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Resoconto dell'Assemblea

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XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 201 di lunedì 13 luglio 2009

Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROCCO BUTTIGLIONE

La seduta comincia alle 15.

DONATO LAMORTE, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 7 luglio 2009.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Alessandri, Angelino Alfano, Berlusconi, Bonaiuti, Bossi, Brambilla, Bratti, Briguglio, Brunetta, Carfagna, Casero, Castiello, Cicchitto, Colucci, Cosentino, Cossiga, Cota, Craxi, Crimi, Crosetto, Fiano, Fitto, Frattini, Gelmini, Gibelli, Alberto Giorgetti, Giancarlo Giorgetti, Giro, Graziano, La Russa, Lupi, Mantovano, Maroni, Martini, Meloni, Miccichè, Migliori, Milanato, Leoluca Orlando, Pecorella, Prestigiacomo, Roccella, Romani, Ronchi, Rotondi, Paolo Russo, Saglia, Stefani, Tremonti, Urso, Vegas e Vito sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente cinquantacinque, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Cessazione dal mandato parlamentare del deputato Matteo Salvini.

PRESIDENTE. Comunico che il deputato Matteo Salvini, eletto parlamentare europeo, con lettere pervenute il 7 e 8 luglio 2009 al Presidente della Camera, ha dichiarato di optare per tale carica, dimettendosi dal mandato parlamentare. Trattandosi di un caso di incompatibilità, ai sensi dell'articolo 5-bis della legge 24 gennaio 1979, n. 18, la Camera prende atto, a norma dell'articolo 17-bis, comma 2, del Regolamento, dell'opzione espressa dal deputato per la carica di parlamentare europeo e della conseguente sua cessazione dal mandato parlamentare nazionale.

Proclamazione di un deputato subentrante.

PRESIDENTE. Dovendosi procedere alla proclamazione di un deputato, a seguito della presa d'atto, nella seduta odierna, delle dimissioni del deputato Matteo Salvini, comunico che la Giunta delle elezioni ha accertato, nella seduta del 19 novembre 2008, ai sensi dell'articolo 86, comma 1, del Testo unico delle leggi per l'elezione della Camera dei deputati, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, che il candidato che, nell'ordine progressivo della stessa lista n. 6 - Lega Nord, nella medesima III circoscrizione Lombardia 1, segue immediatamente l'ultimo degli eletti, risulta essere Marco Desiderati.
Do atto alla Giunta di questo accertamento e proclamo deputato, a norma Pag. 2dell'articolo 17-bis, comma 3, del Regolamento, per la III Circoscrizione Lombardia 1, Marco Desiderati.
Si intende che da oggi decorre il termine di 20 giorni per la presentazione di eventuali ricorsi.
Facciamo i migliori auguri e diamo il benvenuto all'onorevole Marco Desiderati e auguriamo anche all'onorevole Salvini di svolgere bene il suo mandato in sede europea.

Discussione delle mozioni Oliverio ed altri n. 1-00196, Beccalossi ed altri n. 1-00197 e Delfino ed altri n. 1-00205, concernenti misure a favore del settore agroalimentare e della pesca (ore 15,10).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Oliverio ed altri n. 1-00196, Beccalossi ed altri n. 1-00197 e Delfino ed altri n. 1-00205 concernenti misure a favore del settore agroalimentare e della pesca (Vedi l'allegato A - Mozioni).
Ricordo che lo schema recante la ripartizione dei tempi per la discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
Avverto che sono state presentate le mozioni Fogliato ed altri n. 1-00207 e Di Giuseppe ed altri n. 1-00217 che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente (Vedi l'allegato A - Mozioni). I relativi testi sono in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritto a parlare l'onorevole Zucchi, che illustrerà anche la mozione Oliverio ed altri n. 1- 00196, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

ANGELO ZUCCHI. Signor Presidente, illustro brevemente le ragioni che ci hanno indotto alla presentazione di questa mozione. Dalla scorsa legge finanziaria fino agli ultimi provvedimenti anticrisi, anche quello che ci accingiamo a discutere la prossima settimana in Aula, il settore agroalimentare è stato, a nostro avviso, ampiamente trascurato dalle politiche di questo Governo. Eppure esso rappresenta un tessuto produttivo di oltre un milione di imprese, che costituiscono il 16 per cento del totale delle imprese italiane, c'è un settore agroalimentare industriale con più di settantamila imprese, e vale complessivamente oltre 220 miliardi di euro.
Sappiamo che il made in Italy è il secondo comparto, dopo il manifatturiero, in termini di contributo all'economia nazionale con incidenza circa pari al 15 per cento del prodotto interno lordo. Non da meno l'economia e le imprese agricole agroalimentari sono sottoposte, al pari di ciò che sta accadendo al sistema economico nazionale, in modo diretto e indiretto alle gravissime conseguenze della crisi mondiale economico finanziaria i cui segnali sono ben manifesti.
I costi produttivi e gli oneri sociali nell'ultimo anno sono raddoppiati per l'acquisto dei fattori di produzione (concimi, sementi e gasolio) che incidono nella gestione aziendale per oltre il 70 per cento e si sono avuti aumenti medi di oltre il 7 per cento. I prezzi all'origine, dopo una fase di rialzo della prima metà dello scorso anno, sono scesi in media del 7 per cento con punte di oltre il 35 per cento per quanto riguarda il mercato dei cereali.
I redditi degli agricoltori, dopo l'aumento fatto registrare nel 2008 , sono ovunque in calo. Il clima di sfiducia dell'industria alimentare misurato attraverso l'indice predisposto dall'ISMEA su un panel di circa 1200 operatori ha fatto segnare, nel quarto trimestre 2008, un netto peggioramento, scendendo a meno 13,6 punti da meno 0,7 del trimestre precedente.
Le imprese agricole, costrette sempre più spesso all'indebitamento, stanno incontrando difficoltà crescenti in termini Pag. 3occupazionali e di strumenti di accesso al credito. Durante i numerosi cicli di audizioni che si sono svolte nelle Commissioni parlamentari tutte le organizzazioni professionali, produttive e sindacali del settore hanno espresso un forte disagio che, in seguito alla crisi internazionale, sta colpendo fortemente il comparto agroalimentare della pesca.
La crisi internazionale ha avuto ripercussioni sull'intero sistema agricolo europeo tanto da indurre la Commissione europea a pubblicare una comunicazione a sostegno dell'accesso al finanziamento nell'attuale situazione di crisi finanziaria ed economica che consenta agli Stati membri di attivare misure rilevanti e urgenti nel contesto dell'allentamento, pur parziale e inadeguato, dei vincoli comunitari.
I principali Paesi europei hanno adottato manovre anticrisi includendo misure specifiche per il rilancio competitivo del comparto, come è accaduto, per esempio, in Francia dove il Ministro dell'agricoltura Barnier ha varato un piano di 250 milioni di euro per sostenere i redditi degli agricoltori. Qui da noi in Italia, invece, nei suoi primi quindici mesi, il Governo si è contraddistinto esclusivamente per i vistosi tagli operati a sfavore di questo comparto e per la mancanza di misure efficaci e necessarie per invertire la sfavorevole congiuntura economico-finanziaria.
Infatti, la cosiddetta manovra estiva, di cui al decreto-legge n. 112 del 2008, e la legge finanziaria per il 2009 hanno totalizzato complessivamente una riduzione di 682 milioni di euro a sostegno dell'agricoltura, pari a circa il 26 per cento delle risorse a disposizione del Ministero dell'agricoltura.
Per dare l'idea di come, quest'anno, il Governo Berlusconi si sia occupato del settore agroalimentare della pesca giova ricordare come con il «decreto milleproroghe» il Ministro dell'economia abbia abrogato e soppresso disposizioni a sostegno dell'agricoltura e della pesca approvate solo qualche ora prima in Parlamento.
La manovra anticrisi di cui al decreto-legge n. 185 del 2008 non ha previsto, al suo interno, disposizioni esplicitamente riconducibili alla risoluzione della crisi che sta interessando il settore agroalimentare della pesca né tanto meno misure specifiche per il suo rilancio competitivo.
In un momento in cui gli elementi di debolezza del settore sono amplificati dalla volatilità dei prezzi, dalle difficoltà di accesso al credito e da un ruolo sempre meno incisivo del sostegno pubblico, sono urgenti misure straordinarie che, da un lato scongiurino un possibile arretramento del settore agroalimentare della pesca, e dall'altro sappiano rilanciarne la competitività.
Per questa ragione con questa mozione proponiamo quattro interventi immediati che servono per il rilancio della competitività del settore.
Il primo è l'attivazione e l'utilizzo di tutti gli ammortizzatori sociali necessari per governare la crisi che sta interessando le imprese, soprattutto quelle della pesca, particolarmente esposte alla congiuntura sfavorevole. Sappiamo che su questo tema si sta impegnando il sottosegretario. Ci piace pensare che questa nostra richiesta gli sia d'aiuto per arrivare a raggiungere questo obiettivo.
Il secondo punto riguarda la conferma biennale degli sgravi contributivi al fine di contenere il costo del lavoro in agricoltura e nelle zone svantaggiate. Voglio ricordare che questi provvedimenti al momento sono stati prorogati fino al 31 dicembre 2009; non sappiamo che cosa succederà nel 2010, soprattutto non lo sanno le imprese agricole interessate che non possono procedere ad un'adeguata programmazione.
Inoltre, in terzo luogo, chiediamo la conferma del sistema assicurativo al fine di dare piena attuazione ai meccanismi di gestione del rischio in agricoltura e di potenziare il ruolo delle polizze assicurative per far fronte alle crescenti emergenze climatiche. Il tema del fondo di solidarietà nazionale merita un approfondimento: riguarda circa 200 mila imprese e siamo fortemente in ritardo, avrebbe dovuto essere rifinanziato, mancano 90 milioni per Pag. 4la chiusura del 2008 e 230 milioni per l'anno 2009. In realtà, le imprese hanno già dovuto procedere a rinnovare le proprie polizze fortemente aumentate e quadruplicate. Alcune hanno rinunciato a fare polizze assumendosi così il rischio, altre ancora hanno trattato parametri diversi. Tutte sono però in difficoltà.
È abbastanza paradossale la questione, perché voglio ricordare che il Ministro dell'agricoltura ad ogni intervento pubblico e dichiarazione ha sempre confermato le necessità di rifinanziare questo fondo. I presidenti delle Commissioni della Camera e del Senato si sono resi interpreti di questa necessità. Lo stesso presidente della XIII Commissione (Agricoltura) della Camera, onorevole Paolo Russo, ha firmato un disegno di legge - la prima firma è sua - che prevede il rifinanziamento del Fondo di solidarietà nazionale. Sono in sostanza tutti d'accordo. Perfino il Presidente del Consiglio Berlusconi all'assemblea della Coldiretti, di fronte a 10 mila imprenditori agricoli ha detto, come è solito fare in queste circostanze: ghe pens mi, me ne faccio carico direttamente io, è un problema di cui mi interesserò direttamente. Invece, sono passati dei mesi, le polizze si stanno riaprendo e rinnovando e il Fondo di solidarietà nazionale non è ancora rifinanziato.
Al quarto punto prevediamo incentivazioni degli strumenti necessari per attuare una politica che favorisca l'accesso al credito degli imprenditori agricoli. Voglio ricordare che parliamo di piccole imprese spesso sottopatrimonializzate. Inoltre, prevediamo anche quattro misure straordinarie per intervenire con un po' di respiro in questo settore. La prima misura straordinaria che proponiamo e su cui chiediamo di impegnare il Governo è l'incentivazione, anche mediante una rinegoziazione in sede comunitaria, della normativa sugli aiuti di Stato in agricoltura, per intervenire sulla concentrazione dell'offerta agricola prevedendo il rafforzamento dell'assetto dimensionale o di forme di aggregazione di funzioni.
Sappiamo che il settore agricolo del nostro Paese mostra particolari segni di fragilità perché presenta un'eccessiva frantumazione. Solo il 2,2 per cento dell'1,7 milioni di aziende italiane rilevate dall'ISTAT ha una superficie superiore ai cinquanta ettari, mentre l'85 per cento ha un'estensione inferiore ai dieci ettari. Siamo di fronte - come si può ben capire - ad un settore particolarmente frammentato, che dovrebbe essere invece incentivato a forme di aggregazione, così come l'innovazione organizzativa dell'impresa filiera, affinché i produttori possano governare e accompagnare più in profondità le fasi della catena alimentare, riducendo le intermediazioni dalla fase produttiva alla vendita e ai consumatori.
Sappiamo che la filiera in Italia è particolarmente lunga e che all'interno di questa filiera ci sono eccessivi passaggi di intermediazione; sappiamo che l'anello debole della filiera è costituito essenzialmente dai produttori, i quali non hanno una grande capacità di negoziazione, soprattutto di fronte alla grande distribuzione.
Inoltre, chiediamo aiuti straordinari e mirati al processo di internazionalizzazione della rete distributiva del comparto agroalimentare italiano. Sappiamo quanto è importante poter perforare mercati esteri, ma per poterlo fare con il nostro made in Italy, le nostre imprese hanno bisogno di sostegno e di politiche attive dirette a tale scopo.
Con questa mozione chiediamo di premiare l'innovazione con aiuti straordinari mirati alle imprese impegnate in nuovi processi produttivi tesi, da una parte, all'autoriduzione dei costi di produzione attraverso il risparmio energetico, il risparmio idrico - sappiamo che il tema dell'acqua è essenziale -, le razionalizzazioni logistiche, nonché le innovazioni gestionali e, dall'altro, a creare incrementi di valore del prodotto attraverso strategie di rafforzamento identitario e territoriale e a conseguire il valore aggiunto dato da contenuti di servizio più rispondenti alla domanda di mercato, a nuovi stili di vita, a nuove esigenze di tutela della salute alimentare. Pag. 5
Infine, chiediamo che siano finanziati piani speciali di riconversione basati su rigorosi piani industriali pluriennali per il rilancio di alcune filiere produttive che, nella sovrapposizione degli effetti della crisi economica generale e dei recenti cambiamenti delle regole della politica agricola comunitaria, risultano particolarmente in sofferenza e, pur avendo potenzialità e valore, non hanno sufficienti possibilità immediate per affrontare l'urgenza della concorrenza internazionale.
Noi crediamo che questi debbano essere gli interventi su cui il Governo dovrebbe impegnarsi per sostenere questo settore che, a nostro avviso, ha bisogno di una visione strategica e di uscire dalla marginalità nella quale le iniziative politiche del Governo Berlusconi lo hanno relegato (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Dima, che illustrerà anche la mozione Beccalossi ed altri n. 1-00197, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

GIOVANNI DIMA. Signor Presidente, signor sottosegretario, che ringrazio per la presenza in Aula, colleghi, prima di entrare nel merito della mozione vorrei ricordare all'Assemblea che iniziamo una settimana di lavoro all'insegna dell'ottimismo e della fiducia alla luce di due elementi. Il primo è l'indiscusso successo del Vertice del G8 a L'Aquila in cui si è parlato anche, e soprattutto, di qualità alimentare; il secondo consiste nel fatto che il Presidente della Repubblica, proprio ieri, ha incitato il Parlamento e la discussione politica sul modo in cui trovare al meglio elementi di unione, piuttosto che di divisione. Pertanto, ritengo che la giornata di oggi, ma piuttosto questa settimana parlamentare, dovrà tener conto in modo particolare di questi due momenti: il vertice di carattere internazionale e lo stimolo, che raccolgo con grande entusiasmo, del Presidente della Repubblica Napolitano.
Venendo al merito, signor Presidente, dico con molta chiarezza che il comparto agricolo è un punto di forza per questo nostro Paese, ma prima di soffermarci sul fatto che è diventato un punto di forza, evidentemente dobbiamo ragionare sul modo in cui organizzarlo e cercare, a questo punto, di abbandonare definitivamente la cultura che in passato, purtroppo, ha favorito un processo degradante nei riguardi dell'agricoltura. Mi riferisco soprattutto al fatto che l'agricoltura in Italia è stata per lungo tempo un settore assolutamente non centrale nella vita politica e istituzionale, ma soprattutto nello sviluppo economico di questo nostro territorio.
Innanzitutto, voglio riprendere il concetto che l'Italia, Paese che ha grandi potenzialità sotto questo punto di vista, alla luce della sua storia, della sua tradizione e della sua specificità territoriale ha sicuramente grande potenzialità; ciò soprattutto alla luce delle tante mille produzioni che segnano non solo i nostri comuni, i nostri villaggi e i nostri borghi, ma anche tutta la realtà territoriale e paesaggistica della nostra realtà nazionale. Quindi, il settore agroalimentare rappresenta soprattutto un punto di forza per lo sviluppo di questa nostra nazione e rappresenta anche un comparto per poter favorire nel prossimo futuro non solo la crescita economica della nostra realtà nazionale, ma anche e soprattutto quello che ritengo assolutamente necessario, ovvero il rafforzamento del made in Italy nel momento in cui le nostre produzioni raggiungono le altre nazioni del mondo, soprattutto quelle in via sviluppo.
A tale riguardo, ritengo che nel contesto della crisi di carattere internazionale va ricordato quello che affermava proprio di recente la Coldiretti nazionale nel momento in cui definiva il settore agricolo, in questo contesto particolare, come la tigre dell'economia italiana. Ciò nel senso che nonostante le mille difficoltà l'agricoltura italiana cresce e nello specifico cresce del 2,4 per cento su base annua. Ciò rappresenta un fatto non marginale rispetto al contesto economico che vive oggi l'Italia (e Pag. 6non solo), ovvero un fatto estremamente positivo per le grandi potenzialità di cui parlavo poco fa.
Ritengo che sono assolutamente ingenerose le critiche che provengono da parte dei colleghi del centrosinistra. Stiamo lavorando molto in Commissione agricoltura e ritengo che quel tipo di affermazioni, soprattutto quel tipo di considerazioni, non rendono l'idea del lavoro effettivamente svolto da parte del Governo Berlusconi, da parte del Ministro Zaia e da parte del sottosegretario Buonfiglio. Voglio ricordare che per quanto riguarda l'ammortizzatore fiscale sulla pesca - è già una realtà - il sottosegretario Buonfiglio ha già sostanzialmente realizzato questo processo per favorire la filiera produttiva della pesca. Lo voglio ricordare qui come elemento non marginale di una realtà come quella della pesca nazionale che vive il contesto di carattere internazionale. Anche su questo aspetto, voglio ricordare ai colleghi e all'Aula, signor Presidente, che le questioni si possono risolvere anche sulla base di un ragionamento che possiamo favorire. Ad esempio, lancio l'ipotesi di potere contribuire con i colleghi del PD e dell'Italia dei Valori ad una mozione unica da fare sulla base delle proposte che mi giungono e che ho letto. Si tratta di proposte assolutamente condivisibili al di là della premessa, in quanto le considerazioni successive sono assolutamente condivisibili perché molti aspetti sottolineati dal collega Zucchi si trovano sostanzialmente all'interno della nostra mozione. Quindi, immagino che da questo punto di vista possiamo trovare un momento di sintesi e di accordo e ciò significherebbe, proprio sulla base di un ragionamento efficace, rafforzare un processo ancora più forte da parte del Governo. Se dal Parlamento e dalla Camera dei deputati giungesse un forte segnale unitario e all'unanimità su una mozione condivisa - avremo modo di vedere prima del voto di domani come trovare la sintesi sul piano concreto - significherebbe evidentemente, signor sottosegretario, fare un favore non alla maggioranza e a noi stessi, ma piuttosto all'agricoltura italiana.
Evito anche di entrare nel merito rispetto alle proposte, non foss'altro per il fatto che abbiamo già letto le proposte del PD e credo che quest'ultimo abbia a sua volta letto le nostro proposte. In sostanza, vi è un filo conduttore comune, quello di favorire e di istradare al meglio l'agricoltura italiana nei prossimi anni e nei prossimi decenni (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Di Giuseppe, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00217. Ne ha facoltà.

ANITA DI GIUSEPPE. Signor Presidente, l'agricoltura è uno dei motori del sistema economico del nostro Paese e di questo credo che siamo tutti convinti. Che poi l'agricoltura sia l'unico settore non crollato davanti a una crisi incalzante è un dato di fatto, però, sottosegretario, non possiamo cullarci sugli allori, perché le difficoltà sono evidenti e i problemi ci sono, quindi la situazione non è neanche molto rosea.
Le difficoltà delle imprese agricole sono evidenti e i produttori continuano ad essere sempre più soffocati dalle problematiche che conoscete anche voi, che il Governo conosce, ossia dai costi produttivi, dai gravosi oneri contributivi e dalla mancanza di una politica governativa che sia realmente efficace e soprattutto concreta. Purtroppo, oggi queste problematiche sono forti e incombenti e mettono veramente a disagio il mondo agricolo del nostro Paese. Quindi, nonostante quei piccoli segnali ottimistici che si sono evidenziati, i problemi del settore rimangono e, come spesso in Commissione agricoltura noi e tutti i gruppi parlamentari abbiamo fatto presente, questi problemi corrono il rischio di aumentare ulteriormente se non si interviene in maniera veramente opportuna e soprattutto a tempo debito. Questo non lo dico io, sottosegretario, ma soprattutto gli addetti ai lavori, cioè gli operatori del settore, apertis verbis, a chiare lettere. Quindi, l'agricoltura sta attraversando uno dei momenti più difficili degli ultimi trent'anni. Pag. 7
La crisi certamente non è di oggi - questo lo sappiamo - ma il pericolo al quale si va incontro è che in un periodo di alcuni anni molte aziende agricole abbandonino definitivamente l'attività. È evidente che senza interventi diretti e anche straordinari l'intero comparto agricolo subirebbe un crollo non indifferente. Allora, cerchiamo di porre rimedio a questa situazione prima che si verifichi il peggio, anche perché la crisi dell'agricoltura andrebbe poi anche ad accentuare la crisi in tutti i settori dell'economia italiana. Sappiamo anche che la fortissima instabilità dei mercati ha determinato un rialzo dei costi delle materie prime agricole: i prezzi all'origine dei prodotti agricoli hanno subito una forte contrazione, mentre i costi di produzione sono aumentati e queste cose lei, sottosegretario, le sa, ne siamo certi. Ecco perché bisogna promuovere azioni in tempi rapidi che pongano gli agricoltori nelle condizioni di portare avanti le loro aziende, con una prospettiva futura che sia positiva, con un orizzonte positivo che li veda anche protagonisti - perché in effetti poi lo sono - dell'economia italiana.
È indispensabile una maggiore attenzione al mondo agricolo, ma soprattutto è importante rivolgere uno sguardo all'agricoltura con una politica credibile, se la si vuole rilanciare e rendere competitiva. Cosa chiedono gli addetti ai lavori? Sgravi contributivi, riduzione dei costi produttivi e degli oneri burocratici e soprattutto il rifinanziamento del Fondo di solidarietà nazionale per le calamità naturali. Gli imprenditori agricoli di coraggio ne hanno tanto e hanno mostrato, nonostante le condizioni non favorevoli, il desiderio di vedere la ricrescita della stessa agricoltura. Chiaramente, da persone forti quali sono gli agricoltori non hanno mollato la presa.
Per quanto riguarda il fondo di solidarietà, più volte in Commissione ne abbiamo parlato e i gruppi parlamentari hanno insistito perché fossero stanziate le idonee risorse per renderlo più sostanzioso, però, sottosegretario, bisogna dire che la nostra è stata una voce nel deserto. Purtroppo, il maltempo, quando imperversa, non fa sconti agli agricoltori e alle loro coltivazioni. Per questo, occorre che il Governo trovi il modo di rifinanziare il Fondo di solidarietà nazionale. Purtroppo, di chiacchiere ne sono state fatte, adesso bisogna anche passare ai fatti. Nel provvedimento anticrisi non vi è nulla per definire la questione del fondo di solidarietà. Lo avremmo voluto, ma è stato trattato come se fosse un argomento di secondaria importanza, mentre tutti sappiamo che questo fondo è fondamentale per gli agricoltori.
La realtà è che l'agricoltura ha bisogno di incentivi, come sta accadendo per altri settori dell'economia italiana. Purtroppo, i redditi degli agricoltori calano e, quando calano i redditi, è chiaro che cala anche l'occupazione e peggiora il disavanzo commerciale del settore.
Vi è tanto da fare, ma soprattutto deve fare tanto il Governo, signor sottosegretario. Bisognerebbe mirare a sostenere la filiera corta, i mercati per la vendita diretta in tutte le comunità, promuovere lo sviluppo delle varie forme di multifunzionalità; si dovrebbe impedire la crisi nei vari comparti, dalla zootecnia al settore ortofrutticolo, e poi pensiamo alla diversità biologica, come sia fondamentale per l'agricoltura stessa e come sia importante promuovere con continuità l'agricoltura biologica.
Sembra tutto scontato quando si parla di biologico, ma in realtà non lo è, perché è partito con grande impeto e con grande impulso, però bisogna dire che la fase iniziale è ormai terminata e bisogna passare alla fase di potenziamento e, soprattutto, di consolidamento.
Necessita soprattutto investire di più sulla cultura del biologico, che si faccia conoscere al consumatore il prodotto, per poi incoraggiarne la produzione. Ecco, anche in questo caso, occorrono incentivi per sostenere di più o, perlomeno, meglio il settore del biologico. Siccome parlo sempre di scuola, bisognerebbe investire sulla scuola per diffondere la cultura del biologico stesso.
È anche chiaro che produrre prodotti biologici richieda maggiori costi e, alla Pag. 8pari del made in Italy, vi è bisogno di promozione per far conoscere il biologico italiano nel mondo. Oggi il Ministro non c'è, ma sa cosa penso, signor sottosegretario? Penso che il Ministro Zaia debba fare la parte del leone di fronte a Tremonti e non la parte della lepre, se vuole veramente che vengano fuori gli incentivi per l'agricoltura. Sempre di caccia si tratta, leoni o lepri, però è diversa la figura di un Ministro che insiste sul Governo per avere maggiori incentivi.
Abbiamo parlato di made in Italy: pensiamo anche all'enogastronomia e alla ristorazione italiana, che sono settori fortemente in crescita e conosciuti a livello internazionale. Bisogna ammettere che dietro a questa premiata ed eccellente enogastronomia italiana vi è il made in Italy, perché i nostri prodotti sono eccellenti, dal vino agli ortaggi, all'olio, ai formaggi e alla carne. Il nostro Paese, per quanto attiene ai prodotti di qualità, non teme nessuno; questo è anche avvalorato dai riconoscimenti da parte dell'Unione europea ai nuovi prodotti tipici locali attraverso i marchi IGP e DOP.
Se il Governo è consapevole del valore del made in Italy, deve mettere in atto delle iniziative che siano volte a sostenere i consumi dei prodotti agricoli italiani all'interno del Paese, ma anche all'estero.
Il comparto dei prodotti agroalimentari italiani di qualità ha assunto dimensioni che sono sempre più considerevoli, confermandosi una componente importante della produzione agroalimentare nazionale e una risorsa che non deve essere sottovalutata. Vi è, infatti, una forte crescita, addirittura, della denominazione del marchio di origine protetta e di indicazione geografica protetta, tanto che l'Italia è in testa alla graduatoria europea.
Ormai la sicurezza alimentare e lo sviluppo sostenibile devono diventare obiettivi fondamentali ai quali tendere e le politiche agricole non possono più ignorare il ruolo degli agricoltori su queste questioni.
È anche evidente che il concetto di qualità preveda la rintracciabilità, la sicurezza alimentare, i marchi, le norme di commercializzazione e la certificazione ambientale come strumenti fondamentali per l'attuazione di tutte le politiche di promozione e di valorizzazione dei nostri prodotti. È chiaro che per l'agricoltura è necessario rendere efficace questo processo di valorizzazione del made in Italy. Ecco, allora, che diventa indispensabile sostenere anche la ricerca in agricoltura ed è importante utilizzare l'impegno del mondo universitario.
È stata una tappa importante, quella del 1o luglio 2009, perché è stata la data dalla quale si è resa obbligatoria l'indicazione in etichetta della provenienza delle olive impiegate per produrre l'olio vergine ed extravergine di oliva in commercio. L'etichettatura resta quindi, ed è, una tappa indispensabile per garantire ai consumatori la difesa dalle truffe a tavola, dove vengono spacciati a volte come made in Italy cibi ottenuti invece da allevamenti e da coltivazioni estere.
Quanto ai consigli, sottosegretario, nelle mozioni in esame di consigli ve ne sono tanti, e non si può dire che di idee noi non ve ne diamo. Allora ci ascolti, perché noi vogliamo la crescita del mondo agricolo; probabilmente la vorrete anche voi, noi non ne vogliamo la disfatta. Ecco il perché di queste mozioni, ecco perché è importante veramente volgere lo sguardo all'agricoltura.
Passiamo infine alla pesca. La pesca è un settore vitale della nostra economia, come l'agricoltura; però sulla pesca grava molto l'elevato costo del gasolio, ed è un settore che ha bisogno di una politica di rilancio forte, chiara. Quando parliamo di pesca dobbiamo pensare all'Europa, perché la sopravvivenza di questo settore molto dipende dalla Comunità europea, che oltre ad interessarsi dei problemi degli altri settori dell'economia, deve veramente volgere lo sguardo alle problematiche della pesca stessa. Per questo noi chiediamo la rimodulazione degli investimenti strutturali del Fondo europeo per la pesca.
E poi vi è un altro argomento, che è stato senz'altro trattato, però su di esso non abbiamo avuto riscontro o perlomeno chiarezza: infortuni e sicurezza sul lavoro. Pag. 9Si tratta di temi comuni a tutti i settori lavorativi, e anche per la pesca è fondamentale promuovere la sicurezza, perché gli addetti ai lavori in questo settore sono oltre 40 mila, ed esso è considerato fra le attività economiche più pericolose.
Serve poi attivarsi affinché venga riconosciuta la cassa integrazione: so che lei ha lavorato in tal senso, ci lavori ancora di più, perché è anche importante che l'attività della pesca venga inclusa fra quelle categorie che sono definite usuranti. È una richiesta, questa, che è arrivata anche dalla Commissione agricoltura.
Sono tante dunque le incertezze sul futuro del settore agricolo e agroalimentare. Rilanciare questo settore dipenderà soprattutto dalla vostra capacità, dalla capacità di affrontare la crisi, e in questo momento a fare le scelte politiche siete voi. L'agricoltura dev'essere soprattutto considerata al centro dell'azione di risanamento dell'economia italiana, se si vuole che i sistemi agricoli sostenibili possano creare occupazione, proteggere gli ecosistemi e fornire elementi salubri e nutrienti, e a prezzi anche giusti. Incentivare dunque la competitività delle imprese, per lo sviluppo dei settori agroalimentari e forestali, incentivare l'innovazione e la ricerca, il lavoro, il risanamento e l'aumento della credibilità della nostra agricoltura; ma con disposizioni chiare, per affrontare i temi importantissimi di questo settore, ed è questo che si aspettano gli agricoltori: vogliono risposte concrete. Perché - questa è la verità - l'agricoltura italiana è percorsa da una crisi profonda, che investe tutti i campi, non solo quello della pesca, ma anche quello vitivinicolo, quello ortofrutticolo, quello bieticolo-saccarifero, ne abbiamo parlato parecchie volte in Commissione agricoltura; i settori lattiero-caseario, oleario, cerealicolo. È quindi certo difficile, perché i problemi si sono accentuati in questo ultimo decennio; però si tratta di problemi che sono poi riscontrabili in tutti i settori.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

ANITA DI GIUSEPPE. Ho terminato, signor Presidente. Vorrei concludere con questa frase, sottosegretario, magari la faccia sua. È una frase dello scrittore americano Emerson: «Il primo uomo fu un agricoltore, e ogni nobiltà storica riposa sull'agricoltura». È una grande responsabilità, perché dice «ogni nobiltà storica riposa sull'agricoltura». Lo vogliamo allora risollevare questo settore, dove riposa ogni nobiltà storica? Questo sta al Governo, a lei sottosegretario e al Ministro Zaia (Applausi dei deputati dei gruppi Italia dei Valori e Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Cenni. Ne ha facoltà.

SUSANNA CENNI. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, è la prima volta che, in questa legislatura, abbiamo l'opportunità di dedicare una discussione dell'Assemblea alle politiche agricole, e credo che vada riconosciuto al Partito Democratico il merito di aver voluto ciò attraverso la presentazione di una mozione cui poi hanno fatto seguito altre. Spero che possiamo cogliere questa occasione per dar forza alle scelte che indicate nella nostra e nelle altre mozioni: scelte che - credo - sono quelle di cui il nostro sistema agricolo e rurale ha profondamente bisogno.
Si tratta di un sistema che in questo momento non vive giorni tranquilli: ragion per cui ho qualche difficoltà ad iniziare il mio intervento all'insegna dell'ottimismo, come ci invitavano a fare il collega Dima e, qualche giorno fa in Commissione agricoltura, il collega Fogliato.
Purtroppo, svolgiamo questa discussione in un'Aula semideserta. Certo, so bene che lo facciamo in una fase, quella della discussione sulle linee generali, in cui l'Aula presenta sempre numeri di questo tipo; ma consentitemi di dire che questo contesto è abbastanza corrispondente al livello di considerazione di cui questo comparto - un comparto tanto strategico per la nostra vita e per la nostra immagine all'estero - gode nelle grandi scelte politiche nazionali: mi riferisco ad una sorta di marginalità e residualità. Pag. 10
Muovo dunque da queste considerazioni - evitando per quanto possibile di ripetere le motivazioni già illustrate dall'onorevole Zucchi - per dire che fra i temi che i grandi del mondo hanno affrontato nei giorni scorsi a L'Aquila vi sono stati anche cibo e agricoltura. Come già avvenne un anno fa con il vertice della FAO, il nostro Paese è stato sede di rilevantissime discussioni sui temi del cibo, della sicurezza alimentare, dell'agricoltura.
L'agricoltura oggi non riesce a far fronte alle esigenze della popolazione mondiale; così, a causa dell'ulteriore crescita di tale popolazione, degli effetti dei mutamenti climatici, dell'assoluta iniquità della distribuzione delle risorse, di un modello di sviluppo che ha bisogno di essere ripensato profondamente, si rischia ormai il verificarsi di quella che taluni osservatori chiamano una possibile «crisi alimentare perpetua». Non voglio naturalmente portare la nostra discussione altrove rispetto ai temi in discussione, anche se sarebbe interessante farlo. Desidero però portare all'attenzione di tutti noi il fatto che oggi, ancor più di ieri, l'agricoltura ci chiede una rinnovata visione complessiva e globale. Le nostre politiche, gli orientamenti individuali, gli stili di vita, i consumi e le decisioni internazionali sono legate da un filo rosso fortissimo. Prezzi, clima, speculazione finanziaria, salute, redditi degli agricoltori, acqua, inquinamento, difesa della biodiversità, mercati, banche: sono tutti temi che hanno a che fare con il qui e con l'adesso, ma anche con l'altrove e con il resto del mondo.
Nessuno nega un dato di fatto difficilmente contestabile: le occasioni internazionali di confronto sono molte. Una, anzi, è stata voluta qualche mese fa proprio dal Ministro Zaia: mi riferisco al cosiddetto «G8 agricolo», occasione che peraltro abbiamo apprezzato, come ogni altra utile a portare l'attenzione sull'agricoltura. Così, anche lo scorso 8 luglio, i leader mondiali hanno affermato che l'agricoltura e la sicurezza alimentare dovrebbero essere posti al centro dell'agenda internazionale: un'affermazione ottima, assolutamente condivisibile e da salutare positivamente, e che mi auguro sia vera.
Devo dire che nutro grandi speranze nell'approccio manifestato anche su questi temi dal Presidente degli Stati Uniti Obama. Vorremmo però - lo dico con grande franchezza, signor sottosegretario - maggiore coerenza anche nel nostro Paese. In questo primo anno di legislatura, noi abbiamo avuto più volte occasione di confrontarci con lei e con il signor Ministro in Commissione, ed abbiamo apprezzato il protagonismo del Ministro e la sua presenza in una sorta di relazione diretta con gli agricoltori. Riconosciamo inoltre la sua competenza e la sua disponibilità.
Leggiamo ed ascoltiamo con attenzione le sue dichiarazioni e ce le ricordiamo (ricordiamo le sue e anche quelle del Presidente del Consiglio). Il punto è che, ad oggi, nonostante la presenza del Ministro e nonostante le scarpe del Ministro fra la terra delle campagne italiane (direi soprattutto quelle del nord Italia, francamente), a noi sfugge la visione strategica che questo Governo ha sull'agricoltura, una visione strategica che guardi in avanti; ma senza una visione strategica, senza una cornice, senza un chiaro quadro delle scelte - quelle immediate e quelle che saranno sui tavoli dei decisori verso il 2013 e oltre - ogni scelta quotidiana rischia di apparire estemporanea e di non produrre alcun risultato.
Non siamo noi del PD a dirlo, lo fanno i principali osservatori, gli analisti economici del settore: fare l'agricoltore è sempre più difficile e in Italia, purtroppo, è più difficile che nel resto dell'Europa.
Non più di qualche mese fa Nomisma, nella presentazione dell'undicesimo rapporto sull'agricoltura italiana, ha definito il nostro contesto vecchio, ingolfato, polverizzato, con un ritardo strutturale che affligge il settore primario rispetto ai principali competitor europei.
Non mi dilungo sui numeri, ma insomma li conosciamo tutti: quelli della dimensione media delle nostre imprese e il dato - ancor più impressionante - del ricambio generazionale, e cioè il rapporto Pag. 11tra conduttori sotto i 35 anni e conduttori sopra i 65 anni che in Europa si aggira sul 22 per cento mentre in Italia non supera l'8 per cento, a fronte del 66 per cento della Francia e del 125 per cento della Germania (il che ci dice qualcosa di profondamente preoccupante su come stiamo). Certamente si tratta di difficoltà storiche, di limiti infrastrutturali, di gap che ovviamente non vogliamo imputare alla responsabilità del Ministro Zaia o dell'ultimo Governo in carica e che sicuramente la grave crisi internazionale ha reso più pesanti e più complesse. Si tratta però di un quadro che aveva visto, qualche legge finanziaria fa (mi permetto di dire almeno un paio di leggi finanziarie fa), l'avvio di alcuni importanti segnali all'interno del DPEF e delle leggi finanziarie che avevano fatto ben sperare gli agricoltori, le regioni, il sistema complessivamente (si parlava di «finanziaria agricola», addirittura). Ora tutte quelle scelte, dalla prima all'ultima, sono state rimesse in discussione e sono stati operati dei tagli mai osati prima in questo settore, tagli cui purtroppo non hanno fatto seguito né compensazioni ma nemmeno scelte che rimodulassero in altro modo le politiche; quindi non si è fatta alcuna scelta dopo i tagli, fatta salva l'attenzione relativa a tutta la questione delle quote latte.
Ad oggi, nei mesi, in ogni passaggio rilevante che quest'Aula ha affrontato per le politiche economiche del Paese abbiamo dovuto prendere atto della puntuale assenza sia di provvedimenti, sia della minima citazione o riferimento a questo settore.
Altrettanto puntualmente la Commissione agricoltura quasi sempre nella sua totalità - lo riconosco, come ha detto il collega Dima - ha riportato in Aula emendamenti, integrazioni, proposte in riferimento al fondo di solidarietà ed altri punti qualificanti: ciò è vero, però questi emendamenti sono stati sempre o respinti o ritirati dalla maggioranza!
Vi è stato poi qualche eccesso, come è avvenuto, a proposito di ciò che mi sento di definire un po' come l'Oscar dell'irrisione, nei confronti dell'Aula stessa, vale a dire l'approvazione di alcuni provvedimenti, che sono stati poi rimessi in discussione attraverso il decreto «milleproroghe»: francamente direi proprio, sottosegretario, che non ci siamo oppure che il Ministro Tremonti non riesce proprio a vedere l'agricoltura!
Signor sottosegretario, è vero che, in confronto ai veri e propri bollettini di guerra rappresentati dagli osservatori su industria, artigianato e terziario, l'agricoltura sembra avere una sua forza e una sua tenuta.

PRESIDENTE. Onorevole Cenni, la invito a concludere.

SUSANNA CENNI. Ma lei sa come e meglio di me - e concludo - che ciò non significa affatto che le cose vanno bene, mentre rischiamo la scomparsa di molte imprese nel giro di pochi mesi.
Credo che sarebbe un grave errore non correre ai ripari per tante ragioni e allora concludo dicendo soltanto questo: le promesse le avete già fatte abbondantemente, adesso ci attendiamo fatti, provvedimenti, cose concrete e molto tangibili.
Vi consiglierei, però, di partire da un punto molto preciso: dalla ricerca di un nuovo clima di confronto, sia sul fronte del mondo agricolo, sia sul tavolo delle regioni (mi riferisco solo a due aspetti: all'articolo 68 e alle decisioni che stanno maturando in materia di compartecipazione ai piani di sviluppo regionali).

PRESIDENTE. La prego di concludere.

SUSANNA CENNI. Di fronte a dati che non sembrano destinati ad un'inversione positiva nel tempo, credo che dobbiamo metterci tutti a lavorare molto velocemente. Noi ci attendiamo un salto di qualità e anche qualche insofferenza e qualche intemperanza in meno da parte non tanto del Ministro, quanto del suo ufficio stampa, nei confronti di osservazioni, critiche e interrogazioni.
Tutto questo può non piacere, ma fa parte dell'arte della democrazia: quando la si esercita, di norma, fa sempre molto Pag. 12bene al Paese (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Marco Carra. Ne ha facoltà.

