Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

Cerca nel sito

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Per visualizzare il contenuto multimediale è necessario installare il Flash Player Adobe e abilitare il javascript

Resoconto dell'Assemblea

Vai all'elenco delle sedute >>

XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 68 di lunedì 20 ottobre 2008

Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROCCO BUTTIGLIONE

La seduta comincia alle 9,30.

ANGELO SALVATORE LOMBARDO, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 15 ottobre 2008.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Berlusconi, Bossi, Brunetta, Buonfiglio, Carfagna, Casero, Colucci, Cossiga, Cota, Donadi, Fallica, Fitto, Frattini, Gelmini, Alberto Giorgetti, Giro, La Russa, Lupi, Mantovano, Maroni, Martini, Meloni, Miccichè, Migliavacca, Migliori, Molgora, Prestigiacomo, Roccella, Romani, Ronchi, Rotondi, Scajola, Soro, Stefani, Tremonti, Urso e Vegas sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente quaranta, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Annunzio di petizioni (ore 9,33).

PRESIDENTE. Invito l'onorevole segretario a dare lettura delle petizioni pervenute alla Presidenza, che saranno trasmesse alle sottoindicate Commissioni.

ANGELO SALVATORE LOMBARDO, Segretario, legge:
BENITO ALBERTO RUIU, da Segrate (Milano), chiede il rafforzamento dei poteri della polizia locale (348) - alla I Commissione (Affari costituzionali);
FRANCESCO DI PASQUALE, da Cancello ed Arnone (Caserta), chiede:
la riduzione della tassa sui rifiuti solidi urbani (349) - alla VI Commissione (Finanze);
l'istituzione di un sistema di controllo satellitare per contrastare l'emergenza rifiuti in Campania (350) - alla VIII Commissione (Ambiente);
misure volte a ridurre le consulenze e gli incarichi nella pubblica amministrazione in Campania (351) - alla I Commissione (Affari costituzionali);
VINCENZO RUGGIERI, da Torino, chiede modifiche all'articolo 2 della legge n. 872 del 1973, in materia di avanzamento dei sottufficiali del ruolo d'onore delle Forze armate (352) - alla IV Commissione (Difesa);
MARINO SAVINA, da Roma, chiede controlli sulla concessione in locazione di locali della pubblica amministrazione (353) - alla VI Commissione (Finanze);
EMILIO MANAÒ, da Rimini, chiede l'approvazione di un testo unico in materia di diritti sindacali (354) - alla XI Commissione (Lavoro);
RINALDO DI NINO, da Cuneo, chiede:
disposizioni penali in materia di alterazione di parti del corpo al fine di impedire la propria identificazione (355) - alla II Commissione (Giustizia);Pag. 2
l'inasprimento delle pene per la guida in stato di ebbrezza o sotto l'effetto di sostanze stupefacenti (356) - alla II Commissione (Giustizia);
l'inasprimento delle pene previste per il reato di sostituzione di persona, anche in relazione alle frodi telematiche (357) - alla II Commissione (Giustizia);
MATTEO LA CARA, da Roma, chiede:
l'istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sugli incarichi extraparlamentari dei componenti delle Camere (358) - alla I Commissione (Affari costituzionali);
l'abolizione delle province e nuove norme in materia di incompatibilità con la carica di sindaco (359) - alla I Commissione (Affari costituzionali);
GABRIELLA CUCCHIARA, da Roma, chiede nuove norme in materia di decreti ingiuntivi di pagamento (360) - alla II Commissione (Giustizia);
GIUSEPPE CATANZARO, da Tricesimo (Udine), chiede l'adozione di misure volte a recuperare risorse, con particolare riguardo alla materia previdenziale e fiscale, nonché modifiche alle norme sulla formazione del bilancio dello Stato (361) - alla V Commissione (Bilancio);
ALDO COPPOLA, da Genova, chiede:
il rafforzamento dei controlli sui titolari di pensioni di invalidità e la reintroduzione della scala mobile per i trattamenti pensionistici fino a 1.500 euro (362) - alla XI Commissione (Lavoro);
norme più restrittive in materia di concessione della cittadinanza italiana agli stranieri (363) - alla I Commissione (Affari costituzionali);
FRANCESCA MARIA GIOVANNA ERA, da Milano, e numerosi altri cittadini chiedono che non venga introdotto il maestro unico nella scuola primaria e si mantenga il tempo pieno di quaranta ore settimanali e l'avvio di un ampio dibattito parlamentare sugli interventi necessari per il miglioramento del sistema scolastico (364) - alla VII Commissione (Cultura).

Trasmissione dal Senato di un disegno di legge di conversione e sua assegnazione a Commissioni in sede referente (ore 9,35).

PRESIDENTE. Il Presidente del Senato ha trasmesso alla Presidenza, con lettera in data 16 ottobre, il seguente disegno di legge, che è stato assegnato ai sensi dell'articolo 96-bis, comma 1, del Regolamento, in sede referente, alle Commissione riunite III (Affari esteri) e IV (Difesa):
S. 1038 «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 22 settembre 2008, n. 147, recante disposizioni urgenti per assicurare la partecipazione italiana alla missione di vigilanza dell'Unione europea in Georgia» (Approvato dal Senato) (1802) - Parere delle Commissioni I, V, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria), XI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, relativamente alle disposizioni in materia previdenziale) e XIV.

Il suddetto disegno di legge, ai fini dell'espressione del parere previsto dal comma 1 del predetto articolo 96-bis, è stato altresì assegnato al Comitato per la legislazione di cui all'articolo 16-bis del Regolamento.

Discussione del disegno di legge: S. 999 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 28 agosto 2008, n. 134, recante disposizioni urgenti in materia di ristrutturazione di grandi imprese in crisi (Approvato dal Senato) (A.C. 1742-A) (ore 9,37).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-leggePag. 328 agosto 2008, n. 134, recante disposizioni urgenti in materia di ristrutturazione di grandi imprese in crisi.
Ricordo che nella seduta del 14 ottobre 2008 è stata respinta la questione pregiudiziale Misiti ed altri n. 1.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 1742-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari Italia dei Valori e Partito Democratico ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che le Commissioni IX (Trasporti) e X (Attività produttive) si intendono autorizzate a riferire oralmente.
Il relatore per la Commissione trasporti, onorevole Valducci, ha facoltà di svolgere la relazione.

MARIO VALDUCCI, Relatore per la IX Commissione. Signor Presidente, onorevoli colleghi, intervengo brevemente, anche a nome del relatore per la X Commissione (Attività produttive), onorevole Polledri.
Ricordo solo alcune modifiche che sono state apportate nel corso dell'esame in sede referente nell'ambito delle riunioni delle Commissioni congiunte. Ricordo anche che il provvedimento in esame è in scadenza a breve, il 27 ottobre, e che quindi, anche per il calendario che prevede diverse riunioni del Parlamento in seduta comune per la elezione di un membro della Consulta, è necessario cercare di arrivare in tempi molto celeri all'approvazione del disegno di legge del decreto-legge in esame.
Ricordo, quindi, le modifiche. È stata introdotta al comma 1-bis dell'articolo 1 una novella all'articolo 27, comma 2, del decreto legislativo n. 270 del 1999 relativamente alle aziende in gestione straordinaria, che prevede, ai fini dell'ammissibilità alla procedura di amministrazione straordinaria, che le società operanti nel settore dei servizi pubblici essenziali possono procedere anche alla cessione di complessi di beni e contratti. Strettamente consequenziali a tale modifica sono poi da considerarsi i nuovi commi 13-bis e 13-ter dell'articolo 1 introdotti dalle Commissioni, che si limitano ad apportare correzioni di natura meramente tecnica.
Un significativo intervento delle Commissioni ha inoltre riguardato l'originario comma 13-bis dell'articolo 1, introdotto nel corso dell'esame presso il Senato: dopo un suo più approfondito esame si è convenuto di espungere dal testo tale disposizione, che era volta a circoscrivere l'applicabilità di talune disposizioni penali della legge fallimentare. Si è trattato di una correzione sulla cui opportunità hanno peraltro convenuto, oltre al Governo, anche i rappresentanti di tutti i gruppi parlamentari, che hanno presentato identiche proposte emendative.
Le Commissioni hanno infine novellato il comma 5-bis dell'articolo 2, approvando, anche in questo caso, identici emendamenti presentati dal Governo e dal principale gruppo di opposizione, volti ad elevare di un ulteriore euro a passeggero, e quindi complessivamente di due euro, da 2,5 a 4,5 euro, l'importo dell'addizionale comunale sui diritti di imbarco dei passeggeri sugli aeromobili. Nel contempo si è provveduto altresì a specificare le modalità tecniche di versamento delle maggiori risorse che saranno in tal modo introiettate.
Signor Presidente, chiedo, infine, che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Valducci, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti. Leggeremo con grande interesse la relazione scritta anche a nome dell'onorevole Polledri che ritengo, dunque, sia già rappresentato dalla relazione dell'onorevole Valducci.
Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

ALBERTO GIORGETTI, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. SignorPag. 4Presidente, anch'io mi allineo alle considerazioni svolte dal presidente della Commissione trasporti, onorevole Valducci, che ha sostanzialmente ripreso i temi che sono stati trattati nel dibattito svolto nelle Commissioni, e che dimostra qual è stato il percorso, anche migliorativo, seppure su alcuni aspetti, del provvedimento che è al nostro esame.
Dopo la discussione sulle linee generali riprenderemo eventuali questioni per una replica, ma credo che anche il Governo ribadisca in questa fase quella che è l'importanza dell'approvazione del disegno di legge di conversione del decreto-legge, per i motivi che sono ben noti a tutti: manca una tempistica d'Aula che preveda una serie di votazioni su questioni altrettanto rilevanti; credo che ciò debba portare a un senso di responsabilità complessivo nel dibattito, con l'obiettivo di chiudere tale importante provvedimento, nell'interesse della compagnia di bandiera e dell'assetto strategico del Paese.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Misiti. Ne ha facoltà.

AURELIO SALVATORE MISITI. Signor Presidente, il decreto-legge n. 134 del 2008 in esame si fonda sulla necessità e urgenza di intervenire per risolvere la gravissima crisi finanziaria, industriale e occupazionale di Alitalia Spa, e direi anche di Air One. Ma tale intervento noi riteniamo che debba avvenire nel rispetto della normativa comunitaria e nel rispetto dei principi dell'ordinamento.
A noi non pare, invece, che il decreto-legge in esame, modificando la normativa, si attenga a queste indicazioni fondamentali. Il provvedimento, infatti, modifica in più parti la normativa quadro sulla amministrazione straordinaria delle grandi imprese, con l'effetto di applicare le disposizioni in esso contenute alla generalità delle imprese operanti nel settore dei servizi pubblici essenziali, per le quali, differentemente da Alitalia Spa, non sussistono i presupposti per la decretazione d'urgenza di cui all'articolo 77 della Costituzione.
L'articolo 3 del decreto-legge introduce, senza che dalla relazione se ne possa evincere la motivazione, un esonero di responsabilità, nell'ultimo anno, degli amministratori, dei componenti del collegio sindacale, dei dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili della società oggetto del provvedimento. Vi è, inoltre, questa apodittica e arbitraria fissazione del termine, che a noi sembra non abbia i requisiti individuati dalle sentenze della Corte Costituzionale n. 171 del 2006 e n. 128 del 2008.
Esiste, inoltre, il «fiorellino», che spero venga modificato nel corso del dibattito parlamentare, che prevede il trasferimento di ogni responsabilità a carico esclusivamente della società; trasferimento che, comprendendo le responsabilità penali, è contrario alla Costituzione. Si esclude, anche, in violazione degli articoli 28 e 103 della Costituzione, e senza motivazione espressa, la responsabilità amministrativa e contabile dei pubblici dipendenti e di non meglio precisati soggetti, comunque titolari di incarichi pubblici (i consulenti), oltre che degli amministratori, pur trattandosi di società quotate in Borsa all'epoca dei fatti.
Non sappiamo, a oggi, a quanto ammonta l'onere per lo Stato, che si assume le passività. Non è, quindi, quantificato l'onere derivante dall'attribuzione a una società, posta a carico dello Stato, delle responsabilità per i fatti compiuti dagli amministratori. Il decreto-legge, inoltre, comporta la separazione societaria dell'azienda in crisi, con l'attribuzione allo Stato, e, quindi, ai contribuenti, dell'intero ammontare delle passività. Infine, il provvedimento stesso dispone la disapplicazione della normativa comunitaria antitrust e l'espressa concessione triennale, ad un solo operatore, di una posizione monopolistica sul mercato.
Si tratta di questioni che, evidentemente, avrebbero richiesto un'altra presa di posizione da parte dell'Aula, perché chiaramente bisognava, e bisognerebbe ancora, se si fa in tempo, intervenire per modificare quegli aspetti che possono venire impegnati successivamente all'approvazionePag. 5del disegno di conversione del decreto-legge. Sappiamo che è stata modificata la cosiddetta «legge Marzano», che era stata approvata proprio in vista del salvataggio di alcune grandi aziende, in particolare della Parmalat. Ma quando le grandi imprese diventano insolventi, falliscono, pur essendo prevista per loro una procedura di amministrazione straordinaria che equivale proprio al fallimento.
La differenza tra il fallimento e questa procedura sta nel controllo politico della procedura di amministrazione straordinaria, cosa che non avviene nel caso di fallimento. Perché parlo di controllo politico? Perché il commissario è nominato dal Governo, in particolare dal Ministro dello sviluppo economico. In occasione del crack della Parmalat si era creata una variante più rapida della procedura di amministrazione straordinaria, la cosiddetta «procedura Marzano», riservata alle imprese con grandi debiti, ma capaci di andare avanti con le proprie forze grazie ai ricavi dell'attività (è quanto avvenuto per la Parmalat, tanto è vero che oggi essa è di nuovo quotata in Borsa). Alitalia, invece, non ha queste caratteristiche perché perde danaro ogni giorno, quindi per imprese come Alitalia il problema non sono i debiti accumulati ma le perdite che continuano a prodursi.
Nonostante ciò, con questo decreto, si è ritenuto di «aprire» quel tipo di amministrazione straordinaria adottata per la Parmalat anche per le imprese che non possono ristrutturarsi e che hanno come unica prospettiva di trovare un acquirente che compri quello che vi è rimasto di buono. Fino a qui mi sembra tutto normale. Si è scelto di incanalare Alitalia Spa in crisi in una procedura più rapida anche se, proprio per questo, meno garantista per i creditori. Questo evidentemente non era sufficiente. Il decreto in questione allora ha previsto per le imprese che erogano servizi pubblici essenziali che il commissario venga dotato di poteri ancora più straordinari, in particolare, ad esempio, il potere di vendere l'azienda mediante una trattativa privata, senza tener conto della normativa antitrust prevista in tema di concentrazioni. Ciò a noi dell'Italia dei Valori appare molto grave. La trattativa privata potrebbe non dare ai creditori il massimo realizzo possibile, e il compratore potrebbe acquisire una posizione di monopolio che danneggia la concorrenza, e, alla fine, anche i consumatori e le stesse imprese che utilizzano il servizio a costi maggiori.
L'Autorità garante della concorrenza e del mercato è chiamata in causa, ma per svolgere un ruolo non suo. Normalmente dovrebbe autorizzare preventivamente la vendita, mentre invece in questo caso viene chiamata a rimettere insieme i cocci della normativa in tema di concorrenza, prescrivendo misure che prevengano lo sfruttamento di posizione dominante. Tutto ciò sembra a noi dell'Italia dei Valori un pannicello caldo, di solito poco efficace, che fa svolgere a questa Autorità un ruolo di regolatore che in genere non ha.
L'Alitalia è stata posta in procedura di amministrazione straordinaria sulla base del decreto-legge approvato recentemente e, salvo imprevisti (ad esempio, un'offerta da parte di un concorrente estero), il commissario continuerà a far volare gli aerei con i pochi soldi che restano in cassa (con una finanza ponte) e poi venderà una parte dell'azienda, a trattativa privata, a CAI (Compagnia aerea italiana). Ciò che invece resta della vecchia azienda Alitalia - i beni di scarso valore, i debiti e i lavoratori in eccesso - viene inserito in una compagnia che praticamente farà massa attiva e massa passiva; dato però che la massa passiva sarà superiore a quella attiva, sicuramente la differenza sarà a carico dei contribuenti e dello Stato.
A marzo, con il piano preparato da Alitalia all'epoca e accolto da Air France, che aveva di fatto vinto una gara, i creditori sarebbero stati pagati per intero, la società sarebbe stata ricapitalizzata e gli azionisti avrebbero potuto vendere le azioni a prezzo basso ma maggiore di zero, come avviene invece adesso.
Cinque mesi dopo, lo Stato sta per perdere i 300 milioni del suo prestito-ponte,Pag. 6i creditori - tra cui ancora lo Stato - parte dei loro crediti e gli azionisti hanno già perso tutto. I lavoratori che Air France non voleva e che nemmeno CAI vuole godranno di indennità per un periodo molto lungo, ma verranno comunque licenziati. È chiaro che tutto ciò costituisce proprio un triste bilancio.
Proprio perché lo Stato ha fatto di tutto per interferire nella gestione di Alitalia, danneggiando azionisti, creditori e contribuenti, il decreto-legge Alitalia contiene due ulteriori «perle»: esonera gli amministratori, i sindaci ed i manager di Alitalia da qualunque responsabilità per qualsiasi illecito eventualmente commesso nello sciagurato ultimo anno di vita della società (non sappiamo allora chi è stato il responsabile di questa catastrofe) e dispone che gli azionisti e gli obbligazionisti Alitalia vengano trattati come risparmiatori, vittime di frode finanziaria ammessi agli incerti benefici di un fondo pubblico su cui tanti vantano pretese (penso ai fondi dormienti).
A parte il fatto che la misura si applica solo ai piccoli risparmiatori e non allo Stato - neppure agli investitori istituzionali, da ciò che appare, i quali non avranno tutela - l'unico danno lo ha arrecato lo Stato italiano, che ha sottratto Alitalia alle regole che valgono per tutte le altre imprese. Dinanzi ad una Corte costituzionale sensibile ai valori che fondano il nostro sistema economico, queste norme non reggerebbero.
Al riguardo, voglio porre alcune domande per vedere se posso fornire risposte. Con il commissariamento, Alitalia è stata salvata dal fallimento? Qualcuno afferma che è stata salvata dal fallimento: è vero o falso? A mio avviso, è falso: il commissariamento, cioè l'apertura della procedura di amministrazione straordinaria con la nomina di un commissario, è il fallimento della grande impresa, quando questa è insolvente. Queste è la legge: con varie modifiche, fin dal lontano 1979, anche senza il decreto-legge in esame, Alitalia sarebbe stata commissariata. La legge prevede che in questi casi l'attività d'impresa venga proseguita, cioè che gli aerei vengano fatti volare e quindi, a parte il controllo politico, non vi è grande differenza tra amministrazione straordinaria e fallimento. Quindi, è falso che non sia fallita.
Vi sono gli effetti normali: la protezione del patrimonio dell'impresa dalle azioni di recupero dei creditori, la prededuzione o superpriorità, rispetto a tutti gli altri creditori, delle spese sostenute per continuare a volare, la vendita dell'attivo dei beni, il pagamento dei creditori alla pari fra loro, salvo ipoteche e altri titoli di preferenza, con tutto l'attivo che si è riusciti a realizzare.
Un'altra domanda che bisogna porsi è la seguente: il decreto-legge Alitalia favorisce CAI? A nostro parere, a parere dell'Italia dei Valori, la favorisce per due motivi: perché consente al commissario una vendita dell'azienda in tempi brevissimi e a trattativa privata (cosa impossibile fino all'adozione del decreto-legge in esame, in quanto ogni vendita presupponeva una gara che si doveva concludere con l'assegnazione dei beni al miglior offerente) e anche perché consente la vendita in deroga alle regole antitrust (cosa egualmente impossibile fino all'adozione del decreto-legge in esame). Compagnia aerea italiana ha anche le rotte di Air One (o le dovrebbe avere, a ciò che si sa e si dice, perché tutto è «sottotraccia»), con le quali creerà posizioni dominanti o di puro monopolio. Ciò danneggerà i consumatori.
Un'altra domanda che mi pongo è la seguente: il decreto-legge in esame rende impossibile la vendita a soggetti diversi da Compagnia aerea italiana? A mio avviso ciò è falso.
Altri interessati potrebbero manifestarsi ed avanzare un'offerta d'acquisto dell'azienda, che il commissario dovrebbe valutare ed accettare, qualora la ritenesse migliorativa. Tuttavia, vi è l'intervento del Governo che dice: «no». Gli acquirenti, infatti, non possono che essere aziende straniere, perché solo all'estero esistono aziende in grado di comprare una compagnia tipo Alitalia. La deroga alla normativa antitrust, inoltre, si applicherebbePag. 7automaticamente a qualsiasi acquirente e, dunque, anche ad una linea aerea concorrente. Pertanto, il decreto-legge non impedisce la vendita ad altri soggetti.
Un altro aspetto che viene considerato è il seguente: se non si vende subito l'azienda alla Compagnia aerea italiana, entro pochi giorni, Alitalia sarà costretta a lasciare gli aerei a terra. Anche questo è falso: gli aerei hanno bisogno di carburante, che costa, e le spese correnti di Alitalia sono superiori alle entrate correnti. Il commissario, dunque, ha bisogno di liquidità e in cassa sembra averne pochissima (ha detto di averne pochissima, in seguito si è capito che ne aveva di più). Egli può, tuttavia, prenderla in prestito da nuovi finanziatori, garantendoli per legge. La prededuzione riguarda anche questo: il diritto, cioè, di essere pagati per primi con il realizzo dell'attivo (anche Bondi, a suo tempo, ha fatto la stessa cosa).
Un'ulteriore domanda è la seguente: le offerte di CAI e di Air France sono equivalenti dal punto di vista finanziario? Anche questo è falso. Per comprare Alitalia, Air France ha previsto lo stanziamento di risorse da spendere in tre direzioni: a) come prezzo per l'acquisto degli aerei e delle rotte Alitalia; b) come onere per il pagamento dei creditori di Alitalia; c) come investimento nell'azienda successivo all'acquisto. Pertanto, questo discorso è falso, perché CAI compra solo l'attivo senza debiti e, dunque, non paga nulla, ai sensi della lettera b). Non si sa quanto CAI dovrebbe pagare come prezzo per l'acquisto, ma anche se pagasse la stessa cifra di Air France, il denaro non andrebbe agli azionisti e non basterebbe nemmeno per i creditori (con il passare dei mesi, infatti, il dissesto si è aggravato).
Un'altra domanda che ci si pone: lo Stato avrebbe perso anche con l'offerta di Air France? È falso. Ad oggi, la perdita che appare prevedibile per lo Stato deriva dalle seguenti voci: perdita come azionista (le azioni sono, ormai, carta straccia, mentre all'epoca valevano); perdita come creditore, sia come sottoscrittore del prestito obbligazionario, sia come finanziatore del prestito-ponte; perdita per gli indennizzi dei piccoli azionisti di Alitalia (la parte dei piccoli obbligazionisti che, sempre lo Stato, riterrà di indennizzare); oneri per le indennità erogate ai lavoratori licenziati. Pertanto, gli oneri allo Stato sono derivati dal fatto che non è stata scelta la via di Air France, ma è stata scelta CAI.
L'ultima domanda che si può avanzare è la seguente: sarebbe stato meglio far fallire Alitalia? In realtà, non sarebbe esatto porsi questa domanda, perché la questione non era possibile. Se poi, al di là delle sottigliezze giuridiche, con ciò si intendeva dire che gli aerei di Alitalia dovevano smettere di volare, il discorso resterebbe, comunque, inesatto: anche nel fallimento, infatti, il creditore ha il dovere di conservare il valore dell'attivo per ridurre al minimo la perdita dei creditori. Ciò implica che, seppure per lo stretto necessario (cioè, per trovare un acquirente, al solo fine di vendere l'azienda e le sue attività e non i suoi cocci), gli aerei Alitalia dovrebbero essere mantenuti in volo, fino a quando ciò sia possibile (è quanto accade, ad esempio, a molti alberghi ed altri esempi di tale genere).
Queste sono le domande che ci siamo posti. Tuttavia, vi sono ulteriori domande che, a mio avviso, nessuno osa fare. Io le porrò, ma le risposte le lascio a chi mi ascolta. Quanti sono i debiti di Alitalia? Quelli finanziari sono più o meno noti, ma in relazione a quelli verso i fornitori non è stata mai stata offerta una proposta chiarificatrice. L'azionista di controllo di Alitalia è il Tesoro: sembra che, mentre si darebbe totale garanzia ai creditori finanziari (obbligazionisti, banche o, perfino, gli azionisti), lo stesso non varrebbe per gli creditori reali (cioè, per i fornitori). Si dovrebbe fare chiarezza su questo aspetto. Un'altra domanda: a quanto ammonta l'esposizione di Air One con Intesa San Paolo? Nessuno ha mai detto una cifra. Perché non viene fatta un'asta, come si addice ad ogni operazione di privatizzazione, e si assegnano, invece, gli asset di valore a trattativa privata?
Non era obbligatorio procedere tramite trattativa privata: il commissario avrebbe potuto fare anche l'asta.Pag. 8
Inoltre, la situazione dei lavoratori dipendenti in esubero è stata definita dal decreto-legge del Governo: si prevedono garanzie di qualche tipo per i lavoratori precari che non riuscissero a ricollocarsi nella CAI? Vi è un gran numero di questi lavoratori che regge ancora la gestione Alitalia e la gestione Air One.
Il lock up di cinque anni delle azioni CAI è un vincolo reale, parte di un patto tra soci o una semplice dichiarazione di intenti? In altre parole, si possono vendere le azioni CAI ad Air France, a Lufthansa o a British Airways prima di cinque anni? Se tale vincolo esiste veramente, dove è scritto? Nello statuto societario? Nei patti parasociali? E cosa succede se qualcuno ignora il lock up e vende prima della scadenza? Ci dicano queste cose! Il Governo ce lo dica!
È legittimo il dubbio che, nel futuro, in una compagnia aerea così concepita vi sia necessariamente un partner estero, ma nel futuro a chi potranno vendere i soci se non ad Air France, oppure ad altri, come Lufthansa? Un partner estero che entrasse oggi, comanderà, dunque, dal punto di vista strategico per cinque anni, perché ha in mano le chiavi dell'estero e avrà il controllo tra cinque anni. Se si trattasse di Air France, che pochi mesi fa era disposta a pagare per accollarsi anche i debiti, non sarebbe forse per la società francese un ottimo, insperato affare?
Pertanto, e mi avvio a concludere, signor Presidente, credo che almeno le questioni, le parti più scandalose e meno digeribili di questo decreto-legge debbano essere modificate. Approfittiamo del fatto che il testo dovrà essere trasferito al Senato, proprio perché vi è stata quella grandissima svista (qualcuno la definisce tale, ma io credo che non sia stata una svista), la pietra dello scandalo, che salvava non solo i manager di Alitalia, ma anche i manager sotto processo per gli scandali Parmalat, Cirio e quant'altro. Si tratta di una svista per modo di dire, al Senato, perché qualcuno l'ha autorizzata; l'hanno votata!
Pertanto, dal momento che bisogna cambiare ciò (se ne è accorto anche il Governo ed in particolare il Ministro Tremonti che, dopo averne preso atto, ha affermato: o si toglie il 13-bis o il Ministro dell'economia e delle finanze; a parte l'effetto propagandistico credo, che sarebbe stato giusto, perché è un vero scandalo), credo che qualche altra cosa si possa fare per migliorare questo decreto-legge, stante il fatto che noi dell'Italia dei Valori siamo interessantissimi a che l'Alitalia si rilanci e diventi una grande azienda.
Poi, per quanto riguarda le azioni della nuova società, se rimangono a «CAI» o vanno a «Sempronio» o ad altri, non ci deve tanto riguardare; piuttosto ci deve riguardare il servizio che questa grande compagnia offrirà all'Italia, agli utenti, ai cittadini italiani ed europei (Applausi dei deputati dei gruppi Italia dei Valori e Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pompili. Ne ha facoltà.

