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Resoconto dell'Assemblea

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XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 387 di giovedì 21 ottobre 2010

Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROSY BINDI

La seduta comincia alle 9,30.

MIMMO LUCÀ, Segretario, legge il processo verbale della seduta di ieri.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Boniver, D'Ippolito Vitale, Delfino, Gozi, Strizzolo e Taddei sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente sessantasei, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Svolgimento di interpellanze urgenti (ore 9,32).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di interpellanze urgenti.

(Iniziative di competenza per la modifica del piano di rientro dal disavanzo sanitario della regione Campania e intendimenti del Governo in relazione ad un piano straordinario di interventi per migliorare il sistema sanitario nelle regioni meridionali - n. 2-00859)

PRESIDENTE. L'onorevole Iannaccone ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00859, concernente iniziative di competenza per la modifica del piano di rientro dal disavanzo sanitario della regione Campania e intendimenti del Governo in relazione ad un piano straordinario di interventi per migliorare il sistema sanitario nelle regioni meridionali (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti).

ARTURO IANNACCONE. Signor Presidente, signor sottosegretario, l'oggetto della nostra interpellanza riguarda i criteri adottati dal commissario straordinario Caldoro, presidente della regione Campania, per rientrare dal deficit sanitario. Mi auguro che la risposta, che il Governo tramite lei intenderà dare questa mattina alla nostra interpellanza urgente, possa essere non solo di natura tecnica, facendo riferimento ai conti, ma sia anche una risposta politica, che si faccia carico della drammatica situazione nella quale si trova la regione Campania e i cittadini di quella regione.
Sono sotto gli occhi di tutti i guasti determinati in questi anni dalla gestione della sanità da parte del governo di centrosinistra della Campania negli anni scorsi, in modo particolare da parte del presidente Bassolino che, come lei ricorderà, rispetto al provvedimento di commissariamento della sanità da parte del Governo, oppose un ricorso. La situazione è estremamente delicata e noi di questo siamo assolutamente consapevoli: proprio l'eredità pesante del Governo di centrosinistra ha comportato le scelte che evidentemente Pag. 2noi non condividiamo completamente da parte del commissario Caldoro, presidente della regione Campania.
Infatti, pur di fronte ad una situazione molto pesante del deficit sanitario, tenendo conto del contesto sociale in cui bisogna agire da parte del commissario e da parte del Governo che ne valuta le decisioni, occorreva ed occorre, secondo la nostra valutazione, un'azione che faccia riferimento a quello che è il contesto nel quale ci troviamo nella regione Campania, ovvero un contesto pesante dal punto di vista economico, con altissimi livelli di disoccupazione, con un livello di reddito estremamente basso e, per giunta, con un'assistenza sanitaria che non ha livelli soddisfacenti.
Per tali ragioni numerosi cittadini della regione Campania sono costretti ai cosiddetti viaggi della speranza: devono recarsi in altre regioni d'Italia, a volte anche all'estero, per farsi curare; in molti casi per le prestazioni specialistiche, quando i distretti funzionano - e non sono molti i distretti sanitari che funzionano -, o sono costretti a lunghe attese prima di poter effettuare quella prestazione oppure sono costretti a fare ricorso a specialisti privati.
Invitiamo quindi il Governo a valutare, insieme al presidente Caldoro, la possibilità di effettuare il rientro e di contenere i costi attraverso un piano che sia sopportabile per i cittadini. Signor sottosegretario, facciamo riferimento - in modo particolare - al provvedimento che il commissario ha assunto nel mese di settembre relativo ai ticket sanitari. Le prestazioni al pronto soccorso in caso di codice bianco comportano un ticket di 50 euro, e quindi un raddoppio (le riporterò poi dei casi specifici per metterla al corrente di quanto sia paradossale e dannoso per i cittadini un provvedimento di questo tipo). Per le prestazioni specialistiche - erogate come vengono erogate - è previsto un ticket di circa 29 euro mentre per le ricette farmaceutiche uno di 2 euro a ricetta più 1,5 euro a farmaco. Le fasce di esenzione sono estremamente limitate e la popolazione anziana è particolarmente penalizzata anche in virtù della necessità del rinnovo delle attestazioni di esenzione dal ticket, per cui si stanno registrando code chilometriche agli sportelli dei distretti sanitari con anziani che sono costretti a rimanere in fila per ore ed ore e a ritornare più volte perché non riescono ad accedere ai servizi negli orari previsti.
Per le prestazioni di pronto soccorso si registra il paradosso per cui si pretende che il cittadino faccia un'autodiagnosi stabilendo cioè se si tratta di un codice bianco o di altro codice, ma quando arriva al pronto soccorso in virtù di una determinata sintomatologia e dai medici e dagli operatori sanitari viene correttamente stabilito che si tratta di codice bianco il cittadino paga 50 euro, in molti casi senza ottenere nessuna prestazione né di natura diagnostica o strumentale né di natura farmacologica o terapeutica, ma semplicemente una visita. In un contesto di questo tipo, appare evidente la decisione di far gravare solo sulle spalle dei cittadini il cosiddetto rientro dal deficit sanitario e l'incapacità di elevare contestualmente gli standard qualitativi.
Lei sicuramente è più al corrente di me delle statistiche disastrose che prevedono una fuga quotidiana di pazienti dalla regione Campania e ciò vuol dire che i cittadini della Campania non si sentono tranquilli quando fanno ricorso alle strutture sanitarie della loro regione.
Il senso della nostra interpellanza urgente, signor sottosegretario, è quindi quello di agire in modo tale che, quando si discuterà dei criteri con i quali rientrare dal deficit sanitario, si valutino «ricette» - mi consenta di utilizzare questo termine - meno dannose, che probabilmente fanno stare tranquilli coloro che si occupano di conti e cifre ma che fanno star male i cittadini.
Non possiamo uscircene solo con la valutazione che occorre voltare pagina. Sappiamo anche che i costi di determinate prestazioni sono più elevati nella regione Campania rispetto ad altre regioni: queste sono cose note, arcinote, che mi auguro lei questa mattina non mi voglia ricordare. Noi poniamo un problema: riteniamo che sia assolutamente ingiusto, iniquo, insopportabile Pag. 3che una pur necessaria, una pur doverosa politica di rientro dal deficit sanitario venga scaricata su una popolazione già provata, ed in modo particolare sulle fasce più deboli di tale popolazione, perché è evidente che chi non ha un reddito sufficiente non si potrà curare, se non saranno introdotti elementi correttivi.
Noi, in maniera un po' provocatoria, abbiamo suggerito al Governo una strada, che chiaramente non chiediamo di seguire, che è quella di utilizzare le risorse del FAS per ripianare il debito, perché il FAS deve essere utilizzato per gli investimenti. Però - e questo, più che a lei, andrebbe indirizzato al Ministro Tremonti - se le risorse del FAS devono essere utilizzate per altre finalità, e non per le finalità per le quali dovrebbero essere impegnate, allora tanto varrebbe impegnarle (e mi auguro che non si debba fare ricorso a ciò) per ripianare, sia pure parzialmente, il deficit sanitario della regione Campania, per evitare che i cittadini possano soffrire.
Signor sottosegretario, sono in parte in difficoltà ed in imbarazzo a doverle sottolineare queste cose, perché, lo capisco, si potrebbe fare riferimento alle solite categorie: hanno determinato il deficit, adesso non lo vogliono pagare. Noi, almeno il mio gruppo, Misto-Noi Sud Libertà e Autonomia - Partito Liberale Italiano, che fa parte, come lei sa, della maggioranza, non abbiamo questo tipo di impostazione; però rappresentiamo a lei ed al Governo tale situazione di particolare difficoltà, che ci spinge a suonare un campanello d'allarme, perché il costo medio - così è stato scritto, non so se queste statistiche siano verificabili - per ogni famiglia in virtù di questo provvedimento potrebbe essere di circa 500 euro all'anno, evidentemente più per alcune, meno per altre. E siccome i ticket li devono pagare anche gli operai in cassa integrazione, li devono pagare anche donne disoccupate che sono mogli di un manovale che lavora nell'edilizia, li devono pagare i disoccupati, allora è evidente che il Governo deve, secondo noi, signor sottosegretario, compiere un intervento nelle sedi competenti, opportune, dove si discuterà di tale materia, per tentare di correggere un po' il tiro.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la salute, Francesca Martini, ha facoltà di rispondere.

FRANCESCA MARTINI, Sottosegretario di Stato per la salute. Signor Presidente, in merito alla delicata questione delineata nell'atto di sindacato ispettivo in esame inerente le condizioni di erogazione dei servizi sanitari nella regione Campania, la regione Campania stessa, coinvolta nei piani di rientro come da specifica norma, ha inteso precisare che il conseguimento degli obiettivi della razionalizzazione e del contenimento dei costi dell'assistenza sanitaria regionale comporta necessariamente l'adozione di misure incisive di controllo della relativa spesa. Basti pensare che l'introito delle compartecipazioni veniva finora corrisposto da una limitatissima percentuale di pazienti rispetto alle altre aree del Paese, mentre i casi in cui non era pagato alcun ticket costituivano circa il 70 per cento delle prestazioni farmaceutiche e quasi il 90 per cento delle prestazioni di specialistica e di diagnostica, cosa quanto meno strana, e cito pertanto quanto affermato dalla regione Campania: si è reso ineludibile intervenire attraverso una misura straordinaria consistente nell'introduzione di una quota fissa sulle ricette del Servizio sanitario nazionale per le prestazioni di assistenza specialistica, improntata ai principi della generalità, al fine di ricomprendere, almeno tendenzialmente, tutti gli utenti, tutte le prestazioni sanitarie, tutela delle fasce deboli, temporaneità delle misure. Le misure straordinarie introdotte con i decreti del Commissario ad acta nn. 51, 52 e 53 del 27 settembre 2010, recanti l'introduzione di differenti misure di compartecipazione alla spesa per assistenza farmaceutica, specialistica e per l'accesso al pronto soccorso non seguito da ricovero - precisa la Regione - non incidono sul sistema di esenzioni previsto e codificato dalla normativa vigente, che non viene messo in Pag. 4discussione, ma introducono compartecipazioni dell'assistito, in veste di quota fissa sulla ricetta, tra l'altro opportunamente graduate in relazione alle diverse categorie di assistiti esenti. Caro collega, le ricordo che da anni la compartecipazione attraverso il ticket è presente in altre regioni. Peraltro, come opportunamente ricordato dal Ministero dell'economia e delle finanze, le misure di riduzione della spesa citate nell'interpellanza in esame sono ancora da discutere presso i competenti organismi tecnici di verifica degli adempimenti. A tal riguardo, comunico che la prossima riunione congiunta del tavolo tecnico per la verifica degli adempimenti regionali con il comitato permanente per la verifica dei livelli essenziali di assistenza, per il monitoraggio dell'attuazione del piano di rientro della regione Campania, è calendarizzata proprio per martedì 26 ottobre 2010. In tale occasione sarà verificato se, relativamente a quanto osservato dal tavolo tecnico nella precedente riunione del 21 luglio 2010, per la parte concernente la copertura del disavanzo di gestione 2009 - la gestione per l'anno 2009 evidenzia un disavanzo non coperto di più di 322 milioni di euro dopo il conferimento delle entrate fiscali derivanti dall'ulteriore massimizzazione delle aliquote per 173,6 milioni di euro - nonché in relazione alla manovra contenuta nel programma operativo solo parzialmente attuata, la struttura commissariale abbia prodotto la documentazione integrativa necessaria, la quale possa attestare, inoltre, il conseguimento del relativo risparmio, al fine di sbloccare le quote di finanziamento aggiuntivo non ancora erogate alla regione Campania. Per quanto riguarda la possibilità di ricorrere alle risorse del Fondo per le aree sottoutilizzate (FAS) di cui all'articolo 2, comma 90, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, legge finanziaria per l'anno 2010, preciso che nella già citata riunione del 21 luglio 2010, il tavolo ed il comitato - cito testualmente - preso atto del ritardo accumulato, hanno posto in rilievo la necessità che da parte della gestione commissariale si operi un eccezionale sforzo di recupero che, nell'ambito dell'assestamento del programma operativo 2010, comprenda l'approvazione di tutti i provvedimenti necessari a completare la manovra richiesta, prevedendo una verifica straordinaria, anche in funzione della verifica delle condizioni per l'accesso ai fondi FAS di cui all'articolo 2, comma 90, della legge n. 191 del 2009. La verifica quindi sarà effettuata sulla base della documentazione trasmessa entro il 30 settembre 2010. Segnalo, ancora una volta, che detta verifica straordinaria è imminente e avrà luogo nella prossima riunione di martedì 26 ottobre 2010; in tale occasione sarà valutata anche la sussistenza delle condizioni per l'accesso al Fondo FAS, in base alla legislazione vigente.

