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Resoconto dell'Assemblea

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XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 305 di martedì 13 aprile 2010

Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ANTONIO LEONE

La seduta comincia alle 10,35.

LORENA MILANATO, Segretario, legge il processo verbale della seduta dell'8 aprile 2010.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Alessandri, Angelino Alfano, Berlusconi, Bonaiuti, Bossi, Brambilla, Brancher, Brugger, Brunetta, Buonfiglio, Casero, Cicchitto, Cirielli, Colucci, Cosentino, Cossiga, Cota, Craxi, Crimi, Crosetto, D'Alema, Donadi, Fitto, Franceschini, Frattini, Gibelli, Alberto Giorgetti, Giancarlo Giorgetti, Giro, La Russa, Lo Monte, Lupi, Mantovano, Maroni, Martini, Mazzocchi, Melchiorre, Meloni, Menia, Miccichè, Migliavacca, Molgora, Mura, Nucara, Leoluca Orlando, Arturo Mario Luigi Parisi, Pecorella, Pescante, Prestigiacomo, Ravetto, Roccella, Romani, Ronchi, Rotondi, Saglia, Sardelli, Scajola, Stefani, Stucchi, Tabacci, Tremonti, Urso, Vegas e Vito sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente sessantasette, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Sull'ordine dei lavori (ore 10,40).

ANTONIO BORGHESI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANTONIO BORGHESI. Signor Presidente, intervengo brevemente solo per richiamare il tema dei tre medici arrestati all'ospedale di Emergency in Afghanistan, relativamente ai quali è giunta comunicazione che il Governo riferirebbe alle Commissioni Esteri riunite nella giornata di domani o dopodomani. Credo - è il pensiero del nostro gruppo - che, data la gravità del fatto e delle accuse che sarebbero mosse a questi medici e quindi la necessità di avere un'informazione adeguata ed analitica da parte del Governo, l'Esecutivo debba venire - ribadiamo la nostra richiesta - a riferire in Aula (separatamente alla Camera e al Senato) sull'argomento, e non invece - così come sembrerebbe determinato - alle Commissioni riunite.

PRESIDENTE. Onorevole Borghesi, come lei ha già ricordato il Ministro competente verrà a riferire, come già predisposto, alle Commissioni Esteri riunite di Camera e Senato, tuttavia la sua richiesta naturalmente sarà rappresentata al Presidente della Camera.

Discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 5 marzo 2010, n. 29, recante interpretazione autentica di disposizioni del procedimento elettorale e relativa disciplina di attuazione (A.C. 3273) (ore 10,45).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Conversione Pag. 2in legge del decreto-legge 5 marzo 2010, n. 29, recante interpretazione autentica di disposizioni del procedimento elettorale e relativa disciplina di attuazione.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 3273)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari Partito Democratico e Italia dei Valori ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto altresì che la I Commissione (Affari costituzionali) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, onorevole Calderisi, ha facoltà di svolgere la relazione.

GIUSEPPE CALDERISI, Relatore. Signor Presidente, il decreto-legge reca l'interpretazione autentica di disposizioni del procedimento elettorale e la relativa disciplina di attuazione. Esso si è reso necessario - come è affermato nel preambolo - al fine di assicurare l'effettività dei diritti di elettorato attivo e passivo costituzionalmente tutelati a garanzia dei fondamentali valori di coesione sociale, presupposto di un sereno e pieno svolgimento delle competizioni elettorali. Il principio immanente a tutta la disciplina contenuta nel decreto-legge è il favor electionis, di cui agli articoli 1 e 48, della Costituzione, e la tutela della genuina espressione della sovranità popolare nel momento culminante della democrazia che è quello delle elezioni.
Tralascio per brevità e per ragioni di tempo di descrivere il contenuto del decreto-legge, lasciandolo alla relazione scritta. La I Commissione ha avviato l'esame del provvedimento in sede referente il 10 marzo scorso, dedicando ampio spazio e numerose sedute (ben undici) alla relativa discussione, con un'attenta ed approfondita disamina di tutte le questioni che attengono al rispetto del dettato costituzionale. Nel corso dell'esame, la I Commissione ha convenuto di non approvare alcuna modifica al testo del disegno di legge, anche dopo aver valutato i pareri espressi dal Comitato per la legislazione (con condizioni e osservazioni), dalla II Commissione (favorevole), e dalla Commissione parlamentare per le questioni regionali (favorevole con condizioni) sui quali riferirò in seguito. A conclusione dell'approfondito iter parlamentare, il 17 marzo scorso la I Commissione ha deliberato di riferire favorevolmente sul testo del provvedimento.
Il decreto-legge, come è noto, non ha trovato applicazione per i casi clamorosi - a mio avviso - di violazione delle regole vigenti che avevano costituito l'occasio legis.
Il caso di Milano, dove l'ufficio centrale regionale, dopo avere ammesso la lista regionale, il cosiddetto listino di Formigoni, aveva ammesso e accolto un ricorso contro la sua ammissione, laddove la legge già prevedeva che, in sede di ufficio regionale, sono ammissibili solo i ricorsi avverso l'esclusione di liste e candidati, e il caso di Roma, ampiamente noto e che tralascio di ricordare in questa sede, dove l'ufficio circoscrizionale si era rifiutato di ricevere e verbalizzare la lista del Popolo delle libertà della provincia di Roma, laddove le regole vigenti affermano che il cancelliere non può rifiutarsi di ricevere le liste di candidati, neppure se le ritenga irregolari o tardive. Infatti, il TAR di Milano ha deciso per l'ammissione della lista regionale di Formigoni sulla base della normativa vigente anteriormente al decreto-legge. Il TAR del Lazio e il Consiglio di Stato, nonostante il decreto-legge, non hanno ammesso la lista PdL alla provincia di Roma. Ciò non ha comunque impedito a Renata Polverini e alla coalizione di centrodestra di vincere le elezioni regionali nel Lazio. Non c'è quindi, come dire, un contenzioso politico relativo all'applicazione del decreto-legge. Il che dovrebbe consentire - almeno questo è il mio auspicio - un esame del provvedimento più sereno e disteso.
Il decreto-legge ha invece trovato applicazione in numerosi altri casi, a dimostrazione Pag. 3del suo carattere di astrattezza e generalità, in diverse regioni: Lombardia, Liguria, Lazio, Piemonte e anche Abruzzo e Calabria per quanto riguarda le elezioni amministrative come risulta dal documento informale redatto dagli uffici della Camera sulla base di informazioni acquisite per le vie brevi presso gli uffici di regioni, corti d'appello e prefetture, verificate anche nel sito della giustizia amministrativa e integrate con elementi forniti da fonti del Ministero dell'interno.
Per la precisione hanno trovato applicazione i commi 1, 2 e 4 dell'articolo 1, relativamente a cinque casi, in Lombardia e Liguria. Il comma 3 dell'articolo 1 ha trovato applicazione relativamente a quattro casi in Lazio e Piemonte. L'articolo 2 ha trovato applicazione relativamente a cinque casi nel Lazio, Lombardia e Liguria. Il decreto-legge ha trovato applicazione anche per le elezioni amministrative, in tre casi, in Calabria e Abruzzo.
Hanno pertanto trovato applicazione sia le disposizioni interpretative recate dai primi tre commi dell'articolo 1 del decreto-legge sia le disposizioni applicative relative alle sole elezioni regionali in corso alla data di entrata in vigore del decreto-legge recate dal comma 4 dell'articolo 1 e dall'articolo 2.
Ai fini dell'esame che l'Assemblea della Camera è chiamata oggi a svolgere, ritengo opportuno soffermare l'attenzione in particolare sulle disposizioni interpretative recate dai primi tre commi dell'articolo 1 cioè su quelle disposizioni che, una volta convertito in legge il decreto-legge, si applicheranno anche alle future procedure elettorali.
Tali disposizioni hanno comunque mostrato la loro utilità per fare chiarezza a fronte di interpretazioni controverse della normativa vigente prima del decreto-legge. Anzitutto ricordo il comma 3 dell'articolo 1 che, con il primo e terzo periodo, ribadisce ciò che è già previsto dalle norme vigenti ma che evidentemente non era molto chiaro ad alcuni uffici elettorali mentre con il secondo e il quarto periodo risolve un noto contrasto giurisprudenziale. Addirittura, vi è un'adunanza plenaria del Consiglio di Stato, in data 24 novembre 2005 n. 10, in base alla quale l'impugnazione degli atti endoprocedimentali concernenti l'ammissione di liste di candidati va proposta entro il termine di 30 giorni dalla data di proclamazione degli eletti, essendo esclusa la possibilità di impugnazione, prima della proclamazione, di tutti gli atti endoprocedimentali (quelli degli uffici elettorali). A fronte di questa adunanza plenaria autorevolissima ma non vincolante vi sono molti precedenti contrari di Consiglio di Stato e TAR che ritengono ammissibili i ricorsi di fronte a loro.
Anche il comma 2 dell'articolo 1 interviene su una questione notoriamente oggetto di un'ampia e variegata giurisprudenza laddove i vari uffici elettorali interpretano in modo difforme le condizioni necessarie per la validità dell'autenticazione. Le stesse identiche irregolarità a volte vengono ritenute tali da pregiudicare l'ammissione della lista, altre volte sono ritenute irregolarità non essenziali, altre volte ancora sono considerate irregolarità sanabili nella fase immediatamente successiva al deposito della lista.
Per quanto riguarda il comma 1 dell'articolo 1, esiste anche in questo caso un'ampia giurisprudenza in ordine alla questione del rispetto dei termini orari di presentazione delle liste. Numerose sentenze del Consiglio di Stato avvalorano il favor partecipationis: ad esempio quella della V sezione del 4 marzo 2002 n. 1271 secondo cui un minimo scostamento di orario giustificato da vari motivi di per sé non è motivo sufficiente a giustificare l'esclusione tenuto conto del principio di favore per la più ampia partecipazione alla competizione elettorale. Ma a fronte di tale giurisprudenza il comportamento dei diversi uffici elettorali è molto difforme.
Da qui l'esigenza di una disposizione interpretativa volta a chiarire come si deve considerare assolto il rispetto dei termini orari (la presenza entro i termini di legge nei locali del tribunale dice il decreto). Al riguardo, sottolineo che il comma 1 non dice affatto, come è stato erroneamente Pag. 4affermato da alcuni, che le liste sono ritenute validamente presentate quando i delegati incaricati della presentazione delle liste, muniti della prescritta documentazione, abbiano fatto ingresso nei locali del tribunale e pertanto non stabilisce affatto una nuova modalità di presentazione delle liste parallela ed ulteriore rispetto a quella attualmente in vigore.
Il comma 1 non cambia affatto il luogo dove devono essere presentate le liste, che rimane la cancelleria del tribunale. Pertanto, la disciplina interpretativa recata dal comma 1 dell'articolo 1 può trovare applicazione anche per le future consultazioni elettorali. Dico questo con riferimento alle condizioni espresse dal Comitato per la legislazione, che ha chiesto alla I Commissione di verificare «se la disciplina interpretativa dell'articolo 1, comma 1» (...) «sia suscettibile di trovare compiuta applicazione per le future competizioni elettorali, senza che siano specificati anche le modalità e i termini di deposito della documentazione, atteso che il termine di presentazione delle liste di cui al comma 4 opera con esclusivo riferimento alle sole attività relative alle elezioni regionali in corso di svolgimento alla data di entrata in vigore del presente decreto».
Indubbiamente è auspicabile che un'organica e complessiva revisione della disciplina relativa alla presentazione delle liste intervenga al più presto, perché quella vigente ha chiaramente mostrato i suoi limiti ed è una ragione ulteriore per la quale la I Commissione ha ritenuto di non modificare il testo del provvedimento. Il legislatore statale e quello regionale dovranno senz'altro porvi mano, ma, in attesa che ciò avvenga, le disposizioni interpretative recate dal decreto-legge, applicabili come abbiamo constatato anche alle elezioni amministrative, sono senz'altro utili, perché fanno chiarezza a fronte di interpretazioni controverse della normativa vigente prima del decreto. Esse non ledono affatto le competenze delle regioni di cui all'articolo 122, comma 1, della Costituzione. La materia oggetto del decreto, in particolare i primi tre commi dell'articolo 1, riguarda infatti competenze esclusive dello Stato: organi dello Stato, ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato, ordinamento civile e giustizia amministrativa sono infatti competenze statali in base alle lettere f), g) e l) del secondo comma dell'articolo 117 della Costituzione. Al riguardo è molto significativa la sentenza della Corte costituzionale n. 196 del 2003, che sottolinea l'improprietà della tecnica legislativa adottata da alcune regioni, che «operando il recepimento e poi la parziale sostituzione delle disposizioni della legge statale», la n. 108 del 1968, «dà vita ad una singolare legge regionale dal testo corrispondente a quello della legge statale, i cui contenuti peraltro non risultano sempre legittimamente assumibili dalla legge regionale, in quanto estranei alla sua competenza».
È questa la ragione per la quale la I Commissione ha ritenuto che non vi fosse la necessità di modificare il testo del disegno di legge, a fronte della condizione formulata dalla Commissione per le questioni regionali, che chiedeva di specificare che l'applicazione delle previsioni di cui ai commi 1 e 2 dell'articolo 1 del decreto-legge valesse nei soli casi in cui non fossero state emanate leggi elettorali in materia elettorale ovvero nei casi in cui le normative regionali emanate non regolassero le specifiche fattispecie contemplate dalle menzionate disposizioni. Non mi soffermo per ragioni di tempo sulle altre questioni che sono state sollevate in ordine al rispetto del dettato costituzionale: la I Commissione, come ho già sottolineato, ha svolto al riguardo un'attenta ed approfondita disamina, come emerge dai resoconti dei lavori, ai quali faccio direttamente rinvio.
In questa sede mi limito a ricordare che il Presidente della Repubblica, apponendo la propria firma al decreto-legge, ha tenuto a precisare, intervenendo sul sito del Quirinale in risposta alle lettere di due cittadini, che il decreto-legge, «non ha presentato a mio avviso evidenti vizi di incostituzionalità». L'affermazione del Presidente della Repubblica non va certamente confusa con il giudizio di costituzionalità che spetta alla Corte costituzionale, Pag. 5ma è comunque significativa. Napolitano infatti non avrebbe certamente firmato il decreto-legge se esso avesse presentato - come sostenuto dalle opposizioni nel clima della campagna elettorale - vizi di incostituzionalità non solo evidenti, ma addirittura evidentissimi, clamorosi, assoluti, se lo avesse ritenuto pericoloso sotto il profilo dell'ordinamento costituzionale, un precedente gravissimo sotto il profilo della violazione delle norme costituzionali, una grave alterazione della regolarità del procedimento elettorale, come è stato affermato da alcuni nel dibattito in Commissione.
Quanto all'ipotesi di non convertire in legge il decreto-legge in oggetto ma, come proposto in un emendamento dei colleghi dell'Unione di Centro, fare salvi gli effetti prodottisi ed i rapporti giuridici sorti sulla base del decreto-legge, voglio solo far presente quanto segue. Qualora la motivazione di tale emendamento fosse quella della presunta incostituzionalità del decreto-legge in discussione, tale incostituzionalità non risparmierebbe le disposizioni della sanatoria, come emerge dalle numerose sentenze della Corte costituzionale (la n. 89 del 1966, la n. 430 del 1997, la n. 14 del 1999 e la n. 378 del 2005).
In conclusione, per tutte le ragioni che ho esposto, non posso che auspicare la sollecita conversione in legge del decreto-legge 5 marzo 2010, n. 29.
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna di considerazioni integrative del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Calderisi, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire in sede di replica.
È iscritto a parlare l'onorevole Evangelisti. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, di fronte a questa vicenda, che più che essere giuridica ha assunto caratteri politici, è necessario soltanto dire una cosa: le elezioni sono state svolte e le avete vinte, pertanto, evitiamo di andare avanti con questo «pasticciaccio» brutto, perché di questo si tratta. Avete voluto un provvedimento che è stato del tutto inefficace, che non è servito a sanare la vicenda milanese, né quella laziale.
Questo non ha nuociuto alla maggioranza di Governo, quindi, evitatevi una brutta figura. Tuttavia, poiché così non è ed insistete con un provvedimento incostituzionale, facciamo riferimento agli spazi che la Costituzione ed i Regolamenti parlamentari ci offrono per ribadire, in questa sede, tutto il nostro dissenso, e lo facciamo non soltanto con argomentazioni politiche, ma anche con argomentazioni giuridiche.
Voglio ringraziare autorevoli esponenti del nostro Parlamento, autorevoli costituzionalisti, che mi danno l'occasione di far riferimento ai loro interventi e ai loro scritti per rilanciare qui alcune riflessioni. Mi riferisco, ad esempio, al contributo che alla nostra discussione è venuto da un collega, dall'onorevole Bressa, che ha affermato che ciò deve far riflettere è quanto è davvero sotteso al decreto-legge in oggetto, ossia la vostra visione di democrazia governante per la quale la Costituzione sarebbe solo una sopravvivenza di tempi passati.
Infatti, nella vostra concezione di democrazia governante, la volontà popolare deve potersi esprimere con assoluta immediatezza e non può essere imbrigliata dalle norme costituzionali. Per voi, quindi, la regola scompare: la democrazia governante vi porta al postulato che la regola vale per la sua origine e non per la sua forma. Tutto si può e si deve piegare alla volontà e all'interesse della maggioranza: questa è la nuova ed unica regola che volete imporre.
Ciò che conta per voi non è il rispetto delle procedure, ma chi decide, e a decidere è sempre e soltanto Berlusconi, il quale non è disposto ad accettare alcun limite. Invece, la cultura del mondo occidentale - ricordata dal collega Bressa - da Rousseau a Freud, da «Il contratto sociale» a «Totem e tabù», ha dimostrato Pag. 6che la nostra società è consapevole di essere fondata sulla costruzione e sull'accettazione dei limiti alla libertà naturale. La civiltà produce disagio proprio perché richiede rinunce. La nostra Costituzione è un esempio straordinario del valore fondante del costituzionalismo contemporaneo, quello che fa riferimento alla cultura del limite.
Insieme al collega Bressa, un altro collega, ex senatore ed esimio costituzionalista, è intervenuto sulla vicenda. Faccio riferimento allo scritto di Massimo Villone, il quale scrisse: «Alla fine il misfatto si compie. Il Governo, con decreto-legge, modifica le regole in corsa e stravolge la competizione elettorale (...). Questo, infatti, è accaduto. È del tutto inconsistente lo schermo di una norma che si autodefinisce interpretativa. Anzitutto, a nulla vale argomentare che la decisione è lasciata ai giudici. Il problema non è chi deciderà applicando la norma, ma quale norma si dovrà applicare. Perché la norma sia davvero interpretativa, bisogna sempre supporre che, in una medesima disposizione preesistente, in realtà, convivano più potenzialità normative. E che il legislatore scelga, tra i possibili e molteplici significati, uno compiutamente già presente. Non a caso, una norma interpretativa viene a valle di contrasti giurisprudenziali, di dubbi applicativi, di incertezze evidenziate dall'esperienza». Mentre nulla di questo è alla base dei pasticci delle ultime settimane e del decreto-legge in oggetto. Egli continua: «Tutti assumono che vi sia stato pressappochismo da parte dei presentatori, o peggio. E allora, cosa dobbiamo mai interpretare? Emerge anche un dubbio sulla sussistenza dei presupposti di necessità e di urgenza, ex articolo 77 della Costituzione». Il provvedimento è stato emanato durante il procedimento elettorale, sono state assunte decisioni, sono stati impugnati atti davanti ai giudici competenti, sette livelli di giudizio amministrativo e civile hanno respinto ogni possibile correzione: nessuno ha potuto sapere se sia stata adottata un'interpretazione oppure un'altra.
Egli prosegue: «E allora, dov'è la necessità e l'urgenza di definire ex lege l'interpretazione corretta? Non è invece che si anticipa la certezza di una interpretazione sfavorevole? Ma in tal caso abbiamo un indizio evidente che non si tratta di norma interpretativa volta a chiarire, ma di norma nuova e modificativa di quella esistente. E non si fermano qui le forzature e le violazioni della Costituzione. Anzitutto, in materia costituzionale ed elettorale il decreto-legge è precluso. Lo stabilisce l'articolo 72, quarto comma, della Costituzione. È già dubbio che con un decreto-legge si possa mettere mano a marginali tecnicalità della competizione elettorale. Ma di sicuro non si può ricorrere al decreto per fissare l'interpretazione delle regole sulla presentazione delle liste. In nessun modo questa può considerarsi una marginale tecnicalità. Inevitabilmente, si è inciso sul voto e questo, senza dubbio, preclude la possibilità di un ricorso al decreto. Dunque, la stessa definizione che il Governo da del proprio intervento in chiave di norma interpretativa, evidenzia di per sé il contrasto con l'articolo 72, quarto comma, della Costituzione. Decisivo è poi che in materia elettorale la forma è sostanza. Il principio di fondo della competizione elettorale, infatti, è la par condicio delle forze in campo. E il primo indispensabile presupposto perché tale par condicio vi sia è il rispetto assoluto delle regole. Cambiarle in corsa comporta inevitabilmente un vantaggio indebito per l'uno e un danno ingiusto per l'altro. E di sicuro incide - poco o molto non importa - sull'esito».
Egli prosegue, parlando di violazione di molteplici norme della Costituzione: «non solo, come è ovvio, degli articoli 2 e 3, ma soprattutto dell'articolo 48 della Costituzione, perché il voto dell'elettore è davvero eguale solo se l'offerta politica, in ordine alla quale il diritto si esercita, è stata avanzata nel pieno rispetto della par condicio. Ed anche l'articolo 51 della Costituzione, perché viene distorta la condizione di parità nell'accesso alla carica elettiva da parte dei candidati. Ancor più l'articolo 49, poiché si nega il diritto dei Pag. 7cittadini a partecipare "con metodo democratico" alla politica nazionale. Proprio in quel metodo troviamo un connotato indispensabile della partecipazione. Ed è per realizzare, innanzitutto, il fine ultimo dell'articolo 49 che si presentano liste e si compete per il consenso. Ma dov'è il metodo democratico, se si usa la clava del decreto-legge per ribattere la palla nell'altra metà del campo? Cosa c'è di democratico se si ricorre alla forza della legge per cambiare le regole a proprio vantaggio, per cancellare gli effetti negativi dei propri errori politici e della propria incapacità di sedare la rissa all'interno di una forza politica, nella formazione delle liste, e di presentarle secondo i tempi previsti dalla legge?»
Egli prosegue, dunque: «Un segnale drammaticamente negativo (...). Tuttavia, per un costituzionalista conta ancor di più la prova - e non è certo la prima - che cede» sta per cedere e si è cercato di far cedere «uno dei pilastri della Costituzione come armatura dei diritti e delle libertà. Non a caso nella Parte I della Costituzione è centrale la riserva di legge. Non a caso troviamo diritti e libertà presidiati da quella riserva. La regione la vediamo nella legge come massima espressione di partecipazione democratica. Ma nella confusione politica e istituzionale del nostro tempo e nel bipolarismo» che si è andato sempre più manifestando «con la gruccia del maggioritario in cui viviamo, la legge esprime i numeri, ma non la sostanza di una partecipazione democratica. Nella legge non ci siamo tutti, ma solo quelli che hanno i numeri utili all'assemblea elettiva, magari per consenso gonfiato da un premio di maggioranza. Ancor più, quando si tratta di decreti-legge. Pensavamo di aver toccato il fondo con escort, cacicchi, amici, mogli e segretari particolari in corsa per un seggio. Non sapevamo ancora degli spuntini. Come anche avevamo già sentito di leggi-truffa» in materia elettorale fin dal 1953, «da oggi abbiamo anche il decreto-truffa»: ed è quello che oggi è alla nostra attenzione, ossia l'atto Camera n. 3273, concernente la conversione in legge del decreto-legge 5 marzo 2010, n. 29, recante interpretazione autentica di disposizioni del procedimento elettorale e relativa disciplina di attuazione. Noi non ravvisiamo corrispondenza tra il titolo del decreto-legge e il suo contenuto, il quale, in nessun modo, può essere accolto come interpretativo, configurandosi invece come un abuso della funzione di interpretazione autentica.
Si tratta di una constatazione confortata dalla giurisprudenza costituzionale assai consolidata in materia, che riconosce «carattere interpretativo soltanto ad una legge che, fermo il tenore testuale della norma interpretata, ne chiarisce il significato normativo ovvero privilegia una tra le tante interpretazioni possibili, di guisa che il contenuto precettivo è espresso dalla coesistenza delle due norme (quella precedente e l'altra successiva che ne esplicita il significato) le quali rimangono entrambe in vigore e sono quindi anche idonee ad essere modificate separatamente.» È una sentenza della Corte costituzionale, la n. 155 del 1990.
L'articolo 9 della legge 108 del 1968 dispone, altresì, che «le liste dei candidati per ogni collegio devono essere presentate alla cancelleria del tribunale di cui al primo comma dell'articolo precedente dalle ore 8 del trentesimo giorno alle ore 12 del ventinovesimo giorno antecedenti quelli della votazione.». La disposizione risulta ben chiara, univoca e immediatamente individuabile; non vi era, quindi, e non vi era mai stato nei quarant'anni di vigenza di questa norma contrasto giurisprudenziale sulla sua interpretazione.
Il comma 1 dell'articolo 1 del decreto-legge oggi al nostro esame, invece, dispone l'interpretazione del comma sopraindicato nel senso che il rispetto dei termini orari di presentazione delle liste si considera assolto quando entro gli stessi i delegati incaricati della presentazione delle liste, muniti della prescritta documentazione, abbiano fatto ingresso nei locali del tribunale. La presenza entro il termine di legge nei locali del tribunale dei delegati può essere provata con ogni mezzo idoneo: quale, lo scontrino di ricevuta del panino acquistato dall'onorevole Milioni? Pag. 8
Non vi è dubbio sulla portata innovativa della norma, in quanto modifica - estendendoli - i requisiti per ritenere assolti gli oneri di presentazione della lista, ritenendo sufficiente l'ingresso nei locali del tribunale, anziché la previgente presentazione della lista alla cancelleria del tribunale stesso, con ciò confortati ancora dalla giurisprudenza costituzionale, illegittimamente disponendo peraltro che quello era il significato della suindicata norma preesistente (sempre la sentenza che ho citato, la n. 155 del 1990) e comprovando la falsità dei presupposti dai quali muove il decreto-legge in titolo.
Siffatte considerazioni acquisiscono grave e maggior peso con riguardo al comma 4 dell'articolo 1 di questo decreto-legge, il quale, come si evince dal titolo del provvedimento, dispone in maniera retroattiva in conseguenza della presunta interpretazione autentica, con ciò introducendo un grave vulnus in tema di limiti all'emanazione di leggi con efficacia retroattiva da parte del legislatore, limiti ben individuati dalla Corte costituzionale in una sentenza, la n. 170 del 2008, e che ineriscono, tra gli altri, alla salvaguardia di fondamentali valori di civiltà giuridica posti a tutela dei destinatari della norma e dello stesso ordinamento, tra i quali vanno ricompresi il rispetto dei principi generali di ragionevolezza e uguaglianza.
Nel caso specifico l'efficacia retroattiva della disposizione introduce un principio di disuguaglianza, invece, in quanto determina un trattamento differenziato e privilegiato, ad avviso nostro, che avvantaggia per gli errori compiuti solo determinati e specifici delegati alla presentazione di liste elettorali, con ciò comportando una pesante lesione della parità di trattamento e delle condizioni di uguaglianza - fondamentali sempre e non solo quando si tratta di competizioni elettorali - e violando dunque il dettato degli articoli 2 e 3 della Costituzione e in uno con la violazione degli articoli 48 e 49 della stessa Costituzione.
Riteniamo, pertanto, che vi sia un interesse preminente dell'ordinamento a che le regole elettorali siano assolutamente certe; per questo motivo non è possibile tener conto delle situazioni contingenti e particolari che si verificano quando è in corso il relativo procedimento, in particolare quando è manifesto il rischio di gettare nella precarietà il medesimo risultato elettorale a causa dei vizi che potrebbero essere fatti valere davanti alla Corte costituzionale.
Il decreto-legge che oggi discutiamo è intervenuto nel corso di un procedimento pendente davanti agli organi di garanzia - qual era appunto in quel caso l'ufficio elettorale - per censurare e tentare di modificare una decisione già presa da quest'ultimo e per condizionare e vincolare nella successiva fase di impugnazione la decisione dell'organo giurisdizionale. Si è trattato di un comportamento inaccettabile, illegittimo e volto a creare un precedente molto pericoloso, in base al quale la maggioranza e il Governo, intervenendo con decreti-legge assertivamente interpretativi, in presenza di decisioni o orientamenti sgraditi, potrebbero condizionare le decisioni degli organi di garanzia e degli organi giurisdizionali, magari tra un grado e l'altro del procedimento, alterando in tal modo lo svolgimento e l'esito delle competizioni elettorali, in questo caso, ma di qualunque affare giudiziario in atto.
Ciò è in contrasto con il principio di divisione dei poteri, per il quale l'interpretazione delle leggi spetta alla giurisdizione, esercitata dalla magistratura o dagli organismi di garanzia precostituiti per legge, e sfugge, invece, al potere esecutivo, specie nei casi in cui esso abbia interesse politico diretto all'esito della vicenda in esame.
A nostro avviso questo decreto-legge ha contrastato e contrasta, comunque, con la Costituzione, pur in costanza di utilizzo, perché il ricorso allo strumento del decreto-legge nella materia elettorale - l'ho già detto, ma lo ripeto e insisto - per ciò che vi attiene, con riguardo alla sua idoneità, risulta lesivo del dettato dell'articolo 72 della Costituzione, comma 4, e delle disposizioni dell'articolo 15 della legge n. 400 del 1988. Il decreto-legge in titolo Pag. 9contrasta, di fatto, anche con l'articolo 122 della Costituzione, che organizza il sistema di elezione regionale. È indubbia, ineccepibile e inderogabile la potestà legislativa delle regioni - di ciascuna regione - in materia elettorale, essendo riferita alla legge della Repubblica la sola determinazione dei principi fondamentali, che non è possibile ravvisare nella determinazione di specifici termini orari di presentazione delle liste (principi fondamentali). Lo stesso dicasi per le modalità di ingresso nel tribunale o per le forme di autenticazione e leggibilità di firme e timbri.
Infine, per noi non sono mai sussistiti, a pena di anacronismo, i requisiti di necessità e di urgenza nell'evenienza straordinaria di cui all'articolo 77 della Costituzione, che soli avrebbero potuto giustificare l'adozione, da parte del Governo e sotto la sua responsabilità, di provvedimenti provvisori con forza di legge. La necessità e l'urgenza risultano sempre escluse sulla base di un giudizio consequenziale, posto che deve ritenersi indisponibile la materia elettorale quando la competizione è già iniziata e, ancor di più, quando fossero pendenti, come nel caso specifico, procedimenti giudiziari correttamente avviati sulla base delle discipline vigenti e si sia inciso, invece, pregiudicandolo e compromettendolo, sul diritto di azione e di rivalsa di cui all'articolo 24 della Costituzione.
Quindi, il decreto-legge che stiamo discutendo oggi è affetto da tali vizi di incostituzionalità che sono, a nostro avviso, chiaramente e immediatamente evidenti. Esso appare, in ordine di tempo, solo l'ultimo episodio delle persistenti torsioni a cui il Governo sottopone, a nostro giudizio, l'intero sistema democratico, facendo e perseverando nel fare ciò che la Costituzione gli vieta e, con ciò, svuotando le istituzioni e inficiando le regole democratiche.
Intervenendo in quest'Aula il collega Favia, del gruppo dell'Italia dei Valori, durante la presentazione della nostra pregiudiziale di costituzionalità, ha voluto ricordare come questa vostra norma, al solito, non abbia i requisiti di necessità e urgenza. È una norma scandalosa ed è scandaloso, in particolare, l'articolo 1, comma 2, del provvedimento in esame, dove fate giustizia dei requisiti di forma che in questa materia, come in tantissime altre - e si pensi al diritto civile e al passaggio di proprietà, in cui necessita il sigillo del notaio -, sono da considerare a pena di nullità dell'atto. Voi, invece, addirittura affermate che non importa se non è presente il timbro, se questo non è leggibile o se non si capisce il ruolo dell'autenticatore. Ma quale certezza del diritto potete garantire con questa normativa?
Consentitemi di ripetere quello che appunto ha affermato l'onorevole Favia, nel dire che tra il favor electionis e il rispetto delle regole, ove fate intendere che il primo sia più importante, ci schieriamo, invece, per il rispetto delle regole, perché ciò viene prima di tutto. Certo, favorire il libero dibattito, la libera campagna elettorale e il libero confronto del voto è quello che ci sta più a cuore, ma è quello che avete impedito, ad esempio bloccando i talk-show televisivi. Questa è una mancanza assoluta di rispetto delle regole che noi - lo ripetiamo - mettiamo, invece, davanti ad ogni altra cosa.
Questa vostra normativa è altresì incostituzionale per vari motivi. Ricordo di nuovo il riferimento all'articolo 72 della Costituzione che, appunto, prevede che non vi possano essere decreti-legge in materia elettorale. Ma quelli che vi sono trattano solo elementi secondari, elementi di formalismo irrilevante, elementi organizzativi delle elezioni (possiamo così definirli). Invece, mai vi era stato un decreto-legge che è entrato così in profondità nella materia elettorale. Un'altra violazione - quella che è stata definita incidenter tantum - è stata fatta presente dalla giustizia amministrativa.
Si tratta della violazione della riserva dei poteri assoluti delle regioni (che ho già ricordato): ove vi siano normative elettorali regionali sono queste le disposizioni che governano la materia e in nessun modo il Governo può intervenire. Pag. 10
Invece, voi avete avuto la pretesa di intervenire anche laddove vi era una precisa regolamentazione regionale della materia e questo è un altro degli infiniti motivi per cui abbiamo denunciato l'incostituzionalità di questo decreto-legge.
Concludo, signor Presidente, affermando che certo potrebbe essere accettabile la proposta di modificare la normativa elettorale e non saremo certo noi a sottrarci ad una proposta di riforma, ma tuttavia ribadiamo che non è assolutamente possibile che ciò possa essere fatto quando quell'atto complesso che è il procedimento elettorale è iniziato e in corso.
È inconcepibile intervenire per modificare le regole del gioco quando la partita è iniziata. Questo voi avete fatto con questo decreto-legge e per questo ci opponiamo risolutamente al varo e alla conversione in legge di questo provvedimento (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tassone. Ne ha facoltà.

