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Resoconto dell'Assemblea

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XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 217 di lunedì 21 settembre 2009

Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROCCO BUTTIGLIONE

La seduta comincia alle 15,05.

ANGELO SALVATORE LOMBARDO, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 15 settembre 2009.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Alessandri, Angelino Alfano, Berlusconi, Bindi, Bonaiuti, Bossi, Brambilla, Brunetta, Buonfiglio, Carfagna, Casero, Cicchitto, Cirielli, Colucci, Cosentino, Cota, Craxi, Crimi, Crosetto, Fitto, Frattini, Fugatti, Gelmini, Gibelli, Alberto Giorgetti, Giro, La Russa, Leone, Mantovano, Maroni, Martini, Meloni, Menia, Miccichè, Leoluca Orlando, Pianetta, Prestigiacomo, Roccella, Romani, Ronchi, Rotondi, Saglia, Soro, Stefani, Tremonti, Urso, Vegas, Vernetti e Vito sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente cinquantadue, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Discussione della mozione Galletti ed altri n. 1-00202 concernente iniziative per la liberalizzazione dei servizi pubblici locali (ore 15,08).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Galletti ed altri n. 1-00202 (Vedi l'allegato A - Mozioni).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione della mozione è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
Avverto altresì che sono state presentate le mozioni Borghesi ed altri n. 1-00233, Valducci, Bitonci, Iannaccone ed altri n. 1-00234 e Sereni ed altri n. 1-00236 (Vedi l'allegato A - Mozioni) che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente. I relativi testi sono in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritto a parlare l'onorevole Galletti, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00202. Ne ha facoltà.

GIAN LUCA GALLETTI. Signor Presidente, abbiamo presentato questa mozione per impegnare il Governo a soddisfare uno dei punti cruciali del proprio programma e delle promesse elettorali che sono state fatte non più di un anno fa. In quell'occasione, la maggioranza e il Governo avevano messo al centro della propria politica economica proprio la riforma dei servizi Pag. 2pubblici locali. È trascorso un anno da allora e abbiamo avuto solo un intervento legislativo in materia, l'articolo 23-bis del decreto-legge n. 112 del luglio 2008, che - se è possibile - ha fatto un passo indietro in tema di liberalizzazione dei servizi pubblici locali.
Il momento che abbiamo scelto per presentare questa mozione non è casuale. Le liberalizzazioni e le riforme, più in generale, fanno parte, a pieno titolo, della ricetta economica del mio partito, dell'Unione di Centro. Crediamo che, in un momento di crisi, come quello che stiamo vivendo, sia indispensabile varare riforme strutturali per il nostro Paese. All'interno di queste riforme strutturali, una posizione di primo piano la assume proprio la riforma dei servizi pubblici locali.
Stiamo assistendo nel Paese, in questi giorni, ad un «totoscommesse» su quando finirà la crisi. Questo tema non mi appassiona. La crisi finirà, voglio rassicurare gli italiani. Da quando mondo è mondo, le crisi iniziano e poi, per fortuna, terminano. Si tratterà di capire se finirà nei primi tre mesi del 2010 o verso la fine del 2010, ma per fortuna quel momento arriverà.
Il problema del nostro Paese è come arriverà a quell'appuntamento, quello della ripresa economica. Crediamo che sia indispensabile, perché l'Italia possa inserirsi a pieno titolo nella ripresa economica a livello europeo e mondiale, che siano state fatte alcune riforme strutturali del Paese che abbiamo elencate. Abbiamo detto che bisogna varare la riforma delle pensioni, perché ormai il nostro sistema pensionistico è al collasso. È necessaria una seria riforma della pubblica amministrazione perché ci interessa recuperare l'assenteismo ma, nel contempo, ci interessa anche aumentare la produttività della pubblica amministrazione e su questo punto vediamo ancora poco. Infine, ci interessa la riforma dei servizi pubblici locali.
Le tre riforme che vi ho citato sono riforme che non costano ed, anzi, hanno un impatto positivo sia sui conti pubblici (la riforma delle pensioni e la riforma della pubblica amministrazione), sia sui conti delle famiglie (la riforma dei servizi pubblici locali). Non a caso siamo il Paese che oggi paga di più l'acqua, il gas ed i rifiuti. Le famiglie italiane e le aziende italiane oggi in Europa sono quelle che pagano di più questa tipologia di servizi.
Per le famiglie è chiaro il disagio: pesano molto sui bilanci familiari i costi di questi servizi. Per le imprese il problema è ancora più grave, perché perdono di concorrenza e di competitività rispetto alle altre imprese europee. Ci dedichiamo molto al fattore produzione-lavoro (ai costi del lavoro in Italia rispetto agli altri Paesi) ed è giusto farlo; ci dimentichiamo invece spesso dell'impatto che sui bilanci delle aziende hanno proprio questi costi (il costo dell'energia, del gas e dei rifiuti).
Per quanto riguarda l'energia, il suo costo pesa molto sui conti delle nostre imprese perché sono imprese manifatturiere e quindi sono quelle che utilizzano di più l'energia rispetto ad altre in Europa. Quindi ciò pesa ancora di più sul costo delle aziende.
È chiara a tutti, quindi, l'importanza di arrivare immediatamente ad una riforma seria dei servizi pubblici locali, perché se questi servizi costano di più vuol dire che qualcosa nel sistema non funziona. Cosa non funziona nel sistema? Non ci vuole molto a capirlo. In dottrina economica, il mercato fallisce sostanzialmente per tre ragioni: quando esiste un bene pubblico, se c'è asimmetria di informazione, ciò vuol dire che i prezzi che vengono offerti dai diversi fornitori non sono paragonabili l'uno con l'altro (il caso delle telecomunicazioni è evidente), oppure quando esiste un regime di monopolio o di oligopolio.
I servizi pubblici locali si trovano in questo regime e ciò vuole dire che sono pochi gli operatori (anzi pochissimi) che offrono quella tipologia di servizio. Non a caso oggi gas, rifiuti ed elettricità vengono forniti da poche aziende in Italia che sono le cosiddette ex municipalizzate. Alcune sono quotate in borsa, mentre altre non lo sono e svolgono lo stesso questa tipologia di servizio. Pag. 3
Allora è chiaro che il primo intervento serio che si può fare deve essere quello di rompere questo oligopolio che esiste oggi sul mercato. Qui non c'è niente da inventare: la regola è chiara. La prima regola che bisogna adottare per fare una seria riforma dei servizi pubblici locali è quella di rompere quel conflitto di interessi che oggi esiste tra ente regolatore ed ente proprietario.
Che cosa vuole dire? Vuole dire che oggi i comuni, che sono proprietari delle aziende che svolgono queste tipologie di servizio, sono anche i regolatori di tale mercato. Io ho avuto una esperienza come assessore al bilancio del comune di Bologna che è proprietario di «Hera», una di queste società multiutilities che per Bologna svolge il servizio di gas, acqua e rifiuti.
Mi sono ritrovato in un conflitto di interessi perché, da una parte, dovevo tutelare la società di cui ero socio e quindi dovevo fare in modo che quella società guadagnasse il più possibile. Infatti, gli utili della società mi servivano nel bilancio del comune per chiudere i conti - certo facendo cose a vantaggio dei cittadini - ma dovevo fare in modo che il bilancio avesse il maggiore utile possibile.
Dall'altra parte, come regolatore, avevo come obiettivo quello di far costare il meno possibile il servizio ai cittadini, perché dovevo tutelare i cittadini di Bologna e della provincia contro un monopolio che io stesso dirigevo su quel territorio. Allora, è chiaro che dovevo togliermi e mettermi in maniera molto veloce la maglietta del regolatore e del proprietario e facevo fatica.
Si fa fatica a svolgere due ruoli che sono così contrapposti l'uno all'altro; anzi, direi che non si fa fatica, ma che non è possibile farlo. Quindi, è chiaro che, prima di tutto, una vera riforma dei servizi pubblici locali smonta questo conflitto di interessi e divide la regolazione dalla proprietà. Pertanto, la proprietà dei beni può e deve rimanere in capo al comune perché stiamo parlando di cose irripetibili e strategiche.
Affinché i cittadini possano capire, stiamo parlando dei tubi del gas o dell'acqua o i cavi dell'energia elettrica, le discariche. Si tratta, quindi, di cose anche difficilmente ripetibili in natura o che comunque avrebbero un costo così elevato da essere una barriera di entrata per qualsiasi operatore che volesse gestire quella tipologia di servizio. Quindi, noi proponiamo che la rete, i tubi dell'acqua, del gas e le discariche restino pure di proprietà pubblica anche al 100 per cento, perché quelle sono le reti che debbono rimanere di proprietà dei cittadini. Secondo noi, però, il comune non può anche gestirle, non solo perché ha quel conflitto di interessi di cui parlavo prima, ma perché nella nostra mentalità il comune, gli enti locali, lo Stato non gestiscono, ma fungono da regolatori del mercato, cioè controllano che, nel mercato, i servizi siano resi ad una buona qualità e siano quantitativamente compatibili con la domanda dei cittadini.
Quindi, noi vogliamo che l'ente sia un regolatore del mercato, che controlli la quantità e la qualità e che i servizi vengano resi sul proprio territorio. Allora, diciamo che il comune prende le sue reti di proprietà, fa una gara pubblica e chiama qualcuno a gestirle. Vi sono delle aziende in tutta Europa che svolgono questa tipologia di operazione, cioè si occupando di questa tipologia di mercato. Quindi, vengano loro a gestire le mie reti. Chiaramente nel contratto che metterò in piedi per fare la gara chiederò a colui che viene a gestire certe garanzie in ordine alla qualità del servizio che viene reso e al mantenimento della rete (voglio che i miei tubi dell'acqua siano costantemente manutentati in maniera che vi sia la minore dispersione di acqua possibile, che i miei tubi del gas siano sicuri e che non creino degli incidenti in città). Oltre alla qualità del servizio - non per ultimo, ma insieme a questi due elementi - vi è anche il prezzo: chiedo a chi è capace di gestirmi con quel livello di qualità e con quella manutenzione il miglior costo possibile per i miei cittadini. Così ho scisso la figura dell'ente regolatore da quella dell'ente proprietario e ho messo in concorrenza quei servizi perché la durata delle con Pag. 4cessioni non sarà infinita, ma sarà per un certo numero di anni compatibile con l'investimento che la società che viene a gestire dovrà fare sulle reti e chiaramente compatibile anche con la sua gestione economica.
Di questo concetto, sul quale penso che siamo tutti d'accordo, nelle normative fino ad ora portate avanti da questo Governo non c'è traccia. Si tenta di fare piccoli interventi di manutenzione di un settore che non è liberalizzato. Leggo sui giornali in questi giorni che il Consiglio dei ministri la scorsa settimana avrebbe approvato un articolo sulle liberalizzazioni con grande soddisfazione del Ministro Fitto. Ne ho letto una versione ufficiosa, perché quella ufficiale non è ancora stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale.
Per quanto riguarda la versione ufficiosa vorrei svolgere un'osservazione di fondo: non è quella la riforma dei servizi pubblici locali. Quello può esser un piccolo restyling, non so neanche se positivo o negativo, intanto per una questione di metodo, perché la riforma dei servizi pubblici locali non si fa per decreto, ma con un dibattito in questo Parlamento serio e approfondito. In secondo luogo, non si possono trattare tutti i settori nello stesso modo. Leggo oggi che sarebbero stati tolti da quella riforma il gas e i trasporti pubblici. Se così fosse stiamo parlando di poca roba che resta fuori da questa riforma. Dico però che un intervento non può essere generale e generico per tutti i servizi, cioè ogni tipologia di servizio deve essere adeguatamente normata a se stante, perché i trasporti pubblici sono molto diversi dal gas. L'acqua è molto diversa dall'energia elettrica.
Quindi, con un intervento omnibus, che voglia comprendere tutti, veramente si rischia di fare più danno che creare dei benefici. Poi di sostanziale in quell'articolo non c'è nulla, perché se si voleva spingere sulle società miste vi debbo dare una notizia: questo è già così nella realtà. Molti comuni stanno facendo le società miste con la scelta del socio con gara pubblica. Quindi, non c'era probabilmente bisogno di prevederlo in una legge.
Se si voleva fare un passo indietro sull'in house, cioè sulla possibilità dei comuni di gestire direttamente alcuni servizi, di fatto con questo articolo non lo si fa. Noi avevamo contestato l'articolo 23-bis, quello del decreto-legge n. 112 del luglio dell'anno scorso, proprio perché ridava fiato ai comuni che volevano gestire direttamente i servizi pubblici locali, facendo un ulteriore passo sul fronte delle liberalizzazioni. Ebbene, vi dico che con questo articolo non facciamo un passo in avanti ma sostanzialmente siamo fermi, perché, in base al parere dell'Autorità garante - che secondo quell'articolo dovrebbe esprimere un parere sulla possibilità o meno di svolgere i servizi in house - vige il silenzio assenso. Io trovo che ciò sia ridicolo di fronte ad un tema di questa importanza.
Per le società quotate c'è un principio importante, vediamo se resisterà anche al dibattito in questo Parlamento: quello della discesa della partecipazione pubblica sotto il trenta per cento. Ma c'è un piccolo particolare: sempre in quell'articolo si dà però la possibilità di ricercare il socio che deve subentrare al pubblico anche per trattativa privata; si dice o socio finanziario o socio industriale. Io credo che quando questo provvedimento arriverà davanti all'Unione europea probabilmente si metteranno a ridere perché è chiaro a tutti che il socio di una società quotata non possa essere scelto a trattativa privata da parte del pubblico, ma c'è bisogno di una gara pubblica oppure di mettere sul mercato borsistico quelle azioni. Ma se andasse avanti così lo troverei estremamente pericoloso anche per l'integrità degli stessi amministratori locali.
Pertanto, non vedo passi avanti in questo senso, anzi vedo addirittura dei passi indietro. Per noi è indispensabile invece che questo Parlamento si esprima nel più breve tempo possibile su una riforma, il più larga possibile, dei servizi pubblici locali. Quando dico più larga possibile intendo proprio che si arrivi ad una vera concorrenza su questa tipologia di servizi. Ormai non si può più aspettare perché il carico sulle nostre imprese e sulle nostre Pag. 5famiglie è troppo elevato. Spero che, se passerà la nostra mozione, il Governo si sentirà davvero impegnato, da qui a fine anno, ad arrivare con una riforma organica su questo tema.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Piffari, che illustrerà la mozione Borghesi ed altri n. 1-00233, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

SERGIO MICHELE PIFFARI. Signor Presidente, colleghi, premesso che si tratta di un argomento molto complesso, possiamo dire tranquillamente che negli ultimi dieci anni il Parlamento e i Governi che si sono cimentati su questa materia, tentando più o meno di sbrogliare la matassa della liberalizzazione dei servizi pubblici locali, hanno combinato un gran niente. Possiamo dire che hanno generato una grande confusione, anche perché la materia è complessa.
Con questo Governo già dall'anno scorso ci siamo trovati a discutere di questa materia; il Governo ha ravvisato la volontà di procedere ad una riforma sui servizi pubblici locali, tuttavia cosa ha fatto? Una serie di provvedimenti non organici, non compiuti che non aiutano a rivedere questa materia, inseriti nei vari decreti emanati dall'inizio di questa legislatura, ormai siamo circa a 50 decreti-legge, tra quelli annunciati e quelli già fatti. Ci siamo trovati con un primo approccio al tema nel luglio del 2008 con l'articolo 23-bis del decreto-legge n. 112 che prima il collega citava. Già dal fatto che si chiama articolo bis si evince che è stato inserito durante la discussione del decreto, che peraltro è uno strumento di urgenza, e quindi è stato infilato di corsa. Inoltre l'articolo 23-bis non è correttivo dell'articolo 23, bensì è un qualcosa di nuovo: in questo modo è stata inserita la questione della liberalizzazione dei servizi pubblici locali, richiamando la necessità di rispettare delle direttive europee.
In funzione di ciò è stata inserita, di fatto, la possibilità di allargare le partecipazioni alle Spa relative a questi servizi: quando parliamo dei servizi a domanda individuale, in precedenza richiamati anche dal collega, facciamo naturalmente riferimento ad energia elettrica, gas, trasporto pubblico urbano, nonché, in questo caso, ai servizi integrati dell'acqua, e specialmente all'accesso all'acqua, al diritto ad essa, su cui poi mi soffermerò. Ci sono tanti altri settori che questo Governo tende a liberalizzare, come quello del diritto all'informazione, mettendo, anche in questo caso, un «cappello», un controllo, sull'utilizzo della rete informatica. Da un lato il Governo enuncia dei principi sacrosanti, ma dall'altro, nell'applicazione vuole portare a sé il controllo, cioè vincolare quello che noi non otteniamo. Noi siamo criticati dal mondo intero, e in particolare siamo richiamati dall'Europa, perché siamo carenti nelle liberalizzazioni; alcuni emeriti economisti, anzi, sostengono che uno dei motivi della forte crisi che si trascina in Italia da quindici anni è la difficoltà a liberalizzare e a semplificare le procedure pubbliche e la gestione di questi servizi e ciò ha portato anche un danno consistente all'economia del sistema Italia.
Nel decreto-legge n. 112 del 2008, già a luglio dell'anno scorso, dunque un anno fa, poiché si tratta di una materia molto complessa, si rinviava di fatto l'applicazione dei dettagli delle regole, all'emanazione di ulteriori regolamenti o successivi decreti-legge o correzioni volte ad attuare il provvedimento in parola; anzi, si prevedeva che entro centottanta giorni sarebbe stato emanato un ulteriore decreto-legge in materia. Sono passati trecentosessanta giorni e oltre, ma del testo non ne abbiamo trovato traccia e questa è una caratteristica che si riscontra in modo puntuale nel rispetto delle scadenze: in quasi tutti i decreti-legge si rimanda ad un ulteriore provvedimento (alcuni dopo sessanta giorni, altri dopo centoventi) ma di fatto poi non se ne trova traccia. Potrei parlare del problema casa, anch'esso affrontato con un articolo del decreto-legge n. 112 che doveva essere attuato entro sessanta giorni, invece, ancora oggi facciamo fatica a capire cosa è successo in merito alla questione casa, perché dal punto di vista urbanistico chi ha la villa, Pag. 6se possiede anche le relative risorse, può magari alzarla di un piano, ma chi invece non ha la casa, non ha l'accesso alla prima casa, non ha ancora ricevuto le dovute risposte, anzi, si è messo un ulteriore freno a quanto già avviato con il Governo Prodi e con il Ministro Di Pietro.
Comprendiamo le ragioni di intervenire con gradualità su questa materia; tuttavia, in questo quadro normativo complicato, di fatto, non abbiamo neanche abrogato quelle norme che nel frattempo contrastavano con quanto espresso dall'articolo 23-bis del decreto-legge n. 112, che erano le prime norme emanate con l'articolo 113 del Testo unico del 2000 (quindi vedete che da allora è trascorsa una decina d'anni): lì davamo alcune indicazioni, qui ne diamo altre totalmente in contrasto. Abbiamo indicato sì quale dovrebbe essere la legge di prevalenza, ma se nel Governo abbiamo un Ministro per la semplificazione normativa, questi, oltre che tagliare migliaia di leggi che non servono più, dovrebbe evitare di farne altrettante che non servono più. Capisco che fare e disfare si dice che sia sempre un buon mestiere, però cerchiamo di fare le cose utili, non quelle che generano confusione per poi non fare niente.
In attesa di vedere chiarire tutta questa materia, il Governo emana altri provvedimenti; naturalmente anche noi abbiamo letto che il 9 settembre il Consiglio dei ministri ha assunto dei provvedimenti in materia. Sono passati quasi una quindicina di giorni, ma ancora oggi non siamo in grado di leggere il testo definitivo; quindi dobbiamo apprendere le notizie da ciò che scrive la stampa.
Anche qui, i provvedimenti presi all'ultimo minuto sono provvedimenti presi con la motivazione di adattare la nostra normativa a dei richiami comunitari, alla legge comunitaria; in realtà, come si diceva prima, si fanno dei passi in avanti e dei passi indietro.
Cosa è successo? Anche nel decreto-legge per il terremoto in Abruzzo abbiamo preso altri piccoli provvedimenti: ad esempio, abbiamo soppresso il Coviri, il Comitato di vigilanza sui servizi idrici, e abbiamo sciolto, sempre con quel decreto-legge, anche l'Osservatorio sui servizi idrici, sostituiti da una commissione che, però, non ha lo strumento per operare.
Di fatto, vuol dire che il Governo, o perlomeno il ministro che ha proposto questo articolo dentro questo decreto-legge, ha un disegno nella sua testa, ma non vuole rivelarlo a noi e agli italiani. Probabilmente, qualche lobby, che ha degli interessi maggiori, riesce a far passare questi provvedimenti, ma, di fatto, si tratta di provvedimenti che presi da soli non hanno alcun significato: credo sia poco significativo disfare una struttura senza sapere chi altro deve esercitare questo ruolo.
Eppure questo è stato fatto, ed è stato fatto anche con il decreto-legge n. 78 del 2009, un decreto anticrisi, con l'articolo 19. In questo caso, abbiamo detto alle aziende che gestiscono i servizi pubblici che devono assolutamente rispettare le leggi, in particolare il decreto legislativo n. 165 del 2001, che vietano agli enti locali di assumere del personale.
Vogliamo liberalizzare e rendere efficaci ed efficienti queste aziende e, in realtà, mettiamo tutti i lacci e i lacciuoli che abbiamo messo anche agli enti locali. Nello stesso decreto-legge si prevede - però a settembre, questo settembre: avete ancora dieci giorni di tempo, come Governo - che, nel frattempo, le aziende che gestiscono i servizi locali devono essere assoggettate al Patto di stabilità. Butto qui agli italiani una cosa assurda: se lo avessimo fatto all'ENI, probabilmente non ci saremmo impegnati a fare una strada in Libia per 5 miliardi di euro.
Facciamo le leggi, ma solo per qualcuno: in questo caso, per quelle aziende che devono garantirci i servizi. Mi pare di vedere il Governo tappare tutti i buchi in un acquedotto che perde dappertutto, ma senza avere un'idea chiara di cosa vuole fare in questa materia. L'Italia dei Valori ha fatto la sua parte, perché ha depositato una propria proposta di legge, in particolare sulla gestione dei servizi idrici integrati. Pag. 7
Dobbiamo renderci conto che in Piemonte alcune riforme camminano e in altre regioni in Italia, per altre gravi situazioni, non riescono a camminare; dovremmo trovare il sistema, invece, di rendere omogenei questi provvedimenti.
L'Italia dei Valori si è fatta anche carico di relazionare e portare in Parlamento, se ce ne viene data la possibilità, la discussione su una legge di iniziativa popolare nella precedente legislatura che chiede a gran voce il diritto all'accesso all'acqua, e quindi di garantire il mantenimento pubblico del servizio idrico, e di escludere - è questo che chiediamo al Governo - il servizio idrico, il servizio dell'acqua dal resto dei servizi locali, proprio perché non vi è solo un aspetto di rilevanza economica, ma vi è anche un aspetto fondamentale di rispettare un diritto, così come dovremmo garantire sempre, come ho accennato prima, il diritto all'informazione, il diritto alla pubblica istruzione e il diritto alla salute.
Se cominciamo a intaccare questi diritti delle persone e degli individui, con un processo degradante andremo incontro non alla soluzione dei mali dell'Italia e dell'economia dell'Italia, ma a un continuo conflitto tra una comunità e l'altra, perché si vedranno erogare dei servizi completamente diversi da un'area geografica a un'altra.
È stando tutti assieme che si riesce ad ottenere la soluzione, e non dividendoci. Anche noi quindi speriamo proprio che il Governo con il Parlamento affronti tale materia con tranquillità, con serietà, e non buttando sempre dentro tutto nello stesso calderone, con provvedimenti che sembrano una volta un passo avanti e una volta un passo indietro, ma in realtà rispondono solo a lobby di interesse che non c'entrano con gli interessi degli italiani (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Valducci, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00234. Ne ha facoltà.