MARCO CARRA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, so di correre il rischio di essere un po' presuntuoso, ma anche io, come l'onorevole Cenni, penso che, se oggi l'agricoltura (con tutti i problemi che sta attraversando, ma anche con le straordinarie opportunità che porta con sé) approda in Aula con una discussione organica che potrebbe portarci - io lo auspico - ad un accordo positivo in termini di impegni, ciò è possibile grazie al partito Partito Democratico e al suo gruppo che, attraverso la presentazione di questa mozione, portano, forse per la prima volta in termini organici, le politiche agricole al centro del nostro dibattito.
Mai in questo primo anno di attività, infatti, l'agricoltura ha avuto l'opportunità di avere un proprio spazio significativo che mettesse al centro del dibattito la prospettiva di questo comparto e la sua stessa sopravvivenza. Il decreto sulle quote latte è stata, onorevole sottosegretario, un'occasione sprecata non solo perché dal nostro punto di vista - che ovviamente non è cambiato rispetto a qualche mese fa - sono stati premiati i furbetti, ma anche perché, nella gestione di quel decreto, si è avuto modo di registrare una certa improvvisazione. Lo stesso decreto sul rilancio del sistema agroalimentare, approvato nei mesi scorsi, era tutto fuorché un provvedimento che favoriva davvero questo rilancio. Ciò è talmente vero, che di quel decreto nessuno ricorda qualcosa e, semmai, l'agricoltura stessa, il sistema agroalimentare, ha visto in questi mesi i propri problemi acuirsi. Si è trattato, davvero, di un provvedimento del tutto insignificante. Come hanno già ricordato i colleghi Zucchi e Cenni, le politiche di questo Governo si sono caratterizzate solo ed esclusivamente in una logica di tagli molto pesanti per l'agricoltura. In nessun provvedimento anticrisi l'agricoltura ha avuto un suo spazio. Non ci si può accontentare dell'inserimento degli incentivi avvenuto nel provvedimento che discuteremo nelle prossime settimane, perché il tema degli incentivi per la meccanizzazione agricola va affrontato in modo serio e preciso.
La prova evidente del vostro totale disinteresse e - lasciatemelo dire - della vostra irraggiungibile approssimazione, è rappresentata dal Fondo di solidarietà nazionale che sta assumendo le dimensioni di una piccola grande farsa; piccola, perché questo non è un tema che appassiona le folle, grande, perché è un tema particolarmente sentito dagli imprenditori agricoli. Da questo punto di vista, è importante l'iniziativa che il nostro capogruppo in Commissione ha assunto, inviando una lettera al presidente della Commissione stessa, per sollecitare un'audizione con il Ministro e con il presidente della Commissione bilancio, per porre fine a questa triste vicenda che ha visto, tra l'altro, ancora una volta, protagonista il Presidente del Consiglio che, all'assemblea nazionale della Coldiretti, ha promesso, come ha ricordato il collega Zucchi, quel famoso: «ghe pensi mi».
Non c'è un ambito del settore che non soffra una grave difficoltà, e purtroppo si sta verificando quanto temevamo, cioè che diverse imprese sono già a tutti gli effetti nelle mani delle banche. Noi abbiamo cercato di sensibilizzare il Governo su questo problema, ma invano, ed è di ieri la notizia che Confagricoltura Lombardia ha chiesto lo stato di crisi del settore, rilanciando questa proposta su alcuni punti che, in gran parte, ritroviamo nella nostra mozione. Voglio toccare alcuni aspetti che riguardano in particolare il settore lattiero - caseario, naturalmente dando per acquisita evidentemente la discussione sulle quote latte. Vi è una prima questione che è legata alla concorrenza sleale e cioè al fatto che noi importiamo latte che viene prodotto a costi per noi inaccessibili: 0,19 euro al litro contro gli 0,35 - 0,39 delle nostre imprese. Ebbene, punti di forza del nostro sistema, quali la salubrità degli alimenti, la tutela ambientale, Pag. 13la sicurezza e la salute dei lavoratori, rischiano di diventare un handicap, anzi sono già un handicap competitivo. Credo che a queste iniquità vada in qualche modo posto rimedio. Mi riferisco al latte destinato alla produzione delle nostre principali DOP. Penso al Grana padano, al Parmigiano reggiano, e colgo questa occasione per insistere e per fare in modo che il Governo stanzi i fondi per il contributo all'ammasso, per il contributo per la stagionatura. Si tratta di 15-20 milioni di euro, e penso che con un po' di buona volontà queste risorse possano essere recuperate, dando così un contributo importante a questi imprenditori.
Vi è poi il tema dello squilibrio della filiera tra offerta e domanda: una domanda che è raggruppata in poche centrali d'acquisto che rappresentano l'insieme della grande distribuzione organizzata; un'offerta particolarmente frammentata. Credo che debbano essere incentivate, con strumenti finanziari ed organizzativi, le concentrazioni dell'offerta in modo forte e determinato. Vi è poi il tema della liquidità e della diffidenza del mondo del credito. Voglio qui ricordare che l'agricoltura italiana, l'agricoltura padana, ha avuto nel corso di questi decenni ottimi rapporti con le banche. La banche hanno vissuto anche perché l'agricoltura ha retto in questi decenni, quindi hanno raccolto molto dalla ricchezza prodotta dal settore agroalimentare. Ebbene, oggi queste stesse banche chiudono le saracinesche nei confronti delle imprese agroalimentari; comunque stiamo discutendo di agricoltura e focalizzo su tale aspetto la mia attenzione.
Credo che servano azioni, interventi per rafforzare le azioni di garanzia, per favorire e per fare in modo che l'uscita del comparto da questa fase di crisi sia la meno drammatica possibile, e che non vi siano danni eccessivi. Serve inoltre una legge quadro sulle DOP: trasparenza e completezza delle informazioni nella presentazione dei prodotti (significa etichettatura) possono essere - io credo - elementi importanti e decisivi per il nostro sistema.
Vi è poi un altro problema riguardo alla suinicoltura che io, provenendo dal mantovano, sento particolarmente insieme a tutta la partita del lattiero-caseario: i mercati non danno particolari soddisfazioni; i produttori operano al di sotto dei costi sul piano commerciale, al di sotto dei reali costi di produzione. Noi abbiamo presentato un'interrogazione per chiedere al Governo (al Ministro competente) se si intenda valutare la prospettiva di una sorta di stato di crisi del comparto. Pensiamo che a questa interrogazione si debba dare una risposta. Pensiamo che il tema della suinicoltura debba essere posto all'attenzione dal Governo. Non bastano gli accordi fatti qualche giorno fa, non sono in sé sufficienti. Penso che serva inoltre, sul tema della direttiva nitrati, un messaggio chiarificatore.
Questo è uno di quei problemi che rischia di far chiudere molte aziende nel comparto zootecnico. Come si vede, il panorama è piuttosto desolante. Ci tengo molto a ricordare le mie origini: Mantova significa agricoltura.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

MARCO CARRA. Ebbene, questa terra ha ricevuto molto dall'agricoltura non solo sul piano economico, ma anche sul piano sociale e culturale. Vorremmo continuare a ricevere quelle ricchezze che l'agricoltura della Pianura padana ha saputo produrre.
Il collega Dima, giustamente, in una visione più generale, ha detto che il settore agroalimentare rappresenta un punto di forza del nostro sistema socio-economico. Credo che nessuno di noi sia disposto ad accettare il perdurante lassismo del Governo. La mozione in oggetto rappresenta, a mio avviso, un raggio di sole. Vi sono alcuni punti condivisibili nelle mozioni presentate dagli altri gruppi.

PRESIDENTE. Deve concludere.

MARCO CARRA. Concludo, signor Presidente. Senza conoscere il parere del Governo, ma con l'auspicio che sia positivo, Pag. 14mi auguro che i punti indicati nella presente mozione, a partire dal Fondo di solidarietà nazionale, non restino lettera morta (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fiorio. Ne ha facoltà.

MASSIMO FIORIO. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, questa discussione - consentitemelo - è epocale, eccezionale, in questa legislatura. È stato ricordato dal collega, nel suo intervento precedente, che pochissimo di ciò che riguarda il settore dell'agricoltura è approdato in quest'Aula: il decreto-legge concernente le quote latte, così contestato anche nei modi, e, prima ancora, un pomposo decreto per il rilancio del settore agroalimentare che, però, poco faceva, se non qualche intervento di maquillage rispetto a quel poco che aveva messo a disposizione la legge finanziaria.
Altri Stati sono intervenuti in modo importante. Nella nostra mozione è stato ricordato come, per esempio, la Francia sia intervenuta in modo decisivo per il settore, riconoscendo l'importanza strategica e fondamentale del settore primario dell'agricoltura. Anche gli osservatori economici hanno dismesso i discorsi che facevano qualche anno fa rispetto ad un'economia che doveva dedicarsi sempre più ai servizi, per ritornare al ruolo fondamentale dell'agricoltura.
Tuttavia, vi è poca traccia di questi interventi da parte del Governo. Anzi, la preoccupazione che sta crescendo nella nostra parte, nel Partito Democratico, è di un ottimismo che, in realtà, rischia di essere peggiorativo della situazione. Le imprese devono, infatti, fronteggiare una situazione pesantissima: i costi produttivi sono arrivati a livelli insostenibili, gli oneri sociali sono sempre più gravosi, mentre i prezzi sui campi continuano a scendere in maniera preoccupante, gli adempimenti burocratici creano non poche difficoltà, i redditi, nonostante la crescita del 2008, scontano crolli mai registrati come in questi anni.
Le risposte del Governo sono, però, parziali, riduttive e, talvolta, sbagliate. Siamo in presenza di uno scenario sempre più fosco e il futuro è sempre più incerto per gli imprenditori agricoli, su cui pesano, in maniera opprimente, i riflessi negativi dei costi produttivi e degli oneri sociali (costi che, oggi, incidono nella gestione aziendale agricola, in media, tra il 60 e l'85 per cento). Solo negli scorsi mesi, l'incremento è stato di oltre il sette per cento rispetto all'analogo periodo dell'anno scorso e i rincari hanno coinvolto tutti i fattori della produzione: si hanno aumenti stellari per i concimi (con un più 60 per cento), per il gasolio, per l'energia elettrica, per le sementi, per gli antiparassitari.
Da troppo tempo, gli agricoltori italiani rappresentano l'anello debole della filiera di tutti i prodotti che arrivano sui nostri mercati. Chi produce - cioè, i nostri agricoltori - è costretto a vendere i propri prodotti a prezzi irrisori, per poi vedere gli stessi prodotti sui mercati e nelle botteghe a prezzi stratosferici.
Siamo in presenza di molti problemi irrisolti e il Governo non si è attivato per venire incontro alle esigenze degli agricoltori. Mancano misure adeguate, coraggiose e mirate nei confronti di un'agricoltura che sta vivendo uno dei momenti più difficili della sua storia recente. La nostra preoccupazione è che il tema della situazione che sta vivendo oggi l'agricoltura sia rubricato come uno dei tanti aspetti della crisi economica che sta attraversando l'intero globo.
Quello che non appare più un'impressione, ormai, è che il Governo, la maggioranza che amministra il nostro Paese, non si accorga che le dinamiche economiche che investono l'economia mondiale rischiano di essere fatali per il comparto agricolo italiano, che per la fragilità strutturale che lo contraddistingue non è più in grado di reggere.
Lo dico con franchezza: temo che l'atteggiamento attendista del Governo - andare avanti a proclami, come ha fatto il Ministro Tremonti finora, che in una prima fase ha raccontato che la crisi Pag. 15riguardava scarsamente il nostro Paese e che in una seconda fase, quella attuale, ci racconta che la crisi sta passando - induca qualcuno a pensare che quanto sta accadendo sia una fase transitoria del ciclo economico e che tutto tornerà come prima. Questo è un atteggiamento scellerato, e lo è maggiormente per un settore strutturalmente in difficoltà come quello agricolo.
Non voglio certo imputare a questo Governo e al Ministro Zaia le deficienze epocali di questo settore, tuttavia, dopo più di un anno di Governo Berlusconi, sarà ben possibile guardare a quello che è stato fatto finora. Il saldo - diciamolo - è francamente negativo. Mentre tutti sosteniamo la necessità di dare ossigeno ai settori primari, voi avete tagliato i fondi e le risorse a quei settori. Dall'inizio del Governo Berlusconi siete andati avanti con la mannaia, distogliendo risorse in favore di iniziative tutte elettorali: penso al decreto-legge n. 112 del 2008 e al recupero fondi per l'ICI e per l'Alitalia.
Non discuto della capacità mediatica del Ministro di proclamare la tolleranza zero sulle contraffazioni o di non mancare un'occasione per farsi riprendere da televisioni e fotografi su qualche mezzo o veicolo; mi domando, però, quanto tempo si sia perso e a quante domande non si sia risposto. Non mi riferisco solo a questioni di risorse che mancano, mi riferisco anche alla scarsa capacità di affrontare le sfide imposte dai cambiamenti degli scenari internazionali e di mercato. Per fare un esempio recente, penso all'OCM vino. Alla vigilia dell'entrata in vigore di una vera e propria rivoluzione copernicana del settore, non una parola, non un adempimento in vista dell'adeguamento nazionale alla normativa europea; ma ci rendiamo conto di quanto quel settore conti nella bilancia commerciale?
In occasione della discussione della mozione, il nostro invito è innanzitutto quello di adottare provvedimenti straordinari in grado di ridare slancio e vigore all'azione e all'impegno degli imprenditori agricoli e che, così come si è cercato di intervenire in molti settori industriali di questo Paese, anche per l'agricoltura si possano individuare le risorse indispensabili per un settore in tracollo per la chiusura di migliaia di imprese, soprattutto di quelle che operano nelle zone svantaggiate di montagna.
Tuttavia, l'appello al Governo e al Parlamento è quello a prendere atto della minaccia che vive il settore primario dell'agricoltura, a prendere atto che rischiamo di oltrepassare un punto di non ritorno e che questo significa la desertificazione di tante nostre produzioni di eccellenza, la condanna di aziende, addetti e famiglie e il crollo di uno dei settori trainanti della nostra economia, il fiore all'occhiello del nostro made in Italy. Forse non ci si rende conto del rischio che non solo un settore, ma l'intera economia del nostro Paese sta correndo. Basta dare uno sguardo al saldo commerciale dell'Italia e verificare che, a fronte di un crollo di tanti nostri settori produttivi, il cosiddetto made in Italy mostra ancora qualche segno di tenuta. Tuttavia, se abbiamo la pazienza di disaggregare questo dato, scopriamo che il settore agroalimentare è quello che regge meglio. Ci rendiamo, allora, conto che se non affrontiamo le necessità urgenti di tale settore, quello agricolo in primis, rischiamo di compromettere tutto quanto il Paese?
Non possiamo - e lo dico fuori di polemica - affrontare il tema dell'agricoltura solo nei consessi internazionali, come il G8. Berlusconi in primis deve rendersi conto che occorre avviare una nuova stagione di politiche innovative e strutturali che, nell'interesse del sistema Paese, si pongano due obiettivi fondamentali: ammodernare profondamente il settore agricolo e agroalimentare in termini di competitività delle imprese e, contemporaneamente, fronteggiare le difficoltà recate al settore dalla crisi mondiale.
In tempi in cui, ora più che mai, sarà necessario apportare un cambiamento innovativo nella concezione classica del modello agricolo, la politica deve favorire le dinamiche virtuose. Dobbiamo saper favorire innovazioni tecnologiche e culturali, informatizzazione delle aziende, implementazione Pag. 16del market place, sostenibilità delle produzioni, multifunzionalità delle aziende agricole e forestali e quant'altro possa essere utile per contrastare un modello basato su logiche classiche e ormai superate in termini di conduzione delle stesse aziende.
Per fare questo, la politica deve abbandonare una concezione marginalizzante dell'agricoltura, deve governare e legiferare, per mettere in condizione chi opera in quel settore di avere a disposizione gli strumenti adeguati ad un settore economico maturo. Il primo elemento, in un settore economico maturo, è quello della programmazione. Qualsiasi operatore economico deve essere messo in condizione di programmare il proprio lavoro e i propri investimenti.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

MASSIMO FIORIO. Eppure, da questo punto di vista, il Governo non ha dato segnali di consapevolezza. Si è proceduto, di tre mesi in tre mesi, per le agevolazioni contributive per i lavoratori delle zone svantaggiate. Com'è possibile lavorare non sapendo se il Ministro è in grado di recuperare le risorse che determinano i versamenti delle rate? Quando parliamo di agricoltura al passo con i tempi, dobbiamo pensare agli strumenti innovativi per proteggere quei prodotti dai danni atmosferici e climatici, per la gestione del rischio che produzioni esposte possono subire, uscendo tuttavia dal meccanismo del ristoro del danno.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

MASSIMO FIORIO. In questa sede è inutile rinnovare l'invito al Governo per ciò che continua a promettere e che, finora, non ha mantenuto. Anche il Presidente del Consiglio di recente ha preso precisi impegni. È ora che si ponga una parola di chiarezza sulla questione: il Governo deve garantire le risorse per l'anno 2008 e deve dire come intende procedere per il futuro.
Concludo ricordando che alla base di questi interventi è necessario un cambio di passo: non si può mantenere un atteggiamento come quello finora condotto dal Governo nei confronti dell'agricoltura. Non è possibile che in nessuno degli interventi anticrisi si trovi traccia di questo settore. Lo dico senza alcuno spirito sindacale e di parte: se non si comprende che qui c'è un pezzo fondamentale per affrontare la crisi e per consentire a questo Paese di uscire dall'emergenza, vuol dire che la politica ha davvero gli occhi chiusi (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Agostini. Ne ha facoltà.

LUCIANO AGOSTINI. Signor Presidente, signor sottosegretario, abbiamo sentito la necessità di presentare questa mozione per discutere del settore agricolo e della pesca, dello stato dell'impresa alla luce della forte crisi economica in atto, anche perché le occasioni per farlo - così come è stato ricordato dai colleghi che mi hanno preceduto - sono state veramente poche, nonostante da parte nostra, dell'opposizione del Partito Democratico, siano venute sollecitazioni: abbiamo dimostrato più volte, in sede di Commissione, non solo consapevolezza, ma anche senso di responsabilità, e abbiamo ricercato un confronto con la maggioranza che, per la verità, in talune occasioni e, in particolare, in sede di Commissione, c'è anche stato. Ciò che è mancato sono stati gli atti concreti e i provvedimenti che il Governo avrebbe dovuto varare e che invece non ha adottato.
In sostanza, dopo più di un anno dall'insediamento di questo Governo, non si rintracciano politiche che vadano nella direzione del settore agricolo e della pesca. Penso sia del tutto inutile ricordare come nella manovra estiva del giugno scorso con il decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, prima, e con la legge finanziaria, poi, siano state sottratti al comparto agricolo 682 milioni di euro, per sostenere misure che potevano mitigare, anche se in parte, una Pag. 17crisi che ha colpito in maniera violenta il comparto agroalimentare e della pesca. Né sono stati ascoltati le nostre sollecitazioni, i nostri interventi e le nostre proposte nei provvedimenti anticrisi proposti dal Governo e approvati dalla maggioranza.
In questi provvedimenti, le parole «agricoltura» e «pesca» nemmeno vengono citate, quasi come fossero figli di un Dio minore, come se rappresentassero interessi economici ed imprese di livello inferiore. Eppure, tale comparto può contare su un numero importante di imprese, oltre un milione, delle quali circa 70 mila impegnate nell'industria alimentare. Così come veniva ricordato, per il made in Italy il settore agroalimentare è importante, decisivo e fondamentale, tant'è che è secondo soltanto al manifatturiero, con un'incidenza sul prodotto interno lordo di circa il 15 per cento.
A fronte di tutto ciò, la crisi generale si è manifestata in tutta la sua portata: i costi di produzione, compresi gli oneri sociali, sono quasi raddoppiati, i prezzi di vendita all'origine sono scesi con una media del 7 per cento, con variazioni del mercato a volte non prevedibili, che hanno alzato il livello di indebitamento dell'impresa.
Maggiori sono le difficoltà per l'accesso al credito, mentre continua ad alzarsi l'eccessiva burocratizzazione a carico delle imprese.
In sostanza, l'aspetto storicamente più critico del comparto agroalimentare e della pesca è il reddito delle imprese e degli addetti, ulteriormente stressato da questa situazione di crisi che fa registrare un calo preoccupante, non solo in termini economici, ma anche sociali.
Continuiamo a sostenere che le politiche economiche, compresi gli ultimi provvedimenti anticrisi impostati dal Governo, hanno assunto carattere depressivo in netto contrasto con quanto necessario, soprattutto per sostenere le parti più deboli dell'economia del nostro Paese. Il fatto che ancora oggi il Governo, e questo è dimostrato dall'ultimo decreto-legge anticrisi, non contempli misure a sostegno del settore agricolo e della pesca è una sottovalutazione grave che può portare alla paralisi del settore.
Con questa mozione vogliamo, ancora una volta, sollecitare il Governo a cambiare rotta e a farlo con urgenza. Ci sarà pure un motivo se la Commissione europea ha ritenuto necessario allentare i vincoli comunitari per dare modo agli Stati membri di costruire politiche di sostegno all'economia, così come hanno fatto i principali Paesi europei, che hanno adottato provvedimenti includendo misure specifiche per il rilancio competitivo del settore agricolo e della pesca. Si guardi alla Francia, che ha varato un piano di 250 milioni di euro per sostenere i redditi delle imprese agricole e della pesca.
La situazione del settore pesca è veramente grave, i provvedimenti assunti, o meglio quelli non assunti, dal Governo, spingono verso una marginalizzazione del settore, che pure risulta essere importante, sia in termini di occupazione, che per la produzione di parte del settore agroalimentare.
Le forti oscillazioni del costo del gasolio, che ha avuto impennate pesantissime come quella della scorsa estate, ogni qualvolta si ripresentano, e ciò avviene con una certa frequenza, fanno scoppiare tutte le contraddizioni e mettono a nudo tutte le criticità del settore. L'incidenza del costo del gasolio per il settore pesca non è comparabile con nessun'altra attività produttiva. In alcuni casi raggiunge il 60 per cento dei costi di produzione, come per la pesca a strascico, mentre mediamente rappresenta il 32 per cento per tutte le altre attività di pesca. Ciò significa che su mille euro seicento sono destinati al carburante, riducendo in questo modo possibili ricavi. Nella consapevolezza che per svolgere l'attività giornaliera mediamente si utilizzano 2.500 litri di combustibile, è del tutto evidente che se le percentuali dei costi di produzione sono così elevati la categoria non riesce a scaricare sui prezzi finali dei prodotti tutti i maggiori costi.
Considerando, poi, anche l'eccessiva frantumazione della distribuzione, la polverizzazione dei punti di sbarco, le dimensioni Pag. 18ridotte delle imprese, la loro insufficiente capitalizzazione, nonché la concorrenza dei Paesi terzi ed asiatici e l'incapacità delle imprese di pesca di entrare nel labirinto che porta i prodotti ittici al consumatore passando, in molti casi, per l'industria di trasformazione che vede lievitare i prezzi all'origine fino al 200 per cento, tutto ciò diventa una situazione fortemente critica.
Di fronte a tutto ciò come si può far finta di nulla? Da qui la necessità di dar luogo ad almeno una discussione in quest'Aula, attraverso questa mozione. Avremmo voluto farlo sui provvedimenti, eravamo e siamo pronti ad assumerci le nostre responsabilità producendo nostre proposte come sempre abbiamo fatto in Commissione, ma purtroppo la lontananza del Governo su questi problemi ci preoccupa e per questo abbiamo assunto tale iniziativa.
Continuiamo ad affermare che questa è una crisi strutturale del settore a cui non si può rispondere con il nulla o, nella migliore delle ipotesi, con provvedimenti tampone inseriti in questo o in quel decreto-legge. Continuiamo ad insistere perché nel settore della pesca, così come in quello dell'agricoltura, ci siano provvedimenti che entrino nel vivo delle criticità, che affrontino i nodi veri, altrimenti assisteremo ad un lento, ma progressivo abbandono di un settore produttivo che continuiamo a credere sia importante per il nostro Paese.
Come già detto in precedenza, il gruppo del Partito Democratico in Commissione si è detto - e lo ha dimostrato più volte - disponibile a ragionare insieme su quali interventi realizzare, su come attuarli, a quali dare la priorità. Lo abbiamo fatto con costanza e con serietà, producendo risoluzioni, emendamenti di modifica o di integrazione di provvedimenti che solo marginalmente ed in maniera poco significativa hanno affrontato il problema della crisi del settore ittico.
Questa nostra disponibilità non è stata mai colta; anzi, a volte ci siamo trovati di fronte non solo al silenzio del Governo rispetto ai nostri interrogativi e alle nostre proposte, ma addirittura ci si è trovati dinanzi a vere e proprie prese in giro, come nel caso del decreto milleproroghe dove il Ministro dell'economia ha abrogato e soppresso disposizioni a sostegno dell'agricoltura e della pesca, approvate solo qualche ora prima dal Parlamento.
Siamo consapevoli che le politiche del settore non passano solo attraverso la dimensione nazionale. Quindi, oggi più che mai per il settore dell'agricoltura e della pesca penso sia necessario considerare l'Europa la sede nella quale costruire le politiche per il settore.

PRESIDENTE. Onorevole Agostini, la prego di concludere.

LUCIANO AGOSTINI. Quindi, non si può, come accade con una certa frequenza ai rappresentati del Governo, demonizzare l'Europa, quando poi questa è la sede entro cui gli Stati membri agiscono; né tutto può ridursi solo a trattative parziali, come è avvenuto per le quote latte, dove abbiamo visto il Ministro impegnarsi per portare a casa risultati davvero modesti con l'aggravante di aver dimenticato tutto il resto.
Anche in questo caso, è inutile ricordare come il nostro contributo sia stato positivo sostenendo, come avvenuto per la revisione della PAC, la trattativa in sede europea del Governo italiano, approvando in Commissione un documento unitario che però ha sortito pochi effetti: il Ministro si è concentrato solo sulle quote latte.

PRESIDENTE. Onorevole Agostini, deve concludere.

LUCIANO AGOSTINI. Ho concluso, signor Presidente. Abbiamo presentato una proposta di legge sulla pesca con importanti e significative proposte.
Signor sottosegretario, vista la sua sensibilità per il settore, credo che sappia cogliere questa occasione per un confronto vero e per porre tale tema subito in discussione. Il settore della pesca, così come quello dell'agricoltura, non può più aspettare: ci vogliono parole chiare e provvedimenti Pag. 19certi. Il settore, gli operatori e le imprese vogliono che si aggrediscano i problemi veri. Noi siamo pronti con le nostre proposte e aspettiamo le risposte del Governo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.
Il seguito della discussione è, pertanto, rinviato ad altra seduta.

Discussione della mozione Maran ed altri n. 1-00140 concernente iniziative volte a sostenere il processo di riconciliazione nazionale in Somalia (ore 16,25).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Maran ed altri n. 1-00140, concernente iniziative volte a sostenere il processo di riconciliazione nazionale in Somalia (Vedi l'allegato A - Mozioni).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
Avverto che sono state presentate le mozioni Pianetta, Dozzo, Lombardo ed altri n. 1-00209, Vietti ed altri n. 1-00210 ed Evangelisti ed altri n. 1-00215 (Vedi l'allegato A - Mozioni) che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente. I relativi testi sono in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritto a parlare l'onorevole Evangelisti, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00215. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, mi permetta di rivolgere un ringraziamento agli esponenti del Partito Democratico e, in particolare, all'onorevole Barbi, che mi permette di illustrare per primo e preventivamente questa mozione a differenza di quanto era stato originariamente stabilito.
Quello a cui in questi ultimi giorni stiamo assistendo, ciò che sta accadendo in Somalia, mi riferisco a situazioni di assoluta ingovernabilità, ai ripetuti massacri, agli atti di pirateria che dall'inizio dell'anno si stanno moltiplicando - pensi, signor Presidente, che venti navi sono state sequestrate e duecentotrenta membri di equipaggio sono trattenuti lì come scudi umani, e fra le navi vi sono anche quelle italiane, come la Buccaneer che ha a bordo sedici marinai, di cui dieci italiani, ormai allo stremo - è anche frutto, dobbiamo riconoscerlo, di una sottovalutazione della comunità internazionale sulla degenerazione di un conflitto che perdura ormai da diciotto anni, ovvero dal giorno in cui fu cacciato il dittatore Siad Barre nel 1991.
È vero, ha ragione il Presidente Obama quando l'altro giorno, parlando ad Accra, in Ghana, ha ricordato che certe vicende interne ai Paesi africani non sono tutte attribuibili al colonialismo e alle responsabilità dell'Occidente, ma che vi sono anche responsabilità proprie di questi Paesi in cui spesso il ricorso è all'uomo forte anziché ad istituzioni forti. Però, la vicenda della Somalia presenta anche elementi di sottovalutazione.
Le ultimi terribili notizie che ci giungono da quella regione riguardano la decapitazione, qualche giorno fa, da parte di miliziani somali del gruppo al Shabaab (che vuol dire giovani, gioventù in arabo) che hanno decapitato sette persone a Baidoa dove risiede il Governo provvisorio somalo. L'accusa che è stata rivolta a questi poveri disgraziati dai miliziani è di aver tradito la religione islamica, di essere dei cristiani e, di conseguenza, delle spie. Pag. 20
Inoltre, voglio ricordare l'uccisione, pochi giorni fa, del Ministro per la sicurezza, Omar Hashi, considerato uomo chiave nella guerra che vede contrapposti gli Shabaab alle forze governative, a seguito dei sempre più frequenti attacchi kamikaze che hanno procurato finora centinaia di morti, soprattutto tra i militari e le forze di polizia.
Pur nella loro tragicità, questi due episodi che ho appena ricordato rappresentano, però, soltanto gli ultimi tasselli di un'escalation di violenza che, con notevole ritardo - lo sottolineo - comincia a preoccupare seriamente anche l'Unione europea. Certo, la Comunità europea non è tanto preoccupata per quello che è successo nell'ultima settimana, lo ripeto, si era già attivata per far fronte ad un'inaccettabile situazione dovuta agli atti di pirateria, al sequestro delle navi che ricordavo all'inizio del mio intervento, delle navi che passano attraverso il Golfo arabo, e quindi davanti alle coste del Corno D'Africa. L'idea ovviamente è quella di tutelare gli interessi economici importanti, anzi importantissimi, che sono legati al transito in quella parte dell'Oceano indiano e del Golfo di Aden, ma non si possono tutelare tali interessi se non si risolve il problema somalo.
Tuttavia, occorre anche dire che gli sforzi della comunità internazionale sono apparsi finora deboli e comunque in ritardo rispetto alla realtà che quotidianamente si presenta sempre più fuori controllo e che rischia di sfuggire completamente di mano. Gli insorti fondamentalisti, infatti, controllano ormai gran parte del Paese e alcuni dei più importanti quartieri della capitale, dove gli unici rimasti a presidiare, a proteggere il palazzo presidenziale, il porto e l'aeroporto sono gli oltre quattromila militari della missione panafricana AMISOM, che è autorizzata dalle Nazioni Unite fin dal febbraio 2007, proprio per assicurare - queste erano le intenzioni - la sicurezza e la pace dopo la guerra del 2006, ma anche per assicurare la protezione dei membri del Congresso, per la riconciliazione nazionale somala e la messa in sicurezza delle infrastrutture chiave.
In questo contesto va anche sottolineato che il Parlamento somalo, ormai, è più che altro una finzione, una parvenza: non si può infatti riunire perché, lo apprendiamo dalle agenzie di stampa, duecentottantotto dei suoi cinquecentocinquanta membri sono all'estero, in visita ufficiale; ma è del tutto evidente che la loro assenza dal Paese è legata alla scarsa tutela dei parlamentari stessi costretti a scappare dalla guerriglia islamica. Proprio lo scorso 19 giugno, un parlamentare somalo è stato ucciso a Mogadiscio a colpi di arma da fuoco da parte di uomini armati.
La realtà preoccupante è che questa gioventù islamica risulta, a detta anche del comando dei militari dell'AMISOM, difficile da sconfiggere perché ben organizzata in cellule, ben infiltrata tra la popolazione civile e, soprattutto, con nuovi sostenitori, i cosiddetti mujaheddin stranieri, provenienti da Paesi come l'Afghanistan, la Cecenia, il Pakistan, l'Iraq.
Tutto ciò si coniuga pericolosamente con il fatto che, tra miseria e disperazione, la Somalia sta diventando sempre più un habitat naturale per l'azione di propaganda di Al Qaeda, che sta creando di conseguenza una generazione di giovani e giovanissimi combattenti devoti alla jihad, ragazzi che finora non hanno conosciuto altro che guerre e miserie.
Purtroppo, alla preoccupante situazione politica si aggiunge quella umanitaria, fermo restando che gli aiuti umanitari sono ancora, pur quanto non risolutivi, l'ultima spiaggia (e non voglio usare altre espressioni) per gli aiuti dell'Occidente. Ciò ancor più in questi mesi che hanno visto peggiorare le condizioni di sicurezza con la conseguenza di aver ridotto la distribuzione degli aiuti stessi proprio là dove ce ne era più disperato bisogno.
L'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) riferisce con preoccupazione che la spirale di violenza sta mettendo in fuga la popolazione. Sono ormai circa un milione gli sfollati riparati Pag. 21per la maggior parte nei Paesi di confine, o in zone più interne e più sicure della Somalia.
Come inciso, ricordo che lo scorso maggio noi abbiamo fatto una roboante azione di respingimento verso la Libia di un barcone carico di immigrati clandestini (così ci è stato detto). Si è trattato di un'operazione di facciata perché sappiamo bene che alcuni di essi, per non dire la maggior parte, erano somali ed eritrei che fuggivano dalla drammatica situazione che ho appena descritta per approdare in Italia. Questi erano in disperata ricerca di rifugio, quindi con il pieno e sacrosanto diritto di chiedere asilo politico qualora fosse stata data loro questa possibilità.
Malgrado la grande preoccupazione che questa realtà ci consegna, ci sono certamente spazi di agibilità politica e diplomatica per tentare di circoscrivere lo sfacelo che sta attraversando la Somalia. Ed è proprio questo l'intento della mozione presentata dal gruppo dell'Italia dei Valori, ma con una consonanza di fondo con quello che hanno fatto altri gruppi, in particolare il gruppo del Partito Democratico che per primo ha depositato un atto in questo senso.
Gli antichi legami storici confermano ancora oggi che per questo martoriato Paese l'Italia rimane il principale punto di riferimento e, dunque, in uno dei dispositivi della nostra mozione invitiamo il Governo a candidarsi come interlocutore per la ripresa del dialogo e della pacificazione tra le varie fazioni che si contendono il controllo del territorio somalo.
Occorre, però, un'azione tempestiva e che la diplomazia italiana assuma una forte leadership e la eserciti in ambito europeo ed internazionale, e che agisca di concerto con l'Unione africana a sostegno di quell'importante accordo siglato nel luglio 2008 a Gibuti che, se lei me lo permette, signor Presidente, poi depositerei presso la Presidenza.
Lo spirito dell'accordo di Gibuti va recuperato perché può ancora costituire un punto di partenza per arrivare ad uno soluzione politica e a una riconciliazione della Somalia per far marciare più speditamente il processo di pace.
L'accordo non contiene solo dichiarazioni politiche sulla cessazione delle ostilità, sul ritiro dei soldati etiopici o sulla prosecuzione del dialogo, ma auspica anche la creazione di due organismi, entrambi presieduti dalle Nazioni Unite, con lo scopo di proseguire il confronto e verificare che i punti dell'accordo di Gibuti vengano rispettati.
Infine, proprio per dare ascolto agli allarmi lanciati dall'attuale presidente somalo, occorre agire perché la Somalia eviti di diventare quello che, con un azzardo lessicale, arrivo a definire il nuovo Afghanistan africano, ovviamente con una «talebanizzazione» del territorio. Occorre anche evitare una preventiva esclusione di quell'Islam moderato di cui è espressione proprio l'attuale Presidente, perché ciò rischierebbe di radicalizzare ancora di più le posizioni che sono già estremamente articolate e diversificate e non terrebbe in debito conto che la volontà popolare, anche se in una situazione di grande caos, sembra orientata (e sottolineo sembra) verso una presenza islamica moderata nel Governo del Paese.
La questione somala ovviamente non si gioca solo all'interno di quel Paese in quanto il fronte si è ormai allargato, il conflitto è debordato anche nei paesi viciniori, penso all'Etiopia e all'Eritrea, ma probabilmente coinvolge anche l'Arabia Saudita, il Kuwait, lo Yemen.
In tal senso, riteniamo, quindi, che questa debba essere l'occasione affinché il nostro Paese si faccia promotore di una conferenza di pace allargata a tutta la regione, con il coinvolgimento - lo ripeto - dell'Unione africana, in primo luogo, così come è accaduto nel maggio scorso, ad esempio, a Trieste per affrontare la questione afghana.
Non appaia esagerato, ma agire in fretta è assolutamente necessario, perché ogni giorno diventa sempre più determinante per la sorte della Somalia e per la pace in quella difficile regione. Pag. 22
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. Onorevole Evangelisti, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritto a parlare l'onorevole Barbi, che illustrerà anche la mozione Maran ed altri n. 1-00140, di cui è cofirmatario.