MARIO TASSONE. Signor Presidente, intanto ritengo, così come ho fatto nel corso dei lavori della Commissione, di dover esprimere il mio ringraziamento e apprezzamento al chiarissimo presidente della stessa e di formulare un ringraziamento anche al relatore.
Difendere posizioni a volte caratterizzate da grande friabilità e precarietà è un atto di grande impegno, di grande slancio, di grande coraggio e per alcuni versi anche di grande temerarietà e non c'è dubbio che questo è stato fatto con l'approfondimento, con compostezza ed esprimendo posizioni e tesi, ma (ahimé!) queste non ci hanno convinto, non ci vedono concordi, e non abbiamo un giudizio positivo nei confronti di questo provvedimento d'urgenza.
Per dire la verità, se risolvessimo e traducessimo questo nostro impegno nella discussione ad una valutazione semplicemente tecnica del provvedimento, ritengo avremmo fatto un percorso, ma non per intero. Il dato che abbiamo oggi sotto i nostri occhi, quindi alla nostra attenzione e al nostro esame, è un dato soprattutto di carattere costituzionale e politico.
Non c'è dubbio che deve essere questo il tema e che esso poi è tanto politico, signor Presidente, che soltanto una parte della maggioranza difende questo provvedimento, visto e considerato che nella discussione generale è iscritto a parlare tutto il gruppo dell'Italia dei Valori, il sottoscritto come UdC, il PD, due colleghi soli del PdL, ma non appare, in questo lunghissimo elenco della discussione generale, la presenza della Lega Nord.
Certamente essa è rappresentata, come Governo, dal sottosegretario agli interni, ma ritengo che per la distribuzione, differenziazione ed autonomia dei ruoli tra esecutivo e legislativo il sottosegretario agli interni in questo momento non rappresenti una posizione di gruppo, ma il Governo, dai suoi banchi.
Detto questo, signor Presidente, non c'è dubbio che il provvedimento che stiamo trattando abbia avuto una serie di valutazioni e che si sia sviluppato un dibattito molto forte e acceso intorno ad esso. Abbiamo detto subito che un provvedimento d'urgenza non era utile, ma lo aveva detto anche il Ministro degli interni. Allora capiamo in questo senso perché ovviamente la Lega non è presente al dibattito.
Il Ministro dell'interno aveva detto subito: «Nessuno pensi che il Governo possa intervenire». Poi il Ministro dell'interno, il signor sottosegretario Davico, è stato smentito dalle vicende e dai fatti, da nessuno in particolare (per carità non vorrei personalizzare una vicenda alquanto delicata e difficile). Ma non c'è dubbio che il Ministro dell'interno un po' si è dovuto arrendere ad un interesse e ad una ragione superiori, ad una coalizione. Tuttavia, ovviamente né in Commissione, né in Aula abbiamo avuto lo slancio appassionato della Lega per difendere un provvedimento che obiettivamente è indifendibile.
Qualcuno potrebbe dire con molta chiarezza - lo hanno detto anche gli amici che mi hanno preceduto, in particolare l'onorevole Evangelisti - che le consultazioni Pag. 11si sono consumate, ovviamente nel Lazio e nella Lombardia, le due regioni per le quali il Governo aveva inteso assumere questo provvedimento d'urgenza, e che quindi cadrebbe anche la ragion d'essere di questo provvedimento d'urgenza. Noi lo avevamo detto anche prima, per dire la verità, nel corso dei lavori della Commissione, richiamati ampiamente dallo stesso relatore, quando abbiamo sollecitato il gruppo di maggioranza relativa del Parlamento e, quindi, della Commissione a ritirare questo provvedimento, per una serie di interrogativi che si ponevano molto forti sul terreno della costituzionalità, dell'opportunità, della politica e anche - se vogliamo dirlo - del buon gusto.
Non si possono - è stato ripetuto più volte - cambiare le regole in corso di partita. Non è possibile, anche perché - senza scomodare i grandi principi consacrati nella Carta costituzionale - è un vulnus molto forte nei confronti delle istituzioni. Noi pensavamo che, se c'è questa volontà di percorrere una via verso le riforme costituzionali, questo provvedimento dovesse essere tolto di mezzo per alleggerire il peso di un dibattito e di un confronto politico che su questo tema si fa sempre più pesante e si aggroviglia di più.
È evidente che si è consumata una storia che pensavamo potesse essere certamente evitata, che va a salvaguardare più interessi particolari di parte e di fazione rispetto agli interessi generali che riguardano i principi e le regole che dovrebbero presiedere alla convivenza civile, alla vita politica, alla vita delle istituzioni del nostro Paese. È un terreno che ci porta ad una prefigurazione di una visione delle istituzioni che assumono sempre più una polarizzazione personale rispetto a quello che dovrebbe essere invece un patrimonio verso la collettività e il Paese nel suo complesso.
La polarizzazione personale certamente trova i limiti di questo sistema politico bipolare all'interno del nostro Paese, che blocca ogni cosa e in cui appare, sopravanza ed è predominante la figura dei capi carismatici, ma sono predominanti non gli interessi delle parti o degli schieramenti politici come al servizio delle storie e soprattutto degli interessi del Paese, quanto gli interessi particolari e soprattutto personali che si interpretano e si identificano con schieramenti che diventano sempre più gestione di potere.
Quindi, troviamo un provvedimento d'urgenza che va a salvaguardare gli interessi generali nel momento in cui si abbattono le regole e si inficiano alcuni principi garantiti dalla Costituzione, come il richiamato articolo 72 della Costituzione e, quindi, anche una legge ordinaria, l'articolo 15, comma 2, lettera b), della legge 23 agosto 1988, la «famosa» n. 400.
Che cosa si inficia in tutto questo, signor Presidente? Io ritengo senza dubbio che c'è un vulnus, come dicevo poc'anzi, nei confronti delle istituzioni e tutto questo ovviamente sempre più mortifica la politica, soprattutto modifica i principi e le certezze: le istituzioni sono sempre più un appannaggio privatistico. Il vulnus delle regole significa questo, aver modificato le regole significa questo, con gli effetti devastanti verso l'esterno.
Ho fatto riferimento all'articolo 72, ma possiamo fare riferimento anche all'articolo 3 che riguarda l'uguaglianza dei cittadini consacrata dalla Costituzione. Quando si dice che si possono superare tutti i problemi riguardo alla presenza delle delegazioni dei partiti e si afferma che questa presenza non deve essere nell'ufficio elettorale ma soltanto nell'ambito degli uffici del tribunale, non c'è dubbio che questo non basta a dimostrare che questa delegazione sia andata negli uffici del tribunale, perché non si dimostra che si trovava nell'ufficio elettorale. Altro sarebbe se la persona avesse chiesto di presentare la lista e le fosse stato dato un turno di attesa. Uno può essere negli uffici giudiziari in qualsiasi parte, nel bar, nell'atrio. Voi capite che questo va a toccare un principio di uguaglianza. Allora rivolgo una domanda, anche a me stesso: quante persone o quante forze politiche, visto e considerato che c'era questo limite della presenza all'interno dell'ufficio elettorale, non sapendo dell'innovazione del decreto-legge, si sono astenute dal presentare le Pag. 12liste perché non ce la facevano? Se avessero saputo invece che c'era questo allargamento e che l'ufficio giudiziario era ampiamente interpretato con un'elasticità enorme, avrebbero potuto presentare le liste, visto e considerato che avevano qualche difficoltà nella presentazione.
Lo stesso vale anche per la certificazione delle firme, anche qui nel provvedimento c'è troppa elasticità. Non è un'interpretazione, è una innovazione, una profonda innovazione perché non è un provvedimento interpretativo, è un provvedimento che innova in corso d'opera. Questo è il dato grave con profili di incostituzionalità, ma certamente è anche un affronto all'opportunità, al pudore che un Paese nelle sue responsabilità dovrebbe avvertire profondamente. Lo dico con estrema chiarezza, perché non c'è dubbio che ci sono dei principi che devono essere garantiti. Che cosa significa ripetere ancora una volta che il favor electionis deve essere preminente rispetto alla formalità non essenziale? Perché ripetere sempre queste cose? Anche in Commissione ho chiesto di mantenere sempre il diritto sostanziale e abbiamo sempre detto che il diritto formale è strutturato ed è funzionale all'osservanza delle norme e dei principi del diritto sostanziale; i principi sono certamente quelli contenuti nel diritto sostanziale, ma sono salvaguardati anche con il diritto formale.
Pertanto, questa rivendicazione e soprattutto questa evocazione continua del favor electionis certamente non mi trova d'accordo, perché così concependo questo principio, se dovesse essere prevalente e quindi assorbente, anche le formalità di rito che sono poste dalla pubblica amministrazione rispetto al favor del cittadino, o delle elezioni in questo caso, dovrebbero essere abolite o rimosse.
Ma che ragionamento è questo? Le regole e le condizioni per la presentazione delle liste non costituiscono profili dal carattere flessibile e sono volte a rendere uguale tutto il corpo elettorale: se, quindi, mancano uno o più elementi, è evidente che non possa essere rivendicato il diritto di elettorato.
In merito alla vicenda riguardante la regione Lazio, signor Presidente, come lei sa e come sanno anche i colleghi e il sottosegretario di Stato per l'interno, il mio partito faceva parte della coalizione della presidente Polverini, che poi, fortunatamente, ha vinto. Noi, però, non abbiamo mai fatto un problema di schieramento o un problema utilitaristico. A prevalere rispetto agli interessi di bottega, infatti, sono i principi e la credibilità delle istituzioni rispetto al Paese. La flessibilità, in queste circostanze, rischia di essere tradotta in «bagattella» e certamente le bagattelle da osteria non vanno da nessuna parte.
Pertanto, anche il discorso estremamente impegnativo del relatore, ovviamente, si infrange rispetto alle minuzie e alle piccole situazioni e quisquilie. È come se un candidato a un concorso presentasse una domanda incompleta e poi per quel candidato, una volta bandito il concorso, si approvasse un decreto di sanatoria. Vi sembra giusto questo? Se noi compiamo un ragionamento giuridico, tutto ci porta a questo risultato: se, quindi, un candidato ad un concorso sbaglia una firma o un documento e gli viene sottratto il diritto a partecipare al concorso, emaniamo un altro decreto-legge? Questo è il ragionamento che dovremmo seguire. Ecco perché non capisco per quale motivo il Governo si «impicchi» ancora per questo provvedimento, che è una negazione non soltanto di un principio, ma anche di una storia giuridica e, soprattutto, rappresenta una violazione di tutti i fermenti che hanno animato la dottrina giuridica all'interno del nostro Paese.
Vi è certamente un ragionamento da compiere rispetto ai commenti che noi svolgiamo. Si dice che non si tratta di innovazione, ma semplicemente di un provvedimento interpretativo: il ricorso immediato al giudice amministrativo e quello contro l'ufficio centrale regionale non innovano rispetto ai precedenti.
Quanto stabilito dall'articolo 2 (ossia che l'affissione del manifesto recante le liste e le candidature ammesse deve avvenire, a cura dei sindaci, non oltre il sesto Pag. 13giorno antecedente la data della votazione, limitatamente alle consultazioni per il rinnovo degli organi delle regioni a statuto ordinario fissate per il 28 e 29 marzo 2010), non costituisce un'innovazione? Allora per ogni elezione, una volta avviate le procedure e, soprattutto, avviati tutti i meccanismi elettorali, noi approviamo un decreto-legge concernente i ricorsi, i manifesti, la documentazione, le firme, i bolli e la presenza nell'ufficio elettorale. Ritengo che si tratti di dati e di aspetti che dovrebbero essere considerati con grande attenzione e, soprattutto, con grande responsabilità.
Si tratta di un problema della minoranza o dell'opposizione? Non credo che si tratti di un problema dell'opposizione: noi ci siamo iscritti in pochi per la discussione sulle linee generali. Non crediamo che questo aspetto debba essere amplificato: ritenevamo, infatti, che una maggiore considerazione potesse essere prevalente rispetto ad altre valutazioni a caldo che sono state compiute sulle vicende che hanno mosso e innescato il provvedimento in esame. L'ho detto parecchie volte: si tratta di un meccanismo valido soltanto per le fazioni.
Infatti, se vi fosse stato, ad esempio, un problema per la lista del mio partito, dell'UdC - non dico della Lega, che si sarebbe fatta valere diversamente, come si sta facendo valere anche in queste ore e in questi giorni, avendo gli strumenti e anche i mezzi di deterrenza all'interno della coalizione di maggioranza, di cui noi non facciamo parte - mi deve rispondere, con l'onore che ha, il sottosegretario Davico: il Governo avrebbe avvertito la stessa sensibilità adottando un provvedimento d'urgenza? Avrebbe avvertito questa sensibilità per un partito dell'opposizione? Allora è un principio riconosciuto, un valore forte da difendere e da garantire da parte del Governo e della maggioranza o è un interesse della fazione, che prevale sui principi e sull'esperienza giuridica di questo nostro Paese?
Signor Presidente, non avrei nulla da aggiungere, se non una mia considerazione di carattere esclusivamente personale (lo anticipavo poco fa al presidente della Commissione affari costituzionali): noi facciamo le valutazioni che abbiamo visto sugli articoli 117 e 118 della Costituzione in materia elettorale e sul ruolo delle regioni. Ritengo che questi articoli debbano essere rivisti, perché si parla di riforma costituzionale e di federalismo. Dobbiamo metterci d'accordo sul federalismo, lo dico anche ai colleghi del Partito Democratico che, con attenzione, si impegnano su questi temi con molta forza.
Vi è stato il problema delle regioni, del sistema elettorale regionale nelle regioni che hanno approvato lo statuto e in quelle che non lo hanno approvato, del numero dei consiglieri regionali. Questi sono temi che riguardano ovviamente il ruolo e la funzione delle regioni.
Al di là della moda corrente, io non sono ossessionato dal regionalismo a tutti i livelli, per ogni latitudine e così via; sono prudente, perché bisogna capire se siamo in presenza di una confederazione. Se così è, invece di fare le regioni, trasformiamole in Stati. È un'altra cosa. Dove c'è la potestà legislativa, è giusto che ogni Stato faccia la propria legge elettorale, però dobbiamo capire come tutto questo si connette con il Senato federale: andiamo verso i Länder, verso i Cantoni svizzeri, verso l'autonomia della Scozia? Credo che questo sia il nodo e l'equivoco di fondo.
Stiamo girando continuamente intorno a questo federalismo, ma questo è il nodo di fondo! Altro che un provvedimento d'urgenza sull'interpretazione autentica di alcune norme procedurali per le elezioni; questo è il problema di fondo: la natura del federalismo.
Se vi è una natura forte e individuata da parte di qualcuno, lo si dica chiaramente, senza andare per pezzetti e bocconi. Con l'«espropriazione» del ruolo del Parlamento (brutta parola, meglio parlare di una dislocazione dei poteri verso i territori) ricomponiamo questo Stato sui principi confederali, dove vi sono Stati, con una posizione antiunitaria, e quindi rifacciamo la storia, facendo finta che il Piemonte non vi è stato, rispetto a quelle Pag. 14che possono essere alcune interpretazioni di occupazione del nostro Paese da parte delle truppe piemontesi.
Su questo non sono d'accordo, però vorrei che si dicesse chiaramente qual è il senso del dibattito politico all'interno del nostro Paese in questo particolare momento. Ripeto, ho posto tali questioni, signor Presidente, perché, come ricordavo, vi sono anche due vicende di leggi regionali per quanto riguarda il Lazio.
Ma vi è anche l'interesse di capire se questo dibattito, che c'è, può andare in porto. Chi siede da qualche tempo nell'Aula di Montecitorio ricorda le vecchie Commissioni (io ricordo dalla Commissione Bozzi in poi), dove ci si è cimentati per introdurre le riforme costituzionali. Credo che non si sia andati molto lontani, anche per le vicende che hanno riguardato poi alcuni referendum confermativi e quant'altro; nel 2005, lo ricordo, avevamo intrapreso un percorso che ritengo importante.
Concludo, signor Presidente. Il mio gruppo parlamentare non è che è d'accordo o non è d'accordo: è veramente preoccupato. Non si tratta in questo caso di svolgere la dichiarazione di voto, che per il nostro gruppo svolgerà l'onorevole Mantini: non si tratta di dire se si è d'accordo o non d'accordo, perché, come ricorderà l'onorevole Calderisi, nel corso dei lavori svolti in sede di Giunta per il Regolamento, dove siamo stati impegnati in una lunga stagione che ha portato all'ultima riforma del nostro Regolamento, alcuni principi li avevamo anche affermati. Lo dico all'onorevole Calderisi: se si rivendica il favor electionis, si ha un favore del deputato; allora anche il Regolamento, che è fatto di procedure, di tempi, di minuti e di secondi, non avrebbe nessun significato, e soprattutto nessuna storia. Vorrei richiamare l'attenzione su ciò. È questo il punto, il nucleo: che cosa significa favor? Il favor non è un istituto da dividere, o da spezzettare per fare delle strisce: è una visione complessiva ed unitaria, che dobbiamo tenere presente.
Per tale motivo, a nostro avviso, il provvedimento in esame innesca quesiti ed interrogativi che pongono anche l'obiettivo delle riforme: un obiettivo molto spostato in avanti, forse un obiettivo che si sta vanificando rispetto a tentativi non riusciti di creare un clima di confronto e di convergenza, che su tale materia dovrebbe essere garantito (Applausi dei deputati dei gruppi Unione di Centro, Partito Democratico e Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Vassallo. Ne ha facoltà.

SALVATORE VASSALLO. Signor Presidente, discutiamo oggi di un decreto-legge nato male, che ha già sostanzialmente dato quanto poteva sul piano giuridico, cioè poco, agli stessi fini per i quali era stato emanato; e sarebbe a questo punto un bene, anche per un Governo minimamente responsabile, che almeno il suo contenuto più controverso non rimanesse in vigore, evitando così di inquinare in maniera permanente la legislazione. E sarebbe grave che ciò avvenisse in una materia così delicata e potenzialmente generatrice di contenzioso, come il caso in questione peraltro dimostra, qual è quella del procedimento elettorale.
È chiaro, proprio sulla base dell'esperienza delle scorse settimane, degli scorsi mesi, del caso che ha generato e che ha spinto il Governo ad emanare il decreto-legge, che le norme sul procedimento elettorale dovrebbero essere chiare ed univoche, proprio perché disciplinano passaggi della vita politica sui quali non si possono lasciare dubbi nell'opinione pubblica; e non ha senso, ed è largamente sconsigliabile generare ulteriori conflitti tra le forze politiche in un momento nel quale, per la natura stessa della competizione elettorale, questo conflitto è già elevato. Bisognerebbe inoltre evitare che vi fosse qualsiasi dubbio dell'opinione pubblica che il libero, democratico confrontarsi delle forze politiche possa essere alterato da interpretazioni ad hoc della legislazione che disciplina il procedimento elettorale.
Naturalmente mi riferisco in particolare al comma 1 dell'articolo 1, che costituisce peraltro a mio avviso la vera ragion Pag. 15d'essere, nelle intenzioni del Governo, del decreto-legge stesso. Infatti, com'è noto, alla sua base vi sono due differenti tipi di problemi emersi nel corso della fase preparatoria delle elezioni. In un primo caso si è verificata un'incompleta ed imprecisa presentazione della documentazione relativa alle sottoscrizioni delle liste regionali, cioè le liste a cui è collegato il candidato presidente della regione, in Lombardia e nel Lazio.
Questo sarebbe stato ed era certamente il caso politicamente più delicato perché in quei due casi - cioè, con l'eventuale esclusione dalla competizione delle liste regionali - avremmo avuto effettivamente un drammatico conflitto tra la necessità di garantire un corretto svolgimento delle procedure elettorali e la sostanza della competizione democratica, nel senso che ovviamente l'esclusione della lista regionale della Lombardia o del Lazio, comportando a cascata l'esclusione dalla competizione del candidato presidente e con lui di tutte le liste collegate, avrebbe implicato che in due grandi regioni (nelle quali, come poi si è visto, il centrodestra gode della maggioranza dei consensi dell'elettorato) l'intera coalizione di centrodestra sarebbe stata assente dalla competizione e dalle schede elettorali.
È chiaro che in quel caso si sarebbe creato un conflitto troppo forte e troppo stridente tra il rispetto puntuale della procedura elettorale e l'elemento fondante della competizione elettorale stessa. Quindi questo sarebbe stato un caso da affrontare comunque e in ogni modo, e non vi è dubbio che la stessa opposizione avrebbe dovuto e avrebbe di fatto cercato una soluzione a quel problema; questo però era anche il problema più semplice da risolvere sul piano tecnico (e in realtà il problema forse nemmeno esisteva), tanto è vero che il presidente Formigoni e il suo staff giuridico hanno ritenuto sin dall'inizio di poter ottenere ragione seguendo le vie ordinarie per la riammissione della lista secondo il diritto vigente, così come poi è effettivamente avvenuto. Formigoni non ha avuto bisogno dell'aiutino del decreto-legge per ottenere la riammissione della lista perché in quel caso vi era un problema largamente superabile anche sulla base delle norme e delle interpretazioni vigenti.
In realtà il Governo ha utilizzato questo caso più eclatante, che non poteva non essere risolto, per giustificare (dal momento che ciò costituiva una giustificazione evidente ed ovvia per l'opinione pubblica) - accanto ad una norma inutile per risolvere il problema più grave - un intervento che risolvesse il secondo e più controverso problema intervenuto in fase di presentazione delle liste, e cioè la mancata accettazione o meglio la mancata presentazione della lista provinciale del PdL a Roma a causa della decorrenza del termine stabilito per la presentazione della lista stessa.
Quel problema lì forse non era risolvibile, come poi si è dimostrato, ma la soluzione che è stata adottata (innanzitutto, ripeto, il decreto-legge è stato ammantato di altre motivazioni, in realtà non necessarie ed ulteriori, solo per coprire nei confronti dell'opinione pubblica tale operazione), e in particolare il comma 1, che è quello più controverso, non risolve il problema.
Ma soprattutto tale soluzione non era corretta perché, come è stato rilevato da più colleghi nel corso della discussione in Commissione ed anche oggi in Aula, la materia elettorale non è disponibile, né è possibile oggetto di decretazione in virtù del combinato della legge 23 agosto 1988, n. 400, e della Costituzione. La legge n. 400 del 1988 stabilisce infatti che il Governo non può, mediante decreto-legge, provvedere nelle materie indicate dall'articolo 72, quarto comma, della Costituzione, tra le quali è espressamente annoverata anche la materia elettorale.
È vero che la giurisprudenza costituzionale ha delimitato la materia elettorale a cui deve essere applicato tale divieto, circoscrivendola al voto ed al procedimento elettorale in senso proprio (e a questo si sono applicati ed appigliati i promotori del decreto-legge, il Governo e chi lo ha sostenuto in sede parlamentare). Pag. 16
Ma è pur vero che non ci sono casi nei quali dei decreti-legge siano intervenuti in maniera così pesante come nel caso in questione. Il Comitato per la legislazione della Camera, come ci hanno ricordato e documentato gli uffici, che ha accuratamente cercato di capire in che misura debba e possa essere circoscritto il divieto di utilizzare il decreto-legge in materia elettorale, ha in più casi reso evidente che non si può utilizzare il decreto-legge (come, ad esempio, nel caso del decreto-legge del 3 gennaio 2006, n. 1) per disposizioni che disciplinano aspetti quali la presentazione delle liste e delle candidature, nonché per le cause di ineleggibilità. Vi sono altri casi che confermano quest'interpretazione che alla fine appare univoca: per l'oggetto in questione, il decreto-legge era una fonte impropria.
D'altro canto, è del tutto evidente che, con riferimento in particolare al comma 1, dell'articolo 1, non si tratti, come dice invece il preambolo, di un decreto interpretativo, perché per chiunque, anche se non si fossero lette le numerose sentenze della Corte costituzionale che affermano ripetutamente questo concetto, una norma è interpretativa se scioglie un dubbio interpretativo, cioè se indica quale delle interpretazioni possibili sulla base del tenore letterale della legge vigente deve essere seguita nella sua applicazione. In realtà, il significato della norma interpretata dall'articolo 1, comma 1 è assolutamente univoco, infatti l'articolo 9, comma 1, della legge n. 108 del 1968, dice, con un'espressione molto semplice che chiunque intende: le liste dei candidati per ogni collegio devono essere presentate alla cancelleria del tribunale del capoluogo di provincia dalle ore 8 del trentesimo giorno alle ore 12 del ventesimo giorno, antecedenti quelli della votazione. Si aggiunge che, a questo scopo, la cancelleria del tribunale rimane aperta quotidianamente, compresi i giorni festivi, dalle ore 8 alle ore 20. Dunque, qui non c'è un'interpretazione, perché è del tutto chiaro il significato di questa norma, mentre, invece, l'interpretazione fornita con il decreto-legge ci dice che quel prerequisito del rispetto dei termini è considerato soddisfatto quando i delegati incaricati alla presentazione delle liste abbiano fatto, entro il termine prescritto, ingresso nei locali del tribunale; cosa di assai difficile ricostruzione peraltro, a meno che il tribunale non si sia dotato di mezzi per poterla rilevare adeguatamente. Quindi, non vi è un'interpretazione, ma una modifica del contenuto della norma.
Il punto è che non solo il decreto-legge era tecnicamente illegittimo, non corretto come fonte per disciplinare questa materia, ma è risultato anche inevitabilmente inefficace per un altro elemento piuttosto banale: il decreto-legge non poteva fare a meno di riconoscere che la mera presenza fisica presso la sede del tribunale non potesse essere considerata un elemento sufficiente a soddisfare il requisito del rispetto dei termini. Infatti, incidentalmente, si prevede che i delegati dovevano essere presenti presso la sede del tribunale con la prescritta documentazione. È un dato di fatto che, nella situazione specifica del caso di Roma, come si è poi potuto accertare, tale presenza è molto difficile da documentare e provare. Di fatto, questa norma, dunque, risulterebbe applicabile solo nel caso in cui i tribunali, conoscendo questa disposizione che non è interpretativa, ma che modifica la legge n. 108 del 1968, predisponessero un servizio di identificazione all'ingresso dei delegati e, possibilmente, anche di una, sia pur frettolosa e approssimativa, verifica della disponibilità, nelle mani dei delegati, della prescritta documentazione.
Ma questo sarebbe anche un po' eccessivo, dato che questa operazione si può fare - come si fa ordinariamente - tranquillamente nella sede, appunto, dell'ufficio della cancelleria. Dunque la norma era stata creata in modo politicamente inopportuno. Il contenuto è improprio in quanto si usa lo strumento del decreto-legge; il contenuto è inoltre inefficace (e si è dimostrato tale) per gli stessi fini che il decreto voleva ottenere.
È chiaro che dal punto di vista politico più generale si tratta anche di una spregiudicata forzatura delle procedure democratiche, Pag. 17si tratta di un precedente pericoloso, per molte buone ragioni che sono state richiamate, perché è assolutamente impensabile che in una democrazia pluralista il Governo si arroghi unilateralmente la prerogativa di modificare le procedure elettorali mentre la competizione elettorale è in corso. Come è stato detto, in questo caso ci sono diversi indizi che lasciano ritenere che il Governo abbia fatto questo sulla base di una pura convenienza di parte. È, infatti, assai difficile immaginare che il Governo sarebbe intervenuto con eguale solerzia nel caso in cui lo stesso problema si fosse verificato con riferimento a liste dell'opposizione; inoltre, come alcuni ricorderanno, il Governo solo pochi giorni o settimane prima si era dimostrato uno strenuo fermo difensore delle procedure elettorali, impedendo a un grande comune, Bologna, di eleggere democraticamente il proprio sindaco, e sulla base appunto di questo argomento (cioè della immodificabilità della procedure elettorali, in un caso che era molto diverso per varie ragioni) ha deciso di costringere una grande città ad un governo commissariale per più di un anno. In quel caso il Governo si è dimostrato uno strenuo difensore dell'immodificabilità delle norme elettorali, nel caso di cui stiamo parlando ha agito con molta più flessibilità.
Ciò detto, credo che, siccome la norma è risultata e risulta ambigua ed inutile, almeno sarebbe un atto utile - anche ai fini di quello che oggi viene invocata come una possibile nuova stagione di riflessione comune sulle riforme costituzionali - che il Governo evitasse di inquinare l'ordinamento con questa inutile ambiguità. In particolare - lo ripeto - mi riferisco al comma 1 dell'articolo 1 del provvedimento che andrebbe espunto, almeno quello, nella fase della conversione del decreto (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Lorenzin. Ne ha facoltà.

BEATRICE LORENZIN. Signor Presidente, questa vicenda ci ha impegnato per più di un mese in una lunga e faticosa e, per certi versi, drammatica campagna elettorale sia nel dibattito fuori da quest'Aula, sia in quello che è stato - come diceva il relatore - un lungo e faticoso attento esame del decreto-legge in questione in Commissione Affari costituzionali, dove sono state sollevate molte delle obiezioni che oggi qui abbiamo visto ripresentare dai gruppi di opposizione.
Alla luce di quanto è avvenuto, cioè che ormai siamo in una fase successiva a quella di una campagna elettorale - a dir poco - avvelenata da quello che, a nostro parere, è stato il vero e proprio vulnus di questa campagna (il fatto che non ci si è confrontati sui temi ma su aspetti meramente formali), oggi potremmo forse cogliere l'occasione di essere fuori da una fase così drammaticizzata come quella della campagna elettorale per affrontare il tema di questo provvedimento, ma anche il tema più generale della norma e della disciplina dei sistema elettorali, in modo più sereno.
Detto questo, dovremmo illustrare tuttavia una serie di osservazioni anche in merito a quanto è stato detto: alcune di tipo tecnico, che sono assolutamente necessarie e doverose, e un'altra sicuramente di tipo più prettamente politico su quello che è stato il ruolo dei partiti politici e, a mio avviso, dell'occasione mancata da parte di questi, soprattutto di quelli di opposizione, in questa vicenda prima, durante e - io spero - non dopo.
Iniziamo dalle osservazioni che sono state svolte in questa sede dall'onorevole Tassone, dall'onorevole Vassallo nel suo ultimo intervento e dall'onorevole Evangelisti nella prima parte di questo dibattito. Iniziamo cioè da quello che è stato l'avvio delle contestazioni al decreto-legge: l'utilizzabilità stessa del decreto-legge in materia elettorale come strumento di interpretazione autentica. Su questa prima questione di partenza, vi sono state numerose contraddizioni anche nell'intervento qui svolto poc'anzi dall'onorevole Vassallo.
Siamo tutti ben consapevoli del fatto che l'articolo 15 della legge n. 400 del Pag. 181988 vieti al decreto-legge di provvedere nelle materie indicate dall'articolo 72, comma 4, della Costituzione come è stato ribadito da tutti i relatori. Tuttavia, non vi è dubbio che lo strumento del decreto-legge sia stato già utilizzato in modo ritenuto costituzionalmente legittimo quando interveniva nella materia elettorale in quella specifica parte (vedremo in seguito di analizzare quale questa sia) non tradizionalmente riconducibile ai meccanismi di trasformazione dei voti in seggi: lo afferma la Corte Costituzionale con la sentenza n. 161 del 1995. Sono stati numerosissimi i casi in cui lo strumento del decreto-legge è stato utilizzato in alcuni aspetti del procedimento elettorale. Li vogliamo ricordare perché, in questo dibattito svolto così serenamente in quest'Aula, meno serenamente in Commissione, spesso questi elementi sono stati, se non ignorati volutamente, possiamo dire sorvolati con una certa frettolosità. Possiamo limitare le esemplificazioni ad alcuni casi: il decreto-legge 3 gennaio 2006, n. 1, che recava disposizioni urgenti per l'esercizio domiciliare del voto per taluni elettori e per la rilevazione informatica; il decreto-legge 26 aprile 2005, n. 64 recante disposizioni urgenti per la ripartizione dei seggi per l'elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica e altri vari ed eventuali: ne abbiamo a decine. Anche su questo tipo di obiezione che è stata un'obiezione tecnica giustamente e legittimamente sollevata dall'opposizione durante il dibattito, la stessa giurisprudenza in materia costituzionale può dire il contrario e può inverare questo tipo di disposizioni.
Addentriamoci nel cuore di questo dibattito: il fondamento costituzionale dell'intervento legislativo statale in materia elettorale che è materia concorrente. È stato forse l'elemento più interessante: infatti, da ogni aspetto, anche quello che può sembrare più meramente di contrapposizione, come quello che vi è stato in questa materia durante la campagna elettorale, si può imparare qualcosa e forse si può fare tesoro per quelli che dovranno essere gli interventi che dovremmo operare nel futuro. Infatti, se è emersa una criticità - ed è accaduto sicuramente - è proprio quella che riguarda l'interpretazione stessa del significato del procedimento elettorale, della distinzione della materia elettorale tra sistema elettorale e procedimento elettorale. Questa è una distinzione che non abbiamo certo colto noi inopinatamente in Commissione affari costituzionali ma è una distinzione su cui non soltanto i giuristi ma gli stessi estensori della norma - parlo dell'articolo 122 della Costituzione e inoltre dell'interpretazione dell'articolo 117 - hanno fatto presente e sono gli elementi di distinzione che hanno permesso al Governo di stilare questo tipo di decreto-legge. Per quale motivo facciamo una distinzione netta tra sistema elettorale e procedimento elettorale all'interno della materia elettorale? Perché distinguiamo come procedimento elettorale ciò che ha ad oggetto la definizione di un modulo procedimentale preordinato all'esercizio dei diritti di elettorato passivo ed attivo.
Invece, per quanto riguarda il sistema elettorale, si fa riferimento alla disciplina inerente al sistema di conversione dei voti in seggi, sia sotto il profilo giuridico, sia con riferimento a quello più strettamente connesso alle relative operazioni di calcolo matematico.
Non sto qui a ripetervi la disquisizione operata su questo singolo punto in Commissione affari costituzionali, ma si tratta di un aspetto molto importante, perché, anche nell'ultimo intervento dell'onorevole Vassallo, su questa distinzione egli ha posto la tesi dell'incostituzionalità del decreto e anzi ne ha avvertito un vulnus talmente e tanto grave, in quanto lo Stato centrale sarebbe entrato «a piedi uniti» all'interno di quella che doveva essere materia concorrente di attribuzione regionale.
In realtà, non solo secondo noi, ma secondo anche la parte che ha dato vita alla stessa modifica dell'articolo 122 della Costituzione, le procedure e gli elementi che sono rimandati alla materia puramente regionale, quindi a materia concorrente, sono quelli del sistema elettorale e Pag. 19non quelli del procedimento elettorale. Questo è il punto: quando noi parliamo di sistema elettorale, parliamo del sistema di elezione del presidente e degli altri componenti della giunta regionale, nonché dei consiglieri regionali, insieme ai casi di ineleggibilità e di incompatibilità. Badate bene, il fatto che il legislatore abbia voluto inserire all'interno della norma casi di ineleggibilità e di incompatibilità, circoscrivendo aspetti che non fanno meramente riferimento alla parte del sistema elettorale, è basilare per comprendere come vi sia stata una stessa volontà di riferimento alla norma statuale da parte del legislatore.
Quindi, al di là dell'attribuzione (rispondo all'onorevole Vassallo) alle regioni di una potestà legislativa concorrente in materia elettorale complessiva, inusuale anche negli Stati federali, per quanto riguarda l'articolo 122, comma 5, e l'articolo 123, comma 1, della Costituzione, così come sono stati poi modificati dopo la lunga e serrata discussione avvenuta in sede parlamentare, si è giunti alla conclusione che ciò andava a valere e ad attanagliare soltanto gli elementi che riguardavano il suffragio universale e l'elezione diretta del presidente.
Appare quindi sostenibile che la competenza in ordine al sistema elettorale sia specificatamente quella relativa ai soli sistemi di elezione e di preposizione alla carica e non già anche all'intera materia elettorale, come già comprensiva anche delle regole sul procedimento elettorale. Questo è stato inverato poi dalla prassi successiva, quindi da regolamenti del Ministero dell'interno che sono intervenuti, disciplinando in modo uniforme l'atteggiamento ed i doveri della cancelleria, ad esempio, di recepire l'atto, così come è stato specificatamente richiamato e ricordato in questa sede e in Commissione più volte. In altre parole, vi sono aspetti che nella stessa Costituzione, per quanto riguarda la materia elettorale concorrente e cioè riferita alle regioni, riguardano il sistema e non il procedimento. Per questo la norma è interpretativa, al di là delle discussioni che vi sono state: perché va a fare chiarezza su un aspetto specifico, tant'è vero che anche quelle regioni che sono intervenute con uno specifico regolamento elettorale (come la regione Lazio, come la Campania e come altre), hanno fatto un riferimento statuale alla norma dello Stato. Quindi hanno fatto richiamo e difficilmente si sono scostate dal decreto-legge n. 168.
Dunque, noi abbiamo interpretato e non innovato, semplicemente richiamando ad un'applicazione precipua di quella che era la legge statuale e semplicemente, facendo chiarezza laddove non vi è stata uniformità di comportamento delle cancellerie, così come è stato anche riconosciuto dalle diverse e spesso confliggenti sentenze del Consiglio di Stato o dei TAR in materia amministrativa.
Detto questo, se dovessero esservi dubbi, possiamo fare anche un'ulteriore osservazione e riflessione, al di là di quello che avrebbe dovuto essere nel caso di specie il dovere della cancelleria di attuare comunque l'articolo 97 della Costituzione, articolo, per esempio, non richiamato nel dibattito in linea generale, secondo il quale vi è il dovere da parte dell'amministrazione di attenersi ai principi di buon andamento, trasparenza ed efficienza, nell'attuazione di procedure in casi così delicati ed importanti come quello della composizione e della formazione del consenso elettorale e della presentazione delle liste (che, ricordiamocelo, è il momento sovrano dell'esercizio della potestà democratica che è in seno al popolo).
Come dicevo, vi sono altri aspetti, relativi al fatto che parte della materia - così come è sancita - e delle procedure fa riferimento al diritto amministrativo e alla procedura civile, cioè a norme che sono sancite da leggi statuali e non, sicuramente, da leggi regionali.
Quindi, in realtà, non siamo di fronte ad un vulnus costituzionale e ad un conflitto tra Stato e regioni, ma ad un provvedimento che dà un'interpretazione in una fase di urgenza, in cui - ricordiamolo - eravamo di fronte (come ha sottolineato lo stesso onorevole Vassallo) ad un vulnus assolutamente eccezionale ed inedito nella Pag. 20storia repubblicana: quindici milioni di cittadini, infatti, erano privati della possibilità di concorrere legittimamente alla formazione del proprio consenso elettorale, a votare i propri programmi, le proprie liste e, quindi, a scegliere legittimamente il proprio rappresentante.
Signori, credo che questo sia stato il vero vulnus che, nonostante l'appigliarsi ai cavilli ed il tentativo, precipuo, costante ed insistente durante tutta la campagna elettorale, di porre la questione dell'esclusione della lista (anche quando si è trattato dell'invalidazione delle schede elettorali per quanto riguarda il Lazio), ha prodotto un unico risultato: quello di far vincere le elezioni in modo straordinario ed incredibile ad una forza politica che si è presentata senza il proprio partito di riferimento. Questo risultato rende una certa giustizia. Si dice, infatti - possiamo dirlo - che la giustizia non è quella della legge, ma quella dei tribunali: in questo caso, possiamo dire che non è quella della legge, ma è quella delle urne.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

BEATRICE LORENZIN. Vorrei tornare all'attualità. Abbiamo stabilito che il decreto-legge non è servito per il caso di specie, quindi, l'opposizione può stare tranquilla: le elezioni sono state vinte nonostante tutto e nonostante questo. Cerchiamo, invece, di capire a cosa potrebbe servire il provvedimento.
Credo che, in questo momento, dovremmo tutti recuperare un po' di buonsenso nel modo di affrontare determinate questioni, e mi dispiace molto - l'ho detto anche in Commissione - che questo buonsenso non vi sia stato durante la fase precedente. La politica, infatti, poteva dare un segno di esistenza ad un livello più alto, ma purtroppo, spesso, negli ultimi tempi, abbiamo abbandonato il dibattito. Questo segno è mancato.
In questa sede, è stato fatto una sorta di processo alle intenzioni, durante il quale ci si chiedeva cosa avrebbe fatto il centrodestra, qualora ciò fosse accaduto al Partito Democratico, all'Italia dei Valori o all'Unione di Centro. Vorrei dire che non si può fare il processo alle intenzioni. Infatti, abbiamo affermato - questo varrà per il futuro - che non avremmo permesso una competizione senza il primo maggiore partito di opposizione (mi riferisco, ad esempio, al Partito Democratico). Vorrei ricordare quanto è accaduto in una fase molto drammatica, che riguarda sempre la mia regione di appartenenza, cioè il Lazio. All'indomani della caduta drammatica del presidente Marrazzo e delle sue dimissioni, non abbiamo chiesto di svolgere subito nuove elezioni, ma abbiamo concordato per il mantenimento di un clima sociale e politico più consono alla rappresentanza delle istituzioni che volevamo portare in campagna elettorale: volevamo svolgere una campagna elettorale sui temi e non sulla vicenda Marrazzo. Pertanto, abbiamo acconsentito - certamente, in modo informale - di svolgere le elezioni insieme alle altre regioni.
Quindi, se permettete, da questo punto di vista, non soltanto abbiamo già dimostrato un gentlemen's agreement ed un livello di stile durante la campagna elettorale, ma non li abbiamo neanche rivendicati pubblicamente, perché ciò appartiene ad un diverso livello di comportamento.

