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Resoconto dell'Assemblea

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XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 354 di lunedì 19 luglio 2010

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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ANTONIO LEONE

La seduta comincia alle 17,05.

DONATO LAMORTE, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 5 luglio 2010.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Alessandri, Angelino Alfano, Berlusconi, Bonaiuti, Bordo, Bossi, Brambilla, Brunetta, Buonfiglio, Burtone, Buttiglione, Carfagna, Casero, Cicchitto, Colucci, Cossiga, Crimi, Crosetto, D'Alema, Dal Lago, Di Pietro, Fitto, Frattini, Garavini, Gelmini, Genovese, Alberto Giorgetti, Giancarlo Giorgetti, Giro, Granata, La Russa, Laboccetta, Lupi, Mantovano, Marinello, Maroni, Martini, Meloni, Menia, Miccichè, Angela Napoli, Andrea Orlando, Leoluca Orlando, Prestigiacomo, Ravetto, Reguzzoni, Roccella, Romani, Ronchi, Rotondi, Saglia, Stagno d'Alcontres, Stefani, Tassone, Torrisi, Tremonti, Urso, Veltroni e Vito sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente sessantuno, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Annunzio delle dimissioni di un sottosegretario di Stato.

PRESIDENTE. Comunico che il Presidente del Consiglio dei Ministri ha inviato, in data 15 luglio 2010, la seguente lettera: «Onorevole Presidente, La informo che il Presidente della Repubblica, con proprio decreto in data odierna, adottato su mia proposta, ha accettato le dimissioni rassegnate dal sottosegretario di Stato all'economia e alle finanze, onorevole Nicola Cosentino. Firmato: Silvio Berlusconi».

Trasmissione dal Senato di un disegno di legge di conversione e sua assegnazione a Commissione in sede referente (ore 17,08).

PRESIDENTE. Il Presidente del Senato, con lettera in data 16 luglio 2010, ha trasmesso alla Presidenza il seguente disegno di legge, che è stato assegnato, ai sensi dell'articolo 96-bis, comma 1, del Regolamento, in sede referente, alla V Commissione (Bilancio):
S. 2228 - «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, recante misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica» (Approvato dal Senato) (3638) - Parere delle Commissioni I, II (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per le disposizioni in materia di sanzioni), III, IV, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria), VII, VIII (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento) IX, X, XI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, relativamente alle disposizioni in materia previdenziale), XII, XIII e XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

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Il suddetto disegno di legge, ai fini dell'espressione del parere previsto dal comma 1 del predetto articolo 96-bis, è stato altresì assegnato al Comitato per la legislazione.

Discussione congiunta dei disegni di legge: Rendiconto generale dell'amministrazione dello Stato per l'esercizio finanziario 2009 (A.C. 3593) e Disposizioni per l'assestamento del bilancio dello Stato e dei bilanci delle Amministrazioni autonome per l'anno finanziario 2010 (A.C. 3594) (ore 17,10).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione dei disegni di legge: Rendiconto generale dell'amministrazione dello Stato per l'esercizio finanziario 2009 e Disposizioni per l'assestamento del bilancio dello Stato e dei bilanci delle Amministrazioni autonome per l'anno finanziario 2010.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

(Discussione congiunta sulle linee generali - A.C. 3593 e A.C. 3594)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione congiunta sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare Partito Democratico ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni.
Avverto, altresì, che la V Commissione (Bilancio) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, onorevole Girlanda, ha facoltà di svolgere la relazione.

ROCCO GIRLANDA, Relatore. Signor Presidente, signor Viceministro dell'economia e cari colleghi, siamo chiamati ad esprimere il parere dell'Assemblea su due atti fondamentali, che aiutano a comprendere lo stato dell'economia del Paese: il rendiconto generale dell'amministrazione dello Stato per l'esercizio finanziario 2009 e le disposizioni per l'assestamento del bilancio dello Stato e dei bilanci delle amministrazioni autonome per l'anno finanziario 2010.
Come noto, il rendiconto generale dell'amministrazione dello Stato ci fornisce una fotografia sulla situazione reale del bilancio, che integra quella fornita dal bilancio di previsione e consente di verificare il reale andamento della finanza pubblica nell'esercizio di riferimento.
Per quanto attiene invece al disegno di legge di assestamento, ricordo che esso reca le variazioni che a metà dell'esercizio il Governo ritiene opportuno adottare in relazione alle previsioni di bilancio, in termini di competenza e di cassa.
Si tratta di atti tecnici, che fotografano la realtà del nostro bilancio e forniscono chiare indicazioni sulle misure che il Governo intende apportare ai conti, relativamente a quanto già esplicitato con il bilancio preventivo. È evidente che, per quanto riguarda gli indicatori di dettaglio, essi tengono conto della situazione congiunturale di questi ultimi mesi e spesso quantizzano gli effetti di reale portata della crisi economica nel bilancio dello Stato italiano. Non posso quindi, prima di addentrarmi nella lettura di tali indicatori, non ricordare le principali misure messe in atto dal Governo negli ultimi mesi, in modo da ridisegnare il quadro strategico nazionale in funzione anticrisi, proprio a seguito della situazione di particolare portata economica e finanziaria che si è venuta a creare nell'intero panorama internazionale.
Signor Presidente, in questi giorni si sono svolte delle sedute della Commissione bilancio, in cui si è ampiamente dibattuto su questi due importanti atti. Vi sono stati numerosi interventi e non posso ignorare che in tutti questi qualche volta si è trovato anche qualcosa di condivisibile, però spesso sono stati decontestualizzati dal particolare periodo economico e finanziario mondiale. Non si può e forse non è Pag. 3corretto analizzare gli indicatori economici del nostro Paese senza rapportare gli stessi al resto d'Europa.
Non si può gridare allo scandalo per i presunti tagli effettuati dalla manovra, senza considerare quello che accade negli altri Paesi. Non si possono difendere le regioni, ignorando invece posizioni - come ad esempio quelle di ANCI e UPI - che nella sostanza hanno condiviso la manovra che a breve analizzeremo in questo ramo del Parlamento.
Il rendiconto è un documento contabile che va valorizzato sul piano parlamentare. In questa prospettiva si inseriscono le novità introdotte nella struttura di classificazione del bilancio dello Stato, articolato su missioni e programmi. Tale classificazione funzionale - ora recepita e messa a regime con la nuova legge di contabilità e di finanza pubblica - concentra l'attenzione sulle finalità e sui risultati dell'azione amministrativa, favorendo per tale via una valorizzazione del ruolo del rendiconto, il quale diventa sede privilegiata per la valutazione delle politiche pubbliche in quanto consente di tenere conto anche dei risultati di gestione.
Il rendiconto relativo all'anno 2009 interviene, tuttavia, in una fase di passaggio tra la vecchia e la nuova disciplina legislativa, in quanto esso si riferisce ad un esercizio per il quale il bilancio di previsione è stato redatto ancora sulla base delle disposizioni contenute nella legge n. 468 del 1978. Pertanto, esso risulta ancora strutturato in unità previsionali di base, in coerenza con la struttura del bilancio di previsione relativo al medesimo anno.
Fatte queste premesse, ritengo utile riepilogare i dati di consuntivo degli andamenti di finanza pubblica registrati nel corso dell'esercizio scorso. Preliminarmente, va ricordato che la situazione delle finanze pubbliche ha subito nel 2009 un sensibile deterioramento, con una continua revisione delle stime nel corso dell'anno in termini peggiorativi dei saldi programmatici a causa dell'aggravarsi - come già detto - della crisi internazionale.
Nello scenario appena descritto, il Governo ha coraggiosamente e positivamente adottato la scelta della prudenza fiscale, pur in presenza di una delle più gravi recessioni economiche degli ultimi decenni. È stato, infatti, deciso di non incrementare il disavanzo di bilancio, già fortemente aumentato a causa delle condizioni cicliche sfavorevoli, tutto ciò anche al fine di contenere l'incremento del debito pubblico.
La strategia di bilancio per l'anno 2009, adottata contestualmente al DPEF 2009-2012, è stata caratterizzata da aspetti innovativi rispetto al passato. La manovra di bilancio per gli anni 2009-2011 è stata, infatti, programmata su base triennale già nell'estate 2008, mediante il decreto-legge n. 112, convertito in legge dalla legge n. 133 del 2008, con l'obiettivo fondamentale di correzione e stabilizzazione dei conti pubblici, al fine di garantire la completa convergenza del profilo programmatico e di quello attuativo.
La manovra di bilancio è stata, quindi, articolata in due fasi: la prima, dedicata alla messa in sicurezza dei conti pubblici, la seconda, a sostegno delle imprese e delle famiglie.
L'analisi dei provvedimenti varati dal Governo per sostenere l'economia mette in luce come l'Italia abbia attuato una rimodulazione delle poste contabili, volte a sostenere l'occupazione e a favorire la ripresa. Ciò è avvenuto in un contesto ciclico, nell'ambito del quale il prodotto interno lordo ha registrato nel 2009 una flessione del 5 per cento, comunque inferiore alla media dei Paesi della Comunità europea, imputabile in gran parte al calo delle esportazioni, le quali hanno risentito, tra l'altro, della crisi del commercio mondiale e della minore competitività del mercato internazionale.
Per quanto concerne i saldi di bilancio, rispetto al 2008 l'indebitamento netto della pubblica amministrazione risulta in aumento del 2,6 per cento, attestandosi al 5,3 per cento del PIL. Tale incremento è riferibile alla contrazione delle entrate e all'aumento della spesa, riferibile soprattutto all'effetto degli stabilizzatori automatici Pag. 4dei redditi. L'avanzo primario è divenuto negativo, essendo sceso allo 0,6 per cento del PIL, con una deviazione di 3,1 punti rispetto al 2001. Il rapporto tra debito e PIL ha subìto un incremento rispetto all'anno precedente, toccando i 1.760 miliardi di euro, pari al 115,8 per cento del PIL stesso.
Con riferimento alla finanza decentrata - a fronte di una positiva stabilizzazione dell'indebitamento complessivo degli enti regionali e locali, connessa alle norme del Patto di stabilità - viene in evidenza un non favorevole andamento della spesa corrente che riguarda essenzialmente i piccoli comuni, una gestione irregolare dei residui attivi ed una situazione critica di cassa, aggravata in molti casi dall'esistenza di debiti fuori bilancio.
Insieme a tali fattori negativi, la Corte sottolinea il problema dell'eccessiva parcellizzazione della struttura amministrativa degli enti territoriali, che non permette un pieno controllo dei trasferimenti, i quali, per quanto riguarda gli enti locali, oscillano annualmente intorno ai 20 miliardi di euro.
Per quanto riguarda la spesa sanitaria, essa risulta in rallentamento nel 2009 con una crescita dell'1,9 per cento, contro il 3,5 per cento registrato in media nel biennio precedente. La forte flessione del PIL ha, tuttavia, determinato un incremento dell'incidenza di tale tipologia di spesa sul prodotto al 7,3 per cento, dal 6,9 per cento del 2008.
Per quanto concerne i saldi di bilancio dello Stato registrati a consuntivo nel 2009, ricordo che il saldo netto da finanziare del bilancio dello Stato in termini di competenza, al lordo delle regolazioni debitorie e contabili, risulta pari a 32 mila 696 milioni di euro, con un miglioramento di 5 mila 293 milioni di euro rispetto al saldo dell'anno precedente.
Il risultato appare, inoltre, migliore, sia nelle previsioni iniziali (meno 39 mila milioni di euro) che nelle previsioni definitive, secondo le quali il saldo netto da finanziare era previsto attestarsi nel 2009 a 38.045 milioni di euro. Al netto delle regolazioni contabili e debitorie, il saldo netto da finanziare nel 2009 assume quindi un valore pari a 26.938 milioni di euro, migliore di quello registrato nel 2008. Il valore del saldo netto da finanziare rientra, pertanto, nel limite massimo fissato dalla legge finanziaria per il 2009 al netto delle regolazioni debitorie.
Anche il saldo corrente evidenzia un leggero miglioramento risultando pari a 23.588 milioni di euro; il risultato è migliore rispetto alle previsioni iniziali e a quelle definitive in base alle quali il risparmio pubblico avrebbe dovuto attestarsi su valori negativi.
La relazione al disegno di legge sottolinea come il valore positivo assunto dal risparmio pubblico evidenzi la connotazione qualitativa del risanamento finanziario. Il ricorso al mercato, che si è attestato a 208.837 milioni di euro, evidenzia un miglioramento di circa 14 miliardi di euro rispetto al 2008. Tale saldo si è attestato nel 2009 su valori decisamente più bassi rispetto alle previsioni iniziali e definitive. Tale ricorso risulta pertanto inferiore al limite massimo fissato dalla legge finanziaria per il 2009.
Per quanto attiene alla gestione di competenza, l'entità complessiva degli accertamenti di entrata è risultata, nel 2009, pari a 777.514 milioni di euro con una evoluzione positiva rispetto al 2009 di circa il 7,95 per cento; l'incidenza del totale delle entrate rispetto al PIL è pari al 51,1 per cento.
Gli impegni di spesa assunti nel 2009 ammontano complessivamente, incluse le spese per rimborso o prestiti, a 716.633 milioni di euro, e rappresentano il 47,1 per cento del PIL. Rispetto ai risultati dell'anno precedente la gestione presenta una complessiva diminuzione degli impegni di spesa.
Il saldo netto da finanziare corrisponde alla differenza tra un ammontare complessivo degli accertamenti di entrata e un ammontare complessivo degli impegni di spesa finale di 540.491 milioni di euro. L'incidenza del saldo sul PIL è pari al 2,2 per cento. Rispetto al consuntivo 2008 si evidenzia un lieve incremento dell'entità complessiva degli accertamenti relativi alle Pag. 5entrate finali pari a 10.050 milioni di euro (più 2,02 per cento) riconducibile all'aumento degli accertamenti relativi alle entrate extra-tributarie di 16.750 milioni (33,9 per cento). Tale entità è risultata superiore, in ogni caso, sia alle previsioni iniziali che a quelle definitive.
Gli accertamenti di entrate tributarie hanno invece registrato, rispetto al 2008, un decremento dell'1,6 per cento. Gli impegni per spese finali assunte nel 2009 evidenziano, rispetto all'anno precedente, un lievissimo aumento pari allo 0,88 per cento dovuto all'aumento di impegni di spesa di conto corrente. Gli impegni di conto capitale sono invece diminuiti di 4.139 milioni di euro.
Il dato di consuntivo degli impegni relativi alle spese finali, inoltre, si è dimostrato di poco superiore rispetto alle previsione iniziali e inferiore rispetto a quelle definitive. Il conto dei residui, provenienti dagli esercizi 2008 e precedenti, presentava, nel 2009, al 1o gennaio, residui attivi per circa 163,8 miliardi di euro e passivi per circa 90 miliardi di euro. Nel corso dell'esercizio sono stati accertati residui attivi per 142 miliardi di euro e passivi per circa 79 miliardi di euro.
Per quanto attiene ai residui di nuova formazione osservo che, per gli attivi, le somme rimaste da riscuotere e da versare ammontano a circa 71 miliardi di euro, mentre per quelli passivi le somme rimaste da pagare ammontano a circa 64 miliardi di euro. Complessivamente il conto dei residui al termine dell'esercizio espone residui attivi per 194 miliardi di euro e passivi per 96,6 miliardi di euro.
Passando al disegno di legge di assestamento è opportuno richiamare l'articolo 2 che, al comma 1, novellando l'articolo 2, comma 3, della legge di bilancio per il 2010, aumenta il limite massimo di emissione di titoli pubblici stabilito dalla legge di bilancio da 69.000 milioni a 82.257 milioni di euro. Tale previsione in aumento del limite di emissione dei titoli pubblici registra le modifiche degli obiettivi di fabbisogno previsti nel corso dell'esercizio e può essere, pertanto, letta in raccordo con le nuove previsioni contenute nella relazione unificata sull'economia.
Per quanto concerne i saldi di competenza del bilancio risultanti dal disegno di legge di assestamento, la relazione evidenzia, al netto delle regolazioni debitorie e contabili in via di competenza, un miglioramento rispetto alle previsioni iniziali.
Le previsioni assestate per il 2010, risultanti dalle variazioni apportate per atto amministrativo fino al 31 maggio, evidenziano, rispetto alle previsioni iniziali, una riduzione del saldo netto da finanziare, al netto delle regolazioni debitorie, da 62.418 milioni di euro a 55.444 milioni di euro, con un miglioramento di circa 7 miliardi di euro, per la gran parte imputabile alle variazioni proposte dal disegno di legge in esame.
Il valore del saldo netto da finanziare rientra nel limite massimo stabilito dalla legge finanziaria per il 2010, che lo ha fissato in 63 mila milioni di euro.
In corrispondenza con l'evoluzione positiva del saldo netto da finanziare, le previsioni assestate di tutti gli altri saldi evidenziano un miglioramento. Il risparmio pubblico, pur rimanendo di segno negativo, registra un miglioramento di ben 8.105 milioni di euro, con una previsione assestata di 10.130 milioni. Analogamente, l'avanzo primario aumenta di oltre 1.788 milioni, con una previsione assestata di 18.718 milioni di euro. Anche il ricorso al mercato evidenzia un miglioramento di oltre 41 miliardi di euro. Inoltre, il valore del ricorso al mercato, che si determina sulla base delle previsioni assestate, rientra nel limite massimo stabilito dalla legge finanziaria 2009 in 286 mila milioni.
Quanto alle regolazioni debitorie e contabili esse ammontano, in termini di competenza, a 4.578 milioni. Il saldo netto da finanziare, in termini di competenza e al lordo delle regolazioni creditorie e contabili dei rimborsi IVA, risulta pari a meno 60.022 milioni di euro. Il miglioramento del saldo netto da finanziare, determinato dalle previsioni assestate, è attribuito pressoché interamente all'andamento delle spese finali che registrano una riduzione di circa 7 miliardi, principalmente ascrivibile Pag. 6al calo delle spese correnti e per interessi. Le entrate, invece, non registrano nel provvedimento di assestamento variazioni significative.
Al momento, nell'ambito delle entrate tributarie assumono un particolare rilievo le variazioni relative all'IRE (più 1.050 milioni), all'IRES (meno 4.349 milioni), all'imposta sostitutiva (meno 634 milioni), all'accisa sui prodotti energetici (più 1.666 milioni) e al provento del lotto (meno 1.443 milioni).
Riguardo alla dimensione delle spese finali, che da una previsione iniziale di 505.829 milioni scendono a una previsione assestata di 498.891 milioni, va sottolineato che essa è frutto di una consistente riduzione delle spese correnti proposta dal provvedimento di assestamento per 8.484 milioni, cui fa riscontro una proposta di incremento delle spese in conto capitale per 806 milioni. La proposta di riduzione della dotazione di competenza della spesa corrente è principalmente legata alle minori esigenze. Le variazioni proposte nelle spese di conto capitale sono, in particolare, riconducibili a maggiori crediti di imposta fruiti dalle imprese costruttrici o importatrici nonché dai rinnovi per il parco autoveicoli.
La riduzione della dotazione di cassa della spesa corrente dipende per la gran parte dal forte decremento della spesa per interessi, per un totale di 5.364 milioni, determinata per lo più dall'adeguamento all'effettivo fabbisogno per gli interessi sui titoli del debito pubblico. Per il resto la riduzione dei pagamenti correnti riguarda i minori trasferimenti alle amministrazioni locali.
Per quanto concerne, infine, l'entità relativa ai residui esistenti all'inizio dell'esercizio, come accertata nel disegno di legge, ricordo che dal lato della spesa i residui passivi ammontano complessivamente a 95.996 milioni, di cui 63.946 dalla gestione di competenza e 31.980 dalle gestioni 2009 e precedenti.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

