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Resoconto dell'Assemblea

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XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 116 di lunedì 19 gennaio 2009

Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROSY BINDI

La seduta comincia alle 15,05.

DONATO LAMORTE, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 14 gennaio 2009.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Alessandri, Angelino Alfano, Berlusconi, Bonaiuti, Bossi, Brambilla, Brunetta, Buonfiglio, Carfagna, Casero, Cicchitto, Colucci, Cossiga, Cota, Craxi, Crimi, Crosetto, Donadi, Fitto, Frattini, Gelmini, Gibelli, Alberto Giorgetti, Giro, La Russa, Lupi, Mantovano, Maroni, Martini, Meloni, Miccichè, Migliori, Prestigiacomo, Roccella, Romani, Ronchi, Rotondi, Soro, Stefani, Tremonti, Urso, Vegas e Vito sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente quarantasei, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Organizzazione dei tempi di discussione dei disegni di legge di ratifica.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione dei disegni di legge di ratifica nn. 1907 e 2041-A.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati all'esame dei disegni di legge di ratifica all'ordine del giorno è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

Discussione del disegno di legge: Ratifica ed esecuzione della Convenzione tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo degli Stati Uniti d'America per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e per prevenire le frodi o le evasioni fiscali, con Protocollo e Verbale d'intesa, fatta a Washington il 25 agosto 1999, con Scambio di Note effettuato a Roma il 10 aprile 2006 e il 27 febbraio 2007 (articolo 79, comma 15, del Regolamento) (A.C. 1907) (ore 15,10).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Ratifica ed esecuzione della Convenzione tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo degli Stati Uniti d'America per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e per prevenire le frodi o le evasioni fiscali, con Protocollo e Verbale d'intesa, fatta a Washington il 25 agosto 1999, con Scambio di Note effettuato a Roma il 10 aprile 2006 e il 27 febbraio 2007, che la III Commissione (Affari esteri) ha approvato ai sensi dell'articolo 79, comma 15, del Regolamento.

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(Discussione sulle linee generali - A.C. 1907)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che la III Commissione (Affari esteri) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, onorevole Ruben, ha facoltà di svolgere la relazione.

ALESSANDRO RUBEN, Relatore. Signor Presidente, la legislazione nazionale vigente prevede norme particolari per il trattamento fiscale ai fini delle imposte sui redditi dei soggetti non residenti. Tali disposizioni si applicano solo se non sono state poste regole a livello internazionale, concordate tra Stati sovrani quali soggetti primi del diritto internazionale. Queste regole si concretizzano nella stipula di trattati bilaterali o multilaterali tra Stati che vengono poi recepiti nelle singole legislazioni nazionali con strumenti diversi a seconda dei modelli costituzionali, derogando alle leggi interne e prevalendo su di esse.
Pertanto, nel caso di soggetti non residenti, si applicano le disposizioni previste dalla Convenzione contro le doppie imposizioni qualora essa sia stata stipulata con il Paese del soggetto non residente, ratificata dai Paesi interessati ed entrata in vigore, oppure le disposizioni previste dalla legislazione nazionale se sono più favorevoli. Può anche accadere che l'accordo bilaterale o multilaterale prenda in considerazione solo alcuni dei redditi del non residente. In questo caso, si avrà un regime integrato tra la legge nazionale e la Convenzione internazionale.
Osservo che la disciplina nazionale non impedisce eventuali doppie imposizioni nel caso in cui la legislazione straniera sottoponga il medesimo reddito a tassazione, in quanto il principio sancito dall'articolo 163 del decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, che vieta l'applicazione della stessa imposta più volte in dipendenza del medesimo presupposto, vale solo per l'ordinamento italiano e non può vincolare gli Stati esteri.
Ricordo, altresì, che la legge n. 342 del 2000 ha introdotto nel Testo unico delle imposte sui redditi l'attuale articolo 167, al fine sostanzialmente di introdurre nel nostro Paese, analogamente a quanto già previsto in altri ordinamenti, una normativa diretta a disciplinare il fenomeno definito comunemente CFC (Controlled Foreign Corporation), mediante l'imputazione al soggetto residente dei redditi prodotti da società controllate residenti in Stati con regime fiscale privilegiato.
Per quanto riguarda la stipula delle convenzioni sopramenzionate, la principale ragione che spinge gli Stati a ricercare tali intese è quella di evitare una duplicazione di imposizione sugli stessi fenomeni economici e giuridici che, se non limitata, arrecherebbe un notevole aggravio a chi opera, come molti dei nostri imprenditori, su un piano transnazionale.
La Convenzione è una Convenzione-tipo OCSE. L'OCSE ha redatto, nel 1963, un primo modello di Convenzione-tipo che è stato più volte aggiornato (l'ultima versione risale al luglio 2005) mentre l'ONU, con il manuale di negoziazione del 1979, ha inteso favorire i Paesi in via di sviluppo nell'accesso ad accordi equi con gli Stati economicamente più forti.
L'articolo 1 della Convenzione-tipo dell'OCSE delimita il campo di applicazione soggettivo della Convenzione stessa, indicando «le persone che sono residenti di uno o di entrambi gli Stati contraenti». Si tratta di una norma che rinvia alle nozioni di «persona» e di «residente» indicate nei successivi articoli 3 e 4.
L'articolo 2 sancisce l'applicabilità dell'accordo a tutte le imposte sul reddito e sul patrimonio. In particolare, chiarisce che sono considerate imposte sul reddito e sul capitale tutte le imposte prelevate sul reddito complessivo e sul capitale complessivo, su elementi del reddito o del capitale, comprese le imposte sugli utili derivanti dall'alienazione di beni mobili o immobili, le imposte sull'ammontare dei salari corrisposti dalle imprese, nonché le imposte sulla plusvalenza di capitale. Ogni singola Convenzione bilaterale elenca, infatti, usualmente tutte le varie imposte dei Pag. 3due Paesi interessati, e trattasi di un'indicazione non solo nominativa, bensì tassativa, dato che viene sempre individuato il nome preciso dell'imposta nella lingua d'origine.
Con gli articoli da 3 a 5 vengono date le definizioni generali relative ad una serie di nozioni strumentali all'applicazione sostanziale dell'accordo contro le doppie imposizioni. In particolare, l'articolo 3 al punto a) chiarisce che il termine «persona» comprende tutte le persone fisiche, le società e qualsiasi altro tipo di associazione di persone, mentre il successivo punto b) definisce le società come qualsiasi persona giuridica od ente considerato persona giuridica a fini impositivi.
L'articolo 4 fornisce i criteri indicati identificativi della residenza fiscale dei soggetti interessati: il principio generale considera residente in uno Stato contraente «ogni persona che, in virtù della legislazione di detto Stato, è assoggettata ad imposta nello stesso Stato a motivo del suo domicilio, della sua residenza, della sede delle sue direzioni o di ogni altro criterio analogo». L'articolo 5 fornisce la definizione della «stabile organizzazione».
Con gli articoli da 6 a 22 viene stabilita la disciplina guida volta ad evitare le doppie imposizioni sul patrimonio e sui vari tipi di reddito. In particolare, si osserva che il criterio adottato per la tassazione dei redditi immobiliari è quello che essi sono soggetti ad imposta solo nello Stato in cui sono fisicamente situati; conseguentemente, si applica la lex rei sitae anche per la definizione dei «redditi derivanti da beni immobili», quali canoni enfiteutici, usuari e via dicendo.
Per quanto concerne l'attività di impresa svolta all'estero, l'articolo 7 dispone che, qualora l'impresa di uno Stato svolga la sua attività estera senza stabile organizzazione, tutti i relativi redditi vengano tassati nello Stato di residenza dell'impresa medesima; in caso contrario, gli utili attribuibili all'impresa vengono sottoposti a tassazione dello Stato in cui è posta la stabile organizzazione.
L'articolo 10 disciplina il trattamento dei dividendi societari, sui quali è pressoché impossibile eliminare totalmente la doppia imposizione. Il modello OCSE, prendendo atto di tale situazione, conferma l'imponibilità dei dividenti nello Stato del percipiente, ponendo altresì dei limiti alla tassazione nello Stato della società erogante. In particolare, la ritenuta non dovrebbe superare il 5 per cento se il beneficiario effettivo è una società di capitali che possiede direttamente almeno il 25 per cento della società erogante; in tutti gli altri casi, il limite è del 15 cento. Tali criteri sono comunque ampiamente derogabili in sede di convenzioni bilaterali.
Il trattamento convenzionale dei dividendi deve essere comunque coordinato con le norme che i singoli Stati possono avere emanato per eliminare o attenuare la doppia imposizione. Problemi simili al trattamento dei dividendi si pongono relativamente alla tassazione internazionale degli interessi, regolata dall'articolo 11 della Convenzione-tipo dell'OCSE.

PRESIDENTE. Onorevole Ruben, le chiedo scusa, so che normalmente il relatore non ha questi limiti così stringenti, ma in questa circostanza è stato predisposto un contingentamento che prevede un tempo limitato anche per il relatore. Quindi, la pregherei di concludere nella maniera più veloce possibile.

ALESSANDRO RUBEN, Relatore. Cercherò di concludere dando un senso alla relazione, altrimenti vi sarebbero difficoltà anche per coloro che dovrebbero capire.

PRESIDENTE. Onorevole Ruben, eviti magari la parte descrittiva, all'interno della quale si era diligentemente addentrato...

ALESSANDRO RUBEN, Relatore. La Convenzione e l'annesso Protocollo e Verbale d'intesa firmati a Washington il 25 agosto 1999, con Scambio di Note effettuato a Roma il 10 aprile 2006 e il 27 febbraio 2007, pongono le basi per una più proficua collaborazione economica tra Italia e Stati Uniti, rendendo possibile un'equa distribuzione del prelievo fiscale Pag. 4tra lo Stato in cui viene prodotto un reddito e lo Stato di residenza del beneficiario dello stesso.
La Convenzione in esame sostituisce la precedente Convenzione, firmata a Roma il 17 aprile 1984, per tenere conto delle modifiche intervenute nella disciplina fiscale nei due Paesi. Molte disposizioni, tuttavia, ritenute ancora attuali, sono rimaste immutate per accordo delle parti.
La Convenzione, costituita da 29 articoli e da un Protocollo e un Verbale d'intesa, mantiene in linea di massima la struttura fondamentale del modello elaborato dall'OCSE (per questo motivo ho fatto riferimento a tale modello); essa, tuttavia, si applica alla sola imposizione sui redditi.
Gli articoli 1 e 2 delimitano il campo di applicazione della Convenzione: i soggetti sono i residenti di uno o entrambi gli Stati contraenti; le imposte considerate sono per gli Stati Uniti le imposte federali sul reddito, mentre per l'Italia sono quella sul reddito delle persone fisiche, quella sul reddito delle persone giuridiche e l'imposta regionale sulle attività produttive.
Agli articoli da 3 a 5 si procede alle definizioni: in particolare, è «residente di uno Stato contraente» colui il quale in base alla legislazione fiscale di tale Stato è considerato ivi residente, mentre l'espressione «stabile organizzazione» designa una sede fissa di affari, in cui l'impresa esercita in tutto o in parte la sua attività, che fornisce servizi o relative attrezzature da utilizzare stabilmente nelle Stato contraente.
Gli articoli da 6 a 21 trattano dell'imposizione sui redditi: in particolare, i redditi che un residente di uno Stato contraente ritrae da beni immobili situati nell'altro Stato sono imponibili in quest'ultimo Stato, mentre gli utili di impresa sono imponibili nello Stato di residenza dell'impresa, a meno che questa non svolga la sua attività nell'altro Stato contraente mediante una stabile organizzazione ivi situata, nel qual caso gli utili saranno imponibili in quest'ultima, ma solo nella misura in cui derivino da detta stabile organizzazione.
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Ruben, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

ENZO SCOTTI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Signor Presidente, mi riservo di intervenire in sede di replica.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Evangelisti. Ne ha facoltà, per nove minuti.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, il provvedimento in esame intende ratificare - come ha ben illustrato il relatore - la Convenzione tra Italia e Stati Uniti firmata nel 1999, ma arricchita da Scambi di Note successivi, del 2006 e del 2007, per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e per cercare di prevenire frodi ed evasioni fiscali.
Come tutti noi sappiamo, le convenzioni internazionali contro la doppia imposizione rappresentano uno strumento di politica internazionale tributaria, uno strumento necessario ad evitare il fenomeno per cui lo stesso presupposto sia soggetto due volte ad imposizione fiscale in due diversi Stati. Infatti, lo scopo precipuo di questo intervento normativo è quello di evitare la tassazione del reddito sia nel Paese in cui questo reddito è stato prodotto, sia in quello di residenza del soggetto che lo ha determinato.
Come accade per tutte le convenzioni che vengono stipulate tra Stati e poi ratificate dai rispettivi Parlamenti, le norme previste, essendo considerate di rango superiore, prevalgono su quelle che fanno capo alla legislazione nazionale in materia, consentendo in tal modo al giudice tributario, eventualmente, di disapplicare la normativa interna per applicare quanto previsto dalla Convenzione.Pag. 5
Di questo provvedimento possiamo senza dubbio sottolineare l'importanza e la rilevanza, perché rappresenta a tutti gli effetti uno strumento di politica internazionale. Esso pone, per di più, le basi per una sempre più proficua collaborazione economica tra il nostro Paese e un Paese importante come gli Stati Uniti d'America, anche alla luce delle modifiche che nel frattempo sono intervenute nei regimi fiscali. Ricordo, infatti, che questa Convenzione sostituisce la precedente, risalente al 1984.
Con la ratifica della Convenzione in esame si rende possibile una maggiore equità nella distribuzione del prelievo fiscale tra lo Stato in cui il reddito viene prodotto e lo Stato di residenza dei beneficiari dello stesso. Proprio per garantire questa equità è dunque importante sottolineare come disegni di legge di ratifica come quello di cui stiamo discutendo dovrebbero essere approvati in tempi più rapidi: dieci anni francamente costituiscono un tempo un po' troppo ampio, anche per la nostra burocrazia e anche per i nostri tempi parlamentari, che spesso riescono ad essere un po' più veloci.
Sempre relativamente ai tempi di ratifica, voglio sottolineare come i ritardi conseguenti alla lentezza nell'approvazione di queste convenzioni, al di là del decoro e dell'immagine, si traducano, da un lato, in un danno - penso, ad esempio, ai ricercatori universitari in Italia - e, dall'altro, anche in un maggior costo per l'erario.
In ogni caso, con l'approvazione di questa Convenzione, che noi consideriamo importante, sarà ora possibile, anche a molta distanza dalla ratifica dei precedenti accordi in materia, avviare concretamente le disposizioni sulla doppia imposizione fiscale. È per tale motivo che posso senz'altro preannunciare il voto favorevole del gruppo dell'Italia dei Valori su questo provvedimento.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tempestini. Ne ha facoltà, per dieci minuti.

FRANCESCO TEMPESTINI. Signor Presidente, anche noi ci associamo agli intervenuti per esprimere una valutazione favorevole su questa ratifica. Come è noto, e come osservava prima l'onorevole Evangelisti, si tratta di una Convenzione che ha avuto una gestazione abbastanza lunga, che però, nello stesso tempo, per ciò che possiamo comprendere, rappresenta un provvedimento importante. Infatti, dal punto di vista tecnico, amministrativo e giuridico è stato compiuto un lavoro significativo, che consente sostanzialmente di eliminare una barriera, una soglia nei rapporti economici e giuridici con gli Stati Uniti d'America, venendo, quindi, incontro alle aspettative del mondo imprenditoriale, ma non solo di esso, perché per la vastità delle questioni che la Convenzione affronta vengono interessate anche numerose altre categorie e fasce sociali.
Si tratta, quindi, di una Convenzione che giunge tardi, ma che copre in modo sufficientemente soddisfacente una serie di vuoti che si erano determinati, di ostacoli all'intrapresa economica e ai rapporti commerciali, e ci auguriamo che possa essere foriera di ulteriori e positivi sviluppi anche per ciò che riguarda la lotta contro le droghe e contro l'evasione fiscale, che, naturalmente, si annidava dietro il meccanismo della doppia imposizione. Il provvedimento in discussione è, dunque, utile, perché può consentire di esaltare e di accrescere le potenzialità delle rispettive economie; naturalmente ha un costo, ma tale costo va raffrontato ai benefici che la maggiore e più trasparente rete di scambio che si metterà in movimento potrà determinare.
Credo che occorra svolgere alcune considerazioni che riguardano il merito: mi riferisco ai passi in avanti che si sono compiuti rispetto alla nozione di residenza fiscale e per quello che concerne la disciplina delle pensioni. Si tratta di campi e materie nelle quali occorreva questo atto di chiarezza che viene realizzato, come accade sempre in questi casi, attraverso l'adozione e il recepimento del modello di Convenzione OCSE, su cui il relatore ci ha fornito un'accurata relazione. È un modelloPag. 6 che i Paesi applicano senza particolari deroghe, naturalmente tenendo conto che la Convenzione in oggetto si applica solo all'imposizione sui redditi. Ritengo che l'entrata in vigore della Convenzione vada quindi salutata in termini positivi, e per questo esprimiamo la nostra valutazione favorevole.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Picchi. Ne ha facoltà.

GUGLIELMO PICCHI. Signor Presidente, non utilizzerò tutti i dieci minuti a disposizione, in quanto voglio solo ricordare l'importanza della ratifica di questo Trattato, che è molto importante sia per i cittadini e le imprese italiane che hanno rapporti commerciali nei confronti degli Stati Uniti, sia per gli interessi commerciali che gli Stati Uniti hanno nel nostro Paese. I rapporti economici, infatti, sono molto importanti e consistenti; inoltre, si tratta di una bilancia commerciale che presenta un attivo di oltre 13,3 miliardi di euro nell'anno 2007. Pertanto, in Aula era necessario iniziare il processo di ratifica di questo Trattato, al fine di supportare gli scambi economici tra i due Paesi.
Nel merito del provvedimento, vi sono alcuni punti molto importanti e, in particolare, la definizione dell'IRAP, che viene assimilata ai fini della doppia imposizione come reddito sulle persone fisiche pur non essendo un'imposta di questo tipo. Di conseguenza, dal Trattato sono previsti dei meccanismi perequativi che permettono di correggere la distorsione che vi sarebbe nel non considerare l'IRAP come reddito sulle persone fisiche.
In particolare, si ricorda la tipologia di tassazione che vi è sui beni immobili ed è definitivamente chiarito che i redditi seguono l'immobile per locazione fisica. Quindi, si determina la relativa imposizione fiscale in base al Paese in cui si trovano gli immobili. Ciò è molto importante per il trattamento di tutti i fondi immobiliari che hanno beni immobili nell'uno o nell'altro Paese.
Dal punto di vista dei cittadini italiani, spero che questo Trattato faccia chiarezza in particolare sui dipendenti a contratto del Ministero degli affari esteri e, in generale, delle strutture diplomatiche e consolari. Questi dipendenti, infatti, spesso avevano i redditi già tassati alla fonte (quindi con sostituto di imposta dal lato italiano), ma dall'Inland revenue service (ovvero dall'IRS americano) sono stati accusati di non versare le imposte. Questo era un classico caso di doppia imposizione, in quanto l'Italia tratteneva alla fonte i redditi e l'IRS pretendeva il pagamento delle imposte. Quindi, si rischiava un notevole disagio per i cittadini italiani e un buon numero di essi avevano ricevuto dei decreti ingiuntivi per pagare somme piuttosto importanti. Pertanto, il Trattato giunge puntuale e spero che risolva definitivamente questo problema dei nostri connazionali, i quali, lavorando in ambiti extraterritoriali, come le nostre rappresentanze diplomatiche e consolari, devono essere considerati come residenti fiscalmente nello Stato italiano pur trovandosi negli Stati Uniti. Spero, quindi, che si concluda quanto prima l'iter di questo Trattato.
In generale, ribadisco quanto già detto da altri colleghi. Spesso siamo in notevole ritardo tra la firma dei trattati e il momento in cui questi sono sottoposti al processo di ratifica nelle Aule parlamentari. Questo ritardo spesso può non creare disagi, ma sicuramente impedisce la soluzione di numerose problematiche che attraverso i trattati certamente potrebbero essere risolte. Essere sempre gli ultimi a ratificare i trattati bilaterali non rappresenta un buon biglietto da visita per il nostro Paese.
In questo ambito auspico che il Governo si attivi per portare a conoscenza della Commissione affari esteri e del Parlamento più in generale i trattati che attendono una ratifica e magari si istituisca una sessione parlamentare in cui sia possibile ratificare un gran numero di trattati.
Ricordo anche - non è materia oggetto dell'ordine del giorno, ma si tratta della ratifica di un trattato - che con il Canada abbiamo stipulato un Trattato in materia Pag. 7pensionistica: da oltre sette anni se ne attende la ratifica. Per questo motivo, auspico che essa venga quanto prima esaminata dall'Aula.
Nel confermare che è assolutamente necessario procedere con la ratifica e, quindi, dopo l'approvazione da parte di questa Camera, trasmettere il provvedimento al Senato per la ratifica, dichiaro che il Popolo della Libertà è assolutamente favorevole all'approvazione del provvedimento in esame.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare, pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 1907)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, che in realtà avrebbe esaurito il tempo a sua disposizione.

ALESSANDRO RUBEN, Relatore. Signor Presidente, rinuncio alla replica.

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

ENZO SCOTTI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Signor Presidente, intervengo soltanto per sottolineare l'importanza della ratifica del trattato in esame. Allo stato degli atti, secondo i dati della Banca d'Italia, nel 2007 gli investimenti diretti americani in Italia sono stati pari a 3,8 miliardi di dollari, mentre gli investimenti diretti italiani negli Stati Uniti sono stati pari a 5,7 miliardi di dollari. Quindi, in considerazione della portata e dell'importanza che riveste la Convenzione, credo che la sua rapida - si fa per dire - ratifica sia un atto di estrema importanza, soprattutto in questo momento.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Sull'ordine dei lavori (ore 15,35).

FABIO EVANGELISTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, intervengo molto brevemente, perché credo sia giusto ricordare nell'Aula di Montecitorio, per tutto quello che egli ha rappresentato, che oggi ricorre il quarantesimo anniversario della morte di Jan Palach.
Il Presidente della Camera e le nostre istituzioni hanno degnamente ricordato nella Sala della Lupa, qualche mese fa, ciò che ha rappresentato la Primavera di Praga. Il 16 gennaio di quarant'anni fa Jan Palach, simbolicamente, emblematicamente e drammaticamente si cospargeva di benzina e si dava fuoco e, dopo tre giorni di drammatiche sofferenze, moriva: lo faceva per un valore, la libertà. Per questo motivo, dobbiamo assolutamente tributargli un pensiero di riconoscimento.

Discussione del disegno di legge: Ratifica ed esecuzione del Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra la Repubblica italiana e la Grande Giamahiria araba libica popolare socialista, fatto a Bengasi il 30 agosto 2008 (A.C. 2041-A) (ore 15,36).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Ratifica ed esecuzione del Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra la Repubblica italiana e la Grande Giamahiria araba libica popolare socialista, fatto a Bengasi il 30 agosto 2008.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 2041-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Pag. 8
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare Partito Democratico ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che la III Commissione (Affari esteri) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, onorevole Pianetta, ha facoltà di svolgere la relazione.

