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Resoconto dell'Assemblea

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XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 355 di martedì 20 luglio 2010

Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROSY BINDI

La seduta comincia alle 11,30.

GIUSEPPE FALLICA, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 15 luglio 2010.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Bocci, Bongiorno, Bratti, Brugger, Caparini, Castagnetti, Cirielli, De Biasi, Donadi, Fava, Gregorio Fontana, Graziano, Leo, Lo Monte, Lombardo, Lucà, Mazzuca, Melchiorre, Migliavacca, Migliori, Mura, Nucara, Pecorella, Pisicchio, Paolo Russo, Sardelli, Stucchi e Tabacci sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente novanta, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Seguito della discussione congiunta dei disegni di legge: Rendiconto generale dell'amministrazione dello Stato per l'esercizio finanziario 2009 (A.C. 3593) e Disposizioni per l'assestamento del bilancio dello Stato e dei bilanci delle Amministrazioni autonome per l'anno finanziario 2010 (A.C. 3594) (ore 11,33).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione dei disegni di legge: Rendiconto generale dell'amministrazione dello Stato per l'esercizio finanziario 2009 e Disposizioni per l'assestamento del bilancio dello Stato e dei bilanci delle Amministrazioni autonome per l'anno finanziario 2010.
Ricordo che nella seduta del 19 luglio 2010 si è conclusa la discussione congiunta sulle linee generali e ha avuto luogo la replica del rappresentante del Governo, mentre il relatore vi ha rinunciato.

Preavviso di votazioni elettroniche (ore 11,35).

PRESIDENTE. Poiché nel corso della seduta potranno aver luogo votazioni mediante procedimento elettronico, decorrono da questo momento i termini di preavviso di cinque e venti minuti previsti dall'articolo 49, comma 5, del Regolamento. Per consentire il decorso del termine regolamentare di preavviso, sospendo la seduta, che riprenderà alle 11,55.

La seduta, sospesa alle 11,35, è ripresa alle 12.

Sull'ordine dei lavori.

LUDOVICO VICO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUDOVICO VICO. Signor Presidente, intervengo per segnalare a lei e ai colleghi parlamentari - soprattutto a lei perché si faccia carico di rivolgersi al Governo - quanto oggi avverrà nel pomeriggio.
Ancora una volta i lavoratori sardi, veneti e di Ravenna, del cosiddetto ciclo Pag. 2del cloro e PVC della Vinyls, manifesteranno nei pressi di piazza Montecitorio e di palazzo Chigi per rivendicare che ripartano gli impianti, che sono fermi ormai da nove mesi. Sono gli impianti di Porto Torres, di Porto Marghera, di Ravenna, e soprattutto manifestano per denunciare in questo modo - e noi saremo accanto a loro oggi nel pomeriggio - che l'annunciato bando di gara internazionale da parte dei commissari della Vinyls non è stato ancora predisposto.
Nel mese di maggio il Governo si era impegnato affinché il 23 luglio il bando fosse già reso pubblico, invece prendiamo atto che esso non è ancora pronto (pare che manchi ancora la valutazione reddituale degli asset).
Accanto a questa azione da parte dei commissari, che va a rilento, come è stato per tutti questi nove mesi, registriamo anche la mancanza della dichiarazione di intenti da parte di ENI, ovvero la disponibilità di ENI rispetto agli asset e alle utility per il completamento della filiera produttiva del ciclo del cloro, nei siti di Marghera, di Assemini, di Porto Torres, di Ravenna e di Cirò Marina.
Signor Presidente, intervengo dunque per dirle che siamo di fronte ad una situazione in cui gli impianti sono fermi, che il mercato del PVC italiano continua ad importare dal centro Europa per i trasformatori nazionali, ovvero la gomma, la plastica, l'automotive, l'arredo, l'edilizia a cui corrispondono 25 mila addetti, ma soprattutto preoccupano i lavoratori della Vinyls e della Syndial, che sono mille, e altri quattromila dell'indotto e circa duemila della subfornitura che attendono.
Il nostro auspicio è che oggi si definisca la data precisa per la pubblicazione del bando, che da parte di ENI sia resa la dichiarazione di intenti e che sia confermato rapidamente l'incontro già fissato per il 23 luglio.
Le ragioni dello sviluppo del nostro Paese dipendono anche da questa parte degli impianti industriali della chimica italiana, che non possono continuare ad essere abbandonati dal Governo, dall'atteggiamento di ENI e dai commissari (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Vico, la questione da lei sollevata è di grande importanza e sarà mio dovere riferire al Presidente.

AMEDEO LABOCCETTA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

AMEDEO LABOCCETTA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ieri a Palermo, si è verificato un episodio di una gravità inaudita.
L'onorevole Fabio Granata, nella sua qualità di vicepresidente della Commissione antimafia, ha rilasciato una dichiarazione allucinante: ha, tra l'altro, detto che vi sono pezzi dello Stato, del Governo e della politica, e componenti della Commissione antimafia che tentano di non arrivare...

PRESIDENTE. Onorevole Laboccetta... onorevole Laboccetta!

AMEDEO LABOCCETTA. No, guardi, l'episodio è pesantissimo e chiedo che il Presidente della Camera faccia un passo...

PRESIDENTE. Onorevole Laboccetta, le tolgo la parola! Quando il Presidente richiama, lei ha la cortesia di interrompersi perché volevo dirle una cosa molto semplice in applicazione del Regolamento. La richiesta di intervento sull'ordine dei lavori non può essere utilizzata per censurare le parole di un altro collega.

AMEDEO LABOCCETTA. Io non ho censurato niente!

PRESIDENTE. La ringrazio molto, onorevole Laboccetta.

Pag. 3

Si riprende la discussione (ore 12,05).

(Esame degli articoli - A.C. 3593)

PRESIDENTE. Passiamo all'esame degli articoli del disegno di legge recante il Rendiconto generale dell'amministrazione dello Stato per l'esercizio finanziario 2009.
Passiamo all'esame dell'articolo 1 (Vedi l'allegato A - A.C. 3593), al quale non sono state presentate proposte emendative.
Passiamo dunque ai voti. Avverto che è stata chiesta la votazione nominale mediante procedimento elettronico.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo 1.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).

Con calma, colleghi... Onorevoli Martinelli, Scandroglio, Di Biagio, Portas, Romele, Zacchera, Berardi, Binetti, Cuomo, Oliverio, Rigoni, Cicu, Distaso, Gnecchi, Rosso, Conte, Perina, Siliquini... Presidente Giancarlo Giorgetti, ha votato?... Onorevole Ciccanti...
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazionia ).

(Presenti e votanti 443
Maggioranza 222
Hanno votato
240
Hanno votato
no 203).

Prendo atto che il deputato Scilipoti ha segnalato che non è riuscito a votare, che il deputato Nunzio Francesco Testa ha segnalato che non è riuscito ad esprimere voto contrario e che la deputata Goisis ha segnalato che non è riuscita ad esprimere voto favorevole.
Passiamo all'esame dell'articolo 2 (Vedi l'allegato A - A.C. 3593), al quale non sono state presentate proposte emendative.
Passiamo dunque ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo 2.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).

Onorevoli Nizzi, Donadi, Testa, Agostini...
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazionia ).

(Presenti e votanti 449
Maggioranza 225
Hanno votato
242
Hanno votato
no 207).

Prendo atto che i deputati Di Cagno Abbrescia e Scilipoti hanno segnalato che non sono riusciti a votare.
Passiamo alla votazione dell'articolo 3 (Vedi l'allegato A - A.C. 3593), al quale non sono state presentate proposte emendative.
Passiamo dunque ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo 3.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).

Onorevoli Galati, Laboccetta, Tabacci e Zamparutti.
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazionia ).

(Presenti e votanti 451
Maggioranza 226
Hanno votato
244
Hanno votato
no 207).

Prendo atto che il deputato La Loggia ha segnalato che non è riuscito ad esprimere voto favorevole, che la deputata Zamparutti ha segnalato che non è riuscita ad esprimere voto contrario e che il deputato Scilipoti ha segnalato che non è riuscito a votare.
Passiamo alla votazione dell'articolo 4 (Vedi l'allegato A - A.C. 3593), al quale non sono state presentate proposte emendative.
Passiamo dunque ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo 4.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).

Pag. 4

Onorevoli Volpi, Maurizio Turco e Casini.
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazionia ).

(Presenti e votanti 454
Maggioranza 228
Hanno votato
245
Hanno votato
no 209).

Prendo atto che il deputato Scilipoti ha segnalato che non è riuscito a votare.
Passiamo alla votazione dell'articolo 5 (Vedi l'allegato A - A.C. 3593), al quale non sono state presentate proposte emendative.
Passiamo dunque ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo 5.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).

Onorevoli Tommaso Foti, Costa, De Pasquale, Biasotti, Portas e Fiorio.
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazionia ).

(Presenti e votanti 459
Maggioranza 230
Hanno votato
246
Hanno votato
no 213).

Prendo atto che il deputato Scilipoti ha segnalato che non è riuscito a votare.
Passiamo alla votazione dell'articolo 6, con l'annesso allegato 1 (Vedi l'allegato A - A.C. 3593), al quale non sono state presentate proposte emendative.
Passiamo dunque ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo 6.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).

Onorevoli Gava, Scilipoti e Cenni.
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazionia ).

(Presenti e votanti 460
Maggioranza 231
Hanno votato
246
Hanno votato
no 214).

Passiamo all'esame dell'articolo 7 (Vedi l'allegato A - A.C. 3593), al quale non sono state presentate proposte emendative.
Passiamo dunque ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo 7.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).

Onorevole Giammanco... onorevole Cassinelli... onorevole Tocci...
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazionia ).
(Presenti e votanti 460
Maggioranza 231
Hanno votato
246
Hanno votato
no 214).

Passiamo all'esame dell'articolo 8 (Vedi l'allegato A - A.C. 3593), al quale non sono state presentate proposte emendative.
Passiamo dunque ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo 8.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).

Onorevole Scilipoti... onorevole Sbai... onorevole Mariarosaria Rossi... onorevole Berruti... onorevole Pelino...
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazionia ).

(Presenti e votanti 459
Maggioranza 230
Hanno votato
244
Hanno votato
no 215).

Passiamo all'esame dell'articolo 9 (Vedi l'allegato A - A.C. 3593), al quale non sono state presentate proposte emendative.
Passiamo dunque ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo 9. Pag. 5
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).

Onorevole Castellani... onorevole Garagnani...
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazionia ).

(Presenti e votanti 462
Maggioranza 232
Hanno votato
246
Hanno votato
no 216).

Prendo atto che il deputato Cavallaro ha segnalato che non è riuscito a votare.
Passiamo all'esame dell'articolo 10 (Vedi l'allegato A - A.C. 3593), al quale non sono state presentate proposte emendative.
Passiamo dunque ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo 10.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).

Onorevole Lehner... onorevole Simeoni... onorevole Motta... onorevole Cicchitto...
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazionia ).

(Presenti e votanti 460
Maggioranza 231
Hanno votato
244
Hanno votato
no 216).

Prendo atto che il deputato Barbieri ha segnalato che non è riuscito ad esprimere voto favorevole e che il deputato Cavallaro ha segnalato che non è riuscito a votare.
Passiamo all'esame dell'articolo 11 (Vedi l'allegato A - A.C. 3593), al quale non sono state presentate proposte emendative.
Passiamo dunque ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo 11.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).

Onorevole Sardelli... onorevole Volpi... onorevole Cicchitto... onorevole D'Antoni... onorevole Piso... onorevole Garagnani... onorevole Damiano...
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazionia ).

(Presenti e votanti 463
Maggioranza 232
Hanno votato
245
Hanno votato
no 218).

Prendo atto che il deputato Cavallaro ha segnalato che non è riuscito a votare.
Passiamo all'esame dell'articolo 12 (Vedi l'allegato A - A.C. 3593), al quale non sono state presentate proposte emendative.
Passiamo dunque ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo 12.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).

Onorevole D'Antoni... onorevole Damiano... onorevole Cenni... onorevole Capodicasa... onorevole De Luca... onorevole Biava... onorevole Leo...
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazionia ).

(Presenti e votanti 462
Maggioranza 232
Hanno votato
244
Hanno votato
no 218).

Prendo atto che il deputato Cavallaro ha segnalato che non è riuscito a votare.
Passiamo all'esame dell'articolo 13 (Vedi l'allegato A - A.C. 3593), al quale non sono state presentate proposte emendative.
Passiamo dunque ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo 13.
Dichiaro aperta la votazione.

(Segue la votazione).

Onorevole Bellanova... onorevole Vico... onorevole Gatti... onorevole Dionisi... onorevole Fogliardi...

Pag. 6

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazionia ).

(Presenti e votanti 463
Maggioranza 232
Hanno votato
245
Hanno votato
no 218).

Prendo atto che il deputato Cavallaro ha segnalato che non è riuscito a votare.
Passiamo all'esame dell'articolo 14 (Vedi l'allegato A - A.C. 3593), al quale non sono state presentate proposte emendative.
Passiamo dunque ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo 14.
Dichiaro aperta la votazione.

(Segue la votazione).

Onorevole Tommaso Foti... onorevole Scilipoti... onorevole Giacomelli... onorevole Damiano... onorevole Costa... onorevole Dionisi...

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazionia ).

(Presenti e votanti 464
Maggioranza 233

Hanno votato244
Hanno votato
no 220).

Prendo atto che i deputati Calderisi e Frassinetti hanno segnalato che non sono riusciti ad esprimere voto favorevole e che il deputato Cavallaro ha segnalato che non è riuscito a votare.
Passiamo all'esame dell'articolo 15 (Vedi l'allegato A - A.C. 3593), al quale non sono state presentate proposte emendative.
Passiamo dunque ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo 15.
Dichiaro aperta la votazione.

(Segue la votazione).

Onorevole Vella... onorevole Capodicasa...

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazionia ).

(Presenti e votanti 463
Maggioranza 232
Hanno votato
244
Hanno votato
no 219).

Prendo atto che il deputato Cavallaro ha segnalato che non è riuscito a votare.
Passiamo all'esame dell'articolo 16 (Vedi l'allegato A - A.C. 3593), al quale non sono state presentate proposte emendative.
Passiamo dunque ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo 16.
Dichiaro aperta la votazione.

(Segue la votazione).

Onorevole Tommaso Foti... onorevole Stradella...

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazionia ).

(Presenti e votanti 460
Maggioranza 231

Hanno votato246
Hanno votato
no 214).

Prendo atto che il deputato Cavallaro ha segnalato che non è riuscito a votare, che i deputati Piffari e Realacci hanno segnalato che non sono riusciti ad esprimere voto contrario e che il deputato Pionati ha segnalato che non è riuscito ad esprimere voto favorevole.
Passiamo all'esame dell'articolo 17 (Vedi l'allegato A - A.C. 3593), al quale non sono state presentate proposte emendative.
Passiamo dunque ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo 17.
Dichiaro aperta la votazione.

(Segue la votazione).

Pag. 7

Onorevole Mariarosaria Rossi... onorevole Capodicasa... l'onorevole Mario Pepe (PD) ha votato... onorevole Fioroni... l'onorevole Farina Coscioni ha votato...

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazionia ).

(Presenti e votanti 467
Maggioranza 234
Hanno votato
246
Hanno votato
no 221).

Prendo atto che i deputati Cesa e Cavallaro hanno segnalato che non sono riusciti a votare, che la deputata Rampi ha segnalato che non è riuscita ad esprimere voto contrario e che il deputato Pionati ha segnalato che non è riuscito ad esprimere voto favorevole.
Passiamo all'esame dell'articolo 18 (Vedi l'allegato A - A.C. 3593), al quale non sono state presentate proposte emendative.
Passiamo dunque ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo 18.
Dichiaro aperta la votazione.

(Segue la votazione).

Onorevole Tommaso Foti... onorevole Martino... onorevole Capodicasa...

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazionia ).

(Presenti e votanti 465
Maggioranza 233
Hanno votato
246
Hanno votato
no 219).

Prendo atto che il deputato Cesa ha segnalato che non è riuscito a votare, che la deputata Rampi ha segnalato che non è riuscita ad esprimere voto contrario e che il deputato Pionati ha segnalato che non è riuscito ad esprimere voto favorevole.

(Dichiarazioni di voto finale - A.C. 3593)

PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto finale.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Cambursano. Ne ha facoltà.

RENATO CAMBURSANO. Signor Presidente, oggi il Governo rende conto - lo dice il titolo stesso del provvedimento che ci accingiamo a votare - di quanto ha fatto nel 2009. Dunque, vediamo quali provvedimenti ha assunto e quali sono stati i risultati.
Che cosa ha fatto? Dal novembre 2008 al novembre 2009 ha adottato sette decreti-legge, tutti in materia economico-finanziaria. È bene ricordarli velocemente, evidenziando anche quanto si è stanziato per far fronte alla pesantissima crisi economica che si era abbattuta: il decreto-legge n. 185 del 2008 stanziava 6,3 miliardi; il decreto-legge n. 5 del 2009, convertito dalla legge n. 33 dello stesso anno, stanziava un miliardo e 100 milioni; il decreto-legge n. 39 del 2009, convertito dalla legge n. 77 del 2009, stanziava un miliardo e 300 milioni; il decreto-legge n. 78 del 2009, convertito dalla legge n. 102 del 2009, stanziava 4 miliardi e 200 milioni; poi fu adottato il decreto-legge n. 103 del 2009, convertito dalla legge n. 141 del 2009, che era semplicemente correttivo per le valutazioni che aveva svolto la Presidenza della Repubblica; poi, ancora, il decreto-legge n. 168 del 2009, che il Governo ha fatto decadere; quanto contenuto in esso è stato poi riassorbito dalla legge finanziaria 2010, che nella parte riguardante lo scudo fiscale recuperava, dai cinque miliardi rivenienti dallo scudo fiscale - il più grosso regalo che sia stato fatto agli evasori e alle mafie - 3 miliardi e 700 milioni e li destinava per il pagamento differenziato, al 2010, del versamento di 20 punti percentuali dell'acconto IRPEF.
Quindi, con questi cinque decreti-legge, venivano stanziati 16,6 miliardi, a cui seguiva ancora il decreto-legge n. 40 del Pag. 825 marzo di quest'anno, il quale stanziava 300 milioni di euro per una serie di interventi a favore di alcune produzioni (motocicli e macchine agricole) e, infine, la legge finanziaria 2010, che stanziava come importo lordo 6 miliardi.
Quindi, colleghi e rappresentante del Governo, in due anni voi, per far fronte alla crisi più grave che vi sia stata in questi ultimi anni, avete messo a disposizione la somma di 23,9 miliardi, cioè meno di un punto e mezzo percentuale di PIL, mentre altre nazioni (la Germania, la Gran Bretagna, la Spagna e la Francia, che ha stanziato 60 miliardi) hanno messo a disposizione risorse ben più consistenti, sia in termini assoluti sia soprattutto in termini percentuali rispetto al PIL.
Dunque, vediamo quali sono stati i risultati: in primo luogo, il prodotto interno lordo è diminuito del 5 per cento in termini reali e del 3 per cento in termini nominali. Colleghi, dal 1970, anno di partenza della nuova serie di contabilità di Stato, il PIL non era mai diminuito in termini nominali. Era diminuito sì in termini reali tre volte, ma in percentuali molto minime: nel 1975 vi era stato un calo del 2,1 per cento, nel 1993 meno di un punto percentuale, così come nel 2008. Quindi, un prodotto interno lordo che è precipitato come mai avevamo visto finora.
Secondo risultato: l'indebitamento netto, cioè il deficit di bilancio, è aumentato del 5,3 per cento, cioè è più che raddoppiato rispetto a quello dell'esercizio precedente.
L'avanzo primario, per la prima volta, è diventato un disavanzo primario: esso, infatti, è pari allo 0,6 per cento, cioè al 3,1 per cento in meno rispetto al 2008.
Siamo giunti al punto più cruciale: il debito. Il debito pubblico è aumentato di dieci punti percentuali rispetto al 2008: è passato da 1.600 miliardi di euro al 31 dicembre 2008, a 1.760 miliardi di euro al 31 dicembre 2009. Quindi, si tratta di 160 miliardi di euro in più in dodici mesi. Dove sono andati? Molto meno della metà è servita per pagare gli interessi sul debito pubblico; gli altri, invece, sono finiti negli sprechi, nel contributo erogato per sanare il bilancio di Catania, di Palermo e di Roma; sono andati alla «cricca», alla Protezione civile, al settore dell'eolico, alle infrastrutture mai terminate, eccetera.
Signor Presidente, qualche giorno fa, l'ISTAT ha certificato che, al 30 giugno di quest'anno, il debito pubblico è ulteriormente salito a 1.827 miliardi di euro: in altri termini, in sei mesi, è aumentato di altri 67 miliardi di euro. Pertanto, se al 31 dicembre 2008, il debito individuale di ogni italiano - da 0 ad oltre 100 anni - era pari a 26.500 euro, al 31 dicembre 2009, esso era salito, addirittura, a 30.500 euro. Quindi, in due anni scarsi - o meglio, in diciotto mesi - è aumentato di 4 mila euro. Di questo passo, poveri italiani! E questo sarebbe un grande risultato di questo Governo!
La spesa corrente, in compenso, è aumentata di oltre 9 miliardi di euro; la spesa in conto capitale, in contropartita, è diminuita di 4 miliardi; la pressione fiscale è la più alta che questo Paese abbia mai avuto, addirittura, superiore a quella del 1998, quando l'Italia, per entrare nell'Unione europea, aveva applicato la cosiddetta tassa per l'Europa che, in seguito, fu restituita nella misura del 60 per cento. Siete riusciti a superare anche quell'ostacolo.
Quindi, vi è una pressione fiscale assolutamente insostenibile, e stiamo parlando di pressione fiscale complessiva: se si verificasse a quanto ammonta quella di coloro che veramente pagano le tasse, allora, questa cifra supererebbe di gran lunga il 50 per cento. In compenso, le entrate tributarie sono state pari a 40 miliardi di euro in meno, nonostante sia stato realizzato quell'infame scudo fiscale, premio agli evasori e alle mafie.
La disoccupazione, secondo l'ultimo risultato, viaggia ormai verso il 10 per cento (risultato, anche questo, mai conseguito) e l'evasione fiscale ha raggiunto la stratosferica cifra di 120-130 miliardi di euro.
Il Governo ha reso conto ed il conto è salatissimo. Per chi aveva previsto tutto, per chi si era vantato di voler anticipare la crisi con una manovra triennale - Pag. 9ricordiamo tutti il decreto-legge n. 112 del 2008, caratterizzato da tagli alla scuola, alla sicurezza, alla giustizia, alle infrastrutture, al Fondo per lo sviluppo delle aree sottoutilizzate, alla giustizia - niente male; uno che aveva previsto tutto, ma i risultati che porta a casa sono questi.
Signor Presidente, in un'azienda privata, un amministratore delegato che portasse ai propri azionisti questi risultati verrebbe cacciato immediatamente, ma, purtroppo, questo non accade nei confronti del Ministro dell'economia e delle finanze, perché gli italiani non sanno e non devono sapere. D'altra parte, sappiamo benissimo chi controlla l'informazione quali notizie faccia passare, facendo sapere agli italiani il meno possibile rispetto a dove si sta andando con riferimento a questa crisi. Quindi, si può dire che hanno messo il bavaglio all'informazione, non il bavaglino!
Concludo, signor Presidente. Chiedo al Governo di sapere dove sono andati i 100 miliardi di euro che mancano all'appello. La Corte dei conti - e concludo per davvero - ha certificato, nella sua relazione al provvedimento in oggetto, che vi è stato un sensibile deterioramento. Io lo definirei con una parola soltanto: è stato, ed è un disastro. Più sprechi, più spese, più evasione fiscale, maggiori tagli alla sanità, alla scuola e alla ricerca. Complementi per i bei risultati (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori)!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Galletti. Ne ha facoltà.

GIAN LUCA GALLETTI. Signor Presidente, è un rendiconto strano quello che ci apprestiamo ad esaminare oggi. Sarebbe facile attaccare questo rendiconto che è contraddistinto tutto da segni meno, sarebbe facile la difesa di esso da parte della maggioranza definendolo il rendiconto di un anno di crisi. Oggi, farò un esperimento, vorrei provare a fare la dichiarazione sul rendiconto citando solo quattro dati ma mettendo in luce quelli che sono i punti oscuri e le criticità che questo rendiconto ci disegna per il futuro.
Primo punto: la non trasparenza. Noi, già da due anni, abbiamo fatto una grande battaglia in Parlamento, tutti insieme, per assicurare maggiore trasparenza ai nostri atti contabili. Possiamo dire, con questo rendiconto, di non esserci ancora riusciti; tutti gli esperimenti che finora abbiamo fatto, ad incominciare dal bilancio riclassificato per missioni, non hanno reso il rendiconto più trasparente. Quando parliamo di trasparenza degli atti contabili parliamo di democrazia, perché il fatto di non avere atti contabili trasparenti vuole dire non informare i cittadini dello stato dei conti pubblici. E questa è mancanza di democrazia, se c'è una cosa che comincia a preoccupare in questo Paese è la non accessibilità ai conti pubblici. Diventa sempre più difficile la conoscenza dei conti pubblici e diventano sempre meno le persone che conoscono i dati della contabilità pubblica. Questo è un pericolo perché c'è sempre meno democrazia.
Secondo punto: la spesa corrente aumenta. È aumentata nel 2008 rispetto al 2007, aumenta nel 2009 rispetto al 2008. Questo ci indica, e ci conferma quanto noi sosteniamo in questo Parlamento ormai da mesi: che il classico taglio lineare della spesa corrente non funziona e lo dimostrano i fatti. È aumentata non la spesa corrente buona, se andate a vedere nel dettaglio questo rendiconto vi accorgerete che è aumentata la spesa per consumi intermedi, quella che, nei nostri dibattiti, tutti noi diciamo che vogliamo tagliare perché è la spesa per l'acquisto di consulenze, per l'acquisto di beni e servizi cioè la spesa non produttiva. Qualcosa che non va ci sarà, il decreto-legge n. 112 del 2008, che doveva essere la panacea di tutti i mali, quello che riduceva la spesa pubblica, ancora non ha prodotto nessun effetto. Allora, ne approfitto per dire una cosa alla maggioranza: la spesa pubblica non si taglia con i tagli lineari e l'abbiamo visto, non si taglierà con il federalismo e lo vedremo, l'unico modo per tagliare la spesa pubblica è ridurre i centri di spesa, vale a dire ridurre il numero dei comuni e tagliare le province. Fino a che non prenderemo questa strada comunque non Pag. 10riusciremo a ridurre la spesa pubblica. È inutile che ci intestardiamo su delle ricette che sappiamo già in partenza che non funzionano.
Ho fatto un esperimento, ecco gli unici quattro dati che vi cito: ho provato a prendere la spesa corrente, la spesa in conto capitale, la spesa per interessi e il debito pubblico e disegnare su questo una famiglia di quattro persone. Ho ipotizzato che cosa succede a questa famiglia all'inizio dell'anno. Questa famiglia si ritrova con un carico di spesa corrente di 32 mila euro, si trova con un carico di spesa in conto capitale di 4 mila euro, di interessi passivi da pagare di 6 mila euro e ha sulle spalle un debito pubblico di 116 mila euro. Vi dico, conoscendo la situazione delle famiglie italiane, che questa famiglia non ce la può fare. Questo carico è insopportabile, non è possibile che su questa famiglia gravi una quota di spese, di interessi, di spesa corrente e di debito pubblico così elevato.
Questo rendiconto - così come vedremo la prossima settimana con la manovra economica - non si pone tale problema. Ma il problema reale di questo bilancio, di questo rendiconto, è il seguente: i conti sono insostenibili.
Vi invito a pensare che - al di là di tutta la ripresa possibile che tutti ci auguriamo vi possa essere - basterebbe un aumento dei tassi di uno o due punti per rendere il nostro bilancio ancora più ingovernabile di quello che è oggi. Infatti, il debito pubblico non è sotto controllo. Ci vogliamo porre questo problema?
La spesa corrente non è sotto controllo, il debito pubblico non è sotto controllo, le famiglie - secondo un'indagine della Banca d'Italia - ricorrono sempre di più al debito personale: ci rendiamo conto di come stiamo disegnando la nuova contabilità pubblica? Questi sono i temi che ci dobbiamo porre nel momento in cui approviamo il rendiconto. Vi è un'insostenibilità di fondo, rispetto a questi dati, che il rendiconto certifica e che, ancora peggio, la manovra economica non aggredisce. Il fatto reale e incontrovertibile resta comunque questo.
Pertanto, signori, anche con il rendiconto si conferma quello che noi diciamo da tempo: non è il momento del mantenimento dei conti, non è il momento di dire se è sufficiente avere mantenuto i conti pubblici, ma è il momento di aggredirli, perché il futuro, con questi dati, è incerto e aggredirli vuol dire fare quelle riforme strutturali indispensabili per il Paese.
Capisco che queste ultime non creano consenso, anzi nel breve periodo lo fanno anche perdere. Capisco che Berlusconi quando va ai consessi internazionali dice: io sono il leader che ha ancora il consenso più elevato nel proprio Paese. Probabilmente ciò è anche vero perché gli altri, nel proprio Paese, stanno facendo quelle riforme essenziali che costano gradimento, e lui non le fa.
Pertanto, questo è il tema vero sul quale l'Unione di Centro si vuole confrontare. Siamo sicuri che, se in questo Paese e in questo Parlamento vi fosse la responsabilità di trovare una maggioranza che vuole davvero affrontare questi nodi, gli elettori italiani lo capirebbero e lo capirebbero bene (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Polledri. Ne ha facoltà.

