internazionale per la lotta al terrorismo e alla criminalità organizzata, sia in ambito europeo - trattando con paragonabile energia casi analoghi a cominciare da quello di Marina Petrella - sia attraverso una più ampia e fattiva collaborazione con i Paesi extraeuropei in materia di sviluppo di iniziative volte a favorire l'armonizzazione e la reciprocità degli ordinamenti giuridici.
Anche allora, infatti, ci chiedevamo se lo stesso impegno, la stessa determinazione e la stessa energica fermezza, dimostrate dal nostro Paese relativamente al caso di Cesare Battisti, fossero state dispiegate in relazione alle decine di casi simili che hanno coinvolto latitanti di organizzazioni terroristiche eversive, tanto di destra quanto di sinistra, fuggiti all'estero per evitare di scontare la giusta pena nelle carceri italiane.
Di fronte a certe reazioni, alcune anche scomposte, delle ultime settimane, signor Presidente, questo dubbio - mi sia permesso Pag. 29soltanto questo accenno en passant - è tornato e credo che sia opportuno anche ribadire in questa sede la necessità di un'azione omogenea del nostro Paese in relazione a tali casi, come al tempo stesso la nostra rinnovata fiducia nelle istituzioni democratiche brasiliane e nel loro ordinamento politico e giudiziario.
Perché, allora, a distanza di due anni, il Parlamento italiano torna ad esprimersi con una mozione specifica, che spero sarà unitaria, su questa vicenda? Come è a tutti noto, il 31 dicembre scorso - ultimo giorno del secondo mandato presidenziale di Luiz Inácio Lula da Silva - il Presidente uscente brasiliano ha accolto l'atteso e richiesto parere dell'Avvocatura dello Stato che, contrastando quanto deciso il 18 novembre del 2010 dal Tribunale supremo federale brasiliano, esprimeva parere contrario in merito all'estradizione in Italia di Cesare Battisti, pur negando, allo stesso tempo e con una decisione comunque importante che pochi hanno evidenziato con la dovuta rilevanza, quello status di rifugiato politico che già allora, in contrasto con il parere del CONARE, cioè del Comitato brasiliano per i rifugiati politici, l'ex Ministro della giustizia Tarso Genro aveva concesso al terrorista italiano.
Pur non mancando di evidenziare tale elemento, tutt'altro che irrilevante, cioè la cancellazione di quell'assurdo e incomprensibile status di rifugiato politico a Cesare Battisti, ribadiamo oggi con forza, nel testo della nostra mozione, la legittimità piena della richiesta italiana di estradizione. In questo senso, abbiamo apprezzato la decisione assunta il 6 gennaio dal Presidente del Tribunale supremo federale di respingere la richiesta di scarcerazione immediata presentata dai legali di Battisti, invitando il giudice relatore in sede plenaria ad esprimere un parere in merito.
Continuiamo così a rispettare e a confidare nel corso della giustizia brasiliana, confortati anche dal fatto che dal 1o gennaio di quest'anno quel Paese ha un nuovo Presidente della Repubblica, una donna, Dilma Rousseff, alla quale oggi credo che vadano rinnovati non soltanto i nostri auguri unitamente ai sentimenti di stima, ma anche, signor Presidente, la solidarietà e le condoglianze per le centinaia di vittime - sono già oltre 600 - che in questi giorni si sono avute proprio nel suo Paese, il Brasile. La Presidente Dilma Rousseff - sia detto anche per inciso - in campagna elettorale si era già espressa, sia pure in dichiarazioni informali, in maniera chiara a favore dell'estradizione di Battisti in Italia.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor sottosegretario, mi siano permesse adesso alcune brevi considerazioni finali sul tema oggetto della nostra mozione. Sono considerazioni che svolgo riprendendo ancora una volta le parole sagge del nostro Presidente della Repubblica. Le vicende tristi di questi giorni - ha infatti affermato il Presidente Napolitano l'8 gennaio a Ravenna - hanno dimostrato che non siamo riusciti anche nel rapporto con Paesi amici, sia vicini che lontani, a far comprendere fino in fondo cosa abbia rappresentato quella vicenda per il nostro Paese e quale forza straordinaria sia servita per battere il terrorismo.
Forse - sono sempre parole del nostro Presidente della Repubblica - è mancato qualcosa alla nostra cultura e alla nostra politica per trasmettere davvero cosa accadde in quegli anni tormentosi. Credo che si tratti di parole che ci interpellano tutti, in primo luogo noi, classe politica e dirigente di questo Paese, rispetto al dovuto senso di responsabilità e alla necessaria autocritica in relazione ad un episodio che ha colpito le coscienze e la sensibilità di tutti gli italiani.
La prima considerazione finale, quindi, è sul ruolo che le istituzioni democratiche del Paese hanno avuto in merito a questa vicenda. Ho già parlato dell'impegno attivo del Parlamento e delle nobili e ferme parole del nostro Presidente della Repubblica. Potrei anche riferirmi al ruolo avuto dalle diverse forze politiche rappresentate in quest'Aula, in particolare a quello del mio partito, il Partito Democratico, che ha agito con tempestività e coerenza sul tema affrontato dalla nostra mozione attraverso interventi e dichiarazioni dei suoi più Pag. 30autorevoli esponenti, fino all'ultimo appello scritto e inviato al Presidente Lula, firmato dai responsabili dei forum esteri, giustizia e sicurezza Fassino, Orlando e Fiano.