MARIO VALDUCCI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il tema della liberalizzazione dei servizi pubblici locali è sempre stato un tema molto combattuto, su cui le maggioranze spesso sono trasversali, e si formano in questa Camera così come al Senato in modo assolutamente divergente rispetto, il più delle volte, alle maggioranze politiche.
Ricordo ciò per dire che anche nell'ultima legislatura vi era stato un tentativo di riforma, anche condivisibile per molti aspetti, da parte dell'allora Ministro Lanzillotta, che poi non è andato in porto anche per problematiche interne alla stessa maggioranza. Vorrei qui ricordare che la riforma del Titolo V della Costituzione ha poi messo in evidenza la necessità di distinguere tra i servizi pubblici locali di rilevanza economica, che sono quelli di cui possiamo trattare, e tutti gli altri, che invece sono di esclusiva competenza regionale. E vorrei infine ricordare come anche quando parliamo di servizi pubblici locali, vi sono molti di essi che sono già regolamentati da leggi di settore: sul gas, sull'elettricità, sui trasporti pubblici locali, siano essi su gomma o su rotaia, vi sono già delle leggi di settore, e anche addirittura sulle risorse idriche, che disegnano un percorso di liberalizzazione e un percorso di competizione.
Abbiamo poi assistito, negli ultimi 15-20 anni in modo particolare, ad una «proliferazione» del ruolo del sindaco e del comune, che spesso è diventato imprenditore. Ciò non è in linea, ad esempio, con i valori nostri di riferimento, del nostro movimento politico, ma questo è quanto da un'analisi emerge che è accaduto; e quindi si crea sicuramente, e si è creata una forte distorsione rispetto a quello che dovrebbe essere il ruolo del comune, che dovrebbe avere tutto l'interesse a sganciarsi rispetto alla gestione per poter porsi alla testa dei cittadini consumatori, e quindi attraverso il sistema delle gare potere offrire agli stessi quel servizio al miglior prezzo e nel miglior modo.
Tutto ciò sino ad oggi fa fatica a decollare, proprio perché vi è stata questa proliferazione di società, per cui spesso vi è questo conflitto di interessi per cui l'azionista-comune è anche gestore del Pag. 8servizio, e come tale diventa poi per lui stesso difficile porsi al di fuori dell'interesse economico di cui è soggetto principale; e poi anche perché nel corso degli anni vi è stato un percorso di privatizzazione delle ex aziende municipalizzate che ha portato le stesse ad una forte asimmetria: abbiamo aziende quotate in borsa, abbiamo aziende di dimensioni medio-grandi non quotate in borsa ma con dei partner privati, abbiamo molte aziende completamente di proprietà dei comuni, di solito di piccole e medie dimensioni, e abbiamo ancora, per alcuni servizi pubblici anche di rilevanza economica, alcune gestioni in economia da parte dei comuni.
Noi, nell'articolo 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008 che è stato più volte ricordato, abbiamo fatto un primo passo verso una liberalizzazione di questo settore.
Un altro passo lo stiamo facendo (dico che lo stiamo facendo perché il provvedimento non è ancora stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale e quindi risulta anche difficile entrare più di tanto nel merito) attraverso il decreto-legge concernente disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi comunitari e per l'esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee approvato dal Consiglio dei ministri, che all'articolo 15 reca quello che noi definiamo un ulteriore passo in avanti verso la liberalizzazione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, apportando nuove ed ulteriori modifiche che a nostro parere vanno nella giusta direzione e che comunque ci vedranno tutti impegnati - da qui a poche settimane - a discutere nel merito di tale provvedimento, che riguarda anche le mozioni che oggi abbiamo presentato in Parlamento e quindi la possibilità di tentare di compiere ulteriori passi avanti per migliorare e rendere sempre più competitivi questi servizi.
Ma è inutile negarci che in questo settore pesa poi l'eredità storica, il passato politico del nostro Paese, che indica come spesso le aziende municipalizzate sono anche state (e ancora adesso continuano ad essere) un contenitore di clientelismo politico e di raccolta del consenso politico: è inutile negarci queste cose. Se pensiamo ad esempio al settore del trasporto pubblico su gomma, se i comuni facessero le gare per il trasporto pubblico su gomma - che non ha quei vincoli infrastrutturali propri di altri settori (mi riferisco al trasporto su rotaia, all'acquedotto, al cavo elettrico o al tubo del gas) e che sicuramente dispone di automezzi, depositi e persone che oggi lavorano in aziende tutte di proprietà dei comuni - sarebbero appunto in grado attraverso una gara, a detta di molti analisti (ed io faccio mie queste valutazioni), di realizzare un risparmio del 20-25 per cento rispetto agli attuali costi di gestione (qualora solo si faccia una gara in questi settori ed intervenga nella gestione il soggetto privato in luogo di quello pubblico).
Però è difficilissimo giungere ad avere gare libere, in cui vi sia la possibilità che concorrano imprenditori anche qualificati del settore che siano in grado di poter gestire il trasporto pubblico locale in modo più efficiente di quanto oggi avvenga nel nostro Paese.
Ho voluto fare questo esempio, ma sono tante anche le altre materie in cui ciò vale. Vi dico solo una cosa: credo davvero che il privato gestisce meglio del pubblico questi settori, così come sono convinto che la proprietà delle reti debba essere e rimanere saldamente nelle mani pubbliche. Cito il modello dell'energia elettrica che il nostro Paese ha sviluppato secondo un processo che è iniziato nel 1996, se ben ricordo, con la «legge Bersani» e che è stato successivamente implementato, e che costituisce un modello di buona competitività nel settore elettrico: la rete è pubblica attraverso una società quotata in borsa di cui la governance è dello Stato, ma vi sono molti operatori che producono energia elettrica e che la distribuiscono.
Addirittura siamo arrivati al punto che ciascuno di noi, nella propria casa, può scegliere il soggetto A, B, C, D o E come fornitore dell'energia elettrica. Ciò potrà risultare complicato per chi, come me, non ha mai avuto la possibilità e forse anche la voglia o le capacità personali per andare Pag. 9a verificare effettivamente le diverse offerte (quando il settore era in monopolio, tutte le nostre famiglie erano abituate a ricevere le bollette così com'erano e a pagarle, e quindi è chiaramente difficile equiparare e confrontare le offerte di un settore complicato come quello dell'energia elettrica), però oggi abbiamo comunque la possibilità di scegliere fra diversi fornitori.
Tutto questo oggi è già possibile soprattutto per i cittadini delle grandi aree metropolitane, che raccolgono la metà della nostra popolazione, mentre è un po' più complesso per i cittadini che risiedono e vivono nelle città periferiche.
Penso, quindi, che anche la mozione che abbiamo presentato oggi come gruppo del Popolo della Libertà stia ad indicare come i passaggi avvenuti attraverso l'articolo 23-bis e il varo del decreto-legge che andremo a discutere e ad approvare prossimamente come Parlamento vadano nella giusta direzione.
Ricordo solamente alcuni dei passaggi che sono inseriti nel provvedimento non ancora pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, ma approvato dal Consiglio dei ministri: tale provvedimento va nella direzione di restringere sempre di più la possibilità dei comuni di avere gestioni in house - questo tipo di gestioni tra l'altro dovranno essere sottoposte anche al vaglio dell'Antitrust - in modo tale che siano costretti a svolgere delle gare nella gran parte delle circostanze. Vi sono pur sempre dei vincoli - è inutile negarcelo - dovuti agli interessi di carattere economico e patrimoniale dei nostri comuni e dei nostri risparmiatori, come avviene, per esempio, per le società quotate in borsa. Sappiamo infatti che alcune aziende municipalizzate sono quotate in borsa; di queste il comune e i soggetti pubblici non potranno detenere più del 30 per cento, per cui se vorranno mantenere l'affidamento diretto ricevuto dai comuni e dall'azionista di riferimento dovranno scendere sotto il 30 per cento entro il 31 dicembre 2012, altrimenti è prevista la penalizzazione dell'affidamento in forma diretta.
Si prevede, inoltre, che, qualora nelle società miste il socio privato, pur scelto mediante una gara, non abbia le caratteristiche di socio gestionale, ma presenti solo quelle di socio finanziario, le gare dovranno essere svolte entro il 31 dicembre 2012 anche per gli affidamenti avvenuti in modo diretto. Si va nella direzione scelta e, successivamente, entro il 31 dicembre 2009 (con tempi, quindi, anche relativamente rapidi), con un regolamento del Ministero per gli affari regionali si avrà un'ulteriore definizione di quei dettagli - che spesso in questa fattispecie tali non sono - che vadano nella direzione auspicata da molti.
Come ho cercato di esporre anche nel mio intervento, tale questione, essendo molto complessa, non è di facile soluzione. Ribadisco la volontà da parte del Popolo della Libertà di procedere verso un percorso di liberalizzazione che renda più trasparente e competitivo questo tipo di mercati, pur ricordando che vi sono, evidentemente, dei vincoli che non si possono rimuovere e superare nel giro di poche settimane. Ribadisco, inoltre, la più ampia disponibilità a discutere di questi temi nei prossimi giorni durante la discussione della mozione, anche perché ho colto nella discussione sulle linee generali a cui ho assistito fino ad ora molti principi presenti in altre mozioni e che sono ampiamente condivisibili dal Popolo della Libertà.
Ritengo, quindi, che si possano trovare quegli indirizzi comuni che possano essere utili nelle prossime settimane per approvare il decreto-legge che contiene all'articolo 15 un ulteriore passo avanti verso la liberalizzazione di questo importante settore della nostra economia, che sono i servizi pubblici locali (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Causi, che illustrerà anche la mozione Sereni ed altri n. 1-00236, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

MARCO CAUSI. Signor Presidente, l'assetto dei servizi pubblici locali è da anni al centro della discussione economica e Pag. 10politica italiana. Certamente ciò è dovuto alla rilevanza di questo comparto, che al suo interno racchiude settori anche molto diversi tra loro dal punto di vista non solo merceologico, ma anche dei processi industriali.
Questi settori, tuttavia, sono unificati dall'essere tutti, come indica la dizione comunitaria, servizi di interesse economico generale e che, quindi, le autorità pubbliche devono presidiare in via diretta, alla luce di obiettivi socialmente prioritari, quali l'universalità del servizio stesso e la sua accessibilità dal punto di vista fisico ed economico.
La rilevanza, ad esempio, viene messa in evidenza dal fatto che il costo di questi servizi pesa tra il 10 e il 20 per cento del reddito disponibile delle famiglie italiane, a seconda della dimensione familiare e della sua area geografica di residenza.
Al centro del dibattito in questi anni è stato in particolare l'assetto concorrenziale dei mercati che fanno riferimento a questo comparto. È indubbio anzi che la necessità di interventi di riforma sui servizi pubblici locali abbia assunto un valore politicamente simbolico ai fini dell'affermazione di una cultura più fortemente pro-concorrenziale, di apertura del mercato, e comunque di trasparenza di gestioni le quali - in qualsiasi modo siano affidate e da qualsiasi soggetto siano esercite - ricadono comunque sotto la sfera della regolazione pubblica e assorbono ingenti risorse non solo a carico dei bilanci di famiglie e imprese, ma anche a carico dei bilanci pubblici centrale e locali.
Nonostante questa centralità, dobbiamo tuttavia con onestà ammettere che i tentativi riformatori hanno sempre avuto un percorso difficile e non sono riusciti ad ottenere esiti coerenti. Ciò è avvenuto non solo in questa legislatura, ma anche nelle precedenti, ma la contraddizione ha raggiunto davvero un apice negli ultimi quindici mesi, poiché gli interventi legislativi, adottati prima con l'articolo 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008, e ancor più con l'articolo 61 della legge n. 99 del 2009, al di là della propaganda mediatica, presentano soluzioni addirittura involutive e peggiorative proprio riguardo agli obiettivi di apertura dei mercati e di stimolo alla concorrenza.
È venuto allora il momento di domandarsi con onestà intellettuale e politica il perché di questa impasse, ed è questa la motivazione di partenza della mozione presentata dal Partito Democratico. Siamo convinti che se riusciamo a valutare e a condividere i motivi delle difficoltà in cui si sono incagliati negli ultimi anni tutti i tentativi di riforma e in cui sembra già incagliato l'articolo 15 del decreto-legge relativo agli obblighi comunitari, che è già stato modificato e derogato per alcuni settori, allora, se riusciamo a capire i motivi di questa impasse, faremo un buon passo avanti per aprire un nuovo e più solido cantiere che mandi in porto davvero una vera riforma.
La risposta alla domanda appena formulata è, a mio modo di vedere, molto semplice: ha a che fare con la complessità e la polivalenza degli obiettivi da perseguire e degli interessi pubblici da presidiare attraverso il settore dei servizi pubblici locali. È vero infatti che l'interesse pubblico per un'evoluzione pro-concorrenziale dei mercati ha rilevanza prioritaria, ed è per di più presidiato costituzionalmente da una esclusiva competenza dello Stato, il quale quindi agisce doverosamente quando spinge su questo tasto e molto in questa direzione è dovuto all'impulso dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato. Ma è vero anche che nel comparto dei servizi pubblici locali, più esattamente in quello dei servizi di interesse economico generale, sono in gioco anche altri interessi pubblici di importanza almeno equivalente. Il primo è quello della garanzia universale dei livelli essenziali delle prestazioni in servizi assolutamente basilari per la vita delle comunità territoriali in Italia. Connesso a questo aspetto vi è l'interesse degli amministratori pubblici locali ad evitare ogni rischio di interruzione o di discontinuità ovvero di limitazione delle proprie capacità di indirizzo e di controllo, anche tenuto conto che per questi servizi l'opinione Pag. 11pubblica ritiene legittimamente gli amministratori locali eletti i diretti responsabili.
Il secondo interesse in gioco è quello della garanzia in termini di qualità, quantità e costo dei servizi da assicurare ai cittadini e agli utenti.
Vi è poi un terzo interesse in gioco, lievemente subordinato dal punto di vista strettamente costituzionale, ma assolutamente rilevante dal punto di vista sostanziale, ed è quello legato all'importanza e in qualche caso alla vera e propria centralità di questo comparto, da un lato sulla dinamica della struttura industriale del Paese, e dall'altro sulle traiettorie della tecnologia degli investimenti e dell'innovazione in materia di infrastrutture pubbliche e collettive e della loro costruzione e gestione.
Se si concorda sulla risposta appena data alla domanda iniziale, la conseguenza non può che essere una: il processo di riforma potrà essere messo su basi solide e arrivare finalmente in porto a condizione di riconoscere, accanto all'interesse per un'evoluzione pro-concorrenziale, anche gli altri interessi pubblici rilevanti. Tali interessi coinvolgono tutti gli aspetti concreti del funzionamento dei tanti settori che fanno parte del comparto: le modalità di aggiudicazione dei servizi; i bacini territoriali ottimali dal punto di vista dell'economicità e dell'adeguatezza; le formule tariffarie; gli strumenti contrattuali per il monitoraggio della corretta esecuzione degli obiettivi di servizio; i processi di programmazione e finanziamento degli investimenti; l'assetto proprietario delle reti, di cui va garantito il controllo pubblico piuttosto che privato; la partecipazione degli utenti e dei cittadini alle scelte di indirizzo e alla valutazione dei risultati; la definizione di organismi terzi per il controllo e la valutazione dell'erogazione dei servizi, ed altro ancora che la nostra mozione espone in dettaglio. In sostanza, una vera politica di liberalizzazione e modernizzazione del comparto dei servizi pubblici locali non può procedere senza un'avanzata politica di regolazione degli stessi. Occorre rimboccarsi le maniche. Il processo di riforma deve assumere su di sé la priorità di una robusta manutenzione degli apparati regolativi esistenti, spesso originati da un'importante, ma ormai datata, stagione di riforme degli anni Novanta, mantenendo naturalmente in vita tutto ciò che ha funzionato e che funziona e modificando, invece, ciò che mostra limiti ed inadeguatezze.
Assumere questa priorità è essenziale affinché al valore simbolico dell'interesse pro-concorrenziale si affianchi una capacità operativa e concreta del legislatore di fornire un quadro di riferimento certo e solido a tutela e garanzia degli interessi dei cittadini e degli amministratori locali. Quindi ciò che sembra totalmente insufficiente è di incamminarsi su una strada di una generica e affrettata legislazione generale di tipo pro-concorrenziale.
È invece necessario, a nostro parere, da un lato, introdurre nelle norme generali non solo generici incentivi o obblighi pro-concorrenziali, ma anche un insieme di regole per la gestione delle procedure dei contratti e degli altri aspetti poco sopra ricordati. Un esempio in questa direzione è fornito dalla proposta di legge n. 948, presentata in questa legislatura a prima firma onorevole Lanzillotta. Ma, dall'altro lato, è necessario contestualmente intervenire in quella che ho definito la manutenzione straordinaria degli apparati regolativi anche di tipo settoriale. Due soli esempi tra i tanti: va ripensata la tariffa dei rifiuti recentemente oggetto di una sentenza della Corte Costituzionale. Vanno collocate - questo è il secondo esempio - in qualche organismo che abbia natura federale, che cioè sia condiviso e compartecipato tra Stato e regione, le funzioni proprie delle autorità di controllo per tanti settori che ne sono privi e penso in particolare ai trasporti pubblici, ai servizi ambientali, a quelli idrici. Altri esempi potrà farli dopo di me l'onorevole Testa con riferimento in particolare al settore dell'elettricità e del gas.
Se questa strada sarà quella scelta da Governo e maggioranza, allora troverà il contributo propositivo convinto del Partito Democratico nel lavoro parlamentare. Mi lasci Pag. 12dire però, signor Presidente, che non sono queste le notizie che abbiamo letto negli ultimi giorni. Sembra invece che il Governo si appresti ad un ennesimo tentativo di legislazione di emergenza, con qualche decreto-legge, destinato, a nostro modo di vedere, a fare la fine di precedenti tentativi, ad esempio, come leggiamo sui giornali, introducendo deroghe su deroghe per interi settori.
Se il mio ragionamento tiene, la spinta alla deroga settoriale deriva proprio dal fatto che non vanno bene tentativi dominati da una sorta di pigrizia mentale nell'affrontare le tante e complicate questioni regolative di questi settori. Usciamo allora da questa pigrizia mentale, affrontiamo una vera riforma in tutti i suoi aspetti, chiarendo anche infine qualche ulteriore punto politico. Primo: la riforma non deve essere pensata come provvedimento punitivo nei confronti delle esistenti imprese pubbliche locali, anzi queste imprese sono portatrici in un mercato veramente concorrenziale di vantaggi competitivi, a condizione tuttavia di superare pesantezze e inerzie e, comunque, introducendo nel settore regole e ammortizzatori sociali a tutela del lavoro. Secondo: i processi di privatizzazione non devono portare a sostituire gli attuali monopoli pubblici con nuovi monopoli privati, poiché questo sarebbe il peggiore dei mondi.
Non ci convince per nulla, quindi, l'ipotesi normativa che abbiamo letto sui giornali secondo cui in presenza di privatizzazione si eviterebbe la gara e, quindi, le imprese privatizzate eviterebbero confronti competitivi. Questo sarebbe un bel regalo ai privati, a cui verrebbe regalata una rendita di posizione, ma sarebbe il peggiore dei mondi possibili, perché non si svolgerebbe la gara e vi sarebbe un privato che controllerebbe l'azienda.
In ogni caso, il collocamento delle azioni delle imprese pubbliche locali sul mercato deve avvenire, a nostro modo di vedere, con procedure imparziali e trasparenti. Saremo fortemente contrari a previsioni che permettano discrezionalità nella scelta dei soci privati. Anche nel caso delle partnership pubblico-privato - quindi, della scelta del socio tramite gara - bisogna chiarire che la gara non deve riguardare solo la scelta del socio, ma deve contenere anche un vero e proprio contratto di servizio, specificato dall'eventuale capitolato di gara di una procedura ad evidenza pubblica.
Terzo: società di proprietà pubblica resteranno sempre, sia nel campo della proprietà, che nel campo dei servizi. Esse, quindi, dovranno essere assoggettate a severe regole di governance per allontanare la politica dalla gestione e garantire una gestione, a sua volta, trasparente. Anche con riferimento a questo aspetto, l'onorevole Lanzillotta, che interverrà dopo di me, potrà descrivere all'Assemblea e a lei, signor Presidente, le proposte contenute nella sua proposta di legge.
Infine, si apra il cantiere non solo sui servizi pubblici locali, ma anche su alcuni servizi che, pur essendo regolamentati a livello nazionale, sono molto importanti per il recupero globale di produttività dei territori: penso, in particolare, ai servizi aeroportuali.
Concludo, signor Presidente, affermando che, se si vorrà procedere nella direzione indicata - da un lato, verso un sistema di regole generali, che non siano generiche, ma che abbiano anche un'intelaiatura di organizzazione del mercato, e, dall'altro lato, verso un processo di manutenzione straordinaria delle regole settoriali che oggi non consentono il funzionamento di questo tipo di servizi - si avrà la collaborazione del Partito Democratico. Saranno in campo le nostre proposte e si consentirà, quindi, di affermare e di dare consapevolezza al valore vero e di lungo periodo delle risorse che sono in gioco, facilitando un percorso che a noi sembra indispensabile, quando si parla di temi che hanno a che fare con beni comuni, con infrastrutture pubbliche e collettive e con la qualità della vita di una comunità (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Lanzillotta, che si è impegnata meritoriamente, in un'altra fase, proprio Pag. 13sulla riforma dei servizi pubblici di utilità locale. Ne ha facoltà.

LINDA LANZILLOTTA. Signor Presidente, con tutto il rispetto per la Camera e per noi stessi, devo confessare che trovo l'odierna discussione vagamente irreale. Infatti, ci troviamo oggi, anno di grazia 2009 - anzi, procediamo verso la fine di questo anno - esattamente a dodici anni dalla presentazione del primo progetto di legge in materia di liberalizzazione dei servizi pubblici locali. Ricordo per la storia che l'onorevole Adriana Vigneri, allora sottosegretario per l'interno, fu la promotrice del primo progetto di legge in materia.
Oggi, ci troviamo non a discutere di un aggiornamento di quella normativa, ma a dire, ancora tra di noi - credo che almeno i presenti oggi in quest'Aula ne siano tutti convinti - quanto sarebbe buona e utile la riforma dei servizi pubblici locali che, nel frattempo, non è mai stata fatta.
Credo che vi sia una vicenda abbastanza emblematica, che rappresenta un esempio piccolo, ma significativo, della difficoltà della politica italiana nell'ultimo quindicennio, della sua difficoltà a promuovere e realizzare il cambiamento e la modernizzazione del nostro Paese. Soprattutto, la vicenda è emblematica della resistenza della politica a modificare se stessa e il proprio modo di interagire con la società e con i cittadini, anche quando si tratta di riforme che, in linea di principio, sarebbero condivise da ambedue gli schieramenti. Questa è esattamente la storia della liberalizzazione dei servizi pubblici locali.
Per questo credo che se davvero si riuscisse a realizzare una riforma condivisa, essa potrebbe rappresentare, anche in senso positivo, un esempio significativo dello sblocco di un metodo di confronto bipolare che porta alla paralisi e all'impotenza e di un lavoro comune per obiettivi di interesse generale, quell'interesse generale che, invece, nel confronto di questi 15 anni, non è riuscito mai a prevalere rispetto agli interessi settoriali e corporativi. Si tratta di interessi molto complessi, come ben descrivevano i colleghi poc'anzi (interessi delle aziende, dei comuni azionisti delle aziende e dei sindacati) con una visione miope, a mio avviso, che non ha mai saputo guardare al di là della fase di cambiamento e alle grandi opportunità e ai vantaggi che, invece, un cambiamento del sistema di produzione dei servizi pubblici avrebbe determinato anche per gli attori, anche per i protagonisti: sia le aziende, che avrebbero potuto meglio modernizzarsi e operare in un mercato grande (quindi crescere e aumentare il loro ruolo), sia, in fondo, la politica, che avrebbe potuto interagire in modo diverso e sulla base di uno scambio di valori positivi con le proprie constituency.
Ricordo brevemente che allo sfortunato tentativo del disegno di legge Vigneri (che fu affossato alla vigilia della fine della legislatura dopo ben quattro letture parlamentari, alla vigilia dello scioglimento anticipato delle Camere) seguì, nella legislatura successiva, la famosa norma Buttiglione che, al di là delle intenzioni di dare una risposta alle esigenze della normativa comunitaria, in realtà spalancò le porte all'in house e all'uso distorto dell'in house. Infatti, proprio da lì partì la moltiplicazione, la proliferazione delle società pubbliche non solo nei settori tradizionali delle utilities a rete dei settori industriali, ma in tutta un'altra variegata gamma di attività che hanno visto crescere fino ad alcune migliaia le società a partecipazione pubblica.
La XV legislatura, che è stata molto breve, vide l'affossamento della riforma che io avevo portato avanti e che - non voglio difenderla - estrapolava il settore idrico (per motivi di carattere politico, ma anche per una valutazione sulla specificità di quel settore) ma per tutto il resto dettava una disciplina molto rigorosa e coerente. Anche lì ci si trovava alla vigilia di una fase politica molto complessa, vi fu pertanto l'accantonamento di quella norma, che fu poi del tutto abbandonata.
Ora, nella XVI legislatura, il centrodestra, che a quel tempo aveva guidato il fronte dei «benaltristi», cioè il fronte di coloro che affermavano che ben altro si Pag. 14sarebbe dovuto fare per una vera liberalizzazione e che quella del Governo di centrosinistra era troppo moderata, in realtà, grazie alle resistenza fortissima della Lega - che vorrò vedere alla prova dei prossimi passaggi parlamentari - ha partorito un inapplicabile articolo 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008, frutto, appunto, di un paralizzante compromesso.
Ora è apparso, poi scomparso e poi di nuovo apparso un articolo 15 la cui sostanza avremo modo di vedere, ma che appare privo di ambizione, nel senso che mi sembra (a giudicare dalle anticipazioni che circolano) un testo che cancella la sua operatività rispetto ad alcuni settori fondamentali ben presidiati da forti interessi di aziende monopolistiche, in particolare quelle del gas e del trasporto. Giustamente l'onorevole Valducci ricordava poc'anzi come tali aziende pesino in termini di inefficienze e di costi impropri da rendita monopolistica, sia con le tariffe sulle tasche degli utenti, sia sui bilanci comunali in termini di contratti di servizio.
Credo, allora, che dobbiamo chiedere efficienza alle amministrazioni comunali, in particolare nella prospettiva del federalismo fiscale e della determinazione dei costi standard.
Tuttavia, l'efficienza si realizza prima di tutto con una gestione che produce efficienza, non solo con il trasferimento dei costi magari sulle tariffe o sui ticket, ma imponendo ai produttori pubblici di beni e servizi di interesse collettivo un modo efficiente di riduzione della spesa.
Credo che oggi, la Camera, nel tentare di dare - come queste mozioni intendono fare - una nuova spinta alla riforma, forse, ancor prima di passare a specifiche indicazioni normative, potrebbe (se non in sede di discussione di queste mozioni, in un tavolo «multipartisan») condividere degli obiettivi che la riforma dovrebbe avere e poi misurare il testo che sarà prodotto dal Governo, dalle Commissioni parlamentari e dalla maggioranza in termini di coerenza con quegli obiettivi, che credo onestamente non si possano non condividere e non riconoscere.
Si tratta di obiettivi di natura finalistica. In primo luogo occorre garantire la generalità del meccanismo della gara come strumento di regolazione del mercato, di trasparenza, di efficienza e di terzietà del soggetto concessionario, cioè l'amministrazione pubblica, nei confronti degli attori del mercato, pubblici o privati che siano. Ritengo infatti che la competizione stimoli l'efficienza degli attori pubblici, il cui futuro viene migliorato dalla prospettiva della concorrenza.
In secondo luogo, occorre garantire più trasparenza e più potere ai consumatori, il cui coinvolgimento nel monitoraggio dei contratti di servizio e nella tutela dei loro interessi e diritti credo sia una leva importante in vista di una grande partnership tra amministrazioni e cittadini nei confronti dei produttori dei beni e dei servizi.
In terzo luogo occorre che tutta la gestione in house sia attratta nella sfera pubblicistica. Se non c'è competizione, i soggetti che producono servizi in regime di monopolio e di affidamento diretto devono far parte dell'area pubblicistica: ciò implica bilancio consolidato con quello dell'ente locale, assunzioni secondo le norme di natura pubblicistica e acquisti secondo le medesime procedure di natura pubblicistica, quindi con gare, senza aggiramenti di quei vincoli che sono spesso la ragione vera per la costituzione delle società per azioni.
Inoltre, discipline settoriali che, pur nelle specificità organizzative di ciascun settore, non costituiscano delle deroghe a questi principi, perché in realtà dietro la specificità si nasconde semplicemente la fuga dalle norme che regolano tutti gli altri settori. E poi - questo lo diceva molto bene il collega Causi - occorre dire «no» al trasferimento della rendita monopolistica dal settore pubblico al settore privato. In queste norme che abbiamo intravisto e che poi sono sparite - non so come emergeranno nella versione finale - c'è esattamente questo: l'obiettivo non deve essere quello semplicemente di privilegiare il privato, perché il privato non è buono per sua natura, ma piuttosto quello di sconfiggere la rendita che oggi colpisce Pag. 15i bilanci pubblici e gli utenti sia che si tratti di servizi prodotti dal pubblico che dai privati. Semplicemente la rendita, a seconda che il produttore sia pubblico o privato, è distribuita diversamente, ma io non vedo perché dovremmo privilegiarne la redistribuzione privatistica.
A proposito di rendita, vorrei vedere impegnato il Ministro Brunetta, che lancia le sue invettive contro i titolari di rendita, in questa battaglia che lo riguarda direttamente, perché riguarda l'80 per cento delle nostre amministrazioni pubbliche, il loro modo di funzionare, di organizzarsi e il loro rapporto con i cittadini-utenti. Quindi, il Ministro Brunetta, oltre che prendersela con i fannulloni, se la prendesse con questo problema, che è molto serio. Invece io vedo invettive ma poco impegno sostanziale.
Tutto questo credo si potrebbe realizzare se a livello parlamentare si costituisse un tavolo per realizzare un'intesa su principi che siano condivisi. Temo che se la strada seguita sarà di nuovo quella del decreto-legge blindato, all'interno del quale la maggioranza bilancia le sue contraddizioni, non solo ci sarà l'ennesima riforma mancata, ma forse si andrà ancora indietro rispetto ad una situazione già oggi carente.
Quindi, mi augurerei che nel prosieguo della nostra discussione la maggioranza si impegnasse almeno a non riprodurre lo schema di discussione che abbiamo già visto per il decreto-legge n. 112 e per l'articolo 23-bis perché esporrebbe prima di tutto se stessa ad un nuovo insuccesso.
Inoltre, credo che i dati e la storia ci dicano quanto il Paese ha pagato questa mancata liberalizzazione: l'ha pagata in termini di costi per i cittadini, in termini di finanza pubblica e l'ha pagata anche la politica, perché la degenerazione della politica a livello locale di cui talvolta leggiamo ha molte radici in tutto il fenomeno della gestione delle società di produzione dei servizi non liberalizzati.
Quindi, credo che ciò sia nell'interesse del Paese e mi auguro che la Camera si muoverà in questo modo nelle prossime settimane (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Federico Testa. Ne ha facoltà.