ENRICO PIANETTA, Relatore. Signor Presidente, onorevoli colleghi, vi sono atti che si incaricano di chiudere una pagina di storia e di aprirne e svilupparne una nuova. Credo che questo Trattato, siglato tra il Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi e il leader libico Gheddafi, debba annoverarsi tra questi atti.
Da una parte, infatti, nel rispetto della legalità internazionale, esso costituisce il principale strumento e il quadro giuridico di riferimento per lo sviluppo di relazioni bilaterali speciali e privilegiate (come esse vengono definite), caratterizzate da un forte ed ampio partenariato politico, economico e culturale in una serie di specifici settori, quali il disarmo, la lotta alla criminalità organizzata, l'immigrazione clandestina e la lotta al terrorismo.
Dall'altra parte, con questo Trattato l'Italia e la Libia intendono chiudere definitivamente il doloroso capitolo del passato, per il quale l'Italia aveva già espresso, nel comunicato del luglio 1998, il proprio rammarico per ciò che era avvenuto a seguito della colonizzazione italiana.
Da qui la volontà di definire la soluzione di tutti i contenziosi bilaterali e di costruire una nuova fase delle relazioni bilaterali, basate sul rispetto reciproco, la pari dignità, la piena collaborazione e un rapporto paritario e bilanciato. Emblematicamente, dunque, dal prossimo anno, il 30 agosto sarà considerato da entrambi i Paesi come giornata dell'amicizia italo-libica e, quindi, anche se non esplicitato nel Trattato, la parte libica è impegnata a non celebrare più il 7 ottobre la giornata della vendetta.
Ecco perché si è detto che si chiude, con questo Trattato, una pagina lunga, difficile e complicata della storia italo-libica. È un punto di arrivo e di normalizzazione, dopo tanta tensione anche a livello internazionale (penso al terrorismo, a Lockerbie, alle infermiere bulgare, a Lampedusa, all'embargo), cui si sono dedicati i Governi italiani che si sono succeduti in questi anni e, in particolare, il Governo di Silvio Berlusconi, che ha avuto la capacità e la determinazione di chiudere per il passato e di aprire prospettive.
La collaborazione tra l'Italia e la Libia non può che rivestire importanza strategica per la sicurezza e la stabilità nel Mediterraneo, come pure per quanto attiene al dialogo euro-africano. Questo è possibile che si possa raffigurare in un ambito sempre più stretto tra Europa e Nord Africa. L'Italia, conseguentemente, può svolgere un ruolo veramente fondamentale, per raccordare con reciproca soddisfazione i rapporti tra Europa, Libia e Nord Africa.
Nel preambolo, viene particolarmente sottolineato, oltre all'obiettivo di rafforzare la sicurezza e la stabilità nel Mediterraneo, il ruolo che, alla luce di questo Trattato, la Libia e l'Italia possono svolgere, rispettivamente, in ambito Unione africana e in ambito Unione europea, per la costruzione di forme di cooperazione e di integrazione, per la crescita economica e sociale, e la sicurezza.
Desidero sottolineare, inoltre, che questo Trattato può consentire all'Italia di rafforzare la propria presenza nel mondo arabo, quello equilibrato e moderato, che si oppone alle violenze dell'integralismo islamista, che ha come vittima innanzitutto la stragrande maggioranza silenziosa dei credenti di fede islamica. L'unica strada per rafforzare questa maggioranza è l'autorevolezza dei Governi moderati, è quella del dialogo costruttivo e responsabile, svolto con pazienza e determinazione.
Da qui deriva il dialogo, la cooperazione, il rafforzamento delle relazioni bilaterali, realizzati con frequenti missioni dei nostri Governi nei Paesi dell'area nord-africana, in particolare con la Libia.
L'azione dell'Italia è avvenuta, naturalmente, in un ambito europeo, come pure Pag. 9l'impegno e la revoca delle misure restrittive adottate nei confronti della Libia, avvenute nell'ottobre 2004.
Questo è evidentemente nel preambolo e si sono pure riconosciute le importanti iniziative realizzate dall'Italia, che è stata il principale partner della Libia nel periodo che ha costituito il suo particolare isolamento internazionale.
Passando in rassegna l'accordo, sottolineo che questo consta di tre capi: quello dei principi generali, in cui le parti si impegnano al rispetto della legalità internazionale nel quadro della comune visione di centralità delle Nazioni Unite, e vengono poi riaffermati il principio del rispetto dell'uguaglianza svolto dagli Stati, del non ricorso alla minaccia o all'impiego della forza contro l'integrità territoriale o l'indipendenza dell'altra parte, della non ingerenza negli affari interni della controparte, anche impegnandosi a non usare il proprio territorio in attività ostili verso di essa; e quindi, da questo punto di vista, come è stato evidenziato dal Governo, è anche chiaro che l'Accordo, com'è ovvio, fa salvi tutti gli impegni assunti precedentemente dall'Italia.
Il secondo capo è volto a sanare le situazioni pregresse, ed in particolare l'articolo 8 impegna l'Italia a realizzare in Libia progetti infrastrutturali di base, che dovranno essere individuati sulla base delle proposte avanzate dalla Libia, e a tal fine viene fissato un limite massimo di spesa di 5 miliardi di dollari USA in vent'anni. Inoltre, l'articolo 10 prevede la realizzazione di iniziative speciali: abitazioni, borse di studio, pagamento delle pensioni di guerra. Per contro, la Libia si impegna con la firma del Trattato a concedere visti di ingresso anche ai cittadini espulsi in passato dal proprio territorio che desiderano entrare nel Paese per motivi di turismo, lavoro, e per altre finalità, nonché a costituire il Fondo sociale per il finanziamento di altre iniziative speciali. In particolare, mi preme sottolineare come all'articolo 13, secondo quanto riportato nella relazione illustrativa, la Libia si impegna a raggiungere, con uno scambio di lettere, una soluzione dell'annosa questione dei crediti vantati dalle aziende italiane nei confronti delle amministrazioni degli enti libici.
Infine, il terzo capo, che è la parte relativa alla prospettiva futura, il nuovo partenariato bilaterale. È prevista la costituzione di un comitato di partenariato, che deve definire e controllare la capacità di mettere in atto le clausole e gli impegni contenuti nel Trattato. L'articolo 15 prevede un rafforzamento della cooperazione negli ambiti scientifici dell'università, e un apposito comitato misto esaminerà la problematica concernente la restituzione alla Libia di reperti archeologici e manoscritti. Infine, la collaborazione economica e industriale, il sostegno alla piccola e media impresa, la costituzione di società miste. Vi è il capitolo riguardante la cooperazione in materia energetica; e vorrei sottolineare, perché è importante ed è seguito con particolare attenzione da parte della nostra opinione pubblica, l'articolo 19, volto a rafforzare la collaborazione nella lotta al terrorismo, alla criminalità organizzata, al traffico di stupefacenti e all'immigrazione clandestina, come già stabilito dall'accordo del 2000 in vigore dal dicembre 2002. Per contrastare l'immigrazione clandestina è previsto un sistema di controllo delle frontiere terrestri libiche, che verrà effettuata dalla parte italiana, e il costo dell'operazione sarà metà a carico dell'Italia e metà a carico dell'Unione europea, sulla base di precedenti intese tra quest'ultima e la Libia; le due parti si impegnano a collaborare per prevenire l'immigrazione clandestina nei Paesi di origine dei flussi migratori.
Vi sono poi, sempre nel Trattato, elementi di collaborazione nel campo della difesa, e infine vi è - lo sottolineo, e sarò molto sintetico al riguardo - una serie di elementi relativi al disegno di legge di ratifica, che contiene alcune disposizioni a carattere generale e che, per quanto riguarda la copertura, prevede un'addizionale all'imposta sul reddito delle società residenti in Italia operanti nel settore della ricerca e della coltivazione degli idrocarburi.Pag. 10
Se questi sono gli elementi fondamentali, vorrei anche concludere dicendo che all'articolo 3 del disegno di legge di ratifica, comma 6, è previsto che l'applicazione dell'IRES inizia a decorrere dal periodo di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2008 e fino all'esercizio in corso al 31 dicembre 2028.
Concludo, evidenziando che all'articolo 4, comma 1, è prevista la quantificazione degli oneri finanziari riferiti agli specifici articoli del Trattato che corrispondono a 214 milioni 200 mila 200 euro per il 2009, a 254 milioni 216 mila 200 euro per il 2010, a 250 milioni 716 mila 200 euro per il 2011 e a 181 milioni 336 mila 200 euro a decorrere dal 2012. Ritengo, signor Presidente, che il trattato di Bengasi potrà rappresentare effettivamente un successo della politica estera italiana se con esso sapremo avviare un piano integrato di intervento politico, sociale ed economico, in tutta l'area che ruota attorno alla Libia. Non solo, quindi, un programma di aiuti umanitari, anche se questi sono veramente importanti e fondamentali - bisogna sottolinearlo con molta forza -, ma un vero e proprio piano di sviluppo economico di quei Paesi che avrebbe, peraltro, notevoli ritorni positivi per lo stesso nostro Paese. L'accordo con la Libia può essere, quindi, un buon inizio se applicato seriamente e senza retropensieri; questo è ciò che noi ci auguriamo.
Nell'esprimere, conclusivamente, una valutazione positiva dell'accordo di Bengasi, che chiude un quarantennio di contrasto e di incomprensioni con la Libia, auspico anche - lo dico con particolare vigore e con la speranza che si possa giungere ad una conclusione positiva - che si arrivi ad un provvedimento che riconosca, in maniera coerente ed univoca, i diritti morali e patrimoniali degli italiani che sono stati rimpatriati, molto rapidamente, nel 1970.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo

ENZO SCOTTI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Signor Presidente, mi riservo di intervenire in sede di replica.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tempestini. Ne ha facoltà.

FRANCESCO TEMPESTINI. Signor Presidente, ratifichiamo un accordo importante. Importante, perché chiude un contenzioso lunghissimo tra l'Italia e la Giamahiria libica, ma soprattutto perché chiude un contenzioso relativo ad una delle più brutte, e tragiche, pagine della storia patria. Rispetto al dibattito che si è svolto in Commissione e alle posizioni di contrarietà espresse, con un voto contrario alla ratifica del Trattato, dagli amici radicali (che, come tutti sanno, sono presenti nel nostro gruppo), voglio dire con chiarezza - la chiarezza, infatti, è la cosa migliore - che mi pare che non si possa sostenere, come è stato fatto in quella sede, che noi ci impegniamo rispetto a un passato coloniale relativo a responsabilità di regimi che non esistono più. No, noi la pensiamo diversamente e riteniamo che, alla fine, dovremo esprimere un voto favorevole e che di quel passato, non onorevole, di storia patria ce ne dobbiamo fare carico, chiudendolo con senso di responsabilità e sentendoci responsabili per ciò che è avvenuto. Questo è un punto importante che mi preme sottolineare e che credo abbia guidato tutti quelli che, nel corso degli anni passati, hanno lavorato perché si giungesse a questo esito. Naturalmente, questo lavoro è potuto iniziare quando si è chiuso il regime sanzionatorio delle Nazioni Unite nei confronti della Libia.
È partito da lì un lavoro che aveva un'ispirazione giusta (che naturalmente ritroviamo anche nella conclusione di questa opera), cioè quella che i rapporti che abbiamo nel Mediterraneo con i nostri dirimpettai debbano acquistare sempre di più le caratteristiche di accordi fondati sulla trasparenza e sulla condivisione dei principi, e quindi uscendo dalle pratiche che avevano portato anche l'Italia degli anni Settanta, Ottanta e Novanta ad avere con la Libia rapporti che si giocavano su troppi tavoli. È bene che questi rapporti imbocchino la strada giusta delle relazioni diplomatiche corrette, ed è bene che questoPag. 11 rapporto acquisti sempre più in trasparenza. Ne guadagnerà la distensione nel bacino del Mediterraneo, e ne guadagneranno quindi i rapporti - qui condivido le parole del relatore - tra l'Italia e i Paesi arabi. In questo senso, vorrei esprimere un'opinione diversa: qui si tratta non di un regime moderato - come ha detto l'onorevole Pianetta -, ma di un regime nazionalista. Il nazionalismo arabo è stato un elemento importante della storia di quel mondo, e la sconfitta del nazionalismo arabo non ha giovato a nessuno. In questo senso vorrei recuperare quelle parole e quel riferimento all'aggettivo «moderato», per dire che attraverso il rapporto con i regimi nazionalistici si può lavorare per politiche moderate, per politiche di moderazione nel bacino del Mediterraneo. Questo accordo naturalmente è anche un importante accordo di partenariato energetico e industriale, dunque per un Paese che ha bisogno di diversificare le proprie fonti energetiche è certamente molto importante.
Detto tutto questo, e quindi espresse valutazioni trasparenti e chiare sulla positività di questo lavoro, vorrei però esprimere qualche dubbio e qualche contrarietà aperta. Mi riferisco anzitutto alle ambiguità, che abbiamo individuato e sottoposto all'attenzione del lavoro della Commissione, relative al rapporto tra questo Trattato e il Trattato NATO, o meglio il rapporto tra l'articolo 4 di questo Trattato e l'articolo 5 del Trattato NATO. Infatti, in questo Trattato al nostro esame ci impegniamo a priori, per così dire, a non utilizzare il territorio italiano per iniziative contro la Libia, il che comporta per qualche verso ad una sorta di rinuncia a quel minimo di elasticità e di flessibilità che invece è presente nel Trattato NATO. Naturalmente, vi è il rispetto dei principi della legalità internazionale che dovrebbe regolare questa questione. Noi vogliamo mettere in evidenza il rischio di ipotetiche empasse su questa strada perché li consideriamo elementi di una chiarificazione che sarebbe utile e rispetto alla quale solleciteremo il Governo a dire parole definitive.
Ma vi è un secondo aspetto che mi preme sottolineare più del precedente, ed è quello che riguarda il controllo e la lotta in materia di politiche sull'immigrazione clandestina e irregolare. Il Trattato prevede un controllo ed un pattugliamento delle coste, assieme alla Marina libica, da parte della Marina italiana, e un controllo delle frontiere sud della Libia. Penso che su questa materia noi non avremo sorprese tutte positive. Temo che potremo anche avere qualche sorpresa non positiva, perché l'idea che il monitoraggio delle frontiere sud della Libia sia affidato anche a forze di monitoraggio italiane, a nostro giudizio, comporta qualche preoccupazione che dobbiamo enunciare con molta chiarezza. Diverso sarebbe stato se questo controllo naturalmente fosse stato possibile effettuarlo in un contesto compiutamente europeo.
Ma anche su questo punto mi pare di poter dire che il Trattato mantiene e contiene elementi di ambiguità. Il rischio è che il controllo delle frontiere libiche si possa effettuare con il coinvolgimento in azioni sulla frontiera che ci metterebbero in grande difficoltà. Infatti il tema presente dietro queste mie considerazioni è che - ahimé - la Giamahiria libica è ancora oggi sottoposta a indagini, a elementi di criticità, a chiare critiche da parte dello organizzazioni internazionali per atti di violazione di diritti fondamentali, in particolare degli emigranti. Non possiamo sottacere questi elementi che sono evidenti. Ritengo che avremmo dovuto procedere in due direzioni: con maggiori cautele per quanto riguarda il profilo di cui parlavo dianzi (ovvero per il controllo e il monitoraggio delle frontiere meridionali libiche), ma anche e soprattutto inserendo dichiarazioni più chiare in questo Trattato circa la salvaguardia dei diritti fondamentali dei migranti rispetto ad un Paese che spesso ha dimostrato di non saper distinguere tra immigrazione clandestina e irregolare e rifugiati o richiedenti asilo.
Lo stesso ragionamento si può fare con riferimento all'articolo 4; al riguardo, naturalmente il riferimento al principio di Pag. 12non ingerenza non può che essere valutato positivamente, ma lascia un po' la bocca amara perché pensiamo che si sarebbe potuto e dovuto fare di più per avere più garanzie contro pratiche lesive dei diritti fondamentali e, forse, anche garanzie ulteriori dal punto di vista istituzionale. Naturalmente sappiamo bene che si tratta di questioni delicate, sappiamo bene che nei rapporti internazionali questioni di questo tipo sono le più complesse, ma dobbiamo constatare che, a nostro giudizio, si poteva fare qualcosa di più.
Concludendo, vengo all'ultimo punto dell'importante accordo di partenariato che questo Trattato delinea a conferma dei buoni rapporti economici italo-libici; rapporti che naturalmente riceveranno un impulso dalla firma di questo Trattato. Ciò tuttavia non mi esime dal constatare che per quanto riguarda la copertura della fase risarcitoria, sulla base della quale si regge sostanzialmente tutto l'impianto del Trattato, resta a nostro giudizio un elemento di curiosità determinato dall'oggettiva anomalia della copertura stessa. Siamo di fronte ad un accordo che sostanzialmente viene «pagato» da una società facilmente identificabile e che, quindi, in qualche modo dovrebbe richiamarci alla responsabilità di ratificare un Trattato il cui costo alla fine finirebbe sulle spalle degli utenti che sopportano i costi di gestione di quella stessa società: un tema che va posto in evidenza e sul quale avremmo desiderato o avremmo gradito qualche parola in più.
Concludo, Presidente. Ho sottolineato aspetti positivi e aspetti negativi del Trattato che ha avuto una conclusione indubbiamente a vantaggio della Libia sia per quanto riguarda i costi di esso, sia per il fatto che questo negoziato ha ottenuto forse qualcosa in meno di quanto si sarebbe potuto ottenere sulla questione assai importante e assai centrale della salvaguardia dei diritti umani in relazione al controllo dell'immigrazione.
È stato, quindi, un insieme di fattori (in particolare quest'ultimo) ad averci spinto a chiedere che il Governo ed il Parlamento italiano si facessero carico di un'iniziativa di monitoraggio che, nel corso degli anni, potesse tenere sempre acceso un riflettore su questi aspetti più delicati, che riguarderanno l'attuazione quotidiana del Trattato in oggetto - lo ripeto - con particolare attenzione agli aspetti che hanno attinenza con l'immigrazione.
Non conosco quale sarà la risposta del Governo; tuttavia, penso che sarebbe una prova di buona volontà e di saggezza politica se il Governo seguisse questa indicazione del Partito Democratico.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Buttiglione. Ne ha facoltà.