MASSIMO POMPILI. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, il decreto-legge n. 134 del 2008, recante disposizioni urgenti in materia di ristrutturazione di grandi imprese in crisi, come è noto, altro non è che il vestito che il Governo, come un sarto, ha tagliato su misura per tentare dal suo punto di vista (che non è ovviamente il nostro) di risolvere la crisi Alitalia, i nodi della quale - penso che ciò vada sottolineato - sono drammaticamente venuti al pettine alcuni mesi fa, dopo anni di sofferenza.
Si tratta di una crisi giunta dunque, dopo anni, ad un punto di non ritorno e nella quale la compagnia di volo si è, in questi mesi, sempre di più avvitata, fino a precipitare nel rischio di una paralisi ai giorni nostri. A questo Governo che, a mio avviso, sfacciatamente (ho visto perfino dei manifesti in cui si dice che Berlusconi ha salvato l'Alitalia) ha sbandierato di essere il salvatore della patria e che pensa che questo decreto sia la cura risolutiva per i mali dell'azienda (sui quali dirò poi qualcosa), credo sia doveroso ricordare che esso è lo stesso che è stato in carica dalPag. 92001 al 2006: se è vero come è vero che la crisi di Alitalia viene da lontano, non può, con un triplice salto mortale, scaricare le responsabilità sempre altrove. A questo Governo va detto che le sue responsabilità sull'andamento negativo dell'azienda, nel corso degli anni, sono da riconoscere e condividere.
Dalla liberalizzazione del trasporto aereo sono passati circa 15 anni. La mia opinione è che lo Stato, in Italia, dovesse esercitare una funzione regolatrice delle politiche e degli indirizzi del mercato. In assenza di una politica di sistema si è assistito, nel nostro Paese, ad una proliferazione di aeroporti sovradimensionata, disordinata e senza distinzione tra aeroporti di interesse nazionale e quelli di interesse locale e senza specializzazione per segmenti di mercato. L'Italia è diventata il Bengodi delle compagnie aeree low-cost, non soltanto a danno di Alitalia, ma più o meno di tutti gli operatori del trasporto aereo che, gestori esclusi, oggi sono tutti in sofferenza.
Il problema della querelle tra Fiumicino e Malpensa si colloca in questa cornice. Esso in realtà nasconde una dialettica molto più articolata ed importante, quella tra Malpensa e Linate nonché tra Malpensa e Linate e gli altri aeroporti del nord: Torino, Genova, Bologna, Venezia, Verona e Bergamo. Ritengo, inoltre, che, in questo quadro, si è riflessa e tradotta inevitabilmente la difficoltà di affermare un governo forte dell'intermodalità, intesa sia come sistema di relazioni coerenti tra strade, ferrovie e vie marittime sia come sistema di relazioni coerenti tra trasporto aereo e trasporto ferroviario. È evidente l'impatto di questa situazione (sulla quale inizia oggi la discussione sulle linee generali) e mi riferisco alla diffusione dell'alta velocità, in particolar modo alla tratta Roma-Milano, che si porrà inevitabilmente come il soggetto centrale per ogni vettore che voglia positivamente operare in Italia. Vi è un tema, in particolare, del piano di salvataggio, che rappresenta un elemento decisivo per il nostro futuro, che non mi convince affatto e sul quale vorrei porre l'attenzione.
Mi riferisco alla cosiddetta strategia multipunto del nuovo vettore, che si articolerà su sei aeroporti base: Milano, da cui saranno raggiungibili 73 destinazioni, Roma (che avrà 44 destinazioni raggiungibili), Napoli (con nove destinazioni) e infine Catania, Torino e Venezia con sei destinazioni raggiungibili.
Voglio dire con grande chiarezza che, per quanto mi riguarda, questa strada non è percorribile e non vorrei che il piano industriale fosse, ancora una volta, condizionato da fattori politico-geografici. Non condivido la scelta del multipunto, perché depotenzia Fiumicino come hub e non ha termini di paragone nei maggiori Paesi europei e rispetto alle strategie delle compagnie di bandiera. Il modello che il mercato ha imposto ovunque, infatti, in mancanza dell'elemento regolatore che richiamavo, è quello dell'hub and spoke, che prevede uno scalo principale (l'hub) su cui convogliare tutti i voli da e per gli scali periferici (gli spoke).
Chi lavora nel campo dei trasporti aerei sa che le logiche che governano il mercato e gli investimenti sono relativamente semplici. Dovrebbero essere, infatti, prima di tutto motivazioni geografiche a rendere appetibile e competitivo un aeroporto ed è evidente che Roma e il Lazio hanno una posizione geografica strategica e mi sembra chiaro, per esempio, che nell'interesse di Air France per Alitalia la possibilità di usufruire di Fiumicino abbia giocato un ruolo importante.
Ma in questo caso paghiamo un deficit di capacità decisionale e un condizionamento forte della politica sulle logiche di mercato. È indubbio che la mancata scelta di puntare su un grande hub, come facevano nel frattempo tutti gli altri Paesi europei, e il dualismo Roma-Milano abbiano avuto un ruolo di primo piano nella crisi in cui, anno dopo anno e debito dopo debito, è piombata Alitalia. Mi sembra che con la strategia che si prospetta si ripetano gli errori del passato. Infatti, non vi è un grande Paese europeo che non abbia pensato, in questi anni, a costruire un hub di riferimento né esiste una grande capitale europea che non abbia un hub intercontinentalePag. 10innestato nel proprio grande aeroporto internazionale: Londra, Parigi, Madrid, Lisbona, Atene e perfino Berlino, che è una capitale dalla storia particolare e che oggi sta attrezzando un nuovo grande aeroporto all'altezza del ruolo internazionale che la società ha assunto in questi anni dopo l'unificazione.
L'aeroporto di Fiumicino ha, rispetto a tutti questi, alcune carte importanti da giocare. Infatti, non solo lo scalo nel giro di un decennio vedrà salire gli attuali 30 milioni di viaggiatori all'anno a 50 milioni. L'area mediterranea è già oggi la prima meta turistica del mondo con 250 milioni di arrivi su 800 milioni di movimenti internazionali. È prevista una crescita del mercato mediterraneo fino a 400 milioni di arrivi annuali nel 2025. Penso che rinunciare a questo enorme patrimonio sia insensato. Lo è anche per una compagnia che vuole durare nel tempo e lo è, infine, per un Paese che fino ad oggi non è riuscito a valorizzare del tutto un'attrattività senza eguali nel mondo.
A mio avviso il quadro che si è venuto a delineare sul trasporto aereo in Italia nel corso degli anni, signor sottosegretario, è questo che ho tratteggiato per cenni e per esempi. Pertanto, in questo quadro il progetto che il Governo ha elaborato su Alitalia è decisamente negativo per quattro ragioni che cercherò di esporre organicamente.
Innanzitutto, non si è ancora risolto il problema dell'erogazione del prestito ponte che ha già attivato l'avvio di una procedura comunitaria i cui esiti, leggendo il primo documento preliminare, non sono solo molto incerti, ma direi proprio preoccupanti. Su questo il Governo tace da tempo: non ha sentito e non sente nemmeno in questa stretta la responsabilità di informare ed eventualmente rassicurare il Parlamento.
In secondo luogo, a mio avviso, sono state istituzionalmente poco trasparenti, lo diceva poco fa anche l'onorevole Misiti, le modalità con le quali si è costruita una cordata di imprenditori priva di know-how e di capacità industriale nel settore del trasporto aereo. La soluzione Air France avrebbe inserito Alitalia in un grande gruppo europeo. Air France è la più grande compagnia del mondo in termini di reddito, la terza più grande nel mondo e la prima in Europa in termini di rapporto passeggeri-chilometri.
Oggi, invece, con la soluzione che il Governo prospetta, si delinea un operatore nazionale di piccole dimensioni, per il quale sarà comunque necessario, come mi sembra si stia facendo, cercare un partner industriale. Tutto ciò è incomprensibile; va a scapito dello sviluppo del mercato italiano, che è uno dei più appetibili e principali del mondo grazie all'attrattiva turistica che lo caratterizza, e, in secondo luogo, della tutela dei consumatori perché, sottraendo la nuova società alle norme antitrust, essa potrà recuperare redditività solo sfruttando una rendita monopolistica che deriverà dall'unificazione con Air One.
In terzo luogo, c'è il tema dei costi a carico della finanza pubblica. Air France avrebbe comprato tutta la vecchia Alitalia, mentre oggi la nuova CAI scarica sull'erario un costo rilevante e, peraltro - come veniva ricordato - non quantificato dal Governo. Però vorrei dire che non è così complicato computare e mettere in fila le pendenze: ci sono da coprire i debiti finanziari della vecchia Alitalia per un miliardo e 200 milioni; c'è la restituzione del prestito ponte per 300 milioni; ci sono i costi a tutela dei piccoli azionisti per 150 milioni; gli ammortizzatori sociali, la stima dei quali è di un miliardo e 250 milioni, e poi i debiti verso i fornitori per un miliardo e 500 milioni. La somma delle pendenze è: 4 miliardi e 400 milioni.
Ora, in una fase recessiva dell'economia - per l'appunto tema di dibattito di questi giorni -, che è cominciata in Italia, in Europa e nel mondo, è inaccettabile che a pagare siano i cittadini.
Ma se questi soldi, aggiunti ai 2 miliardi e 200 milioni spesi dal Governo per eliminare l'ICI sulla casa dei ricchi, fossero stati utilizzati per sostenere il potere d'acquisto delle famiglie italiane con un immediato aumento delle detrazioni fiscaliPag. 11per aiutare i redditi e, quindi, i consumi nella fase recessiva non sarebbe stato più equo e lungimirante?
Infine, l'ultima motivazione riguarda le conseguenze che questo progetto ha sull'occupazione e, più in generale, sulla situazione economica e sociale di Roma, della sua provincia e di tutta la regione, dove sono principalmente insediati i lavoratori di Alitalia e le ditte dell'indotto diretto e indiretto. Si è parlato di meno di cinquemila esuberi. A me i conti non tornano: al 30 giugno 2008 a me risulta che tra Alitalia Spa, Alitalia express, Alitalia servizi e società controllate, il gran totale risultante dalla somma del personale di volo, di terra e amministrativo sia di circa 20 mila lavoratori.
Inoltre, vi sono: nove ditte dell'indotto diretto e indiretto per un totale di 4.262 lavoratori; l'indotto dei trasporti con altri 2 mila addetti; l'indotto metalmeccanico diretto e indiretto con 400 addetti; l'indotto del comparto energetico diretto e indiretto con altri 360 addetti; l'indotto del settore commerciale con i relativi servizi con 3 mila lavoratori tra pulizie, sicurezza e gestione. Il totale è esattamente 30.022 unità lavorative. Attenzione, il tema occupazionale non si pone solo per Alitalia, ma riguarda anche tutto il perimetro delle attività che ruotano attorno ad essa.
Insomma, il Governo ha gestito questa vicenda male e confusamente fin dall'inizio. Ma quale mantenimento dell'italianità della compagnia di bandiera! Perché, per esempio, la stessa sensibilità il centrodestra non l'ha manifestata quando BNP Paribas si comprava la BNL? Può essere questa la motivazione dalla quale si parte e sulla quale si fa leva per affrontare seriamente la drammatica crisi industriale e finanziaria di Alitalia, le conseguenze negative della quale si stanno proiettando sul territorio di Roma e del Lazio, sull'occupazione, sull'economia e anche sul prestigio nazionale del nostro Paese? In questi casi penso non si debbano usare perifrasi: la verità è che la crisi dell'Alitalia è stata gestita con un approccio politico e strumentale.
Basta vedere le modalità con cui il Governo si è comportato durante le trattative sindacali, utilizzate non per cercare la condivisione alle soluzioni ma la divisione e lo scontro. Se quelle trattative si sono alla fine concluse con una convergenza unanime delle forze sindacali è stato anche grazie ad una paziente opera di mediazione che - in questo caso con senso di responsabilità - è stata portata avanti dal segretario del principale partito di opposizione.
Ho concluso, signor Presidente, anche perché credo di avere quasi esaurito il tempo a mia disposizione. Per tutte queste, ragioni il mio non può che essere un giudizio negativo sul provvedimento.
Ritengo che la vicenda Alitalia non si chiuderà con il voto sulla conversione del decreto, il Governo dovrà rendere conto al Parlamento e al Paese degli errori che ha commesso, in particolare quando si conosceranno ufficialmente i contenuti del nuovo piano industriale, quando verrà realizzata la partnership con un grande vettore europeo, quando si conosceranno le nuove tariffe interne protette, come dicevo, da regole pro-monopolistiche, e infine quando non saremo costretti a cercare informazioni e dati ognuno per proprio conto, ma sarà finalmente chiaro il conto che lo Stato, e quindi il contribuente italiano, sarà chiamato a pagare.
Siamo, stamattina, alle prime battute della discussione sulle linee generali, è presto per dire come questo passaggio parlamentare si concluderà, non escludo nemmeno che il Governo per l'ennesima volta ricorra al voto di fiducia. Comunque vada, noi continueremo a incalzare il Governo su questi temi nell'interesse del trasporto aereo nazionale, perché si affermi un servizio in grado di garantire efficienza e sicurezza ai cittadini e rispetto delle professionalità e piena occupazione a tutti i lavoratori del settore (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pezzotta. Ne ha facoltà.

