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Resoconto dell'Assemblea

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XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 417 di giovedì 13 gennaio 2011

Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROCCO BUTTIGLIONE

La seduta comincia alle 9,35.

RENZO LUSETTI, Segretario, legge il processo verbale della seduta di ieri.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che non vi sono ulteriori deputati in missione.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente cinquantotto, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Svolgimento di interpellanze urgenti (ore 9,37).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di interpellanze urgenti.

(Iniziative in merito alla carenza di personale del carcere di Ciuciano Ranza, nel comune di San Gimignano (Siena) - n. 2-00901)

PRESIDENTE. L'onorevole Cenni ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00901, concernente iniziative in merito alla carenza di personale del carcere di Ciuciano Ranza, nel comune di San Gimignano (Siena) (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti).

SUSANNA CENNI. Signor Presidente, onorevole sottosegretario, l'interpellanza giunge dopo la mancata risposta a numerosi atti di sindacato ispettivo presentati da me e anche da altri colleghi. La sostanza riguarda il carcere di Ranza, una casa di reclusione sita nel comune di San Gimignano, in provincia di Siena. È una casa di reclusione che ospita detenuti con condanne definitive per reati gravi ed ergastolani appartenenti ad associazioni criminali. Una situazione, quindi, che richiede anche un livello di sorveglianza molto attento e continuo. In questa situazione, abbiamo oggi 410 detenuti presenti nella casa di reclusione, di cui 120 in regime di alta sicurezza, contro una capienza tollerabile, definita dal DAP, in 217 posti. Per contro, sono operative oggi nel carcere 134 unità di polizia penitenziaria, a fronte delle 233 unità che sarebbero previste dalla programmazione resa nota, appunto, dal DAP. In questa situazione numerica, quindi, i ripetuti allarmi che sono stati lanciati dai vari dirigenti che si sono succeduti alla guida della casa di reclusione - purtroppo tutti temporanei da un certo numero di anni -, ma anche eventi che si sono succeduti - l'ultimo è di poco più di un mese fa, un tentativo di evasione, ma prima di questa vicenda ve ne sono state altre e mi riferisco anche a numerosi tentativi di suicidio da parte di detenuti del carcere -, ci dicono che c'è una situazione molto prossima all'esplosione.
Io stessa, insieme a dei colleghi, in più occasioni, ho potuto constatare, attraverso ripetute visite al carcere, un quadro oramai di impossibilità a continuare a lavorare Pag. 2con turni massacranti per il personale che lavora nel suddetto carcere, oltre, ovviamente, all'esistenza di una serie di difficoltà strutturali che sono state rese note al Ministro dal 2008 ad oggi in numerose interrogazioni ed in lettere che sono state inoltrate al Ministro Alfano dalla sottoscritta, dal collega Ceccuzzi e anche dalle amministrazioni locali interessate, in modo particolare dall'amministrazione provinciale di Siena e dal sindaco di San Gimignano. Gradirei, quindi, a questo punto, capire quali sono le intenzioni e le possibilità che esistono per modificare questa situazione, alla luce di una situazione davvero non più tollerabile.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la giustizia, Maria Elisabetta Alberti Casellati, ha facoltà di rispondere.

MARIA ELISABETTA ALBERTI CASELLATI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, in risposta all'interpellanza dell'onorevole Cenni, relativa alle problematiche dell'istituto penitenziario di San Gimignano, posso far presente quanto segue, sulla base dei dati forniti dal competente Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Con specifico riguardo alla mancanza di un direttore in pianta stabile, devo segnalare che le procedure di mobilità per la copertura delle sedi prive di direttori titolari, avviate fin dal 2008, sono state annullate dal TAR del Lazio con sentenze nn. 5603 e 8971, rispettivamente del 2 e del 30 aprile 2010, a seguito dei ricorsi proposti da alcuni interessati. L'amministrazione sta procedendo, comunque, a definire i criteri per il conferimento degli incarichi ai dirigenti penitenziari, in ragione delle disposizioni contenute nell'articolo 10 del decreto legislativo n. 63 del 2006 e, pertanto, si provvederà a dare notizia degli incarichi disponibili che l'amministrazione intende conferire.
In attesa della definizione dei procedimenti menzionati, è stato diramato ai provveditorati regionali del Lazio, Campania, Puglia e Sicilia un avviso di disponibilità per la copertura di quattro sedi della Regione Toscana prive di direttore titolare ma, allo stato, non è pervenuta alcuna disponibilità per la sede di San Gimignano e la direzione dell'istituto è stata pertanto affidata ad un dirigente con incarico di missione.
Quanto, poi, alla situazione operativa del contingente del corpo di polizia penitenziaria assegnato alla sede di San Gimignano, si evidenzia che a fronte di una previsione organica di duecentotrentatré unità, alla fine dello scorso mese di novembre le unità amministrative erano pari a centocinquantatré.
Va rilevato, al riguardo, che la situazione di criticità segnalata dall'interrogante è analoga a quella di altre regioni del Paese e, per tale ragione, l'amministrazione segue con attenzione le problematiche connesse alla copertura degli organici, al fine di adottare le iniziative più idonee a migliorare le condizioni di lavoro del personale, nonostante la carenza di risorse umane.
In tale direzione, peraltro, si inseriscono anche i recenti piani di integrazione degli organici degli istituti penitenziari, connessi ai corsi di formazione per agenti, predisposti di concerto con i provveditori regionali, tenendo conto delle criticità degli istituti, in ragione del rapporto tra il numero dei detenuti e le carenze di personale registrate, anche con effetto dei distacchi in uscita. In tal senso, per la sede di San Gimignano è stato previsto un incremento di 10 unità di personale di polizia penitenziaria maschile, collegato alla procedura di mobilità annuale del personale già in servizio, connessa all'assegnazione del 160o corso di formazione agenti effettuata nel mese di gennaio del corrente anno.
Inoltre, per fronteggiare le problematiche operative della sede in questione, a decorrere dal mese di marzo e sino al 15 luglio 2010, è stato attivato uno specifico servizio di missione di ulteriori 10 unità di personale proveniente da sedi extraregionali.
Sempre con riferimento alla situazione operativa del personale di polizia penitenziaria, preme evidenziare che a seguito Pag. 3della pubblicazione della legge 26 novembre 2010, n. 199, recante disposizioni relative all'esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori ad un anno, l'amministrazione è stata autorizzata ad assumere personale nel ruolo degli agenti ed assistenti, nei limiti numerici consentiti dalle risorse derivanti dall'applicazione del comma 212.
Nel corso dell'iter di approvazione della citata legge, al fine di accelerare i tempi per le necessarie procedure, sono stati pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale - IV serie speciale «Concorsi ed esami» del 29 ottobre 2010, n. 86, 2 concorsi per l'assunzione di 100 unità nel ruolo femminile e 500 unità nel ruolo maschile degli agenti ed assistenti del corpo di polizia penitenziaria.
Il numero dei posti di tali concorsi potrà essere modificato in ragione dell'individuazione e della destinazione dei fondi di cui all'articolo 4, comma 1, lettera b9), della legge n.199 del 2010.
Per completezza, voglio comunque evidenziare che è in corso di perfezionamento il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di autorizzazione all'assunzione di 760 unità nel ruolo degli agenti ed assistenti del corpo di polizia penitenziaria relativa al cosiddetto turnover dell'anno 2010 (riguardante le cessazioni di personale dell'anno 2009).
Infine, devo in ogni caso evidenziare che la condizione di sovraffollamento dell'istituto di San Gimignano riflette, purtroppo, quella che caratterizza molti istituti penitenziari del Paese a causa del continuo trend di crescita della popolazione detenuta che, alla data del 10 dicembre ultimo scorso, era pari a 69.138 presenze.
In ogni caso, per fronteggiare tale situazione l'Amministrazione interviene sia a livello regionale che centrale, con periodici interventi deflattivi tesi a distribuire negli spazi detentivi disponibili la popolazione detenuta tenendo conto, nei limiti del possibile, delle legittime aspirazioni dei ristretti, delle loro condizioni di salute e del rispetto del più generale principio di territorialità della pena.
Preme, comunque, evidenziare che la situazione dell'istituto di San Gimignano sarà suscettibile di sicuro miglioramento con l'attuazione del piano carceri che prevede, tra l'altro, la realizzazione di nuovi spazi detentivi che assicureranno migliori condizioni di vita alla popolazione detenuta e migliori condizioni operative al personale tutto.

PRESIDENTE. L'onorevole Cenni ha facoltà di replicare.

SUSANNA CENNI. Signor Presidente, intanto ovviamente ringrazio il garbo e la presenza del sottosegretario, ma mi ritengo profondamente insoddisfatta della risposta, che per alcuni aspetti mi sembra quasi imbarazzante. È imbarazzante perché sostanzialmente non vi è un'indicazione possibile di uscita a breve da questa situazione, come lei purtroppo mi conferma, signor sottosegretario. Infatti, lei ha fatto riferimento, ad esempio, ai numeri dell'attuale organico in centocinquantatré. In quei numeri purtroppo sono comprese 39 unità di personale distaccate, quindi i numeri reali non sono questi, sono di gran lunga peggiori e questi numeri non sono tanto evocati da un parlamentare dell'opposizione, ma sono testimoniati dalla lettera che lo scorso 19 novembre, quindi pochissime settimane fa, la dottoressa Maria Pia Giuffrida, che è provveditore regionale della Toscana del Dipartimento di amministrazione penitenziaria, ha inoltrato al dirigente nazionale e ha inoltrato al Ministro proprio per evidenziare lo stato di allarme in cui si sta trovando la casa di reclusione di Ranza.
Francamente trovo anche i riferimenti al piano carceri, signor sottosegretario, del tutto generici. Noi in più occasioni, anche in quest'Aula, abbiamo ascoltato ripetutamente gli annunci roboanti del Ministro Alfano sul piano carceri, sul piano straordinario che avrebbe dovuto portare ad un miglioramento in tempi abbastanza ravvicinati. Ovviamente nessuno pensa che nel giro di pochi mesi si possa modificare una situazione che, come lei ha ricordato, riguarda tutto il contesto nazionale delle case di reclusione, però credo che per lo meno in quelle realtà dove la situazione di Pag. 4allarme è ormai molto alta probabilmente si dovrebbe far fronte a qualche iniziativa straordinaria.
Del resto lo stesso dottor Massimo De Pascalis, allora dirigente del personale del DAP, aveva assicurato, dopo una sua visita in conseguenza di alcuni degli eventi che prima ho richiamato, l'anticipazione di almeno 11 unità di personale delle 21 che avrebbero dovuto essere destinate nel quadro del piano di assunzioni straordinarie che lei ha richiamato e che credo corrisponda a circa 2 mila unità per tutto il contesto nazionale.
Quindi, a me dispiace francamente di dovermi ritenere profondamente insoddisfatta da questa risposta. È una risposta che viene data non tanto all'opposizione, che esercita il suo ruolo di sindacato ispettivo in relazione al territorio, ma credo soprattutto che sia una risposta inadeguata che noi diamo al personale che con sacrificio e con un enorme senso di responsabilità sta ormai da anni facendo turni massacranti, si trova in situazioni di lavoro non più tollerabili e a cui stiamo dicendo ancora una volta che non vi è via di uscita. Io credo che di questo dovremmo prendere atto fino in fondo. Noi lo facciamo ufficialmente e ovviamente restiamo anche come forza dell'opposizione a fianco di quei lavoratori e degli agenti della polizia penitenziaria che non sopportano più questa situazione.

(Iniziative normative finalizzate all'introduzione nell'ordinamento penale italiano della fattispecie del cosiddetto autoriciclaggio - n. 2-00909)

PRESIDENTE. L'onorevole Garavini ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00909, concernente iniziative normative finalizzate all'introduzione nell'ordinamento penale italiano della fattispecie del cosiddetto autoriciclaggio (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti).

LAURA GARAVINI. Signor Presidente, signora sottosegretario, abbiamo presentato l'interpellanza urgente in oggetto al Ministro della giustizia e al Ministro dell'economia e delle finanze per chiedere come mai il Governo non abbia ancora dato attuazione agli impegni che si era assunto attraverso l'approvazione di una serie di ordini del giorno. Ciò sia nel momento in cui abbiamo trattato il provvedimento concernente il piano straordinario antimafia - questo sia alla Camera che al Senato - sia nel momento in cui in occasione della manovra finanziaria, come Partito Democratico, abbiamo sollecitato il Governo a prevedere e ad inserire nel nostro ordinamento il reato di autoriciclaggio.
Si tratta di un reato che è previsto, ormai, in quasi tutti i Paesi europei - mentre, invece, l'Italia è il fanalino di coda -, la cui introduzione nel nostro sistema legislativo darebbe finalmente un grande contributo nella lotta a quelle mafie che si insinuano di più, quelle mafie che oggi stanno proliferando e che sono sempre più capaci di inquinare il sistema legale della nostra economia.
Dunque, signor sottosegretario, questa nostra interpellanza urgente funge da sollecitazione nei confronti del Governo a dare finalmente risposta a quegli impegni che il Governo si è assunto e con riferimento ai quali si è impegnato a dare una risposta.
Non dimentichiamo appunto che le nuove forme di pericolosità rappresentate dalla criminalità organizzata interessano proprio e soprattutto la capacità di inquinare il sistema legale. Dunque, dobbiamo cercare di andare a coprire quelle lacune del nostro sistema legislativo che, invece, possono aiutare le mafie a incrementare ulteriormente i loro affari criminali.
Dunque, signor sottosegretario, mi auguro che da parte sua vi sia una risposta concreta anche in ordine alla tempistica che il Governo intende attuare, proprio per dare risposta a tale lacuna legislativa.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la giustizia, Maria Elisabetta Alberti Casellati, ha facoltà di rispondere.