MARIO BARBI. Signor Presidente, la mozione del Partito Democratico che mi accingo ad illustrare attira l'attenzione sulla Somalia e chiede al Governo un impegno rafforzato a livello europeo ed internazionale.
Quando il Partito Democratico presentò la mozione, in marzo, la situazione in Somalia era difficile, ma vi erano speranze di avanzamento del processo di pacificazione nazionale.
Sono trascorsi alcuni mesi, quelle speranze sono diminuite, la situazione si è molto deteriorata. Il collega Evangelisti, in apertura del suo intervento, poco fa, ricordava singoli episodi di violenze efferate, che confermano questa situazione.
Da Mogadiscio ci giungono notizie allarmanti e contraddittorie di scontri tra le truppe regolari somale e gli insorti islamisti, che minacciano addirittura lo stesso palazzo presidenziale.
Per la prima volta, sarebbero intervenute militarmente anche le truppe di AMISOM, la missione di pace panafricana per la Somalia. Il sostegno al Governo di transizione va mantenuto, non c'è altra strada, ma occorre fare molto di più e molto urgentemente.
Occorre recuperare i ritardi e gli errori commessi dal Governo somalo e anche dalla comunità internazionale, occorre più supporto e coinvolgimento europeo ed anche americano nell'azione dell'Unione africana e dell'IGAD, l'Autorità intergovernativa per lo sviluppo che riunisce Etiopia, Kenya, Sudan, Uganda, Somalia e Gibuti.
È di grande importanza la disponibilità della nuova amministrazione americana a rivedere gli schematismi della precedente amministrazione.
Fino a ieri, la Somalia era in un cono d'ombra, nonostante l'attenzione del G8 per l'Africa; ora non è così e per ragioni che preferiremmo non dovere considerare. Non che sia mancato l'impegno o l'assistenza della comunità internazionale, ma in esso ci sono troppi ritardi: la questione della pirateria, effetto e non causa della crisi nel Corno d'Africa, ha, per esempio, finito per dominare la riunione del 9 e 10 giorno scorso a Roma del gruppo internazionale di contatto per la Somalia, gruppo nato nel giugno 2006, in cui vi sono Italia, Stati Uniti, Norvegia, Svezia, Tanzania, Gran Bretagna, l'Unione europea e, come osservatori, l'Unione africana, l'Autorità intergovernativa per lo sviluppo (IGAD), la Lega araba e le Nazioni Unite. Non sono arrivati in Somalia quegli ingenti aiuti per la sicurezza annunciati a Bruxelles il 23 aprile, al termine di un'importante conferenza dei Paesi donatori, convocata dal Segretario generale dell'ONU ed ospitata dal Consiglio europeo.
Anche questi ritardi e la mancanza di un'iniziativa politica adeguata hanno favorito il lancio dell'offensiva degli shabaab, i giovani fondamentalisti islamici.
In Somalia è emergenza umanitaria, sempre più persone fuggono da Mogadiscio e da altre aree del Paese, aumenta i casi di malnutrizione, si sono manifestati diversi focolai di morbillo nella zona centrale del Paese, ma è evidente che l'emergenza umanitaria, così come la pirateria, sono gli effetti di un problema politico di cui non si vede ancora una convincente soluzione.
Da quasi vent'anni, dalla fine del regime di Siad Barre nel 1991, la Somalia è preda dell'instabilità. La statualità si è sbriciolata, il nord del Somaliland e il Puntland si sono praticamente staccati dal resto del Paese e altri territori vogliono seguire il loro esempio.
Si è ritornati alla partizione coloniale, alla situazione pre-indipendenza che fu proclamata il 1o luglio 1960. La Somalia, la parte centrale e meridionale del Paese, che furono colonia italiana con al centro Pag. 23Mogadiscio, circa un milione e mezzo di abitanti su un totale di 8,5 milioni, sembra fuori controllo anche ora, a cinque anni dall'inizio del più recente tentativo di pacificazione.
Dagli infelici anni Novanta, segnati dalle fallimentari missioni di pace internazionali, la Somalia è stata teatro di una guerra civile ad intensità variabile, che ha visto crescere signori della guerra e movimenti islamisti di diverso orientamento, che arrivano fino a gruppi fondamentalisti legati ad Al Qaeda.
È solo nel 2004, sullo sfondo di quei fallimenti e di quelle violenze, che inizia il rinnovato tentativo di pacificazione, tuttora in corso, assecondato dalla comunità internazionale e guidato da un Congresso, da un Parlamento di transizione, da un Governo e da un Capo dello Stato che adesso dovrebbero rispondere.
È un processo difficile ed è minato dall'esterno: non hanno aiutato, per esempio, le truppe etiopiche, chiamate in aiuto, a fine 2006, dall'allora Governo somalo contro l'opposizione delle milizie delle corti islamiche, che sono state considerate dai somali semplicemente truppe di occupazione, mentre l'Eritrea, che è in conflitto con l'Etiopia, ha fornito il suo appoggio alle corti islamiche, che si opponevano al processo di transizione e all'allora Capo dello Stato, considerato filoetiopico, Abdullahi Yusuf Ahmed.
Questa dimensione regionale della crisi non è sufficientemente considerata e chiama in causa la più ampia comunità internazionale, a partire dall'Italia per evidenti ragioni storiche, e dall'Unione europea, per giungere all'ONU e all'Unione Africana, perché la crisi somala non potrà essere risolta senza il concorso positivo dei suoi vicini, senza una dimensione di cooperazione regionale.
È una questione attualissima, perché è di oggi la notizia che l'Igad, l'autorità intergovernativa per lo sviluppo che unisce i Paesi del Corno d'Africa, chiede all'ONU di rivedere le regole di ingaggio dei 4.300 militari dell'AMISOM, perché possano essere impiegati attivamente e direttamente contro le milizie islamiche, ed inoltre chiede all'ONU di rivedere la risoluzione n. 1725 del 2006, che impedisce l'intervento dei Paesi vicini, perché - sostiene in questo caso il Governo etiope - in Somalia vi sarebbero 2.500 combattenti stranieri e perciò la crisi non riguarderebbe più soltanto la Somalia, ma anche l'intera regione. Si aprono scenari preoccupanti, che allarmano ancora di più alla luce delle notizie che già citavo all'inizio.
Tuttavia, il 2009 si era aperto nel segno di una speranza piuttosto forte, prima con il ritiro, concluso in gennaio, delle truppe etiopiche, e poi, ad apparente conferma di un impulso rinnovato del processo di pacificazione, con la conclusione positiva della sessione del Parlamento allargato somalo, riunita a Gibuti il 31 gennaio 2009, che ha portato all'elezione del nuovo Presidente, ora in carica, Sheik Sharif Ahmed, esponente moderato delle corti islamiche, accolto dalla comunità internazionale con sollievo come l'unico in grado di portare la pace in un Paese devastato da quasi 20 anni di guerra.
La sua nomina andava nella direzione del percorso indicato dall'accordo di pacificazione di Gibuti, citato dall'intervento del collega Evangelisti, firmato nell'agosto scorso e che faceva perno proprio su un coinvolgimento della componente moderata delle corti islamiche, al fine di ottenere un maggiore consenso popolare e allontanare la minaccia di infiltrazione e di controllo del movimento islamico somalo da parte di Al Qaeda, processo ora favorito dalla nuova Presidenza americana, più incline a riconoscere la natura composita e differenziata delle corti islamiche.
Ci chiediamo, però, se il Presidente Sheik Sharif, sul quale si punta per costruire una leadership politica che abbia il sostegno popolare, abbia effettivamente i mezzi per affrontare una duplice opposizione che si trova a contrastare: l'una in seno alle stesse istituzioni transitorie, rappresentata dagli esponenti del Parlamento che sostenevano il suo predecessore, Abdullahi Yusuf, e la sua politica filoetiopica, l'altra rappresentata da una posizione interna al movimento islamista riunita nel Pag. 24partito islamico e che, peraltro, esclude la parte rappresentata da Al Shabaab (significa «gioventù» in arabo: anche questo è stato ricordato prima) e che rappresenta le istanze più radicali e fondamentaliste e rischia di avere il sopravvento nel controllo del Paese.
Sono loro che contendono al Governo il controllo di Mogadiscio ed è della loro giustizia, fatta di decapitazioni, mani e piedi tagliati ai ladruncoli, che abbiamo avuto notizie in questi giorni.
È difficile immaginare che il Presidente Sheik Sharif ed il suo Primo Ministro Omar Abdirashid Ali Sharmarke possano ottenere un livello di sicurezza interno che favorisca la stabilità politica e la soluzione della crisi umanitaria senza un dialogo inclusivo delle opposizioni, e dall'altro senza la capacità della comunità internazionale di favorire effettivamente tale dialogo. Si è detto che la nuova leadership somala è nata forte all'estero ed è debole in patria; certo non aiuta che siano fuggiti all'estero anche molti parlamentari somali e anche che l'ONU non abbia base in Somalia, bensì a Nairobi.
Nel difficile processo di riconciliazione nazionale il possibile punto di equilibrio generalmente accettato potrebbe essere quello di uno stato islamico, seppure in una versione moderata, dialogante e federale, capace di riassorbire la dissidenza nazionale del Puntland, e di avviare con il Somaliland relazioni di buon vicinato. Alcune forze del Somaliland hanno avviato iniziative per contrastare il fenomeno della pirateria: occorre che i partner europei potenzino alcune forme di collaborazione con tale area, in stretto raccordo con le istituzioni federali transitorie a Mogadiscio.
L'emergenza umanitaria, ancora, è la più grave crisi dell'Africa e che investe in particolare il centrosud del Paese: questa è l'eredità più gravosa che l'ex Presidente Abdullahi Yusuf lascia alle nuove istituzioni di transizione. Un ruolo positivo potrà essere giocato dalla comunità internazionale, ma anche dalla folta diaspora somala residente all'estero e dalle sue rimesse. Lo scorso agosto le Nazioni Unite calcolavano che in Somalia più di tre milioni di persone avessero bisogno di aiuti umanitari e che il numero degli sfollati superasse il milione.
In base a questi dati, quasi la metà della popolazione somala è dipendente da aiuti esterni a causa del conflitto, anche a causa della siccità, dell'aumento dei prezzi dei generi alimentari, della mancanza di strutture sanitarie di base, e circa il 30 per cento della popolazione non ha accesso all'acqua potabile.
Gli aiuti dunque restano fondamentali: Stati Uniti, Gran Bretagna, Norvegia, Unione europea sono in testa alla classifica dei donatori. Ricordavo prima che il 22 e 23 aprile scorsi si è svolta la conferenza dei donatori a Bruxelles, organizzata da ONU, Unione Africana ed Unione europea per sostenere la missione di pace dell'Unione Africana in Somalia, e per favorire - e questo è un dato particolarmente importante, ma anche in ritardo, che menzionavo - il ripristino delle forze di sicurezza somale, e rafforzare lo stato di diritto e facilitare il processo di riconciliazione nazionale.
Vorrei qui ricordare che nella stessa direzione sembra andare anche il Governo italiano, che in occasione del XV vertice del Gruppo internazionale di contatto sulla Somalia, lo scorso giugno a Roma, ha ribadito l'impegno antipirateria; e inoltre, sul fronte degli aiuti, il Ministro degli esteri Frattini ha annunciato un rafforzamento degli interventi in ambito ONU in favore della stabilizzazione delle istituzioni somale e per sostenere gli accordi di Gibuti. Sempre in quell'occasione, il Ministro Frattini ha annunciato la possibile riapertura della nostra ambasciata in Somalia: ci piacerebbe sapere dal Governo, e in modo personale dal sottosegretario Scotti, se vi siano novità in questo senso, se questa intenzione abbia fatto dei passi in avanti, se vi siano dei progetti in questa direzione.
Fino ad oggi, comunque, il bilancio che dobbiamo trarre è quello che la presenza internazionale nell'area merita un giudizio piuttosto critico: spettava alle Nazioni Unite guidare e sostenere il processo di Pag. 25transizione e di rafforzamento a livello centrale, regionale e distrettuale delle istituzioni somale. Non avere consolidato tali istituzioni, specie a livello regionale, ha favorito l'espansione sul territorio degli Shabaab, i giovani mujaheddin la cui forza è stata sottovalutata sistematicamente.
Non vi è alternativa al dialogo tra somali, ma favorirlo significa non predeterminarne i temi e le conclusioni.
Occorrerebbe perciò operare per creare una rete di sostegno internazionale in grado di facilitare tale dialogo, intervenendo a sostegno della società civile somala. Un esempio è quello della Somali woman agenda, una rete che rappresenta 50 mila donne somale...

PRESIDENTE. La prego di concludere.

MARIO BARBI. Le domanderei due minuti per concludere, signor Presidente. La Somali woman agenda - dicevo - rappresenta circa 50 mila donne somale, che, operando in una dimensione inter-clanica, lavorano a vari livelli per la ricostruzione del Paese.
Il Governo italiano ha promesso in varie occasioni di voler continuare ad essere di utile orientamento, anche nel quadro della Presidenza del G8, quale esperto per iniziative di pace nel Corno d'Africa, e si è impegnato a sostegno del Governo di transizione. Noi lo esortiamo a farlo: in considerazione dei suoi legami storici con la Somalia e del suo ruolo nel Corno d'Africa, nonché del ruolo di primo piano svolto nella gestione del processo di pace durante la conferenza di Nairobi, come presidente dell'IPF, l'organizzazione dei Paesi donatori, l'Italia dovrebbe fare il massimo per la ripresa del dialogo fra gli attori regionali.
L'Italia ha sempre opportunamente agito in coordinamento con l'Unione Europea. L'Europa dovrebbe avere un ruolo politico più incisivo e un'unica voce nella politica specifica per il Corno d'Africa. Chiediamo pertanto che l'Italia si faccia interprete in sede europea della richiesta di nomina di un inviato speciale plenipotenziario per il Corno d'Africa, il che segnerebbe un'importante inversione di rotta dell'impegno europeo su questo fronte (peraltro, vi sono interessanti aperture in questo senso da parte dell'Alto rappresentante Solana).
Oltre a questo fondamentale impegno, considerando che il ruolo dell'Italia nell'area rischia di essere indebolito anche da scelte interne al Governo, quali l'assenza di un sottosegretario con una specifica delega per l'Africa e di un inviato speciale italiano per la Somalia, noi chiediamo al Governo urgentemente - e sottolineo urgentemente - anzitutto di farsi promotore, in relazione alla nuova fase politico-istituzionale, di nuove iniziative politico-diplomatiche nell'ambito dei preposti organismi internazionali, allo scopo di sostenere il processo di una riconciliazione nazionale inclusiva di tutte le forze presenti nel Paese e di appoggiare il processo di dialogo, pacificazione e stabilizzazione auspicato dalla popolazione somala; di sostenere un'azione sinergica fra Nazioni Unite, IGAD e IPF, anche mediante la conclusione di un formale accordo di partnership; di sostenere l'azione della Somali woman agenda, conformemente alla risoluzione n. 1325 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite; di farsi promotore, in sede europea, della nomina di un inviato speciale per il Corno d'Africa, come già detto; di rilanciare il ruolo italiano nell'area, influente per i legami storici, per i rapporti politici costruiti in questi anni, per l'equilibrio e l'autorevolezza che vengono riconosciuti alla nostra azione diplomatica, avanzando candidature italiane a ricoprire gli incarichi internazionali che si auspica vengano assegnati nelle opportune sedi.
La ringrazio dell'indulgenza, signor Presidente.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pianetta, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00209. Ne ha facoltà.

ENRICO PIANETTA. Signor Presidente, la Somalia è una terra in cui lo Stato è precario e imperano miseria e violenza.

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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ANTONIO LEONE (ore 16,55)

ENRICO PIANETTA. Si tratta di un Paese caratterizzato da una crisi con aspetti umanitari, di sicurezza e politici che, oltre a quelle già in atto, ha come potenziali conseguenze un forte pericolo e una grande destabilizzazione a livello internazionale.
Suo malgrado, la terra somala rappresenta nel contesto africano la linea di demarcazione di interessi e contrapposizioni geopolitiche, è teatro di scontro come potenziale base delle organizzazioni terroristiche e base per l'accesso a risorse energetiche e di controllo dei transiti commerciali.
Proprio in ragione del fatto che la Somalia rappresenta un nodo così importante, la sua valenza è ampia per quanto riguarda gli equilibri internazionali. Bisogna dunque dare atto al Governo italiano e al Ministro Frattini di tutta l'attenzione concreta espressa nei confronti di quest'area.
L'aver organizzato a Roma il 9 e 10 giugno scorsi la riunione dell'International Contact Group sulla Somalia ha rappresentato la volontà dell'Italia di tenere puntati i riflettori su questo nodo; inoltre, costituiscono ulteriore testimonianza di questa concreta attenzione gli aiuti di cooperazione allo sviluppo e la potenzialità a formare personale di polizia e della guardia costiera anche nel nostro Paese, al fine di migliorare le capacità di prevenzione e reazione delle forze somale.
Inoltre, lo stanziamento di 3 milioni di euro per il contingente dell'Unione africana in Somalia nonché l'impegno ad avviare le procedure per l'apertura dell'ambasciata italiana a Mogadiscio stanno a significare il voler essere capofila per contribuire a stabilizzare quest'area.
Del resto, il Presidente degli Stati Uniti d'America, Obama, nel suo terzo recente discorso di politica estera, dopo quelli del Cairo e di Mosca, ha sviluppato ad Accra, di fronte al Parlamento ghanese, un discorso importante, affermando che il futuro dell'Africa appartiene agli africani e che lo sviluppo dipende dal buongoverno ed è una responsabilità che incombe solo sugli africani; ma ha anche aggiunto che il genocidio in Darfur o il terrorismo in Somalia (appunto, il terrorismo in Somalia) non sono solo problemi africani, ma sfide globali che domandano una risposta globale, e che gli Stati Uniti d'America sono pronti a collaborare.
Anche il G8 ha espresso tanta attenzione sull'Africa. L'attenzione verso l'area africana da parte del G8 e del G14 de L'Aquila conferma la volontà dell'Italia - che ne ha coordinato l'agenda - di affrontare anche questioni umanitarie.
Quasi la metà dell'intera popolazione somala, più di 3 milioni di abitanti, a causa della situazione del conflitto interno, della siccità e dell'aumento dei prezzi dei prodotti alimentari è dipendente dagli aiuti esterni. Le Nazioni Unite hanno calcolato che il tasso di malnutrizione generale raggiunge il 71 per cento della popolazione, con punte superiori nel centro e nel sud del Paese; inoltre, la maggioranza della popolazione non ha assistenza sanitaria e circa un terzo non ha accesso all'acqua potabile (ed il rischio di malattie, soprattutto di quelle infettive, è quindi molto alto).
La richiesta di fondi per l'emergenza umanitaria cresce di anno in anno, ma la comunità internazionale non riesce a coprire il budget richiesto dalle Nazioni Unite, soprattutto nei settori dell'agricoltura, dell'istruzione e della sanità.
La corruzione molto diffusa si incarica di peggiorare ulteriormente la distribuzione anche degli aiuti umanitari; come è stato riportato da alcune fonti giornalistiche britanniche, tonnellate e tonnellate di cibo, anziché essere distribuite come aiuto del programma alimentare, sono trafugate e rivendute con la complicità di molti nei mercati di Mogadiscio: c'è da essere allibiti, ma questa è la realtà di questo Paese povero e ingovernabile dove, come conseguenza anche di questi fatti, un bambino su quattro muore prima di compiere cinque anni. Pag. 27
Inoltre, la povertà, il degrado sociale, l'anarchia e l'instabilità politica della Somalia hanno permesso lo sfruttamento abusivo del mare da parte di pescherecci stranieri e hanno portato alla miseria i pescatori somali; essi hanno così aderito ad un collegamento con le milizie locali, dapprima per contrastare i pescherecci stranieri, successivamente per mettere in atto redditizie manifestazioni criminali di pirateria.
In questo quadro, come è stato evidenziato dall'ammiraglio Giuseppe De Giorgi in una recentissima audizione presso la nostra Commissione affari esteri, le azioni piratesche in mare rappresentano gli effetti di un fenomeno le cui cause sono da ricercarsi nelle zone costiere, un territorio martoriato da decenni di corruzione, violenze, miseria, malattie e assenza di legalità.
Si registra così una nefasta alleanza tra i pescatori delle coste e i «signori della guerra» in un tratto di mare, il golfo di Aden e il bacino somalo, in cui transitano ogni anno oltre 25 mila navi, di cui oltre 1.500 legate a interessi nazionali e 600 delle quali battono bandiera italiana: un tratto di mare, tra l'altro, che per essere «acque non protette» costituisce anche il luogo di discariche criminali di materiali inquinanti e scorie di varia natura che hanno anche provocato malattie ai pescatori somali.
È un tratto di mare, ritornando agli aspetti dei transiti commerciali, solcato da navi con carichi energetici, in cui transita circa il 20 per cento dei 43 milioni di barili che ogni giorno sono trasportati via mare. Passiamo, quindi, comprendere quanto sia sensibile per noi quell'area, se pensiamo che il 40 per cento del nostro fabbisogno transita via Suez, anche perché, come veniva sottolineato sempre nell'audizione, un'eventuale perdita di centralità del Mediterraneo determinerebbe effetti devastanti per la nostra economia.
Le azioni di pirateria sono in aumento nelle acque somale. I primi segnali ci furono nel 2005 con l'attacco a due navi italiane. Il Governo italiano decise di effettuare una missione denominata «mare sicuro». Fu il primo Paese che diede un segnale molto preciso alla comunità internazionale perché si desse luogo ad interventi concreti. Ma le dimensioni del fenomeno crescono. Questa pirateria sta acquisendo sempre più le caratteristiche di un vero e proprio business: bassi investimenti, manodopera facilmente accessibile, alti rendimenti e rischi limitati. Gli aspetti negativi si fanno sentire. Da un punto di vista economico vi è stato, infatti, un incremento dei costi di trasporto dovuto all'innalzamento dei premi assicurativi (cresciuti anche oltre 100 volte), dei costi dei noli, dell'indennità del personale marittimo. Ma ancora più negativo è il sequestro di ostaggi e di navi. Il pensiero e la solidarietà va ai tanti marinai che sono ostaggi. Vogliamo esprimere la speranza che possano riacquistare presto la libertà. Le trattative spesso, però, sono molto lunghe ed i proventi dei riscatti sono utilizzati per finanziare i signori della guerra e il terrorismo degli estremisti islamici legati ad Al Qaeda (sembra che negli ultimi 18 mesi questi proventi abbiano superato i 100 milioni di dollari). Questa pirateria, dunque, oltre ad essere una minaccia alle libertà delle acque internazionali, è fonte di un incremento dell'instabilità dell'area somala che ne è stata a sua volta una concausa. È da valutare, quindi, molto positivamente l'impegno della marina italiana nelle acque del Corno d'Africa nell'ambito dell'operazione Atalanta dell'Unione europea e dell'operazione Allied Protector.
L'azione contro i pirati che hanno legami con il terrorismo e che, con i proventi, lo finanziano, non è la sola azione che la comunità internazionale può svolgere. Il pericolo è che la Somalia possa diventare la base da cui si possono sviluppare le azioni del terrorismo internazionale. La situazione è quanto mai precaria. Gli insorti islamici, gli Shabaab, che sono stato già richiamati precedentemente dai colleghi, legati Al Qaeda, stanno attaccando con azioni violente e capillari. L'esercito del Governo federale di transizione del Presidente Sheik Sharif Ahmed controlla solamente pochi quartieri di Mogadiscio Pag. 28e la parte nord del Paese. Un'azione quella degli shabaab cominciata lo scorso 7 maggio e che ha già fatto centinaia di morti, migliaia di feriti e oltre 200 mila sfollati. Sembra che siano arrivati dall'estero anche migliaia di miliziani che danno manforte agli shabaab. Soltanto 4.300 uomini della forza di pace dell'Unione africana, con regole di ingaggio non adeguate, si oppongono, insieme all'esercito governativo, presidiando le zone sensibili. È una situazione drammatica che all'inizio di quest'anno la comunità internazionale si augurava e sperava non accadesse. Il ritiro delle truppe etiopiche, un nuovo presidente, l'islamico moderato Sheik Sharif Ahmed, e un nuovo Parlamento di transizione, avevano posto le premesse per affrontare la crisi, ma, purtroppo, la situazione non è migliorata.
I risultati sperati non si sono avuti, e neppure l'istituzione della sharia voluta dal Governo di transizione per tenere buoni gli estremisti ha funzionato - il che è tutto dire -, ma ha dato luogo soltanto ad episodi aberranti come quelli del 3 luglio scorso: il taglio di una mano di un ragazzo accusato di aver rubato una mucca e un gruppo di shabaab che andava in giro con l'arto del ragazzo per mostrarlo alla popolazione. È questa la sharia ed il Presidente somalo è conscio, a questo punto, che da solo non può far fronte ai miliziani anche se è notizia di oggi che vi è stata una controffensiva governativa.
Per quanto riguarda l'Eritrea e l'Etiopia, l'una è accusata dall'Unione africana di fomentare i rivoltosi, l'altra, l'Etiopia, uscita con le sue truppe sul finire del 2008, ritiene di non volere più farsi coinvolgere in una situazione che appare senza uscita. Ma la Comunità internazionale non può responsabilmente accettare che la Somalia sia un'area devastata politicamente e senza Stato.
Come detto all'inizio, il nostro Ministro degli affari esteri ha correttamente promosso una riunione dell'International contact group, assumendo anche una posizione di pieno sostegno per le istituzioni somale di unità nazionale, e ha sottolineato l'utilità di includere anche le forze di opposizione per un consenso più ampio, ad esclusione ovviamente delle forze manifestamente terroristiche. A tale riguardo fa ben sperare la posizione dell'Organizzazione della conferenza islamica, che recentemente ha dichiarato che è diventato inevitabile un intervento della Comunità internazionale per recuperare l'ordine e la sicurezza in Somalia e per alleviare le sofferenze di questo martoriato popolo.
Con questa mozione - mi avvio alla conclusione - vogliamo dare il sostegno del Parlamento ed impegnare il nostro Governo a proseguire le azioni politiche e diplomatiche ai fini di un concreto e decisivo coinvolgimento della Comunità internazionale, e anche delle Nazioni unite, perché si dia sostegno alla Somalia. È per questo che chiediamo di intensificare gli sforzi per favorire l'avvio di un reale processo di pace in Somalia attraverso una politica di riconciliazione nazionale che sia inclusiva; che si dia sostegno alla ricostruzione delle strutture del Governo del Paese; che si dia luogo ad iniziative della Comunità internazionale per ricostituire realisticamente un tessuto economico e sociale. Vogliamo anche far sì che vi sia il sostegno per un'azione coordinata fra Nazioni unite, Unione europea, Unione africana, IGAD, in appoggio appunto alle Istituzioni federali transitorie.
Chiediamo anche il sostegno - è stato citato dal collega Barbi - alla Somali women agenda, per fare in modo che vi sia la capacità di dare integrazione alle politiche di pace e di sicurezza attraverso lo sviluppo. Anche la nomina di un rappresentante speciale dell'Unione europea è elemento di particolare interesse che noi vogliamo sostenere e proporre al Governo perché si impegni a fare in modo che ci sia la nomina di questo rappresentante. Infine, è necessario proseguire il rilancio ed il consolidamento del ruolo dell'Italia nell'area, sia per legami storici, sia per tutto ciò che rappresenta la capacità e l'interesse del nostro Paese in quell'area. Sono impegni che traggono origine da questioni umanitarie, da esigenze di sicurezza, dalla salvaguardia di equilibri politici e geostrategici, Pag. 29e anche per la difesa di tutto ciò che rappresenta il nostro interesse a livello internazionale.
Concludo, signor Presidente, dicendo che, in sede di dichiarazione di voto, interverrà la collega onorevole Margherita Boniver che, in quanto inviata speciale del Ministero degli affari esteri per le crisi umanitarie, darà un prezioso contributo a questo argomento, essendosi recata colà appunto per svolgere questa sua funzione (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.

(Intervento del Governo)

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il sottosegretario di Stato per gli affari esteri, Enzo Scotti.

ENZO SCOTTI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Signor Presidente, voglio ringraziare il Parlamento e i presentatori delle mozioni dei diversi gruppi, perché una sollecitazione e un indirizzo del Parlamento stesso, possibilmente unanime, costituisce un punto di ulteriore stimolo e forza per l'azione che il Governo sta sviluppando in Somalia. L'Italia è fortemente impegnata per la pace e la stabilità della Somalia.
Una pianificazione duratura è condizione indispensabile per lo sviluppo di questo martoriato Paese del Corno d'Africa e rappresenta un importante obiettivo dell'intera comunità internazionale, considerata la minaccia che il terrorismo e la pirateria - che proprio nell'instabilità affondano le loro radici - rappresentano per la sicurezza globale.
Il nostro Governo è stato tra i primi ad esprimere il proprio sostegno al nuovo Presidente somalo e al nuovo Governo federale transitorio di unità nazionale, importanti sviluppi istituzionali favoriti dall'Accordo intrasomalo di Gibuti. Va sottolineata la tenuta del Governo presieduto dal Primo ministro Ali Sharmarke (Esecutivo che include la componente moderata delle ex corti islamiche), nonostante il perdurare degli attacchi armati dei gruppi estremisti islamici degli shabaab.
La popolazione comincia a percepire la differenza tra il modello di governance proposto dal Governo federale transitorio e l'alternativa prospettata dagli shabaab, che nelle aree sotto il loro controllo hanno instaurato il regime del terrore. Questo giudizio è stato espresso nel corso del recente dibattito al Consiglio di sicurezza - che, come sapete, si è svolto il 9 luglio - da parte del rappresentante delle Nazioni Unite.
Sul piano internazionale, l'attenzione alla crisi somala e, più in generale, alla situazione del Corno d'Africa, si è, in questi mesi, fortemente ravvivata. Con specifico riguardo alla Somalia, ne sono testimonianza, in ordine di tempo: la «Conferenza dei donatori per la sicurezza» convocata dalle Nazioni Unite, d'intesa con l'Unione africana, ed ospitata a Bruxelles dalla Commissione europea il 22 e 23 aprile; il rapporto sulla Somalia del Segretario generale Ban Ki-moon al Consiglio di sicurezza del 16 aprile; la risoluzione del Consiglio di sicurezza n. 1872 del 26 maggio; le numerose riunioni del gruppo di contatto sulla pirateria e sui suoi sottogruppi di lavoro; il comunicato finale della riunione del gruppo internazionale di contatto sulla Somalia, che abbiamo ospitato a Roma il 9 e 10 giugno. Infine, le conclusioni sulla Somalia del Consiglio affari generali e relazioni estere dell'Unione europea del 18 maggio e quelle che saranno adottate dal prossimo Consiglio, sulla base di un documento di opzioni operative predisposto dal Segretariato generale del Consiglio e dalla Commissione europea.
Vanno, infine, segnalate le conclusioni sulla Somalia dell'Unione africana e dell'IGAD, nonché le parti relative alla Somalia delle dichiarazioni approvate dal G8, sotto Presidenza italiana. Nel comunicato finale di Trieste si reitera il sostegno al Governo federale transitorio; si Pag. 30riconosce la necessità di assistenza umanitaria e di aiuti allo sviluppo; si incoraggiano le nazioni africane a fornire truppe alla forza di pace AMISOM; si invita l'intera comunità internazionale ad ulteriori sforzi per favorire la sicurezza e la ripresa della Somalia.
Tutti i passaggi che ho citato sono la prova di un'intensa attività politico-diplomatica dispiegata dalla comunità internazionale a fronte degli sviluppi interni in Somalia, e a seguito delle preoccupanti dimensioni raggiunte dal fenomeno della pirateria al largo delle coste somale.
L'Italia ha sempre partecipato attivamente, svolgendo un ruolo di impulso e di stimolo. È il caso, ad esempio, della citata riunione del gruppo internazionale di contatto, che si è svolta nel mese di giugno a Roma. Il gruppo di contatto, di cui il nostro Paese è tra i membri fondatori, rappresenta il foro di consultazione tra gli attori internazionali maggiormente impegnati a favore del processo di pace in Somalia.
Nonostante gli incoraggianti progressi, la situazione in Somalia rimane, comunque, assai fluida e il Governo federale transitorio è chiamato ad un difficile compito. Ne sono prova gli scontri in corso negli ultimi giorni, che registrano su un piano meramente militare esiti alterni, ma una sostanziale tenuta delle forze governative e filogovernative.
Se queste sono riuscite finora a reggere all'offensiva degli estremisti islamici è anche grazie al sostegno delle forze della missione di pace africana AMISOM.
È da segnalare positivamente l'accordo del 21 giugno tra il Governo somalo e il movimento «Ahlu Sunna Wal Jama'a», sia perché ha consentito l'inclusione di ulteriori forze filo governative, sia perché tale movimento è l'unico che abbia già sconfitto gli shabaab nel dicembre scorso.
Per quanto riguarda la presunta notizia della decapitazione di cristiani da parte di militanti islamici, quella che si è in realtà verificata è l'esecuzione di due ex ufficiali della polizia, arrestati due settimane fa dagli shabaab in quanto sospettati di intese con il Governo federale transitorio. L'esecuzione sommaria non avrebbe, quindi, matrice religiosa, ma conferma comunque la gravità della situazione nelle zone controllate dagli shabaab e l'urgenza di sostenere il Governo federale transitorio nel tentativo di riprendere il controllo del territorio e di ristabilire accettabili condizioni di sicurezza in tutto il Paese.
L'intenzione del Governo somalo di riprendere l'iniziativa sul terreno rende in effetti - e come concordemente riconosciuto, da ultimo, anche nella citata riunione del Gruppo internazionale di contatto di Roma - ancora più indispensabile il supporto di una strategia internazionale efficace e onnicomprensiva.
Il gravissimo fenomeno della pirateria, che ha contribuito a ricondurre la crisi somala alla ribalta internazionale, è dovuto, infatti, alla profonda crisi politico-istituzionale, all'insicurezza sul terreno, ma anche alle difficili condizioni socio-economiche della popolazione, di cui ormai ben il 40 per cento dipende dagli aiuti internazionali.
È quindi necessario un forte contributo internazionale al settore della sicurezza, ma servono pure iniziative di sostegno alle amministrazioni locali per il controllo politico del territorio, aiuti umanitari, attività di early recovery e programmi di ricostruzione socio-economica. Quanto all'azione della «Somali Woman agenda», essa appare senz'altro meritevole di sostegno, soprattutto di fronte alle incognite relative al tipo di applicazione della sharia nel futuro ordinamento somalo. Il Governo italiano considera la prospettiva di genere quale parte integrante delle politiche di pace e di sicurezza.
L'Italia continua ad operare attivamente, in tutti i competenti consessi multilaterali, a favore della pace in Somalia e di un approccio internazionale alla crisi somala. L'Italia non fa mancare il suo importante contributo sul piano politico e diplomatico e su quello del sostegno finanziario. Abbiamo comunicato la decisione di avviare subito le procedure per riaprire l'ambasciata italiana a Mogadiscio. Alla Conferenza dei donatori di Bruxelles, l'impegno italiano a favore della Pag. 31Somalia è stato di 4 milioni di euro; tali fondi sono stati effettivamente erogati. Inoltre, in occasione della riunione di Roma del Gruppo internazionale di contatto, vivo ed unanime apprezzamento ha riscosso il nostro annuncio di un ulteriore contributo di 3 milioni di euro a valere sull'Italian Africa Peace Facility, d'intesa con l'Unione africana, di cui uno per AMISOM e due a favore delle forze di sicurezza somale e per il cosiddetto capacity building.
Sul versante degli aiuti umanitari, l'Italia ha erogato nel 2008 e nel 2009 oltre 7 milioni di euro per iniziative nei settori alimentare, sanitario, scolastico, abitativo, approvvigionamento idrico e forniture di generi di prima necessità. L'ultimo volo umanitario è dello scorso 15 maggio, per un valore di 393 mila euro. Sono state inviate 22 tonnellate di medicinali. L'Italia si appresta a finanziare un programma, per un ulteriore valore di 1,2 milioni di euro, elaborato d'intesa con UNOPS, nel campo delle strutture ospedaliere: nove ospedali e numerosi centri di assistenza, soprattutto focalizzati sulla salute materno-infantile.
Negli ultimi mesi si sono moltiplicati i contatti tra Italia e Somalia. All'inizio di aprile il Presidente Berlusconi, nel rispondere ad una lettera indirizzatagli dal Presidente somalo, ha ribadito la disponibilità dell'Italia ad offrire alla Somalia tutto l'appoggio necessario, anche con appropriati interventi sul fronte della ricostruzione. Il 6 aprile il Ministro Frattini ha incontrato a Roma il suo omologo somalo Omaar e il capo della diplomazia di Mogadiscio è stato poi seguito dal Primo Ministro. Ali Sharmarke è stato, infatti, nella capitale italiana dall'8 al 10 giugno ad ha avuto colloqui con il Presidente Berlusconi e con il Ministro Frattini.
Il Governo di Mogadiscio guarda al nostro Paese con rinnovata attenzione e grandi aspettative: è in atto, in effetti, un vero e proprio rilancio della nostra politica verso la Somalia. L'Italia intende svolgere un ruolo sempre più trainante negli sforzi internazionali per la soluzione della crisi somala. L'Italia è favorevole a sostenere l'ipotesi, già all'esame dei competenti organismi dell'Unione europea, di nomina di un inviato speciale per il Corno d'Africa.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

TESTO AGGIORNATO AL 14 LUGLIO 2009

Discussione della mozione Buttiglione ed altri n. 1-00192 concernente iniziative volte a contrastare l'uso dell'aborto come strumento di controllo demografico (ore 17,25).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Buttiglione ed altri n. 1-00192 concernente iniziative volte a contrastare l'uso dell'aborto come strumento di controllo demografico (Vedi l'allegato A - Mozioni).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
Avverto che sono state presentate le mozioni Barani, Laura Molteni, Commercio ed altri n. 1-00211, Farina Coscioni ed altri n. 1-00213, Mura ed altri n. 1-00214 e Livia Turco ed altri n. 1-00221 che vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verranno discusse congiuntamente. I relativi testi sono in distribuzione (Vedi l'allegato A - Mozioni).
Avverto altresì che la mozione Buttiglione ed altri n. 1-00192 è stata sottoscritta anche dall'onorevole Binetti.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritto a parlare l'onorevole Buttiglione, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00192. Ne ha facoltà.

ROCCO BUTTIGLIONE. Signor Presidente, la ringrazio due volte, anche perché Pag. 32so che lei ha lasciato importanti impegni all'estero per poter presiedere in questo momento, consentendomi di illustrare la mozione. La ringrazio anche di avere precisato che l'onorevole Binetti ha sottoscritto la mozione: ciò vuol dire che la mozione è nata da un dialogo che è andato oltre i confini di un singolo partito, e mi auguro che questo porti ad un consenso corale sul contenuto di questa mozione.
Da quando la Corte suprema degli Stati Uniti con la sentenza Roe versus Wade ha legalizzato l'aborto in quel grande Paese, si è aperta nella coscienza dell'Occidente una spaccatura che persiste fino al tempo presente. Ci siamo trovati a discutere infinite volte sul tema del diritto alla vita e del diritto alla scelta, e spero che questa lunga discussione abbia portato ambedue le parti ad una riflessione più profonda. Da un lato, sul fatto che è difficile e forse impossibile determinare qual è il momento iniziale a partire dal quale possiamo dire che un feto è un essere umano e, quindi, molto difficile negare che fin dall'inizio sia un essere umano. Non esistono salti biologici dall'embrione fino all'individuo adulto, e questo dovrebbe far riflettere chi ha sostenuto posizioni in difesa dell'aborto come diritto. D'altro canto è anche difficile negare che Dio affida il bambino alla madre in un modo del tutto particolare, tanto che la difesa dei diritti del bambino contro la madre è una difesa forse necessaria, ma forse anche impossibile. Pertanto quelli che, come me, hanno difeso fermamente il diritto alla vita, devono tutti riflettere su come sia possibile difendere questo piuttosto puntando sul rafforzamento dell'alleanza originaria, naturale, tra madre e bambino, che tentando di difenderlo senza la madre, o peggio, contro la madre.
Questo tipo di riflessioni si vanno facendo strada negli Stati Uniti, in Europa e anche in Italia, con importanti cambiamenti negli atteggiamenti dell'opinione pubblica. Due importanti recenti ricerche di opinione negli Stati Uniti ci dicono che, per esempio, in quel Paese la maggioranza è contraria all'aborto libero.
Ma l'iniziativa di questa mozione si inserisce non nella continuazione di quella disputa, ma in un tentativo di guardare oltre quella disputa, cominciando con il renderci conto che, mentre noi ci dividevamo tra pro choice e pro life, per la libertà di scelta e per la vita, nel mondo esistono miliardi di donne, le quali non hanno diritto di scelta per la vita, ed esiste una violazione contemporanea del diritto alla vita del bambino e del diritto di scelta della donna. Almeno in un quarto dell'umanità - probabilmente in una misura ancora più grande - abbiamo legislazioni le quali impongono alla donna l'aborto. L'aborto non è una scelta, ma un'imposizione. Si può dire che l'aborto in qualche modo è sempre un'imposizione, ma questo è piuttosto un concetto filosofico. In questo caso si tratta di un concetto chiaramente giuridico: per avere il secondo figlio occorre una speciale autorizzazione. Chi ha il secondo figlio senza tale speciale autorizzazione viene sottoposto a pesanti penalità. Non è possibile per la famiglia, né per la donna, decidere liberamente il numero dei figli che intende avere. Quindi, abbiamo un'aggressione contemporanea alla scelta, da un lato, e dall'altro anche al diritto alla vita del bambino.
Esistono Paesi, che coprono una fascia importante dell'umanità, in cui le donne sono ricattate, in cui esistono programmi che condizionano la concessione di importanti aiuti alla famiglia della donna all'accettazione di abortire. Esistono Paesi i quali sono essi stessi ricattati, nel senso che la concessione di aiuti è vincolata all'adozione di legislazioni abortive, che non vengono scelte liberamente dagli elettori di quei Paesi, ma vengono in qualche modo imposte da coloro che condizionano l'aiuto alla scelta a favore dell'aborto.
Come conseguenza di questo stato di cose, noi rileviamo fenomeni demografici inusuali, che non hanno spiegazione secondo le leggi tradizionali della demografia. Registriamo, per esempio, che in alcune aree del mondo - voi immaginate subito dove: prevalentemente nel sud est asiatico, ma non solo, anche in altre parti della Terra - si genera uno squilibrio Pag. 33molto forte tra i sessi, tra i nati maschi e le nate femmine. Si tratta di uno squilibrio che ha una precisa spiegazione: famiglie le quali possono avere soltanto un figlio preferiscono averlo maschio, perché lo considerano un lavoratore più efficace e capace di sostenere il futuro della famiglia, almeno secondo la loro tradizione culturale. Il risultato sono aborti di bambine, colpevoli solo di essere femmine, nell'ordine di decine o forse centinaia di milioni di unità, perché lo squilibrio di cui stiamo parlando ha raggiunto una cifra probabilmente vicina o superiore ai 100 milioni di unità.
L'aborto viene utilizzato come strumento di selezione sessuale, l'aborto viene usato come strumento di selezione genetica, secondo un progetto eugenetico che ricorda abbastanza da vicino quello che era il progetto genetico nazionalsocialista: si tenta di incrementare, attraverso l'uso dell'aborto, alcune facoltà e caratteristiche, razziali o di altra natura, le quali vengono considerate più desiderabili di altre. In tutto questo contesto noi abbiamo una comunità internazionale sostanzialmente silenziosa. Nessuno fino ad oggi ha posto con energia questi temi.
Crediamo sia venuto il tempo che questo invece venga fatto, e che venga fatto in Italia. Voi tutti ricordate la campagna per la moratoria sulla pena di morte.
L'Italia, a livello internazionale e mondiale, diversi anni fa ha iniziato una difficile battaglia per chiedere una moratoria sulla pena di morte. È stata una battaglia lunga, difficile, ci sono voluti molti anni ed è stata necessaria una grande mobilitazione dell'opinione pubblica, italiana e di altri Paesi, ma un numero crescente di Paesi ha riconosciuto la giustezza di quella battaglia, ha riconosciuto che la dignità e la vita dell'uomo hanno un valore così alto da non consentire la distruzione della vita umana, anche se colpevole. Partendo dal racconto biblico - nessuno tocchi Caino, la vendetta è mia, dice il Signore - l'uomo ha diritto di chiedere giustizia, ma non può negare a nessun uomo la speranza e la possibilità di un cambiamento del cuore e di una redenzione.
Noi chiediamo che l'Italia si faccia protagonista di una battaglia di eguale portata. Signor sottosegretario, so che questi argomenti la toccano personalmente, so quanto lei è stato impegnato in altre battaglie, ad esempio, quella sulla pena di morte, pertanto, chiediamo che il Governo italiano, e in modo particolare il Ministro degli affari esteri, si facciano carico della presentazione alle Nazioni unite di una risoluzione volta a condannare l'uso dell'aborto obbligatorio, a tutelare la libertà di scelta della donna, a condannare l'uso dell'aborto come strumento di selezione sessuale, nonché a condannare l'imposizione dell'aborto attraverso strumenti di ricatto e come strumento per la prevenzione delle nascite.
Tutti voi, anzi forse non tutti perché i più giovani non se ne ricorderanno, ma io ho memoria negli anni Sessanta del Club di Roma e della mentalità che allora si diffuse: siamo troppi, se continuiamo a riprodurci in questo modo tra poco sulla Terra non ci sarà lo spazio per stare in piedi tutti assieme, le risorse del mondo sono ormai esaurite e così via. Erano tutte previsioni francamente esagerate. I trend demografici si sono progressivamente appiattiti e sappiamo che da qui a qualche decennio raggiungeremo la crescita zero a livello mondiale. Anzi, il problema fondamentale che affrontiamo già oggi in Italia, ma presto l'affronteranno anche altri Paesi, è quello drammatico di un numero insufficiente di giovani per mantenere un numero troppo elevato di anziani: a questo è legato il problema delle pensioni, così come il problema del finanziamento della spesa sanitaria e anche quello del declino delle economie occidentali.
Al di là dei tassi di crescita che registriamo con maggiore o minore soddisfazione (di questi tempi, direi, con una forte insoddisfazione) in tutti i Paesi europei, c'è un altro tasso di crescita che ci dovrebbe preoccupare di più, il tasso di crescita potenziale: quanto potrebbe crescere l'Italia se ci fosse il pieno impiego di tutti i Pag. 34fattori di produzione? Il tasso di crescita potenziale è paurosamente basso, probabilmente si aggira oggi intorno al 2 per cento se tutto andasse nel migliore dei modi, e lo stesso vale per gli altri Paesi europei, ma è destinato a scendere ancora. Esiste uno studio interessante della Banca d'Italia che ci spiega come dovremo abituarci, nel prossimo futuro, a fare i conti con tassi di crescita negativi a causa dell'insufficienza di giovani lavoratori che entrano nel mercato del lavoro. Qualcuno potrebbe dire: come mai è così difficile per i giovani trovare un posto di lavoro? Proprio per questo, perché il giovane per poter lavorare deve essere in grado di pagare un carico contributivo così elevato che diventa difficile per il datore di lavoro offrirgli un posto di lavoro. Siamo dentro uno dei drammi del nostro futuro.
Allora, mentre la mentalità del Club di Roma tendeva a dire: diminuiamo la popolazione con qualunque mezzo, anche con l'aborto, e questo è stato ovviamente applicato in modo più feroce nei Paesi sottosviluppati, oggi sappiamo che le tendenze demografiche mondiali sono cambiate e pongono a noi non solo per ragioni di dignità umana, ma anche per ragioni di equilibrio socioeconomico, l'acquisizione di un diverso atteggiamento. Noi chiediamo che si faccia un passo in questa direzione, un passo importante.
Devo dire che questa iniziativa non è nuovissima, infatti questa mozione è stata presentata già nella scorsa legislatura, ma non fu discussa perché la legislatura, come ricorderete, si è interrotta. La mozione nasce anche da un'iniziativa culturale: un valoroso giornalista, Giuliano Ferrara, ha tentato di aprire in Italia una discussione su questi temi uscendo dagli steccati ideologici.
Nella mozione non è in alcun modo in questione la legge n. 194 del 1978. Se voi ricordate bene, questa legge ci dice che l'aborto non è uno strumento di regolazione demografica, o di prevenzione delle nascite. Nello spirito della legge n. 194 l'aborto è un rimedio estremo, ma non può essere generalizzato come strumento di controllo delle nascite.
In generale, lo spirito della vigente legge n. 194, simile in questo allo spirito della legge tedesca, tenta quella che i tedeschi chiamano una difficile Güterabwägung, ovvero un bilanciamento di beni morali o di valori. Da un lato, il diritto di scelta, dall'altro, il diritto alla vita, dando una certa prevalenza al diritto di scelta, ma senza negare che esista un diritto alla vita del bambino e, quindi, delimitando l'ambito all'interno del quale questo diritto alla vita può essere posposto ad altri diritti o sacrificato.
Noi ci muoviamo interamente nel solco di questa posizione della legge n. 194 e questa mozione, in realtà, non chiede allo Stato italiano in alcun modo di cambiare la legge n. 194. La mozione gli chiede, però, di farsi interprete a livello mondiale di un'azione per salvare milioni e milioni di vite umane e insieme il diritto alla maternità di milioni e di milioni di donne nel mondo.
Credo che questa posizione culturale che abbiamo tentato di tradurre in una mozione abbia ricevuto di recente anche un forte sostegno e incoraggiamento dall'incontro di Benedetto XVI e Barack Obama. A mio avviso, dovremmo imparare qualcosa da quell'incontro e realizzare in qualche misura anche noi lo spirito e il senso dell'incontro stesso.
Abbiamo posizioni diverse su molte questioni importanti, ad esempio, sul diritto alla vita, tuttavia ciò non ci deve impedire di lavorare insieme per sottolineare quello che ci unisce, anche sul tema del diritto alla vita. Anche su questo tema, infatti, esiste, credo, un consenso di fondo del popolo italiano che, mentre non vuole la punizione della donna e del medico e mentre ritiene che la decisione di abortire vada rispettata, tuttavia non ritiene che si possa imporre ad una donna di abortire e che si possa utilizzare l'aborto come strumento sistematico di controllo delle nascite.
Esso ritiene, invece, che l'aborto vada per quanto possibile limitato e per quanto possibile bandito dalla nostra società. Certo, questo con metodi che fanno appello alla libertà e al sostegno alla libertà Pag. 35della donna, ma il popolo italiano ritiene che ciò sia in fondo un disvalore morale che va limitato nella sua estensione e, infine, se possibile, eliminato dalla nostra società.
Noi ci inseriamo dentro questa visione totalmente rispettosa della legge n. 194, ma non vorremmo che questa diventasse l'occasione per dibattere delle cose che volutamente non abbiamo inserito nella mozione.
Vorremmo, invece, che la mozione fosse un momento per registrare un minimo etico comune che ci consente di essere protagonisti nel mondo di una battaglia di civiltà e sono sicuro che questa battaglia troverà forti sostegni anche oltre i confini del nostro Paese.
Credo che su ciò sarà possibile un dialogo con gli altri Paesi europei dove iniziative analoghe stanno progressivamente crescendo nei Parlamenti nazionali. Mi auguro che ciò venga riproposto in sede di Parlamento europeo, ma sono sicuro che anche negli Stati Uniti una simile proposta troverà orecchie attente.
Possiamo essere protagonisti di una battaglia di civiltà, tutti insieme come italiani esprimendo un amore alla vita che comunque è presente nel popolo italiano e in tutte le posizioni che in questo Parlamento sono rappresentante.
Questo è il mio auspicio e queste sono le ragioni che stanno alla base della mozione da noi proposta (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Carlucci, che illustrerà anche la mozione Barani, Laura Molteni, Commercio ed altri n. 1-00211, di cui è cofirmataria. Ne ha facoltà.