PRESIDENTE. L'onorevole Iannaccone ha facoltà di replicare.

ARTURO IANNACCONE. Signor Presidente, prendo atto della risposta che ha dato il sottosegretario alla nostra interpellanza urgente. Immagino che abbia compreso le difficoltà nelle quali versa la regione Campania. Mi riservo di approfondire i dati che lei ha rappresentato in Aula, però la invito a riflettere che, se il 90 per cento delle prestazioni di specialistica e diagnostica vengono effettuate in un regime di esenzione di ticket, bisognerebbe interrogarsi se questo sia dovuto al fatto che ci sia una forzatura rispetto ai criteri di esenzione dal ticket o, piuttosto, al fatto che alle strutture sanitarie pubbliche fanno ricorso prevalentemente fasce deboli, anziani, coloro che hanno patologie invalidanti.
È evidente, infatti, che un dato come questo dovrebbe preoccupare, non per il fatto che il 90 per cento di coloro che si recano per prestazioni di specialistica ambulatoriale o di diagnostica non pagano il ticket, ma perché vanno solo quelli presso le strutture sanitarie della regione Campania. Come pure il dato del 70 per cento riferito così in astratto potrebbe sembrare un paradosso; calato nella realtà della regione Campania corrisponde esattamente a quella che è la realtà e la Pag. 5fotografia di una società in questo momento ancora più in difficoltà e in crisi rispetto al passato.
Nessun tentativo di immaginare che in Campania non si debba compartecipare alla spesa sanitaria, che non si debbano fare, tra virgolette, sacrifici per consentire di colmare i buchi che altri Governi ed altri amministratori hanno fatto e che, tra l'altro, sono stati puniti dal voto popolare. È evidente, quindi, che le scelte che hanno compiuto negli anni scorsi sono state scelte sbagliate nel campo della sanità, dei rifiuti, dell'utilizzo dei fondi europei. Signor sottosegretario, mi affido alla sensibilità sua e del Governo, non mi sento di dover aggiungere nulla di più. Le abbiamo rappresentato una situazione difficile e, quindi, mi sono fatto tramite, attraverso questa interpellanza urgente, della difficoltà dei cittadini campani. Mi creda, non degli speculatori, di quelli che falsificano o imbrogliano per non pagare il ticket, ma di coloro che sono in difficoltà e per i quali anche pagare 50 euro, in caso di accesso al pronto soccorso per un codice bianco, rappresenta un doloroso prelievo rispetto a finanze familiari già particolarmente provate.
Non si tratta nemmeno, quindi, di richiamarsi a stereotipi particolari, ma il Governo deve tener conto del contesto. Sarebbe bene, se vi sono misure alternative, attraverso i tavoli Governo-regione, il prossimo 26 ottobre, con una valutazione un po' più serena e meno improntata alla necessità di fare tutto e subito, riuscire a correggere provvedimenti che sono stati presi chiaramente in ossequio a proprie responsabilità e, quindi, non per un capriccio o un eccesso di zelo, da parte del commissario di Governo. Non le ho parlato del piano ospedaliero e ci sarebbe tanto da dire anche su quello perché, non solo non si correggono gli sprechi o, comunque, si penalizzano ASL virtuose e delle aree più interne, ma non si fanno interventi in altre zone. Non intervengo su questo, però il Governo faccia fino in fondo la sua parte.
Questo è ciò che noi le chiediamo, ringraziandola per la risposta che ci ha voluto dare a nome del Governo e augurandoci che qualche ulteriore passo possa essere fatto.

(Chiarimenti, anche alla luce della disciplina in materia di conflitto di interessi, in ordine ad investimenti immobiliari del Presidente del Consiglio dei ministri nell'isola di Antigua - n. 2-00861)

PRESIDENTE. L'onorevole Donadi ha facoltà di illustrare l'interpellanza Di Pietro n. 2-00861 concernente chiarimenti, anche alla luce della disciplina in materia di conflitto di interessi, in ordine ad investimenti immobiliari del Presidente del Consiglio dei ministri nell'isola di Antigua (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti), di cui è cofirmatario.

MASSIMO DONADI. Signor Presidente e signor sottosegretario, il punto è questo: in una recente trasmissione giornalistica, Report, andata in onda su Rai Tre lo scorso 17 ottobre, si è realizzata un'inchiesta relativa al caso delle proprietà immobiliari del Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, ad Antigua. La vicenda peraltro è stata anche preceduta da un «goffo» - mi permetterei di dire - tentativo dell'avvocato personale del Presidente del Consiglio, nonché onorevole, Niccolò Ghedini, di tentare di sospendere la messa in onda di questa puntata.
Nell'inchiesta, che poi è stata ripresa e approfondita da tantissimi quotidiani, viene ricostruita la vicenda che vede protagonista il Presidente del Consiglio e riguarda investimenti per l'acquisto di ville da parte del Presidente del Consiglio per complessivi 22 milioni di euro. In questa inchiesta si cercava di far luce sugli investimenti, sugli acquisti, sui rapporti societari e sul perché, soprattutto, si fosse utilizzata per le transazioni finanziarie una banca, la banca Arner, che da anni è oggetto di indagini, provvedimenti e, stando alle ultime informazioni di questi giorni, anche di probabili sanzioni da parte degli istituti di controllo e vigilanza bancari italiani, in quanto ritenuta banca Pag. 6«opaca», sia sotto il profilo del rispetto delle norme antiriciclaggio, sia per la natura non sempre cristallina e trasparente dei suoi clienti e per il fatto che i suoi proprietari restano oggi totalmente sconosciuti.
Sempre nella suddetta trasmissione si rileva come Berlusconi abbia comprato 4 acri di terra da una società di Antigua, la Flat point development, che aveva realizzato una speculazione immobiliare di 160 ettari nell'isola di Antigua e anche di questa società non si conoscono i proprietari effettivi. Tutto quello che è noto, infatti, è un certo numero di prestanomi e fiduciari tutti italiani e quello che è certo è che la proprietà fa capo ad un sistema di scatole cinesi che sfocia a Curaçao, nelle Antille olandesi.
Come è stato ricordato anche dal quotidiano la Repubblica, relativamente ai reali proprietari della società Flat point development dai registri pubblici risulta che detta società sia posseduta dalla Emerald Cove Engineering nv e a monte da un'altra società chiamata Kappomar, due società delle Antille olandesi con sede a Curaçao. La società è stata per lungo tempo una scatola vuota, «dormiente» (non vi era un centesimo e non vi era un investimento), poi improvvisamente si è «accesa» quando, a partire dal 2005, sono arrivate copiose risorse finanziarie dai conti personali di Silvio Berlusconi. Il Premier ha versato qualcosa come 22 milioni di euro. Li ha versati correttamente da filiali italiane di banche italiane alla filiale italiana di banca Arner, con tanto di note descrittive. Successivamente l'istituto elvetico ha trasferito i soldi a Lugano e qui nascono i primi problemi, perché questo sarebbe stato fatto, a dire del programma andato in onda su Rai Tre, senza le dovute precauzioni in tema di normative antiriciclaggio, dal che sono nate richieste di chiarimenti da parte della Banca d'Italia.
Questi soldi sarebbero serviti per acquistare cinque ville, ma è stato rilevato ancora una volta dalla Banca d'Italia che i numeri e le dichiarazioni delle causali non corrispondono e non coincidono con i contratti di acquisto depositati presso banca Arner, così come non coincidono gli spostamenti di denaro.
I legali di Berlusconi dicono di aver spiegato tutto, eppure, di quel tutto, basterebbe il nome di chi si cela dietro la facciata della Flat point development, e forse una maggiore chiarezza e comprensibilità nella proprietà di banca Arner. Infatti credo che sia significativo rilevare che nella sede milanese della banca svizzera Arner, dove sono arrivati i 22 milioni di euro asseritamente utilizzati per l'acquisto di questa proprietà immobiliare, la famiglia Berlusconi ha conti correnti per un totale di 60 milioni di euro.
Già nel novembre 2009 si era affrontata la questione della opacità di banca Arner e illustrate le ragioni e le circostanze per cui la banca, ritenuta vicino a Berlusconi per una serie di motivi che adesso illustrerò, è sotto il mirino degli ispettori e della vigilanza della Banca d'Italia, che vi hanno rintracciato gravi irregolarità a causa delle carenze e delle violazioni costanti in materia di contrasto del riciclaggio. La stessa Banca d'Italia ha sostenuto l'impossibilità di accertare i beneficiari economici di alcune società che hanno il conto alla Arner Italia e tra queste - guarda caso - proprio la Flat point development, che sarebbe la società che ha venduto questi terreni.
Tra i clienti della banca Arner, e anche questo crediamo che sia un fatto tutt'altro che privo di significato, vi sono - guarda caso - tutta una serie di persone, società, soggetti e istituzioni che appartengono alla galassia economica, finanziaria, politica o giudiziaria (visto che il nostro Presidente del Consiglio ha avuto una lunga carriera anche giudiziaria) del Presidente del Consiglio. Alla banca Arner, infatti, vi sono conti intestati a diverse persone vicine al Premier, alcune delle quali condannate, tra l'altro, in via definitiva per i casi Imi-Sir e «lodo Mondadori», e altre per corruzione di funzionari della guardia di finanza, sempre in relazione a questioni che riguardavano Mediaset.
Alla banca Arner vengono gestite le società anonime Centocinquantacinque e Pag. 7Karsira Holding che, a cascata, controllano due società amministrate da persone coinvolte nella vicenda del «lodo Mondadori». Infine, ancora, la banca Arner ha avuto tra i suoi fondatori una persona che, nella sentenza che vedeva coinvolti Silvio Berlusconi e David Mills, è stata definita l'amministratore di società riconducibili «direttamente a Silvio Berlusconi». Alla società Arner vengono gestite delle società i cui titolari sono stati implicati a vario titolo in vicende giudiziarie che vedono coinvolto anche il Presidente del Consiglio. Peraltro, alla medesima banca Arner vengono gestiti i soldi della suddetta immobiliare Flat point development.
Va altresì sottolineato come, sempre nell'inchiesta di Report, sia emerso che cinque anni fa lo stesso Presidente del Consiglio si sia, innanzitutto, impegnato come Presidente del Consiglio italiano, riducendo di circa il 95 per cento il debito dell'isola caraibica di Antigua nei confronti dell'Italia, cancellandolo proprio, e si sia anche prodigato in sede internazionale perché il G20 concedesse all'isola di Antigua un congelamento e un differimento del pagamento del suo debito. Strano, perché Antigua non è un Paese povero; è un paradiso fiscale, uno di quelli inseriti dagli organismi internazionali nella black list dei Paesi da combattere per contrastare i fenomeni di evasione fiscale globalizzata.
In relazione a tutte queste vicende, si pongono una serie di interrogativi, ai quali, evidentemente, il sottosegretario è poco interessato visto che sta al telefono mentre io illustro la vicenda.
Viene coinvolta, innanzitutto, la questione relativa al conflitto di interessi, perché l'attuale normativa vigente in Italia sul conflitto di interessi impone, tra le altre cose, al Presidente del Consiglio di dare tempestiva comunicazione alle Camere di tutta una serie di fatti, impegni, adempimenti, tra i quali le sue partecipazioni societarie; ma vi è un più generale dovere di trasparenza che grava su ogni uomo pubblico e che dovrebbe portare a giustificare se vi siano delle relazioni per cui, proprio avendo una serie di relazioni e di investimenti economici così significativi, vi possa essere una qualche connessione o giustificazione al motivo per cui Silvio Berlusconi, da Presidente del Consiglio, si è attivato addirittura condonando il 95 per cento dei crediti che lo Stato italiano vantava nei confronti di Antigua.
Tutto questo diventa particolarmente significativo nel momento in cui tutti i Paesi occidentali, ma anche l'Italia, almeno a parole, dichiarano di voler contrastare, anzi dichiarano una vera e propria guerra ai paradisi fiscali, questo almeno è quanto va dichiarando in questi mesi il Ministro Tremonti.
Noi crediamo che tutte queste vicende non possano considerarsi una vicenda privata del Presidente del Consiglio, in quanto pongono rilevanti questioni che attengono sia alla credibilità della figura pubblica del Premier, sia alla coerenza tra scelte di politica generale e scelte individuali dei rappresentanti di Governo, sia perché attengono ad aspetti che potrebbero riguardare il conflitto di interessi non solo di natura economica, ma anche di natura politica in relazione alle decisioni assunte dal Governo in carica.
Per tutte queste ragioni, noi chiediamo al Governo se, anche alla luce dei vincoli posti dalla disciplina in materia di conflitto di interessi, non ritenga indispensabile chiarire quanto esposto fino a qui relativamente agli investimenti immobiliari del Presidente del Consiglio nell'isola di Antigua; se sia a conoscenza del reale proprietario da cui il Presidente del Consiglio ha regolarmente, di questo va dato atto, acquistato i terreni; se, e in quale misura, la proprietà effettiva della banca Arner sia riconducibile al Presidente del Consiglio; se sia a conoscenza del fatto che da più di un anno la banca Arner è oggetto di accertamenti da parte della Banca d'Italia per gravi irregolarità; se sia proprietario della immobiliare Flat point development limited di Antigua; quali siano le ragioni per le quali si scelse, isolatamente ed individualmente, di condonare il 95 per cento del credito vantato dallo Stato italiano nei confronti del paradiso fiscale di Antigua.