MARIA ELISABETTA ALBERTI CASELLATI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Pag. 5Presidente, rispondo agli onorevoli interpellanti premettendo alcune considerazioni di carattere teorico, a mio giudizio imprescindibili per la reale comprensione della tematica oggi in argomento.
L'incriminazione del cosiddetto autoriciclaggio è estranea alla nostra tradizione giuridica ed è espressamente esclusa dagli articoli 648-bis e 648-ter del codice penale, che limitano la punibilità a «chiunque, fuori dei casi di concorso nel reato (...)», con conseguente esclusione del concorso di responsabilità tra il delitto presupposto e il successivo riciclaggio.
Le ragioni giuridiche di questo sistema vanno ricondotte nell'alveo della violazione del principio di offensività e sono motivate in considerazione della possibile duplicazione della sanzione penale e del derivante eccessivo rigore sanzionatorio.
Sia la dottrina che la giurisprudenza, infatti, si sono lungamente espresse nel senso di ritenere come un post factum non punibile la condotta di riciclaggio in caso di commissione o di partecipazione al reato presupposto.
Decisamente più recente è, invece, l'orientamento teso ad un intervento legislativo abolitivo della menzionata clausola di riserva, in ragione di un asserito diverso ed autonomo disvalore del reato di riciclaggio rispetto a quello di ricettazione, confermato dalla pluralità di interessi offesi.
Si tratta, invero, di una nuova posizione teorica che fa proprie alcune riflessioni espresse in ambito internazionale, nel corso dei rapporti valutativi dei sistemi antiriciclaggio degli Stati.
Ebbene, proprio in quest'ottica, vorrei ricordare che le fonti di diritto internazionale non obbligano alla previsione ma, anzi, consentono l'esclusione della doppia incriminazione. Non manca, infatti, chi evidenzia le conseguenze che l'eliminazione della clausola determinerebbe.
L'articolo 648-bis, stante l'ampiezza della modalità di realizzazione, diverrebbe una sorta di automatica causa di aggravamento della responsabilità, con la conseguenza che quasi tutti i reati, e in particolare quelli contro il patrimonio, andrebbero letti come se alla pena base prevista per il reato presupposto si associasse sempre l'ulteriore pena del riciclaggio.
Allo stato, il dibattito è e rimane aperto in attesa delle prossime discussioni parlamentari. Segnalo, infatti, con riferimento alle iniziative normative dirette all'incriminazione dell'autoriciclaggio: a) il disegno di legge governativo atto Senato 733-bis, attualmente all'esame, in sede referente, della 2a Commissione (Giustizia) del Senato, all'esito dello stralcio dell'articolo 1, commi 4 e 5, dell'atto Senato n. 733, concernente disposizioni in materia di sicurezza pubblica, successivamente approvato nella legge n. 94 del 2009, già atto Senato 2226; b) le proposte di legge di iniziativa parlamentare a firma dell'onorevole Bersani (A.C. 3145) e degli onorevoli Naccarato e Fiano (A.C. n. 3872), entrambe assegnate per l'esame in sede referente, non ancora avviato, della II Commissione (Giustizia) della Camera dei deputati; c) e, da ultimo, il disegno di legge atto Senato n. 583 che, proprio attraverso l'eliminazione dall'articolo 648-bis del codice penale della clausola «fuori dei casi di concorso», punta all'introduzione dell'autoriciclaggio nel nostro sistema penale.
Queste, in sintesi, le principali iniziative di carattere normativo, allo stato presentate, per superare le problematiche segnalate dagli interpellanti.
Detto ciò, spetta, ora, al Parlamento, al cui esame e valutazione sono sottoposti i disegni di legge menzionati, decidere in ordine alla loro approvazione, nei termini che scaturiranno dal confronto tra le forze politiche interessate a dirimere i dubbi legittimi e le possibili conseguenze derivanti tanto dal mantenimento dello status quo ante, che dalla futura incriminazione nel nostro ordinamento delle ipotesi di autoriciclaggio.

PRESIDENTE. L'onorevole Garavini ha facoltà di replicare.

LAURA GARAVINI. Signor Presidente, concordo con quanto diceva la collega Pag. 6Cenni prima. Al di là dell'apprezzamento del garbo, delle parole e anche del tono del sottosegretario, però non posso anch'io che esprimere grande delusione per la risposta.
È chiaro, sottosegretario, che siamo ben consapevoli e ben informati di quelli che sono i provvedimenti legislativi che proprio noi dell'opposizione abbiamo sottoposto all'attenzione del Parlamento, tra l'altro in modo anche estremamente prestigioso; per esempio, il primo provvedimento che abbiamo presentato è appunto a prima firma del segretario del Partito Democratico, onorevole Bersani. Ciò non toglie che il Governo in più occasioni, tutte le volte in cui noi abbiamo sottoposto la questione anche attraverso forme emendative su provvedimenti inerenti la tematica del contrasto alla criminalità organizzata, si fosse impegnato e avesse ammesso insieme a noi la necessità di affrontare il contrasto alla criminalità organizzata anche predisponendo strumenti che vadano a colpire le nuove forme di successo, purtroppo, della criminalità organizzata. E l'autoriciclaggio sarebbe determinante in questo senso. Vorrei semplicemente fare in sintesi un esempio, proprio per rendere chiaro di che cosa stiamo parlando: lo spacciatore di droga che va a investire, diciamo, i soldi provento della sua attività criminale nell'acquisto, ad esempio, di un edificio, di un immobile, non è perseguibile semplicemente per il fatto che in Italia questo non è considerato reato.
Questo ci porta a capire, anche in modo molto semplice e tangibile, il pericolo che chiaramente le criminalità organizzate, le mafie, approfittino della carenza di una legislazione di questo tipo. Infatti - è chiaro - se questa condotta non viene considerata reato, allora sarà la prima modalità utilizzata per riciclare denaro sporco.
Non dimentichiamo - e qui vorrei apportare un breve contributo in relazione all'attività settimanale della Commissione antimafia - una cosa: tutte le audizioni che facciamo e svolgiamo ci dicono e ci confermano che quello del riciclaggio, tutto sommato, è uno dei problemi «numero uno» delle criminalità organizzate. In altre parole, le mafie hanno oggi il problema di investire questi enormi quantitativi di liquidità che guadagnano attraverso i loro affari criminogeni.
Dunque, è necessario che il nostro intervento - anche legislativo - si muova proprio in questa direzione. Non possiamo pensare ad un contrasto alla criminalità organizzata che sia soltanto di natura militare e soltanto finalizzato a catturare i latitanti. Ciò è chiaramente fondamentale ed importante, ed anzi va reso onore alle Forze dell'ordine e alla magistratura che, anche negli ultimi vent'anni, hanno portato sempre maggiori risultati in questa direzione. Tuttavia, è importantissimo che il Parlamento si faccia carico di andare a coprire quelle lacune legislative che ci possono consentire, invece, un contrasto della criminalità organizzata al passo con i tempi, e vada, così, a colpire proprio quei settori nei quali le mafie, purtroppo, riscontrano più successo: l'inquinamento dell'economia legale, la possibilità e la capacità di individuare sempre nuove forme di riciclaggio, quali ad esempio l'utilizzo diretto, da parte degli stessi criminali, dei proventi derivanti in proprio dalla loro attività criminale.
Pertanto, signora sottosegretario, non posso che esprimerle la nostra delusione. Ci saremmo augurati, invece, che ci venisse a preannunciare l'introduzione in uno dei prossimi decreti-legge (dal momento che, purtroppo, il Governo ce ne ha già propinati diversi, spesso soltanto a titolo non dico propagandistico ma quasi) del reato di autoriciclaggio. Non posso che sensibilizzarla a farsi promotrice nei confronti del Governo di questa nostra ulteriore richiesta e sollecitazione.

(Misure a favore di un'adeguata informatizzazione del comparto della giustizia - n. 2-00915)

PRESIDENTE. L'onorevole Cavallaro ha facoltà di illustrare l'interpellanza Ferranti n. 2-00915, concernente misure a favore di un'adeguata informatizzazione Pag. 7del comparto della giustizia (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti), di cui è cofirmatario.

MARIO CAVALLARO. Signor Presidente, siamo stati mossi alla presentazione di questo atto urgente dalle obiettive notizie diffusesi circa l'insormontabile difficoltà che, nella chiusura dell'esercizio dell'anno decorso, incontrava addirittura l'onorare i contratti di manutenzione e di gestione dei sistemi informativi in possesso dell'amministrazione giudiziaria.
Sappiamo bene che a questa prima fase comunicativa è poi seguita una successiva fase apparentemente di chiarificazione e di rassicurazione. In particolare, sappiamo che, dopo una prima nota del responsabile dell'organizzazione giudiziaria datata 3 gennaio, la quale in qualche misura affermava e riconosceva l'esistenza di quanto avevamo individuato, in data 5 gennaio il signor Ministro assicurava di aver esperito le necessarie variazioni di bilancio atte a garantire la continuità dei contratti e, quindi, il funzionamento dell'organizzazione giudiziaria, quanto meno in riferimento alla sua attività informatica.
Ora il problema è tutt'altro che risolto per la natura e il contenuto delle stesse dichiarazioni dell'onorevole Ministro. Anzi, credo che sia in questa sede opportuno, data l'ampiezza e la puntualità delle domande che abbiamo proposto nell'interpellanza urgente, che, se non il Ministro, odiernamente il sottosegretario dia conto non tanto e non soltanto del superamento contingente dell'emergenza di cui abbiamo discusso, ma anche e soprattutto di come, almeno sistematicamente e almeno con riferimento al sistema delle manutenzioni - perché, tra l'altro, è di questo che stiamo parlando, così come della gestione - il Ministero abbia deciso, decida o intenda decidere di risolvere tale problematica.
Sotto questo aspetto mi limito a denunziare un problema ben più ampio e cioè il fatto che, nonostante dichiarazioni come sempre roboanti anche in questo campo, siamo lontanissimi dall'aver affrontato e dall'affrontare il problema della informatizzazione giuridica in maniera adeguata ed efficiente. Soprattutto lo siamo proprio per quello che riguarda le responsabilità del Ministero. Mentre stanno nascendo delle buone pratiche territoriali e locali, non sta affatto nascendo, non è stato presentato e non è stato chiarito, non voglio dire un sistema di automa giuridico che è uno dei sogni della attuazione dell'applicazione dell'informatica ai sistemi basati sulle regole, ma almeno un sistema di gestione dei dati, che sono tipici dell'amministrazione giudiziaria, che consenta un'azione organizzativa efficiente ed efficace.
Tutto questo posto che oramai tutti sanno che il problema dell'applicazione dell'informatica alle regole, in particolare al sistema giudiziario, ma in generale a tutti sistemi complessi dei pubblici servizi, non può postulare semplicemente l'appiccicare una nuova tecnologia al sistema. Non è possibile cioè tradurre in una nuova tecnologia i sistemi cartacei tradizionali della gestione dei dati ma occorre ripensare l'organizzazione stessa del servizio proprio in funzione del fatto che questo servizio fino al suo esito finale, quello che in termini generali viene definito front office ma che nel caso della giustizia è particolarmente specializzato perché produce ed esegue atti giudiziari, deve essere tutto riprogettato in questa direzione. Sotto questo aspetto direi che non è solo deludente ma è addirittura sconcertante che non si sia programmato e non si programmi alcunché e che nulla emerga.
L'altro punto fondamentale dell'interpellanza urgente che, più che essere soltanto un punto focale su un momento, è anche un punto di riflessione che noi proponiamo al signor Ministro e in questo caso al sottosegretario per esso, è che c'è la conferma, per l'ennesima volta, che il sistema dei tagli lineari, già odiosamente ingiusto nel campo di tutte le pubbliche amministrazioni, si rivela assurdo, sbagliato, inefficace e soprattutto pericoloso nel campo della amministrazione giudiziaria. Come ne abbiamo qui la prova, è stato effettuato un taglio lineare, noi abbiamo verificato che addirittura sono calate complessivamente Pag. 8le disponibilità per questo servizio sebbene, dovendo esso essere ampliato, non potevano che, quantomeno, rimanere allo stesso livello soprattutto tenendo conto che nei servizi informatici, la gran parte dei costi è relativa soprattutto alla gestione e alla manutenzione dei software operativi che vengono assegnati ai singoli presidi territoriali.
Questi essendo i fatti, è stata commessa l'ennesima ingenuità, colpevole latitanza del Ministro a proteggere e difendere gli interessi dell'amministrazione piuttosto che sempre e soltanto quelli della ricerca di norme ad hoc e ad personam, questo poco cale, sta di fatto che, anche e soprattutto in questa occasione, abbiamo verificato come già in un primo tempo si è mancati nella previsione finanziaria, peraltro abbastanza elementare, perché quanto meno la conservazione dell'esistente è un primo passaggio. Anche se si parla di risparmi, questi risparmi vanno individuati, vanno accertati, va verificato se e come possano essere fatti e dove possano essere allocati. Adesso ci si racconta, lo stesso Ministro così ha fatto, che sono state reperite le disponibilità finanziarie, attraverso modifiche nei capitoli e nuove allocazioni all'interno del comparto del Ministero della giustizia. Questo si chiama, non in gergo tecnico, ma così ci capiamo meglio, la tecnica della coperta corta che sappiamo benissimo che se scopre i piedi copre la testa e viceversa, ma che non serve se non a dimostrare l'insufficienza complessiva delle dotazioni finanziarie che sono state proposte. Sono certo che la volontà ci possa anche essere ma mi auguro che nella serie delle enunciazioni di quanto noi chiediamo, il Ministro, il Ministero ci dica quali sono le risorse aggiuntive e dove le andrà a trovare e quando e come il Ministero dell'economia e delle finanze le metterà a disposizione per due questioni fondamentali.
La prima: per la copertura delle esigenze e delle emergenze quotidiane; la seconda: - anche se oggi parliamo soltanto del piano dell'informatizzazione giuridica e vogliamo concentrarci su questo dato, ma potremmo parlare qui a iosa del piano dell'edilizia penitenziaria o dell'edilizia giudiziaria - come e quali risorse saranno messe a disposizione dell'amministrazione giudiziaria per fare una nuova amministrazione giudiziaria realmente informatizzata.
Riguardo all'altro aspetto, ossia alla barzelletta delle cosiddette riforme che addirittura, non solo non costano, ma che adesso producono anche risparmi, faccio presente che ciò è destituito di fondamento, perché ciò può essere vero nel lungo periodo. Infatti, lo sviluppo delle procedure, proprio se vengono progettate attraverso un nuovo sistema di gestione della pubblica amministrazione, e in questo caso dell'amministrazione specializzata della giustizia, può determinare dei risparmi; anzi, determinerà sicuramente dei risparmi, quanto meno nel personale e nella sua gestione, ma ciò comporta, e per la professionalizzazione e la qualità del personale, e per l'uso di nuove macchine e di nuove tecniche, dei costi ineludibili, senza i quali nessuna buona amministrazione può funzionare.
Chi di noi ha avuto ed ha esperienza di amministrazione attiva, sa quanto questo sia essenziale e quanto sia retorico, e direi persino ingannevole, rispetto all'opinione pubblica, ma anche agli operatori del settore, continuare a sostenere che questi cosiddetti risparmi e questi tagli lineari possono non incidere sull'efficienza del sistema.
Concludo la mia illustrazione dicendo che - consentirà il Ministro - abbiamo già una prova di una certa incauta modalità di approccio ad un problema che, tra l'altro, dovrebbe essere il primo presupposto per una buona conduzione, almeno ordinaria, degli affari ministeriali. Ciò perché pensiamo che almeno una previsione certa per le spese di manutenzione, di gestione dei software e delle modalità gestionali della pubblica amministrazione non debba essere oggetto di un braccio di ferro fra il Ministero della giustizia e il Ministero dell'economia e delle finanze, ma debba essere addirittura scontata. Pag. 9
Tra l'altro, ricordiamo nell'interpellanza, e questo avevamo segnalato, che il relatore, Vitali, aveva addirittura espresso parere favorevole ad una nostra proposta emendativa tendente a ricostituire le poste e le risorse necessarie, ma, col parere contrario del Governo, ci si era poi opposto che tutto ciò sarebbe bastato.
Mi auguro che a giugno non si debba essere costretti a ricominciare con lo stesso discorso, come lo siamo già stati precedentemente; quanto detto, lo ricordo, vale anche per i costi delle intercettazioni e delle trascrizioni. Sappiamo infatti che, per esempio, questi tre filoni - che attengono al funzionamento ineludibile della macchina giudiziaria e che sono importanti per il funzionamento e per la rapidità dei processi, molto più che pasticciate norme di rito - sono, ogni volta, sistematicamente, da qualche anno, «al capolinea» a metà dell'esercizio finanziario. Abbiamo cioè la prova, per l'ennesima volta, che gli appostamenti di bilancio non sono sufficienti.
Mi domando se, come qualunque altro amministratore pubblico, perché in questo caso il Ministro è anche il capo di una amministrazione, non si debba e non si possa riordinare la previsione finanziaria in modo da consentire un ordinato funzionamento, almeno per quanto riguarda la cosiddetta manutenzione ordinaria e la gestione dei sistemi.
Infine, quanto alla speranza che essi vengano riformati e riformulati in maniera e in prospettiva, al momento rassegno semplicemente una disincantata sfiducia, tuttavia, a questo noi ci riportiamo.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la giustizia, Maria Elisabetta Alberti Casellati, ha facoltà di rispondere.