GABRIELLA CARLUCCI. Signor Presidente, io sono cofirmataria della mozione Barani, Laura Molteni, Commercio ed altri n. 1-00211, che ha lo stesso obiettivo della mozione appena illustrata dall'onorevole Buttiglione. In effetti, in ambito internazionale è aumentata in maniera consistente la diffusione di legislazioni che promuovano l'aborto come strumento di controllo demografico.
Come abbiamo sentito e come, purtroppo, ci è stato spesso raccontato dalle notizie diffuse dalla stampa internazionale, si sono sviluppate politiche punitive nei confronti delle donne che rifiutano di abortire ed è aumentata anche nel mondo, in termini veramente significativi, la diffusione della pratica dell'aborto selettivo, che quindi è responsabile in alcune aree geografiche - lo abbiamo sentito dire anche poco fa - di un forte squilibrio tra i sessi.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROCCO BUTTIGLIONE (ore 17,45)

GABRIELLA CARLUCCI. Oggi siamo in quest'Aula a discutere di argomenti che, a mio giudizio, è importante discutere anche a livello italiano, anche perché in Italia, come abbiamo sentito dire anche dall'onorevole Buttiglione, nessuno mette in discussione la legge n. 194 del 1978, che nel suo primo articolo afferma che lo Stato riconosce il valore sociale della maternità, tutela la vita umana dal suo inizio e ribadisce, altresì, che l'interruzione volontaria della gravidanza non è un mezzo per il controllo delle nascite.
Resta, quindi, inalterata la validità dell'impianto di tale legge rispetto alle condizioni e alle modalità del ricorso all'interruzione volontaria della gravidanza.
Quindi, mentre in Italia c'è la possibilità di scelta da parte della donna e, quindi, quando si parla di interruzione di gravidanza si fa riferimento alla libertà della donna (anche se si deve considerare che la scelta è il più delle volte traumatica e coinvolge la coscienza della donna, chiamata ad una decisione importante e fondamentale), questo purtroppo non succede nei Paesi dove invece questo tipo di legislazioni impongono l'aborto addirittura come strumento di selezione eugenetica oppure semplicemente come strumento di contraccezione.
Anche a me interessa moltissimo che questo dibattito nasca in Italia, dove, posto che nessuno vuole modificare la legge n. 194 del 1978, forse sarebbe opportuno Pag. 36fare il punto della situazione della legge stessa. Infatti, tante donne, anche giovanissime, ricorrono all'interruzione della gravidanza, ovviamente per motivi nei quali nessuno ha il diritto di intromettersi, perché attengono a scelte personali, spesso molto traumatiche, obbligatorie e che comunque corrispondono sempre ad un momento molto difficile per la donna, anche se giovanissima.
L'interruzione della gravidanza, pur rappresentando in Italia una scelta individuale e libera della donna, che attiene alla sua sfera individuale e personale, che quindi non può essere giudicata a priori negativamente, pone però comunque un problema di coscienza.
Il punto più difficile, che va oltre quello della responsabilità individuale di generare dei figli, è senz'altro che spesso l'interruzione di gravidanza anche in Italia è legata a fenomeni di prevenzione della nascita e di programmazione familiare, cosa che in un Paese democratico e civile non può essere passivamente accettata.
Noi oggi prendiamo spunto dalla mozione Buttiglione ed altri n. 1-00192 e anche la mozione del Popolo della Libertà impegna e chiede al Governo di farsi promotore presso le Nazioni Unite di una risoluzione che condanni solennemente l'uso dell'aborto quale strumento di controllo democratico e dell'aborto selettivo, confermando altresì, come abbiamo appena detto, il pieno diritto della donna alla procreazione.
È necessario, quindi, riconoscere alla donna la possibilità di interrompere la gravidanza - questo, come abbiamo detto, vale in Italia come nel resto del mondo - però va affermato e ribadito che il diritto alla vita e il rispetto per la persona umana devono essere necessariamente riconosciuti come valori fondamentali della nostra società. Noi che siamo una società civile e moderna dobbiamo far sì che anche nei Paesi in via di sviluppo, dove invece la pratica dell'aborto viene utilizzata come mezzo di contraccezione o addirittura di selezione eugenetica, ci sia invece la possibilità di ribadire e far valere il diritto alla vita, perché uno Stato, anche laico, deve necessariamente riconoscere il diritto alla vita e il rispetto per la dignità della persona umana.
Non sono, quindi, tollerabili pratiche di interruzione di gravidanza fatte solo per controllare le nascite o come misura di programmazione delle stesse. Questo principio vale in tutto il mondo, però, ripeto, varrebbe la pena di controllare se anche in Italia, dietro la scelta di interrompere una gravidanza, non vi siano motivi spesso legati alla giovane età della donna o all'impossibilità di portare avanti una gravidanza, senza poter veramente scegliere se continuare la gravidanza o interromperla.
Forse, non vi è spesso questa volontà e reale coscienza da parte delle donne che interrompono la gravidanza. Uno Stato, anche laico, deve riconoscere il diritto alla vita e il rispetto per la dignità della persona umana, e quindi le pratiche di interruzione della gravidanza fatte solo per controllare le nascite o come misura di programmazione delle stesse vanno condannate.
Vanno condannate, ripeto, in tutto il mondo, ma va controllato anche l'utilizzo dell'aborto nel nostro Paese. Una società civile deve essere guidata dalla cultura della vita e dal rispetto per le altre persone. Sono, quindi, contenta che oggi, in quest'Aula, vi sia la possibilità di dibattere su questo argomento: è necessario, anche qui, ribadire il «sì» al rispetto della vita e della persona umana.
Sono valori fondamentali in cui dobbiamo fermamente credere, perché, altrimenti, non saremmo credibili nel momento in cui, con un forte impegno da parte del nostro Governo, li proponiamo all'ONU perché vengano attuati da altri Paesi.
Oggi più che mai, in quest'Aula, è necessario ribadire il «sì» al rispetto della vita e alla persona umana, che sono dei valori fondamentali in cui è importante credere. Noi stessi, in prima persona, dobbiamo credere in questi valori, se vogliamo essere portatori di un messaggio verso altre popolazioni; libertà di scelta, quindi, nel rispetto dei valori fondamentali Pag. 37della nostra società, che sono i valori della vita e del rispetto della persona umana.
Una società deve essere basata sui principi dell'inviolabilità della dignità umana e sul rispetto della vita di ogni individuo; una società laica, ma in cui valori fondamentali, come quelli sopra accennati, vanno affermati.
La mia precisa convinzione, in quest'Aula, è che vada difeso il diritto di ogni essere umano alla vita e vada affermata la cultura della vita e il rispetto per ogni essere umano.
Ribadisco questo, senza voler assolutamente mettere in discussione la legge n. 194, che, però, come abbiamo fin qui detto, nel suo primo articolo afferma proprio l'importante compito dello Stato: lo Stato riconosce il valore sociale della maternità.
Dobbiamo interrogarci se oggi, allo stato attuale, questa legge in Italia sia realmente attuata seguendo il dettato dell'articolo 1, oppure se, molto frettolosamente, l'aborto venga concesso a tante giovanissime, che, evidentemente, non hanno la possibilità di riflettere, non hanno, forse, i mezzi, e non hanno, quindi, quella reale libertà che, invece, viene invocata dalla stessa legge.
Noi, invece, con l'impegno che chiediamo al Governo, vorremmo oggi permettere di scegliere alle tante donne che in tutto il mondo, in giro per il mondo, sono penalizzate da legislazioni molto punitive e non hanno questa libertà e possibilità di scegliere.
Chiediamo al Governo di farsi promotore presso le Nazioni Unite di una risoluzione che condanni l'uso dell'aborto quale strumento di controllo demografico e dell'aborto selettivo, confermando, altresì, il pieno diritto della donna alla procreazione.
Sicuramente, però, questa discussione, in quest'Aula, oggi, offre a tutti noi la possibilità per interrogarci se effettivamente la legge n. 194, che dichiara, nei suoi intenti, di essere dalla parte della donna e della vita, sia attuata nelle sue parti in cui dovrebbe assistere la donna nel momento cruciale in cui avviene, forse, la drammatica decisione se continuare la gravidanza o meno; se, effettivamente, la donna nel nostro Stato, seguendo la legge n. 194, sia assistita fino in fondo o meno.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Mura, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00214. Ne ha facoltà.

SILVANA MURA. Signor Presidente, colleghi, colleghe, la legge n. 194 del 1978, all'articolo 1, recita che lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio: l'interruzione volontaria della gravidanza non è un mezzo per il controllo delle nascite. Questo inizio spiega perfettamente il motivo che ha portato l'Italia dei Valori a voler contribuire al dibattito con una propria mozione.
In primo luogo, noi riteniamo che la legge n. 194 sia un'ottima legge, ancora oggi pienamente attuale: il fatto che l'Italia nel 1978 si sia finalmente dotata di una simile legge, che riconosce pienamente il diritto della donna di scegliere liberamente sulla maternità, ha costituito un innegabile processo di civiltà. Proprio perché crediamo in essa, siamo consapevoli che l'interruzione di gravidanza rappresenta sempre e comunque un momento drammatico, sconvolgente nella vita di una donna: chi, nella consapevolezza che una nuova vita sta crescendo dentro di sé, arriva alla decisione estrema di interrompere quella gravidanza, non lo fa mai a cuor leggero, ma vive un dramma personale che la induce a porre fine all'esistenza di una parte di sé perché ritiene, coscientemente, che imperativi di carattere sociale, economico, culturale o sanitario le rendano impossibile dare alla luce una nuova vita.
La legislazione che ha regolamentato e consentito l'interruzione volontaria di gravidanza si è fatta carico di questo dramma umano, e ha riconosciuto il diritto della donna alla maternità consapevole, e non imposta da fattori esterni e prevaricanti la sua volontà.
Chi crede fermamente in questa legge e la ritiene necessaria in uno Stato moderno, Pag. 38laico e democratico, non può che essere decisamente contrario ad ogni forma di aborto coatto e all'uso dell'interruzione di gravidanza come strumento di controllo delle nascite. Lo Stato non deve avere il diritto di imporre a una donna una gravidanza non voluta, ma allo stesso tempo lo Stato non deve mai avere il diritto di imporre ad una donna di rinunciare a far nascere il proprio figlio, perché si tratta di una violenza inaccettabile, che viola i più elementari diritti umani e viola il fondamentale principio dell'autodeterminazione dell'individuo.
Nel mondo purtroppo esistono Stati le cui legislazioni non democratiche violano i diritti umani: in alcuni casi, i regimi ricorrono sovente a condanne giudiziarie esclusivamente per motivi politici; in altri si fa ricorso alla tortura; e vi sono Stati che impongono un controllo molto rigido sulle nascite, imponendo la sterilizzazione o l'aborto coatto. L'Organizzazione delle Nazioni Unite e la comunità internazionale si sono pronunciate più volte contro le violazioni dei diritti umani, ed è per questo che riteniamo condivisibile chiedere al nostro Governo di farsi promotore di un'azione diplomatica che porti ad un pronunciamento contro quegli Stati che alla luce del sole, attraverso norme di legge o in via di fatto, obbligano una donna, che vuole avere un figlio, un figlio che ha concepito volontariamente e sta crescendo nel suo corpo, ad abortire.
Altresì, deve essere condannata con determinazione la degenerazione cui portano le legislazioni più rigide sul controllo delle nascite, trasformando l'aborto in uno strumento per selezionare il sesso del nascituro.
Più volte si sono tenuti dibattiti in Aula che avevano come tema i diritti delle donne e le pari opportunità, che andavano affermate non solo in Italia ma nel resto del mondo. Poiché spesso in quelle occasioni si è riscontrato un largo consenso sui principi generali e sulle misure da adottare, ritengo che proprio in questo caso particolare non si possa rimanere indifferenti. Le statistiche ci dicono che in due delle più grandi potenze economiche emergenti di questo secolo, la Cina e l'India, l'aborto è sistematicamente utilizzato a danno delle bambine: le famiglie di questi Paesi, potendo avere un unico figlio, preferiscono per motivi economici, sociali e culturali che questo sia maschio; così, quando vengono a conoscenza che il feto è di sesso femminile, ricorrono di prassi all'aborto. Tutto questo produce, oltre ad un'intollerabile violazione delle pari opportunità, che potremmo definire anche «femminicidio», gravi conseguenze di altra natura: il forte squilibrio che si produce tra i due sessi dà vita ad una lunga serie di fattori negativi, oltre che dal punto di vista sociale, anche e soprattutto da quello sanitario.
L'Italia dei Valori non ha alcun problema a chiedere al Governo di impegnarsi in campo internazionale contro ogni forma di aborto imposto contro la volontà della donna, al punto da aver inserito questa disposizione nella mozione che abbiamo presentato. Riteniamo, però, che sarebbe un approccio troppo riduttivo, se si limitasse ad affrontare solo questo aspetto del problema: per questo all'aborto come strumento di controllo delle nascite, l'Italia dei Valori accompagna la proposta di aiutare a diffondere e a radicare una cultura sempre maggiore della maternità consapevole e delle pratiche e dei metodi anticoncezionali, in particolare nei Paesi del Terzo mondo.
Quello della sovrappopolazione è un problema reale, del quale il mondo intero ha il dovere di farsi carico, dal momento che gli effetti negativi che può produrre si riverseranno alla lunga su tutti i Paesi.
In particolare, gli indici di natalità registrano picchi estremamente elevati, oltre che nei Paesi in cui si è innescato un forte processo di sviluppo economico, come India, Cina e Brasile, anche nella parte più povera del pianeta. Si potrebbe anzi dire che la povertà si accompagna di solito a una natalità incontrollata, che aggrava ancor di più i problemi derivanti dalla scarsità di cibo e di materie prime. Ciò avviene perché proprio nei Paesi più arretrati fatica ad affermarsi la conoscenza delle più elementari norme di educazione Pag. 39sessuale e la conoscenza dei principali metodi contraccettivi. Tale carenza è anche alla base dell'altissimo indice di diffusione di malattie a trasmissione sessuale come l'AIDS. Si stima che siano circa 33 milioni le persone del mondo che hanno contratto questo virus. Non è un caso che un dazio altissimo a questa malattia sia pagato proprio dal continente più povero del mondo, l'Africa, anche se in un Paese in cui si registra un impetuoso sviluppo economico e tecnologico, come la Cina, l'AIDS si presenta come una piaga altrettanto grave: basti pensare che, dai pochi dati di cui si è a conoscenza, nel corso del primo semestre del 2008 sono stati quasi 7 mila i morti per AIDS in Cina.
Un altro dato che ci aiuta a comprendere meglio le conseguenze drammatiche che la sovrappopolazione produce nei Paesi più poveri del mondo è quello sconcertante degli 11 milioni di bambini che ogni anno muoiono a causa di malattie gravissime, quali la dissenteria. Le vittime di questo infanticidio sono purtroppo i bambini più piccoli, e per questo più deboli e indifesi, che vengono condannati a morte perché nei loro Paesi non vi sono i soldi necessari per acquistare i vaccini che nei Paesi più industrializzati sono di uso comune. È per questo che riteniamo che alla condanna dell'aborto coatto come strumento di controllo delle nascite si debba accompagnare una simultanea azione di altra natura, che consenta di risolvere l'intero problema e non solo metà di esso: è cioè fondamentale favorire la realizzazione di iniziative socio-sanitarie che al tempo stesso siano in grado di prevenire il ricorso all'interruzione volontaria di gravidanza, affermando il diritto ad una procreazione cosciente e responsabile, e possano evitare sia un incontrollato aumento della popolazione, sia la diffusione di gravi malattie per via sessuale.
Con la nostra mozione chiediamo dunque al Governo di intraprendere nelle sedi opportune a livello internazionale un'azione in grado di diffondere nei Paesi più poveri una corretta informazione sui metodi contraccettivi e sulla salute sessuale e riproduttiva della donna e soprattutto di favorire l'elaborazione e l'attuazione di politiche di aiuto e di sostegno alla procreazione consapevole e alla tutela della maternità sotto ogni aspetto.
Anche in questo campo, che attiene alla cultura dei popoli e ai diritti fondamentali dell'individuo, come sono quelli alla vita e alla maternità, riteniamo sia sempre valido il detto africano che afferma che il problema del pescatore affamato non si risolve regalando un pesce, ma fornendo gli strumenti per pescare e le tecniche per utilizzarli. Questa è l'unica filosofia alla quale ci si deve ispirare se si vogliono ottenere risultati concreti di lungo periodo. Questa è la filosofia che chiediamo al nostro Governo di adottare (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Binetti, che illustrerà anche la mozione Livia Turco ed altri n. 1-00221, di cui è cofirmataria.

PAOLA BINETTI. Signor Presidente, le mozioni che ho firmato e che oggi sono in discussione alla Camera pongono alla nostra attenzione un tema strategico sotto il profilo etico-antropologico e sotto quello socio-economico: quello del controllo delle nascite attraverso l'aborto, non solo e non tanto a livello individuale, quanto a livello dei pesanti condizionamenti che alcune popolazioni in via di sviluppo subiscono da parte di alcune multinazionali che spesso afferiscono ai cosiddetti Paesi industrializzati. Si tratta di un tema importante poiché mette in gioco la libertà individuale, le credenze culturali e religiose dei popoli e lo stato di grave indigenza in cui versano Paesi in cui le fasce più deboli della popolazione sono a rischio di morire per fame.
Il problema è balzato alla ribalta in questi ultimi giorni per tre fatti concreti. Il primo è il recente G8 che, fra i molteplici temi affrontati, ha visto sia quello della salute materna e infantile, con le pesanti sperequazioni che vi sono fra i diversi Paesi, sia quello di un'economia Pag. 40impazzita che ha urgente bisogno di un codice etico condiviso a livello mondiale.
Il secondo punto è la consapevolezza che lo stato di povertà estrema in cui versano taluni Paesi, soprattutto in Africa, ci fa considerare che le crisi globali hanno un prezzo tanto più alto quanto più poveri sono i Paesi su cui esse si abbattono.
Il terzo punto è l'incontro tra Obama, leader dell'ultimo G8, e Benedetto XVI che, tra gli altri temi, ha affrontato contestualmente sia il tema della pace e dello sviluppo, sia quello dell'indispensabile necessità di riduzione dell'aborto, evento sempre drammatico che mai può assurgere ad ipotetico diritto umano.
In questo clima si inserisce la nostra riflessione veicolata dalle diverse mozioni presentate: tutte le mozioni hanno come punto qualificante il riferimento alle Nazioni Unite perché promuovano con la necessaria energia un'esplicita risoluzione di condanna dell'aborto come strumento di controllo demografico e promuovano una politica demografica rispettosa della dignità umana, incrementando la promozione della salute materna infantile (quest'ultimo passaggio è presente, con particolare incisività, proprio nella nostra mozione).
La riflessione sul ricorso abnorme all'aborto come fattore di controllo delle nascite in Italia è esclusa dalla legge n. 194 proprio all'articolo 1: come ha già ricordato la collega, «lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio. L'interruzione volontaria della gravidanza, di cui alla presente legge, non è mezzo per il controllo delle nascite».
Ma c'è un forte sospetto, cioè che anche in Italia siano soprattutto le donne immigrate a ricorrere all'aborto perché colpite non solo da uno stato di oggettiva indigenza, ma anche perché troppo spesso temono di perdere un posto di lavoro faticosamente raggiunto e spesso unico elemento di sostentamento familiare.
Probabilmente ciò accade anche perché non si è mai attivata una concreta politica di sviluppo dei consultori di cui all'articolo 2 della legge n. 194, a cui la legge affida compiti che oggi come oggi si rivelano sempre più urgenti, soprattutto se li leggiamo in quel passaggio in cui si dice che debbono contribuire «a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all'interruzione della gravidanza».
In Italia ciò non è ancora ampiamente attuato, per cui anche quando diciamo che legge n. 194 non è in discussione, dobbiamo peraltro ricordare che vi sono ampie parti della legge n. 194 che ancora oggi sono inattuate. Quindi ci piacerebbe che ogni volta che assumiamo una posizione che sottolinea come la legge n. 194 sia la legge di tutela sociale della maternità assai più che non quella dell'interruzione volontaria di gravidanza, ci si ricordasse che vi è l'obbligo materiale, morale, organizzativo e istituzionale di mettere risorse corrispondenti a disposizione delle persone.
Sappiamo infatti che non esiste alcun diritto all'aborto, meno che mai vi è la possibilità di imporre l'uso dell'aborto condizionando la distribuzione di beni e di generi di prima necessità all'accoglienza di questa pratica come mezzo di controllo demografico.
Per questo, tutte le mozioni ricordano l'articolo 3 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, che riafferma il diritto alla vita di ogni essere umano e, probabilmente, proprio in questa direzione si è mosso il Presidente Obama mentre si comprometteva a ridurre il numero degli aborti nel suo Paese.
Contrastare la povertà in questi Paesi limitandone le nascite è una politica che va contro il rispetto per la libertà individuale, ma contraddice anche ad una riflessione più ampia e più matura nel rapporto tra lo sviluppo di un Paese e le politiche di sostegno alla vita. Penso, per esempio, ad alcuni riferimenti contenuti nell'ultima enciclica di Benedetto XVI Caritas in veritate, da tutti apprezzata per il forte impianto sociale.
Vorrei indicare il punto di vista sintetico assunto dall'enciclica, che esprimerei con la seguente frase: il ricevere precede il fare. Su questo la Caritas in veritate propone Pag. 41una vera e propria conversione ad una nuova sapienza sociale. Concretamente, nel punto 28 si ricorda: «Uno degli aspetti più evidenti dello sviluppo odierno è l'importanza del tema del rispetto per la vita, che non può in alcun modo essere disgiunto dalle questioni relative allo sviluppo dei popoli. Si tratta di un aspetto che negli ultimi tempi sta assumendo una rilevanza sempre maggiore, obbligandoci ad allargare i concetti di povertà e di sottosviluppo alle questioni collegate con l'accoglienza della vita, soprattutto là dove essa è in vario modo impedita. Non solo la situazione di povertà provoca ancora in molte regioni alti tassi di mortalità infantile, ma perdurano in varie parti del mondo pratiche di controllo demografico da parte dei Governi, che spesso diffondono la contraccezione e giungono a imporre anche l'aborto.
Nei Paesi economicamente più sviluppati, le legislazioni contrarie alla vita sono molto diffuse e hanno ormai condizionato il costume e la prassi, contribuendo a diffondere una mentalità antinatalizia che spesso si cerca di trasmettere ad altri Stati come se fosse un progresso culturale.
Alcune organizzazioni non governative, poi, operano attivamente per la diffusione dell'aborto, promuovendo, talvolta, nei Paesi poveri l'adozione della pratica della sterilizzazione anche su donne inconsapevoli. Vi è, inoltre, il fondato sospetto che a volte gli stessi aiuti allo sviluppo vengano collegati a determinate politiche sanitarie implicanti, di fatto, l'imposizione di un forte controllo delle nascite. Preoccupanti sono, altresì, tanto le legislazioni che prevedono l'eutanasia, quanto le pressioni di gruppi nazionali ed internazionali che ne rivendicano un riconoscimento giuridico.
«L'apertura alla vita - continua questo passaggio dell'enciclica - è al centro del vero sviluppo. Quando una società si avvia verso la negazione e la soppressione della vita, finisce per non trovare più le motivazioni e le energie necessarie per adoperarsi al servizio del vero bene dell'uomo. Se si perde la sensibilità personale e sociale verso l'accoglienza di una nuova vita, anche altre forme di accoglienza utili alla vita sociale si inaridiscono. L'accoglienza della vita tempra le energie morali e rende capaci di aiuto reciproco. Coltivando l'apertura alla vita, i popoli ricchi possono comprendere meglio le necessità di quelli poveri, evitare di impiegare ingenti risorse economiche e intellettuali per soddisfare desideri egoistici dei propri cittadini e promuovere, invece, azioni virtuose nella prospettiva di una produzione moralmente sana e solidale nel rispetto del diritto fondamentale di un popolo e di ogni persona alla vita».
Nella Caritas in veritate, la cosiddetta questione antropologica diventa a pieno titolo questione sociale. La procreazione, la sessualità, l'aborto, l'eutanasia, le manipolazioni dell'identità umana e la selezione genetica sono valutati come problemi sociali di primaria importanza che, se gestiti secondo una logica di pura produzione, deturpano la sensibilità sociale, minano il senso della legge, corrodono la famiglia e rendono difficile l'accoglienza del debole. Queste indicazioni non hanno solo un valore esortativo, ma invitano a un nuovo pensiero e a una nuova prassi per lo sviluppo che tengano conto delle sistematiche interconnessioni tra i temi antropologici legati alla vita e alla dignità umana e quelli economici, sociali e culturali relativi allo sviluppo.
Non sarà più possibile, per esempio, impostare dei programmi di sviluppo solo di tipo economico-riproduttivo che non tengano sistematicamente conto della dignità della donna, della procreazione, della famiglia e dei diritti del concepito. Le diverse mozioni vanno nel senso di ricreare un clima di nuova comprensione dei problemi sociali e antropologici, con un preciso impegno a sollecitare l'ONU a non tollerare più che gli aiuti ai popoli in difficoltà passino attraverso logiche di tipo abortivo né, a mio avviso, di tipo contraccettivo.
In questo senso il riferimento alla conferenza dell'ONU svoltasi al Cairo nel 1994, là dove riafferma il valore della salute riproduttiva, intesa come stato di benessere della persona e della famiglia, come esercizio della libertà e della responsabilità Pag. 42verso la procreazione da parte delle donne e degli uomini, risulta ambiguo, nel momento in cui la lotta alla povertà, l'accesso all'istruzione, la realizzazione dei servizi sanitari adeguati e la tutela sociale della maternità (tutti valori fortemente condivisi e condivisibili) sono messi, però, sullo stesso piano della promozione della contraccezione.
Nella precedente legislatura nella relazione sull'applicazione della legge n. 194 il Ministro Livia Turco sosteneva: «In conclusione, mentre si ribadisce che nel nostro Paese è necessaria, e auspicabile, una forte strategia di politiche pubbliche di promozione della natalità, si sottolinea che la prevenzione dell'aborto è obiettivo primario di scelte e di sanità pubblica e che, quindi, le politiche di prevenzione dell'aborto non si identificano con quelle della promozione della natalità, essendo natalità e abortività fenomeni sostanzialmente disgiunti». Con questa mozione vorrei personalmente che la prevenzione dell'aborto non fosse in nessun modo ricondotta a politiche di contrasto alla natalità, ma che una volta per tutte si comprendesse come lo sviluppo di un Paese, sia un Paese in via di sviluppo, sia esso industrializzato come il nostro, passa attraverso la piena tutela della vita e la sua promozione, sempre nel rispetto della libertà e delle responsabilità di ogni famiglia.
Per questo chiediamo che il Ministro degli affari esteri, in particolare, si faccia promotore di queste politiche che vanno inquadrate anche nella prospettiva concreta dello sviluppo dei popoli e che non riguardano soltanto politiche considerate quasi sempre di competenza del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali.
Vorremmo altresì da parte dell'ONU sostanzialmente la garanzia che nei Paesi non si faccia mai più alcuna azione che leghi la concessione e la promozione di risorse (mi riferisco a questa moderna visione del welfare di cui si è parlato in quest'ultimo G8, cioè alla promozione delle dimensioni strutturali e istituzionali di questi Paesi) - mai in nessun modo - al valore di una vita; vorremmo che invece si considerasse sempre la vita come fattore promotore di pace internazionale e di sviluppo sociale (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Capitanio Santolini. Ne ha facoltà.

LUISA CAPITANIO SANTOLINI. Signor Presidente, ovviamente condivido molte delle cose che sono state dette in quest'Aula sull'argomento in esame, quindi mi occorrono solo pochi minuti per ribadire alcuni passaggi che mi sembrano particolarmente importanti e significativi.
Molti colleghi che mi hanno preceduto hanno richiamato giustamente l'articolo 3 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, che ricordo afferma il diritto alla vita di ogni essere umano e che è stata approvata nel 1948, quindi oltre sessant'anni fa; sessant'anni in cui dovrebbe essere praticamente scontato il fatto che il diritto alla vita è diritto universale e universalmente riconosciuto. Così non è purtroppo e dopo sessant'anni siamo ancora qui a cercare di indirizzare in qualche modo le politiche globali planetarie verso questo principio sancito sessanta anni fa.
La percezione dell'aborto in questi sessant'anni, come giustamente il presidente Buttiglione ha affermato (è partito da una spaccatura, che dagli Stati Uniti poi è dilagata in tutti i Paesi occidentali), rischia di diventare distorta, perché si rischia di vedere l'aborto come un servizio sociale gratuito, un servizio alla portata di tutti, di tutte le donne, di ogni famiglia, poco costoso, ovvero una prestazione a disposizione di tutti e che in definitiva risolve un problema.
Allora questa percezione dell'aborto va combattuta, perché invece l'aborto, soprattutto se selettivo ed eugenetico, è una grande forma di violenza sulle persone, non solo perché elimina una vita che ha il diritto invece di poter nascere, ma anche perché è una violenza sulle persone che in qualche modo subiscono l'aborto. Un Pag. 43aborto considerato in questo modo prefigura un mondo profondamente ingiusto, un mondo con una pratica che offende la dignità della persona umana. Non solo elimina una vita, ma offende anche la dignità delle persone umane.
Credo che le donne abbiano dei diritti. Il diritto di scegliere rappresenta un problema che abbiamo dibattuto spesso anche in questa Aula. Sono convinta, d'altro canto, che non è vero che in Italia le donne siano libere di scegliere, se è vero, come è vero, che molti aborti avvengono in Italia per questioni economiche. Quindi anche in quel caso un «obbligo» potrebbe essere riscontrato quando una donna è costretta ad abortire perché non vede futuro, non ha speranza per questo suo figlio e non vede futuro e speranza per la propria famiglia e per i figli che ha già avuto.
Questa mozione va nella direzione di impedire in qualche modo che l'aborto diventi una facile soluzione per quelle popolazioni così povere, così poco istruite o così poco preparate, che non capiscono quale partita sia in gioco.
Non vi è solamente la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo a dichiarare il diritto alla vita. Potremmo ricordare anche l'Accordo internazionale sui diritti civili e politici - si parla del 1976 - in cui si dice che nessuno può essere arbitrariamente privato della vita. Quale arbitrio più grande se l'aborto viene effettuato per motivi eugenetici o selettivi? Non solo.
La Convenzione sui diritti dell'infanzia, all'articolo 6, assicura ogni misura possibile per la sopravvivenza e lo sviluppo del fanciullo. La Convenzione europea dei diritti dell'uomo, all'articolo 2, afferma il diritto alla vita di ogni essere umano protetto dalla legge. Inoltre, vi è l'Organizzazione mondiale della sanità, che si è pronunciata in questa direzione. Esiste la legge n. 194 del 1978, che molti colleghi hanno richiamato. Esiste anche - vorrei ricordarlo - la legge n. 40 del 2004 in cui, all'articolo 1, dichiara che i soggetti implicati sono vari: i medici, la mamma ed il concepito, che, a questo punto, diventa un soggetto di diritti, perché, nella pratica della procreazione medicalmente assistita, è riconosciuto come un attore presente con dei diritti.
Pertanto, vi è una serie ininterrotta di prese di posizione nazionali ed internazionali sulla questione dell'aborto, che condivido. Nella mozione in oggetto, nessuno vuole mettere in discussione l'impianto della legge n. 194 del 1978. Tuttavia, vale la regola che tale legge sia applicata in maniera seria, convinta e completa in tutte le sue parti. Sappiamo che buona parte degli articoli della legge n. 194 (soprattutto i primi) non sono stati applicati in maniera adeguata. Pertanto, lo ripeto: la legge n. 194 del 1978 non è in discussione. Potremmo partire da qui, prendere le mosse dalle mozioni che stiamo discutendo, per ripartire con una puntuale applicazione della citata legge n. 194.
Il problema dell'aborto non riguarda sic et simpliciter l'aborto. Il problema dell'aborto si rifà ad un diritto alla vita sancito a livello internazionale. Lo stesso diritto alla vita che si invoca, giustamente, quando vi sono i profughi dei «barconi», quando vi sono popolazioni che rischiano lo sterminio, quando vi sono persone in estrema difficoltà che tutti sono chiamati a soccorrere e a sostenere, qualsiasi sia la loro provenienza, la loro razza, la loro destinazione e le ragioni di questa tragedia umana che si sta verificando. Tutti sono chiamati a soccorrere queste persone in base al principio del diritto alla vita.
Credo che gli atteggiamenti umanitari che ci vedono tutti d'accordo quando si parla di soccorrere profughi, fuggiaschi, popolazioni inermi e tutti coloro che rischiano di perdere la vita, ci debbano portare ad approvare le mozioni in oggetto. Queste ultime intendono evitare che l'aborto diventi un motivo di controllo demografico e di selezione per razza, per sesso o per altre ragioni e, quindi, un motivo di selezione eugenetica.
Credo che la moratoria sulla pena di morte, che è stata giustamente richiamata, sia stata una grande battaglia di civiltà che l'Italia ha portato avanti e che è durata Pag. 44vent'anni. Una battaglia a cui, all'inizio, non si dava, forse, peso e che nessuno pensava sarebbe stata vinta.

Testo sostituito con l'errata corrige del 14 LUGLIO 2009 PRESIDENTE. La invito a concludere.
Concludo, signor Presidente. Il parallelo di questa battaglia sulla moratoria della pena di morte vale la battaglia non per la moratoria sull'aborto, come qualcuno ha chiesto, ma almeno per una soluzione minimale che punti alla condanna dell'uso dell'aborto come strumento di controllo demografico e che, soprattutto, impedisca che una donna sia costretta ad abortire: le donne dovrebbero essere libere di avere un figlio e non costrette ad abortire.
PRESIDENTE. La invito a concludere.

LUISA CAPITANIO SANTOLINI. Concludo, signor Presidente. Il parallelo di questa battaglia sulla moratoria della pena di morte vale la battaglia non per la moratoria sull'aborto, come qualcuno ha chiesto, ma almeno per una soluzione minimale che punti alla condanna dell'uso dell'aborto come strumento di controllo demografico e che, soprattutto, impedisca che una donna sia costretta ad abortire: le donne dovrebbero essere libere di avere un figlio e non costrette ad abortire.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.

(Intervento del Governo)

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

ENZO SCOTTI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Signor Presidente, onorevoli colleghi, esprimo subito il più convinto e chiaro consenso del Governo a che l'Italia, sul piano internazionale, sviluppi sempre più iniziative concrete per contrastare l'uso dell'aborto come strumento di controllo demografico. Inoltre, preciso che si tratta di iniziative non solo a livello di dichiarazioni solenni, ma anche di politiche di aiuto, di sostegno allo sviluppo e di promozione del rispetto dei diritti fondamentali dell'uomo e della donna.
Non entrerò in questa sede, pertanto, sul dibattito che nel nostro Paese si sviluppa intorno all'applicazione della legge sull'aborto. Vengo direttamente agli aspetti internazionali e alle iniziative che riguardano il Ministero degli esteri, così come sostanzialmente le mozioni chiedono, prospettando un'iniziativa dell'Italia a livello delle Nazioni Unite.
Parto - per averlo presente - dal quadro degli strumenti internazionali che contengono disposizioni direttamente o indirettamente riconducibili alla sfera della riproduzione delle pratiche demografiche; lo faccio per meglio focalizzare, alla fine, la posizione del Governo in merito alla richiesta delle mozioni. È il caso della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, del Patto sui diritti civili e politici, di quello sui diritti economici e sociali, della Convenzione sui diritti del fanciullo e della Convenzione sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne.
Il più importante di questi strumenti, sotto il profilo in discussione, è l'ultima Convenzione che ho nominato, quella sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne. L'articolo 12 e l'articolo 16 di questa Convenzione, di cui fanno parte tutti i Paesi europei, definiscono i diritti relativi alla riproduzione nel contesto dell'eliminazione delle discriminazioni tra uomini e donne. Essa stabilisce, quindi, una serie di obblighi per gli stati partner: l'obbligo di eliminare le discriminazioni nel campo dell'assistenza sanitaria, incluso quello della pianificazione familiare; l'obbligo di assicurare alle donne servizi adeguati, gratuiti ove necessario, in connessione con il periodo di gravidanza, parto e periodo post-natale, così come adeguato nutrimento durante la gravidanza e l'allattamento: l'obbligo di assicurare che le donne e gli uomini abbiano uguali diritti e responsabilità come genitori, indipendentemente dal matrimonio, per tutto ciò che riguarda i figli, ivi compresi quelli di decidere liberamente e responsabilmente sul loro numero e intervallo di nascita, nonché di avere accesso all'educazione, all'informazione e ai mezzi per esercitare tali diritti.
Un passaggio importante su queste tematiche è stata la Conferenza internazionale sulla popolazione e sullo sviluppo del 1994, che ha adottato, per consenso unanime di tutti i 179 Paesi partecipanti, il cosiddetto programma di azione del Cairo. Con questo programma gli Stati si sono impegnati ad includere la salute riproduttiva Pag. 45nei loro programmi per raggiungere gli standard più elevati di salute per tutti.
Essi hanno inoltre sottoscritto una serie di principi, a cominciare da quello stabilito nel programma di azione: la promozione della salute e dei diritti riproduttivi sono elementi chiave per il raggiungimento del benessere della società e per sradicare la povertà e raggiungere gli obiettivi di sviluppo. Uno dei principi enunciati con maggiore chiarezza dal programma di azione del Cairo riguarda proprio nello specifico il tema evocato dalla mozione in discussione.
Il paragrafo 8.25 del programma sancisce, infatti, che «in nessun caso l'aborto deve essere incoraggiato come metodo di pianificazione familiare». Il programma di azione del Cairo ha costituito una base della dichiarazione del programma di azione di Pechino nel 1995 che è a tutt'oggi uno standard in materia, cui si richiamano le risoluzioni mirate alla protezione dei diritti delle bambine e delle donne.
Il punto 106, lettera k) del programma di Pechino ribadisce senza alcuna ambiguità che in nessun caso l'aborto dovrebbe essere promosso come metodo di pianificazione familiare. Lo stesso punto indica inoltre come l'obiettivo è quello di ridurre il ricorso all'aborto attraverso servizi di pianificazione familiare ampliati e migliorati.
Il programma di Pechino stigmatizza, inoltre, includendoli tra le forme di violenza più efferate contro le donne, la sterilizzazione forzata, l'aborto forzato, l'uso coercitivo forzato di contraccettivi, l'infanticidio femminile e la selezione prenatale del sesso nel nascituro.
Sulla stessa falsariga si è mossa da ultimo la risoluzione biennale «girl child» adottata dall'Assemblea generale nella sua sessantaduesima sessione che contiene un appello agli Stati ad adottare leggi che proteggano le bambine da tutte le forme di violenza e di sfruttamento includendovi anche la selezione prenatale del sesso.
Si tratta di una risoluzione che è stata cosponsorizzata dall'Italia e confermata dal convinto e continuo impegno del nostro Paese in questo ambito.
Come è stato più volte sottolineato nel corso del dibattito, il Governo ritiene che questi principi rappresentino un punto di riferimento imprescindibile per la comunità internazionale, ma che occorra adoperarsi in tutte le sedi opportune affinché gli Stati le rispettino, cosa che non avviene di norma a livello globale.
L'Italia ritiene che innanzitutto si debbano adeguatamente sostenere e valorizzare gli strumenti di cui già disponiamo a livello mondiale.
Ho già ricordato che la conferenza del Cairo, in particolare, ha già sancito il principio base per il quale l'aborto non dovrebbe essere mai utilizzato come metodo di pianificazione familiare. Questo punto non sarebbe adeguatamente utile a procedere se non ponessimo in tutte le politiche, in tutti gli strumenti di relazione internazionale, il richiamo continuo al rispetto di questi principi.
Con riferimento alla proposta di una risoluzione delle Nazioni Unite non vi è divergenza su questa proposta, ma la piena accettazione. Vorremmo che, oltre all'iniziativa a livello istituzionale, così come è stato nel caso ricordato della pena di morte, queste iniziative istituzionali venissero sostenute da una adeguata mobilitazione delle coscienze, non solo nel nostro Paese, ma in tutti i Paesi del mondo in modo tale da poter arrivare nella sede delle Nazioni Unite ad un voto che sia il più possibile unitario (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione della mozione Ghizzoni ed altri n. 1-00204 concernente misure a favore della scuola pubblica (ore 18,30).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Ghizzoni ed Pag. 46altri n. 1-00204, concernente misure a favore della scuola pubblica (Vedi l'allegato A - Mozioni).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
Avverto che sono state presentate le mozioni Garagnani, Goisis, Latteri ed altri n. 1-00206, Zazzera ed altri n. 1-00216 e Capitanio Santolini ed altri n. 1-00218 (Vedi l'allegato A - Mozioni), che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente. I relativi testi sono in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritta a parlare l'onorevole Coscia, che illustrerà anche la mozione Ghizzoni e altri n. 1-00204, di cui è cofirmataria. Ne ha facoltà.