ROCCO BUTTIGLIONE. Signor Presidente, noi dell'Unione di Centro siamo molto lieti del fatto che ci venga proposto il Trattato in discussione, che vorrebbe segnare - speriamo che lo faccia davvero - un punto di cesura nella storia delle relazioni, non solo fra l'Italia e la Libia, ma, in generale, fra l'Europa e il nord Africa. Si tratta di relazioni tempestose.
Quando si svolgono interventi su Trattati di questo tipo, in genere si comincia ricordando i lunghi rapporti culturali, economici e politici che hanno legato l'Italia con il Paese con il quale il Trattato viene celebrato. Nel caso della Libia è più difficile farlo, perché è vero che la Libia ha attratto, in qualche modo, l'attenzione degli storici attraverso il rapporto con Roma (prima con la Grecia e, poi, con Roma), ma è anche vero, come ha notato soprattutto la storiografia francese, che, a partire dai secoli VII e VIII, si crea una rottura. Il mondo romano è un mondo mediterraneo, in cui fioriscono soprattutto le regioni che si trovano al centro del Mediterraneo, ma con l'invasione islamica questa «koiné», questa unità culturale, si spezza. Una sponda del Mediterraneo è opposta all'altra e il Mediterraneo, da mare di traffici e di scambi pacifici, culturali ed economici, diviene la frontiera fra due mondi, qualche volta in pace, ma, più spesso, in guerra fra di loro. Perfino la marina sarda, a suo tempo, fece le sue spedizioni punitive lungo la costa del nord Africa. Che vi siano state le spedizioni in Pag. 13senso inverso, invece, è testimoniato dalla catena di torri che circonda la costa italiana in tutto il nostro Mezzogiorno.
Questo passato difficile si rafforza drammaticamente, e con gravi responsabilità dell'Italia (su questo devo convenire con chi ha parlato prima di me), nel 1911. Abbiamo condotto una guerra, che aveva le sue motivazioni in una politica di potenza tutta europea, ma il cui costo di sangue è stato pagato dai libici. La guerra del 1911, tra l'altro, ha destabilizzato l'impero ottomano, ha creato le premesse per le guerre balcaniche e, immediatamente dopo, per la prima guerra mondiale. Sono responsabilità storiche che non possiamo troppo facilmente dimenticare. Subito dopo, conclusa la prima guerra mondiale, iniziamo un'opera di conquista dell'interno libico, che è stata molto più sanguinosa e che ha creato una memoria di risentimento e di odio, di cui la nostra cultura nazionale, in genere, non ha preso conoscenza. Fra di noi è, piuttosto, prevalso il mito dell'italiano come «brava gente»: siamo andati in Libia a costruire strade. Abbiamo costruito le strade, questo è indubbio; abbiamo portato anche elementi importanti di progresso economico e civile, sarebbe ingiusto negarlo. Tuttavia, abbiamo anche fatto pagare un prezzo drammatico di orrori, che solo di recente sono stati riproposti alla nostra attenzione.
Pertanto, è bene che vi sia un atto che inizi una fase nuova. Se esiste questo assenso politico fondamentale sul Trattato, come un momento che intende aprire una fase nuova dei rapporti fra Italia e Libia, ed anche fra Europa e nord Africa, non mancano gli elementi di perplessità. Anzi, francamente, riteniamo che la finalità sia giusta, ma che le modalità scelte siano state spesso sbagliate.
Cominciamo con un fatto, perché in politica estera conta tutto e in diplomazia ogni sfumatura ha il suo peso: proprio oggi dobbiamo discutere e approvare questo Trattato? Proprio nei giorni in cui Gheddafi sta chiamando gli arabi e i musulmani di tutto il mondo all'aggressione contro Israele e in cui invita ad uccidere gli ebrei? Sulla stampa italiana ritengo che l'approvazione dell'accordo non avrà un'eco grandissima, ma immaginate quale sarà l'eco sulla stampa libica: è possibile chiamare alla guerra contro Israele e allo sterminio degli ebrei e, nel mondo occidentale, in un grande Paese come l'Italia, non è considerato un problema, tanto è vero che contemporaneamente viene approvato il Trattato.
Dunque, il primo problema che mi porrei è se proprio oggi dovevamo mettere all'ordine del giorno l'approvazione del Trattato in esame, che mi pare sia anche in contrasto con le posizioni del Governo. Signor Presidente, vorrei far notare al signor sottosegretario che il Governo italiano ha detto cose diverse, anzi ha cercato, in qualche modo, di eccedere dalla parte opposta, presentando l'Italia come un Paese schierato con Israele, senza «se» e senza «ma». Questo è un «ma» potente, che non fa bene all'immagine dell'Italia perché dà l'immagine di un Paese il quale lascia che si apra una forte divaricazione tra le sue parole e i suoi atti, fra le cose che si dicono e le cose che si fanno e nel quale la logica che domina le cose che si fanno è più quella dell'interesse commerciale che non quella dei principi.
Ha scritto una volta Bernard Shaw, in una commedia dedicata a Napoleone: «fortunati quei popoli che lasciano che i loro principi entrino in contraddizione con i loro interessi». Certo, ma mettere insieme principi e interessi è il compito della politica. In questo momento mi sembra che, già nella scelta dei tempi, tale compito sia stato mancato. Gheddafi dice che invierà volontari nella striscia di Gaza per combattere contro Israele e noi, contemporaneamente, approviamo il Trattato in esame. Forse non li manderà: c'è un certo coefficiente di esagerazione in tutte le dichiarazioni di politici e - oserei dire - in quelle dei politici arabi forse ancor più che in quelle dei politici italiani, ma l'impressione che diamo al mondo, in particolare a quello arabo, non è molto positiva.
La seconda osservazione riguarda il problema dei clandestini. Abbiamo vissuto Pag. 14l'esperienza dell'accordo con l'Albania. Lo ricordate? Esso diede effettivi risultati quando il pattugliamento delle coste fu affidato agli italiani. Non ho capito bene cosa avviene nei termini di questo accordo. Molte cose non sono sufficientemente chiare. Chi fa il pattugliamento? Con quali poteri? Partendo da quali basi? Dobbiamo controllare anche il confine meridionale della Libia e al riguardo sono ancora più perplesso.
Sapete che, ogni tanto, ci sono dei ragazzetti, fuori da Montecitorio, i quali fermano i deputati e li interrogano, per sottoporli al test di cultura generale. Sarei interessato a fare io, questa volta, un test al Governo: ci impegniamo a sorvegliare i confini meridionali della Libia. E dove sono i confini meridionali della Libia? È sicuro il Governo di saperlo? Non c'è un elemento di memoria storica che gli ricorda che vi sono contenziosi che riguardano tali confini? Dove finisce la Libia e dove comincia il Ciad, per esempio? Siamo sicuri di saperlo esattamente? Nel caso non sia così, che tipo di monitoraggio effettuiamo?
Il problema dei confini meridionali della Libia non è semplice. Vorremmo garantire qualcosa su cui, a mio sommesso parere, dovremmo avere qualche problema, perché non passano soltanto i clandestini quei confini: c'è infatti una guerra civile in Ciad, momentaneamente bloccata, che oppone, di fatto, la Libia alla Francia e il Ciad è anche il luogo a partire dal quale si alimenta la guerra del Darfur.
Che impegni ci accingiamo a prendere esattamente? Siamo consapevoli, c'è una piena consapevolezza politica del tipo di impegni legati al monitoraggio del confine meridionale libico? Credo che se ci fosse, il problema sarebbe affrontato in modo appena più differenziato da come appare dalla lettura superficiale del Trattato.
Non è però questo il problema più grave: il problema più grave sono i clandestini. In Libia esiste un'emigrazione clandestina di grandissima portata. Una volta, tempo fa, veniva stimato in un milione di persone, che sono lì senza alcun tipo di assistenza e in attesa di potersi imbarcare verso l'Europa e di tentare la traversata verso l'Italia.
Il Governo libico, periodicamente, quando vuole mettere sotto pressione il Governo italiano, dà il via libera agli sbarchi di clandestini. Ho detto prima che non è bello che approviamo il Trattato il giorno dopo le dichiarazioni di Gheddafi. Forse non è bello neanche che lo approviamo qualche settimana dopo gli sbarchi di clandestini che avevano l'evidente funzione politica di sottolineare un ricatto verso il Governo italiano e che avvenivano in contraddizione con accordi precedentemente presi. Infatti, se si viola un accordo e noi facciamo finta di non accorgercene, quale sarà l'effetto? Sarà quello di pensare di poter violare anche l'accordo successivo e noi faremo di nuovo finta di non accorgerci di nulla.
Sul tema dei clandestini mi sarei aspettato più attenzione; si tratta infatti di un problema di assistenza umanitaria a questa gente in Libia. Una volta feci una proposta del genere in sede europea e mi accusarono di voler aprire dei campi di concentramento. Altro che campi di concentramento! È peggio dei campi di concentramento: c'è gente che vive e che muore nel deserto, abbandonata. Non so se qualcuno abbia tentato di quantificare o di fare un monitoraggio del numero di persone che perdono la vita muovendosi dai confini meridionali della Libia verso la costa libica e sappia quali siano le condizioni di vita di queste persone all'interno della Libia.
Penso che esista il tema di un intervento umanitario, della costruzione di campi di sostegno, credo ci sia il problema di costruire i canali dell'emigrazione legale non clandestina. Emigrazione legale vuol dire fare ciò che i tedeschi facevano con noi quando eravamo terra di emigrazione. Vi ricordate i circoli ACLI che facevano i corsi di tedesco e che davano un minimo di nozioni sulla cultura del futuro Paese ospite e dove si creava un incontro tra offerta italiana di lavoro e domanda tedesca di lavoratori? Così si creerebbero le possibilità per un funzionamento umano Pag. 15della legge cosiddetta Bossi-Fini. Il difetto di questo provvedimento, infatti, è che prevede che possa entrare in Italia chi ha già un contratto di lavoro, ma come fa ad avere un contratto di lavoro se non c'è un punto di contatto che gli consenta di avere accesso al mercato italiano del lavoro? Andrebbero costruiti questi punti di contatto, ma su questo aspetto non c'è una parola e i clandestini sono considerati soltanto come un problema, come soggetti da cacciare.
Sono ben lungi dal volere una politica di porte aperte a tutti, ma non dimentichiamoci che sono esseri umani sia quando vengono in Italia sia anche prima, quando si trovano in Libia. Non dimentichiamoci del fatto che esiste un'importante minoranza in Libia priva di qualsiasi diritto, del fatto che esiste una politica libica che tende ad assoggettarli a condizioni di sfruttamento disumane, ma non vuole riconoscerli. Peraltro, tale politica è simile a quella che qualcuno vorrebbe in Italia, dove non è vero che vogliamo rimandarli indietro. Quelli che lo dicono non dicono la verità, altrimenti sarebbero favorevoli alla proposta da me avanzata, in sede di Commissione politiche comunitarie, volta a sostenere un'azione europea per un monitoraggio effettivo, per moltiplicare le ispezioni dell'ufficio del lavoro e per far emergere chi lavora in nero.
Se emergesse davvero chi lavora in nero e qual è la dimensione effettiva del fenomeno, si comprenderebbe che non si può rimandarli indietro, ma si sarebbe costretti a trattarli come esseri umani. Ha detto una volta Helmut Kohl: «Volevamo che venissero braccia ed invece sono arrivati uomini» e da uomini dobbiamo trattarli, non possiamo trattarli solo come braccia da usare, né in Italia né in Libia.
Assistenza umanitaria ai clandestini, un rapporto che consenta l'incontro tra domanda italiana di lavoro e offerta di lavoro in quei Paesi, sono tutti temi che in questo Trattato non sono presenti e l'ottica che emerge le ignora totalmente.
Anche dal punto di vista del solo contenimento dell'immigrazione clandestina, non vi è la possibilità di regolarla in maniera meramente bilaterale. Chi ha parlato prima di me giustamente ha fatto presente che la dimensione europea è debole. È necessaria una Conferenza mediterranea, di tutti i Paesi rivieraschi, che accettino delle regole comuni e, ovviamente, per accettare delle regole comuni ci chiederanno delle contropartite, e le contropartite sono costituite da canali di immigrazione legale a favore dei loro cittadini, ma anche da sostegno vero allo sviluppo. Questa dimensione europea non è ancora presente.
Allora, possiamo prevedere che, anche se il Governo libico si decidesse ad applicare effettivamente l'accordo e se non gli dessimo l'impressione di essere pronti a tollerare qualunque «smarginatura», i flussi si sposterebbero dalla Libia verso un altro Paese per arrivare da noi imbarcandosi, invece che a Bengasi, in un altro luogo.
Vorrei ricordare al sottosegretario Scotti, che è persona troppo fine e conosce troppo bene la storia, quando lo stesso problema lo avevamo con altri, quando i clandestini si imbarcavano in Turchia, a Cipro o in Siria. Tuttavia, siamo riusciti a tappare quelle falle che potrebbero, peraltro, riaprirsi in qualunque momento - non tutte, perché con Cipro non si riaprirebbero sicuramente - in assenza di un'adeguata dimensione europea del problema.
La dimensione europea del problema è fondamentale anche per un'altra ragione. Mi riferisco alla cooperazione economica. Ci impegniamo a un sostegno allo sviluppo che costa 5 miliardi di dollari, un po' meno di 4 miliardi di euro. Non sono noccioline! In che modo, con quale piano e secondo quale strategia useremo questi fondi? Non l'ho capito e se qualcuno (o il Governo) l'ha capito farebbe bene a spiegarcelo. Non sarei sfavorevole, anche se si trattasse della famosa autostrada da Tripoli a Bengasi. Sarei favorevole ad una condizione: l'autostrada non serve a niente se non è inserita in un progetto di infrastrutturazione di tutto il nord Africa.
A questo punto vorrei ricordare una grande amica dell'Italia e mia amica personalePag. 16 scomparsa qualche anno fa, la signora Loyola de Palacio, il miglior commissario europeo che abbiamo avuto, che negli ultimi tempi della sua vita studiava questo problema, ossia l'infrastrutturazione del nord Africa. Dove finiscono i TEN, i Trans-European Networks, cosa succede? Già sappiamo che dove finisce il Corridoio 5 inizia la Budapest-Kiev, cioè il progetto di proseguire un'infrastrutturazione che permetta all'Ucraina di entrare effettivamente all'interno del mercato mondiale. E in nord Africa che succede? Nessuno lo sa. Lì occorre, intanto, un'intesa fra i diversi Paesi nordafricani, dall'Egitto fino al Marocco, per abolire le barriere doganali. Insieme, tutti questi Paesi costituiscono un mercato che vale più o meno quanto quello belga. Chi andrà mai a produrre lì, per quel mercato, se per di più questo mercato è spezzettato e ogni tot chilometri vi è una frontiera da varcare, con i dazi da pagare? Non è possibile.
Ci vuole un'iniziativa europea. Dentro quell'iniziativa europea avrebbe senso, da parte dell'Italia, farsi carico di una grande opera di infrastrutturazione della Libia, per ragioni storiche e anche perché sarebbe un investimento utile per il futuro della Libia, dell'Italia, dell'Europa e dell'Africa. Tuttavia, non vedo questa strategia europea e mi sembra, dunque, che siamo veramente davanti ad una grande occasione perduta, perché quello che potrebbe essere un grande gesto di intelligente generosità rischia di diventare, invece, semplicemente un obolo che si paga nella speranza che sia l'ultimo, ma senza nessuna reale certezza che sia veramente l'ultimo.
Un problema è dato anche dall'articolo 2. Esso enuncia cose molto belle, come «il rispetto di ciascuna parte di scegliere e sviluppare liberamente il proprio sistema politico». Ma - mi domando -, la parte che sceglie liberamente il proprio sistema politico è Gheddafi o il popolo libico?
In questo momento, infatti, non risulta che il popolo libico sia autorizzato a scegliere e sviluppare liberamente il proprio sistema politico, sociale, economico e quant'altro. So che in questo momento in Libia chi non è d'accordo con Gheddafi non può vivere, nel senso letterale del termine, ossia deve andare via; abbiamo visto casi in cui vi è stato chi, anche dopo essere andato via, è stato seguito per essere ammazzato. Questo vuol dire che ci impegniamo a non consentire all'opposizione democratica libica di svolgere alcuna attività in Italia? Se qualcuno in Italia vuole contestare il regime di Gheddafi - certo, non con modalità terroristiche o preparando attentati, a cui saremmo contrari per evidenti ragioni e che sarebbero comunque proibiti dal nostro ordinamento giuridico - e vuole dire che in Libia servirebbero libere elezioni, lo può fare o no? Siamo impegnati a metterlo in galera o ad espellerlo, oppure no? Tutto questo non risulta dall'articolo 2 e mi domando se il Governo ne sia consapevole.
È stato richiamato il tema dell'articolo 4. Le parti si impegnano a non usare o permettere l'uso del proprio territorio per atti ostili nei confronti della controparte. Esiste un'alleanza globale, di cui l'Italia fa parte, ossia la NATO. Ovviamente, in questo momento, non esiste nessun motivo ipotizzabile di un attacco della NATO contro la Libia, ma in passato non sono mancate occasioni nelle quali un attacco è stato ben ipotizzabile, ritenuto assai plausibile ed, anzi, è anche avvenuto non da parte, per la verità, della NATO ma degli Stati Uniti. Esiste un problema anche degli accordi dell'Italia con gli Stati Uniti. È stata adeguatamente valutata la compatibilità tra gli impegni che prendiamo con questo accordo e quelli che prendiamo con la NATO?
Immaginiamo che ciò sia stato fatto, come è possibile che lo sia stato, perché sappiamo bene che queste cose in ogni caso si possono fare: è stato valutato l'uso propagandistico che il regime libico ne può fare? Sono state valutate le convinzioni che il regime libico ne può trarre? In altri contesti culturali si ragiona in modo differente che non da noi. Ricordo che, quando andavo a Baghdad a parlare con la dirigenza del partito Baath, mi dicevano che erano venuti altri dall'Europa che gli avevano assicurato che l'EuropaPag. 17 non avrebbe mai permesso che vi fosse la guerra ed io rispondevo che l'Europa non era in grado di dare simili garanzie e che la guerra ci sarebbe stata. Non è che in Libia adesso pensano di aver ottenuto garanzie che noi non saremo in grado di onorare? Non è questo qualcosa che contribuisce a seminare problemi per il futuro, nel momento in cui pensiamo di risolvere i problemi del passato?
Si è parlato della natura del regime libico. Non è un regime fondamentalista-islamico ed anzi Gheddafi, quando ha potuto, i fondamentalisti islamici li ha fatti impiccare (per la verità, anche con forti violazioni dei loro diritti umani, perché sono esseri umani anche loro). È un regime che definire nazionalista è poco. Esiste un problema del nazionalismo arabo relativo alla formazione di una grande nazione araba, cui noi non dovremmo essere ostili e che assomiglia un po' al nostro Risorgimento. Ma la corrente dominante del nazionalismo arabo, che nasce dal famoso partito Baath, non è una corrente nazionalista, ma nazionalsocialista. Vogliamo dire le cose come stanno? È nazionalsocialista e fascista! Il modello di Michel Aflaq, il fondatore del Baath, erano la Germania di Hitler e l'Italia di Mussolini, in modo approssimativo e come si vedevano da lontano, sulla base anche del principio «i nemici dei miei nemici sono miei amici», per cui andavano bene perché nemici dell'imperialismo britannico, ma era quello il modello. Non è un caso che l'anti-ebraismo, travestito da antisionismo, sia un elemento portante.
Infatti, se andate a leggere quello che scrivono e quello che dicono, non c'è soltanto l'antisionismo, ovvero l'avversione allo Stato di Israele, ma c'è una connessione inscindibile tra ebraismo e sionismo nel loro modo di vedere. Quindi, la lotta è contro l'ebreo e, fra le caricature che si pubblicavano in Germania dopo il 1933 (anche prima per la verità) e quelle che si pubblicano adesso, la differenza non è grande. A volte penso che dovrebbero pagare i diritti d'autore. Quindi, su questo aspetto è importante svolgere una riflessione attenta.
Non mi soffermerò sul costo del Trattato e sui modi scelti per finanziarlo, salvo che per fare due osservazioni. La prima è che con l'altalena dei prezzi del petrolio che c'è adesso non so quanto sia facile prevedere il gettito di questa addizionale. Certamente questo forse non è un brillante risultato della diplomazia italiana, ma della diplomazia dell'ENI. Credo che in questa sede vadano riconosciuti un giusto tributo e sentite congratulazioni alla diplomazia dell'ENI, che ha un suo servizio diplomatico, qualche volta più efficiente di quello nazionale. Benché che l'ENI vada bene sia un interesse dell'Italia, non sempre tutto quello che va bene all'ENI va bene anche all'Italia.
Vi è un ultimo punto, che però è fondamentale. C'erano una volta in Libia diverse decine di migliaia di italiani. Questi, signor relatore, non sono stati invitati a tornare rapidamente in Italia, ma sono stati cacciati e tutti i loro beni sono stati espropriati. Questa gente ha dovuto ricominciare una vita in Italia partendo da zero e non si parla di un risarcimento, nemmeno simbolico, a questi cittadini italiani, non c'è una parola sui diritti degli italiani che sono venuti via dalla Libia per salvare la pelle, con addosso gli abiti e poco più. Quando il Governo intende affrontare questo tema? Che cosa intendiamo fare? Capisco che è difficile riprenderlo in sede internazionale, perché sciaguratamente nel 1998 di fatto il Ministro Dini ha rinunciato alla possibilità di farlo. Non sono del tutto convinto che sia del tutto impossibile riproporlo in sede internazionale, ma certamente ci sarebbe spazio per un ampio dibattito tra esperti di diritto internazionale.
Ma vogliamo almeno dire che lo Stato italiano assume su di sé l'onere di risarcire gli italiani che hanno subito tali perdite? La comunità nazionale italiana rinuncia ad un diritto che non è dello Stato italiano, ma degli italiani che sono stati cacciati! Non è bello: è facile fare politica estera rinunciando ai diritti degli altri, dei propri cittadini. Vogliamo dire che si assumono in proprio le obbligazioni a cui la Libia non farà più fronte?Pag. 18
A questo proposito l'UdC ha presentato un emendamento, in cui si chiede che contestualmente lo Stato italiano si assuma l'incarico di rispondere a questi cittadini italiani. Mi auguro che in questa occasione ci sia un ampio consenso del Parlamento, perché questi sono diritti umani. Non stiamo parlando di alta politica internazionale, ma di diritti umani. Lo Stato italiano non può rinunciare a diritti umani fondamentali di alcune decine di migliaia di cittadini, perché in questo momento per varie ragioni è o sembra essere utile per la nostra politica estera.
L'emendamento a firma Casini, Adornato e Galletti chiede semplicemente che lo Stato italiano assuma queste obbligazioni. Il costo non è grande, lo abbiamo quantificato in 50 milioni di euro. Mi pare che, rispetto ai diritti umani che sono in gioco in questa occasione e dentro una visione globale di riconciliazione con la Libia (che non può essere fatta pagare ai nostri cittadini), ne valga la pena.
Lo Stato italiano ha delle gravi responsabilità, le ho ricordate: abbiamo fatto una guerra inutile, abbiamo condotto una repressione feroce. Ma, chiedo, questi cittadini italiani ne hanno colpa? Entriamo anche noi nell'ottica che adesso domina in alcuni conflitti attorno a noi per cui si dice: «non mi interessa se hai fatto del bene o del male, ma siccome sei ebreo vai messo a morte?» Non credo sia una cosa che uno Stato civile si possa permettere.
Noi voteremo a favore della ratifica di questo Trattato, mi auguro, dopo che questo emendamento sarà accolto dal Governo e da tutta l'Aula parlamentare.
Scusatemi se vi ho annoiato e grazie per la pazienza con cui mi avete ascoltato.