SAVINO PEZZOTTA. Signor Presidente, colleghi, la crisi dell'azienda Alitalia sicuramente,Pag. 12come sappiamo tutti, viene da lontano e chi ha avuto l'obbligo di seguirla in questi anni conosce bene quali sono le responsabilità. Sono responsabilità che vanno equanimemente distribuite e pertanto è opportuno ragionare su questa vicenda con un altissimo senso di responsabilità e di attenzione.
Ma non è tanto del passato che vorrei parlare, quanto, piuttosto, della situazione in cui oggi ci troviamo. Vorrei che l'insieme della vicenda Alitalia, sulla quale interviene questo decreto che reca disposizioni in materia di ristrutturazione delle grandi imprese, fosse collocata nel contesto dell'attuale situazione economica. Sono presenti elementi di novità che ci obbligano ad una considerazione generale per cogliere come la vicenda industriale di Alitalia non possa essere giudicata e valutata in modo separato dalla situazione che stiamo attraversando. Un'azienda come Alitalia non è separabile dagli interventi che si devono mettere in campo a sostegno della nostra economia. Si tratta di una azienda strategica, come è strategica la riorganizzazione in questi tempi del nostro sistema aeroportuale, del quale purtroppo si parla poco o si parla a frammenti. Molte circostanze impongono di avere una visione chiara di come si deve procedere, nella consapevolezza che l'Alitalia non si salva da sola, ma solo se la si colloca dentro un processo di modernizzazione, di rilancio competitivo, di innovazione del nostro sistema produttivo.
Nelle prossime settimane capiremo meglio se le misure dei Governi assunte in questi ultimi giorni riusciranno a stabilizzare la situazione economica e finanziaria.
Abbiamo guardato con molta attenzione alle misure messe in campo dall'Europa e dal Governo italiano, convinti che, salvando il sistema bancario, in definitiva si salvano la nostra economia e milioni di posti di lavoro, e considerando altresì che, anche che nella vicenda Alitalia, il sistema bancario non è estraneo e assente, tutt'altro! Pertanto, dobbiamo guardare con grande attenzione a questa situazione. Credo che oggi occorra anche iniziare a preoccuparsi in modo fattivo della congiuntura italiana e delle ripercussioni che si determineranno sull'economia reale, in particolare sulle piccole e medie imprese che stanno entrando in una situazione di difficoltà e che faticano ad accedere al credito. Si tratta di una questione di questi giorni, per cui il problema degli esuberi non si pone solo per l'Alitalia, ma per diverse imprese. Ritengo che il Governo debba iniziare a preoccuparsi un po' di più delle questioni dell'occupazione, considerato che è iniziato uno stillicidio che, posto dopo posto, mette fuori dal lavoro molte persone: è una situazione che non fa clamore, ma che si deve tenere in considerazione perché sono migliaia i posti di lavoro che si stanno perdendo.
Credo che si sia agito giustamente nel mettere al sicuro il nostro sistema bancario, ma l'operazione rischia di essere debole se non si assumono le preoccupazioni delle lavoratrici, dei lavoratori, delle loro famiglie e delle imprese. Di tali questioni vorrei che si discutesse di più, che si prevedessero piani di intervento, invece di innescare strani dibattiti sul diritto di sciopero, che si decidesse di più per quanto riguarda gli ammortizzatori sociali; su questo siamo in grande ritardo proprio perché la situazione è grave. È inutile eccitare gli animi sulla questione se si debbano fare o meno i referendum. Per carità! Il problema è quali ammortizzatori sociali predisporre rispetto ad una crisi economica che comincia a «mordere» soprattutto i posti di lavoro nelle piccole imprese.
Oggi qui discutiamo di un provvedimento che riguarda la ristrutturazione delle grandi imprese, ma in pratica di Alitalia; nel frattempo, sono stati resi noti i dati ISTAT sul fatturato e gli ordinativi dell'industria ad agosto che ci dicono che in rapporto allo stesso mese dello scorso anno la tendenza è fortemente negativa: il tasso tendenziale del fatturato segna un calo dell'11 per cento e gli ordinativi registrano una contrazione del 5,2 per cento. Questi dati, se depurati dall'influsso dei prezzi alla produzione, evidenziano una caduta ancora più netta: in termini reali, il fatturato arretra di ben il 19 perPag. 13cento e gli ordinativi del 13 per cento. Inoltre, occorre tenere conto che si registrano contrazioni significative per i beni di consumo, durevoli e non, e per i beni strumentali: questi ultimi sono dati più allarmanti perché sono in relazione con altre imprese e con altri fatturati. I dati ISTAT delineano, nella loro sinteticità, un quadro di stagnazione, di arretramento dell'economia, evidenziando come la crisi dei mercati finanziari stia incidendo sulla struttura produttiva del nostro Paese, in particolare sulla media e piccola impresa. Stando così la situazione, occorre agire con decisione e attenzione se non si vuole che il nostro sistema produttivo, già precedentemente indebolito, lo sia maggiormente.
Ecco perché riteniamo che, a fianco di una serie di dichiarazioni ed evidenziazioni, il Governo debba invece cominciare a mettere in campo dei provvedimenti e noi non mancheremo di avanzare proposte precise. Occorrono provvedimenti tesi a sostenere l'attività produttiva e il lavoro, nonché a creare le condizioni affinché il nostro Paese acquisti una maggiore capacità competitiva. Credo che si debba passare dalla cura delle banche alla cura dell'economia reale e che questo sia un compito del Governo; mi sembra, invece, che si sia attardato troppo solo sulla questione delle banche e del sistema finanziario.
Oggi abbiamo urgenze più forti, più incidenti, che «toccano» il vivere delle persone e delle famiglie. Speriamo, con viva attenzione, che a tutti livelli si chiuda veramente la fase della finanza creativa e della speculazione, che ha fatto danni enormi e che ha scaricato i costi sulle fasce più deboli della popolazione. Crediamo che anche negli affari e nella gestione della finanza debba tornare a fare capolino la dimensione etica.
Senza principi etici, il mercato non funziona, funziona male, lascia spazio agli arraffatori e agli speculatori. Non ci appassiona il dibattito se siamo alla fine o all'inizio del capitalismo; il problema è che un mercato senza etica è un mercato che scarica i costi sui più deboli, che fa pagare le difficoltà delle situazioni alle persone più povere, che mette in fibrillazione i Paesi come il nostro.
Credo che bisogni veramente mettere in moto meccanismi di liquidità e che anche i nostri istituti bancari debbano dare segnali più precisi, debbano essere in grado di stimolare la fiducia. In questi giorni, mi sarei atteso dai signori delle banche una maggiore unità di intenti, che non ho visto.
Questa crisi rischia di pesare negativamente sul nostro futuro e ha bisogno che si metta in campo un'idea di Paese nuova, più aperta, meno rancorosa, e per questo è necessario che chi ha responsabilità pesi le parole e non incentivi comportamenti deresponsabilizzanti.
Credo che proprio la situazione ci dica che va aperta una vera stagione di riforme strutturali, che non siano tese solo a ridurre la spesa, cosa d'altronde utile e necessaria, ma anche a promuovere interventi e investimenti innovativi.
Non esisterà, però - lo dico anche riguardo al tema che stiamo discutendo - una vera stagione di reali e profonde riforme strutturali e istituzionali, se il rapporto tra Governo e Parlamento, tra maggioranza e opposizioni, continuerà a essere quello che abbiamo sperimentato in questi mesi.
Con i decreti, con il continuo ricorso alla fiducia, con i proclami di diverso tipo si possono anche prendere delle decisioni, ma dubito che si possa produrre un cambiamento e uno spirito di coesione sociale e politica di cui veramente l'Italia oggi ha bisogno.
Il dialogo e il confronto non possono essere termini astratti, da esercitarsi nei salotti, nelle riservate stanze o in televisione; essi hanno un luogo privilegiato dove esercitarsi, ed è il Parlamento.
Vorrei anche ricordare, facendo riferimento a un recente rapporto della Caritas, che in Italia la povertà si sta ampliando, che esiste il pericolo di una sua estensione. Iniziano a essere troppi, in tutte le parti del Paese, i cittadini poveri, impoveriti e a rischio di povertà. Sappiamo, inoltre, che il più delle volte la povertà passa attraverso le famiglie.Pag. 14
Credo che sia arrivato il momento di aiutare le famiglie a basso reddito, intervenendo decisamente a sostegno del loro potere di acquisto. Si dovrebbero, anche temporaneamente, introdurre misure di sostegno, in attesa che il Governo mantenga le sue promesse elettorali sul quoziente familiare.
Va introdotta la possibilità di riduzione fiscale per chi percepisce bassi salari. In una fase in cui la produzione, come abbiamo visto, non tiene, è difficile fare discorsi, che sarebbero utili, in merito al fatto di legare i salari alla produttività.
Occorre veramente utilizzare la leva fiscale; in questo modo, si verrebbe a determinare un circuito virtuoso ed economicamente positivo. Da un lato, si incrementerebbe la domanda e si stimolerebbe l'offerta, ma dall'altro si produrrebbe anche una riduzione della pressione salariale, che oggi, giustamente, sta aumentando.
Per questa via, allora, ci sarebbero effetti benefici sullo stesso bilancio dello Stato. Ma venendo al merito del provvedimento, che però non credo sia valutabile al di fuori del contesto più generale, le critiche su come è stata gestita la vicenda Alitalia, da parte nostra, sono sempre state molto chiare e abbiamo sempre sottolineato con forza come si scaricassero i costi di questa vicenda sui cittadini italiani; non solo per il prestito ponte, ma per tutta una serie di costi che si stanno aggiungendo.
Inoltre, abbiamo rilevato che con questo intervento si produceva il declino di Malpensa e che il piano industriale ci appariva estremamente debole, non avendo grandi collegamenti internazionali. Sento in questi giorni che a tale ultimo riguardo si sarebbe riaperto il confronto, però dovremmo saperne di più, sia con Air France sia con Lufthansa.
Credo, però, che un piano industriale che non abbia previsto in modo anticipato quale fosse l'interlocutore col quale confrontarsi, approfondire e procedere sia un piano industriale in sé estremamente debole in una situazione come quella che stiamo attraversando.
Nonostante le critiche, non abbiamo avuto timori o incertezze; non abbiamo avuto timidezze nel dire che quella vertenza andava chiusa. Devo sottolineare, però, che non ho ben capito un aspetto: non ho ben capito perché prima una vertenza è stata chiusa e poi la si è riaperta, così creando tensioni tra le forze sindacali che né sono utili né aiutano a gestire complessivamente la situazione. Credo che quando il Governo chiuda un accordo abbia il dovere di chiuderlo senza alcuna possibilità di riaprirlo, perché ciò non aiuta a creare quel clima di fiducia e di attenzione che è invece necessario per condurre una vertenza in una situazione così delicata.
Restano, però, aperte alcune questioni che riguardano gli esuberi, in termini di quantità e di ricollocazione; resta aperta la questione dei precari, ma anche il conto delle ricadute sull'indotto che non abbiamo mai valutato, né considerato e le proposte per attenuarle. Non credo che la risposta a tali domande possa racchiudersi solo nell'allargamento della cassa integrazione da cinque a sette anni, poiché ciò non consente di dare una risposta all'insieme dei lavoratori coinvolti. Sarebbe stato utile, a mio parere, un piano di riqualificazione e di reinserimento, invece che il solo (pur se necessario) piano di assistenza e di accompagnamento. Credo che su questo terreno vi sia una debolezza vera ed è inutile fare prediche; siccome, però, tale processo si estende alle grandi imprese, mi domando cosa succederà domani, quando altre grandi imprese entreranno in situazioni di crisi che sappiamo esistere e avanzare. Ritengo che sarebbe servita, invece, una politica attiva nella ricollocazione e nel reinserimento dei lavoratori che questa crisi ha posto in situazione di esubero. Certo, le note vicende che hanno investito la nostra compagnia di bandiera hanno indotto il Governo a varare delle modifiche anche al decreto-legge n. 347 del 2003, noto come legge Marzano, una legge successiva alle altrettante note vicende che hanno interessato il gruppo Parmalat. Tale provvedimento ha introdotto nell'ordinamento italiano una nuovaPag. 15disciplina relativa alla procedura concorsuale di amministrazione straordinaria per le grandi imprese in stato di insolvenza finalizzata alla ristrutturazione industriale delle stesse. Esso ha inteso, quindi, tentare di contemperare le esigenze di tutela dell'interesse dei creditori e dei cittadini con quelle legate alla restituzione economica e finanziaria di Alitalia. Ovviamente, per rendere applicabile la cosiddetta legge Marzano ai nuovi destinatari, pur rimanendo invariati i due principali requisiti per accedere all'amministrazione straordinaria, si è dovuta consentire l'applicazione di tale procedura speciale anche alle imprese in stato di insolvenza che intendano procedere alla cessione di complessi aziendali in base a un programma che preveda la prosecuzione dell'esercizio di impresa, come è appunto il caso Alitalia. Credo che ciò rappresenti un problema. Lo è dal punto di vista dei costi e dal punto di vista delle modalità e delle forme, e forse bisognava agire con maggiore attenzione e con qualche prudenza in più.
Il provvedimento in discussione, allora, non è immune da critiche, soprattutto a seguito dell'introduzione del comma 13-bis dell'articolo 1 avvenuta nel corso della discussione al Senato, senza poi tralasciare il comma 1 dell'articolo 3. La disposizione in questione è di quelle che, dopo essere state approvate, a causa del loro contenuto, stranamente, non hanno più una paternità: non si sa come siano state approvate e di chi ne sia la colpa. Una norma, la cosiddetta «salva manager», contro la quale si è scagliato in modo critico lo stesso Ministro Tremonti dopo che l'Unione di Centro aveva sollevato il caso in Aula con il presidente Casini e che è stata poi soppressa in sede di esame congiunto da parte delle Commissioni. Essa riduceva in maniera irragionevole l'ambito applicativo di una serie di fattispecie penali e avrebbe creato una vera e propria situazione di disuguaglianza tra soggetti che pur si sarebbero trovati nella medesima condizione, avendo violato le stesse disposizioni di rilevanza penale.
Credo che non dobbiamo, neanche in modo surrettizio (anche se viene ritirata, tale disposizione dà l'idea di un modo di pensare), cercare di eliminare le fattispecie penali che riguardano la bancarotta fraudolenta, l'accesso abusivo al credito, la denuncia dei crediti da interesse, tutte quelle che sono previste nelle procedure di fallimento. Mi sembra che sia stato un segnale che non tiene conto che il mercato, la gestione delle imprese per essere efficace ed efficiente ha bisogno in primo luogo di eticità, e che pertanto non si può, con certe norme, modificare e non penalizzare comportamenti che non hanno nulla di responsabile nei loro confronti: solo l'aver adombrato, l'aver fatto passare l'idea che ciò fosse possibile, credo sia una cosa estremamente negativa, fortemente negativa. In sostanza, se si fosse applicata tale norma, ci saremmo trovati in una situazione preoccupante, molto preoccupante, e credo che da questo punto di vista occorre veramente vigilare con attenzione affinché ciò non si ripeta.
Noi avevamo per la verità presentato degli emendamenti soppressivi anche per quanto riguarda il comma 1 dell'articolo 3, che suscita una serie di perplessità perché esclude la responsabilità degli amministratori di Alitalia per gli atti compiuti dal 18 luglio 2007, data in cui il consiglio di amministrazione di Alitalia ha dichiarato chiusa la procedura competitiva a trattativa diretta avviata sulla base dell'atto di indirizzo approvato dal Governo per la riforma del settore del trasporto aereo e la privatizzazione di Alitalia, fino alla data in entrata in vigore del decreto-legge. Anche in questo caso un emendamento della Commissione, presentato in extremis, potrebbe «metterci una pezza», se approvato, circoscrivendo la responsabilità prevista per gli amministratori del gruppo Alitalia a quella riferita unicamente alla responsabilità degli amministratori, come definita dagli articoli 2392 e seguenti del codice civile, e cioè responsabilità verso la società, l'azione sociale di responsabilità, la responsabilità verso i creditori sociali e l'azione individuale del socio del terzo.
Come abbiamo già avuto modo di affermare nel corso dell'esame della questione pregiudiziale, se da una parte laPag. 16conversione del decreto-legge appare ineluttabile, dall'altra è evidente che il prezzo che facciamo pagare al nostro Paese, ai consumatori, ai contribuenti, al personale, ai lavoratori e alle lavoratrici dell'Alitalia, al sistema intero, è molto, troppo alto.
Non è possibile nemmeno sapere se la soluzione reggerà a tutta l'applicazione delle regole comunitarie sulla disciplina della concorrenza, alla prova del mercato ed alla competizione. Le responsabilità però emergeranno solo nel medio e nel lungo periodo. Da parte nostra, abbiamo partecipato alla discussione con spirito costruttivo, abbiamo cura del Paese, abbiamo cura delle lavoratrici e dei lavoratori, abbiamo cura di un sistema nazionale che ha bisogno che alcune cose vengano fatte. Abbiamo proposto correzioni al testo, a nostro giudizio migliorative: noi speriamo che queste correzioni vengano accolte, perché da questo dipenderà il nostro giudizio finale sull'insieme del provvedimento.
In quest'ottica, anche con tutte le critiche sul metodo, se ritenevamo strumentali alla salvezza dell'Alitalia le disposizioni contenute nel provvedimento, riteniamo comunque estranee, anche se non contrari sul principio, quelle riguardanti la ripartizione del fondo dei cosiddetti «conti dormienti», destinato ai risparmiatori vittime di frodi finanziarie, destinato anche al finanziamento della social card e della ricerca scientifica.
Il nostro è un giudizio fortemente critico, non pregiudiziale, non prevenuto: noi vogliamo che sia fatta chiarezza su una serie di problemi che abbiamo posto e che ci riguardano da vicino, vogliamo capire come si assesterà l'insieme di questa vicenda; vogliamo capire se questo Governo sarà in grado, a fianco del salvataggio di Alitalia (se e come lo verificheremo), di varare veramente un piano per il sistema aeroportuale del nostro Paese.
Abbiamo un sistema aeroportuale un po' scompaginato che ha bisogno di essere rimesso in sesto per poter essere in grado di servire complessivamente il nostro Paese, ed è in questo quadro, ossia dentro la capacità di una riorganizzazione sistematica, progressista e generale del sistema aeroportuale del nostro Paese, che colloco la vicenda di Malpensa, avendo chiari quali sono i compiti e le strategie che ad ogni aeroporto vengono assegnati.
Sulla base delle proposte che verranno accolte o meno valuteremo l'insieme del provvedimento; vorremmo però dichiarare che continueremo a seguire la vicenda Alitalia indipendentemente da come il Governo e il Parlamento decideranno, perché riteniamo che laddove vi sono risorse pubbliche la vigilanza debba essere costante non solo nel procedimento, ma anche nella sua applicazione (Applausi dei deputati dei gruppi Unione di Centro, Partito Democratico e Italia dei Valori).

PRESIDENTE. Salutiamo la scuola elementare «Ada Negri» di Latina (Applausi). Siamo lieti di avervi fra di noi. Vedete un'Aula vuota, ma non è che i parlamentari che non sono presenti non stanno facendo niente o sono al bar, bensì sono nei loro collegi e nelle loro Commissioni: stanno lavorando anche loro per il bene di questo Paese, ricordatelo.
È iscritta a parlare l'onorevole Argentin. Ne ha facoltà.

ILEANA ARGENTIN. Signor Presidente, sottosegretario, colleghi, credo che la discussione iniziata oggi sia assolutamente molto importante perché la ristrutturazione delle imprese in crisi non solo cela dietro di sé la questione Alitalia, ma può diventare elemento precostitutivo di tutte quelle situazioni che presenteranno difficoltà di grande livello.
Mi permetto di intervenire oggi convinta che il provvedimento al nostro esame - che, ripeto, non trovo risolutivo e non credo possa già essere considerato una vittoria di Berlusconi (come avviene ogni giorno, ormai da una settimana, sui manifesti di questa città) - sia un modo per non chiudere e per non sacrificare centinaia, migliaia di dipendenti e soprattutto una compagnia di bandiera che continua ad essere senz'altro - per un Paese e per una città turistica ed assolutamente ricca di un patrimonio artisticoPag. 17enorme come Roma - un elemento importante e fondamentale.
Signor sottosegretario, credo però che nel momento in cui ristrutturiamo un'impresa come l'Alitalia dobbiamo prendere in considerazione l'importanza di quanto ciò può essere fatto nel rispetto veramente di tutti. Per rispetto di tutti intendo il fatto che, come lei saprà, sono moltissime le norme che prevedono la giusta e la corretta assunzione di persone svantaggiate all'interno delle imprese pubbliche o private: ma questo l'Alitalia non lo ha mai avuto presente! Ciò va detto, perché quando parliamo di esuberi non possiamo non considerare che parliamo di un esubero che in qualche modo ha una storia che passa attraverso - mi conceda il termine forse improprio - «marchette» di vario tipo.
Abbiamo una legge, la n. 68 del 1999, la quale prevede che ogni tot di dipendenti normodotati vi siano persone con difficoltà motorie, sensoriali oppure mentali.
L'Alitalia fa finta che questo non sia un problema e da sempre assume quelli belli, forti e coraggiosi - ovviamente, la mia vuole essere una provocazione - e non rispetta la normativa che riguarda il mondo dei disabili, il mondo dello svantaggio. Parlare male dell'Alitalia e di questa situazione, è un po' come sparare sulla Croce rossa, però, è pur vero che se non si comincia mai, non si ottengono dei risultati, soprattutto nel momento della ristrutturazione di questa impresa che dobbiamo immaginare come una vera ristrutturazione.
Essendo lo Stato costretto a sostenere un alto costo per risarcire o per rimettere in piedi questa impresa, trovo sia assolutamente e legislativamente scorretto e contraddittorio pensare ad una ristrutturazione di un'impresa che non solo non è a norma riguardo a quanto prevede il decreto legislativo n. 626 del 1994, in ordine alla disciplina in tema di sicurezza, ma anche con riguardo a quanto prescritto dalla legge n. 68 del 1999, sull'inserimento dei più deboli.
Credo che questo Governo ha una grande opportunità che è quella di creare delle nuove condizioni. Se non vi è rispetto della norma, non vi può essere rispetto della struttura e della realtà con cui facciamo i conti. Nello stesso modo - credo di averlo già affermato in un altro intervento - ci tengo a sottolineare che quando si parla di mercato e di opportunità, si debbano considerare tutte le opportunità. L'Alitalia ha fatto delle scelte di mercato assolutamente complicate e differenziate negli anni, ma ha anche effettuato delle scelte che definisco assolutamente folli: se una persona su sedia a rotelle, con difficoltà di un certo tipo, vuole viaggiare sugli aerei Alitalia non può farlo, se non utilizzando quattro sedili, pagando quattro biglietti, utilizzando la Croce rossa per arrivare all'aeroporto e un medico a bordo.
L'handicap non è una malattia è uno status di vita! Vi sono persone che hanno delle difficoltà, rispetto a posture, a modi di sedersi, rispetto alle quali basterebbe soltanto tenere un po' incrinato il sedile piuttosto che fargli pagare quattro posti. Vi assicuro che il nostro è un mercato molto ricco e a dimostrazione di ciò basta vedere le paraolimpiadi o le squadre sportive che girano il mondo su sedia a ruote. Per noi il trasporto più veloce è più efficace (un po' come per altri, ma per noi in modo particolare).
Noi non riusciamo a viaggiare in aereo; non immaginiamo il disabile classico, quello paraplegico, che ha avuto un incidente e che può saltare dalla carrozzina al sedile con facilità -, ma tutte quelle persone che hanno problemi di postura. Voi mi dovete motivare perché io, come cittadino che paga le tasse, debba finanziare Alitalia, quando questa non mi considera come un cittadino e, quindi, come un possibile consumatore. Vi è un mondo enorme di possibili consumatori; basti pensare che solo a Roma sono più di 60.000 le persone con difficoltà, parliamo quindi di un numero alto. Nessuno prende in considerazione questo di tipo di normativa. Tutte le norme che riguardano la disabilità sono leggi quadro, ma la norma - lei, signor sottosegretario, me lo insegna - è norma nel momento chePag. 18prevede sanzione. Noi, invece, continuiamo a parlare di indirizzi, di grandi tendenze e così via.
Ristrutturare un'impresa è - secondo me - fargli capire anche che io cittadino sono disposta a pagare - perché lo Stato non è altro che la collettività - se, però, vi è il rispetto di tutte le differenze e di tutte le diversità presenti nel mercato.
Ritengo che in certi casi noi non rappresentiamo un settore del mercato e, conseguentemente, non possiamo spendere i nostri soldi esattamente come gli altri. Di solito c'è questa grande tendenza ad assisterci e a darci dei soldi, ma non a consentirci di spenderli. Le assicuro - questo può sembrare un paradosso - che questa è la cosa più umiliante che uno possa immaginare, ovverosia il fatto che una persona disabile, con un portafoglio pieno di soldi, non può entrare in un negozio perché vi sono i gradini, oppure che con tanti soldi in tasca non è possibile fare un viaggio in aereo perché ti obbligano ad andarci tramite la Croce rossa. Se io voglio viaggiare con il mio compagno e farmi un weekend a Parigi, per quale motivo ci devo andare tramite la Croce rossa?
Queste sono delle strane tendenze, delle strane forme culturali, delle strane forme di superficialità e di poca considerazione del sistema.
Mi permetto quindi di fare questo intervento, che può sembrare estraneo al contesto (ma se l'ho considerato ciò significa che l'ho ritenuto attinente al tema in esame), riguardo alla ristrutturazione dell'impresa in esame con la consapevolezza che vi è un esubero di dipendenti, un certo numero di persone che domani mattina non saprebbe cosa fare, quindi con la consapevolezza che non posso fare diversamente. Infatti dobbiamo dircelo: dobbiamo recuperare l'Alitalia non perché abbia dei meriti o perché adotti dei criteri tali da considerarla la risposta per il nostro trasporto aereo, ma perché sappiamo che vi sono centinaia di migliaia di persone che lavorano per quella realtà. Quindi con umiltà ma anche con determinazione sono qui a dire, che è vero che avete abolito l'ICI anche ai ricchi, però è pur vero che se questo Governo farà capire che ci si dà una mano a vicenda forse qualcosa di positivo si può fare. Pagheremo tante tasse in più per l'Alitalia, e forse non risolveremo nessun problema, però culturalmente forse possiamo fare qualcosa. In altre parole potremmo dire: non abbiamo svoltato, non abbiamo cambiato l'Alitalia, abbiamo soltanto recuperato una parte di debiti, abbiamo soltanto rallentato un processo che tende sempre di più alla disfunzione, ma, almeno culturalmente, lo abbiamo detto e non abbiamo fatto finta che questo problema non esisteva.
L'Alitalia nei suoi esuberi deve tirar fuori chi deve essere sostituito da persone previste dalla legge n. 68 del 1999, persone svantaggiate. Non lo diciamo noi, lo prevede una norma dello Stato italiano. Nello stesso modo deve poterci far viaggiare considerando il limite. Ho avuto il piacere - non politicamente ma umanamente - di conoscere il commissario straordinario di Alitalia, e non le posso negare che umanamente ha mostrato grande interesse ma che, ancora una volta, si è giocata, anche politicamente, questa voglia di enfatizzare il recupero di tutti quei dipendenti che erano lì, e che in qualche modo dovevano pagare il loro mutuo, le loro macchine, e dovevano sostenere i loro figli e mandarli a scuola. Va tutto bene, ma nel momento in cui qualcuno si ricordi che anche noi paghiamo il mutuo, anche noi mandiamo i nostri figli a scuola, e anche noi abbiamo bisogno di viaggiare. Per cui - non la tirerò per le lunghe, di solito l'opposizione deve parlare tanto, e magari anche ripetendo sempre le stesse cose - voglio avere l'onestà intellettuale, sperando di poterla trovare anche da parte della maggioranza, di chiedere una risposta vera e concreta con Alitalia e con altre imprese. Ristrutturiamo le imprese ma solo se esse operano nel rispetto della legislazione italiana (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Favia. Ne ha facoltà.

Pag. 19

DAVID FAVIA. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo e onorevoli colleghi, anzitutto voglio ringraziare la collega Argentin per il suo intervento, assolutamente illuminante e corretto.
Della normativa in esame devo dire che la trovo un mostro giuridico sotto diversi profili: sia perché è palesemente incostituzionale, sia perché contiene molte norme strane e molte deroghe improprie. È una legge incostituzionale, come dicevo, per i motivi che non starò a ripetere e che sono illustrati nella nostra questione pregiudiziale di incostituzionalità, che, ovviamente, è stata bocciata da questa maggioranza, che risponde solo a logiche di maggioranza, ma ci auguriamo che in altri siti, più adeguati, se ne riconosca l'incostituzionalità.
Inoltre, il decreto-legge in esame non presenta assolutamente i requisiti di urgenza: pertanto, si poteva varare un decreto-legge per Alitalia - la cui questione era sì urgente - e poi, con normativa ordinaria, riformare la legge Marzano-Prodi.
Inoltre - e questo è un dato che voglio analizzare con molta attenzione - la normativa in esame crea una gigantesca disparità di trattamento tra dipendenti di Alitalia, dipendenti delle partecipate Alitalia (che hanno un certo tipo di trattamento, voglio chiarire subito, che condivido e trovo giusto) e altre imprese ammesse alla procedura, come ad esempio un'impresa della mia regione, la Antonio Merloni, con una dimenticanza totale dei confronti dell'indotto.
In Commissione abbiamo presentato alcuni emendamenti - ma con il parere contrario del Governo sono stati bocciati, nonostante fossero stati sottoscritti anche da deputati della maggioranza - per rendere uguali tutti i dipendenti. Infatti, non si capisce perché, in relazione ad un dipendente Alitalia (o, se vogliamo, delle imprese dei servizi pubblici essenziali, perché questo è il paravento che vi siete inventati, ma non credo che questo paravento regga ad una censura di incostituzionalità), vi debba essere questa disparità di trattamento.
Pertanto, abbiamo presentato alcuni emendamenti che mirano a rendere i lavoratori tutti uguali davanti alla legge. I lavoratori delle imprese normali, ammesse all'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, non fruiscono dello stesso trattamento di mobilità (di cassa integrazione sì, ma non di mobilità) dell'Alitalia. Le partecipate Alitalia - i loro dipendenti - fruiscono degli stessi benefici della principale, l'Alitalia; le partecipate di una normale impresa che va in amministrazione straordinaria non ne fruiscono.
Inoltre, né per un caso né per l'altro - anche in questo caso sono stati bocciati alcuni nostri emendamenti - vi è una benché minima previsione per quanto riguarda i lavoratori dell'indotto. Mi dovreste spiegare che differenza vi è tra una partecipata Alitalia (al riguardo, secondo il codice civile per partecipata si intende una società in cui la partecipante abbia almeno il 20 per cento), e una società, di cui all'articolo 2.359 (in cui vi è un controllo di fatto indiretto, dovuto ad una contrattualità che rende quell'impresa per così dire lavorante al cento per cento per la capofila, cioè l'impresa che va in amministrazione straordinaria), ed una partecipata normale.
Quindi, vi è, da parte di questo Governo, un'assoluta disattenzione nei confronti dei lavoratori. Si doveva risolvere in qualche modo il problema Alitalia, per i motivi che illustrerò fra poco, ma si crea un'incostituzionale e terribile disparità di trattamento tra lavoratore e lavoratore. Credo sia una cosa che non va bene ed alla quale mi auguro che il Parlamento, in sede di esame degli emendamenti, ponga rimedio. Credo che dovrebbe esservi una sollecitazione più pesante anche da parte dei sindacati su questo punto.
Crediamo, altresì, che in questa sede sarebbe opportuno che il Governo si occupasse della reindustrializzazione dei distretti in crisi e delle diversificazioni, poiché ogni azienda soggetta ad amministrazione straordinaria crea un vulnus nel proprio territorio, nei confronti del quale,Pag. 20credo, dal punto di vista della programmazione economica, sia dovere del Governo intervenire e programmare.
Questo è un provvedimento fatto per «spacchettare», per togliere il buono e «regalare» ad altri quello che resta, cioè la spazzatura. Tuttavia, se ciò si doveva fare, una legge per «spacchettare» vi era già: la normalissima legge fallimentare che, tra l'altro, consente anche l'esercizio provvisorio. In questo caso, tuttavia - e temiamo che questo sia uno dei motivi per cui è stato predisposto il decreto-legge in oggetto - il provvedimento irroga pesanti sanzioni penali. Si sentiva, quindi, il bisogno di fare qualcosa che esonerasse gli amministratori Alitalia, i sindaci (e si è tentato anche di includere altri soggetti) da ogni responsabilità penale. Pertanto, si è realizzata questa norma, che consente di «spacchettare» in un modo terribile: si tratta delle tante illecite ed illegittime deroghe di cui parlavo in precedenza.
La prima è il metodo di cessione - la trattativa privata - e non si capisce perché. Nella vita privata svolgo la professione di avvocato e, di base, sono proprio un curatore fallimentare: non mi è mai capitato in vita mia di alienare qualcosa attraverso la trattativa privata. Ritengo che alienare l'Alitalia a trattativa privata rappresenti un mostro giuridico. Tra l'altro, è ormai noto che questa cessione - forse perché il Premier è stato aduso, nella sua vita, anche ai supermercati - viene realizzata, comprando tre e pagando uno, perché sembra che questo sia il differenziale di valore che la CAI pagherà ed incasserà. La realtà è che la cosiddetta good company viene regalata a svariati amici sotto prezzo, mentre la bad company andrà ai contribuenti, quando, diversamente, Air France avrebbe rilevato tutto; avrebbe rilanciato la compagnia, avrebbe ridotto gli esuberi, avrebbe investito (come diceva bene in precedenza il collega Misiti) e, soprattutto, non avrebbe lasciato al contribuente italiano questo pesantissimo regalo negativo di cui non abbiamo nemmeno la quantificazione.
Inoltre, perché vendere a trattativa privata, quando si poteva svolgere una regolare asta e non quella burla che è stata fatta, dando una settimana di tempo, con il Governo che pressava e dissuadeva ogni possibile investitore? Oppure, se proprio trattativa privata doveva esser fatta, si poteva realizzare un corretto collocamento bancario: il nostro sistema bancario, che ora viene salvato giustamente dall'intervento dello Stato (anche se avremmo gradito più cura nei confronti dei risparmiatori, piuttosto che nei confronti di un sistema bancario certamente non ineccepibile), ha saputo tanto bene collocare le azioni Cirio, Parmalat e i bond argentini, ne siamo tutti bene a conoscenza. Il Governo cosa ha fatto? Invece di chiedere al sistema bancario di collocare, magari ai prezzi unitari a cui regala, a buon prezzo, Alitalia alla CAI, avrebbe potuto fare questo regalo ai cittadini italiani che, sicuramente, sarebbero intervenuti (così com'è avvenuto quando è stata collocata l'ENI o moltissime altre aziende). Sono certo che il mercato avrebbe risposto in maniera molto più produttiva e ricca di quanto non stia facendo CAI. Questo, se proprio non si voleva svolgere una regolare asta; per l'acquisto è arrivata Air France a prendersi tutto. Figurarsi se non sarebbe arrivato qualcuno a prendere - per così dire - il burro, se il Governo non avesse fatto ostruzionismo.
Si tratta di un metodo di cessione che ci ha fatto vedere anche, come dire, una sorta di violenza nei confronti dei sindacati dei dipendenti, che sono stati costretti ad accettare questa minestra per non saltare dalla finestra, dipendenti dei quali non si è nemmeno accettata l'offerta di entrare nella società CAI o di concorrere con una propria cooperativa, mettendo a disposizione il TFR. Su tale proposta si è passati sopra nello spazio di un mattino, perché questa operazione doveva finire in un certo modo, in quel modo per cui, tra cinque anni (come diceva Misiti, non è scritto da nessuna parte e, quindi, forse, anche prima), gli odierni soci venderanno ad un operatore del settore, guadagnandoci grandi cifre. Mi sembra, quindi, che abbiamo tante ragioni per lamentarci.Pag. 21
Vogliamo parlare del prezzo di cessione? La legge dice: al prezzo di mercato valutato da una perizia. Ma quale mercato? Non vendiamo compagnie aeree tutti i giorni in Italia: che cosa vuol dire prezzo di mercato? Il prezzo di mercato sarebbe stato determinato da un'asta o da un collocamento azionario, per l'appunto, sul mercato. Tuttavia, non si è voluta perseguire questa strada perché, per decreto-legge, si doveva vendere a chi era già stato deciso da tempo; si doveva aiutare qualcuno, ivi compreso, forse, un sistema bancario in difficoltà.
Vi sono norme «salva amministratori», come dicevo prima, che sono inaccettabili e non si capisce perché gli amministratori di poco più dell'ultimo anno debbano essere salvaguardati. Mi viene da dire: perché gli altri «no»? Ovviamente la mia opinione è che non vi debba essere salvaguardia per nessuno, nel senso che ognuno risponde delle proprie azioni: perché gli amministratori Alitalia «sì», e quelli dell' «aziendina» che fallisce davanti al tribunale di Viterbo o di qualsiasi altro tribunale della provincia italiana «no»? Ovviamente, ognuno dev'essere uguale davanti alla legge.
Con tardivo atto di resipiscenza, la Commissione ha tagliato la cosiddetta norma «salva Geronzi»: speriamo di non rivederla in quest'Aula, così com'è successo al Senato; speriamo che non vi sia il tentativo di un blitz, perché è inutile che il Governo prenda le distanze quando un proprio esponente di primo piano è stato il redattore di quella norma (sembrano più lacrime di coccodrillo). Il ministro Tremonti avrebbe fatto bene a non rendere una testimonianza così patetica come quella di offrire le dimissioni quando, probabilmente, sapeva benissimo quello che era successo; sarebbe stato meglio se avesse confessato che erano stati «presi con le mani nella marmellata» e avesse chiesto scusa agli italiani, ritirando questa norma.
Vi sono poi deroghe alle norme sulla concorrenza e alle normative europee. Troppe volte, in quest'Aula, sono state previste deroghe a normative imperative, e non per situazioni di drammatica crisi, come può essere l'intervento sulla crisi economica, ma con riferimento a situazioni assolutamente ordinarie (abbiamo visto anche una sospensione delle comunicazioni alla Consob in passato): in altre parole, vi è proprio, come dire, una resistenza totale al rispetto delle regole.
Da ultimo, voglio far notare che l'addizionale comunale sui diritti d'imbarco - forse è iniziato così il federalismo fiscale - è stata aumentata via via fino all'80 per cento, cioè è stata quasi raddoppiata. Non vorrei che questo federalismo fiscale, del quale tanto si parla, significhi lasciare la pressione dell'imposizione fiscale nazionale così come è, tagliando i trasferimenti agli enti locali e lasciando agli enti locali stessi una nuova imposizione che porterebbe la pressione fiscale a livelli insopportabili.
Per tutto ciò, l'Italia dei Valori ritiene che non si debba assolutamente votare questa normativa e, pertanto, il nostro voto sarà assolutamente contrario (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori e di deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Froner. Ne ha facoltà.