MARIA ELISABETTA ALBERTI CASELLATI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, in risposta ai diversi quesiti presentati dagli onorevoli interpellanti, preciso che i dati tecnici che mi appresto a riferire sono stati acquisiti dalle competenti direzioni generali del Ministero prontamente allertate per far chiarezza sui molteplici aspetti in discussione.
Inizio precisando che gli stanziamenti assegnati per il 2011 al capitolo di bilancio pertinente la gestione dei sistemi informativi, ammontano a 27 milioni di euro, mentre il fabbisogno di spesa corrente 2011 per assicurare la gestione dei sistemi informativi del Dipartimento dell'organizzazione giudiziaria del personale e dei servizi (nei quali sono ricomprese le attività correnti che consentono il funzionamento dei sistemi informatici di tutti gli uffici) ammonta a circa 60 milioni di euro.
L'ulteriore fabbisogno ad inizio 2011 si attesta, quindi, sui 33 milioni di euro. Più nel dettaglio il fabbisogno complessivo per l'anno 2011 per l'assistenza informatica applicativa agli uffici giudiziari (ivi compresa la Corte suprema di cassazione e gli uffici DNA/DDA) ammonta a 10.210.380 euro.
In data 7 gennaio 2011, il Ministero della giustizia, mediante variazione compensativa di bilancio, ha messo a disposizione risorse per 5,1 milioni di euro da destinare al finanziamento delle spese di gestione, funzionamento e sviluppo del sistema informativo di assistenza tecnica. Chiarisco che si tratta di somme che si aggiungono alla quota già assegnata al Ministero della giustizia nel capitolo di bilancio n. 1501 e che sono state stornate in misura pari ad 1.140.620 euro dal capitolo n. 1515, relativo ai consumi intermedi del Ministero della giustizia. I restanti 3.859.380 euro sono stati, invece, reperiti dal capitolo di bilancio n. 1451, avente più ampia portata rispetto al precedente capitolo in quanto comprensivo di voci distinte, tra cui i trasferimenti d'ufficio del personale, le spese per la formazione del personale, le spese per l'acquisto di cancelleria, oltre ai rimborsi a pubbliche amministrazioni per il personale comandato.
Naturalmente, le variazioni intervenute sono state studiate per non determinare ricadute negative sulla funzionalità degli uffici giudiziari: gli stanziamenti dei capitoli relativi alle spese di funzionamento degli uffici potranno essere integrati, in Pag. 10corso d'anno, con riassegnazioni ammontanti complessivamente a circa 25 milioni di euro, nonché dall'ulteriore afflusso di risorse che proverrà dal fondo unico giustizia.
Lungi da sterili polemiche, tengo a precisare che la soluzione approntata è il frutto di una accurata analisi. In primo luogo, infatti, è bene ribadire che il problema è sorto in seguito al diverso regime previsto dalla legge 31 dicembre 2009, n. 196, che ha sottoposto ad un più rigoroso regime la spesa per gli impegni pluriennali.
A fronte di ciò, il Ministro della giustizia ha dapprima e tempestivamente inoltrato richiesta di integrazione di fondi al Ministero dell'economia e delle finanze e, nelle more, ha provveduto ad operare le suddette variazioni di bilancio, proprio al fine di assicurare l'operatività e continuità del servizio che, di fatto, ha subito una sospensione di soli tre giorni, dal 3 al 5 gennaio 2011.
Passando, quindi, allo stato della digitalizzazione del «sistema giustizia» ritengo doveroso premettere che il Ministro guardasigilli è pienamente impegnato nel processo di ammodernamento e digitalizzazione, che è stato espressamente pensato per assicurare una maggiore efficienza del sistema giudiziario ed una, per quanto possibile, uniformità di resa sull'intero territorio nazionale. Ed infatti, pur nella attuale carenza di risorse, questo Ministero si è adoperato per sostenere un piano di investimenti e di razionalizzazione operativa, i cui dati - lo preciso - sono da tempo pubblici ed accessibili non soltanto sul sito del Ministero della giustizia, ma anche su quello della pubblica amministrazione ed innovazione.
Non penso sia necessario, quindi, enunciarli pedissequamente, anche se ritengo che l'indicazione di alcune voci, sia pure a titolo esemplificativo, risulti illuminante per una effettiva comprensione non soltanto del lavoro svolto, quanto dei risultati raggiunti.
Ricordo, infatti, che nonostante l'intervenuta riduzione degli stanziamenti, gli investimenti per il processo telematico hanno avuto un incremento, che li ha portati nel solo biennio 2009-2010 a superare i 15 milioni di euro.
Di sicuro ed evidente rilievo, anche la forte implementazione riguardante le comunicazioni telematiche inviate agli avvocati. Tale funzione, attualmente attiva presso la Corte di appello di Milano e presso i tribunali di Bologna, Milano, Modena, Monza, Rimini (ed in corso di avvio nella Corte di appello di Brescia, nei tribunali di Brescia, Torino, Firenze, Cremona e in tutti gli uffici giudiziari del distretto di Venezia) ha consentito una significativa riduzione delle attività di cancelleria, riscontrata da dati decisamente importanti.
Si è passati, infatti, dalle 107.504 comunicazioni telematiche del dicembre 2009, alle oltre 490 mila comunicazioni telematiche a valore legale, effettuate al dicembre 2010, con un incremento pari al 350 per cento. Sullo stesso filone, ricordo anche il procedimento d'ingiunzione telematico che è attivo con valore legale in ben venticinque tribunali, nonché il procedimento di esecuzione immobiliare telematico, che risulta attualmente operativo con valore legale in dodici tribunali (Bari, Bologna, Brescia, Catania, Firenze, Genova, Milano, Monza, Padova, Roma, Torino e Verona) ed è stato già avviato anche nei tribunali di Napoli e Palermo. L'ultimo dato fornito è quello degli atti giudiziari depositati telematicamente, che ammontano complessivamente ad oltre centomila unità nell'anno 2010.
A fronte dei traguardi già raggiunti, gli obiettivi sono di facile comprensione e pressoché intuitivi: nel 2011 si proseguirà nell'implementazione del cronoprogramma stabilito in attuazione del protocollo di intesa, firmato nel novembre 2008 dai Ministri Alfano e Brunetta e comprensivo, nella sua globalità, delle linee guida generali tese a superare interventi emergenziali con soluzioni programmatiche, se del caso anche normative.

PRESIDENTE. L'onorevole Ferranti ha facoltà di replicare.