ROCCO GIRLANDA, Relatore. Il rendiconto 2009, pertanto, ha accertato una consistenza complessiva dei residui maggiori di 5.090 milioni rispetto a quella presunta.
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna di considerazioni integrative del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Girlanda, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire in sede di replica.
È iscritto a parlare l'onorevole Marchi. Ne ha facoltà.

MAINO MARCHI. Signor Presidente, colleghi deputati, rappresentanti del Governo, la fotografia sullo stato della finanza pubblica, così come emerge dal rendiconto 2009 e dall'assestamento 2010, ha una lettura sostanzialmente positiva da parte del Governo e da parte del relatore. Le cause che hanno prodotto un sensibile deterioramento della finanza pubblica nel 2009, con una continua revisione delle stime nel corso dell'anno in termini peggiorativi dei saldi programmatici, sono cause che vengono individuate esclusivamente nell'aggravarsi della crisi economica internazionale. Il Governo avrebbe avuto il merito di adottare la scelta della prudenza fiscale, di tenere con rigore il controllo della finanza pubblica e, anzi, come emergerebbe sia dal rendiconto sia dall'assestamento, di avere agito conseguendo un miglioramento dei saldi rispetto alle previsioni.
Questo quadro, però, è in netta contraddizione con il fatto che in questo momento le Camere sono chiamate ad approvare una manovra correttiva che nel 2012 è di ben 25 miliardi. È esclusivamente causa della crisi economica internazionale, dei suoi sviluppi e di quanto è accaduto in Grecia? È colpa dell'Europa che lo chiede, anche se l'Italia sta meglio di altri Paesi in riferimento alla crisi, come afferma il Presidente del Consiglio? Non credo che le cose stiano come ci viene descritto. Certo l'Europa ha chiesto un Pag. 7maggior rigore sulla finanza pubblica e un'accelerazione nel rientro del debito pubblico rispetto ad alcuni mesi fa.
Se però è oggi necessaria una manovra da 25 miliardi, ciò non è un dato neutro imposto dalla Unione europea, ma deriva dalla situazione che si è determinata in questi anni, in particolare dalle scelte compiute dal Governo dal 2008 ad oggi, e quindi anche nel 2009.
Mi riferisco, ad esempio, a scelte come l'abolizione dell'ICI-prima casa, misura a favore non del sostegno al potere d'acquisto delle famiglie, come era nel titolo del provvedimento - a quelle finalità rispondeva già la legge finanziaria 2008 del Governo Prodi - ma una misura a favore dei redditi più elevati, con un maggior costo rispetto a quanto previsto dalla finanziaria di Prodi di ben due miliardi e mezzo ogni anno. Oppure si tratta di scelte come quella su Alitalia che costano 4 miliardi e mezzo al Paese, oppure ancora di regali ai comuni amici in dissesto come Palermo e Catania: tutte scelte sbagliate e che hanno comportato un aggravio di costi rilevante per la finanza pubblica.
La manovra di oggi deriva anche da quelle scelte. D'altra parte, la destra deve ancora dimostrare la sua credibilità sul versante del contenimento e della riduzione del debito pubblico. Per ora i fatti certificano che negli anni di Governo del centrosinistra - 1996-2001 e 2006-2007 - il debito pubblico è diminuito, mentre negli anni del Governo di centrodestra e della destra - 2001-2006 e dal 2008 ad oggi - il debito pubblico è sempre cresciuto. Anche nel 2009 è stato così: il debito pubblico è cresciuto di quasi 10 punti percentuali rispetto al PIL, raggiungendo il 115,8 per cento. Si dirà che è colpa della crisi economica: è calato il PIL e quindi per forza è aumentato il debito.
Guardiamo allora da una parte un po' meglio la fotografia del rendiconto 2009 e poi da qui si può derivare la conferma alle critiche che il Partito Democratico aveva sviluppato sulle manovre precedenti. I conti si sono deteriorati pesantemente, nonostante i miglioramenti registrati dal rendiconto rispetto alle previsioni definitive. L'indebitamento netto ha superato gli 80 miliardi quasi raddoppiando rispetto al 2008 e raggiungendo il 5,3 per cento sul prodotto interno lordo; il saldo primario, che ancora nel 2008 presentava un avanzo pari al 2,5 per cento sul prodotto, è diventato negativo - meno 0,6 per cento - per effetto del calo delle entrate e della crescita sostenuta delle spese al netto degli interessi. La spesa primaria è aumentata di quasi il 5 per cento, raggiungendo il 47,8 per cento sul PIL, un valore di quasi sette punti superiore al livello del 2000; la spesa in conto capitale è aumentata anch'essa del 12,7 per cento, variazione influenzata però in larga misura da fattori prevalentemente contabili. Le entrate tributarie sono diminuite dell'1,6 per cento; particolarmente pesante - del 7,4 per cento - la riduzione dell'IVA. La pressione fiscale è aumentata dal 42,9 al 43,2 per cento e il rapporto debito-PIL, come già detto, è cresciuto di quasi dieci punti, raggiungendo il 115,8 per cento. Le spese totali delle amministrazioni pubbliche hanno superato nettamente la soglia del 50 per cento sul PIL. Il valore di consuntivo, pari al 52,5 per cento, è di oltre tre punti superiore al livello del 2008 e si è verificato nonostante la netta flessione dell'incidenza della spesa per interessi. La forte accelerazione delle prestazioni assistenziali, e in generale degli ammortizzatori sociali, non giustifica un tale aumento di spesa. I consumi intermedi - acquisto di beni e servizi - sono infatti in netto aumento: più 6,3 per cento per il complesso delle amministrazioni pubbliche.
È evidente, quindi, che pesano elementi di gestione politica. Le entrate sono in calo, anche per effetto del venir meno di alcune misure contro l'evasione fiscale assunte dal Governo Prodi e abrogate dall'attuale Governo. In parte a questo si è supplito con entrate dallo scudo fiscale, ma compiendo un'operazione che ha fatto pagare molto meno di altri Paesi a chi ha esportato illegalmente capitali all'estero con un ennesimo condono fiscale, una specie di indulto sul piano penale e non preoccupandosi degli effetti sul versante del riciclaggio. Pesa, altresì, una spesa Pag. 8pubblica che non ottiene i risultati auspicati sul piano del contenimento per il funzionamento della macchina pubblica a livello centrale dei Ministeri; contestualmente si sono avviati processi di taglio pesante per spese essenziali per il futuro del Paese, in primis la scuola. Soprattutto, però, i dati del rendiconto e anche quelli dell'assestamento, messi in rapporto con la manovra finanziaria in corso, ci dicono in primo luogo che viene confermata la principale critica che il Partito Democratico avanzò alla manovra triennale 2009-2011, alle leggi finanziarie 2009 e 2010 e alla miriade di provvedimenti anticrisi.
Dicemmo: non c'è risanamento senza crescita. Ovviamente nel contesto della crisi ciò significava più che crescita, contenimento della riduzione del PIL. Dal momento in cui si è toccato il punto più basso di caduta e si è invertita la tendenza, torna a significare crescita.
In sostanza, abbiamo sempre fatto questo ragionamento: gli indicatori principali di finanza pubblica hanno tutti come denominatore il PIL. Non si può pertanto, come sostanzialmente ha fatto il Governo, intervenire solo con tagli e senza politiche industriali, per l'innovazione, per il sostegno alla domanda interna dei consumi.
In questi anni abbiamo avuto quasi zero sul piano delle politiche industriali e dell'innovazione, anzi su questo piano si è spesso andati indietro. Pensiamo ai tetti al click day sul credito d'imposta per ricerca e sviluppo, ai tetti per il credito d'imposta sugli investimenti nel Mezzogiorno, al FAS svuotato e utilizzato come bancomat per finanziare i vari interventi proposti dal Governo. Pensiamo prima alla riduzione di efficacia e poi al non finanziamento delle detrazioni fiscali del 55 per cento per gli interventi di efficienza energetica degli edifici. Pensiamo alle norme della manovra attuale sui certificati verdi, anche se corretta al Senato.
Ogni Paese che guardi al futuro, all'innovazione, alla green economy sa che occorre investire sulla scuola, sull'università e sulla ricerca. Anche Paesi che stanno facendo manovre pesanti, come la Germania, tengono fermo questo punto. In Italia, invece, stiamo distruggendo la scuola primaria, la scuola elementare (per usare un termine un po' antico, ma forse non più di tanto in un'epoca in cui la politica scolastica si basa sui grembiulini e i maestri unici). La scuola primaria, pure in un contesto in cui la scuola aveva bisogno di forti miglioramenti, era un punto forte e avanzato, riconosciuto internazionalmente, del nostro sistema scolastico, e noi lo stiamo distruggendo.
Per il resto le riforme sono solo tagli alla scuola pubblica e all'università. Stessa cosa per il rilancio dei consumi: spot, social card e bonus famiglie per pochissimi e presto esauriti, tagli alla spesa sociale, nessun sostegno ai redditi medio bassi, nessuna riduzione di imposta né sui redditi dei lavoratori e dei pensionati né sull'impresa. Della riduzione dell'IRAP se ne è solo parlato, ma nulla è stato fatto.
Sul sostegno al reddito, ricordiamoci che per gli ammortizzatori sociali in deroga più della metà delle risorse stanziate sono state risorse regionali e le regioni ora ricevono come premio, per questa collaborazione fondamentale, la scelta del Governo di tagliare solo i trasferimenti alle regioni e agli enti locali, mentre ben poco si taglia della spesa dei ministeri.
L'assenza di politiche per il sostegno dell'economia ha prodotto il risultato conseguente: la contrazione del PIL nel biennio 2008-2009 è stata del 6,3 per cento, più della media europea e maggiore degli altri Paesi europei più importanti.
In questa fase di avvio della ripresa il recupero è troppo lento, ma il Governo continua sostanzialmente nella sua politica: sia nell'assestamento 2010 che nella manovra finanziaria non c'è nulla per la crescita, anzi la manovra è depressiva, per ammissione stessa del Governo, in base ai documenti presentati al Senato. Vi sono solo pesanti tagli oltre a politiche sulle entrate contro l'evasione fiscale - questo è un dato positivo - però già scontate nei saldi della manovra stessa.
Il rischio è che anche questa manovra, oltre ad essere iniqua perché fa pagare di Pag. 9più a chi ha meno e nulla ai più ricchi, non sia sufficiente e che il risanamento sia fragile.
Vorrei ora fare una sottolineatura sulla finanza locale. Infatti, è proprio la finanza locale che ha pagato il tributo più rilevante della crisi. Molti degli interventi anticiclici sono stati infatti compensati in larga misura con le risorse dedicate agli enti locali e territoriali e con la disciplina di bilancio. Il contributo delle amministrazioni locali e i saldi complessivi di finanza pubblica sono stati anche nel 2009 migliori di quanto ci si attendeva; il disavanzo è stato pari allo 0,4 per cento del prodotto interno lordo invece dello 0,6 per cento previsto; le uscite complessive sono cresciute nel 2009 dell'1,8 per cento, mentre erano pari al 5,1 per cento nel 2008.
Anche sulla spesa il comparto degli enti locali ha registrato un netto riaggiustamento. La spesa corrente, al netto degli interessi, è aumentata del 2,4 per cento, in sensibile frenata rispetto all'esercizio precedente, dove era al 6,9 per cento. Si sono ridotti però gli spazi di autonomia degli enti; le entrate tributarie sono in netta discesa rispetto al 2008; gli sgravi in materia di IRAP, le esenzioni dall'ICI e il rallentamento della crescita sono alla base della flessione del gettito sia delle imposte indirette sia delle imposte dirette.
Anche le regioni hanno realizzato una riduzione del disavanzo dallo 0,3 per cento del 2008 allo 0,15 per cento del 2009 (in percentuale del PIL). Le spese complessive sono cresciute nel 2009 dello 0,7 per cento in forte accelerazione rispetto al 2008, quando erano in aumento del 7,1 per cento. Crescono meno le spese correnti, ma le manovre attuate hanno avuto effetti recessivi sulla finanza locale e territoriale. Le spese in conto capitale si riducono anche per le regioni. Debbo dire che proprio questo comparto, che ha dato un contributo fondamentale alla riduzione dell'indebitamento, è chiamato a realizzare i maggiori tagli: 14,8 miliardi nel biennio, ben 8,5 miliardi nel 2012 con ricadute pesanti sul sistema di welfare, sui cittadini con i provvedimenti assunti con la manovra finanziaria.
Il Governo lo fa senza metterci la faccia: per tagliare i servizi e il welfare la faccia la metteranno regioni, province e comuni. Questo per ora è il federalismo della destra: federalismo chiacchierato, centralismo praticato. Invece di premiare chi ha maggiormente contribuito al risanamento, come gli enti locali, è proprio su di loro che si fa ricadere il maggior onere della manovra. Il relatore ha detto che si tratta di una manovra condivisa da ANCI e UPI. In tutto il Paese, però, vi sono iniziative dei sindaci, dei comuni e delle province per chiedere una correzione forte della manovra e un riequilibrio del carico tra lo Stato centrale, gli enti locali e le regioni. Anche la stessa Corte dei conti ci dice che le conseguenze di questa manovra sul governo della finanza locale sono molto pesanti.
Lo stesso ragionamento si può fare per le regioni: si tratta dell'ennesima dimostrazione di una politica economica sbagliata di cui anche il rendiconto 2009 e l'assestamento 2010 costituiscono un tassello: meritano, pertanto, un giudizio negativo da parte del Partito Democratico (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico - Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cambursano. Ne ha facoltà.