PRESIDENTE. Saluto gli studenti dell'Istituto Vittorio Veneto di Secondigliano, in provincia di Napoli, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune. Non siamo molto numerosi, ma il saluto è lo stesso affettuoso e grato della vostra presenza (Applausi).
È iscritto a parlare l'onorevole Evangelisti. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, voglio subito partire da un'annotazione. Spero che mi perdonerà il relatore Pianetta, ma davvero speravo che almeno di fronte ai drammatici avvenimenti di questi giorni, ai drammatici avvenimenti di questi ultimi mesi, di fronte ad una questione seria quale il contenzioso con la Libia che dura da quarant'anni, il relatore almeno ci risparmiasse in quest'Aula lo spot propagandistico. Visto che in materia ci ha già pensato ad agosto e a settembre il Presidente del Consiglio, il quale sicuramente anche domani e dopodomani, attraverso la potenza di fuoco dei suoi mezzi di informazione, esalterà la ratifica di questo strumento, almeno il relatore Pianetta poteva non fare offesa alla nostra modesta intelligenza.
Perché vede, signor Presidente, c'è un contenzioso che dura da quarant'anni, poi arriva il Governo Berlusconi, a giugno del 2008, e ad agosto, et voilà, il Trattato è fatto. Onorevole Pianetta, Berlusconi è Superman solo per i suoi nipotini, è lui stesso a ricordarlo; magari sarà bene che qualche volta lo ricordi anche ai suoi parlamentari. Troppo zelo a volte offende le intelligenze.
Anche perché se davvero fosse stato Superman probabilmente i contenuti di questo Trattato avrebbero avuto ben altra efficacia e un impatto meno doloroso sul nostro Paese. Voglio dire ciò perché questo Trattato non manca di pregevoli aspetti, però... È sul però che ci si deve interrogare: abbiamo ricevuto tutti una lettera della componente radicale all'interno del Partito democratico che non credo possa essere liquidata con poche battute. Gli amici del partito radicale fanno delle osservazioni sulle quali noi tutti siamo chiamati ad interrogarci e a provare a dare delle risposte.
In particolare, per quanto riguarda l'articolo 4 - quello che vincola l'Italia a non concedere l'uso delle basi militari presenti sul nostro territorio - l'onorevole Pianetta non può dire che l'accordo fa salvi tutti gli accordi precedentemente siglati dall'Italia. Se le norme hanno lo stesso rango, non possono lasciare salve Pag. 19quelle che c'erano prima. Gli accordi si fanno proprio perché mettono in discussione quelli che c'erano precedentemente. Poco fa abbiamo discusso il Trattato sulle doppie imposizioni per quanto riguarda l'Italia e gli Stati Uniti, e non possiamo dire che questo accordo lasci inalterati i precedenti accordi: non si faccia offesa alla modesta intelligenza di questo Parlamento.
Inoltre, nella discussione che si è testé conclusa abbiamo detto che la Convenzione sulla doppia imposizione fra l'Italia e gli Stati Uniti è stata siglata nel 1999, siamo nel 2009, ebbene ci sono voluti dieci anni per giungere alla ratifica; invece, per il Trattato fra l'Italia e la Libia non ci sono voluti dieci anni, ma dieci giorni. Abbiamo iniziato a discutere il disegno di legge nella Commissione affari esteri il 13 gennaio e fino a poco prima di Natale il testo, se non proprio top secret, era abbastanza riservato. Abbiamo dovuto richiedere ufficialmente il documento perché prima doveva esserci la traduzione, poi bisognava limarlo perché la traduzione italiana non corrispondeva esattamente alla versione libica. Comunque, alla fine, in pochi giorni dobbiamo approvare questa ratifica e dobbiamo farlo in fretta: bisogna preparare lo spot perché questo Trattato, che si è voluto principalmente per frenare il flusso migratorio dalla Libia, deve servire per dire che ora, finalmente, si è regolato il flusso. Una menzogna che tira l'altra, perché non sarà certo questo Trattato a fermare il flusso migratorio e chi afferma questo non conosce cosa c'è dietro tale fenomeno, e non si tratta soltanto delle organizzazioni criminali, ma su questo tornerò successivamente.
Questo testo reca anche aspetti pregevoli perché formalmente si sanano le responsabilità per l'occupazione italiana fra il 1913 e il 1943, quando nei campi di concentramento che gli italiani, non altri, avevano creato in quello «scatolone di sabbia» decine di migliaia di libici, uomini, donne e bambini, furono uccisi e morirono di stenti, migliaia furono deportati o assoggettati al lavoro coatto dagli occupanti. Non è un caso che Berlusconi all'atto della firma abbia prima dovuto rendere omaggio al figlio superstite dell'eroe nazionale libico. Quindi, questa è la parte nobile dell'intento del Governo italiano, ma l'opportunità di siglare un accordo con la Libia si individua anche nella stabilizzazione del Mediterraneo, per un contributo che può venire in questa direzione, per contrastare, come dicevo, anche l'immigrazione clandestina, ma sapendo che le sue proporzioni hanno assunto da tempo un carattere che non è più emergenziale.
L'Italia, oltre a presentare le sue scuse, a rendere omaggio alla memoria, alla storia libica, restituisce la Venere di Cirene rubata nel 1913, ma soprattutto garantisce il versamento di 5 miliardi di dollari in venti anni per la realizzazione di un'autostrada costiera di oltre 1600 chilometri che unirà la Libia alla Tunisia, da una parte, e all'Egitto dall'altra, la costruzione di duecento abitazioni, un progetto di sminamento del Paese, il finanziamento di borse di studio per studenti libici, le pensioni ai mutilati dalle mine piazzate dagli italiani in epoca coloniale e agli ascari che combatteranno la seconda guerra mondiale nelle file dell'esercito italiano.
Tutto bene, tutto giusto, peccato che ci siano stati fatti rilevare anche dalla Commissione bilancio della Camera i problemi di copertura finanziaria cui è collegato anche l'articolo 3 del disegno di legge di ratifica che prevede disposizioni dirette ad introdurre fino al 2028 un'addizionale all'imposta sul reddito delle società. Anche su questo aspetto se andiamo a considerare i documenti, gli atti, le osservazioni del nostro servizio studi si capisce che c'è perfino ipocrisia nel definire chi pagherà questi 5 miliardi di dollari: si dice che saranno le principali imprese petrolifere; «traduciamo»: sarà l'ENI a pagare il conto. È una denuncia che noi, che non riusciamo a leggere tra le righe dei provvedimenti, abbiamo ritrovato sui giornali economici e finanziari nazionali: «Spunta l'addizionale Italia-Libia», su Il Sole 24 Ore, «Tassa Gheddafi sull'ENI» su Italia Oggi.Pag. 20
Questo Governo, che non mette mai le mani nelle tasche dei cittadini, lo farà, in quanto non sono stati sufficientemente valutati i risvolti negativi per i consumatori in termini d'incremento della bolletta energetica. L'ENI, infatti, alla fine andrà a rincarare le bollette, caricherà il 4 per cento degli utili che sono richiesti per pagare queste autostrade, le duecento abitazioni e quant'altro e lo chiederà ai cittadini italiani. Si tratta di una maniera indiretta di tassare gli italiani. Tuttavia, nel mega spot ciò ovviamente non sarà detto.
Ripeto che si tratta di un gravoso impegno finanziario assunto dall'Italia in un momento in cui, tra l'altro, il Governo ha operato tagli rigorosi al settore della cooperazione internazionale. Ciò che viene dato in un solo anno alla Libia non viene dato in sei mesi a tutti gli altri Paesi sparsi per il mondo bisognosi di aiuti umanitari e di aiuti allo sviluppo.
Infine - poiché voglio essere breve e riservandomi di intervenire in sede di dichiarazione di voto e al momento giusto per esprimere la posizione del gruppo dell'Italia dei Valori anche al fine di ascoltare gli altri interventi e sentire le delucidazioni che il Governo vorrà fornire - voglio sottolineare nuovamente che il Governo libico si impegna a collaborare più strettamente con l'Italia per bloccare i flussi migratori che partono dalle coste libiche e che in questi anni - lo diceva poco fa il collega che mi ha preceduto - hanno fatto la fortuna di ricchi mercanti di schiavi (spesso non lontani da collusioni persino con la polizia libica), rendendo così operativo tra l'altro un accordo firmato con il precedente Governo Prodi già nel dicembre del 2007 per il pattugliamento congiunto delle coste libiche con motovedette fornite da imprese italiane.
Ora si fa di più, in quanto si deve spostare il pattugliamento un po' più a sud e non basta più quello delle coste. Se davvero si vuole fronteggiare l'immigrazione, visto che non si ha notizia di un solo cittadino libico che sia sbarcato sulle coste italiane, bisognerà pensare a controllare anche le coste che guardano verso il centro dell'Africa e il Ciad. È prevista, tra l'altro, la cessione temporanea alla Libia di unità navali della guardia di finanza per operazioni di controllo, ricerca e salvataggio nei luoghi di partenza sia in acque territoriali libiche, sia in acque internazionali.
Tuttavia, noi sappiamo che, per quanto importante sia l'accordo che abbiamo sottoscritto e che ci apprestiamo a ratificare e nonostante oggi la Libia sia membro del Consiglio di sicurezza dell'ONU, è difficile definire il Governo libico tra i regimi più liberali al mondo. Non voglio dire che venga esercitata una repressione dispotica sugli immigrati neri giunti in Libia dopo viaggi in cui spesso hanno subito ogni sorta di sopruso rischiando la vita, ma il rischio che ciò possa avvenire è alto. Vi è l'alto e grande rischio che spesso questi siano costretti alla clandestinità, che vengano sfruttati, le donne violentate, ricacciati nei loro Paesi di origine quando non abbandonati senza risorse nel deserto a morire di fame e di sete.
Quindi, voglio auspicare che nelle varie Commissioni di cui all'accordo ne sia istituita una ad adiuvandum che possa sottoporre questo accordo ad un controllo e ad un monitoraggio anche dal lato dei diritti umani che devono prevalere sui motivi di opportunità politica, sugli interessi economici e sugli spot propagandistici di questo o di altri Governi.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole D'Amico. Ne ha facoltà.

CLAUDIO D'AMICO. Signor Presidente, onorevole rappresentante del Governo, inizio il mio intervento sottolineando che il provvedimento in esame non considera i diritti morali e patrimoniali degli italiani rimpatriati. Per questo motivo, auspichiamo l'adozione di un provvedimento specifico per risolvere tale problematica. Ho voluto specificarlo in apertura perché, prima di analizzare i problemi attuali, è giusto ricordare ciò che è successo in passato, per poter dare una soddisfazione a chi ha perso veramente tutto, negli anni del rimpatrio forzato dei nostri concittadini.Pag. 21
Per capire ciò che stiamo per fare e perché è giusto farlo in questo modo, dobbiamo poi capire cos'è stata la Libia e cos'è nel 2000. La Libia è uno Stato che vede al potere, dal 1969, un leader che, come guida della rivoluzione, incarna tutti i poteri: un leader che, nel 1977, ha portato a una riforma della Costituzione aprendo al popolo e, quindi, creando un congresso, il Congresso generale del popolo, formato da 2700 persone, rappresentanti scelti da congressi popolari di base. Si tratta di un sistema politico-istituzionale che sicuramente è ancora molto lontano dall'avere le caratteristiche di una libera democrazia parlamentare: un sistema in cui il leader ha veramente un grande potere; molto spesso, anche le decisioni politiche risentono della forza del leader e, magari, anche degli umori di questa persona. In tale ottica, quindi, quando abbiamo un problema di questo tipo con un Paese, dobbiamo sicuramente utilizzare un metodo molto pragmatico: non possiamo assolutamente ragionare in termini troppo chiusi, ma bisogna avere una mentalità aperta e tesa alla soluzione dei problemi.
In casi di Paesi quali la Libia, con un leader molto forte e con un sistema democratico non compiuto, in passato si sono utilizzati metodi traumatici (in Iraq, ad esempio, il leader iracheno è stato praticamente eliminato con una guerra che, forse, non ha portato ai risultati sperati). Probabilmente vi sono anche altri metodi da seguire per risolvere i problemi che vi sono con Paesi di questo tipo. Il metodo che il Governo italiano sta cercando di utilizzare è quello del dialogo, che ha permesso di arrivare all'approvazione di un patto fra i due Stati, in cui - cosa molto significativa - vi è la firma direttamente di Gheddafi, ossia del leader: si tratta, quindi, di un impegno molto importante per la Libia, che ha trovato una concretizzazione, perché sono stati verificati e si è cercato di risolvere i più grossi problemi esistenti, che portavamo avanti da quarant'anni, fra Italia e Libia.
La Libia è un Paese molto esteso territorialmente, ma molto carente di infrastrutture. È un Paese di 6 milioni di abitanti circa, ma che negli ultimi trenta anni è passato da 3 a 6 milioni: ha avuto un grande sviluppo a livello demografico, soprattutto per effetto dell'immigrazione da altri Paesi africani. Questo ha comportato sicuramente dei problemi. La Libia è anche un Paese fornitore di materie prime (soprattutto di idrocarburi) e l'Italia è il suo primo partner commerciale. Pensate che per il 2007 - sono gli ultimi dati che abbiamo - l'import dal nostro Paese alla Libia è stato pari a 2.245 milioni di dollari, mentre l'export dalla Libia all'Italia, soprattutto di petrolio e gas, è stato pari a 16.429 milioni di dollari. Al secondo posto, sia per l'import che per l'export, c'è la Germania, con più o meno un terzo del nostro volume. Quindi, la Libia è un Paese che per noi ricopre un'importanza forte per gli approvvigionamenti energetici. È vero che l'ENI, in questo settore, ha avuto in passato una predominanza nei rapporti con la Libia (anche perché gli Stati Uniti non avevano rapporti diplomatici e sono stati vicini alla guerra), ma ha saputo lavorare e ha creato qualcosa.
Ora ci troviamo in una situazione in cui, a livello energetico, gli Stati Uniti si sono aperti verso la Libia (anche i rapporti diplomatici sono migliorati e anche i Paesi americani si stanno muovendo), quindi bisogna lavorare con lungimiranza, per vedere cosa può succedere in futuro e cercare di far sì che i rapporti privilegiati che abbiamo con la Libia sotto l'aspetto energetico rimangano tali e che nessuno ci sorpassi.
L'altro problema fondamentale che abbiamo con la Libia, che è nato negli ultimi anni, è quello dell'immigrazione. Come ho detto in precedenza, la Libia, negli ultimi trent'anni, ha subito una forte immigrazione, che è aumentata negli ultimi dieci anni, soprattutto da Paesi del centro-Africa. Le frontiere libiche a sud, con Sudan, Ciad e Niger, sono praticamente incontrollate. Poche pattuglie possono fare poco di fronte ad una tratta di clandestini organizzata da clan malavitosi, che lucrano su questa povera gente e hanno via libera praticamente fino alle coste. Dalle Pag. 22coste, sempre in modo clandestino, a volte magari sfruttando funzionari corrotti, partono in continuazione barconi, che portano migliaia di persone verso l'Europa e, soprattutto, verso il sud del nostro Paese.
Questo è un fenomeno che dobbiamo contrastare, ma che ci siamo resi conto, grazie a numerose consultazioni con i libici, che questi ultimi non hanno la possibilità di bloccare con le proprie forze. Quindi, era importante trovare un accordo che facesse sì che le nostre Forze armate e di polizia potessero collaborare con i libici direttamente nel loro territorio, per fermare non solo i barconi che partono dalle coste, ma ancora prima l'afflusso di clandestini dalle frontiere incustodite del sud.
Per questo, nel Trattato è previsto anche che debba essere costruito un sistema di vigilanza proprio di quelle frontiere. Giustamente, si chiede all'Europa di fare la sua parte e di farsi carico della metà del costo per l'installazione di questo sistema. Quindi, con questo Trattato cercheremo - ciò è previsto precipuamente all'articolo 19 - di bloccare il terrorismo, la criminalità organizzata, il traffico di stupefacenti e, soprattutto, l'immigrazione clandestina.
È vero che, come è stato ricordato da qualche collega in precedenza, l'Europa fa poco a questo proposito. Anche le parole dell'onorevole Buttiglione mi sono sembrate coerenti, quando ha chiesto all'Europa di farsi carico del problema, perché al momento è il nostro Paese che principalmente se ne deve far carico; e l'ha già fatto in passato, quando ha dovuto stringere degli accordi con l'Albania, con la Tunisia, accordi bilaterali che sono serviti a bloccare i flussi di immigrati. La via, che abbiamo tracciato con quegli accordi, è quindi una via che ha dato dei risultati. Sono stati risultati importanti, se ci ricordiamo le navi che arrivavano cariche di clandestini dall'Albania, ci ricordiamo il problema che abbiamo avuto per alcuni anni; questo flusso è ora completamente bloccato, grazie all'accordo che ha previsto che i nostri uomini potessero andare anche sulle loro coste a controllare.
La stessa cosa è avvenuta con la Tunisia: anche da lì il flusso ormai si è fermato grazie agli accordi bilaterali. E quindi il Governo si sta muovendo in modo molto serio per stringere accordi con tutti i Paesi di partenza degli immigrati clandestini. È vero anche che il Governo sta lavorando, ed è importante continuare su quella via per stringere accordi coi Paesi di provenienza, perché se il clandestino arriva dalla Nigeria dovremo rimandarlo poi in Nigeria, dunque dovremo avere un «via libera» dal Governo nigeriano per riprendersi i suoi cittadini; faccio l'esempio della Nigeria perché è uno dei tanti Paesi dai quali arrivano clandestini che attraversano la Libia e poi arrivano sulle coste di Lampedusa, e addirittura ultimamente è arrivato qualcuno anche in Sardegna. È quindi importantissimo l'Accordo per questo motivo.
Ma non solo: è importante anche perché in questo Accordo è previsto che i costi che graveranno su di noi per far sì che esso venga rispettato, che sono costi relativi a quello di cui aveva bisogno la Libia, tornino a nostro vantaggio. Noi avevamo bisogno di bloccare i clandestini, avevamo bisogno di chiudere una vertenza che andava avanti dal periodo coloniale, avevamo bisogno di pensare al futuro, anche sotto l'aspetto energetico; la Libia aveva bisogno di infrastrutture, principalmente, e ha bisogno di infrastrutture: quello che spenderemo lo spenderemo quindi per costruire infrastrutture. Non è detto che si tratti solo di strade, perché, pensate, la Libia è un Paese che non ha ferrovie, e quindi in questo Trattato è previsto che ci sarà un tavolo di consultazione bilaterale dove, su proposta libica, verranno decisi gli interventi da portare avanti. Ed è previsto anche, cosa fondamentale per le nostre imprese, che saranno imprese del nostro Paese a lavorare in Libia. Questo sottolineiamolo, perché non daremo dei soldi alla Libia e poi la Libia farà quello che vuole: i soldi ottenuti grazie a questa addizionale sui redditi, diciamo, dell'ENI, il denaro che useremo lo useremo per dare lavoro a aziende italiane, e la Libia si è impegnata anche a Pag. 23togliere ogni vincolo che andava avanti dal periodo coloniale riguardo alle nostre imprese; c'è quindi un'apertura enorme, un nuovo mercato per le nostre imprese. Questo sottolineiamolo, perché i soldi che stiamo dando alla Libia non sono soldi buttati via, per quanto è scritto su questo Accordo, ma sono soldi che diamo a imprese italiane per andare a lavorare. Lo dico chiaramente: la Libia potrebbe tra due anni voler rinegoziare tutti i contratti in essere per il petrolio e il gas, aumentarci i prezzi, e i soldi li prenderebbe lo stesso.
È meglio, forse, stipulare un Trattato di amicizia che faccia sì che l'ENI possa continuare a lavorare (so che due anni fa sono stati rinegoziati degli accordi, ma ricordiamoci l'esempio della Russia che continua a rinegoziare i prezzi del gas con l'Ucraina e i Paesi confinanti). Alle critiche che sottolineano che il costo aggiuntivo che avrà l'ENI, che dovrà pagare questa addizionale, verrà traslato ai cittadini, rispondo: guardate che se la Libia vuole ci aumenta il prezzo delle materie prime, del petrolio e del gas, di un'infinità, ottenendo lo stesso risultato. In questo modo, invece, siamo riusciti a far firmare - come ho già detto - al leader di questo Stato un Accordo importante che riguarda tantissimi aspetti. È un avvenimento importante vedere la firma di Gheddafi sotto un Accordo che prevede - lo voglio dire a chi dell'opposizione ha sottolineato il problema dei diritti umani - all'articolo 6, rubricato: «Rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali». Esso recita: «Le Parti, di comune accordo, agiscono conformemente alle rispettive legislazioni, agli obiettivi e ai principi della Carta delle Nazioni Unite e delle Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo». Non so se la Libia rispetterà poi questa previsione, ma vedere la firma di Gheddafi sotto un Documento che richiama al rispetto della Dichiarazione universale dei Diritti dell'Uomo, mi sembra un fatto molto importante, da sottolineare. Direi, quindi, a chi afferma che la Libia non rispetterà i diritti umani, che prima di parlare, bisogna vedere i fatti; vedere la firma del leader libico sotto un Documento di questo tipo - lo ripeto - è un fatto straordinario.
In questo Trattato vi sono altre previsioni, per noi interessanti e importanti, che dobbiamo ricordare, come, ad esempio, l'articolo 4, che prevede la: «Non ingerenza negli affari interni». In passato vi è stata ingerenza negli affari interni. Anche nel momento di formazione del Governo attuale vi è stata ingerenza (ricordo le dichiarazioni libiche a favore, o contro, la nomina a Ministro di questo o quel parlamentare). Ora, invece, la Libia si impegna a rispettare la sovranità del nostro Paese; leggo testualmente, sempre all'articolo 4, comma 1: «Le Parti si astengono da qualunque forma di ingerenza diretta o indiretta negli affari interni o esterni che rientrino nella giurisdizione dell'altra Parte (...)». Un'altra previsione importante, sempre legata a questo aspetto, è regolata all'articolo 2, rubricato: «Uguaglianza sovrana». Esso recita: «Le Parti rispettano reciprocamente la loro uguaglianza sovrana, nonché tutti i diritti ad essa inerenti compreso, in particolare, il diritto alla libertà ed all'indipendenza politica (...)». Quelle ingerenze che vi sono state in passato, in base a questo Trattato, non vi saranno più. Un'altro elemento importante è che questo Trattato prevede, all'articolo 5, che nel caso vi sia una controversia sia possibile una soluzione pacifica, non lanciandosi missili, come fece quella volta Gheddafi, che lanciò un missile contro Lampedusa, che per fortuna non arrivò a destinazione. In questo articolo si prevede che: «In uno spirito conforme alle motivazioni che hanno portato alla stipula del presente Trattato di Amicizia, Partenariato e Cooperazione, le Parti definiscono in modo pacifico le controversie che potrebbero insorgere tra di loro, favorendo l'adozione di soluzioni giuste ed eque, in modo da non pregiudicare la pace e la sicurezza regionale ed internazionale». Anche questa riteniamo che sia una previsione importante e che sia uno dei punti cardini di questo Trattato che - ricordiamolo - è un patto (e il suo carattere pattizio è da sottolineare).Pag. 24
Esso necessiterà di una verifica puntuale, perché come capita a volte ai patti, potrebbe essere disatteso. In quel caso - nel caso in cui il Patto in esame non venga rispettato - dovremo muoverci, e qui noi saremmo i primi a denunciare se il Patto non sarà rispettato. In quel caso non bisognerà fare passi indietro e occorrerà cercare in tutti i modi - tramite queste prime consultazioni con i libici - di obbligarli al rispetto di questi accordi. È vero che se il Patto non dovesse essere più rispettato ovviamente dovrà considerarsi sciolto, quindi noi non saremo più tenuti a versare risorse e a portare avanti gli investimenti infrastrutturali in Libia. Quindi, penso che vi sia anche la volontà libica di rispettare questi accordi, perché in questo caso noi riscontriamo dei vantaggi per entrambi. È sempre così quando vi è un patto: se il vantaggio è reciproco prosegue all'infinito, se invece a un certo punto non dovesse esserci più vantaggio per uno dei contraenti probabilmente la vita del patto risulterebbe breve. Si tratta di un aspetto da ricordare e deve essere anche detto a chi si è dimostrato critico riguardo ai possibili sviluppi di questa vicenda. Io dico che occorre aspettare.
Anche il Ministro dell'interno sta lavorando, già d'accordo con i libici, per preparare interventi per il blocco dei clandestini. E vi dico che saremo i primi a denunciare una mancanza del rispetto di questi accordi, ma non possiamo a priori già pensare che gli stessi non saranno rispettati. È qui che io non condivido alcune affermazioni di esponenti dell'opposizione, che già danno per scontato che questi accordi non verranno rispettati. Io invece vi dico che sono molto fiducioso perché da parte nostra vi è un grande impegno e vi sarà grande forza nel chiedere il rispetto di questi accordi.
In conclusione, è vero, siamo rimasti colpiti anche noi da alcune dichiarazioni nei confronti d'Israele partite da Tripoli nei giorni scorsi. Ci hanno colpito, ma forse ancora di più per questo noi dobbiamo cercare di dialogare con Gheddafi. Aver legato il leader libico a noi e di conseguenza all'Europa, all'Occidente, con un Trattato di questo tipo (con la firma di suo pugno) rappresenta un punto straordinario. È vero - come ho detto in precedenza - che il Paese è retto da una persona, e spesso quando tutto il potere o la maggior parte di esso è nelle mani di una persona a volte si verificano decisioni avventate. Tuttavia, spero che con questo Trattato da parte della Libia non vi siano più decisioni avventate. Spero inoltre che questo Trattato faccia riflettere due volte il leader libico prima che si possa verificare una dichiarazione o soprattutto un atto (che è ciò che conta), in modo da poter portare avanti nei prossimi anni dei rapporti pacifici e di amicizia con un Paese che non è ancora preda del fondamentalismo islamico, un Paese arabo nel quale non si è ancora insediato un centro di terrorismo islamico, come quelli che si notano in altri Paesi. Quindi, ritengo che sia importante per noi dialogare con Paesi come la Libia, mantenendo ferme le nostre posizioni, e rendendoci conto che ci toccherà fare braccio di ferro in futuro.
Infatti capita spesso che i Paesi arabi molte volte concepiscano i patti anche in questi termini. Ritengo tuttavia che tale accordo si svilupperà in modo molto positivo per le nostre aziende, per il nostro Paese, per la nostra società che è sotto attacco di milioni di clandestini di provenienza africana: sono vere le stime di milioni di persone che vogliono venire, ma questo Paese non sarebbe in grado di sopportarli. Pensate che la provincia di Milano ha già una densità abitativa più alta di Pechino o di Calcutta: quindi immaginate se arrivassero altri milioni di clandestini! Già le statistiche degli ultimi dati di oggi ci dicono che abbiamo superato i 4 milioni di stranieri nel nostro Paese, dicono che circa 600-700 mila sono i clandestini: sono numeri allarmanti. Quindi è dovuto un grande plauso al nostro Governo perché sta lavorando per fermare questi flussi e per salvare la nostra identità: salvare ciò che noi abbiamo costruito in tanti anni e che non vogliamo che venga messo a repentaglio.