FEDERICO TESTA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor rappresentante del Governo, molte cose sono già state dette dai colleghi e non voglio riprenderle, concentrerò quindi il mio intervento su alcuni temi di carattere industriale.
Quando si parla di servizi pubblici locali si parla di qualcosa che non necessariamente, nella storia ed in tutto il mondo, deve essere erogato dal pubblico. Quando si parla di servizi pubblici locali si parla di servizi che sono importanti, determinanti per la qualità della vita dei cittadini in una determinata comunità e in un determinato periodo storico. La nozione di servizio pubblico locale è pertanto una nozione che va certamente storicizzata e che evolve nel tempo ed è una nozione che prescinde dalla natura giuridica del soggetto erogatore e che ha come riferimento, invece, gli interessi in gioco per quella determinata collettività.
Ciò chiarito, credo sia evidente che il cambiamento delle tecnologie, dei bisogni e dei modi di essere delle comunità renda doveroso oggi - ma non solo oggi, è da tempo che questo è un tema che è necessario affrontare - riprendere in mano la tematica dei nuovi assetti di questi servizi. Credo che però ciò vada fatto in maniera seria e corretta, anche per quello che riguarda il giudizio sulle esperienze che abbiamo vissuto. Mi riferisco al fatto che certamente nel passato dei servizi pubblici locali del nostro Paese ci sono state tante inefficienze, tanti sprechi e tante clientele, ma credo che ci siano anche aziende serie che hanno dato servizi di qualità ai cittadini e che hanno contribuito, in altre fasi storiche, all'infrastrutturazione fondamentale delle nostre collettività e a garantire servizi essenziali a tutti i cittadini. Ciò credo non possa essere dimenticato.
Veniamo alle proposte operative. Personalmente ritengo che se su questo tema Pag. 16negli anni abbiamo assistito a parecchi interventi riformatori che si sono tutti infranti alla prova dell'Aula e del cambiamento, ciò sia dovuto certamente alle resistenze clientelari e conservative che ci sono state, ma anche ad un approccio logicamente superato. Mi spiego: i servizi pubblici locali di cui parliamo sono sempre più business tra loro diversi. Per capire meglio questo concetto possiamo provare a ragionare di questi business tenendo conto da un lato dell'importanza che per essi rivestono le economie di scala, quindi la dimensione, e dall'altro dell'importanza del legame con il territorio locale.
Se noi ragioniamo in questi termini vediamo che possiamo giungere all'individuazione di due distinti gruppi di servizi. Al primo gruppo appartengono la generazione di elettricità, il trading, la vendita ai grandi clienti di gas ed elettricità e a tali attività, a seguito del progressivo processo di apertura dei mercati, si stanno aggiungendo anche le attività di vendita di elettricità e gas al mercato di massa.
Per questi business la dimensione e la massa critica sono fondamentali ai fini della possibilità di essere competitivi e queste dimensioni possono essere raggiunte attraverso percorsi di crescita che le imprese debbono necessariamente fare.
Il secondo gruppo è, invece, formato dai business locali, in cui le economie di scala pesano molto di meno, come, ad esempio, la raccolta dei rifiuti e la gestione del ciclo idrico. Qui i processi di aggregazione sono meno cogenti mentre sono importanti gli aspetti di legame, anche fisico, con il territorio, nonché la possibilità di rassicurare le comunità locali sul mantenimento delle caratteristiche del servizio, vale a dire sulle sue ricadute sul livello di vita delle comunità.
Se questa è una lettura possibile, allora le ragioni dei ripetuti fallimenti dei tentativi riformatori dei servizi pubblici locali trovano una chiave di lettura che va al di là delle resistenze di cui ho parlato prima. E, probabilmente, la chiave di lettura è quella della necessità del superamento di un approccio giuridico-formale (cosa è il servizio pubblico, come lo si definisce e regolamenta in modo trasversale) per sostituirlo con un approccio di tipo industriale e di mercato, che indaghi sulle filiere fra loro molto diverse dei singoli servizi da cui poi far discendere normative settoriali specifiche che riescano a cogliere le peculiarità dei processi di produzione ed erogazione, con riferimento sia alle dimensione industriale sia a quella del legame con il territorio.
Pertanto, dobbiamo smettere di parlare genericamente di servizi pubblici locali - fattispecie peraltro sconosciuta, in questi termini, in ambito europeo - ma occorre concentrare il focus sulle filiere industriali e sulle ricadute locali dei servizi. Ciò consentirà di evitare di sprecare energia al fine di individuare faticose vie di mediazione, che rendano possibile trattare nello stesso modo le problematiche di settori che devono percorrere la strada dell'efficienza e della capacità competitiva, risalendo la filiera fino all'approvvigionamento della materia prima in Paesi lontani (gas ed energia elettrica) e settori che, al contrario, esauriscono le loro problematiche attraverso un uso attento del territorio circostante (i rifiuti) e la valorizzazione e preservazione di una risorsa, locale per definizione, quale è l'acqua.
In secondo luogo, non va sottovalutata l'influenza - quando si parla di efficienza dei servizi pubblici locali - della struttura del mercato di approvvigionamento. Pertanto, è essenziale che ad un intervento di liberalizzazione nella fase terminale di erogazione del servizio si accompagni anche un intervento su quei monopoli di fatto che impediscono l'accesso economico alle fonti primarie e alle infrastrutture essenziali di trasporto. In questo senso, nel nostro Paese è emblematico il caso della rete di trasporto del gas e degli impianti di stoccaggio, per i quali non siamo ancora riusciti a individuare le modalità che garantiscano la reale terzietà della gestione. Di conseguenza, le nuove normative dovranno avere ad oggetto la specifica definizione del regime proprietario, pubblico piuttosto che privato, delle infrastrutture di rete, sapendo che probabilmente vi sono Pag. 17delle reti che debbono essere pubbliche e ve ne sono altre che possono anche essere private pro-tempore, fatto salvo il ritorno al settore pubblico nel momento della fine della concessione. Inoltre, si dovrà aver riguardo alla durata delle concessioni stesse. Nella distribuzione del gas la durata della concessione è di 12 anni mentre, probabilmente, per il trasporto pubblico locale 12 anni sono troppi.
Dunque, definiamo delle peculiari regole per ogni settore, andando a vedere quali siano le ragioni che portano a funzionare un certo settore in un modo piuttosto che in un altro oltre, evidentemente, alla definizioni di bandi tipo che aiutino le pubbliche amministrazioni a espletare le gare. Concordo assolutamente con quanto diceva la collega Lanzillotta: la gara è un principio fondamentale, le gare devono essere vere e dobbiamo sapere che un comune di 10 mila abitanti - ma anche uno di 50 mila - non ha, al suo interno, le competenze per poter gestire una gara di concessione per un servizio pubblico locale importante. Pertanto, dobbiamo anche capire in che modo aiutare le amministrazioni a dotarsi delle competenze, probabilmente aggregando la domanda, necessarie per poter far sì che le gare funzionino davvero e non siano solo una facciata.
Credo anche - con questo concludo, signor Presidente - che attraverso questa strada sarà possibile affrontare in maniera corretta e trasparente, con scelte politiche chiare, il tema dei costi dei servizi e del loro finanziamento.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

FEDERICO TESTA. Finisco, signor Presidente. La storia più recente dice, infatti, che in alcuni casi i servizi energetici hanno finito per sussidiare indirettamente i servizi a minor valore aggiunto, mentre in altri casi l'inefficiente regolazione ha condotto all'insufficiente copertura dei servizi minimi universali e alla incompleta valorizzazione dei loro costi.
Procedere nella direzione indicata consentirà, quindi, anche di affermare e dare consapevolezza del valore vero di lungo periodo delle risorse in gioco - si pensi al tema delle tariffe dell'acqua - facilitando un percorso indispensabile per favorire il miglioramento della vita delle comunità (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

GIUSEPPE PIZZA, Sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca. Signor Presidente, il Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione della mozione Casini ed altri n. 1-00224 concernente iniziative per il rispetto dei diritti umani e del diritto di difesa in Russia (ore 16,30).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Casini ed altri n. 1-00224 concernente iniziative per il rispetto dei diritti umani e del diritto di difesa in Russia (Vedi l'allegato A - Mozioni).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
Avverto, altresì, che è stata presentata la mozione Evangelisti ed altri n. 1-00231 (Vedi l'allegato A - Mozioni) che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verrà svolta congiuntamente. Il relativo testo è in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni presentate. È iscritto a parlare l'onorevole Pag. 18Rao, che illustrerà anche la mozione Casini ed altri n. 1-00224, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

ROBERTO RAO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, riassumo brevemente, non tanto per i presenti che evidentemente sono interessati all'argomento e conoscono bene la questione, ma per chi ci ascolta in questo momento, perché possa capire come mai l'Unione di Centro, e devo dire molti altri colleghi di tutti i gruppi parlamentari in maniera trasversale, hanno chiesto che il Parlamento italiano si occupasse di Mikahail Khodorkovsky.
Molti si chiederanno appunto chi era e riassumo brevemente questa vicenda, che non è molto nota in Italia, ma che sicuramente stupirà chi ci ascolta. Il 31 marzo scorso ha avuto inizio un nuovo processo penale nei confronti di Mikahail Khodorkovsky, ex proprietario della compagnia petrolifera russa Yukos e del suo socio di minoranza Platon Lebedev.
Entrambi sono in carcere dal 2003 dopo essere stati arrestati con le accuse di truffa e di evasione fiscale e condannati a 9 anni di detenzione in Siberia, regione tristemente nota per le deportazioni del regime sovietico, ma evidentemente ancora usata come luogo di prigionia nella Repubblica russa.
Nel 2007 avrebbero potuto ottenere la libertà condizionata secondo le leggi nazionali russe, avendo scontato metà della pena, ma l'improvvisa invenzione di nuovi capi di accusa ha impedito questa eventualità ed ha dato l'avvio ad un nuovo processo in corso di svolgimento a Mosca.
Contro Khodorkovsky e Lebedev sono state avanzate nuove accuse di truffa e riciclaggio che potrebbero condurre ad un'ulteriore condanna a 22 anni di carcere. In particolare, in quello che ormai gli organi di informazione hanno ribattezzato il secondo processo Yukos, le accuse riguarderebbero il furto di 350 tonnellate di greggio e il riciclaggio di 28 miliardi di dollari grazie all'utilizzo di compagnie offshore e della ONG Open Russia fondata dallo stesso Khodorkovsky.
Molti osservatori internazionali ritengono che lo stillicidio di accuse contro Khodorkovsky, i suoi soci e i suoi più stretti collaboratori, il precedente processo e l'attuale, siano motivati da ragioni politiche o quantomeno estranee alla mera applicazione delle norme di diritto penale e processuale russe, sospetto alimentato dal fatto che Mikahail Khodorkovsky e la sua compagnia petrolifera privata nei primi anni del 2000 avevano finanziato alcuni partiti liberali russi di opposizione e si apprestavano a concludere accordi commerciali che avrebbero reso possibile l'accesso di capitali esteri nell'azionariato di Yukos.
Su questo caso hanno posto la loro attenzione autorevoli primi ministri ed esponenti di governo europei: il Presidente della Commissione Manuel Barroso, l'ex Presidente del Parlamento europeo Hans Gert Pöttering e, più recentemente, il Senato degli Stati Uniti con una mozione bipartisan, come quella che abbiamo voluto proporre oggi all'Assemblea, firmata dagli allora senatori e candidati alla Casa Bianca Barack Obama e John McCain. Nel corso degli ultimi anni queste personalità si sono attivate per chiedere che venissero garantiti i più elementari diritti di difesa nei confronti di Khodorkovsky e Lebedev e che le autorità russe si impegnassero a ristabilire il rispetto delle regole dello stato di diritto e dei diritti umani in quel grande e importante Paese.
Al contrario, la decisione della procura generale della Federazione russa di indagare e rinviare nuovamente a giudizio Khodorkovsky e Lebedev è apparsa subito quantomeno sospetta, poiché intervenuta quando la legge russa avrebbe permesso loro l'accesso alla libertà condizionata. Lo stesso Presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha giudicato strano che le nuove accuse, che sembrano la riedizione delle vecchie - per usare proprio le sue stesse parole - siano emerse solo dopo anni di prigione e quando per i due condannati vi era finalmente la possibilità di ottenere la libertà condizionata.
Il nuovo processo si annuncia, quindi, lungo, anche in considerazione dell'elevato Pag. 19numero di testimoni chiamati in causa dalla difesa e dall'accusa. La concessione della libertà vigilata però a Svetlana Bakhmina, ex legale del gruppo Yukos, già condannata a sei anni e mezzo per malversazione, sembrerebbe far presagire - almeno questo è il nostro auspicio - un atteggiamento più morbido delle autorità russe nell'affrontare la battaglia legale.
Tuttavia, per il momento, lo stesso presidente Medvedev, cui pure l'opinione pubblica internazionale riconosce il merito di aver chiesto, almeno formalmente, una nuova indagine sui mandanti dell'omicidio della giornalista Anna Politkovskaja, mantiene viceversa un atteggiamento ancora molto guardingo su questa vicenda, testimoniato da quanto dichiarato al Corriere della sera secondo cui Khodorkovsky potrà chiedere di essere graziato, ma solo dopo aver riconosciuto in pieno la propria colpevolezza cosa che, come è facile comprendere, l'interessato non ha intenzione di fare, continuandosi a proclamare innocente e vittima di una persecuzione politica giudiziaria.
Non dimentichiamo, inoltre, che con l'arresto e la condanna dei vertici della Yukos, in primo luogo, la società è stata chiamata a saldare oneri fiscali superiori al totale delle entrate delle relative annualità di bilancio. In secondo luogo, è stata messa coattivamente sul mercato la sua principale unità produttiva. In terzo luogo, è stata costretta ad iniziare una procedura fallimentare di cui pure sono state contestate le modalità e le decisioni da numerose corti di altri paesi nei quali la Yukos, non a caso, aveva interessi e attività.
Siamo dunque, onorevoli colleghi, di fronte ad una vicenda complessa, che dura ormai da molti anni e che ha visto ridefinirsi il potere economico e politico in Russia. Ai tempi dell'arresto di Khodorkovsky, vale la pena di ricordarlo, alla Yukos si doveva il 20 per cento dell'intera produzione petrolifera russa, equivalente al 2 per cento di quella mondiale. Sono numeri che fanno riflettere e inducono a grande attenzione da parte dell'opinione pubblica internazionale.
Si tratta di una vicenda su cui sono intervenute autorità politiche e giudiziarie di molti paesi in relazioni significative con la Federazione russa e il suo sistema imprenditoriale. Nonostante le cortesi e tempestive rassicurazioni del Ministro Frattini, che ha avuto la sensibilità di rispondere prontamente ad una lettera aperta del presidente Casini, primo firmatario di questa mozione, assicurando l'attenzione del Governo al processo in corso, manca ancora, a nostro giudizio, un equivalente e adeguato segnale di attenzione nel nostro Paese.
Chiediamo un segnale di attenzione diplomatico che certamente dovrà essere misurato e rispettoso delle prerogative russe, ma che non può tardare per molto senza pregiudicare la nostra reputazione agli occhi dell'opinione pubblica internazionale interessata al pieno rispetto di fondamentali diritti di libertà, come quelli in gioco in questa vicenda, dalla libertà personale all'equo processo, dal diritto alla manifestazione del dissenso alla libertà d'impresa.
Come abbiamo avuto modo di anticipare intervenendo a questo proposito già lo scorso 14 maggio in occasione della discussione sulla ratifica e sull'esecuzione dell'Accordo tra il Governo italiano e il Governo russo sulla cooperazione nella lotta alla criminalità, non si può ulteriormente rinviare il momento in cui anche l'Italia deve muovere alcuni passi in questa direzione. A ciò è evidentemente finalizzata la mozione che discutiamo oggi, autorevolmente sottoscritta - lo ripeto - da parlamentari di maggioranza e di opposizione, come si conviene in un atto di indirizzo di politica estera che merita senz'altro una condivisione bipartisan.
Il nostro Paese vanta ottime relazioni bilaterali con la Russia e ne è attualmente il terzo partner commerciale al mondo dopo la Germania e la Cina. È noto - e anche ampiamente propagandato, oserei dire - il legame di amicizia personale che unisce il Presidente del Consiglio italiano al Primo Ministro russo Vladimir Putin; un rapporto di cui l'onorevole Berlusconi in più occasioni si è infatti dichiarato Pag. 20orgoglioso e che potrebbe ora consentirgli di chiedere proficuamente al Cremlino, al suo Primo Ministro e soprattutto all'attuale Presidente Medvedev, un impegno concreto e rapidamente verificabile nei suoi effetti per il rispetto dei diritti umani e del diritto alla difesa di Mikahail Khodorkovsky, di Platon Lebedev e di tutti cittadini russi.
Sappiamo che al Presidente del Consiglio non piace rispondere alle maldicenze, ma certo se dovesse adoperarsi risolutivamente perché le autorità russe fughino ogni sospetto sul trattamento giudiziario di Mikahail Khodorkovsky e magari arrivassero a una forma di composizione di un conflitto aperto ormai da troppo tempo, la credibilità della politica di alleanze perseguita dal nostro Paese crescerebbe nella considerazione internazionale, dando nel contempo un aiuto notevole alla stessa Federazione russa, che indubbiamente beneficerebbe di una ricaduta positiva in termini di immagine sullo scenario politico internazionale scegliendo la strada della trasparenza nella giustizia, del rispetto dei diritti civili e del pieno vigore dello Stato di diritto (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Evangelisti, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00231. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, come lei ha detto, illustro una mozione che differisce in parte da quella presentata dai colleghi Casini, Cesa, Vietti ed altri, che ora ha appena illustrato adeguatamente il collega Rao, sulla quale non possiamo che esprimere una convinta adesione e un sostegno. Tuttavia, noi abbiamo cercato, come gruppo dell'Italia dei Valori, di ampliare la riflessione a partire dal caso sollevato dagli amici e colleghi del gruppo dell'Unione di Centro. Certo, parliamo di Mikhail Khodorkovsky, ma non limitiamoci lì perché la questione della tutela dei diritti umani all'interno della Federazione russa è ancora oggi fonte di preoccupazione da parte degli osservatori e degli analisti occidentali. Anche se, merita dirlo, nel corso degli ultimi mesi sono apparsi timidi segnali di miglioramento rispetto al passato. Lo stesso Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano durante la visita a Mosca del luglio di un anno fa ha manifestato la sua impressione che in Russia sia in atto un avanzamento graduale verso una piena democrazia e un maggiore rispetto dei diritti umani.
Tuttavia, come dicevamo, noi riteniamo che sia ancora molto scarso l'impegno delle istituzioni russe in questa direzione. Il tema dei diritti umani è tra l'altro oggetto di specifiche consultazioni tra l'Unione europea e la Russia che, a partire del 2005, si svolgono con cadenza semestrale. Nel rapporto dell'Unione europea sui diritti umani per il 2008 si legge infatti che: «(...) sebbene i diritti umani in Russia siano garantiti dalla Costituzione e nonostante la Russia sia parte di molte convenzioni internazionali sulla materia, l'Europa continua ad essere seriamente preoccupata circa il deterioramento della situazione, con particolare riguardo agli aspetti dello Stato di diritto, la libertà di opinione e di riunione, la libertà di stampa, la situazione delle organizzazioni non governative russe e della società civile, la situazione in Cecenia e in altre parte dell'area del Caucaso settentrionale».
Questo stesso rapporto riferisce anche che, in occasione delle elezioni parlamentari e presidenziali del dicembre del 2007 e di marzo 2008, l'Unione europea ha espresso rammarico per le restrizioni imposte alla libertà di riunione e di manifestazione. In alcuni casi le riunioni organizzate dagli oppositori nonostante i divieti sarebbero state disperse dalla polizia con un uso sproporzionato della forza e con arresti arbitrari, come testimoniato da numerose denunce. Il citato rapporto richiama poi il controllo del Governo sulle principali emittenti televisive che durante la campagna elettorale non ha consentito un equo accesso ai media.
Permane, dunque, il problema della libertà di stampa e dei giornalisti, anche se nel 2007 si registra l'uccisione di un solo Pag. 21giornalista, mentre, ad esempio, nel 2006, l'anno precedente, furono uccisi ben cinque giornalisti in Russia. Una di queste vittime, lo ricordiamo tutti, fu la giornalista Anna Politkovskaja, uccisa il 7 ottobre 2006. Una donna, una giornalista, che aveva avuto il coraggio e la determinazione di denunciare più volte le scelte del Cremlino, in particolar modo per il conflitto in Cecenia, ma ben nota era anche la sua attività di paladina dei diritti umani in quella piccola Repubblica che le ha inevitabilmente procurato molti nemici. Su questo caso, tra l'altro, l'Unione europea ha chiesto un'approfondita indagine per far piena luce sull'assassinio della giornalista della Novaya Gazeta.
Il 20 febbraio di quest'anno, un tribunale militare ha mandato assolti tutti i quattro imputati per il delitto di Anna Politkovskaja sulla base di un unanime verdetto di non colpevolezza da parte della giuria. La sentenza assolutoria ha scatenato dure reazioni nella comunità internazionale, tra le quali quella dell'OSCE (l'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) il cui rappresentante per la libertà dei media, Miklos Kharashti, ha dichiarato che il verdetto assolutorio - cito testualmente - «ha coronato una lunga storia dell'incapacità delle autorità russe di garantire la sicurezza dei giornalisti». Nel frattempo, sappiamo che il 25 giugno scorso la Corte suprema russa ha annullato questa sentenza di assoluzione nei confronti di tre sospetti per l'omicidio di Anna Politkovskaja ed ha rinviato il caso davanti ad un tribunale in vista di un nuovo processo.
Ma non si può certo dimenticare che lo scorso 19 gennaio un'altra giornalista di quella stessa testata, Anastasia Baburova, ed il suo avvocato, che difendeva una ragazza cecena violentata ed uccisa da un colonnello russo, sono stati freddati da un sicario nel pieno centro di Mosca. Inoltre, il 1o aprile è morto Sergei Protazanov, un giornalista di un piccolo giornale d'opposizione della regione di Mosca, che era stato aggredito brutalmente nei giorni precedenti. Protazanov ultimamente lavorava ad un dossier sulle irregolarità avvenute nel corso delle ultime elezioni presidenziali. I familiari e i colleghi di questo giornalista insistono che la morte sia avvenuta in seguito alle percosse subite da parte di sconosciuti, mentre per gli investigatori è rimasto vittima di un'intossicazione.
La sera precedente, il 31 marzo, era stato aggredito anche uno dei leader del movimento russo per la difesa dei diritti umani, Lev Ponomariov. E ancora, il caso di Andrei Kulagin, impegnato con il gruppo Spravedlivost (significa Giustizia, nella traduzione in italiano) impegnato nella lotta contro le violazioni dei diritti dei detenuti e attento alle condizioni di vita nelle carceri, il corpo è stato trovato il 10 luglio in un fosso vicino alla capitale della Carelia, dopo che ne fu denunciata la scomparsa fin dal maggio scorso.
L'ultimo caso che vorrei citare è appunto quello che ha richiamato oggi la nostra attenzione e la nostra preoccupazione, non soltanto in quest'Aula, ma anche in Europa e negli Stati Uniti, e che riguarda il magnate russo più famoso, Mikahail Khodorkovsky, proprietario della potente compagnia petrolifera Yukos, arrestato nell'ottobre del 2003 per frode, ma si sospetta che le vere ragioni siano da ascrivere probabilmente al finanziamento che Khodorkovsky aveva elargito ad alcuni partiti liberali russi, quelli all'opposizione, e all'apertura della compagnia a capitali esteri. Tra l'altro, quest'ultimo avrebbe già dovuto godere della libertà condizionata, avendo ormai scontato metà della pena, invece, è stato istruito un nuovo processo perché sarebbero emerse ulteriori imputazioni, che hanno coinvolto anche il socio Lebedev, con una decisione che ha destato non poche perplessità tra i leader europei e anche all'interno del Consiglio europeo. Risulta, infatti, come ha fatto sapere il Presidente Medvedev, che solo attraverso l'ammissione di colpevolezza e la richiesta di grazia del magnate la questione potrebbe trovare una soluzione positiva.
Infatti, vengono spesso denunciati in Russia casi di maltrattamento e uso di torture da parte del personale di polizia che continua a fornire motivo di preoccupazione, Pag. 22anche se si stanno cercando modi di affrontare al meglio la questione, aggravata dal fatto che gli ufficiali sono spesso ritenuti non responsabili per le loro azioni. Inoltre, si individua nella tendenza dei tribunali a basare le loro sentenze sulla sola confessione dell'imputato una delle ragioni che alimentano la cultura dei maltrattamenti nella fase pre-processuale.
Il rapporto di cui ho parlato all'inizio, quello dell'Unione europea, evidenzia inoltre che nella Federazione russa sono presenti alti livello di razzismo e xenofobia (almeno 61 persone sono state uccise in tutto il Paese nel 2008 per tali motivi): pregiudizi molti forti sono registrati contro ceceni, caucasici, rom, ebrei, turchi mesketiani, africani ed asiatici.
Le discriminazioni riguardano anche il mercato del lavoro, nonostante il codice del lavoro russo contenga dettagliate norme contro la discriminazione razziale in quel campo, ma va detto che anche l'Italia, da questo punto di vista, secondo varie agenzie e organizzazioni internazionali, non se la passa proprio meglio (ma questo è un discorso che abbiamo già affrontato e che affronteremo in un'altra occasione, perché vorremmo contestare le risposte governative, italiane in questo caso, tutte orientate a negare i pesanti rilievi internazionali).
Tornando a Mosca, alla Russia, alla Federazione russa, le questioni riportate dal rapporto dell'Unione europea si ritrovano, in qualche modo, pubblicate anche nel rapporto annuale di Amnesty International per il 2008, pubblicato nel maggio di quest'anno; rapporto che, tra l'altro, afferma che «rappresentanti del Governo e media controllati dallo Stato hanno ripetutamente accusato difensori dei diritti umani e membri del movimento di opposizione di lavorare per conto di interessi esteri e di essere contro i russi» e che «difensori dei diritti umani e attivisti della società civile sono stati oggetto di vessazioni e intimidazioni».
Il documento ricorda, altresì, che in quindici sentenze la Corte europea dei diritti umani ha ritenuto la Russia responsabile di sparizioni forzate, tortura ed esecuzioni extragiudiziali in relazione al secondo conflitto ceceno e che la Corte ha duramente criticato gli esiti inconcludenti delle indagini. Se poi a queste aggiungiamo il rapporto annuale di Human Rights Watch, pubblicato nel gennaio 2009, in questo ritroviamo critiche analoghe alla Federazione russa.
In particolare, riguardo al conflitto con la Georgia dell'agosto 2008, nel quale molti civili - lo ricordiamo - persero la vita, il rapporto sostiene che entrambe le parti commisero gravi violazioni dei diritti umani e delle norme internazionali di diritto umanitario.
A fronte di tale situazione, il Parlamento europeo lo scorso aprile ha approvato con 416 voti a favore, 80 contrari e 147 astensioni, una raccomandazione che, tra l'altro, chiede a Consiglio e Commissione di insistere su un accordo giuridicamente vincolante basato sull'impegno condiviso nei confronti dei diritti umani.
Secondo gli eurodeputati, il Consiglio europeo e la Commissione dovrebbero inoltre sollevare di fronte al Governo russo le preoccupazioni sullo spazio sempre più limitato della società civile, sollecitandolo a porre fine a intimidazioni e vessazioni nei confronti dei difensori dei diritti umani e a mantenere la libertà di espressione e di associazione, facendo sì che la legislazione che regola la società civile si allinei agli impegni internazionali.
Le istituzioni dell'Unione europea dovrebbero anche chiedere alla Russia di fermare le continue violenze e persecuzioni nei confronti dei giornalisti, rispettare la libertà dei mezzi di comunicazione e garantire - cito ancora testualmente - che «i media indipendenti beneficino di condizioni politiche ed economiche che consentano loro di funzionare normalmente».
È per questi motivi, che ho cercato di illustrare e che poi si ritrovano all'interno della nostra mozione, che ci siamo adoperati direttamente nel sottoporre all'attenzione del Parlamento e della Camera dei deputati il nostro testo, che speriamo possa avere l'avallo, e quindi un'approvazione, Pag. 23da parte del Governo e soprattutto da parte di quest'Aula (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tempestini. Ne ha facoltà.