RENATO CAMBURSANO. Signor Presidente, signor Viceministro, oggi lei in rappresentanza del Governo qui in Aula presenta il rendiconto al Parlamento per l'esercizio 2009 e l'assestamento per il 2010: «rendere conto», lo dice la parola stessa, al Parlamento. Per tramite degli eletti/nominati in quest'Assemblea del Parlamento il Governo rende conto al Paese.
Vediamoli questi conti: dalla relazione della Corte dei conti - era già stato ricordato - si evidenzia «come la situazione delle finanze pubbliche ha subìto nel 2009 un sensibile deterioramento». Io aggiungo che ciò è avvenuto nonostante il nostro Paese non si sia trovato ad affrontare gravissimi problemi finanziari e di ricapitalizzazione del sistema creditizio, Pag. 10come invece è avvenuto negli Stati Uniti, in Gran Bretagna, in Belgio, in Francia, in Germania e in Irlanda. Ma questo non è un merito del Governo, è un dato di fatto del sistema creditizio italiano tanto vituperato dal suo Ministro anche soltanto due anni fa, quando voleva mettere ovviamente le mani nei cospicui bilanci delle banche, quando però la crisi era già scoppiata (mi riferisco al decreto-legge n. 112 del 2008).
Ora vediamo come è andato questo 2009. Nel Documento di programmazione economico-finanziaria del giugno 2008 il Governo prevedeva per il 2009 una crescita reale dello 0,9 per cento e una crescita nominale del 3 per cento. A conti fatti, il PIL è diminuito del 5 per cento in termini reali e del 3 per cento in termini nominali. Era dal 1970, anno di partenza della nuova serie di contabilità dello Stato, che il PIL non era mai - mai - diminuito in termini nominali e la diminuzione in termini reali era avvenuta soltanto in tre occasioni, peraltro molto più contenute rispetto a quella attuale. Nel 1975 c'era stata una caduta del 2,1 per cento, nel 1993 dello 0,9 per cento e nel 2008 dell'1 per cento.
Gli effetti sui conti pubblici sono stati ovviamente drammatici, talmente drammatici che sono stati nascosti per mesi non solo all'opinione pubblica, ma anche allo stesso Presidente del Consiglio, se è vero, com'è vero (a meno che fosse un altro, un ventriloquo), che nascondeva la serietà della crisi, anzi l'esistenza stessa della crisi. Questi effetti sono stati nascosti dal Ministro dell'economia, un Ministro «tutto fare», il quale, solo quattro giorni dopo il 6 maggio, quando venne in quest'Aula a riferire di quanto stava avvenendo in Grecia e di conseguenza in Europa, all'assemblea dei giovani imprenditori riconosceva che la situazione era difficile anche in casa nostra, tant'è che preannunciava una manovra, quella che analizzeremo nei prossimi giorni, da 25 miliardi. È una manovra che distruggerà le ultime speranze di milioni di lavoratori, di pensionati, quindi di famiglie, e che non sarà sufficiente: vedremo, infatti, a fine settembre-ottobre con la manovra finanziaria vera e propria che sarà necessaria un'altra manovra almeno di pari entità.
Gli effetti sui conti sono stati drammatici rispetto a due riferimenti: innanzitutto, rispetto alle previsioni programmate il saldo al netto degli interessi è peggiorato di quasi 60 miliardi, l'indebitamento netto di 50 miliardi, il debito pubblico addirittura di 80 miliardi; questo è quanto risulta dal confronto con le previsioni, perché poi vedremo che in verità i dati relativi al peggioramento sono stati molto più alti. Tuttavia, anche rispetto al 2008 l'indebitamento netto è salito del 5,3 per cento, quindi è più che raddoppiato, e questo a causa di due dati fondamentali: la contrazione delle entrate e l'aumento delle spese, come vedremo più avanti. Inoltre non c'è stato solo un azzeramento, non ho memoria, infatti, che ci sia stato un avanzo primario che si chiama disavanzo primario perché è con un segno negativo dello 0,6 del PIL, che si è ridotto addirittura di oltre tre punti percentuali rispetto al 2008.
Venendo alla vera sostanza, il rapporto debito-PIL ha subìto un incremento di quasi 10 punti percentuali rispetto all'anno precedente: 1.760 al 31 dicembre 2009, quindi da 150 a 160 miliardi in più rispetto al 2008, se l'aritmetica, non la matematica, non è un'opinione. Allora la domanda è: dove sono andate queste centinaia di miliardi di euro? Gran parte della metà è stata utilizzata per il pagamento degli interessi sul debito, lo sappiamo, ma gli altri miliardi dove sono andati a finire? Allora, signor Viceministro, mi permetta - non mi metto né il bavaglio, né il «bavaglino», per citare il Ministro dell'economia che non c'è - ma nel momento in cui noi constatiamo che i dati sono questi mi vengono in mente parole come la cricca, la Protezione civile, l'eolico, le opere pubbliche non finite, gli sprechi, i tantissimi sprechi: Catania, Palermo, Roma, e avanti di questo passo.
A proposito di debito pubblico, signor Viceministro, la scorsa settimana l'ISTAT ha reso noto il dato al 30 giugno: il debito pubblico italiano è di 1.827,1 miliardi, cioè Pag. 1167 miliardi in più in soli sei mesi, quindi stiamo decisamente andando verso, e anche oltre, il 117 per cento. Più interessante è fare riferimento alle previsioni di inizio 2009, perché poi è ovvio che mi si dica che ho fatto riferimento al Documento di programmazione approvato nel luglio 2008 ma la crisi non c'era ancora: no, non è vero, perché qualcuno aveva detto che l'aveva prevista, anzi, altri dormivano, ma lui era ben sveglio, aveva anche scritto cosa sarebbe successo. Allora analizziamo i dati un po' più recenti.
Ad aprile 2009 la RUEF riportava una previsione del PIL nominale vicino a quello che è stato il risultato. Finalmente ci si è resi conto che probabilmente la situazione era quella, ciò nonostante, rispetto a quella previsione, il saldo primario è risultato peggiore - ancora una volta - di 15 miliardi, l'indebitamento netto di 10 miliardi, il debito pubblico di 14 miliardi.
Ciò è avvenuto ad aprile 2009; successivamente, il Documento di programmazione economico-finanziaria del luglio 2009 prevedeva correttamente il livello dell'indebitamento anche perché eravamo già oltre la metà dell'esercizio finanziario (era anche un po' più facile), ma questo «azzeccamento» - se si può dire così - è avvenuto grazie ad una sovrastima di oltre quattro miliardi nella spesa per interessi che, nei risultati, andava a compensare un peggioramento di dimensione analoga del saldo primario. L'effetto del progressivo aggravarsi della crisi sulla spesa è tutto sommato modesto - questo lo abbiamo detto tutti - e ciò conferma come, nel sistema italiano, questa sia poco sensibile al ciclo economico. La previsione delle prestazioni sociali in denaro - non quelle per le pensioni - è aumentata di circa 5 miliardi, riferiti, in particolare, all'integrazione del reddito per i disoccupati. Tuttavia, sono i consumi intermedi ad essere cresciuti mostruosamente (più di 6 miliardi rispetto alla previsione dell'aprile della RUEF); per i redditi da lavoro dipendente il consuntivo evidenzia, invece, una spesa minore di oltre 3 miliardi e mezzo.
Molto variabile è la spesa in conto capitale, tuttavia si registra un saldo netto negativo di 4 miliardi in meno rispetto alle ultime previsioni, cioè quelle del Documento di programmazione economico-finanziaria per il 2010-2012, approvato nel luglio del 2009.
L'effetto del ciclo è molto evidente, invece, sul lato delle entrate. Rispetto alla relazione previsionale e programmatica di fine settembre 2008, le minori entrate tributarie assurgono a 40 miliardi. La differenza, in realtà, è ancora maggiore se si tiene conto del fatto che il consuntivo incorpora il cosiddetto scudo fiscale, ossia quel regalo enorme fatto agli evasori e alle tante mafie.
Il vero problema del disastro dei conti pubblici è, peraltro, la spesa corrente.
La Corte dei conti dice chiaramente che il problema essenziale è il contenimento della spesa pubblica e l'individuazione dei settori in cui operare.
Per quanto concerne le entrate, quelle finali hanno evidenziato, con un arrotondamento, un aumento di 10 miliardi, di questo però il saldo tra le maggiori entrate extratributarie, per quasi 17 miliardi, e le minori entrate tributarie, per 7 miliardi 148 milioni, dovute a minori imposte sul patrimonio e sul reddito per l'1,3 per cento, minori tasse sugli affari per oltre il 4 per cento, maggiori entrate dal lotto, lotterie varie e giochi.
La spesa corrente cresciuta, come evidenziato, di oltre 9 miliardi è la causa principale del deterioramento dei conti, mentre quella in conto capitale è diminuita di oltre 4 miliardi. La pressione fiscale ha superato il livello massimo, raggiunto nel 1998, quando gli italiani furono chiamati a mettere le mani al portafoglio per pagare la tassa per entrare in Europa, tassa che poi come sapete è stata restituita nella misura del 60 per cento.
Ebbene, oggi non c'è stata una tassa per l'Europa, non c'è stata una tassa per la crisi, non c'è stato nulla, ma ciò nonostante la percentuale maggiore di pressione Pag. 12fiscale nella storia italiana, raggiunta nel 1998, è stata superata nell'esercizio del 2009.
E poi sostenete di non mettere le mani nelle tasche dei cittadini, invece li avete spogliati e denudati e lo farete in modo definitivo con la manovra che state approvando.
Il Governo rende conto e il conto è salatissimo, per chi aveva previsto tutto e si era vantato di voler anticipare la crisi con una manovra triennale. Ricordiamo il decreto-legge n. 112 del 2008, che tagliava, tagliava e ancora tagliava su tutti i fronti: la scuola, la sicurezza, le infrastrutture, il FAS, che, come giustamente ricordava Marchi prima, è diventato il bancomat per ogni spesa aggiuntiva che si veniva ad evidenziare. Niente male. Quindi, è una manovra di anticipazione che dà risultati straordinariamente negativi. In un'azienda privata, signor Viceministro, un amministratore delegato che portasse dei conti di questa natura ai propri azionisti, come lei sa, verrebbe mandato a casa. Questo non avviene nel nostro Paese semplicemente perché viene tenuto all'oscuro da chi controlla l'informazione. Sul rendiconto un'ultima osservazione riguarda l'accumulo dei residui attivi e passivi: 195 miliardi in più i primi, 97 miliardi in più i secondi, che tradotto significa che i residui attivi vedono un aumento del 18 per cento e i residui passivi un aumento del 7 per cento, che, per dirla con la Corte dei conti, determinano «scarsa leggibilità dei conti, anomalie che producono la possibilità di effettuare una corretta programmazione dei flussi finanziari e problemi per l'effettivo passaggio al bilancio di cassa», che come sappiamo è previsto dalla nuova legge di contabilità.
Per quanto riguarda la politica di bilancio nel 2009 i decreti-legge poi convertiti si sono moltiplicati. Ve ne ricordo alcuni solo per memoria: il decreto-legge n. 185 del novembre 2008, che è diventato la legge n. 2 del 2009, contenente - stiamo parlando dell'esercizio 2009 - misure di incremento della spesa, bonus per le famiglie, estensione degli ammortizzatori sociali e agevolazioni fiscali (deducibilità parziale dell'IRAP dalla base imponibile IRES), maggiori spese e minori entrate per 6,3 miliardi; il decreto-legge n. 5 del febbraio 2009, che è diventato la legge n. 33 dello stesso anno, contenente incentivi alla rottamazione dei veicoli a motore, maggiori spese e minori entrate per 1,1 miliardo. Entrambi i provvedimenti sono stati coperti da aumento di entrate e riduzione di spesa. Tali effetti erano incorporati nella previsione della RUEF, quindi ci stiamo dentro.
Poi segue il decreto-legge n. 39 del 28 aprile 2009, diventato legge n. 77 del 2009, recante interventi urgenti per il terremoto dell'Abruzzo, con minori entrate e maggiori spese per 1,3 miliardi. Ancora, vi è il decreto-legge n. 78 del 1o luglio 2009, provvedimento anticrisi, che è diventato legge n. 102 dello stesso anno, contenente un'anticipazione della manovra di finanza pubblica per il 2010 e il 2012. Per il 2009 vi sono stati nuovi interventi di spesa per 4,2 miliardi: la deroga al patto di stabilità rappresentava la cifra maggiore per 2,3 miliardi, come lei sa benissimo.
Lo scudo fiscale entra nel decreto-legge n. 78 del 2009 con un emendamento - prima non c'era - e viene iscritto a bilancio in entrata per 1 euro, poi modificato, come sappiamo, dal decreto-legge n. 103 del 3 agosto 2009, avente la stessa data di conversione del decreto-legge n. 78, che è diventato la legge n. 141 del 3 ottobre 2009. Con il decreto-legge n. 168 - stiamo arrivando a fine anno - del 23 novembre 2009, poi lasciato decadere, il cui contenuto è poi confluito nella legge finanziaria 2010, una parte (3,7 miliardi) degli introiti dello scudo fiscale veniva utilizzata per il differimento al 2010 del versamento di venti punti percentuale dell'acconto IRPEF dovuto a novembre 2009.
Nell'insieme i cinque decreti-legge (novembre 2008 - novembre 2009) hanno avuto sui conti dell'anno effetti paragonabili a quelli di una corposa manovra di tipo tradizionale. La somma delle cifre parziali che ho dato dà 16,6 miliardi, tra minori entrate e maggiori spese, interamente coperte da misure di segno opposto. Pag. 13
L'effetto netto è stato un aumento di circa 5 miliardi sia delle entrate sia delle spese; discorso analogo vale per gli effetti previsti dalle manovre che ho appena detto per il 2010, pari a 10 miliardi. A questi, però, bisogna aggiungere i 300 milioni del decreto-legge n. 40, quello del marzo di quest'anno, concernente incentivi al settore industriale, motocicli, abitazioni, elettrodomestici, macchine agricole, chi più ne ha più ne metta, e i 6 miliardi lordi della legge finanziaria per il 2010.
Quindi, riepiloghiamo: in 18 mesi, 16,6 miliardi dai cinque decreti-legge citati, 300 milioni dal decreto-legge n. 40 di quest'anno e 6 miliardi dalle norme della legge finanziaria per il 2010, per un totale di 23,9 miliardi in due anni di crisi finanziaria, economica e sociale, che ha portato la disoccupazione oltre il 10 per cento, se si tiene conto, come è stato giustamente fatto, di quello che sta accadendo per davvero in questo Paese.
Ricordavo prima, parlando di debito pubblico, che si tratta di 150-160 miliardi (lo evinco dalla relazione che ho tra le mie mani), il 10 per cento in più rispetto all'anno precedente, nel 2009; sono 67 nei primi sei mesi del 2010. Togliamo pure circa - ma lei lo sa con precisione - 100 miliardi per i due esercizi di interessi pagati sul debito: fanno sempre 127 miliardi, dai quali detrarre il 23,9-24 dell'insieme delle manovre; netto, sono 100 miliardi che mancano all'appello.
Ora voi capite che, di fronte a una situazione del genere, ci chiediamo davvero cosa stia accadendo. Vengo al secondo provvedimento molto più speditamente. Nell'assestamento del bilancio per il 2010, vi è un aumento del limite massimo di emissione dei titoli da 69 a 82 miliardi, cioè il 20 per cento in più; questo perché il fabbisogno 2010 è stimato al 5,23 per cento.
Sulle spese, vi è una riduzione del saldo netto da finanziare, 7 miliardi in meno, per minori spese per interessi, pari a 5,2 miliardi, e una minore compartecipazione IVA alle regioni per oltre 2 miliardi. Ecco qui spiegati i 7 miliardi!
L'avanzo primario, che era al 31 dicembre 2009 meno 0,6 per cento, credo che corra speditamente verso lo zero assoluto. Se tutto va bene, lo vedremo a fine anno! Per quanto riguarda le entrate: più 0,6 per cento per le imposte sui redditi; più 8,4 per cento sugli oli minerali; un miliardo e 100 milioni di euro in più dalle accise sul gas; l'8,9 per cento, cioè 4,3 miliardi in meno, segno negativo, riveniente dall'IRES; ancora un segno meno dalle imposte sostitutive per il 7,7 per cento; ancora un segno meno per le entrate dal lotto e giochi, meno 2,2 miliardi; in ultimo, ancora un segno meno, sempre a proposito di entrate, costituito da un miliardo e 21 milioni dall'IVA.
Sulle missioni, il relatore ricordava che non vi sono grandi modifiche. Peccato che vi siano 2 miliardi 551 milioni in meno in termini di competenza e 3 miliardi 244 milioni in termini di cassa dal Fondo per le aree sottoutilizzate, il FAS. Vi sono minori risorse all'istruzione, minori risorse per il Ministero dell'interno per la sicurezza, per la Polizia e per le rate di ammortamento dei mutui degli enti locali.
Concludo, signor Presidente, affermando che, di fronte a dati sconcertanti come quelli che abbiamo ricordato, sia per il 2009 sia per l'esercizio 2010, che ci auguriamo diventi meno disastroso, sicuramente è disastrosa la situazione economica e sociale di questo Paese. Questo è il vostro gran bel regalo all'Italia. Grazie (Applausi dei deputati dei gruppi Italia dei Valori, Partito Democratico e Unione di Centro)!