LAURA FRONER. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, ci troviamo a discutere su un provvedimento reso straordinario da molti fattori e dalla congiuntura economica e finanziaria. Tale congiuntura sta mettendo le economie mondiali di fronte ad interrogativi profondi circa l'assetto e la tenuta di ogni Paese, ai rischi che ne derivano per migliaia di lavoratori e di famiglie, alle paure che questi elementi generano nell'immaginare il proprio futuro e quello delle generazioni a venire. Si tratta di una straordinarietà sottolineata dal ricorso allo strumento del decreto che, ancora una volta, delegittima il Parlamento quale luogo naturale per un dibattito politico profondo, serio e maturo. La nostra opposizione è comunque volta ad offrire un contributo responsabile, costruttivo e rispettoso dellePag. 22istituzioni e di quel residuo di fiducia che ancora molti italiani hanno verso la politica. Per questo dobbiamo evidenziare che il contributo del Partito Democratico alla vicenda Alitalia è stato connotato, in ogni fase, dal perseguimento del bene del Paese e non è mai stato dettato da slogan propagandistici legati alla gestione del potere e alla creazione di consenso, come invece ha dimostrato in molte occasioni il Presidente del Consiglio. Anche in questa sede, quindi, cercherò di argomentare il mio intervento, partendo dall'impostazione del nostro gruppo sulla vicenda e dalle conseguenze che derivano dalla proposta del Governo per i cittadini, i consumatori e il sistema Paese.
La soluzione CAI ha l'unico merito di aver procurato una via d'uscita dall'emergenza immediata e di mantenere una compagnia di bandiera, ma rimane sullo sfondo il problema delle regole e delle scelte strategiche prese a monte: dal prestito ponte al trasferimento degli asset dalla vecchia alla nuova compagnia, ai problemi con la Commissione europea. Ricordo, a questo proposito, che siamo ancora in attesa della valutazione degli asset di Alitalia da parte del soggetto incaricato dal Ministro dello sviluppo economico, la banca Leonardo: valutazione al di sotto della quale il commissario Fantozzi non potrà vendere a CAI. Ricordo anche che l'assemblea dei soci della CAI è stata rinviata al prossimo 28 ottobre, pare proprio perché la valutazione degli asset di Alitalia e di Air One, che partecipa alla cordata, è assai complicata e richiede più tempo del previsto. Oltre a ciò, sembra che il piano industriale che ha raccolto i soci questa estate andrà rivisto forse in meglio, almeno per quanto riguarda il prezzo del petrolio che nel frattempo è sceso, ma anche in peggio, se teniamo conto del calo dell'euro rispetto al dollaro e dell'aria di recessione che si comincia a respirare.
La soluzione CAI offre quindi uno spaccato tipicamente italiano: si «vivacchia», ci si arrangia come si può, si trova un modo di uscire dall'impasse, senza però riuscire ad alzare lo sguardo per vedere nitidamente l'orizzonte dello scenario tracciato. La soluzione CAI nasce infatti in deroga alle regole dell'antitrust a proposito delle concentrazioni. È stata accompagnata dal tentativo maldestro di qualche senatore di questa maggioranza di inserire una norma che avrebbe sollevato i manager di questa e altre imprese dalle loro responsabilità penali nonché amministrative, salvo poi, appena scoperto l'inganno, essere sconfessati pubblicamente, tra gli imbarazzi generali, dai vari ministri e sottosegretari e dallo stesso Presidente del Consiglio, quasi come se nessuno avesse, in origine, richiesto quella norma.
La soluzione CAI è accompagnata da un'evidente turbativa di mercato, che è stata denunciata alla Consob. Essa è stata messa in atto in maniera irresponsabile con le esplicite manifestazioni di preferenza da parte di autorevoli esponenti del Governo, per una soluzione piuttosto che per un'altra, per un'azienda piuttosto che per una concorrente.
La soluzione CAI rappresenta una privatizzazione «all'italiana», è stato detto nell'Aula del Senato, una privatizzazione da «furbetti del quartierino» i cui possibili, futuri vantaggi sono privati mentre i sicuri, presenti debiti sono pubblici.
Ma anche volendo tralasciare per un momento il problema delle regole, semmai fosse lecito, rimangono molte preoccupazioni sulle conseguenze che, da qui a pochi giorni, cominceranno a manifestarsi e molti dubbi sull'operazione per tutti i capitoli che ancora rimangono aperti. Si tratta di considerazioni che intendo argomentare entrando direttamente nel merito di ognuna, partendo dalle conseguenze.
Il provvedimento che quest'Aula si accinge ad approvare contiene, bisogna riconoscerlo, misure inutilmente e immediatamente lesive degli interessi dei contribuenti, delle imprese e dei consumatori italiani. Dei contribuenti, in primo luogo, perché saranno chiamati per anni, a pagare, con le loro tasse, un onere per il bilancio pubblico che avrebbe potuto non determinarsi.
Quello che più indigna e preoccupa allo stesso tempo è che non siamo ancora a conoscenza della misura, dell'entità di talePag. 23operazione ai danni dei contribuenti. Che si pensi di ricorrere ai fondi dormienti o che si trasformino in perdite del Ministero dell'economia e finanze si tratta sempre di soldi pubblici che avrebbero potuto essere spesi per costruire scuole o fornire servizi incentivando la produzione e la crescita economica.
Tali misure, in secondo luogo, vanno a danno delle imprese, perché quelle piccole e medie sono chiamate adesso a sostenere un intervento di cui mai e poi mai potrebbero godere, se toccasse a loro entrare in una situazione di gravissima difficoltà.
In terzo luogo queste iniziative danneggiano i consumatori, perché la sospensione delle norme antitrust fa del trasporto aereo italiano un mercato dove potrebbero praticarsi, per anni, prezzi più alti per servizi peggiori.
Tutte queste conseguenze risultano tanto più drammatiche quanto lo è la causa che le ha determinate e la causa di questo pasticcio risiede nella conduzione totalmente dilettantesca da parte di questo Governo. Quest'ultimo si è accontentato di un pateracchio per fregiarsi di una soluzione all'italiana che ancora non decolla: ecco lo scenario cui ci troviamo di fronte nel tratteggiare le conseguenze immediate della soluzione scelta per salvare e rilanciare Alitalia. Ecco il messaggio e l'esempio che questo Governo e questa maggioranza offrono al Paese in termini di politica industriale, di produttività economica, di crescita e di coesione sociale!
Ecco, quindi, che i primi effetti lesivi della linea adottata dal Governo si concretizzeranno, per i cittadini italiani, sin dai prossimi giorni. L'aumento ricordato - tre euro - sulla tassa di imbarco per il finanziamento degli ammortizzatori ha il sapore sociale di un provvedimento una tantum a favore dei lavoratori e degli esuberi mentre, in realtà, si traduce in un sistema di vasi comunicanti il cui unico beneficiario è la nuova compagnia e gli unici a rimetterci sono i cittadini: una sorta di aiuto di Stato prelevato direttamente dalle tasche dei viaggiatori.
Se le conseguenze di queste scelte sono pesanti, le questioni aperte possono portarne di nuove e ancora più gravi. Questo primo assaggio della scelta CAI ha lo stesso effetto, colleghi, dello scoperchiare il famoso vaso di Pandora: non sappiamo ancora - ed è questa, forse, la responsabilità più grave del Governo - come si configureranno tutte le questioni finora lasciate aperte, dai costi effettivi dell'operazione agli esuberi, senza dimenticare che sull'intera vicenda grava ancora il pronunciamento della Commissione europea.
In primo luogo, dicevo, non sappiamo ancora quali saranno i costi effettivi che il nostro Paese dovrà affrontare. Una stima ci fa ragionevolmente immaginare che si tratti di un miliardo e mezzo circa di euro che - come già detto, ma mi preme sottolinearlo - sarà a carico esclusivo dei contribuenti italiani.
Si tratta di costi che non avremmo avuto, che non ci sarebbero stati imputati se il leader della maggioranza non avesse, per puri motivi di opportunismo da campagna elettorale, fatto ritirare l'offerta ad Air France, se non avesse imposto di rinunciare, in maniera miope, all'opportunità di fare della nostra compagnia aerea uno dei partner, seppure di minoranza, di un grande player del trasporto aereo mondiale, secondo le logiche di strutturazione dell'offerta in questo settore nei mercati degli Stati Uniti d'America, dell'Asia e dell'America Latina.
Quello che sappiamo è che CAI ha previsto un investimento di un miliardo, mentre oggi il suo capitale è di 160 mila euro. Seguiranno altri investimenti, si dice, ma non siamo a conoscenza di impegni. Viceversa Air France si era impegnata formalmente a ripianare il debito, circa un miliardo e 400 milioni di euro, ad aumentare il capitale, un miliardo di euro, all'acquisto delle azioni Alitalia sul mercato, circa 200 milioni, a restituire allo Stato il prestito-ponte, 300 milioni, al rimborso del prestito obbligazionario, circa 400 milioni. In più, sarebbero stati a carico di Air France i costi della gestione Alitalia da marzo ad oggi, circa 250-300 milioni per un totale pari a 3 miliardi e 500 milioni di euro. Vi è, pertanto, una differenza di due miliardi e 500 milioni di euro.Pag. 24
In secondo luogo, non è ancora definito il costo sociale della scelta CAI e anche in questo caso sappiamo poco. È stato autorevolmente detto che il piano Air France prevedeva 2.120 esuberi, più 3.300 lavoratori a Fintecna con otto anni di appalti garantiti sempre da Air France. La nuova Alitalia ha dichiarato di aver bisogno di 14.250 addetti, di cui 2.750 esterni. Poiché Alitalia ha 18.000 dipendenti e Air One 3.000 gli esuberi sono circa 7.000 oltre a quelli per le realtà Alitalia rimaste fuori dal perimetro dell'accordo, come il cargo. I costi economici di queste misure sociali non sono conosciuti, ma è probabile che gli esuberi saranno molti di più di quelli che avremmo avuto con Air France.
In terzo luogo, vanno chiariti almeno i casi più gravi di conflitto di interesse e di violazione della normativa sulla concorrenza sulla quale attendiamo, non senza preoccupazione, il pronunciamento della Commissione europea. La nostra preoccupazione, signor Presidente, non nasce in maniera strumentale e ideologica, ma è il frutto della responsabilità che sentiamo come cittadine e cittadini democratici, come parlamentari di un partito moderno e riformista, in cui sono confluite le storie e le culture delle grandi tradizioni politiche del cattolicesimo popolare, del socialismo riformista e dell'ambientalismo che hanno voluto e costruito l'Europa unita. Si tratta di un patrimonio dell'umanità, nato alla fine della seconda guerra mondiale e basato sulla condivisione di regole economiche e sociali, sulla comune e reciproca responsabilità politica di costruire una futura società basata sulla stabilità, sulla coesione e sull'integrazione. Nell'Europa unita abbiamo sempre creduto, non solo per il ventaglio di diritti e opportunità che essa genera, ma soprattutto perché crediamo che la politica e le istituzioni in cui essa si incarna, a livello nazionale e internazionale, comportino un'assunzione di doveri e di responsabilità che non può essere scaricata sui singoli cittadini.
Non siamo mai stati critici né abbiamo mai dimostrato l'arroganza del potere di fronte ai vincoli, anche pesanti, e ai sacrifici dettati dal momento storico e dalla congiuntura economica del nostro Paese che abbiamo affrontato nel nostro cammino a fianco dell'Europa unita. Non lo siamo stati quando ci è stato imposto l'ingresso postumo al gruppo dell'euro. Non lo siamo stati nel 1992, quando l'allora Presidente del Consiglio, Amato, ha dovuto varare una legge finanziaria da 93 mila miliardi di lire per risanare il deficit pubblico e permetterci il riallineamento ai parametri europei. Non lo siamo nemmeno in questi giorni, in cui il Governo ha aperto un'aspra e imbarazzante polemica sulle stime del costo del cosiddetto «pacchetto clima» per raggiungere gli obiettivi «20-20-20» condivisi a livello internazionale dopo il fallimento del Protocollo di Kyoto.
Non siamo mai stati, signor Presidente, degli euroscettici, a differenza di autorevoli esponenti di questo Governo e di questa maggioranza che ha spesso criticato l'Europa in nome del libero mercato, salvo scoprirsi, con un imbarazzante voltafaccia negli ultimi giorni, tra i suoi sostenitori più convinti per risolvere la crisi finanziaria in atto e, addirittura, arrivare ad esprimersi, come ha fatto il Presidente del Consiglio e come hanno riportato i maggiori quotidiani nazionali venerdì scorso, a favore degli aiuti di Stato sempre criticati e autorevolmente monitorati dalla Commissione europea.
Siamo convinti, onorevoli colleghi, che con la Commissione europea, soprattutto in questo momento e non solo per l'importanza e la delicatezza della vicenda Alitalia, vada recuperato un clima di dialogo, vada ragionevolmente evitato l'impatto frontale. La Commissione sta svolgendo niente di meno che il suo lavoro in merito alla procedura in corso sulla vicenda CAI-Alitalia e ogni nostro comportamento, ogni atteggiamento di fronte ai cittadini e alle istituzioni italiane ed europee deve essere impostato sulla responsabilità e sulla disponibilità al confronto nel nome dell'interesse generale e della convivenza democratica.
Questi sono - concludo, signor Presidente - gli elementi su cui bisogna far luce nell'accingersi a votare questo provvedimento.Pag. 25Questi sono gli elementi sui quali vogliamo caratterizzare la nostra opposizione, un'opposizione di merito e propositiva, come è stata finora su tutti i temi importanti per il bene del nostro Paese, mettendo in campo idee e proposte con pazienza e costanza, con senso di responsabilità e con l'identità che è propria di un grande partito.
Con questi propositi rivolgo alla maggioranza la richiesta di far propria la stessa responsabilità, accompagnando questa richiesta con il monito che non ci accontenteremo di mantenere un ruolo di semplici comparse e di guardiani delle regole democratiche, ma saremo sempre pronti a proporre il nostro punto di vista e a dare il nostro contributo.
Questo monito vi è rivolto oggi, cari colleghi della maggioranza, da questi banchi, da quest'Aula, ma il prossimo 25 ottobre saranno le migliaia di cittadine e cittadini che affolleranno le strade di Roma, in una manifestazione civile e propositiva nei termini della partecipazione democratica, a richiamare la vostra attenzione.
Sappiate ascoltare le nostre voci, sappiate cogliere le importanti istanze, le preoccupazioni e il senso di questa nostra responsabilità senza chiudervi nella sorda autoreferenza in cui troppo spesso cade chi occupa incarichi di potere e si sente depositario dell'unica verità per il solo fatto di aver ricevuto l'incarico a governare dalla maggioranza degli italiani (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Crosio. Ne ha facoltà.

JONNY CROSIO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ho già avuto modo di intervenire in Aula durante l'esame del decreto-legge relativo al prestito ponte a favore di Alitalia, sottolineando il fatto che arrivava in Aula accompagnato dall'urgenza riservata ad un paziente moribondo e condividendo che l'unica terapia possibile, in quel momento, per tentare di salvare il moribondo, era una trasfusione di 300 milioni di euro.
Come ho avuto modo di rimarcare a suo tempo è opportuno ricordare, ancora una volta, quali siano state le cause che hanno concorso al declino di Alitalia. È doveroso, quindi, ancora una volta, ricordare che la vicenda Alitalia è il risultato di circa vent'anni di strategie aziendali errate che hanno portato una delle più prestigiose compagnie aeree del mondo al declino ed al possibile fallimento.
Alitalia, per troppi anni, ha giustificato i conti in rosso o la mancanza di risultati positivi, e quindi la propria inefficienza, imputando questo dissesto ad una serie di tragici eventi internazionali (attentati terroristici, crisi petrolifere, eccetera), senza mai affermare con serietà che tra le principali cause della crisi c'è sempre stata la mancanza di una valida strategia industriale, commerciale e occupazionale.
Al dissesto finanziario complessivo hanno concorso sicuramente più fattori concomitanti tra di loro: in primo luogo, la ridotta produttività (infatti, il grado di efficienza di Alitalia è il più basso d'Europa, mentre i costi di gestione sono i più alti di tutto il settore europeo del trasporto aereo); in secondo luogo, la mancanza di strategie per cui il vettore è cresciuto in regime di monopolio e si è trovato impreparato ad affrontare le nuove regole di mercato e il costo del lavoro, dato che Alitalia ha sottoscritto accordi sindacali favorendo più l'effetto immagine che quello dell'economia di gestione. Il grado di redditività si raggiunge solo dopo il 90 per cento dei posti venduti.
Un altro fattore determinante al complessivo dissesto finanziario è sicuramente il prevalere di politiche impostate sulla posizione dominante e non sulla cultura del prodotto. Risulta assolutamente antiindustriale l'adozione del doppio hub, alla luce del fatto che il 70 per cento dei biglietti aerei è venduto in Lombardia. In considerazione di tutto ciò, Alitalia dal 1996 ha totalizzato perdite nette superiori a tre miliardi di euro. Queste sono solo alcune delle principali cause che hanno portato al declino di Alitalia.
La Lega Nord Padania, pertanto, ha sempre avuto un atteggiamento fortementePag. 26critico nei confronti di Alitalia, proprio a causa dell'inefficienza e dell'incapacità dell'azienda di competere in un mercato aperto alla concorrenza. In quel frangente, però, il nostro movimento ha fatto prevalere la responsabilità e il buonsenso per affrontare quel provvedimento, chiedendo però che il buon senso e la responsabilità accompagnassero il Governo ad un'azione forte e determinata per il futuro dall'aeroporto di Malpensa. Non chiediamo questo come un favore a Malpensa o ad un singolo territorio, ma come un impegno del Governo ad un'azione in grado di rilanciare il mercato dei trasporti aerei in tutto il Paese.
Qui giova ricordare che, a seguito dell'abbandono di Malpensa da parte di Alitalia, lo scalo milanese ha perso già nel primo mese il 31 per cento del traffico e parallelamente Fiumicino ne ha recuperato solo l'11 per cento. Ciò significa dire che, su base annua, l'Italia perderebbe 3 milioni e 800 mila passeggeri, ovvero circa 3,8 miliardi in meno sul prodotto interno lordo, con un mancato incasso per l'erario di 1,9 miliardi.
Dobbiamo assolutamente recuperare il traffico su Malpensa, in modo da far tornare in Italia il traffico che si è spostato su altri hub europei e tutto ciò, onorevoli colleghi, a beneficio dell'intero Paese. Vogliamo che sia il mercato il regolatore delle rotte, non lo Stato, un mercato che preme alle porte del nord, con richieste di vettori italiani e stranieri intenzionati ad attivare nuovi collegamenti e ad incrementare il numero delle frequenze su Malpensa. Non va dimenticato che l'Expo 2015 è stato assegnato alla città di Milano: si tratta di un appuntamento innanzi al quale non ci si può sicuramente presentare con un aeroporto di serie B.
Questi, onorevoli colleghi, sono tutti segnali che il Governo deve tener presente e che il sistema Paese deve capire. Purtroppo, questo nel nostro Paese viene sistematicamente disatteso e, riguardo alla vicenda Alitalia, è palese che, quanto avvenuto nel corso della trattativa ha aperto delle dinamiche nuove nelle relazioni contrattuali e sindacali italiane, avvicinandoci ad una conflittualità più anglosassone, meno incline a soluzioni pasticciate di tipo consociativo, emarginando altre forme quale quella dell'assistenzialismo sicuramente più gradite alla sinistra.
Abbiamo anche assistito allibiti alle immagini di giubilo di alcuni dipendenti di Alitalia, troppi, per il possibile fallimento della trattativa, gli stessi che inneggiavano: «Meglio falliti che in mano ai banditi». Probabilmente pensavano che in qualche modo il carrozzone «mangiasoldi» venisse comunque salvato dall'ennesimo intervento dello Stato. È un comportamento irresponsabile che stigmatizziamo con forza.
Durante la trattativa la sinistra non ha avuto certo un atteggiamento costruttivo: assente nei momenti più importanti, isterica man mano che il negoziato progrediva con il Governo che sgretolava le resistenze corporative dei sindacati, per concludersi poi - dopo la firma dell'accordo - nel ridicolo, accusando il Presidente del Consiglio di voler trasformare l'Italia nella Russia di Putin.
Il dato positivo, cari colleghi, è che per la prima volta un Governo si è ribellato al potere ricattatorio della CGIL e di alcuni sindacati corporativi, difendendo l'interesse generale contro la miopia e i privilegi di pochi, facendo piazza pulita - almeno per una volta - di decenni di consociativismo pagato a caro prezzo dai cittadini italiani.
Concludo, signor Presidente, ribadendo che la Lega Nord Padania ha sempre assunto una posizione critica nei confronti di Alitalia. Come movimento politico, rivendichiamo di aver riportato il dibattito sulla questione della compagnia di bandiera e dell'aeroporto di Malpensa nelle sedi parlamentari, da tempi non sospetti. Il segnale politico che chiediamo con forza a tutto il Governo è che possa fornirci una prospettiva che sarà sicuramente valida sia per la compagnia di bandiera, sia per il nostro aeroporto di Malpensa (Applausi dei deputati dei gruppi Lega Nord Padania e Popolo della Libertà).