MASSIMO POLLEDRI. Signor Presidente, onorevole Viceministro, onorevoli colleghe e colleghi, numeri ne possiamo dare, ma ricordiamoci che stiamo parlando delle persone e che questo Paese ha una storia. Credo, infatti, che la Lega - che è il più vecchio partito - debba ricordare anche da dove viene il debito pubblico. Credo anche che dobbiamo lanciare un messaggio agli italiani e quindi fornire numeri, ripeto, numeri.
Di fronte ad una crisi di cui si sono accorti tutti - tranne forse qualche signore dell'opposizione - e che ha pesantemente colpito il Paese, credo sia giusto fornire alcuni numeri. Per quanto riguarda la gravità della crisi, sicuramente vi sono alcuni miglioramenti: il saldo netto Pag. 11da finanziare del 2009 è migliorato di 5,7 miliardi di euro rispetto al dato del 2008; il ricorso al mercato nel 2009 si è ridotto di 14 miliardi di euro, rispetto sempre al 2008; per quanto riguarda i saldi di bilancio in termini di cassa, vi sono stati miglioramenti rispetto al 2008; le entrate presentano un andamento in crescita, rispetto al 2008, pari al 7,95 per cento. E ancora, le entrate aumentano perché è aumentata la lotta verso due fenomeni fondamentali: innanzitutto la lotta all'evasione fiscale, con accertamenti relativi alle entrate extratributarie del 33,9 per cento, 16 mila 705 milioni; accertamenti di entrate tributarie che sono diminuite certamente, ma abbiamo avuto un aumento rispetto all'anno precedente.
Per non parlare poi dei risultati della lotta alla mafia, che oggi, grazie a questo forte impegno del Governo Berlusconi, del ministro Maroni, e di tutta la parte sana che oggi governa anche il sud - perché vi è una parte sana che governa il sud - ha portato a grandi risultati economici, oltre che dal punto di vista degli arresti. La mafia non si combatte soltanto con gli arresti, ma colpendola nel punto più debole che è quello economico, e diamo un merito fondamentale a questo Governo per essere intervenuto.
Tuttavia, i colleghi dicono che vi è stato un incremento della spesa corrente, rispetto al 2008, pari a 8.893 milioni di euro, mentre la spesa in conto capitale - questo non lo dicono - ha avuto una riduzione di 4.139 milioni di euro. Ma perché è aumentata la spesa corrente? È aumentata perché sono aumentati i trasferimenti alle amministrazioni pubbliche di 7.736 milioni di euro e i trasferimenti alle famiglie e alle istituzioni sociali private per quasi 10 miliardi di euro (circa 10 mila miliardi delle vecchie lire, 5 mila miliardi rispetto al 2008); questo dato deve essere chiaro.
Avevamo promesso che non avremmo lasciato indietro nessuno e, in qualche modo, questo è stato mantenuto; vi è stato, infatti, un forte aumento della spesa per il sostegno sociale e, quindi, di quella rete di protezione del lavoro che è stata estesa in questi due anni. Magari qualcuno se ne è anche approfittato: sappiamo, infatti, che alcune imprese mettono i dipendenti in cassa integrazione, per un determinato periodo, per poter aumentare gli utili; credo che su ciò si debba vigilare. Tuttavia, questa rete ha funzionato: si prevede che mezzo milione di lavoratori possa essere riassunto, ma occorrerà, certo, uno sforzo particolare per poter riconvertire e formare i giovani per i nuovi lavori (proprio ieri il CNEL ci ha detto quello che deve essere un miglioramento).
Inoltre, si registra la riduzione delle spese per interessi passivi, redditi da capitale, inferiori di 6.628 milioni di euro rispetto all'anno precedente. Credo sia importante ricordare come questo Paese sia stato salvato, soprattutto, dalle famiglie, che hanno risparmiato, contrariamente a quello che hanno fatto nei Paesi protestanti o anglosassoni. Famiglie che hanno sopportato, in silenzio, il peso della crisi e che, oggi, rappresentano un ammortizzatore sociale e svolgono anche un ruolo di coesione e di sussidio laddove, forse, lo Stato non riesce ad andare; lo fanno nei confronti della disabilità, nei confronti della disoccupazione e lo faranno nei confronti della crescita sociale e demografica di questo Paese.
Inoltre, sono aumentati, nonostante la flessione, i contributi agli investimenti alle imprese, pari a quasi 3 miliardi e mezzo di euro e i contributi agli investimenti all'estero, pari a 453 milioni di euro.
Abbiamo avuto una gestione prudente, il fine non era solamente la tenuta dei conti, ma quello di mantenere il tessuto sociale e la coesione sociale. Tuttavia, i professori della sinistra - che oggi sono in giro per gli Stati Uniti - ci dicono che dovevamo fare debiti. Come dovevamo fare debiti? E chi li avrebbe pagati? Vogliamo ricordare che questo Paese, oggi, è un'anatra zoppa? Due colleghi che mi hanno preceduto dovrebbero ricordarlo perché, nel periodo che va dal 1985 al 1989, questo Paese non è stato governato dalla Lega, ma lo è stato, sicuramente, dal partito di Galletti, in cui il suo presidente era uno dei migliori seguaci di un membro Pag. 12del cosiddetto CAF. Per carità, dobbiamo ringraziare la Democrazia Cristiana e il Partito Socialista per non aver fatto arrivare il pericolo comunista in Italia.
Però ricordiamoci che dal 1985 al 1989, con una crescita che è andata dal 2,5 per cento al 5 per cento (siamo arrivati nel 1989 al 4 per cento) con un'inflazione del 15 per cento risanata che è scesa al 5 per cento, grazie al sistema del CAF - che era il sistema allora vigente - siamo però riusciti a portare il deficit pubblico dal 63 per cento all'89 per cento e poi fino al 120 per cento.
Oggi paghiamo 1.779 miliardi di interessi, ossia una cifra pari al 12 per cento del PIL. A quelli che si lamentano giustamente, ricordo che per gli interventi a favore del sud spendiamo il 4 per cento del PIL. Anche secondo Draghi e secondo altri ancora questa spesa non ha sicuramente migliorato il gap. Tuttavia, nell'epoca dell'Italia da bere i nostri predecessori, quelli che adesso parlano di risanamento dei conti pubblici, ci hanno dato dentro e anche bene.
Secondo Deaglio, nel 1992 si pagavano circa 10 mila miliardi di tangenti e contributi vari. Questo ha generato una cifra compresa tra i 150 e i 250 mila miliardi di deficit e un importo che va dai 15 ai 25 mila miliardi di relativi interessi sul debito. Oggi la Padania, se non avesse avuto questa croce, sarebbe paragonabile alla Baviera e, ciononostante, ci viene anche detto che non vi sono sacrifici da chiedere. Non ci sono sacrifici da chiedere alle regioni? Vogliamo ricordare il passaggio delle invalidità cosa ha comportato? Un raddoppio della spesa!
Signor Presidente, abbiamo un 10 per cento di falsi invalidi in Lombardia e - non sono cifre nostre, ma dati de La Stampa di Torino - in determinate regioni si registra il 50 per cento. Eppure il presidente della Conferenza dei Presidenti delle regioni, Vasco Errani, esporta caprette da latte nel Sahara. Esporta caprette da latte utilizzando 77 mila euro dei nostri contributi e spende 150 mila euro di contributi per studiare il microclima dei musei Balcanici.

LUISA BOSSA. Sono quote latte, non caprette.

MASSIMO POLLEDRI. Prima di guardare la pagliuzza negli occhi degli altri, il presidente Errani e gli altri dovrebbero guardare la trave nei loro.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

LUISA BOSSA. Sono soldi nostri, soldi del FAS.

MASSIMO POLLEDRI. Termino, signor Presidente, ricordando che il Nord dà circa la metà...

PRESIDENTE. Onorevole Polledri, il suo tempo è terminato!

MASSIMO POLLEDRI. Termino il mio intervento ricordando però che, come diceva Parenzo, la gallina dalle uova d'oro forse si è stufata di dare (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Vannucci. Ne ha facoltà.

Testo sostituito con errata corrige volante MASSIMO VANNUCCI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signori del Governo, francamente - e lo dico senza infingimenti - non ci aspettavamo questi dati sul rendiconto 2009, non perché, come è noto, siamo ottimisti, ma perché le previsioni per il 2009 partivano dagli orribili dati del 2008.
Cosa era successo nel 2008? Nell'orribile 2008 abbiamo registrato un più 8,1 per cento di spesa corrente rispetto alle previsioni, toccando il massimo storico per la spesa corrente, che è passata dal 40,4 al 43,4, vale a dire 6 punti in più rispetto al 1991 che è stato l'anno peggiore della recente storia d'Italia. Si sono registrati poi 33 miliardi in meno di entrate, con una riduzione del gettito dell'IVA pari al 10 per cento che già testimoniava una ripresa dell'evasione fiscale. Vi sono stati poi 40 miliardi in più di ricorso al debito, un giudizio pesantissimo della Corte dei Pag. 13conti, un saldo netto fissato a 32 miliardi che è stato portato, l'anno scorso, a 70 miliardi. Era quindi presumibile, verosimile e possibile migliorare quel disastro. Invece no! Cosa ci dice, infatti, il rendiconto? Che siete riusciti a fare ancora peggio. Dopo il 2008 abbiamo registrato 7 miliardi in meno di entrate tributarie.
C'è solo una voce delle entrate che aumenta, è quella dei giochi che registra il 5,7 per cento in più, ma è una pagina triste, non è il segno di un Paese giocoso, è il segno di un Paese disperato nel quale il potere di acquisto delle famiglie è al 27o posto.
Sul fronte della spesa registriamo una spesa corrente ancora in aumento di 9 miliardi, mentre quella buona, quella per interessi cala di oltre 4 miliardi; risparmiamo 7 miliardi per il pagamento di interessi passivi, ma li bruciamo completamente nella spesa corrente. Riguardo alla gestione dei residui, aumentiamo del 18,7 per cento i residui attivi - traduco il concetto per le persone che seguono il dibattito: i residui attivi indicano le somme rimaste da riscuotere - quelli passivi aumentano del 7,4 per cento: sono le somme rimaste da pagare e sappiamo che questa nostra Repubblica ha molti creditori che aspettano che i loro crediti vengano onorati. Dunque abbiamo 194 miliardi da riscuotere, 99 miliardi da pagare.
La Corte dei conti ci dice che la situazione delle finanze pubbliche ha subito nel 2009 un sensibile deterioramento con una continua revisione delle stime nel corso dell'anno; l'avanzo primario è sceso allo 0,6 per cento del PIL.
Allora, credo che la morale di questi due esercizi della vostra gestione sia la dimostrazione di un fallimento rispetto alle esigenze del Paese e agli impegni che avete assunto con gli italiani. Perché è successo tutto questo? Certamente per la crisi internazionale, ma questo è vero solo in parte, non prendiamoci in giro, la verità va detta agli italiani, questa è la vostra primaria responsabilità: non avere mai voluto dire parole di verità, non avere mai voluto aprire un confronto vero, serio, un tavolo, che pure vi abbiamo proposto, che chiamasse tutti alle proprie responsabilità. Non l'avete fatto per far pagare la crisi a qualcuno e non ad altri, ma ditemi: in quale altro Paese del mondo non vi è stata una discussione parlamentare vera sulla crisi? Perché è successo?
Gli effetti negativi del biennio 2008-2009 sono sì un calo delle entrate, ma i dati sono ben più pesanti, sono la conseguenza delle scelte sbagliate che sono state compiute: i dieci miliardi bruciati per l'ICI per i ricchi, per la bad company per l'Alitalia, le quote latte dilazionate in trent'anni e sulle quali scandalosamente tornate con la manovra, nemmeno trent'anni vi bastano (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico)! Noi oggi siamo in piazza con la Coldiretti a denunciare questa vergogna. Perché non debbono pagare, perché devono andare in cavalleria?
Da ultimo mi soffermo su un fatto fondamentale di cui ha parlato l'onorevole Galletti: mi riferisco ai tagli lineari, che è la principale causa della crescita della spesa corrente, un errore drammatico, tragico, denunciato da noi con forza. Li riproponete con la manovra: tagli per tutti, si fa per dire, non per chi li merita, non per chi si è comportato male, non per chi non ha rispettato le regole; per tutti, che equivale a dire per nessuno, perché poi sulla spesa indispensabile bisogna tornare, e quella impropria continua a crescere, come abbiamo visto.
È stata soppressa la commissione che avevamo istituito per la revisione della spesa che già aveva messo sotto osservazione quattro Ministeri e che stava verificando le spese improprie distinguendole da quelle utili. Finché non comprendiamo che la nostra spesa pubblica così com'è impostata premia i furbi e che la spesa corrente va fuori controllo e finché non affrontiamo il tema vero, che è quello delle riforme, non ne verremo mai fuori. Riguardo alle riforme ci avete detto che queste non si realizzano in tempi di crisi; le riforme le annunciate solo, come quella fiscale, ma questo Paese ha bisogno di una redistribuzione della ricchezza. Tutti i dati Pag. 14ci dicono della rigidità della nostra situazione, della distanza enorme fra i redditi delle persone e diminuire la tassazione sui redditi bassi nel quadro di una redistribuzione del carico sarebbe stato benefico per la domanda interna, per i consumi e per la crescita che non c'è.
La vostra rivoluzione liberale dov'è andata a finire? Il nostro mercato ha ancora bisogno di riforme, che invece avete bloccato, ha bisogno dell'introduzione della concorrenza, che dà minori costi alle famiglie e alle imprese nel campo dell'energia, delle telecomunicazioni, dei servizi bancari e assicurativi.
Anche così, signor Presidente, si cresce. La linea dell'attesa, dello stare a guardare, dell'aspettare gli eventi, dell'attendere la crescita degli altri Paesi, per poi agganciarsi a loro non paga, ci fa andare sempre più in basso.
Certo è diversa la presentazione dei vostri due rendiconti per il 2008 ed il 2009 dalla presentazione del rendiconto per il 2007, che ha dovuto fare davanti a noi il Ministro Tremonti. Ebbene il rendiconto per il 2007, anno gestito interamente dal Governo Prodi, presentato dal Ministro Tremonti cosa diceva? Ve ne voglio leggere alcune righe: «Il 2007 si è chiuso con conti pubblici sensibilmente più favorevoli del previsto, ciò è il risultato di una politica economica che ha perseguito l'obiettivo della crescita e del risanamento. Ai risultati ottenuti hanno concorso sia le entrate che le spese e, per le entrate, un grosso contributo è venuto dai frutti della lotta all'evasione fiscale, mentre l'espansione della spesa primaria è stata rallentata». Questo è stato scritto dal Ministro Tremonti, ciò nonostante il Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, si è permesso di dire che la manovra, che è all'esame del Parlamento in questi giorni, sarebbe il frutto dei due anni di cattiva gestione del Governo Prodi. Noi respingiamo al mittente queste affermazioni.
Per le ragioni da me esposte, signor Presidente, e per quelle espresse nel dibattito, nelle Commissioni e in quest'Aula dai colleghi Marchi e Nannicini il voto del gruppo del Partito Democratico sarà convintamente contrario (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
MASSIMO VANNUCCI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signori del Governo, francamente - e lo dico senza infingimenti - non ci aspettavamo questi dati sul rendiconto 2009, non perché, come è noto, siamo ottimisti, ma perché le previsioni per il 2009 partivano dagli orribili dati del 2008.
Cosa era successo nel 2008? Nell'orribile 2008 abbiamo registrato un più 8,1 per cento di spesa corrente rispetto alle previsioni, toccando il massimo storico per la spesa corrente, che è passata dal 40,4 al 43,4, vale a dire 6 punti in più rispetto al 1991 che è stato l'anno peggiore della recente storia d'Italia. Si sono registrati poi 33 miliardi in meno di entrate, con una riduzione del gettito dell'IVA pari al 10 per cento che già testimoniava una ripresa dell'evasione fiscale. Vi sono stati poi 40 miliardi in più di ricorso al debito, un giudizio pesantissimo della Corte dei Pag. 13conti, un saldo netto fissato a 32 miliardi che è stato portato, l'anno scorso, a 70 miliardi. Era quindi presumibile, verosimile e possibile migliorare quel disastro. Invece no! Cosa ci dice, infatti, il rendiconto? Che siete riusciti a fare ancora peggio. Dopo il 2008 abbiamo registrato 7 miliardi in meno di entrate tributarie.
C'è solo una voce delle entrate che aumenta, è quella dei giochi che registra il 5,7 per cento in più, ma è una pagina triste, non è il segno di un Paese giocoso, è il segno di un Paese disperato nel quale il potere di acquisto delle famiglie è al 27o posto.
Sul fronte della spesa registriamo una spesa corrente ancora in aumento di 9 miliardi, mentre quella buona, quella per investimenti cala di oltre 4 miliardi; risparmiamo 7 miliardi per il pagamento di interessi passivi, ma li bruciamo completamente nella spesa corrente. Riguardo alla gestione dei residui, aumentiamo del 18,7 per cento i residui attivi - traduco il concetto per le persone che seguono il dibattito: i residui attivi indicano le somme rimaste da riscuotere - quelli passivi aumentano del 7,4 per cento: sono le somme rimaste da pagare e sappiamo che questa nostra Repubblica ha molti creditori che aspettano che i loro crediti vengano onorati. Dunque abbiamo 194 miliardi da riscuotere, 99 miliardi da pagare.
La Corte dei conti ci dice che la situazione delle finanze pubbliche ha subito nel 2009 un sensibile deterioramento con una continua revisione delle stime nel corso dell'anno; l'avanzo primario è sceso allo 0,6 per cento del PIL.
Allora, credo che la morale di questi due esercizi della vostra gestione sia la dimostrazione di un fallimento rispetto alle esigenze del Paese e agli impegni che avete assunto con gli italiani. Perché è successo tutto questo? Certamente per la crisi internazionale, ma questo è vero solo in parte, non prendiamoci in giro, la verità va detta agli italiani, questa è la vostra primaria responsabilità: non avere mai voluto dire parole di verità, non avere mai voluto aprire un confronto vero, serio, un tavolo, che pure vi abbiamo proposto, che chiamasse tutti alle proprie responsabilità. Non l'avete fatto per far pagare la crisi a qualcuno e non ad altri, ma ditemi: in quale altro Paese del mondo non vi è stata una discussione parlamentare vera sulla crisi? Perché è successo?
Gli effetti negativi del biennio 2008-2009 sono sì un calo delle entrate, ma i dati sono ben più pesanti, sono la conseguenza delle scelte sbagliate che sono state compiute: i dieci miliardi bruciati per l'ICI per i ricchi, per la bad company per l'Alitalia, le quote latte dilazionate in trent'anni e sulle quali scandalosamente tornate con la manovra, nemmeno trent'anni vi bastano (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico)! Noi oggi siamo in piazza con la Coldiretti a denunciare questa vergogna. Perché non debbono pagare, perché devono andare in cavalleria?
Da ultimo mi soffermo su un fatto fondamentale di cui ha parlato l'onorevole Galletti: mi riferisco ai tagli lineari, che è la principale causa della crescita della spesa corrente, un errore drammatico, tragico, denunciato da noi con forza. Li riproponete con la manovra: tagli per tutti, si fa per dire, non per chi li merita, non per chi si è comportato male, non per chi non ha rispettato le regole; per tutti, che equivale a dire per nessuno, perché poi sulla spesa indispensabile bisogna tornare, e quella impropria continua a crescere, come abbiamo visto.
È stata soppressa la commissione che avevamo istituito per la revisione della spesa che già aveva messo sotto osservazione quattro Ministeri e che stava verificando le spese improprie distinguendole da quelle utili. Finché non comprendiamo che la nostra spesa pubblica così com'è impostata premia i furbi e che la spesa corrente va fuori controllo e finché non affrontiamo il tema vero, che è quello delle riforme, non ne verremo mai fuori. Riguardo alle riforme ci avete detto che queste non si realizzano in tempi di crisi; le riforme le annunciate solo, come quella fiscale, ma questo Paese ha bisogno di una redistribuzione della ricchezza. Tutti i dati Pag. 14ci dicono della rigidità della nostra situazione, della distanza enorme fra i redditi delle persone e diminuire la tassazione sui redditi bassi nel quadro di una redistribuzione del carico sarebbe stato benefico per la domanda interna, per i consumi e per la crescita che non c'è.
La vostra rivoluzione liberale dov'è andata a finire? Il nostro mercato ha ancora bisogno di riforme, che invece avete bloccato, ha bisogno dell'introduzione della concorrenza, che dà minori costi alle famiglie e alle imprese nel campo dell'energia, delle telecomunicazioni, dei servizi bancari e assicurativi.
Anche così, signor Presidente, si cresce. La linea dell'attesa, dello stare a guardare, dell'aspettare gli eventi, dell'attendere la crescita degli altri Paesi, per poi agganciarsi a loro non paga, ci fa andare sempre più in basso.
Certo è diversa la presentazione dei vostri due rendiconti per il 2008 ed il 2009 dalla presentazione del rendiconto per il 2007, che ha dovuto fare davanti a noi il Ministro Tremonti. Ebbene il rendiconto per il 2007, anno gestito interamente dal Governo Prodi, presentato dal Ministro Tremonti cosa diceva? Ve ne voglio leggere alcune righe: «Il 2007 si è chiuso con conti pubblici sensibilmente più favorevoli del previsto, ciò è il risultato di una politica economica che ha perseguito l'obiettivo della crescita e del risanamento. Ai risultati ottenuti hanno concorso sia le entrate che le spese e, per le entrate, un grosso contributo è venuto dai frutti della lotta all'evasione fiscale, mentre l'espansione della spesa primaria è stata rallentata». Questo è stato scritto dal Ministro Tremonti, ciò nonostante il Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, si è permesso di dire che la manovra, che è all'esame del Parlamento in questi giorni, sarebbe il frutto dei due anni di cattiva gestione del Governo Prodi. Noi respingiamo al mittente queste affermazioni.
Per le ragioni da me esposte, signor Presidente, e per quelle espresse nel dibattito, nelle Commissioni e in quest'Aula dai colleghi Marchi e Nannicini il voto del gruppo del Partito Democratico sarà convintamente contrario (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Toccafondi. Ne ha facoltà.

GABRIELE TOCCAFONDI. Signor Presidente, signori rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi, nella congiuntura economica che sta attraversando l'Europa, l'approvazione in tempi rapidi dei disegni di legge di rendiconto per il 2009 e di assestamento per il 2010 rappresenta un segnale importante che, unitamente all'adozione della manovra economica, attualmente all'esame della Commissione bilancio della Camera, concorrerà a rafforzare la sostanziale tenuta dei conti pubblici italiani.
Questi atti sono, quindi, la conferma che questo è un Governo responsabile. Di fronte a momenti non facili questo Governo si assume la responsabilità di scelte che è giusto, anche con il senno di poi, giudicare come positive e opportune perché, dall'esame del rendiconto e ancor più dell'assestamento, risulta che, grazie alla tenacia e al rigore che ha ispirato l'azione del Governo Berlusconi, l'Italia si sta lasciando alle spalle la fase più acuta della crisi.
Devo, peraltro, notare che, proprio dall'esame dei documenti che oggi siamo chiamati a votare, emerge come la situazione dei conti pubblici italiani abbia consentito l'adozione di una manovra più contenuta rispetto a quella approvata in tanti altri Paesi europei, come la Grecia o la Spagna.
Devo anche notare come Paesi considerati non a rischio, come la Francia ed il Regno Unito abbiano fatto registrare quest'anno un rapporto percentuale tra l'indebitamento netto ed il prodotto interno lordo molto peggiore rispetto a quello italiano.
Tuttavia non possiamo negare che, ormai da decenni, il problema dell'Italia rimanga sostanzialmente quello del debito pubblico nazionale, cresciuto ancora nel Pag. 152009, ma anche perché - lo dobbiamo ribadire, onorevoli colleghi - questo Governo, questa maggioranza ha garantito, per esempio, in un momento di crisi, la Cassa integrazione guadagni.
Siamo tuttavia convinti che la manovra europea, come l'ha definita il Ministro Tremonti, attualmente all'esame della Camera, possa contribuire ad una significativa inversione di rotta per il debito pubblico, che in cifre significa 1.800 miliardi di euro.
Annualmente questo Stato paga per soli interessi 85 miliardi di euro. Se fossimo, come l'Europa ci chiede, nella media europea del 60 per cento per quanto riguardo il rapporto tra debito pubblico e PIL, questo Stato risparmierebbe ogni anno almeno 40 miliardi di euro, garantendosi più elasticità per spese varie.
È nostra responsabilità anche come generazione diminuire il debito nazionale e con l'attuale manovra lo stiamo facendo. Venendo più in particolare al disegno di legge del rendiconto, desidero sottolineare, come hanno fatto, tra l'altro, già il relatore, onorevole Girlanda, ed il capogruppo in Commissione bilancio del Popolo della Libertà, onorevole Gioacchino Alfano, che siamo in una fase di transizione e che stiamo lavorando al fine di valorizzare lo strumento che consentirà, anche grazie alle novità introdotte con la legge di contabilità, un più efficace ed effettivo controllo parlamentare sui risultati della gestione amministrativa e della politica di bilancio.
L'articolazione del bilancio in missioni e programmi consentirà una verifica delle politiche pubbliche. In sede di rendiconto sarà possibile anche una valutazione del comportamento della dirigenza, visto che ciascun programma di spesa sarà affidato ad un solo dirigente. Ricordo, inoltre, che è proprio l'Unione europea che ci chiede uno sforzo crescente sull'affidabilità dei dati statistici relativi al bilancio.
Con riferimento ai dati finanziari che emergono dal rendiconto rinvio all'analitica relazione del collega Girlanda, ma si può onestamente riscontrare una sostanziale tenuta dei conti pubblici, che è la migliore conferma delle scelte adottate dal Governo, ispirate nel corso di questi due anni alla prudenza e al contenimento delle spese, intrapreso con decisione da subito con il decreto-legge n. 112 del 2008. C'è chi allora parlò di macelleria sociale. Adesso comprendiamo meglio che era un atto responsabile che ha scongiurato momenti peggiori. È tuttavia dall'esame del disegno di legge di assestamento che arrivano i segnali più incoraggianti, come sottolineato anche in discussione sulle linee generali dall'onorevole Alfano. Il saldo netto da finanziare passa da 62 a 55 miliardi di euro. L'avanzo primario segnala un miglioramento di circa 2 miliardi di euro. Il ricorso al mercato, significativo perché va ad incidere ulteriormente sul debito pubblico nazionale, registra una flessione di 42 miliardi di euro.
Ci rendiamo conto, signor Presidente, che bisogna ancora impegnarsi per una definitiva uscita dalla crisi e soprattutto per aumentare la competitività del Paese. È l'unica strada per garantire lo sviluppo, la crescita e l'occupazione, ma respingiamo fortemente le accuse di chi avrebbe reagito alla crisi dei mercati finanziari attraverso l'aumento della pressione fiscale, già altissima nel nostro Paese, e riaffermiamo così la piena adeguatezza della politica del Governo. Il problema di fondo per tutti i Paesi è come rilanciare i consumi e rimettere in movimento i meccanismi produttivi. Questo non si fa con l'aumento delle tasse. Lo Stato può dare un impulso, ma non può sostituirsi al privato, all'imprenditore. Chi governa in maniera responsabile cerca di mettere sotto controllo i conti pubblici e non di aumentare le tasse. Per queste ragioni, annuncio il voto favorevole del Popolo della Libertà sul disegno di legge di rendiconto e sul successivo disegno di legge di assestamento (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. Sono così esaurite le dichiarazioni di voto finale.

ROCCO GIRLANDA, Relatore. Chiedo di parlare.

Pag. 16

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROCCO GIRLANDA, Relatore. Signor Presidente, prima del voto finale vorrei ringraziare i membri del Comitato dei nove e soprattutto i funzionari della Commissione bilancio per l'importante lavoro che hanno svolto di sostegno all'esame di questo provvedimento.

PRESIDENTE. Prendo atto che il presidente della Commissione si associa.

(Votazione finale ed approvazione - A.C. 3593)

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione finale.
Indìco la votazione nominale finale, mediante procedimento elettronico, sul disegno di legge n. 3593, di cui si è testé concluso l'esame.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione:
«Rendiconto generale dell'Amministrazione dello Stato per l'esercizio finanziario 2009» (3593):

Presenti e votanti 464
Maggioranza 233
Hanno votato 245
Hanno votato no 219

(La Camera approva - Vedi votazionia ).

Prendo atto che i deputati Zaccaria e Mastromauro hanno segnalato che non sono riusciti ad esprimere voto contrario e che il deputato Pionati ha segnalato che non è riuscito ad esprimere voto favorevole.

Sull'ordine dei lavori (ore 13,10).

ELISABETTA RAMPI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ELISABETTA RAMPI. Signor Presidente, intervengo a titolo personale per esprimere a lei piena solidarietà, in quanto offesa nella giornata di ieri, un'altra volta, dal Presidente del Consiglio, che attraverso lei denigra e umilia tutte le donne impegnate e, soprattutto, non asservite al padrone (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico). Le volgari battute espresse, signor Presidente, come ci è stato ricordato, non sono degne né di uno statista né di un galantuomo.

ANTONIO MAZZOCCHI. Signor Presidente, le tolga la parola come ha fatto con l'onorevole Laboccetta!

AMEDEO LABOCCETTA. Signor Presidente, non è giusto!

PRESIDENTE. Onorevole Rampi, la ringrazio.

ELISABETTA RAMPI. Soprattutto, esse esprimono la decadenza cui sono sottoposte le nostre istituzioni... (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. La ringrazio.

Si riprende la discussione (ore 13,12).

(Esame degli articoli - A.C. 3594)

PRESIDENTE. Passiamo all'esame degli articoli del disegno di legge recante disposizioni per l'assestamento del bilancio dello Stato e dei bilanci delle Amministrazioni autonome per l'anno finanziario 2010.
Avverto che gli emendamenti Di Biagio Tab. 6. 2 e Tab. 6. 1 sono stati ritirati dal presentatore.

(Esame dell'articolo 1 - A.C. 3594)

PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'articolo 1, con le annesse tabelle. Ricordo Pag. 17che le proposte emendative presentate sono state ritirate (Vedi l'allegato A - A.C. 3594).

FRANCO NARDUCCI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FRANCO NARDUCCI. Signor Presidente, il nostro gruppo, il Partito Democratico, avrebbe votato a favore dell'emendamento Di Biagio Tab. 6.1, per cui chiedo di farlo proprio e di porlo in votazione.

PRESIDENTE. Onorevole Narducci, gli emendamenti sono stati ritirati prima dell'inizio della seduta, per cui non è possibile accedere alla sua richiesta.
Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo 1.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).

Onorevoli Della Vedova, Grassi, Costa, Martinelli...

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazionia ).

(Presenti e votanti 452
Maggioranza 227
Hanno votato
239
Hanno votato
no 213).

(Esame dell'articolo 2 - A.C. 3594)

PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'articolo 2 (Vedi l'allegato A - A.C. 3594), al quale non sono state presentate proposte emendative.
Passiamo dunque ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo 2.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).

Onorevoli Grassi, Causi, Agostini, Levi, Ferranti, Pizzolante, Zaccaria...

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazionia ).

(Presenti e votanti 459
Maggioranza 230
Hanno votato
242
Hanno votato
no 217).

(Esame dell'articolo 3 - A.C. 3594)

PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'articolo 3, con l'annesso allegato (Vedi l'allegato A - A.C. 3594), al quale non sono state presentate proposte emendative.
Passiamo, quindi, ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo 3.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).

Onorevoli Moles, Agostini, Martinelli, Martella...

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazionia ).

(Presenti e votanti 461
Maggioranza 231
Hanno votato
243
Hanno votato
no 218).

Prendo atto che il deputato Zaccaria ha segnalato che non è riuscito a votare.

(Esame degli ordini del giorno - A.C. 3594)

PRESIDENTE. Passiamo all'esame degli ordini del giorno presentati (Vedi l'allegato A - A.C. 3594). Pag. 18
Nessuno chiedendo di intervenire per illustrare gli ordini del giorno, invito il rappresentante del Governo ad esprimere il parere.