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ciccanti. Ne ha facoltà.

AMEDEO CICCANTI. Signor Presidente, signor Viceministro, onorevoli colleghi, secondo la relazione della Corte dei conti l'esame dei saldi di bilancio evidenzia un forte peggioramento del debito pubblico e dei conti pubblici.
Il debito pubblico del 2008 si attesta a 1.663,5 miliardi (106,1 per cento del PIL); nel 2009 esso si attesta a 1.760, 8 miliardi di euro (115, 8 per cento del PIL), con un incremento Pag. 14di quasi il 10 per cento rispetto all'anno precedente: una vera catastrofe.
Voglio ricordare a qualche collega della Lega Nord, che ci ricorda spesso la difficile eredità del debito pubblico, che alla fine degli anni Novanta, in piena Prima Repubblica, il debito pubblico rispetto al PIL, ossia alla ricchezza nazionale, era del 99,129 per cento; voglio ancora ricordare alla Lega Nord e agli smemorati della Prima Repubblica che militano nel Popolo della Libertà che, a parte la parentesi del Governo Berlusconi del 1994 (quando cadde dopo un anno a causa del ribaltone di Bossi), nel 2001 il debito pubblico era del 109,4 per cento, nonostante la dismissione di 600 miliardi di euro del patrimonio del nostro Paese a causa delle privatizzazioni. Dopo sette anni di Governo Berlusconi su nove, alleato Bossi e Ministro dell'economia e delle finanze Tremonti, siamo al 115,8 per cento, il primo debito in Europa.
Come cresce il debito pubblico? Cresce a causa dei conti in rosso del bilancio, ossia del disavanzo di ogni anno, che chiamiamo indebitamento netto, ovvero il deficit di bilancio. Quando la spesa pubblica al lordo degli interessi sul debito è maggiore delle entrate, vi è disavanzo, il quale viene finanziato chiedendo prestiti sui mercati finanziari; tali prestiti generano ulteriore debito ed interessi sul debito. Da questa spirale viziosa l'Italia da venti anni non riesce ad uscire; anzi, con sedici anni di bipolarismo della Seconda Repubblica, la situazione è peggiorata.
I sofismi del Ministro Tremonti e le bugie di Berlusconi sulla stabilità dei conti pubblici, che per un anno ci hanno accompagnato nei telegiornali, devono arrendersi di fronte alla realtà di questi numeri: mentre loro parlavano, la spesa pubblica complessiva saliva ed oggi è al 52,5 per cento.
Il 2009 si chiude con un disavanzo del 5,3 per cento sul PIL, ben il 2,6 per cento al di sopra del 2008, l'anno nero della crisi finanziaria mondiale. Un punto percentuale di PIL del 2009 vale circa 15 miliardi di euro; l'aumento di un disavanzo del 2,6 per cento significa dunque ben 38 miliardi di euro, una voragine da colmare.
Leggendo la relazione unificata dell'economia e delle finanze dello scorso maggio, abbiamo visto che la spesa corrente è cresciuta da 716,2 miliardi di euro del 2008 a 733 miliardi di euro del 2009, con un aumento di 16,8 miliardi, ossia del 2,35 per cento. Mentre la spesa della pubblica amministrazione aumentava, le entrate diminuivano. Il totale delle entrate tributarie è passato da 456,2 miliardi del 2008 a 441,8 miliardi del 2009, con una diminuzione di 15,3 miliardi, pari al 3,15 per cento.
Le imposte dirette sono diminuite del 7,13 per cento e quelle indirette del 4,19 per cento. La crisi economica ha inciso sul calo dei consumi interni. Le spese correnti della pubblica amministrazione rappresentano il 45,68 per cento del PIL nel 2008 ed il 48,20 per cento nel 2009, con un aumento del 2,52 per cento.
Possiamo dire anche che la manovra estiva triennale del 2008, con il decreto-legge n. 112, è servita a ben poco rispetto agli obiettivi che si era data. Le spese finali della pubblica amministrazione per il 2009 secondo i dati ISTAT dello scorso 1o marzo si attestano a 799 miliardi con un aumento del 3,1 per cento rispetto allo stesso valore del 2008, che era di 775 miliardi.
Nel 2009 la spesa da redditi dei lavoratori dipendenti aumenta dell'1 per cento rispetto al 2008, nel 2009 la spesa per i consumi intermedi aumenta del 6,3 per cento rispetto al 2008, nel 2009 aumenta del 5,1 per cento la spesa per prestazioni sociali (di cui la spesa per pensioni aumenta del 4,2 per cento).
L'aumento della spesa per prestazioni sociali è dovuta soprattutto all'aumento delle risorse destinate alla cassa integrazione guadagni ed alle indennità di disoccupazione, che sono cresciute del 56 per cento tra il 2008 e il 2009.
Di questo aumento della spesa pubblica lo Stato ha una quota di responsabilità. Secondo le regioni nell'ultimo triennio i Ministeri e l'amministrazione centrale Pag. 15dello Stato hanno incrementato la spesa pubblica del 10,87 per cento, mentre le regioni l'hanno ridotta del 6,21 per cento.
Tale quadro è ancora più inquietante alla luce di un trasferimento di competenze dallo Stato alle regioni che avrebbe dovuto generare risparmi di spesa per lo Stato ed un incremento di spesa per le regioni (così invece non è stato, è accaduto l'inverso).
Lo stesso discorso vale per i comuni: secondo la relazione unificata dell'economia e delle finanze al deterioramento del disavanzo di circa 38 miliardi di euro si contrappone un miglioramento del saldo dei comuni di circa 1,2 miliardi di euro.
Osservando un trend di lungo periodo a partire dal 2004, secondo una stima IFEL nel 2009 il miglioramento del saldo di bilancio dei comuni è stato di quasi 4 miliardi di euro mentre il deterioramento complessivo della pubblica amministrazione nello stesso periodo è stato di 32 miliardi di euro.
Nel quinquennio 2004-2008 quindi la spesa è aumentata in ogni comparto della pubblica amministrazione in rapporto al PIL dell'1,2 per cento. Fanno eccezione le regioni al netto della spesa sanitaria e i comuni, che hanno registrato una frenata dello 0,2 per cento (questi dati sono sul tavolo del confronto tra Governo ed enti territoriali).
Questi dati, però, devono far riflettere il Governo perché i problemi stanno soprattutto nei conti dello Stato. Secondo la requisitoria del procuratore generale presso la Corte dei conti nel giudizio sul rendiconto dello Stato, gli indici relativi all'esercizio 2009 hanno disatteso sia l'auspicio di una progressiva riduzione del debito pubblico sia l'aspettativa di un miglioramento dei conti pubblici: non lo dice un parlamentare dell'opposizione, ma il più autorevole controllore dei conti pubblici nella sua funzione imparziale. Tale preoccupazione è ancora più seria se si pensa che l'avanzo primario scende nel 2009 ad un meno 0,6 per cento rispetto ad un più 2,5 per cento del 2008.
L'avanzo primario è il termometro dell'andamento dei conti pubblici, è la differenza tra le entrate finali e le spese finali al netto degli interessi per il debito pubblico: quando si scende sotto e diventa negativo, ciò significa che non vi sono margini per recuperare, che si fanno debiti per pagare debiti.
Il nostro impegno con l'Europa dell'Eurozona era il mantenimento sopra al 3 per cento dell'avanzo primario: era quello assunto da Ciampi quando l'Italia entrò nell'euro.
Noi abbiamo il dato più disastroso del quadro economico del 2009. La causa è senza dubbio la crisi economica, che ha rallentato le entrate fiscali: meno 1,9 per cento rispetto al 2008, anche se la pressione fiscale è salita al 43,2 per cento, che è il massimo registrato dal dopoguerra, a causa dell'aumento dell'evasione fiscale.
Tale stato di cose, però, è determinato dal ritardo della riforma tributaria, che lascia senza giustizia oltre 300 miliardi di sommerso, e da altre riforme che mancano all'appello, come quella della giustizia, soprattutto civile, della pubblica amministrazione, soprattutto riguardo agli enti inutili, alla riduzione delle province e agli uffici periferici dello Stato.
Sulla riforma dell'apparato dello Stato il fallimento è totale, grazie soprattutto ai veti della Lega Nord sulle liberalizzazioni dei servizi pubblici locali. Secondo il dipartimento della funzione pubblica - e, quindi, il Ministero di Brunetta, che predica bene e razzola male - in Italia vi sono ben 7.106 consorzi e società pubbliche partecipate da regioni, province e comuni. Secondo il rapporto 2009 dell'Unioncamere, solo le società partecipate sono 3.626, le quali contemplano 39.604 cariche di consigli di amministrazione e collegi sindacali: un sottopotere di privilegi e clientele, che agiscono in regime privatistico e senza o pochi controlli. Il Ministro Calderoli ed il Governo si sono vantati dei tagli della politica, ma non hanno speso una parola su questo sottobosco di sprechi e - diciamolo pure - di corruzione.
Tornando allo stato dei conti pubblici, vogliamo ribadire che i tagli lineari e alla cieca sono sbagliati, ingiusti, e che non hanno dato i risultati attesi. La messa in Pag. 16sicurezza dei conti pubblici assicurata da questo Governo nel 2008 con la manovra del decreto-legge n. 112 non vi è stata, e non vi è stato nemmeno il sostegno delle imprese e delle famiglie: dei 300 mila posti di lavoro persi nel 2009, l'80 per cento riguarda i giovani da 24 a 34 anni, i quali, essendo precari, non hanno goduto di alcuna tutela.
Secondo il Governatore Draghi, nel biennio 2008-2009 il PIL è sceso del 6,5 per cento, gli investimenti del 16 per cento e le esportazioni del 22 per cento. Nel 2009, il PIL è caduto del 5 per cento, e nessuna delle manovre correttive dei conti pubblici del Governo nel 2009 si è preoccupata di sostenere la ripresa economica: non vi è stata crescita.
Non parliamo certamente di incentivi: parliamo di liberalizzazioni, di apertura dei mercati, che sono riforme a costo zero; parliamo di riduzione della burocrazia, che pesa sulle imprese più delle banche. Berlusconi e Tremonti hanno scoperto che in Italia vi è un articolo 41 della Costituzione per cancellarlo; noi lo abbiamo scoperto molto prima, e vogliamo invece attuarlo per ridurre ed eliminare le autorizzazioni preventive che concernono l'avvio di un'attività economica. In Italia si controlla troppo prima, con barriere all'accesso di un'attività economica, e poi non si controlla quanto è stato realizzato in coerenza con le autorizzazioni ricevute: dobbiamo fare il contrario!