Pag. 27

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Sarubbi. Ne ha facoltà.

ANDREA SARUBBI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ringraziandovi per l'attenzione, premetto che ho chiesto di intervenire in questa discussione sulla vicenda Alitalia in quanto membro della IX Commissione, che ha competenza in materia di trasporti, poste e telecomunicazioni. Si tratta di una vicenda che, sin dalla prima riunione delle Commissioni di merito, abbiamo seguito con partecipazione e speranza e proprio per questo oggi non possiamo dirci soddisfatti della sua conclusione, anche perché, sinceramente, non crediamo che sia una vicenda davvero conclusa, nonostante l'accordo raggiunto. Intanto, perché chi ha firmato l'accordo non aveva scelta, e dunque non può parlarsi di un accordo nel senso vero della parola; poi, perché - come vedremo fra poco - ci sono decine di migliaia di lavoratori (e dunque di famiglie) che in questo accordo non rientrano, ma che stanno già pagando le conseguenze di una strategia politica miope e superficiale da parte del Governo.
Ma partiamo dall'inizio, per cercare di essere più chiari. All'inizio della legislatura, il Parlamento ha approvato il prestito ponte: 300 milioni di euro, tolti - lo ricordo per la cronaca e per i resoconti parlamentari - alle piccole e medie imprese. Trecento milioni di euro sono una cifra consistente e dire che li abbia stanziati il Governo Prodi - come si sente ancora ripetere da alcuni esponenti del centrodestra, quasi per lavarsi la coscienza - è esatto solo formalmente, ma è scorretto a livello di contenuti, come tutti sappiamo, perché l'intenzione dell'Esecutivo uscente - lo ha ripetuto più volte l'ex Ministro Padoa Schioppa - era di prestare solo 100 milioni; fu Berlusconi ad insistere, nel periodo di transizione fra la vittoria elettorale e la formazione del suo Governo. Forse non tutti ci hanno fatto caso, ma, di questi 300 milioni di euro, 205 sono stati sottratti al cosiddetto Fondo per la competitività e lo sviluppo (che serve a finanziare progetti di innovazione industriale) e altri 85, invece, sono stati tolti al Fondo per la finanza d'impresa (che facilita l'accesso al credito), e siamo a 290 milioni. I restanti 10 milioni, poi, sono stati tolti al welfare, e qui avrei la tentazione di aprire un capitolo doloroso sulle politiche di integrazione sociale e di lotta alla povertà; una tentazione a cui non cedo, signor Presidente, solo per non togliere spazio alla discussione odierna.
Già allora, all'inizio della legislatura, molti piccoli e medi imprenditori, che avevano votato per il centrodestra, cominciarono a farsi qualche domanda: come è possibile che un imprenditore come Berlusconi, che ha condiviso personalmente i nostri sforzi e le nostre difficoltà nella sua vita precedente, si faccia oggi paladino dei carrozzoni di Stato, quelli che abbiamo sempre contestato? «È un'emergenza», fu risposto loro, «ma vedrete che le cose cambieranno». Invece no, avevano ragione a preoccuparsi: tanto è vero che proprio in questi giorni, su tutti gli organi di stampa, il Presidente del Consiglio ha chiarito benissimo quale sia la politica economica del Governo: la politica degli aiuti di Stato alle grandi industrie! E non solo nel settore del trasporto aereo, ma anche in quello automobilistico, se Berlusconi - che tra l'altro gira su un'automobile tedesca e non ne sceglie una italiana neppure per salirci sul predellino in piazza San Babila e fondare il PdL - darà seguito ai suoi annunci.
Fatto sta che il Governo, allora, ribadì che si trattava di un'emergenza e soprattutto di un prestito, sperando che l'Unione europea non condannasse l'Italia per aiuti di Stato: lo sapremo comunque nelle prossime settimane, intorno all'11 novembre, se sono esatte le indiscrezioni riportate dai giornali. Da quel prestito una tantum - chiamiamolo anche così - sono passati appena cinque mesi e la vicenda ora si ripete, stavolta, addirittura, con dimensioni ingigantite. Non è più l'aiutino, la spintarella, la flebo per rimettere in piedi un paziente malato: questo è un vero e proprio trapianto a cuore aperto, anzi a portafoglio aperto, il portafoglio di tutti iPag. 28cittadini italiani che nei prossimi anni pagheranno con le loro tasse i debiti accumulati dalla vecchia Alitalia.
Non voglio essere maligno a tutti i costi, però, a pochi giorni dalla conversione in legge del cosiddetto decreto Gelmini, è difficile non pensare che i soldi tolti alla scuola con gli 87 mila tagli, saranno utilizzati per pagare i debiti della bad company, ossia i debiti della vecchia Alitalia. Il resto, la polpa, è finito nelle mani di grandi imprenditori che saranno pure persone di buona volontà - come il Presente del Consiglio ripete in continuazione - ma non sono certamente buoni samaritani! Stiamo parlando della CAI, la Compagnia aerea italiana, non della Società San Vincenzo de' Paoli!
E allora, si chiederà il piccolo imprenditore lombardo elettore del Popolo della Libertà o il libero professionista emiliano che magari stavolta ha votato per la Lega: «Perché a me queste fortune non sono mai capitate? Perché, quando io vado sotto di 50 euro, la banca mi blocca pure il bancomat e non riesco nemmeno a fare la spesa al supermercato? Perché non interviene lo Stato di corsa a caricarsi i miei debiti e quelli della mia piccola azienda o, almeno, a farmi un prestito ponte, che poi vedremo alla fine se sarà restituito o meno?»
Ecco, quando il Governo tolse i soldi del prestito ponte alle piccole e medie imprese, i commentatori politici scrissero che la Lega stava ingoiando il rospo Alitalia in cambio di garanzie su Malpensa. Di questo - lo dico con grande sincerità - onestamente ci eravamo convinti anche noi; ora, però, leggendo che fine farà Malpensa, comincia a venirci qualche dubbio: probabilmente, nella maggioranza, qualcuno ha fatto male i conti.
Proprio su Malpensa occorre dire mezza parola, anche per aiutare la Lega a chiarirsi bene le idee prima del voto sulla conversione in legge di questo provvedimento. «Che fine hanno fatto le promesse elettorali?» si chiedeva giovedì scorso, 16 ottobre, il Corriere della Sera. Cito: «Prendiamo Malpensa. Quando Alitalia l'ha di fatto abbandonata, il traffico aereo è calato dell'82 per cento. La SEA, la società che gestisce gli aeroporti milanesi, è riuscita a recuperare circa il 60 per cento del traffico venuto meno, ma per il suo bilancio è stato comunque un colpo durissimo e il comune di Milano, che della SEA è azionista di stragrande maggioranza, ha visto sfumare i dividendi per 25 milioni di euro». Venticinque milioni di euro, cari amici della Lega! E non è soltanto un problema di Milano, ma di tutto il Paese perché di fatto, con la riduzione di Malpensa - l'ha ricordato con grande onestà, poco fa, l'onorevole Crosio - Alitalia ha perso in questo periodo il 31 per cento dei voli; Fiumicino è riuscito a recuperarne l'11 per cento, anche perché non è facile spostare i voli così, in un attimo, e quest'altro 20 per cento al momento è una bella fetta di mercato persa. Dunque, lo ripeto: c'è qualcuno che sta facendo male i conti!
Viene da pensare che non sia soltanto un problema di risorse, di costi, ma piuttosto di strategia industriale. Risparmiare sul trasporto aereo italiano sarebbe facile, ad esempio, se non si buttassero via i soldi per tenere in vita aeroporti vuoti. Pensiamo solo alla Lombardia: nel giro di pochi kilometri abbiamo Malpensa, Linate, Orio al Serio e Brescia Montichiari. Poco più in là, a 56 kilometri di distanza dall'aeroporto di Brescia Montichiari, c'è quello di Verona Villafranca.
È la distanza fra Ostia e gli studi Rai di Saxa Rubra: lo sanno bene i pendolari romani che lavorano in Rai, ma nessuno di loro, a quanto mi risulta, prende l'aereo per andare in ufficio!
Dicevo dell'aeroporto di Verona-Villafranca, il Catullo. Vai un centinaio di kilometri ad est, rispetto a Verona, e ti trovi a un bivio: se svolti verso nord, l'aeroporto di Treviso; se vai dritto, quello di Venezia. E questo lo dico per chiarezza, perché poi la Lega non dica ancora che gli sprechi sono soltanto un problema romano, che la gallina del nord fa le uova d'oro e il sud se le mangia e voi pagate, onorevole Crosio. Non è solo così e lo sapete bene!Pag. 29
Ma la Lega non c'entra, a dire la verità, nel caso più eclatante, di cui hanno parlato recentemente anche i mass media: ha fatto scalpore un servizio televisivo di Annozero, ma se ne parlava già da tempo e si era riusciti, in qualche modo, ad insabbiare la notizia.
Mi riferisco all'aeroporto di Albenga, da dove partono ogni giorno voli per Roma su ATR da 66 posti, più vuoti che pieni. Lo confermano i dati ufficiali delle province di Imperia e Savona: la tratta Albenga-Roma ha avuto 34 mila passeggeri negli ultimi tre anni; significa 31 passeggeri al giorno! Ad agosto, l'aeroporto di Albenga è stato messo in piedi, per la terza volta, con fondi pubblici.
La Lega non c'entra, dicevo, perché qui c'entra il Popolo della Libertà, o meglio, un suo ministro, il Ministro Scajola, che, abitando ad Imperia, evidentemente, non riesce ad abituarsi all'idea di fare qualche kilometro in autostrada. Eppure, quanti kilometri avrebbe potuto fare, quanta benzina avrebbe comprato con il milione di euro stanziato per questo aeroporto inutile!
Accennavo, poco fa, alla grande contraddizione di un centrodestra che governa l'economia penalizzando il suo bacino elettorale storico, i piccoli e medi imprenditori. E questo, nella vicenda Alitalia, è ancora più chiaro, se guardiamo i danni enormi provocati all'indotto, di cui nessuno sembra occuparsi, perché la preoccupazione di Berlusconi era una sola: quella di salvare la faccia, dopo avere coniato, come al solito, uno slogan sul nulla: «Amo l'Italia, volo Alitalia».
Ce lo ricordiamo tutti e ce lo ricorderemo a lungo; soprattutto, se lo ricorderanno gli esuberi e le migliaia di precari che non hanno visto rinnovato il contratto di lavoro e che con Air France si sarebbero salvati. Il Presidente del Consiglio doveva assolutamente salvare la faccia, dopo aver detto che ci avrebbero pensato i suoi figli, dopo aver parlato di una cordata quando ancora non c'era, dopo aver giocato sulla pelle di troppe persone, compresi i lavoratori dell'indotto, dicevo, che non fa notizia, ma che in alcune zone rappresenta una delle voci più importanti dell'economia locale.
Penso, qui a Roma, a tutta la zona del litorale, per lo più nel XIII municipio, nel comune di Fiumicino: quasi 3.500 persone sono impiegate tra pulizia degli impianti, distribuzione dei documenti di bordo, distribuzione di materiali e componenti per la linea tecnica, pulizia e manutenzione degli aerei, catering, mense, sicurezza, per non parlare del cosiddetto indotto indiretto, che comprende carrellini e ristorazione, e degli stessi trasporti da e per l'aeroporto, che stanno già subendo ridimensionamenti.
E ancora: l'indotto metalmeccanico, quello del comparto energetico, il settore merci; in tutto, siamo a più di 10 mila famiglie coinvolte nel solo litorale romano, ed il numero è molto più grande, se contiamo, naturalmente, anche i lavoratori precari dell'Alitalia che hanno perso il posto di lavoro o tutti gli assistenti di volo che vedranno il loro stipendio decurtato.
Ma restiamo all'indotto. Quante di queste ditte dell'indotto vedranno a rischio la propria sopravvivenza? E chi penserà a questi lavoratori, alle loro famiglie? La mensa Caritas sul lungomare di Ostia?
Mi ha fatto molto riflettere, venerdì scorso, una lettera che ho trovato sull'inserto settimanale di Repubblica: è del titolare di una società di software che ha fornito ad Alitalia servizi su tecnologie avanzate e che vanta un credito insoluto di quasi 200 mila euro.
«Io e la mia società» - scrive - «siamo stati penalizzati tre volte: la prima come contribuenti per farci carico del costo della soluzione patriottica, la seconda per la grave insolvenza del nostro credito, la terza per la brusca interruzione del rapporto. (...) I miei dipendenti non rientrano neppure nella cerchia dei lavoratori tutelati dalla legge e dai sindacati».
Il danno per l'occupazione, dunque, è molto più ampio di quanto si sia fatto credere finora. Basti pensare ad un altro esempio, che mi sta particolarmente a cuore: gli 850 dipendenti di Atitech, la societàPag. 30di manutenzione degli aerei con sede all'aeroporto di Capodichino, a Napoli.
Si tratta di una società conosciuta a livello internazionale per la sua altissima specializzazione tecnologica, ma che purtroppo, nonostante gli sforzi di molti parlamentari eletti in Campania - devo riconoscerlo - dell'uno e dell'altro schieramento, non è rientrata nel perimetro aziendale della nuova Alitalia.
In un fax a data 29 settembre, il presidente del Consiglio di amministrazione di Atitech ha già chiesto la cassa integrazione per 508 dipendenti, per un periodo di 3 mesi e di 13.600 giornate di lavoro, motivandola con il venir meno delle commesse da parte del cliente Alitalia. Nello stesso fax, l'azienda parla espressamente di 200 esuberi. Non solo: nei giorni scorsi, anche una cinquantina di dipendenti di una società di pulizie che lavora per Atitech ha avuto una proposta di rinnovo del contratto solo part time; se gli altri si salveranno - e bisogna utilizzare il periodo ipotetico, visto che si è ancora nella fase delle manifestazioni di interesse - sarà, forse, per l'entrata in gioco di Lufthansa, attraverso la partnership con una sua collegata. È una soluzione per la quale alcuni esponenti del Partito Democratico campano si stanno adoperando personalmente e per la quale naturalmente facciamo il tifo (ci mancherebbe) ma che ha un retrogusto piuttosto ironico: in primavera, Berlusconi manda all'aria l'accordo con Air France, per difendere l'italianità della compagnia di bandiera e in autunno, si scopre che, per salvare i dipendenti di Atitech, una società dell'indotto, c'è bisogno dell'arrivo dei tedeschi. E chi ci garantisce comunque, allargando il discorso a tutta la nuova Alitalia, che gli investitori della cordata resisteranno alla tentazione di non vendere allo straniero prima del 2013? Dov'è questa clausola di lock up che - nell'intervista televisiva rilasciata a Milena Gabanelli, di Report - neppure il presidente della CAI, Colaninno, è riuscito a trovare nello statuto?
A sentire tutte queste critiche - che poi sono le stesse osservazioni mosse da tantissimi cittadini, anche fuori da quest'Aula - chi ci segue alla radio o in televisione può farsi l'idea che il Partito Democratico sia quasi dispiaciuto per l'esito positivo della trattativa Alitalia. Così, signor Presidente, non è, e lo abbiamo chiarito più di una volta, dicendo che la logica del «tanto peggio, tanto meglio» non apparteneva alla nostra cultura, né era compatibile con il nostro amore per il Paese: eravamo preoccupati, nelle scorse settimane, per lo stallo nei negoziati; allo stesso modo, però, siamo preoccupati ora per il precedente che si sta creando. Il Governo ha prima nominato un advisor, Banca Intesa, che poi, da parte terza è diventata parte in causa, divenendo uno dei sedici azionisti della cordata e già qui si vede un'anomalia, di cui negli scorsi mesi in Commissione trasporti noi dell'opposizione avevamo più volte denunciato il rischio. Ma l'anomalia più grande è quella delle regole su misura, quella delle condizioni di privilegio assoluto studiate appositamente per i protagonisti di questa vicenda, che potrebbero costituire precedenti gravissimi: pensiamo alla sospensione dei controlli antitrust (non solo per la tratta Roma - Milano, della quale saremo curiosi di conoscere il prezzo del biglietto, ma anche per i vari conflitti di interesse); pensiamo al cosiddetto emendamento salva manager - ritirato, è vero, ma non avrebbe mai dovuto essere scritto in quel modo! - che ha rischiato di salvare anche i responsabili dei crack finanziari, come Tanzi, Cragnotti e Geronzi; e naturalmente la già citata creazione della bad company, che carica tutte le passività sulle spalle dei lavoratori e dei contribuenti italiani. Nell'esporre qui alla Camera le sue linee programmatiche, il 13 maggio scorso, Berlusconi aveva parlato anche di Alitalia, annunciandoci di voler contemperare «l'interesse nazionale e le regole di mercato». Ci piacerebbe chiedergli, se fosse qui, che cosa intenda per interesse nazionale e che fine abbiano fatto quelle regole di mercato, visto il modo in cui la vicenda è stata gestita. Poi aveva garantito che si sarebbe trovata una soluzione «senza svendere e senza nazionalizzare».Pag. 31Prendo una compagnia, mi tengo i debiti e rinuncio ai profitti: e questa, che cos'è? Non è una svendita? Prendo una compagnia, cedo i profitti ed appiano i debiti con le tasse: e questa, che cos'è? Non è una sorta di nazionalizzazione? Voleva evitare entrambi i rischi, il Capo del Governo, ed invece è riuscito a prenderli in pieno, tutti e due!
Ma il passaggio che ricordo meglio, di quell'intervento del presidente Berlusconi, fu quello relativo alle teorie economiche, quando annunciò che il centrodestra non era più tributario esclusivamente della rivoluzione liberista degli anni Ottanta. Nel giro di poco tempo, infatti, il fondatore di Forza Italia è passato dalla fede cieca nella teoria della mano invisibile di Adam Smith, icona del liberismo puro, al culto delle teorie sull'economia sociale di Joseph Stiglitz, l'economista di Bill Clinton. La notizia, in linea teorica, non potrebbe che farci piacere. Ma l'impressione è che, come talvolta capita a chi si converte troppo in fretta, nella gestione della vicenda Alitalia al Governo sia decisamente scappata la mano (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cimadoro. Ne ha facoltà.

GABRIELE CIMADORO. Signor Presidente, una puntualizzazione per il collega, prima intervenuto: l'aeroporto di Bergamo, Orio al Serio, non ha avuto dal pubblico un euro; è grazie all'imprenditorialità bergamasca e all'intuizione che il punto strategico della Lombardia poteva anche essere Bergamo. Vorrei solo chiarire un'inesattezza.
Sull'Alitalia in particolare, Italia dei Valori oggi in Aula non fa ostruzionismo: dice le cose come stanno, dice quello che ha sempre detto dall'inizio, dice e vorrebbe far capire alla gente che quello che «esce», il messaggio che «esce», cioè che abbiamo salvato Alitalia, non è il messaggio reale. Alitalia non è stata salvata: Alitalia è fallita, e la ricostruzione che tenterò di fare di questa vicenda potrebbe forse in parte chiarirlo. Ma non ce n'è bisogno: spero che il pubblico attento, gli italiani attenti abbiano percepito questa difficoltà, che così non si può gestire la cosa pubblica e che quella parte politica che si professa ed è in tutti i modi e vorrebbe essere così liberale riesce a fare delle stravaganze.
La vicenda, com'è noto, parte da prima delle elezioni: l'attuale Presidente del Consiglio, all'epoca non ancora tale, detta le regole al Presidente del Consiglio in carica. Su tale vicenda una riflessione va fatta: il Presidente del Consiglio allora in carica credo abbia manifestato una debolezza specifica, perché se sono il Presidente del Consiglio non accetto consigli se un pretendente, futuro Presidente del Consiglio, mi manda a dire qualcosa. Su questo non ero d'accordo, l'Italia dei Valori non è d'accordo. Per intenderci, Berlusconi dice a Prodi: no, alla trattativa coi francesi; siccome vincerò io, la trattativa, da quando sarò insediato in avanti, non la farò. Per cui butta per aria una trattativa, fatta anche con un certo criterio: credo che il Ministro dell'economia e delle finanze di allora, che i tecnici abbiano verificato il bilancio di Alitalia, abbiano fatto un esame analitico, un esame sincero, vero della situazione di Alitalia. Dopo di che arriva Berlusconi, e si accorge che Alitalia non è la battuta fatta in campagna elettorale: Alitalia è un problema vero, Alitalia è una realtà imprenditoriale importante, ma che si trascina da 15 anni una questione debitoria mai risolta.
Mi ricordo che la prima volta in cui ero presente in Aula, nella lontana XIII legislatura, già in quella legge finanziaria mettevamo, non mi ricordo bene precisamente se 400 o 700 milioni per ripianare il bilancio di Alitalia. Questa era la situazione di Alitalia! Credo che il Presidente Berlusconi abbia fatto queste battute all'inizio, durante la campagna elettorale, ma non conosceva il dettaglio di tutti i problemi insiti in Alitalia: se n'è reso conto dopo e la difficoltà c'è stata, perché nel merito la cordata è arrivata quando voi siete stati obbligati a votare un provvedimentoPag. 32apposito; noi non l'abbiamo votato, perché non eravamo d'accordo. Intanto Alitalia si «mangiava» un milione di euro al giorno! Questo era il problema, che alla fine è rimasto sul tappeto: la cordata è arrivato otto mesi dopo; noi siamo sempre stati contrari al finanziamento, alla capitalizzazione perché, lo sottolineo, non si tratta di un finanziamento: Alitalia doveva portare i libri in tribunale, di fatto! Adesso ci stiamo «mangiando» tutto quello che qualche mese fa abbiamo messo.
Ma andiamo con ordine. Eravamo comunque contrari in linea di principio: meglio sarebbe stato che Alitalia fosse stata fatta fallire, l'avessimo fatta fallire, perché come tutte le grandi imprese non è assolutamente vero che, dichiarata fallita la società, non si poteva più volare! C'è un commissario, c'è un curatore fallimentare, nel caso specifico un commissario, che aveva l'obbligo di affrontare la difficoltà. Ma, a fronte del commissario o comunque di un curatore, probabilmente si sarebbe forse entrati nel merito anche delle responsabilità, che sono in capo sicuramente al management, sicuramente alle spese eccessive, sicuramente alla parte sindacale, sicuramente a tutta la politica nel suo insieme.
Perché l'Alitalia - non dimentichiamoci - è stata la «mamma» di tutte le assunzioni ad opera di tutte le parti politiche e di tutti i Governi che si sono succeduti (e credo che in tutta questa vicenda esista forse qualche responsabilità sia pur minima, per così dire, anche da parte degli amici della Lega: vedo il relatore Polledri che fa dei cenni con le mani).

LAURA MOLTENI. Non è vero!