GIUSEPPE VEGAS, Viceministro dell'economia e delle finanze. Il Governo, per quanto riguarda l'ordine del giorno Palagiano n. 9/3594/1, segnala che in realtà il dispositivo contrasta con la legge n. 196 del 2009 ed è quindi disposto ad accoglierlo come raccomandazione nella riformulazione «impegna il Governo a valutare l'opportunità». Con la stessa riformulazione il Governo accoglie come raccomandazione gli ordini del giorno Borghesi n. 9/3594/2 e Cambursano n. 9/3594/3. Il Governo accetta invece l'ordine del giorno Di Biagio n. 9/3594/4.

PRESIDENTE. Sta bene.
Prendo atto che i presentatori accettano la riformulazione e non insistono per la votazione dei rispettivi ordini del giorno Palagiano n. 9/3594/1, Borghesi n. 9/3594/2 e Cambursano n. 9/3594/3, accolti come raccomandazione dal Governo, purché riformulati.
Prendo altresì atto che il presentatore non insiste per la votazione dell'ordine del giorno Di Biagio n. 9/3594/4, accettato dal Governo.
È così esaurito l'esame degli ordini del giorno presentati.

(Dichiarazioni di voto finale - A.C. 3594)

PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto finale.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Cambursano. Ne ha facoltà.

RENATO CAMBURSANO. Signor Presidente, intervengo molto rapidamente per dire che ancora una volta il nostro voto sarà assolutamente contrario a questo assestamento, perché, contrariamente a quanto è stato detto prima, e cioè che esso sta qui a rappresentare che le cose stanno andando meglio, constatiamo invece che così non è.
Constatiamo ciò per una ragione semplicissima, perché le entrate stanno precipitando e i fondi destinati ad alcune missioni vengono ridotti - mi riferisco in particolare, ancora una volta, l'ennesima, al taglio pesante del fondo FAS - così come vengono tolte risorse per la formazione e l'istruzione e le missioni del Ministero dell'interno, destinate per le forze di polizia, per la sicurezza dei cittadini e per il pagamento delle rate degli enti locali.
Si incide quindi ancora una volta pesantemente sulle tasche dei più deboli e di coloro che dovrebbero garantire servizi sociali e di sicurezza ai cittadini. È un bel risultato anche questo! Esso non può che vedere il nostro voto contrario.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Polledri. Ne ha facoltà.

MASSIMO POLLEDRI. Signor Presidente, intervengo per annunciare il voto favorevole della Lega Nord per spargere un poco di ottimismo in questo Paese, perché la via per la risoluzione di quello che è un cul de sac si chiama federalismo fiscale.
Si tratta di un federalismo che coniuga da un certo punto la responsabilità con la spesa.
Oggi abbiamo regioni che spendono senza avere minimamente coscienza di quanto stiano facendo.
Ho ricordato la regione Emilia-Romagna; non voglio ricordare, anzi, la voglio ricordare, la regione di Bassolino, i 1.500 assunti, i vari corsi per veline e quant'altro.
Al collega che menzionava il FAS vorrei semplicemente ricordare i 193 cantieri aperti su cui erano appunto impegnate risorse del FAS quando era Ministro l'onorevole Di Pietro (stiamo parlando del 2008): grazie a ritardi, proteste e carte bollate abbiamo perso 4 miliardi l'anno per le ruspe ferme: quando governavano la Pag. 19manifestazione ed il risultato era quello (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Vannucci. Ne ha facoltà.

MASSIMO VANNUCCI. Signor Presidente, utilizzo pochi secondi perché consegnerò l'intervento. È evidente che il nostro voto sarà contrario perché l'assestamento non è altro che l'aggiornamento a metà esercizio degli stanziamenti del bilancio e quindi la conseguenza del disastroso rendiconto che abbiamo approvato. Nel consegnare il mio intervento le volevo però segnalare in particolare tre elementi che sono presenti nell'assestamento e che vedono la nostra assoluta contrarietà.
A dimostrazione che l'anno 2009 è stato un anno drammatico dal punto di vista delle finanze pubbliche, con l'assestamento avremo un aumento del limite massimo per l'emissione di titoli pubblici da 69 a 82,25 miliardi. Nell'assestamento vi sono poi 2 miliardi e 400 milioni in meno per le regioni per la compartecipazione IVA e per le spese sanitarie, oltre ai tagli che registriamo e che poi discuteremo nel corso dell'esame della manovra finanziaria. Certo onorevole Polledri, prendere ad esempio l'Emilia-Romagna per commentare la spesa delle regioni credo sia un po' azzardato, visto che si tratta di una delle regioni che presenta i parametri migliori in relazione a tutti gli obiettivi di spesa. Signor Presidente, l'ultima cosa che le voglio dire è che con l'assestamento si certifica il fatto che la riduzione di 7 miliardi di spesa per il costo degli interessi dovuto al calo dei tassi viene versata direttamente per coprire la spesa corrente: questo va assolutamente in senso contrario alle dichiarazioni che qui abbiamo sentito - da ultimo quelle dell'onorevole Toccafondi - per cui l'impegno del Governo e della maggioranza sarebbe in assoluta priorità quello dell'abbassamento del debito pubblico che, come a tutti è noto, ha toccato il picco e l'innalzamento più alto della storia (siamo arrivati circa al 118 per cento, il tasso più alto di tutti i tempi). Queste sono le nostre ragioni per un voto contrario (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico). Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale della mia dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Onorevole Vannucci, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Toccafondi. Ne ha facoltà.

GABRIELE TOCCAFONDI. Signor Presidente, intervengo solo per ribadire le motivazioni già espresse in precedenza - ricordando inoltre che la manovra in discussione in questi giorni alla Camera va proprio ad incidere sul debito pubblico nazionale ed invitando quindi anche i colleghi del PD a voler votare favorevolmente sulla manovra - e preannunziare il voto favorevole del gruppo del Popolo della Libertà (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. Sono così esaurite le dichiarazioni di voto finale.

(Votazione finale ed approvazione - A.C. 3594)

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione finale.
Indìco la votazione nominale finale, mediante procedimento elettronico, sul disegno di legge n. 3594, di cui si è testé concluso l'esame.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).

Onorevoli Di Virgilio e Verdini.

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione:
«Disposizioni per l'assestamento del bilancio dello Stato e dei bilanci delle Pag. 20Amministrazioni autonome per l'anno finanziario 2010.» (3594):

Presenti 462
Votanti 461
Astenuti 1
Maggioranza 231
Hanno votato 242
Hanno votato no 219.
(La Camera approva - Vedi votazionia ).

Sospendiamo la seduta, che riprenderà alle 16 per la discussione sulle linee generali del disegno di legge di conversione del decreto-legge in materia di missioni internazionali.
La seduta è sospesa.

La seduta, sospesa alle 13,25, è ripresa alle 16,05.

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Alessandri, Brugger, Caparini, Cicchitto, Colucci, D'Alema, Dal Lago, Donadi, Gregorio Fontana, Giancarlo Giorgetti, Leo, Mazzocchi, Mura, Ravetto, Reguzzoni, Sardelli, Tabacci, Vegas e Vito sono in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente ottantasette, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 6 luglio 2010, n. 102, recante proroga degli interventi di cooperazione allo sviluppo e a sostegno dei processi di pace, di stabilizzazione e delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia (A.C. 3610-A).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 6 luglio 2010, n. 102, recante proroga degli interventi di cooperazione allo sviluppo e a sostegno dei processi di pace, di stabilizzazione e delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 3610-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari Partito Democratico e Italia dei Valori ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che le Commissioni III (Affari esteri) e IV (Difesa) si intendono autorizzate a riferire oralmente.
Il relatore per la III Commissione, presidente della Commissione affari esteri, onorevole Stefani, ha facoltà di svolgere la relazione.

STEFANO STEFANI, Relatore per la III Commissione. Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'esame del provvedimento di proroga del finanziamento per il secondo semestre dell'anno della partecipazione italiana a missioni internazionali costituisce ormai da alcuni anni un momento centrale nei dibattiti parlamentari della nostra politica estera ed ha permesso di stabilizzare una significativa convergenza tra le forze politiche sul nostro impegno internazionale nelle aree di crisi del pianeta.
Oggi è però necessario un più ampio confronto politico sulle nuove sfide e sui nuovi oneri che gravano sulla proiezione internazionale del nostro Paese. È comunque positivo che, a differenza dello scorso anno, sia stato possibile rispettare la cadenza semestrale e non limitare a quattro mesi la proroga delle autorizzazioni di spesa. Rilevo preliminarmente che l'entità complessiva degli stanziamenti ammonta a Pag. 21circa 700 milioni di euro ed è sostanzialmente in linea con quella del primo semestre, scontate le imputazioni di spesa a carattere annuale. Risulta altresì confermato l'equilibrio tra le risorse assegnate alla parte civile e quelle destinate alla parte militare, salvo aggiustamenti interni tra cui segnalo negativamente una decurtazione ai fondi per gli interventi di cui al comma 1 dell'articolo 2 (Iraq, Libano, Pakistan, Sudan e Somalia) che si auspica possa essere recuperabile. Quanto alla copertura con successivi provvedimenti - da ultimo la manovra all'esame al Senato - il Fondo missioni della legge finanziaria è stato reintegrato sino alla definizione dell'ammontare richiesto.
Venendo ai profili di competenza della III Commissione vorrei circoscrivere la mia analisi agli scenari geopolitici che vedono una significativa presenza dei contingenti italiani e che destano maggiore preoccupazione. In primo luogo l'attenzione si concentra inevitabilmente sull'Afghanistan, dove sarà operativo nel secondo semestre dell'anno, secondo quanto previsto da questo decreto-legge, un contingente di 3.790 uomini, con un significativo incremento secondo quanto richiestoci dall'amministrazione USA e dal Presidente Obama. A quasi dieci anni dall'intervento militare successivo agli attentati dell'11 settembre 2001 si impone un bilancio purtroppo non lusinghiero. Non si può evidentemente pensare che la presenza militare internazionale duri in eterno, né che sia possibile con la bacchetta magica democratizzare un Paese che ha la sua storia e le sue tradizioni (personalmente mi vedono molto pessimista sulla soluzione del problema afgano).
Se consideriamo che la Comunità internazionale ha speso in Afghanistan quasi 300 miliardi di euro dall'inizio - di cui 3,3 a carico del nostro Paese - e che gli afgani sono meno di venticinque milioni, pensate che cosa avremmo potuto fare (sono riflessioni che vanno fatte purtroppo). Risultati di stabilizzazione del Paese non ne abbiamo visti, e per quanto riguarda lo sradicamento della droga, dell'oppio, mi pare anzi che la produzione sia aumentata.
Proprio oggi si apre a Kabul una conferenza internazionale che fa seguito a quella di Londra dello scorso gennaio. Da questa conferenza, in cui l'Italia è rappresentata dal Ministro Frattini, dovrebbe venire una spinta decisiva per la cosiddetta afganizzazione, cioè la graduale transizione delle autorità afgane nella gestione della sicurezza interna.
Durante la nostra visita, la visita della Commissione che rappresento, di neanche un mese fa, c'è stato ribadito più volte che la soluzione del problema si sarebbe avuta solamente attraverso l'afganizzazione della sicurezza del Paese. Solo per istruire le truppe afgane gli Stati Uniti d'America stanno spendendo oltre un miliardo di dollari al mese. Come abbiamo detto, il Paese vive una fase molto difficile fra la necessità di intraprendere, da parte della Comunità internazionale, nuove forme di exit strategy, che non può essere rimandata ancora di molto (so che questa parola dà fastidio; a me, forse, può dar fastidio perché è detta in inglese, ma se vogliamo tradurla, una via d'uscita dobbiamo prima o dopo trovarla), e la volontà di democratizzarsi, anche in virtù dei processi di riconciliazione e di integrazione degli oppositori avviate dal Presidente Karzai.
La nuova leadership del generale Petraeus, che ha sostituito il comandante McChrystal, è, perciò, chiamata ad assolvere ad un'enorme responsabilità, anche se è necessario il contributo di tutti i componenti della coalizione perché migliori il quadro politico strategico afgano. In questa ottica, anche l'Italia deve partecipare alla riflessione, in ambito NATO, per una verifica, non più tardi della fine dell'anno, su una nuova strategia all'insorgenza che dovrebbe limitare le vittime civili e conquistare la fiducia della popolazione afgana, la quale, in questo momento, è molto critica nei confronti delle nostre missioni.
Strettamente connesse agli interventi per l'Afghanistan appaiono, quindi, le misure a favore della società pakistana, volte Pag. 22a sostenere il miglioramento delle condizioni socio-economiche nelle aree tribali. Proprio a tal proposito, numerosi esponenti politici pakistani, che ho potuto incontrare nel corso della missione, hanno sollecitato un più forte impegno dell'Unione europea e dell'Italia nel campo dell'educazione delle giovani generazioni che rischiano di essere indottrinate dalle scuole coraniche. Un emendamento in tal senso è stato approvato, in sede referente, dalle Commissioni riunite III e IV.
Un'altra pressante richiesta di Islamabad, ribaditaci dall'incontro col Presidente Zardari, riguarda la stipula dell'Accordo di libero scambio tra Pakistan e Unione europea, perché i pakistani non vogliono assistenzialismo, ma opportunità di sviluppo economico. A questo proposito, va detto che l'Unione europea, da noi espressamente sollecitata, ha manifestato forti dubbi su questo Accordo di libero scambio, dovuti anche alle pressioni dei produttori tessili dell'Europa stessa che vedrebbero, in un libero scambio con il Pakistan, molto penalizzata la loro posizione. Qualcosa, però, è necessario fare, anche se pensiamo e sottolineiamo, come ci è stato evidenziato, che i servizi segreti pakistani hanno una componente di responsabilità per quel che riguarda le unità talebane.
Passiamo adesso all'Iraq: segnalo che sono previsti ulteriori interventi per contribuire alle attività dell'Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati e per iniziative a favore del settore agricolo e sanitario. Assume altresì rilievo il finanziamento per assicurare la partecipazione italiana ai Fondi fiduciari dell'Alleanza Atlantica destinati alla formazione della polizia irachena e alla lotta alla pirateria al largo delle coste somale.
In relazione al Libano, dove il nostro contingente si attesterà nel secondo semestre in media sulle 1.780 unità, si prevedono interventi sul canale multilaterale destinati a sostegno dell'UNICEF a favore dei minori, bisognosi di maggior tutela, e al programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo, la prevenzione e la gestione di emergenze naturali.
In relazione ai processi di stabilizzazione dei Balcani occidentali sottolineo positivamente l'avvio del processo di ratifica dell'Accordo di stabilizzazione e di associazione con la Serbia che spero possa essere iniziato dal nostro Paese. Il ruolo italiano è stato molto significativo e si è concretizzato in una presenza assai rilevante delle Forze armate e di polizia italiane ed in un continuo e motivato sostegno ai progetti di integrazione comunitaria della Serbia e di tutti gli altri Stati dell'area che non deve venir meno di fronte ad alcuni perduranti fattori di incertezza. Penso, ad esempio, al nodo dello status del Kosovo per il quale si attende per la fine del mese la sentenza della Corte internazionale di giustizia de L'Aja e, correlativamente, la difficile situazione della componente serba nell'area kosovara che vede la propria presenza e il proprio patrimonio storico-religioso sotto continua minaccia da parte degli estremisti.
Un importante momento di pacificazione in questa prospettiva potrà essere rappresentato dalla cerimonia di intronizzazione del nuovo patriarca serbo-ortodosso, Irinej prevista per il prossimo 3 ottobre a Pec, cuore religioso di tutta la regione. In tale ottica desterà sicuramente viva preoccupazione nella comunità serba la scelta di una riduzione del nostro contingente in quell'area che, a partire dal 1o novembre, dovrebbe passare da 1.125 a sole 650 unità.
Ricordo tuttavia che il Ministro La Russa ha in più occasioni garantito la continuità della messa in sicurezza dei luoghi sacri ortodossi. Il decreto-legge garantisce inoltre la continuità dell'erogazione del contributo italiano alle iniziative promosse dall'Unione europea nella gestione civile delle crisi internazionali nell'ambito della politica di sicurezza e di difesa comune, nonché ai progetti di cooperazione dell'organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa.
Un modesto, ma significativo contributo, è stanziato per il finanziamento delle attività dell'Iniziativa adriatico-ionica con sede ad Ancona, la cui presidenza di turno attualmente è affidata al nostro Paese. Pag. 23
Infine per quanto concerne le iniziative per lo sminamento umanitario il decreto-legge prevede lo stanziamento di un milione di euro al fine di assolvere gli obblighi internazionali assunti dall'Italia, anche tenuto conto dei nuovi impegni derivanti dalla prossima ratifica della Convenzione di Oslo sul munizionamento a grappolo (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. Il relatore per la Commissione difesa, onorevole Cicu, ha facoltà di svolgere la relazione.

SALVATORE CICU, Relatore per la IV Commissione. Signor Presidente, rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, come già ricordato dal relatore per la III Commissione il provvedimento in esame dispone la proroga sino al 31 dicembre 2010 degli interventi di cooperazione allo sviluppo e a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia.
A me il compito di illustrare le parti di competenza della Commissione difesa e quindi approfondirò gli aspetti tecnici soffermandomi dapprima sulle novità rispetto ai precedenti provvedimenti che fanno riferimento in maniera particolare alle disposizioni contenute agli articoli 5, 6, 7 e 9. Analizzerò quindi successivamente le novità invece che riguardano le missioni più significative richiamate dall'articolo 4 e la copertura finanziaria del provvedimento di cui all'articolo 8.
Dunque l'articolo 5 detta disposizioni in materia di trattamento economico del personale impiegato nelle missioni internazionali.
In particolare il comma 3, con riferimento ai militari inquadrati nei contingenti impiegati nelle missioni internazionali, prevede che l'indennità di impiego operativo, corrisposta nella misura del 185 per cento al personale in servizio permanente e ai volontari in ferma breve trattenuti in servizio dell'indennità operativa di base, sia corrisposta in eguale misura anche ai volontari in rafferma biennale. Si tratta di una misura innovativa e sicuramente condivisibile, che conferisce il giusto riconoscimento economico ai volontari in rafferma biennale impegnati nelle missioni internazionali.
Il comma 4 esclude dalle abrogazioni disposte dall'articolo 2268, comma 1, del decreto legislativo n. 66 del 15 marzo 2010, recante il codice dell'ordinamento militare, che entrerà in vigore a decorrere dal 9 ottobre 2010, alcune disposizioni in materia di personale indirettamente richiamate dal presente articolo.
Il comma 5 prevede che le Forze armate, per le esigenze correlate con la partecipazione alle missioni internazionali ovvero con le attività di concorso in circostanze di pubblica calamità, fino al 31 dicembre 2010, possano continuare ad avvalersi dei lavoratori assunti dal genio militare per l'esecuzione di lavori in economia per interventi infrastrutturali con contratto a tempo determinato.
Il comma 6 è inteso a risolvere dubbi interpretativi sorti in sede di applicazione dell'articolo 16, comma 1, della legge 23 agosto 2004, n. 226, il quale prevede che per il reclutamento del personale nelle carriere iniziali delle forze di polizia ad ordinamento civile e militare e nel corpo militare della Croce Rossa, i posti messi annualmente a concorso sono riservati ai volontari in ferma prefissata di un anno ovvero in rafferma annuale.
Come risulta dalla relazione illustrativa, il dubbio interpretativo verte sulla possibilità che di tale riserva di posti possano beneficiare anche i volontari in ferma prefissata quadriennale. L'interpretazione della disposizione in senso favorevole a tale categoria di volontari, recata dal comma in esame, poggia sulla considerazione che i volontari in ferma quadriennale hanno comunque prestato servizio nelle Forze armate in qualità di volontari in ferma prefissata di un anno, essendo tratti da tale categoria di personale, come risulta anche dalla recente giurisprudenza del Consiglio di Stato.
Il comma 7 integra l'articolo 1, comma 2, della legge 23 novembre 1998, n. 407, che prevede il diritto al collocamento obbligatorio a favore delle vittime del Pag. 24terrorismo, del dovere e delle altre categorie ad esse equiparate, nonché dei loro congiunti, con assunzione per chiamata diretta con precedenza rispetto ad ogni altra categoria e preferenza a parità di titoli. Come risulta dalla relazione illustrativa, per le assunzioni riferite ai livelli retributivi dal sesto all'ottavo sono sorti dubbi in sede applicativa, in quanto si è ritenuto da taluni che tali assunzioni rientrassero nell'ambito applicativo dell'articolo 18, comma 2, della legge n. 68 del 1999. Tale disposizione, nel riconoscere il diritto al lavoro del coniuge e degli orfani superstiti di coloro che sono deceduti per causa di lavoro, di guerra o di servizio, ovvero riconosciuti grandi invalidi per tali cause, attribuisce a favore dei menzionati soggetti una quota di riserva nelle assunzioni pari ad un punto percentuale dell'organico effettivo.
L'applicazione di tale limite anche alle assunzioni previste a favore delle vittime del terrorismo, del dovere e delle altre categorie ad esse equiparate, nonché dei loro congiunti, fa sì che le amministrazioni si trovino nell'impossibilità di dare applicazione alla legge n. 407 del 1998, in quanto la citata quota viene presto saturata. Il comma in esame chiarisce quindi che la quota di riserva di cui al richiamato articolo 18, comma 2, della legge n. 68 del 1999, non si applica alle assunzioni da essa previste.
Il comma 8 è inteso ad integrare l'articolo 2, comma 1, secondo periodo, del decreto legislativo n. 193 del 2007, il quale dispone che per le sole forniture destinate ai contingenti delle Forze armate impiegate nelle missioni internazionali, l'autorità competente, ai fini dei controlli in materia di sicurezza alimentare, sia il Ministero della difesa. In particolare, la disposizione in esame precisa che nello svolgimento di tale attività, al personale medico e veterinario militare sono conferite le attribuzioni e le qualifiche di ufficiale o agente di polizia giudiziaria riconosciute al personale medico e veterinario civile dipendente dal Ministero della salute, dalle regioni, dalle province autonome di Trento e Bolzano e dalle aziende sanitarie locali.
Il comma 9 prevede che, in relazione alle esigenze di supporto sanitario nelle missioni internazionali di cui al presente decreto-legge, il Ministero della difesa possa avvalersi del personale appartenente alla Croce rossa italiana, di ausiliari delle Forze armate e dei relativi mezzi e materiali, nell'ambito dei finanziamenti assicurati per il funzionamento del corpo militare, e delle infermiere volontarie.
Il comma 10 prevede che l'incarico del commissario straordinario della Croce rossa italiana possa essere prorogato fino alla data di ricostituzione degli organi statutari della Croce rossa stessa a conclusione del riassetto organizzativo e, comunque, non oltre il 31 dicembre 2011. La Croce rossa, infatti, è attualmente commissariata ai fini della razionalizzazione e dell'organizzazione delle componenti volontaristiche e della struttura amministrativa centrale e territoriale dell'ente. Allo scopo di agevolare le attività indispensabili per portare a conclusione tale riassetto organizzativo, quindi, secondo la relazione illustrativa, si rende necessario prorogare l'incarico dell'attuale commissario straordinario.
L'articolo 6, in materia di disposizioni penali, al comma 1, oltre a richiamare quanto stabilito dall'articolo 5 del decreto-legge n. 209 del 2008 in materia di applicazione ed emissione del codice penale militare di pace e di attribuzione al tribunale militare di Roma della competenza per l'accertamento dei reati militari, richiama le disposizioni dei commi 1-sexies e 1-septies dell'articolo 4 del decreto-legge n. 152 del 2009, concernenti la non punibilità del militare che, nel corso delle missioni, in conformità alle direttive, alle regole di ingaggio, ovvero a ordini legittimamente impartiti, abbia fatto uso della forza o di altro mezzo di coazione fisica, qualificando come delitto colposo il comportamento del militare che ecceda colposamente i limiti stabiliti dalla legge.
Inoltre, il comma 2 esclude dalle abrogazioni disposte dall'articolo 2268, comma Pag. 251, del citato decreto legislativo n. 66 del 2010, recante il codice dell'ordinamento militare, alcune disposizioni penali indirettamente richiamate dal presente articolo.
L'articolo 7 riproduce al comma 1 quanto già previsto in materia contabile dai precedenti provvedimenti di proroga delle missioni internazionali. In particolare, segnalo che al comma 2, al fine di assicurare la prosecuzione delle missioni internazionali senza soluzione di continuità, si prevede che, entro dieci giorni dall'entrata in vigore del decreto-legge, il Ministro dell'economia e delle finanze disponga l'anticipazione di una somma non superiore ai due sesti delle spese autorizzate dal decreto-legge stesso e, comunque, non inferiore a 215 milioni di euro, a valere sullo stanziamento complessivo che finanzia il provvedimento.
Segnalo, altresì, che all'articolo 8, comma 2, del decreto-legge n. 1 del 2010, recante la proroga della partecipazione italiana a missioni internazionali per il primo semestre 2010, nel prevedere un'analoga disposizione, si individuava un tetto massimo di spesa complessivo per il Ministero della difesa pari a 180 milioni di euro, anziché a 215 milioni di euro.
L'articolo 4, in materia di proroga di finanziamento delle missioni internazionali, e l'articolo 8, recante la copertura finanziaria del provvedimento, possono essere esaminati congiuntamente.
In linea generale, le autorizzazioni di spesa previste all'articolo 4 risultano tendenzialmente in linea con quelle approvate nello scorso semestre. Le differenze più significative riguardano i seguenti teatri operativi: le missioni in Afghanistan ISAF ed Eupol, che vedono incrementata la propria autorizzazione di spesa, complessivamente ammontante a circa 364,6 milioni di euro, di quasi 56 milioni di euro rispetto al semestre precedente.
Si tratta di un incremento che appare riconducibile all'aumento del personale impiegato nelle citate missioni, in attuazione della decisione del Consiglio dei ministri del 3 dicembre del 2009 di aumentare di mille unità il contingente impegnato in Afghanistan. Tale aumento, come preannunciato dal Ministro della difesa, nel corso delle comunicazioni rese davanti alle Commissioni riunite III e IV di Camera e Senato il 10 dicembre 2009, avverrà con gradualità e con una maggiore incidenza proprio nella seconda metà del corrente anno.
Inoltre, vi è la missione UNIFIL in Libano, la cui l'autorizzazione di spesa, ammontante complessivamente a circa 118,5 milioni di euro, risulta diminuita di circa 21 milioni di euro rispetto al precedente semestre. Si tratta di una decurtazione che appare imputabile alla riduzione del personale impiegato, attualmente pari a circa 1.900 unità, di cui 1.690 sul terreno e circa 210 nella componente navale.
Ricordo che dal 1o dicembre 2009 e fino al 30 giugno 2010 l'Italia ha assicurato il comando della Maritime task force su unità classe Maestrale; dal 1o luglio 2010 e fino al 30 settembre 2010 il proseguimento della partecipazione alla forza marittima di UNIFIL avverrà con una unità della classe Comandanti, più piccola delle precedenti e quindi con oneri più contenuti.
Vi sono le missioni concernenti la partecipazione di personale militare in Kosovo, di cui all'articolo 4, comma 3, la cui autorizzazione di spesa ammontante complessivamente a circa 59 milioni di euro risulta ridotta di circa 12 milioni di euro rispetto al semestre precedente. A questo riguardo bisogna ricordare che la consistenza del personale presente in quel teatro, nel secondo semestre 2010, come risulta dalla relazione illustrativa, sarà in media pari a 1125 unità e subirà un graduale ridimensionamento, attestandosi a 650 unità; ciò in conseguenza di una scelta condivisa con gli alleati che sarà attuata secondo modalità e tempistiche concordate in seno al Consiglio atlantico.
Inoltre, rispetto al precedente semestre, si registrano le seguenti novità: l'autorizzazione di una spesa pari a 811 mila euro per la partecipazione di personale militare alla missione dell'Unione europea denominata EUTM Somalia di cui alla decisione Pag. 262010/96 del Consiglio dell'Unione europea del 15 febbraio 2010, la missione è volta a contribuire al rafforzamento del Governo federale di transizione somalo affinché diventi un Governo funzionante al servizio dei cittadini somali; l'autorizzazione di una spesa pari a 10 milioni di euro per il mantenimento del dispositivo info-operativo dell'Agenzia informazioni e sicurezza esterna, a protezione del personale delle Forze armate impiegato nelle missioni internazionali.
Infine, l'articolo 8 dispone la spesa complessiva, come risultante dalle modifiche apportate dalla Commissione, di 707.624.498 euro; alla copertura degli oneri derivanti dal provvedimento si provvede quanto a 701.402.993 mediante corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 1 comma 1240 della legge finanziaria del 2007 recante l'istituzione del Fondo per il finanziamento delle missioni internazionali; quanto a euro 5.443.005 euro, mediante corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 5, comma 8, del decreto-legge n. 1 del 2010 relativa alla partecipazione di personale militare alle missioni delle Nazioni Unite e dell'Unione africana in Sudan denominata UNAMID, per il primo semestre 2010 e quanto a 778.500 euro mediante corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa di cui alla legge n. 49 del 1987 come determinata dalla tabella C allegata alla legge finanziaria del 2010.
Segnalo che le risorse attinte dal fondo «missioni internazionali» come risulta dalla relazione tecnica vengono reperite: quanto a 320 milioni euro dal rifinanziamento del citato fondo disposto dall'articolo 55, comma 5, del decreto-legge n. 78 del 2010 recante misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica attualmente all'esame del Senato; quanto a 24.142.221 euro dalla riassegnazione dei rimborsi ONU per la partecipazione del personale militare alle missioni facenti capo alla predetta organizzazione disposte ai sensi dell'articolo 8, comma 11, del medesimo decreto-legge n. 78 del 2010.
L'articolo 9 prevede che, a decorrere dal 9 ottobre 2010, i rinvii contenuti nel presente decreto a disposizioni originariamente previste da fonti diverse e attualmente riprodotte nel decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, e nel decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 90, recanti rispettivamente il testo unico delle disposizioni legislative e il testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare si intendono effettuati alle corrispondenti disposizioni dei citati testi unici. La disposizione si rende necessaria in quanto, alcune disposizioni di rinvio previste dal presente decreto, sono riferite a fonti normative che saranno abrogate a decorrere dal 9 ottobre 2010 in concomitanza con l'entrata in vigore del decreto legislativo n. 66 del 2010 e del decreto del Presidente della Repubblica n. 90 del 2010.
Nel corso dell'esame del provvedimento presso le Commissioni esteri e difesa è stata inoltre apportata una modifica al testo del decreto-legge concernente il trattamento economico del personale impiegato nelle attività di assistenza alle Forze armate albanesi nella missione relativa allo sviluppo dei programmi di cooperazione delle forze di polizia italiane in Albania e nei Paesi dell'area balcanica e nella missione in Libia disciplinata dalla legge 8 luglio 1961, n. 642.
La modifica è volta ad aggiornare le disposizioni in materia di licenze e assenze per malattia previste da tale legge, al fine di adeguarle a quelle di cui alla legge 27 dicembre 1973, n. 838, relative al personale che presta servizio presso le ambasciate e gli uffici degli addetti militari.
Inoltre, era stata introdotta una disposizione - poi espunta a causa di una condizione soppressiva formulata dalla Commissione bilancio ai sensi dell'articolo 81, quarto comma, della Costituzione - tendente alla stabilizzazione del personale del Genio campale, di cui all'articolo 5, comma 5.
Auspico comunque che - alla luce dei rilievi formulati dalla Commissione bilancio e delle condizioni formulate in proposito, con riferimento all'articolo 97 della Pag. 27Costituzione, dalla Commissione affari costituzionali - si possa addivenire ad una nuova formulazione della disposizione in esame, oppure all'accoglimento da parte del Governo di un apposito ordine del giorno che vada in tale direzione.
In conclusione, esprimo quindi l'auspicio che sul provvedimento in esame si possa manifestare un'ampia convergenza da parte delle forze politiche, per testimoniare il sostegno del Parlamento alle nostre truppe impegnate nelle missioni internazionali (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