Pag. 11

DONATELLA FERRANTI. Signor Presidente, sottosegretario, noi non siamo soddisfatti. Ringraziamo il sottosegretario e gli uffici del Ministero che hanno redatto e che hanno cercato in qualche modo di dare un segnale di risposta ai numerosi quesiti posti dall'opposizione. Tuttavia, a parte alcuni numeri che sono stati forniti e che riguardano i servizi di assistenza e i sistemi informatici che sono stati sospesi - come dice il sottosegretario nella risposta - soltanto per alcuni giorni (tre, cinque), non è stata data un'adeguata risposta, quasi che sia normale che un servizio di manutenzione, cioè di assistenza ordinaria che riguardi un'amministrazione pubblica di fondamentale importanza, qual è appunto quella che riguarda la gestione dei registri informatici, subisca una sospensione. Si tratta di una sospensione a cui si è trovata una soluzione temporanea insoddisfacente, rabberciata, che evidenzia di per sé il fondamento della nostra insoddisfazione, che può sintetizzarsi proprio nella mancanza di progettualità a lungo termine, nella mancanza di una trasparenza della gestione, dei conti, delle necessità e delle risorse.
A questo mirava la nostra interpellanza urgente, non soltanto ad evidenziare con passaggi documentali, come ha già detto il collega Cavallaro nell'intervento illustrativo di questa interpellanza, che tale sospensione era prevedibile, anzi era prevista. Si sapeva che ci sarebbe stata la sospensione dei servizi perché non erano stati finanziati. E di ciò in Commissione giustizia, nell'esprimere il parere al bilancio 2011, e qui in Aula, non ne abbiamo mai sentito parlare. Non abbiamo mai sentito alcun rappresentante del Ministero della giustizia, per onore e dovere di leale collaborazione e dovere istituzionale di informazione, rappresentare che ci sarebbe stata la sospensione di un servizio di ordinaria manutenzione perché non era stato finanziato in bilancio.
E quando mai in una previsione di bilancio non si razionalizzano le spese e non si fanno dei programmi? Si dice che i soldi non ci sono. Quindi, vanno razionalizzati e in tale contesto vanno date delle priorità, ma certamente occorre assicurare la manutenzione e il prosieguo di servizi di manutenzione ordinaria essenziali al funzionamento della giustizia.
Questa è la gravità: l'approssimazione e il modo superficiale con cui si appropinqua ad amministrare la giustizia. Di questo gravissimo disservizio dei primi di gennaio si è avuta una notizia da parte del direttore generale Stefano Aprile quando ha diramato la circolare agli uffici giudiziari in cui si diceva che dal 2 gennaio sarebbero stati sospesi i servizi di assistenza. Quella circolare significa che non era prevista, signor sottosegretario, nessuna variazione di bilancio così efficace come voi volete oggi farci credere. Non era stato previsto nulla.
Era prevista invece una situazione drastica di interruzione di un servizio essenziale nel momento in cui invece continuamente siamo ricoperti da annunci mediatici di propaganda ora del Ministro Alfano, ora del Ministro Brunetta, ora degli altri esponenti della maggioranza. Ne riporto alcuni: 10 giugno 2009: entro un anno la giustizia ordinaria e forse anche quella di secondo grado navigherà su Internet da Bolzano a Lampedusa. Dal gennaio 2011 la notifica degli atti agli avvocati potrà essere fatta via SMS o via e-mail (conferenza stampa del 7 dicembre 2010). Il 6 gennaio 2011 il Ministro Brunetta ha dichiarato al Sole 24 Ore: «A Roma ottenuto l'accesso digitale completo degli uffici interi dell'apparato giudiziario degli avvocati che possono ricevere notifiche degli atti via e-mail». Ma non è vero! Noi sappiamo, per avere svolto anche un accertamento materiale e diretto attraverso una serie di visite negli uffici giudiziari, che questa sperimentazione avviata in alcuni tribunali e uffici giudiziari nel 2008 (già con la fine del Governo Prodi) e il cui completamento era stato promesso, è stata realizzata solo in via sperimentale in alcuni uffici.
Quindi, noi abbiamo alcuni tribunali che hanno ancora delle sperimentazioni informatiche e la maggior parte degli uffici giudiziari italiani che, invece, vivono in situazioni di degrado non solo logistico, Pag. 12ma proprio relativo agli strumenti minimi di dotazione informatica. Voglio rilevare che, mentre oggi ci sono stati riferiti dati relativi alle variazioni di bilancio: sostanzialmente sono stati individuati in 10 milioni di euro relativi i costi che servono per l'assistenza applicativa e soltanto 5 milioni sono stati reperiti a seguito delle variazioni di bilancio dei primi di gennaio 2011, che vanno ad incidere sulle spese di consumo ordinario degli uffici giudiziari, sugli atti riguardanti la formazione del personale, i trasferimenti di uffici del personale, rimborso spese.
Si è andata così a far incidere la variazione di bilancio riferita ad una spesa di assistenza su altri capitoli che già hanno subito dei tagli e che già sono insufficienti. Infatti, sappiamo che negli uffici giudiziari molte volte le stesse necessità di cancelleria vengono sopperite anche dalla buona volontà degli operatori e del personale giudiziario. Si è trovata, quindi, una soluzione provvisoria frutto di improvvisazione. Non è soltanto la provvisorietà che ci spaventa, ma è proprio l'improvvisazione e la mancanza di attenzione e di programmazione.
Se un bilancio, anche della giustizia, deve essere, come il bilancio dello Stato o di un ente pubblico o privato, una previsione, e quindi deve contenere anche una razionalizzazione delle spese, se vi sono meno soldi, cosa fa un buon padre di famiglia? Programma le spese e dà delle priorità, fissa obiettivi e cerca di raggiungerli.
Ma quelle spese e quelle esigenze di priorità dell'informatizzazione che il Ministro va rappresentando in giro come obiettivi del proprio operato, per farsene bello, poi devono essere tradotte in stanziamenti di spese effettivi. Per esempio, non abbiamo ottenuto una risposta su un ordine del giorno approvato in Commissione e presentato dalla maggioranza, dall'onorevole Vitali, che aveva espresso un parere favorevole su un nostro emendamento. In Commissione giustizia vi avevamo dato la possibilità di apportare delle modifiche già nel bilancio 2011 riguardanti proprio l'informatizzazione. Vi era stato un parere favorevole del relatore di maggioranza, onorevole Vitali, che ha votato con noi.
Il Governo in quel contesto - non era presente la sottosegretaria che oggi è qui in Aula, ma l'altro sottosegretario alla giustizia, il senatore Caliendo - non ha evidenziato queste problematiche, ma ha dato solo parere contrario. Quello era il momento di rendere edotti le opposizioni, la cittadinanza, il Paese, che non vi erano i soldi per portare avanti un contratto, che non vi erano i soldi per portare avanti la digitalizzazione su tutto il territorio nazionale e non vi sono i soldi per portare avanti il processo telematico su tutto il territorio nazionale. Non possiamo continuare a portare come fiori all'occhiello alcuni uffici giudiziari (Milano, Bolzano, Venezia, qualcosa a Roma). Sappiamo, poi, che anche la questione riguardante il valore legale delle memorie, dal punto di vista dell'informatizzazione, è presente solo a Milano. Questa disorganizzazione non possiamo più tollerarla!
Oggi il sottosegretario ha dovuto glissare sulla seconda parte del nostro quesito. Noi non vi abbiamo chiesto solo come avete risolto in via definitiva il problema dell'assistenza informatica, ma quali sono i programmi e i costi di gestione in relazione ai fondi che avete.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

DONATELLA FERRANTI. Sto concludendo, signor Presidente. Su questo, non ci è stata data risposta. In questa seconda parte - questo è veramente grave - la risposta del Governo è generica. Di fronte a un'interpellanza urgente, specifica e puntuale, ci è stata data una risposta demagogica, fatta di percentuali astratte. Ma la cittadinanza italiana è fatta di persone, singoli, ognuno dei quali è un cittadino che ha bisogno di una giustizia che funzioni anche nelle parti non ricoperte dalle percentuali.
La promessa di informatizzazione da Bolzano a Lampedusa lanciata del Ministro a mezzo stampa, non è stata realizzata; non solo, ma non è nemmeno programmata. Pag. 13Questa è la cosa che ci addolora, ci spaventa e dà il segno - do questo significato molto grave - di una disattenzione del Governo verso la giustizia (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico)...

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Ferranti, deve concludere.

(Orientamenti del Governo circa l'impugnazione di una disposizione della legge n. 34 del 2010 della regione Calabria in materia di incompatibilità della carica di consigliere regionale - n. 2-00917)

PRESIDENTE. L'onorevole Lo Moro ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00917, concernente orientamenti del Governo circa l'impugnazione di una disposizione della legge n. 34 del 2010 della regione Calabria in materia di incompatibilità della carica di consigliere regionale (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti).

DORIS LO MORO. Signor Presidente, ci metterò probabilmente meno del tempo che ho a disposizione. Come risulta già dall'enunciazione del Presidente, questa interpellanza urgente non è rivolta contro atti del Governo o per chiarire posizioni del Governo su materie di sua diretta competenza, ma ha una finalità un poco diversa.
Con questa interpellanza il gruppo del Partito Democratico vuole molto tempestivamente sollevare una questione che ci sembra di rilevanza fondamentale, per sollecitare, poi, l'esercizio della facoltà prevista dall'articolo 127 della Costituzione, che, come tutti sappiamo, prevede che «il Governo, quando ritenga che una legge regionale ecceda la competenza delle regioni, può promuovere la questione di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte costituzionale».
Il termine previsto dall'articolo 127 della Costituzione è di sessanta giorni dalla pubblicazione della legge regionale, termine che è ancora assolutamente in corso perché stiamo parlando in Aula oggi, 13 gennaio 2011, di una legge regionale emanata il 29 dicembre del 2010.
Perché questa urgenza? Intanto, partirei dall'illustrare i fatti. Con il collegato alla legge finanziaria per il 2011 in Calabria si è introdotta una norma che ci sembra di dover sottoporre all'attenzione del Governo perché è un fatto abbastanza eclatante. L'articolo 46 del suddetto collegato infatti prevede che: anche in deroga a quanto previsto dall'articolo 4 della legge n. 154 del 1981 e dall'articolo 65 del decreto legislativo n. 267 del 2000, le cariche di presidente e assessore della giunta provinciale e di sindaco e assessore dei comuni compresi nel territorio della regione, sono compatibili con la carica di consigliere regionale.
Ora, colpisce intanto un dato: il legislatore regionale agisce, sapendo di introdurre una deroga ed, evidentemente, lo fa nel presupposto che questa deroga sia consentita. Invece, a parere del gruppo Partito Democratico e degli interpellanti - che rappresentano sostanzialmente tutto il partito, perché si tratta di interpellanti che all'interno del gruppo hanno funzioni di particolare rilevanza - si è al di fuori dei limiti consentiti al legislatore regionale.
Qual è il punto? Sottosegretario alla giustizia, vedo che lei è presente in Aula. Ovviamente, l'interpellanza era rivolta al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai Ministri direttamente competenti in materia, ma, evidentemente, se lei è qui presente ha avuto una delega specifica su questo argomento e, comunque, lei ha le qualità e le competenze personali per seguire un ragionamento che apparentemente è tecnico, ma, sostanzialmente, è fortemente politico, quindi la ringrazio dell'attenzione. Stavo dicendo che vi è un'aggravante in questa questione. La gravità del citato comportamento del legislatore regionale è dovuta anche al fatto che interviene oramai a distanza di tanti anni da sentenze della Corte costituzionale che hanno sancito, in maniera pacifica, alcuni principi fondamentali che, ovviamente, limitano l'attività del legislatore regionale. La Corte costituzionale si è pronunziata Pag. 14più volte sull'argomento, in particolare con una sentenza del 2003, ed è intervenuta nell'immediatezza della riforma del Titolo V della parte II della Costituzione, quando il problema di avere dei chiarimenti in materia si poneva perché l'ampliamento delle competenze delle regioni poteva creare qualche fibrillazione, come del resto è avvenuto, poiché alcune regioni italiane hanno legiferato in materia in maniera differente da quella che era la normativa nazionale, normativa che era ed è quella tuttora vigente ossia quella prevista dall'articolo 65 del decreto legislativo n. 267 del 2000 che sancisce invece la piena incompatibilità.
Allora, in quell'occasione, si pose il problema se, avendo le regioni, con la riforma del Titolo V della Costituzione, guadagnato una competenza più ampia in materia legislativa in questo settore specifico, vi fossero o meno limiti nei confronti delle stesse nel legiferare in materia.
Il principio sancito dalla Corte costituzionale è il seguente ed è intuitivo. Vi sono dei limiti perché le leggi regionali non possono che rispettare i principi generali in materia che possono essere introdotti solamente da leggi dello Stato. Il punto è che, dopo il decreto legislativo n. 267 del 2000 - siamo a 11 anni di distanza - non vi sono altre leggi che abbiano introdotto principi generali, quindi l'unico principio generale in materia è quello che noi possiamo ricavare dalla legislazione esistente. Allora, ne consegue, seguendo il ragionamento della Corte costituzionale, che tra l'altro mi sembra assolutamente ineccepibile, che non è tanto l'articolo 65 del decreto legislativo citato a rappresentare un tabù o un qualcosa che non si può intaccare o modificare, ma è il principio sotteso a tale articolo che non si può modificare, ossia quello in base al quale vi è questa incompatibilità, e che l'articolazione della stessa, e anche i limiti e le specificazioni di questa, non possono che essere sanciti da leggi regionali sulla base di principi generali dell'ordinamento.
In questo momento, siamo davanti ad una legge regionale che, a distanza di anni, tenta di rimettere in discussione questo principio e lo fa, tra l'altro, con una norma che interviene su un collegato alla legge finanziaria per il 2010, in maniera impropria ed affrettata perché, come risulta anche dagli atti del consiglio regionale, ma soprattutto dal dibattito che è seguito, questa normativa è stata introdotta senza alcun dibattito preventivo e sembra che nessuno se ne voglia appropriare dal punto di vista dell'iniziativa.
Il presidente della regione e il presidente del consiglio regionale, signor sottosegretario, hanno preso le distanze da questa normativa. Il presidente Scopelliti dice che la maggioranza ha lasciato i consiglieri regionali liberi di votare. Anche questo era un atto, diciamo così, «politico», che va stigmatizzato, perché un presidente neoeletto, che dovrebbe e che fa della nuova credibilità delle istituzioni una sua bandiera - almeno apparentemente e sul piano della propaganda - alla prima occasione, in cui dovrebbe guadagnarsi questa credibilità delle istituzioni sul campo, invece vi rinuncia e vi rinuncia nonostante poi, dal giorno successivo, parta una campagna propagandistica per sostenere che, per la prima volta, il consiglio regionale della Calabria ha tempestivamente approvato la manovra finanziaria.
Qui non si tratta soltanto di rispettare i tempi, a parte anche il fatto che questo è un elemento, che non mi risulta risponda a verità. Si tratta di rispettare i tempi, che è una cosa assolutamente importante e giusta, ma si tratta di rispettare soprattutto i principi. In questo momento storico, nel momento in cui c'è questa delegittimazione complessiva della politica, è necessario rispettare dei principi così fondamentali, senza scardinare il principio delle incompatibilità e di quelle previste, e il Parlamento dovrebbe anche legiferare per rendere più forte tale principio e per rendere più chiara la materia delle incompatibilità, non soltanto rispetto ai consiglieri regionali. Ma nel frattempo ci sembra assolutamente fondamentale non mettere in discussione i principi che ci sono.
Come si motiva l'urgenza dell'interpellanza, signor sottosegretario? L'urgenza Pag. 15dell'interpellanza sussiste, perché intanto c'è un dibattito devastante. Si parla tanto dei deputati nominati che risultano delegittimati e quindi del fatto che la politica viene delegittimata anche da questa legge elettorale. Io condivido tutta questa impostazione, ma mi trovo ad aggiungere che è la politica ad essere complessivamente delegittimata, se è vero che stiamo sottoponendo all'attenzione del Governo e del Parlamento un episodio legislativo, un caso, dovuto ad un consiglio regionale, quindi ad un consiglio di eletti, di persone che hanno guadagnato sul campo la loro elezione, ma che poi, con una normativa che sancisce ed introduce privilegi che sembravano inimmaginabili solo ieri, compiono atti con cui delegittimano ulteriormente, nonostante la loro avvenuta elezione per scelta popolare, il ruolo della politica e del consiglio regionale.
Perché sussiste l'urgenza? Perché ci sono i termini dei sessanta giorni e noi non vogliamo che il Governo faccia come ha fatto il presidente Scopelliti. L'articolo 127 della Costituzione sancisce una facoltà per il Governo e concede un tempo abbastanza lungo, sessanta giorni; ma in Calabria presto si voterà e si voterà in molte e nelle più importanti città calabresi, come si voterà nella provincia di Reggio Calabria. È la corsa alle candidature quella che ha portato tutto ciò e la corsa alle candidature anche di consiglieri regionali - che sono abituati a fare il bello e il cattivo tempo in Calabria - è il motivo fondamentale. È un motivo quindi non encomiabile e non stiamo parlando del bene comune o di principi a valere chissà quando o chissà per quale motivo: si tratta proprio della volontà di consiglieri regionali in carne ed ossa di proporre le proprie candidature a sindaco di città e a presidente della provincia e di mantenere evidentemente la loro posizione di potere anche in consiglio regionale.
Allora, in tutto questo, quello che vogliamo evitare è che il Governo faccia appunto come il presidente Scopelliti e quindi si astenga dal prendere una posizione. Infatti, tra l'altro, se anche la posizione venisse presa in extremis, e cioè entro il termine di sessanta giorni, ciò comporterebbe un falso dibattito politico regionale e la Calabria ne pagherebbe il prezzo. Glielo assicuro io che sono calabrese e che sono qui questa mattina a parlare, anche se l'interpellanza, com'è evidente e risulta anche dalle presenze in Aula che sono ridotte perché oggi abbiamo un'importante direzione politica, è fortemente sostenuta dall'intero gruppo e non soltanto dai parlamentari calabresi. Ma, essendo io qui a parlare e concludendo, voglio ribadire l'importanza che in Calabria le future elezione si svolgano con una discussione democratica, anche qualificata, e che non siano inficiate e compromesse da un dibattito che è stato spostato sul tema dell'incompatibilità e che sta facendo ulteriormente venir meno la credibilità della politica e delle istituzioni calabresi, anche di quelle elette di recente - ovviamente faccio riferimento specifico alla regione - le quali si sono dimostrate, alla prima occasione, incapaci di prendere una posizione a difesa e a tutela della credibilità delle istituzioni stesse (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la giustizia, Maria Elisabetta Alberti Casellati, ha facoltà di rispondere.