Pag. 8

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Carlo Giovanardi, ha facoltà di rispondere.

CARLO GIOVANARDI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Signor Presidente, quando un intero gruppo parlamentare presenta un'interpellanza urgente e quindi ritenendo che la materia dell'interpellanza sia di grande rilievo, mi sembra doveroso per il Governo venire a dare delle spiegazioni puntuali a un coacervo di situazioni che sono state messe in luce.
Cerchiamo con ordine di dare una risposta a tutto quello che è stato chiesto, cominciando dall'inizio e dalla prima bugia che è circolata in Italia: è sufficiente andare a vedere il comunicato dell'avvocato onorevole Ghedini dell'altro giorno, per vedere che non contiene nessuna richiesta di sospensione del programma. L'avvocato sosteneva semplicemente che, essendo apparsi sul Corriere della sera e su la Repubblica degli articoli in cui erano contenute notizie false e anche probabilmente diffamatorie, tratte dal programma Report che sarebbe dovuto andare in onda la sera stessa, sarebbe stato grave - e anch'io ritengo sia grave che in un Paese vengano dette quelle cose che poi dirò - se fosse andata in onda una trasmissione contenente tali notizie senza nessun contraddittorio. Si tratta del Presidente del Consiglio che viene, secondo me, anche calunniato rispetto ad una serie di cose, ed è chiaro che in una televisione pubblica di Stato si dovrebbe anche sentire la voce di chi può dare delle spiegazioni. La prima bugia quindi è che non c'è stata nessuna richiesta di sospensione né nessuna lettera alla RAI perché avvenisse questo, ma soltanto un comunicato in cui si chiedeva un contraddittorio, la possibilità cioè di poter spiegare i fatti rispetto a questa vicenda di Antigua.
Apro e chiudo una parentesi: ho visto il programma che descrive Antigua come un Paese poverissimo, con le favelas, la gente che sta male, quindi vorrei capire perché, ma lo dirò dopo, questo è un Paese ricchissimo o un Paese nel quale convivono come in tutti i Paesi del terzo mondo situazioni di grande ricchezza e situazioni di grande povertà.
Per quanto riguarda il dossier, lo chiamo così, inchiesta o dossier, della Gabanelli sinceramente forse non c'era bisogno di mandare un inviato ad Antigua, perché tutta la documentazione relativa era già stata offerta alla stampa sei mesi fa quando erano apparsi degli articoli relativamente alla villa di Antigua. Del resto è sufficiente andare alla Camera dei deputati, vedere la denuncia dei redditi presentata dal Capo del Governo e, facendo poche decine di metri dentro il palazzo, uno avrebbe potuto scoprire che la proprietà dell'immobile non solo era un fatto notorio, ma era stata puntualmente dichiarata nella denuncia dei redditi e alla Camera di appartenenza, essendo questa villa intestata non a una società ma a Silvio Berlusconi come persona fisica, quindi proprietà sua personale.
Io ho guardato la trasmissione che si pone la domanda su chi ha venduto per 20 milioni, 22 milioni di euro questa villa. Se è sconosciuto, a chi sono andati questi soldi? Questa domanda è stata ripetuta più volte nella trasmissione. Poi si riportano fonti autorevoli in cui c'è chi dice abbia costruito due ville, c'è chi dice abbia costruito sette ville; fonte: il barcaiolo.
L'operatore del TG3 si rivolge al barcaiolo che lo accompagna, il quale dice: mah, qui dicono che abbia costruito due, che abbia costruito sette ville. Poi ci sono, forse, delle fonti un po' più serie, perché il venditore era stato, nel 2005, la società Flat point, posseduta dalla Kappomar, che, tuttavia, è di proprietà di due noti imprenditori: l'avvocato, ex magistrato, Carlo Postizzi, svizzero, e l'irlandese Michael Barry.
Dice Postizzi (cito la fonte): «io non sono il fiduciario di nessuno. Io sono l'azionista di riferimento, il più importante, del gruppo che ha gestito questa operazione immobiliare. La holding si chiama Kappomar e controlla a sua volta la Emerald cove e la Flat point. Fra i soci Pag. 9di minoranza posso citare l'irlandese Michael Barry. Non c'è nessun mistero. Proprio niente».
Anzi non c'era neanche prima. L'avvocato prosegue: «Quando Mondani» - il giornalista del TG3 - «mi ha contattato, ero occupato. Così l'ho liquidato due volte con poche battute, ma poi l'ho richiamato e gli ho spiegato che io non ero e non sono il fiduciario, il prestanome, la testa di legno, quel che lei vuole, di nessuno. Solo che in tv sono state trasmesse le prime due telefonate, assolutamente inutili, non la terza, quella decisiva che chiariva tutto. Mi dispiace, avrei voluto spiegare ma non ci sono riuscito. Queste notizie imprecise danneggiano il business che stiamo realizzando ad Antigua. Domenica mattina, dopo aver scoperto che quella sera il servizio di Report sarebbe andato in onda, e avrebbe spacciato notizie false, ho provato via sms e via e-mail a mettermi in contatto con la redazione del programma ma nessuno mi ha richiamato».
Questa non è la citazione del barcaiolo, ma del proprietario, di chi ha venduto ed ha anche incassato i 20 milioni di euro.
Nel 2000 la Flat point aveva acquisito l'intero comprensorio di centosessanta ettari da una nota impresa di costruzioni, la Maltauro - abbastanza nota in Italia, stiamo parlando di una azienda notissima - la quale, a sua volta, aveva acquistato la proprietà agli inizi degli anni Novanta da un imprenditore di Antigua.
Ma, dice Report: là vicino c'è anche la villa che hanno costruito al Primo Ministro. E la fonte è sempre il barcaiolo, il quale dice: vede quella villa là? Chi l'ha costruita al Primo Ministro? Sentendo dire così, si lascia intendere Berlusconi. Non c'entra assolutamente niente, però, per fare un po' di colore, si dice che in quella stessa zona vi è anche la villa del Primo Ministro.
Ebbene, questi versamenti effettuati per il pagamento del terreno e dei lavori di costruzione della villa, sono esattamente corrispondenti ai lavori eseguiti, assistiti da bolle di accompagnamento, fatture e perizie giurate sugli stati di avanzamento. Tali versamenti sono stati effettuati da conti personali di Silvio Berlusconi presso Banca Intesa e Monte dei Paschi di Siena, ad un conto della Flat point presso la banca Arner italiana. Tali versamenti alla banca Arner sono cessati nel 2009, quando vi è stato il commissariamento da parte della Banca d'Italia. I successivi versamenti, eseguiti nel maggio 2010, sono stati effettuati ad un conto della Flat point presso la Banca popolare di Sondrio.
Il Presidente Berlusconi e la sua famiglia non hanno mai avuto conti correnti presso la Banca Arner, bensì alcuni depositi a titolo di gestione fondi in modo assolutamente trasparente presso la filiale italiana. Su tali fondi non vi è stata alcuna movimentazione, né utilizzo, ma soltanto una normale attività di gestione. La Banca d'Italia ha ritenuto di commissariare la Banca Arner per vicende che non hanno assolutamente nulla a che fare con il Presidente Berlusconi, né con la sua famiglia, né con il suo gruppo. Ad oggi, risulta che la Banca Arner non è più commissariata.
Come risulta dalle indagini svolte, sia dall'autorità giudiziaria di Milano, sia dalla Banca d'Italia, non vi è alcun collegamento - né diretto, né indiretto - in ordine alla proprietà della Banca Arner, per quanto riguarda sia il Presidente Berlusconi, sia la sua famiglia e il suo gruppo.
Ma qui entriamo nel mistero più profondo. Dice, infatti, la Gabanelli: abbiamo qui la carta d'identità di Berlusconi. E in più, aggiunge: perché Silvio Berlusconi tiene la residenza in viale San Gimignano, a Milano, dove abitava la madre?
Perché deteneva la residenza lì? Me lo sono domandato anch'io. Forse per due ragioni: in primo luogo, perché aveva un rapporto di affetto con la madre e, in secondo luogo, perché quella è una delle prime case costruite da lui e ci abitava tutta la famiglia. Quindi, ha continuato a tenere la residenza dove abitava sua madre. Qualcuno mi deve spiegare, però, in una trasmissione concernente un dossier che parla di Antigua e di queste cose, cosa c'entra il fatto che Silvio Berlusconi tenga la residenza a Milano dove abitava con la madre. Pag. 10
Dalle indagini e dalle notizie di stampa non è emersa alcuna ragione per la quale il Presidente del Consiglio non avrebbe dovuto mantenere i fondi in gestione presso la banca che aveva scelto.
Infatti, non vi è nessuna cointeressenza, né diretta né indiretta, fra il Presidente e questa banca.
Per quanto attiene alla riduzione del debito dell'isola ho fatto una cosa semplicissima: ho telefonato al Ministero degli affari esteri e mi sono fatto dare l'elenco dei dieci, quindici, venti o trenta Paesi del mondo con cui l'Italia ha fatto la stessa cosa che ha fatto con Antigua. In sostanza, abbiamo abbonato il debito a decine di nazioni estere, quelle che hanno i redditi più bassi del mondo. Basta andare a vedere. Fa impressione dire che l'Italia si è data da fare per abbonare il debito estero di quello Stato. Se uno, invece, va a controllare può verificare che l'Italia, che a livello mondiale è leader nell'aiutare i Paesi del terzo mondo, ha fatto giustamente la stessa operazione con altre decine di Stati che, apparentemente, possono sembrare anche più ricchi di quello. Così tutto rientra nella assoluta normalità. Pertanto, per quanto attiene alla riduzione del debito estero dell'isola, questa operazione rientra nell'ambito delle normali relazioni internazionali che l'Italia ha con tantissimi Paesi del mondo. È un'attività internazionale che l'Italia compie per rimodulare o cancellare il debito dei Paesi particolarmente indebitati.
Poi c'è l'ultima ciliegina. Anche questa ci vuole. Questa è bella, perché il nero diventa bianco e il bianco diventa nero. Infatti, per quanto rilevato Antigua non è più nella black list ma oggi è, a pieno titolo, nella white list. Non è nella lista nera. Oggi è nella lista bianca. Ci può essere qualcuno che dice che si tratta di un Paese che è nella lista nera. Oggi è nella lista bianca. Quindi, fra il bianco e il nero penso che vi sia un po' di differenza. Tuttavia, è chiaro che alla luce di tutte queste cose il vecchio detto «calunnia, calunnia, che alla fine qualcosa rimane» aleggia nell'aria.
A questo punto, vorrei sapere che cosa è l'opacità. Infatti, mi chiedo come si possano fare inchieste, appunto, interrogando il barcaiolo, che diventa l'oracolo di quello che succede in quell'isola, e dimenticare che i documenti sono depositati qui da noi e che bastava andarli a consultare per rispondere a tante delle domande che oggi mi sono state poste. Bastava effettuare una verifica, qui da noi o ai registri immobiliari, e già avremmo avuto la risposta.
Quando si parla di televisione spazzatura e di tutto il resto credo che tutti noi dobbiamo fare una riflessione. In quella trasmissione sono state fatte insinuazioni, insinuazioni, insinuazioni e insinuazioni. Bastava avere la pazienza di verificare quello è già agli atti, di arrivare in due giorni al proprietario non prendendo uno di sorpresa e dicendo «pronto, ma io sto partendo, metti giù il telefono» e poi diamo fiducia alla sua testimonianza. Poi quella persona si fa viva e spiega tutto, ma questo non va in onda. Non mi sembra corretto, con tutto il rispetto per quella trasmissione e per le tante cose belle che può avere fatto in passato. Non mi sembra che questa sia una pagina gloriosa del giornalismo italiano e che sia il modo per dare ai cittadini italiani una corretta informazione mettendo dentro quel Paese, il suo Presidente della Repubblica, le ville costruite, la residenza di Milano, le scatole cinesi, chiedendo chi sarà mai il proprietario e dove sono finiti i 22 milioni di euro. Con un po' di pazienza, in un giorno, a tutte queste domande sarebbe stata data una risposta, a meno che non si sia voluto sollevare un gran polverone strumentale, visto che si tratta di una trasmissione televisiva seguita da milioni di persone. Invece, una risposta data in Parlamento ha qualche difficoltà in più. Infatti, non c'è il mezzo televisivo, che trasmette nell'ora di punta e in prima serata, per permettere all'opinione pubblica di conoscere tali notizie.