FRANCESCO TEMPESTINI. Signor Presidente, colleghi, ho sottoscritto volentieri la mozione Casini ed altri n. 1-00224 perché, come ha poi confermato l'onorevole Rao in modo documentato con il suo intervento, è sottoposto alla valutazione dell'Aula un tema, una storia che si snoda ormai dal 2003, che riguarda un caso di denegata giustizia e di insufficiente rule of law che è una delle caratteristiche tipiche, ahimè, dell'attuale fase che attraversa la società russa.
Abbiamo poi ascoltato altri documentati interventi, che hanno allargato il campo, credo meritoriamente, in quanto la questione Khodorkovsky, su cui dirò qualcosa, non è l'unica, anzi è una di quelle su cui sono puntati gli occhi, mentre meno attenzione vi è sul grande di numero di giornalisti uccisi, sui quali solo dopo, purtroppo, è stato possibile (e spesso non è neanche stato possibile) aprire una riflessione in sede penale, con le garanzie del caso, spesso insufficienti e mancate.
Penso però che dobbiamo partire da una considerazione: una politica dei diritti umani nei confronti dell'ex Unione Sovietica ma in generale nei confronti di tutti quei Paesi nei quali si è di fronte ad elementari carenze e mancanze da questo punto di vista (si potrà poi discutere sull'entità e sulla gravità della situazione) è efficace, naturalmente, se alle azioni di denuncia, e quindi alla predisposizione di tutte le iniziative in sede internazionale tendenti a correggere, a mitigare e a cambiare lo stato dei fatti, si accompagnano politiche generali coerenti.
Vorrei, nel caso della Russia, fare una brevissima riflessione sulla storia più recente. Se siamo nelle condizioni in cui siamo, penso che noi abbiamo qualche responsabilità. Penso che, all'indomani del crollo del comunismo in Unione Sovietica, l'Occidente non abbia aiutato lo stabilimento dello stato di diritto in quel Paese. L'Occidente si è semmai per molti versi (faccio riferimento ai grandi interessi economici che hanno operato in quegli anni) mosso per aiutare una genia di emergenti, che poi avranno «titolazioni» diverse, i grandi oligarchi russi che hanno depredato la Russia con la connivenza di grandi operatori internazionali occidentali, che hanno visto (parliamo dell'«era Eltsin», un periodo molto oscuro e negativo) in questo grande caos, in questa dissoluzione di qualunque forma di diritto in Russia, la possibilità di accompagnare il fenomeno degli oligarchi per fare affari, spesso miliardari.
Dobbiamo ricordare ciò, perché ha avuto un peso su quanto poi dirò. Vi è stata anche una grande sottovalutazione della questione russa: del come avrebbe potuto emergere la Russia dalla transizione. Per Clinton la Russia era una sorta di problema residuale: si trattava di definirla come una potenza ormai declassificata, una potenza di serie B, e questo naturalmente con le conseguenze che ha comportato.
Insomma, abbiamo per molti versi fatto di tutto perché la replica a questo stato di cose fosse sostanzialmente un regime forte, quello di Putin (una reazione «alla russa» all'anarchia che si era determinata). Dobbiamo ricordare queste cose, altrimenti non riusciremmo ad affrontare bene la questione. Abbiamo continuato a sbagliare anche durante tutte e due le Presidenze Bush, perché abbiamo favorito la crescita e il rafforzamento del nazionalismo russo.
Se penso alla decisione di Obama di pochi giorni fa a proposito dello scudo missilistico, credo che se ne possa trarre qualche utile insegnamento, nel senso di una politica diversa, quella inaugurata dal Presidente Obama, che rende certamente meno forte quella forma di pressione che si esercita sulla società russa da parte di un regime nazionalista (con tutte le caratteristiche che abbiamo e dobbiamo continuare a denunciare), che è però un sistema che si regge anche grazie agli errori e alle connivenze dell'Occidente Pag. 24nella fase del grande depredamento della Russia all'epoca di Eltsin, e che si è retto ed è stato aiutato a restare in piedi in quelle forme anche grazie a politiche sbagliate messe in campo nella fase della Presidenza Bush (personalizzo la questione, ma in realtà parliamo di quella fase nella quale l'unilateralismo americano riteneva di non avere ostacoli e che la Russia in qualche modo dovesse sostanzialmente piegarsi).
L'effetto è stato esattamente quello contrario: la Russia ha rafforzato le sue tendenze e le spinte nazionaliste e questo naturalmente ha influito e influisce fortemente sul modo con il quale sono stati regolati i conti all'interno di quel regime e sul fatto che tutto il complesso delle politiche per i diritti umani non è proceduto nella direzione giusta (potrei parlare della guerra in Cecenia, come spinta nazionalistica dalla quale sono derivate centinaia, migliaia di vittime, la cui morte spesso non è addebitabile soltanto ad azioni di guerra ma ad altre pratiche quali la tortura).
Naturalmente dobbiamo essere unanimi nella condanna e nella ricerca di soluzioni che alleggeriscano la situazione e portino la Russia a cambiare dal punto di vista della politica dei diritti umani, ma dobbiamo anche sapere che occorrono politiche più generali che consentano di affrontare senza arroganza e con capacità di dialogo il rapporto con questo grande Paese.
Ad esempio, tornando ad osservare la questione delle decisioni più recenti dell'amministrazione americana, ritengo che da quelle scelte possano scaturire maggiore credibilità e maggiore forza per esercitare pressioni serie affinché in Russia si cambi e si volti pagina sul terreno dei diritti umani.
Naturalmente tale questione ne porta dietro, con sé, un'altra: nei confronti di questo Paese occorre una politica europea, e lo diciamo sempre, ma poi dobbiamo constatare che questa politica europea non c'è. Occorrerebbe una politica europea dell'energia, una politica europea per ciò che riguarda il rapporto tra NATO e Russia, una politica europea e americana insieme nei confronti delle grandi scelte geostrategiche che riguardano Russia, Europa, NATO e Stati Uniti. Sono tutte cose che non cito a caso perché fanno parte di un complesso di politiche più generali dentro le quali, però, può trovare spazio una mitigazione quanto meno allo stato dei fatti delle attuali condizioni di violazione dei diritti umani, che è un dato per molti versi incontestabile, e un'apertura di dialogo e di confronto per compiere dei passi in avanti.
Insomma, ritengo che dovremmo fare tutto ciò se vorremo affrontare il tema che ci è stato sollecitato con questa mozione e mettere in campo un'iniziativa che dia credito anche alla stessa politica del Governo. Il Presidente del Consiglio, come sappiamo, con molta enfasi, ha insistito sui buoni rapporti con la Russia. Abbiamo visto nei giorni scorsi che, dopo la decisione di Obama, il Presidente del Consiglio ha fatto una dichiarazione, dicendo che ciò andava nella direzione che il Governo Berlusconi aveva favorito da Pratica di Mare in avanti.
Allora, se questo ragionamento ha un senso, è giusto, come fa la mozione, chiedere al Governo di fare qualcosa di più nel rapporto diretto con i governanti di quel Paese (esercitando nelle forme giuste tutta la pressione possibile perché dal caso Khodorkovsky, e da tutti gli altri casi che vengono segnalati all'opinione pubblica internazionale, si proceda in maniera più diretta e forte per correggere ciò che va corretto) e di approfondire, se possibile, il ruolo italiano.
Penso che vi sono alcune condizioni nuove, alcuni spiragli da esplorare, affinché le politiche generali europee, innanzitutto, e le politiche euroamericane, nei confronti della Russia, cambino con gradualità, con senso del limite. Naturalmente, il mio discorso non vuole essere a senso unico. Nessuno si dimentica, o vuole nascondere, le tentazioni imperiali che ci sono in quel Paese, ma dobbiamo coesistere, dobbiamo vivere insieme, dobbiamo, quindi, fare politiche generali più lungimiranti che rimettano in campo la coesistenza, Pag. 25la collaborazione, un buon rapporto NATO-Russia che deve tornare ad essere un rapporto positivo. Insomma, dobbiamo, più in generale, fare in modo che questi rapporti migliorino perché con il miglioramento di questi rapporti, potrà migliorare la democrazia in quel decisivo Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Renato Farina. Ne ha facoltà.

RENATO FARINA. Signor Presidente, a nome del gruppo del Popolo della Libertà esprimo apprezzamento e condivisione della mozione che ha per primo firmatario l'onorevole Casini, e condivido personalmente, sia pure con qualche distinguo, anche la mozione che ha per primo firmatario l'onorevole Evangelisti.
Siamo convinti, sono convinto, che non si può separare l'amicizia con un popolo e con un Governo, dalla rivendicazione piena, netta e forte dei diritti fondamentali che non sono in balia di questo o di quel leader politico, ma appartengono all'umanità in quanto tale. In questo senso, nel Consiglio d'Europa, dove con altri parlamentari italiani siamo impegnati nella Commissione principi giuridici e diritti umani, e dove sono presenti anche dei parlamentari della Duma di Mosca, è una continua battaglia, una continua difesa dei diritti umani, una continua menzione, faticosa a volte, delle vittime tra i promotori e i difensori dei diritti umani che cadono qua e là nel Caucaso e nelle città russe.
Di recente a Parigi c'è stato uno scontro molto forte e vibrato, in qualche modo pauroso, tra i deputati della Duma e colei che ha preso il posto dell'ultima assassinata in Cecenia e che timidamente faceva presente di come corressero rischi coloro che in quella parte del mondo osassero non schierarsi né con il terrorismo fondamentalista né con una repressione che spesso supera le giuste ragioni della lotta al terrorismo. Di questo parlerò poi relativamente alle pressioni che ritengo possa essere utile fare ancora, non tanto verso il Governo russo quanto verso il Parlamento russo.
Anzitutto occorre essere precisi. In Russia vige, almeno formalmente, una separazione dei poteri. Dunque è formalmente improprio rivolgersi al Governo russo perché faccia recedere un tribunale indipendente dalle sue procedure. Infatti, se questa prassi fosse seguita, ad esempio, dal Presidente Putin riguardo ad altri processi che si tengono in Italia, sarebbe certamente giudicata come un'interferenza nella legittima giurisdizione dei tribunali italiani.
Dunque, occorre delicatezza per non peggiorare le cose. Detto questo, è chiaro che esistono altri strumenti anche extragiurisdizionali per far valere i diritti delle persone, ad esempio l'accesso alla grazia o un controllo forte perché si adottino tutti i mezzi affinché sia possibile un processo che tenga conto pienamente dei diritti della difesa e che sia caratterizzato dall'assoluta trasparenza. Sicuramente la rappresentanza diplomatica dell'Unione europea e l'ambasciata americana vigilano e monitorano con continuità le udienze che riguardano il processo che in questo momento vede per la seconda volta sul banco degli imputati Khodorkovsky. Credo che il nostro Governo non mancherà di far valere, proprio in forza dei buoni rapporti che ha con Mosca, la necessità di una vigilanza del potere politico sul potere indipendente della magistratura per quel che attiene alle rispettive sfere di competenza.
È certo che la tradizione moscovita non gioca a favore di una separazione dei poteri. Non c'è bisogno di ricordare in questa sede il procuratore Vishinsky, che poi fu anche politico, e i ruoli erano interscambiabili, come d'altra parte accade spesso in Occidente, magari anche in questo Paese.
Per quanto riguarda sia le premesse, sia le richieste al Governo contenute nella mozione Casini n. 1-00224 e quelle contenute nella mozione Evangelisti n. 1-00231, esprimo nel primo caso un giudizio di totale condivisione, mentre nel secondo un giudizio favorevole con dei distinguo, ma occorre anche ripercorrere un po' la storia di quanto è accaduto, Pag. 26almeno per sommi capi. Ricordiamo come si è svolta questa vicenda: subito dopo la caduta del muro di Berlino (come capita sempre dopo le rivoluzioni), la prateria della Russia è stata in balia di gente che non badava molto alla legge. Facendo valere la loro vicinanza agli uomini che si sono trovati al potere, gli oligarchi a partire dal 1992 in poi si sono impossessati di gran parte dei beni del popolo russo, accedendo a costi irrisori alle risorse (grazie a finanziamenti di banche straniere interessate), oppure semplicemente con la corruzione e il malaffare dei funzionari.
Si creò il grande partito, la cupola eltsiniana, come si disse. Cosa accadde? Accade che dopo un bombardamento alla Duma nel 1993 - evento di cui un po' si è persa memoria - Eltsin ebbe come un soprassalto, cercò di coprirsi le spalle e di garantirsi una sicurezza stringendo una forte alleanza, un forte patto, con l'ala giovane che proveniva certamente dal KGB, ma non era coinvolta direttamente - vuoi per la giovane età, vuoi per i pensieri rinnovati - con l'antico corso.
In questo modo il vicesindaco ed ex ufficiale di seconda linea del KGB, Putin, è diventato il suo delfino. È chiaro che, mano a mano, Putin - non è un caso il consenso che ha riscosso da un uomo di grandissimo valore, in tutti i sensi, come Solzhenitsyn - è venuto rappresentando non soltanto le sue ambizioni personali, ma anche quelle del popolo russo, a cui le scorribande degli oligarchi non piacevano e non piacciono.
In questo senso Khodorkovsky è stato un po' la vittima sacrificale della lotta che c'è stata tra Putin e gli oligarchi. Di certo il più intelligente ed il più ricco tra gli oligarchi, Khodorkovsky per salvarsi ha cercato di finanziare tutti i partiti, tra cui anche il partito comunista, anzi post-comunista, oltre che i partiti liberali (questo l'onorevole Rao non l'ha detto) per costituirsi una base di consenso e candidarsi alle elezioni successive. Ha perso ed è stato incarcerato di sicuro ingiustamente: dall'oggi al domani, hanno accertato a suo carico evasioni fiscali che avrebbe dovuto pagare in un giorno. Non disponeva di questa cifra, né lo riteneva giusto, ma è finito dentro.
Non dimentichiamo che il suo patrimonio in quel momento, prima che fosse dichiarato in modo artefatto il fallimento, era valutato in 19 miliardi di dollari e lui aveva pagato tutto questo 250 milioni di dollari attraverso un finanziamento della banca Rothschild di Londra. Il suo patrimonio è stato preso da una ditta - la chiamo «ditta» usando un termine basso - statale russa che ha inglobato tutta la questione.
Adesso con ogni evidenza si tratta di consentire che tutto questo non diventi la vendetta personale da parte del vincitore di questa contesa che, peraltro, ha il consenso del popolo russo. Avrà connotati autoritari, ma è innegabile che vi sia questo consenso da parte di Putin e adesso in una divisione di poteri che ritengo proficua per la democrazia russa con Medvedev ritengo che sia possibile una collaborazione più serena.
È importante in questi giorni il fatto che Obama abbia aperto a rapporti propositivi con Mosca e che Mosca abbia risposto ritirando un ambiguissimo consenso alla politica iraniana di proliferazione nucleare, anche se non lo diceva, perché fornire missili e altri sistemi d'arma all'Iran mentre si sta armando nuclearmente non era certo un buon segnale. Il fatto che vi sia una possibilità di dialogo politico, tenendo conto degli interessi e anche delle ambizioni da superpotenza sempre rinnovantesi tipiche della Russia nella sua storia, può comunque portare a buoni risultati. Sicuramente una componente dei rapporti deve essere costituita dai diritti umani, i diritti fondamentali, senza nessuna eccezione, senza nessuno sconto.
In questo senso, vi sono segnali positivi. Mi riferisco al dispositivo della mozione a prima firma dell'onorevole Evangelisti, quando - a mio avviso un po' impropriamente - impegna il Governo ad attivarsi per sollecitare un accordo giuridicamente vincolante, basato sull'impegno condiviso nei confronti dei diritti umani. Pag. 27
La Russia, già adesso, ha sottoscritto un impegno giuridicamente vincolante sui diritti umani aderendo al Consiglio d'Europa, dove vige la Convenzione europea dei diritti dell'uomo e a cui, senza aderirvi, non si può accedere. Nello stesso tempo, la Russia aveva accettato, a livello di Governo, il Protocollo n. 14 che si riferisce ai diritti umani e alla facilità di accesso alla Corte europea dei diritti dell'uomo. Tutto questo, però, non è stato ancora ratificato dalla Duma. È facile dire che la Russia giochi su due tavoli: finge di accettare, ma poi respinge. Tuttavia, vi è un dato importante: l'11 settembre scorso, il capo della delegazione russa nella Commissione principi giuridici e diritti umani a Parigi ha detto che, finalmente, la Duma si avvia a votare a favore del citato Protocollo n. 14.
Si tratta, quindi, di una garanzia in più per Khodorkovsky, perché il suo processo sia giusto adesso e perché, se non fosse rispettato nei diritti della difesa, possa rivolgersi ad un'istanza superiore a cui adesso la Russia si riferisce (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Mecacci. Ne ha facoltà.

MATTEO MECACCI. Signor Presidente, in esordio, vorrei segnalare tramite lei al Governo e, in particolare al Ministro Brunetta, il caso di un sottosegretario superefficiente: mi riferisco al sottosegretario Pizza, che è in questa sede a rappresentare il Governo su temi di carattere multidisciplinare, che non rientrano nel mandato diretto del suo Ministero, e che, forse, qualche collega del Ministero degli affari esteri avrebbe il dovere anche di sostituire, quando si tratta di un dibattito importante, come quello sulla situazione dei diritti umani in Russia.
Dico questo, perché ritengo importante che le mozioni presentate dai colleghi Casini ed Evangelisti - che condivido - siano state poste all'ordine del giorno. Questa, infatti, dovrebbe essere l'occasione per un confronto anche con il nuovo Governo sulle relazioni del nostro Paese con un Paese come la Russia, che è molto importante. Tali relazioni, nel corso degli ultimi anni, hanno avuto delle evoluzioni significative che, forse, il Governo dovrebbe affrontare anche in quest'Aula, al di là di quanto si dice nei vertici o negli incontri bilaterali, in cui il nostro Presidente del Consiglio non ha mancato occasione di far conoscere il proprio pensiero.
La vicenda di Khodorkovsky è un'occasione importante per cercare di aprire questo dibattito, perché è il paradigma di una situazione che si è venuta a creare in quel Paese nel corso degli ultimi anni, che ha riguardato un'involuzione autoritaria e autocratica della Russia, in particolare sotto il Presidente Putin. Tale situazione, nostro malgrado, continua, seppur con qualche rallentamento, anche a causa dell'aumento delle difficoltà economiche in cui si è trovata la Federazione russa nel corso degli ultimi mesi ed anni, e che, forse, hanno portato anche quel Governo a cercare più miti consigli, quanto meno nelle relazioni con i Paesi occidentali e con i loro principali partner economici.
Questa ascesa al potere - lo ricordava anche il collega Renato Farina - si è consolidata grazie a due filoni di iniziativa. Da un lato vi è stata una forte iniziativa nazionalista e militarista con la guerra in Cecenia. Si è cercato di trovare una soluzione militare, non politica, ad un conflitto oggettivo che si è sviluppato in quell'area per motivi vari, anche legati al commercio del gas e del petrolio, che hanno portato altre parti della Federazione russa - cioè, dell'allora Unione sovietica - a disgregarsi. Su ciò Putin ha condotto la sua campagna elettorale, promettendo ai cittadini una grande Russia e lanciando una guerra in perfetto stile populista, che, chiamando a raccolta i cittadini per restaurare le tradizioni di quel Paese, ha anche comportato la crescita di un consenso popolare.
Quello che afferma il collega Renato Farina non è sbagliato. È vero che il Presidente Putin è popolare, però forse bisogna approfondire con quali mezzi si raggiunge la popolarità e se si garantisce Pag. 28anche un minimo di confronto democratico che possa favorire l'emergere di altre posizioni.
L'altro filone d'iniziativa è stato quello della guerra agli oligarchi, di cui Khodorkovsky è stato un esempio. Anche in questo caso, l'appeal populista di una campagna che prometteva di riportare risorse nelle casse dei cittadini russi - o meglio, degli oligarchi russi che andavano a sostituire il gruppo di oligarchi che veniva messo in carcere ed estromesso dal potere - è stato uno strumento di acquisizione del consenso popolare, che però, progressivamente si è accompagnato ad una serie di misure che hanno portato alla chiusura dei giornali e alla circostanza che si siano verificati, negli ultimi anni, decine e decine di assassini di giornalisti e di oppositori che sono rimasti senza giudizio e senza l'intervento della magistratura. Non credo che possa valere l'afflato giustificatorio che viene anche dal collega Renato Farina nel far valere per la Russia la circostanza che esista un sistema giudiziario indipendente chiamato ad intervenire e rispetto al quale le autorità di Governo, per le divisioni che esistono in uno Stato di diritto che voglia dirsi tale, non possono avere alcuna influenza: purtroppo la situazione è molto diversa.
Esiste una responsabilità, che il collega Tempestini fa risalire anche agli anni della fine della guerra fredda e, evidentemente, una rilettura di quanto è avvenuto in quel periodo può essere utile a comprendere meglio quanto si è verificato. Io credo, però, che gli errori più gravi siano stati compiuti proprio nel momento in cui è andata in crisi la gestione Eltsin ed è venuta avanti la gestione Putin, con tutto l'apparato dell'ex KGB che si è portato con sé. Tra i Governi occidentali - in particolare, il Governo italiano e, ancora in particolare, il primo Governo Berlusconi nel periodo d'inizio della guerra cecena (sebbene anche il Governo di centrosinistra non si sia distinto per particolari critiche rispetto a quel modello di Governo), fino ad arrivare a questi 14 mesi di Governo - il nostro Paese si è messo tra i capi fila di un gruppo di Paesi che tende a dare alla Russia di Putin (ma non solo ad essa, anche ad altri Paesi, quali la Libia di Gheddafi e ad altri) quello di cui essa ha più bisogno, cioè la legittimazione politica e democratica a livello internazionale.
Credo che questo dovrebbe essere il tema di cui discutere. Fare affari con questi Paesi - come, evidentemente, fa l'ENI, nell'interesse dei suoi azionisti - stipulando contratti è qualcosa di legittimo che il nostro Paese può comprendere e sostenere, vantando anche delle partecipazioni in queste società, ma le scelte di un Governo a livello di politica internazionale non possono essere sovrapponibili alle scelte di una grande industria del petrolio e del gas. Occorre che ci sia di più, perché ci sono dei vincoli internazionali che ci legano a ciò e perché quello che avverrà in Russia e l'evoluzione del tipo di Governo e di autorità che si consolideranno in quel Paese avranno degli effetti nei rapporti della Russia con l'Unione europea, con la NATO e col il nostro Paese. Far uscire dalla gabbia la bestia del nazionalismo e del militarismo, invece di cercare di domarla e di riportarla a più miti consigli, accrescendo l'interesse ad agire e a muoversi nello scenario internazionale, non è una scelta politica saggia, non lo è per un Paese che è tra i fondatori della Unione europea e non lo è per un Paese che adesso presiede il G8.
Vanno quindi sicuramente bene i richiami al Governo affinché, in tutte le sedi diplomatiche, si muova per ottenere il rispetto dei principi democratici e dei diritti umani; essi sono un punto di vista particolare con cui guardare alle relazioni con la Russia che, di solito, viene messo nel cassetto e viene tenuto da parte, mentre è importante che se ne discuta.
Credo tuttavia che, anche come Presidente del G8, l'Italia, in merito alla questione dei diritti umani in generale ma in particolare nei confronti della Federazione russa, che da pochi anni è stata chiamata a far parte del G8 (esso fino ad allora era chiamato G7 e comprendeva solo i Paesi più industrializzati che fossero retti da istituzioni che potessero essere considerate Pag. 29accettate da tutti come democratiche), non possa dimenticare - dal momento in cui si consente alla Russia di far parte del G8 e di sedersi al tavolo dei grandi - che quei principi erano stati a fondamento della costituzione del G8. Se non si fa questo, ammettere anche Paesi non in linea con questi principi, significherebbe compromettere nella sua credibilità internazionale la stessa istituzione di cui essi vengano a fare parte.
Credo che questo sia un tema molto importante e difficile da trattare per l'importanza delle relazioni economiche e per il prevalere, comunque, a livello internazionale di una realpolitik che fonda la politica sui rapporti di potere. Credo, tuttavia, che ad iniziative giustamente segnalate come positive, come quella del Presidente Barack Obama di non procedere all'installazione di un sistema di difesa missilistico non strettamente necessario alla difesa dell'Europa e della NATO anche in corrispondenza delle richieste dei russi, si debba accompagnare una politica più assertiva e più consapevole del fatto che il rispetto del diritto di difesa, della libertà di informazione e del diritto al giusto processo sia fondamentale non solo per la Russia, ma anche per tutti gli Stati che con questo grande Paese intrattengono delle relazioni.