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PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Barbi. Ne ha facoltà.

MARIO BARBI. Signor Presidente, colleghi, la questione che affrontiamo oggi è estremamente seria e delicata. Lo strumento della ratifica di un Trattato non consente alla fine di dare giudizi e di esprimere voti differenziati: o si è a favore o si è contro. Tuttavia questo Trattato richiede un giudizio differenziato, un giudizio articolato. Il collega Tempestini ha illustrato a grandi linee l'opinione del gruppo del Partito Democratico, fermo restando la diversa opinione della componente radicale e, forse, anche di singoli colleghi che dissentono dall'impianto di questo Trattato.
Elementi critici sono stati sottolineati nel corso di questo dibattito dai colleghi Buttiglione ed Evangelisti e dagli stessi esponenti della maggioranza. È stato fatto rilevare come non siano stati coinvolti nella costruzione di questo accordo i cittadini italiani cacciati dalla Libia nel 1970. Ricordo che in Commissione il gruppo del Partito Democratico ha sostenuto un emendamento che andava nella direzione di prevedere un risarcimento morale e materiale per questi cittadini cacciati ormai tanto tempo fa dalla Libia.
Ad ogni modo, tutti gli interventi che sono stati fatti, a mio parere, dovrebbero portarci a una domanda centrale: se questo Trattato con tutti i difetti, che poi cercherò in qualche misura di individuare e indicare, aiuti l'Italia a svolgere una funzione positiva nel condurre la Libia di Gheddafi - è questa la Libia che c'è - a svolgere un ruolo positivo per la sicurezza e la stabilità del Mediterraneo e anche per la pace in Medio Oriente; se questo Trattato aiuti e possa aiutare a incrementare e a favorire lo sviluppo della società libica verso l'apertura e verso il rispetto dei diritti umani e delle garanzie di uno Stato di diritto.
Ritengo che la domanda sia questa e certo non è facile dare una risposta univoca: dipende da molti elementi. Intanto è da qui che vorrei svolgere le annotazioni e vorrei ripercorrere le considerazioni che mi ero preparato riguardanti anzitutto il giudizio positivo sul Trattato per il fatto che pone fine al contenzioso coloniale e apre un capitolo nuovo nelle relazioni tra i nostri due Paesi. Ritengo - è stato qui detto dagli altri colleghi - che se noi collochiamo il Trattato nella sua cornice storica non possiamo che rallegrarci dell'approdo e del fatto che vengano superati i conflitti del passato. Ce ne rallegriamo per quanto ci riguarda anche per il fatto che il risultato è l'opera di un lavoro che ha visto il contributo di tanti Governi di diverso colore, anche di centrosinistra, che si sono succeduti negli anni.
Il fatto che ci rallegriamo di questo non vuol dire che taciamo sui punti critici del Trattato né che vogliamo eludere le riserve che sono state avanzate nel dibattito politico nel corso dell'esame del provvedimento in Commissione.
Lasciatemi, comunque, dire che, dal punto di vista di principio, il fatto che la Repubblica italiana riconosca alla Libia un risarcimento per il periodo coloniale non è cosa impropria, né che debba essere respinta, magari perché la Repubblica nulla avrebbe a che spartire con i regimi che l'hanno preceduta, in particolare con il regime fascista. Mi sembra che i popoli e le nazioni non possano abdicare alle responsabilità e ai doveri che sono loro propri e che hanno contratto nel corso della storia. Tuttavia, si può certamente discutere della misura e dell'asimmetria: si può ritenere eccessivo l'impegno per 5 miliardi di dollari distribuito in vent'anni, così come si può ritenere generico ed insoddisfacente il sostanziale rinvio della definizione dei crediti vantati da imprese italiane verso entità libiche, che pure vengono stimati nell'ordine di 600 milioni di euro.
È stato, inoltre, osservato che i negoziatori libici hanno mostrato un'abilità che non può che suscitare ammirazione e come il Governo in carica potesse, forse, tenere più tesa la corda del negoziato bilaterale. Non vorrei, però, nascondere che è anche vero che il Trattato inquadra questo risarcimento in una cornice assai ampia ed ha un respiro strategico importantePag. 26 per la collaborazione economica ed industriale tra i nostri due Paesi, incluso il settore energetico. Che la copertura degli oneri prevista dal Trattato sia affidata ad un'imposta speciale sui profitti di società di idrocarburi con certe caratteristiche - è stato detto, non è un mistero, si tratta dell'ENI - è, però, discutibile, sia per il principio che introduce nell'ordinamento, sia per l'aleatorietà della copertura. Tra l'altro, è importante che questo meccanismo non si traduca in aumenti dei prezzi per i consumatori.
In una cornice del genere, visto l'interesse libico ad investire nel nostro Paese almeno una parte della rendita petrolifera per differenziare le fonti di entrata e promuovere un'economia più diversificata e moderna, e visto anche il nostro specifico interesse ad incoraggiare questo processo, è positivo che i rapporti bilaterali ricevano una cornice impegnativa e solenne quale quella dell'accordo. Pur non volendo minimizzare il rilievo delle questioni quantificate in denaro, altri sono i punti che sollevano dubbi relativamente all'Accordo. Si tratta di punti qualitativi, legati principalmente alla natura autoritaria del regime libico e, quindi, alle incognite relative al suo ruolo internazionale e al rispetto delle garanzie e dei diritti umani. Si tratta di questioni serissime. Nel Trattato, i principi sono indicati e sono condivisibili: la legalità internazionale, la centralità dell'ONU, l'impegno per il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Tuttavia, le formulazioni lasciano spesso a desiderare, né sono previsti strumenti di controllo. Il dato di fondo è, comunque, la volontà di sviluppare questo partenariato ad alto livello con un dialogo su tutte le questioni politiche rilevanti, che consenta di affrontare anche queste questioni, le più scabrose e delicate. È qui che il nostro Paese è chiamato ad esercitare un'azione positiva e a dimostrare l'utilità dell'Accordo.
È stato ricordato anche quanto segue e lo ripeto: la Libia oggi non è più il Paese ostile che fu ancora negli anni Ottanta. È uno Stato che è rientrato nella comunità internazionale, intrattiene rapporti diplomatici con gli Stati Uniti e sta negoziando un accordo con l'Unione Europea. È un Paese interessato allo sviluppo economico, che noi dobbiamo incoraggiare a dare spessore e respiro ad una pratica moderata, che lo porti a svolgere un ruolo di stabilizzazione nel Mediterraneo e di contrasto, come peraltro avviene dal punto di vista ideologico e politico, al fondamentalismo islamico. Gheddafi è un nazionalista arabo di fede musulmana, non è un fondamentalista islamico. Questo resta vero anche ora, quando il mondo arabo e islamico è, di nuovo, profondamente diviso dal conflitto israelo-palestinese e dalla guerra di Gaza. La Libia, è vero, era a Doha con un suo rappresentante. È stato detto che, forse, questo non era il momento giusto per parlare del Trattato in oggetto, proprio per la recrudescenza del conflitto che vi è stata in questi giorni recenti. Ritengo, invece, che, forse, è bene che questo sia avvenuto. La Libia era a Doha, ma non era presente Gheddafi. Voglio considerare ciò come un segno tendenzialmente positivo, pur non dimenticando le dichiarazioni inquietanti che Gheddafi ha pronunciato relativamente all'invio di volontari a Gaza e che il collega Colombo, in modo vibrante, ha denunciato nel dibattito in Commissione.
Ritengo che l'Italia dovrebbe fare in modo, anche in forza di questo trattato, che la Libia sia di aiuto al raggiungimento di una pace giusta in Medio Oriente e non che contribuisca ad ostacolarla. Infatti, il segnale di Doha deve essere così inteso: non c'erano soltanto il leader siriano, quello iraniano e il capo di Hamas, c'erano anche la Turchia, il Marocco e l'Indonesia. La pace in Medio Oriente non può reggersi soltanto sulle spalle di Mubarak e Abu Mazen.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

MARIO BARBI. Chiedo al Presidente se posso avere ancora due minuti in quanto mi ero preparato sulla base di un dimensionamento diverso dei tempi.

PRESIDENTE. Dovevo avvertirla, ma sta bene, onorevole.

Pag. 27

MARIO BARBI. La divisione del mondo arabo e musulmano non avvicina la pace, la allontana. Lo scriveva ieri il presidente Romano Prodi augurandosi, ovviamente, come tutti noi, il successo dell'iniziativa egiziana ed europea per una tregua duratura che avvicini il traguardo di una pace stabile. Abbiamo interesse a che la Libia aiuti in questo senso. Ciò detto, non posso tacere altri punti del trattato che lasciano perplessi: il primo è l'impegno italiano a non consentire, cito testualmente: «l'uso dei propri territori in qualsiasi atto ostile contro la Libia». È già stato detto che può essere in contrasto con il Trattato della NATO. Ci aspettiamo che il Governo ci spieghi come possano essere compatibili queste disposizioni con il Trattato NATO. Chiediamo al Governo spiegazioni in proposito. Parimenti ci lascia perplessi l'impegno per il contrasto all'immigrazione, cito testualmente anche in questo caso: «mediante la realizzazione di un sistema di controllo delle frontiere terrestri libiche, da affidare a società italiane». Francamente non capisco cosa voglia dire. Mi pare che qui, da parte dell'attuale Governo italiano, si concentrino attese esagerate e sottovalutazioni. Concentrarsi sulla Libia, dove il traffico di esseri umani si è spostato dalla Tunisia, pensando che una stretta da parte delle autorità libiche (magari da noi coadiuvate) sarebbe sufficiente a bloccare i flussi verso l'Italia, è sbagliato e ottimistico: le organizzazioni criminali si sposterebbero. Noi siamo preoccupati soprattutto del fatto che il Governo italiano mostri di non aver tenuto conto della denuncia recentemente fatta da Amnesty International secondo la quale con metodi spicci, cito testualmente: «Negli ultimi anni le forze di polizia libiche hanno arrestato e rimpatriato decine di migliaia di stranieri, accusati di essere entrati nel Paese in modo irregolare. Il Governo libico non fa distinzione tra semplici immigrati e rifugiati o richiedenti asilo». Fine della citazione. È stato detto che è in un quadro multilaterale, tra Unione europea e Unione africana, che questo tema andrebbe meglio affrontato, ma la preoccupazione riguarda gli effetti che potrà avere questa sollecitazione rivolta, da parte del Governo italiano, alla Libia ad agire con ancora maggiore determinazione. Ritengo, infatti, che in proposito dovremmo utilizzare un linguaggio e una pratica diversi ovvero agire contro i mercanti di uomini e non contro gli esseri umani in fuga dalla fame e dalla guerra. Verso di loro dovremmo dimostrare comprensione e rispetto. Devo dire che in proposito mi sento vicino alle denunce e alla sensibilità della Chiesa cattolica e lontano dalla demagogia xenofoba che ha trovato e trova (ahimé) ampia accoglienza nell'attuale maggioranza. Avremmo certamente preferito che il Trattato prevedesse un organismo congiunto di monitoraggio del rispetto dei diritti umani da parte di entrambi i Paesi contraenti. Non c'è, e questo rende ancora più rilevante il ruolo del Parlamento italiano che non può non chiedere solennemente e in modo formale al Governo di tenerlo informato costantemente riguardo l'andamento dell'applicazione del Trattato in esame. Avevamo proposto che ciò avvenisse mediante l'istituzione di una commissione che presentasse in proposito, semestralmente, una relazione al Parlamento. Anche questa nostra richiesta, in Commissione, è stata respinta. La ribadiamo.
Questa è l'analisi dell'accordo, il quale presenta luci ed ombre. In definitiva, ci auguriamo che possa servire agli interessi comuni di entrambi i Paesi, promuovendo, in un quadro multilaterale, un Mediterraneo di pace e favorendo la prosperità di entrambi i Paese perché questa è la cornice più favorevole allo sviluppo di società libere ed aperte.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare, a titolo personale, l'onorevole Mecacci. Ne ha facoltà.

MATTEO MECACCI. Signor Presidente, intervengo in questa discussione sulle linee generali sulla ratifica ed esecuzione del Trattato con la Libia anche a nome degli altri deputati della delegazione radicale nel Partito Democratico per annunciare quella che sarà una attività di opposizione Pag. 28all'approvazione di questo disegno di legge, opposizione che già abbiamo condotto in Commissione affari esteri la scorsa settimana e che ribadiamo anche per la discussione che proseguirà in Aula a partire da domani pomeriggio.
Le ragioni che ci hanno spinto a presentare in Commissione affari esteri oltre seimila emendamenti (poi ridotti ad una cinquantina e votati in Commissione) attengono ai contenuti di questo Trattato. La nostra non è un'opposizione ideologica a che vi sia un accordo ed una cooperazione anche rafforzata con un Governo come quello libico; però, riteniamo che i contenuti, i termini e le condizioni che sono state negoziate dal Governo Berlusconi e che sono state poi firmate a Bengasi lo scorso 30 agosto non riflettano l'interesse politico, economico e strategico del nostro Paese.
Questo Trattato rappresenta, a detta del Governo, la chiusura di un contenzioso tra la Libia e il nostro Paese, e rappresenta ciò anche secondo altri parlamentari che in questi ultimi minuti sono intervenuti.
Credo ci sia un aspetto in questo Trattato, in particolare quello che attiene alle questioni economiche affrontate, che è tutt'altro che chiuso. Questo Trattato impegna il nostro Paese a versare oltre 200 milioni di euro per vent'anni al Governo della Libia di Gheddafi mentre, dall'altra parte, non vi è alcun riconoscimento per i crediti che lo stesso Governo libico ha ritenuto esistenti a favore sia delle imprese sia dei cittadini italiani che sono stati rimpatriati dalla Libia.
Questo Trattato non chiude alcun contenzioso: semmai, è destinato ad aprirne altri nel settore della cooperazione economica e, considerando i primi articoli, ne aprirà sicuramente altri per quanto riguarda la cooperazione in materia di difesa.
L'Italia con la stipula del Trattato di cooperazione, amicizia e partenariato con la Libia è il primo Paese occidentale membro della NATO e dell'Unione europea che sdogana politicamente il regime di Gheddafi e gli fa avere un tipo di cooperazione rafforzata con un Paese appunto membro della NATO e dell'Unione europea prima di tutti gli altri.
Non occorre ricordarlo ai membri del Governo presenti in quest'Aula né ai colleghi parlamentari - però, occorre forse ricordarlo all'opinione pubblica che sarà raggiunta da Radio radicale o da altri organi di informazione -, che la Libia fino a pochi anni fa è stata considerata a livello internazionale un Paese sponsor del terrorismo internazionale e per questo motivo è stata sotto sanzione del Consiglio di sicurezza insieme ad una lista non molto ampia di Paesi.
La Libia ha sponsorizzato il terrorismo nella vicenda di Lockerbie, ha dovuto pagare per risarcire i cittadini ed il Governo inglese vittime di questi atti di terrorismo. La Libia è stata a lungo, al livello delle Nazioni Unite, un Paese che ha intralciato l'accertamento e la tutela della sicurezza internazionale come anche il rispetto dei diritti umani.
La Libia è quel Paese che, con un record di violazione dei diritti umani che tutti conoscono e sul quale poi mi soffermerò brevemente, nel 2003 ha presieduto la Commissione sui diritti umani di Ginevra, una Commissione che sotto quella presidenza ha portato tanto discredito alle Nazioni Unite da far decidere all'allora Segretario generale dell'ONU di proporne l'abolizione e la sostituzione con un nuovo organismo: il Consiglio sui diritti umani.
La Libia è il Paese che, quando presiedette il Comitato preparatorio per la revisione della Conferenza di Durban contro il razzismo, nel 2000, portò alcuni Paesi occidentali, in particolare Israele, Stati Uniti, e Canada, a boicottare quella conferenza delle Nazioni Unite perché le tesi che venivano portate avanti dal regime di Gheddafi erano palesemente antisemite e tentavano, come era stato già fatto in passato all'interno delle Nazioni Unite, di equiparare il sionismo al razzismo.
Questo è un Governo che, a livello internazionale, si è distinto in numerose circostanze e ultimamente anche all'interno della Lega araba, con riferimento al conflitto che è in corso - e che speriamo Pag. 29si concluda presto a Gaza - per posizioni antisemite e violente contro lo Stato di Israele e invocando, addirittura, la collaborazione degli Stati arabi per lottare contro l'entità sionista.
Questo è il tipo di Governo, il quale, nelle stesse ore in cui il nostro Presidente del Consiglio si è recato prima a Sharm el Sheik e poi a Gerusalemme ad esprimere sostegno alle autorità israeliane, sta boicottando i lavori della Lega araba chiedendo, appunto, a Paesi come l'Egitto e ad altri Paesi che cercano di intavolare una qualche collaborazione con lo Stato di Israele, di sostenere, invece, Hamas e le forze che vogliono distruggere quel Paese.
Credo che in questa decisione, che è importante per la politica estera del nostro Paese, emerga una chiara contraddizione e una chiara ambivalenza o doppiezza della politica estera italiana, che ci vede, da un lato, a fianco dei Paesi occidentali e dei Paesi democratici all'interno di alleanze internazionali che storicamente hanno rappresentato un punto di riferimento per il nostro Paese e, dall'altro, intavolare trattative economiche e politiche con la Libia di Gheddafi. Inoltre, voglio ricordare anche le trattative che sono state intavolate, nelle settimane e nei mesi scorsi, sia sul piano della cooperazione energetica sia su quella politica con l'allora Presidente - adesso Primo ministro - della Federazione russa, Vladimir Putin.
Pertanto, nella giornata di domani - quando negli Stati Uniti vi sarà la cerimonia di inaugurazione del nuovo Presidente, Barack Obama, alla quale inspiegabilmente un Governo che si proclama essere amico degli Stati Uniti, come quello italiano, sarà assente - il segnale politico che verrà da questa maggioranza di Governo (ma non solo da essa, perché il mio stesso gruppo probabilmente esprimerà il proprio voto a favore di questo Trattato) sarà che l'Italia vuole stabilire un rapporto privilegiato con la Libia di Gheddafi. Credo che ciò sia politicamente inaccettabile anche a gran parte dell'elettorato che ha sostenuto l'attuale coalizione di Governo e la mia speranza è che ciascun singolo deputato, nella giornata di domani, abbia la voglia e l'opportunità di valutare nel merito questo Trattato e non solo per appartenenza politica.
Quali sono le contraddizioni politiche cui va incontro il nostro Paese ratificando questo Trattato? Con l'articolo 4 del Trattato l'Italia si impegna a non autorizzare l'uso di basi militari, presenti sul proprio territorio, per attacchi militari che possano essere indirizzati contro la Libia. Naturalmente, la Libia fa lo stesso e si impegna a non usare le proprie basi militari per attaccare l'Italia. Tuttavia, in questo caso si va ben al di là dei normali accordi di amicizia e di cooperazione tra due Paesi. Il motivo di questa affermazione risiede nel fatto che, poiché l'Italia è un Paese membro della NATO ed essendo tutti i Paesi membri della NATO, in base all'articolo 5 del Trattato istitutivo, vincolati ad un obbligo di cooperazione e di difesa, laddove uno dei suoi membri sia attaccato, con la semplice ratifica di questo Trattato e in base alle disposizioni che vigono nel diritto internazionale (in base alla Convenzione di Vienna sui trattati internazionali) una disposizione di un Trattato approvata successivamente prevale su quella che è stata sottoscritta antecedentemente. Pertanto, se per caso la Libia, per qualche motivo, in futuro dovesse avere un confronto militare con un Paese membro della NATO (ad esempio con la Spagna, con la Francia o con la Turchia, ma non con l'Italia), l'Italia si dovrà confrontare con la circostanza che, legalmente, sarà vincolata a non collaborare con un Paese europeo, laddove fosse necessaria una risposta della nostra difesa, e invece a collaborare con il Governo libico.
Francamente, mi sembra davvero incomprensibile che tale fatto possa passare inosservato a una maggioranza e a un Governo che proclamano nell'alleanza della NATO un ancoraggio importante della propria politica estera, che vede il nostro Paese impegnato in missioni NATO in tante parti del mondo, compreso il Medio Oriente e con la possibilità anche di Pag. 30estensione di ulteriori missioni nelle prossime settimane (ad esempio, sul confine tra la striscia di Gaza e l'Egitto).
Al di là dei motivi giuridici e politici che sottendono questa decisione e a quelli economici che ho richiamato, voglio annunciare qui in Aula che domani pomeriggio saranno presenti, davanti a Montecitorio e a partire dalle 14, i rappresentanti ed i membri delle associazioni di cittadini italiani che sono stati rimpatriati dalla Libia nel 1970 (con una decisione completamente illegale e illegittima dell'allora colonnello Gheddafi), ed i rappresentanti delle imprese e dei cittadini che hanno lavorato in Libia a partire dagli anni Ottanta sotto precise garanzie dei Governi italiani, che vedono i loro diritti completamente negati e non riconosciuti in questo Trattato.
Infatti, se da un lato, come ho già detto, l'Italia si impegna in un articolo del Trattato a versare 200 milioni di euro l'anno per 20 anni, per un totale che si aggira sui 5 miliardi di dollari, per quanto riguarda i crediti dei cittadini italiani che sono stati riconosciuti e stimati (in modo più o meno credibile, ma anche da parte delle autorità libiche) attorno ai 600 milioni di euro, non si fa niente e si prevede solo l'impegno a un eventuale futuro scambio di lettere con le quali definire questo contenzioso. Pertanto, ad opporsi a questo Trattato ci saranno anche i rappresentanti dell'associazione italiana per i rapporti italo-libici e dell'associazione dei cittadini rimpatriati dalla Libia.
Credo che per una maggioranza di Governo che intenda tutelare gli interessi degli italiani nel mondo e del nostro Paese questo sia un segnale su cui riflettere. Si tratta di associazioni che non hanno un'appartenenza politica a priori e di cittadini che cercano di tutelare i loro interessi e che si vedono traditi rispetto alle promesse che erano state fatte anche da alcuni membri dell'attuale maggioranza di Governo in campagna elettorale.
Ma, a fianco della chiusura (o proclamata chiusura) del contenzioso storico tra l'Italia e la Libia, si annuncia anche a tamburo battente l'avvio di una collaborazione che finalmente possa porre fine alla questione dell'immigrazione clandestina che viene dalla Libia. Questo è un mantra che, purtroppo, viene ripetuto da troppi anni e da troppi mesi. L'Italia ha già pagato molto alla Libia per i centri di detenzione in quel Paese e purtroppo da quei centri (a Saba e a Cufra) si sono verificati molte volte episodi di gravissime violazioni dei diritti umani, che sono state anche riportate al Parlamento nella scorsa legislatura e, in particolare, dal prefetto Mori al Comitato sui servizi segreti, documentando come l'attività delle nostre forze dell'ordine in quel Paese fosse sostanzialmente al di fuori del controllo e delle norme internazionali che sono universalmente riconosciute, in particolare dal nostro Paese.
Lo dico perché avviare il pattugliamento navale congiunto, mandare i nostri soldati e le forze di polizia sul territorio libico, al di fuori delle norme che, a livello internazionale, regolano i flussi migratori e l'arrivo di rifugiati come la Convenzione ONU per i rifugiati (che la Libia si rifiuta di riconoscere e di firmare) e l'assenza di qualsiasi forma di riconoscimento (come, ad esempio, del diritto d'asilo in quel Paese) espone il nostro Paese a delle responsabilità nelle violazioni dei diritti umani che avvengono a danno di questi immigrati nel Mediterraneo e nel territorio di quel Paese, come è stato documentato da organizzazioni internazionali come Human Race Watch ed Amnesty International, che semplicemente sono inaccettabili per il nostro sistema legale e saranno inaccettabili anche per l'Unione europea.
Infatti, quando si dice che la lotta all'immigrazione clandestina dovrebbe avvenire con la collaborazione dell'Unione europea, si dimentica che l'Unione europea non potrà mai collaborare con un Paese che non abbia quanto meno ratificato e aderito agli strumenti di diritto internazionale cui l'Unione europea è vincolata, altrimenti si troverà naturalmente a compiere essa stessa una violazione delle norme di legge.
Quindi, con questo tipo di collaborazione, l'Italia si espone anche a rischi e Pag. 31responsabilità internazionali del tutto ingiustificati, tanto più che non si fa niente per porre in essere un'attività di monitoraggio attraverso i satelliti (già attualmente possibile con un impiego di risorse sicuramente molto più limitate) del traffico che si svolge nel Mediterraneo tra la Libia e il nostro Paese.
Sappiamo ormai per certo che nel corso di questi anni probabilmente ci sono state centinaia di migliaia di persone che dalle mani della criminalità organizzata, che li prende dalla Libia per portarli in l'Italia, non finiscono sulle nostre coste, ma in mezzo al Mar Mediterraneo. Che noi si alzi il vessillo della lotta all'immigrazione clandestina senza preoccuparsi della sorte di quegli immigrati, semplicemente avviando un pattugliamento congiunto, senza avere nessuna garanzia sulla fine che faranno queste navi, il loro equipaggio o le persone che si troveranno sopra, che saranno rispedite nella Libia o nei Paesi di origine, credo che sia francamente inaccettabile.
Se ciò fosse spiegato e fatto capire anche ai cittadini italiani, che sono così preoccupati anche del fenomeno dell'immigrazione clandestina, sicuramente farebbe cambiare la loro opinione. Infatti, non è davvero tollerabile che per propaganda e per identificare nel nemico che arriva dalle coste libiche il responsabile dell'assenza di lavoro e della crisi economica del nostro Paese, si possa mettere a rischio la vita e i diritti fondamentali di quelle persone. Penso che sia qualcosa di davvero irresponsabile aver negoziato un Trattato al di fuori della presenza di organizzazioni come l'Alto commissariato ONU per i rifugiati, le organizzazioni internazionali che possono essere sul territorio a fianco della nostra Guardia di finanza e della nostra Marina per verificare cosa accade.
Aggiungo che questo Trattato prevede che 200 milioni di euro l'anno siano destinati al Governo libico e che se ne chiede la ratifica e l'approvazione da parte di questo Parlamento a poche settimane dall'approvazione di ingenti tagli alla spesa per la cooperazione internazionale che sono stati effettuati dalla maggioranza di Governo. Attualmente, il budget complessivo della cooperazione allo sviluppo, cioè della cooperazione con i Paesi poveri e in via di sviluppo (dall'Africa, all'Asia, all'America latina), ammonta a circa 350 milioni di euro l'anno. Ciò significa che abbiamo tagliato più del 50 per cento delle risorse previste lo scorso anno.
Questi tagli avvengono in un momento abbastanza importante per il nostro Paese, che dal 1o gennaio presiede il G8. Tale consesso si è distinto nel corso di questi ultimi anni per aver promosso a livello internazionale tutta una serie di iniziative che miravano alla lotta alla povertà e alle malattie, in particolare all'AIDS e alla malaria. Insomma, si trattava di forme di cooperazione internazionale che vedevano i grandi Paesi più industrializzati impegnarsi anche per la difesa dei più deboli, in particolare nel continente africano.