PRESIDENTE. Deve concludere.

BEATRICE LORENZIN. Signor Presidente, mi avvio a concludere. Vorrei restare sul testo attuale. Credo che se un'occasione è stata mancata, è possibile coglierne un'altra.
È sicuro e indubbio che vi siano stati vizi di interpretazione; vi sono casi in cui, nella stessa interpretazione della norma (e qui abbiamo rivendicato come esista una norma statuale di riferimento, una differenza tra procedimento e sistema elettorale, nonché la necessità di mantenere un favor electionis che, tra l'altro, è alla base anche delle norme regionali che hanno disciplinato questa materia), vi è la necessità di chiarire i dubbi, di fare interpretazione e di evitare che alcuni errori, che sono stati commessi in relazione a questo singolo episodio, si possano ripetere nel futuro. Pag. 21
Pertanto se noi nel futuro, grazie a questo decreto-legge, potremo fare in modo che vi siano maggiori sensibilità e chiarezza sul momento della presentazione della lista, su quali siano gli interessi effettivamente in gioco e su quali interessi debbano prevalere nella presentazione delle liste, così come nella loro contestazione e nella presentazione delle firme, credo che ciò possa essere di aiuto, non soltanto al Popolo della Libertà, ma a tutti i partiti che decidono liberamente di presentarsi alle elezioni; allo stesso modo credo che ciò sicuramente possa scongiurare episodi come questo, i quali hanno definitivamente inquinato una campagna elettorale.
Detto ciò, credo che comunque sia evidente a tutti la necessità - e forse ce ne dovremmo presto occupare in Commissione affari costituzionali - di ripensare, laddove siano necessari, alcuni correttivi alla disciplina generale (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Favia. Ne ha facoltà.

DAVID FAVIA. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, più volte sono intervenuto su questa materia, sia in Commissione, che in Aula, dove ho illustrato la questione pregiudiziale di costituzionalità, la quale puntualmente è stata respinta, nonostante questo decreto-legge fosse palesemente incostituzionale.
Più volte ho sostenuto di essere scandalizzato dalla presentazione di questo decreto-legge, il quale, a sua volta, ha scandalizzato l'Italia, con i risultati che si sono visti. Siamo scandalizzati per il fatto che ciò sia stato portato alla cronaca, in sede legislativa, emanando un decreto-legge quando le procedure elettorali erano già partite. Credo che in nessun Paese più o meno civile (anche in quelli che forse a torto vengono considerati meno civili del nostro), possa accadere una cosa del genere.
Oggi sono altresì e vieppiù stupito dal fatto che non si rinunci a questo decreto-legge. Capisco che non potevate far vedere che - una volta raggiunto il fine per cui tale decreto-legge era stato emanato - veniva bellamente ritirato. Tuttavia, ritengo che gli appelli (che vengono fatti) di uscire dalle tensioni elettorali per rientrare in un dibattito civile, vadano in qualche modo ascoltati e presi in considerazione.
Io affronterei il problema in maniera diametralmente opposta rispetto alla collega Lorenzin: i fatti - cioè, la vittoria nel Lazio della compagine della destra, pur giustamente regolarmente priva della sua lista principale - hanno dimostrato, proprio essi stessi, la completa inutilità di questo decreto-legge.
Si è dimostrato che, pur rispettando la legge, anche se non vi fosse stato questo decreto-legge, nessun vulnus sarebbe stato arrecato ai diritti dei cittadini italiani, degli elettori italiani di destra: infatti, vi era comunque la possibilità di votare per il candidato presidente della destra, il quale, poi, sebbene di misura, ha vinto.
Voglio dire subito una cosa, in quanto questo principio si trova in testa all'illustrazione del provvedimento: viene detto che questo decreto-legge assicura il favor electionis secondo i princìpi di cui agli articoli 1 e 48 della Costituzione.
La collega Lorenzin ha dichiarato che sarebbe stato uno scandalo se quindici milioni di cittadini italiani fossero stati privati della lista e del voto. Dico subito che tra il favor electionis e il rispetto della legge preferisco il secondo, perché se non si rispetta la legge poi vengono meno, a cascata, tutti i diritti, ivi compresi i diritti degli elettori.
Mi sia poi consentito di dire un'altra cosa. I quindici milioni di cittadini italiani che sarebbero stati privati - e che nel Lazio sono stati privati, sebbene in numero inferiore - della propria lista, ne sono stati privati non perché si è rispettata la legge. Sarebbe palesemente sciocco affermare una cosa del genere: a meno che la legge non sia (come questa) incostituzionale, il rispetto della legge non può mai Pag. 22essere in contrasto con i diritti dei cittadini. I cittadini del Lazio, gli elettori del Lazio, sono stati privati della lista del Popolo della Libertà per una questione di conflittualità interna allo stesso Popolo della Libertà e per l'incapacità tecnica dei presentatori. Non si può ascrivere la «caduta» della lista per motivi tecnico-giuridici alla legge, ma va ascritta al mancato rispetto della legge stessa da parte dei delegati di lista. Mi sembra, quindi, che le tesi che sono state qui sostenute dai rappresentanti della destra per difendere l'indifendibile (cioè questo decreto-legge palesemente incostituzionale) proprio non stanno in piedi.
Come dicevo, si tratta di un decreto-legge palesemente incostituzionale per moltissimi motivi e anche questo è uno scandalo. Come sempre in tutti i vostri decreti-legge, che sono stati sostenuti il più delle volte dal voto di fiducia, svuotando completamente dei propri poteri la Camera dei deputati e l'intero Parlamento, anche in questo decreto-legge non sussistono i requisiti di necessità e urgenza di cui all'articolo 77 della Costituzione.
Era in corso il procedimento elettorale, erano state assunte delle decisioni, erano in atto impugnative davanti ai giudici competenti e nessuno poteva sapere se sarebbe stata adottata una interpretazione o l'altra. Dov'erano, quindi, e dove sono la necessità e l'urgenza di definire ex lege l'interpretazione corretta? Noi crediamo che, invece, con lo strumento del decreto-legge si è tentato di anticipare la certezza di una interpretazione sfavorevole. La certezza è che non si tratta di una norma interpretativa volta a chiarire, ma di una norma nuova e modificativa dell'esistente.
Quale necessità ed urgenza, ai sensi dell'articolo 77 della Costituzione, ci può essere nel dover interpretare una norma? Credo che quando un procedimento è in corso sia improponibile intervenire con uno strumento legislativo.
Ci sono, però, molteplici altri profili d'incostituzionalità. Innanzitutto, in base all'articolo 72, quarto comma, della Costituzione come declinato dalla legge ordinaria, la materia in questione, la materia elettorale, non può essere oggetto di decreti-legge. Esiste la cosiddetta riserva di Assemblea, pertanto la normativa va adottata con legge ordinaria. Si sono verificati alcuni casi di decreti-legge in materia elettorale, ma si è trattato esclusivamente di correttivi tecnici, non dell'entrata a piedi pari nelle regole del gioco mentre la partita era in corso, come è stato fatto con questo decreto-legge.
Quindi, non essendoci stata una proposta di legge o un disegno di legge e non essendoci stato l'ordinario iter, con conseguente dibattito in Commissione e in Aula, questo decreto-legge è palesemente e totalmente incostituzionale.
Ma vi è di più. Ai sensi degli articoli 117, quarto comma, e 122 della Costituzione, la materia elettorale notoriamente - e questo lo hanno affermato anche i tribunali che si sono occupati della materia, dopo l'emanazione del decreto-legge - è riservata alle regioni, ovviamente in quanto la normativa vi sia. Questo è vero al punto che la Commissione parlamentare per le questioni regionali ha espresso il proprio parere favorevole al decreto-legge in esame soltanto a patto che venisse previsto (e ciò non è stato fatto) un sistema normativo che - e cito testualmente - consentisse che «l'applicazione delle previsioni di cui ai commi 1 e 2 dell'articolo 1 del decreto-legge valga nei soli casi in cui non siano state emanate leggi regionali in materia elettorale, ovvero nei casi in cui le normative regionali emanate non regolino le specifiche fattispecie contemplate dalle menzionate disposizioni».
Di ciò, invece, non si è tenuto minimamente conto. Mi sembra che questo parere della Commissione parlamentare per le questioni regionali sia del tutto ovvio, in quanto essendo la materia di esclusiva competenza della normativa regionale, ove tale normativa vi sia non può esservi una normativa nazionale concorrente, perché non si tratta di materia concorrente ma di materia di esclusiva competenza regionale. Per esempio, nel Lazio questa normativa era presente e, quindi, il decreto-legge era assolutamente Pag. 23- come è stato giustamente detto dalla giurisprudenza - inapplicabile. Questo è un altro profilo di incostituzionalità del decreto-legge nella parte in cui, per l'appunto, non ne prevede la sua applicabilità, che pure non esiste, perché è incostituzionale per altri versi. Tuttavia, da questo punto di vista il decreto-legge dovrebbe proprio prevedere, per evitare l'incostituzionalità relativa agli articoli 117 e 122 della Costituzione, l'applicabilità solo per le regioni che non dispongano già di una legge elettorale.
Tantissimi sono gli altri profili di incostituzionalità del decreto-legge. Il riferimento agli articoli 2 e 3 della Costituzione è ovvio. Vi è poi il riferimento all'articolo 48 della Costituzione, perché il voto dell'elettore è davvero uguale solo se l'offerta politica, in ordine alla quale il diritto si esercita, è stata avanzata nel pieno rispetto della par condicio. Vi è il contrasto con l'articolo 51 della Costituzione, perché viene distorta la condizione di parità nell'accesso alla carica elettiva da parte dei candidati. Infine, vi è contrasto con l'articolo 49 della Costituzione perché si nega il diritto dei cittadini a partecipare, con metodo democratico, alla politica nazionale.
Si dice e si è detto che questo sia un decreto-legge interpretativo. A noi non sembra affatto. I decreti-legge interpretativi, le leggi e, in genere, i provvedimenti interpretativi sono quelli che devono far giustizia di un insanabile contrasto giurisprudenziale, perché è noto che i contrasti giurisprudenziali, in genere, vengono sanati dall'adunanza plenaria del Consiglio di Stato o dalle sezioni unite della Corte di Cassazione i quali, come giustamente è stato ricordato poc'anzi, non fanno stato di legge. Ovviamente, si tratta di indicazioni giurisprudenziali pesantissime e importantissime. In casi similari può procedersi anche alla stesura e all'emanazione di un provvedimento interpretativo.
In questo decreto-legge di interpretativo non vi è nulla. Si dice che la norma va interpretata nel senso che poi, in realtà, viene emanata una norma completamente nuova che dice altro rispetto al dettato di una legge già esauriente di per sé stessa, già vagliata molteplici volte dalla giurisprudenza e già riconosciuta valida.
Quindi, non c'era nulla da interpretare nella normativa preesistente attraverso questo decreto-legge e lo dirò tra poco.
Intendiamoci: non è che questa legge sia perfetta. Anche a me, per esempio, è capitato nelle mie funzioni precedenti di presentatore di liste di vedermi non accolta una lista. Ho fatto i miei ricorsi, li ho regolarmente persi - perché come sapete tutti la giurisprudenza in materia è assolutamente rigida e quindi il più delle volte questi ricorsi non si vincono (a volte sì, ma il più delle volte non si vincono) - ma non succede assolutamente niente se il rispetto delle leggi boccia la presentazione di una lista per qualsivoglia motivo.
È equilibrio costituzionale anche questo, è rispetto assoluto delle leggi anche questo. Come dicevo prima, il favor electionis non può prevalere sul rispetto delle regole. Se poi andiamo a vedere il contenuto dei primi tre commi dell'articolo 1, credo che, come dicevo prima, non ci sia nulla di interpretativo, ma invece molto di dispositivo, ossia molte nuove disposizioni.
Ci sono disposizioni, consentitemi il termine, francamente ambigue e francamente raccapriccianti. Il comma primo dell'articolo 1 prevede che il rispetto dei termini orari di presentazione delle liste si considera assolto quando, entro gli stessi, i delegati incaricati della presentazione delle liste e muniti della prescritta documentazione abbiano fatto ingresso nei locali del tribunale. La presenza entro il termine di legge nei locali del tribunale dei delegati può essere provata con ogni mezzo idoneo.
Questa norma contiene una montagna di cose quasi impossibili da provare: anzitutto, quali sono i mezzi idonei per provarlo? Cosa sono i locali del tribunale? Il garage, il bar, il cortile? Ci sarà bisogno (questa volta sì) di un decreto interpretativo per capire che cosa il legislatore - faccio un po' fatica a chiamarlo così - ha voluto prevedere.
La norma è chiarissima: chiunque ha presentato le liste sa perfettamente che c'è Pag. 24una stanza (il più delle volte una cancelleria) adibita alla presentazione delle stesse e che entro le 12 dell'ultimo giorno - perché è questo l'orario - bisogna stare dentro quella stanza. Non c'è tanto da interpretare e quindi è logico che se uno è fuori da quella stanza, o nel cortile del tribunale, o al bar del tribunale, o nel garage del tribunale, non si trova dove si deve presentare la lista.
Chi può provare dove si trovi il presentatore della lista, peraltro munito dell'apposita documentazione (che sembrerebbe essere una condicio sine qua non, quindi la prova da darsi con ogni mezzo idoneo dovrebbe riguardare, oltre che la presenza, anche il possesso dei documenti prescritti)? Come fa il povero eventuale testimone a sapere questo? È un ulteriore controllore rispetto alla commissione elettorale costui?
Insomma, credo veramente che si tratti di una formulazione assurda. Nulla è di più chiaro della formulazione precedente: bisognava (bisognerebbe) essere presenti dentro la stanza adibita alla ricezione liste. Più volte è capitato che, giunta l'ora, chi si trova dentro la stanza riceve una contromarca attestante l'ingresso entro le 12 (è facoltà di chiunque chiederlo, basta andare dal cancelliere, oppure rimanere dentro la stanza).
Scusate è successo più volte: se si è dentro la stanza, viene chiusa la porta e uno è dentro. Se non sei nella stanza è chiaro che ti chiudono fuori, ma se sei dentro nessuno ti caccia. Ho fatto più volte questo lavoro e non succedono certamente cose strane.
Al secondo comma ci sono egualmente cose da brivido: le firme si considerano valide - questo sarebbe interpretativo, ma in realtà è una nuova norma - anche se l'autenticazione non risulti corredata da tutti gli elementi richiesti dall'articolo 21, comma 2, ultima parte, del decreto del Presidente della Repubblica n. 445 del 2000, purché tali dati siano comunque desumibili in modo univoco da altri elementi presenti nella documentazione prodotta: la prova per relationem della validità delle firme. Che cosa sia il modo univoco, quali siano gli altri elementi presenti nella documentazione prodotta, anche ciò dovrà essere necessariamente materia di un decreto interpretativo perché francamente facciamo fatica a pensarlo. Certamente le norme vengono poi interpretate quando non da decreti-legge del Governo di destra, dalle commissioni e poi dai TAR, però sono curioso di vedere come questa norma verrà interpretata.
Sono altresì curioso, ma auspico di vedere che cosa ne penserà, semmai riuscirà ad arrivarci, la Corte costituzionale di questa normativa perché temo che i ricorsi pendenti davanti alla giustizia amministrativa se non sono già esauriti verranno ritirati proprio per evitare che vadano davanti alla Corte costituzionale e trovino la loro censura. Anche il terzo comma è un bel cammeo. In particolare, si dice che la regolarità dell'autenticazione delle firme non è comunque inficiata dalla presenza di una irregolarità meramente formale quale la mancanza o la non leggibilità del timbro dell'autorità autenticante, dell'indicazione del luogo di autenticazione, nonché dell'indicazione della qualificazione dell'autorità autenticante, purché autorizzata.
Credo che questo sia un capolavoro di illegittimità. Cerchiamo di comprendere bene di che cosa stiamo parlando. La regolarità dell'autenticazione delle firme non sarebbe inficiata dalla presenza e sarebbe una irregolarità meramente formale come la mancanza o la non leggibilità del timbro dell'autorità autenticante. Chi prende in carico le firme, anche se non è in grado di sapere chi è l'autorità autenticante, la deve dare per buona. Questo è veramente incomprensibile. Sarebbe come dire che in un atto di compravendita immobiliare, non c'è il timbro del notaio, non si sa chi è il notaio che redige l'atto pubblico di compravendita, ma si dice che però la compravendita è valida lo stesso. Qualunque studente che sostiene l'esame di diritto privato al primo anno di giurisprudenza si metterebbe a ridere. Non è concepibile una norma di questo genere.
Le firme non sono nulle qualora manchi l'indicazione del luogo di autenticazione. Pag. 25Anche questa è una follia. Ci sono le elezioni regionali, l'autenticazione viene fatta al di fuori della regione - non possiamo saperlo perché qui c'è scritto che non c'è bisogno che si sappia il luogo - e le firme sono ugualmente valide. Credo che chiunque legga una cosa di questo genere rimanga assolutamente imbarazzato. È valida anche se manca l'indicazione della qualificazione dell'autorità autenticante, purché autorizzata.
Allora, se non si sa chi è l'autorità autenticante come facciamo a sapere se colui che l'ha autorizzata lo ha fatto regolarmente? Facciamo un esempio, autorità autenticante può essere un consigliere comunale; a parte che ci sono degli autenticatori che lo sono per legge e non devono essere autorizzati da nessuno, «purché autorizzata» potrebbe riguardare forse il consigliere regionale o provinciale, ma in realtà non si tratta di un'autorizzazione, perché basta semplicemente il deposito della disponibilità e non ci deve essere nessuna autorizzazione. Come si può concepire che chi riceve in mano le liste debba ritenere valide le firme anche non potendo sapere chi è l'autenticante? C'è scritto: David Favia, parlamentare e quindi non autorizzato ad autenticare, non c'è scritta la sua qualifica, ma va tutto bene.
Penso proprio che non sia possibile concepire un provvedimento legislativo in questo modo in quanto, se trasferito in altri settori della vita sociale, ad esempio come dicevo prima in ambito notarile, questi rischierebbero la catastrofe sociale, perché non ci sarebbe alcuna certezza del diritto.
Ebbene io credo, e mi avvio concludere, che alcune parole, alcuni timidi agganci, da una parte e dall'altra, di questioni poste possano consentirci di stendere un velo pietoso su questo decreto-legge. Se non ho capito male dai «rimbalzi» degli interventi di esponenti del Partito Democratico e del Popolo della Libertà, mi sento io di chiedere alla maggioranza e al Governo il ritiro di un atto di ostilità, perché questo decreto-legge è un atto di ostilità verso l'opposizione, verso gli elettori, verso la nazione e verso la legge. È l'ennesima legge ad personam della quale non abbiamo bisogno in un momento in cui si comincia a parlare di riforme delle quali ci fidiamo molto, molto poco.
Auspico il ritiro di questo decreto-legge e la riconsiderazione di alcuni concetti proprio nell'ambito della discussione annunciata sulle riforme, che francamente per come sono state preannunciate ci fanno un po' paura e, se dovessero andare avanti così, confidiamo nel mancato raggiungimento dei due terzi in Parlamento e poi nel successivo referendum come già una volta è accaduto.
Ma al di là di questo - stiamo guardando troppo avanti -, credo che il ritiro sarebbe un bel gesto nei confronti del Parlamento e nei confronti della nazione. Infatti, al di là del risultato elettorale, i sondaggi che sono stati fatti prima delle elezioni dicevano con chiarezza che anche l'elettorato di centrodestra non avrebbe gradito questo vero e proprio colpo di mano. Finito l'animus elettorale, ritornati ad una qualche normalità, che purtroppo tale non è stabilmente, ma comunque non c'è più l'aggravante del clima elettorale, crediamo che sarebbe opportuno ritirare questo provvedimento, anche per evitare le preannunciate lungaggini dovute all'ostruzionismo che viviamo come un dovere civile contro un provvedimento di questo tipo, come abbiamo fatto contro altri orribili provvedimenti.
Sarebbe opportuno questo gesto da parte vostra, per poi ricominciare a discutere delle problematiche, ovviamente non a urne quasi aperte, come avete fatto questa volta, perché alcune piccole e marginali problematiche ci possono essere e possono essere risolte in un contesto legislativo più ampio.
Andare avanti, però, con l'approvazione di questo provvedimento, nonostante sia stato provato per tabulas che non serviva per vincere le elezioni, credo che sarebbe, da parte vostra, l'ennesimo atto di violenza di cui la nazione non ha bisogno (Applausi dei deputati dei gruppi Italia dei Valori e Partito Democratico).

Pag. 26

PRESIDENTE. Prima di procedere con la discussione sulle linee generali, comunico che la Presidenza ha intenzione di sospendere alle 13,30 la seduta, che riprenderà alle 14.
È iscritto a parlare l'onorevole Zaccaria. Ne ha facoltà.

ROBERTO ZACCARIA. Signor Presidente, intervengo brevemente. La vicenda e il clima che circonda questa discussione in Aula sono davvero singolari: vi è un clima indubbiamente diverso da quello proprio di altre discussioni sulle linee generali, perché è sostanzialmente diffusa la sensazione di parlare di una cosa inutile.
Se non fosse scontata la citazione, direi che ci troviamo nella condizione di quei giapponesi - naturalmente la maggioranza è ancora più giapponese dell'opposizione - che continuano a fare una battaglia mentre la guerra è finita. Non si capisce: penso che in questo caso sia difficile capire, al di fuori di qui. Non a caso, non c'è nessuno, neanche un fotografo di fortuna, che in qualche modo voglia immortalare questi momenti: c'è soltanto la pazienza di chi ci ascolta, collegato attraverso le tradizionali reti radiofoniche.
Quindi, si tratta del caso singolare di un decreto-legge che, nel momento in cui è stato emanato, è stato ampiamente discusso: esso ha generato veramente una discussione forte nel Paese e nell'opinione pubblica, tra gli addetti ai lavori, ed è risultato così drammaticamente inutile alla prova dei fatti.
Vassallo diceva che si tratta di un decreto-legge nato male. Io vorrei aggiungere, come hanno fatto in molti, che esso è vissuto peggio di quanto fosse nato. Il certificato di questa inutilità non dipende da qualche valutazione dei membri dell'opposizione, ma è stato dato da una serie di giudizi che sono intervenuti su questa materia: il collega Bressa ne ha contati addirittura otto. Comunque, siano otto o anche meno di otto, certamente TAR e Consiglio di Stato, nelle due ultime pronunzie, sono già sufficienti: basta avere la volontà di andare a leggere quelle pagine per capire quanto sia stato inutile questo provvedimento.
La vera domanda che qui si ricorre, da parte nostra e da parte di molti colleghi, è questa: «Perché il provvedimento non viene abbandonato?». Questa è stata la conclusione anche degli onorevoli Favia, Tassone, Vassallo e di altri colleghi che hanno parlato prima di me: perché c'è questa specie di accanimento terapeutico su un provvedimento inutile?
Io non cercherò di dare una risposta a questa domanda, perché forse la risposta avverrà nelle cose e verrà data nel prosieguo del dibattito alla Camera o, forse, al Senato. Le cose che avevamo da dire nel merito (ecco perché non parlerò a lungo) le abbiamo già ribadite nel dibattito in Commissione affari costituzionali e, soprattutto, in occasione della discussione sulle questioni pregiudiziali di costituzionalità, durante la quale abbiamo abbondantemente esaminato il merito.
Per questo richiamo ancora una volta l'intervento che ha svolto per il Partito Democratico l'onorevole Gianclaudio Bressa, molto ampio, che ha spiegato in maniera molto chiara la serie di questioni di costituzionalità aperte da questo decreto-legge.
Pensavo che anche il voto di scarto che c'è stato sulla pregiudiziale di costituzionalità avrebbe fatto riflettere la maggioranza. Vi ricordate? Su quella pregiudiziale hanno votato «sì» 259 membri dell'opposizione, che non era poi al completo (vi è già stato un dibattito su questo), e hanno votato «no» 272 deputati; quindi, vi sono stati 13 voti di scarto, che in quest'Aula vorrebbero già dire qualcosa su una pregiudiziale di costituzionalità così importante.
Si è discusso, quindi, di fondamentali profili di costituzionalità, raramente condensati in maniera così elevata in un solo provvedimento così misero, così ridotto di dimensioni e così modesto anche dal punto di vista concettuale. È raro un tale rapporto tra numero di questioni di costituzionalità e lunghezza del testo: rappresenta, Pag. 27a suo modo, un piccolo e significativo record, concentrare un tal numero di problemi in un testo così breve.
Si è discusso della possibilità di fare decreti-legge in materia elettorale; registro anche che, mentre qui qualcuno ha ricordato la Costituzione, l'articolo 72, la legge n. 400 del 1988 (ma è inutile soffermarsi), ho visto partire «lancia in resta» dei difensori della decretazione d'urgenza in materia elettorale sulla base di una serie di citazioni di precedenti, che, effettivamente, il Servizio studi, dipartimento affari costituzionali, della Camera riporta. Ma i precedenti vanno letti, non basta citare che vi è un precedente che riguarda la materia elettorale per la parte organizzativa. Bisogna capire la situazione, valutare quando arriva il decreto-legge, e questo è un decreto-legge che è come se modificasse le norme sulle regole del gioco del calcio mentre si sta svolgendo la partita: il fuorigioco non è più quello, è cambiato, però la partita è già in corso e arriva qualcuno che stabilisce nuove regole.
Qui, mi spiace - guardate ancora quanto riportato dal Servizio studi per il Comitato per la legislazione, che fa un esame accurato - il precedente è uno solo; anche qui, è stato citato più volte, ma noi lo citiamo ancora volentieri, perché il relatore era Leopoldo Elia, che di queste cose un pochino se ne intendeva. Il verdetto, poi, è stato quello di non riscontrare i requisiti di necessità ed urgenza, e infatti il decreto-legge è decaduto e se ne sono salvati gli effetti.
Quello è l'unico precedente, ma ha avuto una sorte infausta. Citatelo pure, ma intanto vuole dire che l'epilogo è stato infausto.

GIUSEPPE CALDERISI, Relatore. E quello del 2008?

ROBERTO ZACCARIA. No, quello non è un precedente; comunque, ne parlerò dopo. Vedo che è animato da passione, lo capisco, però mi occuperò dopo di quanto detto dal relatore.
Si è discusso della natura interpretativa delle leggi o dei decreti-legge, della retroattività o meno. Si è toccato il vertice delle grandi questioni costituzionali, ma, nel migliore dei casi, vi sono un paio di commi interpretativi, tra l'altro quelli che non sono serviti, mentre l'onorevole Calderisi è andato a rintracciare precedenti di vivaci dispute giurisprudenziali, che, sinceramente, nessuno ricordava così determinanti, su profili del tutto secondari. Ma sulla questione per cui si è parlato di norma interpretativa, come ha detto il collega Favia molto chiaramente, non vi sono state dispute.
Ancora, si è discusso della compatibilità con l'articolo 3 della Costituzione, perché il favor electionis doveva valere per le grandi e le piccole formazioni, ma sono tutte cose che appartengono al passato. Si è discusso anche - e questo è utile ricordare - dell'articolo 122 della Costituzione, della competenza attribuita alle regioni, del delicato problema del rapporto tra le fonti.
Vediamo ancora questa giurisprudenza amministrativa, e riscopriamo il rinvio formale, quello materiale, recettizio. Troviamo cioè tutta una serie di capitoli delicatissimi; ma anche questi, a cosa serve evocarli ancora, visto che sono stati scartati? Allo stesso modo per il problema relativo all'inapplicabilità o incostituzionalità: chi legge le sentenze del TAR e del Consiglio di Stato vede che, pur partendo da presupposti diversi, in termini di interpretazione, si arriva alla stessa conclusione.
Si è discusso anche - e questo, permettetemi, veramente lo aggiungo in omaggio al relatore - delle prerogative del Capo dello Stato, e se n'è discusso in una maniera del tutto singolare. Credo che sia bene che restino tali punti nella nostra memoria: si è avanzata in Aula, e ancor di più in Commissione, una singolare teoria per cui il decreto-legge sarebbe una sorta di atto complesso, non del Governo come ritenevano i più fino a questo momento, ma del Governo e del Presidente della Repubblica; l'uno scrive il preambolo, l'altro scrive il testo. La teoria del decreto-legge attribuito a tali due soggetti, che concorrono con la loro volontà ad emanare Pag. 28il decreto-legge, è isolata nella dottrina e nella giurisprudenza: l'ho cercata nei manuali, ma non ho trovato conferme di questa ricostruzione scientifica.
Credo che il relatore abbia capito via via - andando avanti qualcuno gliel'ha detto - che questa tesi un po' «donchisciottesca» doveva essere abbandonata; e infatti oggi ne abbiamo avuto soltanto flebili accenni, quando si è parlato della motivazione che il Presidente della Repubblica avrebbe fornito nella famosa e-mail ad un cittadino che gli poneva domande. Vorrei almeno questo, che i morti riposassero in pace (considero defunto il decreto-legge) e che non venisse corredato di questa interpretazione costituzionale, perché sinceramente essa preoccupa non poco. Ma credo che il relatore l'abbia capito, e quindi l'abbia abbandonata lui stesso.
Mi avvio alla conclusione. Dicevo che tutte queste decisioni, che abbiamo ricordato, concorrono clamorosamente a sancire l'inutilità del decreto-legge e, sostanzialmente, pur con tesi diverse, la conclusione è unica: tutti convengono sul fatto che la vicenda è stato un pasticcio, e le norme che volevano rimediare sono un pasticcio peggiore della vicenda di origine. Ciò è chiaro: è scritto elegantemente nell'ultima sentenza del Consiglio di Stato. Non si tratta di una censura al legislatore sulla sua incompetenza (decreto-legge), ma poco ci manca. Devo dire che vi è una sorta di certificazione, che è fatta veramente al rallentatore alla moviola: se uno volesse vedere e rivedere quell'immagine di provvedimento inutile e malfatto, dovrebbe leggersi (esorto a tale lettura: non è sconvolgente, ma è certamente interessante) la decisione del Consiglio di Stato.
Vorrei aggiungere una cosa, per arrivare alla conclusione. Il decreto-legge è stato inutile; mi spiace che Calderisi abbia provato ancora stamattina a dire in Aula che vi sono stati dei casi che lo rendono utile: casi per la verità abbastanza marginali, e che sono passati abbastanza inosservati, però è bene che si sappia in Aula che in alcuni casi limitatissimi è stato utilizzato. Ha però poi detto una cosa che secondo me è decisamente preoccupante. Ha affermato che queste norme interpretative (che non sono tali) sono state utili in alcuni limitati casi, però ha anche detto che il legislatore dovrà approvare delle nuove norme per chiarire la materia; quanto ha ripetuto Favia un attimo fa. Ci aspettiamo quindi un altro decreto-legge interpretativo, che ci venga a spiegare come si deve organizzare la materia dopo questa vicenda. Questa è veramente una sorta di scalata di sesto grado: tornare sul tema, e con un'altra norma quasi interpretativa, mi pare decisamente una follia. Credo allora che l'epilogo più logico sarebbe stato quello che qualcuno ha già evocato qui: l'abbandono del decreto legge e l'approvazione di una norma che ne salvasse gli effetti.
Questo è l'elemento che una persona normale capisce: anche se vi sono degli effetti limitati, salviamoli e poi, se si deve tornare sulla materia, torniamoci dopo. Ritirare il decreto-legge è quindi la strada più onorevole, ma credo che questa strada, proprio per queste ragioni, non verrà percorsa (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Barbato. Ne ha facoltà.