PRESIDENTE. L'onorevole Donadi ha facoltà di replicare.

Pag. 11

MASSIMO DONADI. Signor Presidente, non sono affatto soddisfatto perché la risposta del sottosegretario, in realtà, non tocca nemmeno uno dei punti veramente significativi della vicenda. Svolgerò le mie argomentazioni seguendo l'ordine del sottosegretario. Non è vero, innanzitutto, che l'onorevole Ghedini, in qualità di avvocato del Premier, non abbia chiesto la sospensione perché Report non è Porta a Porta, Ballarò o Anno Zero, che si basano sul dibattito tra più soggetti e dove deve esserci il contraddittorio. Report fa dei servizi, dei dossier e delle indagini televisive che, dunque, proprio per la loro strutturazione non prevedono la presenza in studio di soggetti e di parti contrapposte per dibattere. Pertanto, era evidente che chiedere il contraddittorio significava impedire la messa in onda della trasmissione.
Per quanto riguarda il resto, signor sottosegretario, come ho già detto anche prima, nessuno mette in discussione che il Presidente del Consiglio abbia utilizzato soldi suoi, legalmente e trasparentemente detenuti, per acquistare delle ville ad Antigua.
Questo è fuori discussione, nessuno lo contesta e nessuno da questo vuole trarre chissà quale conclusione. Il Presidente del Consiglio è persona molto abbiente ed ha diritto di comprarsi le case dove vuole, quando vuole e con chi vuole.
Qui i punti salienti riguardavano altre due questioni che dalla sua risposta non hanno avuto nessuna indicazione, né soluzione. La prima è che ci sembra vi sia un fatto grave e strano. Un Presidente del Consiglio - lo dobbiamo ribadire e su questo ci dobbiamo capire, perché altrimenti faremo sempre a quelli che si parlano senza capirsi - in un Paese normale deve essere il primo a seguire regole di etica, di trasparenza e di condotta immacolata. Come si dice, la moglie di Cesare deve essere sempre al di sopra di ogni sospetto. Ecco, allora noi riteniamo che qui ci siano tutta una serie di comportamenti al di sotto di ogni sospetto.
In primo luogo, l'acquisto di un cespite immobiliare così importante da parte di una società off-shore situata in paradisi fiscali, controllata da altre società situate in altri paradisi fiscali, non ci sembra un comportamento trasparente e corretto da parte di un Presidente del Consiglio. Non solo: abbiamo avanzato una richiesta, in base a un legittimo sospetto, che dietro questa Flat development ci potesse essere la stessa proprietà occulta del Presidente del Consiglio e mi dispiace, ma la risposta che lei riporta, data dall'avvocato Postizzi, non rappresenta per noi alcun chiarimento.
Infatti, non ci risulta nel modo più assoluto che questo avvocato sia il grande imprenditore del quale lei parla e che abbia disponibilità finanziarie per procedere addirittura ad una speculazione immobiliare su più di 200 ettari di terreno con realizzazione di immobili di questo tipo. Per cui, per quanto ci riguarda, il problema resta a tutt'oggi aperto e non vi è alcun chiarimento in merito alla reale proprietà di questa società che ha venduto gli immobili.
Ma la cosa più significativa e per noi più grave - anche qui, a seguito della nostra esplicita interrogazione, non c'è stata alcuna puntuale risposta - è che vi sono una serie di elementi indiziari che fanno sospettare come la stessa Banca Arner possa essere in qualche modo ricollegata in termini di proprietà alla persona del Presidente del Consiglio.
Lei ci doveva spiegare, e non ci ha spiegato, perché un Presidente del Consiglio di una grande democrazia occidentale deve tenere soldi suoi per 60 milioni di euro nella filiale italiana di una banca di Antigua.
Per quale ragione tutte le persone, o gran parte delle persone, vicine alla galassia economica e finanziaria del Presidente del Consiglio hanno soldi nella filiale italiana di una banca di Antigua? Perché socio fondatore di questa banca di Antigua e unico nome conosciuto è un signore che è già stato accertato aver fatto in passato il prestanome per società riferibili a Silvio Berlusconi?
Ma perché tutto questo viene fatto e 60 milioni di euro depositati in una banca che da anni è oggetto di controlli da parte Pag. 12della Banca d'Italia e che è stata prima commissariata e che - è notizia di oggi sui giornali - è oggetto di ulteriori indagini da parte delle autorità finanziarie italiane?
Ma è possibile che il Presidente del Consiglio non avverta l'esigenza di chiarezza e di trasparenza e di andare a mettere i suoi legittimi quattrini in una banca meno compromessa di questa, in una banca magari (non voglio esagerare) con sede italiana, francese e tedesca? Ma proprio in una banca di Antigua li deve andare a mettere?
Allora poi i dubbi vengono, anche perché, vede, nonostante tutti i chiarimenti che lei ha dato, Antigua è, e resta, un paradiso fiscale, e il fatto che sia uscito dalla black list non significa assolutamente niente rispetto al fatto che sia, e resti, un paradiso fiscale.
Forse lei, per il ruolo che ricopre, dovrebbe sapere che per uscire dalla black list è sufficiente che i paradisi fiscali stipulino un certo numero di trattati bilaterali con Paesi occidentali nei quali si impegnano a rispettare norme di trasparenza nei rapporti reciproci, di informazione e quant'altro.
Ma allora la domanda è: nel momento in cui lo Stato italiano è stato così generoso e ha condonato il 95 per cento dei debiti di questo paradiso fiscale, costava tanto buttarci lì anche un trattatino bilaterale nel quale impegnava Antigua nei rapporti bilaterali con l'Italia a rispettare norme di trasparenza?
Guarda caso questo, nella sua generosità, il Presidente del Consiglio se l'è dimenticato, perché l'Italia è uno dei pochissimi, tra i Paesi europei e occidentali, a non aver fatto uno di questi trattati bilaterali di trasparenza con Antigua.
Mi dispiace, caro sottosegretario, lei non ha risposto a nessuno dei nostri dubbi e a nessuna delle nostre perplessità. Resta piena incertezza sul fatto di chi sia il reale proprietario di questa banca di Antigua, sul fatto che il socio fondatore sia una persona che già è stata prestanome di Silvio Berlusconi, che Silvio Berlusconi, con tutte le banche che ha a disposizione, tenga i suoi quattrini proprio in una banca oggetto di indagine da parte degli istituti finanziari italiani...

CARLO GIOVANARDI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Ne ha in tante banche, per sua fortuna!

MASSIMO DONADI. ...e per il fatto che l'Italia sia uno tra i pochissimi Paesi che con questo Stato canaglia - lasciamocelo dire, perché i paradisi fiscali sono Stati canaglia - non ha stipulato, nemmeno quando gli ha condonato i suoi debiti, un trattato bilaterale per imporre trasparenza. Riteniamo per questo che la mancata risposta data oggi da parte del Governo sia un fatto ulteriormente grave.

(Iniziative di competenza in merito al rapimento e all'omicidio della collaboratrice di giustizia Lea Garofalo e per la revisione della gestione del sistema delle protezioni - n. 2-00858)

PRESIDENTE. L'onorevole Tassone ha facoltà di illustrare l'interpellanza Casini n. 2-00858, concernente iniziative di competenza in merito al rapimento e all'omicidio della collaboratrice di giustizia Lea Garofalo e per la revisione della gestione del sistema delle protezioni (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti), di cui è cofirmatario.