MARIA COSCIA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, sottosegretario Pizza, abbiamo presentato questa mozione sul tema delle misure a favore della scuola pubblica, perché avvertiamo l'assoluta urgenza che il Parlamento riesamini con attenzione questo tema. Si tratta di una mozione che raccoglie i contenuti della petizione popolare promossa dal Partito Democratico e sottoscritta da centinaia e centinaia di migliaia di cittadini e di cittadine per una scuola pubblica di qualità, per tutti, più sicura e autonoma, capace di futuro.
Lo scorso anno, proprio durante il mese di luglio, il Governo ha imposto al Parlamento l'approvazione con il voto di fiducia del decreto-legge n. 112 del 2008, la cosiddetta manovra finanziaria estiva, che prevede tagli indiscriminati e insostenibili, in particolare per la scuola pubblica, pari cioè ad una riduzione di circa 8 miliardi e di 132 mila docenti e personale amministrativo, tecnico e ausiliario nell'arco di tre anni, determinando così un suo grave impoverimento.
La scuola è stata privata di risorse fondamentali per garantire il pieno mantenimento e lo sviluppo delle attività didattiche educative e di ricerca, smantellando così punti essenziali di qualità e non consentendo di affrontare con serietà e rigore le criticità ed i problemi esistenti. Nel corso di quest'anno sono emersi in tutto il Paese un dissenso e una critica diffusa dei cittadini e delle cittadine contro le scelte ingiuste ed inefficaci volute dal Governo. C'è stata per mesi e mesi una straordinaria mobilitazione: assemblee in tutte le scuole e ripetute manifestazioni cui hanno partecipato milioni di famiglie, studenti, insegnanti e operatori della scuola.
Le famiglie hanno bocciato poi anche il maestro unico, voluto con legge n. 169 del 2008 dal Ministro Gelmini con l'iscrizione al prossimo anno scolastico, con percentuali che superano largamente il 90 per cento. L'opzione prevalente è stata per il tempo pieno e per l'orario a 30 ore nella scuola primaria e per il tempo prolungato nella scuola media. In questi mesi, il Governo ha dato corso all'attuazione dell'articolo 64 del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito dalla legge n. 133 del 2008, definendo un piano programmatico senza tener conto delle condizioni e delle osservazioni espresse dalle Commissioni parlamentari.
Il Governo ha voluto sfuggire al confronto. Infatti, per evitare di pronunciarsi e prendere in considerazione i contenuti dei pareri del Parlamento, della Conferenza unificata e del CNPI, il Governo ha lasciato il piano in una sorta di nebulosa, nella sua formazione cioè di bozza e di schema, ed è arrivato a negare addirittura la sua natura di atto amministrativo. Ad un piano che non c'è e che tuttavia è il presupposto fondamentale della delega del Parlamento al Governo sono seguiti dei regolamenti, la cui legittimità a questo punto è messa fortemente in discussione con i primi pronunciamenti della Corte costituzionale (ad esempio, per quanto Pag. 47riguarda il dimensionamento scolastico) e del TAR del Lazio (per quanto riguarda le circolari attuative del regolamento sul primo ciclo). Tali regolamenti in parte non sono ancora pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale, mentre altri non hanno ancora concluso il loro iter. Insomma, siamo di fronte ad un vero e proprio pasticcio giuridico che aggrava la situazione di grave incertezza e preoccupazione che incombe sul prossimo anno scolastico per l'attuazione dei tagli voluti dal Governo.
I fatti dimostrano che la via scelta dal Governo dei tagli indiscriminati non risolve i problemi della scuola italiana. Per questo riteniamo necessario un impegno forte del Parlamento e chiediamo che si avvii una nuova fase di confronto per affrontare i problemi veri della scuola italiana con l'obiettivo fondamentale di realizzare una scuola pubblica di qualità, più autonoma e radicata nel territorio, che valorizzi il merito e non lasci indietro nessuno, capace di educare al rispetto e alla responsabilità e di rendere effettivo il diritto all'istruzione costituzionalmente garantito per tutti e per ciascuno e il raggiungimento di un diploma o di una qualifica professionale, almeno triennale, come garanzia minima della realizzazione dei diritti di cittadinanza e di accesso ai gradi più alti degli studi.
Una scuola più sicura e qualificata per allievi, insegnanti, dirigenti e personale ATA, con adeguate risorse finanziarie e di personale, con la stabilizzazione dei rapporti di lavoro e con interventi per la sicurezza, la funzionalità e il decoro delle strutture scolastiche.
Vogliamo, inoltre, porre nuovamente, anche in questa sede, anche con questa mozione, una questione importante su cui, oltre al Ministro Gelmini, si è impegnato più volte lo stesso Presidente del Consiglio, cioè quella di dare una risposta concreta alle famiglie in merito alle richieste sul tempo scuola. Purtroppo i tagli incidono drammaticamente su questo tema; centinaia di migliaia di famiglie che hanno chiesto il tempo pieno, il tempo di trenta ore, il tempo prolungato, per i tagli agli organici si sono viste respingere le proprie richieste. Che dire poi di come la scelta di eliminare le compresenze incida negativamente sulla qualità della didattica, anche sulla possibilità per le scuole di assicurare la copertura delle emergenze quotidiane e delle supplenze?
L'esigenza di organizzare e razionalizzare l'uso delle risorse non può non tenere conto della ricaduta negativa sulla qualità della nostra scuola; perché, invece, non si adotta un metodo diverso per perseguire questo obiettivo attuando una maggiore responsabilizzazione delle scuole autonome e dei territori, anche con sperimentazioni e facendo in modo che le risorse recuperate possano essere reinvestite negli stessi territori e scuole? Questa è una delle nostre proposte che, peraltro, il Governo Prodi aveva già avviato. Le scuole, invece, hanno subito non solo i tagli agli organici, ma anche, con la finanziaria, tagli alle risorse, già così esigue, per il loro funzionamento quotidiano.
Così noi pensiamo che le misure adottate per affrontare un tema centrale come quello di affermare l'autorevolezza e il rigore della scuola e dei docenti e della cosiddetta emergenza educativa siano non solo inadeguate, ma assolutamente inefficaci. Come si fa a sottolineare come un risultato positivo il notevole aumento delle bocciature e a non interrogarsi sul fatto che questo grave problema non si risolve scaricando sugli alunni i problemi di una scuola che non riesce a trasmettere le conoscenze, i saperi, le competenze, a motivare all'apprendimento proprio chi è più in difficoltà? Non uno di meno: deve essere questa la grande sfida della scuola pubblica italiana.
Questo obiettivo deve essere condiviso, noi speriamo da tutto il Parlamento e dal Governo; un obiettivo praticato dalle scuole e condiviso dalle scuole, dalle famiglie e dalle istituzioni locali, ossia dalle regioni e dagli enti locali. È importantissimo credere, praticare, sviluppare, sostenere con azioni incisive un grande patto tra le famiglie e le scuole da parte di tutte le istituzioni. Anche il fenomeno del bullismo non si combatte solo con le sanzioni, che pure devono essere attuate, ma occorre Pag. 48lavorare molto di più sulla condivisione di un progetto educativo comune, con azioni inclusive finalizzate a far prendere coscienza dei comportamenti sbagliati, a corresponsabilizzare nelle azioni educative e di recupero lo studente e la famiglia insieme alla scuola. Occorre alzare il tiro e rilanciare questo grande patto educativo.
Con la mozione che il Partito Democratico ha presentato vogliamo, dunque, di nuovo fare appello a tutti i gruppi parlamentari affinché si possa discutere e confrontarsi sulle proposte per affrontare i problemi della scuola nella sede del Parlamento: maggioranza, opposizione e Governo. Ciò è ancora più necessario nella situazione di crisi finanziaria ed economica globale e nazionale che stiamo vivendo: la conoscenza, il sapere sono fondamentali per promuovere uno sviluppo e una nuova crescita per il nostro Paese. Scommettere e investire sulla formazione e sulle giovani generazioni significa investire su un nuovo futuro per il nostro Paese: Obama e Sarkozy ci hanno dato un grande insegnamento in questa direzione.
Noi avanziamo delle proposte, alcune le ho già citate prima, altre sono contenute nella mozione, ma vorrei richiamarne solo talune in particolare. Riguardo all'urgenza di assicurare alle scuole, come dicevo prima, le risorse adeguate per il loro funzionamento, il Ministro stesso ha più volte affermato che il nostro sistema dell'istruzione può funzionare solo se si procede nella direzione dello sviluppo dell'autonomia scolastica. Bene, lo condividiamo, ma all'affermazione di principio occorre far seguire scelte concrete, occorre assicurare alle scuole le risorse minime già promesse per il funzionamento quotidiano e impegnarsi seriamente per assegnare loro le risorse adeguate per garantire lo svolgimento sereno del prossimo anno scolastico.
Alla luce dei risultati noi pensiamo che sia urgente ripensare e modificare in modo sostanziale il taglio voluto dal decreto-legge n. 112 del 2008. Inoltre, per garantire il regolare svolgimento del prossimo anno scolastico noi riteniamo fondamentale assumere iniziative volte a riconfermare tutto il personale a tempo determinato anche per il prossimo anno scolastico e a stabilizzare nell'anno in corso 50 mila docenti e 10 mila lavoratori, portando avanti e prorogandolo per le prossime due annualità il piano già previsto dal precedente Governo Prodi. Attuare, inoltre, un piano straordinario nazionale per la messa a norma degli edifici scolastici, per il risparmio energetico, per la realizzazione di laboratori e attrezzature didattiche, anche con la riduzione dei vincoli del Patto di stabilità che blocca gli investimenti degli enti locali e lo snellimento delle procedure amministrative. Evitare la chiusura delle piccole scuole di montagna e nelle isole minori laddove queste costituiscono un presidio pubblico insostituibile per l'educazione dei bambini e per la comunità. Modificare le disposizioni relative al maestro unico (comunque già bocciato dalla quasi totalità delle famiglie) e quelle relative all'abolizione delle compresenze dei docenti nelle scuole elementari. Adottare iniziative urgenti e interventi diversificati al fine di garantire l'avvio regolare delle attività scolastiche nei comuni colpiti dal terremoto in Abruzzo.
In conclusione, signor Presidente, ribadisco la nostra più ampia disponibilità a discutere in Parlamento con un confronto aperto e serrato i temi fondamentali e le criticità della nostra scuola, con l'obiettivo di avviare una profonda azione riformatrice, ma partendo dal valorizzare i suoi punti di forza (come la scuola dell'infanzia e la scuola primaria) e affrontando con rigore i nodi e le criticità, come ad esempio il diritto allo studio per tutti gli studenti e il contrasto alla dispersione scolastica. Un piano straordinario di aggiornamento in servizio dei docenti, partendo dalla scuola media e dal biennio dell'obbligo con priorità per la matematica, le discipline scientifiche e linguistiche. Il sistema di valutazione delle scuole e dei docenti; l'attribuzione di un organico funzionale alle scuole; la realizzazione di un piano dell'offerta formativa di qualità; avviare d'intesa con le regioni, da subito, Pag. 49sperimentazioni in varie province per migliorare l'efficacia e l'efficienza della spesa per l'istruzione, lasciando le risorse risparmiate ai territori e alle scuole che le hanno realizzate e premiando così le realtà più virtuose. Avviare una riforma condivisa e partecipata della scuola superiore che valorizzi i saperi tecnici e scientifici, porti a sistema le migliori delle sperimentazioni realizzate nelle scuole superiori e mantenga l'unitarietà del sistema, inclusi gli istituti professionali di Stato, garantendo altresì l'attuazione coerente dell'obbligo di istruzione a sedici anni. Attuare, infine, gli obiettivi europei di Lisbona, anche per quanto riguarda l'apprendimento per tutto l'arco della vita come diritto di ogni cittadino del nostro Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Baldelli, che illustrerà anche la mozione Garagnani, Goisis, Latteri ed altri n. 1-00206, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, svolgo qualche rapido cenno sulla mozione di cui sono cofirmatario e che reca la prima firma del collega Garagnani. È una mozione di maggioranza, su cui convergono le firme dei colleghi della Lega e del Movimento per l'Autonomia. Si tratta di una mozione che, insieme alle altre all'ordine del giorno, ci dà l'occasione per tornare sul tema della scuola circa un anno dopo la formazione del Governo. La mozione per alcuni aspetti ci dà l'occasione, inoltre, per poter tracciare un bilancio di questo avvio di legislatura, per potere immaginare un percorso successivo e affrontare alcuni temi all'ordine del giorno sull'argomento scuola.
Sono temi all'ordine del giorno dell'agenda politica e istituzionale del Paese non da oggi, e che vanno affrontati con competenza, con serietà e con prospettiva futura, cercando di offrire soluzioni concrete e valide agli studenti e alle famiglie. Ciò in un quadro di riqualificazione della spesa pubblica, che pure il Governo ha cercato di portare avanti.
Si tratta di una riqualificazione che trova nell'articolo 64 del decreto-legge n. 112 del 2008 un elemento portante, e che cerca di tenere alte le priorità che, su questo tema, il Governo, in particolare, credo anche l'opposizione, per alcuni aspetti, seppure con diversità di vedute, e gli operatori del settore intendono perseguire.
Mi riferisco alla necessità di migliorare il servizio offerto agli studenti e alle famiglie, alla valorizzazione del merito, al sostegno al diritto allo studio, anche attraverso la collaborazione con le regioni e con gli enti locali, al rafforzamento e alla possibilità di contare su un elemento propulsore, anche di creatività, di forza e di sviluppo, come quello dell'autonomia scolastica, all'offerta scolastica, anche in termini di valorizzazione delle strutture e, per quanto riguarda la scuola primaria, al servizio articolato in maniera diversa a seconda delle offerte orarie che possono essere sottoposte alle famiglie, e alla salvaguardia del tempo pieno.
Pertanto, il testo della mozione di maggioranza, che in questo momento sto illustrando, lavora su alcuni impegni, che sono relativi a queste priorità, in particolare al patto educativo tra famiglie e scuola, che è fondante del percorso educativo, professionale e didattico degli studenti nella scuola, che tocca l'argomento, anch'esso importante e determinante (che è stato di scottante attualità e del quale il Governo non si dimentica in un momento in cui la scottante attualità viene meno rispetto agli organi di stampa e ai mass media, ma che comunque resta un punto focale e importante all'ordine del giorno), della sicurezza degli edifici scolastici, affrontata in diverse sedi, dal CIPE e dall'INAIL, al decreto-legge n. 185 del 2008, non ultimo, che ha stanziato dei fondi e ha stabilito che questa fosse una priorità per l'attività del Governo. Nell'attività stessa degli enti locali è stata oggetto dell'attenzione della Conferenza unificata, quindi non se ne parla soltanto quando questo elemento emerge tragicamente dalle cronache. Pag. 50
Vi sono poi la questione Abruzzo - cioè la possibilità, che il Governo è riuscito a mantenere, di garantire la conclusione e l'avvio pronto e puntuale dall'anno scolastico in Abruzzo, nelle zone colpite dal terremoto del 6 aprile scorso -, la formazione per il personale docente e non docente in servizio, la governance del settore, il ruolo dei dirigenti, lo status degli insegnanti.
Sono tutti argomenti che crediamo debbano essere, debbano far parte e fanno parte, di fatto, dell'agenda del Governo nel settore della scuola. Non ultima vi è la questione del personale cosiddetto precario: l'attenzione che si deve e che il Governo certamente ha nei confronti di quei numerosi insegnanti che oggi fanno supplenze, che vanno considerati anche in una scala di priorità e tenendo conto del saldo del turnover. È necessario, quindi, porre queste figure in un ambito di considerazione all'interno della pubblica amministrazione, magari immaginando, se fosse possibile, addirittura di applicare formule che forse sono anche all'attenzione e allo studio del Governo, come quella dell'indennità di disponibilità.
Dunque, vi sono tanti argomenti che riguardano il settore della scuola, che noi consideriamo prioritario e strategico per l'investimento anche nel futuro del Paese sulle risorse umane. È un ambito strategico condiviso dal Governo, che speriamo possa trovare senso compiuto, al di là dell'occasione di discussione che ci danno queste mozioni, in un'attività legislativa e di intervento legislativo, da un lato, e amministrativo, dall'altro, che possa mantenere - lo ripeto, rispetto alla posizione originaria, in un ambito di una riqualificazione della spesa, volta a migliorare sostanzialmente il servizio - alti gli standard di servizio alle famiglie e agli studenti. Questi standard di servizio sono una scuola che funziona e una preparazione che adegui i nostri studenti al mercato del lavoro italiano ed europeo.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Zazzera, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00216. Ne ha facoltà.

PIERFELICE ZAZZERA. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, con la presente mozione vogliamo chiedere al Governo una discussione seria e approfondita sulla scuola pubblica e sulla riforma del mondo scolastico; scuola pubblica come difesa della libertà di formazione e del sapere per le nuove generazioni.
Si tratta di una discussione che il Governo ha impedito, ponendo la fiducia sul cosiddetto decreto Gelmini, poi convertito in legge; una riforma che trova origine in un provvedimento economico a firma Tremonti, il decreto-legge n. 112 del 2008, anch'esso convertito dalla legge n. 133.
Al Parlamento, in definitiva, è stata impedita ogni discussione democratica su un provvedimento che entra a gamba tesa in diversi settori, compreso quello della scuola.
Mi chiedo se i principi della Carta costituzionale reggono saldamente a provvedimenti che formalmente non sono incostituzionali, ma che, nei fatti, rendono inapplicabili i principi della Costituzione. È come se la Costituzione ogni giorno subisse una serie di picconate legislative, che ne conservano la forma, ma ne demoliscono la sostanza.
Il taglio di 8 miliardi di euro alla scuola, formalmente un provvedimento economico, nei fatti modifica forma e sostanza dell'assetto stesso della scuola, ovvero mette in discussione il principio costituzionale del diritto allo studio. Insomma, è come staccare la spina a un paziente in rianimazione, e ovviamente il paziente muore.
Come parlamentare e come componente della Commissione cultura ho pertanto il dovere di rappresentare gli interessi del mondo scolastico e di portare in quest'Aula la voce degli insegnanti e delle famiglie degli studenti, che vivono un momento davvero difficile.
Il Governo in questi mesi è rimasto sordo alle proteste civili nate spontaneamente nel mondo della scuola; è rimasto Pag. 51sordo a quel movimento che non rivendicava privilegi, ma chiedeva una scuola libera, efficiente e moderna.
La scuola è sempre stata uno dei motori principali del progresso della società civile e tutti gli attacchi portati ad un settore che è stato all'avanguardia - i nostri diplomati erano i migliori d'Europa e, per molti versi, la scuola elementare rimane ancora ad alti livelli - fungono da corollario all'improvvida strategia che sta portando l'Italia a perdere costantemente competitività rispetto al resto del mondo.
Di tutto questo non è responsabile l'inadeguatezza della scuola; al contrario, della sua continua depauperazione sono responsabili lo Stato e gli interessi privati in un Paese che, in Europa, spende meno di qualunque altro per istruzione, università e ricerca. Voglio ricordare la tanto citata America, il tanto citato Obama: uno dei primi provvedimenti economici fatti da Obama è stato quello di investire 800 miliardi di dollari proprio nella scuola, nella ricerca e nell'università.
Vedete, colleghi, noi dell'Italia dei Valori riteniamo che le problematiche del settore scolastico debbano essere affrontate con la stessa determinazione con cui si parla di finanza, di economia, di sanità e di ambiente, nel massimo rispetto delle esigenze di chi opera in questo ambito.
Invece, in questi anni, le politiche, per la verità, dei vari Governi hanno sempre progressivamente ridotto i fondi destinati all'istruzione. È come dire che si è rinunciato al futuro del proprio Paese, si è rinunciato a dare il sapere alle nuove generazioni.
Chi sceglie la professione del docente si assume la responsabilità di formare culturalmente le future generazioni ed è compito delle istituzioni rendere agevole l'espletamento di tale importante compito.
Che la scuola pubblica abbia bisogno di una riforma lo riconoscono tutti e lo chiediamo anche noi; ma noi dell'Italia dei Valori non vogliamo la morte della scuola pubblica, utilizzando le riforme. Noi dell'Italia dei Valori vogliamo una scuola pubblica da valorizzare, da difendere, che funzioni.
Fino ad oggi abbiamo assistito ad una corsa impari: da un lato, la scuola a piedi, senza fondi, abbandonata a se stessa; dall'altro, la scuola paritaria, su un motore di grossa cilindrata, finanziato continuamente, spesso anche di qualità discutibile. Stiamo creando nei fatti delle diseguaglianze, permettendo solo a pochi e facoltosi cittadini di accedere al sapere: la scuola, invece, è di tutti, la scuola è per tutti.
La scuola pubblica italiana risulta particolarmente penalizzata, deprezzata e con sempre più scarso riconoscimento sociale nel suo attore principale, il docente: il docente è sempre meno motivato, non solo sul piano economico.
Nel passato più recente, invece, è stato favorito un lento ma progressivo processo di burocratizzazione della professione docente, caratterizzata da sempre più frequenti imposizioni amministrative e gerarchiche. In questi ultimi 20 anni, il Parlamento ha approvato, infatti, una serie di leggi che hanno inciso profondamente sulla condizione degli insegnanti, considerandoli però indistinti dipendenti pubblici, alla stregua di tutti gli altri impiegati dello Stato.
Si impone, invece, un'inversione di marcia, per abbandonare la concezione burocratica dell'identità docente, che porta a stipendi modesti, poca preparazione, assenza di valutazione del merito individuale e scarsa stima da parte di famiglie e studenti.
Bisogna, invece, esaltare la professione del docente, attraverso la conoscenza verificata e in continuo aggiornamento della materia insegnata, stipendio parificato alle fasce superiori europee, riconquista della dignità di funzione agli occhi di famiglie e studenti (vediamo il sistema finlandese, per esempio).
È questa la vera riforma della scuola: rimettere in moto il ciclo virtuoso di una scuola che sa formare, ma anche dialogare.
La società del terzo millennio ha necessità di professionisti della conoscenza, che facciano riferimento ai loro enti di rappresentanza e non alla burocrazia ministeriale. Pag. 52Nella scuola si insegna e si apprende: non si tratta di mera trasmissione del sapere, bensì si sviluppa e si ricrea il sapere stesso. Nella scuola non si costruiscono manufatti industriali, né si svolgono mansioni di tipo burocratico: la stessa Costituzione definisce la scuola come un'istituzione, e quindi pubblica per stessa definizione.
La politica di questo Governo sembra, invece, voler frenare il processo di sviluppo e di modernizzazione di cui il mondo scolastico necessita, chiudendo gli occhi di fronte al mondo: serve una scuola che affronti seriamente le problematiche dell'integrazione e della multiculturalità; e invece, non possiamo dimenticare iniziative come quella dei test di accesso alle scuole per gli studenti stranieri, che sono una vera retromarcia per il Paese ed un grande segno di inciviltà.
Da un lato, il mondo grida parole come integrazione, multiculturalità, convivenza delle differenze, e un Presidente americano si reca nelle terre dell'Africa; mentre il nostro Governo, seduto al tavolo del G8, sostiene invece le classi ghetto e una scuola monoculturale, contro l'articolo 3 della Costituzione italiana.
Parlo di incoerenza, perché questo Governo riempie le pagine dei giornali millantando l'impegno profuso per il rilancio del Paese, quando invece ne smantella le basi, la base della stessa Carta costituzionale repubblicana.
Quando un Governo non assicura il rispetto dei principi fondamentali che regolano un Paese, allora il Paese va alla deriva, e con esso i concetti di sviluppo e di crescita, di stabilità.
Nella mozione presentata dall'Italia dei Valori non chiediamo soldi né impegni gravosi al Governo: chiediamo il rispetto della Costituzione, degli articoli 3, 33 e 34 della Carta costituzionale, nei fatti picconati e ridotti a macerie.
Eppure, la Corte costituzionale si è espressa sulla legittimità di alcuni atti di questo Governo sul sistema scuola, ma il silenzio ha regnato sovrano: mi riferisco alle nuove norme sui tagli della scuola, che, com'è noto, sono state dichiarate incostituzionali dalla sentenza n. 200 del 24 giugno 2009 della Corte costituzionale, per violazione dell'articolo 117 sulla potestà legislativa dello Stato e delle regioni.
Tutto l'impianto della nuova riforma scolastica presenta forti elementi di criticità, a partire dallo smantellamento della scuola pubblica a vantaggio della scuola privata. Su questo punto, ancora una volta, ci troviamo di fronte ad una violazione costituzionale dell'articolo 33: il Governo taglia i finanziamenti alla scuola pubblica, ma trova risorse per la scuola paritaria. Credo che prima di tutto dobbiamo assicurare il buon funzionamento della scuola pubblica, e poi anche garantire il diritto ai cittadini di scegliersi la scuola privata.
Viviamo un momento di grave crisi economica. Dove vogliamo arrivare in questa maniera? Al ritorno dell'analfabetismo? Certo, conviene mantenere il popolo somaro e lontano dalle conoscenze e dalle informazioni, perché un popolo istruito è un popolo libero e, dunque, pericoloso.
Il modello di scuola di questo Governo mette, dunque, in discussione il diritto allo studio. Una forma di Governo dittatoriale si misura anche da come condiziona il pensiero attraverso la scuola e l'istruzione. È, forse, diverso da una dittatura quello che si fa istituendo una scuola che organizza il pensiero unico e il modello di società più conveniente, che non forma cittadini ma persone prive di indipendenza e libertà? Riflettiamo: intervenire sulla scuola, sulla formazione, sul sapere significa sancire una sorta di dittatura dolce che, attraverso lo sbilanciamento verso la scuola privata, riduce gli spazi di autonomia e libertà di pensiero.
La scuola deve essere libertà, gioia, crescita e non credo neppure severità, come ci dicono gli ultimi dati. Non basta l'aumento da 12 mila a 15 mila bocciati alla maturità per dire che la scuola è migliorata ed è rigorosa. L'obiettivo di tutti è dare autorevolezza alla scuola e riconoscere l'autorità dei docenti: oggi, invece, la scuola pubblica è riconosciuta come la scuola degli insegnanti fannulloni, degli alunni violenti, degli istituti spreconi. Pag. 53
Per ridare autorevolezza alla scuola occorre assicurare il rigore dei controlli nell'utilizzo dei fondi pubblici, che sono distribuiti in misure consistenti, ma sono male utilizzati: si tratta spesso di un fiume di soldi assegnato senza controlli e senza regole e che finisce per essere disperso in mille rivoli. Quei soldi, ben spesi, dovrebbero assicurare una scuola pubblica funzionante, efficiente, moderna. Servono docenti preparati, continuamente aggiornati, messi in grado di poter formare gli studenti assicurando loro le dovute attenzioni didattiche. Siamo ben lontani dal modello di scuola inclusiva in cui l'insegnante ha gli strumenti per poter accompagnare tutti - tutti e senza distinzione - gli alunni nel loro percorso di crescita.
Con la riforma Gelmini il Governo ha introdotto il maestro unico e il modulo delle ventiquattro ore, ha aumentato il numero degli studenti per classe, ha ridotto il numero degli insegnanti, ha tagliato le cattedre, ha riformulato i quadri orari e ha ridotto l'insegnamento di materie come il diritto e l'economia. Gli studenti delle future generazioni, dunque, non avranno più basi né umanistiche né nozionistiche per affrontare il confronto con i giovani degli altri Paesi perché non saranno più competitivi. È una scuola debole quella che stiamo costruendo.
Il criterio che ha dato forma alla riforma scolastica è un criterio economicistico. Conseguentemente, la riforma della scuola ha significato meno risorse e meno personale: 132 mila fra docenti e personale ATA nei prossimi tre anni. Anzi, già con la nota del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca dello scorso 9 luglio sono stati licenziati 15.167 ATA. Provvedimenti come il blocco dell'accesso alla professione, la sospensione della scuola di specializzazione per gli insegnanti di scuola secondaria e il blocco delle graduatorie scolastiche stanno rendendo debole il sistema della scuola.
L'edilizia scolastica è poi uno dei drammi di cui ci accorgiamo solo davanti alle catastrofi e che poi passa nel dimenticatoio. Le scuole non sono sicure, e otto milioni di bambini e di giovani rischiano la vita in edifici non a norma. Questo Governo sa che deve spendere 14 miliardi per mettere in sicurezza gli istituti del Paese; invece, e solo sotto la spinta di un disastro come quello dell'Abruzzo, ne dà appena 300 milioni: una goccia nell'oceano.
Da qualche mese, in Commissione si discute di un modello di autonomia scolastica. Per la verità, se ne discute da anni. L'autonomia scolastica è l'obiettivo da raggiungere, certo. Ma si tratta dell'autonomia di azione e di pensiero; invece, si discute solo di autonomia finanziaria: i consigli di istituto vengono trasformati in consigli di amministrazione, le scuole fin dalle elementari sono trasformate in fondazioni, con la conseguenza della chiamata diretta dei docenti da parte dei dirigenti. Il provvedimento sulla riforma della scuola pubblica in senso autonomo dunque non coglie nel segno.
Le istituzioni scolastiche pubbliche vanno riformate, ma non smantellandone le caratteristiche fondamentali previste dalla nostra Costituzione. Vi è bisogno di una scuola pubblica che valorizzi il merito, efficiente, innovativa, moderna; una scuola pubblica nella quale gli organi di controllo siano efficaci e vigilino concretamente sulla trasparenza nell'uso dei fondi pubblici.
Una scuola pubblica efficiente, inoltre, deve saper programmare il personale docente sostenendolo con continui corsi di formazione e, non da ultimo, affrancandolo dalla situazione di costante precarietà: stiamo costruendo una scuola fatta di precari ed è per questo motivo che noi dopodomani, il 15 luglio, come Italia dei Valori saremo a fianco dei precari a manifestare qui davanti a Montecitorio (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Capitanio Santolini, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00218. Ne ha facoltà.

LUISA CAPITANIO SANTOLINI. Signor Presidente, ancora una volta siamo in Aula Pag. 54a discutere e a trattare di un tema che sta a cuore a tutti, come dimostrano le mozioni presentate (prima si trattava del problema dell'aborto a livello internazionale, ora di quello della scuola, temi cruciali per definire il livello di civiltà di un Paese e per definire il punto cui siamo arrivati, per ciò che riguarda la scuola, dopo lunghe riforme e faticosi cambiamenti).
Un argomento altrettanto importante di quello precedente riguarda, appunto, la scuola. Siamo qui perché - e il sottosegretario Pizza lo sa - ci troviamo al termine di un anno scolastico difficile: difficile certamente per il Governo, ma soprattutto per le strutture scolastiche, per le famiglie e per gli alunni.
Abbiamo infatti assistito a dei grandi cambiamenti e ad una strisciante riforma, anche se non è stata definita tale, del Ministro Gelmini, che ha inteso modificare profondamente l'assetto della scuola - e che continuerà a farlo - sulla spinta anche ma, probabilmente, soprattutto di problemi economici.
Ricordo a me stessa che, quando all'inizio della legislatura il Ministro Gelmini venne in Aula e in Commissione cultura, disse che non aveva intenzione di operare grandi cambiamenti e che avrebbe fatto tesoro di quello che i precedenti Ministri, sia nel Governo Prodi che nel precedente Governo Berlusconi, avevano fatto, cercando di evitare grandi scossoni alla scuola.
Non si può dire che ciò sia successo: la scuola ha avuto grandi scossoni ed ha affrontato certamente un periodo non facile. Siamo alla fine dell'anno scolastico ed il bilancio non è ampiamente positivo. Abbiamo salutato con favore alcuni provvedimenti caratterizzati da un maggior rigore, una maggiore disciplina, una maggiore serietà: l'esito di questi giorni e di queste ore indica che è aumentato il numero dei ragazzi bocciati e questo non ci fa piacere, perché sappiamo quale dramma vi sia dietro ogni bocciatura.
Se questo significa un recupero di serietà, di impegno e di eccellenza nella scuola, può essere anche salutato come un segno di rinnovamento e di rigore; ma certamente non può esserlo se abbandoniamo i ragazzi a se stessi, né se aumentiamo la dispersione scolastica o se facciamo pagare alle famiglie un rigore che poi la scuola non si impegna a recuperare.
È stato un anno complicato, con tagli molto forti di risorse alla scuola (8 miliardi in tre anni, come è stato già richiamato): una mancanza di risorse che ha fatto sì che moltissimi istituti scrivessero anche a noi parlamentari (siamo stati veramente subissati di e-mail, di lettere e di richiami dal mondo della scuola), dal momento che il taglio delle risorse ha messo moltissimi istituti nella effettiva ed oggettiva difficoltà di far fronte a spese ordinarie e, soprattutto, di non sapere poi quale sarà l'esito di queste riforme e della razionalizzazione che in qualche modo ha investito la scuola.
È un anno che ci deve far svolgere una riflessione, non solo in quest'Aula, e deve far assumere al Governo quegli impegni che chiediamo con queste mozioni. Un aspetto che va affermato e sottolineato è che le famiglie si trovano in una situazione di oggettiva difficoltà, perché, come è stato dimostrato in maniera ufficiale in moltissimi documenti, il calcolo degli organici della scuola è stato fatto sulla base delle 24 ore settimanali. Gli organici e le relative risorse stanziate, di fatto e di diritto, sono stati calcolati in questo modo.
Tuttavia, la stragrande maggioranza delle famiglie, il 34 per cento, ha scelto il tempo pieno di 40 ore, e il 56 per cento ha scelto i moduli con 30 ore; il 90 per cento delle famiglie dunque ha scelto un modello di orario diverso da quello prefigurato dal Governo, che necessita quindi di una maggiore quantità di risorse, di orari e di tempi-scuola. Ho chiesto al Governo come intendesse regolarsi e la risposta mi è stata cortesemente fornita dal sottosegretario Pizza in persona, il quale ha affermato che in realtà si è provveduto ad accogliere «la maggior parte» delle richieste delle famiglie (quindi, non tutte le famiglie sono state soddisfatte). Pag. 55
Per quanto riguarda il tempo normale - questa è la risposta del Governo - le risorse di organico disponibili consentiranno di accogliere la maggior parte delle richieste delle famiglie. Questo dato non può non destare preoccupazioni. Viene detto, sempre dal Governo, che tutto questo verrà fatto nei limiti dell'organico assegnato per l'anno scolastico e delle risorse disponibili, ma sappiamo che le risorse disponibili sono certamente calate e non aumentate. La preoccupazione nei confronti delle scelte di famiglie quindi viene richiamata in questa occasione, perché ci sembra doveroso affermare che le famiglie hanno un assoluto diritto di scegliere i tempi dei loro figli, i tempi della scuola e della loro vita. La nostra prima richiesta è dunque che si chiarisca questo aspetto.
Un secondo aspetto che ci interessa molto e che è stato già ampiamente illustrato dai colleghi riguarda gli insegnanti, i precari, la garanzia del posto di lavoro a coloro che sono impiegati nelle scuole, aspetto che deve andare di pari passo con il riconoscimento del lavoro degli insegnanti, che sono troppo spesso demotivati e stanchi del proprio lavoro, che non è riconosciuto ad alcun livello. La carriera degli insegnanti è prefigurata nella riforma della governance della scuola, ma andrebbe realizzata in maniera più strutturale, mettendo a disposizione delle risorse che abbiamo paura che non ci siano.
Un'altra questione che ci interessa moltissimo è la messa in sicurezza degli edifici. Lo abbiamo detto in più occasioni: non si può aspettare la tragedia sempre annunciata di qualche scuola e che purtroppo travolge dei bimbi e arreca lutti alle famiglie; dovremmo andare nella direzione ben più coraggiosa della sicurezza degli edifici.
Inoltre, vi è il problema delle scuole delle comunità montane e delle piccole isole: è un problema certamente di risorse, ma di non pregiudicare il diritto all'istruzione di questi bimbi, che non hanno chiesto di nascere in un posto piuttosto che in un altro e non possono pagare di persona le scelte che un Governo compie nei confronti dei bambini che vivono in zone disagiate. Si può razionalizzare, si può migliorare, ma non sulla testa dei bambini e delle famiglie, quindi occorre un ripensamento saggio e sereno di questa decisione che riguarda le scuole nelle zone di montagna e nelle isole minori.
Infine, vi è una questione che mi sta particolarmente a cuore, e colgo l'occasione per chiarire un concetto che mi sembra assolutamente fondamentale. Sia nella mozione dell'onorevole Ghizzoni sia nella mozione dell'Italia dei Valori si continua a parlare di scuola pubblica intendendo per scuola pubblica quella statale. Io credo che in questa sede occorra stigmatizzare questo modo di esprimersi, perché è profondamente errato, non perché ovviamente lo dico io, ma perché si dimentica che esiste la legge n. 62 del 2000, che concerne un sistema scolastico integrato in cui le scuole statali e non statali erogano un servizio pubblico.
Quindi tutti - sottolineo questo concetto - sono chiamati a parlare di scuole statali e non statali che insieme erogano un servizio pubblico. Credo che sia ora di smettere di parlare perennemente di scuola pubblica riferendosi esclusivamente alla scuola statale. Non solo è un errore di prospettiva, ma in quest'Aula risuona veramente come un atto di non conoscenza delle leggi che sono state approvate dal Parlamento e che sono leggi dello Stato italiano.
Quando si parla di servizio pubblico ci si deve riferire alle scuole statali e non statali, e sono convinta che il Governo ne sia ben consapevole e che il sottosegretario, che in questo momento rappresenta il Governo, sia pienamente d'accordo con me. Dunque, in questa nostra mozione abbiamo doverosamente inserito il problema della scuola paritaria, perché si tratta di scuole che - insisto - erogano un servizio pubblico e hanno diritto di essere trattate come tali.
Secondo l'articolo 33 della Costituzione - lo ricordo - gli studenti che frequentano le scuole non statali hanno diritto a un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali. Si Pag. 56tratta dell'articolo 33 - insisto - della Costituzione. A nove anni dall'approvazione della legge n. 62 del 2000 la sua applicazione è praticamente sulla carta, perché rischia di essere vanificata non solo dalla crisi economica ma dalla non volontà politica di garantire alle famiglie la libertà di scelta educativa.
Vorrei ricordare, prima di tutto a me stessa ma anche ai colleghi presenti in Aula, che se le famiglie che iscrivono i figli nella scuola non statale di colpo, al prossimo settembre, iscrivessero in massa i loro figli alla scuola statale, il sistema sarebbe al collasso. In altre parole, qui vige una sussidiarietà al contrario, per cui sono le famiglie che sussidiano lo Stato e non viceversa.
Se le famiglie iscrivessero - insisto - tutti i loro figli alle scuole statali, non ci sarebbero posti a sufficienza per accoglierli tutti e il sistema sarebbe al collasso. Non solo: lo Stato dovrebbe erogare 6 miliardi di euro, che attualmente risparmia sulle spalle delle famiglie che iscrivono i figli alle scuole non statali e che sono costretti a pagarsi questo servizio. Quindi i figli delle scuole non statali pagano le tasse con cui ovviamente si finanzia il servizio pubblico statale e le loro famiglie sono costrette a pagare, un'altra volta, le scuole non statali che scelgono per il bene dei loro figli.
Lo Stato quindi, da anni, sta risparmiando miliardi sulle spalle delle famiglie. Va ricordato perché altrimenti qui c'è un errore di prospettiva, che significa falsare tutto il discorso della scuola e della riforma della scuola.
Pertanto, oltre a riconoscere il lavoro degli insegnanti, la scelta delle famiglie, l'autonomia scolastica, i tagli alla scuola (che vanno rivisti) e tutto il complesso degli interventi, che io condivido, è necessario - e una parte della nostra mozione va in questa direzione - armonizzare le esperienze che vi sono in un territorio e, quindi, le reti di scuole statali e non statali che erogano un servizio pubblico. Dunque, è necessario riconoscere le esperienze che vi sono in un territorio, facendole convergere in una sorta di unico sistema pubblico riconosciuto, in cui tali esperienze vengono confrontate e messe in comune con le buone pratiche, che possono venire da una parte o dall'altra. Si tratta di un sistema davvero integrato e di un'applicazione reale della legge n. 62 del 2000.
Con la mozione in oggetto chiediamo al Governo un impegno - teniamo moltissimo anche a questo aspetto - circa il significato della materia scolastica nel suo complesso e nell'accezione completa del termine, ossia cosa significhi favorire e garantire la libertà di scelta educativa delle famiglie - questione già contenuta nel programma di Governo, quindi, non dico nulla di nuovo - alla luce del federalismo fiscale. Non è una novità da poco, è una novità di grande portata, che avrà effetti per i prossimi anni. Si stanno scrivendo - ci vorranno un paio d'anni - i regolamenti attuativi, in cui si dirà cosa si intende fare e come si intende procedere affinché con il federalismo fiscale sia garantita, a livello regionale, la libertà di scelta educativa che non sia affidata ad un'interpretazione, che può essere più o meno corretta, di coloro che dovranno attuare il federalismo fiscale.
Pertanto, vi è una serie articolata di richieste e di impegni per il Governo, che mi auguro davvero possa assumere. Per l'ennesima volta, si tratta di ribadire che il sistema scolastico italiano versa in gravi difficoltà, che occorrono risorse, che occorre il riconoscimento del primato educativo delle famiglie, che occorre una grande alleanza tra docenti e famiglie, che occorre il coraggio di affrontare i nodi della scuola, a partire dalle questioni che ho rapidamente illustrato, e che occorre non dimenticare che esiste un sistema scolastico costituito dalle scuole non statali, che merita il massimo rispetto e la massima attenzione.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Goisis. Ne ha facoltà.