Senza spirito polemico, ma, al contrario, con atteggiamento costruttivo, che vorrebbe evitare il riproporsi di simili situazioni in futuro, mi chiedo se anche il Governo italiano, e in particolare la sua massima espressione istituzionale, cioè il Presidente del Consiglio, abbia davvero messo in atto tutte le dovute e necessarie azioni per evitare una soluzione negativa di questa vicenda.
Mi riferisco ai tre ultimi incontri del Presidente Berlusconi a Roma il 10 novembre 2008, a Washington il 12 aprile 2010 e a San Paolo il 28 giugno dello stesso anno con il Presidente Lula, nei quali non sembra risultare che il nostro Capo del Governo abbia affrontato il tema dell'estradizione di Battisti. Se ciò fosse vero, è chiaro che si tratterebbe di un fatto che non avrebbe sicuramente aiutato la soluzione della vicenda della quale siamo tutti parlando in maniera preoccupata.
Un'altra considerazione riguarda, invece, i rapporti tra i nostri due Paesi, l'Italia e il Brasile. Sono Paesi accomunati non soltanto da una lunga storia di amicizia e collaborazione, ma Paesi fraterni e indivisibili per la presenza in Brasile della più grande comunità di italodiscendenti al mondo. Si tratta di oltre 30 milioni di cittadini brasiliani oriundi di padre o madre italiani. È una condivisione storica e culturale che oggi fa del Brasile non soltanto uno dei grande partner internazionali dell'Italia, ma, probabilmente, tra i Paesi emergenti, quello con il maggior grado di integrazione sociale ed economica con l'Italia.
Queste ragioni mi inducono a ribadire in questa sede, anche a nome del gruppo del mio partito, la profonda convinzione, espressa peraltro opportunamente dal Presidente del Consiglio e dallo stesso Ministro degli affari esteri, che la controversa soluzione di questo caso non debba e non possa in alcun modo interferire con la necessaria continuità degli ottimi rapporti di collaborazione tra Italia e Brasile a tutti i livelli.
In questo senso, auspichiamo una rapida approvazione della ratifica dell'Accordo bilaterale in materia di difesa, a conferma della coerenza da parte del Governo e delle opposizioni di un atteggiamento fermo, ma anche responsabile. Allo stesso modo, riteniamo giusto garantire continuità alle iniziative messe in atto dal Ministero degli affari esteri e coordinate dalla nostra ambasciata dal titolo «Momento Italia-Brasile», previste proprio per quest'anno.
Infine, il prossimo ottobre a Roma, è opportuno ricordarlo, si svolgerà la V Conferenza Italia-America latina sotto il coordinamento del Governo e del sottosegretario Scotti che oggi è presente in Aula.
Credo che confermare l'invito alla Presidente Dilma Rousseff a quella conferenza significhi non soltanto mantenere una speranza affinché questa vicenda sia risolta in maniera positiva e favorevole, ma sia anche un atto convinto della giustezza della scelta strategica di rafforzare i nostri rapporti con il Brasile ed il continente latino-americano.
Un'ultima osservazione sul valore politico e morale della mozione che il Parlamento si appresta a votare. Questa vuole essere anche un ultimo accorato appello alle autorità di un grande Paese amico, il Brasile, affinché si adoperino per una soluzione positiva della vicenda, evitandone un successivo capitolo che, inevitabilmente, porterebbe l'Italia ad adire le competenti sedi giuridiche internazionali.
In questo Parlamento, è bene ricordarlo, siedono i figli e le vedove delle vittime del terrorismo cieco e violento degli anni Settanta. Quel terrorismo che mieteva morte e violenza, e soprattutto, attentava alle radici comuni del nostro Stato democratico. A quel terrorismo le forze democratiche del Paese si sono sempre opposte in maniera coesa ed unitaria e una magistratura coraggiosa e rispettosa delle prerogative costituzionali ha risposto con coraggio e determinazione. Pag. 31
Anche oggi abbiamo l'opportunità di dimostrare, approvando la mozione in esame, la nostra unità nel rendere omaggio alla memoria dei caduti e di tutte le vittime di quegli atti barbari ed esecrabili. Chiediamo ai deputati del nostro Parlamento, analogamente a quanto sta avvenendo al Senato e al Parlamento europeo - che giovedì prossimo dovrebbe votare una risoluzione in tal senso - di approvare la mozione in oggetto con grande convinzione, spirito unitario e profondo sentimento di condivisione di quei valori che ci hanno permesso di sconfiggere il terrorismo. È con questo spirito e con questi valori comuni che ci rivolgiamo a tutti i Paesi democratici amici dell'Italia e, in primo luogo, al Brasile, chiedendo rispetto, attenzione e comprensione per il nostro appello (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Futuro e Libertà per l'Italia).