MARIO TASSONE. Signor Presidente, ci spostiamo da Antigua e arriviamo a temi e a problemi di casa nostra. Credo che ciò sia quanto meno opportuno e doveroso non perché gli altri temi e gli altri argomenti non siano importanti, ma certamente con meno efficacia e credo che certi temi abbiano maggiore spazio nell'immaginario comune.
Vorrei dire sommessamente, esponendo l'interpellanza presentata da Casini e dal sottoscritto insieme ai colleghi Occhiuto, Rao e Ria, che noi poniamo in questo momento un tema estremamente delicato ed importante che ritorna in ogni occasione Pag. 13nei dibattiti in Commissione bicamerale antimafia, anche nello stesso Parlamento, nelle Commissioni di merito al Senato e alla Camera: la vecchia questione dei testimoni e dei collaboratori di giustizia. Certo non ci aspettiamo dall'esame dell'argomentazione posta in essere nell'interpellanza termini esaustivi e conclusioni quindi soddisfacenti, ma poniamo la questione partendo da una vicenda che è stata eclatante e che per la sua efferatezza si è posta all'attenzione del Paese e non soltanto del nostro Paese. Ci aspettiamo che quantomeno un certo tema venga ad essere affrontato in termini più razionali e più efficaci.
Voglio dire, signor Presidente, che qui non c'è una posizione nei confronti di un Governo, qui poniamo una questione in termini oggettivi partendo proprio - come ricordavo poc'anzi - dalla vicenda drammatica e tragica della collaboratrice di giustizia Lea Garofalo che - come si sa - è stata uccisa dal convivente, dal quale aveva avuto anche una figlia, che è stato aiutato anche dai suoi parenti e dai suoi fratelli, e poi è stata sciolta nell'acido. Si parla di delitto da lupara bianca.
Vi sono poi una serie di fatti che si riferiscono all'assenza di una protezione che garantisse e desse quindi qualche tutela a Lea Garofalo. Anzi, la protezione era stata concessa, ma poi fu tolta. Non sappiamo perché, vi è stato certamente - mi si dice - un deliberato dell'organismo preposto alla protezione per quanto riguarda i collaboratori di giustizia ed i testimoni di giustizia. La decisione fu determinata sulla base di argomenti, di elementi e di dati che non si sono rivelati veritieri. Quindi, vorremmo capire su quali elementi e su quali dati si dà la protezione, si proroga la protezione e si toglie la protezione.
Infatti, non c'è dubbio che Lea Garofalo fosse a rischio. Veniva da Petilia Policastro, da Pagliarelle, una zona con un tasso di criminalità molto forte, a fronte di una stragrande maggioranza di popolazione sana, e mi riferisco ad alcune vicende accadute come l'uccisione del fratello, con tutta una serie di problemi e di tematiche.
Certamente credo che il sottosegretario aveva degli argomenti da sottoporre all'attenzione non soltanto dell'Aula, ma in particolar modo dell'interpellante. Ma il problema c'è ed è la gestione dei collaboratori e dei testimoni di giustizia. Si tratta di due momenti, di due fattispecie diverse, certamente, se è vero com'è vero che l'uccisione di Lea Garofalo non ha dato un messaggio «incoraggiante», lo dico tra virgolette, per chi vuole testimoniare, collaborare e scardinare le organizzazioni criminali, così come aveva fatto la stessa Lea Garofalo.
Infatti, si toglie - a volte o spesso o sempre - la protezione quando i collaboratori sono ritenuti inaffidabili e non veritieri e, invece, c'era stato un riscontro. Signor sottosegretario, è stato detto che non c'è stato un riscontro, ma purtroppo Lea Garofalo è morta. Tranquillamente le do atto della sua sicurezza, ma lei deve prendere atto che questa signora è morta! Possiamo anche giocare sulle carte: se si tratta di un fatto burocratico, ragioniamo in termini burocratici, ma è morta! Forse non c'erano state indagini sufficienti. Io non dico che la responsabilità sia sua. Se poi lei si assume anche questa responsabilità, allora lo dico.
Signor sottosegretario - mi auguro che lei mi risponda su questo mio ragionamento - ci dica se manca qualcosa nella legislazione che regola i collaboratori di giustizia. Faccio riferimento alle leggi e alle norme e non a lei direttamente come presidente della commissione o al Ministero dell'interno. Se lei mi dice che è tutto a posto, mi deve spiegare, allora, perché questa situazione si è smagliata, determinando un fatto estremamente grave. Altrimenti, non ci spieghiamo nulla, giustifichiamo tutto, dicendo che le carte erano a posto. Ma se le carte erano a posto con i bolli e con i visti, certamente si sono rivelate effimere ed inadeguate rispetto alle vicende che si sono determinate. Pag. 14
Signor Presidente, signor sottosegretario Mantovano, lei ricorderà che il 6 luglio lei venne presso la Commissione bicamerale antimafia per spiegarci le motivazioni sulla base delle quali il 15 giugno 2010 è stata respinta la richiesta di protezione di Spatuzza. Abbiamo discusso e valutato, credo, con molta serenità, come stiamo facendo in questo momento. Lei ha esposto le sue ragioni, molti colleghi hanno parlato delle loro, però è rimasto tutto appeso in aria, compresa la problematica che riguarda i collaboratori di giustizia.
Lei ci deve spiegare se vi sia stato qualcosa che non ha funzionato in questa vicenda. Siamo tutti convinti che qualcosa non abbia funzionato: Lea Garofalo è morta, è stata sciolta nell'acido. Qualcosa non deve aver funzionato! Ma c'è qualcosa che non funziona nella norma: può darsi che in termini burocratici, come ho detto, i documenti siano a posto, ma qualcosa forse bisogna rivederla anche per dare al Governo gli strumenti per adeguare tutto ciò. Noi abbiamo una situazione drammatica in molte aree e non soltanto del Mezzogiorno. Ovviamente abbiamo contezza di quello che succede fuori del Mezzogiorno: questo delitto è stato commesso nel nord del nostro Paese.
Per quanto riguarda l'usura e l'estorsione, come possiamo scardinare oppure invitare a scardinare questi delitti dell'estorsione e dell'usura oppure chiedere (e con quale titolo chiediamo) la collaborazione delle vittime dell'usura e degli estorti, se poi non c'è un clima di protezione, laddove lo Stato, dice qualcuno enfaticamente, è sconfitto?
Non seguo le parole roboanti, ma ritengo che, certamente, il Paese, con l'uccisione di Lea Garofalo, qualche problema se lo ponga. Il ragionamento e la nostra interpellanza nascono proprio da questo, ossia da una sollecitazione: dobbiamo sfruttare anche questi strumenti di sindacato ispettivo per capire se il percorso debba essere rivisto, anche perché esistono vari pareri, che non vengono dati soltanto dal Governo; anche i magistrati ed altri organismi forniscono pareri rispetto all'esigenza di accordare la protezione o meno. In questo caso, sembra che la magistratura avesse richiesto la protezione per Lea Garofalo.
Al di là di questo, ripeto, c'è un dato estremamente sconfortante: il Paese ha parlato di tale questione, ma si dimentica di alcune cose, che passano in seconda battuta rispetto ai problemi, per esempio, delle case, signor Presidente.
Pensiamo, inoltre, che l'esercito inviato a Reggio Calabria - su cui non sono assolutamente d'accordo, lo dico con estrema chiarezza - significhi mettere fumo negli occhi della gente e non penso sia dignitoso per nessun Governo. Sono stati mandati questi ottanta uomini a Reggio Calabria, che non credo siano risolutivi, come a dire: benissimo, vogliamo dare una testimonianza, un segnale di presenza, di impegno, di attività e così via; tuttavia, non ritengo che l'autorità o l'autorevolezza di un Paese possano essere determinate da questi fatti e soprattutto da queste scelte, quando a Reggio Calabria c'è bisogno, piuttosto, di sei magistrati in più, di sei cancellieri in più, e soprattutto di una struttura investigativa, che è quella che manca. Non c'è bisogno soltanto di presidiare le zone vulnerabili, i territori e, soprattutto, gli edifici sensibili, come si suole dire, ma c'è bisogno di creare un organismo e una struttura diversi, attraverso un coordinamento e, lo ripeto, uno strumento di investigazione, che molte volte manca. Questo ritengo sia il dato su cui dovremmo concentrare la nostra attenzione, ma questa è un'altra storia; ritorneremo, in altra occasione, sulla vicenda dell'invio dell'esercito a Reggio Calabria, in quanto sembra, anche questo, un modo per dire: bene, abbiamo fatto, abbiamo mandato l'esercito, che cosa volete di più? Invece ci sono grandi problemi, insormontabili e inestricabili. Attenderei, arrivato a questo punto, signor Presidente, la risposta del sottosegretario Mantovano. Lo dico con estrema chiarezza, senza alcun preconcetto nei confronti del Governo, che oggi è rappresentato dal sottosegretario Mantovano (ma lui comprenderà, vista la sensibilità che lo ha sempre contraddistinto): qui non si tratta di pratiche, Pag. 15ma di vicende che riguardano il dramma di oggi, e se non vi poniamo fine, altri drammi ed altre tragedie si potrebbero verificare anche nel nostro Paese; si tratta, soprattutto, dell'indebolimento degli strumenti di contrasto per debellare ed affievolire il pericolo della criminalità organizzata.
Credo che, proprio in seguito a questo episodio, sia in discussione un'intera vicenda, una storia, su cui, se poniamo serenamente e seriamente attenzione, possiamo, insieme, al di là delle maggioranze e delle minoranze, porre in essere una qualche iniziativa corale, visto e considerato che in Assemblea abbiamo votato tutte le norme che riguardavano la criminalità organizzata, quelle più importanti, all'unanimità.
Rammento l'ultima, quella concernente la creazione di un'Agenzia in ordine ai beni confiscati dall'antimafia, o quella propugnata dal centro studi Lazzati per quanto riguarda il divieto di coloro che sono sorvegliati speciali di fare campagna elettorale, per recidere i fili di collegamento tra affari, politica e criminalità organizzata. Le abbiamo votate all'unanimità, dopo dibattiti molto seri, molto intensi, pieni di grande volontà di operare in una certa direzione. Ritengo che questo sia lo spirito con cui abbiamo presentato l'interpellanza in esame, lo spirito che ci hanno messo certamente il presidente Casini e gli altri deputati che hanno sottoscritto l'interpellanza stessa.

PRESIDENTE. Onorevole Tassone, la invito a concludere.
Ci auguriamo che un eguale spirito e comprensione di questa nostra volontà e modo di agire provenga anche da parte del Governo nella sua risposta. Il sottosegretario di Stato per l'interno, Alfredo Mantovano, ha facoltà di rispondere.