FRANCESCO BARBATO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, voglio subito sviluppare un ragionamento sulla conversione in legge di questo decreto-legge in ordine alla incostituzionalità del provvedimento de quo, non tanto per far emergere ed evidenziare l'incostituzionalità del provvedimento stesso quanto soprattutto per far rilevare ormai la performance del free berlusconismo, cioè di questo very very free berlusconismo, che sta a significare proprio che vuole essere davvero sempre più libero dalle regole, dalle norme, dalla Costituzione che, come vediamo anche nel provvedimento corrente, diventa addirittura una palla al piede rispetto al free berlusconismo. Insomma, quando vi sono interessi specifici del berlusconismo che si infrangono con una Pag. 29norma e con la Costituzione, ecco allora che la Costituzione stessa diventa qualcosa di noioso, di inutile, di farraginoso per questo sistema, e quindi bisogna velocizzare: tutto questo davvero è pericoloso, davvero fa inorridire, perché le regole, le leggi, la Costituzione servono per fissare appunto la convenzione che deve regolare la convivenza civile, la convivenza democratica.
Insomma, io mi sento libero se sono prigioniero delle leggi e non il contrario; se so che vi sono delle regole che fissano i miei comportamenti, allora so che anche gli altri devono tenere quei comportamenti. Diversamente, se ognuno vuole fare come gli pare ci troviamo nella giungla, nel Far West più spietato, ed allora esci fuori per strada e quindi diventa anche normale che qualcuno ti rapini o ti ammazzi, perché le regole non esistono più, la Costituzione non vale più, le leggi non valgono più. Insomma, questo è il concetto fondamentale che questa mattina tengo a rimarcare con il mio intervento: si vuole sempre più uscire al di fuori della Costituzione e al di fuori delle leggi, come abbiamo visto con ripetuti, altri provvedimenti di tal segno (ricordo il legittimo impedimento).
Di norme incostituzionali ormai se ne vara una al giorno, perché alla fine in questo sistema del free berlusconismo tutto va stretto. Le regole, le leggi, la Costituzione non vanno bene, tutto ciò che si contrappone o si pone di traverso non funziona: e allora via tutto, ed anche in modo incostituzionale, senza neanche seguire gli iter procedurali necessari previsti dalla Costituzione stessa!
Ecco perché tutto diventa insofferente. Nei giorni della campagna elettorale ho seguito un'altra vicenda analoga, nella quale un simbolo della Lega Sud era stato impropriamente utilizzato - e pare venga impropriamente utilizzato anche in questo Parlamento da parte di un gruppo - ed è stato ritirato durante le elezioni regionali. Il 7 aprile ha avuto luogo un'udienza davanti ai giudici, che si sono riservati di esprimersi.
Allora, se non valgono più le leggi, bisogna intervenire dappertutto e muoversi di conseguenza. Se le leggi non valevano più, la Lega Sud, che intendeva ritirarsi dalla competizione elettorale delle regionali scorse in Campania, avrebbe potuto farlo tranquillamente, invece, poiché per grazia di Dio siamo ancora in una Repubblica democratica fondata su una Costituzione, si deve aspettare l'esito della decisone dei magistrati che il 7 aprile si sono presi 10 giorni di tempo per decidere sul da farsi; insomma è così che deve funzionare.
Vorrei, comunque, soffermarmi non solo sull'interpretazione autentica di queste disposizioni che regolano il procedimento elettorale, ma vorrei badare soprattutto ad un'altra interpretazione autentica, perché qui, questa mattina, stiamo davvero perdendo tempo sull'interpretazione autentica di un provvedimento inutile. Invece, secondo me, sarebbe molto più importante che il Parlamento e la politica cercassero di dare un'interpretazione autentica del rapporto tra le istituzioni, la morale e l'etica, del rapporto autentico tra la politica, la morale e l'etica; è di questa interpretazione autentica che probabilmente oggi questo Paese ha bisogno.
Sul corrente provvedimento, dove si parla di incompatibilità, di ineleggibilità dei consiglieri regionali, vi faccio una domanda: vi siete posti il problema in ordine all'incompatibilità e all'ineleggibilità, non solo dal punto di vista legislativo, ma anche da quello morale? Vi domando ciò perché purtroppo noi, troppo spesso, non ce lo poniamo tale problema, che io ho anticipato in quest'Aula in epoca non sospetta in cui ho sollecitato la politica, ho cercato cioè di dare una scossa alla politica indicando nomi e cognomi di persone che si riproponevano in politica. Su quelle incompatibilità, su quelle ineleggibilità, sulla questione morale, di cui tutti si riempiono la bocca, si predica bene e si razzola male e a me poi, purtroppo, tocca fare la Cassandra inascoltata in questo Parlamento. Pag. 30
Vi ho detto che in Campania, rispetto all'amministrazione fallimentare di Bassolino e del centrosinistra, personaggi che erano attorno al «bassolinismo» si sono ritrovati oggi, a piè pari, con il centrodestra. In questo modo che futuro stiamo dando alle istituzioni? Ho detto ciò in epoca non sospetta: verranno rieletti personaggi arrestati, camorristi e condannati. Vi ho parlato di consiglieri regionali che avevano questo status e questa veste e che stavano in quel «verminaio» del centrosinistra bassoliniano e che oggi costituiscono l'humus del nuovo consiglio regionale, delle nuove istituzioni. Allora, dove sta l'incompatibilità? Dove sta l'ineleggibilità? Dove sta la questione morale? Ecco perché qui si parla solo, si fa solo del chiacchiericcio: perché la politica non vuol prendere la strada maestra, che è quella di ricollegarsi alla morale e all'etica, al di là e prima delle leggi, al di là e prima della Costituzione. È questo quello che la politica non sta facendo oggi. Purtroppo, quando oggi si verifica che il centrodestra è identico al centrosinistra, si può trarre una sola conclusione e lo dico soprattutto per il sud, per il Mezzogiorno d'Italia dove maggiormente si registra il fallimento della politica.
Lì al sud oggi - vi parlo di oggi - è fallita sia la politica del PD sia quella del PdL, perché non è cambiato assolutamente nulla e non c'è alcuna discontinuità nella pubblica amministrazione, nei consigli regionali. Questo è l'aspetto più clamoroso e più inquietante, perché purtroppo - come è scritto ne Il Gattopardo, tutto cambia perché alla fine nulla cambi - alla fine ci stiamo dedicando solo alle solite elucubrazioni.
Su questo per la verità - voglio dirlo anche con grande chiarezza e con grande forza - noi, soprattutto come Italia dei Valori, dobbiamo tenere la barra dritta perché non possiamo più permettere che il Paese crolli a pezzi, come sta succedendo purtroppo nel Mezzogiorno d'Italia. Ebbene, malgrado tutto ciò noi sembriamo l'orchestrina del Titanic: continuiamo a suonare e a ballare, mentre la nave affonda. Questo sta succedendo: al sud il Paese sta affondando e noi qui parliamo dell'interpretazione autentica delle disposizioni che regolano il procedimento elettorale, e non parliamo invece del fatto che per lo stabilimento della FIAT di Pomigliano c'è un triste futuro e i lavoratori sono già in agitazione. Non parliamo dei lavoratori della Fma di Pratola Serra, dove si costruiscono i motori per la FIAT e per altre aziende e dove sono stati già licenziati in massa 67 lavoratori e per gli altri non c'è alcuna prospettiva.
Non parliamo dei lavoratori dell'Alcatel di Battipaglia che stanno fuori dallo stabilimento in un presidio permanente perché non hanno futuro, non hanno prospettiva. Non parliamo dei lavoratori della Telecom che il 28 marzo scorso hanno ricevuto una bella letterina dalla loro casa madre, dove si parla di uno scorporo di ramo d'azienda perché vogliono trasferire 1.200 lavoratori ad una Srl. Insomma ci fanno rivedere un déjà vu, quello che abbiamo già visto con Eutelia. Che fine fa questa gente? Ecco di che cosa devono parlare il Parlamento della Repubblica ed il Governo. Devono parlare di economia, di lavoro, di questa roba, e non fare queste elucubrazioni sulle interpretazioni autentiche della materia elettorale, dei pasticci, dei pasticciacci che sono stati realizzati.
Ecco perché noi, come Italia dei valori, vi continuiamo a scuotere per cercare di farvi ritornare sul pezzo. Ritornare sul pezzo significa parlare delle cose reali che interessano il Paese e i cittadini; occorre parlare delle cose vere, delle cose di cui hanno bisogno oggi i cittadini italiani. Oggi i cittadini non hanno bisogno di un'interpretazione autentica della legge elettorale, e men che meno hanno bisogno del semipresidenzialismo a doppio turno o del semipresidenzialismo a primo turno, della modifica dell'architettura costituzionale o di altre variazioni che si vogliono fare sulla Costituzione.
Oggi gli italiani e le italiane hanno bisogno di ben altro, perché non arrivano a fine mese, anzi ci sono famiglie che si stanno avvicinando sempre più alla povertà, e quindi non arrivano neanche a mettere il piatto a tavola di sera a casa. Pag. 31Qui c'è gente addirittura che non ha mai avuto un lavoro, come troppo spesso avviene nel Mezzogiorno d'Italia.
Ecco perché vi invito veramente a cambiare musica; altrimenti, cari colleghi e onorevole Presidente, noi qui rischiamo - ve lo stiamo dicendo da tanto tempo, ve lo sta dicendo Di Pietro da tanto tempo - che in questo Paese avvenga quello che è successo in Kirghizistan.
Vi ricordate nell'aprile, dieci giorni fa, cosa è accaduto? La gente non c'è la faceva più ed è andata ad assediare il Parlamento, è andata a prenderli con i forconi e il Premier è dovuto scappare. Voi state mettendo a rischio questo Paese perché lo mettete nella condizione che avvenga pure qui quanto è accaduto in Kirghizistan: infatti anche qui, tra non molto, verranno a prendervi con i forconi. Il Paese crolla a pezzi, il Paese è disperato, il Paese è esasperato ma soprattutto non vi sono risposte, non vi sono interventi, non c'è un'attività di Governo sull'economia e sulle politiche sociali. Insomma non c'è un'attività del Governo sugli ordini del giorno di questo Paese che non riesce ad andare avanti, di quest'economia che non va, di 20 mila esercizi commerciali che sono stati chiusi, di 28 mila aziende agricole che hanno fatto la stessa fine, del PIL che è calato ed è crollato. Ed il PIL è crollato soprattutto nel Mezzogiorno d'Italia rispetto a quello prodotto dai cittadini del nord d'Italia. C'è un Paese che viaggia a due tempi diversi.
Quest'anno - ricordatelo - ricorre il ventesimo anniversario della riunificazione della Germania che nel 1990 mise insieme la Germania dell'est con la Germania dell'ovest. In quell'anno la Germania si riunificò dove c'era la Repubblica federale e la Repubblica democratica; due entità con un divario fortissimo. Infatti, c'era la Repubblica democratica ovvero la Repubblica della Germania dell'est che grosso modo era nella stessa condizione del Mezzogiorno d'Italia, c'era un divario, un gap forte tra la Germania dell'est e quella dell'ovest come oggi c'è tra il sud e il nord dell'Italia. Ebbene, una politica di parificazione forte ha ricongiunto quella disparità. Oggi i cittadini tedeschi sono tutti uguali, oggi non esistono più tedeschi di serie «a» e di serie «b». In Italia, invece, esistono i cittadini di serie «a» e i cittadini di serie «b», anzi probabilmente quelli di serie «b» diventano sempre più di serie «c», «d», sino alla «z» perché il divario sta crescendo, come ci ha detto l'ISTAT il 16 luglio 2009, tra il nord e il sud del Paese. E questo divario che cresce porta ad una emigrazione continua di cittadini del sud che vanno verso il nord: ogni anno 300 mila italiani, uomini e donne del sud, vanno al nord per trovare nuove chance, per trovare un futuro. È come se una città medio-grande ogni anno si spostasse dal sud al nord Italia. Ma di questi fatti nessuno se ne accorge: il Presidente Berlusconi non se ne accorge, il Governo non se ne accorge, la maggioranza di centrodestra non vede questa situazione di sfascio allarmante.
Se continuate così vi prenderanno con i forconi tra non molto. Verranno qui a fare come hanno fatto in Kirghizistan. La gente non ne può più e voi continuate a portarci qui in Parlamento, nella prima giornata utile del Parlamento di questa settimana, ci propinate una discussione, la conversione in legge del decreto-legge n. 29, recante disposizioni in tema di procedimento elettorale. Voi veramente state provocando questo Paese! Non solo lo avete esasperato ma addirittura adesso lo state provocando perché tenete il Parlamento impegnato su argomenti di cui la gente se ne frega. Infatti servono semplicemente per risolvere i vostri pasticci: anzi, non sono serviti nemmeno a risolvere i vostri pasticci con le elezioni regionali nel Lazio. E, quindi, servono a dare una vostra identità sempre più precisa cioè di un Governo e di una maggioranza che bada solo ai propri interessi, che bada solo a curare i propri affari e non bada, invece, a governare questo Paese e purtroppo vediamo che sull'agenda politica non è cambiato nulla, sull'agenda politica continuiamo a sentire tra i leader del centrodestra questo battibecco su quale tipo di riforme bisogna fare, su quali riforme bisogna mettere prima il cappello e allora Pag. 32su quale tipo di Costituzione, su quale tipo di Governo si vuole, su quale tipo di presidenzialismo si vuole.
In questo per la verità - lo voglio dire fino in fondo - non deve farsi ingannare il PD, perché non può più inseguire il centrodestra sulla questione delle riforme, perché queste sono le solite cortine fumogene che sta creando Berlusconi per distrarre l'attenzione del Paese, per portare l'attenzione dell'agenda politica su cose che non interessano il Paese. Noi su questo dobbiamo davvero smarcarci in modo chiaro e netto, dobbiamo smarcarci dappertutto, anche negli enti locali, facendo la stessa cosa, cominciando dal comune di Napoli, dove ho sentito che la crisi è possibile e dove, anche lì, devo dire che l'Italia dei Valori non è stata decisa e determinata fino in fondo, perché si cerca di tenere in piedi la Jervolino. L'Italia dei Valori ha detto che si sarebbe astenuta rispetto alla possibilità di mandare a casa la Jervolino. Invece, non sono d'accordo, perché occorre una politica forte, determinata e convincente. Se la Jervolino vuole cambiare registro, azzeri tutto e cominci daccapo con il comune di Napoli. Se invece non va bene, non funziona, allora è meglio che vada a casa: questo dobbiamo dire, se veramente vogliamo costruire una politica nuova, se vogliamo essere un punto di riferimento convincente con i cittadini e far riconquistare fiducia nella politica e nelle istituzioni. Insomma, su questo dobbiamo essere - soprattutto il centrosinistra - molto determinati.

PRESIDENTE. Per cortesia...

FRANCESCO BARBATO. Concludo, signor Presidente.

PRESIDENTE. Onorevole Barbato, il mio richiamo non era per il tempo: era per i colleghi che parlavano.

FRANCESCO BARBATO. Signor Presidente, sono sempre ossequioso alle sue indicazioni o ai rilievi che fa, perché la prima cosa sono le istituzioni, che noi rispettiamo.
Signor Presidente, concludo nel seguente modo: la situazione in questo Paese è davvero difficile, è drammatica, ve lo dice chi vive nei territori, gomito a gomito con i cittadini, soprattutto respira le sofferenze e le difficoltà dei cittadini in particolar modo del Mezzogiorno d'Italia. Io non perdo un fine settimana, recandomi nei territori, anche il sabato e la domenica; sono giorni di lavoro al fianco dei territori, al fianco dei cittadini, al fianco dei problemi, cercando poi di portare qui la possibilità di soluzioni, perché è questo il compito della politica. Lo faccio soprattutto per una ragione: perché mi rendo conto che la politica è fallita soprattutto nel Mezzogiorno d'Italia. La politica è fallita soprattutto al sud: registrate queste parole che vi sto dicendo, perché è al sud che manca una politica, è al sud che continua a rimanere una situazione paludosa, gelatinosa, di intreccio tra la politica, il malaffare e un certo modo di fare impresa. È quello che deve cambiare, è innanzitutto rispetto a questa modalità che la politica deve riscattarsi e voltare pagina.
Purtroppo oggi non possiamo dire che è avvenuto, neanche a distanza di sette giorni dalle elezioni, perché è rimasto tutto come prima, non è cambiato nulla. Ciò probabilmente determinerà una reazione negativa ancora maggiore da parte dei cittadini.
A Napoli la gente ormai si è quasi rassegnata. L'altro giorno ho seguito una persona che è stata rapinata sul lungomare: le sono andati vicino con una pistola e l'hanno svaligiata. Fra tanta gente non è successo nulla, nessuno diceva nulla: sta diventando tutto così normale. Allora, occorre veramente prendere provvedimenti per cambiare la musica che sta laggiù. Occorre prendere iniziative che riportino davvero legalità e facciano diventare quei territori dei territori normali.
Altrimenti, l'assuefazione di oggi, il disamoramento continuo verso la politica e le istituzioni, da un momento all'altro, se vi è una scintilla, possono scoppiare e può Pag. 33crescere la tensione sociale. Poi, non si sa dove si va a finire, perché la situazione è davvero drammatica.
Mi avvio a concludere questo intervento. Continuiamo a fare anche ostruzionismo - come stiamo facendo come Italia dei Valori - soprattutto per una ragione: per cercare di farvi capire che siete «fuori traccia», che siete lontani dalle questioni vere del Paese e degli italiani. È un suggerimento; la nostra è una posizione costruttiva, con cui stiamo cercando di farvi ravvedere, di riportarvi «sul pezzo», sulla situazione italiana, che diventa sempre più tragica e drammatica.
Smettetela di portare in Parlamento questioni di lana caprina, come quella di oggi, che sicuramente non riguardano i cittadini e le cittadine italiani. Smettetela oggi con l'interpretazione autentica delle procedure elettorali. Domani si parlerà di un novello «lodo Alfano» o del semipresidenzialismo; di cosa parleremo il giorno successivo? Del sesso degli angeli? Smettetela, mettetevi sulla strada giusta della politica e, soprattutto, ricollegate la politica al bene comune, all'etica e alla morale.
Ricollegare la politica all'etica significa, oggi, essere davvero cristiani, perché significa interessarsi alla drammaticità, alla disperazione e alla sofferenza di tanti italiani e di tante italiane, che oggi non vedono un futuro e che soffrono. Tanti padri e tante mamme non riescono a portare il pane a casa: questo è il dramma del nostro Paese, di cui non si parla.
Noi, invece, vogliamo ridisegnare una nuova economia, l'economia del terzo millennio, è questo ciò che vogliamo fare. Vogliamo proporre per il Mezzogiorno d'Italia una «no tax area»; vogliamo iniziare dal federalismo fiscale, perché vogliamo responsabilizzare gli amministratori e la pubblica amministrazione: abbiamo bisogno di parole d'ordine precise.
Occorre serietà, occorre ordine nelle istituzioni, occorre legalità nella pubblica amministrazione! E dobbiamo smetterla con il voto di scambio, come avviene nel Mezzogiorno d'Italia, dove si vota solo perché «domani tu mi devi contraccambiare» un favore, un privilegio, una raccomandazione, un atto clientelare nella migliore delle ipotesi. Nella peggiore delle ipotesi, invece, si firmano cambiali alla criminalità organizzata, alla camorra.
Questa è la politica oggi. E oggi, purtroppo, dopo le elezioni regionali, abbiamo la prova provata di quanto vi abbiamo anticipato in Parlamento: nei consigli regionali, nel Mezzogiorno d'Italia - mi riferisco alla Campania, alla Calabria - vi sono consiglieri regionali del centrodestra arrestati e condannati per camorra! Vi sono consiglieri regionali del centrodestra condannati per peculato, sospesi dai prefetti e che fanno i consiglieri regionali! Vi sono consiglieri regionali che sono stati mandati a votare perché erano soggetti a provvedimenti cautelari. Ebbene, hanno votato (sono tornati al soggiorno che avevano) e il giorno successivo sono stati dichiarati eletti in consiglio regionale. Pertanto, con questo materiale umano nelle istituzioni, dove volete andare?
In conclusione, signor Presidente: ecco perché la politica oggi ha bisogno di ricollegarsi alla morale e all'etica. Prima delle leggi, prima delle norme anticorruzione, prima delle norme e prima della Costituzione, occorre che la politica mandi facce pulite nelle istituzioni. Questa è la prima riforma di cui abbiamo bisogno. L'Italia dei Valori spinge sempre su questo tasto perché in questo modo parliamo delle cose reali e soprattutto mettiamo facce pulite nelle istituzioni (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori)!

PRESIDENTE. Sospendo la seduta che riprenderà alle ore 14 con il seguito della discussione sulle linee generali del decreto-legge all'ordine del giorno.

La seduta, sospesa alle 13,35, è ripresa alle 14,10.

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Bongiorno, Caparini, Pag. 34Castagnetti, Fallica, Gregorio Fontana e Lucà sono in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente settantatré, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Sull'ordine dei lavori.

KARL ZELLER. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

KARL ZELLER. Signor Presidente, noi deputati della Südtiroler Volkspartei rinnoviamo il nostro cordoglio ai familiari delle vittime della tragedia ferroviaria in Val Venosta e la nostra vicinanza ai feriti e ai loro parenti. Siamo di fronte ad una tragedia che ha profondamente e duramente colpito la nostra provincia, la sua popolazione, le sue istituzioni e che ha suscitato un sentimento di solidarietà da parte della comunità nazionale attraverso la solidarietà del Presidente della Repubblica, Napolitano, e dei Presidenti delle Camere, del Governo con la presenza e le parole del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti Matteoli.
Le organizzazioni dei volontari insieme alla Protezione civile sudtirolese sono impegnate nelle attività di soccorso. Immediati sono stati gli interventi e la presenza per far fronte ad una situazione che ha presentato enormi difficoltà. Nella tragedia, com'è nella storia dei nostri territori, della nostra comunità, sono prevalsi la capacità di intervento e i sentimenti di appartenenza dei soccorritori e del Governo provinciale, che hanno operato sentendosi loro stessi in prima persona vittime ed interpretando con la massima efficienza possibile l'assoluta urgenza del soccorso ai feriti.
Il presidente della provincia autonoma di Bolzano, Durnwalder nella seduta straordinaria di ieri della giunta provinciale ha assicurato ai familiari delle vittime e ai feriti pieno sostegno sia nel caso di procedimenti legali per il riconoscimento delle responsabilità e dei risarcimenti, sia sotto il profilo economico nei loro confronti. L'inchiesta della magistratura, le valutazioni della società che ha in gestione la linea ferroviaria della Val Venosta, l'impegno delle istituzioni locali e, in primo luogo, la giunta provinciale di Bolzano, consentiranno l'accertamento delle cause, la valutazione delle modalità che hanno condotto alla tragedia, l'individuazione delle responsabilità.
In questa fase, così prossima al disastro, è possibile affermare che ciò di cui si è già a conoscenza evidenzia come la tragedia non abbia tra le sue cause la linea ferroviaria, che è tra le più moderne ed avanzate in Europa, dotata dei più efficienti sistemi di sicurezza e di prevenzione dei rischi. Oggi la provincia di Bolzano, che è in lutto, le istituzioni di governo e le organizzazioni di soccorso, di sicurezza e di volontariato sono impegnate in una situazione così drammatica senza prestare attenzione a polemiche strumentali. È in tragedie come quella che viviamo che la politica può avere dignità e le istituzioni possono preservare la loro autorevolezza se l'impegno è ad operare senza ragioni di parte e di natura politica.

GIANCLAUDIO BRESSA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIANCLAUDIO BRESSA. Signor Presidente, nell'esprimere il cordoglio del gruppo del Partito Democratico, e mio personale, alle famiglie delle vittime, e nel sottolineare la tragica fatalità che ha caratterizzato questo drammatico evento, in una delle ferrovie che per sistemi di sicurezza è all'avanguardia nel mondo, ci associamo in tutto e per tutto alle parole che ha testé pronunciato il collega Zeller, condividendo appieno il senso delle parole che lui ha voluto usare e portare in quest'Aula.
Avvenimenti di questo genere devono indurci a riflettere sulla straordinarietà degli eventi del dissesto idrogeologico che Pag. 35possono caratterizzare il nostro Paese. Infatti, se si pensa che in una realtà come quella dell'Alto Adige, che ha uno dei sistemi di protezione idrogeologica e dove tecnologicamente la linea ferroviaria è una delle più avanzate d'Europa, ebbene, se anche in quella terra possono accadere eventi così drammatici, la riflessione che questo Parlamento deve svolgere deve essere profonda ed immediata perché questa è una delle vere emergenze del nostro Paese, che purtroppo i drammatici fatti della Val Venosta sottopongono, ancora una volta, alla nostra attenzione. Noi non possiamo essere distratti perché altrimenti saremmo colpevolmente complici di quello che la fatalità e le vicende naturali possono talvolta causare.

GIORGIO HOLZMANN. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIORGIO HOLZMANN. Signor Presidente, mi associo a quanto hanno sostenuto i colleghi che mi hanno preceduto in ordine a questo evento, certamente imprevedibile, che ha colpito la popolazione dell'Alto Adige. Intervengo per sottolineare, come hanno già fatto i miei colleghi, che la nostra provincia è all'avanguardia per quanto riguarda la prevenzione di questi tipi di disastri e per la cura che viene riservata ai bacini montani e, in generale, a tutti i corsi d'acqua. Nonostante questo, purtroppo, l'imprevedibile può sempre accadere. È accaduto un fatto grave in un momento di percorrenza di questo convoglio che ha causato alcune vittime, alle quali esprimo la solidarietà e tutto il dolore da parte del gruppo che rappresento.
Tuttavia, il sistema di sicurezza è scattato immediatamente. Dopo cinque minuti le prime squadre di soccorso erano già presenti sul posto e questa efficienza dimostra anche che ciò che si spende, in materia di prevenzione e di protezione civile poi, quando è il momento, purtroppo è necessario.
Dunque, esprimo in questa sede il plauso a tutti coloro che si sono prodigati in questo triste evento e, in particolare, alle squadre di soccorso, ai Vigili del fuoco volontari e permanenti di Bolzano e anche alle autorità amministrative della provincia autonoma di Bolzano che, con grande tempestività, hanno affrontato questa situazione veramente drammatica. Esprimo, inoltre, il mio particolare sentimento di cordoglio a tutti coloro che sono stati colpiti da questa calamità.

FEDERICO PALOMBA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FEDERICO PALOMBA. Signor Presidente, l'Italia dei Valori si associa, con profonda commozione, ai sentimenti di dolore che hanno colpito le popolazioni dell'Alto Adige e, in modo particolare, le popolazioni che vanno da Malles a Merano, terre di gente seria, di gente che abbiamo imparato ad apprezzare. In particolare, mi sono recato tante volte in quei territori e, quindi, rimango ancora più profondamente colpito dal dolore per quello che è accaduto.
Non vogliamo sostituirci agli accertamenti tecnici del Ministero dei trasporti e delle infrastrutture e agli accertamenti giudiziari che la magistratura vorrà fare. Vogliamo, però, soltanto dire che l'imprevedibilità e l'imponderabilità non sempre esimono da responsabilità. Quindi, riteniamo che debbano essere fatte delle inchieste molto serie e molto severe, non tanto perché ricerchiamo la punizione dei colpevoli, quanto perché è necessario capire in profondità quali possano essere state l'origine e le ragioni di un disastro così immane. Se possono accadere degli eventi perfino in territori, luoghi e regioni dove tutto funziona bene e dove vi è una cura particolare affinché i servizi pubblici funzionino perfettamente, vuol dire che vi è ancora qualche cosa che dobbiamo fare per evitare che accadano simili disastri. Pag. 36
Attendiamo di conoscere dal Governo, nelle dichiarazioni che farà nelle prossime ore, come sono andati i fatti e se vi possano essere delle ragioni e delle cause umane che possano aver determinato questo gravissimo disastro. Nel frattempo, ci associamo ancora alle parole del collega Zeller, al quale, anche personalmente, rivolgiamo la nostra solidarietà e intendiamo esprimere, con tutto l'affetto, la solidarietà a quelle popolazioni così gravemente colpite.

MAURIZIO FUGATTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MAURIZIO FUGATTI. Signor Presidente, anche a nome del nostro gruppo intendo esprimere il cordoglio per le persone scomparse e la solidarietà alle famiglie delle persone coinvolte nei tragici fatti accaduti nella provincia di Bolzano e alla provincia autonoma di Bolzano e alle sue istituzioni. Oggi è una giornata di lutto in provincia di Bolzano.
Vi sono persone scomparse: come abbiamo visto, giovani e meno giovani, vittime di una tragica fatalità, perché poteva accadere cinque minuti prima, come cinque minuti dopo e nulla probabilmente sarebbe cambiato.
Si tratta di una terra che sappiamo essere governata con attenzione verso il territorio e le sue strutture, per cui che possa accadere un fatto di questo tipo in una terra in cui, per l'appunto, vi è questa attenzione per le proprie strutture e per il suo territorio, fa pensare che a volte può accadere purtroppo una fatalità e quanto non si pensa potrebbe accadere.
È giusto che le autorità competenti facciano le dovute verifiche, anche se ad una prima valutazione, personalmente riteniamo che in questo caso si tratti di una fatalità che purtroppo è accaduta. Quindi, esprimo nuovamente le condoglianze ed il cordoglio verso queste famiglie e la nostra vicinanza anche alle istituzioni della provincia autonoma di Bolzano.

PRESIDENTE. Ringrazio i colleghi intervenuti. La Presidenza ovviamente si associa alle parole espresse di solidarietà e di cordoglio.

Si riprende la discussione.

PRESIDENTE. Riprendiamo la discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 5 marzo 2010, n. 29, recante interpretazione autentica di disposizioni del procedimento elettorale e relativa disciplina di attuazione.
Ricordo che nella parte antimeridiana della seduta è iniziata la discussione sulle linee generali.

(Ripresa discussione sulle linee generali - A.C. 3273)

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ferrari. Ne ha facoltà.

PIERANGELO FERRARI. Signor Presidente, è davvero curiosa la condizione in cui ci troviamo oggi - non credo ci siano precedenti, perlomeno recenti - ossia quella della fase di conversione di un decreto-legge che non è servito a nulla per intervenire su ciò per cui era stato improvvisamente varato e che oggi è invece nella condizione di creare, se approvato, un rischioso precedente per le istituzioni del nostro Paese e per le norme liberali che lo regolano (o che dovrebbero regolarlo).
Comincio con una dichiarazione di stima. Poiché userò argomenti polemici nei confronti degli interlocutori del centrodestra e, in particolare, del relatore Calderisi - mi pare unico presente - lo vorrei fare facendo precedere una dichiarazione di rispetto per il diverso punto di vista. Non è formale la mia dichiarazione, perché l'onorevole Calderisi si è battuto, per la verità a lungo da solo, o quasi sempre da solo, con competenza - che gli è riconosciuta - per difendere una causa Pag. 37che, a mio avviso, è una causa persa, ma comunque vediamo in lui un interlocutore combattivo e una persona seria.
Dico questo perché è sostanzialmente da lui che vorrei iniziare e con la sua presa di posizione dell'inizio di marzo, che citerò tra un attimo. Questa mattina si sono sentiti brillanti interventi attorno ai nodi normativi e costituzionali. Io vorrei rimettere in campo una questione che era rimasta abbastanza in ombra questa mattina, quella della dimensione politica, per la rilevanza che ha l'evento, a nostro avviso, e la dimensione storico-politica della circostanza di cui ci stiamo occupando.
Perciò, partirei dal fatto: che cosa è accaduto, qual è l'evento che ha poi prodotto l'intervento del Governo con il decreto-legge di cui stiamo parlando oggi? È stato inefficace questo decreto-legge, ma agisce negativamente e tanto più lo farà se verrà convertito. Il fatto è molto semplice: è accaduto che il Popolo della Libertà non ha presentato la lista della provincia di Roma. Non l'ha presentata.
Infatti, se così non fosse, come si giustificano i giudizi severissimi dati dalla stampa di centrodestra? All'indomani di quell'evento Il Giornale (non l'Unità) titola «Un partito di matti» e scrive: «I soloni del partito [...] sono lì ad urlare che l'esclusione della lista è un attacco alla democrazia, ad elemosinare l'intervento di giudici e di Napolitano. [...] Ma quale attacco, meglio sbaraccare quel mostro burocratico che si sta creando fino a che si è in tempo, fare un atto di umiltà e chiedere una grazia. Chissà mai che arrivi». Questo era Il Giornale.
Il giorno dopo Libero titola: «PDL = polli della libertà» e scrive: «Dicono sia colpa dei radicali e forse pure del giudice che non ha chiuso un occhio sul ritardo nella presentazione delle liste. (...) Non sappiamo se ciò che è accaduto venerdì sia frutto di calcolo - noi tendiamo a non crederlo - ma di certo il risultato è di uno sfilacciamento e di una disorganizzazione che regnano sovrani». La stampa di destra conferma nei giorni successivi all'evento che si è trattato di un errore grave, consistito nella mancata presentazione della lista del Popolo della Libertà a Roma.
Del resto, lo stesso onorevole Calderisi - ecco perché l'ho citato inizialmente - il giorno successivo all'articolo e al titolo di Libero che ho citato dice: «Il fatto si commenta da solo. Ed è evidente che non c'è solo incapacità o coglionaggine.» - mi perdonerete, ma cito tra virgolette il termine scelto, che condivido peraltro, dall'onorevole Calderisi - «C'è una questione politica di gestione e di metodo - di lotta politica interna, di liste fatte e rifatte - che non può andare avanti così. Scivolare sulle regole proprio nella regione dove hai come avversario Emma Bonino e i Radicali che su questo hanno fatto la campagna e gli scioperi della fame! Ma dove ce l'hanno la testa? C'erano problemi politici? Si litigava su chi mettere in lista? Comunque, ad un certo punto dovevano dire stop e fermarsi. Nella prima Repubblica si faceva così» Attenzione, inciso: «magari a costo di preparare due elenchi: per fare vedere agli esclusi una lista con il loro nome e presentarne un'altra». Complimenti, onorevole Calderisi, credo che questo sia un suggerimento per la sua parte politica, noi non lo facciamo.

GIUSEPPE CALDERISI, Relatore. Non c'ero io!

PIERANGELO FERRARI. «Ovviamente in tempo». Presentare la lista. «Il vertice del partito non potrà non affrontare e risolvere la questione». Questa era ed è la questione, per bocca della stampa di destra e dell'onorevole Calderisi. Questi i primi giudizi impietosi. Sono giudizi veri, dati non soltanto dalla stampa e dall'onorevole Calderisi, ma - come io e i miei colleghi abbiamo avuto modo di citare in Commissione affari costituzionali - dati da ministri ed autorevoli esponenti della maggioranza di centrodestra che hanno individuato lì un errore imperdonabile del Popolo della Libertà di Roma.
Ma, ad un certo punto, di fronte alla ricusazione dei primi ricorsi (otto sono Pag. 38stati poi i giudizi di ricusazione infilati uno dopo l'altro), questo errore si trasforma in un reato. Infatti, il decreto-legge bisognava pure «appenderlo» a qualche argomento e, quindi, l'errore diventa il gravissimo reato portato alla democrazia, di cui si sono resi responsabili gli uffici elettorali.

GIUSEPPE CALDERISI, Relatore. L'ho sempre detto prima!