PRESIDENTE. A termini di Regolamento il Governo può essere rappresentato da uno qualunque dei suoi componenti in qualunque dibattito parlamentare. Ringraziamo il sottosegretario Pizza. Si suppone che i membri del Governo abbiano una rappresentanza politica generale. Tuttavia è in qualche modo inusuale che, in un dibattito importante come quello di oggi, il Governo si faccia sistematicamente rappresentare da un suo membro che non ha responsabilità politica nel settore. In questi casi, in genere, si ricorre al Ministro per i rapporti con il Parlamento che, come tale, ha competenze politiche diverse, è istituzionalmente «onnisciente», rappresenta il Governo sempre e dappertutto e quantomeno è uno specialista di relazioni con il Parlamento. C'è qualcosa di stridente, me ne rendo conto, e provvederò a farlo presente al Presidente della Camera.
Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

GIUSEPPE PIZZA, Sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca. Signor Presidente, il Governo si riserva di intervenire successivamente.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Sull'ordine dei lavori (ore 17,30).

FABIO EVANGELISTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, intervengo per pochi minuti, anzi, per pochi secondi. Lei avrà letto, questa mattina, dell'incidente ferroviario che si è verificato a Milano, fortunatamente senza nessun danno né, soprattutto, feriti. Tuttavia si è trattato di un incidente del tutto particolare: addirittura il locomotore si è riversato all'interno di un cortile e non sappiamo cosa sarebbe potuto accadere. Pare (c'è una notizia di agenzia in questo senso) che alla guida del locomotore ci fosse soltanto un apprendista senza tutor, senza accompagnatore, senza un macchinista ferroviere esperto. Le sarei grato se volesse chiedere al Governo di riferire adeguatamente in merito, e comunque preannuncio un'interrogazione riguardo all'incidente verificatosi.

PRESIDENTE. Onorevole Evangelisti, la Presidenza provvederà ad intervenire presso il Governo.

Pag. 30

Discussione della mozione Ghizzoni ed altri n. 1-00229 concernente misure a favore del personale precario della scuola (ore 17,32).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Ghizzoni ed altri n. 1-00229 concernente misure a favore del personale precario della scuola (Vedi l'allegato A - Mozioni).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
Avverto, altresì, che sono state presentate le mozioni Leoluca Orlando ed altri n. 1-00232, Centemero, Goisis ed altri n. 1-00235, Capitanio Santolini ed altri n. 1-00237 e Lo Monte ed altri n. 1-00238 (Vedi l'allegato A - Mozioni) che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente. I relativi testi sono in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni presentate.
È iscritta a parlare l'onorevole Pes, che illustrerà anche la mozione Ghizzoni ed altri n. 1-00229, di cui è cofirmataria. Ne ha facoltà.

CATERINA PES. Signor Presidente, vorrei iniziare l'illustrazione della mozione a nostra firma ricordando e citando qualche dato. Nelle scuole del 2009-2010, nelle scuole italiane, avremo 42 mila insegnanti in meno e circa 16 mila unità in meno tra il personale ATA. In previsione, nei prossimi tre anni, ci sarà una riduzione ulteriore di posti di circa 130 mila unità. Abbiamo già avuto modo di affermare quanto stiamo per dire adesso, ma stiamo sicuramente assistendo al più grande licenziamento di massa della storia del nostro Paese e, soprattutto, dentro la scuola italiana.
Il tutto risale al decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133. A seguito di tale decreto-legge, in particolare dell'articolo 64, la scuola italiana ha subito un taglio atroce di circa otto miliardi di euro, su una spesa complessiva nell'amministrazione di dieci miliardi, a dimostrazione di quanto evidentemente poco si intenda investire nella scuola italiana.
Le conseguenze di questi tagli - ed il partito che rappresento, il Partito Democratico, lo ha più volte denunciato in Parlamento, e devo dire anche tra la gente - si sono dimostrate pesantissime sul piano della riduzione dei posti di lavoro e anche su quello, non meno importante, della qualità dell'offerta formativa. Mentre l'Europa ci chiede di stare al passo con i risultati della media OCSE e di investire sulle politiche della conoscenza, perché questo stanno facendo i Paesi occidentali, il Governo italiano opera invece una scelta incomprensibile per il resto di tutte le politiche culturali dell'Occidente.
Ricorriamo ad alcuni esempi. Nel corrente anno scolastico nelle scuole italiane abbiamo un numero di iscritti superiore di 70 mila unità rispetto all'anno scorso, il che significa che abbiamo 70 mila bambini in più iscritti nelle scuole. Abbiamo però 42 mila docenti in meno - quindi più iscritti e meno insegnanti - e 16 mila lavoratori in meno appartenenti all'amministrazione della scuola (personale ATA). Abbiamo cattedre scoperte che vengono completate dagli insegnanti di ruolo, il che significa che gli insegnanti che hanno due o tre ore a disposizione adesso vengono spalmati nelle singole sezioni allo scopo di completare le diciotto ore settimanali, con grave danno della continuità didattica delle singole discipline.
Sono stati previsti più alunni per classe, le direttive dicono intorno ai 30-33 alunni, con importanti conseguenze sulla qualità del processo di insegnamento e apprendimento, perché è evidente che ciò che viene a mancare è proprio l'individualizzazione dell'insegnamento, peraltro così tanto consigliata dai sacri testi della pedagogia. Pag. 31
Vengono accorpate più classi di concorso, il che significa che spesso e volentieri insegnanti perdenti posto di alcune materie affini si ritrovano ad assumere il ruolo in una materia accorpata con la loro, ma rispetto alla quale a suo tempo non hanno ottenuto i requisiti necessari. Quindi meno scuole, perché queste vengono chiuse e molte vengono accorpate, e meno soldi alle scuole.
Il Governo, in altre parole, con questo provvedimento ha disatteso quello che era il piano previsto dal Governo Prodi con la legge finanziaria del 2007, e cioè la previsione dell'assunzione, in tre anni, di 150 mila insegnanti e di 130 mila lavoratori ATA. Invece, di questi lavoratori nell'anno in corso ne sono stati assunti solo 16 mila (ottomila tra i docenti e altrettanti tra il personale ATA).
Ora è evidente che quello che si è creato è un gravissimo problema sociale. Come ho detto prima, ci troviamo di fronte al più grande licenziamento nella storia del nostro Paese. Tuttavia, questa politica dei tagli ha determinato anche delle gravissime conseguenze - alcune delle quali già citate - sulla qualità dell'offerta formativa. Lo abbiamo già detto tante volte in Aula, signor Presidente, e ci sentiamo di ripeterlo ancora a voce alta qui in Aula, davanti a tutti voi e all'intero Paese: risparmiare su formazione e cultura significa fare, comunque, una scelta di margine, significa non investire sul futuro del nostro Paese e delle nuove generazioni, non investire sulla civiltà di un popolo e condannarsi, comunque, all'emarginazione sociale e civile.
Facciamo solo alcuni esempi: la massiccia riduzione del personale (ricordiamo: 142 mila, più altri 16 mila tra il personale ATA) renderà difficile, se non impossibile, soddisfare tutte le richieste di attivazione delle sezioni delle scuole per l'infanzia, con buona pace di chi invece aveva promesso che questo sarebbe accaduto. Nella scuola primaria molte richieste di tempo pieno non verranno accolte, perché mancherà il personale. Ricordate che il tempo pieno non va confuso con il tempo scuola di 40 ore, perché nel tempo scuola di 40 ora vengono utilizzati, in sostanza, anche coloro che perdono il posto, ma ciò che viene a mancare del tempo pieno è l'elemento fondante, vale a dire la condivisione della responsabilità e la compresenza tra gli insegnanti. Non è vero che è stato potenziato il tempo pieno. Al contrario, è stato reintrodotto il tempo scuola. Ma sappiamo tutti che il tempo della crescita dei nostri ragazzi, il tempo della scuola oggi non può che essere il tempo pieno, ma questo verrà messo da parte.
La riduzione delle compresenze determinerà anche notevoli conseguenze sul piano della continuità didattica e, dunque, della potenzialità di crescita e di sviluppo cognitivo dei nostri bambini. Per esempio, nella scuola media verranno ridimensionate le ore di materie letterarie e di materie tecnologiche. Naturalmente, tutto questo avrà delle conseguenze importanti sul piano delle conoscenze. A causa della riduzione del personale, per esempio, non potrà essere garantito il diritto degli alunni che non si avvalgono dell'insegnamento della religione cattolica di poter usufruire di un diritto fondamentale che è rappresentato dalle materie e dalle attività formative alternative.
Nella scuola primaria sono stati aboliti 12 mila posti di insegnanti specializzati nell'insegnamento della lingua inglese. Al posto dell'inglese potenziato, così tanto pubblicizzato dal Ministro Gelmini, ci troviamo di fronte ad un'infarinatura per chi non potrà mandare i propri figli nelle scuole private, perché nella scuola pubblica ad insegnare l'inglese, da questo momento in poi, saranno i maestri unici o prevalenti che avranno frequentato soltanto il corso di 150 ore.
I corsi per gli adulti subiranno un drastico ridimensionamento (anche questo era un fiore all'occhiello della nostra istruzione) perché verranno tagliati, in questo anno, millecinquecento posti. Per l'edilizia scolastica non sono stati ripristinati i 25 milioni stanziati dal Governo Prodi e anzi l'aumento degli alunni per classe renderà addirittura più difficile garantire norme di Pag. 32sicurezza che costituiscono la base di un Paese civile. Questi sono solo alcuni esempi.
A fronte di tutto ciò recentemente il Governo ha varato un decreto interministeriale sugli organici, il cosiddetto «decreto salva precari».
Pensiamo che, nell'incapacità di risolvere il grave problema sociale venutosi a creare con le scelte di questo Governo, in realtà questo decreto-legge non riesca a salvaguardare né posti di lavoro, né tanto meno la risorsa docente presente nelle nostre scuole.
Inoltre, la scelta del Governo di accordarsi con le singole regioni affinché integrino con risorse proprie le indennità di disoccupazione previste è frutto di una politica di tagli scellerata. Altro non è che un tentativo di scaricare sulle regioni, e quindi sui territori, il costo sociale di questa scelta e la responsabilità (aggiungo) dell'aumento della disoccupazione.
Il Governo ha in realtà la piena responsabilità di quanto sta accadendo. Ricordiamo che in un sistema di istruzione nazionale le risorse delle regioni devono essere aggiuntive e mai sostitutive. Dietro alla porta, infatti, si palesa una chiara e pericolosissima discriminazione tra differenti possibilità economiche dei singoli territori e delle singole regioni e pari diritto allo studio che, invece, deve essere per Costituzione garantito a tutti i cittadini.
Queste sono le premesse che ci hanno spinto a presentare questa mozione. La mozione presentata dal Partito Democratico oggi in esame vuole impegnare il Governo a predisporre un piano straordinario con risorse aggiuntive che abolisca i tagli previsti dall'articolo 64 del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, e all'immissione in ruolo per docenti e personale ATA così come previsto dalla legge finanziaria del 2007 del Governo Prodi, vale a dire 150 mila docenti e 133 mila lavoratori ATA nei prossimi tre anni.
Chiediamo di introdurre un'indennità di disoccupazione per due anni pari al 60 per cento per il primo anno e al 50 per cento per l'anno successivo ai lavoratori precari che hanno lavorato per almeno centottanta giorni nell'anno scolastico 2008-2009. Chiediamo di incrementare gli organici del personale ATA, il cui numero ridotto rende veramente impossibile l'apertura di molti plessi e scuole, impedendo a numerose istituzioni scolastiche di garantire la normale attività didattica e amministrativa, perché mancano letteralmente gli assistenti (come i bidelli ed il personale di segreteria) per cui le scuole non possono aprire, e questo non accade in un Paese civile.
Chiediamo che negli eventuali accordi regionali per il precariato vengano mantenuti criteri di intervento e di applicazione unitari, cioè nazionali, e che con la massima urgenza venga discusso al tavolo della Conferenza unificata Stato-regioni uno schema unico (sottolineo unico) nazionale di convenzione che assicuri garanzie per tutto il personale precario della scuola, relativo soprattutto al reclutamento.
Chiediamo di fare in modo che gli interventi a sostegno del precariato rispondano tutti (si tratta degli interventi che abbiamo citato) all'esigenza di innalzare la qualità dell'offerta formativa del nostro Paese; a favorire l'innovazione didattica e l'aggiornamento degli insegnanti; a ripristinare il tempo scuola e l'insegnamento individuale; a garantire gli insegnamenti alternativi all'ora di religione; a contrastare la dispersione scolastica; a fare sì che gli accordi Stato-regioni siano indirizzati a qualificare l'offerta formativa territoriale e a garantire continuità didattica ed autonomia alle scuole nel rispetto delle norme nazionali.
Siamo naturalmente tutti consapevoli del fatto che il periodo critico che il nostro Paese sta attraversando, così come il resto del mondo occidentale, ci porti anche a dover fare delle scelte di razionalizzazione dell'offerta formativa. Tuttavia, parlare di razionalizzazione non può voler dire mai in assoluto parlare di distruzione della scuola e di tutto quel sistema di sapere che va certamente riformato, che certamente va ripensato in chiave di modernità, ma Pag. 33che non può assolutamente essere distrutto in questo modo, lasciando sulla strada migliaia e migliaia di lavoratori.
Si tratta di interventi urgenti. Ora non possiamo più tirarci indietro: ce lo sta chiedendo il Paese.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Leoluca Orlando, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00232. Ne ha facoltà.

LEOLUCA ORLANDO. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, vorrei iniziare dicendo che forse la gravità della situazione della scuola avrebbe richiesto la presenza del Ministro o di un rappresentante del Ministero competente. Infatti, Italia dei Valori ha ritenuto opportuno presentare un testo di mozione alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica per richiamare l'attenzione del Governo e dell'opinione pubblica sulla situazione della scuola pubblica oggi nel nostro Paese.
Vi è intanto uno scarto - lo voglio dire subito - tra i diritti costituzionali, quali sono previsti dalla nostra Carta costituzionale e i comportamenti e gli atti del Governo. C'è uno scarto cioè tra il diritto al lavoro, il diritto all'istruzione e al «diritto dei diritti» che è quello di libertà - così fortemente collegato alla conoscenza - e i comportamenti e gli atti del Governo, che sembra disattendere e disattende concretamente tutti e tre i diritti con un colpo solo.
Vi è anche uno scarto - lo voglio dire con molta chiarezza - tra le affermazioni del Ministro e i comportamenti e gli atti dei rappresentanti delle regioni. Il Ministro, ancora questa mattina, ha dichiarato che la sinistra odia il Ministro Gelmini. Vorrei però ricordare che oggi pomeriggio tutti i rappresentanti delle regioni e tutti i governatori regionali, non soltanto di sinistra, si sono rifiutati di partecipare all'incontro con il Governo, perché in sede di disegno di legge finanziaria non ha adeguatamente affrontato il problema dei precari della scuola.
Questi scarti tra comportamenti e diritti, tra affermazioni e comportamenti, mi portano a dover richiamare gli atti e i fatti che stanno al centro di questa mozione e di questo momento. È già stato ricordato dalla collega che mi ha preceduto che siamo in presenza del più grande licenziamento di massa della storia della Repubblica in un colpo solo. Non c'è nessuna azienda italiana, compreso l'indotto della più grande, che dà lavoro a 130 mila persone nel nostro Paese. Si sta cancellando con un colpo solo una realtà occupazionale di 130 mila persone: solo quest'anno 42-43 mila insegnanti e circa 16 mila appartenenti al personale tecnico-amministrativo e gli altri a seguire.
Tutto ciò avviene con un provvedimento che cade in un momento di grandissima e gravissima crisi economica, momento nel quale bisognerebbe investire nella formazione, nell'istruzione se vogliamo dare a questo nostro Paese una prospettiva di crescita, al di là della contingenza. Tutto ciò avviene in aperta violazione anche di sentenze della Corte costituzionale. Voglio ricordare la sentenza della stessa Corte, n. 200 del 2009, che ha dichiarato la illegittimità costituzionale di chiusure e accorpamenti di strutture scolastiche senza un criterio e senza rispetto dei diritti.
Voglio anche ricordare come il criterio ispiratore di questo provvedimento (che mi sarà consentito essere del ministro «Germonti» o del ministro «Trelmini», perché in effetti la matrice è meramente contabile) sia di risparmiare e tagliare la spesa della scuola pubblica. È evidente che, se in una classe ci sono 40 alunni, anziché 22, la scuola pubblica costa meno. È evidente che 10 ore di insegnamento costano meno di 32. Ma la domanda che io pongo è: che scuola è una scuola con un numero di alunni per classe tale da impedire allo stesso docente di conoscere il nome e cognome dei propri studenti? Questa era una delle prerogative che nel passato faceva la differenza tra la scuola e l'università: un rapporto diretto e personale, che consentiva la conoscenza dei processi formativi individuali.
Stiamo cioè sostanzialmente assistendo ad una mera operazione contabile che ha Pag. 34degli effetti. Debbo dire con molta franchezza che colpisce la circostanza che questo Governo non fa mai riferimento alla scuola privata. Mai. Ma l'operazione è molto semplice: se ammazzi la scuola pubblica, non resta altro che la scuola privata.
Avremo la formazione e l'istruzione, avremo gli insegnanti di sostegno, avremo il tempo prolungato, avremo la probabilità dei docenti per quelli che sono figli di coloro che hanno; coloro che non hanno dovranno rassegnarsi ad una scuola pubblica dequalificata e non sufficientemente sostenuta. L'offerta formativa e la qualità della stessa viene fortemente compromessa e le esperienze pedagogiche e didattiche più positive vengono lasciate fuori dalla scuola, fuori dalla classe, fuori dalla fruibilità per gli alunni del nostro Paese.
A fronte di questo abbiamo decine e decine di migliaia di laureati, di specializzati, di pluriabilitati e plurititolati che vivono la sofferenza, l'incertezza e la precarietà che è la condizione peggiore, il Presidente lo sa, per un docente: trovarsi in condizione di precarietà e incertezza dovendo provvedere alla trasmissione non soltanto di nozioni ma anche di un progetto di vita, di un sapere, di elementi che vanno al di là della semplice valutazione nozionistica. Ed è per questo che noi critichiamo con molta forza la soluzione di ripiego, con contratti di disponibilità che sostanzialmente vanno a costruire insegnanti di «serie A» e insegnanti di «serie B»; poi fra un anno si dirà agli insegnanti di «serie B» che non fanno parte del mondo della scuola, di quello vero, e che pertanto dovranno andare in mobilità con tutti gli altri.
Le richieste che noi formuliamo con molta forza sono di ritirare i provvedimenti approvati. Questo testo non è emendabile perché è la filosofia di partenza che non è accettabile. Chiediamo di porre in essere tutte le iniziative necessarie perché i precari possano avere quella prospettiva di stabilità che era già indicata nella finanziaria del Governo Prodi con un processo che questo Governo ha interrotto bruscamente, trasformando persone che avevano una prospettiva di futuro in persone senza futuro, condannate a vivere di eterno presente, alla giornata nella migliore delle ipotesi.
È per questo che noi diciamo con molta forza che bisogna rivedere il rapporto tra docenti e alunni, bisogna rivedere il rapporto tra scuola e ore di insegnamento, bisogna sostanzialmente affrontare i temi che riguardano i numeri, avendo però ben presenti quali sono i diritti che devono essere garantiti: i diritti all'istruzione, alla formazione e il diritto alla libertà, il diritto dei diritti.
Un richiamo andrebbe messo ad apertura e a chiusura di questa mozione: l'attenzione per gli alunni portatori di handicap. L'assoluto disinteresse verso gli alunni portatori di handicap porta sostanzialmente a considerare, come peraltro si fa, tanti altri meno fortunati - penso in questo momento alla condizione degli immigrati nella prospettiva di questo Governo - in una sorta di condizione di «serie B» e di «serie C», aggravando ulteriormente condizioni di disagio e di disparità di trattamento.
In tutto questo c'è una profonda incultura ed è grave che essa si manifesti proprio con riferimento al tema della scuola. Questo è il vero problema, perché è l'approccio di fondo che è inaccettabile. Non si tratta di aggiustare una virgola, un comma o un numero, si tratta di cambiare nuovamente la prospettiva, tornando a considerare la scuola pubblica uno dei pilastri fondativi del presente e del futuro del nostro Paese. Dietro questa incultura c'è la sofferenza di tante e tante persone, quella sofferenza che in giro per l'Italia noi dell'Italia dei Valori abbiamo registrato partecipando alle manifestazioni, alle iniziative, alle proteste e alle occupazioni disperate dei provveditorati da parte degli insegnanti e del personale tecnico e amministrativo. Di questa sofferenza noi daremo voce in quest'Aula attraverso la parola del presidente del partito, Antonio Di Pietro (Applausi dei deputati dei gruppi Italia dei Valori e Partito Democratico).