ENZO SCOTTI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Signor Presidente, ringrazio i relatori perché hanno puntualmente analizzato i contenuti del decreto-legge e fatto riferimento - in particolare il presidente Stefani, reduce da una positiva visita, sua e della Commissione, in Afghanistan - al quadro politico generale.
Consegnerò poi il testo recante il contenuto analitico degli interventi posti in essere dal Ministero degli affari esteri con i fondi stanziati dai decreti precedenti in materie diverse e articolate. Mi soffermerò, invece, in termini politici, soltanto sulla questione più rilevante - quella afgana - a cui ha fatto ampiamente riferimento il presidente Stefani.
La conferenza di Kabul - alla quale partecipa oggi il Ministro Frattini - rappresenta il primo evento internazionale sull'Afghanistan organizzato a Kabul dagli stessi afgani. Essa fornirà l'occasione per formalizzare una sorta di contratto tra il Governo e la popolazione afgana su cosa e come lo Stato potrà e dovrà fare per la pace e il benessere dei cittadini.
La comunità internazionale sarà chiamata a ratificare il patto, assicurando il proprio perdurante sostegno, e potrà ribadire le aspettative di concreti e misurabili progressi nella governance, nella lotta alla corruzione e nel miglioramento della gestione finanziaria, senza i quali sarà difficile mantenere gli attuali livelli di assistenza tramite il bilancio afgano.
Sul piano dei contenuti, la conferenza è incentrata sul concetto di transizione, quale progressiva assunzione di responsabilità da parte afgana in tema di sicurezza, di governance e di sviluppo. Quanto statuito a Kabul sarà oggetto di valutazione annuale da parte dei Ministri degli affari esteri e di un costante monitoraggio da parte dell'apposito organo misto afgano internazionale che si riunisce a Kabul.
Un ruolo centrale sarà svolto dai team di ricostruzione provinciale - provincial reconstruction team - sempre più orientati agli obiettivi, sul piano civile, di supporto e non supplenza rispetto alle istituzioni afgane. Il nostro patto provinciale di Herat è in prima fila, con una crescente attenzione al rafforzamento della capacità delle istituzioni locali, alla cooperazione civile e alla promozione di rapporti economici, mediante il consolidamento della componente civile e di cooperazione. Il passaggio alla guida civile potrà dare un carattere di irreversibilità al processo.
Transizione non significa abbandono o fissazione di date di ritiro, ma graduale e condiviso disimpegno militare accompagnato da un'accentuazione della cooperazione civile e dalla necessità che gli afgani, senza ulteriori ambiguità e ritardi, si assumano crescenti responsabilità, in un quadro di buon governo. A breve e medio termine ciò significa, nella sicurezza, un'enfasi ancora maggiore sull'addestramento, per trasferire alle forze afgane il comando e lasciando alle truppe ISAF un ruolo di supporto. Si tratterà di un processo a tappe progressive che saranno determinate sulla scorta delle condizioni di sicurezza nelle aree interessate alla transizione.
La comunità internazionale, anche nel corso di tale processo, continuerà ad assistere il Governo afgano nell'assunzione di propri compiti di sicurezza nelle differenti regioni del Paese. Il relativo documento NATO-Governo afgano prevede un'attenta valutazione di quali province saranno pronte per accogliere il processo di transizione. Pag. 28
Il 2014 è visto come traguardo per il completamento di tale processo allorché le istituzioni afgane, in tutti i settori, dovranno essere in grado di gestire autonomamente - pur con la necessaria assistenza internazionale, con funzioni di supporto - i destini della nazione. Kabul non è una conferenza di donatori (quella che oggi è in corso) ma questi ultimi saranno chiamati a riorientare i fondi disponibili verso le priorità afgane e ad impiegarli per progetti sostenibili utilizzando il bilancio di programmi nazionali afgani.
Da parte italiana non possiamo che condividere questi obiettivi visto che già canalizziamo la grande maggioranza del nostro aiuto pubblico, attraverso le strutture afgane, per programmi nazionali afgani. Al contempo, è imprescindibile migliorare i livelli di trasparenza e gestione delle finanze pubbliche da parte di Kabul.
Alla Conferenza di Kabul trova conferma anche il consenso internazionale afgano espresso alla Conferenza di Londra e con l'Assemblea afgana di pace di inizio giugno, sull'opportunità di avviare un processo di reintegrazione dell'insorgenza. Verranno presentati, infatti, il programma afgano di pace e reintegrazione, unitamente, ed i meccanismi previsti per consentire il recupero alla vita civile degli insorgenti, disposti ad accettare la Costituzione e a rinunciare alla violenza e al terrorismo.
Il processo dovrà essere trasparente ed inclusivo di tutte le etnie ed incentrato sulle comunità e non sui singoli, con l'obiettivo di reintegrare i talebani meno ideologizzati e spinti a combattere dalla necessità e dall'assenza di alternative.
La riconciliazione politica che riguarda i vertici dell'insorgenza va tenuta distinta trattandosi di un processo molto delicato che deve necessariamente essere a guida afgana; avanzare caso per caso, riflettere la volontà della società afgana tutta e basarsi sulla collaborazione dei partner regionali, in particolare del Pakistan.
La cooperazione regionale, terzo pilastro a Londra, troverà spazio nei lavori, ma con un'enfasi minore. Il documento di oggi riprende i cardini della materia accogliendo l'impostazione da noi proposta al G8 ministeriale di Trieste, ed oggi pienamente condivisa dalla comunità internazionale.
L'accento è posto sulla connettività declinata nelle sue dimensioni infrastrutturali e normative, sull'esigenza di coordinare le attività degli organi regionali esistenti, nonché sulla cooperazione frontaliera e sull'importanza dei processi trilaterali, cooperazione nella regione.
Abbiamo accolto molto favorevolmente il completamento dell'iter negoziale, che ha portato all'avallo del documento sulle transazioni in Afghanistan e al quale farà ampio riferimento il comunicato finale di questa sera, che costituirà l'intesa fra la comunità internazionale e le autorità afgane.
Conformemente agli obiettivi che la NATO si pone per l'Afghanistan, l'Italia sta focalizzando la propria azione, nel quadro della NATO Training mission-Afghanistan, sulle attività di formazione delle forze sicurezza afgane (esercito e polizia) propedeutiche al graduale passaggio del controllo del territorio dall'ISAF al Governo Karzai.
L'Italia ha deciso di incrementare il proprio contingente di addestratori e dai circa 400 attualmente sul terreno si passerà, entro l'estate, a circa 520 e non sono esclusi ulteriori rafforzamenti. L'eccellenza della nostra attività addestrativa è ampiamente riconosciuta dagli afgani e dagli alleati. Da soli i carabinieri hanno finora formato circa 4.400 poliziotti afgani, contribuendo in modo determinante ad innalzare gli standard di quello che resta il corpo più impegnato nelle attività di contro insorgenza. Sempre in questo campo la Guardia di finanza ha svolto, nel giugno dell'anno scorso presso il proprio centro in Orvieto, un corso di formazione e addestramento per circa 20 tra ufficiali dell'Afghan border police e funzionari doganali, impostato secondo la logica della formazione di formatori. Tale corso è stato complementare alle attività di formazione condotte dalla task force Grifo Pag. 29della Guardia di finanza ad Herat che ha finora portato alla formazione di 650 ufficiali della polizia di frontiera.
Il filo rosso della strategia presentata alla conferenza di Kabul è senz'altro rappresentato dalla capacità di governance. La centralità dei concetti di buona amministrazione, trasparenza e responsabilità, corredati dallo strumento del rafforzamento della capacità amministrativa (capacity building) è, infatti, trasversale e merita crescente attenzione. In assenza di concreti progressi nella capacità di governo nazionale e subnazionale, non possono, infatti, avere sostenibilità né i programmi di sviluppo né i processi di transizione e reintegrazione.
Inoltre, l'Italia è da tempo fortemente impegnata nella ristrutturazione del sistema pubblico afgano, spaziando dal settore della giustizia a quello dell'assistenza alle amministrazioni decentrate. Stiamo facendo ciò concretamente sia contribuendo ai programmi nazionali afgani in materia di capacity building, promossi dall'ONU, sia tramite iniziative concertate sempre ad Herat che vedono il coinvolgimento delle ONG e dei nostri enti locali. Ne è un esempio il progetto promosso dall'università di Genova per la formazione di funzionari pubblici dell'amministrazione provinciale di Herat. Vanno in questa direzione anche il programma di formazione per diplomatici afgani e per il personale nella lotta alla corruzione. A Kabul e ad Herat l'Italia conduce, inoltre, un'azione particolarmente apprezzata nel settore dello Stato di diritto e della giustizia. In totale, il contributo italiano ha portato alla formazione di circa 3.700 tra giudici, procuratori e funzionari afgani in materie giuridiche, con fondi della cooperazione. Abbiamo, inoltre, dedicato particolare attenzione alle fasce deboli della popolazione, con iniziative nel settore della giustizia minorile quali la realizzazione di avanzate strutture di riabilitazione giudiziaria per i minori, il supporto all'ordine forense afgano con la collaborazione del Consiglio nazionale dell'ordine forense italiano, il rafforzamento del patrocinio gratuito e la prestazione di servizi di tutela in giudizio a coloro che tradizionalmente ne sono privi (donne, minori e indigenti), la costituzione e l'assistenza presso la procura generale di un'unità dedicata alle indagini sui delitti violenti contro le donne, l'assistenza alla procura generale e alla procura di Herat, l'appoggio alle donne magistrato afgane anche con la partecipazione del comitato per le pari opportunità del Consiglio superiore della magistratura.
Il processo di transizione, così come gli sviluppi concreti che scaturiranno dalla conferenza di Kabul, restano naturalmente condizionati dall'evoluzione delle condizioni di sicurezza che, allo stato, non consentono certo particolare ottimismo. Reintegrazione e civilizzazione potrebbero modificare lo scenario, almeno in alcune aree del Paese. La conferenza di Kabul e gli impegni che il Governo afgano si appresta ad assumere in tale sede sono da considerare passi nella giusta direzione.
Nessuno dei nostri partner internazionali è in Afghanistan per rimanervi, ma tutti siamo consapevoli che solo un progressivo trasferimento di responsabilità agli afgani, condizionato al perseguimento di risultati concreti, potrà garantire una stabilizzazione duratura del Paese.
Il successo di questa transizione dipende non soltanto da soddisfacenti condizioni di sicurezza, ma anche e soprattutto dallo sviluppo istituzionale, economico e sociale del Paese. Ciò non toglie che la garanzia di una adeguata cornice di sicurezza resti imprescindibile, anche per salvaguardare i risultati finora conseguiti in termini di sviluppo.
In tal senso, voglio ricordare il sacrificio dei nostri soldati feriti nel tentativo di portare pace e sicurezza in Afghanistan, e ringraziare quanti contribuiscono quotidianamente e tenacemente alla realizzazione dei nostri obiettivi nel Paese, dimostrando sul terreno la coerenza e la solidità dell'intervento alleato.
Come ho anticipato, signor Presidente, vorrei consegnare la parte analitica sugli interventi in tutti gli altri teatri nei quali siamo impegnati positivamente, anche se con grandi difficoltà e tra mille ostacoli Pag. 30che vengono da una situazione complessa a cui la politica deve prestare maggiore attenzione.
Signor Presidente, chiedo pertanto che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna di considerazioni integrative del mio intervento.

PRESIDENTE. Sottosegretario Scotti, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritto a parlare l'onorevole Bosi. Ne ha facoltà.

FRANCESCO BOSI. Signor Presidente, dopo le pregevoli relazioni dei colleghi Stefani e Cicu, e del sottosegretario Scotti, non compete a me un intervento di analisi e di relazione sul quantum oggetto del provvedimento legislativo in esame di rifinanziamento delle molteplici attività che il nostro Paese svolge nelle aree di crisi del mondo.
Tali missioni sono svolte per scongiurare effetti più gravi rispetto a quelli che si manifestano già e anche per obbedire, in un intreccio inscindibile, ad una esigenza, che è quella di essere una nazione che partecipa attivamente alla strategia internazionale degli organi di rappresentanza (dalle Nazioni Unite, all'Unione europea e alla Nato) nello sforzo di rendere migliore il nostro pianeta, di evitare l'esplosione incontrollata di violenze e che la forza bruta prevalga rispetto alle ragioni del diritto, nonché di garantire il rispetto dei diritti fondamentali della persona umana e dei popoli che sono minacciati e calpestati.
È inutile stare qui a ripercorrere le tappe di quanto è accaduto dopo quel fatidico 11 settembre 2001 quando tutto, in fondo, è cambiato. Nessuno avrebbe mai osato pensare che il terrorismo potesse colpire nel cuore la più grande potenza democratica del mondo e tutto quello che poi successivamente è accaduto è stato un correre ad una mobilitazione per dare un contributo originale.
Ciascun Paese lo ha fatto con le proprie possibilità, ma anche direi con il proprio spirito, il proprio giudizio e le proprie prerogative anche culturali. In fondo, l'Italia nelle missioni internazionali è sempre risultata molto attenta ad introdurre, garantire e tutelare le ragioni umanitarie.
Non a caso il provvedimento che oggi andiamo ad esaminare in larga parte si occupa proprio di spesa nei settori della ricostruzione e dell'assistenza sanitaria, attraverso i piani dell'organo mondiale della sanità, dell'UNICEF per l'assistenza ai bambini e ai piccoli, anche sotto il profilo della formazione e dell'educazione, quindi non solo sul piano militare e della polizia (che sono fondamentali).
Ricordo, per avere personalmente partecipato nel periodo in cui ero sottosegretario alla Difesa, quando si insediò il Comando italiano nella regione di Herat, che già cominciavamo ad inviare persone in grado di educare e formare anche le coscienze della donna che veniva considerata come un oggetto. In particolare, ricordo che mi fece molto impressione il fatto che le bambine che si ustionavano, accendendo il fuoco con abiti sintetici, venivano portate nel bosco in attesa che morissero - e molti nostri soldati le hanno salvate - perché una bambina ustionata non valeva più niente al mercato. Questo era il valore che si dava alla donna e bisogna ricordarlo, averlo molto ben presente quando parliamo dell'Afghanistan. Al riguardo però, non voglio correggere il collega Stefani, ma non sono d'accordo quando sento serpeggiare un pessimismo acuto in ordine alla missione della NATO in Afghanistan. Infatti, in Afghanistan - basta aver vissuto l'arco temporale da quando la missione è iniziata ad oggi - molte cose sono cambiate in meglio.
Certo, se parliamo di un controllo totale del territorio oggi siamo ancora lontani da questo obiettivo, ma si comincia, ad esempio, ad avere forze armate che prima non esistevano, che possono e stanno svolgendo una funzione importante anche ovviamente con il supporto del contingente internazionale, ivi compreso quello dell'Italia. Oggi le forze armate afgane hanno una loro capacità di controllo anche parziale del territorio. Pag. 31
Sicuramente vi è da ricostruire, ad esempio, la polizia. Anche in sede di Assemblea parlamentare NATO (è qui presente anche l'ex Ministro e collega Parisi che fa parte della delegazione italiana in sede NATO) si è parlato molto, per esempio, del punto critico delle forze di polizia, le quali, a volte, risultano formate da soggetti che tutto fanno fuorché esercitare una funzione di polizia. I carabinieri sono molto richiesti per la formazione e l'addestramento della polizia.
Dobbiamo certamente anche aiutare economicamente le popolazioni che vivono di attività illegali, sottratte le quali entrano nella disperazione. A volte, questi interventi producono, come dire, quasi una fatale simpatia nei confronti di soggetti come i talebani o gli «insorgenti», come vengono chiamati, termine che, tuttavia, non condivido, perché bisognerebbe discutere che cosa vuol dire insorgere. Insorgere rispetto a cosa? Si tratta di bande di soggetti che vogliono opprimere, non è che insorgano rispetto a qualcosa.
Ma, al di là di questo aspetto, dobbiamo pensare all'economia, a cui le forze internazionali, ivi compresa l'Italia, forniscono il proprio contributo: ricostruire le strade, i ponti, i mezzi di collegamento, le scuole, e gli ospedali, cioè restituire a quel Paese il volto di un Paese civile, nel quale la convivenza civile e il rispetto per la dignità delle persone comincino ad essere un valore.
Noi avremo vinto questa sfida e questa battaglia il giorno in cui la popolazione si ribellerà contro la prepotenza dei talebani e vi sono sintomi in questo senso.
L'Unione europea ha fatto la propria programmazione: il 2013. Il sottosegretario parlava del 2014 e non so quali siano le date. Oggi indicarle francamente è temerario, ma vi sono alcuni elementi che non possono sfuggire: in primo luogo, che l'impegno di tutto il mondo che si riconosce negli organi internazionali dall'ONU alla NATO e all'Unione europea (cioè tutto quel mondo che si muove sull'Afghanistan) non può perdere questa sfida. Se ciò accadesse e se ce ne andassimo via, lasciando che tutto ritorni come prima, sarebbe la fine di un modello di civiltà nel quale dobbiamo riconoscerci.
Quindi, come classe dirigente e come forze politiche non dobbiamo dare il senso di una certa stanchezza e lo dico proprio perché fortunatamente in quest'Aula (nella quale a volte esplodono contrapposizioni talvolta francamente anche esagerate) si verifica, grazie a Dio e alle buone ragioni che sottendono queste missioni internazionali, una larga coesione. E la troviamo non solo per il rispetto dei nostri militari che rappresentano il Paese in quei territori e per il rispetto che dobbiamo ai tanti sacrifici e ai tanti caduti, ma anche perché dietro vi sono le ragioni fondamentali del diritto, della convivenza civile, delle grandi opzioni di un'epoca nella quale noi viviamo.
Credo che questo provvedimento (naturalmente tutto si può far meglio) risponda a questa logica. Magari dovremmo migliorare e mi riferisco al relatore della IV Commissione (Difesa), in particolare nei prossimi provvedimenti, lavorando in Commissione, la questione dei codici militari di guerra. Non possiamo continuare a rimanere con i vecchi codici che non rispondono più alla situazione e che, di volta in volta, vengono emendati un po' come toppe che si mettono sul sistema. Magari, dovremmo vedere come mobilitare risorse, capitali ed anche investitori, nelle zone più colpite. Penso all'Afghanistan, ma anche ad altre situazioni.
Allo stesso modo, e mi avvio a concludere, non dimentichiamo (spesso parliamo solo di Afghanistan) quanto è servita, ad esempio, la nostra presenza in Kosovo. Ricordo che in quella regione avevamo più di 4 mila militari. Un giorno mi sono recato lì personalmente: credevano che fossimo andati a ritirare i militari e fummo circondati ed aggrediti da una folla che era preoccupata che il ritiro delle nostre forze armate da quella regione potesse riaccendere la guerra civile.
Pensate in quante zone del mondo (sono tutte elencate in questo provvedimento: nel Libano, nel Pakistan, in Somalia, nel Sudan, nello Yemen, nell'Africa, a Pag. 32Cipro, in Palestina, in Bosnia), in quante zone di crisi le più perverse e gravi conseguenze non si determinano grazie alla presenza internazionale, tra le quali quella del nostro Paese. È un momento difficile per l'economia, per le famiglie e anche per le prospettive su come progettare e programmare il futuro. Guai sarebbero se il nostro Paese rinunciasse a queste missioni, alla sua presenza nella scena internazionale per far sentire la propria voce e per dire al mondo che anche noi vogliamo che trionfino le ragioni del diritto, della legalità, del rispetto dei valori fondamentali della persona umana.
Questo a me pare un elemento centrale del provvedimento, sul quale interverrò di nuovo in sede di dichiarazione di voto, ma certamente con un grande rispetto e con una grande considerazione soprattutto per le nostre Forze armate, che, in un momento così difficile, riescono a stare sulla scena dimostrando grande valore e grande dignità (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro e di deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Mogherini Rebesani. Ne ha facoltà.