ALFREDO MANTOVANO, Sottosegretario di Stato per l'interno. Signor Presidente, onorevoli interpellanti, il rispetto nei confronti di quest'Aula, che è una delle più elevate istituzioni dello Stato e non un talk show o un tavolino da bar, mi impone di rispondere in modo puntuale a ciò che è oggetto dell'interpellanza e non già a temi diversi, che sono stati evocati nell'illustrazione da parte dell'onorevole Tassone, essendo sempre disponibile a tornare su tali temi per rendere conto di ciò di cui lui ha parlato. Mi riferisco, ad esempio, al programma di protezione nei confronti di Spatuzza - e sarei molto lieto di farlo - o al bilancio della gestione del meccanismo di ristoro del racket e di prevenzione usura o all'utilizzo dell'esercito a Reggio Calabria, chiesto tra gli altri, dal procuratore della Repubblica di Reggio Calabria - evidentemente avrà sbagliato anche lui - o, cosa francamente intollerabile, alla presunta assenza di una struttura investigativa nella stessa Reggio Calabria, il che significa che i recenti arresti sono consistiti in auto-consegne e i recenti sequestri in auto-ablazioni nei confronti dello Stato.
Per rispondere al secondo quesito posto dagli interpellanti, ossia se non si ritenga opportuna una totale revisione della gestione del sistema delle protezioni, credo sia il caso di operare una ricostruzione oggettiva e completa di quanto ha riguardato la signora Lea Garofalo, la cui vicenda è posta a base del quesito appena menzionato. Si tratta di una vicenda terribile, che ha scosso tutti e che non lascia indifferente nessuno, in sé e per ciò che richiama alla memoria, in sé e per l'intersecarsi con rapporti familiari (la ragazza era ancora in casa del padre omicida, quando è stata notificata l'ordinanza di custodia cautelare per l'omicidio della madre), in sé e per gli affetti violati e tragicamente e brutalmente strumentalizzati.
Dico ciò perché vi è una cosa che è veramente da respingere nell'intervento dell'onorevole Tassone, ovvero anche solo il lontano immaginare che la trattazione dei casi di ogni singola persona, inserita nel sistema di protezione, avvenga in forma burocratica. Non è mai un fatto burocratico: vi è un sistema che, in tutta la sua articolazione, costituita non soltanto da appartenenti alle forze di polizia, ma Pag. 16anche da medici, da psicologi e da tante altre figure professionali - e di cui sarebbe una volta interessante riuscire a parlare - si occupa di ciascuna singola persona, nessuna delle quali è considerata un numero. Il principio delle «carte a posto» è assolutamente estraneo alla gestione del sistema di protezione. Non parlo ovviamente soltanto dell'attività della commissione che ho l'onore di presiedere, non è un fatto personale - la commissione, com'è noto, è composta anche da due magistrati e da cinque appartenenti a vario titolo alle forze di polizia - ma parlo del servizio centrale di protezione e delle articolazioni periferiche del sistema sicurezza che con esso collabora.
Come è noto, il programma di protezione per i collaboratori di giustizia prende le mosse obbligatoriamente da una richiesta di ammissione al programma, che viene formulata dalla procura distrettuale competente. A questa richiesta, ordinariamente, non segue il programma definitivo, ma un piano provvisorio - così si chiama - che assicura tutela e assistenza e che è destinato a durare sei mesi, salva prosecuzione (non è un termine perentorio, ma è un termine del quale si deve tener conto, perché fissato dalla legge), in attesa di raccogliere tutti gli elementi che permettono il passaggio al programma definitivo.
La durata ordinaria di ogni programma è di cinque anni - ma anche questo non è un termine tassativo - e il programma può essere prorogato, può essere revocato o può essere modificato, il tutto sempre sentendo costantemente l'autorità o le autorità giudiziarie procedenti che sono chiamate a fornire le informazioni necessarie per comprendere qual è la sorte del collaboratore e quindi della sua permanenza nel programma.
La signora Garofalo è stata ammessa al piano provvisorio di protezione il 31 luglio 2002 unitamente alla figlia Denise Cosco, su proposta della DDA di Catanzaro. Pochi giorni prima, il 13 luglio, Lea Garofalo si era presentata ai carabinieri di Petilla Policastro ed aveva reso dichiarazioni relative a reati commessi in quel territorio da numerosi soggetti tra cui il fratello, Floriano Garofalo, e più in generale su un traffico di stupefacenti nelle province di Reggio Calabria e di Milano.
La Garofalo aveva riferito inoltre di estorsioni in danno di diversi imprenditori della zona e di collegamenti con un altro gruppo mafioso attivo nella zona di Isola di Capo Rizzuto; aggiungeva di essere in grado di riferire su un gran numero di omicidi da inquadrarsi nell'ambito di una faida che vedeva contrapposta la sua famiglia e quella Mirabelli.
Il 7 febbraio 2005 - non sei mesi dopo, ma due anni e mezzo dopo - la DDA di Catanzaro comunicava che, in relazione al procedimento penale in cui erano state utilizzate le dichiarazioni della Garofalo, la procura aveva chiesto l'archiviazione poiché quelle dichiarazioni non avevano trovato riscontri. Il pubblico ministero scriveva di essere in attesa di richiedere la riapertura delle indagini per valorizzare il contributo della Garofalo attraverso nuove investigazioni. La Direzione nazionale antimafia, il 7 febbraio 2006, chiedeva alla Commissione di sospendere ogni decisione mancando gli esiti giudiziari sulla collaborazione prestata dalla Garofalo.
Erano trascorsi quattro anni dall'avvio del piano provvisorio: ripeto, il termine - pur ordinatorio, ma esistente nella legge - è di sei mesi per il passaggio tra il piano provvisorio e il programma definitivo. Con delibera del 16 febbraio 2006 il piano provvisorio nei confronti della Garofalo veniva revocato, come avviene ordinariamente in casi del genere.
Contro questo provvedimento la signora Garofalo proponeva ricorso al TAR del Lazio ed il TAR del Lazio, con ordinanza dell'8 giugno 2006, accoglieva la domanda di sospensione degli effetti della delibera.
Vorrei precisare un punto, la cui considerazione è essenziale per comprendere ciò di cui stiamo parlando: mentre ordinariamente i provvedimenti amministrativi hanno immediato effetto e questo effetto poi può essere sospeso o cancellato dal provvedimento cautelare o di merito del giudice amministrativo, per il sistema di Pag. 17protezione - perlomeno in base alle norme che vigevano all'epoca - operava il meccanismo contrario. Il provvedimento di revoca, in questo caso del programma, non era immediatamente esecutivo e, se impugnato, ancor meno era esecutivo in attesa della decisione del giudice amministrativo. Pertanto vi è stata una assoluta continuità di permanenza nel piano provvisorio di protezione in attesa delle decisioni del giudice amministrativo (poi il Piano straordinario antimafia ha modificato e razionalizzato questa disposizione, ma all'epoca funzionava così).
In seguito la Garofalo ha, per la prima volta, espressamente rinunciato alle misure e la commissione sui programmi di protezione in data 9 ottobre 2006 (con altro presidente ma qui io assumo per intero la responsabilità dell'istituzione, chiunque abbia ricoperto quel ruolo nel corso degli anni) non ha fatto altro che prendere atto di questa rinuncia.
In base a questa rinuncia il TAR del Lazio, il 23 novembre 2006, dichiara improcedibile il ricorso. Lea Garofalo ci ripensa, fa appello al Consiglio di Stato, il Consiglio di Stato, con ordinanza del 16 ottobre 2007, accoglie l'istanza cautelare ulteriormente proposta dalla Garofalo e la Commissione, il 17 dicembre 2007, ripristina il piano provvisorio di protezione.
Prima della fuoriuscita definitiva e volontaria del 2009, quindi, il periodo in cui la Garofalo è stata priva della protezione prevista dal programma è dal 9 ottobre 2006 al 17 dicembre 2007, ma ciò in piena attuazione delle norme vigenti, anche di quelle estremamente di favore nei confronti dei collaboratori di giustizia.
Infine, il Consiglio di Stato accoglie, il 15 luglio 2008, nel merito l'appello della Garofalo; per questo la commissione da me presieduta prende atto della sentenza, riammette la Garofalo al programma di protezione e chiede ovviamente - perché siamo ancora comunque a livello di piano provvisorio - alla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro elementi precisi sui provvedimenti adottati in base al suo contributo processuale, ed un parere aggiornato alla Direzione nazionale antimafia. La Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, più volte sollecitata sia dalla commissione che dalla Direzione nazionale antimafia, non ha mai fornito riscontro.
La Garofalo era tuttavia sempre in programma. Il 9 aprile 2009 il Servizio centrale di protezione trasmette la dichiarazione di rinuncia alle misure di protezione sottoscritta dalla Garofalo, la quale fa rientro nella località di origine.
Il 12 maggio 2009 ci viene comunicato che la stessa Garofalo era rientrata in località protetta il 7 maggio 2009, dopo aver riferito di un'aggressione da parte di uno sconosciuto nel domicilio dove si era autonomamente trasferita. Vorrei dire che tutti questi non sono soltanto passaggi di comunicazione: ogni qual volta un collaboratore di giustizia o un suo familiare pensano di abbandonare la protezione, vi è un lavoro che viene immediatamente attivato dal Servizio centrale di protezione, anche con l'aiuto di psicologi, teso a mettere a conoscenza dei rischi ed evitare tali allontanamenti o fuoriuscite.
Infine, il 12 maggio 2009 la Garofalo, nonostante l'aggressione subita, abbandona nuovamente la località protetta insieme con la figlia e sottoscrive una dichiarazione di rinuncia alle misure.
Dopo parecchi mesi, chiediamo e riceviamo un'ulteriore rinuncia alle misure di protezione ed assistenza, ed il Servizio ci comunica che la Garofalo era rientrata in località di origine nell'abitazione della madre. Abbiamo chiesto più volte alla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro ed alla Direzione nazionale antimafia un parere: non vi è mai stato alcun riscontro. Con delibera del 12 novembre 2009, venivano definitivamente revocate le misure del piano provvisorio, e ciò rappresentava, come già l'aveva rappresentato nel 2006 con altra commissione, un atto dovuto ed assolutamente conseguente alla rinuncia, nonostante i tentativi compiuti per far recedere da tale scelta.
Seguono poi i fatti emersi anche nella cronaca degli ultimi giorni: la sorella della collaboratrice, Marisa Garofalo, il 25 novembre 2009 denuncia la scomparsa di Pag. 18Lea ai carabinieri di Petilia Policastro; ed infine, al termine di complesse indagini, il 18 ottobre 2010 i carabinieri di Milano eseguono un'ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di sei soggetti emessa dal GIP dello stesso tribunale, su richiesta della Direzione distrettuale antimafia nei confronti di indagati ritenuti responsabili a vario titolo di sequestro di persona, omicidio e distruzione di cadavere. L'indagine si era riavviata nel novembre 2009, ed ha consentito di accertare come tra gli indagati vi siano l'ex convivente della donna, Carlo Cosco, padre della figlia, ed i fratelli di quest'ultimo Giuseppe e Vito. Costoro, sulla base di quanto è scritto nell'ordinanza, hanno prima interrogato e poi ucciso la Garofalo, dopo averla prelevata nella zona di Arco di Pace e condotta in un'area rurale del Monzese.
Da quanto accaduto emerge che il Sistema di protezione ha garantito a Lea Garofalo ogni tutela fin dal momento dell'ingresso nel programma (cioè a partire dall'estate del 2002), anche dopo la revoca del programma (salva quella fase in cui era intervenuta la rinuncia, formalizzata anche davanti al TAR), e che la prosecuzione del programma dopo la revoca da parte della commissione è stata determinata dall'impugnativa davanti al giudice amministrativo. Tutto ciò è andato avanti fino al mese di aprile del 2009, quando vi è stata questa volontaria rinuncia al programma e il conseguente rientro nel luogo di origine. Non credo di dover impiegare molte parole per sottolineare come il sistema di protezione riesce solo se vi è rispondenza da parte del soggetto tutelato. Qualsiasi tutela, anche al di fuori dei meccanismi della protezione, è impossibile se chi va protetto si sottrae alle misure di sicurezza che lo riguardano. Se un soggetto - non un collaboratore di giustizia, ma un soggetto che ha titolo per avere una tutela, una scorta - informa gli uomini della sua tutela che uscirà di casa alle dodici e invece ne esce alle sette di mattina, e si allontana senza dir nulla a nessuno, credo che sia veramente complicato imputare le conseguenze eventuali di questo allontanamento a chi è preposto alla tutela. Questo vale poi in modo particolare per i circa mille collaboratori di giustizia e per i loro familiari attualmente inseriti in un programma di protezione, e per tutti coloro che sono stati inseriti, in passato, senza essersene sottratti. Tra di essi non si sono mai verificati casi di individuazione delle persone protette o del loro domicilio con conseguenti azioni in loro danno. Mai significa mai. Ovviamente facendo un'affermazione del genere faccio tutti gli scongiuri, ma mai - lo ripeto - significa mai. Poiché nell'interpellanza si parla di casi altri sarei molto lieto di conoscere l'elenco di questi casi, perché agli atti della commissione e del Servizio centrale di protezione manca qualsiasi riferimento in proposito, pur essendo tenuti in modo molto dettagliato e molto puntuale.
Non solo. In presenza di ipotesi di potenziale disvelamento della rete di copertura il Servizio centrale di protezione è sempre intervenuto con la massima tempestività per trasferire persone in altri luoghi sicuri. Semmai le lamentele ci sono e i problemi conseguenti - che sono anche problemi seri, di carattere familiare: pensiamo alla frequentazione della scuola da parte dei bambini - ci sono quando, per ragioni di sicurezza, vi è il trasferimento da una località protetta, che si immagina disvelata, ad un'altra. Ma si dirà che queste sono giustificazioni burocratiche e formalistiche del rappresentante del Governo, e allora vorrei leggere un breve passaggio - toglierei tempo all'Assemblea se leggessi più pagine, e allora leggo solo un breve passaggio - che conferma tutto ciò che sto cercando di dire, contenuto nell'ordinanza di custodia cautelare emessa dal GIP di Milano nei confronti di Carlo Cosco ed altri. Alle pagine 25 e 26, dice il giudice: « (...) stante il regime di protezione cui era stata sottoposta la Garofalo fin dal 2002, il piano di Cosco Carlo era sostanzialmente impraticabile; ciononostante l'uomo, dopo la sua scarcerazione, tenta invano» - sottolineo «invano» - «di individuare le località protette in cui la donna, di volta in volta, Pag. 19viene custodita insieme alla figlia Denise. È la stessa ragazza infatti a riferire a questo ufficio quanto segue (...)» Stralcio del verbale di sommarie informazioni rese da Cosco Denise il 5 marzo 2010. "Domanda: in quel periodo quindi, essendo sua madre sotto osservazione, suo padre Cosco Carlo non sapeva dove si trovasse? Risposta: sì, lo confermo, posso però dire che, dopo che mio padre e mia madre si sono riavvicinati a seguito dell'uscita di mia madre dal programma di protezione, mia madre aveva rinfacciato a mio padre il fatto che questi aveva speso un sacco di soldi per sapere i luoghi segreti in cui mia madre ed io, di volta in volta, ci spostavamo.
Mia madre, infatti, gli diceva che anche se aveva speso tutti questi soldi per avere informazioni su di noi, lui, comunque, era sempre venuto a saperlo dopo che c'eravamo già spostati». Chiosa: finché era in programma, la protezione è sempre stata piena ed efficace. Riprendo la citazione dall'ordinanza di custodia cautelare: « (...) il momento propizio giunge all'indomani della scelta spontanea» - spontanea! - «della donna di uscire dal programma di protezione, nell'aprile del 2009. Da quella data, Cosco Carlo inizia una progressiva opera di riavvicinamento alla ex convivente motivandola col pretesto di affrontare insieme il futuro della figlia. Ricapitolando brevemente i fatti» - è ancora il giudice che scrive - «dopo quasi dieci anni passati in regime di collaborazione, Lea Garofalo, verso il marzo del 2009, decide - come riferito da Denise "per provare a vivere tutti insieme a Campobasso" - di tornare a convivere con Carlo Cosco, unitamente a Denise e ad alcuni familiari nell'abitazione di Campobasso, per l'occasione presa in affitto proprio da quell'uomo. Verso l'aprile 2009, quindi, dopo un brevissimo periodo di convivenza, la donna pone fine, in modo alquanto deciso, al rapporto, letteralmente cacciando di casa Cosco ed i suoi familiari e continuando a vivere nell'appartamento insieme con la figlia».
Potrei chiudere qui, ma aggiungo che, anche quando non c'è impugnativa al TAR, la revoca delle misure di protezione non fa venir meno ogni misura di protezione. Viene sempre valutato il rischio per l'incolumità, viene sempre dato avviso alle autorità territoriali di sicurezza per avviare tutti i meccanismi di protezione. Ultimo dettaglio che non è un dettaglio, ma è una persona in carne ed ossa, grazie a Dio viva, Denise Cosco. Ovviamente, l'ordinanza di custodia cautelare, se si avessero dubbi sull'autenticità, è a disposizione di chi voglia esaminarla: la segreteria del Servizio centrale di protezione ha interpellato le diverse autorità giudiziarie che a vario titolo si sono occupate di questa vicenda nel corso degli anni perché, come il sistema prevede, l'attivazione di una misura di protezione, che in questo caso sarebbe nuova, deve sempre avvenire su impulso dell'autorità giudiziaria. Inoltre, la segreteria del Servizio centrale di protezione, nella giornata di ieri, ha fatto presente alle varie autorità giudiziarie (DDA di Catanzaro, DDA di Milano e DDA di Campobasso) l'opportunità - starei per dire la necessità - di una misura di protezione nei confronti di questa ragazza. Attendiamo che qualcuna delle autorità giudiziarie interpellate assuma l'iniziativa. Ma l'attesa non è inoperosa; mentre vi è questa valutazione da parte delle procure interessate, infatti, il prefetto di Crotone, d'intesa con le autorità di sicurezza di altri territori, ha fatto in modo di raggiungere la ragazza, che si era allontanata, anche lei volontariamente, dal suo ultimo domicilio e di garantire un'adeguata protezione nei suoi confronti. Tutto questo - ripeto - in assenza di iniziative da parte dell'autorità giudiziaria e in presenza di una difficoltà obiettiva derivante dal nuovo volontario allontanamento questa volta della ragazza. Ovviamente, evito di dare ulteriori dettagli perché non gioverebbero alla sicurezza di Denise Cosco.
Trovo singolari alcuni passaggi dell'interpellanza urgente, che hanno l'effetto, certamente non desiderato, di sminuire il grande lavoro che viene svolto dal Servizio centrale di protezione. Faccio riferimento al passaggio in cui si parla di un programma che non sarebbe stato garantito. Pag. 20È stato garantito, come ho avuto modo di illustrare oltre ogni limite, in attesa di determinazioni giudiziarie che non sempre sono arrivate, dopo la revoca del programma, in presenza di un ricorso al TAR.
Certo sarebbe interessante che venisse spiegato come si può assicurare la protezione in presenza di una decisa e reiterata volontà di non volerne fruire. Lo sforzo di persuasione che anche in queste circostanze viene messo in opera non sempre riesce.
Ribadisco da ultimo, signor Presidente, la piena disponibilità a trattare in termini più ampi e in tutte le sedi (non solo in quest'Aula, ma anche in quella Commissione antimafia che garantisce, attraverso la riservatezza dei lavori, alcuni passaggi più delicati): con piena trasparenza e senza nascondere nulla, sarei ben lieto di parlare di queste vicende e dell'intero sistema di protezione. Credo sia superfluo sottolineare che se si ritiene il sistema non soddisfacente esistono strumenti di iniziativa parlamentare in cui saranno proposte tutte le necessarie modifiche e anzi il Governo attende fiducioso tutti gli importanti spunti che verranno forniti per migliorare in concreto la funzionalità del sistema.