In Italia vi è una crisi sociale che penalizza giovani e donne: occorre una riforma del mercato del lavoro, che stabilizzi l'area contributiva. Va bene la flessibilità, ma con una garanzia della continuità contributiva; va bene il contenimento del costo del lavoro, ma bisogna ridurre il cuneo fiscale e defiscalizzare gli incentivi aziendali per la produttività; poi, crediti di imposta per ricerca e formazione.
Queste riforme, a costo zero e che si autocompensano, sono mancate. Con esse avremmo avuto un altro PIL e un'altra situazione economica e sociale; invece sono state messe solo delle pezze.
È stata affrontata l'emergenza sociale con la cassa integrazione guadagni, con la cassa integrazione guadagni speciale e con la cassa integrazione guadagni in deroga, finanziando un esercito di senza lavoro che è costato 3,5 miliardi di euro per il solo 2009. Si è registrato un aumento della cassa integrazione guadagni del 12 per cento solo nel 2009.
Invece di dare lavoro, sono stati dati sussidi, la peggiore soluzione per un Governo liberale e la peggiore soluzione per la dignità delle persone che lavorano.
Mentre l'economia precipitava, l'evasione fiscale cresceva; il Governo varava il condono fiscale per il rientro dei capitali dall'estero evasi e, tutto questo, senza alcun timore del giudizio popolare.
Ogni commento è superfluo. Tutti coloro che guadagnano lordi, oggi, in Italia, oltre 100 mila euro l'anno, pagano il 42 per cento di imposta (come, qui, quasi tutti noi). Coloro che hanno rimpatriato i capitali dall'estero perché evasori hanno, invece, pagato solo il 5 per cento. Grazie Governo, grazie Tremonti.
Affare di Stato? Crediamo proprio di no. Sono rientrati - è la voce di tutti gli esponenti della maggioranza - 95 miliardi di capitale. Riteniamo che siano delle esagerazioni propagandistiche (qualcuno le ha chiamate «buffonate», ma credo che siano delle esagerazioni propagandistiche). La metà è rappresentata da operazioni giuridiche perché i soldi sono rimasti all'estero e sono stati, invece, legalizzati. Secondo la Banca d'Italia, solo 35 miliardi sono rientri liquidi per riprendere poi il volo all'estero. Alla fine di tutta l'operazione possiamo dire che è stato un flop, un regalo solo agli evasori.
Il Governo si vanta di aver ottenuto, nel 2009, un incremento del 19,8 per cento rispetto al 2008, delle riscossioni derivanti dall'accertamento fiscale, ossia un'entrata pari a 7 miliardi di euro. Si vanta di aver individuato 7.513 evasori totali che avevano omesso di dichiarare 13,7 miliardi di euro imponibili. Sono sicuramente risultati positivi della guardia di finanza e dell'Agenzia delle entrate, ma sono poca cosa di fronte alla constatazione che le Pag. 17maggiori entrate da riscossione sono dovute ad istituti deflattivi come l'accertamento con adesione, l'acquiescenza e la conciliazione giudiziale. Con tali soluzioni si è riscosso un quinto dell'accertato, un quinto del dovuto.
Peggio mi sento quando valuto i risultati sulla lotta all'evasione fiscale. È nota al Governo la stima dell'ISTAT dell'evasione fiscale: nel 2008, il sommerso risultava compreso tra 250 e 275 miliardi di euro, pari al 16-18 per cento del PIL. Ciò comporta un'evasione fiscale, ossia una minore entrata per lo Stato, di circa 100-110 miliardi di euro l'anno, su un'entrata complessiva da tributi, per il 2009, di 505 miliardi di euro. Cosa rappresentano i successi del Governo rispetto ai successi degli evasori? Il Procuratore generale presso la Corte dei conti ha concluso la sua relazione con queste parole: «se è necessario chiedere sacrifici a molte categorie di cittadini, tra le quali, purtroppo, anche quelle più deboli, appare ancora più necessario affrontare con decisione e concretezza i problemi della cattiva amministrazione e dello spreco di pubblico denaro». Come dargli torto? Se lo dice la Corte dei conti, vi è qualche problema di fondatezza. La Corte dei conti ancora non è passata all'opposizione.
Nel giudizio di parificazione la stessa Corte dei conti ha inoltre segnalato la mancata corrispondenza tra l'importo dei residui attivi finali riportati nel rendiconto e il corrispondente importo ricavato sottraendo dai residui iniziali i versamenti in conto residui dell'anno e aggiungendovi i residui di competenza. Si tratta non solo di apportare le necessarie correzioni, ma anche di spiegare il perché di tali incongruenze a questo Parlamento.
La stessa Corte dei conti chiede, inoltre, che le amministrazioni interessate diano conto dello scostamento peggiorativo dei risultati delle entrate rispetto a quelli previsti dalla legge di bilancio per il 2009 e speriamo che su questo punto il Governo non seguiti a rimanere silente.
Per quanto riguarda il rendiconto dello Stato, infatti, si registra un decremento delle entrate tributarie dell'1,6 per cento, anche se sono di segno positivo le entrate finali, grazie all'aumento delle entrate extratributarie. Da registrare una diminuzione di entrate rispetto al 2008 delle imposte sul patrimonio e sul reddito, delle tasse e imposte sugli affari. Aumentano invece le entrate per i giochi (lotto, lotterie e altre attività similari): ben 12,2 miliardi in più, pari al 5,7 per cento rispetto al 2008. Agli italiani non rimane che tentare la fortuna.
Uno sguardo sulle spese di stretta pertinenza statale: le spese finali, cioè il complesso delle spese al netto degli interessi sul servizio del debito, che è di circa 81 miliardi di euro, evidenziano un aumento di quasi cinque miliardi di euro, pari allo 0,88 per cento. In tale scenario va sottolineato che la spesa corrente aumenta di 8,8 miliardi, mentre la spesa in conto capitale diminuisce di 4 miliardi, ossia diminuiscono le risorse destinate agli investimenti e alla modernizzazione del Paese: diminuisce il livello di competitività.
Analizzando molto velocemente alcune missioni di spesa, preoccupa la lentezza burocratica con cui si spendono le risorse stanziate. La stessa Corte dei conti ha lamentato l'imponente accumulo di residui attivi, ben 195 miliardi, e di residui passivi, ben 97 miliardi di euro.
Per la missione istruzione scolastica e, in particolare, per i 10 programmi di spesa in cui si articola, la Corte conferma per il 2009 un maggior coordinamento dell'istruzione scolastica, soprattutto per i programmi relativi all'istruzione prescolastica primaria e secondaria di primo grado, perché registra una sottostima degli stanziamenti iniziali di competenza, che danno poi luogo a delle eccedenze di spesa, ossia a spese non previste. Tale circostanza determina una preoccupante situazione debitoria che investe un terzo delle scuole, una vera emergenza. Una grande maggioranza delle scuole vanta residui attivi nei riguardi dello Stato per 1,3 miliardi di euro, risalenti anche a precedenti esercizi. Mi sono trovato personalmente più volte a sollecitare lo sblocco dei finanziamenti presso il Ministero dell'istruzione, nella Pag. 18stessa persona del dirigente dottor Felisetti, perché a ciò sollecitato da scuole professionali.
Diverso è il discorso per la missione ricerca ed innovazione, dove rispetto al 96,4 per cento degli impegni si registra solo il 52,1 per cento di spesa: un'inefficienza deplorevole. Non posso inoltre non segnalare il dimezzamento delle risorse per l'edilizia universitaria, che passano da 95,7 milioni del 2007 a soli 38,3 milioni del 2009.
Non posso ancora non sottolineare l'aumento dei residui passivi dell'11,4 per cento, pari a 134,5 milioni di euro, del Ministero della giustizia per il 2009. Questa incapacità di spesa del Ministero si associa al fenomeno altrettanto grave dell'utilizzazione dei residui passivi del 2007 e del 2008. Il Ministero della giustizia spende la metà, il 50 per cento o poco più, delle somme che impegna. Da qui deriva anche parte dell'inefficienza dell'amministrazione giudiziaria (e non parlo di quella carceraria, ovviamente).
Ci si lamenta, a volte, che manca la carta per le fotocopie, che i computer dei magistrati sono vecchi e che il processo telematico non prenderà piede a causa di mancanza di risorse. Va denunciato, qui, in quest'Aula, che tutto questo è vero, ma non perché mancano i fondi, bensì perché non si spendono: le risorse, infatti, sono in bilancio e, appunto, non vengono spese. Farà bene il Ministro Alfano a dare una «svegliatina» ai propri uffici di competenza.
Esprimiamo, pertanto, come Unione di Centro - ma lo faremo più esplicitamente in sede di dichiarazione di voto - una valutazione negativa del quadro macroeconomico per quanto riguarda gli andamenti di finanza pubblica della pubblica amministrazione per il 2009. Parimenti negativa è la valutazione del rendiconto generale dello Stato per il 2009, per le ragioni già esposte.
Intervenendo anche sull'assestamento 2010, rilevo poche cose, senza entrare nelle variazioni compensative stabilite dall'articolo 60 del decreto-legge n. 112 del 2008 e poi canonizzate nella riforma della legge n. 196 del 2009.
Il primo rilievo riguarda l'aumento del limite massimo di emissione di titoli pubblici, che passa da 69 miliardi di euro (stabiliti dalla legge di bilancio 2010) a 82,2 miliardi di euro. La relazione unificata del Ministero dell'economia e delle finanze aveva già indicato questa linea tendenziale. La stima del fabbisogno per il 2010 è in aumento del 4,3 per cento rispetto alla nota di informativa dello scorso febbraio. Preoccupa l'aumento del fabbisogno, quando si discosta dal disavanzo programmato in modo evidente.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