PIERANGELO FERRARI. Ma, riprendo una questione posta questa mattina dagli onorevoli Vassallo e, in particolare, Zaccaria, il recupero di questo strumento, forzoso e inopinato, è discutibile non soltanto perché il decreto-legge interviene su materia elettorale e non soltanto perché - come ha ricordato l'onorevole Zaccaria - interviene su materia elettorale a campagna elettorale aperta, ma è riprovevole politicamente, è un atto di arroganza politica che ha lasciato il segno e che resterà lì nella storia politica di questo Paese: è un decreto-legge che interviene su materia elettorale a campagna elettorale aperta a favore di una lista del partito del capo del Governo. Questa è la sostanza politica di ciò di cui stiamo parlando, questa la trasformazione nella versione del centrodestra di un errore in reato, l'intervento di un decreto-legge a favore di una lista del partito del capo del Governo. Questo è il vulnus portato alla democrazia, al di là delle diatribe causidiche sugli orari, la presenza dentro e fuori l'ufficio, il corridoio, la mano alzata, «sì però c'eravamo e avevamo addirittura alzato la mano», come dice l'onorevole Calderisi nella sua relazione in Commissione (battuta che ho apprezzato non abbia riferito più qui in Assemblea).
Dunque, siamo in presenza di questo fatto, non di altri fatti, di una forzatura politica e normativa. Ma qui si colloca la seconda rilevante questione politica che non può restare fuori da quest'Aula. In questa fase concitata tra l'errore ammesso e il reato scoperto in quei primi giorni di marzo il principale partito dell'opposizione, per bocca del suo segretario nazionale, vi aveva offerto una via d'uscita politica.
Bersani disse, quasi testualmente: riconoscete l'errore commesso nella presentazione delle liste nel Lazio e in Lombardia (si era ancora nella fase in cui il problema lombardo era aperto) e affrontiamo insieme la questione per una via d'uscita concordata. Non può rimanere in silenzio tale questione: noi non abbiamo approfittato, non abbiamo detto «avanti tutta, non se ne parla neppure»; abbiamo invece aperto uno spazio di confronto politico per trovare insieme una via d'uscita dalle condizioni che si erano determinate tanto nel Lazio quanto in Lombardia.
Qui si cita pro domo propria la firma del Capo dello Stato e la sua mail indirizzata a due tra i molti cittadini che hanno scritto sul sito del Quirinale. In quella risposta lo stesso Capo dello Stato fa riferimento alla mancata soluzione che noi avevamo offerto sul terreno della politica: sarebbe stata necessaria una soluzione politica; nei giorni scorsi era stata espressa preoccupazione - dice il Presidente Napolitano - anche da parte dei maggiori esponenti dell'opposizione, che avevano dichiarato di non voler vincere per l'abbandono dell'avversario o a tavolino; si era anche da più parti parlato della necessità di una soluzione politica. Il Presidente Napolitano non può difendere uno schieramento politico contro un altro: è garante super partes; ma in questa stessa mail in cui motiva peraltro le ragioni della sua firma e la legittimità del suo intervento, in qualche modo appende lo stato di necessità al dovere di intervenire con quel giudizio sul decreto, a quel via libera, per il fatto che un'altra strada andava imboccata e avrebbe dovuto essere imboccata, la strada che noi vi avevamo offerto e che voi non avete accolto, tra l'altro mettendo il Capo dello Stato in una condizione onerosa e difficile.
Questa è la questione di cui stiamo parlando oggi: è in dirittura d'arrivo un decreto-legge che è nato in quelle circostanze per quelle ragioni, con quella mancata assunzione di responsabilità, che avrebbe potuto essere condivisa, senza Pag. 39sbreghi alle norme e al tessuto liberale, che ancora resiste per ora in questo Paese.
Dalla vicenda noi ricaviamo due lezioni, che non mi sembra insignificante sottolineare qui. La principale, su cui sono intervenuti la maggior parte dei commentatori e tutta la stampa, è che siamo in presenza con questo decreto-legge della conferma di un costume, di una cultura, di una «incultura» istituzionale, quella della rottura delle regole del gioco quando il gioco è in corso, quella della democrazia privatizzata da un leader populista, quella delle leggi ad personam; quella cultura che ha portato, in neanche due anni di vita parlamentare e in 18 mesi effettivi (tolti i momenti vuoti), a oltre cinquanta decreti e a oltre trenta questioni di fiducia. In quel decreto, nella decisione di assumere questa iniziativa c'è questa «incultura» istituzionale, quest'arroganza politica, questo atteggiamento, che è psicologico prima ancora che politico, verso la democrazia concepita come propria e vantaggiosa quando difende i propri interessi e la propria utilità, e come un ingombro quando è chiamata invece a regolare l'interesse di tutti e a trovare vie d'uscita condivise.
Inoltre, la seconda lezione cui ci rimanda questa vicenda - lo dico citando frasi molto polemiche, ma che mi pare fotografino la realtà - è l'immagine di una mancata classe dirigente. Dentro questa vicenda ed anche in molte altre che l'hanno preceduta e accompagnata, siamo in presenza di un fallimento e del venir meno di un costume che dovrebbe essere quello di una classe dirigente: l'immagine è quella del Ministro della difesa che si acconcia a fare da buttafuori al servizio del Capo del Governo per impedire l'intervento di un giornalista freelance durante la conferenza stampa.
Oppure, l'immagine è quella dello stesso Ministro La Russa, il quale, all'indomani della mancata presentazione della lista del PdL, ha dichiarato: sia ben chiaro che noi rispondiamo delle nostre azioni. O ancora: sia ben chiaro che faremo di tutto - di tutto! - per far riammettere la lista.
Siamo in presenza, quindi, di atteggiamenti assolutamente deplorevoli, che vanno ricordati e stigmatizzati in ogni occasione, e in questa in particolare. Ciò accade nel momento in cui in Parlamento si arriva alla conclusione, speriamo con la bocciatura, dell'iter di questo decreto-legge. Tuttavia, sul fatto che questo giudizio sia condiviso, si è espresso un editoriale severissimo di un uomo che non ci ha mai lesinato critiche. Mi riferisco a Ernesto Galli della Loggia che non è certo nostro amico e il quale su di noi ha dato giudizi severi relativamente ad un riformismo troppo tiepido e a una carenza di leadership. È, dunque, un commentatore politico che posso citare proprio perché non è un compagno di strada della nostra parte politica. All'indomani di questa vicenda, ricavandone la lezione che faccio mia, Ernesto Galli della Loggia scrive: Il PdL è «una somma di rissosi potentati locali riuniti intorno a figuranti di terz'ordine, rimasuglio delle oligarchie e dei quadri dei partiti di Governo della prima Repubblica. E tra loro, mischiati alla rinfusa - specie nel Mezzogiorno, che in questo caso comincia dal Lazio e da Roma - gente dai dubbi precedenti, ragazze troppo avvenenti, figli e nipoti, genti d'ogni risma ma di nessuna capacità».
Voi potete anche vincere le elezioni, ma non potete aggirare - e c'è poco da ridere - questo che è un giudizio largamente condiviso, certamente da me, quindi mi assumo la responsabilità di ripeterlo qui, facendolo mio. Certamente immagino che nessuno pretenderà che io sia impedito nel farlo mio e nel ripeterlo. Galli della Loggia prosegue denunciando «il comando berlusconiano corazzato di un inaudito potere mediatico-finanziario» e ammonisce concludendo che la politica non è vincere le elezioni e poi comandare, come sembra credere il nostro Presidente del Consiglio. La politica è: prima avere un'idea, poi certo vincere le elezioni, ma dopo anche convincere un Paese e infine avere il gusto e la capacità di governare. Sono tutte cose a cui Berlusconi, invece, non sembra particolarmente interessato. Pag. 40
Berlusconi e la sua parte politica hanno vinto le elezioni, certamente nel Lazio. Fa bene l'onorevole Lorenzin, il cui intervento questa mattina ho ascoltato e apprezzato per la pacatezza, a rivendicare, contro la giustizia dei tribunali che non hanno ammesso la lista, la giustizia delle urne. Certo, la collega può farlo con noi legittimamente, perché noi rispettiamo e riconosciamo la giustizia delle urne e non abbiamo certo vinto noi le elezioni nel Lazio. Rispettiamo, tuttavia, e riconosciamo la giustizia delle urne segnando, anche lì, una differenza di stile nei confronti di chi ha voluto questo decreto-legge, segno di quella «incultura» di cui parlavo. La differenza, infatti, con Berlusconi è che quando lui perde le elezioni grida ai brogli, mentre noi prendiamo atto sia del risultato, sia della lezione che il risultato ci spedisce (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Monai. Ne ha facoltà.

CARLO MONAI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor sottosegretario, stiamo discutendo di questa stravagante conversione in legge del decreto-legge n. 29 del 2010, il cosiddetto salva-liste.
Cambiare le regole del gioco, mentre il gioco è in corso, è un atto altamente scorretto. La democrazia è una realtà fragile, che ha bisogno di essere sostenuta e accompagnata da norme e da regole, altrimenti non riusciamo più ad orientarci. Se, invece, dovesse essere diretta dall'arbitrio di qualcuno o se dovesse essere improvvisata ogni giorno, mancherebbe la certezza del diritto, dei rapporti e delle prospettive.
Non credo che in democrazia si possa fare una distinzione tra ciò che sono le regole e quello che è il bene sostanziale. Le regole non sono un aspetto accidentale del vivere insieme, ma ciò che detta il binario attraverso cui incamminarci.
La definizione giusta è stata quella del Presidente della Repubblica, quando ha parlato di un grandissimo pasticcio, di un brutto precedente, di un atteggiamento arrogante della maggioranza. Le regole sono a garanzia e a tutela di tutti. A questo punto si legittima ogni intervento arbitrario con la motivazione che ragioni più o meno intrinseche o pertinenti mettano in gioco un valore: oggi il valore della partecipazione e domani un altro valore.
Ci sono state manchevolezze, leggerezze e approssimazioni nell'affrontare il gioco democratico che non sono a favore di nessuno. Forse siamo impreparati ad una democrazia sostanziale. Ci nutriamo di parole come partecipazione e consenso, poi, quando tutto questo confligge con qualcosa che ci penalizza, invochiamo altri valori ed altre soluzioni estemporanee per riparare ai guasti di chi ha improvvisato e sbagliato.
Mi perdonerà Monsignor Domenico Mogavero, che è il responsabile della Conferenza episcopale italiana per gli affari giuridici, se ho citato testualmente le sue critiche a questo provvedimento espresse in un'intervista resa a Radio vaticana.
Il nostro giudizio è anche più salace e critico, perché con questo provvedimento, come è stato già ricordato, il Governo Berlusconi ha cambiato le regole del gioco nel corso della partita elettorale. È un'operazione che presenta criticità legislativa. È stato ricordato l'articolo 72, ultimo comma, della Costituzione, che stabilisce una riserva di procedimento assembleare per l'approvazione diretta delle Camere nei casi in cui si discutano disegni di legge in materia elettorale; è stato citato l'articolo 15 della legge n. 400 del 1988, che vieta al Governo di intervenire con decreti-legge in materia elettorale; è stata criticata l'incostituzionalità di queste norme sotto vari profili: ricordo l'ordinanza del TAR che ha escluso l'applicabilità di questa normativa rispetto ad una competenza legislativa riservata alle regioni dagli articoli 117 e 122 della Costituzione.
Ci sono quindi molte criticità legislative di ordine costituzionale che sono state anche dibattute in quest'Aula qualche settimana fa, in occasione delle questioni incidentali di legittimità costituzionale. Ma quello che più sconcerta è che, da una Pag. 41parte, il Governo fa tribune nelle quali, oltre ad insultare gli organi di garanzia primaria che abbiamo a livello repubblicano, la Corte costituzionale in primis, sottolinea l'assenza di poteri in capo al Governo, come se fosse dimidiata la sua possibilità di iniziativa politica, e, dall'altra, in meno di ventiquattro ore, ha risolto politicamente il caso delle liste bloccate o escluse nella regione Lazio con un decreto-legge, che adesso impone all'approvazione delle Camere.
Voglio anche fare mente locale su quello che è successo nelle notti precedenti a quella del 5 marzo del 2010. Lo ricorderete: c'era stata la difficoltà da parte degli uffici elettorali e da parte del TAR di ritenere presentata una lista nonostante che i delegati non fossero presenti alla cancelleria entro l'orario stabilito, poiché i delegati del Popolo della Libertà erano arrivati in ritardo con i faldoni, a termini scaduti.
Di fronte a questa democrazia in difficoltà, perché certamente il diritto di voto veniva in qualche modo negato a tanti cittadini, il primo a parlare di soluzione politica fu il presidente dell'Italia dei Valori, onorevole Di Pietro, il quale, rendendosi conto di questa difficoltà a garanzia del voto democratico, aveva anche dato un'apertura significativa alla possibile scelta politica di trovare una soluzione condivisa.
A questa apertura che cosa è seguito? È seguito un atteggiamento golpista da parte del Premier, che, more solito, ha inneggiato al complotto ai danni della sua parte, ha accusato i magistrati della solita faziosità e ha rimarcato la violazione di norme a suo scapito e atteggiamenti quasi violenti e ritorsivi da parte di alcuni esponenti del partito radicale, che avevano avuto solo la colpa di impedire la presentazione tardiva di questa documentazione.
Si è quindi spostata la partita politica di una possibile ricucitura nella logica di una ragionevole soluzione ad un problema vero con questa pantomima, efficace peraltro, visti i risultati elettorali (non per niente noi dell'Italia dei Valori stiamo da anni insistendo sull'emergenza del conflitto di interessi, che si manifesta ogni giorno che passa in maniera compiuta di fronte ai risultati elettorali e alla consuetudine di mistificare la realtà che i media asserviti al Premier continuano a propinarci); si è spostata l'attenzione da una possibile soluzione ragionevole ad un braccio di ferro contro la magistratura, adesso contro il Parlamento e poco prima, se ricordate, contro il Presidente della Repubblica.
Quest'ultimo, da Bruxelles, intervistato da una giornalista, sbottò in maniera molto risoluta che di soluzioni politiche avrebbe potuto cominciare a parlarsi solo se qualcuno gli avesse spiegato di cosa si trattava, quasi a tagliare corto su questo tema di una modifica in corso d'opera delle leggi elettorali attraverso lo strumento della decretazione d'urgenza.
Quello che lascia un po' stupiti è che, nel giro di poche ore - quella sera il Presidente Napolitano rientrava da Bruxelles e ricordo che il Presidente Berlusconi aveva già convocato un Consiglio dei ministri nottetempo, proprio per varare questo abominio giuridico -, il Presidente Berlusconi salì al Colle, uscitone dopo qualche tempo sconvocò il Consiglio dei ministri e i giornali commentarono che vi era stata una ferma opposizione da parte del Presidente della Repubblica a soluzioni di questo tipo.
La mattina seguente, viceversa, ecco di nuovo convocato il Consiglio dei ministri e il parto di questo decreto-legge, che, con una soluzione ardita e, a mio giudizio, mistificatoria, introduce delle sostanziali modifiche a un ordinamento consolidato, molto rigoroso se vogliamo, ma che ha una sua logica nel garantire la trasparenza delle operazioni elettorali nella loro stessa iniziale opera di concepimento e di presentazione, attenuando tutta una serie di formalità, che sono sempre state giudicate ragionevoli e rigorose dalla magistratura, senza che mai vi fossero stati dei conflitti giurisprudenziali al riguardo.
Con lo strumento del decreto-legge interpretativo si è, in qualche modo, fatta passare la tesi che non si facevano modifiche sostanziali, ma che si andava semplicemente Pag. 42a chiarire ai magistrati che si stavano per occupare di questa vicenda la portata delle norme già precedentemente in vigore.
A mio giudizio, è un'operazione di architettura giuridica che sfiora l'aspetto diabolico: se il Governo avesse fatto un decreto-legge innovativo, al di là delle conseguenze politiche e delle rimostranze che, probabilmente, il Presidente Napolitano avrebbe mantenuto su un'eventualità di questo tipo, la conversione in legge da parte di queste Camere avrebbe avuto un'efficacia sanante ed essenziale affinché quella normativa potesse sopravvivere ai risultati elettorali.
Il fatto di aver adottato lo strumento interpretativo aveva una logica molto chiara e perspicua, che era quella di obbligare i giudici del TAR del Lazio ad assumere una certa decisione in conflitto con l'ordinamento legislativo vigente, con l'esito di veder consumati gli effetti del decreto-legge in una sentenza, che ovviamente ci si aspettava fosse favorevole, con la conseguenza che una volta che la sentenza avesse esplicitato il principio di diritto sul caso concreto, ben poco importava dal punto di vista politico, legislativo e normativo che il decreto-legge fosse poi convertito: se anche non fosse stato più convertito e fosse decaduto, esso aveva già raggiunto il suo scopo, che era la sentenza favorevole ad una certa decisione cui avrebbe obbligato i giudici piuttosto che a quella che già si sapeva scontata, se non vi fosse stato questo pugno battuto sul tavolo da parte del Premier.
È quindi un modo di interpretare la democrazia e la legalità, che poteva effettivamente essere partorito solo da questa maggioranza e da questo Presidente del Consiglio, che ci ha già abituati del resto a casi molto stravaganti rispetto allo Stato di diritto, con leggi ad personam, fatte per processi in corso, che modificano i principi del legittimo impedimento piuttosto che del processo accusatorio. Ricordo a suo tempo la norma che ha di fatto impedito l'utilizzabilità degli atti di indagine penale compiuti dal pubblico ministero in presenza del difensore, che non potevano più essere utilizzati come prova nei procedimenti già avviati e per i quali già la fase delle indagini preliminari fosse esaurita. Si tratta di norme assolutamente destabilizzanti, che hanno determinato conseguenze molto pregiudizievoli proprio nei procedimenti, nella logica della certezza del diritto e nell'efficacia del processo.
La norma in esame, dicevo, è stata concepita come un escamotage, che ha palesato non solo l'incostituzionalità per tutti i profili che abbiamo già evocato, ma anche la sua inutilità, perché il TAR del Lazio correttamente non l'ha neppure applicata; ciò sulla premessa che, avendo la regione Lazio già legiferato in materia, ed avendo essa in quella competenza una riserva costituzionale legislativa, di fatto il Governo non poteva invadere il campo introducendo norme che in quella regione non avevano applicazione. Vi è stata quindi anche una dimostrazione di muscoli da parte del Premier, che gli si è ritorta conto come un boomerang, perché comunque quella decisione, che doveva essere modificata, non lo è stata per l'inapplicabilità della normativa.
Sappiamo poi come sono andate le cose: nonostante tutti questi stratagemmi e queste alchimie giuridiche, la Polverini ha vinto ugualmente nel Lazio. Ma certo è che il provvedimento allora è stato giudicato deleterio e golpista: tant'è che ricordo molta indignazione da parte non solo di rappresentanti politici ma anche di eminenti costituzionalisti, e ricordo Piazza del Popolo gremita di cittadini onesti che hanno manifestato la loro indignazione e la loro disaffezione verso tale modo di legiferare e di governare. Nonostante tutto questo, dicevo, la Polverini ha vinto lo stesso le elezioni: vi è stato quindi un favor electionis «Polverinis», che alla fine ha comunque ottenuto un risultato utile.
Mi domando allora: se ormai stiamo discutendo di una normativa che per la gran parte ha perso di significato, dato che molte di queste norme erano legate proprio a questa elezione, addirittura introducendo una riapertura di termini, addirittura ripristinando dei termini per la Pag. 43pubblicazione degli avvisi da parte dei sindaci nuovi e diversi da quelli precedenti, perché volete insistere su questa strada?
Perché umiliare il Parlamento e il popolo italiano con provvedimenti di questa portata, così offensivi per lo stato di diritto e per chi ritiene che la legalità sia ancora un bene da tutelare? Ritiratelo! Avete vinto comunque le elezioni, la capacità mediatica del Premier ha pagato di nuovo, evitateci questa sofferenza e ricordate che nel 1995 - in quell'unico precedente in cui vennero prolungati di due giorni i termini per la presentazione delle liste - la Camera all'unanimità bocciò la conversione in legge. E si trattava di un decreto-legge che, a differenza di questo, era intervenuto quando ancora erano aperti i termini di presentazione delle liste e li aveva prorogati secondo il principio di diritto che un termine può essere anche prolungato a condizione che non sia già spirato, cosa che invece adesso voi avete fatto nonostante quei termini fossero già ampiamente scaduti e su quella materia fossero già state pronunciate decisioni degli uffici elettorali piuttosto che della Corte d'appello o del TAR.
È un atto di una gravità politica inaudita che introduce nel nostro ordinamento, ove venisse convertito il decreto-legge, un regime del tutto evanescente, impreciso ed opaco in una materia così importante qual è quella della presentazione delle candidature e delle liste.
Mi fa specie leggere nella normativa la disposizione dell'articolo 1, comma 2, che voglio qui richiamare e citare, che stabilisce il principio secondo cui «la regolarità dell'autenticazione delle firme non è comunque inficiata dalla presenza di una irregolarità meramente formale quale la mancanza o la non leggibilità del timbro della autorità autenticante, dell'indicazione del luogo di autenticazione, nonché dell'indicazione della qualificazione dell'autorità autenticante, purché autorizzata».
Qui c'è veramente un vulnus a quel principio di rigore formale e di certezza del diritto che è coessenziale alla necessità che le elezioni si svolgano in maniera trasparente ed anche solenne, in quanto momenti topici della democrazia.
Signor Presidente, mi verrebbe allora voglia di esprimere alcune proposte emendative. Ad esempio, con riferimento a questa norma che ritiene superflua l'indicazione della qualificazione dell'autorità autenticante e che non si interessa del timbro dell'autorità autenticante né del luogo dell'autenticazione, proverei a suggerire alla maggioranza un emendamento secondo il quale la regolarità delle autenticazioni non è inficiata se la firma dell'autenticatore è sostituita dall'impronta di un gatto, perché questo quantomeno darebbe una qualche parvenza che qualcosa o qualcuno abbia effettivamente fatto un'impronta sul modulo, cosa che a leggere la norma non è neppure più necessaria perché non si parla più del luogo, del timbro o della qualità dell'autenticatore: a questo punto, le liste del PdL potranno essere presentate anche con l'impronta del gatto affinché possano essere ritenute ammissibili.
Inoltre, è stravagante la proposta di ritenere assolto il principio della presentazione tempestiva qualora «i delegati incaricati della presentazione delle liste, muniti della prescritta documentazione, abbiano fatto ingresso nei locali del tribunale», come se all'ingresso dei tribunali dovesse esservi una sorta di gendarme con la capacità di individuare e di riconoscere i delegati delle liste e di controllare se al loro fianco o sotto le loro mani si nascondono le documentazioni che, peraltro, è la cancelleria del tribunale che deve verificare essere correttamente presentate.
Allora, anche su questo abbiamo presentato una proposta emendativa che intendo svolgere: stabiliamo che la documentazione e la presentazione delle liste siano ritenute corrette se i delegati abbiano fatto ingresso, non tanto nei locali del tribunale, ma - perché no - nei parcheggi, visto che in qualche modo anche questi sono pertinenze significative che testimoniano il fatto che il delegato si è presentato all'ufficio delegato a ricevere questa documentazione. Così continuando Pag. 44andremo paradossalmente a rimarcare le criticità di questo provvedimento che ha lo scopo precipuo di sanare una violazione che non è tanto una violazione formale, ma è la dimostrazione eclatante dell'approssimazione, dell'incapacità, della spregiudicatezza, che il Popolo della Libertà ha esibito in questa delicata partita della presentazione delle liste. Si è parlato di delegati che sono andati a mangiarsi il panino, di delegati che hanno abbandonato dei faldoni sulle sedie per uscire un attimo dal tribunale. In realtà, sappiamo che questa vicenda è legata a conflitti interni al Popolo della Libertà, a brogli e a pasticci che questo provvedimento oggi cerca di attenuare e sanare.
Ma visto che non serve più, e visto che quello che sopravviverebbe alle elezioni del 28 e del 29 marzo andrebbe soltanto a fare danno all'ordinamento elettorale, perché dovete insistere? Ritirate questo provvedimento di legge o fatelo almeno decadere. Noi, come opposizione, ci siamo impegnati a rendervi la vita difficile, a fare un po' di ostruzionismo. Sappiamo quanto siate sordi alle nostre richieste e ci meravigliamo non di meno che, ancora oggi, dopo i successi elettorali, siate qui ad indulgere sul dialogo sulle riforme, sul presidenzialismo alla francese o sul semipresidenzialismo che dir si voglia, come se i cittadini italiani sapessero di cosa stiamo discutendo o si riempissero la pancia, che sappiamo non essere più tanto alimentata per le ristrettezze economiche che ormai attanagliano le imprese e le famiglie nel nostro Paese.
Vi sfidiamo a togliervi la maschera, ad affrontare le questioni prioritarie e le emergenze vere del Paese, a non indugiare su questo mantra delle riforme che da vent'anni continuiamo a discutere e di cui non conosciamo i contenuti, né quali siano i vostri obiettivi e le vostre finalità. Vi chiediamo di tenere come priorità assoluta le esigenze dell'economia italiana che vede una spesa pubblica ancora più alta, le nostre imprese chiudere, le importazioni crollare e le esportazioni scendere in maniera vertiginosa. Gli incentivi all'acquisto come quello delle cappe da cucina sono dei «pannicelli».
È curiosa questa particolare attenzione che avete posto sulle cappe da cucina. Sappiamo che dietro questo provvedimento potrebbero nascondersi interessi di bottega molto forti che riguardano la società Elica, appannaggio di un senatore del Popolo della Libertà, evidentemente caro al Premier Berlusconi. È una provvidenza anche questa molto singolare, perché il contributo più alto che prevedete è proprio per l'acquisto di cappe da cucina, come se queste fossero un bene indispensabile per le famiglie italiane; anche su questo terreno, quando se ne discuterà, vi incalzeremo.
Se voi volete narcotizzare la discussione politica italiana, distogliendola dai temi veri del Paese per spostarla su queste edulcorate disquisizioni sulle riforme (che ancora oggi non sappiamo in che cosa consistano e che vengono in qualche modo disegnate con francesismi del tutto evanescenti rispetto ai contenuti e alle proposte concrete), noi, appunto, vi chiediamo maggiore concretezza e maggiore afferenza ai problemi dei cittadini. Non meravigliamoci e non protestiamo, caro Ministro Maroni, invocando una responsabilità della politica rispetto alla disaffezione al voto e all'assenteismo dalle urne, se poi a urne aperte il primo tema che diventa un tormentone quotidiano è quello delle riforme e del dialogo. Ne abbiamo già parlato troppo. Diamo priorità alle cose reali e ai problemi veri che il Paese ha e che i cittadini ci chiedono di risolvere.
Un'ultima battuta: quello che avete fatto con questo provvedimento è come quello che potrebbe succedere durante una partita, ad esempio a un derby tra Milan e Inter. Se un giocatore del Milan segnasse un gol con la mano, cosa fareste? Ci aspetteremmo un decreto-legge interpretativo del regolamento della FIGC che, equiparando per quella partita la mano al piede, darebbe la vittoria a tavolino al Milan? La vostra squadra qui oggi ha vinto lo stesso, magari per 8 a 7, e non vi serve più imporre agli sportivi italiani il Pag. 45gol fatto con la mano. Abbandonate questa strada e tornate su un principio di legalità e di rispetto degli organi costituzionali e della nostra Repubblica perché questo provvedimento crea una forte lacerazione e un pessimo precedente sulla strada della legalità (Applausi dei deputati dei gruppi Italia dei Valori e Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Palomba. Ne ha facoltà.

FEDERICO PALOMBA. Signor Presidente, in realtà pensavamo che questo decreto-legge non sarebbe stato sottoposto a conversione. Stiamo discutendo su qualcosa d'inutile, di illegittimo e anche di malizioso, perciò noi auspicavamo che il Governo, in un sussulto di orgoglio o di decenza, avrebbe ritirato questo decreto-legge (lo avrebbe fatto decadere), ma forse non ha avuto neanche il coraggio di assumere questa determinazione perché pensava che avrebbe comportato il riconoscimento di una vergogna inserita nel nostro ordinamento giuridico, un ordinamento civile che si riconnette a regole precise e che non avrebbe dovuto sopportare l'onta e l'ignominia di un tale provvedimento.
È un provvedimento assolutamente inutile, come avete potuto constatare. È inutile perché, malgrado abbiate cercato di truccare i dadi, di cambiare le regole durante la partita, di cambiare il corso normale degli eventi in una competizione elettorale regolata da norme pluridecennali (avete preferito cercare di modificare la natura stessa della legislazione in materia elettorale), questo decreto-legge non ha prodotto risultato alcuno, se non quello di operare un vulnus profondo nel nostro ordinamento (ma di questo parlerò dopo).
Adesso parliamo di una normativa inutile che non ha trovato applicazione alcuna: per quale motivo? Perché le istituzioni di garanzia delle quale voi non vi fidate, dalla prima all'ultima, dalla più elementare a quella più alta rappresentata dalla Corte Costituzionale, hanno fatto il loro dovere, il loro mestiere come se voi non aveste emanato questo provvedimento. È stato fatto in Lombardia dove le istituzioni a ciò preposte hanno riammesso le liste in un primo tempo escluse e, quindi, questo decreto-legge non è servito proprio a niente, è servito soltanto a far capire che voi volevate truccare le carte, ma quello che doveva essere fatto dalla giurisdizione amministrativa è stato fatto.
È stato inutile anche nel Lazio malgrado i vostri reiterati tentativi di adire i nove gradi di giurisdizione. Per dir la verità non tutti i nove sono gradi di giurisdizione: infatti, i primi gradi sono gradi di deliberazione presso istituzioni di garanzia come gli uffici centrali circoscrizionali che non sono esattamente giurisdizionali. Comunque, avete adito tutti i possibili gradi di valutazione del procedimento elettorale e, anche in questo caso, le agenzie preposte al controllo di legalità hanno fatto il loro dovere magari con un risultato diverso da quello che voi auspicavate e da quello che è stato in Lombardia ma pur sempre, con rigore, con coerenza giuridica affermando la legge, dicendo ius.
Questo è accaduto malgrado voi abbiate cercato di modificare le regole durante la partita e lo hanno affermato con ragionamenti giuridicamente rigorosi, in qualche modo anche costretti a farsi beffa di una normativa posticcia, che voi avete inserito in un procedimento elettorale pretendendo di modificarlo. Avete fatto una brutta figura, ma davvero brutta. Si è dimostrato peraltro che non ne avevate bisogno. Si tratta di capire solo perché gli italiani, alcuni italiani, una parte degli italiani non capiscano i trucchi che voi fate e non capiscano che tutti i vostri pensieri sono volti a cambiare le cose a vostro favore, a modificare le norme, a modificare le regole per trarne un vantaggio, in questo caso una legge ad listam o ad listas. Ma questo è altro discorso. Il perché gli italiani non capiscano quello che voi state producendo, le ferite profonde che state producendo è un discorso che attiene alla scienza della politica, alla filosofia della politica e anche alla filosofia della comunicazione Pag. 46che voi sapete fare molto bene, conoscete molto bene e che sapete soprattutto occupare molto bene.
Questo decreto-legge è inutile ma è anche profondamente viziato da illegittimità.
Vi è un'illegittimità sostanziale, un'incostituzionalità naturale, un'illegalità intrinseca immanente che consiste proprio nel fatto che voi, i vostri rappresentanti e i vostri cosiddetti dirigenti, commettono errori clamorosi, verosimilmente viziati o determinati anche da vostri dissidi interni, dal fatto che anche al vostro interno cambiate le carte in tavola o volete vicendevolmente imbrogliarvi, togliendo qualcuno e mettendo qualcun'altro (a stare ai vostri giornali, quelli che vi sono vicini, questa sarebbe l'origine di quel grave errore).
Ma è intrinsecamente illegittimo, come dicevo, perché avete voluto coprire vostri errori, addebitandoli poi ad una fantomatica sinistra che determinerebbe le decisioni degli organi di garanzia; organi quest'ultimi che in alcuni casi si sono pronunciati come voi volevate, ma quando non si pronunciano come voi volete, allora quello è il momento in cui voi ritenete che si tratti di giudici corrotti - politicamente corrotti, naturalmente - che ce l'hanno con voi.
Quindi avete voluto ugualmente emanare un decreto-legge intrinsecamente illegittimo, perché viziato dalla volontà di riparare con una legge ad un vostro errore, in questo modo emanando un ulteriore provvedimento fatto a favore di certe persone. Quindi, è una legge non generale ed astratta, ma una legge molto particolare, non direi un privilegium, perché privilegium è una lex in privos lata, cioè fatta contro qualcuno, ma è una lex pro privis lata comunque, cioè una legge fatta a favore di qualcuno e a favore vostro naturalmente, non a favore di chi compete lealmente con voi anche nella sede elettorale. Si tratta di un provvedimento strutturalmente, intrinsecamente, profondamente, nella sua natura intrinseca illegittimo, perché volto ad esercitare una torsione sull'ordinamento giuridico italiano, per raggiungere un obiettivo affatto personale.
È un provvedimento illegittimo anche sostanzialmente: avete violato la Costituzione nella parte in cui avete interferito con un decreto-legge sul procedimento elettorale, cosa che la Costituzione vi vieta. Lo avete voluto fare lo stesso per la paura che avevate che la competizione elettorale vi potesse sfavorire, allora avete voluto esercitare questa ennesima forzatura della Costituzione. Non è la prima che fate: ne fate tante, le reiterate e le ripetete, malgrado la Corte costituzionale spesso vi dica costantemente che avete fatto una cosa illegittima. Quindi non solo avete dato vita ad un decreto-legge inutile, ma avete dato vita ad un decreto-legge illegittimo, intriso di illegalità, perché avete violato numerose disposizioni di legge.
È illegittimo anche perché avete introdotto una grave ferita nell'ordinamento giuridico italiano: avete cioè qualificato come norma interpretativa delle disposizioni che invece innovano profondamente in un procedimento delicato e sottoposto a particolari garanzie dalla Costituzione. Avete voluto fare una legge che avete chiamato interpretativa, ma che in realtà cambiava sostanzialmente le regole del gioco e le cambiava in corsa, durante la partita. Avete chiamato «procedimento legislativo di interpretazione autentica» un procedimento legislativo che in realtà inseriva ed introduceva elementi di profonda modificazione della legislazione preesistente, cioè elementi di novità tale da non consentire che fossero qualificate come norme di interpretazione autentica.
A questo punto, saldo la seconda caratteristica del provvedimento in oggetto, relativa all'illegalità, a quella della maliziosità. La malizia profonda che si può riscontrare nel testo normativo in discussione è rappresentata dalla seguente considerazione: in questo modo, avete tentato di legittimare l'idea che, mentre si stanno esprimendo istituzioni di controllo e di garanzia di diverso livello, il legislatore possa intervenire per imporre alle istituzioni stesse che si stanno pronunciando come devono farlo. Questo è l'elemento Pag. 47più grave tra tutti quelli che si possono riscontrare nel provvedimento normativo in oggetto.
Ipotizziamo che passi la regola per cui l'Esecutivo, che controlla e domina il Parlamento (composto non da eletti ma da nominati), possa chiedere di schiacciare con un dito un bottone, per stabilire che è consentito all'Esecutivo (e al Parlamento, che gli tiene bordone) inserirsi ed interferire in un procedimento giurisdizionale o, comunque, in un procedimento di garanzia in corso, con una legge che chiamate di interpretazione autentica, ma che, in realtà, è diretta a stravolgere il corso del provvedimento. Ebbene, se passasse tale regola, avreste realizzato la «tempesta costituzionale perfetta»: il controllo dell'Esecutivo attraverso un Parlamento che ad esso è asservito, nonché il controllo della funzione di garanzia e della funzione giurisdizionale.
In altre parole, avete stravolto il principio della separazione dei poteri. Se passasse questa vostra idea, l'Esecutivo potrebbe ritenersi legittimato, d'ora in poi, ad interferire tra il primo e il secondo grado di giudizio con una norma di interpretazione, secondo la quale una sentenza sgradevole è sbagliata, perché ha dato un'interpretazione di una norma che avrebbe dovuto, in realtà, essere interpretata - a vostro avviso - in modo diverso e come avreste voluto. Ecco qual è la malizia intrinseca al provvedimento in oggetto, oltre a tutti gli altri aspetti negativi.
A pensare male si può far peccato, ma spesso ci si indovina: non vorremmo che il provvedimento in discussione, inutile ed illegittimo, rappresentasse anche il cavallo di Troia attraverso il quale l'Esecutivo possa pensare di interferire nel procedimento di garanzia e in quello giurisdizionale, dicendo alle agenzie di controllo di legalità che hanno fatto male ad interpretare la norma come hanno fatto in primo grado, e che i giudici dovranno interpretarla in secondo grado in un altro modo.
Guardatevene bene, perché adesso volete fare delle riforme, ma state ponendo in atto (già le avete poste in atto ripetutamente e, ripetutamente, le abbiamo denunciate) riforme silenziose, anzi, deformazioni silenziose della Costituzione. Non vorremo e non consentiremo che il decreto-legge in oggetto possa rappresentare per voi un'autorizzazione ed una legittimazione a controllare il procedimento giurisdizionale e quello delle istituzioni di garanzia.
I cittadini voteranno anche per voi, ma ricordo che il 60 per cento di essi ha fiducia nella magistratura, mentre solo il 30 per cento ha fiducia nella politica. Se venisse effettuato un sondaggio indipendente fra i cittadini italiani, ed essi votassero per voi, ancora in maggioranza, ma sempre più esigua, sono convinto di una cosa. Chiamati a decidere tra una giustizia indipendente ed autonoma - anche se non del tutto efficiente - ed una giustizia controllata dalla politica, sono convinto che, al 100 per cento, compresi quelli che hanno votato per il Popolo della Libertà, voterebbero tutti per il primo quesito, per la prima alternativa, cioè per una giustizia autonoma ed indipendente, non controllata e non controllabile dal potente di turno.
Per questo motivo speravamo che decenza vi avrebbe consigliato il ritiro di questo provvedimento, ma se siamo ancora qui a parlarne, vuol dire che la decenza non vi appartiene (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

Preavviso di votazioni elettroniche (ore 15,25).