PAOLA GOISIS. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, il sistema di istruzione relega i nostri giovani in fondo alle classifiche internazionali e Pag. 57priva i nostri docenti del prestigio sociale ed economico che dovrebbe competere alla loro professione. È un sistema di istruzione che ha lasciato sulla carta l'autonomia scolastica.
Il sistema pubblico di istruzione, preso nel suo complesso, purtroppo, non è all'altezza degli obiettivi che una politica lungimirante dovrebbe porsi. Vorrei sottolineare le parole «preso nel suo complesso», perché sia chiaro che, nella scuola italiana, esistono istituti ed insegnanti eccellenti, che - mi viene da dire - resistono, nonostante mille difficoltà.
Il sistema attuale produce, però, un'altissima dispersione scolastica, privilegia chi è in grado di acquisire il sapere in circuiti paralleli e, spesso, lascia al palo chi solo nella scuola statale può cercare gli strumenti per la propria elevazione sociale.
Non possiamo rassegnarci ad un sistema sperequato e socialmente ingiusto, dove permangono fortissime differenze qualitative nel risultato della nostra istruzione, differenze tanto più marcate in negativo laddove, invece, maggiore sarebbe l'esigenza di un grado elevato di istruzione. Un sistema esclusivo, dunque, e non inclusivo, dei giovani italiani e dei giovani stranieri.
In una società libera e democratica abbiamo il compito di diffondere il sapere. Il nostro dovere non è consegnare ad ogni italiano un «pezzo di carta», ma un titolo di studio vero, ottenuto con impegno. Il nostro dovere è far sì che gli anni di scuola vengano percepiti come indispensabili e non, come capita oggi - lo testimoniano le rilevazioni sui sentimenti dei giovani -, come una sorta di parcheggio da abbandonare il prima possibile. Meno la scuola è qualificata, meno sarà ritenuta utile e il nostro dovere è offrire a tutti una scuola di qualità che accompagni le predisposizioni personali, una scuola di serie A, qualunque sia l'indirizzo che un giovane intende seguire, e che prepari i suoi studenti anche alla vita civile.
I dati OCSE hanno bocciato, ancora una volta, la scuola italiana: tanti i costi, pochi i risultati. Soprattutto in lettura e in matematica, le performance dei nostri ragazzi sono al di sotto della media dei Paesi in cui è stato condotto lo studio. Se si giudica davvero sulla base dei dati ottenuti alle prove di Pisa, alle domande sui risultati del sistema educativo italiano risulta impossibile dare una risposta univoca. Nonostante il numero di ore trascorse sui banchi - ben al di sopra della media europea - e l'interminabile lista di compiti a casa per gli studenti, registriamo un numero di ore passate in classe, da parte di ogni insegnante, così basso da fare invidia ai colleghi di tutta Europa. Il risultato è un paradosso. In un altro Paese ciò sarebbe materia di scandalo, l'opinione pubblica si solleverebbe e la classe politica cercherebbe un rimedio. Purtroppo, in Italia il governo vero della scuola, da almeno un trentennio, è delegato ad un'alleanza di ferro fra burocrazia ministeriale e sindacati, con risultati pessimi e nel disinteresse generale.
Il livello di preparazione degli adolescenti di importanti regioni del nord Italia è risultato non soltanto superiore rispetto a quello medio del Paese e fortemente distaccato da certe aree del sud e anche del centro, ma si è anche collocato su livelli di competenza analoghi a quelli di regioni comparabili di altri Paesi europei che hanno ottenuto punteggi medi molto migliori dell'Italia. Anzi, i confronti interregionali internazionali, che per la prima volta sono stati effettuati per questo studio, consentono di affermare che le medesime regioni del nord Italia ottengono punteggi superiori a quelli delle regioni europee poste a confronto in alcune fondamentali aree di competenza, come la lettura e le scienze. Ciò non significa che le regioni italiane considerate non abbiano al loro interno specifici punti di debolezza, né che siano assenti differenze sistematiche anche tra le stesse regioni del nord, come lo studio consente di verificare.
Al di là di questi dati, se ci soffermiamo sulla questione dell'insuccesso scolastico, possiamo senz'altro affermare che, nella maggior parte dei casi, esso è correlato ad una differenza dei tempi e degli stili di apprendimento dei singoli individui, Pag. 58di cui non si riesce a tenere sufficientemente conto nel normale svolgimento dei programmi, contraddistinti da criteri di grande uniformità di tempi e di approcci.
In Paesi dove la scuola conta, la scelta è stata quella di interfacciare le istituzioni scolastiche con il potere locale, con il trasferimento forte di potere. Da noi è ormai tempo che ciò avvenga in maniera risoluta. È quindi necessario che il progetto educativo si trasformi nel progetto di una comunità educante in cui possa risiedere la sostanza dell'autonomia e che sia in grado di incentivare le scelte didattiche degli insegnanti.
In Europa esistono diverse tendenze verso l'autonomia. Il cambiamento nel Governo delle scuole ha assunto molte forme, ma una tendenza costante in tutti i Paesi europei è una maggiore autonomia e responsabilità per i genitori, gli enti locali e i dirigenti scolastici, nonché una sempre maggiore libertà di trattare i contenuti educativi e di variare il curriculum.
Il curriculum nazionale è naturalmente sacrosanto, anche se vi è una maggiore libertà di concentrarsi su alcuni elementi che possono essere più rilevanti in un'area di un Paese rispetto ad un'altra. Inoltre, è stata attribuita alle scuole la responsabilità locale di gestire le risorse sia umane che finanziarie. Una delle tendenze principali è proprio quella di responsabilizzare le scuole e i soggetti che nelle scuole prendono le decisioni più funzionali ai loro interessi.
Il ruolo dell'educazione nel trasformare la società è evidente. La trasmissione di conoscenze e di valori, l'educazione, è diventata lo strumento per raggiungere cambiamenti e trasformazioni; è il mezzo per potenziare gli individui e la loro collettività, è un necessario principio di guida e di organizzazione per le riforme educative. Anche la globalizzazione ha reso importante l'apprendimento di nuove abilità e competenze. La capacità di vivere insieme, il pensiero critico, la comunicazione, la creatività, l'abilità nel dirigere e nell'anticipare i cambiamenti sono solo alcune delle abilità e delle competenze richieste a tutti, stimando che almeno un terzo degli studenti della scuola superiore secondaria faranno affari e lavori oggi sconosciuti.
In molte comunità, il crescente numero di immigrati significa che i residenti devono scoprire nuovi modi di relazionarsi alle persone di altre culture. Questo fenomeno condiziona i costumi, le abitudini, l'ambiente di vita e i rapporti umani. Ciò nonostante, riteniamo che sarebbe un errore ritenere che la cultura globalizzata debba portare alla rimozione delle diverse culture e delle singole identità. I temi delle disuguaglianze, delle nuove povertà, della tutela dei diritti, delle identità singole o su misura, non possono che avere cittadinanza in un disegno educativo. Rimane, tuttavia, ferma l'esigenza che l'educazione affronti in modo idoneo la non agevole convivenza di culture che sono spinte al confronto dei loro stessi aspetti dinamici correlati al quadro linguistico e religioso. Diceva Delors: l'educazione deve cercare di rendere gli individui coscienti delle proprie radici e fornire specifici punti di riferimento che consentano loro di definire la loro collocazione nel mondo ma dovrebbe insegnare loro anche il rispetto delle altre culture.
Sottolineo l'esigenza di trasferire anche ai bambini immigrati l'importanza della tradizione culturale italiana e le specificità culturali, storiche e linguistiche locali. Gli interventi educativi devono essere modelli di integrazione; tuttavia, nel campo dell'insegnamento non si può subire la pressione dei movimenti migratori, nel momento in cui intende passare dalle identità separate alla comunità plurale. Quindi, sul versante didattico, ancora è necessario attivare tutte le esperienze di educazione linguistica, scambi, partenariati, pedagogia comparata e formazione degli insegnanti ma è altrettanto importante, per creare un processo osmotico con i bambini italiani, trasmettere un messaggio importante a chi, provenendo da altre civiltà che si sentono schiacciate dall'Occidente o almeno tenute in condizione di subalternità economica, politica e culturale che l'Occidente - questo è il messaggio da recepire - ha il cristianesimo tra le proprie principali Pag. 59matrici storiche e culturali. Solo così il nostro Paese potrà essere accettato ed amato dai nuovi interlocutori che il divenire storico pone davanti a noi.
La legge Gelmini è stata certamente una prima risposta all'innegabile esigenza di cambiamento che tutti sentiamo. Essa contiene norme con le quali sono state introdotti l'insegnamento di «cittadinanza e Costituzione» e il cosiddetto «voto in condotta». Compito centrale della scuola è anche quello di formare dei cittadini informati, consapevoli e responsabili per la società di domani. La disciplina «cittadinanza e Costituzione» mira infatti all'acquisizione di conoscenze, all'interiorizzazione di principi e alla messa in pratica di comportamenti individuali e collettivi civilmente e socialmente responsabili, ispirati a quelle conoscenze e ai quei principi. Attraverso questa norma, abbiamo voluto dare certezza e mettere a sistema norme che, caduta la vecchia normativa e nelle more dell'applicazione del decreto legislativo 17 ottobre 2005, n. 226, risultano poco determinate e limitate a casi gravissimi.
È ritornato, dunque, il voto in condotta in una valutazione autonoma, espressa in decimi e decisiva per il superamento dell'anno scolastico e, accanto al voto in condotta, hanno ripreso vigore quei patti tra famiglie, istituzioni scolastiche e studenti che rappresentano un'importante linea di difesa e di recupero nei confronti del bullismo.
La scuola, ogni singola classe, rappresenta, infatti, un microcosmo sociale, un luogo con proprie regole che contribuisce in maniera decisiva all'educazione e al vivere civile. In troppi casi siamo passati da un'eccessiva severità ad un eccessivo lassismo; ora la scuola farà la sua parte, ha fatto la sua parte, ma anche le famiglie devono fare la loro.
Il richiamo al senso di responsabilità non basta se non si ricostruiscono un'alleanza educativa tra scuola e famiglia e tra scuola, studenti e genitori. Questa alleanza parte da un recupero certo di autorevolezza ed importanza sociale degli insegnanti. Questa alleanza parte da un recupero di senso per la scuola, da un recupero di credibilità e da un progetto, ma non può non partire senza il recupero di un linguaggio comune all'insegna della semplicità e della concretezza.
La cosiddetta legge Gelmini propone il ritorno ad una valutazione numerica, in sostanza si sostituisce alla ricerca, da parte degli insegnanti, di circonlocuzioni spesso incomprensibili da parte delle famiglie un numero.
La semplificazione introdotta attraverso il ritorno ai voti, in numeri, si accompagna ad un'altra semplificazione, quella normativa, perché abbiamo sinora costretto dirigenti scolastici e insegnanti a dedicare troppa parte del loro tempo a interpretare normative e circolari spesso contraddittorie e fumose.
Con riferimento alla famiglia l'attenzione concreta di questo Governo trova riscontro sul cosiddetto caro libro. Il disagio per il caro libro e le riedizioni posticce saranno presto un caro ricordo. Il Governo è già intervenuto, con il decreto-legge 25 giugno 2008, oggi legge 6 agosto 2008, n. 133, per l'individuazione fino all'anno scolastico 2011- 2012, nei limiti in cui sia possibile, dei libri di testo disponibili in tutto o in parte nella rete Internet e dall'anno scolastico 2011-2012 con libri utilizzabili nelle versioni scaricabili da Internet o miste.
L'obiettivo è stato quello di adottare libri per i quali l'editore si sia impegnato a mantenere invariato il contenuto per un quinquennio o per sei anni, salvo l'eventualità che si rendano necessarie appendici di aggiornamento che comunque dovranno essere disponibili separatamente.
Un secondo criterio è stato introdotto: non possiamo consentire che si continuino ad adottare libri di testo in contrasto con la disciplina legislativa vigente. Non possiamo consentire che non vengano rispettati, a discapito delle famiglie, i tetti fissati dal Ministero entro i quali insegnanti avveduti possono, peraltro, comodamente restare.
Per questo il Governo ha ritenuto necessario imporre al dirigente scolastico di vigilare affinché gli organi scolastici assumano Pag. 60le deliberazioni di loro competenza nel rispetto rigoroso della normativa vigente.
Veniamo infine al cosiddetto maestro unico. Il tempo pieno non è stato toccato, certe campagne allarmistiche verso le famiglie a cui era stato detto che dovevano rinunciare al tempo pieno o al tempo lungo semplicemente non hanno avuto ragion d'essere. È stato loro dimostrato che non era così.
In realtà la reintroduzione del maestro unico prevalente risponde anzitutto ad un'esigenza pedagogica perché il maestro è prima di tutto una guida e un punto di riferimento. Alle elementari prima che un insegnante specialistico serve una guida; i moduli invece sono un'anomalia tutta italiana in un'Europa che vede ovunque l'istituto del maestro unico prevalente.
Peraltro attraverso il migliore impiego delle risorse è stata lasciata alle famiglie la libera scelta tra le 24, le 27 e le 30 ore settimanali o il tempo pieno.
Allo stesso modo è stato mantenuto l'insegnamento della lingua straniera che sarà indirizzata verso una sempre maggiore qualità come pure l'insegnamento della religione cattolica attraverso insegnanti specialisti.
Inoltre, desidero precisare che la scuola elementare ha costituito un punto di eccellenza del nostro sistema di istruzione ben prima dell'introduzione dei moduli, i quali non hanno certo contribuito a migliorare la didattica. I livelli di eccellenza raggiunti si debbono piuttosto alla dedizione di generazioni infaticabili di insegnanti.
Non posso dimenticare un riferimento a L'Aquila e, quindi, la nostra richiesta di interventi volti a garantire il regolare svolgimento delle attività educative e scolastiche, assumendo tutte le iniziative necessarie per consentire la regolare chiusura del corrente anno scolastico e il regolare avvio del prossimo, non esclusa la sospensione dell'articolo 64 della legge finanziaria per il 2009, al fine di snellire al massimo le modalità relative alle procedure che riguardano il personale della scuola per non rendere perentorie le scadenze per coloro che risiedono o prestano attività lavorativa nelle zone coinvolte dal sisma. Pertanto, chiediamo di sospendere le previste riduzioni di organico docente e ATA per facilitare la riorganizzazione dell'intera rete scolastica.
Infine, vi è il problema dei precari con tutti gli aspetti negativi che ad esso si collegano. Questo problema si trascina ormai da troppo tempo. Il ricorso alle sanatorie, oltre ad eludere il problema fondamentale di un serio accertamento dei requisiti professionali, non può che dare risposte parziali visto l'elevato numero dei precari ormai raggiunto e la necessità di tenere conto di una spesa per studente già elevata. I concorsi, così come attualmente concepiti, inevitabilmente creano nuovi precari. Diventa, quindi, ineluttabile attuare una pianificazione regionale basata sull'assunzione di personale docente al 100 per cento sui posti effettivamente disponibili nell'ambito regionale e provinciale.
La proposta di legge della Lega Nord istituisce distinti albi regionali, ai quali possono accedere i docenti che hanno conseguito la laurea magistrale, il diploma accademico di secondo livello e l'abilitazione all'insegnamento, con il vincolo della residenza in uno dei comuni del territorio regionale dove viene espletato il concorso. L'accesso all'albo è subordinato ad un test di valutazione somministrato dal comitato regionale di valutazione e volto a valutare le seguenti caratteristiche: le aspettative e gli obiettivi che i docenti si pongono al fine di garantire il raggiungimento degli standard previsti ed il possesso delle qualità personali intellettuali adatte per diventare insegnanti; la conoscenza delle proprie responsabilità future all'interno del sistema di istruzione e sui metodi da attuare riguardo ai bisogni educativi speciali meno diffusi; la conoscenza di una vasta gamma di strategie per promuovere l'educazione alla cittadinanza, alla legalità, alla salute e il rispetto delle proprie radici culturali; l'influenza che il sistema valoriale può avere sull'apprendimento degli studenti, influenzando il loro sviluppo fisico, intellettuale, linguistico culturale ed emotivo; la buona conoscenza delle tecnologie didattiche Pag. 61sia per l'insegnamento della loro materia sia come supporto del ruolo professionale. Il punteggio ottenuto determina l'ordine di iscrizione all'albo e può essere utilizzato come miglior punteggio ai fini della graduatoria di merito compilata sulla base della somma del punteggio riportato nella prova di esame orale e nella valutazione dei titoli.
L'articolo 2 della nostra proposta di legge istituisce il concorso regionale, al quale accede il 100 per cento dei docenti iscritti al predetto albo, riservando - in caso di esiguo numero di candidati a determinate classi di concorso ordinarie o relativamente a discipline di particolare specializzazione - una quota di partecipazione interregionale ai docenti iscritti negli albi delle regioni limitrofe. La ratio del concorso che proponiamo risiede nella selezione per merito prescindendo dai voti ottenuti dai titoli, dando l'idoneità al concorso sulla base del voto ottenuto alla prova orale d'esame.
All'inizio del corrente anno scolastico ho presentato un atto di sindacato ispettivo a seguito di un servizio mandato in onda lo scorso 8 febbraio 2009 dal programma televisivo «Presa diretta» (sulla rete Raitre) dal titolo «La scuola tagliata». Il predetto servizio ha fatto una cronaca diretta sui mali cronici della scuola in alcune regioni della nostra penisola.
L'inchiesta ha portato alla luce alcune sconcertanti verità che riguardano una sorta di compravendita di master, intercorrente tra alcune prestigiose università telematiche del centro-sud e precari storici che cercano di collezionare il maggior numero di titoli aventi valore legale ai fini dell'acquisizione di un maggior punteggio per una buona collocazione in seno alla famigerata graduatoria provinciale ad esaurimento.
I titoli in questione sarebbero rilasciati dalle predette università telematiche previ corsi di breve durata concernenti le metodologie didattiche, il cui svolgimento avviene, ovviamente, con modalità on line o cartacee. La modalità cartacea, però, consisterebbe nell'invio a domicilio di qualche dispensa e di test contenenti, in alcuni casi, i medesimi quesiti oggetto dell'esame sostenuto per il rilascio del diploma. Uno degli intervistati ha esibito una borsa zeppa di titoli aventi valore legale, ottenuti sin dal lontano 2004 e attestanti la conoscenza delle metodologie didattiche e di merito.
In qualche regione si registrano circa 80 mila precari storici, la maggior parte dei quali si sottoporrebbe alle ingiuste regole di caporalato, esercitate da molte scuole paritarie di ogni ordine e grado, di qualche provincia che non voglio nominare (ma ci sarà modo di appurarlo), presentando la propria opera gratuitamente in cambio di un contratto che preveda il pagamento dei contributi e l'attribuzione di dodici punti per il servizio reso in forma continuativa per la durata di un anno. Si tratta, evidentemente, di un esercito di nuovi schiavi sfruttati da dirigenti scolastici senza scrupoli che costruirebbero falsi ideologici e materiali nella compravendita di diplomi aventi valore legale al prezzo di 4 mila e 500 euro l'uno. Con la nostra proposta questo non potrebbe più succedere.
Vorrei svolgere un'ultima considerazione sulla questione del diritto allo studio, che può diventare tale solo se sarà valorizzata l'autonomia regionale, consentendo di programmare interventi a favore di studenti, tenendo conto delle situazioni fortemente differenziate esistenti nelle varie regioni d'Italia e permettendo, quindi, l'utilizzo di fondi integrativi per la concessione di prestiti d'onore e borse di studio, in base all'articolo 16, della legge n. 391 del 1990, nonché la possibilità di provvedere con le risorse della tassa regionale relativa appunto al diritto allo studio.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole De Pasquale. Ne ha facoltà.

ROSA DE PASQUALE. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, prima di tutto vorrei rassicurare l'onorevole Capitanio Santolini del fatto che il Partito Democratico conosce molto bene la legge n. 62 del 2000 e che quando Pag. 62discute di scuola pubblica sa di cosa parla, del sistema nazionale di istruzione, tanto più che la legge n. 62 è stata redatta durante un Governo di centrosinistra. Quindi, noi conosciamo molto bene il tema, sappiamo ciò di cui parliamo quando discutiamo di scuola pubblica.
Inoltre, vorrei dire alla collega Goisis che sicuramente anche noi siamo d'accordo sul fatto che i tagli non vengano effettuati nelle zone terremotate; tuttavia, sarebbe stato molto più semplice votare a favore degli ordini del giorno che avevamo presentato al disegno di legge di conversione del decreto-legge che introduceva delle misure per le zone terremotate. Abbiamo cercato di spiegare come ciò fosse importante e l'opposizione ha votato in modo compatto contro quegli emendamenti.
Venendo al mio intervento, vorrei partire da un'affermazione contenuta nel documento finale del vertice del G8 de L'Aquila affinché le parole non rimangano solo suoni emessi in momenti di circostanza o vergature senza contenuto. L'affermazione a cui mi riferisco, che dovremmo considerare facente parte del nostro patrimonio di civiltà, che è stata ribadita in quel consesso globale e alla quale dare profonda e fattiva adesione è la seguente: «Ci impegniamo ad affrontare la dimensione sociale della crisi, mettendo al centro la persona».
E un'affermazione non solo condivisibile, ma assolutamente obbligatoria e da perseguire. Noi oggi siamo qui anche per questo, per impegnarci con tutto il Parlamento sovrano ad affrontare la dimensione sociale della crisi, parlando di scuola, della nostra scuola, del luogo della socializzazione per eccellenza, dove si formano i cittadini del domani, persone che hanno bisogno del nostro aiuto, dell'aiuto di coloro che in forza del mandato (ma anche per esperienza di vita, per sensibilità e per la forte spinta che sentono a tendere verso il bene comune) si sono presentati agli elettori e sono stati scelti per essere i loro rappresentanti.
Comprendete bene, colleghi, che anche queste parole potrebbero rimanere suoni emessi in momenti di circostanza o vergature senza contenuto. Dipende da noi decidere di dar loro sostanza e responsabilmente decidere sul come mettere al centro la persona in questo difficile momento di crisi tornando a parlare di scuola. In particolar modo ora, a fronte, non ultimo, dell'aumento di ben tremila bocciati agli esami di maturità rispetto ai dati del 2008, aumento che attesta l'emergenza non dei tagli, ma l'emergenza educativa e di un nuovo modo di affrontare il nostro futuro.
Molte volte, colleghi, mi domando se riusciamo veramente a riflettere sulle conseguenze delle nostre scelte che si riverbereranno sull'intero Paese; ma ancor più, se esiste nel nostro Paese una coscienza, da cum scire, sapere insieme, una coscienza che ci interroga anche personalmente alla quale possiamo e dobbiamo dare ascolto nella piena libertà verso una ricerca della verità, verità che come mirabilmente ha affermato il Santo Padre Benedetto XVI nella sua ultima enciclica Caritas in veritate è logos che crea dia-logos. Quindi, comunicazione, che fa uscire gli uomini dalle opinioni e dalle sensazioni soggettive e consente loro di portarsi al di là delle determinazioni culturali e storiche per incontrarsi nella valutazione del valore e della sostanza delle cose.
Oggi siamo qui per ripartire proprio con questo appello al vostro e nostro senso di responsabilità, affinché si ritorni a parlare di scuola e dei nostri figli. Come l'onorevole Coscia ha esposto, il Partito Democratico presenta questa mozione per riaprire in Parlamento un dibattito serio, profondo, vero, che non c'è stato da un anno a questa parte e che ci porterà, a partire dal mese di settembre, in una condizione di grandissima difficoltà se non riattiviamo questo determinante canale di comunicazione, modificando sostanzialmente le scelte operate.
Si tratta di un dibattito sollecitato da un grande numero di cittadini che sottoscrivendo la nostra petizione desiderano far sentire la propria voce ed invitarci a questo confronto e a questa ricerca condivisa Pag. 63del bene comune per la nostra scuola. È una mozione che vuole essere una mano tesa, e non una gamba tesa, da parte del Partito Democratico nella direzione di quel clima più civile nell'interesse del Paese invocato dal Capo dello Stato Napolitano all'indomani del G8. Insomma, un'opportunità di crescita e di sviluppo partendo dal nostro futuro, e cioè dalla scuola.
I punti toccati dalla nostra mozione ci aiutano a ridisegnare la scuola in maniera da darle una vera prospettiva, innanzitutto valoriale e poi di concreto cambiamento. I numerosi verbi utilizzati nel presentare i provvedimenti da noi sollecitati («assegnare», «adottare», «attuare», «evitare», «riconoscere», «assumere», «invertire» e «garantire») sono tutti verbi attivi, nel senso che tutti tendono a rilanciare il ruolo imprescindibile della scuola nel nostro Paese. Così come ha fatto il presidente Obama nei Stati Uniti, così come Sarkozy in Francia e come tutti gli Stati membri del G8 scegliendo di sostenere la scuola, l'istruzione, la cultura e la ricerca con forti investimenti di nuove e mirate risorse. Sono verbi che tengono presente l'attuale difficoltà finanziaria nella quale ci stiamo trovando e nel contempo ricercano un equilibrio pur difficile da raggiungere, ma sicuramente da ricercare e da perseguire. Perché l'azione che queste forme verbali sollecitano è verso la scuola e verso il futuro, così da dare anche a quelle famiglie che stanno passando momenti di difficoltà la speranza che il loro futuro rappresentato dai propri figli può essere migliore del passato. Vanno in questa direzione i primi quattro provvedimenti richiesti dalla nostra mozione.
È evidente altresì - come dovrebbe essere normato nel quinto provvedimento invocato - che occorre agire per migliorare l'efficacia, l'efficienza e l'economicità della spesa per l'istruzione, ma occorre farlo attivando percorsi virtuosi, che sollecitino la scuola a riordinarsi, in modo da far partire dal basso il recupero di una dinamica proattiva, costruttiva di consapevolezza partecipata.
Anche la valorizzazione delle esperienze maturate negli ultimi anni nel corso delle varie sperimentazioni messe a punto nelle scuole superiori, così come richiesto nel sesto provvedimento che chiediamo venga emanato, rappresenta la volontà di mettere a frutto investimenti, sforzi intellettuali, buone pratiche, che non possono essere gettati al vento. Questo sì sarebbe davvero uno spreco, perché, oltre ad avere investito risorse per sperimentazioni che non avrebbero un seguito, significherebbe ora non tener conto della ricerca-azione che si è andata strutturando nelle nostre scuole e inibire l'iniziativa costruttiva, dote sempre più difficile da trovare nel nostro Paese, purtroppo.
Il garantire, poi, come un diritto di ogni cittadino l'apprendimento per tutta la vita, diritto del quale chiediamo il riconoscimento con l'emanazione del settimo provvedimento, potrebbe consentire di riattivare anche i perdenti il posto di lavoro, che nel nostro Paese sono un numero crescente, verso una reale e rinnovata riprofessionalizzazione.
Infine, come chiediamo venga preso in considerazione dall'ottavo provvedimento che il Governo dovrebbe adottare, occorre usare attenzione ai nostri concittadini che, lavorando da anni a tempo determinato nella scuola, soffrono per la propria precarietà, far sentire concretamente lo sforzo oggettivo che lo Stato cerca di fare, dando loro comunque prospettive, anche di breve o medio termine, che però consentano nel contempo di avere un po' di respiro, per ritrovare nuovi spazi nel mondo del lavoro. Questo proprio per ribadire il nostro e vostro impegno, insieme, ad affrontare la dimensione sociale della crisi, mettendo al centro la persona. Insomma, colleghi, signor Presidente, signor sottosegretario, questa nostra iniziativa vuole essere un'ultima chiamata, un'ulteriore chance che si colloca dopo un momento importante vissuto dal nostro Paese con il G8 e prima di trovarci tutti in grande difficoltà.
Ascoltatela, e soprattutto datele credito. Lo ripeto: può ripartire da qui il dialogo tra maggioranza ed opposizione. La scuola Pag. 64è il luogo giusto, perché non è né di destra né di sinistra; è la scuola di tutti, per il futuro dell'intero Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.

(Intervento del Governo)

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca, Giuseppe Pizza.

GIUSEPPE PIZZA, Sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca. Signor Presidente, l'elenco degli impegni previsti dalla mozione dell'onorevole Ghizzoni è talmente lungo che risulta problematico dedurre in modo puntuale in merito a tutti i numerosi punti del dispositivo. La mozione parte da un'aprioristica critica dei provvedimenti contenuti nell'articolo 64 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito con modificazioni dalla legge n. 133 del 2008, e di quelli contenuti nel decreto-legge 1o settembre 2008, n. 137.
A tal proposito, faccio innanzi tutto presente che la Consulta, con la sentenza n. 200 del 24 giugno scorso, ha in buona sostanza riconosciuto la legittimità costituzionale dell'impianto complessivo dello stesso articolo 64, avendo dichiarate non fondate le questioni di legittimità sollevate sul comma 3 e sul comma 4, lettere da a) a f). Nel merito, ricordo che il suddetto articolo 64 ha previsto la predisposizione di un piano per la realizzazione di una serie di interventi volti a migliorare l'organizzazione del servizio scolastico mediante una più efficiente utilizzazione delle risorse umane, con conseguente riduzione del fabbisogno di personale e della relativa spesa. Ciò consentirà di recuperare il 30 per cento delle risorse risparmiate per investire sulla qualità della scuola e per cominciare a portare gli stipendi degli insegnanti ed un livello consono alla loro professionalità e al loro ruolo, adeguandoli progressivamente alla media OCSE.
L'opera di razionalizzazione e di qualificazione della spesa è sostenuta dagli inviti di tutte le organizzazioni internazionali ed è confermata dal recente rapporto OCSE che ha approvato l'iniziativa intrapresa dal Governo. D'altra parte, l'opera di razionalizzazione era già stata avviata dalla legge finanziaria per il 2007, che aveva previsto l'emanazione di uno o più decreti per la revisione, a decorrere dall'anno scolastico 2007-2008, dei criteri e dei parametri per la formazione delle classi ed aveva contestualmente previsto anche l'applicazione della clausola di salvaguardia, nell'ipotesi di mancato raggiungimento degli obiettivi di contenimento della spesa.
Poiché gli obiettivi fissati dalla legge finanziaria 2007 sono stati conseguiti soltanto in parte, l'applicazione della clausola di salvaguardia ha comportato un taglio lineare degli stanziamenti del Ministero dell'istruzione per spese di funzionamento e di supplenze di circa 500 milioni di euro.
Questo taglio è alla base delle difficoltà finanziarie delle scuole, per fronteggiare le quali il Governo, appena insediato, ha provveduto, con il citato decreto-legge n. 112, al parziale reintegro dei finanziamenti necessari, incrementando di 200 milioni di euro, per l'anno 2008, il Fondo per il funzionamento delle istituzioni scolastiche.
Ulteriori stanziamenti sono stati previsti dalla legge 9 aprile 2009, n. 33, all'articolo 7-quinquies, comma 1, che ha istituito un fondo nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, con una dotazione, per l'anno 2009, di 400 milioni di euro, al fine di assicurare il finanziamento di interventi urgenti ed indifferibili, con particolare riguardo ai settori dell'istruzione e agli interventi organizzativi connessi ad eventi celebrativi.
Le risorse finanziarie per il funzionamento delle istituzioni scolastiche sono in via di reperimento e quanto prima saranno rese disponibili. In merito alle strumentali critiche riguardanti il tempo Pag. 65scuola nell'istruzione primaria, con la scelta operata dal Governo si è data la possibilità alle famiglie di optare per più articolazioni orarie. All'atto dell'iscrizione alla prima classe della scuola primaria per l'anno scolastico 2009-2010 sono state offerte alle famiglie opzioni relative ai seguenti modelli orari settimanali: 24, 27 e sino a 30, nei limiti dell'organico disponibile. Nelle classi prime, a prescindere dagli orari prescelti, il modello didattico è comunque quello del maestro unico/prevalente, a seconda dei casi affiancato da insegnanti di religione cattolica ed inglese in possesso dei relativi titoli e requisiti.
Ciò in quanto il modello dell'insegnante unico/prevalente appare, rispetto a quello basato sul modulo, più funzionale all'innalzamento degli obiettivi di apprendimento, con particolare riguardo ai saperi di base. Inoltre, favorisce unitarietà dell'insegnamento soprattutto nelle classi iniziali e costituisce un elemento di rafforzamento del rapporto educativo tra docenti ed alunni, amplificando e consolidando le relazioni tra scuola e famiglia.
Per quanto concerne specificamente il tempo pieno, il Governo ha inteso confermare la positiva valutazione della sua efficacia e ha, altresì, previsto non solo la conferma, per il prossimo anno scolastico, del numero di posti attivati per l'anno scolastico 2008-2009, ma l'attivazione di piani pluriennali sulla base di intese con le rappresentanze dei comuni, precedute da un accordo quadro con le autonomie locali in sede di Conferenza unificata, volti al potenziamento quantitativo e qualitativo del servizio del tempo pieno sul territorio. Per il prossimo anno scolastico nella scuola primaria il tempo pieno delle 40 ore settimanali resta confermato, senza alcuna decurtazione percentuale dell'organico complessivo dedicato a tale modello.
Grazie ai provvedimenti assunti saranno riconfermate le 34 mila classi che lo scorso anno hanno usufruito del modello orario di 40 ore e a queste si aggiungeranno 2.500 classi prime in più, con un incremento, quindi, del 20 per cento rispetto a quest'anno. Per quanto concerne il tempo normale, le risorse di organico disponibili consentiranno di accogliere la maggior parte delle richieste delle famiglie, ivi comprese quelle relative al modello sino a 30 ore.
Il criterio adottato per calcolare il fabbisogno dell'organico comporta che il monte ore complessivamente determinato è superiore al fabbisogno reale scaturente dall'applicazione rigida degli orari previsti dal regolamento sul primo ciclo, cioè 24, 27 e 30 ore. Le classi con orario normale successive alla prima continueranno a funzionare, dall'anno scolastico 2009-2010 e fino alla conclusione del ciclo quinquennale, secondo i modelli orari in atto.
Quanto all'obbligo di istruzione e alla dispersione scolastica, questi temi costituiscono obiettivi strategici prioritari nell'ambito della direttiva generale sull'azione amministrativa per il 2009, che considera obiettivo irrinunciabile l'acquisizione delle previste competenze chiave di cittadinanza a conclusione dell'obbligo di istruzione per i giovani e per la popolazione adulta nel quadro dell'apprendimento permanente per tutto il corso della vita.
Relativamente alla messa a norma degli edifici scolastici, premesso che tutto ciò che attiene alla fornitura ed alla manutenzione ordinaria e straordinaria dei circa 45.000 edifici scolastici pubblici statali, compresi l'adeguamento e la messa a norma ed in sicurezza degli stessi, rientra nelle dirette ed esclusive competenze degli enti locali, ricordo che al fine di garantire la prosecuzione degli interventi previsti dal piano straordinario di messa in sicurezza delle scuole, con particolare riguardo a quelle insistenti nelle zone a rischio sismico, l'articolo 7-bis della legge n. 169 del 2008 ha previsto un finanziamento strutturale, e quindi stabile negli anni, del piano straordinario citato, con una somma non inferiore al 5 per cento delle risorse complessivamente stanziate per il Programma nazionale delle infrastrutture strategiche, nel quale esso è compreso. A fronte di ciò, il CIPE, con delibera del 6 dicembre 2008, ha assegnato per l'avvio del terzo piano stralcio una somma pari a Pag. 66circa 120 milioni di euro, ai sensi dell'articolo 212 del decreto-legge n. 185 del 2008.
Inoltre, tra le altre iniziative recentemente assunte, giova ricordare: l'approvazione nella Conferenza unificata del 13 ottobre scorso del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri con il quale è stata ripartita tra le regioni la somma di 20 milioni di euro per la messa in sicurezza sismica delle scuole, riveniente dai risparmi sulle cosiddette «spese della politica» ed - a decorrere dal 2008 - destinata annualmente a tale finalità; l'attivazione dell'intesa istituzionale del 28 gennaio 2009, attualmente in corso, per il tempestivo accertamento di eventuali rischi di carattere non strutturale negli edifici scolastici; l'intervenuta definizione con l'INAIL del bando 2008-2009 - pubblicato il 29 dicembre 2008 - per l'assegnazione agli enti locali di una somma complessiva di 70 milioni per la messa in sicurezza e l'eliminazione delle barriere architettoniche nelle scuole secondarie; l'assegnazione - con delibera CIPE del 6 marzo 2009 - di 1000 milioni di euro al MIT, destinati alla messa in sicurezza delle scuole, ai sensi dell'articolo 18 del decreto-legge n. 185 del 2009. Quanto sopra, a fronte della considerazione che l'edilizia scolastica costituisce una delle priorità nazionali, con conseguente impegno all'assunzione di ogni possibile iniziativa per favorirne il miglioramento.
In tale ottica si pone anche la più ampia collaborazione sinergica con il Dipartimento della protezione civile ed ogni altra componente comunque interessata per il raggiungimento del fine ultimo di pervenire con la massima tempestività alla soddisfazione delle primarie esigenze dell'intera utenza scolastica al migliore esercizio del diritto allo studio, in ambienti idonei e, soprattutto, sicuri.
Passo, quindi, ai provvedimenti per la regione Abruzzo, colpita dagli eventi sismici del 6 aprile scorso. Sono stati assunti, anche con l'adozione di misure di urgenza, tutti i provvedimenti necessari per ripristinare sollecitamente l'erogazione del servizio scolastico e lo svolgimento dell'attività di tutte le componenti delle comunità scolastiche coinvolte. Poiché nell'atto in discussione si fa specifico riferimento ai provvedimenti riguardanti il personale delle istituzioni scolastiche interessate dal sisma, mi soffermerò sulle principali misure adottate per il medesimo personale, senza peraltro dimenticare le iniziative e i provvedimenti assunti per i destinatari del servizio scolastico.
Riguardo al personale, ricordo i decreti ministeriali del 15 e 17 aprile scorso, nonché la nota ministeriale del 27 aprile 2009, con i quali, oltre alle misure adottate per i fruitori del servizio scolastico, è stata prevista e regolamentata la possibilità per il personale scolastico di assumere servizio in sede diversa da quella di propria titolarità o in tendopoli, in seguito ai gravi eventi sismici che hanno reso inagibili particolarmente le scuole situate all'interno dei territori interessati dagli stessi o che hanno impedito, in particolare al personale residente nei comuni del cratere sismico, di raggiungere le proprie scuole ubicate in zone diverse. Si è anche prevista la conseguente possibilità di nominare, nei casi indispensabili e per la durata strettamente necessaria, personale supplente in sostituzione di quello dimorante e in servizio altrove a causa degli eventi sismici. E ancora, si è disposto che per le istituzioni scolastiche interessate dagli eventi sismici l'anno scolastico 2008-2009 sia valido indipendentemente dal raggiungimento dei duecento giorni di lezione prescritti.
Relativamente agli scrutini ed esami, è stata emanata l'ordinanza ministeriale del 7 maggio 2009 con la quale sono state dettate disposizioni speciali, anche in deroga alla vigente normativa, per consentire lo svolgimento delle relative operazioni nei comuni dell'Abruzzo colpiti dal sisma. Gli scrutini sono stati regolarmente effettuati; così pure gli esami di Stato, che si sono conclusi il 30 giugno per la scuola secondaria di primo grado e il 3 luglio per l'istruzione secondaria di secondo grado.
Si è pure intervenuti su alcune procedure amministrative in atto riguardanti il personale della scuola in Abruzzo. In particolare, relativamente alle operazioni Pag. 67di integrazione ed aggiornamento delle graduatorie ad esaurimento, con decreto ministeriale n. 54 del 27 maggio scorso si è disposto che, per coloro che frequentano la scuola di specializzazione per l'insegnamento secondario in Abruzzo, il termine del 30 giugno, fissato dal decreto ministeriale n. 42 dell'8 aprile 2009 per il conseguimento del diploma abilitante e di sostegno e per la relativa comunicazione dell'avvenuto conseguimento dei detti titoli, è stato prorogato al 25 luglio 2009, ai fini della partecipazione, senza riserva alcuna, alle operazioni di assunzione a tempo indeterminato e determinato per l'anno scolastico 2009-2010.
Inoltre, per coloro che conseguiranno detti titoli entro il 30 settembre 2009 ed effettueranno la prescritta comunicazione entro la medesima data, si è previsto che gli stessi possano partecipare alle operazioni di assunzione a tempo determinato sulle disponibilità esistenti al momento della comunicazione. Sono, tra l'altro, in corso incontri per individuare, nell'ambito delle operazioni di utilizzazioni per il prossimo anno scolastico, soluzioni per coloro che si trovano in altre zone a causa dell'evento sismico.
Quanto alla richiesta di sospendere per l'Abruzzo le riduzioni di organico di personale scolastico previste dalla vigente normativa, il Governo ha attentamente esaminato l'argomento ritenendo, tuttavia, di non potere ingessare le dotazioni organiche in considerazione dell'esigenza di dare attuazione al processo di revisione e organizzazione degli ordinamenti dei vari gradi di istruzione previsto dalle norme contenute nel comma 4, lettere da a) a f), dell'articolo 64 del decreto-legge n. 112 del 2008. Comunque, per assicurare una sollecita ripresa delle attività didattiche e delle attività dell'amministrazione scolastica nelle zone colpite dagli eventi sismici, nonché per consentire la regolare prosecuzione di tutte le attività, è stata assegnata per le scuole dell'Abruzzo la somma complessiva di 36 milioni di euro (19,4 milioni di euro per l'anno 2009, 14,3 milioni di euro per l'anno 2010 e 2,3 milioni di euro per l'anno 2011), che è pressoché pari alle economie che derivano dal processo di razionalizzazione degli organici e di riqualificazione della spesa per l'anno 2009-2010.
Detta somma è finalizzata all'attivazione, in organico di fatto, di tutti gli accorgimenti e le soluzioni necessarie per la regolare conclusione del corrente anno scolastico e per porre le basi per l'ordinato avvio del prossimo.
Con riguardo poi al tema del precariato, sono in corso iniziative per garantire, a chi aveva una supplenza annuale, priorità sulle altre tipologie di supplenza di durata consistente; inoltre, in coerenza con l'azione di Governo di trasformare politiche passive di carattere assistenziale in politiche attive, tali iniziative tendono a trasformare l'indennità di disoccupazione in «indennità di disponibilità».
In merito, poi, al tema della formazione ed aggiornamento, come previsto dalla direttiva generale sull'azione amministrativa del 2009, emanata il 30 marzo scorso, intendiamo migliorare la qualità dell'offerta scolastica valorizzando la formazione del personale della scuola, attraverso uno specifico provvedimento in avanzato stato di elaborazione, sia pure entro i limiti economici imposti dallo sforzo di riqualificazione della spesa pubblica e tenendo conto delle difficoltà derivanti dalla situazione economica e finanziaria internazionale.
Intendiamo, inoltre, sviluppare il sistema di formazione in servizio secondo una metodologia di blended e-learning a sostegno sia di specifici progetti di innovazione che di una formazione continua per dirigenti, docenti e personale ATA.
Passando alla valutazione degli apprendimenti, delle scuole e dei docenti, va rilevato che si tratta di tematiche distinte che richiedono anche soluzioni diverse. A questo riguardo, il problema dell'autorità esterna non sembra essere posto correttamente, in quanto per la costruzione del sistema devono intervenire componenti diverse.
Lo sviluppo e la valorizzazione di un processo di valutazione degli apprendimenti compete alle scuole dell'autonomia Pag. 68che, sulla base di prove oggettive messe a punto dall'Istituto nazionale di valutazione del sistema d'istruzione (Invalsi), devono attivare percorsi sistematici di autovalutazione. L'utilizzo di prove oggettive esterne consentirà alle scuole anche di rendere conto dei risultati ottenuti alle famiglie e di rapportarsi a un contesto esterno.
Allo steso modo le rilevazioni esterne condotte a campione potranno consentire di valutare i risultati del sistema scuola. Naturalmente all'Invalsi, che rappresenta uno degli elementi del sistema di valutazione e che prepara le prove ed elabora i risultati, è garantita la più ampia autonomia scientifica e amministrativa.
In relazione al punto e) della mozione, il Governo intende sostenere l'offerta formativa del territorio in collaborazione con le regioni e gli enti locali, nell'ambito del progetto nazionale di riqualificazione della didattica e della spesa per il personale della scuola. Si sta lavorando ad un documento circa un'ipotesi di accordo tra Governo, regioni, province, comuni e comunità montane, concernente finalità, tempi e modalità di attuazione del Titolo V, parte II, della Costituzione per quanto attiene alla materia dell'istruzione, ed è prevista la possibilità di sperimentare nuovi modelli organizzativi, sulla base dei principi e dei criteri stabiliti dall'articolo 2, commi 417 e 425, della legge n. 244 del 2007 e dei regolamenti previsti dall'articolo 64 dalla legge n. 133 del 2008.
In relazione al punto f) della mozione, intendiamo valorizzare la cultura tecnica e scientifica sino al livello terziario, anche con la costituzione degli istituti tecnici superiori, nel quadro di una collaborazione rafforzata con le regioni e gli enti locali, nel confronto con le parti sociali.
In data 28 maggio 2009 sono stati adottati in via preliminare dal Consiglio dei ministri gli schemi di regolamento e di riordino degli istituti tecnici e degli istituti professionali. Sulla base anche delle indicazioni della commissione ministeriale costituita il 14 dicembre 2007 e riconfermata nella presente legislatura nonché delle proposte e delle osservazioni formulate dalla parti sociali, dai collegi e dagli ordini professionali competenti in materia, tale riordino valorizza i saperi tecnico-scientifici attraverso un impianto che è finalizzato, per gli istituti tecnici, al rafforzamento dell'asse scientifico tecnologico e, per gli istituti professionali, allo sviluppo di saperi e competenze rispondenti ad ampi settori produttivi di riferimento soprattutto in relazione ai servizi.
In particolare, l'impianto degli istituti professionali si configura secondo una impostazione che ne salvaguarda la tipicità rispetto ai percorsi di istruzione e formazione professionale di competenza esclusiva delle regioni in base all'articolo 117 della Costituzione.
Al fine comunque di garantire la continuità dell'offerta formativa finalizzata al rilascio di qualifiche triennali o diplomi professionali è prevista la possibilità da parte degli istituti professionali di rilasciare, in regime di sussidiarietà, tali qualifiche e diplomi. Nello schema di regolamento viene, infatti, richiamata tale possibilità con riferimento alle indicazioni contenute nelle linee guida da adottare ai sensi dell'articolo 13, comma 1-quinquies, della legge n. 40 del 2007.
È, altresì, prevista la possibilità di stipulare specifiche intese tra il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, il Ministero dell'economia e delle finanze e singole regioni, per realizzare una offerta coordinata tra i percorsi di istruzione degli istituti professionali e quelli di istruzione e formazione professionale di competenza regionale.
In tale contesto l'obbligo d'istruzione, previsto dal regolamento adottato con decreto ministeriale del 22 giugno 2007 e relativo allegato, viene rafforzato e garantito.
In relazione, poi alla lettera g) della mozione, nel quadro dell'apprendimento permanente assume particolare rilevanza l'impianto dei centri per l'istruzione degli adulti previsto nello schema di regolamento, adottato in via preliminare dal Consiglio dei ministri l'11 giugno 2009. Esso è finalizzato a: innalzare i livelli d'istruzione dell'utenza debole; rafforzare l'identità dell'offerta formativa; valorizzare Pag. 69i saperi e le competenze già possedute dagli adulti per rendere sostenibile l'offerta formativa; rendere l'offerta di servizio dei centri più vicina alle persone attraverso le reti territoriali; garantire la più ampia spendibilità dei titoli e delle certificazioni.
Quanto all'integrazione degli adulti e degli alunni immigrati, è nostra intenzione portare ad ordinamento le migliori pratiche già sperimentate, avendo come strategia primaria il processo di alfabetizzazione e apprendimento delle regole della nostra comunità, in primo luogo della Costituzione italiana, concentrando sforzi e risorse per evitare che nelle classi con molti alunni immigrati il processo di apprendimento sia frenato dalla necessità di non lasciare indietro, di non escludere, quote sempre più ampie di alunni extracomunitari penalizzati dalla barriera linguistica.
Infine, riguardo al tema del precariato, va precisato che, per il prossimo anno scolastico, l'intervento di razionalizzazione previsto ammonta a circa 42 mila posti, a fronte del collocamento in pensione di 32 mila docenti, con una differenza, quindi, di 10 mila unità. Circa la stabilizzazione di personale precario, è stato chiesto al Ministero dell'economia e delle finanze di dar corso al piano triennale di immissioni in ruolo del personale docente ed ATA e di autorizzare per l'anno scolastico 2009-2010 circa 20 mila nomine in ruolo.
Con riguardo alle premesse della mozione n. 1-00216 dell'onorevole Zazzera relative alle graduatorie ad esaurimento, ed in particolare al decreto ministeriale n. 42 del 2009, faccio presente che tale decreto ha per oggetto l'aggiornamento delle graduatorie provinciali, rese ad esaurimento dalla legge n. 296 del 2006, e che la scelta del legislatore di renderle ad esaurimento è stata finalizzata ad esaurire nel minore tempo possibile il problema del precariato in vista di un nuovo sistema di formazione e di reclutamento.
E ancora, la procedura prevista dal decreto ministeriale n. 42 del 2009 è completamente diversa da quella disciplinata dal decreto ministeriale del 16 marzo 2007, che si muoveva nell'ottica del trasferimento della domanda da una provincia ad un'altra. Il decreto ministeriale n. 42 innova completamente la precedente procedura in quanto non contempla il trasferimento da una provincia all'altra - non prevista, peraltro, dalle norme che hanno trasformato le graduatorie permanenti in graduatorie ad esaurimento - ma offre una possibilità ulteriore a ciascun docente precario inserito nelle graduatorie, vale a dire l'opzione aggiuntiva di poter conseguire una nomina a tempo indeterminato o determinato in altra provincia oltre che in quella di appartenenza.
Trattandosi di una possibilità aggiuntiva, è da ritenere che essa non possa ledere il diritto di coloro che sono già inseriti a titolo originario nella stessa provincia, ma possa essere invece utilizzata solo nel caso di esaurimento della graduatoria originaria, cristallizzata dal legislatore con la trasformazione da «permanente» in graduatoria «ad esaurimento», per garantire il rispetto delle posizioni prioritarie già acquisite.
D'altra parte, la stessa tipologia di procedura è stata adottata con successo e senza alcuna censura sul piano giudiziario nel caso di assunzioni per la nomina a dirigente scolastico a seguito della promulgazione della legge n. 31 del 2008, cosiddetta «milleproroghe», all'articolo 24-quinquies. Anche in quel caso, una volta esaurite le graduatorie originali, in ciascuna regione sono stati nominati gli aspiranti inseriti in coda e provenienti da altre regioni.
La ratio dell'inserimento in coda nasce dal legittimo convincimento che le graduatorie ad esaurimento sarebbero rimaste ad «esaurimento» e quindi «chiuse» a nuovi ingressi.
Pertanto, la riapertura decisa per consentire l'inserimento dei neo-abilitati prevista dall'articolo 5-bis della legge n. 169 del 2008 che ha stabilito che «i docenti che hanno frequentato ed hanno conseguito il titolo abilitante (...) ai corsi attivati nell'anno accademico 2007-2008, sono iscritti a domanda nelle graduatorie ad esaurimento e collocati nella posizione Pag. 70spettante in base ai punteggi attribuiti ai titoli posseduti», non ha riportato le graduatorie allo status di «permanenti» e quindi senza vincoli per gli inserimenti, nonostante tali inserimenti avvengono effettivamente a pettine per tali aspiranti.
Comunque, sulla materia è in atto un contenzioso giurisdizionale ancora non definito e il Ministero, proprio al fine di dare certezze a tutto il personale interessato, ritiene che non debbano essere modificate le attuali norme, sulla base delle quali i docenti precari hanno effettuato delle precise scelte.
Non va, d'altra parte, sottaciuto che molti docenti precari si dichiarano contrari a cambiare le regole in corso di partita e sollecitano il rispetto di quanto il decreto ministeriale del 16 marzo 2007 aveva così stabilito: «Con la riapertura dei termini è stato consentito, per l'ultima volta, di iscriversi nelle graduatorie permanenti, trasformate in graduatorie ad esaurimento. Nel successivo biennio scolastico 2009-2011 si potrà solo aggiornare il punteggio o trasferire la propria posizione in altra provincia, ma in coda a tutte le fasce».