PRESIDENTE. Saluto gli studenti della scuola elementare Luigi Settembrini di Maddaloni, provincia di Caserta, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).
È iscritto a parlare l'onorevole Marsilio, che illustrerà la mozione Carlucci ed altri n. 1-00525, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

MARCO MARSILIO. Signor Presidente, vorrei iniziare l'illustrazione della mozione in esame riallacciandomi ad un fatto della cronaca di oggi: un altro protagonista di quella terribile stagione degli anni di piombo, Achille Lollo, è stato chiamato al tribunale di Roma a testimoniare, come persona informata dei fatti, in merito alla strage, al rogo del quartiere Primavalle in cui morirono Stefano e Virgilio Mattei nel 1973. Per questa vicenda Achille Lollo è stato condannato a soli diciotto anni di reclusione, dopo una prima assoluzione che gli consentì di emigrare all'estero e di fuggire dalle proprie responsabilità, con l'imputazione di omicidio preterintenzionale grazie alla quale, passati oltre diciotto anni di latitanza dorata all'estero, lui e gli altri suoi due complici condannati non hanno mai scontato questa pena.
Oggi le indiscrezioni giornalistiche che circolavano già da qualche settimana secondo cui Achille Lollo aveva fatto ritorno a Roma indisturbato, approfittando, appunto, della sua condizione, paradossale, di uomo libero, sono confermate dalla sua presenza in tribunale dove l'arroganza del personaggio si è di nuovo prodotta nella dichiarazione di non volere rispondere al magistrato, continuando così ad occultare la verità su quel gesto criminale, sulle responsabilità sue e dei suoi complici, compresi quelli che oggi sono sotto inchiesta per la riapertura del processo in seguito all'acquisizione di nuovi elementi su persone che, all'epoca dei fatti, non vennero indagate e che oggi sono sottoposte ad indagine da parte della magistratura.
Se faccio il parallelo con Achille Lollo non è soltanto per l'evidente e lampante analogia, che la vicenda di Achille Lollo riveste con quella di Cesare Battisti. Lo faccio perché è stupefacente come, nonostante siano passati oltre trent'anni di tempo e in questi trent'anni vi sia stato anche motivo e modo di maturare una riflessione più seria su cosa sia accaduto in quegli anni e sulle relative responsabilità, oggi sono poche le voci che si sono alzate - e si stanno alzando in queste ore - rispetto a questa indesiderata, inquietante e, per certi versi, provocatoria presenza di Achille Lollo a Roma.
Questo dimostra infatti che nonostante tutto lo sforzo e il tempo trascorso, nonostante la riflessione politica e culturale condotta su quegli anni, non vi è ancora stata una «metabolizzazione» completa e sincera di questi fatti, né un'assunzione di responsabilità da parte di chi, per troppi anni, ha dato legittimazione e copertura etica, morale, politica e a volte anche direttamente logistica a questi criminali. Essi hanno potuto così godere di questa rete di connivenze e di complicità per poter fuggire dall'Italia e trovare asilo in Paesi - penso in particolare alla Francia oltre che al Brasile - che hanno concesso loro tale possibilità per troppi anni, senza che dall'Italia arrivassero pressioni serie, motivate e forti per riavere indietro queste persone, fare scontare loro quanto meritavano, Pag. 32e perché fossimo trattati da nazione civile, dove vige lo Stato di diritto e dove non esistono persecuzioni nei confronti di siffatti personaggi.
Al contrario, l'asserita e temuta persecuzione per il passato o, nel caso di Cesare Battisti, per l'immediato futuro, al suo rientro nelle patrie galere, non solo non c'è stata, ma la cronaca e la storia dimostrano che semmai queste persone hanno ottenuto un trattamento, che è l'esatto contrario di un atteggiamento persecutorio e pregiudiziale nei loro confronti.
In questi giorni sui muri della città di Roma, manifesti e locandine, firmati da un gruppo di estrema sinistra che si chiama Militant, rivendicano la libertà per Cesare Battisti, nonché la correttezza e giustezza della decisione presa dall'ex Presidente brasiliano Lula. È un altro fatto vergognoso, che dimostra come, purtroppo, in alcuni settori della nostra società e del panorama politico nazionale esistano ancora soggetti, che esprimono non solo una connivenza silenziosa e operosa con tali personaggi, ma addirittura una esplicita rivendicazione della loro posizione.
Non abbiamo trovato Cesare Battisti in Brasile per caso dopo una lunga ricerca. Cesare Battisti prima di arrivare in Brasile è stato, fino al 2004, in Francia, per almeno dieci anni dopo la sua condanna definitiva, e quindici anni dopo la prima condanna, alla quale si è sottratto, scappando dall'Italia e approfittando dei tempi e dei modi della giustizia italiana per andare in Francia.
In Francia non ha fatto la vita del rifugiato (in una situazione in cui pochi, o nessuno, potevano essere a conoscenza di dove si trovasse), in quanto viveva pubblicamente la propria vita da latitante «dorato», scrivendo e pubblicando libri di grande successo che lo hanno aiutato a costruirsi intorno un'ulteriore rete di solidarietà culturale, sociale, umana e politica, in modo tale che era poi difficile credere che il bravo scrittore fosse un delinquente, un criminale comune, comunque un assassino (che si voglia definire comune o meno). Così, per oltre dieci anni Battisti è stato in Francia, insieme ad una nutrita colonia di ex terroristi, molti con condanne sulle spalle anche per fatti di sangue e non certo per semplici reati di opinione, i quali hanno potuto evitare di pagare il loro prezzo con la giustizia italiana grazie alla «dottrina» Mitterrand (l'ex Presidente della Repubblica ed esponente del Partito socialista francese, membro della famiglia del Partito socialista europeo, quindi non parliamo di estremisti).