PRESIDENTE. Poiché nel corso della seduta potranno aver luogo votazioni mediante procedimento elettronico, decorrono da questo momento i termini di preavviso di cinque e venti minuti previsti dall'articolo 49, comma 5, del Regolamento.

TESTO AGGIORNATO AL 14 APRILE 2010

Si riprende la discussione.

(Ripresa discussione sulle linee generali - A.C. 3273)

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Borghesi. Ne ha facoltà.

Pag. 48

ANTONIO BORGHESI. Signor Presidente, certamente appare difficile da interpretare quanto il Presidente del Consiglio dei ministri ha detto in questi giorni, quando ha sostenuto che nel nostro Paese il Governo non ha poteri. Da due anni, ci troviamo qui a dire che il Parlamento è stato di fatto esautorato dei suoi poteri attraverso l'uso - anzi l'abuso - da parte del Governo della decretazione d'urgenza (che in moltissimi casi ha portato all'utilizzo del voto di fiducia); ci troviamo di fronte ad una situazione in cui il Parlamento, di fatto, viene utilizzato come semplice notaio, chiamato a porre la firma su provvedimenti che non sono suoi. A fronte di tutto ciò, sembra veramente quasi una barzelletta il fatto che vi sia un Presidente del Consiglio dei ministri che va in giro per l'Italia a dire che ci vuole più potere.
Ma allora, ci faccia capire cosa vuol dire «più potere»: infatti, se «più potere» vuol dire comportarsi come forse egli fa, nella sua azienda privata, quando impartisce un ordine e un minuto dopo quell'ordine dev'essere eseguito, allora non capisco bene cosa c'entri tutto questo con le istituzioni democratiche. Infatti, se egli immagina di ridurre l'Italia ad una sua azienda privata, può anche legittimamente pensarlo, tuttavia mi sembra un disegno difficilmente praticabile.
Pertanto, nel momento in cui non bastano i decreti-legge, se ciò che vuole è qualcosa di simile, allora davvero abbiamo ragione noi, quando diciamo che l'unica cosa che va bene al Presidente del Consiglio dei ministri è il regime, dove vi è un dittatore che ordina come in un'azienda privata (anzi, forse in un'azienda privata, se vi sono amministratori indipendenti, qualche vincolo glielo pongono). Ma allora è quello l'obiettivo del Presidente del Consiglio dei ministri, quando dice che il Governo ha troppi pochi poteri? È quello il disegno che sta perseguendo? In tal caso, forse, sarebbe giusto dirlo agli italiani e non raccontare le frottole.
La dimostrazione sta anche nel decreto-legge oggi al nostro esame: esso dimostra, al contrario, che il Governo ha il potere, eccome se lo ha! Che poi non sia riuscito nel suo intento, che poi abbia fatto un «pasticcio», questo è un altro discorso. Ma il punto è che, anche in questo caso, anche in questo modo, attraverso l'uso del decreto-legge, in realtà, il Governo ha fatto quello che voleva fare.
Pertanto, io dico che qui c'è un «trucco». Nel gioco si definisce «baro» colui che opera scorrettezze al fine di assicurarsi un miglior risultato, intenzionalmente al di fuori e contro le regole. Ecco cos'è questo decreto-legge: è un «trucco»!
Voi volete giocare una partita e avete nascosto nella manica il jolly per vincere una partita che altrimenti non avreste avuto in tasca, volete giocare una partita con i dati truccati, questo è ciò che volete fare. Io voglio rispondere con una serie di interventi secondo me molto pertinenti, che sono stati fatti in questi giorni a proposito di questo fatto, a proposito di questo modo scorretto di procedere. Qualcuno ha detto: «cambiare le regole del gioco mentre il gioco è in corso è un fatto altamente illegale», perché qui la questione è questa della legalità, perché per chi tiene ai valori di fronte dell'idea che il gioco possa essere cambiato durante la partita - che le regole del gioco possano essere cambiate durante la partita - (in 10 minuti) ciò è veramente la summa dell'illegalità.
Ci sono delle dichiarazioni rilasciate anche da chi normalmente nella vita cura le anime, e che ha detto che la democrazia è una realtà fragile che ha bisogno di essere sostenuta e accompagnata da norme, da regole, altrimenti non riusciamo più ad orientarci, se invece dovesse essere diretta dall'arbitrio di qualcuno o se dovesse essere improvvisata ogni giorno mancherebbe la certezza del diritto e la certezza dei rapporti e delle prospettive.
Io non credo che in una democrazia si possa distinguere tra ciò che sono le regole e ciò che è il bene sostanziale, le regole non sono un accidente, la regole non sono un aspetto accidentale del vivere insieme, ma sono quelle che costruiscono i binari su cui si cammina. Le regole sono a garanzia e a tutela di tutti perché altrimenti Pag. 49si legittima ogni intervento arbitrario con la motivazione che ragioni più o meno intrinseche o pertinenti mettono in gioco un valore, il valore della partecipazione oggi e un altro valore domani, poi non cambia.
Che si facciano errori è segno di un pressappochismo - qualcun altro ha detto di un ceto politico che sembra essere abituato a poter aggiustare con favori personali qualunque cosa o farlo senza trasparenza - e questi fenomeni si producono quando i politici diventano casta, quando si organizzano in modo da essere una categoria separata dalla società e di fatto noi contestiamo anche il modo con cui vengono scelti, il modo con cui vengono nominati anziché essere liberamente scelti dagli elettori.
Un costituzionalista ha spiegato così la norma interpretativa: «Il legislatore detta una nuova regola sostenendo che fosse già racchiusa in una regola più vecchia. In pratica, una frode e i decreti, come è noto, non possono riguardare materia elettorale».
Qualcun altro ha detto: «Stabilire la prevalenza della sostanza sulla forma in materia di procedure non ha altra conseguenza che legittimare l'illegalità permanente nella vita pubblica o, meglio, far coincidere la legalità con il volere del capo, cioè stabilire la legittimità dell'assolutismo».
Un avvocato bolognese ha utilizzato una metafora calcistica che io voglio usare qui. Immaginiamo di essere all'ultima partita del campionato di calcio con due squadre entrambe prime in classifica, non so, forse il mio amico Giachetti dice la Roma e l'Inter, forse, o la Roma e il Milan, o il Milan e l'Inter, chi lo sa? Allora, chi vince la partita vince il campionato, le squadre sono sullo 0-0, arriviamo al novantesimo e vengono dati i tre minuti di recupero.
Alla scadenza del terzo minuto, qualcuno fa un lancio nell'area di rigore di una delle due squadre e l'arbitro fischia la fine della partita. Ma la palla è in volo, il centravanti la prende, fa una bella girata e la mette in rete. La squadra ovviamente esulta, ma l'arbitro dice che aveva già fischiato la fine. Però, quella squadra vuole la vittoria e urla al complotto - ammettiamo che sia il Milan per caso e potrebbe succedere - e presenta un ricorso. Supponiamo che durante il ricorso la federazione intervenga allo scopo di chiarire il significato di tempo scaduto. Quindi, approva una norma interpretativa, con effetto retroattivo, in cui diventa regolare il goal realizzato dopo il fischio finale dell'arbitro, perché la nuova regola è che se chi lo ha realizzato si trovava in area di rigore il goal è valido. Ecco quello che è avvenuto. È esattamente ciò che è avvenuto con questo decreto-legge, cosiddetto interpretativo.
La Costituzione, come è noto, non ammette la decretazione d'urgenza per la materia elettorale. La materia elettorale, vorrei ricordarlo, è di esclusiva competenza del Parlamento. È chiaro che vista la dichiarazione di ieri il Presidente del Consiglio vorrebbe che fosse, anche questa, materia di competenza del solo Governo, ma l'articolo 72 della Costituzione sembra chiaro a chi lo legge. Forse ci vorrà un decreto interpretativo anche qui, ma: «La procedura normale di esame e di approvazione diretta da parte della Camera è sempre adottata per i disegni di legge in materia costituzionale ed elettorale e per quelli di delegazione legislativa, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali, di approvazione di bilanci e consuntivi».
Allora, cosa si inventa il Governo, per fingere di non vedere che esiste un ostacolo, apparentemente insormontabile, quello dell'articolo 72 della Costituzione? Il Governo dice che questa è un'interpretazione autentica. Non è una legge che modifica norme elettorali, ma chiarisce solo il significato di leggi esistenti e si dà così un valore retroattivo, cioè si fa come quella federazione che ha stabilito che anche se l'arbitro ha fischiato, il goal è valido perché il giocatore che ha preso la palla si trovava nell'area di rigore. Ma, come è noto, una legge di interpretazione autentica serve proprio per stabilire il significato delle norme e proprio per questo Pag. 50fatto vi sono dei limiti oggettivi al suo utilizzo. Occorre che si sia in presenza di una norma che non ha una formulazione chiara, di una norma che può essere interpretata in vario modo e, soprattutto, che nel passato si sia dimostrata non chiara o non comprensibile nei fatti. Non vorrei dimenticare che vi sono state delle elezioni regionali che sono state rese nulle e quindi svolte di nuovo con vantaggio, in questo caso, del centrodestra, proprio grazie al fatto che non erano state rispettate quelle regole. Quello è il limite oggettivo di un intervento di interpretazione autentica. Ma è proprio vero che vi era bisogno di un'interpretazione autentica in questo caso? Andiamo a vedere che cosa stabilisce il primo comma dell'articolo 9 della legge n. 108 del 1968: «Le liste dei candidati per ogni collegio devono essere presentate alla cancelleria del tribunale (...) dalle ore 8 del trentesimo giorno alle ore 12 del ventinovesimo giorno antecedenti quelli della votazione (...)». Quello che è avvenuto nel caso di specie, qui a Roma, è che la cancelleria, come per legge, ha chiuso alle ore 12 e non ha accettato la presentazione di una lista il cui delegato si era assentato e non era presente.
Cosa fa il Governo in questo decreto-legge, che è intitolato, appunto, interpretazione autentica di disposizioni del procedimento elettorale e relativa disciplina di attuazione?
Al primo comma, l'articolo 1, dice: «Il primo comma dell'articolo 9 della legge n. 108 del 1968 si interpreta nel senso che il rispetto dei termini orari di presentazione delle liste si considera assolto quando, entro gli stessi termini, i delegati incaricati della presentazione delle liste, muniti della prescritta documentazione, abbiano fatto ingresso nei locali del tribunale».
Ora, se si pensa che il presupposto per emanare, come dicevo prima, una norma di interpretazione è la presenza di una norma di legge che può essere interpretata in più modi, veramente desta ilarità che si debba andare ad interpretare quella norma, che è così chiara nella sua letteralità e che non ammette alcuna possibile diversa interpretazione. Può non essere chiara una norma che impone di presentare le liste dei candidati entro un orario entro un certo giorno, che identifica un orario preciso, mezzogiorno, e un luogo preciso (la cancelleria del tribunale)? È di una certezza talmente lapalissiana che non riusciamo neanche a comprendere che cosa ci possa essere da interpretare.
Ma veniamo ad un'altra norma, quella che poi ha destato un intervento che interessava Milano. Il comma terzo dell'articolo 9 della legge n. 108 del 1968 dice che la firma degli elettori deve avvenire su apposito modulo recante il contrassegno di lista, il nome, il cognome, il luogo, la data di nascita dei candidati, nonché il nome, cognome, luogo e data di nascita del sottoscrittore e deve essere autenticata da uno dei soggetti di cui all'articolo 14 della legge n. 53 del 1990.
Cosa ha fatto il decreto-legge? Ha detto che il terzo comma si interpreta nel senso che le firme si intendono valide anche se l'autenticazione non risulti corredata da tutti gli elementi richiesti dall'articolo 21, ultima parte, del decreto del Presidente della Repubblica n. 445 del 2000, purché tali dati siano comunque desumibili in modo univoco da altri elementi presenti nella documentazione prodotta. In particolare, si dice che la regolarità dell'autenticazione delle firme non è comunque inficiata dalla presenza di una irregolarità meramente formale quale la mancanza o la non leggibilità del timbro dell'autorità autenticante, dell'indicazione del luogo di autenticazione, nonché dell'indicazione e della qualificazione dell'autorità autenticante, purché autorizzata.
Ebbene, l'ultima parte dell'articolo 21 del decreto del Presidente della Repubblica n. 445 del 2000, che è il testo unico in materia di documentazione amministrativa, dice che l'autenticazione è redatta in seguito alla sottoscrizione e il pubblico ufficiale che autentica attesta che la sottoscrizione è stata apposta in sua presenza previo accertamento dell'identità del dichiarante, indicando le modalità di identificazione, la data e il luogo della autenticazione, nonché apponendo la propria Pag. 51firma e il timbro dell'ufficio. Si tratta, cioè, degli elementi che per legge integrano il procedimento di autenticazione della firma.
Allora, secondo questo decreto, la mancanza di questi elementi è - o diventerebbe - una irregolarità meramente formale. Ma esiste nella prassi o nella normazione giuridica il concetto di irregolarità meramente formale? A me francamente, per quanto possa avere limitate cognizioni in materia di diritto amministrativo, pare che una fattispecie del genere non sia mai esistita e immagino sia anche difficile pensare che possa esistere in futuro.
Qualcun altro ha ricordato che la materia elettorale, soprattutto la procedura, è da sempre quanto di più delicato si possa immaginare perché è l'essenza delle regole del gioco della democrazia. È tanto vero che la Costituzione lo stabilisce all'articolo 72, che ho citato prima e quindi non vado a ripeterlo. Per questo il ricorso al decreto-legge va circondato da molte cautele, se non addirittura da un'esclusione, al pari della abrogazione referendaria.
Quindi, è intuitivo che, se vale in generale, a questo proposito è ancora più penetrante il principio di uguaglianza, perché davvero la legge sia uguale per tutti ed è inutile ricordare quello che dice a riguardo l'articolo 3 della Costituzione. È naturale, allora, che non si possano introdurre disposizioni diverse a seconda che una formazione politica sia di dimensioni grandi o piccole, a seconda che sia radicata su tutto il territorio nazionale o meno, a seconda che sia di collaudata tradizione o no.
È evidente che, se ci sono disposizioni da cambiare, ciò va fatto prima che il procedimento sia iniziato, a bocce ferme e non quando la procedura è in corso. Il fatto è che nel caso in questione vi è un rapporto inscindibile tra forma e sostanza e, trattandosi di procedimento, la disciplina relativa ai soggetti, ai tempi e ai modi è sostanziale. In ogni caso, in ben altre circostanze e per molto meno hanno avuto modo di verificarlo coloro che non hanno barrato una casella, apposto una firma, inviato una pratica al destinatario, presentato un'istanza oltre il termine.
Sto pensando, per esempio, alla moltitudine di soggetti danneggiati da sangue infetto a causa di negligenza dello Stato, che non hanno rispettato i termini: in base al fatto che si sono dimenticati di presentare quella domanda entro quel termine, oggi, pur avendo avuto la vita dei propri parenti, figli e genitori che è venuta meno, non hanno neanche la possibilità di una tutela di questo loro grave danno a causa del non avere rispettato quel termine. Noi cosa andiamo a raccontare a questi signori? Che invece il Governo, quando ha un interesse diretto, personale e elettorale può fare quello che vuole, può cambiare le regole, può farlo dopo che il gioco è iniziato, senza che questo comporti alcuna conseguenza?
È evidente la ragione per la quale noi ci opponiamo fermamente a questo comportamento: è rivelatore di un atteggiamento della casta, per la quale tutto è possibile, a differenza di quanto avviene per il soggetto comune. Sono saltati fuori oggi atti che dimostrano come anche il comportamento di chi deve incassare i soldi dovuti per motivi di tasse faccia delle differenze, per cui se si tratta di soggetti che rispondono al timoniere, al vogatore, al macchinista, allora si può anche ritardare l'iscrizione al ruolo, si può anche evitare di andare a chiedere i quattrini, si può anche evitare di porre le ipoteche quando ci sono dei poveri disgraziati che per un errore si vedono oggi caricati di migliaia e migliaia di euro senza che si possa fare nulla. È questo il senso della giustizia che c'è dentro questo provvedimento!
Di più, il Governo ha anche presentato un emendamento che serve, ancora una volta, a soddisfare interessi specifici di personaggi della casta. Mi riferisco a quell'emendamento che intende dare un'interpretazione, a cose fatte, rispetto a coloro che forse non erano eleggibili, perché avevano già svolto due mandati consecutivi di presidente di regione. Ancora una volta siamo di fronte a un caso nel quale, a gioco già finito, si va a decidere che ciò Pag. 52che si è fatto va bene, anche se potenzialmente potrebbe essere dichiarato non legittimo.
Ritorno a dire che con provvedimenti come questi distruggiamo nei cittadini l'idea della giustizia, l'idea della certezza del diritto, l'idea che la legge sia uguale per tutti, così come sta scritto a caratteri cubitali nella nostra Costituzione. Penso che si commetta un danno grave approvando un provvedimento come questo; si doveva almeno ritirarlo, visto come sono andate le cose e che non è servito per nulla. Si doveva avere almeno un sussulto di dignità e ritirare il provvedimento, impedendo che questo Parlamento si trovasse di nuovo a discutere di problemi legati a questioni di legalità per atti che vanno al di là della legge e che servono a rendere legittimo ciò che è illegittimo, invece di discutere dei problemi veri della gente.
Oggi Bankitalia ha pubblicato alcuni dati secondo i quali il debito pubblico alla fine di febbraio ha sfondato il tetto dei 1.980 miliardi di euro, con un incremento in un solo mese di oltre 6 miliardi e, rispetto alla fine dell'anno scorso, di quasi 40 miliardi; tutto ciò avviene in presenza di una riduzione di soltanto qualche miliardo delle entrate tributarie. Questo ha un significato che è legato alla spesa pubblica fuori controllo, quella spesa che voi un anno fa ci avete detto che avreste tagliato e che i dati invece ci dicono che in un anno è cresciuta in valore assoluto a livello di consumi intermedi di 6 miliardi di euro. Ma di cosa parliamo? Carichiamo i nostri cittadini di ulteriori quote di debito perché siete incapaci di controllare la spesa pubblica, cosa che serve per poter sviluppare l'economia, che invece continua ad essere ferma e in retrocessione, con una riduzione costante dei consumi.
Ma di cosa parliamo? Qui parliamo ancora una volta, e ne parleremo nelle prossime settimane, di provvedimenti contro la legalità, che servono soltanto a legalizzare ciò che a voi interessa per motivi diretti, così come avete fatto in questa occasione, perché avevate un interesse vostro personale, ma certamente non lo avete fatto in passato. Ricordo infatti che l'elezione regionale del Molise venne cancellata proprio a causa di questioni formali, che qui oggi insistete a voler discutere di questo provvedimento, nonostante se ne possa fare a meno a questo punto, come se si trattasse della normalità e non di un vulnus, che non sarà più facilmente recuperabile di fronte alla gente e agli elettori.
Penso che gli elettori, alla fine, si renderanno conto del disastro giuridico e del disastro che si sta compiendo nei confronti della giustizia, dell'uguaglianza, della legalità e dell'articolo 3 della nostra Costituzione.

PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Di Giuseppe, iscritta a parlare: si intende che vi abbia rinunziato.
È iscritto a parlare l'onorevole Di Stanislao. Ne ha facoltà.

AUGUSTO DI STANISLAO. Signor Presidente, colleghi, evidentemente questa discussione arriva a tempo abbondantemente scaduto e rischia di appartenere a tutto quell'armamentario parlamentare totalmente inutile che nulla va a modificare nella sostanza.
Credo che l'Aula arrivi a tempo scaduto, ma gli effetti prodotti dal decreto-legge sono intervenuti mentre la partita era in corso, nel senso che il provvedimento ha modificato alcuni termini importanti e fondamentali dell'ordinamento costituzionale, ma anche e soprattutto, dell'ordinamento elettorale. Quest'ultimo disciplina l'approccio dei partiti e delle persone rispetto ad una competizione elettorale che ad oggi - o almeno al tempo delle elezioni regionali - aveva dei precisi termini di riferimento di carattere normativo e applicativo.
Evidentemente vi è stato un vulnus, che oggi stiamo commentando come se stessimo in un salotto disattento e lontano dai problemi di carattere reale. In questo caso, per quello che è successo, per come è successo e per le conseguenze che ha determinato, la forma ha significato profondamente sostanza. La forma, infatti, ha modificato alcuni orientamenti in ordine Pag. 53alle elezioni, alcuni aspetti di carattere normativo e, soprattutto, nella gente ha modificato la percezione dello Stato. Si è modificata, inoltre, la percezione del fatto che leggi date vanno rispettate, applicate e mai e poi mai interpretate; in questo caso invece tutto è stato possibile: attraverso ripensamenti di una parte politica che esercita un potere forte e importante e che detiene la maggioranza - quindi in base a questa forza e non a quella della ragione, ma a quella dei numeri -, in qualsiasi momento si può modificare lo stato delle cose, pure se fissato da leggi consolidate e da tutti attese (e non già disattese). Il decreto-legge ha esercitato quindi un'interferenza e ha cancellato la pari dignità e le pari garanzie nell'ambito di una competizione già in pieno svolgimento.
Come diceva il collega Palomba, ciò ha determinato una grande e profonda ferita nell'ordinamento giuridico italiano. Il provvedimento ha rappresentato non già una interpretazione, bensì una modifica, determinando anche diverse percezioni di quella che, invece, deve essere una regola da tutti condivisa ed accettata.
È stato e rimane un provvedimento intrusivo, che interviene mentre altri organi di controllo - come è stato ricordato - si apprestavano a garantire lo svolgimento sereno, tranquillo, giusto e adeguato di una competizione elettorale. Tutti di per sé avevano percepito la competizione elettorale come adeguata, mentre non si erano sognati assolutamente di percepirla come un abuso rispetto alle giustissime prerogative che tutti i cittadini devono esercitare attraverso il voto e attraverso alcuni momenti di grande partecipazione democratica. Ciò accade affinché i cittadini possano, anche in seguito, determinare gli assetti attraverso cui si decide come essere governati in ogni luogo della nostra penisola.
Però tant'è stato. Credo che quando si mette in campo una definizione forte, significando che si è trattato di un decreto-legge truffa, si sintetizzi in maniera molto semplice, diretta e immediata quello che è stato e ciò che in qualche modo ha rappresentato questo provvedimento, subito dalla gran parte di noi, dai partiti politici e dalle istituzioni. È un affronto grande e forte alla nostra Costituzione, che evidentemente non può far sorridere chi ne ha beneficiato e tutti quegli elettori che, in buona fede, anche nel centrodestra, lo hanno utilizzato come strumento per poter esercitare un diritto inalienabile, che è quello del voto e della rappresentanza politico-istituzionale.
Credo che questo decreto-legge abbia modificato le regole in corsa e abbia in qualche modo stravolto la competizione elettorale, a svantaggio dei cittadini e della corretta percezione dello Stato e della Costituzione da parte di molti.
Questo è accaduto, tutto il resto è aria fritta. Forse ne discutiamo ancora per ricordarci di qualcosa che non dovrà più avvenire, ma certamente ha rappresentato un elemento forte di rottura con l'ordinamento consolidato. È del tutto inconsistente lo schermo di una norma che si autodefinisce interpretativa. Anzitutto, a nulla vale argomentare che la decisione è lasciata ai giudici, come si è fatto a più riprese. Il problema non è che deciderà chi ha deciso applicando la norma, ma quale norma si dovrà applicare e si è applicata successivamente. Perché la norma sia davvero interpretativa bisognava e bisogna supporre che in una medesima disposizione preesistente in realtà convivono più potenzialità normative e che il legislatore scelga tra i possibili e molteplici significati, uno compiutamente già presente. Non a caso, una norma interpretativa viene a valle di contrasti giurisdizionali, di dubbi applicativi e di incertezze evidenziate dall'esperienza.
Nulla di questo è alla base dei pasticci degli ultimi giorni di quella campagna elettorale così recente. Non parliamo del passato remoto. Tutti assumono che vi sia stato pressappochismo da parte dei presentatori o peggio. Allora, di che cosa dobbiamo parlare, di quale tipo di interpretazione?
Emerge anche un dubbio sulla sussistenza dei presupposti di necessità ed urgenza ex articolo 77 della Costituzione. È in corso il procedimento elettorale, sono Pag. 54state assunte decisioni, sono in atto impugnative davanti ai giudici competenti e nessuno può sapere se sarà adottata un'interpretazione o un'altra. Allora dov'è la necessità e l'urgenza di definire ex lege l'interpretazione corretta? Non sarà invece che si è anticipata la certezza di una interpretazione sfavorevole? Ma in tal caso evidentemente abbiamo un indizio che non si tratta di una norma interpretativa volta a chiarire, ma di una norma nuova e modificativa di quella esistente.
Non si fermano qui le forzature e le violazioni della Costituzione (all'ingresso in Aula del deputato Carlucci, vivi applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà). Anzitutto, in materia costituzionale ed elettorale il decreto-legge è precluso. Lo stabilisce l'articolo 72, quarto comma, della Costituzione. È già dubbio che con un decreto-legge si possa mettere mano a marginali tecnicismi della competizione elettorale, ma di sicuro non si può ricorrere al decreto-legge per fissare l'interpretazione delle regole sulla presentazione delle liste. In nessun modo questo può considerarsi un marginale tecnicismo. Inevitabilmente si incide sul voto e questo senza dubbio preclude il ricorso al decreto-legge.
Dunque, la stessa definizione che il Governo dà e ha dato del proprio intervento in chiave di norma interpretativa evidenzia ed ha evidenziato di per sé il contrasto con l'articolo 72, quarto comma, della Costituzione.
Decisivo è poi che in materia elettorale la forma è sostanza, come si diceva poc'anzi. Il principio di fondo della competizione elettorale è la par condicio delle forze in campo.
Il primo indispensabile presupposto perché tale par condicio vi sia è il rispetto assoluto delle regole per tutti e da parte di tutti; cambiarle in corsa comporta inevitabilmente un vantaggio indebito per l'uno e un danno ingiusto per l'altro, e di sicuro incide, poco o molto non importa, sull'esito che ne verrà conseguentemente.
Ciò viola molteplici norme della Costituzione: non solo, come è ovvio, gli articoli 2 e 3, ma soprattutto l'articolo 48, perché il voto dell'elettore è davvero uguale solo se l'offerta politica in ordine alla quale il diritto si esercita è stata avanzata nel rispetto pieno della par condicio; e anche l'articolo 51, perché viene distorta la condizione di parità nell'accesso alla carica elettiva da parte dei candidati. Ma viola ancor di più l'articolo 49, perché si nega il diritto dei cittadini a partecipare con metodo democratico alla politica nazionale.
Proprio in quel metodo troviamo un connotato indispensabile della partecipazione ed è per realizzare innanzitutto il fine ultimo dell'articolo 49 che si presentano liste e si compete per il consenso. Ma dov'è il metodo democratico, se si usa la clava del decreto-legge per ribattere la palla nell'altra metà del campo? Cosa c'è di democratico, se si ricorre alla forza della legge per cambiare le regole a proprio vantaggio e per cancellare gli effetti negativi dei propri errori politici e della propria incapacità di sedare la rissa di tutti contro tutti e di formare per tempo le liste secondo quanto prescritto?
È un segnale drammaticamente negativo, cari colleghi di maggioranza e opposizione, che intanto getta nella precarietà il risultato elettorale, perché rimarrà probabilmente possibile far valere i vizi davanti alla Corte costituzionale. Ma forse per un costituzionalista conta ancora di più la prova e non è certo la prima volta che cede uno dei pilastri della Costituzione come armatura dei diritti e delle libertà. Non a caso, nella prima parte della Costituzione, è centrale la riserva di legge; non a caso troviamo diritti e libertà presidiati da quella riserva. La ragione la vediamo nella legge come massima espressione di partecipazione democratica, ma, nella confusione politica e istituzionale del nostro tempo e nel bipolarismo coatto con la gruccia del maggioritario in cui viviamo, la legge esprime i numeri, ma non la sostanza di una partecipazione democratica.
Nella legge non ci siamo tutti, ma solo quelli che hanno i numeri utili nell'Assemblea elettiva, magari per un consenso Pag. 55gonfiato da un premio di maggioranza, ancor più quando si tratta di decreti-legge.
Pensavamo di avere toccato il fondo con altre realtà, che sono venute fuori dall'esercizio del potere da parte di questo Governo e di questa maggioranza; evidentemente non era così. Avevamo anche già sentito, in un recente passato, di leggi-truffa in materia elettorale.
Da oggi dobbiamo prendere atto che vi è qualcosa di più e di diverso: oltre alle leggi-truffa di tambroniana memoria, dobbiamo avere a che fare anche con decreti-truffa, il che non aiuta la creazione di una coscienza civica e di una capacità democratica, non solo da parte del ceto politico e parlamentare, ma anche e soprattutto da parte della gran parte dei cittadini e di tutta quella gran parte di giovani che si vogliono avvicinare alla politica e che pensano ancora che, attraverso i partiti, ma ancor di più attraverso lo strumento elettorale, si possa esercitare un potere di rappresentanza forte e importante nella realtà, nella pari dignità e, soprattutto, nella consapevolezza che si possano esercitare diritti e doveri assunti all'interno di un'Assemblea così importante e così alta che è il Parlamento, ma che spesso, così come è successo ultimamente, smarrisce la propria dignità, il proprio profilo e, soprattutto, la propria prospettiva istituzionale e costituzionale.

SIMONE BALDELLI. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, chiedo alla Presidenza, ai sensi dell'articolo 44, comma 1, del Regolamento, di porre in votazione la chiusura della discussione sulle linee generali.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, sulla richiesta di chiusura della discussione sulle linee generali darò la parola, ove richiesta, a norma dell'articolo 44, comma 1, del Regolamento, ad un oratore contro e ad uno a favore per non più di cinque minuti ciascuno.

Testo sostituito con l'errata corrige del 14 APRILE 2010 SERGIO MICHELE PIFFARI. Chiedo di parlare a favore. SERGIO MICHELE PIFFARI. Chiedo di parlare contro.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SERGIO MICHELE PIFFARI. Signor Presidente, la discussione sulle linee generali a volte può sembrare inutile; ma il Parlamento, che secondo il Presidente del Consiglio fa rabbia a tutti i poteri, è legittimo che, dopo che il Governo è stato strutturato anche con un Ministro per la semplificazione normativa, sia oggi chiamato ad approvare dei provvedimenti inutili, anzi irrispettosi di tutto il complesso normativo che governa il sistema elettorale e in particolare, il sistema elettorale per le regioni, dove di fatto esse hanno la totale potestà legislativa?
Dopo questa «entrata a gamba tesa», fatta oggi nei confronti delle regioni, che sono comunque governi sufficientemente forti, immaginiamo cosa succederebbe se il Governo usasse tale strumento anche nei confronti di enti ed amministrazioni che dipendono esclusivamente dalle norme che approviamo in Parlamento. Il Parlamento viene offeso nell'approvare un provvedimento di questo tipo. Il Governo dovrebbe avere il coraggio o di rettificarlo, o di lasciarlo decadere o di ritirarlo addirittura, proprio per l'inutilità che esso riveste. Pertanto, ci opponiamo alla proposta di chiusura anticipata della discussione sulle linee generali.

SIMONE BALDELLI. Chiedo di parlare a favore.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, siamo nel pieno della discussione sulle linee generali, che prevede complessivamente una trentina di iscritti. Vi sono già tredici colleghi che sono intervenuti, ma ve ne sono ancora molti altri; vi è stato comunque all'interno di tale discussione, al netto dell'intervento completo e meticoloso del relatore, anche un confronto sul merito del provvedimento e sono intervenuti rappresentanti di tutti i gruppi. Pag. 56
La Conferenza dei presidenti di gruppo ha stabilito che per quest'oggi si sarebbe proceduto a votazioni, previste dalle ore 15,30; sono ormai le 16,10, abbiamo un quantitativo ancora importante di iscritti, sostanzialmente dell'Italia dei Valori soltanto. Quindi, signor Presidente, abbiamo consapevolmente ritenuto di chiedere alla Presidenza di porre in votazione, ai sensi dell'articolo 44, la chiusura anticipata della discussione sulle linee generali, perché riteniamo opportuno a questo punto iniziare la fase di confronto sul merito del provvedimento.
Su di esso sono state dette fino adesso nel dibattito tante cose, alcune forti, altre meno, alcune condivisibili (mi riferisco agli interventi, per quanto mi riguarda ovviamente, dei colleghi della maggioranza), altre meno; però di fatto il salto di qualità del passaggio al confronto sul merito, e nel caso specifico alla fase del complesso degli emendamenti e agli interventi sugli emendamenti stessi, credo che sia a questo punto un atto dovuto. Nell'intervenire quindi a sostegno della proposta di votazione della chiusura anticipata della discussione sulle linee generali, signor Presidente, preannuncio all'Aula il voto favorevole del gruppo del PdL.

PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Avverto che è stata chiesta la votazione nominale mediante procedimento elettronico.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla proposta di chiusura della discussione sulle linee generali del disegno di legge in esame.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).

Prego colleghi, prendete posto, è la prima votazione...onorevole Holzmann, faccia attenzione ai gradini... onorevoli Lupi, Santelli, Esposito, Ascierto, Letta, Fallica, Bertolini, Fogliato, Rosato, Ginoble, Cuomo, Rubinato, Moffa... prego onorevole Borghesi, si faccia consegnare la tessera... onorevoli Fogliardi, Jannone, Lunardi, Cesare Marini.
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione:

Presenti e votanti 490
Maggioranza 246
Hanno votato 260
Hanno votato no 230
(La Camera approva - Vedi votazionia ).

Prendo atto che i deputati Siragusa, Anna Teresa Formisano, Giovanelli, Lo Moro, Monai, Nunzio Francesco Testa, De Poli, Naro, Barbato, Cesa e Occhiuto hanno segnalato che non sono riusciti ad esprimere voto contrario. Prendo altresì atto che il deputato Traversa ha segnalato che non è riuscito ad esprimere voto favorevole.
Ricordo che, essendo stata deliberata la chiusura della discussione sulle linee generali, ha facoltà di parlare, a norma dell'articolo 44, comma 2, del Regolamento, per non più di trenta minuti, un deputato, tra gli iscritti non ancora intervenuti nella discussione, per ciascuno dei gruppi che ne facciano richiesta. Ha chiesto di parlare l'onorevole Piffari. Ne ha facoltà.