GABRIELE CIMADORO. Adesso siete correi di una vicenda che probabilmente vi costa qualche responsabilità sul territorio o qualche elettore! Credo che si poteva agire diversamente: Bondi e la Parmalat sono un esempio di come si può gestire una grande impresa.
Oggi le cose sono cambiate e allora, siccome la cordata ha incontrato difficoltà e Berlusconi quando ha fatto schioccare le dita non si è trovato i quattro imprenditori pronti a gestire una società piena di debiti, bisognava ricomporre le carte e presentare un'altra Alitalia: la vera Alitalia è fallita, mentre l'Alitalia indebitata la mettiamo da un'altra parte! Italia dei Valori ed il presidente Di Pietro hanno sollevato in quest'Aula la pregiudiziale di incostituzionalità ed a questo proposito noi diciamo: vogliamo sapere effettivamente quanti sono questi debiti, come faremo a far fronte a questi debiti e, soprattutto, dove andiamo a prendere i soldi che i cittadini italiani devono e dovranno tirar fuori per coprire questo debito?
Oggi la ragioneria o comunque il Governo non sono stati in grado di dirci quanti soldi dobbiamo pagare per il debito di Alitalia! Abbiamo fatto un favore agli amici e ai furbetti del cosiddetto «quartierino». Capisco la difficoltà, ma allora perché si è detto «no» ad Air France? Perché Air France stava conducendo una trattativa seria tenendosi in carico anche i debiti e probabilmente qualche lavoratore in più rispetto a questa CAI che sempre di più mi sembra una cordata di amici!
La cosa seria era - e questo lo abbiamo sostenuto sin dall'inizio - un'asta pubblica, perché non è vero che non c'era tempo. Oggi siamo a sette, otto, nove mesi da allora e siamo nelle stesse condizioni, ma probabilmente avremmo avuto il tempo di tenere l'asta pubblica e forse di ottenere sul mercato qualcosa di più; e se avessimo offerto le stesse condizioni che oggi Berlusconi offre alla CAI, probabilmente avremmo avuto una ressa di società serie, europee o mondiali, che avrebbero di fatto raccolto il bagaglio di Alitalia.
Non dimentichiamoci infatti che Alitalia è un patrimonio importante che ha proprietà in tutta Italia ed hub internazionali e intercontinentali che fanno gola a tutti. Dunque, ci siamo comportati in modo disastroso, ma non finisce qui. Quanto alla cordata messa in piedi dagli amici ad un certo punto lo stesso Presidente del Consiglio ha affermato - e ciò fa un po' sorridere - che anche suo figlio avrebbe potuto partecipare. Ma perché poiPag. 33non ha partecipato? Forse per evidente conflitto di interessi o forse perché ha fatto fare la partecipazione a qualche altro amico!
Credo che vi siano delle grosse difficoltà e credo anche che oggi quell'istituto bancario che ha messo in piedi l'operazione o comunque ha dato una mano a questi signori portando le garanzie per rifinanziare o comunque capitalizzare l'Alitalia possa avere delle difficoltà.
Ritengo però che la vicenda Alitalia non sia conclusa, non finisce qui. Probabilmente riguardo alla faccenda Alitalia, vista la situazione di oggi in quest'Aula ed i tempi ristretti, sarete costretti a porre un'ulteriore questione di fiducia su un provvedimento che non dà riscontro e soprattutto non risolve i problemi. Credo che arriveremo all'ennesima fiducia, ma non solo: avremo anche difficoltà da qui in avanti, visto che il momento dal punto di vista economico e della finanza pubblica non è così favorevole, a contrapporci ad una trattativa da condurre rispetto ad altre grandi aziende che probabilmente andranno in difficoltà, perché nella trattativa abbiamo usato un metro diverso che nessuno ha mai usato.
Oggi siamo andati incontro su privilegi di cui alcuni dipendenti e funzionari, di qualsiasi livello, di Alitalia hanno potuto usufruire. Si tratta di situazioni che irrimediabilmente sono, ormai, ripercorribili, e che irrimediabilmente verranno pretese in altre trattative. Su questo, noi non siamo, per principio, mai stati d'accordo! Non si può pensare che un lavoratore vada in pensione con sette anni di credito al 60, al 70 o all'80 per cento di stipendio, già di per sé di un certo rilievo.
In conclusione, spero che almeno un insegnamento ci sia stato dato da questa vicenda che definire triste è poco: che al management delle grandi aziende pubbliche, alla politica (destra, sinistra e centro) e alle parti sindacali (come è stato affermato con una bellissima osservazione nel corso di un dibattito: il sindacato sarà un vero sindacato, quando sarà in grado, in alcune situazioni, di non difendere alcuni lavoratori che non sono lavoratori), serva da lezione e che non si possa ripetere un disastro di questo tipo (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. Onorevole Cimadoro, posso confermare quello che lei ha affermato sull'aeroporto di Orio al Serio: si tratta di un grande successo imprenditoriale, come, purtroppo, non ne abbiamo molti tra i nostri aeroporti.
È iscritto a parlare l'onorevole Fiano. Ne ha facoltà.

EMANUELE FIANO. Signor Presidente, le devo fare i complimenti, perché lei commenta sempre gli interventi dei colleghi, dimostrando, così, una reale attenzione alle cose che vengono affermate in quest'Aula; ciò è indice di serietà e di grande rispetto per le istituzioni che, invece, un'Aula così vuota non indurrebbe a pensare, soprattutto nel mentre discutiamo di un tema molto importante.
Se non vado errato il decreto-legge n. 134 del 2008, come tutti i decreti-legge, deve fondarsi su una riscontrabile caratteristica di urgenza e necessità. Questo decreto-legge si basa sull'urgenza e la necessità di intervenire per risolvere la notissima crisi finanziaria, industriale e occupazionale di Alitalia Spa e anche - mi permetto ricordarlo, come hanno sottolineato altri colleghi, anche prima di me, e non solo oggi, in molti altri dibattiti - di Air One. Pertanto, il contenuto di questo decreto-legge, come il contenuto di ogni decreto-legge, dovrebbe coerentemente corrispondere alla inderogabile condizione di necessità e urgenza. Invece, come è noto a tutti noi, e come già ampiamente dibattuto, non soltanto in questo ramo del Parlamento, ma anche nel Senato della Repubblica, il provvedimento in esame oltre ad occuparsi di questo merito, ovvero della necessità e urgenza di intervenire su questa crisi societaria - con un'ottica che successivamente avrò modo di criticare nel merito - modifica in più parti e radicalmente la normativa che regola l'amministrazione straordinaria delle grandi imprese, producendo l'effetto di rendere applicabili le disposizioni previste all'insiemePag. 34delle imprese operanti nel settore dei servizi pubblici essenziali. Una questione, quest'ultima, che non appare affatto, signor Presidente, riscontrare quelle caratteristiche di necessità e urgenza che dovrebbero muovere alla discussione di un decreto-legge. Non mi pare che le altre imprese operanti nel settore dei servizi pubblici essenziali - tutte o una parte di esse - vivano una condizione paragonabile a quella che vive la società Alitalia Spa, oggetto di questa decretazione d'urgenza. Ovviamente, a nessuno di noi è sfuggito anche il tema contenuto nell'articolo 3 del decreto-legge - quello che più volte è stato trattato dai colleghi che mi hanno preceduto - che determina un esonero di responsabilità per l'ultimo anno di attività, per gli amministratori e i dirigenti responsabili della redazione dell'insieme della documentazione contabile della società oggetto del provvedimento.
In questo ambito, Presidente, come già abbondantemente detto in questo dibattito, si prevede nel testo del decreto il trasferimento di ogni responsabilità civile e penale a carico unicamente della società, includendo la responsabilità amministrativa e contabile dei pubblici dipendenti. Mi fermo qui per introdurre intanto il tema della discrasia e dell'incoerenza fra ciò che dovrebbe dettare la necessità della decretazione d'urgenza da parte del Governo e il reale contenuto, dirompente, di radicale modifica della normativa vigente in esso contenuto su temi che non hanno a che vedere in maniera diretta con la peculiare situazione economica, finanziaria e occupazionale di Alitalia.
Se è certamente possibile dire che il Partito Democratico, il suo segretario Walter Veltroni e noi tutti abbiamo accolto con favore, ma anche direttamente contribuito alla soluzione del problema della stipula dell'accordo tra i sindacati e la nuova società, la CAI, sulla questione dei trattamenti economici contrattuali e degli esuberi, è altrettanto necessario ribadire oggi, in questa Aula, il nostro voto contrario a questo decreto che testimonia il nostro giudizio, che è negativo, sul modo pessimo, e anche pericoloso come precedente, con il quale il Governo è arrivato al risultato finale...

LAURA MOLTENI. Almeno a questo ci è arrivato.

EMANUELE FIANO. Bene, perlomeno una collega mi ascolta...

PRESIDENTE. La ascolto anche io, onorevole Fiano. Siamo almeno in due.

EMANUELE FIANO. Sì, ma io a lei, Presidente, i complimenti li ho già fatti, non posso ripeterli. Mi riferisco agli slogan utilizzati in campagna elettorale, sino all'uso strumentale del decreto-legge per modificare - come dicevo prima - importanti norme dell'ordinamento. Vorrei ricordare - è già stato ricordato sia nel corso di questo dibattito sia nel dibattito al Senato - che mai con decreto-legge erano state derogate norme antitrust in materia di concentrazione, che mai erano state sospese con questo strumento norme sulla responsabilità degli amministratori, che mai erano state scritte regole costruite su misura per alienare i beni di Alitalia in deroga alle norme sulla valutazione indipendente, sulla pubblicità e sul vincolo del miglior realizzo, che mai per favorire un caso specifico si era modificato il concetto di gruppo di imprese, e che mai si era concesso con un decreto-legge al commissario liquidatore di frantumare attività produttive nate unitarie e di creare nuovi rami d'azienda dove trasferire, per legge, agli acquirenti, autorizzazioni, licenze e concessioni pubbliche.
Vedano, Presidente e colleghi, che forse sin qui (e forse proprio a questo si riferiva il commento della collega e concittadina Molteni) potrebbe trattarsi soltanto di una nostra critica ideologica, e potrebbe essere presa come una critica ideologica pregiudiziale, preconcetta su questo corposo, consistente, mai prima verificatosi, flusso di deregolazione alle norme del mercato presente in questo decreto. Tuttavia, prima ancora di entrare nel merito, devo dire che forse vi è stata un po' di sfortunaPag. 35da parte del Governo, perché come altro potrebbe chiamarsi il tempismo con il quale questo decreto deregolativo di una serie di norme - che ho provato a citare - cade nel momento in cui tutte le teste pensanti dell'economia occidentale di questo mondo fanno autocritica per l'ideologia deregolativa (per la deregulation come gli dicono gli americani), che negli ultimi venti anni ha contraddistinto il sistema dell'attuazione degli scambi di capitali sul mercato economico e finanziario? Basta leggere la prima pagina del Corriere della sera di questa mattina: le tesi di Samuelson.
Ma basta ricordarsi di quanto va dicendo il candidato repubblicano alla Casa Bianca, John McCain, quando accusa e propone che i manager che si sono resi colpevoli di determinate attività nel campo finanziario vanno giudicati con straordinaria durezza.
In altre parole, mentre il mondo considera ormai inderogabile un ritorno a norme più stringenti ed una critica sostanziale della logica deregolativa, che ha contraddistinto il mondo economico-finanziario (in particolare quello occidentale, ma ormai «occidentale» è una parola troppo ristretta, perché dobbiamo valutare anche quanto succede alle norme economiche e funzionarie nel mondo cinese e in quello indiano), mentre osserviamo ciò nel resto del mondo, mentre negli Stati Uniti l'FBI indaga sulla responsabilità dei manager americani e il leader repubblicano McCain chiede il licenziamento del presidente della SEC (cioè la corrispondente della nostra Consob), cosa succede contemporaneamente in Italia? Berlusconi e Tremonti varano con un decreto-legge una norma salva-amministratori. Fa cadere le braccia questa incoerenza culturale e sostanziale.
Tutto ciò però ha un costo; tutte queste scelte, oltre all'incoerenza culturale rispetto a quanto sta accadendo nel mondo, hanno un costo. Possiamo con calma analizzare e confrontare i costi del passaggio di Alitalia a CAI con quelli del passaggio di Alitalia ad Air France, ipotesi che si era prospettata sul finire del mandato del precedente Governo? Quanto ci costa questa operazione? Non abbiamo abbastanza informazioni (Commenti della deputata Laura Molteni)... ma vedo che la collega Molteni è esuberante nel desiderio di intervenire: interverrà e mi dirà se questi conti sono sbagliati, signor Presidente.
CAI ha previsto un investimento di un miliardo. Oggi il suo capitale è di 160.000 euro. Seguiranno altri investimenti, per adesso non si conoscono. Vediamo a cosa si era impegnata Air France (mi pare che questi calcoli li abbia già ripetuti in apertura di mattinata un collega): Air France si era impegnata formalmente a ripianare il debito (1,4 miliardi di euro), ad aumentare il capitale di Alitalia (un miliardo), ad acquistare sul mercato azioni di Alitalia per circa 200 milioni, a restituire allo Stato il cosiddetto prestito-ponte (questo «ponte» è un termine che ritorna un po' troppo nelle ultime deliberazioni di questa Assemblea), al rimborso del prestito obbligazionario (400 milioni) e, in più, sarebbero stati a carico di Air France i costi della gestione di Alitalia Spa da marzo ad oggi (quindi circa altri 250-300 milioni). In totale, fino a qui, non avendo ancora calcolato i costi sociali degli ammortizzatori, circa 3 miliardi e 500 milioni. Quindi, rispetto alla quantificazione dell'investimento che fino adesso conosciamo e che ha previsto CAI, una differenza di 2 miliardi e 500 milioni di euro. Se vi sembrano pochi! A me non sembrano pochi, e sono solo i conti che conosco per adesso.
Però non possiamo prescindere dal calcolo dell'onere sociale di questa operazione, che va confrontato rispetto alle due operazioni, anche se non conosciamo bene nel dettaglio alcuni numeri che sono in campo. È stato detto più volte - è stato riportato dalla stampa - che il piano Air France prevedeva 2.120 esuberi, più 3.300 lavoratori da trasferire a Fintecna, con otto anni di appalti garantiti dalla medesima Air France. La CAI, la nuova Alitalia, ha dichiarato di aver bisogno di 14.250 addetti, di cui 2.750 sono addetti esterni. Poiché Alitalia possiede 18.000 di questi dipendenti e Air One 3.000, gli esuberi sono calcolabili in circa 7.000, oltre aPag. 36quelle realtà industriali che rimangono fuori dal cosiddetto perimetro dell'accordo, come per esempio la funzione del cargo.
I costi sociali di questa manovra, delle citate misure e degli esuberi non sono conosciuti, ma, a questo punto della discussione, mi permetto di stimare gli esuberi in un numero che va intorno alle due volte e mezzo in più rispetto a quelli che avremmo avuto con Air France.
Vi sono, inoltre, signor Presidente e colleghi, molte domande che ci poniamo - e che io mi pongo - su una serie di conflitti di interesse (contemplati in ciò che sta accadendo e all'interno di ciò a cui assistiamo) ed anche di violazioni delle norme sulla concorrenza. Non vorrei calcare troppo la mano in questa sede, ma numerosi Ministri di questo Governo hanno prodotto ed hanno comunicato, dal tempo della campagna elettorale in poi, un'esplicita manifestazione di preferenza per una soluzione piuttosto che per un'altra. Ma non è tanto questo che mi interessa. Se non vado errato, vi è una domanda pendente presso l'Antitrust di esprimersi circa la legittimità dell'affidamento alla Banca Leonardo dell'incarico di stabilire il valore delle proprietà, del patrimonio e degli asset di Alitalia, di cui la nuova società Compagnia aerea italiana è interessata all'acquisto. Ricordo - sarei ben lieto di essere smentito - che alcuni dei titolari della cosiddetta cordata (l'ingegner Ligresti, il dottor Tronchetti Provera e la famiglia Benetton) sono contemporaneamente azionisti di CAI (acquirente di Alitalia) ed anche di Banca Leonardo (advisor, cioè consulente del venditore). Quindi, se quanto affermo è corretto - ben lieto di essere eventualmente smentito - ci troviamo in presenza di partner industriali che svolgono la funzione di acquirente e, contemporaneamente, sono soci del soggetto che svolge la funzione di consulente del venditore.
Vi è, infine, un'altra questione a mio avviso non completamente chiarita, sulla quale si è anche richiamata l'attenzione dell'Antitrust. Mi riferisco alla presenza delle società del gruppo Benetton e del gruppo Ligresti, presenti nel Fondo Clessidra e, quindi, contemporaneamente presenti sia nella società CAI che nella società Aeroporti di Roma. Sembrerebbe che l'Antitrust non abbia individuato in questa posizione un'incoerenza oppure un conflitto di interessi; tuttavia, vorrei dire soltanto che ci troviamo in presenza di una situazione assai strana, di compresenza delle due parti di una contrattazione economica.
Vorrei aggiungere, signor Presidente, che, poiché con il decreto-legge in oggetto - come è noto e come è stato già abbondantemente affermato dai colleghi - siamo in presenza di una modifica delle norme previste dalla cosiddetta legge Marzano, che intervengono nel caso di crisi di grandi gruppi industriali (si tratta di norme nate a seguito della vicenda Parmalat), stiamo costruendo una situazione di disparità ed un precedente pericoloso in questo campo, direi per tre ordini di motivi.
In primo luogo, perché, dovendo concretizzare le promesse elettorali, si è dovuto costruire per davvero la cordata italiana e - come emerge oggi nel corso della discussione sul decreto-legge in esame ed emergerà nel voto della maggioranza che poi dovrà convertirlo - si è dovuto fare ricorso a misure straordinarie.
Secondo noi tali misure sono, in parte, lesive degli interessi dei contribuenti, delle imprese e dei consumatori. È ovvio il motivo per cui sono lesive dei contribuenti: i contribuenti italiani saranno chiamati a pagare per anni con le tasse, con un aumento dell'imposizione fiscale, con un aumento del peso fiscale, un onere per il bilancio pubblico che, altrimenti, non avrebbe dovuto determinarsi.
In secondo luogo, queste misure vanno a danno delle imprese, perché quelle piccole e medie sono chiamate a sostenere un intervento, oggi, di cui loro stesse non potrebbero beneficiare, se toccasse a loro di trovarsi nella condizione di grave difficoltà nella quale si è trovata e si trova oggi Alitalia.
In terzo luogo - e questo è un elemento che pensavo avrebbe dovuto colpire alcuni di coloro che in questo Paese perPag. 37decenni hanno teso ad insegnarci le magnifiche virtù e forze delle regole virtuose e dei prodotti virtuosi della concorrenza - qui vi è il rischio di un danno per i consumatori perché la sospensione delle norme antitrust fa del campo del trasporto aereo italiano un mercato dove potrebbero praticarsi, nei prossimi anni, prezzi più alti di fronte ad un peggioramento del servizio. Di fatto rischiamo di entrare in un mercato italiano del trasporto aereo privo di concorrenza in quanto le norme antitrust vengono bloccate.
Vi è una questione importante sottesa al futuro industriale di questa società alla quale si sono dedicati interventi di miei colleghi e anche di colleghi del mio partito: è una situazione che riguarda il futuro del trasporto aereo italiano ed il futuro del sistema aeroportuale italiano; è una questione che riguarda il futuro dei grandi aeroporti italiani - il futuro di Malpensa, il futuro di Linate, il futuro di Fiumicino - ed è per questo che parlo di una grande questione nazionale.
Vi è un modo che penso sarebbe utile, foriero di risultati positivi, per affrontare questa questione. Ricordo che il nord di questo Paese - gli aeroporti di Malpensa e Linate - hanno già dovuto subire negli scorsi mesi, in particolare Malpensa, un taglio di tratte internazionali gestite da Alitalia. Ricordo che, all'interno di un piano industriale che ancora non conosciamo nel dettaglio, è stata annunciata la regressione del ruolo di Linate unicamente a stazione della navetta aerea Milano-Roma. Ricordo anche che, sintomaticamente, l'annuncio della mancanza di una strategia pianificatoria complessiva del sistema dei trasporti nazionali di questo Paese, l'annuncio della regressione del ruolo di Linate, è caduto esattamente nei giorni in cui si annunciava, per il 13 dicembre di quest'anno, l'inaugurazione della linea ad alta velocità Milano-Roma (tratta ferroviaria) con un tempo di 3 ore e mezzo tra Milano e Roma dal dicembre di quest'anno, e, tra dodici mesi, con un tempo di percorrenza di 2 ore e 59 minuti, in totale competizione virtuosa con i tempi del trasporto aereo.
Ricordo altresì, per chi non se ne fosse accorto, che Milano ha vinto la candidatura per ospitare nel 2015 la sede dell'esposizione universale.
Quindi, pur in assenza - colpevole per adesso - di un decreto del Governo che ci informi di quale sarà la governance che guiderà il processo di realizzazione delle opere necessarie ad ospitare l'Expo - non so cosa ne pensino i miei colleghi del ritardo con il quale stiamo arrivando a quel decreto per stabilire la forma, la natura e l'organizzazione della governance che guiderà il processo di realizzazione delle opere dell'Expo - è del tutto evidente che il tema del trasporto aereo, della connessione tra Milano e l'insieme delle mete italiane e mondiali, ci riguarda. Esso riguarda anche l'applicazione della ristrutturazione e della riqualificazione societaria di Alitalia (o come si chiamerà la nuova compagnia aerea italiana). Abbiamo da sempre appoggiato la seguente idea, che non è solo nostra e concerne, con riferimento al futuro degli aeroporti di Malpensa e Linate, ma non solo, il tema della liberalizzazione degli slot: il mercato - che noi riteniamo, sulla base dell'analisi di quanti, come e dove vengono venduti i biglietti del trasporto aereo nel nostro Paese, molto interessato allo sviluppo degli aeroporti di Malpensa e Linate -, di fronte ad una liberazione o liberalizzazione degli slot che Alitalia possiede in tali aeroporti, saprebbe utilizzare al meglio quelle localizzazioni di Malpensa e Linate. Onestamente credo che, con riferimento a questo tema e cioè al futuro dello sviluppo degli aeroporti italiani, sarebbe interessante capire verso quale direzione di alleanza industriale va la nuova società Alitalia. Tutti noi sappiamo che vi sarebbero delle differenze di scelta di strategia industriale se un futuro socio straniero della nuova Alitalia si chiamasse Air France piuttosto che Lufthansa. Nessuno di noi è così poco avveduto da non capire che la scelta del partner internazionale industriale di Alitalia potrebbe orientare le scelte in una direzione o in un'altra. Ritengo che ci troviamo di fronte ad una grande questione nazionale. Oltre alle questioni normativePag. 38ed economiche, il Governo verrà messo alla prova sul tema delle alleanze internazionali. Benché nell'alleanza di Governo sia presente un alleato forte e determinato come la Lega Nord nella difesa degli interessi di una parte sostanziale del Paese, io vorrò vedere alla prova questo Governo per verificare se le scelte strategiche di politica industriale che riguardano il futuro di Alitalia terranno conto della necessità che quella parte del Paese ha di vedere confermata la propria centralità nella logica di scelta strategica e industriale di Alitalia. Finora non l'ho riscontrato, anzi, per quanto se ne sa, gli annunci riferiti ai contenuti del piano industriale ci hanno reso edotti del fatto che l'aeroporto cittadino di Milano potrebbe essere messo nelle condizioni, per così dire, di non nuocere, ove fosse relegato unicamente al ruolo di stazione della navetta del traffico aereo tra Milano e Roma in presenza dello sviluppo forte e molto importante della tratta ad alta velocità Milano-Roma. Mi domando cosa tutto ciò produrrebbe nello sviluppo della città di Milano.
Certo, questo tema non riguarda direttamente il decreto-legge al nostro esame, ma vorrei mettere in connessione l'incertezza sul ruolo dell'aeroporto milanese anche con il tema del grande ritardo negli investimenti che avrebbero dovuto, o meglio che era stato promesso che sarebbero dovuti arrivare dal Governo, per le infrastrutture di Milano e della Lombardia.
Voglio ricordare le centinaia e centinaia di milioni di euro che mancano ancora per molte delle infrastrutture necessarie per mettere in connessione tra loro le strutture aeroportuali e l'insieme del tema delle infrastrutture necessarie per la realizzazione dell'EXPO 2015. Quindi, signor Presidente, avviandomi a concludere...

PRESIDENTE. La prego di concludere.

EMANUELE FIANO. ...ci siamo trovati di fronte, ci troviamo di fronte ad una decretazione d'urgenza che contiene al suo interno temi di deregolamentazione delle norme di regolazione del mercato che nulla hanno evidentemente di urgente.
Ci troviamo di fronte all'uso di un decreto-legge per attuare modifiche nelle normative che lasceranno tracce di sé in futuro; ci troviamo di fronte ad un'operazione, come quella dell'acquisto di Alitalia da parte di CAI, che comporta profili di conflitti di interesse sicuramente gravi. Ci troviamo di fronte a norme che riguardano la deregulation che vanno certamente in contrasto con quanto sta succedendo.

PRESIDENTE. Onorevole Fiano, deve concludere.

EMANUELE FIANO. Pronuncio la frase finale. Mi auguro, signor Presidente che ci sia ancora tempo per rivedere e modificare alcuni dei temi contenuti in questo decreto-legge e comunque, per quanto esposto, il nostro gruppo voterà contro questo decreto-legge (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Grazie onorevole Fiano. Pensi che Manzoni aveva solo venticinque lettori ed era Manzoni. Lei qui si avvicina a quella cifra di ascoltatori.
È iscritto a parlare l'onorevole Benamati. Ne ha facoltà.