In Italia i partiti che con il Partito socialista francese e che con Mitterrand hanno condiviso e condividono tutt'ora una comune esperienza politica e internazionale raramente si sono spesi con la Francia per far sentire l'indignazione di essere considerati un Paese incivile, dove i tribunali condannerebbero ingiustamente degli assassini, e in virtù di un pregiudizio politico, come se in Italia questi personaggi fossero stati degli eroi rivoluzionari che combattevano contro dittature, Stati autoritari e repressivi, o simili. Questo è il punto. Su Cesare Battisti si sta ancora parlando di questo.
Certo, pesa sulla decisione di Lula la propria storia personale (immagino), la storia di chi ha avuto a che fare con regimi militari, di chi probabilmente ha personalmente impugnato le armi e combattuto militarmente per l'affermazione dei propri diritti, della libertà, e per rovesciare regimi liberticidi. Ma questa storia non ha nulla a che fare con quello che è accaduto in Italia, e noi abbiamo il dovere di continuare a ricordare al Brasile che questa differenza è una differenza sostanziale, e che la complicità con Battisti è la complicità con un assassino, con un criminale.
Voglio dire al sottosegretario Scotti (che qui rappresenta il Governo oltre che il Ministro degli affari esteri) che noi tutti - sto illustrando una mozione presentata da alcuni deputati del Popolo della libertà - sosteniamo con convinzione e ringraziamo l'azione del Governo, del Presidente del Consiglio, del Ministro degli esteri Frattini, dei quali sappiamo che in tutte le sedi internazionali, in ogni rapporto bilaterale, in tutte le occasioni non hanno Pag. 33fatto mancare con vigore l'iniziativa nei confronti del Brasile e di qualunque organismo internazionale possa intervenire per risolvere positivamente questa vicenda.
Noi continueremo a sostenere, ovviamente, il Governo lungo questa strada anche se sarà necessario in futuri gradi di giudizio rispetto ad organismi internazionali, in ulteriori tentativi diplomatici (ovvero di diplomazia «positiva», amichevole e collaborativa), ragionare e spiegare (come si suol dire: con le buone) al Brasile quali siano le nostre ottime ragioni perché venga modificata la decisione del Presidente Lula, e perché non si debba subire l'oltraggio (come quello che stiamo subendo oggi per il caso di Achille Lollo) che magari fra qualche giorno Battisti non solo non venga estradato, ma che addirittura quel tribunale brasiliano, che almeno oggi lo sta tenendo dentro le prigioni brasiliane possa persino liberarlo e dargli la patente di rifugiato politico. Mi riferisco ad una patente che si offre a persone molto nobili, uomini e donne che nelle loro patrie hanno subìto persecuzioni gravissime, e che hanno pagato duramente il prezzo della loro coerenza e delle loro lotte per l'affermazione di diritti positivi, una patente che non si concede ad assassini, che non meritano, soprattutto quando non hanno mai espresso lo straccio di un pentimento e di ravvedimento, alcuna nostra pietà.
Infatti, se ci trovassimo di fronte ad una persona che avesse la forza d'animo, il coraggio e l'umiltà di chiedere perdono ai parenti delle vittime, di cercare di far capire, magari, anche quale processo di maturazione sia avvenuto al suo interno, forse, lo spiraglio di un perdono per una persona del genere esisterebbe; poi, ovviamente è lasciato ai singoli valutare.
Tuttavia, di fronte a una persona che, dopo aver commesso certi atti, si presenta con l'arroganza di dichiarare sostanzialmente di essere dalla parte della ragione, di non assumersi la responsabilità né morale né materiale dei lutti e delle tragedie che ha provocato, di sentirsi semmai egli stesso vittima di ciò che è accaduto, e non carnefice, ovviamente, non vi è alcuna pietà e sarebbe oltraggioso se il Brasile oltre a non concederci l'estradizione, dovesse anche liberarla.
In quel caso - voglio dirlo al rappresentante del Governo - la diplomazia positiva del mantenere buoni rapporti e dell'essere grandi amici del Brasile, perché è una grande nazione legata da vincoli di comunanza anche per la grande emigrazione che gli italiani hanno avuto nei confronti di quel Paese, non potrà durare a lungo.
Una nazione seria, quando viene sbeffeggiata e oltraggiata, quando non viene rispettata nei rapporti bilaterali e sul piano internazionale, non può accettare di essere trattata come uno Stato dove non esiste lo Stato di diritto, dove i detenuti rischiano di essere perseguitati e dove si chiede l'estradizione di un criminale per spirito di vendetta e non di giustizia. Questo trattamento il Brasile lo riservi ad altri Paesi - e non ho bisogno di dire quali - non all'Italia. E se l'Italia dovesse continuare a subire questo trattamento, dovremmo trarne le conseguenze, perché la dignità nazionale non ha un prezzo.
Con riferimento a questo rivolgo la mia richiesta e spero che il Governo voglia interpretare questi sentimenti, perché non ho dubbi che sarebbero i sentimenti non solo della stragrande maggioranza del Parlamento italiano, ma della stragrande maggioranza del popolo italiano. Non si può restare indifferenti e non possono restare intatti i rapporti di amicizia e di collaborazione che oggi abbiamo con il Brasile, se il Brasile non dimostrerà nei fatti di essere davvero rispettoso e amico dell'Italia e del popolo italiano.