SERGIO MICHELE PIFFARI. Signor Presidente, come avevo già preannunziato stiamo discutendo della conversione di un decreto-legge emanato il 5 marzo, cioè ad elezioni regionali in corso. Secondo il Governo, che ha proposto questo decreto-legge, si tratta di norme che recano interpretazione autentica di disposizioni del procedimento elettorale e relativa disciplina di attuazione. Come sappiamo, siccome questo decreto-legge è intervenuto in corso d'opera a giochi già avviati, sembra che il Governo lo abbia voluto adottare per risolvere questioni di candidature nel Lazio e in Lombardia.
Signor Presidente, vorrei far presente al Governo e ai colleghi che la Lombardia già dall'agosto 2008 ha approvato il suo statuto, nel quale prevedeva naturalmente una norma elettorale che potesse garantire anche una presenza in consiglio regionale territoriale (tra le varie norme che naturalmente Pag. 57lo statuto ha evidenziato), per rimarcare ancora che questa materia, seppur materia elettorale concorrente, in realtà è ormai una materia esclusivamente di competenza delle regioni.
Noi di fatto scopriamo, su indicazione del Governo, che dopo 42 anni di applicazione di una legge elettorale è necessario intervenire con un provvedimento, proprio per interpretare in modo autentico una legge che - ripeto - per 42 anni alle regioni è andata bene (ma non alle regioni in quanto enti, alle regioni come insieme dei propri cittadini). Perché mai è stata sollevata la questione d'interpretazione? Ebbene, in corso d'opera c'è stata la fretta di voler riparare agli errori, alle leggerezze, o alla cattiva applicazione di chi, in nome e per conto di candidati di liste e di gruppi che si volevano presentare alle elezioni, di fatto ha sorvolato su qualsiasi norma, qualsiasi legge, snobbando qualsiasi modo di interpretare la legge, pur avendo queste persone - almeno da quanto abbiamo letto sui giornali - molta esperienza in merito.
Noi sappiamo che in molte tornate elettorali a tanti gruppi di elettori è stato impedito di partecipare alla competizione, proprio per una serie di errori, a volte definiti formali, ma di fatto gravissimi. Potrei portare l'esempio di un comune della provincia di Bergamo, dove nella precedente tornata elettorale il rappresentante di una lista si mise a chiacchierare allo sportello dell'ufficio elettorale con gli impiegati, e mentre chiacchierava passava il mezzogiorno (che è un momento importante per depositare le liste, al trentesimo ed ultimo giorno), e il verbale redatto di ricezione dei documenti riportava come ora del deposito di quel rappresentante le ore 12 e 10 minuti, quindi oltre il termine di presentazione. Di conseguenza a quella tornata elettorale partecipò una lista sola. Il sindaco aveva praticamente quasi vinto a tavolino, visto che in quel caso, in quel sistema elettorale, vige ancora la regola per cui deve andare alle urne almeno il 50 per cento più uno degli elettori.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROSY BINDI (ore 16,30).

SERGIO MICHELE PIFFARI. Ebbene, se la regola vale per un piccolo paese di millecinquecento o duemila abitanti deve valere a maggior ragione per una regione, dove la struttura, gli uffici e i gruppi sono molto più organizzati per fare questo lavoro.
Attraverso questo decreto il Governo ci dice che noi dobbiamo interpretare delle formalità banali, ad esempio quelle relative ad un timbro che identifica l'autorità, cioè prove di appartenenza ad un sindaco, assessore, consigliere, presidente di provincia o funzionario delegato o a un cancelliere. Ma questi errori si possono eventualmente giustificare successivamente, perché la legge prevede 24 ore di tempo per definire questi concetti.
Ci si è preoccupati anche di trovare la giusta interpretazione rispetto al luogo in cui bisogna depositare le liste. Quindi dove sono presenti le Corti di appello, oppure dove sono presenti i singoli tribunali provinciali, deve considerarsi il luogo dentro il tribunale e non gli uffici predisposti alla ricezione, da parte della cancelleria, dei vari documenti. Tanto è vero che in tutta Italia da 42 anni sempre si è rispettato, senza nessun dubbio, questo spazio e sempre si è richiesto di certificare l'orario di accesso indipendentemente da quando si riceveva e si controllava il materiale (proprio perché più liste potevano presentarsi contemporaneamente qualche secondo prima del mezzogiorno). Però è stata data un'interpretazione considerando anche il luogo fisico delle mura del tribunale.
A quel punto qualcuno potrebbe dire: perché non il parcheggio? Perché non la piazza antistante? Perché non il viale di accesso al tribunale? Perché non l'autostrada che da Roma accompagna a Milano e quindi la strada di accesso fino alla Corte di appello di Milano o viceversa da Milano tutta l'autostrada fino alla Corte d'appello di Roma? Insomma, in un modo molto superficiale il Governo - che anche recentemente si è lamentato di una mancanza di potere, perché pare che tutto il Pag. 58potere l'abbia il Parlamento - ha pensato bene di legiferare in questa maniera.
Dunque di fronte ai cittadini, in un momento pesante come questo, dove vi è la necessità di contenere la spesa e di incentivare assolutamente l'economia che produce, quella del lavoro e quella delle imprese, proprio per sopperire a quella crisi che già ha tolto quasi un milione di posti di lavoro ma che si dice che nei prossimi mesi ne toglierà altri 500 mila, si producono provvedimenti di questo tipo.
A me piacerebbe chiedere al Governo e ai colleghi, in particolare al Ministro per la semplificazione amministrativa, l'onorevole Calderoli, che tanto ha fatto e tanto sta facendo per eliminare una serie di norme e di leggi inutili, dove classifica il provvedimento in esame, che già di per sé dice che vale solo per oggi, cioè per la tornata elettorale del 28 e 29 marzo, e non successivamente. È come ammettere effettivamente che si tratti di un cerotto di prepotenza applicato ad un malato che ha bisogno di tutt'altro. È un cerotto però inutile, costoso ma inutile e talmente inutile che oggi siamo qui a prendere atto di un provvedimento che non è servito. Allora perché non rendersi conto e aspettarsi dal Governo, con un atto di coraggio, il fatto di lasciarlo decadere, non convertendolo e non dandogli la dignità di legge, proseguendo invece sulle urgenze che questo Parlamento è chiamato ad interpretare?
È un'offesa nei confronti di tutti quei cittadini che volontariamente si sono messi a disposizione per raccogliere le firme in decine, centinaia di città e di piazze italiane, sapendo anche che in alcuni casi le forzature su questo tipo di certificazioni di raccolta firme possono produrre falsi in atto pubblico e portare a condanne che vanno da uno a sei anni. Di fronte a questo noi sorvoliamo e diciamo che non serve a niente, purché esista uno scarabocchio. Sarà poi compito degli uffici verificare il luogo dove è stato fatto, la data in cui è stato fatto, da che ente o da che amministrazione arriva la delega a fare questi scarabocchi, di fatto identificare quella persona, dato che quella persona identificata potrebbe essere sottoposta, ripeto, ad un giudizio anche di falso e incorrere in una pena pesante. Insomma, se si sbaglia - e sappiamo che questo può capitare - bisogna avere il coraggio di affrontare il giudizio e di rimettersi a chi è preposto a giudicare.
Questa situazione è già stata affrontata dal Parlamento, perché avevamo sollevato in quest'aula l'incostituzionalità del provvedimento e di questa norma.
Le stesse regioni che hanno potestà legislativa in questa materia, di fatto, sono intervenute con gli strumenti che erano loro concessi, in particolare, facendo ricorso alla Corte costituzionale. Tuttavia, anche la Corte costituzionale, quando interviene, ha l'obbligo di rispettare il momento importante di una tornata elettorale e, specialmente, l'intelligenza degli italiani che, di fatto, quando votano, esprimono il giudizio indipendentemente dalle forzature che il Governo ha voluto o ha tentato di fare.
Diversamente, il Governo ha a disposizione tanti strumenti per operare le forzature. Chi dimentica l'intervento «a gamba tesa» o, meglio, «ad urla», in tutti i telegiornali e in tutti i principali canali televisivi da parte del Presidente del Consiglio? Chi dimentica quando il Presidente del Consiglio era all'opposizione ed interveniva, lamentandosi che l'allora Presidente del Consiglio Prodi usava la sua carica per fare campagna elettorale?
Quel signore era proprio il signor Silvio Berlusconi, che invece, al momento opportuno ha usato i propri canali e quelli che, ormai, considera tali, perché assoggettati ad un potere del Governo, e in barba ed in faccia a tutti, è intervenuto in modo pesante. Lui sa bene come si fa a vendere un prodotto, che sia il detersivo o il biscotto; sa bene come sfruttare lo scaffale posto ad un metro e cinquanta centimetri in un supermercato per convincere gli italiani a comprare quel prodotto. Proprio alla luce di tutte queste risorse, era necessario anche utilizzare l'unica risorsa che dovrebbe tutelare tutti gli italiani, cioè la legge? Pag. 59
Vorrei leggere un passaggio importante, perché so che molti di noi non sempre sono attenti anche alle conseguenze di un provvedimento di questo tipo. La regione Lazio è una di quelle regioni che, purtroppo, non ha saputo approvare in proprio norme elettorali, come, di fatto, anche la regione Lombardia. Lo ripeto: non c'entrano gli schieramenti perché, in questo caso, in Lombardia, abbiamo eletto per la quarta volta la stessa persona, trasformando la regione in sultanato (questo è accaduto anche in regioni guidate dal centrosinistra); tuttavia, non si è avuto il coraggio, pur avendo una forte maggioranza all'interno del consiglio regionale, di legiferare in materia. Le regioni, però, rivendicano la loro autonomia e la loro titolarità in questa materia.
Per il Lazio, ad esempio, la Corte costituzionale ha pronunciato un'ordinanza sull'istanza di sospensione proposta nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 1 e 2, che di fatto compongono il decreto-legge in discussione, che dovremmo vergognosamente convertire in legge (concernente interpretazione autentica di disposizioni del procedimento elettorale e relativa disciplina di attuazione), promosso dalla regione Lazio con ricorso notificato e depositato in cancelleria l'11 maggio (ciò è avvenuto una ventina di giorni, anzi meno, diciotto giorni dalla tornata elettorale). Visti l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri nonché gli atti di intervento rispettivamente di Caravale Mario ed altri, del Movimento difesa del cittadino ed altri e di Perugia Maria Cristina ed altri. Quindi, il Presidente del Consiglio ha ritenuto di agire per difendere questo schifoso provvedimento. Tutto ciò sempre a difesa di interessi legittimi.
Udito nella camera di consiglio del 18 marzo, quindi ormai a dieci giorni dalla campagna elettorale, il giudice relatore, uditi gli avvocati di parte, compreso l'avvocato di Stato, ritenuto che con ricorso depositato l'11 marzo, quindi ormai a 17 giorni dalla tornata elettorale, la regione Lazio ha sollevato, in riferimento agli articoli della Costituzione (che non vi leggo), questione di legittimità costituzionale degli articoli 1 e 2 del decreto-legge che andiamo a convertire, il quale è stato, di fatto, immediatamente pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana il 6 marzo 2010. La stessa regione Lazio ha presentato, con il ricorso in epigrafe, istanza cautelare di sospensione dell'efficacia delle impugnate disposizioni.
Ritenuto che, al riguardo, la difesa regionale considera «evidente il grave ed irreparabile pregiudizio che deriverebbe all'interesse pubblico al regolare svolgimento delle elezioni regionali nel caso in cui le consultazioni del 28-29 marzo 2010 si svolgessero sulla base di norme suscettibili di declaratoria d'incostituzionalità». Di fatto, la Regione Lazio pone la questione e tale questione rimane lì.
Ritenuto che la Regione Lazio ritiene di aver interesse a coltivare il ricorso non solo in quanto asseritamente lesivo della propria competenza a disciplinare, nel dettaglio, la materia delle elezioni regionali, come si diceva prima, ma anche in quanto l'impugnato decreto-legge parrebbe concretamente volto ad interferire con le già indette elezioni del consiglio regionale e del presidente della giunta regionale.
Ritenuto che con la sentenza n. 196 del 2003, invero, questa Corte avrebbe statuito che «la potestà legislativa in tema di elezione dei consigli regionali spetta ormai alle Regioni». Quindi, già nel 2003 la Corte costituzionale dice che tocca alle regioni legiferare in materia elettiva.
Ritenuto che, peraltro, resterebbe ferma la preclusione al legislatore statale di intervenire con disposizioni di dettaglio nelle materie di competenza concorrente. Quindi, con la scusa di intervenire con la precisazione dei dettagli, di fatto si interviene su materia non più di competenza regionale. Ciò vale per tante altre materie. Vorrei dunque chiedere al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro per la semplificazione normativa di intervenire, magari, al fine di impedire che a novembre, in Trentino Alto Adige, sull'onda dell'autonomia della regione, si vada ad eleggere un altro ente - i comprensori - ove si andrebbero a sprecare altre centinaia di Pag. 60milioni di euro solo per riprodurre sedie e sgabelli. Tuttavia, abbiamo ricordato che, per statuto, l'autonomia ha lasciato questo a loro. Pertanto, se il Governo in questo momento non sa dove trovare le risorse, intervenga impedendo che là avvenga questo, dal momento che si voterà il 16 maggio, anche se poi tutti i trentini saranno richiamati a votare a novembre per eleggere i propri rappresentanti nei comprensori o negli, ormai, consigli di valle (anche in questo la fantasia in Italia galoppa).
Dovremmo tenere ben presenti queste considerazioni. Infatti, andiamo verso un federalismo fiscale (un federalismo con l'aggiunta del «fiscale» dopo), ma se ognuno può con fantasia interpretare la Costituzione e spendere, se pure in buona fede, ma continuare a spendere, probabilmente quell'obiettivo di efficienza e di risparmio sulla spesa pubblica non verrà sicuramente perseguito.
Proseguo, comunque, con la lettura del ricorso presentato dalla regione. La regione Lazio ha esercitato, con la legge 13 gennaio 2005, n. 2 (Disposizioni in materia di elezione del Presidente della regione e del consiglio e di ineleggibilità e di incompatibilità dei componenti della Giunta e del consiglio regionale), la competenza attribuitale dall'articolo 122, primo comma, della Costituzione, a seguito dell'adozione della legge 2 luglio 2004, n. 165 (Disposizioni di attuazione dell'articolo 122, primo comma, della Costituzione), che di fatto demanda alle regioni questa materia.
L'articolo 1 di questa citata legge regionale, stabilendo che «per quanto non espressamente previsto, sono recepite la legge 17 febbraio 1968, n. 108 (Norme per la elezione dei consigli regionali delle regioni a statuto normale) e la legge 23 febbraio 1995, n. 43 (Nuove norme per la elezione dei consigli delle regioni a statuto ordinario), e successive modificazioni e integrazioni», avrebbe posto in essere un rinvio recettizio, tale da rendere la disciplina in oggetto immune da successivi mutamenti normativi in ambito statale.
Quindi, di fatto, la regione Lazio a differenza della Lombardia rivendica già, per essere intervenuta, la totale competenza in questa materia. Inoltre, secondo la difesa regionale, l'impugnato decreto-legge sarebbe privo della dichiarata portata interpretativa, essendo al contrario idoneo ad innovare le disposizioni di cui alla legge n. 108 del 1968, con conseguente e ancor più marcata lesione delle attribuzioni regionali vantate in materia. Inoltre, secondo la regione ricorrente l'impugnato decreto-legge violerebbe, altresì, gli articoli 3, 24, 25, 48, 102, 104 e 111 della Costituzione, avendo il legislatore statale posto in essere un esercizio abnorme della potestà di interpretazione autentica, al solo fine di interferire con giudizi pendenti in vista della riammissione di liste escluse dalla competizione elettorale - e qui nasce il patatrac -, contravvenendo al principio di ragionevolezza, vulnerando la funzione giurisdizionale e le garanzie del giusto processo, e ledendo l'eguaglianza del voto.
Infine, per la ricorrente il denunciato decreto-legge avrebbe violato anche gli articoli 72, quarto comma, e 77, secondo comma della Costituzione, dal momento che, per un verso, in materia elettorale sussisterebbe una riserva di assemblea tale da legittimare solo l'intervento di leggi formali e che, d'altro canto, a fronte della vigenza protratta da più di quarant'anni della legge asseritamente interpretata, difetterebbero i presupposti di straordinaria necessità e urgenza che soli legittimano il ricorso allo strumento del decreto-legge.
Non possiamo nascondere che, scoprire dopo quarantadue anni che la legge non funziona e dover decretare d'urgenza, non tre giorni prima di depositare le liste, ma durante la campagna elettorale, ha creato molte situazioni disdicevoli; creare dei precedenti in questa materia è assolutamente pericoloso e scandaloso.
Inoltre, a seguito delle dimissioni del presidente della regione, gli organi regionali sono entrati in prorogatio. Quindi, di fatto, c'era già chi gestiva la regione dopo le dimissioni del presidente. Per tale motivo, la Giunta dovrebbe limitarsi all'adozione di atti dovuti. Quindi, la regione Pag. 61dice, in sostanza, che di fatto era in regime di ordinaria amministrazione e proprio a seguito delle dimissioni del presidente non era giusto che intervenissero in materia con tali norme. In particolare, ferma la potestà legislativa regionale sul sistema di elezione, non avrebbe attinenza a tale competenza della Regione la disciplina del procedimento elettorale; che quest'ultima riguarderebbe, invece, l'esercizio di funzioni amministrative statali chiaramente riconducibili all'ordinamento civile (la modalità di fatto delle sottoscrizioni delle candidature, delle accettazioni delle stesse, della raccolta delle firme per presentare le candidature e di presentarle presso gli organi competenti o meglio negli uffici competenti, cioè le cancellerie dei tribunali o delle corti d'appello di competenza).
Vi sono altre che riguardano, quindi, i rimedi amministrativi e giurisdizionali delle decisioni di esclusione o ammissione di candidati e liste, con riferimento anche alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, di cui all'articolo 117 della Costituzione, su giurisdizione e norme processuali. Inoltre, le funzioni previste dagli articoli 8, 9 e 10 della legge n. 108 del 1968 sono assegnate ad uffici composti da magistrati, considerati organi straordinari del Ministero dell'interno al quale viene imputata la responsabilità per l'attività svolta, anche con funzione di indipendenza.
Questi organi indipendenti, vale a dire gli uffici circoscrizionali o gli uffici regionali o ufficio unico regionale (a seguito della modifica), composti da magistrati che, quindi, in tale materia intervengono con delicatezza e con particolare attenzione ma, soprattutto, con indipendenza.
Vi è poi il compito molto importante di coordinamento da parte del Ministero dell'interno. Al Governo bisogna ricordare che alcune corti d'appello e alcuni tribunali anziché rimanere aperti dalle 8 di mattina alle 8 di sera hanno dovuto chiudere magari alle 4 del pomeriggio a causa della mancanza di personale. Potrei parlare della corte d'appello di Brescia o di tanti altri tribunali amministrativi e ordinari che oggi non hanno più il personale e, addirittura, non avevano neanche la carta per redigere il verbale di ricezione della documentazione. Forse, sarebbe meglio applicarsi un po' più in queste piccole cose, in modo che almeno quel poco che si può ancora fare venga fatto correttamente.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

SERGIO MICHELE PIFFARI. Sto concludendo, signor Presidente. Se qualcuno ha inciampato nelle scale o si è distratto al bar o chissà dove, anziché svolgere questo compito assegnatogli dagli elettori e dai sottoscrittori, questi è diventato talmente importante da far intervenire il Governo con un decreto-legge. Credo, però, che ora costui sia da coprire con un pietoso velo e invito davvero il Governo o la maggioranza a far decadere questo provvedimento o a ritirarlo e ad impegnarsi da subito in tutto altro, perché veramente la nostra nazione e i nostri cittadini ne hanno bisogno.

PRESIDENTE. Dichiaro, pertanto, chiu- sa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 3273)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, onorevole Calderisi.

GIUSEPPE CALDERISI, Relatore. Signor Presidente, non svolgerò una replica perché gli argomenti che sono stati portati nella discussione non sono nuovi, ma sono gli stessi e già riproposti più volte sia in Commissione sia nel dibattito sulla questione pregiudiziale e su tali argomenti sono già intervenuto.
Sono anche state fatte delle affermazioni non vere anche su quanto avrei detto. Me ne rammarico, ma anche su questo punto non voglio replicare. Una sola cosa, signor Presidente, tengo a sottolineare, perché su questo punto il mio rammarico è profondo. Mi riferisco a ciò che è avvenuto al momento della presentazione Pag. 62delle liste. Ebbene, non vi è stato nessuno nell'opposizione - e sottolineo nessuno - che abbia avuto l'onestà intellettuale di riconoscere un dato che credo costituisca il motivo per cui è stato emanato il decreto-legge, ossia che vi sono state delle violazioni delle regole vigenti compiute proprio da parte di alcuni uffici che erano preposti a far rispettare queste regole. A Milano l'ufficio regionale prima ha ammesso la lista Formigoni ma poi è stato accolto un ricorso contro l'ammissione della lista laddove, invece, le regole vigenti, già abbastanza chiare ma evidentemente non sufficientemente chiare per l'ufficio regionale elettorale, prevedono che siano ammissibili solo i ricorsi avverso l'esclusione di liste e candidati. Poi il TAR ha riconosciuto, anche senza applicare il decreto-legge, che si era verificata questa violazione.
A Roma, al di là degli errori o non errori compiuti dai delegati della lista del Popolo della Libertà, vi è stata una violazione delle regole vigenti.
Infatti, le regole vigenti prevedono che il cancelliere non possa rifiutarsi di ricevere e verbalizzare una lista, anche qualora la ritenga irregolare e tardiva. Il fatto di non aver redatto il verbale ha privato la lista della possibilità di tutela giurisdizionale. Se fosse avvenuto questo l'ufficio avrebbe potuto comunque dire che la lista era irregolare e tardiva, ma avrebbe consentito la normale tutela giurisdizionale e probabilmente non saremmo arrivati al decreto-legge.
Possibile che non ci sia stato, lo ripeto, nessuno che abbia avuto il «buon gusto» e l'onestà intellettuale di ricordare questo? Mi aspettavo sinceramente che, finita la campagna elettorale, il clima più disteso avrebbe consentito almeno questo riconoscimento. Non c'è stato, me ne rammarico, ma non mi fermo qui, signor Presidente, perché come ho detto non intendo fare una compiuta replica su argomenti sui quali sono già intervenuto.

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

MICHELINO DAVICO, Sottosegretario di Stato per l'interno. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il Governo ha ascoltato con grande attenzione gli interventi di oggi riguardanti i contenuti ed il merito del decreto-legge n. 29 del 2010, che è stato adottato per assicurare nel miglior modo il regolare svolgimento delle consultazioni elettorali del 28 e 29 marzo 2010.
Si è trattato di interventi autorevoli e di alto livello, che si distinguono per la dottrina e per la ricchezza di argomentazioni giuridiche e politiche delle quali il Governo terrà senz'altro conto nella propria azione. Desidero rivolgere un particolare apprezzamento al relatore, onorevole Calderisi, per la relazione introduttiva ai lavori di questa Assemblea, per la ragionevole completezza delle argomentazioni proposte, ma anche per l'impegno profuso nelle scorse settimane nella competente Commissione affari costituzionali egregiamente presieduta dall'amico onorevole Donato Bruno.
Vengo ora al merito del provvedimento. Più volte, nel corso di questa legislatura, ho avuto occasione di argomentare in merito all'ammissibilità dello strumento del decreto-legge in materia elettorale, ammissibilità riconosciuta laddove si tratti, come nel caso di specie, di provvedimenti che incidono sulla cosiddetta legislazione elettorale di contorno, cioè su disposizioni volte a regolare la competizione elettorale sotto gli aspetti procedurali ed organizzativi.
Il decreto-legge adottato non è intervenuto sul procedimento già avviato e non contiene norme di carattere innovativo. L'iniziativa d'urgenza si limita, infatti, a recare norme di interpretazione autentica di disposizioni già esistenti nell'ordinamento elettorale. Desidero far presente che la legislazione, soprattutto in questi ultimi anni, è stata molto sensibile a favorire ed a facilitare l'esercizio del diritto di voto (come nei casi, ad esempio, degli elettori intrasportabili o di alcune categorie di cittadini residenti anche temporaneamente all'estero).
Si possono avere idee diverse e valutazioni diverse sull'opportunità di ricorrere Pag. 63o meno all'iniziativa d'urgenza, tuttavia senza un tale provvedimento, necessitato dalla vicinanza della scadenza elettorale, si sarebbe impedito a taluni cittadini di esercitare il diritto di voto secondo i propri convincimenti e ciò deve costituire un argomento di ragionevole riflessione.
In caso contrario, vi sarebbe stato il rischio concreto di una alterazione del consenso. Ribadisco, quindi, che il decreto-legge non ha introdotto nuove disposizioni, ma si è limitato a dettare criteri interpretativi di norme in materia di rispetto dei termini per la presentazione delle liste, di autenticazione delle liste e di ricorsi contro le decisioni dell'ufficio centrale regionale.
Le disposizioni sono venute incontro all'esigenza di assicurare la piena partecipazione dei diversi schieramenti alle ultime elezioni. Soggiungo, infine, che con le norme contenute nel decreto-legge si è inteso offrire la cornice giuridica affinché la magistratura, sia ordinaria, sia amministrativa, potesse pronunciarsi senza dubbi ed incertezze in una materia tanto delicata, ma anche altrettanto sensibile per i diritti dei cittadini chiamati a rinnovare gli organi regionali e locali interessati dall'ultima consultazione amministrativa.
Ricordo che, oltre al Consiglio di Stato e alla Corte costituzionale, in molte regioni (tra cui Abruzzo, Calabria, Lazio, Liguria, Lombardia, Piemonte e Veneto) i differenti organi giurisdizionali nell'ambito delle rispettive competenze hanno infatti adottato decisioni nella materia facendo puntuali riferimenti ai contenuti del provvedimento. Per tali ragioni auspico la sollecita approvazione del disegno di legge.

(Esame dell'articolo unico - A.C. 3273)

PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'articolo unico del disegno di legge di conversione (Vedi l'allegato A - A.C. 3273).
Avverto che le proposte emendative presentate si intendono riferite agli articoli del decreto-legge (Vedi l'allegato A - A.C. 3273).
Avverto altresì che sono state presentate proposte emendative riferite all'articolo unico del disegno di legge di conversione (Vedi l'allegato A - A.C. 3273).
Avverto che la Presidenza non ritiene ammissibili, ai sensi degli articoli 86, comma 1, e 96-bis, comma 7, del Regolamento, in quanto non strettamente attinenti rispetto al contenuto del provvedimento, le seguenti proposte emendative non previamente presentate in Commissione: Ria 2.0200, recante un'interpretazione autentica delle disposizioni in materia di determinazione del numero dei componenti dei consigli regionali; 2.0500 del Governo, recante un'interpretazione autentica dell'articolo 2, comma 1, lettera f) della legge n. 165 del 2004 in materia di divieto di immediata rieleggibilità del presidente della giunta regionale.
Avverto, inoltre, che l'emendamento Mantini Dis. 1.2 è stato ritirato dal presentatore.
Avverto, altresì, che la V Commissione (Bilancio) ha espresso il prescritto parere (Vedi l'allegato A - A.C. 3273).
Informo l'Assemblea, che in relazione al numero di emendamenti presentati, la Presidenza applicherà l'articolo 85-bis del Regolamento, procedendo in particolare a votazioni per principi o riassuntive, ai sensi dell'articolo 85, comma 8, ultimo periodo, ferma restando l'applicazione dell'ordinario regime delle preclusioni e delle votazioni a scalare.
A tal fine il gruppo Italia dei Valori è stato invitato a segnalare gli emendamenti da porre comunque in votazione.

LORENZO RIA. Chiedo di parlare sulla dichiarazione di inammissibilità.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LORENZO RIA. Signor Presidente, so di muovermi tra le maglie strette di un'interpretazione estremamente rigorosa, in particolare dell'articolo 96-bis del Regolamento. Tale articolo è stato da lei richiamato e prevede la facoltà di negare l'ammissibilità di emendamenti, qualora si tratti di argomenti non strettamente attinenti Pag. 64alla materia oggetto del decreto-legge. Mi permetto di sottoporre alla sua attenzione le valutazioni che sto per fare, dal momento che lei ha la facoltà, che le riserva il Regolamento, di riammettere l'emendamento da me presentato.
Signor Presidente, lo stesso oggetto del decreto-legge è estremamente generico: il disegno di legge di conversione reca interpretazione autentica di disposizioni del procedimento elettorale e relativa disciplina di attuazione. Il procedimento elettorale e la relativa disciplina di attuazione è un unicum, un insieme di norme che non possono essere scisse e valutate separatamente ai fini di stabilire l'attinenza o meno dell'emendamento rispetto alla materia oggetto di discussione. Voglio cioè dire che la legge n. 108 del 1968, modificata dalla legge n. 43 del 1995, ricordata come il «Tatarellum», contiene un insieme di norme che parte dalla presentazione delle liste fino ad arrivare all'assegnazione dei seggi.
Potrei anche condividere l'interpretazione che lei poco fa ha dato e che escluderebbe l'emendamento da me proposto se il decreto-legge avesse disciplinato soltanto gli articoli 9 e 10 della legge n. 108 del 1968, così come modificata.
Dico questo perché anche l'attenzione della discussione generale, come era ovvio che fosse, si è incentrata soprattutto sulla questione di cui si è discusso tanto in campagna elettorale, cioè la presentazione delle liste, la raccolta delle firme, l'orario e tutto quello che sappiamo, anche con gli interventi giurisdizionali che hanno accompagnato questa vicenda. Però, Presidente, vorrei farle notare che il decreto-legge che stiamo esaminando non contiene soltanto una disciplina degli articoli 9 e 10 della legge, ma l'articolo 2 fa espresso riferimento all'articolo 2 della legge madre, la legge che disciplina il procedimento elettorale ove si dice: «Limitatamente alle consultazioni per il rinnovo degli organi delle regioni a statuto ordinario l'affissione del manifesto recante le liste e le candidature ammesse deve avvenire non oltre il sesto giorno antecedente la data della votazione».

PRESIDENTE. La prego di concludere.

LORENZO RIA. Signor Presidente, le chiedo due minuti per concludere questo ragionamento. Al di là del fatto materiale dell'affissione delle liste, l'articolo 2 di questa legge è richiamato proprio dal comma 14 dell'articolo 15, di cui sottopongo, attraverso l'emendamento, un'interpretazione autentica che mi sarebbe piaciuto illustrare perché è il cuore dell'emendamento. Infatti, si chiarisce quanti seggi devono essere assegnati per un consiglio regionale, per la Puglia piuttosto che per il Lazio, per la Puglia in particolare i seggi devono essere 70 o addirittura 78: è questo ciò di cui stiamo discutendo.
Presidente, il problema della formazione delle liste ha specifica attinenza con il numero dei seggi, atteso che il numero di candidati è rapportato anche al numero dei seggi assegnati al consiglio regionale. Allora da qui, a mio modo di vedere, deriva l'ammissibilità dell'emendamento, come anche del successivo che però non riguarda la mia attività, ma quella del Governo. Pertanto chiedo che rivaluti la posizione che è stata assunta dalla Presidenza e, se lo riterrà opportuno, la sottoponga all'Aula attraverso una votazione, così come è previsto dal Regolamento, senza discussione per alzata di mano. Consulti cioè l'Assemblea se questa è una questione che merita attenzione, soprattutto in questo particolare momento in cui tutti discutiamo più in generale di riduzione del numero dei parlamentari, di riduzione dei costi della politica, ma poi, avendo la possibilità di intervenire su questo argomento, non lo si fa. So bene che non è un emendamento che porta immediatamente a delle conseguenze, perché si tratta di una nostra interpretazione che è poi rimessa agli organi giurisdizionali che saranno chiamati a decidere su questa vicenda, ma credo che un intervento autorevole del Parlamento sia quanto meno necessario.

PRESIDENTE. Onorevole Ria, prima di interloquire rispetto alle sue argomentazioni mi permetta di dirle che come Presidente Pag. 65di turno non riterrei assolutamente opportuno che fosse l'Aula a votare sull'ammissibilità degli emendamenti. Lei capisce bene, tra l'altro appartiene ad un gruppo di opposizione, che questo finirebbe in qualche modo per ridurre la funzione di garanzia della Presidenza, che ha il compito di giudicare l'ammissibilità degli emendamenti. L'Aula è certamente sempre sovrana, ma la maggioranza finirebbe per avere la possibilità di determinare l'ammissibilità stessa, che non a caso è rimessa al Presidente, che dovrebbe in qualche modo garantire la massima imparzialità.
Detto questo, come mi sono permessa di enunciare all'inizio, l'articolo aggiuntivo è considerato non ammissibile sia in relazione all'articolo 86, comma 1, sia all'articolo 96-bis, comma 7, del Regolamento.
Come lei sa bene, il primo articolo prevede che le proposte emendative presentate direttamente per l'esame in Assemblea debbano riguardare argomenti già considerati nel testo, o dagli emendamenti giudicati ammissibili dalla Commissione. Certamente il suo emendamento non rientra in questa previsione, onorevole Ria. Inoltre, l'articolo 96-bis, comma 7 del Regolamento, stabilisce che siano dichiarati inammissibili gli emendamenti e gli articoli aggiuntivi non strettamente attinenti alla materia del provvedimento. In questo caso ci troviamo di fronte ad un emendamento la cui inammissibilità è prevista da entrambi gli articoli del Regolamento. Aggiungo, inoltre, che la circolare del Presidente della Camera del 10 gennaio 1997 ritiene che la materia deve essere valutata con riferimento ai singoli oggetti e alla specifica problematica affrontata nell'intervento normativo.
Quindi, mi sembra che per tutti questi criteri il suo emendamento sia stato giustamente non considerato ammissibile e credo che non vi siano possibilità per un'ulteriore valutazione. Men che meno, come le ho detto prima, ritengo di interrompere una prassi che non ha mai rimesso alla votazione dell'Aula l'ammissibilità degli emendamenti per gli ovvi motivi prima ricordati.

ROBERTO GIACHETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, il suo auspicio è ineccepibile, ovviamente facendo riferimento ad articoli del Regolamento che, purtroppo, rendono sicuramente impossibile la richiesta dell'onorevole Ria. Vorrei sottoporre a lei e anche al collega Leone, che si sta accingendo a presiedere la seduta, una leggera riflessione e valutazione su come queste previsioni regolamentari e questa decisione ineccepibile riguardo un emendamento - e, quindi, un'attività parlamentare - stridano con quello che accade normalmente quando vengono presentati dei decreti-legge.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ANTONIO LEONE (ore 17,05)

ROBERTO GIACHETTI. Mi riferisco al tema dell'omogeneità di materia e al tema dell'introduzione di materie e di questioni assolutamente estranee all'inizio del procedimento, le quali sono ormai diventate l'abitudine attraverso cui il Governo legifera con i decreti-legge.
L'attività parlamentare giustamente è limitata rispetto a parametri assolutamente equiparati in termini di decretazione d'urgenza, perché ha valore di legge, e il procedimento dovrebbe essere in qualche modo uguale. Tuttavia, quello che i parlamentari non possono fare, il Governo lo fa normalmente e, ormai, con una costanza e una ripetizione assolutamente evidente a tutti.

PRESIDENTE. Onorevole Giachetti, lei ha ragione, ha sollevato un problema antico e la ringrazio. Tuttavia, mai come in questo caso c'è stato, proprio nei confronti del Governo, una pronuncia di inammissibilità proprio sull'emendamento 2.0500 del Governo (lo ricordo solo per la Pag. 66par condicio). Il problema c'è e dovrebbe essere sottoposto agli organi competenti ai fini delle modifiche regolamentari.
Ha chiesto di parlare sul complesso delle proposte emendative l'onorevole Tassone. Ne ha facoltà.