GIANLUCA BENAMATI. Signor Presidente, onorevole rappresentante del Governo e onorevoli colleghi, molto abbiamo già ascoltato in quest'aula, oggi, sul tema Alitalia, ma ci stiamo avviando verso la conclusione, sotto gli occhi di tutti, di una vicenda complessa, una vicenda dai molti risvolti e per la quale, francamente, non occorreva essere profeti per individuare un epilogo di tale natura. Col passare del tempo - che come noto è galantuomo e fa giustizia delle promesse, anche di quelle elettorali - si sono chiariti i contorni di un'operazione che manifesta oggi appieno tutti i suoi limiti.
Mi permetta, onorevole Presidente, una breve digressione storica sull'Alitalia prima di entrare nel vivo dell'esame della questione. La crisi dell'Alitalia non è nuova per questo Paese, ma inizia nellePag. 39forme drammatiche che oggi conosciamo alla fine degli anni Novanta con la realizzazione di Malpensa 2000 e la mancata razionalizzazione, l'incapacità da parte della compagnia di razionalizzare il sistema di volo interno e la gestione dei due scali principali di Malpensa e Fiumicino.
Si tratta di una situazione che è stata aggravata, in quegli anni, dal calo del mercato del trasporto aereo conseguente a fattori esterni - quale l'attacco terroristico dell'11 settembre alle torri gemelle che ebbe come conseguenza un blocco quasi totale del trasporto aereo - accompagnato da una turbolenza sui costi del carburante francamente elevata: situazioni, quindi, in parte di crisi interna, di incapacità di gestione interna e in parte di crisi importate dall'esterno.
Ricordiamoci comunque che, quando parliamo di Alitalia, stiamo parlando di una compagnia che dal 1988 ha risultati di gestione in rosso, con l'unica eccezione del 1998 anno in cui, a fronte di un basso costo del petrolio e non essendo stati ancora spostati i voli da Fiumicino a Malpensa, ci fu un risultato di gestione positivo.
Nel quinquennio 2001-2006, anni in cui peraltro ha governato un Esecutivo di centrodestra, si sono succeduti due aumenti di capitale, l'ultimo dei quali mediante la garanzia governativa ad un prestito di 400 milioni che oggi è oggetto di una contesa con la Commissione europea che sta valutando il successivo prestito ponte che abbiamo varato nei mesi scorsi, e un tentativo di privatizzazione, anche quello non andato a buon fine. In quel periodo, dal 2001 al 2006, il titolo Alitalia perse l'80 per cento del suo valore.
In questo cupo scenario, nella passata legislatura il Governo Prodi avviò un processo di privatizzazione della compagnia, basato sullo schema di una gara con pubblica evidenza. Si è trattato di una procedura lunga e complessa e l'offerta del gruppo Air France-Klm risultò quella maggiormente interessante con una proposta vincolante che prevedeva un'offerta pubblica di scambio sul 100 per cento delle azioni Alitalia, con una permuta di 160 azioni Alitalia per ogni azione Air France-Klm e un'offerta pubblica di acquisto sul 100 per cento delle obbligazioni convertibili.
Complessivamente Air France si impegnava a versare ad Alitalia almeno un miliardo, entro giugno 2008, accollandosi, quindi, nell'ambito solo di questa operazione e senza considerare i costi accessori che l'onorevole Fiano ha citato prima, anche un miliardo e 400 milioni di euro di debiti finanziari netti e quindi di base, nella semplice operazione e senza costi accessori, stiamo parlando di un valore di 2,4 miliardi di euro.
L'offerta, come si ricorda, era vincolata a una serie di condizioni e tra queste il raggiungimento di un accordo con i sindacati rappresentava il presupposto principale. Oltre a tale ultima condizione, vi erano anche: l'impegno scritto del Governo a mantenere in portafoglio i diritti di traffico Alitalia, la sottoscrizione di un accordo con Aeroporti di Roma sui livelli di servizio necessari per l'attuazione del piano operativo 2008-2010, un accordo con Fintecna e Alitalia servizi per le attività di manutenzione del ground handling, la movimentazione a terra, il ritiro del contenzioso in essere con la Sea di Milano.
In Alitalia, a fronte di questo, vi sarebbero stati, come è già stato detto, esuberi per circa 2.100 unità, mentre 3.300 lavoratori sarebbero rimasti in AZ Fintecna con appalti garantiti per un congruo numero di anni. Lo Stato italiano avrebbe ricevuto una quota del capitale del gruppo franco-olandese che, in questa condizione di mancanza di debiti e di passività da sopportare, avrebbe potuto incrementare il proprio portafogli azionario diventando così uno degli azionisti principali di un grande colosso internazionale del trasporto aereo. Il nuovo gruppo si sarebbe industrialmente basato su tre grandi hub, tre grandi aeroporti ordinatori: Amsterdam, Parigi e Roma.
Questa soluzione, che era sul tavolo, è naufragata in maniera evidente per diverse ragioni. Certamente una prima ragione è stata il mancato accordo con i sindacati.Pag. 40All'epoca la conflittualità sindacale, che abbiamo visto anche di recente, fu una delle ragioni che indussero Air France-Klm a interrompere la trattativa ritirando l'offerta. Tuttavia la seconda ragione, onorevole Presidente, è stata senza dubbio l'annuncio in piena campagna elettorale, da parte dell'allora candidato alla Presidenza del Consiglio, onorevole Berlusconi, della possibilità di una concreta soluzione differente, alternativa e migliore, da realizzarsi in poche settimane mediante l'intervento di una cordata di operatori nazionali. I temi che furono posti allora li ricordiamo con chiarezza ancora oggi: la difesa dell'italianità della compagnia di bandiera, la presunta penalizzazione del ruolo di Alitalia quale grande vettore di livello mondiale, la mancanza di garanzie per Malpensa come hub nazionale, gli esuberi ritenuti eccessivi dai sindacati.
Tutti questi furono argomenti, onorevoli colleghi, che per settimane e direi per mesi hanno infiammato la politica e hanno tenuto banco sulla stampa nazionale. Il resto, onorevole Presidente, è storia recente.
In queste condizioni, come dicevo, Air France lascia, le elezioni sono vinte dal centrodestra e portano ad un nuovo scenario con la formazione di un nuovo Governo. Il 30 maggio il Governo assume il compito di individuare il nuovo proprietario ed advisor viene nominata Intesa Sanpaolo. Fra il 3 e il 4 giugno il titolo viene sospeso in Piazza affari.
L'11 giugno la Commissione dell'Unione europea apre un'indagine sui 300 milioni del prestito ponte (non bloccandone l'utilizzo) e il 26 agosto, dopo più di cento giorni dalla decisione dei franco olandesi di ritirarsi, con molta fatica e molto lavoro, nasce la nuova compagnia con i primi sedici soci che darà poi vita alla Compagnia aerea italiana con Rocco Sabelli amministratore delegato e Roberto Corradino presidente. Fra questi sedici imprenditori e gruppi industriali che intendono presentare e poi presenteranno, il 1o settembre, l'offerta, si potrebbe casualmente notare che vi sono anche concessionari dello Stato e il maggior concorrente domestico di Alitalia.
Il 28 agosto, il Consiglio dei Ministri vara la modifica della legge Marzano e procede al commissariamento dell'azienda indicando il professor Augusto Fantozzi come commissario. Il 1o settembre, come dicevo prima, l'offerta della CAI e il cosiddetto piano fenice sono sul tavolo. Come molti hanno già capito era un confronto perdente quello fra la proposta della CAI e la proposta Air France-KLM. In nessun caso la proposta della cordata dei sedici imprenditori italiani migliora la situazione precedente e in molti altri la peggiora profondamente.
Innanzitutto, in questo caso c'è la necessità di scindere la vecchia Alitalia in una parte buona, nella quale vengono conferiti i valori e la parte industrialmente sana, e in una seconda parte nella quale vengono posti gli asset da liquidare con i debiti ed i dipendenti in esubero a carico del sistema pubblico. Questo scorporo dell'Alitalia in due parti lascia almeno 1,4 miliardi nella compagnia malata: debiti che verranno pagati dallo Stato, dai creditori e dagli azionisti.
Dal punto di vista industriale, poi, nella proposta per la nuova Alitalia ci sono diciannove destinazioni internazionali in meno rispetto al progetto franco olandese (per quanto è dato di sapere dal piano) e per quanto riguarda gli aerei ci saranno cento aerei in meno della somma dei vettori delle due compagnie Alitalia ed Air One.
Si noti, inoltre, che la nuova Alitalia, da quanto è dato di capire, non avrà in proprietà gli aerei secondo il piano «Fenice» e la flotta sarà gestita in leasing (nessuna grande compagnia utilizza questa tecnica) ed il fornitore dei velivoli in leasing sarà il dottor Toto, proprietario di Air One. Diventa oggi lecita la domanda se abbiamo voluto costruire un'Alitalia più piccola o una Air One più grande e se abbiamo risolto qualche problema dei soci della CAI.
Alla fine vi è la tematica degli scali, che fu uno degli elementi di grande conflittualitàPag. 41sulla proposta franco olandese. La nuova compagnia ha risolto brillantemente il problema perché questa compagnia, che sta per assumere il profilo di una compagnia media, con pochi collegamenti intercontinentali e relativamente pochi voli internazionali, molto concentrata sul mercato domestico, abbandonerà dagli schemi il concetto di hub, con buona pace delle liti fra Malpensa e Fiumicino e delle relative dispute politiche, si baserà su sei scali principali e sarà una compagnia che della tratta Milano-Roma farà il suo principale asse di forza e la sua principale fonte di reddito.
A questo punto, signor Presidente, vi sono anche i problemi connessi alla restituzione di 715 milioni di euro di obbligazioni convertibili di cui 400 milioni di euro sottoscritte anche da piccoli investitori anni fa, quando la compagnia era del 51 per cento dello Stato, e che hanno fatto affidamento sulla protezione di fondo che è legata alla presenza e alla solidità dello Stato e che oggi vedono i titoli in portafoglio esposti a rischi di default.
Come dicevamo prima, la Consob sospese i titoli e oggi il ricorso ai conti dormienti per indennizzare i possessori di bond, previsto nel decreto-legge n. 134 del 2008, oltre a ridurre le risorse disponibili per le vittime di altri crack finanziari che valgono sui conti correnti dormienti, con suprema ironia, rende assimilabile la posizione dello Stato e dei titoli di aziende di Stato con quelli di soggetti insolventi quali la Parmalat e Cirio.
Per quanto riguarda poi la procedura di infrazione che la Commissione europea ha aperto in base al regolamento del Consiglio n. 659 del 1999 sulla disciplina degli aiuti di Stato, è chiaro che il prestito ponte, già discusso in precedenza nell'entità definita di 300 milioni di euro, a fronte di un semplice prestito, fu trasformato per necessità contingenti nel marzo in un prestito in conto capitale, che in caso di liquidazione della compagnia verrebbe rimborsato solo dopo che siano stati soddisfatti tutti gli altri creditori.
Questo per la Commissione europea costituisce un principio di violazione di aiuto una tantum considerato che l'Alitalia, come dicevo in premessa, ha già fruito di tale possibilità sotto forma di garanzia di un presto di 400 milioni concesso dal Governo con il decreto-legge n. 168 del 2004, che portò alla seconda delle ricapitalizzazioni che citavo in premessa.
Sul prestito, quindi, grava l'incertezza dovuta al processo comunitario e anche una certa incertezza in caso di esito negativo su chi sia chiamato a restituirlo e su chi debbano gravare le sanzioni comunitarie. Si tratta di un quadro che oggettivamente appare negativo. Come si è potuto osservare, però, al di là della facile propaganda politica, la posizione del Partito Democratico nell'ultima fase di questa sciagurata vicenda è stata, a mio avviso, coerente e corretta. Pur vantando insoddisfacente la soluzione dal punto di vista del Paese, si è cercato di contribuire nei modi e nelle forme possibili per una forza politica di opposizione responsabile alla chiusura positiva di questa vicenda, così da non aggiungere danno al danno, debiti ai debiti, e da non lasciare letteralmente sul lastrico migliaia di lavoratori e di lavoratrici.
Vi è stata una cosciente strategia di limitazione del danno, una volta che la soluzione ottimale che era stata costruita è stata bruciata e non certo per responsabilità del Partito Democratico. Proprio per questo, onorevole Presidente, occorre rilevare oggi le palesi contraddizioni del decreto-legge che stiamo discutendo, che deve essere valutato anche alla luce dei risultati conseguiti che ho testè illustrato.
Da un punto di vista industriale, come dicevo, la CAI non può che ricevere una valutazione negativa, in quanto rappresenta un forte arretramento rispetto alle prospettive industriali dell'accordo Air France-KLM, diminuendo i collegamenti internazionali, creando una compagnia concentrata sul mercato interno che non ha prospettive di futuro industriale, se non stringerà al più presto accordi con grandi partner industriali a livello mondiale, che si basa su una flotta di veicoli in leasing e che non salvaguarda il ruolo degli hub italiani.Pag. 42
Per quanto riguarda la procedura cui si è dovuti ricorrere - è gia stato menzionato da altri interventi - per giungere a questo risultato, essa pare opaca e priva di ogni richiamo alle logiche di concorrenza, passando attraverso una modifica pesante del decreto-legge n. 347 del 2003. Per inciso, è già stato richiamato dall'onorevole Fiano, non si è ancora completata la valutazione del patrimonio in cessione da parte del soggetto incaricato, la Banca Leonardo.
Per quanto riguarda le modifiche di dettaglio, vi sono punti che suscitano profonda riflessione. La deroga francamente inaccettabile introdotta con il nuovo decreto-legge, sia per l'individuazione dell'acquirente, sia per le procedure di alienazione dell'espletamento di idonee forme di pubblicità così come previsto dall'articolo 62 del decreto legislativo n. 270 del 1999, è, ripeto, inaccettabile ed è stata introdotta di fatto in questa tipologia di attività la trattativa privata. Si tratta di una trattativa troppo discrezionale.
Il prezzo di cessione poi, ed è questo il caso, può essere valutato, sempre secondo quanto previsto dall'articolo 4 del decreto-legge n. 347, come modificato dal comma 10 dell'articolo 1 del presente decreto, mediante una perizia di un soggetto terzo che è identificato dal Ministero dello sviluppo economico ma i cui requisiti di scelta risultano, come nel caso concreto, quanto meno poco chiari. Richiamo il fatto che l'articolo 4, al comma 4-quinquies, esclude questo tipo di operazioni dalle autorizzazioni previste dalla legge 10 ottobre 1990, n. 287 e di fatto le rende indipendenti dalle autorizzazioni dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato. Rispetto all'articolo 3, rispetto alla responsabilità degli amministratori, rispetto al comma 13-bis sulla responsabilità penale aggiunto all'articolo 1, già si è molto detto in quest'Aula; l'unica considerazione che desidero aggiungere è che si possono aprire varchi anche per casi quali Cirio e Parmalat, assolutamente non comparabili con quello di cui stiamo trattando.
In ultimo si stabilisce, all'articolo 2, dal comma 1 al comma 5, un trattamento di integrazione salariale e un trattamento di mobilità che può arrivare rispettivamente sino a quarantotto e a trentasei mesi, non in linea con la legge n. 233 del 1991 che stabilisce la cassa integrazione salariale straordinaria sino a ventiquattro mesi. Ci sarà da chiedersi, come già l'onorevole Sarubbi ha indicato in precedenza, quali potranno essere gli effetti di questa disparità di trattamento verso i lavoratori che sono in condizioni di crisi in altri comparti industriali e che oggi lamentano difficoltà in tutto il nostro Paese.
Concludendo, onorevole Presidente, la valutazione complessiva per la gestione del caso Alitalia per quanto ci riguarda non può che essere negativa. Per ragioni meramente elettorali, nel tentativo di trovare la promessa cordata, si sono scaricati sui cittadini italiani ulteriori oneri, si sono utilizzati una volta di più soldi pubblici per ripianare i debiti di Alitalia, mettendo in mano a sedici imprenditori un patrimonio sano e libero dal debito che sarà di interesse, anzi lo è già, per grandi vettori internazionali che, appena sarà loro consentito, acquisiranno quote rilevanti se non la totalità della nuova società.
Per fare questo siamo qui oggi a discutere di un decreto che modifica profondamente le regole e stabilisce degli inaccettabili precedenti, soprattutto per quanto riguarda la trasparenza della gestione pubblica e il rispetto del mercato e della concorrenza. Signor Presidente, questi sono i motivi per cui esprimiamo un giudizio negativo sia sul metodo con cui è stata fatta questa operazione sia sul merito di essa (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Coscia. Ne ha facoltà.

MARIA COSCIA. Signor Presidente, colleghi, rappresentante del Governo, come deputate e deputati del Partito Democratico abbiamo preso atto della conclusione della prima fase della vicenda Alitalia tirando quasi un sospiro di sollievo,Pag. 43perché il nostro sistema di trasporto aereo si trovava sull'orlo di un burrone nel quale rischiava di precipitare. Com'è noto, il Partito Democratico, con grande senso di responsabilità verso il Paese e verso i lavoratori e le lavoratrici di Alitalia, si è impegnato con il suo segretario Walter Veltroni in una fase molto delicata a favorire la ripresa di una trattativa che si era drammaticamente interrotta, per un comportamento irresponsabile di una parte del Governo, tra la Compagnia aerea italiana e le organizzazioni sindacali, trattativa che si è così poi potuta concludere positivamente. Dunque noi riteniamo importante che si sia giunti finalmente a mettere un primo punto sul tema Alitalia, anche per il contesto, nel quale ci troviamo ancora oggi, della drammatica crisi finanziaria mondiale. Crisi che, appunto, stiamo ancora attraversando.
Il caso Alitalia rappresenta oggi solo una parte, un tassello, ma è bene tuttavia ricordare quale parte importante ha nella nostra economia il sistema del trasporto aereo. Tuttavia, il nostro giudizio per come è stata condotta l'intera vicenda dall'onorevole Berlusconi e dal Governo rimane molto negativo. Ci chiediamo quanti danni potevano essere evitati, tanto più in questo quadro di crisi finanziaria ed economica così grave, se a suo tempo fossero state compiute scelte migliori. Il Governo ha dimostrato ancora una volta di non essere all'altezza della situazione e sopratutto di non saper scegliere il bene del Paese rispetto agli interessi di parte.
Per come si è snodata la vicenda Alitalia, e alla luce dei risultati, i fatti parlano molto chiaro e ci dicono che la soluzione fortemente voluta dal Governo e dalla maggioranza che lo sostiene è stata la peggiore tra quelle che erano in campo. Per dimostrare questa tesi è sufficiente ripercorrere la storia degli ultimi mesi che dimostrano chiaramente come il Presidente del Consiglio non abbia scelto in funzione della ricerca del bene pubblico ma, al contrario, in relazione a necessità elettorali e ad interessi di parte.
Proprio per questa ragione il Partito Democratico ha, fin da subito, formulato un giudizio estremamente critico e severo sul merito delle scelte operate dal centrodestra, prima, nella stagione 2005-2006, e poi nel corso dell'ultima campagna elettorale dove la drammatica vicenda della nostra compagnia di bandiera venne utilizzata in modo assolutamente strumentale per ottenere qualche voto in più e per screditare l'azione intrapresa responsabilmente dal Governo Prodi per trovare, nel rispetto delle regole e con la massima trasparenza, la migliore soluzione possibile per Alitalia. Insomma, è stata messo in campo il solito spot.
Con la scelta compiuta da Berlusconi che ha fatto del caso Alitalia uno dei cavalli di battaglia della campagna elettorale, sostenendo che si sarebbe impegnato a favorire la cordata italiana (della cui esistenza solo lui in quella fase pareva essere a conoscenza) e a difendere, quindi, a spada tratta l'italianità della compagnia, siamo arrivati in modo pessimo e pericoloso a questo risultato, a cominciare dall'uso del decreto-legge per modificare importanti norme ordinamentali.
Il Governo ha infatti colto l'occasione per inserire nel decreto-legge disposizioni non necessarie per il caso Alitalia, inaccettabili nel merito e in molti casi incostituzionali. Sono state derogate norme antitrust in materia di concentrazioni, sospese norme sulle responsabilità degli amministratori, poi rientrate, definite regole ad hoc per alienare i beni dell'impresa in deroga alle norme sulla valutazione indipendente, sulla pubblicità, nonché sul vincolo del miglior realizzo e tanto altro ancora. Per favorire un caso specifico si è modificato il concetto di gruppo di imprese e con decreto-legge si è concesso al commissario liquidatore di operare spezzettamenti di attività produttive unitarie o di creare rami di azienda non preesistenti, con trasferimento ex lege agli acquirenti di autorizzazioni, licenze e concessioni pubbliche.
La soluzione Berlusconi, dunque, della cosiddetta difesa ad oltranza dell'italianità, che tuttavia è destinata a diluirsi nel tempo perché è del tutto chiaro, fin da ora, che il futuro partner straniero avrà unPag. 44ruolo determinante nella conduzione della compagnia, ha comportato costi salatissimi a carico degli italiani. Dopo il «no» di Air France, dopo il prestito ponte a carico dello Stato, dopo le condizioni di favore create artificialmente dal Governo per poter cedere a CAI solo le parti buone di Alitalia, è necessario fare chiarezza su tutta l'operazione a partire dai costi.
Il confronto dei costi economico e sociali del passaggio di Alitalia alla Compagnia aerea italiana con quelli di Alitalia ad Air France fanno emergere in tutta evidenza i danni finanziari e sociali a carico della collettività. Secondo le notizie a noi note il capitale di CAI è di 160 mila euro, l'investimento previsto è di un miliardo di euro, cui dovrebbero seguire altri investimenti, ma non si hanno notizie di impegni certi. Air France, invece, si era impegnata formalmente a ripianare il debito (circa 1,4 miliardi di euro), ad aumentare il capitale (un miliardo), ad acquistare sul mercato delle azioni Alitalia (circa 200 milioni), a rimborsare il prestito obbligazionario (400 milioni di euro); in più, sarebbero stati a carico di Air France i costi della gestione Alitalia da marzo ad oggi (circa 250-300 milioni): insomma, 3 miliardi e 500 milioni di euro in totale.
Per quanto riguarda i costi sociali, Air France prevedeva 2.120 esuberi più 3.300 lavoratori che venivano comunque collocati in Fintecna con otto anni di appalti garantiti. Con la CAI, invece, sono circa 7 mila unità i lavoratori in esubero e altre migliaia sono rimasti fuori dal perimetro dell'accordo Alitalia come nel caso di Cargo. È possibile, dunque, che gli esuberi siano tre volte di più di quelli che si potevano avere a marzo con Air France?
Mi pare chiaro, dunque, che il confronto tra il piano Air France e quello presentato dalla cordata degli imprenditori italiani vede la soluzione proposta e caldeggiata da Berlusconi come decisamente perdente.
Air France, una grande compagnia internazionale, si sarebbe accollata tutti i debiti e avrebbe ammortizzato gli esuberi. CAI, invece, accolla i debiti allo Stato e si prende il meglio di Alitalia; sì, davvero la migliore delle soluzioni e tutta a carico delle tasche degli italiani.
Che dire, poi, dei gravi casi di conflitto di interesse e di violazione della normativa sulla concorrenza? Occorre chiarire se l'esplicita manifestazione di preferenza del Presidente Berlusconi e dei Ministri Scajola, Sacconi e Matteoli costituisca o meno turbativa d'asta; così, occorre fare chiarezza sulla legittimità dell'affidamento alla Banca Leonardo dell'incarico di stabilire il valore dei principali asset di Alitalia - al cui acquisto è interessata CAI - i cui azionisti sono Ligresti, Tronchetti Provera e Benetton, che sono, contemporaneamente, azionisti della Banca Leonardo, advisor del venditore.
Oggi, nel mondo, per la gravissima crisi finanziaria ed economica in corso, è diventato ancora più centrale il tema delle regole. Tutti, dagli economisti ai banchieri, dagli industriali ai politici, compreso il Ministro Tremonti, si interrogano sul modo in cui rendere più severi ed efficaci i controlli delle Autorità indipendenti.
In America, l'FBI indaga sulla responsabilità dei manager americani e il leader repubblicano McCain chiede il licenziamento del presidente della SEC; in Italia, invece, il Presidente Berlusconi vara una norma salva-amministratori, poi ritirata per lo scandalo che ne è seguito.
Inoltre, com'è noto, pende ancora su tutta la vicenda il giudizio dell'Unione europea. Adesso, prima dell'inizio dell'attività della nuova compagnia, ci troviamo di fronte ad una nuova fase molto delicata per la ricerca del partner internazionale ed è fondamentale rispettare le regole e la trasparenza. È fondamentale che la scelta avvenga con una procedura aperta e rigorosa, che non solo valuti gli aspetti economici, ma anche dia il giusto peso al progetto, alle prospettive strategiche e al piano industriale. Occorre un partner internazionale, dunque, che consideri l'Italia uno dei mercati più interessanti al mondo.
Insomma, ci auguriamo che, almeno in questa fase, la politica e il Governo facciano un passo indietro. La CAI, dunque, non tenga conto delle pressioni politichePag. 45già iniziate e che diventeranno sempre più violente; non segua le indicazioni di Bossi e Berlusconi, ma solo gli interessi del Paese e della compagnia.
Ci auguriamo anche che l'andamento della vertenza tra CAI, Governo e sindacati costituisca un'esperienza e un insegnamento utile su cosa non bisogna fare. Troppi, e qualche ministro in modo plateale, sono sembrati più interessati ad acuire le divisioni tra le organizzazioni sindacali piuttosto che a una conclusione positiva della trattativa.
Al centrodestra e al mondo imprenditoriale è bene ricordare quali e quanti danni hanno prodotto ad Alitalia le divisioni sindacali. Pensiamo, invece, che sia molto importante favorire l'unità sindacale come un bene prezioso per il mondo del lavoro e per tutto il Paese; ancora di più oggi, di fronte alla drammatica crisi economica e finanziaria e agli effetti incontrollabili di una concorrenza globalizzata.
Tanto la politica quanto le imprese hanno bisogno di sindacati forti, rappresentativi e unitari. Che la vicenda Alitalia, dunque, costituisca un insegnamento anche da questo punto di vista.
In conclusione, signor Presidente, fermo restando il nostro giudizio molto negativo sul decreto e sull'intera vicenda, continueremo a caratterizzare la nostra opposizione con l'impegno a discutere il merito anche di questo provvedimento, e per questo ad avanzare proposte ed emendamenti per migliorarlo.
Ci auguriamo, dunque, che una volta tanto sia possibile un confronto serio con il Governo e la maggioranza (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Carella. Ne ha facoltà.