FEDERICA MOGHERINI REBESANI. Signor Presidente, innanzi tutto mi faccia iniziare il mio intervento con una nota di rammarico, perché in quest'Aula stiamo svolgendo una discussione molto importante e assumeremo domani una decisione molto importante in assenza del Ministro della difesa. Non è infatti presente in Aula il Ministro, non sono presenti i sottosegretari alla difesa, non è presente il presidente della Commissione difesa e credo che questo atto svilisca il dibattito che stiamo facendo e i lavori parlamentari. Forse denota il fatto che il Governo, così come il presidente della Commissione, valuta più lucidamente di noi (che ancora, in fondo, crediamo che questo dibattito abbia un senso e un'importanza) il fatto che ormai stiamo discutendo di sei mesi in sei mesi - purtroppo a volte anche di quattro mesi in quattro mesi o di due mesi in due mesi, come è successo recentemente - un rifinanziamento che, nei contenuti e nel merito della discussione e della decisione, rischia di diventare vuoto.
Lo dico perché logica e buonsenso vorrebbero che si partisse dagli scenari internazionali in cui operiamo - a cominciare da quelli più complessi, come quello dell'Afghanistan, fino a quelli in cui, invece, nel corso degli anni e dei decenni, le cose sono andate migliorando, anche grazie ai nostri interventi -, che si delineassero, ovviamente sempre insieme ai nostri alleati, gli obiettivi degli interventi nelle aree di crisi, che, a seconda degli obiettivi e degli scenari, si definissero le comuni strategie e, solo a partire da queste, che si arrivasse a una discussione e a una decisione sugli strumenti da adottare, sia militari sia civili.
Purtroppo, invece, oggi ci troviamo per l'ennesima volta a discutere e a decidere degli strumenti «al buio» degli scenari. Il decreto-legge che stiamo convertendo riguarda il finanziamento di missioni senza che vi sia un'altra sede, un altro luogo, un altro momento e un'altra occasione in cui discutere, non del quanto, ma del come, del perché e anche del bilancio di anni di impegno, importantissimo e fondamentale, ma che, comunque, va analizzato in qualche sede.
È evidente che negli ultimi mesi e sicuramente negli ultimi due anni, questa sede e questa occasione non sono state rappresentate dal dibattito parlamentare. Abbiamo presentato, come Partito Democratico, un'iniziativa già dall'inizio della legislatura per una legge quadro sulle missioni internazionali che consenta al Parlamento di discutere nel merito; la proposta di legge quadro è stata incardinata effettivamente per la discussione, ma giace in modo abbastanza sterile da un mese e mezzo-due mesi senza procedere e andare avanti.
Credo che sarebbe di beneficio per il Paese e per il Parlamento, ma anche per il Governo, riuscire a svolgere una discussione finalmente nel merito delle singole questioni e dei singoli scenari, piuttosto che votare sempre e soltanto sull'ultimo Pag. 33degli anelli della catena, che ci dovrebbero portare con il buonsenso e con la logica a prendere decisioni su questa materia.
Oggi ci troviamo a discutere di un decreto-legge semestrale; è già un passo in avanti rispetto all'anno scorso, quando il rifinanziamento avveniva prima per sei mesi, poi per quattro mesi e infine per due. La logica dietro alla decisione di semestralizzare il rifinanziamento delle missioni, purtroppo, mi sembra la stessa.
Vorrei fare un passo indietro e tornare al dicembre dell'anno scorso, al gennaio di quest'anno, quando abbiamo convertito un decreto-legge sostanzialmente identico a questo, che, però, esauriva per i primi sei mesi del 2010 l'intero ammontare del fondo per le missioni.
Una scelta quindi è stata fatta a inizio anno, ossia di finanziare le missioni solo per sei mesi e non un anno, non perché - e torno alla questione di merito - non vi fosse la possibilità a dicembre di valutare la strategia necessaria per tutto l'anno scorso e, quindi, non perché ci fosse bisogno di fare ad un certo punto dell'anno un bilancio sulla nostra presenza nelle missioni internazionali - oltretutto (faccio un inciso) in ogni caso questo bilancio in questa sede non è stato fatto -, ma perché non vi erano i fondi sufficienti per coprire tutto l'anno.
Lo stato delle cose mi sembra abbastanza evidente, tant'è che oggi rifinanziamo per altri sei mesi le missioni solo grazie al fatto che abbiamo trovato una copertura sui giochi, cosa che si presterebbe anche ad una qualche ironia, che però evito di fare per rispetto dei nostri militari in missione all'estero.
Questo decreto-legge rifinanzia le missioni per sei mesi, cambiando la distribuzione interna delle risorse, ma non la loro somma finale (credo che sia questo il motivo per cui la scelta sia stata posticipata di sei mesi in sei mesi); esso autorizza la partecipazione dei nostri militari a missioni internazionali, nel numero di 8.338 (mentre per i primi sei mesi erano 8.744 e quindi si riducono i nostri militari all'estero), con l'obiettivo però di rimodularne la presenza nei diversi teatri, secondo evidentemente una strategia che, già a dicembre, il Governo ci aveva indicato: aumentare, dietro indicazione e richiesta degli alleati, innanzitutto americani, la nostra presenza in Afghanistan e ridurla in altri scenari, a partire dal Libano e dai Balcani.
Al di là di questa rimodulazione dal punto di vista militare, vi è però una costante dal lato della cooperazione, che io vorrei citare proprio in apertura del dibattito, perché credo che sia fondamentale, oltretutto, poiché abbiamo qui in Aula soltanto il rappresentante del Ministero degli affari esteri, penso che sia utile almeno interloquire con chi c'è piuttosto che con chi non c'è. I tagli alla cooperazione infatti in questo decreto-legge ci sono e sono pesanti.
Noi abbiamo presentato e ripresenteremo in Aula degli emendamenti per ripristinare almeno i livelli di cooperazione, finanziati per i precedenti sei mesi (almeno quelli). Tuttavia si passa per l'Afghanistan da 22 milioni 300 mila euro, finanziati per sei mesi nel 2009, a 18 milioni 700 mila euro per sei mesi di quest'anno.
Per quanto riguarda gli altri scenari, Iraq, Libano, Pakistan, Sudan e Somalia, cioè tutte aree di crisi abbastanza sensibili (pensiamo soltanto al fatto che è incluso il Pakistan, che ha qualcosa a che fare con l'Afghanistan), passiamo da 22 milioni 700 mila euro, previsti per i primi sei mesi del 2009, a 9 milioni 300 mila euro, per i sei mesi del 2010, ovvero meno della metà dell'anno scorso.
Se allora hanno un senso le parole del Ministro Frattini e dello stesso sottosegretario Scotti, oggi qui presente in Aula, ovvero che bisogna aumentare il lato civile, la cooperazione, il trasferimento di poteri, questo significa che forse va destinata qualche risorsa in più - e non in meno - a questa voce di bilancio.
Questi tagli si sommano inoltre ai tagli che l'ultima finanziaria del 2010 ha già operato sul Fondo per la cooperazione, che si è ridotto a un minimo storico (credo allo 0,15 per cento del PIL, pari a 326 milioni, per tutto il 2010). Pag. 34
Se si sommano quindi la decisione della finanziaria del 2010 con le decisioni prese da questo decreto-legge di proroga delle missioni, si arriva ad un livello di cooperazione internazionale dell'Italia assolutamente vergognoso.
Per di più ritroviamo in questo decreto-legge una scelta di merito che riguarda il Ministero degli affari esteri, ovvero di far gestire questi fondi, effettivamente esigui, ad una task force interna allo stesso Ministero degli affari esteri, ma separata dalla direzione generale per la cooperazione allo sviluppo (DGCS).
È una scelta che evidentemente svuota ulteriormente la DGCS, già ridotta - devo dire la verità - all'ombra di se stessa, perché è evidente che gestire così pochi fondi la mette chiaramente in difficoltà nel suo lavoro quotidiano, ed è una scelta che obiettivamente capisco che non è prioritaria in questo provvedimento, ma lo è sicuramente per la vita della DGCS e della nostra cooperazione all'estero e che crediamo non possa essere condivisa.
Andando sul dettaglio, teatro per teatro, in Afghanistan i nostri uomini nei prossimi mesi aumenteranno (a quanto pare, passeranno da 3.451 a 3.941). Si dice - oggi lo dice il Ministro Frattini, lo ripete il sottosegretario Scotti in Aula - che le priorità sono il civile, la transizione e la formazione.
Ma al tempo stesso diminuisce - almeno così è scritto nel decreto-legge - lo stanziamento per la Guardia di finanza in Afghanistan, che diminuisce di 400 mila euro su un milione e 500 mila. Si tratta quindi di un terzo dei finanziamenti in meno per la Guardia di finanza, mentre sappiamo quale ruolo essa svolga in Afghanistan, ovvero un'opera di controllo delle frontiere (proprio quelle frontiere così problematiche con il Pakistan), di controllo sulle attività di produzione dell'oppio (così problematico per la stabilizzazione del Paese) e di addestramento della polizia e delle forze militari afgane (così fondamentali per il passaggio di poteri).
In più, Frattini oggi dice che bisogna rafforzare la componente civile dei PRT e che la transizione richiede un grande sforzo di formazione delle forze di sicurezza: da una parte vediamo annunci e parole, dall'altra però le cose che sono scritte in questo decreto-legge obiettivamente sembrano smentirle. Ma il punto imbarazzante è che cosa facciamo, che cosa stanno facendo e che cosa faranno in questi sei mesi i nostri uomini in Afghanistan: questa è la grande domanda cui il Governo non trova - probabilmente non la cerca neanche - una risposta.
Vi sono una serie di domande che in questi ultimi due mesi si affacciano all'opinione pubblica mondiale e che in Italia non sono evidentemente degne di trovare risposta in sede parlamentare. Cambia il comandante NATO da McChrystal a Petraeus (e faccio notare che non è soltanto il comandante delle truppe americane, ma anche delle truppe italiane), ma di questo non sembra esservi traccia nella discussione parlamentare o nelle informative del Governo italiano.
Il Governo si è accorto che è cambiato il comandante delle proprie truppe in Afghanistan? Con il cambio di comando cambia anche la strategia? Qual è la posizione dell'Italia rispetto alla strategia militare che la NATO sta adottando in Afghanistan? Qual è la discussione a livello internazionale, a livello della NATO, su questo? Qual è il contributo italiano? Non è dato sapere! Vi è un cambio delle regole di ingaggio in corso in questi mesi legato al cambio di comando e quindi di strategia? Vi è un cambio di politiche rispetto alle vittime civili (sono di questi ultimi mesi i dati secondo cui il 69 per cento delle vittime civili è dovuto all'insorgenza, ma il 23 per cento è dovuto alle forze internazionali)? È in atto una riflessione su questo aspetto, una presa di posizione da parte del Governo italiano nelle sedi internazionali?
Quanto al trasferimento di competenze si parla del 2014 e proprio oggi questa data è stata ribadita. Benissimo: tuttavia, proprio oggi sia Frattini sia Scotti hanno ripetuto - ed ovviamente mi sembra di buonsenso anche questo - che non si può parlare di una data di ritiro certa se non Pag. 35legandola alle condizioni sul terreno, che ovviamente devono essere valutate, neanche di anno in anno, ma di mese in mese.
Vi è però un'intervista del Ministro La Russa, mai smentita, di circa un mese fa in cui egli parla di un ritiro italiano che inizierà nel 2011 per terminare nel 2013: mandiamo allora più uomini a partire da settembre del 2010 per iniziare il ritiro dopo sei mesi? Per fare cosa, esattamente?
Vi è poi la notizia, chiaramente ufficiosa, di un trasferimento sotto il comando NATO dell'azione delle forze speciali che oggi stanno operando sotto Enduring Freedom. Ciò sembrerebbe ipotizzare un'integrazione delle due missioni, Enduring Freedom ed ISAF: esiste una posizione italiana al riguardo? Il Governo italiano ne è informato, ne è consapevole, la condivide? Nulla, il silenzio.
Inoltre, stiamo aumentando il contingente in un momento in cui appunto si avvicenda il comando. Gli uomini in più ci erano stati chiesti in funzione di un'altra strategia; oggi il comando cambia, la strategia viene probabilmente rivista: quegli uomini in più, che a gennaio non eravamo in grado di mandare, oggi sono ancora richiesti? Con quali funzioni?
Sono tutte domande che purtroppo non trovano risposta: mi auguro che sia una sorta di disattenzione del Governo - pur grave - non voler dare queste risposte al Parlamento, ma sarebbe molto più grave se il Governo non avesse queste risposte o addirittura non si fosse posto le domande (e il sospetto, devo dire, esiste).
Quanto agli altri teatri, in particolare vorrei soffermarmi sui Balcani, perché è qui che avviene la diminuzione maggiore del nostro contingente ed anche delle nostre risorse.
Il Kosovo passa da 1.125 unità a 650. In Bosnia il 3 ottobre sono previste le elezioni e lo stesso relatore Stefani ha ricordato come potrebbe essere una data foriera di una qualche instabilità nella regione.
Ricordiamoci comunque che si tratta di Paesi più che vicini a noi, le conseguenze della cui instabilità sarebbero direttamente collegate a fenomeni che ci riguarderebbero direttamente: rammentiamo soltanto le conseguenze della guerra nella ex Jugoslavia sul nostro territorio.
In Bosnia passiamo da 250 a 170 uomini: vi è una riduzione sostanziale del nostro contingente. È vero che ciò rientra in un ridimensionamento generale delle truppe NATO nella regione, ma l'impressione è che l'Italia, più che compiere una scelta strategica condivisa con gli alleati, usi tale scelta come strumento funzionale, indispensabile e irrinunciabile per aumentare le truppe in Afghanistan: siccome la logica è quella dei tagli lineari, anche nel settore della difesa e della politica estera, per cui non si compie una scelta strategica di priorità e, a seconda della priorità, si allocano le risorse, ma si pensa semplicemente a tagliare a pioggia, equamente, dove capita, allora, compiuti i tagli lineari a monte, a valle gli uomini che restano si spostano sullo scacchiere internazionale. Si tratta di un metodo che sinceramente denota scarse capacità di definizione strategica e di operare delle scelte in termini di priorità.
Inoltre - devo ribadire la verità - in tale modo si perdono alcune occasioni. Qualche settimana fa il sottosegretario Cossiga ci ha confermato, durante la nostra interrogazione in Commissione, che effettivamente l'Italia non ha «potuto» - non «voluto» - assumere il comando NATO in Kosovo, che pure le era stato offerto, perché non avevamo gli uomini necessari nel teatro. La scelta di tagliare le truppe in Kosovo era stata infatti già operata ed era necessaria per motivi di bilancio: non per motivi politici, per motivi economici. Si tratta sinceramente di una situazione che, per un Paese che ha una politica estera, una politica di difesa degna di questo nome, dovrebbe essere semplicemente impossibile da pensare.
E poi ci si viene a dire che però la nostra azione rispetto ai Balcani viene potenziata, attraverso la creazione di un Segretariato permanente dell'iniziativa adriatico-ionica, costituito però non all'interno di un Ministero, non sotto la responsabilità diretta del Ministero degli Pag. 36affari esteri e del Ministero della difesa, ma come fondazione di diritto privato. Noi assegniamo la nostra iniziativa politica, che dovrebbe sostituire un'iniziativa militare che - lo capisco - volge al termine, ad una fondazione di diritto privato!
Infine, un ultimo scenario, molto marginale, ma sinceramente simbolico: quello del Sudan e del Darfur. Nel cosiddetto decreto-legge missioni sparisce la missione italiana in Darfur. La missione UNAMID è una missione mista ONU-Unione Africana, che passa per l'Italia da 103 a 3 unità; anche se attualmente risulta essere presente sul luogo soltanto un italiano. La spesa precedente era di 5 milioni di euro. Su tale aspetto, interrogato in Commissione, il sottosegretario Cossiga ci ha spiegato candidamente che il motivo per cui non era stata stanziata una cifra consistente, adeguata alla missione, è che comunque essa non sarebbe partita, in quanto il Governo sudanese non rilascia i visti per permetterglielo. È quindi evidente che la decisione di inserire nel decreto-legge in esame una cifra simile non avrebbe nell'immediato un impatto, una rilevanza, una conseguenza concreti: non sono partiti prima, non partiranno certo ora.
Il punto però è l'atteggiamento del Governo italiano, che temo denoti un'attitudine complessiva rispetto alla propria politica estera e di difesa, soprattutto la propria politica estera, in questo caso: decidere che, siccome il Governo sudanese non rilascia i visti per far partire la missione in Darfur, allora il Governo italiano non rinnova neanche la propria disponibilità economica, e quindi militare e politica, a partecipare a tale missione è il segnale di una rinuncia simbolica e politica a svolgere un ruolo internazionale.
Piuttosto che cancellare una voce di bilancio, piuttosto che rinunciare a svolgere un'azione diplomatica e politica, anche militare, in un teatro delicato come quello, forse varrebbe la pena che il Governo italiano si facesse promotore di un'iniziativa politica e diplomatica, sia bilaterale rispetto al Governo del Sudan, sia multilaterale nelle sedi internazionali a partire dalle Nazioni Unite, perché quella missione effettivamente parta, perché quella missione avvenga e non prenda semplicemente atto, in modo neutro e rassegnato, del fatto che quella missione non ci sarà mai.
Ma evidentemente queste sono valutazioni e scelte politiche, e forse in questa sede, in questa occasione, non stiamo discutendo di scelte politiche. Il problema è che non esiste un'altra sede, non esiste un altro momento, non esiste un'altra occasione per queste valutazioni e queste scelte (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Evangelisti. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, è davvero singolare il fatto che noi ci troviamo oggi a dibattere di questo secondo rifinanziamento per questo anno delle missioni internazionali; missioni che ci vedono coinvolti in giro per il mondo, nello stesso giorno in cui si è aperta, è in corso la Conferenza di Kabul.
Si tratta di una Conferenza, purtroppo, caratterizzata (era prevedibile) da una serie di attentati: uno ha causato oggi tre feriti gravi, e tra l'altro si registra anche un proiettile di mortaio esploso in un rudimentale campo da calcio a nord della capitale afgana poco prima dell'inizio dei lavori a cui partecipano Ministri (fra cui il nostro Ministro degli affari esteri) e rappresentanti di settanta Paesi e organismi internazionali e regionali.
Sappiamo bene tutti che si tratta di un appuntamento cruciale; un appuntamento che serve a illustrare le priorità, le direttive con cui il Governo del Presidente Hamid Karzai, sostenuto dalla comunità internazionale, è chiamato ad assicurare sviluppo e democrazia. Come già sottolineato da molti commentatori (ma forse anche «commendatori») questa è l'occasione che può essere fondamentale per stipulare un patto tra il leader e il popolo afgano sul percorso fin qui compiuto e sui passi che restano da fare, soprattutto nella direzione di una vera e duratura autonomia Pag. 37e nella realizzazione di quell'obiettivo di afganizzazione della nazione, sul raggiungimento del quale l'intera comunità internazionale si è fatta garante affinché gli impegni assunti venissero onorati.
Le sfide cui Karzai deve far fronte e dovrà fare ancora più fronte spaziano dalla governance alla sicurezza, dallo sviluppo economico alla formazione e all'autonomia di esercito e polizia. Ne seguiremo gli sviluppi, con il dovuto interesse naturalmente, con uno sguardo particolare alla più cruciale delle aspettative che il mondo ripone in questa Conferenza: la riconciliazione nazionale e il recupero dei talebani che combattono perché non hanno alternative, convincendo quindi gli insorti ad abbandonare le armi. Certo, la prima questione è quella più complessa, tutta politica, in quanto si tratta di riammettere alla vita politica e democratica del Paese quanti ancora oggi rappresentano la spina dorsale del movimento che si è opposto e si oppone a Karzai.
Vorrei solo per un attimo fare un breve excursus del nostro impegno militare. Dal secondo dopoguerra ad oggi l'Italia ha partecipato a 124 missioni militari fuori dai confini nazionali, e di queste 33 sono tuttora in corso. Nell'ultimo decennio abbiamo assistito ad un netto incremento del numero delle missioni militari cui l'Italia prende parte: fino alla fine degli anni Ottanta tali operazioni hanno comportato l'impiego di una ridotta quantità di uomini, se si eccettuano le operazioni di pace in Libano tra il 1982 e il 1984, anche in considerazione del fatto che la media delle missioni in corso nei singoli anni è stata costantemente inferiore a quattro; solo nella seconda metà degli anni Ottanta la media delle missioni in corso ha progressivamente raggiunto quota otto, nove o dieci; negli anni Novanta la presenza internazionale italiana è cresciuta in particolare attraverso la partecipazione alle operazioni conseguenti alla crisi del Golfo (1990-1991), alle vicende dei Balcani (in particolare nel 1995 e poi ancora nel 1999), e il numero di missioni svolte in ciascun anno ha superato mediamente le venti raggiungendo quota trenta nel 1999 (dieci anni fa). Da allora il numero delle missioni si è mantenuto appunto intorno a questa cifra.
Dall'analisi degli oneri derivanti dalle missioni emerge, dunque, un costante incremento dell'impegno, della spesa, soprattutto a partire dagli anni Novanta. In particolare, rilevanti aumenti della spesa si sono registrati in occasione della crisi albanese del 1983 e dell'intervento per lo sminamento del Mar Rosso nel 1988 in seguito alla guerra Iran-Iraq. Successivamente, il costante intensificarsi dell'impegno italiano nelle missioni internazionali, in relazione alla Guerra del Golfo, alla crisi in Somalia e alla grave destabilizzazione dell'area balcanica, ha determinato un significativo aumento delle spese.
Un ulteriore aumento si è recentemente registrato con l'impegno italiano nella cosiddetta guerra al terrorismo internazionale, nelle operazioni in Afghanistan e in Iraq e, successivamente, con l'intervento in Libano. Nel corso dei decenni, dunque, si è passati da semplici operazioni di ingerenza umanitaria, attraverso l'invio di osservatori, a missioni di mantenimento della pace (peacekeeping), di formazione della pace e prevenzione dei conflitti (peacemaking), di costruzione della pace (peacebuilding), fino ad arrivare a missioni di imposizione della pace (peace enforcing). Nel corso degli anni, le operazioni di peacekeeping si sono evolute da un modello di intervento militare per il monitoraggio di cessate il fuoco e di separazione dei contendenti ad un modello più complesso che incorpora diversi elementi: militare, di polizia e civile.
Da un punto di vista normativo, nel nostro ordinamento giuridico, non esiste una legge ad hoc che disciplini organicamente la materia delle missioni internazionali, delle missioni all'estero e tutte le volte, in presenza del decreto-legge, ci riproponiamo di aprire una riflessione e una discussione su questo punto. La conseguenza di ciò è che le operazioni che ho citato sono, appunto, di volta in volta, regolate da specifici provvedimenti. Su questo particolare aspetto credo si soffermerà più avanti, nel corso del dibattito, il Pag. 38collega onorevole Di Stanislao, che è anche presentatore di una delle quattro proposte di legge, in materia di ordinamento delle missioni internazionali, giacenti in Commissione difesa.
Voglio continuare nella mia riflessione ricordando che, nel corso degli ultimi anni, la partecipazione delle Forze armate italiane a missioni militari all'estero ha assunto una rilevante importanza, sia in considerazione del notevole incremento delle operazioni che hanno visto impegnati i contingenti militari italiani, sia sotto il profilo del maggiore impiego di uomini e di mezzi connesso alla più complessa articolazione degli interventi ai quali l'Italia ha partecipato e partecipa, soprattutto in Afghanistan.
Riguardo all'Afghanistan, la domanda vera che ancora resta, anzi torna rituale, è la stessa da tempo: quando andremo via da quel Paese? Quando potremo andare via da quel Paese? Mi è capitato di trovarmi, in questo senso, in una singolare circostanza. In Commissione esteri, qualche ora fa, abbiamo affrontato il tema della manovra economica che penalizza, taglia quanto mai, proprio l'azione diplomatica internazionale del Ministero degli affari esteri. Mi sono trovato d'accordo con il relatore che puntava il dito contro i tagli scellerati operati dal Governo della sua stessa parte politica. Oggi, ho sentito il relatore, Stefani, pronunciare, qui, parole intorno alla exit strategy che quando le abbiamo pronunciato noi dell'Italia dei Valori, in quest'Aula, siamo stati subissati di fischi. Oggi è finalmente all'ordine del giorno il tema. Quando andremo via da quel Paese? Siamo consapevoli che la situazione della politica e della società civile in Afghanistan presenta dubbi e incertezze, ed è difficile anche decidere di andarsene, perché non sappiamo in quali mani potremo lasciare una situazione ricca soltanto di incertezze.
Sappiamo anche che è nelle intenzioni del Presidente Obama di iniziare le operazioni di ritiro nel luglio 2011, ma ci sono segnali che fanno pensare che non sarà così scontato l'avvio di un progetto annunciato più per strategia - pare - che per convinzione. Penso, innanzitutto, all'incertezza sulla strategia di uscita rappresentata in modo emblematico dalla decisione della Conferenza di Londra del gennaio scorso che ha istituito un Fondo fiduciario per la pace e la reintegrazione. L'obiettivo prefissato era di 500 milioni di dollari, ma, ad oggi, sembra che ne siano stati raccolti soltanto 140. È una cifra che, in un certo senso, svela involontariamente come i Paesi presenti in Afghanistan credano poco alla strategia del ritiro.
Siamo lì non si sa ancora per quanto tempo. Non si sa neanche per fare bene che cosa dal punto di vista analitico e non sappiamo quando ne usciremo. E non hanno certo dato conforto le dichiarazioni di commentatori e analisti, o di personaggi come Holbrooke, l'inviato speciale degli Stati Uniti per il Pakistan e l'Afghanistan che nei giorni precedenti la conferenza di Londra ammoniva: «La guerra in Afghanistan sarà la più lunga nella storia degli Stati Uniti, anche più lunga di quella combattuta in Vietnam». Oppure le parole più recenti del generale statunitense David Petraeus, ex comandante del Centcom e attuale sostituto dell'avventato McCrystal, esautorato da Obama, quando afferma che «L'Afghanistan sarà più difficile di quanto non sia stato contrastare la guerriglia irachena e sarà necessario del tempo prima che il surge porti ad un miglioramento della situazione in Afghanistan».
Il Ministro Frattini adesso dice e precisa che il processo di transizione in Afghanistan deve essere accompagnato dalla Comunità internazionale non sulla base di tappe fissate dal calendario ma dalle reali condizioni esistenti che mi sembra di capire potrebbe protrarsi in via teorica sine die qualora queste condizioni non si verificassero perché nella sua dichiarazione alla stampa proprio all'arrivo a Kabul oggi ha affermato che bisogna usare prudenza e che la presenza militare è ancora necessaria.
A rafforzare lo stesso concetto anche l'inviato speciale del nostro Governo in Afghanistan, Massimo Iannucci, quando dichiara che la data per l'avvio delle operazioni di disimpegno inevitabilmente Pag. 39graduale e non omogeneo potrebbe essere il 2014. Però dice testualmente: « Il 2014 potrebbe essere la data per l'autonomia dell'Esercito afgano» - spiega Iannucci - «ma non significa un ritiro, sarà necessario un processo equilibrato e a macchia di leopardo». Incertezza su incertezza.
Il Segretario generale della NATO, Rasmussen, intervenendo alla Conferenza dei donatori di Kabul, rafforza il concetto affermando che «la transizione si farà gradualmente sulla base di un esame della situazione politica e della sicurezza e quando la transizione sarà compiuta, le forze internazionali non andranno via ma passeranno ad un ruolo di sostegno».
Insomma diciamolo, abbiamo il dovere di dirlo a chi ci ascolta, a chi ci guarda da casa: staremo in Afghanistan ancora per molto, forse è il caso di mostrare meno ipocrisia su questo punto. Eppure negli ultimi mesi la situazione è andata sempre più peggiorando: poca sicurezza, episodi di violenza in aumento legati anche all'aumento delle operazioni militari nel sud del Paese e non lo affermo io perché si tratta dell'allarme lanciato dal segretario dell'ONU Ban Ki-moon nel rapporto trimestrale destinato al Consiglio di sicurezza e presentato proprio oggi a Kabul.
L'ONU denuncia un aumento del 94 per cento nei primi quattro mesi dell'anno rispetto all'anno scorso delle mine piazzate nelle strade del Paese. Si tratta appunto di un trend allarmante, come si legge anche nel rapporto in cui si spiega che proprio dalle mine derivano un terzo degli incidenti. Gli attacchi suicidi inoltre sono nell'ordine di tre a settimana, la metà dei quali nelle aree sud del Paese, Helmand e Kandahar, tradizionali roccaforti degli insorti, e prossimo obiettivo della annunciata, massiccia offensiva che non sarà un D-day, una classica operazione militare che si risolve in una giornata, secondo quanto afferma il colonnello Massimo Panizzi, portavoce del comitato militare della NATO a Bruxelles.
Eppure i prossimi due mesi in Afghanistan, come afferma il comandante Petraeus, saranno ancora più difficili e a fargli eco è l'ambasciatore inglese Sedwill, rappresentante civile della NATO in Afghanistan quando afferma che «Le forze internazionali in Afghanistan dovranno fare fronte ad un'estate molto calda, molto dura: la nostra sensazione è che la violenza continuerà ad aumentare. È inevitabile».
Eppure le cifre non sono opinabili: mai tanti militari americani e britannici sono caduti sul campo, mai tanti bombardamenti, mai tante vittime civili. Il bilancio dei soldati della NATO morti in Afghanistan a giugno è arrivato a 79, facendo dell'ultimo mese quello più sanguinoso per le truppe straniere in nove anni di conflitto con i talebani. Le ultime vittime sono quattro militari deceduti in un incidente stradale a sud del Paese.
Finora il mese con più morti era stato l'agosto del 2009, quando persero la vita 77 soldati della NATO. I militari statunitensi avevano avvertito che il numero dei morti fra le truppe straniere è destinato a salire con l'offensiva sferrata nella provincia meridionale di Kandahar, dove resta molto forte la presenza talebana e di Al Qaeda.
Eppure il contingente italiano di stanza a Herat e negli avamposti di quell'area ha subito qualche giorno fa due attacchi in 48 ore, con tre feriti, di cui uno in gravissime condizioni trasportato in Germania. Proprio qualche giorno fa avevo chiesto che il Governo venisse a riferire in Aula in merito allo scontro a fuoco - sottolineo scontro a fuoco - con i ribelli afgani e avevo chiesto chiarimenti al Governo, cosa che torno a fare, su una notizia apparsa su un sito online, in cui si parla di 1.200-1.500 talebani uccisi dai paracadutisti italiani. Se così fosse, siccome questa cifra non è mai stata ancora smentita, chiedo chiarezza su questo punto, perché sarebbe la dimostrazione che siamo parte di una guerra guerreggiata e siamo in chiaro contrasto con l'articolo 11 della Costituzione.
Dunque siamo ancora qui, una volta di più, a parlare e a chiederci dove stia il vero senso della nostra partecipazione militare e della nostra presenza nel territorio afgano, dove ogni giorno di più emerge che Pag. 40i nostri militari sono coinvolti in vere e proprie azioni di guerra, senza essere riusciti, in tutto questo tempo, a poter entrare nel merito delle strategie, nel merito degli obiettivi che riguardano le missioni stesse, mentre è arrivato il momento che il nostro Parlamento affronti seriamente la questione.
Vi è però un punto che continua ad alimentare questo tipo di incertezza e che rappresenta la questione che una forza politica e una coalizione non possono non porsi: mi riferisco alla questione se davvero si tratti di missioni di pace. Mandare uomini e donne in teatri difficili ha un senso profondo se si ha possibilità di attingere, anche giorno per giorno, alla testimonianza di una presenza risolutiva. Ma i fatti, le dichiarazioni che vi ho riportato, le riflessioni di commentatori e analisti non sembrano affatto confortare circa la soluzione di quello che si presenta sempre più come un pericoloso pantano militare.
Comunque, non abbiamo di fronte un quadro legislativo certo, che ci dia un'indicazione precisa. A noi sta molto a cuore la presenza di soldati all'estero e anche la loro vita e la loro salute. Quando si esercitano dei dubbi sull'argomento del rifinanziamento delle missioni all'estero, si corre costantemente il rischio di venire accusati di non curarci del destino delle Forze armate laggiù esposte. Ma non è così, è vero semmai il contrario: noi ci preoccupiamo davvero della vita, della salute e della possibilità di ritorno degli uomini e delle donne con le stellette (come ama chiamarli il Ministro La Russa), abbiamo davvero a cuore la loro sorte.
Vediamo incessantemente posizioni di tipo vagamente retorico, che inneggiano alla presenza dei soldati all'estero colmando di lodi coloro che vanno a compiere il loro dovere su fronti difficili. Poi, quando le persone tornano offese nel fisico e nel morale, siamo costretti ad assistere, cari colleghi, soltanto alle solite litanie, accompagnate, sempre più spesso e sempre più marcatamente, a indifferenza, a cecità, a silenzio, dopo che i soldati sono tornati dal fronte. Quando tornano per esempio offesi dall'amianto presente sulle navi o dall'uranio impoverito da cui sono stati contaminati nei vari teatri di guerra, che cosa facciamo per queste persone? A me risulta che per avere un risarcimento le si costringa addirittura ad intentare causa, famiglia per famiglia, individuo per individuo, cause dalla lunghezza esasperante.
Concludo facendo un ultimo riferimento, ma non ultimo per importanza: lo voglio dedicare alla contraddizione che vi è nel titolo del provvedimento in esame. Infatti, mentre si parla di aiuti allo sviluppo, di fatto si tagliano gli impegni alla cooperazione. Si aumenta l'impegno militare e si aumenta l'aiuto alle popolazioni, come appunto recita il titolo del decreto-legge in esame.
Il decreto-legge missioni peacekeeping mantiene, anzi accentua un'impostazione militarista che da tempo la società civile italiana, europea e mondiale vorrebbe vedere sostituita appunto da cooperazione civile. È bene ricordare - lo ha già fatto l'onorevole Mogherini Rebesani e lo faccio anch'io - che a fronte di un impegno finanziario di 706 milioni di euro sull'attuale bilancio 2010, oltre il 50 per cento è appunto destinato al mantenimento della missione militare in Afghanistan, dove le forze militari italiane passeranno a breve da 3.800 a quasi 4.000 presenze entro il primo di novembre. L'investimento per la cooperazione civile invece è sempre più residuale: 18 milioni di euro per le iniziative in corso e per le nuove iniziative in Afghanistan e un importo di solo 9 milioni di euro da suddividere in aree estremamente delicate come l'Iraq, il Libano, il Pakistan, la Somalia e il Sudan.
Successivamente, con riferimento al Sudan e, in particolare, alla zona del Darfur, presenterò uno specifico ordine del giorno, perché non è possibile rinunciare a porre in essere interventi umanitari in quella zona, poiché vi è il Presidente Al Bashir.
Più analiticamente - e concludo davvero, signor Presidente - all'articolo 1, comma 1, sono come sempre previsti gli interventi di cooperazione in Afghanistan, Pag. 41i cui impegni di spesa si riducono, passando da 22 milioni a 18 milioni di euro. Con riferimento a ciò, abbiamo presentato alcune proposte emendative, e speriamo che il Governo e la maggioranza vogliano valutarle serenamente.
Al successivo articolo 2, sono previsti gli interventi di cooperazione allo sviluppo e a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione in Iraq, Libano, Pakistan, Sudan e Somalia, dove si registrano altre inaccettabili ed incomprensibili riduzioni di spesa, di cui lo stesso relatore ha chiesto conto al Governo in sede referente (si passa, infatti, da 22,7 a 9,3 milioni di euro). Si tratta di riduzioni di risorse destinate alla cooperazione generalizzate a tutti i teatri operativi, nonostante le affermazioni di principio più volte riaffermate, anche in sede di importanti consessi internazionali (non ultimo, il G8 de L'Aquila), dal Governo che, però, poi, vanno in direzione uguale e contraria e, soprattutto, affiancano la già deprecabile riduzione, in sede di finanziaria e poi dell'attuale manovra, degli stanziamenti per la cooperazione a dono, che subirà, per gli anni 2011 e 2012, ulteriori inaccettabili decurtazioni.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Misiti. Ne ha facoltà.