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PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Ceccacci Rubino, che illustrerà la mozione Centemero, Goisis ed altri n. 1-00235, di cui è cofirmataria. Ne ha facoltà

FIORELLA CECCACCI RUBINO. Signor Presidente, il problema del precariato nella scuola ha origini lontane e le leggi che si sono succedute nel tempo non sono sicuramente riuscite a risolvere il problema; anzi, tali leggi hanno generato aspettative che il sistema non era in grado di soddisfare e addirittura hanno prodotto un incremento del numero del personale con titolo per l'immissione in ruolo.
In particolare, le cause principali dell'esplosione del precariato sono state l'istituzione delle graduatorie permanenti, la mancanza di programmazione per l'ingresso nelle graduatorie e le misure di sanatoria adottate in conseguenza alla considerazione che taluni Governi di centrosinistra avevano della scuola come ammortizzatore sociale.
Per quanto riguarda le graduatorie permanenti, il Governo di centrosinistra, con la legge n. 124 del 1999, ha cristallizzato il sistema del doppio canale di reclutamento, nato dieci anni prima, prevedendo la copertura del 50 per cento dei posti disponibili mediante concorso ordinario e per la restante metà attingendo dalle graduatorie permanenti risultanti dalla trasformazione operata dalla suddetta legge delle graduatorie dei precedenti concorsi per soli titoli e delle graduatorie provinciali per il conferimento delle supplenze.
Con la legge n. 124 del 1999 è stata creata, in pratica, una pericolosissima connessione tra graduatorie destinate esclusivamente alle immissioni in ruolo, quali erano le graduatorie dei concorsi per soli titoli, con le graduatorie che fino a quell'anno erano state compilate con cadenza generalmente biennale ed erano finalizzate esclusivamente alla copertura delle supplenze. La graduatoria unica istituita ai sensi della legge n. 124 del 1999 ha, in pratica, allargato a dismisura la platea del personale aspirante alla stabilizzazione mediante nomina di ruolo, dal momento che le precedenti graduatorie dei concorsi per soli titoli (denominate tradizionalmente «doppio canale») prevedevano l'inclusione del solo personale che avesse effettivamente svolto servizio per almeno un biennio e fosse munito ovviamente del prescritto titolo di abilitazione.
Sempre con la medesima legge venivano istituite le scuole di specializzazione per l'insegnamento nella scuola secondaria - le cosiddette SISS - che avrebbero dovuto operare in regime di programmazione del fabbisogno. Le spinte provenienti dalla base per l'allargamento dei posti delle SISS ha, di fatto, provocato un notevole superamento del fabbisogno realmente prevedibile in base alle situazioni di contesto, considerando, quindi, non sono le vacanze di posti o le presumibili vacanze future di posti, ma anche l'esistenza, spesso massiccia, di forti contingenti di personale abilitato già esistente.
Le politiche decennali basate sul concetto di scuola come ammortizzatore sociale hanno favorito anche l'allargamento a dismisura del numero del personale nominato per supplenze nella scuola non fornito del titolo di abilitazione. Periodicamente dagli anni Settanta, mossi dalla pressione esercitata dal numero crescente di tale personale non abilitato, i Governi di centrosinistra hanno istituito i cosiddetti corsi abilitanti speciali, i quali hanno fatto lievitare il numero del personale con aspirazione al posto fisso, fino al paradosso di consentire l'iscrizione con riserva a coloro che erano iscritti al primo anno di percorsi universitari di scienza della formazione.
Come risultato delle suddette scellerate politiche della scuola, l'attuale Governo all'atto del suo insediamento ha ereditato circa 270 mila precari inseriti nelle graduatorie ad esaurimento di tutti i gradi di scuola. Come primo intervento, in un'ottica di razionalizzazione dell'intero sistema scuola, l'attuale Governo ha adottato l'articolo 64 della legge n. 133 del 2008, ha previsto la predisposizione di un piano per la realizzazione di una serie di interventi finalizzati ad una migliore organizzazione del servizio - di qui la necessità Pag. 36di rivedere i criteri per la formazione delle classi, la ridefinizione dei curricoli di studio, la razionalizzazione e l'accorpamento delle classi di concorso ed altro - e, quindi, a consentire una migliore utilizzazione delle risorse umane e la conseguente riduzione del fabbisogno di personale, e dunque della relativa spesa. Il succitato articolo 64 consente di recuperare il 30 per cento delle risorse risparmiate per investire sulla qualità della scuola e per cominciare a portare gli stipendi degli insegnanti a un livello consono alla loro professionalità e al loro ruolo.
L'opera di razionalizzazione introdotta con l'articolo 64 è, peraltro, sostenuta dagli inviti di tutte le organizzazioni internazionali e confermata anche dal recente rapporto OCSE che, anzi, per la prima volta, approva le iniziative intraprese da questo Governo.
L'articolo 64 ha anche dovuto muovere dai fallimenti delle precedenti azioni di razionalizzazione tentate dal Governo di centrosinistra; in particolare, la norma della legge finanziaria per il 2007, articolo 1, comma 605, che aveva previsto un taglio di 44 mila posti nella scuola ad invarianza di legislazione vigente, cosa che si dimostrò assolutamente impossibile perché l'azione di contenimento e di razionalizzazione non poteva avere successo se non accompagnata da misure di riforma del sistema, sia in materia di ordinamenti sia di costituzione degli organici.
Del resto, le proporzioni dei tagli derivanti dall'articolo 64 sono state, nella concreta applicazione, mitigate dal turnover. Infatti, per il personale docente, tenuto conto dei tagli da effettuare nell'anno scolastico 2009-2010, dei pensionamenti richiesti e del soprannumero dei docenti di ruolo derivanti dalla contrazione dei posti, si prevede che i docenti cui non verrà conferita una supplenza annuale o fino al 30 giugno per l'anno scolastico 2009-2010 saranno circa 16 mila.
Per il personale ATA i circa 15 mila posti soppressi sono stati in buona parte compensati da circa 8 mila pensionamenti. Poiché si tratta di trend consolidati, è prevedibile che per gli anni successivi il numero dei precari senza contratto a tempo determinato andrà sensibilmente a diminuire, poiché correlato all'entità delle riduzioni dei posti, che sono ogni anno in misura inferiore al precedente, e al turnover, che si prevede, invece, quanto meno costante rispetto ai valori dell'ultimo anno.
Contestualmente, il Governo ha avviato l'iter di definizione del regolamento per la formazione iniziale dei docenti, con l'obiettivo di ridurne la durata, qualificarne il percorso in relazione ad una più forte attività di tirocinio attivo e, soprattutto, contrastare all'origine il fenomeno del precariato attraverso la programmazione dei posti.
Da ultimo, per dare una risposta immediata alla situazione attuale, il Governo ha approvato una disposizione normativa con la quale, tenendo conto del carattere transitorio, limitato all'anno scolastico 2009-2010, delle situazioni di mancata conferma della supplenza annuale, attribuisce al personale docente ed ATA la priorità assoluta nel conferimento di tutte le supplenze, allo stato limitata alle sole 20 scuole per le quali era stata presentata la domanda.
La predetta disposizione attribuisce, altresì, al suddetto personale il punteggio per l'intero anno di servizio nelle graduatorie ad esaurimento nelle quali risulta inserito, assicurando, in tal modo, la continuità nella valutazione del servizio. La citata disposizione consente, altresì, a tale personale di poter usufruire per i periodi di non occupazione dell'indennità di disoccupazione erogata dall'INPS con una procedura semplificata, che esonera il personale interessato dall'onere di produrre specifica domanda ogni volta che ne ricorrano i presupposti e di dimostrare il diritto alla corresponsione della suddetta indennità.
Tali misure adottate dal Governo hanno evitato tensioni sociali legate all'attuale crisi occupazionale, garantendo un clima più sereno nel sistema scolastico. L'individuazione di una consistenza funzionale degli organici dovrà prevedere nel prossimo futuro una programmazione regionale, Pag. 37basata sull'assunzione di personale docente sui posti effettivamente disponibili nell'ambito regionale o provinciale.
In conclusione, questa mozione presentata dal mio gruppo parlamentare, il Popolo della Libertà, impegna il Governo: a completare rapidamente l'iter di adozione del regolamento sulla formazione iniziale dei docenti, al fine di pianificare, attraverso la programmazione, il fabbisogno di docenti e, quindi, di evitare l'insorgere di nuovo precariato; a rendere immediatamente operative le misure di urgenza adottate per risolvere la situazione transitoria dei precari che per l'anno scolastico 2009-2010 non si vedano rinnovare il contratto annuale o fino al termine delle lezioni; a definire un piano di immissione in ruolo che, in relazione al blocco del nuovo precariato, esaurisca progressivamente le graduatorie, anche al fine di avviare un sistema di reclutamento regionale che privilegi il merito e la continuità didattica (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Capitanio Santolini, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00237. Ne ha facoltà.

LUISA CAPITANIO SANTOLINI. Signor Presidente, anche noi ci uniamo ai colleghi degli altri partiti per presentare una mozione che riguarda misure a favore del personale precario della scuola. Non vi sono dubbi che la scuola rappresenta uno degli aspetti più importanti, direi più qualificanti dell'attività non solo del Governo, ma del Parlamento e dell'intera nazione, la scuola che rappresenta il futuro di una nazione e che vede coinvolti milioni di persone se si considerano non solo i docenti, ma anche gli studenti e le famiglie. Si tratta, quindi, di un comparto decisivo, che giustamente richiama l'attenzione del Parlamento e di coloro che si occupano di tali problemi.
Siamo all'inizio dell'anno scolastico, e sappiamo bene quanti problemi si stiano accumulando intorno alla scuola: si annunciano manifestazioni, vi sono disagi diffusi; è un tema che va guardato con estrema attenzione. Vorremmo quindi che davvero, al di là delle prese di posizione aprioristiche e al di là di una propaganda più o meno corretta, si discutesse in maniera serena e molto costruttiva sui problemi della scuola, che sono problemi veri.
Ha ragione la collega quando dice che alcuni di questi problemi vengono da lontano. Non è di oggi, solamente di oggi il problema del precariato: viene da decisioni antiche e molto discutibili, ed effettivamente non sempre condivisibili. Tuttavia, rimane il fatto che il problema si pone, rimane il fatto che vi sono state delle correzioni, delle modifiche che il Governo ha operato l'anno scorso, a partire dalla legge n. 133 del 2008 in poi, con aggiustamenti in corso d'opera, annunci, cambiamenti. Vi sono state delle novità, alcune delle quali le abbiamo anche approvate e trovate positive, e quindi quanto è avvenuto non è, a nostro avviso, tutto assolutamente sbagliato; ma rimane il fatto che la scuola ha subito degli ennesimi scossoni, ennesime variazioni in corso d'opera, un treno in corsa che si trova continuamente a cambiare direzione e prospettive.
Quello che ci è sembrato di dover sottolineare, anche in passato, è la mancanza di un disegno strategico coordinato del sistema educativo, e quindi una mancanza di sviluppo organico, coordinato, logico di una struttura che ad ogni mutamento di Governo subisce purtroppo dei cambiamenti con riforme, non sempre condivise. C'è quindi - non vi sono dubbi - da registrare un disorientamento del corpo docente, un allarme da parte delle famiglie e degli studenti che non sanno esattamente che cosa succederà, anche in vista delle riforme che devono ancora avvenire, che riguardano non solo il reclutamento e la formazione degli insegnanti, ma la questione relativa ai licei e agli istituti tecnici e professionali. Siamo solo all'inizio di una serie di riforme che non possono non destare attenzione.
Certamente i tagli alla scuola non sono stati salutari. Questo lo abbiamo sempre detto, e va riconosciuto che in situazione Pag. 38di crisi diffusa in tutta Europa, in tutto il mondo vi sono alcuni Paesi, come la Germania, che non hanno tagliato sulla ricerca e sull'istruzione: hanno fatto sacrifici e rinunce e tagli in molti altri settori, ma su quello della scuola non hanno operato i tagli che sono avvenuti qui in Italia. E dunque è chiaro che vi sono stati degli effetti, anche sul personale della scuola, sul funzionamento dell'amministrazione degli istituti, e sugli esiti che questo inizio di anno rende poi evidenti.
È anche chiaro che tutto questo crea, come dicevo, preoccupazione e il taglio di 130 mila unità tra personale docente e personale ATA non può che destarne di ulteriori.
Si registrano effettivamente delle difficoltà, tra cui vorrei ricordare quelle relative ai risparmi ottenuti con l'introduzione del maestro unico e quindi con l'eliminazione delle compresenze nella scuola elementare, che ha permesso di risparmiare cifre non piccole. Vi è stato poi anche un aumento degli alunni per classe e soprattutto l'obbligo del completamento a diciotto ore di lezione per gli insegnanti nelle scuole medie superiori e, quindi, l'eliminazione delle ore a disposizione.
Proprio in questi giorni ho visitato alcune scuole e i presidi si lamentavano del fatto che, non avendo più ore a disposizione, se vi sono nelle scuole problemi di assenze non previste essi non sanno come coprire le ore dei colleghi non presenti. Questa è certamente una difficoltà e credo che il sottosegretario Pizza, che è qui presente, ne sia consapevole, perché non si tratta di una novità; bisogna prestare attenzione a questi disagi che sono presenti nelle scuole, perché si rischia di avere delle classi - come suol dirsi in gergo - scoperte e la responsabilità rimane della scuola e, quindi, del direttore e del responsabile della stessa.
Vi sono anche aumenti degli orari di lavoro del personale docente (anche questo mi è stato riferito proprio in questi giorni nelle scuole che ho visitato), che è un aumento praticamente obbligatorio: dovendo completare le «famose» diciotto ore e dovendo razionalizzare l'impiego degli insegnanti, alla fine gli straordinari sono praticamente imposti e, anche se è previsto un aumento di stipendio relativo, ciò crea delle preoccupazioni. Sono stati operati, come è noto, tagli agli organici e da qui nasce la preoccupazione per tutti coloro che si ritrovano senza un posto di lavoro, con disagi per le loro famiglie e per la loro situazione personale.
Le nomine a tempo indeterminato, così come sono state fatte, di 8 mila docenti e di 8 mila unità del personale ATA sono inferiori - e questo lo sappiamo dai dati forniti dal Ministero - al fabbisogno di personale anche dopo la decurtazione degli organici, mentre la conferma - anche questa è stata resa nota dal Ministro - di 26 mila docenti con contratto a tempo determinato è certamente inferiore rispetto alla cifra dei docenti che hanno sottoscritto questo contratto l'anno scorso (che era di ben 131 mila docenti).
Posso anche immaginare che siano cifre molto grandi, che effettivamente la quantità dei docenti presenti nella scuola doveva essere in qualche modo razionalizzata e che dovevano essere previsti risparmi e tagli: tuttavia, 26 mila docenti rispetto a 131 mila rappresentano una decurtazione notevolissima che probabilmente poteva essere ridotta.
Anche le cosiddette graduatorie di disponibilità (previste dal cosiddetto decreto «salva-precari») non risolvono questo problema e non danno una risposta accettabile e dignitosa per coloro che vivono la preoccupazione di ciò che li aspetta per quest'anno scolastico.
È una situazione che certamente ci preoccupa, ma, ripeto per l'ennesima volta quello che ho affermato anche in passato, la scuola ha bisogno anche di altro, non solamente di tagli e di razionalizzazione del personale. Ci aspettiamo una vera scuola dell'autonomia, cosa che adesso, dopo tanti anni dalla legge che istituiva l'autonomia delle scuole, non è ancora in essere; le scuole non sono autonome, e non lo sono per una serie di note ragioni che non possiamo ricordare in questa sede. Pag. 39
Non è possibile che il reclutamento degli insegnanti avvenga così com'è. Non è possibile che non vi sia ancora una carriera per gli insegnanti, un riconoscimento del loro lavoro, se lavoro positivo vi è stato. Non è possibile che non vi sia alcuna possibilità per i docenti di vedere premiato il loro lavoro. Anche i famosi «fannulloni», come li definisce il Ministro Brunetta (che magari esistono anche nel comparto scuola, non voglio escluderlo) dovrebbero vedere presa una posizione nei loro confronti, proprio per incentivarli ed aiutarli ad uscire da questo stato dormiente di insegnanti che non meritano il ruolo di docenti ed educatori.
Allora, a nostro avviso, una mancata carriera degli insegnanti è una delle gravi ragioni per cui la scuola versa in queste situazioni, e non vale una sorta di silenzioso accordo non scritto da nessuna parte tra l'amministrazione dello Stato e docenti per cui lo Stato paga poco e il docente fa poco; lo Stato non gli riconosce il merito di una professione di altissimo livello e di grande valore, allora egli si sente autorizzato a non fare nulla di più dello stretto necessario, anzi forse meno dell'indispensabile, dal momento che i docenti in Italia sono tra i meno pagati di tutta Europa. Questa sorta di silenzioso patto va assolutamente stigmatizzato. Dobbiamo, invece, riconoscere ai docenti la dignità di una grande professionalità e di un grande servizio rivolto al Paese.
Vogliamo una scuola libera che non sia costituita solamente dal servizio pubblico erogato dalle scuole statali, ma anche da un servizio pubblico erogato da soggetti diversi, perché questo garantirà alla scuola una serietà e una valorizzazione delle diverse competenze, dei diversi carismi, delle diverse capacità che una scuola statale assolutamente rigida, dalle Alpi alla Sicilia, non può garantire.
Ho affermato anche in altre occasioni che, purtroppo, con questo andazzo la scuola italiana rischia di essere una scuola classista, perché presenta una stigma da cui non si possono salvare i ragazzi che nascono in ambienti degradati che non garantiscono un futuro dignitoso e che lì sono condannati a rimanere perché la scuola non garantisce la famosa mobilità sociale. È una scuola che non garantisce a chi merita di salire nella scala sociale di avere riconosciuti i meriti che ha. Si tratta, invece, di una scuola che condanna questi ragazzi a rimanere in scuole assolutamente precarie da tutti i punti di vista e che non garantisce loro il futuro che meriterebbero. Questi sono i veri problemi della scuola.
In ultimo, ma non ultimo, vi è il problema della libertà di scelta educativa delle famiglie. Non se ne parla, non è assolutamente neanche vagamente affrontato il problema. Non possiamo continuamente dilaniarci su questioni, che sono certamente importanti, dimenticandoci però tutti gli aspetti che meritano attenzione per garantire veramente alla scuola un respiro di grande prospettiva, che metta i nostre ragazzi al passo con quanto avviene in Europa.
Allora chiediamo al Governo di rivedere la politica di spesa nel settore strategico della scuola. Sappiamo che il Governo da questo punto di vista non ascolta ed è particolarmente chiuso a qualsiasi prospettiva di spesa, però ci sembra doveroso che, almeno nel comparto scuola, ci sia una sorta di sospensione di queste decisioni e che quindi siano introdotti dei correttivi significativi alle norme vigenti in base proprio a quello che sta avvenendo nei contenimenti di spesa.
Chiediamo che vi siano delle proposte serie e sensate sul fronte dei precari, in merito a tutti questi posti che rischiano di non essere coperti, con un effettivo grande disagio nella scuola. Chiediamo altresì che si provveda anche al personale ATA. Lo ripeto, con le cifre dell'anno scorso e di quest'anno vi è un divario talmente grande che, probabilmente, si potrebbe agire in una maniera più corretta, più giusta e più consona alle esigenze della scuola e delle famiglie.
So che il sottosegretario Pizza è attento a questi temi, ma non basta la sua attenzione. Noi vorremmo davvero che il Ministro Gelmini ci dedicasse attenzione e ci rispondesse non con superficialità e con Pag. 40una sorta di gentile attenzione, ma con la convinzione che su tale questione ci giochiamo un pezzo di futuro, e che ci desse delle garanzie sul fatto che le questioni che ho sollevato (l'autonomia e la carriera dei docenti, la libertà di scelta educativa, la carriera degli insegnanti) fossero inserite nell'agenda della scuola con tutto quello che questo comporta.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Di Pietro. Ne ha facoltà.

ANTONIO DI PIETRO. Signor Presidente, ho chiesto la parola non per dire ciò che pensa e chiede l'Italia dei Valori (l'ha detto prima di me l'onorevole Orlando) ma per leggere un accorato appello che una precaria, la professoressa Giovanna Nastasi di Catania, mi ha pregato di rivolgere al Governo. Mi ha pregato di rivolgerlo a lei, signor Ministro che non c'è, a lei che dovrebbe venire qui ad ascoltare, ma che sicuramente riceverà tante lettere accorate come quella di questa professoressa precaria di Catania, che scrive: io sono un'insegnante di lettere e so per esperienza che quello che attualmente sta capitando nella scuola per moltissime persone, per noi insegnanti, per il personale amministrativo e tecnico, per le famiglie, e per la società è una catastrofe; questa è la realtà, una catastrofe, un massacro che è cominciato e continuerà nel prossimo triennio per arrivare alla decurtazione di 87 mila docenti e 44 mila unità del personale amministrativo, oltre ad altro personale che la scuola perderà (20 mila insegnanti e 15 mila addetti al personale amministrativo).
Signor Ministro - insiste e scrive la signora Giovanna - si tratta del più grande licenziamento di massa operato dallo Stato, molto di più di quanto non sia successo con Alitalia e con la FIAT, e questo voi lo volete far passare come una riforma di rigore e di merito; ma lei sa, signor Ministro, che dietro ogni posto in meno c'è una famiglia, magari monoreddito, una donna separata, una donna disperata, una vedova, un mutuo da pagare, figli da mantenere e da far crescere? C'è chi è invecchiato da precario arrivando a 56 anni nell'attesa di una stabilizzazione che non c'è e non potrà avere perché a noi - dice la professoressa Nastasi - non ci riciclano certo in consigli di amministrazione o in poltroncine ad hoc riservate solamente a politici «trombati».
Sono parole che vengono dal cuore, signor Ministro che non c'è, e mi lasci allora continuare questo accorato appello. Scrive la professoressa Nastasi e con lei le 87 mila professoresse Nastasi: vi rendete conto che certe decisioni vanno a sconvolgere l'esistenza delle persone? In un Paese civile e democratico ogni giorno non ci può essere chi si incatena, chi minaccia di darsi fuoco, chi si barrica, chi si arrampica sui tetti, chi fa lo sciopero della fame, chi va in terapia, chi va in follia. Temo, signor Ministro, che questo sia solo l'inizio.
Giusto per essere concreti, è questo il dramma umano che noi insegnanti e noi mamme - scrive la professoressa Nastasi - sentiamo di farle sapere: trovarsi improvvisamente senza quello che stavi cercando di costruire per anni e anni e non sapere all'improvviso come provvedere alla tua sopravvivenza, a quella dei tuoi figli, alla tua famiglia. È un terremoto, signor Ministro, una catastrofe.
Certo so - scrive ancora nella sua lettera - quali sono le posizioni del Governo e del Ministro su noi precari: è una piaga ereditata dai precedenti Governi; la scuola non può essere un ammortizzatore sociale; non si può spendere il 97 per cento di risorse in stipendi. Ma, signor Ministro, noi non abbiamo ricevuto né stiamo ricevendo stipendi gratis. Noi abbiamo lavorato e stiamo lavorando spesso in luoghi disagiati. Abbiamo contribuito e contribuiamo a mandare avanti la scuola. Se la scuola deve produrre conoscenza, cultura, i soldi in cosa devono essere spesi se non per pagare chi fa questo lavoro? Non vi accorgete che l'ostilità che notiamo nei nostri confronti e nei confronti del personale non docente è frutto di una campagna di demolizione sul valore del lavoro intellettuale che non può essere misurato in una catena di montaggio comune? Pag. 41Dietro all'attività intellettuale c'è una persona che fa quello in cui crede, c'è la sua paura, la sua fragilità e la sua passione, la sua storia. Insomma, chi insegna porta progresso all'umanità. Non può essere considerato un fannullone, uno che non fa niente, uno che non lavora, non si può trattare la scuola come una catena di montaggio in cui per ragioni tecniche si taglia la cultura come dire si taglia la salute, come dire si taglia la vita.
Signor Ministro - la professoressa mi ha detto di riferirlo al signor Ministro e lo dica lei al signor Ministro che non c'è, signor sottosegretario - io sono tredici anni che faccio l'insegnante precaria: cosa ho fatto di male? Di quale colpa sono responsabile? Come cresco i miei figli? Piuttosto che ridurre o accorpare le scuole, queste dovrebbero rimanere aperte anche il pomeriggio per togliere i giovani dalla strada. Gli insegnanti dovrebbero lavorare in sinergia con gli enti territoriali per dare risposta al disagio crescente. La scenografia in questi anni è cambiata e quando tutto crollerà come si potrà porre rimedio se non con la scuola, con la cultura, con l'istruzione?
Abbiamo davanti a noi nelle nostre classi esempi dirompenti di un degrado sociale: droga, alcolismo, prostituzione, book, reality, successo facile sono le trappole in cui vediamo tutti i giorni cadere i nostri ragazzi, i nostri figli, i nostri allievi. Noi a scuola vorremmo, tutto il giorno, per tutto l'arco della giornata, in tanti portarvi rimedio, soprattutto nella scuola pubblica, una scuola tanto maltrattata, ma che questo ha fatto finora: dare a tutti un'opportunità. Addirittura ora volete eliminare il valore legale del titolo di studio! Così non c'è neanche più bisogno di studiare. Insomma il più forte, il più furbo va avanti e chi può insegnare a vivere va a morire.
La prego, signor Ministro, ci ripensi.
Si ricordi che la scuola privata, seppur importante, non può prendere i soldi pubblici senza attingere alle graduatorie permanenti. Si ricordi che non è giusto smantellare le graduatorie permanenti, in cui vi sono i sacrifici di una vita dei docenti. Si ricordi che non serve a nulla un nuovo sistema di reclutamento che non tenga conto delle graduatorie già esistenti. Si ricordi della scuola pubblica, prima ancora di quella privata. Si ricordi della scuola pubblica, democratica e per tutti. Faccia dire ai nostri studenti che è stato utile studiare, perché hanno potuto trovare un lavoro, perché si sono potuti costruire un futuro, perché possono sperare.
La dottoressa Nastasi, signor Ministro, conclude con queste parole: «Io voglio essere della partita, non voglio tirarmi indietro. Io voglio essere cittadino del mio Paese, voglio lavorare per me, per i miei figli, per il mio Paese, per la mia scuola, per la mia Italia. Signor Presidente del Consiglio, signor Ministro, non rubateci anche il diritto di vivere, anche il diritto di lavorare, anche il diritto di insegnare. Giovanna Nastasi, docente precaria di lettere, Catania» (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole De Torre. Ne ha facoltà.