PRESIDENTE. Onorevole Mecacci, la prego di concludere.

MATTEO MECACCI. Questa maggioranza e questo Governo hanno appena tagliato il 50 per cento di tutto il budget per la cooperazione internazionale e destinano una somma quasi analoga per la cooperazione con il regime di Gheddafi. Come questo possa essere giustificato in qualsiasi sede internazionale, a partire dal G8, è cosa che lasciamo al Presidente del Consiglio e al Ministro degli esteri, ma francamente è inspiegabile. Infatti, si mette una tassa su un'azienda italiana, cioè l'ENI, che ha investito in quel Paese per trovare risorse che sarebbero necessarie per finanziare la cooperazione allo sviluppo in tutto il mondo, in un momento in cui - lo ripeto - in Italia gli investimenti nella cooperazione allo sviluppo sono pari allo 0,09 per cento del PIL. Ricordo che solo un anno fa l'Italia aveva promesso di avvicinarsi nel corso dei prossimi cinque anni all'obiettivo dello 0,7 per cento del PIL e che tutti gli altri Paesi membri del G8 destinano molte più risorse alla cooperazione internazionale.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

Pag. 32

MATTEO MECACCI. Mi avvio a concludere. Di fronte a tutto ciò, la nostra priorità diventa la cooperazione con la Libia di Gheddafi.
Quindi, credo che ci siano moltissime ragioni di merito per riaprire questo Trattato, per non considerarlo chiuso o perlomeno per svolgere un dibattito parlamentare in cui si possa valutarne nel merito l'efficacia, perché se lo approveremo in questi termini e senza nessuna possibilità, per esempio, di un giudice terzo o di un arbitrato internazionale che possa monitorare il rispetto o il mancato rispetto di questo accordo in futuro, probabilmente ci troveremo fra non molto tempo a dover constatare che questo ennesimo Trattato stipulato con Gheddafi non sarà rispettato e ci troveremo forse a dover cercare il modo di interrompere il flusso di denaro verso quel Paese o a dover affrontare delle crisi nel campo dell'immigrazione clandestina o anche a livello politico internazionale.
Per tutte queste ragioni, abbiamo presentato con i deputati radicali, insieme al collega Colombo, gli oltre seimila emendamenti che abbiamo discusso in Commissione anche per la discussione in Aula. Sappiamo che molti non saranno ammessi dalla Presidenza, secondo le norme regolamentari, ma resta il nostro segnale politico di profondo dissenso rispetto a questa misura che, nei modi possibili e secondo le regole parlamentari, faremo valere a partire da domani pomeriggio.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Marsilio. Ne ha facoltà.

MARCO MARSILIO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, a quasi cento anni dall'inizio della colonizzazione italiana in Libia, a oltre cinquanta dalla riconquistata indipendenza da parte della Libia e a quasi quarant'anni dalla cacciata degli italiani dal territorio libico, questo Trattato segna una svolta epocale nei rapporti tra l'Italia e la Libia, una svolta epocale per quanto riguarda la nostra storia più recente.
Naturalmente il rapporto con la Repubblica libica non è stato solo complesso in ragione di questo passato di storia coloniale, ma anche a causa del soggetto che ha guidato la rivoluzione libica a partire dal 1968, il colonnello Gheddafi, per la particolare struttura con cui la Libia si è organizzata e presentata nel panorama internazionale e per la controversa attività che la Libia ha intrapreso negli scenari di crisi, anche a sostegno esplicito del terrorismo internazionale, con atti che sono stati più volte oggetto di condanna da parte delle istituzioni internazionali e che hanno provocato anche momenti di vero e proprio conflitto militare.
D'altra parte, queste considerazioni possono offrire - come sta succedendo anche in questo dibattito - ampi argomenti a chi vuole inficiare l'opportunità e la giustezza di questo Trattato.
Certo, non è facile fidarsi del colonnello Gheddafi, non è facile prendere sul serio una serie di impegni che sono stati messi nero su bianco, ma credo che sia dovere della Repubblica italiana tentare questa strada, perché non ne vediamo molte altre in alternativa. È doveroso percorrerla fino in fondo con serietà, mettendo alla prova il nostro partner per vedere se questi lunghi anni hanno fatto maturare un approccio diverso nelle relazioni internazionali e per cercare di capire e sperimentare fino in fondo se questa strada può portare a degli effetti benefici che vengono illustrati e che ci aspettiamo da questo Trattato.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ANTONIO LEONE (ore 17,50)

MARCO MARSILIO. In particolare, il primo di essi riguarda la sicurezza reciproca con il contrasto all'immigrazione clandestina, che è lo strumento principale attraverso il quale si debella la piaga del commercio di carne umana, che oggi consente a troppa gente di speculare su questa tragedia e su questa sofferenza.
Quando sento qualcuno, anche in quest'Aula, continuare a recitare il mantra che questo Governo, la maggioranza di centrodestraPag. 33 sarebbe una maggioranza di perfidi cattivi perché contrasta gli immigrati clandestini, come se ce l'avesse con i poveretti disgraziati che tentano di entrare nel nostro Paese, si fa finta di non capire che il modo migliore di garantire la loro dignità umana è evitare che qualcuno possa speculare su questa sofferenza, fare commercio delle loro braccia e, trovando frontiere libere e aperte, o comunque poco controllate, organizzare le carrette del mare, i viaggi della speranza, che sono invece viaggi di disperazione, verso il nostro Paese. Quando accadrà (e noi siamo fortemente impegnati a sostenere il Governo in questo) che anche quella frontiera sarà controllata e vigilata, questi mercanti non troveranno più possibilità di alimentare tale commercio e noi beneficeremo anche dell'effetto di avere maggiore sicurezza ai nostri confini e di evitare di dover pagare le conseguenze del fenomeno.
Tuttavia, c'è un elemento specifico molto importante che manca in questo Trattato e che mi spinge, come ho già fatto in sede di Commissione, a reiterare anche in l'Aula la presentazione di un emendamento volto a sanare una mancanza grave. Mi appello con forza al Governo, oltre che al relatore, affinché modifichino l'avviso che hanno espresso in Commissione, dando un parere favorevole all'accoglimento di un emendamento che tende a sanare l'annosa questione dei rimpatriati italiani dalla Libia, che attendono una soluzione da circa quarant'anni. Nel provvedimento in discussione si fa un accenno, tutto sommato generico, ai crediti vantati dalle imprese, ma non vi è una sola riga che riguardi i diritti degli italiani che hanno subito delle confische e che sono stati cacciati dai territori e dalle città nelle quali alcuni abitavano da generazioni, altri addirittura da prima che l'Italia conquistasse la Libia nel 1911 e la trasformasse in una propria colonia, e che ancora oggi attendono di essere debitamente risarciti. Ci sono stati dei risarcimenti parziali nel corso degli anni, che hanno dovuto comunque attendere almeno dieci anni perché la prima legge in materia è del 1980; successivamente ne è stata approvata una nel 1985 e un'altra nel 1994; tuttavia, queste leggi che hanno previsto una serie di indennizzi sono state largamente insufficienti ad indennizzare i nostri concittadini di quanto avevano perso.
Credo che se il Governo accetterà l'emendamento che tende ad inserire all'interno di questo provvedimento delle misure attraverso le quali la Repubblica italiana si faccia carico di questo debito morale, oltre che economico, nei confronti di qualche decina di migliaia di nostri concittadini, e vada così a chiudere questa ferita, definendo in maniera completa tutti i contenziosi aperti dalla vicenda italo-libica, non solo non farà alcun danno a se stesso e all'Italia, ma anzi ne avrà un grande beneficio in termini di credibilità morale, politica e culturale.
Si tratta, infatti, di un atto dovuto nei confronti di cittadini che per la loro appartenenza e per la loro fedeltà alla nostra Repubblica hanno pagato un prezzo ingiusto e lo stanno continuando a pagare ormai da generazioni. Queste famiglie sono state cacciate nel 1970, perciò oggi ci troviamo a discutere di questo tema con i figli e i nipoti delle persone cacciate, molte delle quali non hanno potuto vedere questo giorno, e non vogliamo che anche altri non possano vedere il giorno del risarcimento che è loro dovuto perché di anno in anno, con l'età, le persone scompaiono e restano soltanto i loro eredi.
Credo che una comunità come la nostra Repubblica si debba fare carico di questo dovere e non è possibile addolcire la pillola di un diniego attuale a questo risarcimento ipotizzando un futuro provvedimento, come spesso si fa quando non si vogliono affrontare le questioni. Siamo perfettamente d'accordo, in linea di principio, sul fatto che non esistono soltanto i rimpatriati dalla Libia, ma anche altri esuli ai quali siamo vicinissimi per storia politica e personale, in particolare, il caso più vistoso e più conosciuto è quello degli esuli giuliano-dalmati e istriani che meritano anch'essi ed altrettanto un riconoscimento degli indennizzi loro dovuti.Pag. 34
Tuttavia, affermare che non sia oggi questa la sede idonea, perché dobbiamo fare un provvedimento che riguardi tutti, rappresenta il classico ragionamento che si trasforma però in quell'adagio per cui il meglio è nemico del bene e, in attesa di fare meglio (che non si sa bene quando e se si farà), ci sono persone che soffrono e che continuano a soffrire. Questa volta esse subiranno anche l'ingiustizia di veder riconosciuto al colonnello Gheddafi (che è stato il loro - possiamo dirlo - aguzzino, ovvero la persona che li ha espropriati e cacciati senza alcun rispetto della loro dignità, della loro storia e delle loro sofferenze) e alla Libia miliardi di dollari di risarcimenti per il passato. Nello stesso tempo non troviamo una misura molto più modesta (che abbiamo quantificato in 50 milioni di euro all'anno per cinque anni, a fronte degli oltre 200 milioni di euro per vent'anni riconosciuti alla Libia) e non si ha il coraggio, la forza, la capacità e la sensibilità di individuare una piccola cifra a confronto, per sanare questa ormai atavica ferita.
Credo che ciò costituisca un errore politico che il Governo di centrodestra non deve commettere e rispetto al quale non credo che domani, quando voteremo su questo argomento, sarò solo come in questo momento in cui stiamo semplicemente parlando e discutendo, ma saremo in molti ad avere questa stessa sensibilità ed attenzione. Spero e credo che il Governo sappia cogliere questo appello che proviene dai banchi di chi lo sostiene lealmente, di chi vuole migliorare un provvedimento nell'approvarlo, di chi vuole fare in modo che il provvedimento, nel momento in cui sarà approvato, costituisca anche un momento di gioia per i nostri concittadini.
Questi ultimi proprio in questi giorni e in queste ore stanno, invece, manifestando sofferenza, amarezza e disappunto, anche perché hanno riposto nel Governo di centrodestra molte speranze e giuste aspettative per vedere risolto questo tema. Anche perché quando, a partire dal 1970, vennero cacciati dalla Libia l'accoglienza che ricevettero in Italia non fu calorosa e non ci fu grande solidarietà e grande apertura. Ciò perché il pregiudizio culturale per cui gli italiani che erano rimasti in Libia (come qualche decennio prima gli italiani che erano rimasti nella Jugoslavia e che fuggivano dalla Jugoslavia socialista di Tito) fossero in realtà dei biechi reazionari, quando non addirittura dei fascisti e che quindi andassero maltrattati al loro arrivo in Italia, era un pregiudizio largamente diffuso.
Contro quel pregiudizio furono pochi gli esponenti e le forze politiche che, invece, manifestarono diretta, immediata e umana solidarietà a questi cittadini. Tra questi ovviamente in questa sede io vanto con orgoglio il fatto di provenire dalla forza politica (il Movimento sociale prima, oggi Alleanza Nazionale) che ha sempre e sin dall'inizio manifestato questa sensibilità e quest'attenzione. È, quindi, per noi un fatto assolutamente scontato, automatico e un dovere morale e politico quello di essere coerenti con questa nostra storia, di portare a definizione questa vicenda e di cogliere quest'opportunità, in quanto non ve ne è un'altra.
È inspiegabile rimandare ad altre occasioni (che non sono nemmeno ben calendarizzate ed ipotizzate) il momento della sanatoria e del risanamento di questa ferita che ancora sanguina ed è ancora aperta. Adesso abbiamo quest'opportunità, perché oggi stiamo parlando dei rapporti tra l'Italia e la Libia e oggi definiamo con la Libia una serie di contenziosi. Sappiamo che sarebbe stato irrealistico, infantile e velleitario pretendere che Gheddafi ripagasse o scontasse rispetto alla cifra determinata per il suo indennizzo la quota parte che già si è preso incamerando i beni dei nostri connazionali. In linea di diritto e teoricamente ciò sarebbe stato assolutamente giusto, inequivocabile e indiscutibile, ma la politica è realismo e soprattutto la politica dei rapporti internazionali si fa con il realismo. Quindi, sappiamo che non possiamo chiedere a Gheddafi di ripagare o di scontare quota parte di quanto gli spetta da questo Trattato per stornarlo ai nostri connazionali.Pag. 35
Siamo noi che dobbiamo farcene carico: come Repubblica è un prezzo che vogliamo pagare, anche se ciò costerà un aggravio immediato e non momentaneo sul bilancio dello Stato e potrà costare un taglio lineare a tutti i Ministeri. Credo, però, che 50 milioni distribuiti tra tutti i dicasteri e nell'arco di tutte le missioni di spesa sia un ben modesto sacrificio, che si può compiere di fronte a un fatto così importante, qual è quello di mostrare la solidarietà dell'intera comunità nazionale nei confronti di qualche decina di migliaia di nostri connazionali che sono stati ingiustamente colpiti, oltre che nei loro affetti, anche nelle loro risorse economiche.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Enzo Carra. Ne ha facoltà.

ENZO CARRA. Signor Presidente, capisco le perplessità e i problemi posti dalla discussione in merito alla ratifica del Trattato di amicizia tra Italia e Libia, ma non capisco la paralisi alla quale porterebbero alcuni ragionamenti che ho sentito e che sentiremo probabilmente domani, per lo meno fino al momento della votazione finale. Questa, infatti, è una scommessa sul futuro: noi, naturalmente, non scegliamo la storia nella quale siamo immersi, ma non possiamo neanche farci bloccare tutte le volte dalle circostanze con le quali abbiamo a che fare.
Possiamo, certo (come ha fatto prima qualcuno, in particolare l'onorevole Buttiglione), lamentarci dei proclami di Gheddafi per chiamare volontari sulla striscia di Gaza, ma credo che sia più importante sperare e contare sul fatto che nella striscia di Gaza e in quella regione non vi sia più bisogno di combattenti: mi sembra che questo sia l'argomento principale. Possiamo anche lamentare l'immigrazione che proviene dalle coste libiche e che prima proveniva da quelle tunisine, ma che certamente non può essere posta in capo al Governo libico: mi sembra che ciò sia stato chiarito, sia in Commissione sia in Aula.
Certo, però, un Trattato di cooperazione come questo può forse aiutare ed è già un fatto positivo e lo ritengo, per molti versi, storico (una volta tanto si può usare tale aggettivo). In primo luogo, si chiude con decoro, onorevole Marsilio, un lungo e travagliato periodo dei rapporti tra questi due Paesi. Per questo obiettivo l'Italia ha lavorato lungamente, anche in maniera seria e riservata, per tanti anni, anche quando autorevoli alleati ce lo sconsigliavano, anzi volevano proibircelo: si tratta di un dato di autonomia della nostra politica internazionale che non va dimenticato e sottovalutato.
In secondo luogo, con questo atto offriamo un raro esempio di conciliazione tra Stati, che altre nazioni d'Europa non sono riusciti a fare: non vi sono altri esempi di trattati di questo tipo tra nazioni ex colonizzatrici e nazioni ex coloniali. Credo si possa dire che si tratta anche di un ponte tra il mondo arabo e l'Africa, di cui l'Italia, in questa situazione, diventa stratega e protagonista: anche questo non mi pare poco.
In terzo luogo, il Trattato apre una strada nuova, non soltanto per i nostri rapporti con la Libia e con il mondo arabo in generale, ma anche, certo, in campo economico, culturale e della sicurezza e, direi, anche in campo religioso. Ricordo che in Libia la religione cattolica è rispettata: il vescovo di Tripoli, un tripolino, si chiama Monsignor Martinelli ed è un difensore della religione cattolica: ciò non succede spesso in altri Paesi del mondo arabo.
In quarto luogo (per una ragione più politica), il Trattato costituisce un importante passaggio, forse l'unico, nel quale vi è stata continuità di azione, non soltanto tra Governi di centrosinistra e di centrodestra. Esso poteva essere ratificato, nella scorsa legislatura (troppo breve), dal Governo Prodi, con il Ministro degli affari esteri D'Alema: sarebbe stato diverso? Migliore o peggiore? Forse migliore, ma vi è una continuità di azione. Direi che, più in generale, si tratta di una continuità di azione anche con i Governi della mai abbastanza deplorata prima Repubblica. Anche questo mi sembra un dato di un certo interesse storico, se non politico.Pag. 36
Insomma, siamo davanti ad un grande gesto, per il quale dobbiamo ringraziare anche la buona volontà - è stato già detto - e l'intelligenza della diplomazia libica. È un grande gesto che chiude - certamente non seppellisce - una pagina vergognosa di colonizzazione, fatta di campi di concentramento, di stragi, di deportazioni in Italia di cittadini libici. Mi direte che non è la stessa cosa. È vero, ma oggi dobbiamo anche pensare e comprendere il dolore delle migliaia di libici, i cui parenti sono venuti a morire in Italia, ma anche delle migliaia di italiani nati in Libia e delle migliaia di italiani che hanno i loro morti in Libia.
Dunque, è una decisione che deve servire all'Italia, ma anche alla Libia, ai suoi cittadini e ai loro diritti. Una logica di dialogo non può che far bene ai diritti dei cittadini libici. Anche in dissenso con quanto ho ascoltato, non credo che bisognerà aspettare troppo, addirittura il dopo colonnello Gheddafi, per aprire questa stagione. Credo che già un Trattato di questo tipo possa servire a qualcosa sul tema dei diritti. Per una volta, una scelta condivisa non risolve soltanto un problema storico, ma apre una prospettiva nuova, di cui difficilmente i nostri partner dell'Occidente potranno non tener conto.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Colombo. Ne ha facoltà.