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Marsilio.
Avverto che è stata testé presentata la mozione Bocchino ed altri n. 1-00527. Il relativo testo è in distribuzione (Vedi l'allegato A - Mozioni).
È iscritto a parlare l'onorevole Di Biagio, che illustrerà anche la mozione Bocchino ed altri n. 1-00527, di cui è cofirmatario.

Pag. 34

ALDO DI BIAGIO. Signor Presidente, rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, eviterò di illustrare la triste vicenda, già ampiamente affrontata dai miei colleghi, ma mi limiterò ad alcune riflessioni politiche.
Con la discussione delle mozioni in oggetto si apre un momento importante per formulare, in un contesto istituzionale, una riflessione condivisa su una vicenda che sta mettendo a dura prova non solo le relazioni tra Italia e Brasile, ma anche e, soprattutto, la memoria storica del nostro Paese.
Il caso Battisti, con tutto il suo carico storico e politico, sociale ed emotivo, solleva un velo su una questione complessa che le nostre istituzioni sono chiamate inevitabilmente a dirimere.
Gli attestati di sdegno e di richiamo non sono mancati nei confronti del Governo brasiliano, ma a questi annunci non ha fatto seguito una reale azione di protesta sul fronte bilaterale, che non sia di natura esclusivamente interlocutoria.
È sotto gli occhi di tutti che, al di là delle indignate dichiarazioni, sono state carenti le iniziative dei referenti del nostro Governo presso le sedi giudiziarie competenti, sia sul fronte bilaterale che su quello istituzionale. Possiamo, però, tranquillamente ammettere che non è mancato l'autorevole intervento del Presidente Napolitano, che ha inteso pronunciarsi apertamente su questa vicenda, al contrario di incomprensibili ambiguità.
Gli strumenti di natura convenzionale internazionale sono sempre esistiti, ma l'Italia sembrerebbe non aver avuto l'occasione o l'opportunità di metterli in pratica. È questo un grave limite, che con l'impegno di questa mozione si cercherà di superare. Conosciamo il carattere fattivo e significativo delle relazioni economiche e commerciali che esistono tra Italia e Brasile e che sembrano essersi rafforzate negli ultimi anni. Malgrado la reciproca stima, la fattiva esperienza di cooperazione bilaterale e i molteplici progetti avviati e sostenuti dai due Paesi, il Governo brasiliano mantiene un approccio unilaterale illogico e incomprensibile nei confronti di una legittima istanza formulata dalle autorità italiane.
A ciò si aggiunge un altro aspetto di natura più tecnica: a differenza di quanto detto dall'ex Presidente brasiliano Lula, secondo il diritto internazionale la concessione dell'estradizione di un criminale straniero non è un atto sovrano dello Stato in cui risiede il criminale quando c'è un accordo bilaterale in materia. Ma questo, forse, è un particolare sfuggito al Governo brasiliano e che il nostro Governo deve fare in modo di far tornare alla memoria.
Inoltre la posizione di intransigenza del Governo brasiliano nei confronti di un criminale come Battisti rischia di legittimare una patina di leggerezza su un momento drammatico della nostra storia italiana e sul carico di dolore e di morte che certe azioni e certi crimini, come quelli compiuti da Battisti negli anni Settanta, hanno sollevato sul tessuto sociale e culturale del nostro Paese.
Ovviamente - ci tengo ad evidenziarlo con gran voce - qui non si intende catalogare un crimine con il suo colore ideologico: facciamo fare le strumentalizzazioni di terz'ordine a chi non ha argomenti. I criminali sono tali perché si sono macchiati di gravi reati e di gravi delitti e poco importa a quale organizzazione questi appartengano, siano essi di destra o di sinistra. Il reato, la brutalità, la violenza non hanno ideologia, ma devono essere puniti e perseguiti senza se e senza ma, e il fatto che in questi giorni si siano moltiplicati, in particolare nella città di Roma, manifesti e striscioni che inneggiano alla liberazione di Battisti, la dice lunga sullo stato di coscienza storica e consapevolezza che l'Italia è riuscita a strutturare in questi anni. E l'Italia, purtroppo, ha una grave responsabilità che continua a confermare in queste ore. Quella che, però, emerge in maniera chiara e delineata è che forse, in questi anni, il nostro Paese ha, sì, contribuito a rafforzare le relazioni bilaterali, ma preferendo subordinare la politica e il rispetto dell'economia agli interessi di qualcuno, a scapito di quelli della società civile, e alle amicizie personali Pag. 35rispetto a quelle tra popoli, con il risultato che è sotto gli occhi di tutti.
Con questi stessi dubbi e armandomi di queste stesse evidenze, ho inteso presentare una interrogazione al Ministro Frattini che pretende di fare chiarezza su quanto intende fare l'Italia realmente. Infatti sembrerebbe proprio il caso di chiedersi quale sia la reale strategia dell'Italia nei confronti del Brasile in merito alla mancata estradizione di un criminale quale Battisti, al fine di evitare che un illogico approccio unilaterale del Brasile rappresenti uno spregevole precedente agli occhi della comunità internazionale, in grado di legittimare uno spiraglio di impunità nei confronti di chi si è macchiato di crimini gravissimi.
Signor Presidente, ora spetta alla politica fare la sua parte. Il silenzio assordante di questi mesi, però, lascia qualche dubbio.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.