PRESIDENTE. Signor sottosegretario, la invito a concludere.

GIUSEPPE PIZZA, Sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca. Con riguardo al punto della mozione dell'onorevole Zazzera riguardante le scuole di specializzazione per l'insegnamento secondario (SSIS), faccio presente che è intenzione del Governo dare al mondo della scuola norme certe, durature, chiare e inequivocabili.
Per questo motivo, attraverso il decreto-legge n.112 del 2008, poi convertito nella legge n.133, sono state sospese per l'anno accademico 2008-2009 le procedure per l'accesso alle SSIS attivate presso le università. Così facendo, e in attesa di una revisione complessiva delle procedure di reclutamento, si è posto fine al paradosso di corsi destinati a sboccare nel nulla.
Infatti, il precedente Governo, con una norma inserita nella legge finanziaria per il 2007, ha trasformato, con decorrenza 1o gennaio 2007, le graduatorie permanenti in graduatorie ad esaurimento. Ciononostante, sono stati comunque autorizzati tanto i corsi relativi al IX ciclo SSIS quanto i corsi biennali presso gli istituti di alta formazione artistica e musicale; come dire, si è dato il via libera con la mano sinistra a un treno destinato a fermarsi davanti a un muro costruito con la mano destra. Lo Stato non può far pagare tali incertezze a centinaia di laureandi e laureati che hanno deciso di impegnare anni del loro tempo e migliaia di euro, lo dico senza perifrasi, inutilmente.
Per altro verso, al fine di garantire adeguata tutela alla legittima aspettativa di coloro che superano gli esami del IX ciclo dei corsi SSIS e dei corsi biennali di secondo livello ad indirizzo didattico, organizzati da conservatori e accademie, con decreto-legge n. 137 del 1o settembre 2008, convertito dalla legge n. 169 del 30 ottobre 2008, alle suddette categorie di docenti, una volta conseguita l'abilitazione, è stato consentito di iscriversi nelle graduatorie ad esaurimento nella posizione spettante in base ai punteggi attribuiti e ai titoli posseduti.
L'amministrazione è ora impegnata nella predisposizione di uno schema di regolamento previsto dall'articolo 2, comma 416, della legge n. 244 del 24 dicembre 2007 (legge finanziaria per il 2008), che prevede un nuovo strumento di formazione: tirocinio formativo attivo sotto la guida congiunta dell'università e degli istituti scolastici; ciò in attesa del complessivo riordino delle procedure di reclutamento, che disciplina i requisiti e le modalità della formazione iniziale e l'attività procedurale per il reclutamento del personale docente.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

ROBERTO GIACHETTI. Ancora! Ci sono altre cinque mozioni!

GIUSEPPE PIZZA, Sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca. Sto terminando. Con riferimento al Pag. 71punto della mozione dell'onorevole Capitanio Santolini n. 1-00218 riguardante le scuole paritarie di cui alla legge n. 62 del 2000, si è consapevoli dell'importanza del servizio offerto dalla scuola paritaria.
Com'è noto detta legge ha istituito il sistema nazionale di istruzione, costituito, dalle scuole statali e dalle scuole paritarie gestite da enti locali e privati. La stessa legge n. 62 ha contestualmente riconosciuto che queste ultime - le scuole paritarie private - svolgono un servizio pubblico in presenza dei requisiti di qualità ed efficacia previsti dall'ordinamento.
Successivamente, sulla base dei principi enunciati dalla legge n. 62, la legge finanziaria 2007 ha introdotto una norma con la quale l'ordinamento riconosce che le scuole paritarie, oltre a un servizio pubblico, svolgono anche una funzione pubblica. È operante presso il Ministero un apposito gruppo di lavoro tecnico con compiti di consulenza, proposta e supporto tecnico, scientifico e metodologico all'area della parità scolastica. Il suddetto gruppo di lavoro ha il compito specifico di esaminare l'attuale normativa e di formulare proposte per l'elaborazione di provvedimenti che consentano di realizzare l'effettiva parità scolastica. Il gruppo sta elaborando un documento che sarà attentamente valutato ai fini delle conseguenti iniziative.

PRESIDENTE. Concluda, signor sottosegretario.

GIUSEPPE PIZZA, Sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca. Signor Presidente, sto affrettando la lettura.
Per quel che riguarda, in particolare l'assegnazione dei contributi alle scuole paritarie previsti dalle disposizioni di legge vigenti, faccio presente che con il decreto interministeriale 28 maggio 2009 predisposto dal Ministero, ai sensi dell'articolo 2, comma 47, della legge 22 dicembre 2008, n. 203 (legge finanziaria per il 2009), a seguito del parere favorevole espresso dalla Conferenza Stato-regioni nella seduta dell'8 aprile scorso, sono stati ripartiti agli uffici scolastici regionali 120 milioni di euro per interventi in materia di istruzione scolastica destinati alle scuole paritarie, nonostante le note difficoltà derivanti dalla difficile situazione finanziaria ed economica internazionale; detta somma è stana già accreditata.

PRESIDENTE. Signor sottosegretario, forse, potrebbe consegnare il testo.

GIUSEPPE PIZZA, Sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca. Signor Presidente, mi manca solo una pagina.

PRESIDENTE. Va bene, vada avanti.

GIUSEPPE PIZZA, Sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca. Con l'assegnazione alle scuole paritarie del suddetto fondo di 120 milioni di euro, l'importo complessivo delle somme per il 2009 corrisponde sostanzialmente all'importo complessivo del 2008, tenuto conto che sull'importo previsto nel bilancio 2008 è stato effettuato l'accantonamento previsto dal comma 507, dell'articolo 1, della legge 27 dicembre 2006, n.296.
Per quel che riguarda poi i 4/12 dell'esercizio 2008, le somme che erano state bloccate sono state successivamente rese disponibili entro lo stesso esercizio finanziario.
Ricordo, inoltre, che, in data 18 marzo, è stato emanato il decreto che definisce criteri e parametri per l'erogazione dei contributi alle scuole paritarie ai sensi del comma 636 dell'articolo 1 della legge n. 296 del 27 dicembre 2006. Ai criteri ivi stabiliti debbono attenersi gli uffici scolastici regionali per l'utilizzazione delle somme assegnate in bilancio (401.559.961 euro) per l'erogazione dei contributi alle scuole paritarie.
Quanto infine agli interventi richiesti dagli onorevoli Capitanio Santolini ed altri, Ghizzoni ed altri e Zazzera ed altri con le rispettive mozioni, finalizzati ad evitare la chiusura delle piccole scuole in montagna e nelle isole minori, faccio presente Pag. 72che già in base alla vigente normativa che trova ulteriore conferma nel piano programmatico, adottato ai sensi dell'articolo 64, comma 3, della legge n. 133 del 2008, sono previste disposizioni a tutela di dette scuole.

ROBERTO GIACHETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, volevo sapere se era possibile, magari grazie alla sua pazienza, riascoltare bene le premesse, perché non abbiamo intuito bene, da tali premesse, quale sia il parere del Governo, nonostante ci abbia ampiamente illustrato la propria posizione e abbia fatto una dettagliata analisi delle nostre mozioni. Lo ripeto: ero distratto e non ho capito qual è il parere sulle mozioni.

PRESIDENTE. Onorevole Giachetti, domani avrà modo di soddisfare tutte le sue curiosità.
Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

Modifica nella composizione di un gruppo parlamentare.

PRESIDENTE. Comunico che il deputato Marco Desiderati, proclamato in data odierna, ha dichiarato di aderire al gruppo parlamentare Lega Nord Padania.

Discussione delle mozione Borghesi ed altri n. 1-00203 concernente iniziative per l'estensione degli ammortizzatori sociali ai lavoratori precari (ore 20,30).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Borghesi ed altri n. 1-00203 concernente iniziative per l'estensione degli ammortizzatori sociali ai lavoratori precari, (Vedi l'allegato A - Mozioni).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
Avverto che sono state presentate le mozioni Pezzotta ed altri n. 1-00208, Cazzola, Caparini ed altri n. 1-00212, Damiano ed altri n. 1-00219 e Zamparutti ed altri n. 1-00220 (Vedi l'allegato A - Mozioni), che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente. I relativi testi sono in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni. È iscritto a parlare l'onorevole Borghesi, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00203. Ne ha facoltà.

ANTONIO BORGHESI. Signor Presidente, signor sottosegretario, data l'ora mi limiterò a riassumere il contenuto della nostra mozione, che abbiamo inteso presentare nel momento in cui il Governo ha emanato il recente decreto anticrisi, all'interno del quale non abbiamo ritrovato nulla in termini di sostegno alle cosiddette figure del precariato.
Che gli indicatori economici sull'occupazione siano da tempo negativi è evidente, piaccia o no al Ministro Tremonti e al Ministro Sacconi che hanno ritenuto persino di contestare, in modo molto superficiale, le modalità con le quali l'ISTAT rileva i tassi di disoccupazione, che invece sono consolidate a livello europeo (dove l'ISTAT lavora insieme a Eurostat) e che sono assolutamente degne di fondamento.
Noi pertanto abbiamo alcuni dati indicativi: la caduta dell'occupazione, ovverosia un tasso di occupazione che scende continuamente di nove decimi di punto rispetto al primo trimestre 2008 portandosi al 57,4 per cento; il quinto aumento tendenziale consecutivo delle persone in cerca di occupazione, che ormai sfiorano i due milioni; i dati macroeconomici, che Pag. 73prevedono per quest'anno una caduta del prodotto interno lordo superiore al 5 per cento; infine, un aggravamento ulteriore dell'occupazione, che si immagina possa andare oltre l'8 o il 9 per cento.
Ora di fronte a questi dati è evidente che la situazione è oggi da apprezzare in modo diverso dal passato. In effetti, anche a seguito di quanto previsto dalla legge Biagi, abbiamo una sorta di mutazione all'interno dell'occupazione nel nostro Paese, perché secondo alcuni dati, discutibili e opinabili quanto si vuole, comunque alla fine del 2008 sarebbero circa tre milioni i lavoratori cosiddetti precari, che rappresentano ormai il 12 per cento dell'occupazione complessiva e l'80 cento della nuova occupazione.
Quindi, dobbiamo confrontarci con situazioni che, in passato, non si erano mai verificate. Nel corso del 2009, arriveranno a scadenza più di due milioni di contratti di lavoro a termine, molti dei quali, probabilmente, non saranno riconfermati. È attesa complessivamente, tra il 2009 e il 2010, una perdita di posti di lavoro che supera il milione (un milione e 200 mila posti, secondo qualcuno).
Per i cosiddetti precari non possiamo neanche parlare di licenziamento, perché non esiste: semplicemente, il loro contratto non viene nuovamente proposto. Stimiamo che già 300-400 mila persone abbiano perso il posto di lavoro in questi anni: questo è il dato drammatico. Noi dell'Italia dei Valori pensiamo che l'economia di mercato postuli la necessità per l'impresa di utilizzare anche lo strumento della flessibilità del lavoro (quindi, accettiamo questa regola), tuttavia, lo Stato, nel suo essere regolatore e a sostegno dei più deboli, deve farsi carico delle situazioni che ciò va a determinare.
Molte famiglie si sono formate anche con lavoratori che hanno accettato l'idea di non avere una continuità di lavoro a tempo indeterminato: essi hanno formato famiglie, hanno dei figli, qualcuno ha acquistato una casa. Non possiamo immaginare di non sostenerli, anche perché vi è un dato drammatico che ci viene fornito dalla Banca d'Italia: circa un milione e 600 mila lavoratori si trovano, in questo momento, in questa situazione specifica. Il dato rilevante è che un milione e 600 mila lavoratori sono al limite della povertà. Secondo i dati della Banca d'Italia, le famiglie che hanno al loro interno dei lavoratori atipici hanno una grande probabilità di trovarsi al di sotto della soglia di povertà.
Pertanto, avanziamo una proposta molto semplice. L'unico intervento che è stato realizzato, in passato, nei confronti di questi lavoratori è stato un flop, perché i requisiti erano così stringenti che solo 1.800 lavoratori hanno potuto fare domanda. Pertanto la nostra proposta è la seguente. Quando vi sono lavoratori atipici che, negli ultimi cinque anni, possono vantare, comunque, più di 36 mesi di attività, abbiamo il dovere di sostenerli almeno per sei mesi, con un intervento pari a quello previsto per la disoccupazione.
Abbiamo fatto i relativi calcoli (che è facile fare): l'impegno può essere di 500-600 milioni di euro. Capisco che non si tratta di una piccola cifra, ma, anche rimodulando gli interventi finora fatti e che non sono stati utilizzati neppure per questi lavoratori, crediamo che il Governo possa impegnarsi seriamente a dare, almeno a questa fetta di lavoratori atipici, una copertura per almeno sei mesi dell'anno.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pezzotta, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00208. Ne ha facoltà.

SAVINO PEZZOTTA. Signor Presidente, vista l'ora e visto che non bisogna mai abusare della pazienza dei preesistenti, cercherò di riassumere brevemente l'intervento che intendevo fare e che, poi, consegnerò agli atti.
Proprio ieri, in un bellissimo intervento, l'economista premio Nobel per l'economia, Amartya Sen, ci rammentava che l'identificazione di ingiustizie cui potremmo porre rimedio deve essere il compito principale di chi vuole riflettere su questioni di giustizia e di ingiustizia. Pag. 74
Credo che questo sia un invito che dovremmo accogliere con molta attenzione, soprattutto, in una situazione come quella che stiamo attraversando. Infatti, la crisi non è neutrale.
La crisi colpisce, in modo particolare e in modo pesante, i singoli, soprattutto i più deboli, i meno tutelati e i meno garantiti, cosicché assistiamo al crescere, in questi ultimi tempi, di ulteriori ingiustizie e discriminazioni.
Quali sono, allora, le ingiustizie a cui potremmo porre rimedio? Credo siano principalmente quelle che si registrano nel campo del lavoro, che hanno ricadute sulle famiglie e sui livelli di povertà. Sono convinto che l'uscita dalla crisi richieda un vero disegno riformatore che produca innovazione e ammodernamento, anche se, allo stato attuale, ancora non lo vediamo.
Credo che occorra veramente lavorare, certamente sul sistema bancario e su tutto ciò che è stato fatto, ma soprattutto per dare una garanzia di buon lavoro a tutti. Lo dico perché abbiamo visto in questi giorni il superindice OCSE segnalare un timido avvio di uscita dalla crisi, previsione che abbiamo accolto con interesse e speranza. Allo stesso modo, abbiamo letto con attenzione l'indagine condotta ai primi di giugno dalla Banca d'Italia e dal quotidiano Il Sole 24 Ore, dalla quale sembra emergere un miglioramento nelle attese delle imprese, e questo è importante. Certo, occorrerà capire se queste indicazioni siano quelle che ci pongono di fronte alla fine del ciclo delle scorte, a un sussulto di congiuntura o alla ripresa della domanda. Confesso di fare il tifo per questa seconda prospettiva. Devo però tenere presente che, nello stesso tempo, vediamo la produzione in Italia restare inferiore di circa il 20 per cento rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.
Se si parla di uscita dalla crisi, bisogna anche ricordare che tutte le uscite dalle crisi non sono socialmente tranquille, anzi, comportano sempre dei grandi costi sociali. Nei momenti in cui si cerca di uscire da una crisi, infatti, le aziende cercano di alleggerirsi, di ridurre le spese e i costi, determinando una ricaduta sui livelli occupazionali estremamente difficile e pesante. Affermare che stiamo uscendo dalla crisi, pertanto, non consente di risolvere i problemi che riguardano i lavoratori e i ceti più deboli: proprio perché ne stiamo uscendo - se è vero che ne stiamo uscendo -, dovremmo prestare attenzione, perché si verificherà un elemento di alleggerimento e di scarico che sarà oggettivamente pesante.
Soprattutto, a rimetterci saranno i lavoratori precari, quelli che hanno un lavoro temporaneo e non stabile, perché sono quelli che creano meno «questioni» in questo momento. Per questo motivo, la precarietà lavorativa è diventata ed è, oggi più di ieri, una questione sociale a cui bisogna prestare grande attenzione, poiché ci troviamo di fronte al crescere - e la crisi accentua tale crescita - di quello che potremmo definire il popolo dell'incertezza, cioè milioni di persone, in particolare giovani e donne, che non sanno quale sarà la loro biografia lavorativa e di vita, perché vivono dentro una situazione di estrema flessibilità. Purtroppo, per molti giovani la condizione lavorativa atipica è stata ed è non una breve parentesi (come ci è stato spiegato) per introdursi in un lavoro più stabile, ma è una trappola che assume sempre più i connotati degenerativi del disagio individuale, è un freno all'affermazione sociale e perde i suoi tratti di opportunità, di avviamento e di inserimento per assumere spesso le forme di una nuova emarginazione. Essa incide anche sul modo in cui si pensa alla famiglia e al proprio futuro giovanile.
Credo che questo sia uno degli elementi sui quali dobbiamo riflettere perché nelle società industriali dove il lavoro e l'essere occupato rappresentano elementi fondamentali e l'unica condizione per una vita dignitosa, la precarietà è un male sociale che mina al fondo la società e genera sfiducia, soprattutto tra le giovani generazioni, anche nei confronti delle istituzioni.
Il Papa Benedetto XVI, nell'Angelus di alcune domeniche fa, nella sua recente visita a Cassino e, ultimamente, nell'enciclica Caritas in veritate, ci ha ricordato che la grande povertà presente nel mondo ha Pag. 75una sua causa diretta della precarizzazione del lavoro, oltre che nella disoccupazione. Il Papa ha denunciato, con parole forti, la precarietà, lo sfruttamento, la mancanza di garanzie sociali e l'indebolimento dei sindacati ed ha invocato il diritto ad un lavoro decente.
Credo che sia necessario che ci attestiamo su questo terreno, proprio partendo dall'insieme di considerazioni che abbiamo presentato in questa mozione. In essa chiediamo delle cose molto semplici e di facile attuazione, ma che possono dare il segno di una speranza e di una prospettiva.
La prima richiesta è di mettere in atto tutte le iniziative adeguate a valorizzare il confronto tra Governi e parti sociali, tali da consentire un indirizzo chiaro per una riforma strutturale del sistema degli ammortizzatori sociali e per garantire una serie di misure. Ritengo che sia anche il momento giusto, poiché si avvierà, a giorni, un confronto tra il Governo e le parti sociali relativo al Documento di programmazione economico-finanziaria. Credo sia il momento anche di aprire un confronto con le parti sociali su come riformare l'insieme degli ammortizzatori sociali, tenendo conto di ciò che è cambiato, delle esigenze nuove che la crisi ha determinato e della condizione di molti lavoratori.
Una riforma degli ammortizzatori sociali dovrebbe essere tesa a determinare l'estensione delle diverse tipologie di ammortizzatori sociali ai lavoratori che non ne godono - penso ai precari, ma anche ai lavoratori di tante piccole e medie imprese - ad estendere gli ammortizzatori sociali, con le opportune modalità, anche ai lavoratori precari e ai collaboratori, prevedendo per essi requisiti di accesso agevolati; a tutelare sia le situazioni di sospensione che quelle di perdita del lavoro, sia dal punto di vista del reddito che dal punto di vista del reinserimento e, pertanto, a riqualificare il sistema dei servizi per l'impiego perché possa sostenere adeguati programmi per la riqualificazione professionale e un reinserimento occupazionale, per garantire la reimmissione dei lavoratori nel mercato del lavoro.
Al fine di rendere finanziariamente sostenibile la riforma, riteniamo che debba essere previsto un concorso finanziario da parte degli enti bilaterali, realizzando dunque un sistema misto che si fondi da una parte sull'assicurazione obbligatoria da parte dell'INPS e, dall'altra, su forme mutualistiche o contrattuali. È ovvio che quest'ultima proposta recupera un'indicazione che è contenuta nel Libro bianco di Sacconi, ma anche alcuni elementi che stanno negli accordi sindacali.
Pensiamo che la ragionevolezza delle nostre proposte, proprio perché si pongono in modo razionale rispetto alla situazione, possa trovare accoglimento da parte del Governo.
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Pezzotta, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritto a parlare l'onorevole Baldelli, che illustrerà anche la mozione Cazzola, Caparini ed altri n. 1-00212, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, la mozione della quale sono cofirmatario svolge nella sua premessa un'analisi del mercato del lavoro in questo periodo di crisi e ripercorre alcuni provvedimenti che il Governo ha varato per la soluzione o comunque la risposta alla crisi, concernenti sia l'ambito degli ammortizzatori sociali sia un intervento a monte di sostegno alle imprese e al loro indotto, in alcuni settori produttivi strategici, che è servito a contenere le ricadute, sull'economia reale e sul tessuto imprenditoriale e produttivo, della crisi finanziaria che abbiamo affrontato e dalla quale crediamo si stia uscendo in qualche modo.
Sempre nelle premesse vengono considerati alcuni elementi di vivacità del meccanismo del lavoro. Si registra, per quanto riguarda il dato di disoccupazione, uno 0,9 Pag. 76per cento di aumento rispetto allo stesso periodo dello scorso anno e questo elemento è dovuto ed è stato anche in parte contenuto dall'aumento dei lavoratori stranieri.
L'altro elemento che viene individuato come indice per un'analisi complessa e anche, se si vuole, completa del fenomeno delle ripercussioni sull'economia reale della crisi finanziaria è il calcolo delle ore autorizzate di cassa integrazione. Constatiamo che dall'anno scorso a quest'anno c'è stato un aumento complessivo di oltre il 500 per cento delle ore autorizzate. Ciò in parte è dovuto evidentemente ai riflessi concreti della crisi, in parte è altrettanto evidentemente dovuto ad alcuni interventi normativi tesi ad ampliare la platea dei beneficiari di forme di ammortizzazione sociale. È quindi evidente che ci sono alcuni spunti di riflessione sull'andamento registrato: il picco di ore autorizzate nel mese di febbraio e la riduzione nell'ultimo mese, nel mese di giugno, rispetto al mese precedente, potrebbe essere letta come un segnale di uscita, anche timido se si vuole, dalla crisi.
Va ricordato come un intervento di riforma complessiva strutturale degli ammortizzatori sociali in questo momento viene valutato dai quattro ai quindici miliardi di euro. È francamente una cifra poco sostenibile in questa fase, in cui evidentemente gli interventi di natura economica e finanziaria incidono in settori che comportano uno sviluppo immediato, che sono un volano di sviluppo, quali infrastrutture e via dicendo, o per il sostegno, così com'è stato pensato, per i ceti più deboli, per le famiglie, attraverso il bonus e la social card. Si tratta di numerosi elementi che hanno indotto ad apprestare risorse indirizzandole verso i più deboli o verso elementi produttivi con un impegno di spesa così ampio e anche, permettetemi una riflessione personale, in condizioni così particolari, da raggiungere una sua peculiarità che difficilmente consentirebbe un intervento di riforma sereno, con il rischio, per alcuni aspetti, di cronicizzare la crisi.

PRESIDENTE. Onorevole Baldelli...

SIMONE BALDELLI. Per quanto concerne gli impegni che questa mozione chiede al Governo, essi riguardano un'interpretazione assolutamente fiscale della legge Biagi, che prevede che i lavoratori atipici, i contrattisti a progetto, abbiano effettivamente un progetto e che qualora il mancato rispetto della legge Biagi dovesse essere certificato attraverso un potenziamento dei controlli, questa violazione trasformi il contratto in uno a tempo indeterminato, nonché un pacchetto di norme rimodulate e riorganizzate specificamente per i giovani, che intervengono anche su elementi come l'apprendistato e diversi elementi relativi alla formazione e all'ingresso dei giovani nel mercato del lavoro.
Si chiede inoltre al Governo la possibilità di valutare di rendere strutturale l'indennità sperimentale di reinserimento che è stata portata al 20 per cento, e crediamo che questo possa essere un elemento ulteriore di garanzia e che possa diventare un elemento previdenziale e assicurativo al pari della malattia e di altre prestazioni che l'INPS rivolge a coloro che versano contributi anche come gestione separata.
Infine, si sottolinea il ruolo delle regioni, affinché anche attraverso una convergenza e una condivisione degli interventi in termini di spesa, riescano a venire incontro alle diverse esigenze che si manifestano in termini di ammortizzatori sociali, in termini di tessuto sociale, economico e produttivo a seconda delle specificità del territorio.
Questo è, in sostanza, il testo della mozione Cazzola ed altri n. 1-00212 su cui hanno deciso di convergere anche i colleghi e amici della Lega Nord Padania. Questo è il senso degli impegni che chiediamo in questa fase al Governo, nella consapevolezza che già è stato realizzato molto, non ultimo il provvedimento che mette a disposizione gli ammortizzatori sociali (8 miliardi di euro), insieme alle regioni, con un accordo partecipato e condiviso. Tanto ancora c'è da fare e vi è la necessità di una buona volontà da parte Pag. 77di tutte le forze sociali e politiche, Parlamento, Governo e opposizione.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Schirru, che illustrerà anche la mozione Damiano ed altri n. 1-00219, di cui è cofirmataria. Ne ha facoltà.

AMALIA SCHIRRU. Signor Presidente, mi scuso, ma preferisco leggere perché ho paura poi di non rientrare nei tempi. Con la presentazione della mozione che mi accingo ad illustrarvi intendiamo sollecitare il Governo a trovare soluzioni tempestive ed urgenti alla crisi che sta investendo il nostro Paese.
Si tratta di una crisi la cui drammaticità rischia di perdere di significato proprio per la consuetudine con la quale invade in maniera preoccupante le nostre vite e la quotidianità di migliaia di famiglie, di lavoratori e, soprattutto, di persone più in difficoltà, come donne e giovani. Si tratta di una crisi grave e dilagante, dunque, che è partita come crisi economica e mondiale dai mercati finanziari e si è rapidamente portata a quelli produttivi, andando ad investire in maniera pericolosa anche il nostro Paese.
I dati che riportiamo nella mozione parlano chiaro: assistiamo oramai quotidianamente alla chiusura di interi reparti di stabilimenti in diversi settori produttivi: edilizia, agricoltura, chimica e industria pesante. Cito solo alcuni esempi che conosco da vicino perché riguardano la mia regione, la Sardegna. Abbiamo appreso in Aula l'ultima notizia arrivata dall'ENI, che chiude l'impianto petrolchimico di Porto Torres: 3.500 lavoratori in ginocchio ancora una volta per promesse non mantenute. Il 17 ci sarà un tavolo tra Governo e regione nel quale confidiamo, ma che ci preoccupa, così come preoccupa i sindacati e tutte le istituzioni. Stiamo parlando di 5 mila lavoratori che saranno messi in cassa integrazione, che si aggiungono ai 15 mila dell'Eurallumina del Sulcis, a quelli dell'Alcoa e tante altre aziende in crisi di Ottana, Assemini e tutti i siti industriali della nostra regione.
Sono tutte realtà in attesa di risposte certe e di ristrutturazione industriale, ma soprattutto di sostegno e preoccupate di essere abbandonate a se stesse. Si tratta di situazioni sarde e apparentemente locali, che sono però lo specchio di tantissime realtà regionali di un'Italia chiamata a rispondere in maniera tempestiva perché la crisi - lo ribadiamo - non investe soltanto i settori produttivi dell'industria, ma anche il terziario, le imprese commerciali, i servizi, le piccole e medie imprese, con quelle più coraggiose che ancora resistono in tutti i modi e cercano la riconversione con grandi sacrifici e quelle che non ce la fanno più e chiudono.
Sono aziende che spesso non fanno notizia sulla stampa, ma che lasciano a casa decine di dipendenti e mettono in pericolo il futuro delle loro famiglie: giovani e precari alla prima occupazione, impiegati la cui unica alternativa è il ritorno a casa nelle famiglie di origine con gravi ripercussioni anche sui nostri pensionati. Il riflesso sul fronte occupazionale è tragico, anche per quei dipendenti che conservano il posto di lavoro: passato il momento iniziale di sollievo cominciano ad accusare i sensi di colpa rispetto a chi ha perso il lavoro con grande demotivazione e conseguente diminuita produttività.
Secondo i dati di Confindustria, nel 2009 saranno 600 mila i lavoratori che perderanno il posto di lavoro e la disoccupazione salirà all'8,4 per cento con un incremento del 500 per cento, dati INPS, di richieste di cassa integrazione ordinaria.
Al Ministero del lavoro arrivano venti richieste alla settimana per accordi di solidarietà e richieste di procedura di mobilità, cassa integrazione in deroga e cassa integrazione straordinaria, lo riportava ieri un'inchiesta de Il Sole 24 Ore. Sale a 2 milioni, invece, il numero di precari che si vedranno esclusi da ogni forma di supporto e di ammortizzatore sociale: 800 mila lavoratori autonomi e parasubordinati a partita IVA, diversi dai collaboratori, la grande maggioranza dei quasi 400 mila collaboratori e quasi 700 mila lavoratori a tempo determinato interinali. Non dimentichiamo qui l'altissimo Pag. 78numero di donne, soggetti oltremodo svantaggiati sul fronte occupazionale, e in larghissimo numero precarie.
Abbiamo più volte parlato di precariato sul lavoro nei diversi ambiti professionali: lo abbiamo fatto nelle Commissioni dove abbiamo svolto un'indagine, lo abbiamo fatto anche oggi qui, in Aula, a partire dalla scuola, dal mondo della ricerca, della sanità. A tal riguardo, mi riferisco anche al personale sanitario medico che opera nei centri privati convenzionati con il sistema sanitario e nello stesso sistema sanitario, nelle aziende sanitarie ospedaliere. Penso ai lavoratori precari dei centro servizi per il lavoro, ai lavoratori del settore dei servizi integrati, pulizia e multiservizi, la cui attività precaria - lo ricordo - è legata al grave problema relativo alle aziende aggiudicatrici di appalto, con eccessivo ribasso d'asta.
C'è ancora tutta la vicenda delle riassunzioni mancate per i lavoratori con disabilità e per le lavoratrici con figli disabili nelle file della nuova Alitalia; si tratta di una vera emergenza sociale, soprattutto per molti giovani. Si parla poi ancora troppo poco del precariato dei professionisti senza alcuna tutela, per esempio dei giornalisti, degli addetti stampa, degli architetti e ingegneri. Tanti sono i problemi e spesso costoro sopravvivono, scrivendo pochi articoli per testate locali, collaborando a redazioni poverissime incapaci di pagarli, vedendosi assegnate rare supplenze e pagati a singoli articoli. Essi vivono sempre e comunque alla giornata e nell'incertezza del futuro e i più fortunati sperimentano una difficile migrazione in altri Paesi d'Europa.
I secondi, ossia gli architetti, ingegneri, medici, professionisti qualificati e di alto profilo impegnati in studi professionali, a loro volta precari e instabili, sono oggi costretti a ricorrere ad altri lavori, spesso non compatibili con la propria professionalità, perché non ricevono sufficienti commesse o non si vedono retribuire, a causa della crisi dilagante, le precedenti prestazioni.
Sono solo pochi esempi, ma questo è lo scenario dal quale scaturisce la mozione che presentiamo: un mondo del lavoro sull'orlo di un precariato cronico per il quale le proposte del Governo, purtroppo, si sono rivelate finora insufficienti o del tutto simboliche. Pensiamo, tra le altre, al sussidio previsto dall'articolo 19 del decreto-legge n. 185 del 2008, per i collaboratori a progetto in caso di disoccupazione, un sussidio dall'ammontare del tutto inadeguato ed insufficiente per quanto riguarda la ristrettissima platea di beneficiari raggiunti. Lo riportiamo nella mozione: finora sono solo 1.800, ossia un numero esiguo, i lavoratori che vi hanno fatto ricorso, sia per via della farraginosità dell'accesso ai contributi, sia per la scadente informazione fornita al riguardo.
Altra nota dolente è l'arresto del processo di stabilizzazione nella pubblica amministrazione, già avviato nelle precedenti legislature, i cui effetti sono aggravati dall'incapacità del Governo di formulare piani strategici di sostegno occupazionale condivisi, sia per i lavoratori dipendenti a tempo indeterminato, sia per i lavoratori precari, nonché il fatto di non aver ancora provveduto alla riforma degli ammortizzatori sociali così come delineato e concordato tra il Governo Prodi e le parti sociali con il Protocollo del 23 luglio 2007.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

AMALIA SCHIRRU. Per inciso, per ciò che riguarda l'accordo con le regioni, ci si è limitati ad intervenire aumentando le risorse della cassa integrazione in deroga, senza prevedere però l'ipotesi di allungamento dei periodi di cassa integrazione ordinaria, che adesso arrivano a dodici mesi ed eccezionalmente a ventiquattro, però secondo diverse territorialità.
Un'aggravante, inoltre, è il continuo riferimento alla problematica di nuovi concorsi. Non si fa nulla per far fronte alla deroga del Patto di stabilità e, quindi, dare l'opportunità ai comuni di assumere il personale vincitore di concorsi. Voglio solo ricordare che come gruppo del PD abbiamo chiesto da Pag. 79tempo, attraverso proposte precise, le misure di sostegno al credito di tanti lavoratori esclusi da ogni ammortizzatore sociale: abbiamo chiesto l'estensione dei meccanismi già esistenti per l'autoimpiego e, soprattutto, l'ampliamento dei periodi di riconoscimento della cassa integrazione ordinaria. Con questa mozione vogliamo ribadire questi strumenti e sollecitare ancora una volta il Governo a fare fronte alla crisi e alle difficoltà di queste persone che vivono da anni ormai in una situazione di precarietà.
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna di considerazioni integrative del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Schirru, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritta a parlare l'onorevole Zamparutti, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00220. Ne ha facoltà.