FURIO COLOMBO. Signor Presidente, so che lei sarà benevolmente tollerante e, nei limiti del possibile, cercherò di non approfittare di questa tolleranza. Signor Presidente, questa Camera conosce lo spirito di netta contrapposizione che spesso (anzi non spesso, perché intervengo di rado, ma quando ho la possibilità di intervenire in quest'Aula) porto nei miei interventi.
Non è questo lo spirito che guida questo mio intervento, sia perché, come è noto, dal momento che ho firmato tutti gli emendamenti presentati dai radicali, in particolare dall'onorevole Mecacci, la mia posizione e il mio sentimento su questo Trattato non coincidono con le dichiarazioni formali espresse dal gruppo cui appartengo, sia perché il fatto stesso che il relatore di questo disegno di legge di ratifica del Trattato sia l'onorevole Pianetta, ossia una persona che stimo, apprezzo e della quale ho fiducia, mi induce a restare nello stesso spirito con cui ho cercato di svolgere il mio intervento in Commissione, che è probabilmente uno spirito illusorio. È l'illusione che ci sia in quest'Aula non da una parte contro l'altra, ma in una parte e nell'altra, un'attenzione e un ripensamento per alcuni aspetti molto gravi di questo Trattato.
L'ho sentito dire dall'onorevole Marsilio a metà del suo intervento: è stata una richiesta di cambiamenti, proprio su un punto estremamente delicato, che è quello dell'estromissione dei diritti degli italiani che sono stati cacciati dalla Libia. Il fatto che abbia dedicato una parte così importante del suo intervento a questo aspetto ci dice quanti problemi si annidino in questo Trattato, fatto in modo così enfatico, firmato così in fretta, celebrato in modo così drammatico e teatrale, venduto come la soluzione di tutti i problemi dell'immigrazione e sottoposto alla nostra approvazione in un tempo incredibilmente breve, che non corrisponde all'iter e al tempo che alle Camere è riservato alla ratifica dei Trattati.
Signor Presidente, vorrei dire - lo dirò in forma schematica, dato il tempo limitato che mi è stato assegnato - che in molti punti e aspetti del nostro Trattato siamo fuori dalla Costituzione, fuori dalla Convenzione di Ginevra, fuori dalla carta dell'ONU e fuori dal patto della NATO.
E mettiamo in questione il rapporto che proprio questo Governo, e proprio con più enfasi ancora del centrosinistra, la maggioranza di centrodestra di esso mostra che sia la posizione italiana nei confronti e a sostegno dello Stato di Israele. Perché è proprio contro lo Stato di Israele che nei giorni in cui stavamo discutendo la ratifica di questo Trattato in Commissione affari esteri, il colonnello Gheddafi ha due volte chiesto l'intervento di volontari che andassero a combattere a Gaza; non ha chiesto quindi l'intervento dei Paesi arabi, Pag. 37come sarebbe stato legittimo e naturale, a sostegno o a solidarietà, non ha chiesto la fine delle ostilità o il cessate il fuoco: ha chiesto guerra!
Che cos'è il Trattato che stiamo per ratificare se non un trattato militare? È molto grave, ci mettiamo ai margini della comunità sia europea sia della NATO di cui siamo parte, nel momento in cui stabiliamo un partenariato militare con il Governo di Gheddafi, con il passato di Gheddafi, con il comportamento di Gheddafi, con le opere e le avventure vissute e rappresentate da Gheddafi, e anche con cose dette, affermate, ribadite in questi giorni. È un Trattato che prevede che soldati italiani siano in funzione nel territorio fra il Ciad e la Libia: presenza di soldati italiani per monitorare il deserto, qualcosa che non accadeva dal 1936! Oltre alle missioni di pace, inauguriamo in questo caso le missioni anti-immigrazione dei soldati italiani. Non so se le Forze armate italiane sono pronte e disposte ad assumersi questo tipo di compito, perché si troveranno a fronteggiare gli ultimi disperati sopravvissuti della marcia nel deserto, e non sono competenti i soldati, per quanto sappiamo che si comportano sempre molto meglio degli altri in tutte le missioni a cui sono assegnati, sulla questione del diritto d'asilo; e questo diritto sarà drasticamente ignorato.

ENZO SCOTTI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Ma dove sta scritto?

FURIO COLOMBO. Sappiamo anche che si richiederà ad una flotta di navi, provvedute a spese dell'Italia alla marina libica, di pattugliare le coste tra la Libia e Malta. In questo modo accadranno o potranno accadere delle cose anche drammaticamente disumane, che nessuno potrà monitorare e che nessuno potrà vedere; perché vi raccomando di immaginare la delicatezza dei marinai libici nel momento in cui si trovino di fronte a un gommone alla deriva! Non assomiglierà al comportamento di quei pescatori siciliani che volontariamente sono usciti col mare grosso per salvare dei barconi e li hanno salvati, e dovrebbero essere riconosciuti come eroi della vita italiana, e ci siamo dimenticati persino dei loro nomi! Ma certo non sarà la missione che sarà affidata alla flottiglia militare libica, a cui viene assegnato il compito di toglierci, di fronte alle nostre coste, l'arrivo di immigrati disperati e stremati che noi non ci sentiamo, nonostante certi inviti un po' spregiudicati, di respingere in mare.
Teniamo conto di questo, e teniamo conto che in questo Trattato sono stati completamente ignorati i diritti degli italiani: forse due o tre parole qua e là, ma non una cifra, niente di concreto. È stato completamente ignorato, signor Presidente, il fatto che la Libia è il solo Paese nel quale sono avvenuti dei pogrom contro cittadini italiani ebrei, inseguiti e uccisi nelle strade di Bengasi e di Tripoli nel 1946, nel 1947, nel 1948: cioè dopo l'abbattimento dei cancelli di Auschwitz, dopo la fine della guerra, dopo il processo di Norimberga e poco prima del processo di Eichmann. Ebrei italiani di cui non esiste traccia, che non ricordiamo mai, per i quali non abbiamo avuto nulla da dire o nulla da inserire o nulla da richiedere in questo Trattato. La Libia non ha firmato la Convenzione di Ginevra, la Libia non ha firmato nessuno degli impegni internazionali e umanitari che un Paese come l'Italia non può che voler prospettare e rispettare.
Siamo al di fuori dall'articolo 35 della Costituzione laddove prevede che la Repubblica tutela il lavoro italiano all'estero - aspetto che qui risulta assolutamente trascurato - e riconosce la libertà di emigrazione. Noi stiamo ratificando un Trattato che, tutto sommato, ha un unico vero scopo, che è quello di drenare, il più possibile, e con qualunque mezzo, che non vogliamo neppure sapere, l'immigrazione verso le coste italiane. Ecco la ragione per cui ho firmato gli emendamenti presentati dei radicali eletti nelle liste del Partito Democratico, e per cui sono profondamente, appassionatamente, non solo contrario, ma costernato che il mio gruppo pensi seriamente di approvare un simile Trattato. Malgrado ciò, sono incoraggiato dal fatto che se persone come l'onorevole Pag. 38Pianetta se ne stanno occupando, dovranno per forza, anche dal centrodestra, farsi carico di queste obiezioni e risponderci con appassionata precisione, in modo di sapere perché l'Italia deve diventare protagonista di una simile avventura.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 2041-A)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, onorevole Pianetta.

ENRICO PIANETTA, Relatore. Signor Presidente, innanzitutto ringrazio tutti i colleghi che sono intervenuti in questo così ampio dibattito. Credo che debba essere sottolineato che questo Trattato deve avere un grande respiro strategico: deve essere, al tempo stesso, un punto di arrivo, di normalizzazione, di cui si deve tener conto, e deve essere anche un elemento di beneficio per tutta la comunità internazionale. In premessa, ho voluto proprio riconoscere che questo è un Trattato che rappresenta un punto di arrivo, di normalizzazione - cito testualmente -: «cui si sono dedicati i Governi italiani che si sono succeduti in questi anni». Questo è un elemento che deve essere sottolineato, anche se poi ho voluto - perché è un dato di fatto - evidenziare la determinazione di questo Governo a chiudere, con questo Trattato, il passato, e ad aprire delle prospettive. Ha fatto bene, secondo me, l'onorevole Enzo Carra, ad affermare che questo Trattato è uno scommessa sul futuro; naturalmente, come tutti i Trattati, vi è la necessità di poterlo gestire, valutare, nel prosieguo del tempo, anche perché il tempo di applicazione previsto nel Trattato è lungo. Si può sperare che vi possa essere - senza interferire, ma come contributo di collaborazione - un'evoluzione, una capacità di creare delle nuove condizioni in un'area così strategica, e importante, come il Mediterraneo, il Nord Africa e l'Africa, anche in un contesto di rapporti di collaborazione con l'Unione europea; l'Italia, può svolgere questa funzione.
Di evoluzione si può parlare. Lo stesso Segretario di Stato americano, Condoleezza Rice, ha affermato recentemente che gli Stati Uniti non hanno Stati nemici permanenti e che nei confronti della Libia la svolta si è resa possibile con la rinuncia alle armi di distruzione di massa e con la presa di posizione sul terrorismo. Anche se le ultime dichiarazioni devono rappresentare un elemento di preoccupazione, di valutazione, vi deve essere una grande capacità per creare le condizioni di collaborazione verso un percorso, indubbiamente difficile, complesso e problematico, ma che per essere realizzato non si può pensare di non utilizzare tutte le nostre intelligenze, e determinazioni.
Del resto vi è anche un altro aspetto - affronterò soltanto due o tre argomenti perché i tempi sono brevi - e mi riferisco alla questione degli italiani cacciati. È una pagina indubbiamente dolorosa perché nel 1970 20 mila italiani, nell'arco di pochissime ore, sono stati costretti ad abbandonare la Libia, 37 mila ettari erano di loro proprietà, nonché 400 miliardi delle lire di allora nelle banche ed edifici, quindi non c'è soltanto in ogni caso - ha fatto bene il collega D'Amico a richiamare anche le parole con le quali...

PRESIDENTE. Deve concludere.

ENRICO PIANETTA, Relatore. Mi riferisco al fatto - concludo Presidente - che noi dobbiamo esprimere tutta un'attenzione non soltanto patrimoniale, ma anche relativa ai diritti morali. Se il Presidente mi concede un minuto vorrei illustrare un'altra questione, quella relativa all'immigrazione. Non c'è dubbio che si tratta di un tema complesso perché si fa riferimento indubbiamente ad una migrazione che arriva ai confini della Libia, proveniente da realtà caratterizzate da carestia e da situazioni che non possiamo non definire come genocidio (se pensiamo alle realtà del Darfur). Quindi è chiaro che noi dobbiamo mettere in atto una strategia e Pag. 39una capacità che non può essere definita soltanto attraverso questo Accordo bilaterale, che presenta - per quanto riguarda questo argomento - l'impegno di dare vita a degli strumenti di controllo alle frontiere terrestri realizzati da società italiane. Ma dobbiamo mettere in atto anche quella guerra assolutamente fondamentale nei confronti delle organizzazioni criminali che sono i trafficanti di esseri umani.
Allora, è questo il contesto nel quale noi dobbiamo cercare di lavorare in una dimensione regionale, in una dimensione che possa veramente contribuire a fare in modo che questa schiavitù del nostro secolo possa essere debellata. Allora - concludo Presidente - questo Trattato ha la capacità di definire un tassello ulteriore che privilegia alcuni aspetti e che si aggancia anche ad accordi pregressi con la stessa Libia. Quindi, credo che il nostro intendimento sia proprio quello di riuscire a gestire questo Accordo attraverso una scommessa e attraverso la capacità di contribuire tutti quanti alla soluzione di temi così complessi e impegnativi come quelli di cui abbiamo discusso.

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

ENZO SCOTTI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Signor Presidente, anzitutto voglio ringraziare il relatore per la correttezza e la chiarezza della sua esposizione, e voglio ringraziare anche coloro che sono intervenuti, anche sollevando dubbi e preoccupazioni in ordine al Trattato e alla sua ratifica. Ma io penso che in questo momento questa Assemblea debba riflettere con estrema attenzione sulla scommessa politica che con questo Trattato l'Italia fa.
Vorrei ricordare che vi sono stati altri momenti, come quando il nostro Paese ha chiuso il suo contenzioso e il suo rapporto di amicizia con l'allora Repubblica federale jugoslava attraverso il Trattato di Osimo: allora tante preoccupazioni furono espresse in quest'Aula e in seguito il tempo e la storia si sono impegnate a dimostrare quanto lungimiranza vi fosse nel rischiare e nell'assumersi anche oneri e responsabilità.
È stato detto che questo Trattato non è il frutto di una decisione immediata e rapida ma è il frutto di un cammino di anni che ha visto Governi con diversi orientamenti politici lavorare attivamente per la propria realizzazione. Voi sapete bene che a questo Trattato si aggiungerà anche l'accordo tra l'Unione Europea e la Libia, che l'Italia sta sollecitando e a cui sta partecipando attivamente, riguardante tanti temi oggetto del Trattato in esame.
Di fronte alle preoccupazioni qui espresse vorrei sottolineare un dato: pochi giorni fa, parlando al Senato degli Stati Uniti, il Segretario di Stato nominato, Hillary Clinton, ha parlato di quello che ha definito smart power, cioè la necessità di fare tutti un passo in avanti sullo scenario delle grandi controversie internazionali rispetto al ricorso alla guerra per ricercare una pluralità di strumenti negoziali, diplomatici e non, di cooperazione e collaborazione. Ora in questi anni tutti hanno sottolineato come alcune volte la scelta della contrapposizione dura non avesse sperimentato fino in fondo la strada del dialogo, della cooperazione, del negoziato, anche con quello che ricordava prima il relatore Panetta citando il Segretario di Stato attuale, in carica fino a domani, Condoleezza Rice, in ordine alla Libia e al nemico libico.
Ritengo che dobbiamo ricordare tutti insieme che se c'è un filo che ha legato le diverse grandi forze politiche di questo Paese è stato la costante amicizia e solidarietà con Israele e con il suo diritto alla sicurezza e anche il tentativo costante di dialogare e di trovare vie per arrivare alla pace. Questo è stato. In fondo questo Trattato si iscrive dentro la grande linea di politica estera del nostro Paese. Quindi, da questo dobbiamo partire: vi deve essere il coraggio di chiudere una controversia quarantennale e di cercare di passare, nell'ambito del Mediterraneo e del Medio Oriente, attraverso una strada difficile e dura. Non sarà semplice la sua gestione e non sarà semplice il cammino che dovrà essere condotto, ma non c'è alternativa Pag. 40alla possibilità che noi abbiamo di contribuire alla pace e alla stabilità nel Mediterraneo e nel Medio Oriente attraverso questi trattati di amicizia, di accordo, di cooperazione e integrazione. Questo è l'Italia e l'Europa.
Il Trattato parte dal rispetto della legalità internazionale ed impegna le parti ad adempiere in buona fede agli obblighi da esse sottoscritti, sia quelli derivanti dai principi e dalle norme del diritto internazionale universalmente riconosciuti, sia quelli inerenti al rispetto dell'ordinamento internazionale. Si sottolinea, infatti, la centralità delle Nazioni Unite nel sistema delle relazioni internazionali.
Alla Carta delle Nazioni Unite, fa riferimento anche l'articolo 3, che contiene l'impegno delle parti a non ricorrere alla minaccia o all'impiego della forza contro l'integrità territoriale o l'indipendenza politica della controparte, o a qualunque altra forma incompatibile con la Carta delle Nazioni Unite. Il rispetto della legalità internazionale è richiamato proprio all'articolo 4 del Trattato in oggetto, che impegna le parti ad astenersi da qualunque forma di ingerenza e, nel rispetto dei principi della legalità internazionale, a non usare, né consentire, l'uso dei rispettivi territori per compiere atti ostili nei confronti dell'altra parte. Questo articolo è stato oggetto di particolare attenzione nel corso del negoziato ed è stato in particolare oggetto di riflessione in Commissione ed in Aula. Il richiamo al rispetto dei principi della legalità internazionale ci consente di salvaguardare gli obblighi derivanti da altri Trattati, ivi compresi, naturalmente, gli obblighi della NATO. Anche all'articolo 23, destinato alle disposizioni finali, si compie un ulteriore richiamo al rispetto della legalità internazionale. L'Italia ribadisce, nella sede solenne del Parlamento, che questo è il dato. Il Trattato risulta, pertanto, ben inserito nel più ampio contesto degli obblighi internazionali che vincolano il nostro Paese.
Un ulteriore aspetto che, in fondo, rappresenta la novità importante del Trattato in oggetto, è rappresentato dal fatto che tale Trattato non demanda a sistemi di monitoraggio esterni, ma affida la sua realizzazione ed implementazione ad un partenariato bilaterale tra l'Italia e la Libia. Pertanto, oltre a prevedere meccanismi di consultazione politica, con riunioni annuali a livello di Capi di Governo e di Ministri degli affari esteri, il Trattato traccia le direttrici del consolidamento e della cooperazione in ambito scientifico, culturale, economico ed industriale, nel settore energetico, nella lotta al terrorismo e alle organizzazioni che sfruttano l'immigrazione clandestina, nel settore della difesa e in quello della non proliferazione e del disarmo. Infine, sono previste forme di collaborazione interparlamentare e tra enti locali. In altre parole, vi è tutto l'ampio spazio affinché le preoccupazioni che sono state sottolineate nel dibattito possano trovare, nella sede propria del dialogo e dell'intesa politica, il migliore controllo possibile. L'aver previsto anche forme di collaborazione interparlamentare e tra gli enti locali rafforza, ancora di più, quanto mi sono permesso di dire.
In quest'Aula, si è discusso in ordine agli impegni economico-finanziari che l'Italia ha assunto con questo Trattato.
Non dobbiamo dimenticare una cosa fondamentale: nell'agosto dello scorso anno, questo Parlamento chiese al Governo di operare per una differenziazione delle fonti di approvvigionamento energetico del nostro Paese, fino al punto che alcune parti politiche chiesero la nostra autonomia e indipendenza rispetto a quelle provenienti dall'est dell'Europa. L'Italia, da anni, lavora in questa direzione, nella prospettiva di differenziare le sue fonti energetiche e questo accordo va proprio in quella direzione fondamentale. Non vorrei che altri Paesi camminassero più rapidamente di noi e che non cogliessimo l'opportunità offertaci da questo Trattato di rafforzamento dell'amicizia e della collaborazione tra Stati quale elemento importante per stabilizzare anche le fonti di approvvigionamento del nostro Paese. Ciò è evidente: la copertura finanziaria del provvedimento lo evidenzia chiaramente ed è in quella direzione. Pag. 41Nessuno si sarebbe immaginato di imporre oneri indirettamente sui contribuenti: essi sono legati ad una nostra presenza, attraverso l'ENI, nell'approvvigionamento delle fonti petrolifere.
Infine, si è discusso molto sul problema dei clandestini. La linea del nostro Governo è stata quella, anche nel recente passato, di dimostrare un'apertura all'accoglienza e all'integrazione per coloro che arrivano legalmente e nel contrasto all'immigrazione illegale, soprattutto allo scopo di contrastare il traffico degli esseri umani. Combattendo l'«illegale», si combatte contro coloro che organizzano: perché l'«illegale» non è una persona isolata, è un'organizzazione dietro la quale sappiamo che c'è parte della criminalità internazionale. Abbiamo detto che occorre cooperare: questo problema non si risolve da soli ma insieme ai Paesi di provenienza. Lo sforzo che bisogna fare - che è stato fatto con l'Albania e con altri Paesi - è quello di trovare accordi e intese per lavorare insieme, per riuscire a bloccare il traffico degli essere umani: di questo si tratta. Cosa intendo dire? Onorevole Colombo, lei sostiene che i nostri militari vanno sul territorio libico: ciò non è scritto da nessuna parte nel Trattato. All'articolo 19 si parla soltanto della realizzazione di un sistema di controllo delle frontiere territoriali libiche, da affidare a società italiane in possesso delle necessarie competenze tecnologiche.

FURIO COLOMBO. Le guardie notturne? Faranno le multe?

ENZO SCOTTI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Come? Ma dove è scritto? Dove stanno le guardie notturne? La responsabilità è delle autorità di polizia libiche e di nessuno che sia fuori. Noi realizziamo il sistema, punto e basta. Lo realizza una società italiana, non ci solo militari italiani, né ci sono vigilantes italiani.

MATTEO MECACCI. Ma nel decreto-legge sulle missioni c'è la Guardia di finanza!

ENZO SCOTTI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Certamente, la Guardia di finanza c'è, ma in materia di contrasto marittimo. Noi abbiamo il dovere di fare, insieme, il pattugliamento.

FURIO COLOMBO. Insieme? Quindi per la prima volta ci saranno soldati italiani!

ENZO SCOTTI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Ma si tratta del pattugliamento sul mare! Siamo sul mare libero e dobbiamo realizzare un pattugliamento per evitare tragedie e per dare soccorso. Lei sa quante persone muoiono nel trasporto perché non c'è un pattugliamento né un controllo di quella fascia di mare?

FURIO COLOMBO. Lai sta facendo un discorso sovietico! Ogni cosa ha un altro significato!

ENZO SCOTTI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Ma che discorso sovietico? Guardi, io non ho fatto mai il sovietico. Lei ha diretto un quotidiano (Commenti del deputato Colombo) non ponga ...

PRESIDENTE. Onorevole Colombo, non vorrei interromperla, ma lei non deve interrompere il rappresentante del Governo!

FURIO COLOMBO. Adesso lei vuol dire a me quanti muoiono in mare? Ci ho passato una vita su questo!

PRESIDENTE. Prego, onorevole sottosegretario.

ENZO SCOTTI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Grazie, signor Presidente. Il dato del Trattato è quello!
Vorrei fare un'ultima osservazione riguardo ai cittadini. Per le imprese il Trattato definisce il percorso e c'è una differenza di valutazione, di ammontare del rimborso che è affidato al negoziato entro Pag. 42margini che sono stati già definiti dalle due parti, sia da quella italiana, sia da quella libica.
Per quanto riguarda i nostri concittadini ed il risarcimento, il Governo ha detto una cosa semplice: esiste una discussione aperta, nelle commissioni competenti, per il rimborso e non solo dei libici, si vada avanti in quella direzione. Il Governo non ha nessuna obiezione di merito ad entrare e definire una linea che rispetti il diritto di questi nostri concittadini (che hanno sofferto, e sofferto pesantemente in anni difficili) ad arrivare in questa direzione.
Mi auguro che lasceremo un po' da parte le preoccupazioni particolari, guardando piuttosto l'insieme e facendocene carico tutti poiché il cammino che si apre non è l'arrivo, ma il punto di partenza. Siamo ad un punto di partenza e dipenderà dal Governo, dai Governi, dipenderà dal Parlamento portare avanti e sviluppare i contenuti di questo Trattato, che vanno nella direzione giusta per aiutare, nel Mediterraneo ed in Medio Oriente, una stabilità e una pace di cui sentiamo tutti estrema e necessità ed urgenza.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Martedì 20 gennaio 2009, alle 9,30:

1. - Discussione del disegno di legge (per la discussione sulle linee generali):
Misure contro gli atti persecutori (1440-A);
e delle abbinate proposte di legge: BRUGGER ed altri; CIRIELLI; CONTENTO; LUSSANA; CODURELLI ed altri; PISICCHIO; MURA ed altri; SANTELLI; POLLASTRINI ed altri; SAMPERI ed altri; MUSSOLINI ed altri; BERTOLINI ed altri (35-204-407-667-787-856-966-1171-1231-1233-1252-1261).
- Relatore: Bongiorno.

2. - Discussione della mozione Soro ed altri n. 1-00054 concernente iniziative volte alla presentazione delle dimissioni da parte del Sottosegretario di Stato Nicola Cosentino (per la discussione sulle linee generali).