AMEDEO CICCANTI. Sono arrivato al termine del tempo a mia disposizione?

PRESIDENTE. Ha ancora tre minuti.

AMEDEO CICCANTI. Stando al risultato negativo dell'avanzo primario e alla stima in aumento del fabbisogno, ciò significa rivedere in aumento, per il 2010, anche le previsioni sui limiti del debito pubblico. Colgo positivamente la riduzione di 8,4 miliardi di euro della spesa corrente per il 2010, ma va sottolineato che ciò non deriva da soluzioni virtuose adottate dallo Stato e dai Ministeri, ma dalla riduzione degli interessi per il servizio del debito pubblico, pari a 5,1 miliardi di euro, e dal taglio dei trasferimenti agli enti locali, pari a 2,9 miliardi di euro.
Sull'assestamento merita una nota di rilievo lo scarso interesse del Governo per le infrastrutture. Signor Presidente, se ho già esaurito il tempo a mia disposizione, posso consegnare il testo del mio intervento, altrimenti posso continuare...

PRESIDENTE. Prego, onorevole Ciccanti, ha ancora due minuti di tempo ha disposizione, può concludere.

AMEDEO CICCANTI. La missione n. 14 sulle infrastrutture pubbliche e logistica contiene risorse pari a 2,1 miliardi Pag. 19di euro, su un bilancio assestato del Ministero per le infrastrutture di 7,2 miliardi di euro. Ebbene, le risorse della missione n. 14 sono quasi interamente destinate all'edilizia sanitaria, fatte salve le poche opere strategiche.
Alle opere strategiche (mi riferisco, cioè, al programma 14.3) sono destinate risorse per 1,6 miliardi di euro: sono briciole, anche se rappresentano il 60 per cento della missione n. 14. Va segnalato al Governo che l'assestamento non sembra tenere conto dello stanziamento di un miliardo di euro per la realizzazione di un Piano nazionale straordinario per il rischio idrogeologico, di cui alla delibera CIPE del 6 novembre 2009, poi confluito nella legge finanziaria per il 2010. Sull'impiego di queste risorse non si riesce a fare il punto.
Sull'assestamento, riconosciamo uno sforzo di carattere generale di miglioramento di tutti i saldi, anche laddove risultano negativi. Il miglioramento denota, però, una volontà positiva. È, altresì, positiva la riduzione dei limiti al ricorso al mercato, che passa dai 325,6 miliardi di euro delle previsioni iniziali 2010, ai 284,6 miliardi di euro delle previsioni assestate. Riteniamo che la riduzione di 41 miliardi di euro sia più un auspicio che una realtà, proprio per le valutazioni che facevamo sul fabbisogno e sull'aumento dei titoli pubblici per il 2010.
Non possiamo, però, accettare l'impostazione di base dell'assestamento. Si tratta della finanziaria per il 2010, che abbiamo contestato, e delle misure aggiornate. Abbiamo votato contro allora e non possiamo fare altrimenti oggi. Ancora un minuto, signor Presidente, e mi avvio alla conclusione.
Abbiamo un Governo che vive alla giornata e una maggioranza disorientata, e non vi è più la sicurezza dei primi mesi di luna di miele del 2008. Vi è un'emergenza morale, con scandali che rasentano la Presidenza del Consiglio dei ministri a causa del coinvolgimento dei suoi più stretti collaboratori in alcune delicate indagini giudiziarie per concussione e corruzione. Vi è un'Italia distratta che guarda dall'altra parte e un'Italia che segue attonita e delusa e si interroga sul futuro.
Sia per gli italiani distratti che per quelli delusi questo Governo non c'è, e non è all'altezza dei compiti che la grande crisi finanziaria, che ha sconvolto il mondo nel 2008, oggi richiede. Noi dell'UdC abbiamo proposto un Governo di larghe intese, ossia un Governo di volenterosi, di patrioti, di quei politici e di quelle forze politiche che mettono davanti ai loro interessi personali e di parte quelli dell'Italia degli italiani.
Abbiamo bisogno di fare le riforme istituzionali, costituzionali, economiche e sociali che questa maggioranza non è in grado di fare da sola, nonostante i suoi cento parlamentari.

PRESIDENTE. Onorevole Ciccanti, deve proprio concludere.

AMEDEO CICCANTI. Signor Presidente, 30 secondi ancora e concludo.
Noi dell'UdC siamo pronti a consumare una parte di noi stessi nell'interesse del Paese, e chiediamo agli altri di fare altrettanto. A settembre ci rivedremo, e su questi appelli ci ritroveremo tutti. Concludendo il mio intervento vorrei dire al signor Viceministro - parafrasando Kafka - che la sua maggioranza avrà, sicuramente, un grande lunedì (l'ottimismo di Berlusconi ci spinge a ciò) ma credo che la nostra domenica, di questo passo, non passerà mai (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Gioacchino Alfano. Ne ha facoltà.

GIOACCHINO ALFANO. Signor Presidente, signor Viceministro Vegas, onorevoli colleghi, esaminiamo oggi il rendiconto per l'anno 2009 e l'assestamento per il 2010.
Il rendiconto è lo strumento che più di ogni altro consente di verificare l'andamento del bilancio dello Stato, in quanto permette di verificare quanto le previsioni formulate all'inizio dell'esercizio ed eventualmente corrette in corso d'anno si siano Pag. 20effettivamente realizzate. Per questo, sempre più si sta lavorando per valorizzare l'esame parlamentare del disegno di legge di approvazione del rendiconto. In particolare, le modifiche susseguenti all'introduzione dell'articolazione del bilancio in missioni e programmi di spesa, avviata in via amministrativa e consolidata con l'approvazione della nuova legge di contabilità e finanza pubblica, intendono consentire una valutazione non solo delle cifre contenute nel bilancio dello Stato, ma anche delle politiche pubbliche finanziate da tali stanziamenti. Tengo molto a parlare dello strumento e non tanto di quelli che sono i contenuti perché ciò significherebbe parlare un po' di tutto.
In quest'ottica - quando sarà attuata completamente la riforma di tale strumento - si realizzerà un ciclo completo di programmazione e di valutazione dei risultati. A tal fine, in sede di approvazione del bilancio dello Stato sono fissati obiettivi per i singoli programmi e indicatori per verificare il loro effettivo raggiungimento. In sede di rendiconto sarà possibile, quindi, un'efficace verifica dei risultati fissati al momento dell'approvazione del bilancio preventivo e valutare quindi l'andamento delle politiche pubbliche e anche il comportamento della dirigenza, dal momento che - ed è importante - in prospettiva, ciascun programma di spesa sarà affidato ad un solo dirigente, mentre oggi non è così.
Si tratta di un obiettivo ambizioso che richiede un mutamento culturale anche da parte del Parlamento che dovrà prestare maggiore attenzione agli strumenti di controllo sull'operato del Governo, in particolare nel settore della finanza pubblica. In questa direzione si muovono, peraltro, le modifiche alla disciplina contabile contenute nella legge n. 196 del 2009. In tale quadro, probabilmente si renderà necessaria anche una modifica delle procedure parlamentari di esame sia del rendiconto che dell'assestamento. In proposito, non posso non ricordare il dibattito svoltosi in occasione dell'approvazione della nuova legge di contabilità e finanza pubblica e il lavoro svolto dal Comitato tecnico costituito nell'ambito della Commissione bilancio per valutare le conseguenze, sul piano regolamentare, della nuova disciplina in materia di contabilità pubblica.
L'esame del rendiconto riferito all'esercizio 2009 cade, quindi, in un periodo transitorio perché si riferisce ad un bilancio redatto sulla base della disciplina prevista dalla passata legge di contabilità e finanza pubblica, che pure già prevedeva un'articolazione in missioni e programmi.
Solo a partire dal prossimo esercizio sarà pertanto possibile sviluppare appieno le innovazioni - che ritengo necessarie - contenute nella legge n. 196 del 2009, auspicabilmente anche con l'ausilio di nuove disposizioni regolamentari che rafforzino l'interesse per l'esame delle risultanze consuntive dell'esercizio finanziario.
Quanto ai dati finanziari contenuti nel rendiconto, nel rinviare a quanto già espresso dal relatore Girlanda in modo preciso, rilevo che esse registrano fedelmente l'andamento dell'economia e della finanza pubblica nell'ultimo anno. Si tratta naturalmente di dati che risentono della crisi in atto fin dal 2008 ma che dimostrano anche una sostanziale tenuta, frutto della prudenza che ha caratterizzato l'azione del Governo.
Con riferimento al disegno di legge di assestamento desidero preliminarmente osservare che esso conferma largamente le stime e le ipotesi già formulate in sede di bilancio di previsione. In particolare, ricordo che addirittura migliorano i dati relativi ai saldi di competenza. Infatti, il saldo netto da finanziare passa da 62 a 55 miliardi circa e il risparmio pubblico, pur confermandosi in valore assoluto negativo, registra un incremento di oltre 8 miliardi di euro. L'avanzo primario segnala un miglioramento di circa 2 miliardi ed il ricorso al mercato, particolarmente significativo con riferimento al tema del debito pubblico, registra una flessione di oltre 41 miliardi.
La politica di rigore, volta alla messa in sicurezza dei conti pubblici, intrapresa e perseguita con decisione dal Governo trova oggi un'ulteriore conferma nella manovra europea, come l'ha definita il Ministro Pag. 21Tremonti, relativa al prossimo triennio, che ha appena iniziato il suo iter presso questo ramo del Parlamento e che accompagnerà il nostro Paese verso la fine della crisi - speriamo quanto prima - che, peraltro, già si intravede proprio attraverso le pieghe di questo assestamento (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Nannicini. Ne ha facoltà.