AURELIO SALVATORE MISITI. Signor Presidente, a nome del Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud, esprimo un apprezzamento per il provvedimento che oggi discutiamo e che l'Assemblea si accinge ad approvare. Esso, infatti, rappresenta l'occasione per fare il punto su uno degli aspetti più importanti della politica estera del nostro Paese (intendo porre l'accento sulla politica estera, e non tanto sulla politica di difesa): mi riferisco al contributo alla stabilizzazione, alla pace e al contrasto del terrorismo internazionale.
Quest'ultimo aspetto, evidentemente, nelle nostre discussioni viene sottovalutato, tuttavia non dobbiamo dimenticare che il terrorismo internazionale ha una base molto forte nel Paese principale in cui, in questo momento, sono impegnate la NATO e le forze degli Stati Uniti d'America. Riteniamo giusto, inoltre, che oggi in Parlamento si discuta del rifinanziamento degli interventi di cooperazione in Afghanistan, proprio nella giornata in cui - come è stato già ricordato in qualche intervento precedente - è iniziato, a Kabul, l'incontro dei Paesi donatori verso l'Afghanistan. In tale occasione, il Segretario di Stato americano, Hillary Clinton, ha annunciato che, dal 2011, le truppe americane si ridurranno e che inizierà una nuova fase, proprio con questo avvio, che prevede la responsabilizzazione dell'Esercito afgano per il 2014.
La parte relativa al rifinanziamento degli interventi di cooperazione, sebbene costituisca un fondo molto contenuto, è importante per il suo significato: si prevede l'autorizzazione di spesa per la partecipazione del nostro Paese al fondo fiduciario della NATO, destinato proprio al sostegno dell'Esercito nazionale afgano.
Noi, come Italia, siamo un Paese molto importante, membro del G8 e dei più importanti consessi internazionali e riusciamo ad offrire alla comunità internazionale un contributo consistente: un contributo di diecimila uomini e donne in Afghanistan, in Libano, nei Balcani e in molte altre aree di crisi come in Pakistan, in Sudan e anche in Somalia, per affrontare nuove sfide globali, soprattutto contro il terrorismo, e anche per la stabilizzazione e la sicurezza internazionale che è sempre minacciata, non solo dal terrorismo tradizionale, quello per intenderci di Bin Laden e dei mullah, ma anche dalla proliferazione nucleare in alcuni Paesi chiave come l'Iran e la Corea del Nord.
La partecipazione italiana a queste missioni internazionali è elemento qualificante della nostra politica estera; essa è un impegno consolidato nel tempo, professionalizzato e ci vede riconosciuti come strumenti di pace nei più difficili scenari mondiali, sia se al Governo dell'Italia c'è una parte politica sia se c'è la parte politica opposta. Siamo inoltre convinti che i nostri militari impegnati all'estero - e tutti ne siamo convinti, lo abbiamo visto qui in tutti gli interventi - meritino un Pag. 42sostegno incondizionato e naturalmente un'azione responsabile dell'insieme del Parlamento. Se si vuole sostenere questo, è evidente che bisogna in qualche modo contribuire e solidarizzare con tutti gli sforzi che si fanno, perché queste missioni abbiano esito positivo e i nostri militari sentano vicini il loro Paese e le massime espressioni istituzionali.
Numerose, in questo periodo, sono le minacce globali: c'è il terrorismo, c'è la criminalità organizzata, ormai internazionale, la proliferazione di armi di distruzione di massa, sappiamo che fra qualche tempo l'Iran ed anche la Corea del Nord riusciranno ad avere la bomba atomica, Paesi non controllati. Nessun Paese è in grado di affrontare da solo questi complessi problemi, nemmeno gli Stati Uniti d'America, che fino a qualche tempo fa ritenevano di poterlo fare. Oggi c'è sempre più bisogno, lo dimostra la nuova amministrazione americana che è passata da una visione unilaterale a una visione multilaterale, di un approccio multinazionale e integrato per rispondere alla crisi non soltanto militarmente ma con strumenti soprattutto di natura politica, diplomatica ed economica. Questa seconda parte è proprio rappresentata dall'azione del nostro Ministero degli affari esteri ed anche dai progetti che noi finanziamo per quelle popolazioni, insieme ad altri, ovviamente non da soli, ed evidentemente questo approccio deve essere sempre più importante rispetto alla parte militare. È questo quello che deve avvenire nel prossimo quinquennio in Afghanistan e negli altri teatri delle nostre missioni.
La consapevolezza di ciò ha fatto sì che nelle stesse disposizioni del Trattato di Lisbona, il cosiddetto secondo pilastro - ossia la materia della sicurezza comune - trovasse grande rilievo, sia con l'individuazione della nuova figura dell'Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, che ha costituito un salto di qualità rispetto al passato per l'Unione europea, sia con il consolidamento e la definizione delle linee generali e dell'azione dell'Unione con riferimento alla politica europea in materia di sicurezza e difesa.
In questa prospettiva, si può ipotizzare di pervenire al più presto in Europa - perché allora conterà molto di più in questo continente - ad un modello di difesa comune. Il provvedimento al nostro esame è, quindi, in linea con gli obiettivi del Trattato di Lisbona, in particolare nella misura in cui concorre alla creazione del Servizio europeo per l'azione esterna, chiamato ad assistere proprio l'Alto rappresentante.
L'impegno della comunità internazionale nelle aree di crisi sopra citate risulta, quindi, indispensabile nell'ottica del contrasto verso ogni minaccia terroristica. Il nostro Paese ha sempre concorso e sta concorrendo ancora al mantenimento della pace, a prevenire i conflitti e a rafforzare la sicurezza internazionale.
Dunque, prorogare la partecipazione italiana alle missioni internazionali vuol dire confermare il nostro impegno a favore di tutti questi processi a sostegno della pace nelle regioni straziate dalla guerra e da atti di terrorismo, che ogni giorno avvengono e ai quali rischiamo di abituarci. Ogni giorno, dai commenti televisivi e dalle notizie dei telegiornali, sentiamo che vi sono cinquanta, sessanta, cento morti in ogni atto terroristico e noi alla fine non ci indigneremo nemmeno. Dobbiamo cercare di prevenire tutto questo. Questi atti di terrorismo coinvolgono spesso proprio i costruttori di pace, come sono anche i nostri militari e tutte le persone innocenti che lavorano per cercare di tirar su quelle popolazioni e dare loro la speranza.
Per queste ragioni, come gruppo Misto-Movimento per le Autonomie, confermiamo il sostegno a tutte queste iniziative in ambito internazionale, in quanto riteniamo che ciò sia necessario per mettere prima di tutto i nostri soldati nelle condizioni di assolvere al meglio al loro compito, attraverso un'adesione piena e incondizionata per il loro impegno: un impegno che su tutti i teatri dovrà essere Pag. 43indirizzato al consolidamento delle locali istituzioni, alla formazione e all'addestramento dei soldati di quei popoli, e garantito fino al raggiungimento della loro autonomia.
Credo, quindi, di poter dire che la nostra politica estera non sarebbe la stessa senza le Forze armate e senza le forze di polizia, le quali fanno sì che la politica estera italiana non muti con il mutare delle maggioranze politiche. Esse in questi anni hanno dimostrato di saper rispondere con efficacia a tutte le richieste del Paese, ricevendo apprezzamenti in ambito internazionale e, quindi, dando efficacia alla politica estera italiana anche a costo del sangue di molti di loro.
Proprio quale riconoscimento degli impegni e dei sacrifici dei nostri militari, e degli uomini impegnati in questi teatri, non posso che annunciare, fin d'ora - e ritengo che sia giusto che lo dicano anche le forze politiche che hanno delle osservazioni che possono essere condivisibili -, che il voto favorevole di questa Camera ad un provvedimento di questo genere significa essere vicini, e far sapere ai nostri militari che ogni giorno rischiano la vita - e non solo a loro - che non solo il Governo ma tutto il Parlamento italiano, che rappresenta il popolo italiano, sta con loro.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fallica. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE FALLICA. Signor Presidente, il provvedimento al nostro esame conferma l'impegno dell'Italia nella partecipazione alle missioni internazionali. Si tratta di una conferma importante in quanto, nonostante l'attuale fase di crisi economica, l'apporto quantitativo e qualitativo dell'Italia alle missioni internazionali è rimasto invariato: il livello delle risorse stanziate per il secondo semestre 2010, pari a poco più di 700 milioni di euro, risulta in linea con i precedenti interventi ed è dotato di adeguata copertura finanziaria, grazie ai successivi interventi di rifinanziamento del Fondo missioni internazionali, attuati con successivi provvedimenti e, da ultimo, con il decreto-legge n. 78 del 2010 recante la manovra economica correttiva.
Ciò premesso, il provvedimento conferma come prioritarie per la politica estera italiana tre aree di intervento: l'Afghanistan, i Balcani occidentali, il Libano.
Con riferimento all'Afghanistan il provvedimento conferma l'aumento dell'impegno italiano. In coerenza con le quantificazioni della relazione tecnica, l'impegno italiano in ISAF ed in EUPOL Afghanistan passa da 3.451 unità medie a 3.941 unità medie. Tale aumento è coerente con le decisioni già assunte lo scorso dicembre dal Governo italiano e comunicate alle camere dai Ministri Frattini e La Russa, in conseguenza della nuova strategia annunziata da USA e NATO.
Questa strategia prevede una complessa operazione di controinsurrezione basata, tra le altre cose, su un maggior controllo del territorio, su una maggiore cooperazione tra elemento civile ed elemento militare, un maggiore sforzo per evitare vittime civili innocenti, un aumento dell'impegno nella formazione di Forze armate e di polizia afgane autonome.
In questo modo si dovrebbe anche arrivare a dividere, nell'ambito degli insorgenti, gli elementi più radicali da quelli più disponibili ad una trattativa e al reinserimento nella vita civile, come auspicato anche dalla Conferenza di Londra sull'Afghanistan dello scorso gennaio.
È presto per valutare i risultati di questa strategia: la situazione di questi ultimi mesi è risultata estremamente fluida. L'operazione Moshtarak condotta dalle forze USA nella città di Marjah nella provincia di Helmand sembra essersi conclusa con un relativo successo, mentre appare destinata a ridimensionarsi l'annunciata operazione nella zona di Kandahar, assumendo, piuttosto che le caratteristiche di una battaglia aperta, quella di una lenta penetrazione e tentativo di acquisizione di un maggior controllo del territorio.
Il numero di vittime civili nei primi mesi del 2010 appare essere diminuito, mentre continua ad aumentare quello Pag. 44delle vittime della missione ISAF. Da ultimo, la sostituzione del generale Mc Chrystal con il generale Petraeus non comporterà certo un cambiamento di strategia (Petraeus era in fondo il diretto superiore di Mc Chrystal) ma sta conducendo ad alcune novità: l'accelerazione della formazione, sul modello del surge iracheno, di indirizzi locali per combattere i talebani; la richiesta dell'inserimento nella lista nera delle organizzazioni terroristiche del cosiddetto Haqqani network.
Nel comando regionale ovest, sotto il controllo italiano, la situazione mantiene una relativa maggiore stabilità, rispetto alla zona meridionale ed orientale.
Tuttavia, il ripetersi di incidenti nella zona di Bala Murghab (gli scontri dello scorso gennaio, il mortale attentato dello scorso maggio, il nuovo attentato della scorsa settimana) conferma che la situazione non deve essere sottovalutata. In tal senso deve essere salutata con favore la decisione annunciata dal Governo italiano di schierare reparti dotati anche dell'assai avanzato veicolo Freccia, annunciata alle Commissioni dal sottosegretario Crosetto.
Con riferimento ai Balcani occidentali, il provvedimento registra una diminuzione della presenza italiana da complessive 1.441 unità medie a 1.172 unità medie, in linea con gli orientamenti già annunciati e già messi in atto con il precedente provvedimento di proroga. Questo non significa una diminuzione dell'impegno, bensì che i tempi sono maturi per un impegno più propriamente politico e diplomatico nella zona, risultando stabilizzata la situazione sul terreno. La forza di questo impegno italiano è testimoniata dalla recente conferenza Unione europea-Balcani di Sarajevo di inizio giugno, che ha visto il notevole impegno del Ministro degli affari esteri italiano Franco Frattini. In questo settore, risulterà cruciale il pronunciamento, atteso per i prossimi giorni, della Corte internazionale di giustizia sul ricorso della Serbia per quanto riguarda l'indipendenza del Kosovo. Dopo tale pronunciamento, infatti, è auspicabile che si possano avviare negoziati con la Serbia per lo status definitivo della provincia. Non solo, ma il pronunciamento potrebbe avere effetti indiretti anche sulle velleità indipendentiste ancora presenti nella Repubblica Srpska dei serbi di Bosnia. Anche in Bosnia, infatti, è oramai necessario più che uno sforzo militare uno sforzo politico e diplomatico per far giungere ad una conclusione soddisfacente i negoziati di Butmir, attualmente in corso sulle riforme costituzionali della Bosnia-Erzegovina necessarie per superare l'assetto di Dayton.
Costante deve rimanere l'attenzione anche con riferimento al Libano. Qui la ridotta diminuzione del contingente italiano deve essere attribuita unicamente alla cessione del comando dal generale italiano Graziano ad un militare spagnolo. Nella regione la situazione degli ultimi mesi conferma elementi di tensione come testimoniato dalle accuse di Israele sull'afflusso di missili Scud a Hezbollah, mentre prosegue il dialogo sulla sicurezza nazionale promosso dal presidente Suleiman che dovrebbe affrontare anche il tema delle milizie armate, a partire proprio dagli Hezbollah presenti nel Paese.
Credo, in conclusione, che il fatto che anche in queste situazioni complesse e con molteplici fattori di criticità il Governo abbia voluto confermare la qualità del proprio impegno non possa che vedere il Parlamento consenziente a conferma del ruolo di primaria importanza e presenza che l'Italia intende svolgere nella comunità internazionale (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Gidoni. Ne ha facoltà.

FRANCO GIDONI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, intanto mi unisco all'auspicio espresso dal presidente Stefani che questo decreto-legge torni alla sua scadenza tradizionale, quella dei sei mesi, termine che ritengo giusto per dare certezza del finanziamento alle nostre Forze armate e di polizia impegnate nelle missioni all'estero. Tuttavia, voglio anche evidenziare che così si fornisce, con una cadenza certa, la possibilità a questo Parlamento Pag. 45di dibattere anche di temi importanti come quelli della politica estera.
Il decreto-legge n. 102 del 2010, che arriva oggi all'esame dell'Aula per la sua conversione, forse verrà ricordato anche per un piccolo giallo che ne ha contraddistinto la genesi, relativo alla data di approvazione. Apparentemente, sembrava che il decreto-legge fosse stato approvato il 24 giugno ma successivamente è sorta la data del 30 giugno. Questa circostanza - e anche il testo provvisorio che è circolato nei primi giorni di luglio, prima del testo definitivo - ha fatto comprendere come anche su questo provvedimento vi sia la preoccupazione relativa alla crisi economica, avendo il Governo probabilmente difficoltà a reperire i 416 milioni che sembrava mancassero.
In realtà, le coperture poi si sono trovate anche se usando, ai sensi della legge finanziaria per il 2007, un capitolo di spesa notoriamente vuoto che però il Governo era pronto a rimpinguare. Cito il testo del provvedimento: «quota delle maggiori entrate derivanti dal presente comma per l'anno 2010, pari a 357.260.772 euro sono iscritte sul fondo di cui all'articolo 1, comma 1240, della legge 27 dicembre 2006, n. 296».
Certo potremmo definirla un'operazione di ingegneria finanziaria, ma è un'operazione condivisa dal Capo dello Stato e dal Governo; probabilmente è anche un'operazione ardita, ma sicuramente accettabile in nome del superiore interesse nazionale a conferma degli impegni assunti con gli alleati e le Nazioni Unite e da mantenere per i nostri soldati che si trovano impegnati all'estero.
Mi piace qui ricordare due punti fermi che la Lega porta avanti ormai da parecchio tempo. La Lega ha sempre difeso la posizione serba contraria al riconoscimento del Kosovo come Stato indipendente e ha a lungo chiesto che le nostre truppe riconfigurassero la propria presenza finalizzata alla protezione dei luoghi sacri dell'ortodossia serba, cosa che è stata anche oggetto di un ordine del giorno approvato da questo Parlamento.
Certo, che la situazione in Kosovo non sia delle più tranquille è noto a tutti, visto, inoltre, che mancano - lo ha già citato il mio collega Fallica - meno di 48 ore affinché la Corte dell'AIA si pronunci sulla legittimità della dichiarazione unilaterale di indipendenza approvata dalle autorità di Pristina. L'avvicinarsi di questa scadenza ha già generato tensioni, come provano i recenti incidenti a Kosovska Mitrovica nei quali, lo ricordiamo, ha perso la vita un serbo kosovaro.
In secondo luogo, ricordo che, con riferimento allo schieramento in Libano dei nostri militari a sud del fiume Leonte, abbiamo sempre sostenuto che tale schieramento fosse macchiato a monte dall'ambiguità del mandato dato alle truppe che non prevedeva esplicitamente il disarmo degli hezbollah; infatti è quello che sta in questo momento accadendo.
Ricordo la pressione esercitata sui caschi blu dai fiancheggiatori civili degli hezbollah stessi e il sensibile aumento di questi attacchi, al punto che i francesi al centro di proteste e sassaiole negli ultimi giorni stanno pensando al ritiro. Ricordo, non da ultimo, anche le preoccupazioni sulla situazione in tale zona del Libano sollevate dal Governo israeliano.
Invece, venendo alla natura del provvedimento, l'articolo 1 è interamente dedicato agli interventi civili da promuovere in Afghanistan. Qui abbiamo 21 milioni di euro ed è chiaro che condividiamo appieno questa linea perché, come già preannunciato anche dal presidente Stefani, è proprio con la collaborazione e gli interventi di cooperazione che forse si può tracciare la via giusta per uscire dall'impasse nella situazione afghana.
L'articolo 2 finanzia, invece, interventi di cooperazione in Iraq, Libano, Pakistan, Sudan e Somalia, ma riteniamo interessante lo stanziamento di oltre 11 milioni di euro per interventi a sostegno della stabilizzazione in Yemen e la prosecuzione degli interventi operativi di emergenza e sicurezza per la tutela dei cittadini e degli interessi italiani nei territori bellici ad alto rischio. Pag. 46
Al capo II, come dicevamo, vi sono le coperture finanziarie. Come anticipato, la copertura è stata fatta anche con il famoso comma 1240, però la notizia di questi giorni sono i 320 milioni che sono stati stanziati con il decreto-legge del 31 maggio del 2010 in corso di conversione ed interessante è anche (finalmente) la quantificazione del contributo che l'ONU dà al nostro Stato per sostenere le spese che facciamo in queste operazioni di peacekeeping: 24 milioni di euro che verranno questa volta direttamente destinati alle missioni.
Quindi pare che le coperture questa volta ci siano e che siamo riusciti così a togliere quella che era forse la più grande incertezza che gravava sul provvedimento.
Invece, venendo alle missioni, come ho già detto, la principale è la nostra partecipazione all'ISAF ed Eupol Afghanistan che assorbirà ben 360 milioni di euro in questo secondo semestre, compreso il costo sostenuto per l'invio di un distaccamento della guardia di finanza.
Qui giova ribadire che si tratta dell'impegno militare di maggior profilo nell'intera storia della nostra Repubblica e certamente quello politicamente più controverso attese anche le incertezze gravanti sull'intera missione alleata, ora sotto la guida del generale David Petraeus, e soprattutto tenuto anche conto degli elevati livelli raggiunti dalla violenza. Non possiamo oggi sottacere che in questo momento muore sul teatro afgano un militare occidentale ogni 16 ore e che tale media pare essere in accelerazione.
È già stato detto del nostro schieramento sul territorio e che comunque verso fine anno andremo a toccare i 3.970 uomini, che è il picco più alto di sempre registrato nella nostra missione in Afghanistan.
È notizia di queste ore quella della conferenza sull'andamento dell'incontro di Kabul. Certamente l'incontro non è nato sotto i migliori auspici, visto il lancio di missili sull'aeroporto di Kabul, che sicuramente non erano fuochi pirotecnici di giubilo per l'arrivo delle delegazioni straniere, ma era, come sono stati i quattro attentati fatti intorno alla cintura di protezione della zona dell'incontro, una dimostrazione che i talebani hanno voluto dare del fatto che comunque sono ancora in grado di portare i loro attacchi proprio al cuore della capitale afgana.
Guardiamo con favore alle dichiarazioni di Karzai, soprattutto al limite temporale da lui fissato nel 2014 quando, stanti le previsioni, le nostre Forze armate e i contingenti stranieri dovrebbero completare il ritiro dall'Afghanistan. Infatti, a quella data il Governo afgano prevede di essere in grado di autogestire la sicurezza del Paese, fermo restando ovviamente il sostegno che la comunità internazionale dovrà comunque garantire al processo di pacificazione e questa volta dovrà dare un sostegno economico e di cooperazione al Governo afgano.
Resta sempre impegnativo l'intervento in Libano, per il quale sono posti a disposizione 118 milioni di euro, e rimane in teatro un contingente pur sempre di 1.780 militari con 835 mezzi terrestri a disposizione, cinque aeromobili e una nave. Pertanto, anche questa missione è assolutamente impegnativa.
Poi abbiamo la nostra presenza, che - come abbiamo già detto - riteniamo significativa, all'interno della Multinational Specialized Unit, l'Unmik, l'Eulex Kosovo, la Security Force Training Plan in Kosovo, l'Althea, l'Eupem, la Joint Enterprise. Si tratta di un complesso che costerà nei prossimi sei mesi circa 81 milioni di euro, anch'esso in ridimensionamento per gli accordi intercorsi, e però - come affermato all'inizio dell'intervento - non è detto che si riesca ad avere uno sganciamento totale, perché dipenderà molto dalla sentenza che la Corte de L'Aja darà sul futuro assetto del Kosovo.
Abbiamo inoltre una cooperazione navale nel Mediterraneo Orientale, nota come Active Endeavour, per la quale sono stati stanziati 10 milioni di euro, 437 uomini impegnati e tre navi. Dopodiché abbiamo in Medio Oriente la missione schierata ad Hebron.
Vi sono poi un'altra serie di piccole missioni: il contributo militare all'Unamid Pag. 47in Darfur che non è più che altro significativo in una terra così martoriata quale il Darfur, sono solo tre i militari impegnati e poco più di 128 mila euro la spesa.
La missione della Guardia di finanza in Libia costa 2 milioni di euro, però è quella che ci permette di aver bloccato gli sbarchi dal nord Africa nella costa siciliana e credo che, quindi, sia assolutamente da sostenere.
Vi è un apporto nazionale all'EUPOL RD Congo. Poi ci sono due missioni che definirei doverose per i trascorsi che videro la nostra politica coloniale impegnata a conquistare il Corno d'Africa. Quindi, abbiamo l'operazione Atlanta contro la pirateria. Si tratta dell'assegnazione di un contingente di personale militare ad una missione europea in Somalia. Diciamo che sono atti forse anche dovuti per i nostri trascorsi storici.
Abbiamo ancora una piccola rappresentanza a Cipro, un piccolo contingente in Georgia, un contributo di addestratori italiani (73 uomini e 10 mezzi) a seguito della formazione delle forze armate e della polizia irachena che comunque costa 3,9 milioni di euro. Inoltre, vi è la partecipazione di un nucleo di 130 carabinieri con 37 mezzi terrestri alla missione ONU Minustah conseguente al terremoto di Haiti.
È chiaro che in prospettiva tante piccole missioni, magari come dicevo anche dovute, nell'ottica della nostra politica estera forse andranno comunque ripensate come già in precedenti interventi abbiamo sottolineato. Per la prima volta dobbiamo dire che in questo decreto-legge si vede un'esplicita menzione di 10 milioni di euro stanziati per l'Aise, l'ex Sismi, incaricato della sicurezza dei nostri contingenti all'estero. Pure questo è un segnale che, tutto sommato, anche all'estero i servizi segreti ci sono e vi operano.
Al comma 3 dell'articolo 7 vi è una norma inconsueta, che stabilisce che, per assicurare la prosecuzione delle missioni internazionali senza soluzione di continuità, entro dieci giorni dall'entrata in vigore del presente decreto, il Ministro dell'economia e delle finanze, su richiesta delle amministrazioni interessate, dispone l'anticipazione di una somma non superiore ai due sesti delle spese autorizzate con il presente decreto-legge e comunque non inferiore, per il Ministero della difesa, ad euro 215 milioni. Si tratta di una norma inconsueta, che non si era mai vista. Probabilmente, è un comma dovuto per dare immediata applicazione all'erogazione di cassa per evitare dei pericolosi disallineamenti tra le spese sui campi all'estero e le erogazioni da parte del Ministero.
Chiudo solo con un piccolo richiamo, che mi sembra doveroso, alla serietà anche dei nostri organi di stampa. Nel corso del dibattito nelle Commissioni, poi ripreso da qualche organo di stampa, è uscita una cifra secondo la quale il nostro esercito avrebbe ucciso sui campi afghani non meno di 1.200 talebani. La diffusione di questo dato è stata stigmatizzata perché ovviamente sono dati assolutamente non controllati, ma che soprattutto possono dare un'idea falsa dell'operare dei nostri militari in questo momento su un teatro così pericoloso, dove ovviamente c'è una guerra in corso, anche se tutto sommato l'operazione nasce con presupposti di pace. Ci sono degli attacchi continui a cui sono sottoposti anche i militari, i quali ovviamente non possono sicuramente mettere dei fiori nei loro cannoni, ma devono al fuoco rispondere con il fuoco. Evidentemente dei morti nella parte avversaria ci saranno anche stati, ma divulgare notizie e numeri che non siano verificati e validati sicuramente non rende un buon servizio alla nostra missione all'estero.
Concludo, confermando che, come già per il passato, anche la Lega Nord Padania sosterrà la conversione di questo decreto-legge. Lo farà con convinzione nella certezza che anche i colleghi delle altre forze politiche faranno altrettanto in Parlamento (Applausi dei deputati dei gruppi Lega Nord Padania e Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Barbi. Ne ha facoltà.