MARIA LETIZIA DE TORRE. Signor Presidente, pochi conoscono il Quaderno bianco sulla scuola italiana 2007, un lavoro di alta validità scientifica, perché di alto valore erano i tecnici della scuola e dell'economia che lo hanno redatto durante il Governo Prodi. Purtroppo, non lo conosce neppure l'attuale Governo.
È questo un male italiano: chi arriva a governare cancella con un colpo di spugna quanto fatto prima, quasi fosse opera di nemici e non di un Governo che si è speso per il Paese. Sarebbe semplicemente conveniente e razionale tenere conto di quanto fatto precedentemente. Nessuno che subentri nel turno di lavoro - immaginiamo gli infermieri in ospedale o un capotreno dell'Eurostar - distrugge le informazioni che riceve dal turno precedente. Non occorre spiegarne le devastanti conseguenze. Eppure, è così che sta agendo questo Governo nei riguardi dei Governi precedenti, compresi quelli della propria parte. Non è che il Ministro Gelmini non guidi il treno della scuola, anzi, Pag. 42a suo modo, è un'alta velocità, ma procede a vista, perché ha resettato tutto.
Con questo intervento, vorrei fare un paragone tra quanto proponeva il Quaderno bianco e quanto sta facendo questo Governo. È una premessa superflua, ma forse necessaria, dire che la folla dei quasi 150 mila, 270 mila, 131 mila precari - secondo il Ministero - è una conseguenza di cattive politiche di un lungo periodo in cui si sono succeduti i Governi di destra e di sinistra. Quindi, forse, è saggio avere un pizzico di umiltà per affrontare questo argomento.
In breve, vorrei soffermarmi sulle azioni del Ministro Gelmini. Con la manovra finanziaria triennale si determina una riduzione di 8 miliardi di euro e di oltre 130 mila docenti, tecnici, amministrativi ed ausiliari in tre anni. Il Ministro, dopo la reiterata richiesta del Partito Democratico di attivare ammortizzatori sociali anche per i docenti, il 23 marzo 2009 fa un annuncio in conferenza stampa e poi, con le proteste dei precari ancora in corso, nella seduta del Consiglio dei ministri del recente 9 settembre propone che, limitatamente all'anno scolastico 2009-2010, le supplenze temporanee siano assegnate con precedenza assoluta al personale docente ed ATA già destinatario di supplenze annuali nel precedente anno scolastico. Ad essi verrà applicato il contratto di lavoro intermittente della cosiddetta legge Biagi, erogando un'indennità di disponibilità, come tanto si è detto sulla stampa in questi giorni. Vengono assunti, inoltre, 8 mila docenti (invece dei 50 mila previsti dal Governo Prodi) e 8 mila ATA.
Inoltre, il Ministro Brunetta propone - sempre durante una conferenza stampa - il pensionamento dopo 40 anni di anzianità contributiva, conteggiando, quindi, anche gli anni della laurea. Chiunque si trovi nella necessità di capire e di prendere decisioni, e vada - come indicato ancora nella conferenza stampa del 23 marzo - sul sito del Ministero dell'istruzione, constata, però, che ancora è buio pesto riguardo a tutti questi provvedimenti.
In breve, vediamo cosa prevedeva il Quaderno bianco. Si può sfogliarlo e risfogliarlo, ma non si trova alcuna proposta di drastici tagli ai docenti. Il Quaderno bianco prende atto della piaga del precariato, dato dalla già avvenuta trasformazione delle graduatorie permanenti degli insegnanti in graduatorie ad esaurimento, e del contemporaneo piano di assunzione a tempo indeterminato di 150 mila insegnanti precari, più gli ATA e i 3 mila dirigenti scolastici.
Ma, soprattutto, il Quaderno bianco apre uno scenario globale, nella consapevolezza dichiarata che tanti elementi concorrono al superamento del precariato: l'autonomia scolastica, il nuovo ruolo dello Stato per gli indirizzi generali e i livelli essenziali, la necessità di promuovere e rimotivare il sistema della scuola, i sistemi di valutazione, la centralità dei contenuti dell'insegnamento con l'indicazione per il curriculum, la programmazione del fabbisogno degli insegnanti e, infine, un piano articolato per il reclutamento, l'incentivazione, l'assegnazione alle scuole e la formazione in servizio. Come metodo, servono non tagli, non prescrizioni, non imposizioni da Roma, ma un prototipo, una sperimentazione monitorata in venti province per ottimizzare la spesa della scuola e il mantenimento di tutte le risorse risparmiate in loco, per il miglioramento della scuola di quella stessa provincia, la valutazione e l'allargamento del progetto, ulteriormente ottimizzato, a tutto il Paese.
Il Quaderno bianco poggiava - questo è molto importante - su un'intesa con i sindacati stipulata il 27 giugno 2007, che già prospettava «una strategia conseguente, stabile nel tempo, capace di dare certezza e motivazione ai docenti, agli studenti e alle famiglie».
Il Quaderno bianco, inoltre, esigeva un ampio e intenso dibattito con l'intero mondo della scuola, l'esame nella sede tecnica prevista dalla suddetta intesa e un confronto con il mondo della cultura e della comunicazione e con le rappresentanze degli interessi economici e sociali del territorio, Pag. 43come unica garanzia di azione di Governo che abbia reali, positivi e stabili risultati.
La differenza è evidentissima: assenza di una strategia (perlomeno, non ci è dato di conoscerla) e, al contrario, strategia complessiva ed esplicitata; dichiarazioni alla stampa prima di predisporre un provvedimento e, invece, ampio dibattito, prototipo, valutazione e allargamento del provvedimento al Paese; politica centralista del Ministro (con buona pace del federalismo) e, per contro, politiche a responsabilità diffusa, tagli e non tagli, colpevolizzazione della scuola e, d'altra parte, promozione della scuola, e si potrebbe continuare.
Certamente anche gli esiti non potranno che essere diversi. Forse nessun altro luogo di lavoro è refrattario a cambiamenti imposti dall'esterno e dall'alto quanto la scuola. Lo è perché è un luogo di cultura, perché i principali lavoratori sono, in fondo, liberi professionisti e lo è anche perché la scuola da troppi anni ha perso credibilità e soffre le bizzarrie dell'uno e dell'altro Ministro. Mai, o troppo poco, è stata messa al centro di un dibattito organico, vasto e proficuo. Mai si è pensato che, prima di tutto, occorre un patto di corresponsabilità educativa di tutto il Paese e di ogni comunità locale.
Le problematiche della scuola italiana sono vere, comprese quelle che riguardano i costi e i risultati e il Quaderno bianco li affronta molto prima di questo Governo e guarda in faccia la realtà in modo più coraggioso e molto, molto più documentato.
Il Quaderno bianco prospetta una gradualità e una correlazione delle azioni che rimane, ancora oggi, il maggior contributo che il Partito Democratico può offrire al Governo oggi in carica. Prevede, come primo atto, la programmazione del fabbisogno di insegnanti a breve, medio e lungo termine e, contemporaneamente, il potenziamento dell'autonomia scolastica, il decentramento e il confronto tra Stato, regioni, enti locali e istituti scolastici.
Lo Stato potrebbe individuare gli obiettivi per il rapporto tra insegnanti e studenti regione per regione, a diverse scadenze nel tempo, e predisporre le risorse necessarie, ma sono le regioni, gli enti locali e i dirigenti scolastici a dover decidere - in modo coordinato, certo, con lo Stato - le specifiche leve da adottare. Attraverso questa azione di programmazione e azioni regione per regione si può superare, così, la barocca e opaca distinzione tra organico di diritto e organico di fatto. Passare ad una programmazione pluriennale degli organici, con l'organico funzionale come obiettivo finale, mettendo in conto, ovviamente, forme di flessibilità da attivare nel caso in cui si manifesti una sovrastima del fabbisogno o una depressione delle domande.
Una simulazione aveva dimostrato come queste azioni da sole avrebbero portato il rapporto insegnanti su cento studenti dall'11,5 del 2007 al 10,1, che è un valore appena superiore all'attuale media OCSE. Tale risultato sarebbe stato raggiunto a passi successivi e condivisi, in parte significativa nei primi cinque anni e pienamente nel decimo anno.
La stessa proiezione dimostrava che con queste azioni, pur assumendo 150 mila precari e conteggiando tutti i prepensionamenti, il flusso di nuovi docenti sarebbe stato compreso tra 100 e 140 mila unità entro il 2016-2017. Questa previsione rende quindi credibile e praticabile la scelta di nuove modalità di reclutamento - anche la collega Ceccacci Rubino le ha citate - che abbandoni definitivamente le logiche del precariato e delle graduatorie sia permanenti che ad esaurimento. Ma tutte queste azioni, la formazione iniziale al reclutamento, l'incentivazione, l'assegnazione degli insegnanti alle scuole la formazione in servizio, debbono essere tra loro correlate e condivise con il Parlamento.
È poi di fondamentale importanza e urgenza investire in sistemi di valutazione interni ed esterni alla scuola, una volta che siano messi a pieno regime e non prima. Tali sistemi valutativi consentono un sistema di incentivi per le scuole e per il personale docente e non docente con un'adeguata progressione di carriera e Pag. 44favoriscono altresì moderne modalità (cito testualmente l'intesa intervenuta tra il Governo e le organizzazioni sindacali) «per favorire incontri tra competenze e aspirazioni dei singoli insegnanti e le esigenze formative che processi innovativi e diagnosi valutative fanno maturare nelle singole scuole». In altre parole, la scuola italiana potrebbe dotarsi di nuovi meccanismi di reclutamento con una maggiore corrispondenza tra le esigenze delle scuole e le caratteristiche professionali dei docenti, con la formazione continua come parte intrinseca del nuovo sistema.
Ne conseguirebbe il miglioramento del servizio scuola, l'innalzamento dei livelli di apprendimento oltre agli standard minimi, il potenziamento dei risultati e delle competenze scientifiche e matematiche, le risposte più efficaci e competenti per l'accoglienza degli alunni stranieri e l'insegnamento agli alunni disabili e una maggiore erogazione del tempo pieno, non parlo di doposcuola ma proprio di tempo pieno in senso didattico. In proposito il quaderno bianco calcolava che si sarebbe passati, con questa proposta, dal 25 al 40 per cento, il tutto visto e attuato come fortemente interdipendente.
Ecco, così metterebbe mano al problema del precariato il Partito Democratico e vi dà la consapevolezza di tutto ciò e delle preoccupazione delle negative conseguenze dei tagli. A proposito dei tagli è appena stata pubblicata dall'OCSE «L'educazione sotto la lente» 2008, che ci mostra che l'Italia è al ventisettesimo posto, su 34 Paesi analizzati, per percentuale di PIL speso per la scuola (4,7 per cento in Italia mentre la media dell'Unione europea è del 5,5 per cento e la media OCSE al 5, 8 per cento). La spesa annua per studente è in linea con la media sia dell'Unione europea sia dell'OCSE. La Commissione Attali, per il rilancio dell'occupazione e la crescita del potere d'acquisto, costituita nel 2007 in Francia, aveva concluso che occorreva tagliare la spesa dei vari ministeri ma non quella dell'educazione. Ma si può sapere qual è la ragione, la razionalità e lo scopo di una decurtazione della spesa per l'educazione in Italia? Credo sia una domanda che rimarrà senza risposta perché non ha una risposta razionale.
Dicevo che il Partito Democratico ha consapevolezza dell'impoverimento della scuola e delle conseguenze negative delle azioni a singhiozzo quali quella per il precariato. Per questo motivo chiediamo al Governo di ripensare tali azioni e di precisarne altre. Ma forse si potrebbe osare di più: non potrebbe l'«alta velocità» del Ministro Gelmini, che corre all'impazzata senza piano di marcia, fermarsi un attimo, tenere conto delle informazioni che hanno guidato il treno precedentemente e dei suggerimenti delle opposizioni e soprattutto delle voci di chi, nel Paese, si spende nella scuola? Non potrebbe fare un piano di marcia, condividerlo, cambiare locomotori come si fa nella stazioni di testa di Roma e poi ripartire (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico)?

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
Ha facoltà di parlare il sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca, Giuseppe Pizza.

GIUSEPPE PIZZA, Sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca. Signor Presidente, il Governo si riserva di intervenire successivamente. Mi consenta tuttavia di formulare una precisazione a proposito di qualche piccola polemica che è avvenuta nel corso di questa seduta, soprattutto da parte dell'onorevole Mecacci. Come lei giustamente ha rilevato, il Governo è legittimamente rappresentato nelle aule da qualsiasi membro dell'Esecutivo. Tuttavia, vorrei dire che vi sono due considerazioni, una di carattere generale e una di carattere particolare che mi portano a fare la seguente dichiarazione.
Quella di carattere generale è stata più volte evocata sia in quest'Aula che al Senato della Repubblica e consiste nell'esiguità del numero dei componenti di questo Esecutivo, che credo sia il numero Pag. 45più esiguo nella storia dei Governi dell'Italia repubblicana e che necessariamente porta a delle sostituzioni per realizzare le migliori sinergie.
Il secondo, quello di carattere particolare, è che la Farnesina, che rappresenterò anche nell'esame del disegno di legge di ratifica iscritto al successivo punto all'ordine del giorno, si trova in una settimana estremamente particolare, perché impegnata nell'Assemblea generale delle Nazioni Unite, di cui tutti conosciamo l'importanza, e in una serie di attività internazionali ad essa connesse. Del resto è sotto gli occhi di tutti la capacità di lavoro e la serietà dei miei colleghi del Ministero degli affari esteri. Chiedo scusa, signor Presidente, per aver voluto fare questa precisazione.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione del disegno di legge: Ratifica ed esecuzione del Protocollo V della Convenzione sulla proibizione o limitazione dell'uso di alcune armi convenzionali che possono essere considerate dannose o aventi effetti indiscriminati (Convention on Certain Conventional Weapons - CCW) fatta a Ginevra il 10 ottobre 1980, relativo ai residuati bellici esplosivi, fatto a Ginevra il 28 novembre 2003, nonché modifiche alla legge 7 marzo 2001, n. 58, recante istituzione del Fondo per lo sminamento umanitario (A.C. 2675) e dell'abbinata proposta di legge: Sarubbi ed altri (A.C. 1076) (ore 18,45).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Ratifica ed esecuzione del Protocollo V della Convenzione sulla proibizione o limitazione dell'uso di alcune armi convenzionali che possono essere considerate dannose o aventi effetti indiscriminati (Convention on Certain Conventional Weapons - CCW) fatta a Ginevra il 10 ottobre 1980, relativo ai residuati bellici esplosivi, fatto a Ginevra il 28 novembre 2003, nonché modifiche alla legge 7 marzo 2001, n. 58, recante istituzione del Fondo per lo sminamento umanitario, e dell'abbinata proposta di legge d'iniziativa del deputato Sarubbi.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali - A.C. 2675)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare Partito Democratico ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che la III Commissione (Affari esteri) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, onorevole Narducci, ha facoltà di svolgere la relazione.

FRANCO NARDUCCI, Relatore. Signor Presidente, signor sottosegretario, il Protocollo oggi in esame riguarda gli ordigni inesplosi ed è stato adottato il 28 novembre 2003 nella riunione degli Stati parte della Convenzione di Ginevra del 1980. Si tratta del primo strumento che affronta il problema degli ordigni inesplosi e abbandonati e, dalla sua adozione, 55 Stati hanno ratificato il Protocollo, che è entrato in vigore il 17 novembre 2006.
Se questo importante provvedimento, signor Presidente, è giunto al dibattito dell'Aula, si deve sicuramente rendere merito al Parlamento e nello specifico all'onorevole Sarubbi. La sua proposta di legge, infatti, ha acceso i riflettori sulla ratifica ed esecuzione del Protocollo, un obiettivo fatto poi proprio dal Governo.
Il Protocollo muove da una volontà politica precisa: l'assunzione della responsabilità da parte degli Stati per migliorare la protezione della popolazione civile riducendo il potenziale di pericolo costituito dai residui bellici non esplosi durante il conflitto e dopo la sua cessazione. Nel corso Pag. 46della sessantunesima sessione ordinaria l'Assemblea generale dell'ONU ha dedicato ampio spazio alle questioni afferenti il disarmo e ha adottato diverse delibere su proposta della I Commissione.
In particolare, il 6 dicembre 2006 le Nazioni Unite hanno votato, con 161 voti favorevoli, nessun contrario e 17 astensioni, la risoluzione 61/84 riguardante l'applicazione della Convenzione sulla proibizione dell'uso, dello stoccaggio, della produzione e del trasferimento delle mine antipersona e sulla loro distruzione. In tale risoluzione si esortavano gli Stati firmatari della Convenzione a ratificarla senza ritardi e si rinnovava altresì l'appello a migliorare e promuovere la cura delle vittime delle mine nonché a favorire la loro riabilitazione e la reintegrazione socio-economica.
Poi, con la risoluzione 61/100, l'Assemblea ha richiamato tutti gli Stati ad aderire alla Convenzione sulle armi che provocano sofferenze inutili o dagli effetti indiscriminati ed ai relativi Protocolli, affinché si potesse raggiungere una partecipazione ampia a livello planetario.
Importante sembra anche il vincolo che estende l'applicazione della Convenzione dei Protocolli ai conflitti armati che non presentano carattere internazionale.
Sul tema dei residuati bellici esplosivi e, in generale, delle mine antipersona occorre ricordare gli autorevoli appelli lanciati dal Segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon e da Papa Benedetto XVI, oltre al forte dettato dell'articolo 11 della nostra Costituzione. Con l'approvazione della risoluzione Salvoldi per lo sminamento del Kurdistan nel 1992 il Parlamento italiano è stato il primo al mondo a dotarsi di uno strumento legislativo contro le mine. Ciò ha portato il nostro Paese ad essere un modello anche per altri Paesi europei. Il provvedimento in esame si inserisce, dunque, in questa scia, che fa del nostro Paese il paladino di tali basilari diritti umani.
La ratifica del Protocollo V della Convenzione di Ginevra del marzo 1980 da parte dell'Italia assume, quindi, particolare rilievo per una serie di evidenti ragioni. In primo luogo è significativo richiamare che per la maggior parte dei Paesi dell'Unione europea questo strumento è già in vigore. Infatti, 19 Paesi su 27 lo hanno ratificato e tra questi rientrano sia quelli di vecchia adesione - Francia e Germania in primo luogo - sia quelli di nuova adesione come la Slovenia, la Slovacchia, la Repubblica Ceca, l'Estonia, la Romania e la Bulgaria.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

FRANCO NARDUCCI, Relatore. Inoltre, su un piano più sostanziale il Protocollo costituisce un importante apporto al diritto umanitario in quanto è finalizzato alla protezione delle popolazioni civili coinvolte nei conflitti armati e, in particolare, alla riduzione delle vittime nella fase di ricostruzione successiva ai conflitti.
Signor Presidente, visto il tempo e considerato che lei mi ha già richiamato a terminare - ma per illustrare un Trattato di questa portata evidentemente non bastano pochi minuti - le preannunzio la mia richiesta di consegnare il testo integrale del mio intervento, che vorrei venisse messo agli atti. Tuttavia, vorrei concludere ricordando che l'articolo 3 della legge di applicazione del disegno di legge della ratifica ha ridimensionando e ampliato il Fondo per lo sminamento umanitario, di cui alla legge 7 marzo 2001 n. 58. Siamo convinti che occorrano garanzie affinché in ogni esercizio annuale vi sia l'adeguata copertura finanziaria del Fondo per lo sminamento ed in tal senso presenteremo un ordine del giorno per chiedere al Governo di farsi garante di tale indispensabile esigenza.
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale della mia relazione.

PRESIDENTE. Onorevole Narducci, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

Pag. 47

GIUSEPPE PIZZA, Sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca. Signor Presidente, consapevole dell'importanza della ratifica del Protocollo V della Convenzione sulla proibizione o limitazione dell'uso di alcune armi convenzionali relativo ai residuati bellici esplosivi, il 15 luglio scorso il Consiglio dei ministri ha approvato il disegno di legge di ratifica del Protocollo. Esso si differenzia dalla proposta di legge d'iniziativa dell'onorevole Sarubbi essenzialmente per quanto riguarda gli aspetti relativi alla copertura finanziaria. Inoltre, esso prevede norme di adeguamento dell'ordinamento interno, modificando alcuni articoli della legge 7 marzo 2001, n. 58, relativa al Fondo per lo sminamento umanitario, rendendoli coerenti con i contenuti del Protocollo V.
Il Governo auspica che il processo di ratifica possa adesso concludersi con la massima celerità, così da consentire all'Italia di partecipare alla III Conferenza degli Stati parte del Protocollo V della Convenzione che si terrà a Ginevra il 9 e il 10 novembre prossimi. Una rapida conclusione dell'iter di ratifica rivestirebbe notevole importanza anche per l'immagine internazionale del nostro Paese e consentirebbe di ribadire la coerenza e la serietà dell'impegno da esso dimostrato nel settore dello sminamento umanitario. Inoltre, l'Italia si collocherebbe, in questo modo, nella cerchia degli Stati che danno attuazione a tutti i Protocolli della Convenzione e potrebbe così partecipare a tutte le sessioni della Conferenza degli Stati parte.
Si andrebbe anche incontro alle pressanti richieste della nostra società civile. Non sfugge la forte valenza del Protocollo, sia sul piano del diritto umanitario, sia su quello del disarmo e della non proliferazione. L'opinione pubblica italiana ha ripetutamente dato prova di particolare sensibilità nel riconoscere l'importanza dell'azione contro le mine ed i residuati bellici esplosivi.
Dopo la firma della Convenzione di Oslo sulle munizioni a grappolo, risalente al dicembre scorso, la ratifica del Protocollo V confermerebbe la linea di coerenza su cui si muove la politica estera italiana nel settore dello sminamento umanitario.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Evangelisti. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, questo è uno di quei casi in cui si corre il rischio del ripetersi, perché ovviamente si tratta di provvedimenti sui quali c'è un largo consenso e quindi l'esame del testo oggi alla nostra attenzione - per l'appunto la ratifica di questo Protocollo relativo ai residuati bellici - presenta questo aspetto e quindi vi è anche un certo imbarazzo.
Infatti, ad esempio, c'è un passaggio che ho appena ascoltato del sottosegretario che ricalca esattamente un'osservazione che ritrovo nei miei appunti. Il riferimento è proprio alla differenza fra la proposta di legge Sarubbi ed altri (atto Camera 1076) e quella del Governo rispetto all'articolo 4 del provvedimento, che interessa la copertura finanziaria.
Tuttavia, nel corso della discussione che c'è stata in Commissione fin dall'aprile scorso, il Governo aveva annunciato la necessità di presentare un proprio disegno di legge di ratifica di questa Convenzione contenente anche modifiche alla legge n. 58 del 2001 relativa all'istituzione di un Fondo per lo sminamento umanitario con l'aggiunta della bonifica di aree con residuati bellici esplosivi che ne ha, di fatto, fatto slittare l'esame.
Successivamente il Consiglio dei Ministri, nella riunione del 15 luglio, ha approvato la procedura finalizzata alla presentazione del disegno di legge di autorizzazione alla ratifica del Protocollo in esame, il cui testo per l'appunto si differenzia da quello della proposta di legge atto Camera 1076, oltre che per le modifiche citate, soprattutto per quanto riguarda gli aspetti di copertura finanziaria. L'articolo 4 del provvedimento relativo a tale copertura prevede, al comma 1, un onere di 15 mila euro annui a decorrere dal 2009 a fronte dei 50 mila previsti, invece, nella proposta di legge dell'onorevole Sarubbi. Pag. 48
Nel merito del provvedimento, come è noto, le conseguenze causate dall'utilizzo delle mine antipersona sono state al centro dell'attenzione della comunità internazionale fin degli anni Novanta, mentre è solo dal decennio successivo che sono stati presi in considerazione i problemi causati da altri tipi di munizioni rimaste inesplose alla fine dei conflitti, oggetto per l'appunto di questo disegno di legge.
Nel settembre del 2000 il Comitato internazionale della Croce Rossa ha sollecitato, quindi, tutti gli Stati membri della stessa a rafforzare la normativa internazionale sulla proibizione o limitazione dell'uso di alcune armi convenzionali che possono essere considerate eccessivamente dannose o aventi effetti indiscriminati, proponendo di negoziare un nuovo Protocollo sui residuati bellici esplosivi, il V Protocollo per l'appunto.
Lo scopo principale era - ed è - quello di ridurre la grave minaccia costituita dal ritrovamento di bombe inesplose dopo la fine dei conflitti, adottando misure che potessero minimizzare l'impatto di tali ordigni sulle popolazioni locali e sugli operatori umanitari e sui peacekeeper che lavorano in loco per aiutarle.
La negoziazione di cui sopra è stata condotta da un gruppo di lavoro ad hoc e nel corso di tre anni vi hanno preso parte tutte le grandi potenze militari anche per la stesura finale del documento. Il Protocollo che stiamo per ratificare, quindi, è stato adottato nel novembre del 2003 nella riunione degli Stati parte della Convenzione di Ginevra del 1980 ed è il primo strumento che affronta il problema degli ordigni inesplosi ed abbandonati. Ad oggi 55 Stati hanno già ratificato questo Protocollo, entrato in vigore nel 2006.
Per quanto concerne poi la dotazione del Fondo per lo sminamento umanitario, precedentemente previsto nella tabella C della legge finanziaria per il 2008 e di fatto azzerato dall'articolo 60 del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito poi con la famigerata legge n. 133 del 2008, in linea con le riduzioni di spesa a carico di ciascun ministero, si è sopperito per quest'anno con la dotazione di un milione di euro, così come previsto dalla legge 3 agosto 2009, n. 102 (quella che ho citato prima e che aveva fatto riferimento al Consiglio dei ministri), recante, per intenderci, la recente proroga sulle partecipazione alle missioni internazionali.
Sarebbe, quindi, opportuno che il Governo ne garantisse la copertura anche per il biennio 2010-2011. Su questo noi ovviamente come gruppo dell'Italia dei Valori preannunciamo la presentazione di un ordine del giorno, nel senso di garantire la continuità per la copertura di questo Fondo e tuttavia non abbiamo difficoltà a preannunciare il nostro voto favorevole al complesso del provvedimento (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Sarubbi, che è anche presentatore di un progetto di legge sul tema. Ne ha facoltà.