MARIA ELISABETTA ALBERTI CASELLATI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, la regione Calabria ha recentemente approvato la legge 29 dicembre 2010, n. 34 con la quale, all'articolo 46, introduce disposizioni in materia d'incompatibilità con la carica di consigliere regionale. L'intervento normativo in questione inserisce il comma 6-ter all'articolo 1 della legge regionale n. 1 del 2005 prevedendo che, anche in deroga a quanto previsto dall'articolo 4 della legge n. 154 del 1981 e dall'articolo 65 del decreto legislativo n. 267 del 2000, le cariche di presidente e assessore della giunta provinciale e di sindaco e assessore dei comuni compresi nel territorio della regione sono compatibili con la carica di consigliere regionale. Al riguardo, ricordo Pag. 16che l'articolo 122, primo comma, della Costituzione prevede che il sistema d'elezione e i casi d'ineleggibilità e d'incompatibilità del presidente e degli altri componenti della giunta regionale, nonché dei consiglieri regionali, sono disciplinati con legge della regione nei limiti dei principi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica, che stabilisce anche la durata degli organi elettivi. I principi fondamentali in materia di ineleggibilità e di incompatibilità degli amministratori regionali sono disposti dalla legge n. 165 del 2004 che, all'articolo 3, comma 1, lettera a), prevede che le regioni disciplinino con legge i casi d'incompatibilità, specificatamente individuati, di cui all'articolo 122, primo comma, della Costituzione, nei limiti, tra gli altri, del seguente principio fondamentale: sussistenza di cause d'incompatibilità, in caso di conflitto tra le funzioni svolte dal presidente o dagli altri componenti della giunta regionale o dai consiglieri regionali e altre situazioni o cariche, comprese quelle elettive, suscettibile, anche in relazione a peculiari condizioni delle regioni, di compromettere il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione ovvero il libero espletamento della carica elettiva. Preciso che la legge n. 34 del 29 dicembre 2010 è stata pubblicata sul Bollettino ufficiale regionale del 31 dicembre 2010, data dalla quale decorrono i sessanta giorni previsti dall'articolo 127 della Costituzione ai fini della valutazione d'incompatibilità costituzionale. Assicuro gli onorevoli interpellanti che l'esame, sotto il profilo della costituzionalità, delle disposizioni introdotte dalla regione Calabria è attualmente in corso da parte del Dipartimento per gli affari regionali della Presidenza del Consiglio dei ministri e che entro i termini previsti l'esito delle valutazioni sarà sottoposto all'esame del Consiglio dei Ministri per le conseguenti decisioni ai sensi dell'articolo 127 della Costituzione.

PRESIDENTE. L'onorevole Lo Moro ha facoltà di replicare.

DORIS LO MORO. Signor Presidente, prendo atto della risposta e della cortesia con la quale il sottosegretario l'ha illustrata, e intendo approfittarne anche per il fatto che siamo in una fase in cui i termini sono ancora in corso, quindi non era neanche obbligatorio dare una risposta definitiva, perché - come correttamente lei ha detto - gli uffici e poi i soggetti competenti dal punto di vista politico non hanno ancora preso una posizione definitiva. Voglio soltanto aggiungere, a commento delle argomentazioni che lei ha offerto, che queste ultime non fanno che supportare l'interpellanza. Tra l'altro l'articolo che lei ha letto introduce una necessità: in qualche modo spiega e illustra quelli che sono i poteri e i doveri del legislatore regionale. Tale disposizione non fa che confermare il fatto che il legislatore calabrese sia andato oltre questi limiti. Perché? Perché quando si introducono dei principi e poi si stabilisce che il legislatore dovrà fare delle scelte sulla base di questi principi si suppone che il legislatore questa scelte le faccia, anche in maniera circostanziata, non solo motivandole (questo sarebbe un optional), ma evidentemente anche emanando norme che diano conto e che abbiano come presupposto le scelte del legislatore.
In questo caso, invece, la norma in questione, l'articolo 46, si limita a capovolgere il principio e, cioè, a dire che laddove vi era piena incompatibilità, vi è piena compatibilità. Non fa nessuna distinzione tra ruoli e ruoli, tra comuni e comuni sulla base, per esempio, del numero di abitanti. Non dà conto, insomma, di nessun argomento utilizzato o di nessun principio fatto proprio dal legislatore, per emanare questa legislazione. L'accortezza e l'accorato appello che rivolgo al Governo, attraverso la sua presenza, rivolgendomi a lei, quindi, signor sottosegretario, è di non arrivare al sessantesimo giorno e di tenere conto che non è possibile continuare a leggere, nei giornali nazionali, titoli come quelli che si sono letti ieri, ovvero che in Calabria si può fare tutto. Non è possibile, sottosegretario, perché l'idea che in Calabria si possa fare tutto è molto diffusa in quanto sono tante le cose che succedono e non dovrebbero Pag. 17succedere in una Calabria che ha decine di comuni sciolti per mafia e che ha subìto, anche di recente, arresti eccellenti, pure di consiglieri regionali. Tutto questo deve allertare l'attenzione del Governo perché lo Stato ed il Governo italiano, di cui invoco, appunto, l'attenzione, hanno il dovere, in questo momento, di essere presenti nelle questioni regionali e nelle questioni di regioni, come la Calabria, che vivono situazioni così delicate. Una Calabria che ha visto, anche di recente - e lei, come sottosegretario alla giustizia, lo sa più di altri -, non uno, ma numerosi arresti, avvisi di garanzia e, tra l'altro, la condanna di un consigliere regionale della precedente legislatura, l'arresto di un consigliere regionale di questa legislatura e avvisi di garanzia a candidati al consiglio regionale di questa legislatura. In queste situazioni, non si può tenere un profilo pilatesco, ma bisogna prendere una posizione. Da questo punto di vista, una legislazione regionale che fosse circostanziata, che creasse delle diversificazioni, che entrasse nel merito dei problemi, desse senso e prendesse una posizione articolata, poteva essere una legislazione da discutere, da verificare, una legislazione in linea con questi principi. In questo caso, invece, i principi sono disattesi perché il principio che viene sposato è quello della piena compatibilità: viene cioè capovolta una situazione, con l'affermazione, in maniera aprioristica, che invece vi è la compatibilità. Questo è un argomento che, secondo me, taglia la testa al toro e che non potrà produrre un ricorso alla Corte costituzionale. Quello che chiedo al Governo è di esercitare la facoltà perché non può fare finta di niente, ma, soprattutto, di esercitarla in tempi utili per consentire una sana discussione in una Calabria che ha bisogno di sana politica e di sana amministrazione (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Dovremmo passare ora all'interpellanza urgente n. 2-00902 dell'onorevole Iannaccone, concernente iniziative a tutela dei lavoratori dello stabilimento FMA di Pratola Serra (Avellino) ma, tuttavia, vedo che il sottosegretario per lo sviluppo economico, onorevole Stefano Saglia, non è presente e, quindi, non possiamo procedere con la suddetta interpellanza.
Ringrazio, invece, il sottosegretario per l'economia e le finanze, onorevole Sonia Viale, che è già presente, ma non è, al contrario, presente l'onorevole Damiano, il presentatore dell'interpellanza urgente successiva perché gli sono stati comunicati dei tempi che non sono quelli che oggi siamo in grado di mantenere. A questo punto, posso soltanto sospendere la seduta in attesa che arrivi o il sottosegretario Saglia, per procedere allo svolgimento dell'interpellanza dell'onorevole Iannaccone, la n. 2-00902, o, se sarà possibile, l'onorevole Damiano, in questo caso procedendo ad una variazione nell'ordine delle interpellanze, quindi al previo svolgimento dell'interpellanza urgente Damiano ed altri n. 2-00911. Dovrei, a questo punto, sospendere la seduta, ma sta sopraggiungendo l'onorevole Damiano e, quindi, possiamo procedere.

(Iniziative per evitare che operazioni di assicurazione della SACE possano favorire processi di delocalizzazione delle imprese - n. 2-00911)

PRESIDENTE. L'onorevole Damiano ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00911, concernente iniziative per evitare che operazioni di assicurazione della SACE possano favorire processi di delocalizzazione delle imprese (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti).