MARIO TASSONE. Signor Presidente, intervengo brevemente, avendo già svolto alcune mie valutazioni in sede di discussione sulle linee generali. In verità, non avrei ripreso la parola - quindi, avrei rinunciato - se non avessi ascoltato il relatore e il rappresentante del Governo. I nostri emendamenti sono quelli soppressivi sia dell'articolo 1, sia dell'articolo 2. Credo che queste proposte emendative vadano nella direzione di quelle perplessità che noi abbiamo avvertito sin dall'inizio e che, successivamente, si sono tradotte in preoccupazioni. Ciò è accaduto per il modo con cui il Governo ha legiferato in una materia che, invece, non era nella sua disponibilità visto e considerato che ha violato la legge n. 400 del 1988 e l'articolo 72 della Costituzione.
C'è un altro dato su cui vorrei interloquire anche con il relatore.
Per quanto riguarda la violazione delle regole, se ci sono state delle violazioni delle regole in Lombardia, c'erano altri strumenti per farle rispettare. Secondo voi sono state violentate alcune regole, ma voi avete fatto un decreto-legge che violenta le regole stesse cambiandole. Dunque, o le regole erano valide e sono state violentate, oppure c'è stata una violenza sul piano legislativo da parte del Governo con una decretazione d'urgenza.
Poi non c'è dubbio che, come abbiamo detto e riproposto più volte, vi è una argomentazione che ritengo stringente: questo non è un provvedimento interpretativo, ma innovativo. Lo è anche nelle valutazioni di colleghi della maggioranza e del relatore. Ad esempio, è innovativo rispetto a quello che deve essere considerato un ufficio elettorale, che non è più soltanto l'ufficio elettorale in senso stretto, ma, come abbiamo visto, è rappresentato anche dai meandri degli uffici giudiziari e dei tribunali. Esso è innovativo anche per quanto riguarda il ricorso all'autorità amministrativa. È innovativo, come recita l'articolo 2, per quanto riguarda i termini dell'affissione. È quindi un provvedimento innovativo, che lascia perplessi e reca, come abbiamo detto, un vulnus molto forte ai principi che devono essere salvaguardati e definiti.
Quando si fa riferimento alla salvezza del diritto dell'elettore, ritengo che si commetta un grande equivoco. Qui sono violati i principi formali: credo che ci debba essere una coniugazione tra diritto sostanziale e diritto formale, tra le procedure e i dettati che devono essere garantiti e rispettati. Non c'è una gerarchia. Credo che, anche per quanto riguarda il procedimento di diritto sostanziale in termini penali, si tratti di un tutto unico che è alla base della garanzia della giustizia e soprattutto dell'equilibrio che deve essere garantito all'interno della società.
Ritengo che ci siano molte vicende preoccupanti che stanno a dimostrare che viviamo e abbiamo vissuto questa vicenda con una grande sofferenza, vista l'elasticità con cui si sono adottate alcune norme e soprattutto visto e considerato che c'è stato - come io e molti altri colleghi lo abbiamo definito - un vulnus che crea dei precedenti gravissimi per il futuro.
Ma c'è una vicenda certamente non esaltante, ossia quella della tutela di un interesse privato, semplicemente di parte. Non c'è uno slancio e soprattutto non c'è stata una posizione della maggioranza che andasse in direzione di una tutela e di una garanzia degli interessi generali di questo nostro Paese. Quando si violano le regole, soprattutto nel momento in cui è iniziata la partita, vi è certamente un fatto estremamente grave e per alcuni versi drammatico.
Ecco perché non ho capito perché la Presidenza abbia dichiarato inammissibile l'emendamento dell'onorevole Ria. Posso capire che abbia dichiarato inammissibile l'emendamento del Governo. Infatti, quando il Governo afferma che questo provvedimento d'urgenza non è innovativo e poi presenta un emendamento profondamente innovativo in materia di eleggibilità Pag. 67del presidente della giunta regionale, ci troviamo veramente di fronte ad una farsa, che certamente crea delle disfunzioni nell'attività legislativa, ma anche un'area di incertezza e di relativismo all'interno del nostro Paese, che certamente non rafforza le istituzioni.
Le istituzioni devono essere rinforzate e in questa direzione vanno i nostri due emendamenti sottoscritti da Mantini, da me e da altri colleghi dell'UDC per sopprimere sia l'articolo 1 sia l'articolo 2. Non c'è dubbio che questo atto riabiliterebbe il Parlamento e la maggioranza rispetto ad una brutta vicenda, che dovrebbe essere dimenticata se vogliamo guardare con certezza, sicurezza e con altro spirito alle grandi riforme costituzionali di cui si sta parlando in questo momento. Ma questi provvedimenti certamente non fanno intravedere un percorso facile, nessuna volontà e soprattutto nessuno slancio per approvare riforme importanti e fondamentali per la vita della nostra Repubblica.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Zazzera. Ne ha facoltà.

PIERFELICE ZAZZERA. Signor Presidente, ovviamente non ho competenza giuridica né da costituzionalista, ma parlo da cittadino: se qui oggi ci fosse un cittadino, si dovrebbe oggi chiedere: noi, dipendenti del Paese, di che cosa stiamo discutendo e su che cosa stiamo perdendo tempo? Stiamo discutendo di un provvedimento che riguarda qualcosa che è già accaduto il 28 e 29 marzo e che è già stato superato dall'evento delle elezioni.
Noi oggi stiamo qui a perdere ore di tempo, quando invece nel Paese l'indice di disoccupazione è salito all'8,5 per cento e abbiamo perso 850 mila posti di lavoro. Dovete spiegare ai cittadini che oggi stiamo perdendo tempo a discutere di qualcosa di davvero paradossale. Stiamo discutendo dell'interpretazione autentica di una legge elettorale, dei regolamenti di una legge elettorale, e invece non si trovano soluzioni per le aziende in crisi e non si danno risposte ai continui licenziamenti, che avvengono ancora in queste ore. Aziende del settore tessile, automobilistico e della conceria continuano a perdere ogni giorno centinaia di posti di lavoro; mi vergogno, da parlamentare, di essere qui, oggi, a discutere non degli interessi dei cittadini e del Paese, ma degli interessi di una parte, dei regolamenti del sistema elettorale.
Questo è quello che voi, Governo di questo Paese, dovreste spiegare. Pensavo di essere in quest'Aula perché avremmo dovuto trovare insieme, anche attraverso la contrapposizione tra maggioranza e opposizione, nel rispetto dei ruoli, le risposte ai problemi del Paese. Pensavo che avremmo dovuto discutere in quest'Aula e in questo Parlamento davvero di come affrontare il problema della questione morale e delle infiltrazioni della criminalità organizzata nelle istituzioni; di come mafia, politica e imprenditori abbiano fatto un patto per spartirsi la storia di questo Paese.
Pensavo di essere qui per discutere di come affrontare questi problemi e di come creare gli anticorpi in questo Paese e in quest'Aula per migliorare il Paese in cui vivo. Pensavo di poter ritornare nella mia regione e dire che qui, forse, facciamo qualcosa di utile per il Paese. Mica discutiamo, per esempio, del rispetto delle regole di incompatibilità: ancora oggi vi sono colleghi parlamentari che continuano a fare i sindaci dei comuni. Perché non discutiamo di questo? Perché non facciamo applicare quei regolamenti che rendono il valore della democrazia, quello di vera rappresentatività?
Invece, stiamo qui a discutere il decreto-legge n. 29 del 2010, approvato a campagna elettorale aperta, di interpretazione autentica di disposizioni del procedimento elettorale. Il provvedimento, in pratica, ha la pretesa di interpretare la normativa, di interpretare quello che non si può interpretare.
Quando vengono stabiliti i criteri per la presentazione delle liste, si tratta di criteri non elastici, che non si possono modificare. Se mi dite di presentare per le ore 12 le liste davanti al cancelliere, non è la stessa cosa che dire che a quell'ora basta entrare nell'edificio del tribunale. Pag. 68
È un'interpretazione di comodo, quella che voi cercate di dare: è espressione della filosofia di questo Governo, mettere sotto i piedi lo Stato di diritto nel Paese. In atti come questo non vi è un'interpretazione sulla raccolta delle firme e sulla possibilità di accettare anche quelle dove il timbro può non essere leggibile, perché significherebbe anche mettere in discussione la credibilità dell'istituzione che dovrebbe autenticare le firme: rendere elastici i criteri significherebbe anche favorire le inevitabili furbizie per cui si possono raccogliere firme false, firme per cui basterebbe manomettere un timbro e nessuno potrebbe mettere in discussione la legittimità di presentazione delle liste.
Ma soprattutto il provvedimento in esame ha il «pregio» di essere stato portato avanti quando la campagna elettorale era già aperta, quando era già in corso la competizione elettorale: come se in una partita di calcio l'arbitro estraesse il cartellino rosso e la Federazione Italiana Giuoco Calcio un minuto dopo dicesse che i cartellini rossi non sono più validi, e quindi quel giocatore continuerebbe a giocare e a restare in campo. È evidente che in questo modo si modificano le regole quando il gioco è già in corso, quando la competizione è già aperta; però mi chiedo che senso ha oggi proseguire a convertire il decreto-legge in esame, a completarne l'iter: quasi un accanimento terapeutico, una sorta di agire sul morto, che non si potrà rianimare.
Penso allora che certamente avreste fatto bene (e siete ancora in tempo) a dare una risposta, un gesto di disponibilità nei confronti dei cittadini del nostro Paese, che almeno di qualche cosa vi occupate nei vostri provvedimenti: che non vi occupate di qualcosa di inutile, come il decreto-legge in discussione, ma vi preoccupate invece del destino dei tanti cittadini e dei tanti lavoratori di questo Paese.
Alla base del decreto-legge avete posto dei criteri d'urgenza, che d'urgenza non possono essere. Cosa può giustificare una normativa d'urgenza? Una normativa d'urgenza ha senso laddove vi sia un vuoto normativo e allora è urgente riempirlo, perché altrimenti fermiamo il Paese. Cos'è urgente? È più urgente oggi un decreto-legge che modifica le regole elettorali a partita aperta, oppure un decreto-legge, che invece non riuscite ad emanare, per rimuovere la frana di Montaguto nel foggiano, che sta isolando da 40 giorni la regione dall'intero resto dell'Italia?
Eppure in quel caso non siete capaci di emanare un decreto-legge d'urgenza che servirebbe, nell'interesse dei cittadini, a ripristinare l'ordinarietà, la vita normale di tutti i giorni.
Invece siete riusciti a far diventare urgente persino la necessità di mettere riparo ai guasti che avete commesso nella presentazione delle liste, probabilmente ai conflitti interni per la compilazione delle liste, ai vari «capibastone» che dovevano portarle e che si sono affrettati a chiamare il «padrone» di Palazzo Grazioli perché gli dicesse qual era la lista migliore da mettere in campo, piuttosto che l'altra.
Questo è il motivo per cui non avete presentato in tempo le liste e avete fatto ricorso a un provvedimento che nasce, peraltro, dietro la spinta di due vicende su cui chiedo al Governo di fornire un chiarimento. Da un lato, mi riferisco alle dichiarazioni del Ministro La Russa che, rispetto alla vicenda elettorale del Lazio e della Lombardia e all'esclusione di quelle liste dalla corsa elettorale, ha detto che pur di far votare gli elettori del PdL (quasi fossero di proprietà, mentre gli elettori sono elettori e decidono di votare PD o PdL a seconda dell'offerta politica che gli viene proposta), quasi a preannunciare la scesa in campo dei carri armati ha detto - il Ministro della difesa - che era pronto a tutto pur di difendere il diritto degli elettori del PdL di trovare le liste del PdL.
Dall'altro, il Governo dovrebbe chiarirci che cosa significa quando il Presidente della Repubblica, che ha dovuto firmare - come ha spiegato nella sua lettera - affinché si garantisse il male minore, ma che nello stesso tempo ci ha dato indicazione del clima che si stava verificando nel Paese, dice: diversamente dalla bozza di decreto-legge prospettatami dal Governo in un teso incontro giovedì sera. Che Pag. 69significa quando il Presidente della Repubblica parla di «teso incontro»? Significa forse che qualcuno del Governo è andato a minacciare e a ricattare il Presidente della Repubblica, a fare pressioni, ad alzare il tono della voce, così come si dice nei corridoi, nei confronti del Presidente della Repubblica affinché firmasse quello che è un evidente decreto-legge incostituzionale? È un decreto-legge talmente pacchiano che persino il Ministro Maroni - che certamente ha intelligenza e capacità di governo - ha detto che certamente non si possono cambiare le regole del gioco quando la partita è cominciata.
Si tratta di un provvedimento che nasce quindi dall'idea che una parte, un pezzo di elettorato potesse essere escluso dai diritti del voto: non viene escluso dal diritto del voto l'elettorato del PdL se la lista del PdL non si presenta; l'elettorato del PdL e l'elettorato intero poteva o comunque aveva la possibilità di esprimere, come fra le altre cose ha fatto, il suo voto in altra maniera, perché le regole vanno rispettate e - ci piaccia o no - bisogna prenderne atto.
È un provvedimento che aggira le sentenze dei giudici amministrativi, che si sono pronunciati in maniera chiara sul punto che le regole non possono che essere rispettate e quindi non possono che essere accettate per quello che sono.
Ma evidentemente in questo caso la filosofia del Governo è questa: aggirare le sentenze e modificare l'azione dei giudici, siano essi giudici di natura penale o di natura amministrativa. Che cosa potrebbe significare ciò in futuro?

PRESIDENTE. Onorevole Zazzera, deve concludere.

PIERFELICE ZAZZERA. Non sono gli effetti oggi di un provvedimento che non conta niente, e concludo, bensì è il precedente pericoloso quello che noi mettiamo in campo. Ciò significa che vi sono oggi criteri più flessibili: essi valgono per le questioni elettorali, ma domani varranno anche per le normative della pubblica amministrazione.
Questo Governo è quindi capace di trasformare l'alto esercizio del voto in una sorta di reality show, e mi auguro che domani non ci propiniate il televoto per le prossime elezioni!
Allora avete modificato la legge elettorale e siete intervenuti a partita aperta. Avete abolito le trasmissioni televisive dove si svolgeva il dibattito politico...

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Zazzera...

PIERFELICE ZAZZERA. Manca solo che quando avrete il risultato direte di aver vinto nonostante abbiate perso (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

SIMONE BALDELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, risulta singolare la chiosa del collega sul fatto che abbiamo perso, ma non è questo il motivo del mio intervento. Chiedo, signor Presidente, ai sensi dell'articolo 44 e dell'articolo 85, commi 4 e 6 del Regolamento, la chiusura della discussione sul complesso delle proposte emendative.

PRESIDENTE. Avverto che sulla richiesta di chiusura della discussione sul complesso delle proposte emendative, ai sensi dell'articolo 44, comma 1 del Regolamento, darò la parola ad un oratore contro e ad uno a favore.
Ha chiesto di parlare contro la richiesta di chiusura della discussione sul complesso delle proposte emendative l'onorevole Borghesi. Ne ha facoltà per cinque minuti.

ANTONIO BORGHESI. Signor Presidente, Italia dei Valori oggi compie qui una testimonianza (che viene interrotta con la prevaricazione della maggioranza) contro una nuova e più forte coltellata ai principi della nostra Costituzione. È una mortificazione che in quest'Aula si debba discutere, e purtroppo approvare, un provvedimento Pag. 70che cambia le regole del gioco e che ha cambiato le regole del gioco dopo che il gioco era iniziato.
Nel dizionario italiano colui che opera scorrettezze al fine di assicurarsi un migliore risultato intenzionalmente, al di fuori o contro le regole, viene definito un baro. Siete dei bari. State giocando con carte truccate. State giocando con i jolly nascosti dentro la manica per truffare tutti coloro che si sono attenuti alle regole (Commenti dei deputati del gruppo Popolo della Libertà). Io vi chiedo quale mortificazione dia al Parlamento un atto di questo genere.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROSY BINDI (ore 17,33)

ANTONIO BORGHESI. Lo chiedo a nome delle centinaia o forse migliaia di famiglie danneggiate dalle trasfusioni di sangue infetto a causa della negligenza dello Stato, e che sono state escluse dal risarcimento dei danni perché hanno presentato la domanda in ritardo, signor Presidente (Commenti dei deputati del gruppo Popolo della Libertà). Voi state uccidendo quelli che credono nelle regole e che pensano che le regole...

PRESIDENTE. Onorevole Borghesi, il tema che lei sta toccando è molto importante - e lei lo sa bene - però forse sa anche che, per rispetto dello stesso tema, deve attenersi all'argomento per il quale sta intervenendo.

ANTONIO BORGHESI. Presidente, sommessamente accetto le sue argomentazioni, ma io credo che c'entri assolutamente ciò che stavo dicendo, perché è vero che questa è un'altra dimostrazione del fatto che, quando qualcosa serve alla casta della politica e dei politici, allora le regole non valgono più, si possono cambiare, e si possono cambiare dopo che le procedure sono iniziate. Questo è intollerabile perché mina la credibilità della politica (Commenti dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).
Posso parlare, Presidente? (Dai banchi del gruppo Popolo della Libertà si grida: No!).

PRESIDENTE. Scusate colleghi, abbiate pazienza. Non mi sembra proprio un comportamento adeguato. Prego onorevole Borghesi.

ANTONIO BORGHESI. Un atto come questo mina alle radici la credibilità della politica, mina alle radici l'idea che il principio costituzionale di uguaglianza davanti alla legge sia qualche cosa di scritto e scolpito nella nostra Costituzione, e rende in modo assolutamente diseducativo al Paese l'idea che chi è più forte e chi ha le leve del potere in mano possa cambiare le regole a suo piacimento.
Signor Presidente, credo che la gente capirà. Noi vogliamo fare questa testimonianza per aiutare la gente a capire che siamo di fronte ad un sopruso, perché quando il Presidente del Consiglio dice che il Governo non ha potere, questo è il potere che vuole: quello di cambiare le regole del gioco a suo piacimento. Noi continueremo a batterci affinché questo non avvenga (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. Nessuno chiedendo di parlare a favore, passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla richiesta di chiusura anticipata della discussione sul complesso delle proposte emendative presentate.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).

Onorevole Vernetti? Onorevole Cesario? Onorevole Vico? Onorevole Costa?
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione:

Presenti e votanti 505
Maggioranza 253
Hanno votato 261
Hanno votato no 244
(La Camera approva - Vedi votazionia ).

Pag. 71

Prendo atto che i deputati Naro, Poli, Lusetti e Cesa hanno segnalato che non sono riusciti ad esprimere voto contrario.
Ricordo che essendo stata deliberata la chiusura della discussione sul complesso delle proposte emendative a norma dell'articolo 85, commi 4 e 6, hanno facoltà di intervenire una sola volta per non più di cinque minuti ciascuno i primi firmatari o altri proponenti delle proposte emendative che non siano già intervenuti nella discussione, sempre che non abbiano già preso la parola altri firmatari delle medesime.
Nessun altro chiedendo di parlare, invito il relatore ad esprimere il parere della Commissione.

GIUSEPPE CALDERISI, Relatore. Signor Presidente, la Commissione esprime parere contrario sia sull'emendamento Bressa Dis. 1.1 presentato al disegno di legge di conversione, sia su tutte le altre proposte emendative presentate agli articoli del decreto-legge.

PRESIDENTE. Il Governo?

MICHELINO DAVICO, Sottosegretario di Stato per l'interno. Signor Presidente, il parere del Governo è conforme a quello espresso dal relatore.

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione dell'emendamento Bressa Dis. 1.1.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Bressa. Ne ha facoltà.

GIANCLAUDIO BRESSA. Signor Presidente, l'emendamento in esame è una «ciambella di salvataggio» che vi offriamo per evitare che questo Parlamento debba vedere una cosa che costituzionalmente rappresenta un autentico obbrobrio. Come voi avrete notato, noi nel corso di questa discussione non abbiamo messo in atto alcuna forma di ostruzionismo, per una ragione molto semplice: perché abbiamo il sacro rispetto della volontà popolare che il 28 e il 29 marzo si è espressa, ha votato e ha scelto politicamente. Quello è un punto irrinunciabile, ma deve essere un punto irrinunciabile per tutti e soprattutto dobbiamo avere la capacità e l'intelligenza di utilizzare gli strumenti che vengono messi a disposizione del Parlamento per salvare gli effetti di un decreto-legge, come voi avete voluto fare in materia elettorale, del tutto improvvido e dal punto di vista costituzionale molto sospetto.
Qual è la strada maestra che un Parlamento serio deve seguire per salvare gli effetti di un decreto-legge che non deve essere convertito in legge e, al tempo stesso, dare significato e senso al voto popolare che, il 28 e il 29 marzo, 34 milioni di cittadini italiani hanno esercitato? Quello riscontrabile nell'unico esempio, nell'unico precedente di cui questa Camera dispone in tema di legge elettorale e di provvedimenti elettorali. Mi riferisco a quando, nell'aprile del 1995, la Commissione affari costituzionali e, in seguito, l'Assemblea rifiutarono i presupposti di necessità e di urgenza di un decreto-legge e decisero, all'unanimità, di approvare un disegno di legge che salvasse gli effetti di quel provvedimento sciagurato.
Questo è l'atteggiamento costituzionalmente serio e conseguente di chi vuole garantire al massimo la sovranità popolare e rispettare l'esito di quel voto e, al tempo stesso, non vuole calpestare le procedure parlamentari, né le norme costituzionali che regolano la materia elettorale. Se il provvedimento in esame non verrà convertito in legge, vi garantiamo che saremo disponibili a votare in tempi rapidissimi un disegno di legge che ne salvaguardi gli effetti. Risparmiate a questo Parlamento e alla storia costituzionale parlamentare di quest'Assemblea, un obbrobrio quale quello che vi state accingendo a fare: convertire in legge un provvedimento che è risultato inefficace ed inutile e che sarà dannosissimo a causa degli effetti che, nelle prossime future elezioni, questo meccanismo così incongruo riserva, e riserverà, a chiunque vorrà presentarsi alle elezioni. Riflettete e votate con noi per la non conversione del provvedimento in oggetto (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

Pag. 72

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Paladini. Ne ha facoltà.

GIOVANNI PALADINI. Signor Presidente, è raro che un decreto-legge in materia elettorale, che ha creato una forte discussione nel Paese, sia fatto così male, sia così inutile, inapplicabile, inefficace ed incostituzionale. Soprattutto, è un decreto-legge che, per ben otto volte, è stato respinto dal Consiglio di Stato e dai TAR. Ciò fa comprendere lo stato di confusione, di incapacità e di incompetenza politica che vi è stato da parte del Governo.
Nel provvedimento in esame, le regole, le norme, la Costituzione e la certezza del diritto sembrano non appartenere più alla logica della nostra Repubblica democratica. La politica, oggi, dà un cattivo esempio, insegnando come si modificano le regole in corsa per svolgere la competizione elettorale a vantaggio della propria parte. È del tutto inesistente, poi, lo schermo di una norma che si autodefinisce interpretativa.
È un segnale drammaticamente negativo quello che ha cercato di gettare nella precarietà il risultato elettorale: se da un lato, ne vediamo la ragione nella legge come massima espressione di partecipazione democratica, dall'altro lato, notiamo la confusione istituzionale e politica. Questo è un atto di arroganza politica, è una forzatura politica e normativa che non ha precedenti. Bastava riconoscere l'errore.
Non vi è cultura istituzionale, si privilegiano le leggi ad personam e non gli interessi di tutti, l'immagine di una classe dirigente che persegue scopi personali e non generali, gli atteggiamenti che dovrebbero essere stigmatizzati e, invece, vengono enfatizzati (addirittura, si trovano degli escamotage da «furbetti di quartiere»). La capacità di governare non può essere legata a provvedimenti truffa: la democrazia è una realtà ed è regolata da norme ma, soprattutto, da regole, che dettano i binari su cui camminiamo e che, soprattutto, sono a garanzia e a tutela di tutti. Il decreto-legge in esame non ha ottenuto alcun risultato, tranne quello del vulnus sul quale non mi soffermo.
Mi avvio alla conclusione. Comprendiamo il problema delle liste, come anche quello elettorale, ma pensiamo che la certezza del diritto sia la questione più importante. Oggi stendiamo un velo pietoso sul provvedimento in oggetto. Ci auguravamo il ritiro di un atto che, non solo non ha senso ma, addirittura, è contrario a qualsiasi concetto giuridico degno di essere presentato da questa maggioranza (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Scilipoti. Ne ha facoltà.

DOMENICO SCILIPOTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, in un minuto cercherò di esprimere una riflessione che ritengo importante e che tutti dovrebbero recepire all'interno di quest'Aula. Un momento drammatico di confusione si è verificato oggi qui, in Parlamento, ma la stessa cosa succede nelle regioni (si pensi a quello che sta accadendo nella regione Sicilia): partiti politici che vanno dal gruppo di Lombardo, al PD e al PdL, sono invischiati in un sistema di grande corruzione e a turno si lanciano accuse gravissime. Noi stiamo a guardare e non ci rendiamo conto di non intervenire in questo grande sfacelo che si sta verificando all'interno delle istituzioni. Qui, a livello nazionale, vediamo che vi è innanzitutto la prevaricazione della legge e poi non si permette, all'interno dell'Aula, di svolgere un dibattito sereno.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

DOMENICO SCILIPOTI. All'interno delle regioni e quello che si sta verificando in questo momento in Sicilia...

PRESIDENTE. Grazie onorevole Scilipoti.

Pag. 73

DOMENICO SCILIPOTI. Concludo, signor Presidente. Un presidente della regione è incriminato; vi sono il presidente della provincia di Catania e alti esponenti del PD che creano grande confusione e sconquasso totale nell'opinione pubblica.

PRESIDENTE. Grazie onorevole Scilipoti.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Bernardini. Ne ha facoltà.

RITA BERNARDINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ci troviamo a convertire un decreto-legge inutile, che crea un precedente pericolosissimo: mai in questa Repubblica si era arrivati a legiferare nel momento in cui il procedimento del deposito delle liste era stato già effettuato.
D'altra parte - e questo lo vogliamo sottolineare come delegazione radicale all'interno del Partito Democratico - in queste elezioni tutto il procedimento elettorale è stato illegale.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

RITA BERNARDINI. Credo che nei prossimi minuti e nei prossimi interventi dimostreremo come nel deposito, nella fase precedente la presentazione delle liste e delle candidature, tutto il procedimento elettorale sia stato illegale, tanto che avevamo chiesto di poter rimandare le elezioni.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Burtone. Ne ha facoltà.

GIOVANNI MARIO SALVINO BURTONE. Signor Presidente, non intervengo sul tema...

PRESIDENTE. Onorevole Burtone, allora non posso concederle la parola, gliela concederò a fine seduta. Se vuole intervenire sul tema a titolo personale, le concedo la parola, altrimenti no.

GIOVANNI MARIO SALVINO BURTONE. Sì, signor Presidente, intervengo a titolo personale.

PRESIDENTE. Sta bene. Ne ha facoltà.

GIOVANNI MARIO SALVINO BURTONE. Il collega Scilipoti ha fatto delle affermazioni molto gravi. Io sono stato e sono contrario all'accordo che è stato fatto dal Partito Democratico con il «governatore» in Sicilia, tuttavia devo rettificare il collega Scilipoti: non vi è stato alcun affare illecito, o altro, che ha visto il Partito Democratico protagonista. Pertanto, mi permetto di chiedere all'onorevole Scilipoti di non dire cose scorrette e assolutamente improprie in questo dibattito. Ripeto, non ho assolutamente accettato l'ipotesi di accordo che è stato formulato e credo che il Partito Democratico debba mantenere la propria...

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Burtone.
Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Bressa Dis. 1.1, non accettato dalla Commissione né dal Governo.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).

Onorevole Martinelli... onorevole Gatti... onorevole Gibiino... i colleghi hanno votato.
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Prolungati applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, Italia dei Valori e Unione di Centro - Vedi votazionia ).

(Presenti e votanti 516
Maggioranza 259
Hanno votato 262
Hanno votato no 254).

Prendo atto che il deputato Di Caterina ha segnalato che non è riuscito ad esprimere Pag. 74voto contrario e che il deputato Di Pietro ha segnalato che non è riuscito ad esprimere voto favorevole.
Avverto che dall'approvazione dell'emendamento Bressa Dis 1.1, soppressivo dell'articolo unico del disegno di legge di conversione del decreto-legge al nostro esame, discende la reiezione dell'intero provvedimento (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, Italia dei Valori e Unione di Centro).
Non passeremo, pertanto, all'esame degli ulteriori emendamenti e al voto finale
Sospendo brevemente la seduta.

La seduta, sospesa alle 17,50, è ripresa alle 18.

Proposta di trasferimento a Commissione in sede legislativa di una proposta di legge.

PRESIDENTE. Comunico che sarà iscritta all'ordine del giorno della seduta di domani l'assegnazione, in sede legislativa, della seguente proposta di legge, della quale la sottoindicata Commissione, cui era stata assegnata in sede referente, ha chiesto, con le prescritte condizioni, il trasferimento alla sede legislativa, che proporrò alla Camera a norma del comma 6 dell'articolo 92 del Regolamento: alla XI Commissione (Lavoro):
STUCCHI: «Modifica all'articolo 1 della legge 3 dicembre 1962, n. 1712, concernente la composizione dei comitati consultivi provinciali presso l'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro» (2587) (La Commissione ha elaborato un nuovo testo).

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Mercoledì 14 aprile 2010, alle 10,30:

(ore 10,30 e ore 16)

1. - Assegnazione a Commissione in sede legislativa della proposta di legge C. 2587.

2. - Deliberazione in merito alla costituzione in giudizio della Camera dei deputati in relazione ad un conflitto di attribuzione sollevato innanzi alla Corte costituzionale dalla Corte di Cassazione di cui all'ordinanza della Corte costituzionale n. 62 del 2010.

3. - Discussione dei disegni di legge:
Ratifica ed esecuzione del Protocollo ai sensi dell'articolo 34 del Trattato sull'Unione europea recante modifica, per quanto attiene all'istituzione di un archivio di identificazione dei fascicoli a fini doganali, della Convenzione sull'uso dell'informatica nel settore doganale, fatto a Bruxelles l'8 maggio 2003 (C. 3211-A).
- Relatore: Pianetta.
Ratifica ed esecuzione del Trattato per l'assistenza giudiziaria in materia penale tra la Repubblica italiana e la Repubblica del Cile, fatto a Roma il 27 febbraio 2002 (C. 3236).
- Relatore: Osvaldo Napoli.
Ratifica ed esecuzione dell'Accordo multilaterale tra la Comunità europea e i suoi Stati membri, la Repubblica di Albania, la Bosnia-Erzegovina, la Repubblica di Bulgaria, la Repubblica di Croazia, l'ex Repubblica iugoslava di Macedonia, la Repubblica d'Islanda, la Missione delle Nazioni Unite per l'amministrazione ad interim nel Kosovo, la Repubblica di Montenegro, il Regno di Norvegia, la Romania e la Repubblica di Serbia, relativo all'istituzione di uno Spazio aereo comune europeo, con Allegati, fatto a Lussemburgo il 9 giugno 2006 (C. 3259).
- Relatore: Tempestini.

(ore 15)

4. - Svolgimento di interrogazioni a risposta immediata.

Pag. 75

PROPOSTA DI LEGGE DI CUI SI PROPONE L'ASSEGNAZIONE A COMMISSIONE IN SEDE LEGISLATIVA

alla XI Commissione (Lavoro):
STUCCHI: «Modifica all'articolo 1 della legge 3 dicembre 1962, n. 1712, concernente la composizione dei comitati consultivi provinciali presso l'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro» (2587).
(La Commissione ha elaborato un nuovo testo).

La seduta termina alle 18,05.

CONSIDERAZIONI INTEGRATIVE DELLA RELAZIONE DEL DEPUTATO GIUSEPPE CALDERISI IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE DI CONVERSIONE N. 3273

GIUSEPPE CALDERISI, Relatore. Ricordo brevemente il contenuto del decreto-legge. L'articolo 1 reca l'interpretazione autentica degli articoli 9 e 10 della legge 17 febbraio 1968, n. 108, che disciplinano la presentazione delle liste nelle elezioni regionali.
L'articolo 1, comma 1, in applicazione del principio del favor electionis, prevede che l'articolo 9, primo comma, della legge n. 108 del 1968 «si interpreta nel senso che il rispetto dei termini orari di presentazione delle liste si considera assolto quando, entro gli stessi, i delegati incaricati della presentazione delle liste, muniti della prescritta documentazione, abbiano fatto ingresso nei locali del tribunale. La presenza entro il termine di legge nei locali del tribunale può essere provata con ogni mezzo idoneo.»
L'articolo 1, comma 2, del decreto-legge prevede che l'articolo 9, terzo comma, della legge n. 108 del 1968 «si interpreta nel senso che le firme degli elettori si considerano valide anche se l'autenticazione non risulta corredata da tutti gli elementi richiesti dal citato articolo 21, comma 2, ultima parte, del decreto del Presidente della Repubblica n. 445 del 2000, purché tali dati siano comunque desumibili in modo univoco da altri elementi presenti nella documentazione prodotta. In particolare la regolarità della autenticazione delle firme non è comunque inficiata dalla presenza di una irregolarità meramente formale quale la mancanza o la non leggibilità del timbro della autorità autenticante, dell'indicazione del luogo di autenticazione, nonché dell'indicazione della qualificazione dell'autorità autenticante, purché autorizzata.»
L'articolo 1, comma 3, detta una norma di interpretazione autentica dell'articolo 10, quinto comma, della legge n. 108, in base alla quale «le decisioni di ammissione di liste di candidati o di singoli candidati da parte dell'ufficio centrale regionale sono definitive, non revocabili o modificabili dallo stesso ufficio. Contro le decisioni di ammissione può essere proposto esclusivamente ricorso al giudice amministrativo soltanto da chi vi abbia interesse.» La norma di interpretazione autentica stabilisce altresì che «contro le decisioni di eliminazione di liste di candidati oppure di singoli candidati è ammesso ricorso all'ufficio centrale regionale, che può essere presentato, entro 24 ore dalla comunicazione, soltanto dai delegati della lista cui la decisione si riferisce. Avverso la decisione dell'ufficio centrale regionale è ammesso immediatamente ricorso al giudice amministrativo.»
L'articolo 1, comma 4, prevede che le disposizioni dell'articolo si applicano alle operazioni e ad ogni attività relativa alle elezioni regionali in corso alla data di entrata in vigore del decreto, dettando una apposita disposizione applicativa: «Per le medesime elezioni regionali i delegati che si sono trovati nelle condizioni di cui al comma 1 possono effettuare la presentazione delle liste dalle ore 8 alle ore 20 del primo giorno non festivo successivo a quello di entrata in vigore del decreto.» Pag. 76
L'articolo 2 prevede che, limitatamente alle consultazioni elettorali regionali fissate per il 28 e 29 marzo 2010, l'affissione del manifesto recante le liste e le candidature ammesse deve avvenire, a cura dei sindaci, non oltre il sesto giorno antecedente la data della votazione, anziché entro il quindicesimo giorno antecedente quello della votazione (come attualmente previsto dall'articolo 11, primo comma, n. 4, della legge n. 108 del 1968).
L'articolo 3 prevede che il decreto-legge entra in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, avvenuta sabato 6 marzo 2010.

VOTAZIONI QUALIFICATE
EFFETTUATE MEDIANTE PROCEDIMENTO ELETTRONICO

INDICE ELENCO N. 1 DI 1 (VOTAZIONI DAL N. 1 AL N. 3)
Votazione O G G E T T O Risultato Esito
Num Tipo Pres Vot Ast Magg Fav Contr Miss
1 Nom. Chiusura discuss. gen. ddl n. 3273 490 490 246 260 230 53 Appr.
2 Nom. Chius.disc. compl. em. ddl n 3273 505 505 253 261 244 50 Appr.
3 Nom. Ddl 3273 - em. Dis. 1.1 516 516 259 262 254 47 Appr.

F = Voto favorevole (in votazione palese). - C = Voto contrario (in votazione palese). - V = Partecipazione al voto (in votazione segreta). - A = Astensione. - M = Deputato in missione. - T = Presidente di turno. - P = Partecipazione a votazione in cui è mancato il numero legale. - X = Non in carica.
Le votazioni annullate sono riportate senza alcun simbolo. Ogni singolo elenco contiene fino a 13 votazioni. Agli elenchi è premesso un indice che riporta il numero, il tipo, l'oggetto, il risultato e l'esito di ogni singola votazione.