ROLANDO NANNICINI. Signor Presidente, membri del Governo, cercherò di riallacciarmi un po' alla discussione che già altri colleghi hanno fatto e alla relazione svolta dal relatore Girlanda e, in particolar modo, anche all'attenzione che Marchi ha dedicato ai conti generali e alla situazione degli enti locali.
La Corte dei conti rivela che il problema essenziale appare essere il contenimento della spesa pubblica e l'individuazione dei settori in cui operare. Senza tanti equivoci noi del Partito Democratico affermiamo che il Governo non ha individuato i settori in cui operare e addirittura sia nei conti, sia nelle relazioni - come poi dimostrerò - e anche in quella dell'onorevole Girlanda, che ho ascoltato con attenzione, afferma e «scopiazza» quanto scritto nella relazione della Corte dei conti, ma non ne va a conseguenza.
Cercherò di essere molto attento. La Corte dei conti lamenta, in particolare, una scarsa leggibilità dei conti statali a causa di un imponente accumulo di residui attivi e passivi, che voglio ricordare a tutti noi: vi sono residui attivi pari a 194 miliardi, di cui 123 vecchi e 71 di nuova formazione nell'esercizio 2009; vi sono, inoltre, residui passivi pari a 97 miliardi, di cui 32 pregressi e 65 di nuova formazione.
Questo avviene alla luce della nuova legge di contabilità. Si può ben affermare che non vi è trasparenza nell'elemento dei conti pubblici. Il Governo dice che tutto va bene e si presenta al Parlamento con un rendiconto in cui la dinamica fra residui attivi e passivi comporta il risparmio di un po' di denaro (e mi scuso con il relatore Girlanda che afferma questo). Tuttavia, non è così.
Prendo questa piccola tabella, che è qui a mia disposizione, che riguarda - e così cominciamo a parlare della «carne» del nostro territorio e della nostra nazione - 94 province e 133 comuni. Si tratta di province che hanno già fatto opere per 3 miliardi 111 milioni, come afferma la tabella 14 di questo «libro dei pensieri» del Ministro Tremonti. Vi sono, quindi, 3 miliardi 100 milioni di residui accumulati su delibere, su impegni e su fatti e che sono in giacenza di cassa in base all'articolo 47, comma 1, della legge n. 449 del 1998 e un miliardo e mezzo per 133 comuni che non hanno risposta.
Quindi vedete come queste cifre possano sembrare asettiche se non si ricerca dove stanno, a chi dobbiamo riferirle, e in che passività si trovano? Lo Stato ha 4 miliardi e mezzo di residui attivi da pagare a 133 comuni e 93 province, e si concepiscono poi manovre come quelle sulle quali mi soffermerò in seguito con maggiore attenzione.
Vorrei che rimanesse agli atti con attenzione il richiamo che gli enti locali (133 comuni e 93 province) godono, in base all'articolo 47, comma 1, della legge n. 449 del 1998, di residui attivi per questi importi. Quindi un Governo che ha residui attivi e residui passivi di nuova formazione, come quelli richiamati dalla relazione, è un Governo che nella gestione dei conti non dà trasparenza, né sicurezza.
Vorrei aggiungere un altro elemento: con riferimento al segmento della finanza decentrata, la Corte, a fronte del dato sostanziale positivo della stabilizzazione dell'indebitamento complessivo degli enti regionali e locali, per effetto delle norme del Patto di stabilità (che è in linea con la formazione di nuovo debito), rileva un cattivo andamento della spesa corrente (riguardo essenzialmente ai piccoli comuni), una gestione irregolare dei residui attivi e una situazione critica di cassa aggravata in molti casi dall'utilizzo di debiti fuori bilancio. Pag. 22
Questa frase della Corte viene citata nella relazione presentata dall'onorevole Girlanda. Viene semplicemente letta e subito dopo si passa ad un altro argomento. Vorrei cercare, invece, per un attimo di approfondire questo argomento, perché ci interessa e ci riguarda.
Se andiamo a vedere nell'intero scenario degli 8.100 comuni italiani, 5.703 comuni sono esclusi dalla futura manovra che oggi, dopo essere stata approvata dal Senato, è giunta alla Camera in un testo blindato. Per 2.397 comuni è previsto il taglio dei 1.500 più i 2.500. Il relatore che cita a fare questa relazione della Corte dei conti?
Che dice a fare che la Corte dei conti rileva che si accumula nei piccoli comuni? Cita questo dato senza alcuna conseguenza. Il Governo si dimentica che dei 5.703 comuni sotto i cinquemila abitanti, 3.338 sono sottodotati. Anche qui ritorna il tema del virtuoso (sempre citato) e della virtù. Si esce e si trova la virtù. Noi siamo virtuosi e gli altri non sono virtuosi. Diamo una definizione di questa virtù e di cosa sia.
Dei 5.703 comuni sotto i cinquemila abitanti, 3.338 comuni sono sottodotati e questo vuol dire che hanno meno risorse secondo la relativa classe per quanto attiene ai trasferimenti da parte dello Stato. Ma questi ultimi li considero virtuosi, perché vivono con meno soldi trasferiti dallo Stato.
Se poi si vanno a vedere gli altri 2.397, questi sono sottoposti a tagli per 4 mila milioni, ossia per 4 miliardi di euro in due anni - è chiaro che succederà come per il decreto-legge n. 112 del 2008, tante correzioni sul decreto-legge n. 78 del 2010, perché è fatto male, è iniquo, non è ragionato, non è partecipato - e ci sono 1.454 comuni sottodotati.
Questi non li rammenta nessuno, anche se esiste un decreto legislativo (il n. 244 del 30 giugno 1997). Se si vuole vedere più puntigliosamente quello che succede in queste realtà, appare evidente che non tutte le regioni sono uguali, perché il 92 per cento della popolazione toscana è sottoposta ai tagli dei suoi comuni.
Infatti, il 92 per cento dei toscani si trova in comuni con più di cinquemila abitanti. Leggendo attentamente, si trova che in Emilia Romagna tale percentuale è all'11 per cento, in altre regioni al 39 per cento, e in altre ancora al 50 per cento.
Allora dico: salviamo perlomeno i comuni sottodotati e non sottoponiamoli ai tagli. Non è un criterio, si cita la relazione della Corte dei conti per pura pubblicità. Se poi approfondisco, trovo la Lombardia e il Piemonte che sono sempre virtuosi e hanno le realtà comunali diverse dalle regioni che ho citato prima.
Non voglio entrare nel particolare perché mi ruberebbe troppo tempo. Credo che il consiglio al Governo sia che dobbiamo trovare una realistica via di mezzo tra sviluppo e rigorismo perché non si può essere solo ragionieri, ci si deve anche interrogare dove la manovra e dove i rendiconti si attuano perché si deve trovare sempre un momento di condivisione.
Pertanto, su questo abbiamo un problema di fondo che ci richiama il rendiconto, ossia che gli enti locali, le regioni, i comuni e le province hanno partecipato per quanto potevano al meccanismo di risanamento, però le cifre 2008-2009 ci dicono che hanno ridotto la loro capacità di spesa e di indebitamento - come diceva il collega Marchi in apertura del suo intervento - del 50 per cento rispetto al 2008-2009. Allora si concepisce una manovra che, nel 2011, incide per il 50 per cento a carico degli enti locali, sostenuta da una campagna che il Ministero ha fatto sul tema del bilancio dello Stato.
Mi stupisco di un articolo di fondo di Piero Ostellino che ci dice che ci vorrebbe più attenzione, anche da parte dell'opposizione, per andare incontro agli interessi organizzati e fare la differenza tra politica e ragioneria (lo dice anche a noi del Partito Democratico), ma il suo giornale ha pubblicato sempre la propaganda del Governo secondo cui gli enti locali hanno 172 miliardi di spesa flessibile e il povero Stato ne ha 84 miliardi. Mi chiedo se sono disposti a smentire quello che ha scritto il Governo. Noi lo chiederemo con forza Pag. 23perché ci siamo permessi di rifarvi i conti in cassa e di verificare nuovamente quello che avete detto.
Vorrei rimanesse precisamente agli atti che le amministrazioni regionali hanno una flessibilità di 30 miliardi e 708 milioni - se avrò tempo, Signor Presidente, lo spiegherò in seguito -, le amministrazioni comunali di 48 miliardi e 300 milioni, le amministrazioni provinciali di 9 miliardi e 358 milioni, gli enti locali sanitari - che vi siete dimenticati nella classificazione ISTAT, ma che stanno in questa classificazione - di 73 miliardi e 535 milioni. Gli enti economici locali, incluse le camere di commercio che per propaganda includete sempre tra gli enti locali, sono oltre 9 miliardi e 774 milioni.
Quindi, con riguardo alla cifra di 172 miliardi, che dite essere flessibile per gli enti locali e su cui interviene la manovra, 30 sono delle amministrazioni regionali, 73 - la cifra più alta - degli enti sanitari locali (le ASL), e le altre cinque voci, che ho già elencato, non le voglio ripetere di nuovo.
In quella relazione - e richiamo quell'articolo di fondo di Ostellino che ha sempre pubblicato per il Corriere della Sera queste cose - ci avete dato anche il conto economico consolidato delle pubbliche amministrazioni, cioè quello senza i trasferimenti, pari a 799 miliardi. Se vado a consultare i conti che ho presentato e che sono fatti con correttezza, vediamo che in questo ci stanno 458 miliardi del conto non consolidato dello Stato perché ci sono i trasferimenti e 298 miliardi nel settore della previdenza.
Sulla previdenza in modo cinico avete citato sempre e solo quei 6,16 miliardi per quanto riguarda le invalidità e gli assegni di invalidità, dimenticando che non c'è una politica per la non autosufficienza - sono solo assegni di accompagnamento - e dando le responsabilità alle regioni. Non avete detto nemmeno la data di partenza, che è del 2000 e il conto è fino al 2009. Ma quando c'è da dare addosso agli enti locali e ai poveri fate il vostro mestiere.
Noi cerchiamo in tutti i modi nel Paese di creare una reazione culturale a questo modo di gestire e di raccontare i conti, perché come li raccontate voi sembra inevitabile tagliare solo nella spesa degli enti locali. Ci ritornerete sopra, perché è chiaro che i vostri racconti non corrispondono e noi non in modo strumentale appoggiamo fino in fondo il tavolo che l'ANCI vuole aprire con il Governo per farvi dire la verità.

PRESIDENTE. Onorevole Nannicini, la prego di concludere.

ROLANDO NANNICINI. I tavoli li dovrete fare con le regioni e tutti gli elementi li dovrete fare nella nuova legge finanziaria perché questa - meno male - la chiamate «manovra». La legge finanziaria, infatti, dovrà essere fatta con molta più attenzione da questo Parlamento (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione congiunta sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 3593 e A.C. 3594)

PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore, onorevole Girlanda, rinuncia alla replica.
Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