(Intervento e parere del Governo)

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo, sottosegretario di Stato per gli affari esteri, Enzo Scotti.

ENZO SCOTTI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Signor Presidente, onorevoli deputati, prima di esprimere il parere del Governo sulle mozioni al nostro esame, voglio rinnovare al popolo brasiliano, al Governo federale e a quello dello Stato di Rio de Janeiro, i sentimenti di cordoglio per le vittime della tremenda alluvione che ha colpito il Paese e trasmettere, ancora una volta, ai familiari la solidarietà degli italiani.
Solidarietà di un popolo amico che ha coscienza dei profondi legami umani, culturali e politici tra i due Paesi: vincoli consolidati dalle decine di milioni di brasiliani, i cui antenati hanno lasciato la nostra terra e hanno concorso al grande progresso del Brasile moderno. A quel progresso hanno contribuito tante imprese italiane. A quel progresso potremo continuare a partecipare proprio attraverso gli strumenti di cooperazione strategica tra i due Paesi.
Ed è proprio in nome di questi profondi legami tra Italia e Brasile, che - in questo momento e nella sede più alta della rappresentanza popolare, il Parlamento - dobbiamo esprimere al Governo brasiliano, e certamente da amici, la nostra profonda amarezza e, in modo molto netto e senza alcun equivoco possibile, il nostro dissenso per la decisione di non estradare, in base alle norme di un Trattato bilaterale, un cittadino italiano colpevole di gravi reati di sangue e condannato dai tribunali italiani nel pieno rispetto delle garanzie costituzionali.
Vorrei, quindi, esprimere apprezzamento per questa opportuna e tempestiva iniziativa che il Parlamento, in entrambi i suoi rami, ha inteso assumere per lanciare un ulteriore e forte segnale, a testimonianza dell'attenzione con cui tutto il nostro Paese segue il caso Battisti.
Con un atto che, certamente, mi auguro, avrà il voto unitario del Parlamento, si chiede con toni pacati, ma ferma e unanime determinazione, che la vicenda possa finalmente concludersi con l'estradizione del cittadino italiano.
A questi fini, il Governo, forte dell'impulso dell'intero Parlamento e del consenso dei cittadini, si impegna ad operare, come da tempo sta facendo, affinché tale risultato di giustizia e civiltà possa essere raggiunto.
La decisione di non concedere l'estradizione a Battisti, assunta dall'ex Presidente lo scorso 31 dicembre, ossia nell'ultimo giorno del suo mandato da Capo di Stato, ha, di fatto, scosso profondamente l'opinione pubblica italiana, perché offende la memoria delle vittime degli atti criminali di Battisti e la sensibilità dei suoi familiari. Essa contraddice i princìpi basilari del diritto e sembra quasi mettere in dubbio l'affidabilità del nostro sistema giudiziario, ponendo, quindi, in discussione Pag. 36quello dell'intera Unione europea. È una decisione, per questi motivi, condannata dal Governo, ma anche da tutte le forze politiche di questo Parlamento, senza alcuna distinzione.
L'Italia, che rispetta naturalmente la sovranità del Brasile e ha piena fiducia nell'indipendenza della magistratura brasiliana, ritiene assolutamente non corrispondente al diritto il diniego dell'estradizione.
Nei mesi scorsi, tramite contatti ai massimi livelli e una costante azione della nostra ambasciata a Brasilia, che ha in questo senso ricevuto costanti e puntuali istruzioni dal Ministero degli affari esteri, erano state illustrate le ragioni e le aspettative del nostro Paese.
Il Capo dello Stato e il Governo hanno sempre sottolineato di confidare nel rispetto della decisione del Tribunale supremo federale di concedere l'estradizione a Battisti.
Da ultimo, il 21 dicembre, il sottosegretario alla Presidenza, su impulso del Presidente del Consiglio dei ministri, aveva nuovamente, e non senza una certa fermezza, rappresentato all'ambasciatore del Brasile le attese italiane e invitatolo a non sottovalutare la reazione del nostro Paese. Vorrei pregare gli onorevoli di mantenere alto il dibattito parlamentare e di non cercare inutili alibi alla decisione brasiliana, insensibile a tutti gli appelli ad essa rivolti, anche in occasione del G8 a L'Aquila.
Abbiamo quindi accolto con grande disappunto e profonda delusione la decisione dell'ex Presidente brasiliano, disappunto e delusione che sono stati espressi con chiarezza ai nostri interlocutori a Brasilia.
Cogliamo e coglieremo tutte le occasioni per rappresentare alle autorità brasiliane l'aspettativa che il vigente Trattato bilaterale di estradizione sia correttamente interpretato ed applicato e che quindi Battisti venga estradato in Italia. Percorreremo tutte le possibili vie giudiziarie. La decisione dell'ex Presidente va del resto in senso contrario rispetto al precedente verdetto del Tribunale supremo federale da noi attivato. La più alta istanza giudiziaria del Brasile aveva dichiarato nullo, come noto, il provvedimento di rifugio, aveva concesso l'estradizione richiesta dall'Italia e autorizzato quindi il Presidente brasiliano a consegnare Cesare Battisti al nostro Paese in conformità con il Trattato bilaterale, pur prescindendo dal fatto che la pronuncia faceva salve le competenze del Presidente stesso.
Tali sviluppi già avevano fornito un eloquente e autorevole conforto da un punto di vista giuridico alle tesi da noi sempre sostenute con convinzione e tenacia in tutte le fasi di questa lunga, purtroppo, vicenda. Su tali tesi poggia, tuttora intatta, la consapevolezza delle nostre ragioni.
L'Italia, pure in un quadro di relazioni bilaterali che intende preservare, continuerà quindi a battersi in nome di un'esigenza fondamentale di giustizia; lo farà su tutti i piani e con tutte le modalità offerte dagli strumenti giuridici di natura interna e internazionale. Lo farà per difendere e promuovere gli interessi più alti dello Stato e la piena applicazione dei principi della certezza del diritto che rendono necessaria la condanna e la pena di quanti si siano resi colpevoli di crimini odiosi.
Non intendiamo mettere in discussione la tradizionale collaborazione con il Brasile, una cooperazione articolata, mutuata e vantaggiosa: milioni di nostri connazionali - è bene ricordarlo - sono divenuti cittadini brasiliani. Al popolo brasiliano - lo voglio ripetere - ci uniscono vincoli radicati nella storia e con esso intendiamo continuare a costruire forme di cooperazione politica, economica e sociale in conformità con gli accordi che abbiamo stipulato.