CESARE DAMIANO. Signor Presidente, solo qualche secondo perché sono arrivato di corsa e riprendo fiato. L'interpellanza urgente, come lei ha ricordato, si propone di esaminare un punto estremamente delicato ed è il punto relativo alla delocalizzazione delle imprese italiane e al ruolo che su questo argomento può svolgere il Governo. La SACE, come noi sappiamo, è una società per azioni controllata dal Ministero dell'economia e delle finanze Pag. 18che assicura le operazioni all'estero delle imprese dai rischi politici e commerciali. Anche qui ci risulta - poi vorremmo avere una controprova dei nostri numeri - che oltre duecentomila imprese esportatrici si rivolgono alla SACE per assicurare vendite a credito, investimenti in stabilimenti e commesse. Le operazioni di assicurazione della SACE, con particolare riferimento agli investimenti all'estero, sono però concesse ad una condizione stabilita dal decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80, cioè che i progetti prevedano il mantenimento sul territorio nazionale delle attività di ricerca, sviluppo, direzione commerciale, nonché di una parte sostanziale delle attività produttive. Questo mi sembra un punto qualificante anche perché, come tutti sanno, noi siamo soprattutto in questo periodo dentro una grande e forte discussione che ruota attorno alla questione della politica industriale, a mio avviso assente da parte di questo Governo, all'esigenza di sostenere nella competizione globale gli indirizzi di sviluppo di una nazione come la nostra, industrialmente avanzata senza con questo voler chiudere gli occhi di fronte ai fenomeni di internazionalizzazione. Infatti, conosciamo l'economia globale ma così come capita nei Paesi industrialmente avanzati dell'Europa, così come è capitato di recente negli Stati Uniti, se ci riferiamo alla questione FIAT-Chrysler, questo non può significare, come si dice, una disattenzione sulle ragioni fondamentali del mantenimento delle cosiddette direzioni strategiche, delle unità di progettazione e ricerca e degli stabilimenti produttivi nei Paesi e nei territori che sono i territori di primo insediamento di queste attività. Per noi sarebbe assolutamente controproducente e scandaloso che, favorendo un'attività giusta di internazionalizzazione, disconoscessimo al tempo stesso l'esigenza di mantenere attraverso clausole, come si dice esigibili, la qualità e la quantità delle produzioni sul territorio nazionale. Da questo punto di vista sicuramente non ci hanno rassicurato le affermazioni recenti del Presidente del Consiglio a proposito della questione della FIAT. Francamente ho trovato un po' vergognoso il fatto che il Presidente del Consiglio si lasci andare ad una battuta che dice: se per caso nel referendum in corso oggi e domani a Mirafiori quei lavoratori dovessero decidere di votare «no» farebbe bene Marchionne ad abbandonare l'Italia. Credo che questo non si debba dire. Dobbiamo in qualche modo aiutare uno sviluppo positivo di quella situazione. Anch'io penso e mi auguro che vincano i «sì». Penso che nel caso in cui dovessero vincere i «sì» tutti i sindacati dovrebbero aderire con le loro forme critiche a questa intesa per consentire una piena rappresentanza dei lavoratori al miglioramento della situazione.
In ogni caso, anche questo tema pone la questione di una radicata presenza dell'industria sul territorio nazionale, accompagnata da quei fenomeni di internazionalizzazione che possono aiutare naturalmente l'espansione globale dell'impresa senza disconoscere e senza far venir meno la capacità e la quantità di progettazione, la qualità e la quantità delle produzioni sul territorio nazionale.
Quindi, come dicevo, la situazione che ho descritto ci porta ad una determinazione ed al fatto che lo Stato in molti casi assiste al blocco della produzione in Italia. Farò anche degli esempi: stanzia risorse per la cassa integrazione per i lavoratori colpiti dalla crisi delle aziende, ma allo stesso tempo garantisce una delocalizzazione delle imprese attraverso la SACE. In sostanza, ci pare che quel presupposto al quale abbiamo fatto riferimento circa il mantenimento sul territorio nazionale delle attività di ricerca, sviluppo e direzione commerciale, nonché di una sostanziale parte delle attività produttive, non si realizzi in modo così cogente ed effettivo. Infatti pare - e anche qui vorrei un chiarimento - che si realizzi soltanto attraverso una semplice dichiarazione dell'interessato, dell'azienda coinvolta. L'istituto infatti, secondo fonti giornalistiche - e anche queste vanno prese ovviamente con le molle, come si direbbe in gergo normale -, sostiene : «Non è rilevante che Pag. 19la produzione rimanga in Italia: noi valutiamo la polizza secondo un criterio di sostenibilità: cioè i rischi economici e commerciali della singola operazione». A noi pare che questa impostazione, qualora trovasse un fondamento al di là della fonte giornalistica, sia un'affermazione che non può essere assolutamente condivisa.
Lo dichiaro con nettezza: sono keynesiano sicuramente, non sono liberista, non ho seguito mai la scuola di Chicago, ma non penso che noi dobbiamo ritornare allo Stato padrone, quello che produceva automobili e panettoni, questo mi pare un residuo del passato, tuttavia non possiamo neanche essere di fronte ad uno Stato indifferente, che non porti un elemento di regolazione delle economie di salvaguardia, perché altrimenti corriamo il rischio di essere sottoposti ad una concorrenza sleale. Infatti, paradossalmente questi elementi di regolazione sono presenti da parte di Governi di tutti i colori, di centrodestra e di grandi coalizioni (penso alla Francia di Sarkozy e alla Germania della Merkel) che sono molto attenti, viceversa, a preservare le loro industrie.
Quali sono i casi? Il caso della FIAT: ricordo che si chiudono lo stabilimento di Termini Imerese e gli stabilimenti di Pomigliano d'Arco e Mirafiori, i cui lavoratori, come tutti sanno, sono da tempo in cassa integrazione, ma al tempo stesso la FIAT prevede un ingente investimento in Serbia per circa un miliardo di euro per produrre circa 300 mila vetture l'anno, che verranno in qualche modo sottratte alla produzione sul territorio nazionale. Non si conosce l'ammontare della cifra assicurata per tale operazione, ma sicuramente ammonterà a valori molto consistenti, considerando che la SACE ha già assicurato lo scorso anno la joint venture in India della FIAT con la Tata per 130 milioni di euro, mentre nel 2004 la linea di produzione in Brasile è stata in qualche modo garantita per un importo, ci risulta, di 60 milioni di euro.
Naturalmente ci rivolgiamo alla questione FIAT, pur sapendo che la FIAT non è l'unica azienda che in questi anni ha scelto di delocalizzare: è l'azienda, diciamo così, più visibile, della quale si parla in modo molto evidente in questa situazione. Vorrei anche ricordare che il 7 aprile scorso un'altra azienda, la Bialetti, noto marchio, produttrice delle moka, ha chiuso lo storico stabilimento di Omegna, mettendo in mobilità 120 lavoratori, mentre nel 2004 aveva ottenuto sempre dalla SACE la garanzia di 2 milioni di euro per la costruzione di un impianto in India. Analoga situazione ha riguardato la Brembo. Quindi, come ho già ricordato, il nostro atteggiamento su questo punto deve essere un atteggiamento coerente, perché corriamo appunto il rischio di avere atteggiamenti diversificati fra Paesi industrializzati.
Ho citato la Francia e la Germania, potrei aggiungere gli Stati Uniti o la Gran Bretagna: in questi Paesi, le omologhe agenzie pubbliche devono rendere conto ai rispettivi Governi circa le ricadute occupazionali delle operazioni di garanzia erogate con l'utilizzo di risorse pubbliche. Pertanto, non vorremmo che il caso italiano fosse una sorta di anomalia, visto che, spesso, lo Stato si trova a sostenere le aziende tramite gli ammortizzatori sociali. Ricordo, ad esempio, la questione della cassa integrazione in deroga. Non va neanche dimenticato che, per il 2010, siamo arrivati al record di un miliardo e 200 milioni di ore di cassa integrazione (100 milioni l'anno, considerato anche il mese di agosto): una cifra assolutamente grave e pesante per quanto riguarda l'impatto sull'economia.
Quindi, da una parte, vi sono gli ammortizzatori sociali che, naturalmente, vanno erogati e, magari, dall'altra parte vi è un'assicurazione agli investimenti esteri di quelle stesse imprese che utilizzano la cassa integrazione e gli ammortizzatori sociali, senza che queste siano obbligate a rispettare la condizione del vincolo del mantenimento della progettazione e di una parte sostanziale di occupazione sul territorio nazionale.
Pertanto, concludendo, in questo caso vi è proprio un problema di impostazione, un problema di filosofia, che ci vede su posizioni distanti e diverse. Lo ripeto: non Pag. 20si tratta di teorizzare una logica in base alla quale lo Stato ridiventa padrone, diventa il metaregolatore dell'andamento dell'economia. Noi siamo rispettosi delle regole e delle logiche del mercato, ma siamo anche contrari all'idea di uno Stato, di un Governo assolutamente indifferenti ai destini dell'occupazione, della ricerca e della produzione. In sostanza, noi vogliamo che si contemperi l'azione di internazionalizzazione con l'azione della salvaguardia sul territorio nazionale di produzione e occupazione.
Chiediamo, dunque, al rappresentante del Governo come valuti la situazione che ho sommariamente esposto; naturalmente, sono anche disposto a considerare le correzioni che derivano dalla conoscenza sicuramente più approfondita del Governo su questa materia. Chiediamo, dunque, se il Governo non ritenga di dover intervenire affinché, pur riconoscendo l'importanza del potenziamento del processo di internazionalizzazione del nostro sistema industriale, sia comunque assicurata la permanenza di una presenza significativa di attività industriali nel nostro Paese, soprattutto per quelle produzioni che presentano alti contenuti tecnologici o che per le loro caratteristiche appartengono alla tradizione stilistica e qualitativa delle nostre produzioni più apprezzate sui mercati internazionali.
Infine, chiediamo se il Governo non ritenga di dover intervenire, anche con specifiche iniziative normative, al fine di scongiurare che risorse pubbliche, tramite l'intervento della SACE, possono favorire processi di delocalizzazione, con conseguente perdita di opportunità di lavoro e sviluppo, magari anche per iniziativa di imprese che abbiano usufruito e che continuano a usufruire di incentivi o misure di sostegno indiretto, quali gli ammortizzatori sociali.
Con l'interpellanza urgente in oggetto, crediamo di aprire uno squarcio e di ricevere anche una parola di rassicurazione, proprio perché la questione che poniamo, è oggi una questione di carattere fondamentale.
Sappiamo che il nostro Paese soffre di una crisi di crescita e sappiamo che, anche qualora dovesse crescere - me lo auguro - la produzione, questo, purtroppo, non porterebbe automaticamente ad un crescita di occupazione. Sappiamo di entrare in un periodo di crescita senza crescita dell'occupazione. Per questo motivo, queste domande diventano cruciali e diventa indispensabile ricevere delle risposte: non solo «pacche sulle spalle» e rassicurazioni generiche, ma anche intenzione normativa da parte del Governo.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze, Sonia Viale, ha facoltà di rispondere.

SONIA VIALE, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Signor Presidente, con l'interpellanza urgente in discussione l'onorevole Damiano ed altri fanno riferimento a quanto riportato da fonti giornalistiche in cui si afferma che la società SACE, nell'intervenire a sostegno di operazioni di investimento all'estero, avrebbe limitato la propria verifica ad una semplice dichiarazione dell'interessato, atta ad attestare che tali operazioni prevedano il mantenimento sul territorio nazionale delle attività di ricerca, sviluppo, direzione commerciale, nonché di una parte sostanziale delle attività produttive.
Gli interpellanti sostengono, quindi, che per la SACE non sarebbe rilevante la circostanza che la produzione sia mantenuta in Italia e ritengono inoltre che il rilascio delle polizze da parte della stessa SACE venga valutato esclusivamente sulla base di criteri di sostenibilità economica e commerciale.
Al riguardo, nel premettere che le fonti giornalistiche cui si riferisce tale interpellanza risultano essere quelle dell'articolo pubblicato su L'espresso in data 10 dicembre scorso, dal titolo «Manica larga alla SACE», il dipartimento del tesoro, sentita la società oggetto dell'interpellanza, ha fatto presente che l'istruttoria condotta da SACE sulle singole operazioni non si limita ad accertare la sostenibilità delle stesse sotto il profilo economico-finanziario, ma Pag. 21è altresì volta a verificare il rispetto della normativa applicabile a SACE e alle parti coinvolte, ivi inclusa quella in materia di delocalizzazione di cui all'articolo 1, comma 12, del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito dalla legge 14 maggio 2005, n. 80. Tale norma prevede espressamente che «i benefici e le agevolazioni previsti ai sensi della legge 24 aprile 1990, n. 100, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 143, e della legge 12 dicembre 2002, n. 273, non si applicano ai progetti delle imprese che, investendo all'estero, non prevedano il mantenimento sul territorio nazionale delle attività di ricerca, sviluppo, direzione commerciale, nonché di una parte sostanziale delle attività produttive».
L'analisi condotta da SACE per verificare l'effettivo rispetto di tale previsione normativa viene effettuata, oltre che mediante l'esame di documentazione tecnico-finanziaria (contrattualistica, atti societari, bilanci), anche mediante l'analisi delle ulteriori informazioni fornite su richiesta della stessa SACE, quali, ad esempio, piano industriale e business plan. Non è pertanto corretta l'affermazione contenuta nell'interpellanza urgente secondo cui per accertare tale presupposto SACE richiederebbe una semplice dichiarazione dell'assicurato. Non è parimenti corretto quanto attribuito a SACE circa l'affermazione che non sarebbe rilevante che la produzione rimanga in Italia e che SACE si limiterebbe ad una valutazione della polizza avendo riguardo ai soli profili di sostenibilità economico-finanziaria della singola operazione.
Da ultimo, con riferimento alla richiesta di conoscere gli intendimenti in merito ad iniziative normative volte a scongiurare che risorse pubbliche possano favorire processi di delocalizzazione, si ritiene di poter affermare che la previsione normativa citata determini comunque un valido sbarramento per contrastare le eventuali iniziative che possano determinare impatti negativi sulla capacità produttiva del nostro Paese.
Ad ogni buon fine, si segnala che, per quanto riguarda l'internazionalizzazione del sistema produttivo, problematica rilevante che investe direttamente il Ministero dello sviluppo economico, lo stesso ha evidenziato che, per gli interventi di sostegno operati attraverso la società partecipata Simest, esistono vincoli legislativi posti dalla legge n. 80 del 2005, che impongono alle imprese beneficiarie dell'agevolazione importanti limiti finalizzati al mantenimento di una parte sostanziale della struttura produttiva in Italia, nonché della direzione commerciale e degli investimenti in ricerca e innovazione.

PRESIDENTE. L'onorevole Damiano ha facoltà di replicare.