GIUSEPPE VEGAS, Viceministro dell'economia e delle finanze. Signor Presidente, credo che una breve replica consentirà comunque di concludere rapidamente i nostri lavori in questa serata.
Signor Presidente, signor relatore, onorevoli colleghi, innanzitutto ringrazio tutti gli intervenuti in questo dibattito, che hanno avuto modo non solo di soffermarsi sulla questione del rendiconto e dell'assestamento, ma di spaziare sui temi della politica economica e finanziaria più in generale.
È ovvio che, vista la legge di riforma dell'anno scorso, è l'ultimo anno in cui Pag. 24esaminiamo i documenti di rendiconto e assestamento riferiti alle vecchie unità previsionali di base. Ciò consentirà però negli esercizi futuri di avere una visione più integrata - perché saranno riferite alle missioni e ai programmi - e, quindi, sarà possibile conoscere meglio l'effettivo andamento della spesa pubblica, tanto è vero che la discussione che c'è stata oggi si è concentrata - solo qualche intervenuto si è soffermato sui singoli comparti - sul complesso dell'andamento della spese e delle entrate.
Sono convinto - era anche una delle finalità della riforma - che soprattutto un esame più approfondito del rendiconto - anche attraverso hearing, analisi e audizioni di ministri e responsabili amministrativi - consentirà di capire meglio dove va effettivamente la spesa pubblica. Infatti, questo è un altro argomento emerso questa sera; il problema dei problemi in fondo è sempre quello della spesa: c'è chi dice che è troppa, c'è chi dice che è poca, ma comunque quello che forse ancora non dominiamo appieno è un controllo definitivo vero e serio della spesa pubblica. Quindi, conoscere meglio ci consentirà anche di capire dove ci sono - e ci sono - quei canali di spreco che impediscono di spendere bene laddove necessario e magari perpetuano dei meccanismi assolutamente inefficienti.
Detto questo, è ovvio che il 2009 - non poteva essere diversamente - è stato un anno orribile, nel quale la crisi ha fatto vedere più che nel 2008 i suoi effetti negativi, perché è stata prima finanziaria e poi si è trasferita sulle economie reali e poi - lo stiamo vedendo adesso - sulle finanze pubbliche dei vari Paesi. Il 2009 è stato l'anno che ha visto i principali effetti negativi sulle economie reali e, quindi, come effetto di questi effetti, si sono riscontrati cali di entrata e aumenti delle spese pubbliche nelle finanze pubbliche, ma è stato un effetto non eludibile perché le entrate sono calate, anzi al limite meno di quello che ci saremmo aspettati. Ciò vale soprattutto per le imposte indirette che hanno avuto il primo impatto della crisi. Le spese sono aumentate perché in qualche modo il circuito della spesa è servito per finanziare un minimo di domanda.
È aumentata anche la spesa, purtroppo, per gli interventi a favore di chi si trovava in difficoltà per la perdita o la sospensione dell'occupazione; insomma c'è stato un circuito di redistribuzione della spesa, che è stata abbastanza notevole. Per fortuna, allo stato attuale, dagli indicatori di cui disponiamo sembra che ci sia un minimo di ripresa, questo consentirà poi di alleggerire anche gli effetti della spesa pubblica; è ovvio che gli effetti dal punto di vista finanziario sono stati quelli di una crescita notevole del disavanzo e del debito.
Per fortuna, il nostro debito, che costituisce l'aspetto di maggior rischio per il nostro sistema Paese, è cresciuto sì, però è cresciuto molto meno rispetto a debiti di altri Paesi concorrenti, o più che concorrenti, Paesi più grandi: penso soprattutto ai Paesi d'oltreoceano che si pongono come offerenti di titoli del debito pubblico in un regime molto più competitivo, che crea ovviamente problemi a tutti i Paesi che sono indebitati. Questo è il motivo per il quale occorre, anzi, è indispensabile mantenere un controllo della spesa e delle finanze pubbliche dei saldi molto più rigoroso che non in un periodo nel quale la massa dei titoli pubblici che andavano sui mercati per essere venduti era decisamente inferiore rispetto a quella del biennio 2009-2010. Questa è la ragione per la quale il Governo si è attenuto rigorosamente ad una politica, come dire, familiare della spesa pubblica, ha cercato di fare quello che farebbe qualunque padre di famiglia: nei momenti di difficoltà più che aumentare la spesa e il debito, ha cercato di controllare, magari non sempre riuscendoci, la spesa pubblica. Ovviamente siamo umani e quindi gli errori possono essere compiuti, ma quello è stato il principale obiettivo della politica finanziaria.
È chiaro che questo obiettivo, per certi aspetti, è in contraddizione rispetto a quello di finanziare lo sviluppo attraverso il canale della spesa pubblica, ma, come dire, se la casa bruciava bisognava correre Pag. 25con i pompieri in primo luogo, è quello che è stato fatto e quindi si è cercato di contenere l'aumento della spesa. Questo può aver avuto degli effetti non particolarmente brillanti sullo sviluppo, ma d'altronde sarebbe difficile pensare che un solo Paese possa essere in grado di invertire dei trend a livello internazionale semplicemente con qualche strumento che può essere utile per incentivare la domanda o gli investimenti, ma i cui effetti probabilmente sarebbero molto limitati.
D'altronde, però, non vi può essere una contraddizione nel senso di lamentele, come mi è parso - spero di essermi sbagliato - di cogliere in qualche intervento nel quale da una parte si rappresentava una scarsa attenzione all'andamento della spesa, e dall'altra, invece, si lamentava un mancato intervento sotto l'aspetto dell'incremento della spesa o della diminuzione della tassazione a fini anticongiunturali e di sviluppo: insomma, delle due l'una, la contraddizione che non consente induce a scegliere una delle due strade. Come ho detto prima, il Governo ha scelto la strada, se vogliamo, dell'attenzione e non dell'incremento della spesa, ma per certi aspetti era una strada obbligata ed episodi come quelli della Grecia qualche tempo fa, e di altri Paesi ultimamente, dimostrano che forse non c'erano alternative rispetto a questa strada.
È chiaro che in un'azione di contenimento della spesa vi sono molte sofferenze, in primo luogo quella degli enti locali. Su questo tema si è molto dibattuto: nessuno vuole strozzare la vita degli enti locali le cui spese, tra l'altro, anche a livello territoriale sono indispensabili per lo sviluppo economico e anche per un certo livello di equità sociale, ma bisogna tener conto che la loro spesa era cresciuta proporzionalmente di più rispetto a quello dello Stato negli ultimi periodi. Quindi, in qualche modo va realizzato qualche equilibrio, tenendo presente che in fondo non vi è una differenziazione, una contrapposizione tra diversi settori dell'amministrazione, ma che siamo tutti coinvolti nel cercare di perseguire gli obiettivi di finanza pubblica che consentano di uscire da questa difficile crisi.
L'assestamento del 2010 è sostanzialmente un assestamento neutro, importa qualche leggero miglioramento dei saldi, ma non fa quell'opera che era stata fatta l'anno scorso, nel quale fu iniettata maggiore liquidità per aumentare i pagamenti, soprattutto per le spese di investimenti in funzione anticiclica. Il 2010 è un anno relativamente più stabile e quindi l'assestamento sostanzialmente va a perseguire la linea indicata nel bilancio senza fare ulteriori variazioni di particolare rilievo.
Detto questo, non credo di dover aggiungere altro perché i documenti sui quali stiamo discutendo - ha detto bene il relatore - sono sostanzialmente tecnici. Non innovano rispetto alla linea di politica economica già definita.
Avremo, successivamente, modo di discutere della recente manovra, sulla quale, sicuramente, il dibattito sarà più ampio, anche perché concerne prospettive che sfuggono ai documenti in esame oggi.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Su un lutto del deputato Manlio Contento.

PRESIDENTE. Comunico che il collega Manlio Contento è stato colpito da un grave lutto: la perdita della madre.
Al collega la Presidenza della Camera ha già fatto pervenire le espressioni della più sentita partecipazione al suo dolore, che desidera ora rinnovare anche a nome dell'intera Assemblea.

Sull'ordine dei lavori (ore 19,05).

SIMONE BALDELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, venerdì scorso, all'età di 73 anni, si è Pag. 26spento Mino Damato, giornalista professionista, conduttore televisivo, divulgatore scientifico.
Nel 1999, Mino Damato ha iniziato un percorso politico, che lo ha visto diverse volte candidato ed anche eletto, con moltissime preferenze nel 2000, al Consiglio regionale del Lazio.
Sono stato per cinque anni collega di Mino Damato alla regione Lazio. Mi permetto, signor Presidente, di testimoniare in quest'Aula il ricordo di un uomo dal cuore grande, dall'altruismo esemplare, dal grande amore verso i bambini, in particolare quelli più deboli e malati, un amore che lo stesso Mino Damato ha saputo testimoniare in prima persona con scelte forti e sofferte, come quella dell'adozione di una bambina malata di AIDS.
Credo che sia un atto doveroso ricordarlo in quest'Aula - anche se l'onorevole Damato non è mai stato deputato della Repubblica - perché si tratta di un personaggio molto ben voluto e molto amato dagli italiani, un personaggio la cui morte lascia un vuoto perché è stato testimone di grande altruismo. Per questo - lo ribadisco - credo che sia opportuno ricordarlo.

ROBERTO GIACHETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, intervengo solo per associarmi alle parole di cordoglio del collega Baldelli e per ricordare, in particolar modo, la solidarietà con la quale Mino Damato - soprattutto negli ultimi anni della sua vita - si è dedicato ai più deboli, in particolare alle bambine ed ai bambini colpiti dall'AIDS.
Quindi intendo semplicemente associarmi alle parole del collega Baldelli.

PRESIDENTE. Ritengo che, anche da questo banco, sia doveroso associarsi alle parole di cordoglio che hanno espresso i colleghi che sono intervenuti.

LINO DUILIO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LINO DUILIO. Signor Presidente, ne approfitto semplicemente per sollecitare la risposta ad una questione che, sotto forma di risoluzione, è stata posta al Governo in Commissione affari sociali molto tempo fa, riguardante un'annosa vicenda che, in particolare, chiama in causa i danneggiati dalle vaccinazioni obbligatorie.
Si trattava e si tratta di una questione di carattere eminentemente giuridico, che attiene al comportamento del Ministero rispetto al ricorso gerarchico improprio. Senza entrare nel merito, in quella sede si poneva la questione di un comportamento, a mio modesto avviso, addirittura illegale da parte del Governo, che entra nel merito di questioni che non sono quelle oggetto del ricorso.
Comunque, a prescindere dal merito, signor Presidente, la questione che pongo alla sua attenzione (peraltro non è la prima volta) è che i parlamentari, che hanno un ruolo un po' ridimensionato in questo Parlamento, per usare un eufemismo, almeno dovrebbero avere la soddisfazione, quando presentano un'interrogazione o una risoluzione, con la firma anche di altri colleghi, di ottenere una risposta in tempi decenti. Sono passati mesi e mesi. Mi risulta che per uno di questi casi, peraltro, uno degli interessati si sia rivolto al tribunale (quindi, spendendo soldi: come al solito, i più deboli devono spendere soldi), che proprio in questi giorni, probabilmente ieri o l'altro ieri, gli ha dato anche ragione, come tra l'altro era assolutamente evidente.
Il fatto che il Governo non risponda su materie anche di ordine giuridico - si chiedeva solo di rimettere la questione al Consiglio di Stato, perché si chiarisse come comportarsi - e che il cittadino, ultimo nella scala sociale, molto spesso debba spendere soldi per avere il riconoscimento dei suoi diritti credo che debba richiamare anche l'attenzione di quest'Aula.

Pag. 27

PRESIDENTE. Sarà cura della Presidenza reiterare la sollecitazione da lei richiesta.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Martedì 20 luglio 2010, alle 11,30:

1. - Seguito della discussione dei disegni di legge:
Rendiconto generale dell'Amministrazione dello Stato per l'esercizio finanziario 2009 (C. 3593).
Disposizioni per l'assestamento del bilancio dello Stato e dei bilanci delle Amministrazioni autonome per l'anno finanziario 2010 (C. 3594).
- Relatore: Girlanda.

(p.m., al termine delle votazioni)

2. - Discussione del disegno di legge (per la discussione sulle linee generali):
Conversione in legge del decreto-legge 6 luglio 2010, n. 102, recante proroga degli interventi di cooperazione allo sviluppo e a sostegno dei processi di pace, di stabilizzazione e delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia (C. 3610).

La seduta termina alle 19,10.

CONSIDERAZIONI INTEGRATIVE DELLA RELAZIONE DEL DEPUTATO ROCCO GIRLANDA IN SEDE DI DISCUSSIONE CONGIUNTA SULLE LINEE GENERALI DEI DISEGNI DI LEGGE NN. 3593 E 3594

ROCCO GIRLANDA, Relatore. L'andamento degli ultimi anni evidenzia un'importante flessione nell'anno 2007, che interessa in particolare i residui in conto capitale, con un andamento confermato anche negli anni successivi.
La flessione di questa consistenza è da porre in relazione alla disposizione recata dall'articolo 3, comma 36, della legge n. 244 del 2007 (finanziaria per il 2008) che ha determinato, a partire dal 2007, la riduzione, da sette a tre anni, del termine di mantenimento in bilancio dei residui passivi in conto capitale.
Su questo fronte, l'eliminazione dal conto del bilancio dei residui passivi propri di conto capitale dopo tre anni, anziché sette, legata al nuovo regime della perenzione, ha determinato la necessità di dover riscrivere in bilancio, negli appositi Fondi di riserva per la riassegnazione alla spesa dei residui passivi perenti, quota parte delle somme perenti agli effetti amministrativi sulla base delle richieste dei creditori.
La maggiore consistenza dei residui passivi a fine 2009 è correlata soprattutto, come sopra accennato, all'ampia formazione dei nuovi residui, derivanti dalla gestione della competenza nel 2009, che ammontano complessivamente a 63.946 milioni.
Rispetto al precedente esercizio, si registra un incremento di 7.901 milioni che interessa sia i residui di parte corrente che in conto capitale.
A determinare la consistenza, a fine 2009, dei residui di nuova formazione di parte corrente hanno concorso, soprattutto, gli aggregati relativi al complesso dei trasferimenti ad amministrazioni pubbliche per 26.141 milioni (di cui 20.972 milioni si riferiscono alle amministrazioni locali, con riferimento essenzialmente al Fondo federalismo fiscale, al Fondo sanitario nazionale, ai trasferimenti alle Università), ai redditi da lavoro dipendente (3.251 milioni) ed ai consumi intermedi (2.533 milioni).
Per quanto concerne i nuovi residui di conto capitale (27.049 milioni) si rileva che essi riguardano il complesso dei contributi agli investimenti ad amministrazioni pubbliche per 8.081 milioni e i contributi agli investimenti ad imprese per 5.764 milioni (determinati, in particolare, dagli incentivi alle imprese industriali e dal fondo per la Pag. 28competitività e lo sviluppo, per circa 600 milioni, e le Ferrovie Spa per 1.610 milioni).
Prima di concludere, Presidente, mi preme evidenziare che nel corso dell'esame in Commissione bilancio alcuni deputati hanno chiesto ulteriori specifiche informazioni su presunti tagli e riduzioni proposte con il bilancio di assestamento.
Il Governo ha abbondantemente chiarito che per i Ministeri dello sviluppo economico e della giustizia non risultano riduzioni di spesa a livello complessivo delle relative tabelle, né rilevanti riduzioni a livello di singolo capitolo. Per quanto riguarda il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, premesso che per l'intera tabella risulta comunque una maggiore spesa di circa 28,6 milioni, l'unica riduzione apportata riguarda i capitoli relativi alle supplenze a tempo determinato, per l'importo complessivo di 150 milioni; tali riduzioni, disposte in relazione alle effettive esigenze, hanno consentito la compensazione dei maggiori stanziamenti, per pari importo, proposti per i capitoli concernenti supplenze brevi. Le principali riduzioni dello stato di previsione del Ministero dell'interno hanno riguardato il Dipartimento per gli affari interni e territoriali ed il Dipartimento della Pubblica sicurezza. Per il primo, vi è una riduzione pari a 88.161.431 euro dovuta ad una modifica normativa che ha limitato il rimborso dell'IVA corrisposta dagli enti locali sui servizi non commerciali affidati a soggetti esterni all'amministrazione ai soli servizi resi nei confronti di utenti che pagano una tariffa e che una ulteriore riduzione per 229.000.000 euro è dovuta ad una rideterminazione dei contributi concessi dallo Stato agli enti locali sulle rate di ammortamento dei mutui nonché alla rinegoziazione dei mutui contratti dagli enti medesimi con la Cassa depositi e prestiti. Per il Dipartimento della Pubblica sicurezza, il Governo ha sottolineato che le riduzioni di bilancio sono quelle relative ai contributi sociali per la Polizia di Stato a carico del datore di lavoro sulle competenze accessorie ed all'IRAP sulle competenze accessorie, rispettivamente per 47.527.285 euro e per 12.787.280 euro, risultato di un adeguamento degli stanziamenti all'imponibile delle competenze accessorie a favore del personale della Polizia di Stato. A fronte di reiterate economie rilevate in sede di consuntivo degli esercizi trascorsi l'Amministrazione ha ritenuto di rivedere i suddetti oneri richiedendo una riduzione dei relativi stanziamenti.