ANDREA SARUBBI. Signor Presidente, do per scontato l'assenso mio e del mio gruppo parlamentare - il gruppo del Partito democratico - a questo disegno di legge, che il relatore ci avrebbe voluto illustrare con dovizia di particolari - se ne avesse avuto il tempo, ma che, insomma, ci ha illustrato già a sufficienza - e ora vorrei utilizzare questi 8 minuti, ma in realtà anche meno, per una riflessione non sul merito, che immagino troverà tutti d'accordo, ma sul metodo seguito, che suscita in me più di una osservazione.
Innanzitutto, arriviamo a questa discussione con 6 anni di ritardo. È dal 28 novembre del 2003, infatti, che l'Italia sa di avere un obbligo, in quanto Stato firmatario della Convenzione di Ginevra: l'obbligo, appunto, di ratificare questo Protocollo relativo ai residuati bellici esplosivi, che affronta il problema degli ordigni inesplosi ed abbandonati. Come tutti sappiamo, i territori di guerra - basti pensare al Corno d'Africa, ai Balcani, al Medio Oriente, allo stesso Afghanistan che in queste ore ci provoca così tanto dolore - sono pieni di mine antiuomo, che chiaramente rimangono lì anche quando la guerra è finita: basta metterci un piede Pag. 49sopra e, nel migliore dei casi, perdere una gamba. Nel peggiore, si può anche perdere la vita: cosa che accade non di rado, anche se ormai non fa più notizia.
Nel 2003, gli Stati membri della Convenzione di Ginevra adottano questo Protocollo, in cui ci si assumono delle responsabilità per migliorare la protezione dei civili e per ridurre i pericoli. A quel punto, però, la palla passa ai singoli Paesi, che ad uno devono ratificare il testo e a questo punto cominciano le note dolenti, perché - mentre 55 Parlamenti hanno già fatto il loro dovere - noi ci siamo ridotti a settembre 2009 e le cose sarebbero andate ancora più per le lunghe se il relatore Franco Narducci, vicepresidente della Commissione Esteri, non avesse avviato un pressing sul Governo negli ultimi 6 mesi.
Non voglio dire che l'Italia sia disinteressata al tema dei diritti umani: ci mancherebbe, né che ci interessi poco il problema nello specifico. Il nostro Parlamento, infatti, è stato il primo al mondo a dotarsi di uno strumento contro le mine, approvando già nel 1992 una risoluzione per lo sminamento del Kurdistan. Quello che mi preme sottolineare - e mi preme farlo in quest'Aula, signor Presidente, davanti al rappresentante del Governo - è che dal novembre 2003 ad oggi si sono avvicendati quattro governi (Berlusconi bis, Berlusconi ter, Prodi bis e Berlusconi quater) e tre legislature (XIV, XV e XVI). È possibile - mi chiedo, ma lo chiedo anche a nome del cittadino che ci sta seguendo su Gr Parlamento, su Radio radicale o sul canale satellitare della Camera - che ci vogliano quattro governi e tre legislature per ratificare una Convenzione su cui siamo tutti d'accordo? E perché ci vuole un intervento del Governo, quando in Parlamento è presente da anni una proposta di legge di ratifica di questo Protocollo?
Ci sono aspetti, in questa vicenda parlamentare, che mi risultano davvero incomprensibili. Faccio, a questo proposito, un passo indietro. Domenica 18 maggio 2008, il Papa dedica il suo post-Angelus alla messa al bando delle munizioni a grappolo; contemporaneamente, alcuni esponenti istituzionali di diverse confessioni religiose inviano una lettera aperta ai Governi, sempre sullo stesso tema.
Proprio in quei giorni io - fresco deputato, erano passati più o meno una ventina di giorni dalle elezioni - scopro che il nostro Parlamento non ha ancora ratificato il Protocollo, nonostante diverse proposte di legge giacenti da diverse legislature: ripropongo così quella presentata dal senatore Martone, nella XV legislatura, e raccolgo 35 firme tra i diversi schieramenti.
La proposta di legge A.C. n. 1076, Sarubbi ed altri, viene assegnata alla Commissione esteri ad aprile di quest'anno: quasi un anno dopo! Da allora, si apre una discussione in cui - come spiegavo poco fa - il relatore, l'onorevole Narducci, ricorda periodicamente al Governo la necessità di questa ratifica «senza ritardi», l'espressione che utilizzano le Nazioni Unite in una risoluzione del 6 dicembre 2006 che, fra l'altro, è stata approvata anche con il voto dell'Italia. Ogni volta in Commissione, a cominciare dall'8 aprile 2009, il rappresentante del Governo risponde - cito il sottosegretario Stefania Craxi, dal resoconto di quella seduta - «che il Governo sta ultimando la procedura finalizzata alla presentazione di un disegno di legge di autorizzazione alla ratifica del protocollo in oggetto», come dire: tranquilli, ci pensiamo noi. La scena si ripete a maggio, con il sottosegretario Alfredo Mantica, che però preannuncia una novità: dimenticatevi i 50 mila euro per la copertura finanziaria dello sminamento, perché al massimo ne tireremo fuori 15 mila. A luglio, un altro rinvio, ma stavolta il Consiglio dei Ministri ha deliberato il disegno di legge di ratifica; quanto ai fondi stanziati nel testo rimangono i 15 mila, che certamente non basteranno (servono sì e no per una conferenza), ma almeno per il 2009 una soluzione c'è: si potrà infatti attingere al Fondo per lo sminamento previsto nel «decreto missioni». Mi auguro che ciò valga Pag. 50pure per il prossimo «decreto missioni», altrimenti nel 2010 dovremo riaffrontare il discorso da capo.
Un'ultima annotazione sempre riguardo al metodo seguito. È vero che stiamo parlando di politica estera (un'abitudine che la Camera non ha e che, in un momento come questo, sarebbe il caso di adottare) e capisco pure, signor sottosegretario, che il Governo ci tenga a fare bella figura, anche se - viste le critiche odierne dell'Alto commissariato dell'ONU sui diritti umani, riguardo ai respingimenti - l'operazione mi appare difficile. Però quando si toglie all'opposizione (non dico ad Andrea Sarubbi, questo mi interessa fino ad un certo punto) anche la paternità delle idee più nobili ed assolutamente bipartisan, come in questo caso, più che un segnale di forza mi pare un segnale di debolezza (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Mecacci. Ne ha facoltà.

MATTEO MECACCI. Signor Presidente, condivido quanto hanno appena detto il collega Sarubbi e gli altri colleghi in precedenza, ma intervengo su questo tema perché questa Convenzione che il Parlamento si appresta a ratificare è sicuramente un documento molto importante i cui dettagli sono già stati delineati dai miei colleghi e quindi non mi ci soffermerò. Mi soffermerò sul contesto in cui si inserisce questa Convenzione internazionale che, come altre Convenzioni internazionali, mira a limitare gli effetti delle guerre e dei conflitti armati in particolare sui civili.
L'Italia è stata protagonista nel corso degli anni Novanta di un processo di costituzione di un segmento di giurisdizione internazionale, la giurisdizione penale internazionale, in primo luogo attraverso la promozione a livello internazionale della costituzione dei tribunali per la ex Jugoslavia e per il Ruanda e poi con la costituzione del tribunale di Roma, la Corte penale internazionale. Sempre a livello internazionale in questi anni si sono sviluppate campagne, come quella contro le mine antiuomo, che hanno ricevuto anche il premio Nobel per la pace. Questa convenzione sulle cluster bombs, sui residuati bellici esplosivi, si inserisce in un quadro di sviluppo del diritto internazionale che vuole far crescere la responsabilità degli Stati nei confronti dei civili quando sono in corso dei conflitti armati.
Si tratta di una tradizione che ha avuto sicuramente forza nel corso degli anni Novanta ma che negli ultimi anni stenta a rafforzarsi.
Questo evidentemente anche per gli effetti che si sono prodotti, a partire dal 2001, con la lotta al terrorismo che ha messo il diritto internazionale, anche nell'ambito dei conflitti armati, in una posizione non di preminenza, dando priorità ad un'impostazione securitaria che spesso ha finito per sacrificare le sorti dei civili. Quindi, questo è un documento importante che l'Italia, come ricordava il collega Sarubbi, ratifica solo dopo sei anni, dunque molto più tardi di tanti altri Paesi europei, Paesi democratici.
Tuttavia, voglio cogliere l'occasione per sottolineare che ci sono altri provvedimenti, che in questo caso il Parlamento ha la responsabilità di non aver ancora adottato: si tratta delle leggi di implementazione e di attuazione della Corte penale internazionale. Ciò significa che uno statuto che è stato firmato a Roma nel 1998, sostenuto da tutti i Governi, sia di centrodestra sia di centrosinistra, che è definito nella sua intestazione come «Statuto di Roma», ad oggi, nel 2009, quindi dopo oltre dieci anni, non può essere applicato nel nostro Paese, perché il Parlamento non ha ancora provveduto ad applicare e ad approvare le modifiche del codice penale e del codice di procedura penale che ne consentano l'applicazione nel nostro Paese. Ciò perché nonostante, come nel caso in questione, vi fossero delle proposte di legge di iniziativa parlamentare sul tema, vi è stata da parte del Governo, in particolare del Ministero della giustizia, devo dire, purtroppo, in senso bipartisan, sia nei precedenti Governi che in quello attuale, un'impostazione che ha ritardato l'attuazione di questo statuto. Pag. 51
In concreto, ciò significa che se nel nostro Paese dovesse transitare per caso uno dei criminali di guerra ricercati dal Tribunale dell'Aja, il nostro Paese non sarebbe in grado di cooperare con il Tribunale penale internazionale per poterlo portare davanti ad un tribunale e vedere andare avanti il corso della giustizia.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

MATTEO MECACCI. Credo che questo tipo di impostazione e di disattenzione da parte delle istituzioni italiane rispetto al diritto internazionale non sia tollerabile per un Paese che si fa promotore a livello internazionale di iniziative come quella della Corte penale internazionale, della moratoria universale delle Nazione Unite sulla pena di morte, e che poi, invece, ritarda a dare attuazione a questo tipo di provvedimenti. Quindi, è sicuramente positivo che, finalmente, oggi, si sia giunti alla discussione, e speriamo che presto si giunga all'approvazione, di questo provvedimento, ma ve ne sono altri della stessa, e forse anche maggiore, importanza, che occorrerebbe che il nostro Parlamento rapidamente portasse all'approvazione (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Renato Farina. Ne ha facoltà.

RENATO FARINA. Signor Presidente, a nome del Popolo della Libertà, esprimo il convinto apprezzamento per questa ratifica che certamente giunge tardi, ma che non per questo è meno importante da propagandare come un modo con cui, finalmente, l'Italia sceglie nel campo tremendo delle armi che nuocciono ai civili, che in modo indiscriminato colpiscono le popolazioni e che fanno protrarre la guerra ben oltre il suo termine. Questa ratifica che diventa legge chiarisce come finalmente il Governo italiano, il Paese e il Parlamento siano concordi su questo.
Ciò premesso, sicuramente la relazione del collega Narducci spiega tutto: spiega i limiti, ma anche l'attenzione positiva di questa nostra ratifica. Sottolineo alcune parole che furono pronunciate in Commissione dal medesimo relatore, quando rimarcò come anche nel Protocollo sottoscritto viene usata più volte l'espressione «nel limite del possibile». Ecco, io dico che bisogna fare l'impossibile, perché quando ci sono di mezzo innanzitutto la salute e il futuro dei bambini, che sono le vittime principali di questi oggetti malefici, non c'è da fare qualcosa nel limite del possibile.
Bisogna puntare all'impossibile, che è l'unica cosa sensata, e anche pensare a cosa abbiamo seminato in questi anni: abbiamo seminato senza riflettere sulle conseguenze, magari, pensando che, essendo i primi produttori al mondo di questi attrezzi, potessimo addirittura segnare sul nostro prodotto interno lordo un «più» grazie a queste cose. I prodotti interni lordi non tengono conto della qualità degli stessi. Detto questo, noi peraltro siamo stati solleciti nell'approvare una legge che vietasse la produzione e la diffusione di queste mine antiuomo più di dieci anni fa.
Mi viene in mente che, mentre eravamo qui oggi pomeriggio e discutevamo di cose importanti, nel frattempo, se siamo qui dalle 15, sono morte circa 10 persone per le mine antiuomo, perché ancora adesso si calcola che ogni 20 minuti un bambino o un adulto, sicuramente un civile, siano colpiti e muoiano, e qui trascuro i feriti, per questi reperti bellici ancora inesplosi. Sono circa 20 mila l'anno, cioè, i morti di queste guerre postume, che non finiscono mai. Mi viene in mente come gli italiani siano sempre stati all'avanguardia nel guardare l'orrore e nel curare le vittime di queste stragi, che, se anche sono sempre ingiustificabili, in questo caso lo sono di più: sono ingiustificabili al quadrato.
Mi viene in mente la figura di Don Gnocchi, che nel dopoguerra, proprio ricordando il dolore di tanti in guerra, volle curare quelli che erano feriti dai residuati bellici che ancora creavano dolore e spargevano sangue nelle campagne e nelle città italiane. Egli istituì l'Opera dei Mutilatini, Pag. 52che era proprio in funzione di evitare grandi dolori e rimediare ai torti di questa guerra, che poi, alla fine, non è voluta dagli Stati, perché gli Stati sono guidati dagli uomini.
Concludo, quindi, questo mio intervento segnando la positività di quello che abbiamo fatto.
Certo, si può vedere anche il bicchiere mezzo vuoto, come il collega Sarubbi, che ha presentato meritoriamente questa proposta di legge, che anch'io ho sottoscritto.
Preferisco vedere questo bicchiere mezzo pieno, perché è un segno importante e non va guardato con malizia, ma con grande positività (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Partito Democratico).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 2675)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, onorevole Narducci.

FRANCO NARDUCCI, Relatore. Signor Presidente, mi riservo di intervenire nel prosieguo del dibattito.

PRESIDENTE. Sta bene. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

GIUSEPPE PIZZA, Sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca. Signor Presidente, anche il Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Su un lutto del deputato Karl Zeller.

PRESIDENTE. Comunico che il collega Karl Zeller è stato colpito da un grave lutto: la perdita della madre.
La Presidenza della Camera ha fatto pervenire al collega le espressioni della più sentita partecipazione al suo dolore, che desidero ora rinnovare anche a nome dell'intera Assemblea.

Modifica nella composizione di gruppi parlamentari.

PRESIDENTE. Comunico che, con lettera pervenuta in data odierna, il deputato Lorenzo Ria, già iscritto al gruppo parlamentare Misto, ha chiesto di aderire al gruppo parlamentare Unione di Centro.
La presidenza di tale gruppo ha comunicato di aver accolto la richiesta.

Sull'ordine dei lavori e per la risposta ad uno strumento del sindacato ispettivo (ore 19,20).

FRANCO NARDUCCI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FRANCO NARDUCCI. Signor Presidente, prendo la parola brevemente sull'ordine dei lavori. Il 29 luglio avevo chiesto alla Presidenza della Camera di farsi interprete presso il Governo di una situazione veramente incresciosa dei piccoli azionisti Alitalia, chiedendo il differimento del termine ultimo, fissato al 31 agosto, per il rimborso delle loro azioni. Non ho avuto alcun tipo di risposta, e vorrei chiedere se la Presidenza della Camera è in grado di assicurare un'informazione adeguata.

PRESIDENTE. Provvederemo ad informare il Presidente della Camera, affinché possa assumere le opportune iniziative.

ANDREA SARUBBI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANDREA SARUBBI. Signor Presidente, prendo la parola sullo stesso argomento, Pag. 53ma in versione leggermente diversa: sempre in quella data depositai una mia interrogazione parlamentare riguardo alla società Atitech, quindi rimaniamo nel gruppo CAI-Alitalia, soprattutto per i problemi del personale e del futuro lavorativo di tantissime famiglie. Purtroppo non mi è ancora pervenuta risposta, quindi sono qui a sollecitarla attraverso di lei, signor Presidente.

PRESIDENTE. Analoga la domanda, analoga la risposta: provvederemo a sollecitare, con la Presidenza della Camera, il Governo affinché dia le risposte di cui è debitore all'Assemblea.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Martedì 22 settembre 2009, alle 11:

1. - Svolgimento di interpellanze e interrogazioni.

(ore 14)
2. - Seguito della discussione del disegno di legge e del documento:
Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee - Legge comunitaria 2009 (2449-A).
- Relatore: Formichella.

Relazione sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea per l'anno 2008 (Doc. LXXXVII, n. 2).
- Relatore: Centemero.

3. - Seguito della discussione delle mozioni Galletti ed altri n. 1-00202, Borghesi ed altri n. 1-00233, Valducci, Bitonci, Iannaccone ed altri n. 1-00234 e Sereni ed altri n. 1-00236 concernenti iniziative per la liberalizzazione dei servizi pubblici locali.

4. - Seguito della discussione delle mozioni Casini ed altri n. 1-00224 e Evangelisti ed altri 1-00231 concernenti iniziative per il rispetto dei diritti umani e del diritto di difesa in Russia.

5. - Seguito della discussione delle mozioni Ghizzoni ed altri n. 1-00229, Leoluca Orlando ed altri n. 1-00232, Centemero, Goisis ed altri n. 1-00235, Capitanio Santolini ed altri n. 1-00237 e Lo Monte ed altri n. 1-00238 concernenti misure a favore del personale precario della scuola.

6. - Seguito della discussione del disegno di legge:
Ratifica ed esecuzione del Protocollo V della Convenzione sulla proibizione o limitazione dell'uso di alcune armi convenzionali che possono essere considerate dannose o aventi effetti indiscriminati (Convention on Certain Conventional Weapons - CCW), fatta a Ginevra il 10 ottobre 1980, relativo ai residuati bellici esplosivi, fatto a Ginevra il 28 novembre 2003, nonché modifiche alla legge 7 marzo 2001, n. 58, recante istituzione del Fondo per lo sminamento umanitario (2675).

e dell'abbinata proposta di legge: SARUBBI ed altri (1076).
- Relatore: Narducci.

La seduta termina alle 19,25.

TESTO INTEGRALE DELLA RELAZIONE DEL DEPUTATO FRANCO NARDUCCI IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE DI RATIFICA N. 2675

FRANCO NARDUCCI, Relatore. Signor Presidente, signor sottosegretario, il Protocollo oggi in esame riguarda gli ordigni inesplosi (Protocollo V alla Convention on Certain Conventional Weapons) ed è stato adottato il 28 novembre 2003 nella riunione degli Stati parte della Convenzione di Ginevra del 1980 ed è il primo strumento che affronta il problema degli ordigni Pag. 54inesplosi e abbandonati. Dalla sua adozione, 55 Stati hanno ratificato il Protocollo V, che è entrato in vigore il 17 novembre 2006.
Se questo importante provvedimento è giunto al dibattito dell'aula, signor Presidente, si deve sicuramente rendere merito al Parlamento e nello specifico all'onorevole Sarubbi: la sua proposta di legge ha acceso i riflettori sulla ratifica ed esecuzione del protocollo, un obiettivo fatto poi proprio dal Governo.
Il Protocollo muove da una volontà politica precisa: l'assunzione della responsabilità da parte degli Stati per migliorare la protezione della popolazione civile riducendo il potenziale di pericolo costituito dai residui bellici non esplosi, durante il conflitto e dopo la sua cessazione. Nel corso della sessantunesima Sessione ordinaria l'Assemblea Generale dell'ONU ha dedicato ampio spazio alle questioni afferenti il disarmo e ha adottato diverse delibere su proposta della I Commissione. In particolare, il 6 dicembre 2006 le Nazioni Unite hanno votato, con 161 voti favorevoli, nessun contrario e 17 astensioni, la risoluzione 61/84 riguardante l'applicazione della Convenzione sulla proibizione dell'uso, dello stoccaggio, della produzione e del trasferimento delle mine antipersona e sulla loro distruzione. In tale risoluzione si esortavano gli Stati firmatari della Convenzione a ratificarla senza ritardi e si rinnovava altresì l'appello a migliorare e promuovere la cura delle vittime delle mine, nonché favorire la loro riabilitazione e la reintegrazione socioeconomica. Poi con la risoluzione 61/100 l'Assemblea ha richiamato tutti gli Stati ad aderire alla Convenzione sulle armi che provocano sofferenze inutili o dagli effetti indiscriminati e ai relativi Protocolli affinché si potesse raggiungere una partecipazione ampia a livello planetario. Importante sembra anche il vincolo (emendamento all'articolo 1) che estende l'applicazione della Convenzione e dei Protocolli ai conflitti armati che non presentano carattere internazionale.
Sul tema dei residuati bellici esplosivi e in generale delle mine antipersona occorre ricordare gli autorevoli appelli lanciati dal Segretario generale dell'ONU Ban Ki-moon e dal Papa Benedetto XVI, oltre al forte dettato dell'articolo 11 della nostra Costituzione. Con l'approvazione della Risoluzione Salvoldi per lo sminamento del Kurdistan nel 1992, il Parlamento italiano è stato il primo al mondo a dotarsi di uno strumento legislativo contro le mine che ha portato il nostro Paese ad essere un modello anche per altri Paesi europei. Il provvedimento in esame si inserisce in questa scia che fa del nostro Paese paladino di tali basilari diritti umani.
La ratifica del Protocollo V alla Convenzione di Ginevra del 1980 da parte dell'Italia assume particolare rilievo per una serie di ragioni. In primo luogo è significativo richiamare che per la maggior parte dei Paesi dell'Unione Europea questo strumento è già in vigore: 19 Paesi su 27 lo hanno ratificato e tra questi rientrano sia quelli di vecchia adesione (Francia e Germania, ma anche l'Austria e i Paesi Bassi), sia quelli di nuova adesione come la Slovenia, la Slovacchia, la Repubblica Ceca, l'Estonia, la Romania e la Bulgaria. Inoltre, su un piano più sostanziale, il Protocollo costituisce un importante apporto al diritto umanitario in quanto è finalizzato alla protezione delle popolazioni civili coinvolte nei conflitti armati, e in particolare alla riduzione delle vittime nella fase di ricostruzione successiva ai conflitti. In questa prospettiva tale strumento costituisce un importante passo avanti nel senso di una maggiore assunzione di responsabilità da parte degli Stati circa le conseguenze dell'uso di determinati armamenti che possono causare danni alle persone e all'ambiente anche a distanza di molti anni dalla fine dei conflitti armati. Anche se il Protocollo V non è in grado di risolvere tutti i problemi legati ai residui bellici esplosivi, esso rappresenta un riconoscimento importante della responsabilità degli stati per la riduzione dei pericoli per la popolazione civile.
Il protocollo, inoltre, induce a riflettere, su un piano più generale, sulla «sostenibilità dei conflitti armati» e sui costi in termini umani e ambientali che essi comportano. Pag. 55Pur lamentando il basso grado di incisività delle sue disposizioni, è importante la sua ratifica, giacché solo una effettiva cooperazione tra gli Stati, anche nella fase post-conflittuale, e tenuto conto del necessario aiuto che gli Stati più avanzati debbono fornire a quelli con minori mezzi anche tecnologici (di prevenzione dei danni e di ricostruzione civile e sociale), può consentire alla Comunità internazionale di procedere più rapidamente verso obiettivi di pace, al fine di costruire un diritto per la pace e la prosperità di tutti i popoli.
Come per gli altri Protocolli alla Convenzione, il fondamento giuridico del Protocollo V è rappresentato proprio dalla Convenzione adottata il 10 ottobre 1980 a Ginevra, sotto gli auspici delle Nazioni Unite. La Convenzione è entrata in vigore a livello internazionale il 2 dicembre 1983. Attualmente sono Parti della Convenzione 109 Stati, tra cui l'Italia, che ha provveduto alla ratifica con legge 14 dicembre 1994, n. 715.
Il Protocollo V in esame si compone di un Preambolo, di 11 articoli e di un allegato tecnico che contiene raccomandazioni riguardanti le misure preventive da adottare e le procedure ottimali da applicare. Il protocollo completa e integra le disposizioni contenute nei quattro protocolli emanati in precedenza rispettivamente alla proibizione e alla restrizione dell'uso delle armi che lasciano nel corpo umano schegge non individuabili, alle mine, alle armi incendiarie e ai laser accecanti.
L'articolo 1 contiene prescrizioni generali e definisce il campo d'applicazione del Protocollo. Il Protocollo (comma 2) si applica ai residuati bellici esplosivi che si trovano sul territorio degli Stati partecipanti, comprese le loro acque interne. Il comma 3 contiene la precisazione secondo la quale, in base ai paragrafi 1-6 della Convenzione nella versione modificata il 21 dicembre 2001, il Protocollo si applica anche alle situazioni risultanti da conflitti non internazionali.
Il comma 4 opera una distinzione tra i residuati bellici esplosivi abbandonati successivamente all'entrata in vigore del Protocollo per la Parte sul cui territorio si trovano (apparsi quindi in seguito a nuovi conflitti armati) e quelli che invece preesistevano all'entrata in vigore del Protocollo (a cui sono espressamente dedicate le norme dell'articolo 7).
In base all'articolo 3 ciascuna Parte contraente, così come ciascuna Parte coinvolta in un conflitto armato, si assume la responsabilità di tutti i residuati bellici esplosivi che si trovano su un territorio che esso controlla. Una Parte che non controlli più il territorio sul quale ha impiegato munizioni esplosive divenute residuati bellici esplosivi deve, dopo la cessazione delle ostilità attive, fornire l'assistenza volta alla individuazione di questi e alla loro eliminazione. Tuttavia, questo obbligo deve essere adempiuto solo «nel limite del possibile». La bonifica dai residuati bellici può avvenire anche attraverso l'intervento di organizzazioni terze, quali ad esempio le Nazioni Unite.
L'articolo 4 contiene disposizioni dettagliate sulla comunicazione delle informazioni, che possono essere fornite sul piano bilaterale o attraverso terzi designati concordemente.
In base all'articolo 5, le parti sono obbligate a prendere tutte le precauzioni possibili sul territorio interessato che esse controllano per proteggere la popolazione civile, i singoli civili e i beni di carattere civile contro i rischi inerenti ai residuati bellici esplosivi.
L'articolo 6 riguarda le disposizioni relative alla protezione dagli effetti dei residuati bellici esplosivi dei membri delle organizzazioni e delle missioni umanitarie che operano nella zona controllata dallo Stato contraente con il consenso di quest'ultimo.
Come accennato, l'articolo 7 concerne i residuati bellici esplosivi preesistenti all'entrata in vigore del Protocollo per lo Stato contraente. Ciascuna Parte contraente può chiedere a Stati non contraenti o ad organizzazioni internazionali competenti di ricevere da essi assistenza per risolvere i problemi posti dall'esistenza sul proprio territorio di residuati bellici Pag. 56esplosivi. Ciascuno Stato partecipante che può farlo fornisce assistenza per risolvere tali problemi, secondo i bisogni e le possibilità.
L'articolo 8 invita gli Stati contraenti che possono farlo a fornire assistenza per la demarcazione e la bonifica, l'eliminazione o la distruzione dei residuati bellici esplosivi, per il tramite di organismi delle Nazioni Unite, il Comitato Internazionale della Croce Rossa, le Società nazionali della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa e anche organizzazioni non governative o a livello bilaterale.
L'articolo 9 sulle misure preventive generali, invita gli Stati contraenti a prendere misure per minimizzare il rischio di comparsa di residuati bellici esplosivi. La terza parte dell'allegato tecnico, cui l'articolo fa rinvio, contiene un elenco di tali misure, da adottarsi preventivamente.
L'articolo 10 prevede la collaborazione delle Parti per l'applicazione del Protocollo e la convocazione di una Conferenza delle Alte Parti qualora almeno 18 di esse ne faccia richiesta. I costi di tali conferenze sono coperti dai partecipanti in base alla scala dei contributi stabilita dall'ONU.
In base all'articolo 11 le Parti chiedono alle proprie forze armate e ad altre autorità di istruire il personale conformemente alle disposizioni del Protocollo.
Le eventuali controversie circa l'interpretazione o l'applicazione del Protocollo saranno risolte in via amichevole bilateralmente, o mediante l'intervento del Segretario generale dell'ONU - depositario della Convenzione e dei suoi Protocolli - o attraverso le procedure internazionali idonee.
La proposta di legge di autorizzazione alla ratifica consta di cinque articoli, riguardanti rispettivamente l'autorizzazione alla ratifica del Protocollo V della Convenzione del 1980, l'ordine di esecuzione, le modifiche alla legge 7 marzo 2001, n. 58, con l'istituzione del «Fondo per lo sminamento umanitario», la copertura finanziaria derivante dall'attuazione della legge e, infine, l'entrata in vigore della legge, fissata per il giorno successivo alla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
Onorevole signor Presidente, il già menzionato articolo 3 del disegno di legge della ratifica ha ridenominato e ampliato il Fondo per lo sminamento umanitario di cui alla legge 7 marzo 2001. Siamo convinti che occorrano garanzie affinché in ogni esercizio annuale vi sia l'adeguata copertura finanziaria del Fondo per lo sminamento ed in tal senso presenteremo un ordine del giorno per chiedere al Governo di farsi garante di tale indispensabile esigenza.