CESARE DAMIANO. Signor Presidente, ringrazio il sottosegretario per le risposte e per le argomentazione. Naturalmente, in primo luogo, come ho detto nell'illustrazione dell'interpellanza urgente, ritengo importante che non ci si affidi semplicemente a delle voci giornalistiche, perché sappiamo come i media possano anche interpretare liberamente quello che, in realtà, non avviene o segue delle regole molto più tassative.
Sicuramente è vero che ci sono degli sbarramenti e delle normative che dovrebbero far corrispondere al progetto assicurativo anche una contropartita di garanzia per quanto riguarda la permanenza di ricerca, commercializzazione e produzione sul territorio nazionale.
Però, io non sono soddisfatto della sua risposta, signora sottosegretario.
Infatti, mi domando: questa affermazione che lei fa - e sicuramente l'istituto avrà seguito le sue procedure - cozza visibilmente con le situazioni che si sono determinate o che si stanno determinando.
Se prendo il caso della Bialetti, non posso non sottolineare il fatto che voi, nel 2004, avete concesso questa assicurazione - in questo caso, si parla di due milioni di euro - e dopo pochi anni lo stabilimento chiude, perché chiaramente quella delocalizzazione rappresenta l'alternativa alla permanenza di quello stabilimento storico nel Piemonte (credo sia un problema che riguardi anche il governatore Pag. 22Cota quello dell'utilizzo appropriato di quei lavoratori in mobilità o in licenziamento). Dunque, è evidente che le norme - che pure esistono - non sono un valido sbarramento e non impediscono in sostanza di proiettare l'efficacia delle norme per un tempo strategicamente necessario al mantenimento della produzione, non in quel momento, ma anche negli anni successivi.
Mi permetto di suggerire che, probabilmente, sarebbe necessario un adeguamento delle norme. Le vecchie norme, infatti, non sono più adeguate, anche perché - come tutti sanno - siamo di fronte ad una potente accelerazione dei fenomeni di internazionalizzazione e globalizzazione dell'economia. Quello che fino a poco tempo fa sembrava inimmaginabile diventa immaginabile: l'Oriente del mondo, l'altro lato dell'Occidente, sta diventando la fabbrica del mondo; nazioni come la Cina e come l'India diventeranno le nazioni guida; aggiungo anche il Brasile, che mi sembra abbia ottenuto ottime performance dal punto di vista dei risultati economici, occupazionali e della redistribuzione della ricchezza.
Pertanto, probabilmente, normative relativamente efficaci in tempi normali, diventano inefficaci in tempi speciali e particolari. Infatti, se noi non vedessimo le conseguenze di questa accelerazione dei processi di globalizzazione sul tessuto stesso della nostra economia, non comprenderemmo quello che sta succedendo.
Dunque, mi permetto - da qui la mia insoddisfazione - di suggerire al Governo, e lo faremo noi stessi come opposizione se il Governo non si muove su questo punto, di produrre un'innovazione normativa. Altrimenti, infatti, corriamo il rischio di avere, nel momento della concessione dell'assicurazione, una sorta di situazione di fatto garantita in quel momento, ma di assistere successivamente a fenomeni controproducenti, come è stato nel caso della Bialetti.
Potrei, ancora un volta, citare il caso della FIAT. A lei non sfugge, signor sottosegretario, che, a fronte delle concessioni che hanno riguardato, tra l'altro, ieri il Brasile e ieri la Serbia, siamo di fronte ad una situazione, con riferimento alla quale - a mio parere, impropriamente - l'amministratore delegato Marchionne ha detto che, nel caso in cui non dovessero vincere i «sì» al referendum di questi giorni, la FIAT potrebbe abbandonare il territorio italiano.
Pertanto, quali sono le garanzie di lungo periodo? Quali sono le garanzie di carattere strategico? Se l'Italia - per quanto riguarda, in questo caso, la produzione automobilistica - deve rimanere ancora una piattaforma strategica saldamente piantata nel sud dell'Europa, capace di servire i mercati dell'est e dell'ovest dell'Europa e del nord Africa (anche se attualmente è un tantino in subbuglio, come abbiamo visto, al di là di quella che sembrava la situazione precedente), tutto questo è anche legato ad una efficace azione del Governo sul tema della politica industriale (che non c'è) e ad un'efficace normativa (e allo stato mi sembra obsoleta) che vincoli - analogamente a quanto capita in altri Paesi industrializzati ai quali possiamo fare riferimento e in Europa li conosciamo - le aziende ad un mantenimento sul suolo nazionale della produzione, l'occupazione, la ricerca e la commercializzazione, non in quel momento, ma per un lungo periodo.
Mi domando: nel momento in cui dovessimo assistere, oltre alla chiusura di Termini Imerese, alla cessazione di produzioni in altri stabilimenti della FIAT in Italia, verrebbero meno le assicurazioni date nel passato per quanto riguarda Brasile e Serbia, e non verrebbero concesse future assicurazioni per quanto riguarda eventuali nuovi insediamenti? Altrimenti, infatti, per noi la partita è a perdere.
In sostanza, capisco che ci troviamo di fronte ad un governo liberista, ma qui siamo di fronte ad un ultra liberismo perché Governi di destra come quello di Sarkozy e Governi di grande coalizione come quello della Merkel, non certo ascrivibili al campo progressista del centrosinistra, hanno, comunque, atteggiamenti di attenzione, di correzione delle scelte delle imprese nel mercato che in Italia sono sconosciuti. Così come credo che sarebbe maturo per l'Italia, per garantire meglio Pag. 23un equilibrio tra internazionalizzazione e permanenza delle produzioni e della ricerca sul suolo nazionale, finalmente, varare una legge di partecipazione dei lavoratori alle scelte strategiche dell'impresa. Penso alle leggi tedesche della Mitbestimmung o penso ai comitati di sorveglianza, non penso alla presenza dei sindacati e dei lavoratori nei consigli di amministrazione ma a comitati di sorveglianza che affianchino i consigli di amministrazione in modo tale da garantire anche i lavoratori, oltre le imprese, circa gli intendimenti strategici che riguardano le scelte di investimento le quali, come sappiamo, hanno forti ricadute sull'occupazione.
È probabile, anzi sono sicuro che i dirigenti della SACE abbiano ben operato in ossequio delle leggi e abbiano rispettato i regolamenti, ma la mia proposta di interpellanza urgente non aveva semplicemente lo scopo di avere una risposta burocratica di rispetto dell'esistente ma voleva soprattutto stimolare il Governo a comprendere come, in questa situazione, le norme esistenti, per come sono congegnate, non sono più sufficienti. È come andare ad una velocità che non è proporzionata alla nuova velocità del mondo in cambiamento, questo mondo è davvero in radicale cambiamento e in questo radicale cambiamento serve un'azione di Governo che non vediamo.
Sono allarmato, fortemente allarmato dalle parole del Presidente del Consiglio che, in qualche modo, lo capisco, da imprenditore, riassume la filosofia del Governo in una frase: investo dove mi pare, laddove mi conviene. Su questo proprio non sono d'accordo né da un punto di vista filosofico, né deontologico, né di ruolo istituzionale perché noi non dobbiamo ciecamente difendere quel che si fa in Italia anche se non è competitivo, dobbiamo ricercare le ragioni della competitività e ricercare una innovazione normativa che adesso si rende necessaria se non vogliamo assistere ad una desertificazione del tessuto industriale nel nostro Paese.
Abbiamo ceduto parte della siderurgia ai russi i quali la cederanno ai cinesi, stiamo delocalizzando in Brasile e in Serbia per quanto riguarda le attività automobilistiche, abbiamo assistito allo scandalo Eutelia di imprenditori pirata che avevano l'unico scopo di fare profitto a breve sulla pelle dei lavoratori. Vorremmo che tutto questo fosse compreso e che ci fosse un atteggiamento di necessario adeguamento delle normative. Questa è la richiesta fondamentale.

(Chiarimenti e iniziative in relazione ad apparenti difformità in ordine all'utilizzo dello strumento della rettifica in Gazzetta Ufficiale a fronte di norme erroneamente abrogate - n. 2-00916)

PRESIDENTE. L'onorevole Palomba ha facoltà di illustrare l'interpellanza Donadi n. 2-00916 concernente chiarimenti e iniziative in relazione ad apparenti difformità in ordine all'utilizzo dello strumento della rettifica in Gazzetta Ufficiale a fronte di norme erroneamente abrogate (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti), di cui è cofirmatario.

FEDERICO PALOMBA. Signor Presidente, intervengo per significare che con questa interpellanza urgente abbiamo posto due problemi all'attenzione del Ministro per la semplificazione normativa. Apro una parentesi per sottolineare come capiti sempre all'Italia dei Valori di fare le pulci al Ministro per la semplificazione normativa, di andare a pizzicare alcuni degli aspetti scorretti della sua opera di semplificazione. Lui ha usato il lanciafiamme per bruciare centomila provvedimenti normativi ritenuti inutili, ma tra questi ce ne sono alcuni che invece secondo noi inutili non erano: questi sono i due punti che abbiamo posto.
Abbiamo già sollevato la questione relativa all'abrogazione del decreto legislativo n. 43 del 1948, che prevedeva e puniva il reato di organizzazione di associazioni di carattere militare per fini politici. Ma recentemente abbiamo notato che nell'allegato al decreto legislativo 13 dicembre 2010, n. 212, è stato incluso, tra i provvedimenti da abrogare, anche il regio Pag. 24decreto-legge 20 luglio 1934, n. 1404, che niente di meno istituiva i tribunali per i minorenni, cioè un sistema giurisdizionale basato su tabelle ordinamentali in cui erano previsti esplicitamente il numero di magistrati, presidenti, procuratori della Repubblica, e con organici che riguardavano non solo il personale della magistratura ma anche quello dell'organizzazione giudiziaria.
Con l'abrogazione di questo regio decreto-legge - a parte i problemi connessi al fatto che si trattava di un regio decreto-legge poi convertito dalla legge n. 835 del 1935, e quindi si tratta di vedere se l'abrogazione del regio decreto-legge possa essere fatta con riferimento ai contenuti e quindi trascini l'intero corpo normativo trasfuso nella legge di conversione - vi era l'aspetto e la preoccupazione che con una semplice inclusione di quel regio decreto-legge nell'elenco si fosse voluto travolgere un intero sistema giudiziario, quello cioè che era fondato su specifiche disposizioni ordinamentali, oltre che su competenze funzionali.
Si è allarmata tutta l'Italia. Ho sentito giudici minorili in diverse parti del territorio: ed ho verificato che vi era stato veramente un momento di grande panico su questo, anche perché il provvedimento di abrogazione, il decreto legislativo n. 212 del 2010, è entrato in vigore il giorno successivo alla sua emanazione, il 14 dicembre. Da allora sono passati più di 20 giorni: si trattava di vedere se gli atti nel frattempo intervenuti fossero validi oppure no, perché, nell'ipotesi in cui fossero stati abrogati e fosse stato eliminato l'intero sistema giudiziario minorile, si sarebbe trattato di atti emessi da funzionari senza potere e quindi sarebbero probabilmente entrati nella categoria dell'inesistenza. E questo è un primo quesito che nella nostra interpellanza urgente poniamo.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MAURIZIO LUPI (ore 11,35)

FEDERICO PALOMBA. A parte ciò, noi abbiamo rilevato l'assoluta incongruità di questa abrogazione e abbiamo chiesto se essa fosse frutto di una precisa volontà del Governo di eliminare un intero sistema giudiziario e giurisdizionale. Infatti, i presupposti c'erano tutti perché il Consiglio dei Ministri ha anche deciso di fatto lo smantellamento della giustizia minorile attraverso la dispersione del personale specializzato, quello di natura penitenziaria nel dipartimento dell'amministrazione penitenziaria generale e quello dell'organizzazione giudiziaria nel DOG, cioè nella direzione generale aggiunta dell'organizzazioni giudiziaria.
Il sospetto era fondato anche per il fatto che già nel 2003 il Ministro Castelli aveva proposto un sostanziale svuotamento della giustizia minorile che era prodromico alla sua cancellazione con l'attribuzione delle funzioni alle sezioni specializzate dei tribunali.
Quindi il sospetto che, in realtà, con un sotterfugio si volesse eliminare un intero sistema era più che fondato. Perciò abbiamo posto il problema di che senso avesse l'abrogazione di questo regio decreto-legge del 1934. Ci è stato risposto che si era rimediato all'errore con un avviso di rettifica pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 7 gennaio. Effettivamente questo avviso di rettifica c'è, nel senso che quel numero dell'elenco, corrispondente all'inserimento del regio decreto-legge del 1934 allegato al provvedimento di abrogazione, era stato effettivamente espunto.
Tuttavia, i problemi sono rilevanti. Il primo è questo: o il Governo, il Ministro Calderoli e, in particolare, la Lega - che su questa posizione è fissata da sempre - attraverso quello che ho chiamato sotterfugio vogliono effettivamente eliminare il sistema giudiziario minorile, e allora in questo caso li abbiamo colti in fallo, oppure il Governo ha agito con estrema superficialità e allora lo abbiamo colto in fallo sotto un altro profilo.
C'è da tenere presente che il decreto legislativo di abrogazione n. 212 del 2010, secondo il parere del Consiglio di Stato, era stato previamente sottoposto all'esame di tutti i Ministeri interessati e quindi anche del Ministero della giustizia. Per Pag. 25questo c'è il fondato sospetto che, a seguito dell'esame del provvedimento nella parte di competenza di tale Ministero, questo abbia dato parere favorevole, perché contestualmente stava smantellando l'organizzazione dei servizi minorili dell'amministrazione della giustizia.
Ma dopo l'avviso di rettifica sulla Gazzetta Ufficiale siamo saltati sulla sedia ugualmente: e questo è il secondo punto che Italia dei valori pone. La ragione è la seguente: abbiamo proposto una mozione di sfiducia individuale nei confronti del Ministro Calderoli perché nel primo provvedimento di abrogazione aveva incluso nell'elenco anche il decreto legislativo n. 43 del 1948 che prevedeva, come ho già detto, la punizione della costituzione di associazioni di carattere militare per scopi politici.
Durante il dibattito in Parlamento su questo punto il Ministro Calderoli ha detto che non riteneva di dover provvedere ad una rettifica perché non si sarebbe trattato di una correzione di un errore materiale, per cui l'eliminazione dal provvedimento di abrogazione sarebbe potuta passare soltanto attraverso un nuovo testo sostanziale che ripristinasse quel reato.
Ma nel frattempo, gli effetti di quella abrogazione si sarebbero comunque prodotti, a tutto beneficio e vantaggio esclusivamente, a quanto ci consta, degli imputati dell'unico processo pendente che è quello che riguarda le camicie verdi della Lega in corso a Verona.
Allora ci troviamo di fronte a due risposte diverse del Ministro rispetto a due abrogazioni fasulle: la prima è quella della costituzione di associazioni per scopi militari; la seconda è l'abrogazione del regio decreto-legge istitutivo del tribunale per i minorenni. Nel primo caso il Ministro ha detto che non si poteva fare un avviso di rettifica, ma occorreva una nuova legge; nel secondo caso, quello dell'abrogazione del regio decreto-legge del 1934, istitutivo del tribunale per i minorenni, il Ministro stesso ha invece fatto un avviso di rettifica.
Vogliamo una risposta dal Ministro. Credo che il sottosegretario avrà ricevuto un compitino fatto, ma spero che su questi punti il sottosegretario stesso abbia richiesto a chi le ha predisposto il testo di fornire risposte precise. Verificheremo la precisione della risposta, fermo restando che ovviamente, siccome non siamo tuttologi e il sottosegretario oggi presente si occupa di altri problemi, naturalmente la responsabilità non la attribuiremo al rappresentante del Governo oggi presente, ma a chi eventualmente avesse dato le indicazioni per la risposta odierna.
Quindi siamo in attesa di conoscere quali sono gli orientamenti del Governo rispetto a due questioni fondamentali: in primo luogo, perché il Ministro in due situazioni uguali si è comportato in modo diverso e, in secondo luogo, quali sono le ragioni dell'abrogazione del regio decreto-legge n. 1404 del 1934 e quali sono le conseguenze del fatto che è intercorso un periodo di oltre venti giorni tra l'entrata in vigore del provvedimento legislativo che ha disposto l'abrogazione e il momento dell'avviso di rettifica. Ci sarebbe da chiedere anche quale sia la natura giuridica di un avviso di rettifica che modifica un decreto legislativo.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze, Sonia Viale, ha facoltà di rispondere.