MARIO BARBI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor rappresentante del Pag. 48Governo, mi soffermerò ampiamente su questioni di metodo. Mi pare che il tema di questo decreto-legge lo meriti, anche se non vi sono solo questioni di metodo. Chiamo questo provvedimento «decreto missioni».
Si tratta di una definizione esatta, ma allo stesso tempo riduttiva, perché il provvedimento oggetto della discussione dell'Assemblea non è il mero rinnovo delle missioni di pace in cui il nostro Paese è impegnato nel mondo, su cui, peraltro, vi è un consenso pressoché generalizzato.
È qualcosa di più: è un atto politico di primaria importanza per la politica estera del nostro Paese; forse, è l'atto parlamentare più importante di politica estera. Ma proprio perché è così importante - il presidente della Commissione affari esteri e relatore lo ha definito, sia in Commissione sia in Assemblea, un momento centrale nei dibattiti parlamentari sulla nostra politica estera - ritengo di dover innanzitutto sottolineare il modo insoddisfacente e obbligato in cui il dibattito è costretto in questa sede.
Mi domando come si possa affrontare in modo adeguato e in un solo colpo lo spettro di questioni proposte alla nostra attenzione da un decreto-legge che stanzia per il semestre già in corso, dal 1o luglio al 31 dicembre, la ragguardevole somma di oltre 700 milioni di euro e che disciplina - cito dal titolo completo del decreto-legge, questa volta - «interventi di cooperazione allo sviluppo e a sostegno dei processi di pace, di stabilizzazione e delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia», che riguardano, come ci ha ricordato in Commissione il rappresentante del Governo, il rappresentante del Ministero della difesa, che oggi è assente, come rilevava la collega Mogherini Rebesani poc'anzi «22 missioni in 20 diverse parti del mondo, per una presenza media di circa 8 mila militari impegnati quotidianamente». Sono, quindi, 8 mila militari, senza contare il personale civile, senza uniforme, i diplomatici, i cooperatori e i tecnici.
Questo impegno importante, rilevante non solo in termini assoluti per le possibilità del nostro Paese, ma anche in termini relativi - vorrei ricordarlo - perché il nostro Paese è uno dei principali contributori delle Nazioni Unite e dell'Unione europea nelle missioni internazionali di pace e per la sicurezza, un impegno, direi, perfino ingente, è oggetto ormai di un esame parlamentare quasi routinario, in ragione di quella che è diventata ormai un'abitudine, visto che da anni si ripete, con cadenza semestrale, quando non con frequenza ancora maggiore, come è stato il caso dello scorso anno (anche questo è stato ricordato), con la sola eccezione di un rinnovo annuale - lo ricordo io - da parte dell'ultimo Governo Prodi.
In assenza di un quadro di riferimento generale, che fissi disposizioni omogenee per le missioni militari e civili del nostro Paese, e in assenza di dotazioni finanziarie di bilancio stabilite con debito anticipo in modo realistico - sottolineo il termine «realistico» - sia per le missioni militari sia per la cooperazione civile, si finisce per affrontare le cose, a mio parere, in modo frammentario, per sommatoria, secondo una scala di priorità in cui il contingente e lo strategico si mescolano e si confondono, in cui l'attenzione viene indirizzata, per forza di cose, alla vicenda di maggiore impatto - è il caso, in questo momento, dell'Afghanistan, ovviamente - a scapito di questioni in cui l'impegno di risorse umane e finanziarie è minore, magari, ma che sono tutt'altro che prive di importanza (pensiamo al Darfur, per esempio).
È dunque opportuno che questo Parlamento giunga quanto prima all'approvazione della legge quadro sulle missioni già all'esame delle Commissioni, ma da tempo bloccata. Si dirà che queste osservazioni sono solo di metodo e che bisogna guardare alla sostanza, ma non è così, e mi spiego.
L'Italia interviene in Afghanistan e nei Balcani, nel Libano e nel Corno d'Africa, al largo delle coste somale, ad Haiti e nel Caucaso. Ma nel decreto-legge le misure non sono organizzate in ragione delle aree di intervento e degli obiettivi integrati - civili, istituzionali, sociali e militari - perseguiti in ogni regione in collaborazione Pag. 49con i nostri alleati e secondo gli scenari, come giustamente ricordava anche la collega Mogherini Rebesani prima di me, bensì sono organizzati secondo una logica amministrativa: cooperazione allo sviluppo da una parte, non importa dove (in Afghanistan e poi in Pakistan o in Somalia), e poi missioni delle Forze armate e di polizia dall'altra.
Mi permetto di fare l'elenco incompleto delle aree di intervento, sono 32, indicate nei commi dell'articolo 4: in Afghanistan, per ISAF ed EUPOL, 365 milioni, quasi la metà delle somme stanziate, anzi, più della metà; in Libano, per UNIFIL, 118 milioni; nei Balcani, per Multinational Specialized Unit, EULEX Kosovo, Security Force Training Plan (in Kosovo) e Joint Enterprise, 59 milioni; in Bosnia-Erzegovina, per ALTHEA, 10,5 milioni; nel Mediterraneo, per Active Endeavour, 10 milioni; a Hebron 600 mila euro; nel valico di Rafah 57 mila euro; nel Darfur, per UNAMID, 128 mila euro; nella Repubblica Democratica del Congo, per EUPOL, 200 mila euro; a Cipro, per UNFICYP, 132 mila euro; in Albania, per assistenza alle Forze armate, 80 mila euro; in Georgia, per missione monitoraggio UE, 800 mila euro; in ordine al contrasto della pirateria in Somalia-Corno d'Africa, per Atalanta e Nato, 23 milioni; in Iraq, per addestramento delle Forze di polizia in ambito Nato, 4 milioni di euro; negli Emirati Arabi, per missioni in Afghanistan e Iraq, 12 milioni; ad Haiti, 5 milioni; in Somalia, per nuova missione dell'UE, 800 mila euro; e poi 25 milioni per trasporti e infrastrutture.
Ma questo elenco non è completo: compaiono ancora, in vario modo, con vari esperti (Guardia di finanza, Carabinieri, magistrati), ISAF, Kosovo, Albania, Palestina, Libia e infine una dotazione di 10 milioni all'Agenzia di informazione e sicurezza esterna, a protezione del personale delle Forze armate, impiegato nelle missioni internazionali (lo ricordava il parlamentare della Lega Nord, che ha parlato prima di me).
Lasciatemi dubitare che questo sia il modo migliore per valutare l'andamento dei fatti in modo specifico e complessivo e per analizzare le necessità che si pongono e i risultati raggiunti in modo corrispondente alle necessità che si presentano. Basti pensare che l'aumento del contingente in Afghanistan, che raggiungerà in questo semestre quasi le 4 mila unità, fu oggetto di una decisione presa dal Governo alla fine dello scorso anno, di cui il Parlamento fu informato prima dalla stampa che dai ministri competenti. Ma sull'Afghanistan, per cui sono stanziati, come dicevo, oltre la metà delle risorse previste dal decreto-legge, mi soffermerò più innanzi.
Anche sulla riorganizzazione della presenza internazionale del nostro Paese nei Balcani, in particolare nel Kosovo e in Bosnia-Erzegovina, dove si va verso una cospicua riduzione dei contingenti, nostri ed altrui, non si può dire che il Parlamento abbia avuto gran voce se non segnalare la preoccupazione - o il timore, se preferite - che non siano troppo ottimistiche le valutazioni su cui si basano le decisioni della comunità internazionale di ridurre sensibilmente la presenza in Kosovo e di andare pressoché alla smobilitazione di quella in Bosnia-Erzegovina.
Sull'indipendenza del Kosovo, si attende a breve - è stato ricordato - la sentenza della Corte internazionale di Giustizia, che deve pronunciarsi sul ricorso della Serbia, mentre nel piccolo Stato balcanico restano tesi, come sappiamo, i rapporti tra maggioranza albanese e minoranza serba. Sono in programma ad ottobre le elezioni politiche in Bosnia-Erzegovina che ci diranno se sono aumentate o invece ridotte le linee di demarcazione etnica tra le tre comunità, che costituiscono la debole federazione.
L'integrazione nell'Unione europea resta la bussola per tutto la regione, ma non è un orizzonte né lineare, né facile da raggiungere. Il gruppo del Partito Democratico, nel caso di questo decreto-legge come in quelli precedenti, non farà mancare il proprio sostegno all'impegno delle unità militari e delle organizzazioni civili del nostro Paese per la pace nel mondo, per la stabilizzazione delle aree di crisi, Pag. 50per la promozione dello sviluppo, per la tutela dei diritti umani e per il sostegno dei processi di democratizzazione.
Tuttavia, ritengo doveroso muovere osservazioni puntuali ad alcuni altri aspetti che non dovrebbero essere derubricati come tecnici o minori. È il caso del complesso di misure di cooperazione previste agli articoli da 1 a 3 del decreto-legge. Si tratta di interventi per circa 40-45 milioni di euro, di cui quasi la metà in Afghanistan e il resto per lo più in Libano, Pakistan, Sudan e Somalia, inclusa una dotazione del Fondo di sminamento umanitario.
Qui siamo di fronte ad un doppio paradosso. Per un verso si tratta di una riduzione anche cospicua delle risorse destinate a questo fine, alla cooperazione per queste missioni, rispetto ai precedenti decreti di rinnovo.
Per altro verso, si tratta di risorse che vanno ad aggiungersi a quelle ormai ridotte all'osso previste dalla legge n. 49 del 1987 per la cooperazione allo sviluppo e gestite dal Ministero degli affari esteri. Rispetto ai meno di 326 milioni per la legge n. 49 del 1987 stanziati dalla finanziaria per il 2010, questi 45 milioni del decreto-legge sono risorse notevoli, quasi il 15 per cento del totale, e portano a chiedersi (visto che la cosa continua a ripetersi con regolarità, decreto-legge dopo decreto-legge) per quale ragione le cose si facciano all'ultimo minuto, in questo modo, e fino a quando si possa continuare a sottostimare il peso, ancorché prevedibile, degli impegni del nostro Paese in campo internazionale e perché si debba invece sempre ricorrere a misure dell'ultimo minuto, di emergenza, tipiche dei decreti-legge.
Occorrerebbe allora chiedersi se e quanto la cooperazione allo sviluppo sia ancora parte integrante della politica estera del nostro Paese, quanto sia seconda gamba irrinunciabile di molte delle missioni all'estero, visto che tagli e aggiunte si sommano con un risultato algebrico finale che ha sempre davanti il segno meno.
Questo modo di procedere non fa bene all'amministrazione, né alla credibilità del nostro Paese, che richiede - ce lo richiedono anche i nostri partner internazionali - programmazione e prevedibilità. Non si può quindi tacere l'impressione che si proceda troppo spesso con misure tampone dell'ultimo minuto, anche in vicende così rilevanti, che lasciano sempre senza risposta la domanda: perché in questo modo? È una domanda che riguarda, ad esempio, la proroga di dodici mesi dei contratti degli esperti della cooperazione, ex lege n. 49 del 1987, il cui organico pure è ridotto da tempo ai minimi termini e che è un capitolo che andrebbe trattato invece in modo organico, ma che è al contrario bloccato ed ibernato; è una domanda che riguarda anche l'utilizzo dei decreti di natura non regolamentare - sottolineo: non regolamentare - da parte del Ministro per istituire task force di coordinamento degli interventi di stabilizzazione in Afghanistan e Pakistan.
I decreti di natura non regolamentare sono previsti sì dall'ordinamento militare, ma - mi pare - per ambiti molto circoscritti, che non mi sembrano rientrare in quelli previsti.
Non sono insomma convinto che se ne stia facendo buon uso e non posso fare a meno di chiedermi se la velocità dello strumento del decreto ministeriale di natura non regolamentare, che deriva dal fatto di non essere soggetto a deliberazione del Consiglio dei ministri e al preventivo esame del Consiglio di Stato e della Corte dei conti, debba andare a scapito della trasparenza e del controllo parlamentare.
Molto altro si potrebbe dire sul metodo e sul merito, nel bene e nel male: bene nel merito e male nel metodo il sostegno all'iniziativa Adriatico-Ionica il cui segretariato ha sede ad Ancona; ancora male nel merito e nel metodo - non fosse altro che per l'estraneità di materia - la proroga del commissario straordinario della Croce rossa italiana.
Detto tutto ciò, vorrei però dedicare la seconda parte del mio intervento alla questione maggiore trattata nel decreto-legge Pag. 51di cui molto si è discusso anche in Aula e di cui ha parlato il sottosegretario, e mi riferisco principalmente all'Afghanistan. Proprio oggi a Kabul si svolge una Conferenza internazionale sull'Afghanistan, promossa insieme dall'ONU e dal debole e discusso Governo del Presidente Karzai, che vede la partecipazione di tutti i Paesi che partecipano alla missione ISAF dagli Stati Uniti all'Italia, fino all'Alto Rappresentante per la politica estera dell'Unione europea ed ai Paesi della regione, dal Pakistan all'Iran all'India e alla Cina (almeno questi sono gli invitati, non ho notizie di agenzia dell'ultimo minuto), fino alle organizzazioni multilaterali finanziarie e politiche, dalla Banca mondiale alla Conferenza islamica, al Consiglio di cooperazione del Golfo.
La Conferenza è presieduta dal Ministro degli esteri afgano, Zalmay Rassoul, e dall'inviato speciale del Segretario generale dell'ONU, Staffan De Mistura, che la conducono operativamente.
Questa Conferenza è un evento - mi pare - davvero importante: per la prima volta Kabul è la sede di un incontro che tratta in Afghanistan del futuro dell'Afghanistan (altri si svolsero a Bonn, a Parigi, a Londra, un altro si svolgerà entro fine anno a Tokio).
Si tratta di un passaggio importante, che tuttavia non dissipa i dubbi e le incertezze sul futuro: non è da oggi che la situazione afgana desta preoccupazioni tra di noi, nelle opinioni pubbliche occidentali e non soltanto perché è passato molto tempo dall'inizio della missione, ma soprattutto perché in tutto questo tempo vi sono state oscillazioni troppo forti sugli scopi della stessa.
Se l'obiettivo immediato era chiaro e condiviso, ossia contrastare il terrorismo fondamentalista e fare il vuoto intorno a Bin Laden dopo l'attentato alle Torri Gemelle, non si può dire che sia stato chiaro e lineare il modo di perseguirlo: dalla lotta al terrorismo iniziale, quasi una missione di polizia internazionale, si passò rapidamente al programma ambiziosissimo di costruire un Afghanistan completamente nuovo, sul modello occidentale.
Poi, nel corso del tempo, di fronte alle resistenze, alle difficoltà nel dibattito pubblico, si è passati dal prevalere del punto di vista di coloro che pensavano che fosse realizzabile in tempi brevi la costruzione di quell'Afghanistan moderno, con istituzioni democratiche di stile occidentale, europeo, al farsi largo della tesi di coloro che, ritenendo impraticabile o difficilissima la via di un nuovo Afghanistan, si sarebbero accontentati di un controllo della situazione affidato a chiunque fosse in grado di assicurarlo, pur di ridurre il prezzo di una presenza costosa sia in termini di vite umane che di risorse finanziarie.
Sembra ora (almeno, a me) che la comunità internazionale, a partire dall'ONU e dalla NATO, e con il concorso determinante della Presidenza americana di Barack Obama, abbia intrapreso una strada realistica, che pur riconoscendo le specificità della storia e della società afgane, nonché delle realtà geopolitiche che la circondano e che rendono la dimensione regionale un fattore imprescindibile per ogni strategia di stabilizzazione, persegua l'obiettivo prioritario di un assetto sì stabile, ma senza voler rinunciare all'ambizione di realizzarlo in un quadro di garanzie di libertà e di certezze giuridiche per tutti gli afgani, uomini e donne. Tutto questo in tempi non biblici, visto il quadro temporale a cui ha fatto più volte riferimento il Presidente Obama, dopo la decisione di rafforzare la presenza americana a cui l'Italia si è associata.
Come è stato ricordato anche oggi, è stata proposta la data della 2014, una data che rappresenterebbe un punto di arrivo della transizione: «transizione» è il termine che è stato usato in questo caso principalmente per indicare quel processo di afganizzazione della sicurezza del territorio in un quadro di stabilità istituzionale.
Tutto ciò è naturalmente più facile a dirsi che a farsi, ma è pure vero che, se non si comincia a pensare in questo modo, se non si comincia a pensare ad una exit strategy, vale a dire ad un Afghanistan affidato agli afgani, non si arriverà da Pag. 52nessuna parte, oppure il risultato finale sarà negativo per tutti. Alternative, ovviamente, al mantenimento della presenza ONU e NATO in Afghanistan e al progressivo trasferimento del controllo ad autorità afgane efficienti e riconosciute non mi pare che ve ne siano. Certo, i tempi contano, ma non possono nemmeno essere sincronizzati esclusivamente sulle scadenze elettorali dell'Occidente e l'indicazione della data del 2014 in qualche misura rassicura da questo punto di vista.
La situazione dell'Afghanistan si può poi descrivere in molti modi: in chiave etnica, come scontro tra il gruppo maggioritario dei pashtun, ben visti in Pakistan ma che insospettiscono l'India, ed altre etnie, ben viste dall'Iran ma in rivalità al Pakistan; o in chiave ideologica, come un conflitto tra islamisti tradizionalisti, talebani di vario grado e le varie tendenze modernizzatrici, a partire da Karzai; oppure, infine, come una guerra di tutti contro tutti, in cui la fanno da padroni i signori della guerra locali e gli intrecci criminali, con il commercio dell'oppio e con le varie forme di corruzione, che sono trasversali e si dispiegano dai livelli locali a quelli centrali.
In ognuna di queste possibili descrizioni della realtà afgana vi è del vero, ma nessuna di esse mi pare in grado da sola di descrivere la situazione e di indicare la soluzione.
Per quanto possiamo sapere, gli sviluppi della situazione afgana sono e restano contraddittori. Il sud sfugge ormai al controllo internazionale e del Governo centrale. Altre zone sono contese. Sul terreno si combatte e possiamo chiamare questi combattimenti guerra tout court o in un altro modo, ma le cifre dei caduti parlano un linguaggio fin troppo chiaro. Vorrei ricordarle (caduti militari e civili). Cito da uno studio del Congresso degli Stati Uniti aggiornato al 23 giugno scorso: i morti americani del 2010, fino al 23 giugno, sono stati 180, in netto aumento rispetto ai 311 di tutto il 2009, e dei 155 di tutto il 2008; dal 2001 ad oggi gli Stati Uniti hanno perduto in Afghanistan 1.116 uomini, mentre 729 sono i caduti del resto della coalizione (24 i nostri caduti, i militari italiani).
Che l'Esercito nazionale afgano, che pur si sta costruendo, non sia in grado di reggere il confronto con le varie forme di ribellione o di insorgenza, o di criminalità o di illegalità, lo fa pensare anche il numero dei loro caduti: l'Esercito afgano ha perduto 292 uomini in tutto il 2009, mentre resta sempre molto pesante il bilancio delle vittime civili (sono 2.412 i civili morti nel 2009, e 737 nel primo trimestre del 2010). È stato ricordato anche questo, che delle vittime civili il numero di gran lunga maggiore (il 67 per cento) è stato provocato dalle varie forme di insorgenza e di ribellione, mentre il resto sarebbe caduto per responsabilità delle forze alleate o delle forze governative afgane.
Se il quadro del conflitto è in questi dati, è evidente che la descrizione della realtà afgana proposta dal Governo Karzai nel documento di apertura della Conferenza di oggi è certamente edulcorato ed ottimistico. Lo vorrei ricordare, vi si parla di progressi compiuti nel ripristino della sicurezza e dei servizi forniti ai cittadini dal 2001 ad oggi in termini certamente positivi, nel senso che si ricorda (o si afferma) che l'assistenza sanitaria sarebbe ora accessibile all'85 per cento degli afgani rispetto all'8 per cento del 2001, che il reddito pro capite sarebbe da allora quadruplicato (a 600 dollari l'anno), che vi sarebbero stati progressi cospicui sul fronte femminile: si ricorda che il 27 per cento dei membri del Parlamento è composto da donne; che sarebbe decuplicato da settecentomila a sette milioni il numero degli studenti e degli scolari, e le ragazze rappresenterebbero il 35-40 per cento; passi avanti poi sarebbero stati compiuti nelle infrastrutture e nei collegamenti stradali, e un grande sviluppo del pluralismo informativo si sarebbe realizzato con 22 stazioni televisive, centinaia di quotidiani, un centinaio di radio, rispetto ad una televisione, una radio e due quotidiani presenti nel 2001. Pag. 53
La realtà in verità - è evidente - non è così rosea, ma certamente questi dati presentati alla Conferenza di oggi ci dicono che l'Afghanistan non è fermo, non è immobile, e che il suo destino non è necessariamente quello dell'oscurantismo talebano o della «ritribalizzazione» che alla fine potrebbe portare anche alla partizione del Paese, con conseguenze internazionali tutte da valutare. Questo destino non è inevitabile a condizione, però, che avanzi un processo realistico di riconciliazione nazionale e di ricostruzione del Paese dal punto di vista delle strutture materiali ed istituzionali, e che il progressivo e futuro ritiro delle Forze armate occidentali non si traduca in un abbandono del popolo afgano. In una parola occorre che avanzi un processo di «afganizzazione» della crisi in cui siano coinvolti i vari attori regionali, e in cui le Nazioni Unite e la NATO non abbandonino il campo anzitempo. La Conferenza di oggi, preceduta dal Consiglio consultivo per la pace della società afgana (la cosiddetta grande Jirga), riunitasi all'inizio di giugno, dovrebbe muoversi in quella direzione, e dovrebbe farlo affrontando i temi delicati dell'inclusione nel processo degli insorti, anche talebani, che siano disposti a deporre le armi e ad accettare il quadro di riferimento costituzionale.
Il Governo Karzai preme, inoltre, perché vengano depennati dalla «lista nera» dei terroristi dell'ONU parecchi personaggi controversi, mentre il generale Petraeus, che ha assunto il comando in Afghanistan dopo l'allontanamento di McChrystal, vorrebbe creare a livello di villaggio e, quindi, su base tribale - lo leggiamo sui giornali, ci piacerebbe sentirlo dire con chiarezza anche dal Governo, informandoci e rispondendo a quelle domande che la collega Mogherini Rebesani faceva prima - delle milizie di sostegno alle forze governative che servirebbero a strappare il controllo del territorio ai talebani, incontrando, però, su questo piano, a quanto sembra, la diffidenza di Karzai e del Governo centrale afgano che teme di perdere ulteriormente il controllo sulle province.
Quel che forse conta oggi è che quella della Conferenza di Kabul è un'agenda in cui tutti, almeno nelle parole che uso, possono riconoscersi e anche noi credo possiamo riconoscerci: riconciliazione, sicurezza, buon governo, sviluppo economico e cooperazione regionale. Dall'inizio del conflitto ad oggi, dai Paesi donatori sono stati inviati in Afghanistan 36 miliardi di dollari (non parlo di 300 miliardi per la guerra, ma quelli per gli aiuti), ma solo il 20 per cento di questi aiuti sono passati dal bilancio del Governo afgano. L'Afghanistan ha ancora bisogno di aiuto - ancora bisogno di più aiuto, forse -, ma questo aiuto deve passare di più dalle istituzioni afgane ed è su quel terreno che vanno compiuti sforzi non minori di quelli necessari alla sicurezza.
Senza l'aiuto dell'Occidente, senza il coinvolgimento dei suoi vicini, l'Afghanistan non avrà pace, ma nessuna pace sarà ovviamente possibile senza gli afgani. È, dunque, in questa cornice fortemente definita - ci auguriamo nella dimensione unitaria europea - che ci attendiamo si svolga l'impegno del Governo italiano concorrendo, in Afghanistan, con i mezzi che anche il decreto-legge al nostro esame gli mette a disposizione, al rafforzamento dell'azione politica e civile delle forze internazionali, facilitando, in ogni modo, il coinvolgimento delle realtà statali di quella regione, favorendo la riconciliazione nazionale e l'afganizzazione della sicurezza, prodigando il massimo impegno nell'azione integrata di mantenimento della pace e di costruzione civile con progetti dedicati, innanzitutto, alla soddisfazione dei bisogni primari della popolazione, nei settori dell'istruzione e della salute.
Ci attendiamo, infine, che il Governo, muovendosi in questa direzione, non manchi di informare costantemente il Parlamento e di consultarlo preventivamente nei passaggi in cui siano richieste decisioni significative, sia da parte diretta del Governo, sia in concorso con gli alleati riguardo alla presenza qualitativa e quantitativa italiana, senza aspettare le semestrali scadenze del rinnovo del decreto-legge sulle missioni.

Pag. 54

PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Di Stanislao, iscritto a parlare: s'intende che vi abbia rinunziato.
Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche dei relatori e del Governo - A.C. 3610-A)

PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore per la Commissione affari esteri, presidente Stefani, il relatore per la Commissione difesa, onorevole Cicu e il rappresentante del Governo rinunziano alla replica.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani, avvertendo che l'organizzazione dei tempi di esame del disegno di legge di ratifica n.3620 sarà pubblicato in calce al resoconto della seduta odierna.

Mercoledì 21 luglio 2010, alle 10:

(ore 10 e ore 16)

1. - Seguito della discussione del disegno di legge:
Conversione in legge del decreto-legge 6 luglio 2010, n. 102, recante proroga degli interventi di cooperazione allo sviluppo e a sostegno dei processi di pace, di stabilizzazione e delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia. (C. 3610-A).
- Relatori: Stefani, per la III Commissione e Cicu, per la IV Commissione.

2. - Discussione del disegno di legge:
Ratifica ed esecuzione dell'Accordo di stabilizzazione e di associazione tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e la Repubblica di Serbia, dall'altra, con Allegati, Protocolli e Atto finale e Dichiarazioni, fatto a Lussemburgo il 29 aprile 2008 (ove concluso dalla Commissione). (C. 3620).

(ore 15)

3. - Svolgimento di interrogazioni a risposta immediata.

La seduta termina alle 18,55.

TESTO INTEGRALE DELLA DICHIARAZIONE DI VOTO FINALE DEL DEPUTATO MASSIMO VANNUCCI SUL DISEGNO DI LEGGE N. 3594.

MASSIMO VANNUCCI. Signor Presidente, nell'attuale fase di crisi economico-finanziaria è quanto mai complesso conciliare una linea di rigore nella gestione del bilancio e le pressanti esigenze di contrasto della recessione e di sostegno dei redditi.
Rispetto alla situazione di maggio 2008, a inizio legislatura, la politica di bilancio deve fare i conti con una perdita permanente di entrate per circa 70 miliardi e di prodotto per circa 130 miliardi; a questo si associa la necessità di mantenere livelli elevati di spesa pubblica in particolare per ammortizzatori sociali e sostegno al reddito.
La concomitanza eccezionale di una crisi finanziaria e di una recessione ha reso possibile un'espansione di bilancio dei paesi dell'Unione che ha determinato in molti paesi il superamento del valore di riferimento del disavanzo (3 per cento del PIL).
L'economia italiana si trova peraltro in una situazione inedita: il Prodotto interno lordo, per la prima volta nella serie storica, a partire dal 2008 ha registrato una netta contrazione, che nel biennio 2008-2009 ha raggiunto il 6,3 per cento; secondo i dati Istat di marzo anche nel 2009 vi è stata una diminuzione significativa del Pag. 55Prodotto interno non solo in termini reali (-5,0 per cento) ma anche in termini nominali (-3,0 per cento).
Un dato drammatico; la caduta del reddito in Italia è stata più elevata che negli altri paesi. Solo nell'ultima parte del 2009 e nel primo trimestre di quest'anno si vanno manifestando i primi segnali di ripresa dell'attività economica.
In Europa, la maggior parte dei paesi ha scelto di impegnare rilevanti risorse di bilancio per attuare provvedimenti di stimolo all'economia: si calcola che in Germania oltre la metà del maggiore deficit sia imputabile a tali misure di sostegno dell'economia; in Spagna circa un terzo; in Francia poco più di un quarto.
Per l'Italia, secondo la Banca d'Italia, gli interventi di sostegno anti-crisi avrebbero avuto un impatto nullo sul disavanzo, mentre avrebbero attenuato la caduta del Pil per circa 0,5 punti percentuali.
In Italia il Governo è intervenuto in funzione anticrisi in modo diverso dagli altri paesi: per rispettare il vincolo finanziario, sono stati proposti provvedimenti non espansivi tendenzialmente senza effetti finanziari «netti» compensando il relativo onere mediante riallocazione e rimodulazione delle risorse presenti nel bilancio a legislazione vigente.
Gran parte delle maggiori spese dei decreti anticiclici sono state infatti compensate con la riprogrammazione e la riallocazione delle risorse nazionali finalizzate allo sviluppo delle aree sottoutilizzate del Paese con un utilizzo delle risorse originariamente assegnate al FAS che la Corte dei Conti ha definito «ampio e discutibile».
Nel dicembre 2009, il Rapporto Strategico Nazionale del Dipartimento per lo Sviluppo e la Coesione Economica (DPS) ha sottolineato la rilevanza del «ruolo» delle risorse FAS dedicate all'addizionalità: «La riduzione della dotazione finanziaria del Fondo per le aree sottoutilizzate (...) ha rilevanti effetti sul profilo di addizionalità negoziato in occasione del Quadro Strategico Nazionale. In base al principio di addizionalità - storicamente uno degli elementi fondanti la politica comunitaria di coesione al fine di assicurare un reale impatto economico agli interventi cofinanziati - i contributi dei fondi strutturali non possono sostituire le spese pubbliche a finalità strutturale di uno Stato membro. L'addizionalità ex ante funge da quadro di riferimento per tutto il periodo di programmazione e costituisce uno degli elementi oggetto della decisione della Commissione europea di adozione del Quadro Strategico Nazionale».
Con una netta riduzione delle risorse da destinare allo sviluppo delle aree sottoutilizzate; in particolare si registra un taglio netto del Fondo per le Aree Sottoutilizzate; secondo il DPS per tale Fondo, «la differenza tra la previsione di spesa ex ante e quanto al momento prevedibile nell'arco temporale 2007-2013» era pari, a fine 2009, a circa il 27 per cento».
Ma le misure di compensazione degli effetti finanziari dei provvedimenti anticiclici hanno inciso pesantemente anche sulle dotazioni di spesa delle missioni del bilancio dello Stato sia di parte corrente che di conto capitale; sulle risorse attribuite ad enti locali e territoriali, con la revisione degli obiettivi del Patto di stabilità interno, con il rafforzamento del sistema sanzionatorio e con la riduzione dei trasferimenti agli enti locali; e con misure draconiane sulla spesa sanitaria delle regioni.
È proprio la finanza locale che ha pagato il tributo più rilevante alla crisi; molti degli interventi anticiclici sono stati infatti compensati in larga misura con le risorse dedicate agli enti locali e territoriali.
E con la disciplina di bilancio: il contributo delle Amministrazioni locali ai saldi complessivi di finanza pubblica è stato anche nel 2009 migliore di quanto ci si attendeva: il disavanzo è stato pari allo 0,4 per cento del prodotto invece dello 0,6 per cento previsto.
Le uscite complessive sono cresciute nel 2009 dell'1,8 per cento (erano il 5,1 per cento nel 2008).
Anche sulla spesa il comparto degli enti locali ha registrato un netto riaggiustamento: la spesa corrente al netto degli Pag. 56interessi è aumentata del 2,4 per cento, in sensibile frenata rispetto all'esercizio precedente (+6,9 per cento); anche i redditi da lavoro dipendente del comparto risultano in flessione (-1,4 per cento).
La spesa in conto capitale è aumentata dell'1 per cento; dopo la flessione registrata negli ultimi anni, sono cresciuti dell'1,7 per cento gli investimenti fissi. Ma si sono ridotti gli spazi di autonomia degli enti: le entrate tributarie sono in netta discesa rispetto al 2008: gli sgravi in materia di IRAP e le esenzioni dall'ICI, ma soprattutto il rallentamento della crescita, sono alla base della flessione nel gettito sia delle imposte indirette (- 10,9 per cento) sia delle imposte dirette (-9,9 per cento). L'incremento dei trasferimenti pubblici correnti, si giustifica solo con la compensazione degli effetti degli sgravi fiscali e delle esenzioni previsti per Irap e Ici.
Anche le Regioni hanno realizzato una riduzione del disavanzo: dallo 0,3 del 2008 allo 0,15 per cento del 2009 in percentuale del Pil. Le spese complessive sono cresciute nel 2009 dello 0,7 per cento, in forte decelerazione rispetto al 2008 (erano in aumento del 7,1 per cento). Crescono meno le spese correnti (il 3 per cento contro il 5,2 per cento nel 2008)ma le manovre attuate hanno avuto effetti recessivi sulla finanza locale e territoriale; le spese in conto capitale si riducono anche per le Regioni dell' 11,9 per cento.
Il contributo delle amministrazioni comunali e provinciali al risanamento della finanza pubblica è stato significativo: l'indebitamento complessivo si è ulteriormente ridotto per i Comuni passando da un disavanzo di 1,1 miliardi nel 2008 a circa 320 milioni nel 2009; le Province hanno dimezzato il disavanzo complessivo, da 1,1 miliardi a 615 milioni, tagliando sia le spese correnti (-3 per cento) che la spesa in conto capitale (-3,3 per cento).
La Corte dei Conti riconosce che sia le Province che i Comuni hanno pienamente conseguito gli obiettivi assegnati, anche con un considerevole scarto positivo.
Ma a caro prezzo: le regole del Patto più stringenti e la fase recessiva del ciclo economico hanno penalizzato gravemente le disponibilità degli enti - come noto, in gran parte vincolate a servizi pubblici di rilevanza sociale e imprenditoriale - con gravi ripercussioni negative soprattutto sulla spesa in conto capitale.
Le misure di alleggerimento del Patto dal lato della spesa adottate in corso d'anno, hanno consentito di escludere dall'area rilevante per il Patto solo 1.691 milioni di pagamenti in conto capitale e circa 2 milioni di impegni correnti.
Le conseguenze delle manovre anticrisi del Governo sulla finanze locale sono molto pesanti: la Corte dei Conti parla di riduzione dell'autonomia finanziaria, crescita dell'incidenza degli interessi passivi e quindi di un'evoluzione negativa della situazione debitoria nonché di minori capacità di generare avanzo primario corrente, mentre tutti gli enti registrano un forte indebolimento del contesto economico esterno. E denuncia «le criticità di un sistema che non sempre ha portato ad una riqualificazione della spesa a vantaggio degli investimenti e dello sviluppo locale e che ha consentito il progressivo diffondersi di comportamenti elusivi finalizzati al solo rispetto formale degli obiettivi. Ciò rende urgente rivedere il meccanismo con cui gli enti territoriali sono chiamati a contribuire al rispetto degli obiettivi posti al Paese dall'appartenenza al sistema europeo».
La politica di bilancio per il triennio 2010-2012.
Gli obiettivi di finanza pubblica, aggiornati con la Ruef per il 2010 prevedono che l'indebitamento netto, in quota di Pil, discenda dal 5,0 per cento nel 2010 al 3,9 nel 2011 e al 2,7 nel 2012.
La correzione degli andamenti tendenziali - anch'essi aggiornati, da ultimo, nella Ruef -risulta, in parte incorporata negli effetti attesi dalle misure di contenimento adottate con la manovra per il 2009 e, per il resto, si è concretata con il varo, a fine maggio, del decreto-legge n. 78/2010, con il quale è stata anticipata una correzione, a valere sugli anni 2011-2012, dell'ordine di 1,6 punti di Pil, in termini di avanzo primario. Pag. 57
Le misure anticicliche devono essere coerenti con interventi mirati per ovviare al deterioramento di bilancio ma devono anche garantire la sostenibilità a lungo termine.
Nell'audizione resa presso la Commissione bilancio del Senato della Repubblica il 10 giugno scorso, la Corte dei Conti ha segnalato le molte criticità della manovra correttiva e dei principali interventi previsti dal decreto-legge n. 78.
La manovra del decreto-legge n. 78 è esclusivamente finalizzata alla riduzione del disavanzo: non vi sono risorse per sostenere le famiglie e le imprese e contrastare la crisi tuttora in atto.
La manovra dovrebbe assicurare 12 miliardi di risparmi nel 2011 e 13 miliardi aggiuntivi nel 2012.
La Corte segnala un «rischio di un impatto di segno negativo sulla crescita economica; e, di conseguenza, il rischio di un assottigliamento degli effetti sul disavanzo, soprattutto per via della flessione del gettito fiscale connessa ad un più basso livello di attività economica».
Non ritiene idonea «la piena contabilizzazione, come mezzo di copertura, dei rilevanti introiti stimati a fronte delle misure di contrasto all'evasione fiscale».
E, soprattutto considera «non realistica» la stima circa gli effetti di risparmio attesi dai «tagli» lineari alle spese delle Amministrazioni statali; e ciò con riguardo sia alle spese per consumi intermedi (di dubbia compatibilità con le esigenze di funzionalità delle amministrazioni) sia alle spese di investimento, per le quali l'effetto atteso di contenimento dei pagamenti sembra troppo rapido.
Ancora un rilievo avanzato dalla Corte riguarda le misure destinate a ridurre la spesa delle Amministrazioni locali: a queste, è richiesto un contributo al riequilibrio dei conti pubblici pari a circa il 50 per cento dell'intera manovra 2011-2012. Il giudizio della Corte appare netto: «la realizzabilità e la sostenibilità delle misure in questione sono di difficile valutazione a causa di un meccanismo (come per il Patto di stabilità interno) che si applica, in modo indifferenziato, ad un universo di riferimento molto ampio e con caratteristiche gestionali molto variegate».
Quanto, infine, ai provvedimenti in materia di pubblico impiego, la Corte sottolinea come le misure di blocco delle procedure negoziali e degli automatismi siano molto impegnative e, soprattutto, debbono essere rese coerenti con i percorsi già positivamente avviati in tema di revisione delle regole per i rinnovi contrattuali ed anche in tema di erogazione selettiva dei trattamenti accessori.
È evidente che il Governo non è sinora riuscito a conciliare gli obiettivi di sostegno all'economia con gli ineludibili obiettivi di finanza pubblica, con effetti molto incisivi soprattutto sugli enti locali e territoriali, sulle risorse destinate alle attività produttive e agli investimenti, e su quelle destinate alle politiche di coesione e per il Mezzogiorno.
È chiaro che è essenziale assicurare pieno controllo sui bilanci pubblici e intervenire responsabilmente sui risultati della gestione amministrativa e sulla politica di bilancio. Ma appare anche necessario garantire una riduzione strutturale del disavanzo e del debito pubblico in una prospettiva di medio periodo aprendo spazi per liberare risorse a sostegno delle famiglie e del sistema produttivo.
Il relatore, Onorevole Girlanda, ha opportunamente sottolineato che «il rendiconto fornisce una "fotografia" della situazione reale del bilancio dello Stato, che integra quella fornita dal bilancio di previsione e consente di verificare il reale andamento della finanza pubblica nell'esercizio di riferimento».
Il rendiconto è dunque «la base essenziale sulla quale impostare il nuovo ciclo di programmazione economico-finanziaria» che, illustrando i risultati dell'azione amministrativa, fornisce al Parlamento elementi essenziali per la valutazione delle politiche pubbliche.
È molto importante sottolineare il ruolo del giudizio di parificazione della Corte dei Conti che dà «giuridica certezza alle risultanze del bilancio dello Stato». In tempi di crisi - e, soprattutto, di crisi di Pag. 58«fiducia» - per la finanza pubblica, è essenziale dare rilievo alle istituzioni che hanno una fondamentale funzione di valutazione ex post delle politiche e di controllo sulle amministrazioni statali e del settore pubblico allargato. Come ha ricordato il presidente della Corte dei Conti Tullio Lazzaro, il nostro è uno dei pochissimi ordinamenti giuridici al mondo ad avere un tale sistema di controllo delle pubbliche finanze; è noto quanto nel campo della finanza pubblica sia importante il fattore fiducia: «è un elemento impalpabile, forse neppure definibile, ma il cui venir meno può provocare danni maggiori di una catastrofe naturale».
Qual è la «fotografia» reale del bilancio dello Stato del disegno di legge di rendiconto per l'anno 2009?
Il quadro di finanza pubblica riflette pienamente la caduta dell'attività economica, con un pesante deterioramento dei conti: l'indebitamento netto ha superato gli 80 miliardi, quasi raddoppiando rispetto al 2008, e raggiungendo il 5,3 per cento sul prodotto interno lordo; il saldo primario, che ancora nel 2008 presentava un avanzo pan al 2,5 per cento sul prodotto, è divenuto negativo (-0,6 per cento sul Pil), per effetto del calo delle entrate e della crescita sostenuta delle spese al netto degli interessi.
La spesa primaria è aumentata di quasi il 5 per cento, raggiungendo il 47,8 per cento sul Pil, un valore di quasi sette punti superiore al livello del 2000; la spesa in conto capitale è aumentata del 12,7 per cento, variazione influenzata, però, in larga misura da fattori prevalentemente contabili; le entrate totali, per la prima volta negli ultimi cinquant'anni, si sono ridotte (-1,9 per cento), anche se in misura inferiore alla caduta del Pil nominale (-3,0 per cento).
La pressione fiscale (imposte dirette, imposte indirette e contributi sociali) è aumentata dal 42,9 al 43,2 per cento; il rapporto debito/Pil, già aumentato nel 2008, è cresciuto ancora di quasi 10 punti percentuali, raggiungendo il 115,8 per cento.
Le spese totali delle Amministrazioni pubbliche hanno superato nettamente la soglia del 50 per cento sul Pil: il valore di consuntivo, pari al 52,5 per cento, è di oltre tre punti superiore al livello del 2008 e si è verificato nonostante la flessione dell'incidenza sul prodotto delle spese per interessi, in netta flessione (-12,2 per cento).
La forte accelerazione delle prestazioni assistenziali (+50 per cento circa) e in generale degli ammortizzatori sociali e degli interventi di sostegno dei redditi, quali gli assegni di integrazione salariale e le indennità di disoccupazione (complessivamente in aumento di quasi 1'11 per cento) non giustifica un tale aumento di spesa. Molti di questi interventi non hanno, tra l'altro, effetti permanenti sui conti pubblici. I consumi intermedi (acquisti di beni e servizi) sono infatti in netto aumento: per il complesso delle Amministrazioni pubbliche sono aumentati del 6,3 per cento.
La spesa per interessi è l'unica componente ad aver segnato una riduzione molto superiore al previsto (-12,2 per cento contro il -6,4 per cento del Dpef 2010-2013) per effetto di una discesa dei tassi a breve termine molto più rapida delle attese: i tassi medi lordi sui BOT sono passati dal 4 per cento dell'autunno 2008 allo 0,6 per cento dell'estate 2009, per poi risalire fin verso 1'1 per cento dopo il marzo 2010. In questo contesto, occorre sottolineare una ridotta crescita dei redditi da lavoro dipendente (+1,0 per cento). In presenza di una caduta del Pil nominale del 3 per cento, le entrate delle Amministrazioni pubbliche si sono ridotte in valore assoluto, per la prima volta negli ultimi cinquant'anni. La flessione è pari all'1,9 per cento, ma per contenere il cedimento al di sotto di quanto giustificato dalla riduzione delle basi imponibili si è fatto ampio ricorso ad entrate straordinarie. Queste, che nel 2008 erano pressoché azzerate, hanno fornito, nel 2009, un gettito di oltre 12 miliardi, derivante dagli introiti del cosiddetto «scudo fiscale» e dagli incassi delle imposte sostitutive una tantum sulle rivalutazioni volontarie dei Pag. 59cespiti aziendali. Le entrate sono in netto calo: non si è adeguatamente contrastata l'evasione fiscale e contributiva. Le imposte dirette, indirette e i contributi sociali hanno dato risultati deludenti: le imposte dirette risultano in flessione del 7,1 per cento, per effetto dell'arretramento di tutte le principali categorie (Irpef, imposta sul reddito delle società, imposte sostitutive sul risparmio delle famiglie). Le imposte indirette sono diminuite del 4,2 per cento, con una caduta particolarmente pesante dell'Iva (-7,4 per cento) nonostante la dinamica sostenuta dei proventi dei giochi. Anche i contributi sociali, a causa della riduzione delle retribuzioni, hanno segnato una diminuzione dello 0,5 per cento.
Se si esamina il consuntivo 2009 per livelli di governo si osserva che i conti dello Stato registrano un peggioramento del contributo ai risultati complessivi di finanza pubblica, con un indebitamento netto salito al 4,8 per cento, in termini di prodotto, rispetto al 2,7 per cento del 2008.
La Corte dei Conti sottolinea un aspetto rilevante: «Nella contabilità finanziaria del Rendiconto, non rilevante ai fini delle verifiche europee, i risultati mostrano, invece, un miglioramento del saldo netto sia di competenza che di cassa (il primo migliora di circa 5 miliardi, il secondo di circa 1,5 miliardi). In termini di competenza le spese crescono dello 0,9 per cento; le entrate del 2 per cento».
La leggibilità dei conti statali - secondo la Corte - «è appannata sempre più da un imponente accumulo di residui attivi e passivi». I residui attivi arrivano a sfiorare i 195 miliardi, mentre i residui passivi tornano ad aumentare e si approssimano a 97 miliardi.
Si tratta di un'anomalia con effetti importanti: «preclude la possibilità di effettuare una corretta programmazione dei flussi finanziari che non potrà non porre problemi per l'effettivo passaggio al bilancio di cassa».
Quanto all'evasione fiscale, il decreto-legge n. 78 del 2010 attribuisce un ruolo assai rilevante ai risultati attesi dalla lotta all'evasione fiscale. Secondo la Corte dei Conti, considerando i principali provvedimenti che hanno dato corpo alle manovre di finanza pubblica varate negli ultimi due anni (la legge n. 133 del 2008, le leggi nn. 2 e 33 del 2009, la legge n. 102 del 2009 e, ora, il decreto-legge n. 78 del 2010) si può quantificare in circa 37 miliardi il maggior gettito atteso dalla lotta all'evasione per il quinquennio 2009-2013. Ma nelle successive «manovre» del Governo non vi sono strumenti idonei a contrastare effettivamente l'evasione e a favorire un forte innalzamento dei livelli di adesione spontanea dei contribuenti.
Il giudizio della Corte dei Conti sul fenomeno evasione è molto puntuale: «Gli strumenti di cui dispone l'Amministrazione sono, infatti, già molto efficaci nell'individuare gli evasori (basti pensare alle indagini finanziarie o alle metodologie di controllo che consentono anche il ricorso a presunzioni, purché gravi, precise e concordanti). Il problema principale, quindi, non è più quello di potenziare gli strumenti investigativi, considerato il limitato numero di controlli espletabili annualmente dall'Amministrazione rapportato ai milioni di soggetti potenzialmente a rischio. Non è, peraltro, auspicabile che i frutti del contrasto all'evasione debbano essere esclusivamente legati ad una crescente attività di repressione. Il nodo è nella capacità di indurre comportamenti spontanei di massa più corretti, completando e rafforzando le misure che possono favorire la naturale emersione delle basi imponibili (generalizzata acquisizione dei dati relativi ai rapporti con clienti e fornitori, comunicazione annuale al fisco dei dati finanziari di sintesi di tutte le posizioni censite nell'anagrafe dei rapporti, ecc.). E, inoltre, riportando il sistema sanzionatorio, la cui forza di dissuasione è oggi forse eccessivamente indebolita, soprattutto nei confronti delle evasioni più diffuse, ad un livello di effettiva deterrenza. Insieme a queste misure potrebbe, poi, essere opportuno valutare anche la possibilità di adottare strumenti giuridici idonei a consolidare i risultati dell'azione di accertamento svolta nei confronti di Pag. 60singoli contribuenti, evitando di dover reiterare onerosi percorsi probatori, pur in assenza di significativi mutamenti nello svolgimento dell'attività».
La Corte richiama, ancora una volta, il persistente scarso interesse mostrato dal Governo sia per una sistematica misurazione del fenomeno evasivo, sia per un'attenta e affidabile verifica ex post del maggior gettito effettivamente ottenuto con l'azione di contrasto. Elementi che dovrebbero dare corpo alla prevista relazione annuale al Parlamento.
Dai dati del Rendiconto emerge la necessità di contenere la dinamica della spesa corrente; un obiettivo ambizioso e difficile, ma, come si vede dai dati, sistematicamente mancato negli ultimi anni.
Il rendiconto ci ha dato dunque una fotografia «utile» e «necessaria» della situazione della finanza pubblica ma non sufficiente: molte sono le disfunzioni, gli sprechi, le incongruenze, i ritardi dell'azione amministrativa che ostacolano uno sviluppo durevole e «strutturale» soprattutto nelle aree in ritardo e che implicano un costo enorme in termini economici e sociali.
Come ha ricordato il Presidente della Corte dei Conti Tullio Lazzaro, «La macchina amministrativa, in tutte le sue componenti, è essenziale per la vita del Paese: il perfetto funzionamento di essa è condizione imprescindibile per soddisfare la domanda di ogni servizio da parte dei cittadini e delle imprese, è elemento costitutivo dei fatti concreti e quotidiani di ogni disegno riformatore concepito dal legislatore».
Per soddisfare tale domanda è utile non limitarsi ad un'analisi solo contabile del bilancio; ma individuare e analizzare ovunque si manifestino malgoverno, sprechi, inefficienze mediante un controllo efficace della gestione della cosa pubblica in modo da identificare le spese che potrebbero essere ridotte o eliminate senza comprimere i servizi pubblici e da aprire spazi per contenere il prelievo sui cittadini (contrastando efficacemente, con l'efficienza della PA, l'evasione fiscale e contributiva).
Gli strumenti per attivare tale controllo, già esistono: la legge n. 20 del 1994 come modificata dall'articolo 1, comma 473, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, dà alle competenti Commissioni Parlamentari il potere di indicare alla Corte dei Conti le priorità da seguire nel controllo di gestione.
Questo appare quanto mai opportuno nell'attuale fase di crisi della finanza pubblica, quando occorre adottare provvedimenti urgenti in funzione anticiclica con effetti - diretti e indiretti - non solo sulle pubbliche finanze ma anche per l'economia nel suo complesso.
È impegno del nostro gruppo - a partire dal disegno di legge di rendiconto - continuare in una costante azione di monitoraggio e verifica dell'azione amministrativa e di Governo, non solo in funzione critica, di opposizione e di denuncia ma anche con una azione costruttiva di proposta e di indirizzo per contribuire all'efficienza e al risanamento dell'organizzazione dello Stato in continuità con le importanti iniziative assunte dal Governo Prodi nella XIII e XV legislatura.