Quello che noi vogliamo - lo ribadisco - è contrastare con la massima determinazione una decisione che riteniamo ingiusta e infondata; la nostra linea si ispira dunque a fermezza e misura nello stesso tempo e mi fa piacere constatare che questo è l'approccio che ho registrato anche in quest'Aula. Atteggiamenti che contribuissero ad esasperare il clima non servirebbero a conseguire l'obiettivo e potrebbero, anzi, rivelarsi controproducenti, rischiando paradossalmente di essere strumentalizzati. Pag. 37
È bene tenere presente che il parere dell'Avvocatura generale dello Stato brasiliano, che noi contestiamo e su cui il Presidente uscente si è basato, invoca, senza fondamento, proprio quel passaggio del Trattato bilaterale che esclude l'estradizione ove l'estradato possa subire atti persecutori, discriminatori o comunque la sua situazione rischi di essere aggravata. Vogliamo ricordare ai nostri amici brasiliani la storia italiana e sottolineare come anche il terrorismo sia stato sconfitto proprio grazie alla reazione ferma della comunità nazionale ma, sempre, nel pieno rispetto delle regole dello Stato di diritto. Fermezza e misura, appunto, sono state la nostra stella polare anche nei passaggi più delicati.
Voglio sottolineare come nel caso Battisti siamo in presenza di reati comuni. Già all'indomani dell'annuncio della decisione del Presidente uscente Lula, il Governo italiano si è mosso prontamente e tramite i suoi legali si è subito opposto alla richiesta di scarcerazione depositata dagli avvocati di Cesare Battisti. Il Tribunale supremo federale ci ha dato ragione e ha respinto lo scorso 6 gennaio l'istanza di liberazione con una pronuncia che dà ulteriore conferma alle nostre tesi. Viene escluso che la giurisdizione dell'Alta Corte brasiliana sia esaurita.
Viene ricordato che a suo tempo il Tribunale supremo federale aveva riconosciuto l'assoluta assenza di prove di rischio di persecuzione politica nei confronti di Battisti. Si ribadisce che la discrezionalità della decisione presidenziale era subordinata al rispetto del Trattato bilaterale limitatamente alla consegna dell'estradando, viene negata la presenza di fatti nuovi che possano indurre a ritenere l'esistenza di «ragioni ponderate per supporre che la persona richiesta sarà oggetto di atti di persecuzione e discriminazione» una volta estradata.
L'impugnazione incidentale, subito accolta dal Tribunale supremo federale, prelude peraltro al vero e proprio ricorso che, davanti a quella stessa Corte, ci accingiamo a presentare. In vista del riesame del caso, il ricorso di diritto interno brasiliano per annullare il rifiuto dell'estradizione sarà avverso il parere dell'Avvocatura generale - che presta il fianco a più di un'obiezione, difettando di coerenza e profondità giuridica - e la decisione dell'ex Presidente, che si limita a recepire senza commenti o motivazioni il parere stesso.
Esso verrà presentato, per motivi di opportunità, nell'imminenza della riapertura dei lavori del Tribunale supremo federale, prevista a fine febbraio. Confidiamo nella solidità delle nostre argomentazioni, ma non vogliamo certo farci trovare impreparati, nemmeno di fronte alla più negative delle prospettive.
Nella malaugurata ipotesi che il ricorso di diritto interno brasiliano non avesse successo, sarà infatti possibile esperirne uno alla Corte internazionale di giustizia de L'Aja, proprio perché la mancata estradizione di Cesare Battisti appare configurare una violazione del trattato bilaterale italo-brasiliano del 1989 da parte del Brasile, e la sua conseguente responsabilità sul piano internazionale.
Inoltre, poiché Italia e Brasile sono vincolati dalla Convenzione di conciliazione e regolamento giudiziario del 1954, si potrebbero anche esperire i mezzi di soluzione delle controversie previsti da tale Accordo, per ottenere l'accertamento da parte di un terzo imparziale della sussistenza di una violazione. La Convenzione del 1954 stabilisce, infatti, che le controversie di qualunque natura sorte tra le parti e non risolte per via diplomatica possano essere sottoposte ad un procedimento di conciliazione. Il procedimento si conclude con una proposta da parte del conciliatore che le parti sono libere o meno di accettare. Se il tentativo fallisce, ciascuna delle due parti può adire unilateralmente la Corte internazionale di giustizia. Qualora, infine, la Corte dovesse ritenere la controversia non giuridica, le parti potranno convenire che essa venga risolta ex aequo et bono dalla stessa Corte.
Vorrei infine sottolineare che, di fronte all'ingiusto diniego dell'estradizione di Battisti, l'Italia si è subito attivata anche sul fronte europeo. Come accennavo all'inizio, le motivazioni alla base della decisione Pag. 38dell'ex Presidente Lula rappresentano, infatti, una inaccettabile sottovalutazione non solo dell'ordinamento italiano, ma anche dell'intero sistema comunitario di garanzia dei diritti e delle libertà fondamentali.
È per questo motivo che nel corso delle ultime settimane, a seguito di un provvedimento che appare essere in totale contraddizione con la natura stessa dell'Unione europea, di comunità fondata sul rispetto del principio dello stato di diritto e con gli elevatissimi livelli delle garanzie e delle tutele riconosciute dagli ordinamenti di tutti i Paesi membri, abbiamo provveduto a sensibilizzare anche i partner comunitari affinché sostengano le iniziative messe in campo dall'Italia, volte ad ottenere l'estradizione di Cesare Battisti, nella consapevolezza che essa non può e non deve essere considerata una vicenda puramente bilaterale.
Molto significativa è, in questo senso, una proposta di risoluzione presentata da vari gruppi e già iscritta all'ordine del giorno della sessione plenaria di Strasburgo. La discussione dovrebbe avvenire questo giovedì.
La risoluzione auspica che il nuovo ricorso italiano possa essere accolto dalle autorità competenti brasiliane e ricorda che il partenariato tra Unione europea e Brasile è fondato sul riconoscimento reciproco che entrambe le parti rispettino la legalità e i diritti fondamentali.
Signor Presidente, il Governo è convinto che le pronunce del Parlamento nazionale ed europeo non potranno che rafforzare l'azione che l'Italia sta conducendo al massimo livello e con la massima determinazione per ottenere la giusta estradizione di Cesare Battisti contro il parere dell'Avvocato generale che ha motivato la decisione dell'ex Presidente. Noi ci auguriamo che anche da questa difficile prova esca rafforzata l'amicizia tra i due popoli e la cooperazione tra i due Governi.
Per queste ragioni, esprimo il parere favorevole del Governo a tutti i dispositivi delle mozioni presentate, auspicando che si arrivi ad un testo unico della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica in modo da presentare al Brasile un documento unico che esprima con una sola voce la volontà e la determinazione del nostro Paese.