(ore 14)

3. - Seguito della discussione dei disegni di legge:
Ratifica ed esecuzione della Convenzione tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo degli Stati Uniti d'America per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e per prevenire le frodi o le evasioni fiscali, con Protocollo e Verbale d'intesa, fatta a Washington il 25 agosto 1999, con Scambio di Note effettuato a Roma il 10 aprile 2006 e il 27 febbraio 2007 (Articolo 79, comma 15) (1907).
- Relatore: Ruben.
Ratifica ed esecuzione del Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra la Repubblica italiana e la Grande Giamahiria araba libica popolare socialista, fatto a Bengasi il 30 agosto 2008 (2041-A).
- Relatore: Pianetta.

4. - Seguito della discussione delle mozioni Borghesi ed altri n. 1-00073, Stracquadanio ed altri n. 1-00078, Vietti ed altri n. 1-00080 e Baretta ed altri n. 1-00081 concernenti iniziative per fronteggiare la crisi economica e finanziaria in atto.

5. - Seguito della discussione delle mozioni Pollastrini ed altri n. 1-00070, Mura ed altri n. 1-00083 e Cicchitto, Cota, Iannaccone ed altri n. 1-00085 concernenti iniziative per prevenire e contrastare la violenza sessuale e di genere.

Pag. 43

6. - Seguito della discussione delle mozioni Livia Turco ed altri n. 1-00071, Delfino ed altri n. 1-00079, Mura ed altri n. 1-00082 e Laura Molteni ed altri n. 1-00084 concernenti iniziative a sostegno dei diritti delle persone con disabilità.

7. - Seguito della discussione della mozione Soro ed altri n. 1-00054 concernente iniziative volte alla presentazione delle dimissioni da parte del Sottosegretario di Stato Nicola Cosentino.

(al termine delle votazioni)

8. - Discussione del disegno di legge (per la discussione sulle linee generali):
Conversione in legge del decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 209, recante proroga della partecipazione italiana a missioni internazionali (2047).

La seduta termina alle 18,45.

TESTO INTEGRALE DELLA RELAZIONE DEL DEPUTATO ALESSANDRO RUBEN IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE DI RATIFICA N. 1907

ALESSANDRO RUBEN, Relatore. Le finalità della convenzione. La legislazione nazionale vigente prevede norme particolari per il trattamento fiscale ai fini delle imposte sui redditi dei soggetti non residenti - articolo 23 e 24 del decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986 (Testo unico delle imposte sui redditi) per le persone fisiche ed articoli 151-154 dello stesso decreto del Presidente della Repubblica per società ed enti soggetti all'IRES, ossia all'imposta sul reddito delle società; tali disposizioni si applicano solo se non sono state poste regole a livello internazionale, concordate tra Stati sovrani, quali soggetti primi del diritto internazionale.
Queste regole si concretizzano nella stipula di Trattati bilaterali o multilaterali fra Stati, che vengono poi recepiti nelle singole legislazioni nazionali con strumenti diversi a seconda dei modelli costituzionali, derogando alle leggi interne e prevalendo su di esse.
Pertanto nel caso di soggetti non residenti si applicano le disposizioni previste nella Convenzione contro le doppie imposizioni qualora essa sia stata stipulata con il Paese del soggetto non residente, ratificata dai Paesi interessati ed entrata in vigore, oppure le disposizioni previste dalla legislazione nazionale se, rispetto a questa, sono più favorevoli.
Può anche accadere che l'accordo bilaterale o multilaterale prenda in considerazione solo alcuni dei redditi del non residente: in questo caso si avrà un regime integrato fra la legge nazionale e la Convenzione internazionale.
Nel caso invece di persone fisiche o giuridiche fiscalmente residenti in Italia, si applica il principio della tassazione del reddito mondiale, ovvero dell'attrazione di tutti i redditi, ovunque prodotti, nella base imponibile ai fini delle imposizioni in Italia.
Osservo che la disciplina nazionale non impedisce eventuali doppie imposizioni nel caso in cui la legislazione straniera sottoponga il medesimo reddito a tassazione, in quanto il principio sancito dall'articolo 163 del decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986 (TUIR) - che vieta l'applicazione della stessa imposta più volte in dipendenza del medesimo presupposto - vale solo per l'ordinamento italiano e non può vincolare gli Stati esteri.
Ricordo, altresì, che la legge n. 342 del 2000 ha introdotto nel TUIR l'attuale articolo 167, al fine sostanzialmente di introdurre nel nostro Paese, analogamente a quanto già previsto in altri ordinamenti, una normativa diretta a disciplinare il fenomeno definito comunemente CFC (Controlled Foreign Corporation), mediante l'imputazione al soggetto residente dei redditi prodotti da società controllate residenti in Stati con regime fiscale privilegiato.
Per quanto riguarda la stipula delle Convenzioni sopra menzionate, la principalePag. 44 ragione che spinge gli Stati a ricercare tali intese è quella di evitare una duplicazione di imposizione sugli stessi fenomeni economici e giuridici che, se non limitata, arrecherebbe un notevole aggravio a chi opera, come molti dei nostri imprenditori, su un piano «transnazionale».
La Convenzione tipo dell'OCSE. L'OCSE ha redatto, nel 1963, un primo modello di Convenzione-tipo (si deve peraltro tener presente che la Convenzione-tipo dell'OCSE è semplicemente una traccia suggerita agli Stati membri i quali, nella stipula delle diverse Convenzioni, possono discostarsene anche in modo sensibile), che è stato più volte aggiornato (l'ultima versione risale al luglio 2005) mentre l'ONU - con il Manuale di negoziazione del 1979 - ha inteso favorire i paesi in via di sviluppo ad accedere ad accordi equi con gli Stati economicamente più forti.
L'articolo 1 della Convenzione-tipo dell'OCSE delimita il campo di applicazione soggettivo della Convenzione stessa indicando «le persone che sono residenti di uno od entrambi gli Stati contraenti»; si tratta di una norma che rinvia alle nozioni di «persona» e di «residente» indicate nei successivi articoli 3 e 4.
L'articolo 2 sancisce l'applicabilità dell'accordo a tutte le imposte sul reddito e sul patrimonio: in particolare chiarisce che «sono considerate imposte sul reddito e sul capitale, tutte le imposte prelevate sul reddito complessivo o sul capitale complessivo, su elementi del reddito o del capitale comprese le imposte sugli utili derivanti dall'alienazione di beni mobili o immobili, le imposte sull'ammontare dei salari corrisposti dalle imprese nonché le imposte sulle plusvalenze di capitale». Ogni singola Convenzione bilaterale elenca infatti usualmente tutte le varie imposte dei due paesi interessati, e trattasi di una indicazione non solo nominativa bensì tassativa, dato che viene sempre individuato il nome preciso dell'imposta nella lingua d'origine.
Con gli articoli da 3 a 5 vengono date le definizioni generali relative ad una serie di nozioni strumentali all'applicazione sostanziale dell'accordo contro le doppie imposizioni.
In particolare l'articolo 3, punto A), chiarisce che il termine «persona» comprende tutte le persone fisiche, le società e qualsiasi altro tipo di associazione di persone, mentre il successivo punto B) definisce le società come qualsiasi persona giuridica od ente considerato persona giuridica ai fini impositivi.
L'articolo 4 fornisce i criteri identificativi della residenza fiscale dei soggetti interessati: il principio generale considera residente in uno Stato contraente «... ogni persona che, in virtù della legislazione di detto Stato, è assoggettata ad imposta nello stesso Stato a motivo del suo domicilio, della sua residenza, della sede della sua direzione o di ogni altro criterio analogo».
L'articolo 5 fornisce la definizione della «stabile organizzazione».
Con gli articoli 6-22 viene stabilita la disciplina-guida volta ad evitare le doppie imposizioni sul patrimonio e sui vari tipi di reddito.
In particolare si osserva che il criterio adottato per la tassazione dei redditi immobiliari è quello che essi sono soggetti ad imposta solo nello Stato in cui sono fisicamente situati; conseguentemente si applica la lex rei sitae anche per la definizione dei «redditi derivanti da beni immobili», quali canoni enfiteutici, usuari, eccetera.
Per quanto concerne l'attività d'impresa svolta all'estero, l'articolo 7 dispone che qualora l'impresa di uno Stato svolga la sua attività estera senza stabile organizzazione tutti i relativi redditi vengano tassati nello Stato di residenza dell'impresa medesima; in caso contrario, gli utili attribuibili all'impresa vengono sottoposti a tassazione nello Stato in cui è posta la stabile organizzazione.
L'articolo 10 disciplina il trattamento dei dividendi societari (con tale termine si indicano non solo i redditi derivanti da azioni, ma anche i redditi percepiti dai titolari di quote sociali fiscalmente assimilabili alle azioni), sui quali è pressoché Pag. 45impossibile eliminare totalmente la doppia imposizione. Il modello OCSE, prendendo atto di tale situazione, conferma l'imponibilità dei dividendi nello Stato del percipiente ponendo altresì dei limiti alla tassazione nello Stato della società erogante. In particolare la ritenuta non dovrebbe superare il 5 per cento se il beneficiario effettivo è una società di capitali che possiede direttamente almeno il 25 per cento della società erogante; in tutti gli altri casi il limite è del 15 per cento. Tali criteri sono comunque ampiamente derogabili in sede di Convenzioni bilaterali.
Il trattamento convenzionale dei dividendi deve essere comunque coordinato con le norme che i singoli Stati possono aver emanato per eliminare o attenuare la doppia imposizione.
Problemi simili al trattamento dei dividendi si pongono relativamente alla tassazione internazionale degli interessi, regolata dall'articolo 11 della Convenzione-tipo dell'OCSE.
La regola generale è sempre l'imponibilità nel Paese del beneficiario; resta tuttavia la possibilità di una ritenuta nello Stato della fonte che però non dovrebbe eccedere il 10 per cento.
Sono poi applicabili sia la riserva della stabile organizzazione sia il principio dell'arm's length: pertanto se il beneficiario opera nello Stato del debitore mediante una stabile organizzazione, ed il credito cui si ricollegano gli interessi pagati è connesso con tale organizzazione, valgono i criteri già indicati all'articolo 7.
Un'ulteriore disposizione indica i criteri per stabilire la provenienza «geografica» degli interessi, che vengono considerati provenienti dallo Stato in cui si trova il debitore; tuttavia se il debitore, residente o meno in uno Stato contraente, ha una stabile organizzazione o una base fissa in uno Stato contraente, e per le necessità dell'organizzazione viene contratto il debito cui fanno capo gli interessi, questi si considerano provenienti dallo Stato in cui è situata tale stabile organizzazione.
L'articolo 12 disciplina il trattamento dei canoni (royalties e redevances), prevedendo in generale la tassazione nello Stato di residenza del beneficiario. Si tratta peraltro di una norma solitamente derogata dai trattati bilaterali che danno la possibilità allo Stato di residenza dell'erogante di effettuare un prelievo alla fonte.
L'articolo 13 contiene disposizioni sulla tassazione degli utili di capitale, mentre l'articolo 15 (si segnala che nell'ultima versione della Convenzione-tipo dell'OCSE l'articolo 14, concernente i redditi da lavoro autonomo, è stato cancellato) disciplina il reddito da lavoro dipendente; i successivi articoli da 16 a 19 prendono in considerazione alcune situazioni particolari che, se non appositamente regolate, ricadrebbero nella disciplina del lavoro autonomo o dipendente con pesanti oneri fiscali (ad esempio i redditi derivanti da attività professionali dello spettacolo, il trattamento delle pensioni, dei compensi e dei gettoni di presenza ricevuti in qualità di membro del consiglio di amministrazione di una società estera).
Con l'articolo 20 si dispone in merito all'esenzione da qualsiasi imposizione nello Stato di soggiorno per le somme ricevute da studenti ed apprendisti per far fronte alle spese di mantenimento, istruzione o formazione professionale.
La norma sostanziale di chiusura della Convenzione-tipo dell'OCSE è contenuta nell'articolo 21, che indica l'imponibilità nello Stato di residenza per i redditi diversi da quelli disciplinati nei precedenti articoli 6-20. Anche in questo caso, se i redditi sono connessi ad una stabile organizzazione situata in un altro Stato la tassazione avverrà in tale Stato.
L'articolo 22 riguarda la tassazione del patrimonio, che - qualora prevista nell'ordinamento - di norma è imposta solo nello Stato di residenza del proprietario, salvo il caso di immobili situati nell'altro Stato contraente, ovvero di beni mobili facenti parte di una stabile organizzazione d'impresa nello Stato contraente diverso da quello di residenza.
Al fine di neutralizzare la doppia imposizione economica, ovvero quella che colpisce la stessa fonte di reddito o patrimonio in capo a soggetti diversi, la Convenzione-tipo Pag. 46dell'OCSE suggerisce due metodi: quello dell'esenzione (articolo 23-A) e quello del credito d'imposta (articolo 23-B).
L'articolo 24 prevede la clausola di non discriminazione, secondo la quale i soggetti «nazionali» di uno Stato contraente non possono subire in un altro Stato un trattamento impositivo diverso o più oneroso di quello a cui sono sottoposti i «nazionali» di detto altro Stato che si trovino nella medesima situazione di fatto e di diritto.
Per soggetti «nazionali» si intendono: le persone fisiche in possesso della nazionalità di uno Stato contraente; le persone giuridiche, partnerships (ovvero le società di persone e le società ad esse assimilate), le associazioni costituite ai sensi della legislazione vigente di uno Stato contraente.
La disposizione si estende agli apolidi, alle stabili organizzazioni, alle imprese direttamente o indirettamente controllate.
Con l'articolo 25 viene introdotta la cosiddetta «procedura amichevole», ovvero un meccanismo volto ad evitare un possibile contenzioso con le autorità fiscali dei vari Paesi. Viene infatti consentito al residente di uno Stato contraente, che ritenga di aver subito o di poter subire un'imposizione non conforme alle disposizioni pattizie, di attivare una speciale procedura consultiva fra le Amministrazioni degli Stati interessati al fine di trovare una soluzione conciliativa.
L'articolo 26 prevede lo scambio di informazioni tra le competenti Autorità fiscali degli Stati contraenti. Tale collaborazione ha la duplice finalità di consentire la puntuale applicazione delle norme convenzionali e di prevenire e reprimere possibili evasioni fiscali.
Completano la Convenzione-tipo gli articoli 27-31, rispettivamente concernenti la reciproca assistenza delle Parti nell'esazione dei tributi dovuti, la salvaguardia dei privilegi e immunità fiscali a favore delle Ambasciate e dei Consolati, l'ambito di applicazione della Convenzione, le modalità dell'entrata in vigore di essa e la relativa durata.
Il contenuto della Convenzione del 1999 tra Italia e Stati Uniti sulle doppie imposizioni. La Convenzione e l'annesso Protocollo e Verbale d'intesa, firmati a Washington il 25 agosto 1999, con Scambio di Note effettuato a Roma il 10 aprile 2006 e il 27 febbraio 2007 pongono le basi per una più proficua collaborazione economica tra Italia e Stati Uniti, rendendo possibile un'equa distribuzione del prelievo fiscale tra lo Stato in cui viene prodotto un reddito e lo Stato di residenza dei beneficiari dello stesso. La Convenzione in esame sostituisce la precedente Convenzione, firmata a Roma il 17 aprile 1984, per tenere conto delle modifiche intervenute nella disciplina fiscale dei due Paesi. Molte disposizioni, tuttavia, ritenute ancora attuali, sono rimaste immutate per
accordo delle Parti.
La Convenzione, costituita da 29 articoli e da un Protocollo e un Verbale d'intesa, mantiene in linea di massima la struttura fondamentale del modello elaborato dall'OCSE; essa tuttavia si applica alla sola imposizione sui redditi.
Gli articoli 1 e 2 delimitano il campo di applicazione della Convenzione: i soggetti sono i residenti di uno o di entrambi gli Stati contraenti; le imposte considerate sono per gli USA le imposte federali sul reddito, mentre per l'Italia sono quella sul reddito delle persone fisiche, quella sul reddito delle persone giuridiche (IRES) e l'imposta regionale sulle attività produttive.
Agli articoli da 3 a 5 si procede alle definizioni: in particolare, è «residente di uno Stato contraente» colui che in base alla legislazione fiscale di tale Stato è considerato ivi residente, mentre l'espressione «stabile organizzazione» designa una sede fissa di affari in cui l'impresa esercita in tutto o in parte la sua attività, che fornisce servizi o relative attrezzature da utilizzare stabilmente nello Stato contraente.
Gli articoli da 6 a 21 trattano dell'imposizione sui redditi: in particolare, i redditi che un residente di uno Stato contraente ritrae da beni immobili situati nell'altro Stato sono imponibili in quest'ultimo Stato (articolo 6), mentre gli utili di Pag. 47imprese sono imponibili nello Stato di residenza dell'impresa (articolo 7) a meno che questa non svolga la sua attività nell'altro Stato contraente mediante una stabile organizzazione ivi situata, nel qual caso gli utili saranno imponibili in quest'ultimo, ma solo nella misura in cui derivino da detta stabile organizzazione.
A norma dell'articolo 8, gli utili da esercizio della navigazione aerea o marittima internazionale sono imponibili solo nel Paese cui fa capo l'effettiva direzione dell'impresa.
I dividendi societari (articolo 10) sono imponibili in linea di principio solo nello Stato di residenza del beneficiario (ma sono previste eccezioni in casi determinati), così come gli interessi (articolo 11) e i canoni (articolo 12). Lo Stato in cui tali redditi sono prodotti potrà comunque prelevare sui dividendi un'imposta, non superiore al 5 per cento dell'ammontare lordo per partecipazioni societarie non inferiori al 25 per cento, e non superiore al 15 per cento nelle altre fattispecie. Nel caso dei canoni il limite è posto al 5 per cento per l'uso di software e brevetti, mentre è posto all'8 per cento negli altri casi.
Tali soglie si applicano però solo se chi percepisce i dividendi ne è l'effettivo beneficiario e risiede nell'altro Stato contraente. Inoltre, in tutti e tre i casi, se il beneficiario dei cespiti li ha ottenuti esercitando le proprie attività mediante una stabile organizzazione o una base fissa situate nell'altro Stato, essi ricadranno nella normale tassabilità da parte di detto Stato in accordo alla propria legislazione fiscale.
Anche per ciò che concerne i redditi da professione indipendente (articolo 14) o da lavoro subordinato (articolo 15), il criterio per l'imputazione della loro tassazione sta nella prevalente esplicazione dell'attività in oggetto, se nello Stato di residenza o nell'altro Stato: i redditi di cui all'articolo 14 saranno imponibili nello Stato di produzione degli stessi se il beneficiario dispone in tale Stato di una «base fissa», e solo nella misura in cui siano ad essa imputabili. I redditi di cui all'articolo 15, invece, saranno imponibili nello Stato in cui vengono prodotti, a meno che il lavoratore, tra l'altro, non soggiorni in tale Stato per un periodo non eccedente 183 giorni in un anno.
A norma dell'articolo 17, poi, i compensi per artisti e sportivi sono tassabili nello Stato di prestazione effettiva dell'attività.
Le pensioni sono imponibili nello Stato di residenza del beneficiario. È prevista tuttavia la possibilità che esse siano tassate anche dallo Stato di provenienza (articolo 18).
Le remunerazioni e le pensioni corrisposte da uno Stato contraente a fronte di servizi ad esso resi sono imponibili solo in detto Stato. La norma detta inoltre disposizioni che mirano a risolvere le situazioni di incertezza sulla ripartizione del potere impositivo tra i due Stati contraenti derivante dall'elevato numero di unità di personale a contratto avente doppia nazionalità o la sola nazionalità italiana (articolo 19); in particolare il paragrafo 2 introduce una disposizione che attribuisce, in tali casi, la potestà impositiva esclusiva allo stato che eroga i compensi (per la retroattività dell'efficacia di tale disposizione si veda l'illustrazione all'articolo 28).
L'articolo 22 riguarda l'imposizione su redditi diversi da quelli trattati agli articoli precedenti, e stabilisce che di norma gli elementi di reddito di un residente di uno dei due Stati contraenti siano imponibili solo nello Stato di residenza: tuttavia fanno eccezione i redditi provenienti da fonti varie situate nell'altro Stato contraente.
All'articolo 23 vengono definiti i metodi per evitare le doppie imposizioni: la scelta cade sul credito d'imposta, in accordo con tutte le altre Convenzioni negoziate dall'Italia nella stessa materia.
All'articolo 24 viene stabilito il principio di non discriminazione nei confronti dei soggetti nazionali di uno Stato contraente, che non possono subire nell'altro Stato un'imposizione più onerosa di quella cui sarebbero sottoposti i soggetti nazionali di detto Stato. L'articolo 26 prevede lo scambio di informazioni tra le rispettive Pag. 48Autorità, per facilitare l'applicazione dell'Accordo, nel rispetto delle proprie legislazioni interne.
L'articolo 28 reca disposizioni relative all'entrata in vigore; la norma stabilisce che le disposizioni della Convenzione avranno efficacia a decorrere dal 1o gennaio dell'anno solare in cui si procede allo scambio degli strumenti di ratifica, con l'eccezione delle disposizioni relative alle imposte prelevate alla fonte (che produrranno effetti dal primo giorno del secondo mese successivo alla data di entrata in vigore della Convenzione). La norma prevede, inoltre, una clausola di cessazione degli effetti della precedente Convenzione, firmata a Roma il 17 aprile 1984.
Le altre disposizioni finali sono recate dall'articolo 29 e riguardano la denuncia e la cessazione degli effetti della Convenzione, la cui durata è illimitata: è prevista tuttavia la facoltà di denuncia da parte di uno Stato contraente - non prima di cinque anni dalla sua entrata in vigore.
I contenuti del disegno di legge di ratifica. Il disegno di legge consta di quattro articoli, recanti, il primo, l'autorizzazione alla ratifica della Convenzione, il secondo l'ordine di esecuzione ed il quarto l'entrata in vigore della legge di autorizzazione alla ratifica, fissata per il giorno successivo alla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
L'articolo 3 contiene la clausola di copertura degli oneri finanziari derivanti dall'attuazione dell'Accordo, valutati in 2,5 milioni di euro per il 2009 e in 24,5 milioni di euro annui, a partire dal 2010, reperiti a valere sul Fondo per interventi strutturali di politica economica di cui all'articolo 10, comma 5, del decreto-legge 29 novembre 2004, n. 282, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 dicembre 2004, n. 307 (Disposizioni urgenti in materia fiscale e di finanza pubblica).
La relazione tecnica allegata al disegno di legge di ratifica afferma che i tempi tecnici dei processi amministrativi lasciano supporre che le disposizioni della Convenzione avranno effetto solo a partire dall'ultimo mese del 2009; pertanto gli oneri previsti per tale anno sono valutati in circa un decimo del valore degli oneri imputati agli esercizi successivi. II documento riconduce gli oneri derivanti dall'applicazione del provvedimento alla diminuzione di gettito riguardante: la tassazione di dividendi, interessi e canoni (articoli 10, 11 e 12 della Convenzione); la tassazione dell'esercizio di libere professioni e dei proventi di artisti e sportivi (articoli 14 e 17).