PRESIDENTE. L'onorevole Tassone ha facoltà di replicare.

MARIO TASSONE. Signor Presidente, ho ascoltato con doverosa attenzione l'esposizione del sottosegretario Mantovano, al quale devo ribadire con molta chiarezza che noi abbiamo posto un tema e un argomento, poi tutto il servizio della protezione non è un tema o un problema di carattere personale di nessuno. Qui abbiamo un efferato delitto di una collaboratrice di giustizia. Nessuno ha mai detto nell'interpellanza urgente in esame che qualcuno non ha fatto il proprio dovere. Abbiamo semplicemente posto in essere un interrogativo, se volete, ma non è un interrogativo di poco conto, sul perché non vi sia stata una sufficiente protezione. Poi vado anche all'argomentazione del sottosegretario, riguardante l'iter su cui il presidente di questa commissione lavora, sulla base ovviamente di documentazioni e di carte: lei faceva riferimento alla DNA ed alla DDA di Catanzaro, lamentando alcune insufficienze e mancate risposte; credo che sia stata un'osservazione fatta da parte del sottosegretario, anzi una valutazione, una notizia che ci ha portato il sottosegretario. Noi abbiamo chiesto se, sulla base di questi dati e della sua esperienza, mancasse qualcosa per migliorare tutta una normativa che presiede al servizio di protezione.
Il sottosegretario conclude che vi sono iniziative parlamentari da fare. Ovviamente il Governo non le fa perché ritiene che tutto sia perfetto. Ma perfetto non è stato, signor sottosegretario, mi dispiace. Io avevo posto la mia illustrazione in un certo modo, lei l'ha posta in un altro modo. Perfetto non è stato perché vi è stato questo delitto efferato. Poi lei ha svolto tutta un'argomentazione: io la capisco, perché come ripeto lei fa il suo dovere, lo sa che ha avuto sempre il mio apprezzamento, però qui siamo alla ricerca anche degli elementi. Se dobbiamo dividerci tra maggioranza e opposizione, per l'opposizione è molto facile anche nei confronti di questo Governo, ma noi vogliamo collaborare, perché è un tema dove non si può andare con voli pindarici ad atteggiamenti precostituiti o preconcetti, nella maniera più assoluta: mancheremmo di rispetto ai morti ammazzati, a questa giovane donna, mamma di una figlia. Noi abbiamo chiesto se vi è qualcosa da fare anche da parte del Governo e lei ci ha detto di no.
C'è questa persona morta, ammazzata. E la protezione, lei dice, non c'è stata, ma quando lei ha rinunciato. Lei capisce bene che questa valutazione certamente trova sul piano normativo un suo sostegno e una sua sostanza. Ma perché si tutela una collaboratrice di giustizia? In primo luogo, ovviamente per salvaguardare la sua persona, la sua dignità e la sua vita e, in secondo luogo, perché continui ad essere collaboratrice di giustizia e ad essere utile al Paese. Per cui questo non è un bene disponibile. Pag. 21
Che cosa è stato fatto per dissuadere realmente dalla rinuncia al programma di protezione? Che cosa è stato fatto? Allora, la mia preoccupazione aumenta veramente, signor Presidente, in questo particolare momento. Le preoccupazioni diffuse ci sono e sono ben sostenute e ben argomentate. Un collaboratore di giustizia ritenuto importante e prezioso, dopo l'esame e il pronunciamento del Consiglio di Stato, rinuncia e, così, lo si lascia libero. E la difesa della persona umana? La difesa dello strumento e del mezzo per il contrasto alla criminalità organizzata? Dove va? Sono profondamente preoccupato.
Nessuno, signor sottosegretario Mantovano, ha messo in discussione l'impegno della commissione. Io ho detto che forse qualcosa non è andato nel verso giusto: lei dice «no», ma il morto c'è. E poi ce ne sono altri. Lei mi sfida dicendo: quanti ce ne sono. Ci possiamo anche sfidare, signor sottosegretario Mantovano, e lei ricorderà quel testimone collaboratore di giustizia ucciso prima dello scadere di un anno, quello del delitto Fortugno. No, si suicidò. Non sappiamo se si è suicidato o se è stato ucciso, tra le altre cose.

ALFREDO MANTOVANO, Sottosegretario di Stato per l'interno. Signor Presidente, se si introducono nuovi argomenti, questo non va bene perché non ho la possibilità di rispondere.

MARIO TASSONE. Signor sottosegretario, non perda la calma, siccome lei mi ha sfidato...

PRESIDENTE. Signor sottosegretario, le chiedo scusa, ma nella replica non possiamo...

ALFREDO MANTOVANO, Sottosegretario di Stato per l'interno. Allora parliamo della partita di calcio!

PRESIDENTE. No, non è che parla di una partita di calcio, adesso non banalizziamo.

MARIO TASSONE. Signor sottosegretario, lei mi ha detto: non ce ne sono altre. Lo afferma e io le sto portando un esempio. Ma perché se la prende sul piano personale?

ALFREDO MANTOVANO, Sottosegretario di Stato per l'interno. Non è sul piano personale.