PRESIDENTE. Avverto che è stata testé presentata la mozione Vernetti ed altri n. 1-00528 (vedi allegato A - Mozioni). Il relativo testo è in distribuzione.
Invito il rappresentante del Governo ad esprimere il parere anche su questa mozione.

ENZO SCOTTI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Il parere è favorevole.

PRESIDENTE. Il parere è quindi favorevole anche sul dispositivo della mozione Vernetti ed altri n. 1-00528.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Martedì 18 gennaio 2011, alle 10,30:

1. - Svolgimento di una interpellanza e di interrogazioni.

(ore 15)

2. - Seguito della discussione della relazione territoriale sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti nella Regione siciliana approvata dalla Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti (Doc. XXIII, n. 2).

3. - Seguito della discussione della proposta di legge costituzionale:
DONADI ed altri: Modifiche agli articoli 114, 117, 118, 119, 120, 132 e 133 Pag. 39della Costituzione, in materia di soppressione delle province (C. 1990).

e delle abbinate proposte di legge costituzionale: CASINI ed altri; PISICCHIO (C. 1989-2264).
- Relatore: Bruno.

4. - Seguito della discussione delle mozioni Casini ed altri n. 1-00517, Antonione ed altri n. 1-00519, Reguzzoni ed altri n. 1-00523, Tempestini ed altri n. 1-00524, Carlucci ed altri n. 1-00525, Evangelisti ed altri n. 1-00526, Bocchino ed altri n. 1-00527 e Vernetti ed altri n. 1-00528 concernenti iniziative volte all'estradizione di Cesare Battisti.

La seduta termina alle 19,15.