SONIA VIALE, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Signor Presidente, gli interpellanti sostengono che il Ministro per la semplificazione normativa avrebbe assunto decisioni diverse in merito a due vicende, che gli stessi erroneamente accomunano, relative all'abrogazione di due distinti provvedimenti legislativi. I fatti riguardano la già discussa vicenda dell'abrogazione, operata dal codice dell'ordinamento militare (decreto legislativo n. 66 del 2010), del decreto legislativo n. 43 del 1948, relativo al«Divieto delle associazioni di carattere militare» e quella, sostanzialmente diversa, della asserita abrogazione, da parte del decreto legislativo n. 212 del 2010 (cosiddetto taglia Pag. 26leggi), del regio decreto-legge 20 luglio 1934, n. 1404 (recante «Istituzione e funzionamento del tribunale per i minorenni»).
In realtà le due vicende - come ho già accennato e avrò modo di illustrare tra breve - non possono in alcun modo essere assimilate, e ciò giustifica le differenti decisioni che sono state assunte nelle due circostanze. Infatti, nel primo caso, come peraltro il Ministro per la semplificazione normativa ha già, a più riprese, ampiamente illustrato alla Camera dei deputati nell'ambito della discussione della mozione n. 1-00475 a firma Di Pietro e altri (mozione respinta con il voto del 22 dicembre 2010), la presenza del decreto legislativo n. 43 del 1948 tra le fonti da abrogare espressamente non può in alcun modo ricondursi ad una ipotesi di errore materiale e non è pertanto suscettibile di correzione mediante un avviso di rettifica pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. Il citato provvedimento legislativo è, infatti, correttamente identificato in tutti i suoi estremi e nulla poteva e può far pensare ad un errore materiale.
Al contrario, alla voce 57959 dell'allegato al decreto legislativo n. 212 del 2010, contenente le fonti da abrogare espressamente, risultava inserito, nelle colonne dedicate alla indicazione degli estremi del provvedimento, il regio decreto 20 luglio 1934, n. 1404, e, nella colonna dedicata al titolo del provvedimento, la legge 20 luglio 1934, n. 1404 «Istituzione e funzionamento del tribunale per i minorenni». Poiché non esiste nel nostro ordinamento né un regio decreto né una legge avente i predetti estremi identificativi (giorno, mese, anno e numero cronologico), è evidente l'errore materiale occorso nell'elaborazione con strumenti informatici dell'allegato. Si è trattato, infatti, di un errore generato dal sistema informatico che ha determinato l'inclusione di un atto invero inesistente e, come tale, insuscettibile di abrogazione. All'esito degli accertamenti compiuti, tale interpretazione, sostenuta dall'ufficio legislativo del Ministero della Giustizia, è stata integralmente condivisa dall'ufficio legislativo del Ministro per la semplificazione normativa.
Sebbene, per gli argomenti già illustrati, nessun effetto abrogativo potesse farsi risalire alla citata previsione dell'allegato al decreto legislativo n. 212 del 2010, al fine di evitare qualsiasi equivoco interpretativo ed applicativo, la Presidenza del Consiglio dei ministri, ravvisando la ricorrenza di una delle ipotesi previste dalla disciplina delle rettifiche di cui agli articoli da 14 a 17 del decreto del Presidente della Repubblica 14 marzo 1986, n. 217 (recante il regolamento di esecuzione del testo unico delle disposizioni sulla promulgazione delle leggi), ha fatto pubblicare, in data 7 gennaio 2011, un apposito avviso di rettifica nella Gazzetta Ufficiale.
Tanto evidenziato, nessuna diversità di trattamento può essere ravvisata nelle due ipotesi individuate dagli interpellanti, bensì di una corretta applicazione, in entrambe le ipotesi, delle previsioni normative contenute nel decreto del Presidente della Repubblica n. 217 del 1986.
Quanto alle specifiche domande poste dagli interpellanti, e segnatamente quella con cui si sollecita la pubblicazione di un avviso di rettifica che elimini dall'elenco delle abrogazioni del codice dell'ordinamento militare il decreto legislativo. n. 43 del 1948, deve ribadirsi quanto già dichiarato in Parlamento dal Ministro per la semplificazione normativa: in ossequio alla disciplina settoriale vigente, l'unica via per reintrodurre nell'ordinamento il contenuto del decreto legislativo n. 43 del 1948 è percorrere un iter legislativo identico a quello percorso per approvare il codice ovvero l'adozione di un decreto correttivo o integrativo del decreto legislativo che ha approvato il codice.
A tal fine, gli uffici legislativi dei Ministri della difesa e della semplificazione normativa stanno già predisponendo uno schema di decreto correttivo ed integrativo del codice dell'ordinamento militare, ai sensi dell'articolo 14, comma 18, della legge n. 246 del 2005, che reintrodurrà il contenuto del decreto legislativo n. 43 del Pag. 271948. Tale schema potrebbe essere approvato dal Consiglio dei ministri già nelle prossime settimane.
Quanto al quesito concernente le eventuali ricadute, in termini di illegittimità, sui provvedimenti assunti dai tribunali per i minorenni a partire dalla presunta abrogazione del regio decreto-legge 20 luglio 1934, n. 1404, ovvero nel periodo intercorrente tra il 16 dicembre 2010 e il 7 gennaio 2011, alla luce degli argomenti sopra svolti in ordine alla insussistenza di qualsiasi effetto abrogativo in virtù della non ravvisabilità nell'ordinamento di un atto normativo identificato dagli estremi riportati alla voce 57959 dell'allegato al decreto legislativo n. 212 del 2010, non può che rispondersi negativamente, rilevando l'assenza della causa giuridicamente rilevante cui gli interpellanti riconducono gli ipotizzati effetti.

PRESIDENTE. L'onorevole Palomba ha facoltà di replicare.

FEDERICO PALOMBA. Signor Presidente, debbo dire che siamo totalmente insoddisfatti. Anzi, la risposta del sottosegretario - predisposta dalla Presidenza del Consiglio o dal Ministero della semplificazione normativa e non certo dal sottosegretario Viale oggi presente - aggrava la situazione. Spiegherò brevemente le ragioni.
Nessun sistema informatico può inventarsi che esiste un regio decreto-legge 20 luglio 1934 n. 1404 istitutivo del tribunale per i minorenni. Non c'è nessuna possibilità di credere a questo errore informatico considerato che i computer e i sistemi informatici rispondono in base agli input che si danno loro per individuare le cose da inserire nell'elenco allegato al decreto legislativo n. 212 del 2010. Da dov'è venuto l'impulso ad inserirvi questo regio decreto-legge? Lasciamo poi perdere che sia sbagliato, il riferimento frutto di superficialità all'abrogazione del regio decreto-legge e non della legge di conversione. Qualcuno ha inserito il regio decreto-legge istitutivo del tribunale per i minorenni. Se non ce ne fossimo accorti, probabilmente sarebbe potuta anche passare l'interpretazione per cui abrogando il regio decreto-legge, come modificato dal Parlamento di allora (il 1935), si sarebbe potuto anche sostenere che sostanzialmente la legge di conversione, essendo svuotata del corpo normativo contenuto nel regio decreto-legge, ormai non c'era più.
Si sarebbe cioè potuto far passare attraverso un sotterfugio un provvedimento di una gravità straordinaria che, come ho dimostrato, è nella testa della Lega Nord da sempre. Un intero sistema normativo sarebbe stato spazzato via dal nostro ordinamento con conseguenze incalcolabili in ordine sia al potere di emettere i provvedimenti sia in ordine alla stessa organizzazione giudiziaria con uffici che non avrebbero avuto più una ragione di esistere, sia, infine, rispetto ad una cultura di giustizia minorile che in Italia è di alto livello.
L'indicazione dell'abrogazione di questo regio decreto-legge è passata al vaglio dei ministeri competenti, quindi anche del Ministero della giustizia. Vi è stata la precisa volontà di inserire nel decreto legislativo n. 212 del 2010 anche questo regio decreto-legge.
Non ci convince minimamente, in conclusione, la questione dell'errore informatico: i sistemi informatici obbediscono alla volontà degli uomini e dicono quello che gli uomini vogliono far dire loro. Questo è il primo punto.
Il secondo punto riguarda l'abrogazione del decreto legislativo n. 43 del 1948, relativo alle associazioni di carattere militare per scopi politici. Il Governo ci deve dire una cosa: era frutto di un errore l'inserimento nell'elenco dei provvedimenti abrogati del decreto legislativo n. 43 del 1948? Oppure il Governo lo ha voluto, lo ha fatto apposta, lo ha messo lì perché venisse a mancare la previsione normativa che un certo comportamento costituisse ancora reato, allo scopo di far sì che la magistratura che procede nei confronti delle camicie verdi dovesse pronunciarsi nel senso dell'assoluzione, perché il fatto non è più preveduto dalla legge come reato? Pag. 28
Questo è il punto su cui il Governo non ci ha dato una risposta. Lo avete voluto fare o è stato un errore anche quello? Se volete reinserire quel provvedimento legislativo, fate un trucco ed un capolavoro di ipocrisia, perché questo varrà per l'avvenire, ma intanto si sono prodotti gli effetti dell'abrogazione per il tempo strettamente necessario perché vi fosse un periodo nel quale questo fatto non era più previsto dalla legge come reato, in modo che si avesse l'applicazione retroattiva della disposizione più favorevole all'imputato.
È chiaro che l'effetto sarebbe questo, salvo che voi non diciate - ma credo che non lo possiate dire - che il provvedimento di reinserimento nel nostro ordinamento giuridico delle disposizioni del decreto legislativo n. 43 del 1948 o di un provvedimento analogo o identico opera ex nunc e non ex tunc, e cioè che nessun effetto può essere riconosciuto all'abrogazione, neppure ai fini dell'applicazione retroattiva della legge più favorevole al reo.
Ve la sentite di dire questo? Non credo che ve la sentiate. E se non ve la sentite, vuole dire che avevate esplicitamente la volontà di dire e di non dire; che, se in termini generali bisogna prevedere la punizione delle associazioni di tipo militare a scopi politici, però, nel caso concreto, è stato trovato il marchingegno per cui da quella abrogazione derivano degli effetti benefici, guarda caso per degli amici del Ministro Calderoli, del Ministro per la semplificazione normativa, cioè le camicie verdi della Lega.
Non potete fare dei sotterfugi. Il Governo e il Ministro ci devono dire se hanno voluto esplicitamente operare un'abrogazione di quel provvedimento; allora gli sarà anche difficile spiegare perché adesso lo vogliono reinserire. Infatti, se era un errore informatico anche quello, potevate operare come avete operato relativamente all'abrogazione del regio decreto-legge n. 1404 del 1934. Se, invece, lo volevate - come noi pensiamo - avete fatto un vero gioco delle tre carte.
Non sfuggite a questa logica, non sfuggite al fatto che state operando con due pesi e due misure, e si capisce, perché l'abrogazione della normativa sulla punizione delle associazioni militari per scopi politici aveva un peso ben maggiore di quello che può essere il peso dell'abrogazione del sistema giudiziario minorile.
Ecco le ragioni per le quali, dopo la risposta del sottosegretario Viale, abbiamo superato l'ipotesi della superficialità, perché abbiamo capito che, in realtà, vi è stata una volontà del Governo di abrogare tanto il decreto legislativo n. 43 del 1948 quanto il regio decreto-legge n. 1404 del 1934, e questo, francamente, riempie di indignazione noi di Italia dei valori.

(Rinvio dell'interpellanza urgente Iannaccone n. 2-00902)

PRESIDENTE. Avverto che, su richiesta del Governo e con il consenso dei presentatori, lo svolgimento dell'interpellanza urgente n. 2-00902 degli onorevoli Iannaccone ed altri concernente iniziative a tutela dei lavoratori dello stabilimento FMA di Pratola Serra (Avellino) è rinviato ad altra seduta.
È così esaurito lo svolgimento delle interpellanze urgenti all'ordine del giorno.

Per la risposta a strumenti del sindacato ispettivo.

IVANO STRIZZOLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

IVANO STRIZZOLO. Signor Presidente, intervengo non per sollecitare, per l'ennesima volta, come lei ben sa, lo svolgimento di una ormai antica interrogazione concernente le vicende negative che hanno caratterizzato, e che stanno caratterizzando tuttora, la gestione del CIE di Gradisca D'Isonzo, ma per fare una sorta di sollecito preventivo al Governo perché risponda non in tempi lunghissimi - come purtroppo ci ha abituati in questo periodo - ad una interrogazione che ho presentato in questi giorni relativa al fatto che in alcune zone rilevanti sia del Friuli Venezia Pag. 29Giulia che del Veneto i tre canali della RAI non si ricevono, nonostante le famiglie abbiano acquistato ed installato i famosi e mitici decoder. In particolare, non si riescono a prendere i tre canali della Radio televisione italiana.
E in questa sede segnalo, tra l'altro, prese di posizione da parte di altri colleghi del Governo e della Lega Nord che stanno incitando, in alcune zone, a non pagare il canone RAI proprio perché non si riceve il segnale come si dovrebbe. Quindi, signor Presidente, la prego di intervenire presso il Governo per sollecitare una risposta su questo argomento in tempi abbastanza rapidi.
Approfitto per sollecitare un'altra risposta relativa, questa volta, ai disservizi molto diffusi che si stanno verificando sempre nella mia regione, il Friuli Venezia Giulia, da parte di Poste italiane. Addirittura, nei giorni scorsi è stata segnalata una giacenza di tonnellate di corrispondenza non consegnata presso i depositi di Poste italiane di Udine. Questo fatto è gravissimo, ho presentato un'interrogazione al riguardo; prego anche qui il Governo di dare una risposta in tempi ragionevolmente brevi.

PRESIDENTE. Onorevole Strizzolo, la Presidenza si farà carico di trasmettere la sua richiesta al Governo.

Ordine del giorno della prossima seduta.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

Lunedì 17 gennaio 2011, alle 16:

1. - Discussione della relazione territoriale sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti nella regione siciliana approvata dalla Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti (Doc. XXIII, n. 2).

2. - Discussione delle mozioni Casini ed altri n. 1-00517 e Antonione ed altri n. 1-00519 concernenti iniziative volte all'estradizione di Cesare Battisti.

La seduta termina alle 12.