ELISABETTA ZAMPARUTTI. Signor Presidente, cercherò di essere il più breve possibile. Con questa mozione vogliamo evidenziare come il sistema degli ammortizzatori sociali del welfare (che è andato sviluppandosi nel sessantennio della nostra Repubblica) sia corporativo, discriminatorio e come tale complessivamente non più sostenibile.
Bisogna prendere atto del fatto che l'attuale sistema non garantisce la totalità dei lavori. Il 70 per cento dei disoccupati in Italia non è coperto da alcun ammortizzatore sociale e ciò deve allarmare tutti di fronte alle stime che, anche quelle più prudenti, indicano in oltre un milione il numero dei nuovi disoccupati in Italia entro il 2010 e parlano di un tasso di disoccupazione che potrebbe non solo toccare la soglia del 10 per cento quest'anno, ma continuare a crescere anche successivamente.
Da questo punto di vista, la crisi internazionale che ha parzialmente investito anche il nostro Paese ha solo evidenziato la gravità della situazione assistenziale e previdenziale, non l'ha di certo creata, ma ha posto con tutta la sua drammaticità la necessità di mettere mano alle riforme strutturali. Dunque noi non condividiamo quanto hanno sostenuto il Presidente Berlusconi e i Ministri Sacconi e Tremonti, per i quali non è nei momenti di crisi che si deve mettere mano alle riforme strutturali. Noi pensiamo che quanto fatto dai Governi Amato, Ciampi e Dini abbia, invece, dimostrato come è proprio nei momenti difficili che riforme (magari anche parziali) possono essere in grado di segnare punti importanti per evitare il rischio di bancarotta del Paese.
Ed è preoccupante, lo ricordava il collega dell'Italia dei Valori, che ad esempio sempre i Ministri Sacconi e Tremonti abbiano addirittura messo in discussione l'attendibilità dei dati dell'ISTAT sui disoccupati, sostenendo pubblicamente che li avrebbero ricavati da un campione di mille persone. Noi sappiamo, invece, che il campione dell'ISTAT è assolutamente più alto e più importante e quindi assolutamente rilevante.
Si evince anche un dato di mancanza di democraticità, quindi, perché se davvero avessero voluto mettere in discussione i dati ISTAT, avrebbero dovuto smentire quanto dice l'Istituto, ma non lo hanno fatto.
C'è, quindi, complessivamente un deficit di democrazia e di trasparenza nel nostro Paese, per risolvere il quale occorre anche affrontare il fatto che è necessario il passaggio da un welfare antidemocratico, quale quello attuale, ad uno più democratico.
Credo che anche dalle mozioni che sono state presentate da altri gruppi e che sono state illustrate si evinca la necessità di ampliare gli ammortizzatori sociali, ma rimane aperto il problema delle coperture finanziarie.
Da questo punto di vista, per noi è inimmaginabile pensare di farvi fronte con un ulteriore aumento della pressione fiscale. Noi pensiamo che l'attuale sistema della spesa pensionistica in Italia debba essere rivisto (ricordo, al riguardo, i dati dell'OCSE dello scorso mese di giugno), Pag. 80perché assorbe circa un terzo delle uscite statali complessive ovvero quasi il doppio rispetto alla media degli altri Paesi.
Quindi, estensione degli ammortizzatori sociali, attraverso quale via? Per un verso, quella che è stata indicata dall'Unione europea con la sentenza dello scorso 25 giugno, che ci ha messi in mora in materia di regime previdenziale INPDAP per la mancanza di equiparazione dell'età pensionabile tra uomini e donne. Tuttavia, per altro verso, occorre mettere mano e avviare l'innalzamento graduale dell'età pensionabile per tutti, uomini e donne, a sessantacinque anni, obiettivo per noi da conseguirsi non oltre il 2018.
Noi non possiamo trascurare il fatto che i due terzi della spesa sociale continuano ad essere vincolati alla spesa pensionistica in un Paese, il nostro, in cui l'età pensionabile è tra le più basse dell'Unione europea. Non dobbiamo neppure dimenticare che l'aspettativa di vita è salita ad oltre settantotto anni per gli uomini, che vanno in pensione in media a cinquantotto anni, e ad ottantaquattro anni per le donne, che vanno in pensione in media a cinquantasette anni.
Per noi, attraverso l'equiparazione, ma soprattutto l'innalzamento dell'età pensionabile, si possono reperire risorse a regime sino a 7 miliardi di euro ogni anno, da destinare proprio a quel welfare universalistico sul modello del welfare to work, che significa capacità di governare la disoccupazione e riqualificare i lavoratori un tempo impiegati in settori superati, e ricollocarli sul mercato del lavoro, oltre che riuscire a provvedere alle pensioni più basse.
Questo, quindi, è quello che noi chiediamo con questa mozione, consapevoli come siamo che l'alternativa è proseguire in una politica dell'emergenza, che privilegia alcuni, pochi, a discapito di altri, molti, e che comunque fa vivere il Paese, complessivamente, in una costante assenza di certezza, innanzitutto quella del diritto, con continui strappi e rischi di tensioni sociali (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.

(Intervento del Governo)

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca, Giuseppe Pizza.

GIUSEPPE PIZZA, Sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca. Signor Presidente, il decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito dalla legge n. 33 del 2009, all'articolo 7-ter ha introdotto ulteriori «Misure urgenti a tutela dell'occupazione», che si vanno ad aggiungere a quelle già previste dall'articolo 19 del decreto-legge n. 185 del 2008, convertito con modificazioni dalla legge n. 2 del 2009, che reca interventi per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale.
Con la legge finanziaria 2009, articolo 2, comma 36, come modificato, dal sopra citato articolo 7-ter, comma 4, del decreto-legge n. 5 del 2009, convertito dalla legge n. 33 del 2009, sono state, infatti, stanziate risorse pari a 600 milioni di euro, da destinare agli interventi di integrazione salariale straordinaria, in deroga alla vigente normativa, per tenere indenni dalla crisi economica attuale i lavoratori dipendenti di imprese che non possono accedere alle disposizioni normative della legge n. 223 del 1991 «Norme in materia di cassa integrazione, mobilità, trattamenti di disoccupazione ed altri disposizioni in materia di mercato del lavoro».

ROBERTO GIACHETTI. Signor sottosegretario, siamo rimasti solo noi da questa parte. Ci guardi!

GIUSEPPE PIZZA, Sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca. Per quanto riguarda, in particolare, la necessità di una previsione di strumenti di sostegno al reddito da riconoscere in Pag. 81favore dei lavoratori precari, cosiddetti atipici, che a seguito di contrazione lavorativa vengono espulsi dal ciclo produttivo, si rappresenta quanto segue.
L'articolo 19 del sopra citato decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito con modificazioni dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, ha individuato interventi per il sostegno al reddito anche per quelle categorie di lavoratori oggetto dell'atto parlamentare in discussione, per i quali è stato previsto uno stanziamento di 289 milioni di euro per l'anno 2009, di 304 milioni di euro per ciascuno degli anni 2010 e 2011 e di 54 milioni di euro a decorrere dall'anno 2012.
Infatti, i lavoratori cosiddetti precari, dunque con contratto di lavoro atipico rispetto a quelli con contratto a tempo indeterminato, con il più volte citato decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito con modificazioni dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, trovano espressamente previsione di sostegno al reddito.
Nello specifico si è disposto a favore dei lavoratori inquadrati con il contratto di apprendisti (articolo 19, comma 1, lettera c)), in via sperimentale per il triennio 2009/2011, in casi di sospensione per crisi aziendali o occupazionali ovvero in caso di licenziamento, un intervento di integrazione salariale pari all'indennità ordinaria di disoccupazione con requisiti normali; a favore dei collaboratori coordinati e continuativi (articolo 19, comma 2) la liquidazione di una somma in un'unica soluzione pari al 10 cento del reddito percepito l'anno precedente, se si trovino nelle condizioni indicate, nello specifico, dal citato comma 2 dell'articolo 19; i lavoratori somministrati e apprendisti (articolo 19, comma 8) possono essere indennizzati con il ricorso alle risorse finanziarie destinate agli ammortizzatori in deroga alla vigente normativa.
Con delibera CIPE del 6 marzo 2009 sono stati stanziati, per il biennio 2009-2010, ulteriori 4 miliardi di euro per gli ammortizzatori sociali in deroga, con la seguente ripartizione: 2,950 miliardi di euro al centro-nord; 1,050 miliardi di euro al Mezzogiorno.
Inoltre, con decreto ministeriale n. 45080 del 19 febbraio 2009, ai sensi dell'articolo 19, comma 9-bis del sopra citato decreto-legge, sono state assegnate provvisoriamente alle regioni e alle province autonome complessivi 151,5 milioni di euro per la concessione degli ammortizzatori sociali in deroga alla vigente normativa.
Con accordi stipulati con le regioni e le province autonome, sono state distribuite, a titolo di prima assegnazione, risorse per complessivi 674 milioni di euro, ai fini della concessione degli ammortizzatori sociali in deroga alla vigente normativa, con la ripartizione di cui alla tabella che metto a disposizione degli onorevoli firmatari.
Voglio, inoltre, ricordare gli interventi previsti nel decreto-legge n. 78 del 2009, cosiddetto pacchetto anticrisi, attualmente all'esame della Camera, segnalando in particolare gli incentivi al lavoro e alle imprese.
Il principale obiettivo in questo ambito è quello di far sì che i cassintegrati possano tornare al lavoro al più presto. Le imprese potranno, quindi, richiamare il personale in cassa integrazione per riqualificarlo con progetti di formazione; in questo modo, il lavoratore rimane in attività, non interrompendo il rapporto con il lavoro, in una logica contraria ad un mero assistenzialismo.
In questo contesto, particolare rilievo assume la disposizione secondo la quale i lavoratori in cassa integrazione che decideranno di mettersi in proprio o in cooperativa potranno contare su incentivi pari al sussidio. È previsto, inoltre, lo stanziamento di 25 milioni per le proroghe a ventiquattro mesi della cassa integrazione guadagni straordinaria per cessazione di attività secondo il modello definito dal decreto-legge n. 249 del 2004.
Per quanto riguarda i lavoratori con contratto a termine, in caso di licenziamento o di cessazione di contratto l'indennità di disoccupazione spetta ai lavoratori con almeno due anni di assicurazione presso l'INPS e almeno 52 contributi settimanali nel biennio precedente la data di cessazione del rapporto. Pag. 82
I lavoratori che non hanno questi requisiti, ma posseggono due anni di assicurazione presso l'INPS, con almeno un contributo settimanale prima del biennio precedente la domanda e almeno 78 giornate lavorate nell'anno solare precedente, hanno diritto all'indennità di disoccupazione con requisiti ridotti.
II Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha comunicato, per quanto di competenza, che l'articolo 64 della legge n. 133 del 2008 ha previsto la predisposizione di un piano per la realizzazione di una serie di interventi finalizzati ad una migliore organizzazione del servizio scolastico (di qui la necessità di rivedere i criteri per la formazione delle classi, la ridefinizione dei curricoli di studio, la razionalizzazione e l'accorpamento delle classi di concorso) e, quindi, una migliore utilizzazione delle risorse umane e la conseguente riduzione del fabbisogno di personale e della relativa spesa.
In particolare, il decreto interministeriale relativo agli organici dell'anno scolastico 2009-2010, trasmesso con la circolare n. 38 del 2 aprile 2009, in coerenza con quanto avvenuto negli anni pregressi, ha previsto che le riduzioni stabilite dalla predetta legge per l'anno scolastico 2009-2010, avvenissero in parte in organico di diritto (per una quota pari a 37 mila unità) ed in parte in organico di fatto (per una quota di 5.000 posti). Ciò al fine di rispondere meglio alle esigenze del territorio e realizzare una maggiore stabilità del personale interessato, anche a tutela della continuità didattica.
La razionalizzazione prevista non comporta tuttavia un arresto del processo di stabilizzazione del personale precario: quasi 32 mila insegnanti hanno infatti presentato, già da quest'anno, domanda di pensionamento (2 mila in più dell'anno scorso) e 8 mila richieste di pensionamento sono state presentate dal personale amministrativo, tecnico ed ausiliario della scuola (2 mila in più dell'anno scorso). Con l'attuale sistema pensionistico, inoltre, nel 2009 andrebbero in pensione 1.500 insegnanti e 1.000 unità di personale amministrativo, tecnico ed ausiliario con 40 anni di effettivo servizio.
Inoltre, il Ministero dell'istruzione ha comunicato che, a breve, saranno presentate delle proposte in Parlamento volte a consentire, già dal prossimo anno scolastico, un miglior utilizzo del personale inserito nelle graduatorie ad esaurimento previste dall'articolo 1, comma 605, lettera c), della legge 26 dicembre 2006, n. 296, che nel corrente anno scolastico ha ottenuto un contratto a tempo determinato.
In merito ai profili relativi al precariato nel lavoro pubblico, il competente Dicastero ha segnalato che il decreto-legge 1o luglio 2009, n. 78, all'esame della Camera, ha introdotto alcune disposizioni (articolo 17, commi da 10 a 19) concernenti le assunzioni nelle pubbliche amministrazioni, definendo un percorso di reclutamento speciale, per il periodo 2010-2012, nell'ambito delle facoltà assunzionali delle amministrazioni consentite dalla normativa vigente e senza maggiori oneri per la finanza pubblica.
Il reclutamento avviene in ogni caso mediante concorso pubblico per il personale che, pur avendo i requisiti richiesti dalle leggi finanziarie 2007 e 2009, non possa beneficiare dei percorsi di stabilizzazione da esse previsti, essendo la vigenza delle relative norme limitata al 31 dicembre 2009. In particolare, le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001 possono bandire concorsi per assunzioni a tempo indeterminato, con una riserva di posti non superiore al 40 per cento dei posti messi a concorso, per il personale non dirigenziale in possesso dei requisiti di cui all'articolo 1, commi 519 e 558, della legge n. 296 del 2006 e dell'articolo 3, comma 90, della legge n. 244 del 2007. Inoltre, le medesime amministrazioni possono attivare concorsi per titoli ed esami, finalizzati a valorizzare con apposito punteggio l'esperienza professionale maturata dal suddetto personale, nonché dal personale di cui all'articolo 3, comma 94, lettera b), della legge n. 244 del 2007. Pag. 83
L'articolo 17 prevede, altresì, al comma 12, che le amministrazioni richiamate possono ricorrere ai concorsi per l'assunzione del personale limitatamente alle qualifiche indicate all'articolo 16 della legge n. 56 del 1987, con i requisiti di anzianità indicati al comma 10 e maturati nelle stesse qualifiche e nella stessa amministrazione. Nella norma si precisa, inoltre, che ogni amministrazione predispone apposite graduatorie, sulla base di una prova di idoneità, ove non già svolta all'atto dell'assunzione, e che tali graduatorie hanno efficacia entro il 31 dicembre 2012.
Infine, al comma 13, si prevede che per il triennio 2010-2012 le amministrazioni sopra indicate possano destinare il 40 per cento delle risorse finanziarie disponibili, secondo la normativa vigente in materia, per le assunzioni dei vincitori delle procedure concorsuali bandite ai sensi dei precedenti commi 10 e 11.
I successivi commi da 14 a 19 del citato articolo 17 prevedono poi una serie di proroghe in materia di concorsi ed assunzioni. Nello specifico viene prorogato il termine entro il quale le amministrazioni possono utilizzare le risorse destinate a nuove assunzioni. Ciò in quanto i complessi adempimenti connessi con le misure di riorganizzazione e riduzione delle dotazioni organiche che hanno interessato le amministrazioni statali, gli enti pubblici non economici e gli enti di ricerca non hanno consentito di realizzare, nei tempi previsti dalla normativa vigente, le assunzioni a tempo determinato disposte conseguentemente alle cessazioni di personale verificatesi nell'anno precedente.
Si rinviano pertanto al 31 dicembre 2010 i termini per le assunzioni di personale a tempo indeterminato relative alle cessazioni verificatesi nell'anno 2007, di cui all'articolo 1, commi 523 e 643, della legge n. 296 del 2006 (comma 14). Analogamente vengono rinviati i termini per le stabilizzazioni di personale relative alle cessazioni verificatesi nell'anno 2007, di cui all'articolo 1, comma 526, della legge n. 296 del 2006 (comma 15), quelli per le assunzioni di personale a tempo indeterminato di cui all'articolo 1, comma 527, della legge n. 296 del 2006 (comma 16), nonché quelli per le assunzioni di personale a tempo indeterminato relative alle cessazioni verificatesi nell'anno 2008, di cui all'articolo 68, commi 3, 5 e 14, del decreto-legge n. 112 del 2008 (comma 17). Infine, il comma 18 rinvia al 31 dicembre 2010 il termine per procedere alle assunzioni di personale relative alle cessazioni verificatesi nell'anno 2008, di cui all'articolo 66, comma 13, del decreto-legge n. 112 del 2008.
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna della tabella recante la ripartizione delle risorse distribuite alle regioni e alle province autonome ai fini della concessione degli ammortizzatori sociali in deroga alla vigente normativa.

PRESIDENTE. Onorevole Pizza, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Martedì 14 luglio 2009, alle 11:

1. - Svolgimento di interpellanze e interrogazioni.

(ore 14)

2. - Seguito della discussione del testo unificato dei progetti di legge:
DE CORATO ed altri; CAPARINI ed altri; LUSSANA; PRESTIGIACOMO; ANGELA NAPOLI; POLLASTRINI ed altri; PELINO ed altri; D'INIZIATIVA DEL GOVERNO; SALTAMARTINI ed altri; PELINO e SBAI; CARLUCCI; COSENZA: Disposizioni Pag. 84in materia di violenza sessuale (574-611-666-688-817-924-952-1424-2142-2167-2194-2229-A).
- Relatore: Lussana.

3. - Seguito della discussione delle mozioni Oliverio ed altri n. 1-00196, Beccalossi ed altri n. 1-00197, Delfino ed altri n. 1-00205, Fogliato ed altri n. 1-00207 e Di Giuseppe ed altri n. 1-00217 concernenti misure a favore del settore agroalimentare e della pesca.

4. - Seguito della discussione delle mozioni Maran ed altri n. 1-00140, Pianetta, Dozzo, Lombardo ed altri n. 1-00209, Vietti ed altri n. 1-00210 e Evangelisti ed altri n. 1-00215 concernenti iniziative volte a sostenere il processo di riconciliazione nazionale in Somalia.

5. - Seguito della discussione delle mozioni Buttiglione ed altri n. 1-00192, Barani, Laura Molteni, Commercio ed altri n. 1-00211, Farina Coscioni ed altri n. 1-00213, Mura ed altri n. 1-00214 e Livia Turco ed altri n. 1-00221 concernenti iniziative volte a contrastare l'uso dell'aborto come strumento di controllo demografico.

6. - Seguito della discussione delle mozioni Ghizzoni ed altri n. 1-00204, Garagnani, Goisis, Latteri ed altri n. 1-00206, Zazzera ed altri n. 1-00216 e Capitanio Santolini ed altri n. 1-00218 concernenti misure a favore della scuola pubblica.

7. - Seguito della discussione delle mozioni Borghesi ed altri n. 1-00203, Pezzotta ed altri n. 1-00208, Cazzola, Caparini ed altri n. 1-00212, Damiano ed altri n. 1-00219 e Zamparutti ed altri n. 1-00220 concernenti iniziative per l'estensione degli ammortizzatori sociali ai lavoratori precari.

La seduta termina alle 21,25.

TESTO INTEGRALE DELL'INTERVENTO DEL DEPUTATO FABIO EVANGELISTI IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DELLA MOZIONE N. 1-00140

FABIO EVANGELISTI. Colleghi, quello che in questi ultimi giorni sta accadendo in Somalia è anche il frutto di una sottovalutazione della comunità internazionale sulla degenerazione di un conflitto che perdura ormai da diciotto anni, ovvero dal giorno in cui fu cacciato il dittatore Siad Barre nel 1991. Le ultime, terribili notizie che ci giungono da quella regione riguardano la decapitazione, qualche giorno fa, da parte di miliziani somali al Shabaab («giovani», «gioventù» in arabo), di sette persone, a Baidoa dove risiede il governo provvisorio somalo. L'accusa che è stata loro rivolta dai miliziani è di aver tradito la religione islamica e di essere delle spie. E, ancora, l'uccisione del ministro per la sicurezza, Omar Hashi, considerato uomo chiave nella guerra che vede contrapposti gli Shabaab alle forze governative, a seguito di uno dei sempre più frequenti attacchi kamikaze che hanno procurato finora centinaia di morti, soprattutto tra i militari e le forze di polizia. Pur nella loro tragicità, questi due episodi rappresentano solo gli ultimi tasselli di un'escalation di violenza che, con notevole ritardo, comincia a preoccupare seriamente anche l'Unione europea. Certo, la Comunità europea si era già attivata per far fronte alla inaccettabile situazione dovuta agli atti di pirateria e di sequestro di centinaia di navi al largo delle coste del Corno d'Africa, ma nell'ottica di tutelare gli interessi economici, pur importanti, legati al transito in quella parte dell'Oceano Indiano e del Golfo di Aden. Tuttavia, occorre dire che anche gli sforzi della comunità internazionale sono apparsi finora deboli e comunque in ritardo rispetto alla realtà che quotidianamente si presenta sempre più fuori controllo e che rischia di sfuggire di mano. Gli insorti fondamentalisti, infatti, ormai controllano una gran parte del Paese e alcuni quartieri della capitale, dove gli unici rimasti a protezione del palazzo presidenziale, del porto e dell'aeroporto di Mogadiscio sono gli oltre quattromila militari della missione Pag. 85panafricana AMISOM, autorizzata dalle Nazioni Unite il 20 febbraio 2007 per assicurare la sicurezza e la pace dopo la guerra in atto dal 2006, ma anche per assicurare la protezione dei membri del congresso, per la riconciliazione nazionale somala e la messa in sicurezza delle infrastrutture chiave. In questo contesto, comunque, il parlamento somalo non si può più riunire perché, si apprende da agenzie stampa, 288 dei suoi 550 membri sono all'estero, in «visita ufficiale» ma per ragioni legate alla scarsa tutela dei parlamentari stessi costretti a scappare dalla guerriglia islamica. Proprio lo scorso 19 giugno un parlamentare somalo è stato ucciso a Mogadiscio a colpi di arma da fuoco da alcuni uomini armati. La realtà preoccupante è che questa «gioventù» islamica risulta, a detta anche di un comandante dei militari dell'AMISOM, difficile da sconfiggere perché ben organizzata in cellule, ben infiltrata tra la popolazione civile e soprattutto con nuovi sostenitori, i cosiddetti mujaheddin stranieri, provenienti da paesi come Afghanistan, Cecenia, Pakistan, Iraq. Tutto ciò si coniuga pericolosamente con il fatto che tra miseria e disperazione, la Somalia sta diventando sempre più un habitat naturale per la propaganda di Al Qaeda che sta creando una generazione di giovani e giovanissimi combattenti devoti alla Jihad, ragazzi che non hanno conosciuto altro che guerre e miseria fin dalla nascita.
Purtroppo, alla preoccupante situazione politica si aggiunge quella umanitaria. Fermo restando che gli aiuti umanitari sono ancora, per quanto non risolutivi, l'ultima spiaggia (foglia di fico dell'occidente?), ancor più in questi mesi che hanno visto peggiorare le condizioni di sicurezza con la conseguenza di aver ridotto la distribuzione degli aiuti stessi proprio dove ce n'è un disperato bisogno.
L'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) riferisce con preoccupazione che la spirale di violenza sta mettendo in fuga la popolazione: sono ormai circa un milione gli sfollati, riparati per la maggior parte nei Paesi vicini o in zone più sicure della Somalia. Va detto che quando lo scorso maggio, sono stati «respinti» in Libia immigrati clandestini, roboante operazione di facciata per motivi elettorali e per non scontentare la Lega, sappiamo bene che alcuni di questi, per la maggior parte somali ed eritrei, fuggivano dalla su accennata e drammatica situazione per approdare in Italia, in disperata ricerca di rifugio, e quindi con il pieno e sacrosanto diritto di chiedere asilo politico, qualora fosse stata data loro la possibilità.
Malgrado la grande preoccupazione che questa realtà ci consegna, ci sono certamente spazi di agibilità politica e diplomatica per tentare di circoscrivere lo sfacelo che sta attraversando la Somalia. Ed è proprio questo l'intento di questa mozione presentata dal gruppo Italia dei Valori. Gli antichi legami storici confermano ancora oggi che per questo martoriato Paese l'Italia rimane il principale punto di riferimento. E dunque, in uno dei dispositivi della nostra mozione invitiamo il nostro Governo a candidarsi come principale interlocutore per la ripresa del dialogo e della pacificazione tra le varie fazioni che si contendono il controllo del territorio somalo. Occorre un'azione tempestiva, occorre che la diplomazia italiana assuma una forte leadership e la eserciti in ambito europeo e internazionale, di concerto con l'Unione africana, a sostegno di quell'importante accordo siglato nel giugno 2008 a Gibuti e che va recuperato perché ancora costituisce un buon punto di partenza per arrivare a una soluzione politica, a una riconciliazione della Somalia e per far marciare più speditamente il processo di pace.
L'accordo non contiene solo dichiarazioni politiche sulla cessazione delle ostilità, sul ritiro dei soldati etiopici o sulla prosecuzione del dialogo, ma auspica anche la creazione di due organismi, entrambi presieduti dalle Nazioni Unite, con lo scopo di proseguire il confronto e verificare che i punti dell'accordo di Gibuti vengano rispettati.
Infine, proprio per dare ascolto agli allarmi lanciati dall'attuale presidente somalo, occorre agire in fretta prima che la Pag. 86Somalia diventi il nuovo Afghanistan africano con una talebanizzazione del territorio, ma occorre anche evitare una preventiva esclusione di quell'Islam moderato, di cui è espressione proprio l'attuale presidente, perché rischierebbe di radicalizzare ancora di più le posizioni già estremamente diversificate e non terrebbe in debito conto che la volontà popolare, anche se in una situazione di grande caos, sembra orientata verso una presenza islamica moderata nel governo del Paese.
La questione somala non si gioca solo all'interno del Paese in quanto il fronte si è ormai allargato a Etiopia e Eritrea, in particolare, ma probabilmente coinvolge anche l'Arabia Saudita, il Kuwait e lo Yemen, e in tal senso riteniamo questa una buona occasione affinché proprio il nostro Paese si faccia promotore di una conferenza di pace allargata a tutta la regione, con il coinvolgimento dell'Unione Africana, così come è accaduto lo scorso maggio a Trieste per la questione afghana.
Non appaia esagerato, ma occorre agire in fretta, ogni giorno diventa sempre più determinante per le sorti della Somalia.

TESTO INTEGRALE DELL'INTERVENTO DEL DEPUTATO SAVINO PEZZOTTA IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DELLA MOZIONE N. 1-00203

SAVINO PEZZOTTA. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, a nessuno di noi sfugge che stiamo vivendo la peggior crisi economica del dopoguerra e che a pagarne i costi più alti sono le persone che non hanno avuto nessuna responsabilità nel provocarla.
Si discute molto e giustamente delle questioni economiche, di come risanare il sistema, degli interventi sul sistema creditizio e di quali possono essere le istituzioni a livello mondiale, europeo e nazionale che governino e indirizzino la situazione.
Tutto bene!
Vorrei che con la stessa passione ed enfasi si discutesse, si ragionasse sulle ricadute sociali che la crisi ha determinato e che tutt'ora sta germinando sugli strati più deboli, sui poveri, sulle lavoratrici e sui lavoratori, in particolare su coloro che non godono di nessuna tutela e garanzia.
Proprio ieri, in un bellissimo intervento, l'economista premio Nobel Amartya Sen, ci rammentava che «l'identificazione di ingiustizie cui potremmo porre rimedio deve essere il compito principale di chi vuol riflettere su questioni di giustizia e ingiustizia». Un invito che dovremmo raccogliere con molta attenzione, coscienti del fatto che la crisi in atto non è affatto neutrale, ma colpirà maggiormente le persone e le famiglie più deboli sia livello mondiale che nei singoli paesi: vediamo il crescere e l'estendersi di ulteriori ingiustizie e discriminazioni.
Speriamo che i buoni e significativi propositi assunti al G8 de L'Aquila non facciano la fine degli impegni precedenti e restino solo delle buone intenzioni, soprattutto per quanto riguarda il Continente Africano.
Quali sono le ingiustizie cui potremmo porre rimedio, seguendo l'indicazione dell'economista britannico/indiano, oggi nel nostro paese? Credo che siano principalmente quelle che si registrano nel campo del lavoro e che hanno ricadute sulle famiglie e sui livelli di povertà. Sono convinto che l'uscita dalla crisi passi attraverso un vero disegno riformatore che produca innovazione e ammodernamento degli strumenti economici, ma anche, e soprattutto, in una politica che punti a far crescere un buon lavoro in modo da dare certezze e sicurezza a milioni di persone, in particolare alle giovani generazioni.
In questi giorni, il superindice dell'OCSE ha segnalato un timido avvio di uscita dalla crisi, previsione che abbiamo accolto con molto interesse e speranza. Inoltre, sempre con attenzione, abbiamo letto che secondo l'indagine condotta ai primi di giugno dalla Banca d'Italia e dal quotidiano Il Sole 24 Ore, sembra emergere un miglioramento nelle attese delle imprese.
A fronte di tutte queste indicazioni ci chiediamo se siamo di fronte alla fine del ciclo delle scorte o a un sussulto della congiuntura e alla ripresa della domanda. Pag. 87
Confesso di fare il tifo per questa seconda prospettiva, ma sorgono alcuni dubbi quando vediamo che l'attuale livello di produzione resta, in Italia, quasi del 20 per cento inferiore a quello dello stesso periodo dello scorso anno. E se nello stesso tempo vediamo l'entità delle richieste di mediazione tra imprese e sindacati sulle situazioni di difficoltà, sui licenziamenti e sulle richieste delle casse integrazione in deroga, sui contratti di solidarietà, le procedure di mobilità, che si svolgono presso il Ministero del Welfare e dello sviluppo economico. Le preoccupazioni si rafforzano se lo sguardo si proietta sull'andamento dell'economia industriale e dei diversi settori: tessile abbigliamento, chimico, arredamento, componentistica auto.
Nel momento in cui si parla di uscita dalla crisi, devo anche ricordare che tutte le uscite dalle crisi non sono socialmente tranquille, anzi hanno sempre comportato dei costi sociali. Le aziende per cogliere l'attimo cercano di alleggerirsi per poter correre di più e reggere, in termini di costi, la nuova fase di competizione, ma a fare le spese di questa necessità sono quasi sempre i livelli occupazionali e soprattutto quelli a contratto temporaneo, determinato e flessibile.
Oltre ai disoccupati, a chi è in cerca di lavoro, ai cassintegrati, a fare le spese dal perdurare della crisi o, paradossalmente, dall'avvio della ripresa sono soprattutto le donne e gli uomini con un rapporto di lavoro precario e temporaneo, i cosiddetti flessibili a contratto dipendente a tempo determinato, a collaborazione coordinata e continuativa a progetto e dai prestatori d'opera occasionali.
Una recente indagine dell'Istat, sul primo trimestre del 2009, ci ricorda che il calo dell'occupazione che si è registrato negli ultimi tempi è principalmente dovuto allo scioglimento e/o alla mancanza di contratti a tempo determinato, dei collaboratori e dell'occupazione autonoma. Teniamo anche presente che per le caratteristiche proprie di quel mercato del lavoro la maggior presenza è concentrata nel mezzogiorno.
La precarietà lavorativa è una questione sociale rilevante a cui occorre prestare attenzione. In questi ultimi anni il fenomeno è cresciuto costantemente e s'iniziano, soprattutto in questa fase segnata dai morsi della crisi economica, ad intravedere i limiti e soprattutto i rischi di lungo periodo di un eccessiva permanenza in contratti non standard.
Ci troviamo di fronte al crescere di un «popolo dell'incertezza».
Purtroppo per molti giovani la condizione lavorativa atipica non è una breve parentesi in un percorso rapido verso un lavoro stabile, ma si configura piuttosto come una «trappola» e assume sempre più i connotati generativi del disagio individuale, di freno all'affermazione sociale, perde i tratti di opportunità di avviamento e d'inserimento per assumere i connotati di una nuova emarginazione che incide sul futuro e la prospettiva familiare e genera un sentimento di sfiducia.
Abbiamo vissuto un periodo in cui l'Italia è riuscita, a differenza di altri paesi, a conciliare bassa crescita e incremento occupazionale. Ci siamo illusi che bastasse introdurre alcuni anche necessari elementi di liberalizzazione del mercato del lavoro, più adattabilità, più mobilità in entrata perché si risolvessero le questioni, ma la crisi ci dimostra che se non si garantisce anche la situazione di uscita e l'accompagnamento a un nuovo rientro, si finisce per generare delle ingiustizie e delle disuguaglianze. Ricordo, per una cara frequentazione, che questa era la vera preoccupazione di Marco Biagi e del suo disegno complessivo di riforma del mercato del lavoro che, purtroppo, è stato solo parzialmente assunto.
Nelle società industriali, dove il lavoro, l'essere occupato, è fondamentale ed è l'unica condizione per una vita dignitosa, la precarietà è un male sociale che mina al fondo la società e che genera sfiducia, soprattutto tra le giovani generazioni nei confronti delle istituzioni.
Papa Benedetto XVI, all'Angelus di alcune domeniche fa, nella sua visita a Cassino e recentemente nell'enciclica Caritas in veritate, ci ha ricordato che la Pag. 88grande povertà presente nel mondo ha una sua causa diretta nella precarizzazione del lavoro oltre che nella disoccupazione. Il Papa ha denunciato «la precarietà», «lo sfruttamento», la «mancanza di garanzie sociali», «l'indebolimento dei sindacati» nell'era della globalizzazione e ha invocato il diritto ad un lavoro «decente» per ogni essere umano, e ha difeso i diritti dell'immigrato quale persona umana che non può essere considerato una semplice merce.
È partendo da queste considerazioni e sollecitazioni che come parlamentari dell'Unione di Centro abbiamo presentato la presente mozione, con la quale, oltre che descrivere la situazione con dei dati statistici precisi, con osservazioni sullo stato della situazione, chiediamo al Governo di porre in atto, tenendo conto che in questi giorni si terrà un confronto tra le parti sociali sul DPEF e questo potrebbe essere una buona occasione per avviare un confronto: tutte iniziative adeguate, atte a valorizzare il confronto tra Governo e parti sociali, tali da consentire un indirizzo chiaro per una riforma strutturale del sistema di ammortizzatori sociali che garantisca le misure adeguate a: determinare l'estensione delle differenti tipologie di ammortizzatori sociali ai lavoratori che ancora non ne godono; estendere gli ammortizzatori sociali, con le opportune modalità, anche ai lavoratori precari ed ai collaboratori, prevedendo per essi requisiti di accesso agevolati; tutelare sia le situazioni di sospensione che quelle di perdita del lavoro; riqualificare il sistema dei servizi per l'impiego perché possa sostenere adeguati programmi per la riqualificazione professionale ed il reinserimento occupazionale per garantire la reimmissione dei lavoratori nel mercato del lavoro; al fine di rendere finanziariamente sostenibile la riforma, prevedere il concorso finanziario degli enti bilaterali, realizzando dunque un sistema misto che si fondi, da una parte, sull'assicurazione obbligatoria all'Inps, dall'altra su forme mutualistico-contrattuali. (Quest'ultima proposta recupera anche una indicazione contenuta nel Libro Bianco sul Welfare presentato dal ministro Sacconi).
Siamo certi che la ragionevolezza delle nostre proposte trova accoglienza da parte del Governo.

CONSIDERAZIONI INTEGRATIVE DELL'INTERVENTO DEL DEPUTATO AMALIA SCHIRRU IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DELLA MOZIONE N. 1-00203

AMALIA SCHIRRU. Con la presente mozione dunque sollecitiamo ancora una volta il Governo a far fronte alla crisi, intervenendo urgentemente sul capitale umano e professionale, soprattutto precario - ossia larga parte della nostra forza lavoro attuale, nonché sicuramente la più debole e penalizzata - attraverso una serie di misure di sostegno e di tutela immediata e futura, sia finanziaria che preventiva e di formazione, in forma di piano strategico e condiviso. Un piano che deve correre in sinergia con la riforma organica degli ammortizzatori sociali, in pieno concerto con le parti sociali.
In proposito chiediamo che la tutela della Cassa integrazione, in tale preoccupante e diffusa situazione, sia estesa a tutti i lavoratori e che, attraverso una misura straordinaria, il governo vada incontro alle imprese permettendo loro di superare la crisi senza disperdere il patrimonio di risorse umane dei propri dipendenti, cioè anche attraverso l'estensione dei periodi di cassa integrazione ordinaria.
Inoltre, come misura d'aiuto urgentissimo e immediato, chiediamo che venga istituito un assegno mensile di disoccupazione, pari almeno al 60 per cento della retribuzione percepita ogni mese nell'ultimo anno lavorativo, per tutti quei lavoratori attualmente esclusi dal sistema di ammortizzatori sociali, (lavoratori a termine, apprendisti e tutti coloro che attualmente sono esclusi dagli strumenti ordinari). È necessario pertanto attuare interventi immediati per evitare il licenziamento senza tutela. Pag. 89
Il gravissimo rischio cui andiamo incontro in caso di ritardi o di mancato intervento del Governo nella attuazione di un piano strategico, è di far ricadere gli effetti della crisi economica interamente sui lavoratori e in particolare su quella ampia parte di lavoratori di cui abbiamo parlato, i precari, gli interinali, le lavoratrici donne, i dipendenti delle imprese artigiane e delle piccole imprese industriali e di servizi.

TABELLA CITATA DAL SOTTOSEGRETARIO DI STATO PER L'ISTRUZIONE, L'UNIVERSITÀ E LA RICERCA GIUSEPPE PIZZA IN SEDE DI DISCUSSIONE DELLA MOZIONE N. 1-00203

Ripartizione delle risorse distribuite alle regioni e alle province autonome ai fini della concessione degli ammortizzatori sociali in deroga alla vigente normativa:
Abruzzo: euro 25 mln più ulteriori euro 30 mln per i lavoratori subordinati dei comuni di cui all'articolo 1 dell'ordinanza Presidente del Consiglio dei ministri del 9 aprile 2009 (disposizioni urgenti per eventi sismici).
Basilicata: euro 9 mln;
Calabria: euro 29 mln;
Campania: euro 59 mln;
Emilia Romagna: euro 50 mln;
Friuli Venezia Giulia: euro 16 mln;
Lazio: euro 50 mln;
Liguria: euro 15 mln;
Lombardia: euro 70 mln;
Marche: euro 40 mln;
Molise: euro 7 mln;
Piemonte: euro 50 mln;
Puglia: euro 49 mln;
Sardegna: euro 39 mln;
Sicilia: euro 39 mln;
Toscana: euro 50 mln;
Umbria: euro 10 mln;
Valle d'Aosta: euro 3 mln;
Veneto: euro 50 mln;
Provincia autonoma di Bolzano: euro 7 mln;
Provincia autonoma di Trento: euro 7 mln.