CONSIDERAZIONI INTEGRATIVE DELL'INTERVENTO DEL SOTTOSEGRETARIO DI STATO PER GLI AFFARI ESTERI ENZO SCOTTI IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE DI CONVERSIONE N. 3610-A

ENZO SCOTTI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Il Governo democratico pakistano sta conducendo un'efficace e difficile lotta contro i talebani nelle aree di frontiera con l'Afghanistan, azione che ha ripercussioni positive sul teatro afgano e per il consolidamento democratico in Pakistan.
Le conseguenze dell'azione di contrasto degli elementi talebani sono pesanti per il Governo, le forze di sicurezza e la popolazione civile, come testimoniano i continui sanguinosi attentati terroristici che colpiscono le principali città del Paese. Aiutare il Pakistan in modo rapido ed Pag. 61incisivo risponde a evidenti motivazioni di ordine politico-strategico ma anche umanitario.
Il nostro Paese sta assicurando il proprio appoggio politico e strategico al Governo pakistano, sia bilateralmente che in seno all'Unione europea. L'Italia si è impegnata in tal senso in occasione della Conferenza dei donatori di Tokyo del 2009, annunciando nuovi programmi di sviluppo per 62 milioni di euro in settori prioritari (quali sviluppo rurale, formazione professionale, agricoltura). Stiamo inoltre finalizzando la conversione del debito di 80 milioni di euro, da utilizzare per progetti di sviluppo e ricostruzione e partecipiamo attivamente alla realizzazione della «Malakand Strategy» per le aree di confine.
Da ultimo, occorre ricordare che siamo attesi, il prossimo 14- 15 ottobre, alla riunione Ministeriale di Bruxelles del Gruppo dei «Friends of Democratic Pakistan», foro internazionale di sostegno politico al Governo civile di Islamabad, dove la comunità internazionale sarà ancora una volta chiamata a mostrare concreto appoggio al Pakistan.
La missione UNIFIL continua a svolgere un ruolo determinante per la stabilità del Libano e dell'intera regione. Per la prima volta in trent'anni le autorità libanesi hanno esteso il loro controllo alla parte meridionale del Paese e, salvo alcuni incidenti per i quali UNIFIL è tempestivamente intervenuta al fine di scongiurare qualsiasi pericolo di escalation, non si sono verificati attacchi contro Israele dal dispiegamento della missione.
L'Italia continua a mantenere una presenza particolarmente visibile sia per il numeroso contingente dispiegato (1780 unità nel secondo semestre dell'anno), ma anche per le capacità di comando della componente navale che si concluderà il 30 settembre 2010.
L'Italia si colloca tra i principali Paesi donatori in Libano, con oltre 200 milioni di euro destinati a seguito del conflitto israelo-libanese del 2006. Di questo importante contributo, ben 120 milioni di euro sono a dono ed oltre 86 milioni di euro sono crediti di aiuto. Il Libano è il secondo Paese destinatario di aiuti italiani dopo l'Afghanistan.
L'Italia esercita un ruolo di «apri-pista» per gli altri donatori, che le hanno riconosciuto la Presidenza dei coordinamenti comunitari in materia di Sviluppo locale, Ambiente e Genere nel quadro della progressiva attuazione, in Libano, delle linee guida previste dal Codice di Condotta UE sulla complementarietà e la divisione del lavoro nella politica di cooperazione.
In questo quadro dall'evidente complessità, l'Italia è impegnata su tutti i fronti, compreso il sostegno al Tribunale Speciale per il Libano, che è incaricato di giudicare i presunti responsabili dell'attentato del 2005 che ha causato la morte del Primo Ministro libanese Hariri.
L'Italia attua nei Balcani una politica di ampio respiro nella convinzione che gli equilibri della regione possano trovare una loro composizione esclusivamente all'interno di un progetto di integrazione di tutti i suoi paesi nell'Unione europea e nella NATO.
L'azione diplomatica condotta dall'Italia ha trovato la sua legittimazione nell'Incontro Politico ad Alto Livello Unione europea-Balcani Occidentali, svoltosi a Sarajevo il 2 giugno scorso. L'evento - organizzato dalla Presidenza di turno dell'Unione europea su iniziativa italiana - ha ribadito che il futuro della regione è nell'Europa.
Coerentemente con tale impostazione, l'attività diplomatica italiana si è sviluppata energicamente a sostegno della cooperazione regionale e dei suoi strumenti quali l'Iniziativa Adriatico Ionica (IAI) e l'Iniziativa Centro-Europea (INCE). In occasione del decimo anniversario della Dichiarazione di Ancona che diede vita alla IAI, i Ministri degli Esteri di Italia, Slovenia, Croazia, Serbia, Montenegro, Albania, Bosnia Erzegovina e Grecia hanno approvato ad Ancona una dichiarazione che mira a promuovere una strategia europea per l'area adriatico-balcanica. Similmente, il Vertice dei Ministri degli Esteri dell'INCE ha approvato lo scorso 15 Pag. 62giugno un documento per il rilancio dell'Iniziativa predisposto da un gruppo di esperti presieduto dall'onorevole Antonione. Su queste tematiche, ed in particolare sull'Iniziativa Adriatico Ionica, che ho avuto modo di seguire da vicino, sono ovviamente disponibile a fornire un'informativa più dettagliata che potrà essere calendarizzata nelle prossime settimane.
Il Governo italiano continua ad operare affinché i processi di integrazione euro-atlantici possano procedere ed auspica che nei prossimi mesi ulteriori sviluppi concreti possano registrarsi in tale direzione, a cominciare dalla concessione della liberalizzazione dei visti anche per Bosnia e Albania, dalla concessione dello status di candidato al Montenegro, all'Albania. L'Italia intende in particolare essere tra i primi Paesi partner europei a ratificare l'accordo di stabilizzazione e associazione tra Unione europea e Serbia. Al riguardo saremo grati alla Commissione Esteri della Camera per l'inserimento -.il prima possibile - nel programma dei lavori del relativo testo di ratifica. E siamo pronti a fare la nostra parte per favorirne un rapido iter.
In Bosnia Erzegovina, l'attenzione è focalizzata sulle imminenti elezioni generali al fine di poter imprimere un rinnovato slancio alle riforme necessarie per l'avanzamento del processo d'integrazione euro-atlantica del paese; in Kosovo, la situazione si mantiene stabile pur se gli equilibri permangono fragili, in particolare nel nord a maggioranza serba, anche alla luce dell'imminente emanazione del parere consultivo da parte della Corte Internazionale di Giustizia sulla legittimità della dichiarazione di indipendenza del Kosovo. In entrambi i casi si tratta di sviluppi che la nostra politica estera segue con costante attenzione.
Lo Yemen sta attraversando una crisi interna dovuta a numerosi fattori destabilizzanti (pirateria, terrorismo, povertà, risorse limitate, immigrazione illegale, conflitti tribali, effetti della crisi del Corno d'Africa). Gli obiettivi sono di evitarne l'ulteriore degrado, di prevenirvi una crisi aperta, di scongiurare il possibile fallimento dello stato.
Sulla spinta di un'azione condotta dall'Italia, inizialmente nel G8, e quindi nell'appositamente costituito «Gruppo degli Amici dello Yemen», è quindi necessario rinnovare la fiducia e il sostegno a favore delle autorità locali, ribadendo le aspettative della comunità internazionale per l'impegno di quel Governo nel contrasto alle numerose sfide con cui è chiamato a confrontarsi.
Il processo di stabilizzazione dello Yemen richiede uno sforzo coordinato della comunità internazionale, all'insegna di una condivisa responsabilità nazionale e regionale (Arabia Saudita, Consiglio di Cooperazione del Golfo, Lega Araba) delle iniziative internazionali volte alla stabilizzazione del Paese.
L'Italia intende esercitare un ruolo di rilievo nell'esercizio Amici dello Yemen, e si sta attrezzando per migliorare e qualificare il proprio sostegno in chiave di stabilizzazione anche sul piano bilaterale. Proprio in questa ottica si inseriscono gli interventi per i quali è stato chiesto il finanziamento nel testo oggi in esame di 2,4 milioni di euro, che si prefiggono l'obiettivo del sostegno alla costruzione istituzionale e alla valorizzazione dei sistemi di governo yemeniti.
L'Africa costituisce una priorità di azione della nostra politica estera, Si tratta di una realtà in cui, per la natura e le caratteristiche su cui andiamo ad incidere, anche mirati, concreti interventi possono avere grande impatto politico e di visibilità per il nostro Paese.
In Africa Sub-Sahariana,con i fondi previsti dal decreto in esame continueremo ad intervenire in alcune aree di crisi verso cui riserviamo particolare attenzione, quali la Somalia e il Sudan. Intendiamo altresì allargare il raggio di azione anche ad altre regioni e Paesi, ad esempio l'Angola, dove il problema delle mine pone una seria ipoteca sul futuro sociale e politico del Paese.
Non meno meritevole di interesse è l'Africa Occidentale, dove vi sono numerosi Pag. 63«Paesi fragili» sempre più facile terreno per la criminalità organizzata e il terrorismo di matrice islamica.
In ambito Nazioni Unite l'Italia è attivamente impegnata, insieme con altri Paesi, per migliorare le capacità dell'ONU nel settore del peacekeeping e rafforzare la cooperazione tra ONU ed organizzazioni regionali, a cominciare dall'Unione europea e dall'Unione africana. L'Italia è altresì impegnata a migliorare i meccanismi decisionali e di gestione delle operazioni di pace, attraverso un maggiore coinvolgimento dei Paesi contributori di truppe sin dalla fase della definizione del mandato e della pianificazione dell'operazione.
Dal 2006 siamo il Paese occidentale che contribuisce con il maggior numero di Caschi Blu alle operazioni di mantenimento della pace. Questo rappresenta un valore di primissimo piano a livello internazionale.
In ambito NATO, i fondi fiduciari costituiscono uno strumento particolarmente efficace per realizzare specifici programmi di cooperazione in materia di sostegno al settore sicurezza e di grande importanza per rafforzare le istituzioni dei paesi partner, talvolta caratterizzati da complesse situazioni di post-conflitto.
Essi vanno considerati uno strumento integrativo degli sforzi italiani in materia di stabilizzazione in aree di nostro prioritario interesse nazionale, quali l'Afghanistan, dove l'Italia svolge un'incisiva attività di cooperazione allo sviluppo e assicura una significativa presenza militare.
Il contributo italiano di 1,8 milioni di euro, previsto dal decreto in esame, a sostegno del fondo fiduciario NATO per le forze armate afgane, conferma la nostra piena adesione al programma dell'Alleanza mirato a favorire il cosiddetto processo di afghanizzazione, ovvero l'autonoma capacità di gestione e di controllo del territorio da parte dell'Esercito e della Polizia afghani, che ci dovrebbe essere annunciato durante il Vertice NATO di Lisbona, del prossimo novembre.
Continuiamo altresì a sostenere la formazione della polizia irachena, con i nostri Carabinieri inquadrati nella missione di addestramento NATO, garantendo un contributo di 300 mila euro al fondo fiduciario NATO istituito a questo fine.
L'Italia, sin dal 2008, ha attivamente contributo alla lotta contro la pirateria al largo delle coste somale con 9 navi in due operazioni multinazionali. Attualmente abbiamo una nave impiegata nella missione NATO fino a metà luglio, e di seguito avremo un'altra nave dispiegata nella missione UE fino a novembre. Un contingente di nostri Carabinieri partecipa inoltre alla formazione di forze di sicurezza sotto egida UE in Somalia.
Siamo membri del Gruppo di Contatto sulla pirateria al largo delle coste somale e del Board che nel 2011 avrà la responsabilità di gestire il fondo fiduciario per la realizzazione di progetti antipirateria, istituito in ambito UNODC. Al fondo parteciperemo con un contributo di 200.000 euro.
L'Italia sostiene altresì l'Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE), che offre un contributo di primaria importanza alla stabilità ed alla sicurezza in Europa, prevenendo le possibili fonti di conflitto, mediando tra le parti e ponendo in essere progetti di ricostruzione post-conflitto. Sulla base di un concetto comprensivo di sicurezza, le attività dell'OSCE mirano al rafforzamento dei diritti umani e delle istituzioni democratiche, a favorire la cooperazione in campo militare e nel settore economico-ambientale, a contrastare fenomeni transnazionali quali il terrorismo ed i traffici illeciti. Lo stanziamento di circa 600 mila euro, previsto dal decreto, consentirebbe all'Italia di svolgere un ruolo di primo piano anche in tali attività mediante il distacco di esperti nazionali.
L'Italia fornisce un contributo di primissimo piano in termini di unità di personale, di risorse materiali e di connesso sostegno finanziario nella maggioranza delle missioni di Politica di Sicurezza e Difesa Comune (PSDC) attualmente in corso, attestandosi quale secondo Stato membro per contributo numerico Pag. 64dopo la Francia, in un contesto complessivo di oltre 2000 unità di personale per tutte le missioni civili.
Nelle missioni più consistenti, l'Italia partecipa in misura rilevante fornendo circa 200 unità di personale in EULEX Kosovo (170 a regime, tra cui personale dell'Arma dei Carabinieri, della Guardia di Finanza, del Ministero dell'Interno, del Ministero della Giustizia e con contratto del Ministero Affari Esteri); 22 unità in EUMM Georgia (personale distaccato dal Ministero della Difesa e con contratto del Ministero degli Affari Esteri); circa 20 unità in EUPOL Afghanistan (distaccati dall'Arma dei Carabinieri e dalla Guardia di Finanza, e a contratto del Ministero degli Affari Esteri).
Nel quadro complessivo del contributo italiano agli interventi operativi deliberati nell'ambito del Titolo V del Trattato sull'Unione europea, quali le missioni PSDC, le attività preparatorie di tali missioni e le attività svolte presso gli uffici dei Rappresentanti Speciali UE, il Ministero degli Affari Esteri assicura, attraverso lo strumento del «secondment» a contratto la partecipazione di personale estraneo alla Pubblica Amministrazione in possesso di specifiche professionalità particolarmente rispondenti alle tipologie richieste dall'Unione europea.
Tale strumento ha finora consentito di rafforzare sensibilmente, in termini sia qualitativi che quantitativi, il contributo italiano alle iniziative PSDC; gli esperti civili distaccati dal Ministero degli Affari Esteri forniscono consulenza ed assistenza tecnica nei settori della giustizia e dello stato di diritto, nelle attività di rafforzamento delle capacità istituzionali dei Paesi interessati, nonché in attività di monitoraggio e d'informazione.
Ad oggi, il Ministero degli Affari Esteri ha assicurato, fino al 30 giugno 2010, il distacco di 21 esperti italiani; per il periodo fino al 31 dicembre 2010 si prevede l'invio in missione complessivamente fino a 24 esperti, per una spesa complessiva pari a 886.243 euro.
Tali risorse finanziarie consentiranno al Ministero degli Affari Esteri di operare dei distacchi nelle seguenti missioni: EULEX Kosovo, EUMM Georgia, EUBAM Rafah, EUPOL Afghanistan, EUTM Somalia/EUSEC RD Congo, oltreché negli uffici dei rappresentanti speciali dell' Unione europea in Kosovo, Sudan, Unione Africana, nonché in quelli incaricati di seguire il conflitto in Georgia e il Processo di Pace in Medio Oriente.
Oltre a garantire la partecipazione di personale altamente qualificato, lo strumento del «secondment» ha dimostrato di possedere un elevato grado di flessibilità nel reperire, con rapidità ed efficacia, esperti dotati di solida preparazione accademica e vasta esperienza internazionalistica soprattutto con riguardo a specifiche aree del mondo, contribuendo a soddisfare in tempi rapidi le diverse richieste di expertise emerse nell'ambito della Politica di Sicurezza e Difesa Comune.
È quindi essenziale che l'Italia continui a garantire la partecipazione di esperti, in considerazione dell'elevatissimo contributo che questi sono in grado di esprimere in contesti internazionali delicati e diversificati quali le aree di crisi ove operano le missioni civili dell'Unione europea.
Per quanto concerne la questione Esperti della Cooperazione allo Sviluppo, la norma è motivata dalla necessità di adeguare il regime giuridico degli esperti di cooperazione previsti dall'articolo 12 della legge n. 49/1987 all'evoluzione del contesto normativo. La legge del 1987 prevede, infatti, che tali esperti - che hanno, tra l'altro, la funzione loro riservata per legge di valutare i programmi di cooperazione prima dell'approvazione da parte del Comitato Direzionale per la Cooperazione allo Sviluppo - siano reclutati con contratti di diritto privato quadriennali rinnovabili. L'assenza di limiti alla rinnovabilità crea una categoria di precari permanenti, in contrasto con la normativa europea e con le esigenze di assicurare la necessaria continuità all'attività di cooperazione.
L'esigenza di provvedere immediatamente deriva dal fatto che il decreto interministeriale che attualmente regola il rapporto contrattuale degli esperti prevede Pag. 65che il rinnovo contrattuale debba avvenire almeno 6 mesi prima della scadenza del periodo quadriennale di validità. Tutti i contratti attualmente in essere scadono il 31 dicembre 2010, quindi è necessario provvedere immediatamente.
Il decreto-legge prevede pertanto una proroga annuale dei contratti in essere, introducendo per la prima volta un limite di età per tale categoria (il che comporta il collocamento a riposo entro febbraio 2011 di 9 esperti sui 70 attualmente in servizio) e rimandando ad un decreto interministeriale l'adeguamento dello stato giuridico ed economico del personale in questione al mutato contesto normativo.

Pag. 66

ORGANIZZAZIONE DEI TEMPI DI ESAME DEL DISEGNO DI LEGGE DI RATIFICA N. 3620

Ddl di ratifica n. 3620 - Comunità europee e Repubblica di Serbia
Tempo complessivo: 2 ore.

Relatore 5 minuti
Governo 5 minuti
Richiami al Regolamento 5 minuti
Tempi tecnici 5 minuti
Interventi a titolo personale 18 minuti (con il limite massimo di 4 minuti per il complesso degli interventi di ciascun deputato)
Gruppi 1 ora e 22 minuti
Popolo della Libertà 20 minuti
Partito Democratico 22 minuti
Lega Nord Padania 11 minuti
Unione di Centro 9 minuti
Italia dei Valori 8 minuti
Misto: 12 minuti
Alleanza per l'Italia 2 minuti
Noi Sud Libertà e Autonomia - Partito Liberale Italiano 2 minuti
Movimento per le Autonomie - Alleati per il Sud 2 minuti
Liberal Democratici - MAIE 2 minuti
Repubblicani, Regionalisti, Popolari 2 minuti
Minoranze linguistiche 2 minuti

VOTAZIONI QUALIFICATE
EFFETTUATE MEDIANTE PROCEDIMENTO ELETTRONICO

INDICE ELENCO N. 1 DI 2 (VOTAZIONI DAL N. 1 AL N. 13)
Votazione O G G E T T O Risultato Esito
Num Tipo Pres Vot Ast Magg Fav Contr Miss
1 Nom. Ddl 3593 - articolo 1 443 443 222 240 203 73 Appr.
2 Nom. articolo 2 449 449 225 242 207 72 Appr.
3 Nom. articolo 3 451 451 226 244 207 71 Appr.
4 Nom. articolo 4 454 454 228 245 209 71 Appr.
5 Nom. articolo 5 459 459 230 246 213 71 Appr.
6 Nom. articolo 6 460 460 231 246 214 71 Appr.
7 Nom. articolo 7 460 460 231 246 214 71 Appr.
8 Nom. articolo 8 459 459 230 244 215 71 Appr.
9 Nom. articolo 9 462 462 232 246 216 71 Appr.
10 Nom. articolo 10 460 460 231 244 216 71 Appr.
11 Nom. articolo 11 463 463 232 245 218 71 Appr.
12 Nom. articolo 12 462 462 232 244 218 71 Appr.
13 Nom. articolo 13 463 463 232 245 218 71 Appr.

F = Voto favorevole (in votazione palese). - C = Voto contrario (in votazione palese). - V = Partecipazione al voto (in votazione segreta). - A = Astensione. - M= Deputato in missione. - T = Presidente di turno. - P = Partecipazione a votazione in cui è mancato il numero legale. - X = Non in carica.
Le votazioni annullate sono riportate senza alcun simbolo. Ogni singolo elenco contiene fino a 13 votazioni. Agli elenchi è premesso un indice che riporta il numero, il tipo, l'oggetto, il risultato e l'esito di ogni singola votazione.

INDICE ELENCO N. 2 DI 2 (VOTAZIONI DAL N. 14 AL N. 23)
Votazione O G G E T T O Risultato Esito
Num Tipo Pres Vot Ast Magg Fav Contr Miss
14 Nom. articolo 14 464 464 233 244 220 71 Appr.
15 Nom. articolo 15 463 463 232 244 219 71 Appr.
16 Nom. articolo 16 460 460 231 246 214 71 Appr.
17 Nom. articolo 17 467 467 234 246 221 71 Appr.
18 Nom. articolo 18 465 465 233 246 219 71 Appr.
19 Nom. Ddl 3593 - voto finale 464 464 233 245 219 70 Appr.
20 Nom. ddl 3594 - articolo 1 452 452 227 239 213 70 Appr.
21 Nom. articolo 2 459 459 230 242 217 70 Appr.
22 Nom. articolo 3 461 461 231 243 218 70 Appr.
23 Nom. ddl 3594 - voto finale 462 461 1 231 242 219 70 Appr.