MARIO TASSONE. Perché se la prende sul piano personale? Io le sto portando un esempio, sottosegretario Mantovano. Lei sarà il depositario della verità, ma non in quest'Aula.

ALFREDO MANTOVANO, Sottosegretario di Stato per l'interno. Allora ci diamo appuntamento un'altra volta.

PRESIDENTE. Onorevole Tassone, lei concluda la sua replica, e il sottosegretario Mantovano avrà occasione in un'altra circostanza

ALFREDO MANTOVANO, Sottosegretario di Stato per l'interno. Sì, in un'altra circostanza per rispondere.

MARIO TASSONE. Signor Presidente, ho portato ad esempio il problema di Spatuzza, per fare vedere la situazione dei collaboratori di giustizia. Non volevo introdurre un nuovo tema o un nuovo argomento. Era Spatuzza, perché se ne è discusso in Commissione antimafia. Il problema delle Forze armate e dell'Esercito non è un nuovo argomento.
Ma siccome i collaboratori di giustizia devono essere utilizzati per scardinare la criminalità organizzata, non c'è dubbio che io ho detto che la presenza di 75-80 giovani militari a Reggio Calabria non è esaustiva per quanto riguarda questo progetto. Soltanto questo, signor Presidente. Con molta umiltà e con molta modestia. Non capisco questo tipo di esasperazione, di nervosismo. Qui credo che tutti quanti ci troviamo a dovere lavorare in un certo modo.
Concludo, signor Presidente, perché non vorrei accentuare tensioni, che non vi Pag. 22sono da parte mia; le tensioni le hanno le famiglie che sono vittime di queste tragedie, tanto per capirci.
Signor Presidente, io ritengo che le valutazioni fatte - non c'è dubbio - pongono delle questioni importanti e fondamentali.
Queste cose noi le abbiamo sapute, in alcune dichiarazioni da parte del sottosegretario Mantovano, soltanto attraverso l'atto di sindacato ispettivo: le mancate risposte dei magistrati, le contraddizioni dei magistrati che prima avevano dichiarato alcune cose e in seguito ad alcune sollecitazioni della commissione non hanno risposto. Come vedete, ci sono argomenti che rimangono nella responsabilità del Governo approfondire e sarebbe opportuno, se possibile, anche ritornare in quest'Aula con un dibattito per affrontare temi antichi e temi nuovi.
Sono convinto, proprio attraverso l'illustrazione meticolosa fatta dal sottosegretario, e lo ringrazio, che forse qualcosa non funziona, non nella sensibilità di chi presiede la commissione, ma nel fatto che forse il presidente potrebbe avere bisogno di qualche strumento in più. È la prima volta che mi capita che il presidente di una commissione sia contento, soddisfatto della normativa, perché ha lasciato al Parlamento l'iniziativa e invece io ritengo che il Governo e il Parlamento, con spirito di collaborazione, potrebbero trovare il modo di eliminare alcuni punti grigi, oscuri che lei stesso ha rilevato ed evidenziato.
Per questi motivi, signor Presidente, non sono né soddisfatto né insoddisfatto, sono ulteriormente preoccupato perché, ancora una volta, argomenti di questo genere qualcuno pretende di catalogarli come un problema della maggioranza o della minoranza. Questo è un problema del Paese, al di fuori della maggioranza e della minoranza, ed è il Parlamento che deve farsene carico nella sua totalità.

PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento delle interpellanze urgenti all'ordine del giorno.

Sull'ordine dei lavori (ore 11,20).

ANGELO COMPAGNON. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANGELO COMPAGNON. Signor Presidente, intervengo per far presente una situazione che ritengo molto delicata. Mi rivolgo alla Presidenza della Camera, e indirettamente al Governo di questo Paese, noi in quest'Aula spesso siamo ridotti a discutere gli ordini del giorno perché, attraverso la posizione della questione di fiducia o anche attraverso provvedimenti che non riescono a far passare nessun emendamento, non dico a tutta l'Aula ma sicuramente all'opposizione, non rimane che lo strumento dell'ordine del giorno. Non entro nel merito politico della fiducia o dei tempi, dico solo che questo strumento è l'unico che rimane al fine di presentare alcune indicazioni sui problemi del Paese, impegnando il Governo. Questi ordini del giorno vengono il più delle volte accolti come raccomandazione, altre volte vengono accettati pienamente.
Ho fatto una verifica, un po' superficiale, e mi sono reso conto che non sempre, purtroppo, si ottempera successivamente agli impegni presi dal Governo. Allora il problema diventa serio perché è un problema di quest'Aula, è un problema del Parlamento, è un problema del rispetto del Parlamento, è un problema del rispetto dei cittadini che attraverso l'ordine del giorno si potevano aspettare qualcosa dal Governo.
Ne faccio presente uno per il quale oggi ho voluto fare questo intervento sperando che venga data una risposta. In riferimento all'atto Camera n. 3638 del 29 luglio 2010 riguardante misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica, ho presentato un ordine del giorno molto delicato che tratta un tema sensibile: riguarda i 650 dipendenti delle questure e delle prefetture impegnati negli uffici immigrazione che avevano fatto un concorso e che per quel Pag. 23concorso dovevano essere assunti a tempo indeterminato. La legge poi si è modificata e sono rimasti a tempo determinato con scadenza 31 dicembre 2010.
Le risposte alle interrogazioni erano state tutte interlocutorie per cui con questo ordine del giorno avevo tentato di impegnare il Governo, non dico a modificare di nuovo la legge e ad assumere a tempo indeterminato ma almeno, in attesa di trovare i fondi (era questo il motivo per il quale queste persone rischiavano di andare a casa) a prorogare di dodici mesi il contratto a queste persone.
In data 29 luglio il Governo accolse questo ordine del giorno. Ora ci avviciniamo al 31 dicembre, scadenza del contratto di queste persone: se non dovesse essere prorogato, si creerebbe un duplice problema. In primo luogo, vi sarebbero 650 persone, nei confronti delle quali vi era un impegno del Governo e, quindi, di questo Parlamento. In secondo luogo, vi sarebbe il problema dell'attività che stanno svolgendo nelle prefetture e nelle questure, richiamata dagli stessi prefetti e dagli stessi questori quale attività indispensabile per la prosecuzione del controllo e della gestione degli uffici immigrazione.
Dunque, signor Presidente, il senso del mio intervento è questo: nello specifico, si tratta di un problema delicato che è già stato discusso in quest'Aula, e il Governo ha accolto - su mia proposta - di prorogare di dodici mesi.
Quindi, chiedo a lei - anche per tutelare il Parlamento - di verificare che questo avvenga, se non fosse già avvenuto, nei tempi previsti. Inoltre, le chiedo di verificare se gli ordini del giorno sono accolti velocemente - come accade ultimamente - tanto per chiudere i lavori d'Aula, o se vengono accolti perché vi è un impegno preciso, politico del Governo rispetto a questo Parlamento. Non è una cosa di poco conto, è una cosa fondamentale.
Come dicevo all'inizio, non entro nella polemica delle questioni di fiducia o dell'azione di questo Governo, lo faremo in altre occasioni, sempre in quest'Aula, ma credo che...

PRESIDENTE. La prego di concludere.

ANGELO COMPAGNON. Ho concluso, signor Presidente. Credo che la Presidenza debba verificare che il Governo ottemperi a quanto affermato da chi vi parla.

PRESIDENTE. Onorevole Compagnon, come lei sa, esiste un Servizio di questa Camera che si occupa del monitoraggio dell'attività di controllo svolta dal Parlamento nei confronti del Governo e la pubblicazione degli esiti dovrebbe già essere un invito al Governo ad ottemperare.
Per quanto riguarda l'ordine del giorno al quale lei ha fatto riferimento, dal momento che siamo vicini alla scadenza dei dodici mesi, potrebbe presentare anche subito un atto di sindacato ispettivo per ricordare al Governo gli impegni assunti.

Sul calendario dei lavori dell'Assemblea.

PRESIDENTE. Con riferimento ai lavori dell'Assemblea della prossima settimana, avverto che, sulla base delle intese intercorse tra i gruppi, anche tenendo conto del fatto che le Commissioni sono impegnate nell'esame dei documenti di bilancio, nella giornata di martedì 26 ottobre si svolgeranno le discussioni sulle linee generali. Le votazioni avranno luogo a partire dalla giornata di mercoledì 27 ottobre.
Avverto, inoltre, che sarà iscritto all'ordine del giorno della seduta di martedì 26 ottobre, per la discussione sulle linee generali, il disegno di legge di ratifica n. 2836-B - Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia. Il seguito dell'esame di tale disegno di legge sarà iscritto all'ordine del giorno a partire dalla seduta di mercoledì 27 ottobre.
Avverto, infine, che, su richiesta della XI Commissione, l'esame della proposta di legge n. 3541, recante «Disposizioni concernenti la sospensione e la revoca del Pag. 24trattamento pensionistico per i soggetti sottoposti a misure restrittive della libertà personale o condannati per reati di terrorismo o di criminalità organizzata» avrà luogo a partire dalla seduta pomeridiana di mercoledì 27 ottobre.

Ordine del giorno della prossima seduta.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta avvertendo che l'organizzazione dei tempia di esame del disegno di legge di ratifica n. 2836-B sarà pubblicata in calce al resoconto della seduta odierna.

Martedì 26 ottobre 2010, alle 12:

1. - Svolgimento di interrogazioni.

(ore 15)

2. - Discussione del disegno di legge (per la discussione sulle linee generali):
Ratifica ed esecuzione della Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia, fatta a Strasburgo il 13 novembre 1987, nonché norme di adeguamento dell'ordinamento interno (Approvato dalla Camera e modificato dal Senato) (C. 2836-B).
- Relatori: Mariarosaria Rossi, per la II Commissione; Antonione, per la III Commissione.

3. - Discussione della mozione Reguzzoni ed altri n. 1-00445 concernente iniziative volte a garantire l'accesso al credito di famiglie e imprese, in relazione ai nuovi parametri stabiliti dall'accordo «Basilea 3» (per la discussione sulle linee generali).

4. - Discussione della proposta di legge (per la discussione sulle linee generali):
Lo Presti: Esclusione dei familiari superstiti condannati per omicidio del pensionato o dell'iscritto a un ente di previdenza dal diritto alla pensione di reversibilità o indiretta (C. 3333) e delle abbinate proposte di legge: Schirru ed altri; Fedriga ed altri (C. 3311-3479).
- Relatore: Pelino.

La seduta termina alle 11,25.

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ORGANIZZAZIONE DEI TEMPI DI ESAME DEL DISEGNO DI LEGGE DI RATIFICA N. 2836-B

Ddl di ratifica n. 2836-B - Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia

  • Tempo complessivo: 4 ore.
Relatori 10 minuti
Governo 10 minuti
Richiami al Regolamento 10 minuti
Tempi tecnici 10 minuti
Interventi a titolo personale 36 minuti (con il limite massimo di 7 minuti per il complesso degli interventi di ciascun deputato)
Gruppi 2 ore e 44 minuti
Popolo della Libertà 35 minuti
Partito Democratico 46 minuti
Lega Nord Padania 17 minuti
Unione di Centro 19 minuti
Futuro e Libertà per l'Italia 15 minuti
Italia dei Valori 17 minuti
Misto: 15 minuti
Alleanza per l'Italia 3 minuti
Noi Sud Libertà e Autonomia -
Partito Liberale Italiano
3 minuti
Movimento per le Autonomie -
Alleati per il Sud
3 minuti
Liberal Democratici - MAIE 2 minuti
Minoranze linguistiche 2 minuti
Repubblicani, Azionisti, Alleanza
di Centro
2 minuti