RENZO CARELLA. Signor Presidente, colleghi, rappresentante del Governo, la posizione responsabile del Partito Democratico è stata qui più volte richiamata. Non abbiamo giocato allo sfascio, al «tanto peggio, tanto meglio».
Siamo intervenuti nella trattativa, sollecitando le parti a riaprire il confronto rispetto a chi nel Governo aveva lanciato una sfida, tesa a mortificare alcune organizzazioni sindacali dei lavoratori, che trattavano per avere assicurazioni sui posti di lavoro, sul futuro, sul piano industriale.
Il nostro senso di responsabilità non ci esime dal sottolineare la forte contrarietà alla linea fin qui seguita, ai costi elevati per lo Stato, all'agire al di fuori di qualsiasi regola di mercato e alla poca trasparenza nella individuazione del valore di Alitalia depurata dai debiti e dai costi sociali. Cercherò di sviluppare alcuni di questi aspetti.
Parlare di Alitalia oggi rispetto ai mesi di giugno e di luglio significa parlare di un problema che, di fronte alla crisi finanziaria internazionale, diventa quasi marginale. Tale problema è uscito dal circuito mediatico e dall'interesse di gran parte dei cittadini - purtroppo - e dell'opinione pubblica: le paure e le apprensioni dei cittadini sono ora ben altre. Esso, però, è e resterà un problema grave per tutti i lavoratori di Alitalia, dell'indotto e delle comunità locali che dalle scelte di Alitalia e del nuovo soggetto imprenditoriale potranno avere ripercussioni negative sul piano occupazionale e sulla tenuta economica delle aziende che lavorano per Alitalia e per gli aeroporti, a cominciare da Fiumicino. Inviterei il Governo a fare molta attenzione alle sorti di Fiumicino e degli aeroporti di Roma, ne va dello sviluppo dell'economia romana, laziale e del Mezzogiorno. Il presidente della regione Lazio aveva chiesto di entrare nell'azionariato di CAI e ciò non è stato possibile. Certo, alla luce di quanto sta accadendo oggi nel mondo e in Italia con l'ingresso dello Stato nelle banche e nelle assicurazioni la richiesta non era poi così campata in aria. Rimangono, però, i problemi per i quali quella richiesta era stata posta.
Il piano Fenice prevede una sorta di fusione tra Alitalia e Air One che porterà a una drammatica riduzione del personale, soprattutto nell'aeroporto di Roma. In questo momento c'è una pianta organica dell'intero complesso industriale pari a circa 19.380 dipendenti, comprese le 1.900 persone con contratto a tempo determinato.Pag. 46La holding privata di Carlo Toto impiega 3.150 lavoratori, oltre ad altrettanti precari. La somma del personale arriva così a circa 22.550 persone. Il presidente di CAI Roberto Colaninno, però, ha sempre detto con chiarezza di voler assumere 2.500 dipendenti. Quando a fine ottobre l'ENAC potrà rilasciare la licenza alla nuova compagnia a casa potrebbero restare circa diecimila persone e non le 3.250 di cui si è parlato sinora.
A questa situazione vanno aggiunti i circa tremila addetti delle imprese dell'indotto operanti a Fiumicino, cooperative che non pagano gli stipendi da mesi, ditte che saldano la metà delle buste paga e che annunciano licenziamenti. Noi sulla vicenda Alitalia abbiamo avanzato una critica radicale e di censura all'operato di questo Governo.
Il Ministro Tremonti, nel ricostruire la storia di Alitalia, ha avuto diversi vuoti di memoria: il primo, non ricordando la responsabilità del Governo di centrodestra sul mancato accordo del 2003 tra Alitalia, Air France e KLM. Si sarebbe costituita una delle più grandi società in Europa e nel mondo nel trasporto aereo: quanti milioni di euro di passività accumulati fino ad oggi si sarebbero evitati e si sarebbero risparmiati; risorse che lo Stato oggi deve rifondere, sottraendole ad altri scopi, ad altri investimenti di sostegno alle politiche per lo sviluppo, alla piccola e media impresa e ai consumi. Pensiamo al disastro di questi anni, che si è determinato dal 2001 al 2008, quando un'azione di Alitalia ad aprile del 2001 era a 9,36 euro!
Qualsiasi persona animata da buonsenso non può negare che con l'offerta Air France, che questa maggioranza e il suo capo hanno fatto naufragare, era in campo un progetto industriale, il rispetto delle regole, un impatto sociale diverso e meno disastroso, e un impegno economico da parte dello Stato, e quindi da parte del contribuente, molto attenuato: ci si doveva far carico solo degli oneri sociali per gli esuberi, e oggi a questi si deve sommare l'esborso per sanare i debiti, che non si sa a quanto ammontano.
Nell'attuale situazione finanziaria, cui dobbiamo far fronte, quanto sarebbero stati utili le risorse che con l'accordo Air France lo Stato avrebbe risparmiato! Certo, c'era una bandiera e l'italianità da salvare; certo, agitarli in una campagna elettorale faceva comodo, poteva, come sicuramente è accaduto, portare consenso. Si può anche vincere una campagna elettorale con le promesse, la demagogia, rappresentando una realtà che non c'è, ma prima o poi dai problemi non si sfugge. A sentir voi nelle ultime settimane la crisi che stava travolgendo il mondo faceva salva l'Italia: le nostre banche, i nostri risparmi, la nostra economia, tra sorrisi e programmi euforici nei telegiornali serali, che sono ormai ridotti a megafoni del Governo e della maggioranza di centrodestra, erano in una situazione idilliaca. Alla faccia del pluralismo, scusate questa digressione! Parlavate di una realtà romanzata, buona per una favola da raccontare a un bambino prima di addormentarsi; salvo a risvegliarsi con la gente, i lavoratori, i pensionati, i giovani immersi in una crisi che si sente, si vede, crea ansia, paura per il nostro futuro.
Alla fine di questa lunga e tortuosa vicenda uscirà una cosa piccola, una compagnia domestica, che forse sarà fuori mercato per i prezzi alti; una compagnia aerea che dovrà chiedere ad altre compagnie per portare i propri clienti all'estero: c'è una forte riduzione delle tratte internazionali. È dignitoso, come dice l'onorevole Bersani, fare il commerciante di clienti? Forse qualcuno ci può guadagnare, ma non è questo un progetto di un grande Paese industriale come il nostro. Una compagnia simile è l'orgoglio della nostra nazione, si difende così la bandiera e l'italianità del nostro Paese?
L'altra cosa scandalosa di questa vicenda è stata che, con il decreto-legge predisposto, un solo soggetto ha avuto il diritto ad avere l'informazione: infatti si è discusso tra Governo, commissario e CAI, che fa l'offerta, l'unica offerta. Il commissario fa il liquidatore.
Non c'è stata quindi nessuna procedura concorrenziale, nessun confronto di offerte.Pag. 47Di quale prezzo di mercato si parla per Alitalia se il mercato non è stato chiamato a competere, a fare più offerte, a scegliere la migliore per il prezzo, per il piano industriale e per la difesa dell'occupazione? Questi sono cardini ed obiettivi della cosiddetta «legge Marzano» versione originale, non quella rivista e modificata per cucire il vestito addosso a CAI, all'unico soggetto che è in campo.
Chi sta valutando Alitalia in questo momento? È stato più volte richiamato in questa sede (non sono certo originale nel ripeterlo), ma questo è un fatto importante perché qui si dimostra tutta la nostra provincialità, la differenza tra il dire e il fare, tra l'essere liberali e poi magari affidare ad una banca il compito di valutare il costo ed il valore degli asset di Alitalia, quella stessa banca nella quale siedono come azionisti gran parte degli operatori presenti nella società CAI. Se ciò è vero - com'è vero, perché non è stato smentito -, questo ci fa purtroppo assomigliare molto a quei Paesi (ormai ne è rimasto qualcuno in Sudamerica e molti in Africa) nei quali intorno ai leader e a quelli che governano ci sono le famiglie e gli amici che fanno gli affari: altro che Europa, altro che modernità, altro che mercato, altro che impresa, presidente Marcegaglia!
In questo Paese si discute sempre del problema degli altri, si mette la politica sotto scacco, si dice, come fa De Benedetti in questi giorni (questa mattina e ieri), che siamo una democrazia - per usare un termine tecnico ferroviario - a scarto ridotto perché i deputati sarebbero nominati (noi lo abbiamo detto da sempre, da quando il centrodestra ha varato questa legge). Ma si parla sempre degli altri e della politica, mentre poi l'impresa non recita mai il mea culpa! L'impresa afferma a parole libertà di impresa e libertà di agire senza che la politica interferisca, ma poi nei grandi affari quando si tratta di dividersi la torta delle aziende di Stato, delle aziende italiane e delle municipalità si ricorre sempre ad artifizi che agevolano l'impresa. In qualche caso mi viene da dire: quanti di noi potrebbero fare gli imprenditori a queste condizioni: una banca che ti dà i soldi, un Governo compiacente che assicura privilegi e un esercizio di attività assicurato magari in regime di monopolio, come potrebbe accadere nelle aziende municipalizzate! La polpa delle aziende di Stato ai furbi, i debiti e le passività allo Stato, a Pantalone che paga!
Il Ministro Tremonti in questi giorni - lo ha fatto in quest'Aula, lo fa in televisione - e adesso anche il Ministro dell'istruzione, Gelmini, dicono di fare una politica di sinistra, oggi che il capitalismo è in crisi, che ha mostrato questo volto e che sta mettendo in ginocchio il mondo. Ma immaginate quando la crisi toccherà l'economia reale. Voglio portare un esempio: vivo in provincia di Roma e proprio in questi giorni a sud di Roma, tra la provincia di Roma e la provincia di Frosinone, tra Colleferro, Frosinone ed Anagni vi sono decine e decine di industrie che stanno chiudendo (potrei ricordare la Videocon, ex Videocolor, l'Astom che lavora nel campo ferroviario, la Lepetit, la Marangoni, l'Arc di Colleferro che fa componentistica per le macchine).
Si tratta di migliaia, e migliaia, di posti di lavoro, che sono stati perduti, di migliaia, e migliaia, di persone che non hanno una prospettiva. Questa è lo stato in cui versa l'economia in questo Paese (anche l'economia laziale che pure è prossima alla città di Roma). Allora, di fronte a ciò, non si può dire: stiamo facendo una politica di sinistra. Una politica di sinistra si vede se si incoraggia lo sviluppo, se si aiuta la piccola e media impresa, i pensionati e la domanda interna in grado di rimettere in cammino il nostro Paese e non, signor Ministro Tremonti, la vecchia politica, di cui lei, il suo Governo e la vostra maggioranza, siete stati e siete maestri unici in Europa e nel mondo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Scarpetti. Ne ha facoltà.

LIDO SCARPETTI. Signor Presidente, come è noto, il provvedimento di cuiPag. 48stiamo discutendo, si è reso necessario per cercare di portare a soluzione il problema di evitare il fallimento dell'Alitalia. Si tratta di una soluzione che immagino vedrà la luce e della quale avremo contezza quando vi sarà piena operatività sulla base di un progetto, di un piano industriale di cui, ad oggi, conosciamo soltanto alcuni dettagli, se non vere e proprie indiscrezioni.
Il provvedimento modifica il decreto-legge n. 347, del 2003 - meglio conosciuto come legge Marzano, che a sua volta interveniva sulle cosiddetta «legge Prodi» del 1979 e sulla cosiddetta legge «Prodi bis» del 1999 - introduce elementi di semplificazione nell'ammissione alla procedura concorsuale, rafforza i poteri riconosciuti all'autorità amministrativa e modifica i requisiti minimi per l'ammissibilità.
Con la legge Marzano, infatti, l'ammissione dell'impresa alla procedura di amministrazione straordinaria poteva essere determinata immediatamente, nominando un commissario straordinario, con decreto del Ministro dello sviluppo economico, e l'autorità giudiziaria interviene dopo per verificare lo stato di insolvenza e i requisiti per l'ammissibilità.
Il decreto-legge in esame apporta modifiche alla legge Marzano stabilendo che nella procedura rientrino anche - e non è un caso - complessi aziendali, intesi nel senso di imprese del gruppo che intrattengono rapporti contrattuali in via sostanzialmente esclusiva con l'impresa interessata alla procedura per la fornitura dei servizi necessari allo svolgimento dell'attività.
Ci sono stati molti interventi di parlamentari del gruppo del Partito Democratico che hanno espresso un giudizio negativo. Quello su questo provvedimento, ancorché necessario, come da alcune parti si sostiene, non può che essere un giudizio negativo. Nel testo vi sono, infatti, forzature, frutto della necessità di costruire un «vestito su misura». Naturalmente, il vestito è tagliato su misura dell'acquirente in campo, nel senso che il testo prevede che, fino al giugno del 2009, per le società operanti nei servizi pubblici essenziali, il commissario straordinario possa individuare l'acquirente mediante il ricorso a trattativa privata. Si tratta di una norma che, aldilà della valutazione sulla inusitata forzatura, credo non possa non esporsi anche ad eventuali ricorsi.
Questo è un provvedimento del tutto straordinario ed eccezionale - vi sono titolari di compagnie che già ipotizzano la possibilità di fare ricorso -, che è il frutto di una procedura molto discutibile, sia nel metodo, sia nel merito delle modalità, indicate nel decreto stesso, di valutazione del valore in campo, per tutta una serie di motivi che attengono a conflitti di interesse qui molto opportunamente indicati.
Inoltre questo decreto-legge riguarda le società operanti soprattutto nei servizi pubblici essenziali, e laddove si dispone - anche qui violando un principio e un aspetto importante - che non si è sottoposti all'Autorità garante della concorrenza e del mercato tutto ciò rischia molto negativamente di ripercuotersi sui consumatori. So bene quale obiezione rispetto a questo tipo di valutazione è stata espressa, cioè che vi sono altri vettori europei che hanno quasi il monopolio del traffico domestico, del traffico nazionale, e tuttavia al di là di questo credo che dovremmo denunciare eventualmente noi questa incongruenza, anche perché il punto di riferimento fondamentale è certamente che cosa fanno gli altri Paesi, ma prevalentemente occorre ragionare su quali saranno gli effetti sui costi, sui prezzi, sulle tariffe, quindi su quale costo si scaricherà sui consumatori. Infatti, è chiaro che in un regime di prevalenza, oltre i criteri della concorrenza, questo elemento non può non essere presente.
Inoltre il testo, nel confermare il giudizio negativo, stabilisce principi di disparità nel trattamento di quei lavoratori che sono in qualche modo definiti e quantificati in esubero (anche qui non è stato precisato il numero in via definitiva) per quanto riguarda la possibilità di accedere agli ammortizzatori sociali. In modo molto efficace Savino Pezzotta e altri deputati hanno ricordato l'elemento dirompentePag. 49che possono introdurre queste misure nella già non facile situazione dei bilanci della cosa pubblica e nel quadro di un deficit come quello del nostro Paese. Credo che se a tutte le società, o aziende, o imprese o complessi aziendali venisse applicata questa clausola da oggi in futuro è molto facile prevedere che, prima o poi - se volessimo estremizzare - non ce la faremo più a sostenere gli ammortizzatori sociali e li elimineremo. Infatti è evidente che, anche in virtù della situazione economica che stiamo attraversando, questo è un principio molto pesante.
Infine, mi riferisco alla «perla», sulla quale hanno insistito quasi tutti gli interventi dei colleghi che mi hanno preceduto, che, al di là di come si è sviluppata l'introduzione di tale misura, testimonia l'approssimazione - volendo essere benevoli - con cui si è lavorato su questo testo (in questo caso, in modo particolare, va detto che ciò non riguarda tanto il testo licenziato dal Governo ma quello che la maggioranza al Senato ha voluto, con delle modifiche). Mi riferisco all'introduzione di una norma che credo farebbe arrossire di vergogna ogni persona libera, cioè alla misura che solleva dal reato penale una serie di persone legate a vicende delle quali dovremmo tutti vergognarci.
Sarebbe, infatti, davvero incredibile dare un colpo di spugna su vicende che hanno segnato profondamente e negativamente la vita economica e finanziaria e sono state causa delle sciagure di molti risparmiatori nel nostro Paese, in un momento, tra l'altro, in cui in tutto l'Occidente - in Europa e oltreoceano, con la differenza soltanto che oltreoceano le fanno anche queste cose, mentre da noi si annunciano - di voler cacciare i manager incompetenti e soprattutto i manager approfittatori.
Vale, inoltre, poi ricordare - ecco perché all'inizio ho introdotto un elemento dubitativo sulla conclusione della procedura - che la Commissione europea, nel giugno di quest'anno, ha notificato all'Italia la decisione di avviare un procedimento di indagine formale in merito al prestito-ponte di 300 milioni concesso ad Alitalia con decreto-legge del 2008, convertito poi in legge. Voglio qui ricordare per inciso e per verità di cronaca, ma ciò ha anche una rilevanza politica, che tale decreto fu varato dal precedente Governo, ma la conversione resta in carico al Governo attuale ed alla maggioranza e, come è noto, nella conversione il prestito si è trasformato in ricapitalizzazione della società, o comunque può essere utilizzato come strumento per la ricapitalizzazione di Alitalia.
La Commissione europea, come è stato affermato, concluderà l'indagine entro il 2009 e il tema verte appunto sulla natura del prestito, se esso non possa configurarsi come aiuto di Stato e se il prestito stesso non falsi o rischi di falsare la concorrenza.
Signor Presidente, se dovessimo definire con poche parole il decreto-legge in esame, che il Parlamento si appresta a convertire, potremmo dire che, al netto delle forzature che prima ricordavo, è necessario, ma sarebbe stato molto meglio se non se ne fosse avvertita l'esigenza.
Come dicevo e come è arcinoto, il decreto-legge in esame si è reso necessario per evitare, da un lato, il fallimento di Alitalia e, dall'altro, per consentire alla cordata italiana un percorso preferenziale per acquisire la «polpa» di Alitalia, la parte buona, dopo che i debiti e le altre passività vanno nella cosiddetta compagnia cattiva, la bad company, e graveranno sui cittadini italiani.
Nei mesi scorsi, sull'altare dell'italianità della compagnia - parlo personalmente: questa è una sorta di ipocrisia, se non fosse chiara l'evidente strumentalizzazione in campagna elettorale - si è impressa una direzione alla vicenda Alitalia, sulla quale il tempo, credo, si incaricherà di fare giustizia. Sono state spese parole al vento, parole in libertà e che hanno tra l'altro trovato spazio ed eco spropositati nei media del nostro Paese.
Oggi possiamo ragionare e paragonare, per quanto è possibile allo stato attuale della conoscenza dei fatti (perché appunto non siamo ancora di fronte ad una proposta esaustiva dal punto di vista del progetto industriale), svolgendo una certa valutazione, le due ipotesi: quella di AirPag. 50France-KLM e quella della Compagnia aerea italiana. Al di là delle motivazioni e delle argomentazioni più recenti, l'ipotesi Air France-KLM della primavera scorsa non giunse a conclusione (checché ne dica il Ministro dell'economia, come si desume dagli atti dell'audizione svolta presso le Commissioni parlamentari), non perché Air France se ne è andata via di punto in bianco, ritenendo ormai esauriti i viaggi del dottor Spinetta in Italia, ma per l'opposizione dell'attuale Presidente del Consiglio che, va detto - perché la verità va sempre detta - trovò allora una sponda formidabile nell'atteggiamento di molte e di tante delle troppe sigle sindacali che sono presenti all'interno di questa azienda.
Andando per punti, vorrei soffermarmi sull'aspetto dell'italianità. Nel capitale della nuova compagnia è molto probabile che, seppur in posizione oggi di minoranza, entrino a far parte partner stranieri o un partner straniero.
Si continua a parlare, come è noto, di interessi sia di Air France sia di Lufthansa. Ritengo che la soluzione sarà contemplata sulla base del piano industriale, che - come è stato affermato - spero attenga ai criteri e alle caratteristiche di un piano industriale e non di pressioni politiche o territoriali. Pertanto, la soluzione sarà contemplata dal piano industriale di CAI e, in parte, dipenderà anche dal ruolo che tale piano vorrà affidare ai due aeroporti, per un verso, quello di Roma, per l'altro, quello di Milano. Tuttavia, è abbastanza temerario pensare - forse un po' ingenuo, ma credo che nessuno lo pensi - che partner industriali di tali dimensioni, in prospettiva, si accontentino di entrare in una società per occupare qualche posto nei consigli di amministrazione.
Si dice, inoltre, che per cinque anni gli attuali azionisti di CAI sono impegnati a non cedere quote: innanzitutto sono solo cinque anni; inoltre, è noto a tutti che questo vincolo può essere aggirato con una ricapitalizzazione fatta dai soci. Del resto, è anche normale che ciò avvenga (e che possa avvenire), in considerazione del fatto che la compagnia che nasce è davvero modesta: si è parlato di una «compagnia domestica» e, in questa sede, sono stati anche ricordati i numeri inconsistenti dei voli intercontinentali che il progetto industriale in campo, ad oggi, prevede. Anche ciò la dice lunga sul rapporto fra turismo e compagnia di bandiera perché, oltre all'italianità, anche questo è stato uno degli elementi di discussione. Allo stesso modo, le vicende di altre compagnie di bandiera, non solo europee (penso agli Stati Uniti d'America), dimostrano che il mondo non va certo in questa direzione - cioè verso compagnie di dimensioni modeste - ma vi sono processi di concentrazione e di fusione per costruire player adeguati sul mercato del volo, su vettori internazionali, e sempre più in competizione. Pertanto, è difficile che oggi qualcuno possa serenamente e seriamente affermare, in modo tassativo, che in futuro non si giunga ad una situazione in cui Compagnia aerea italiana possa far parte o, addirittura, essere acquisita da uno dei grandi vettori internazionali.
Fra l'altro, vorrei ricordare - sempre in rapporto e nel confronto fra le due offerte (quella che non ha avuto esito e quella che lo avrà) - che se i soldi che questa operazione costa ai cittadini italiani e ai conti dello Stato fossero stati trasformati insieme al patrimonio di Alitalia, avremmo comunque potuto avere una partecipazione di tutto rispetto in Air France-Klm, che - come è noto - per volume di voli, è il vettore più grande esistente su questo pianeta.
L'operazione Air France non costava nulla alle casse dello Stato: Air France si era impegnata - è stato ricordato - a versare un miliardo di euro e si sarebbe anche fatta carico dei circa 1,4-1,5 miliardi di euro di debiti che, invece, il nuovo piano lascia nella «compagnia cattiva» e che pagheranno i contribuenti italiani.
Questo calcolo riguarda semplicemente i dati di valenza industriale, che hanno a che fare con i valori aziendali. Vi sono, inoltre, i costi degli ammortizzatori sociali: come qui è stato ricordato, sarebbe necessario dimostrare in futuro - qualcuno lo dovrà fare - che gli esuberi e, quindi,Pag. 51i costi degli ammortizzatori sociali (che hanno avuto, fra l'altro, quella deroga cui prima facevo riferimento) sono più bassi.
Occorrerebbe cioè dimostrare che gli esuberi previsti dal piano Air France-Klm rispetto al piano Fenice fossero uguali o superiori rispetto al progetto della Compagnia aerea italiana. Come è naturale e come è stato detto, si nutrono seri dubbi riguardo a ciò. Insomma, sull'altare dell'italianità si spendono ingenti risorse, e non è detto che il futuro non ci riservi sorprese, nel senso che quello che è uscito dalla porta non possa rientrare domani dalla finestra: magari un ritorno alla grande - come rivela l'attivismo profuso sia da Lufthansa che da Air France - di un grande partner internazionale.
Noi siamo critici. Riteniamo comunque sia giusto aver evitato il fallimento e i fatti dimostrano che abbiamo fatto la nostra parte, dando un contributo fattivo alla ricomposizione tra le parti sociali quando la trattativa aveva preso una brutta piega. E questo nonostante - come è stato detto - tutti i giorni si parli di dialogo e poi si sostenga che, del confronto, del dialogo e del contributo alla soluzione di alcuni problemi «non ce ne frega niente» (cito testualmente). In ogni caso, lo abbiamo fatto perché credevamo che, al punto in cui la situazione era giunta, non ci fossero soluzioni alternative, e la soluzione concreta rischiava di essere il fallimento. Ciò non significa però attenuare le critiche sul comportamento tenuto da chi oggi è al Governo sulla vicenda dell'Alitalia.
In estrema sintesi, questa vicenda ci dice che, per motivi elettorali, prima, e successivamente per altri motivi, sono stati spesi tanti soldi e tante risorse pubbliche che noi avremmo speso in altro modo. Siamo molto critici nei confronti della politica economica di questo Governo. Lo abbiamo detto - e lo ripeteremo con forza nei prossimi giorni e nelle prossime settimane - che le risorse impiegate per Alitalia e le risorse utilizzate per l'abbattimento dell'ICI a vantaggio delle categorie con redditi medio-alti noi le avremmo utilizzate per dare respiro a salari, stipendi e pensioni. Ciò non solo per offrire una risposta doverosa in termini di giustizia sociale, ma anche per dare fiato alla domanda interna e alla crescita in una fase in cui non è fuori luogo cominciare a parlare di recessione. Lo ricordava con molta lucidità e puntualità l'onorevole Savino Pezzotta: la povertà nel nostro Paese cresce. In Italia ci sono 14 milioni di persone che vivono con salari al di sotto dei 1.300 euro al mese. Sta riprendendo, tra l'altro, una spirale relativa alla diminuzione dell'occupazione, perché la crisi finanziaria che ha investito il mondo è già presente, si farà ancora più pressante e si riverbererà in modo importante e significativo sull'economia reale. Riteniamo che, non solo per una questione di giustizia, ma anche in termini di crescita e di sviluppo del Paese, vi sia la necessità di affrontare prioritariamente problemi come questo. La vicenda di Alitalia ci dimostra, in linea generale, una sorta di nuovo interventismo sul piano economico.
Certo è, signor Presidente, che siamo di fronte a grandi sconvolgimenti nel pensiero politico e nelle politiche del Governo. Dopo un lungo periodo in cui le destre, di fronte alla globalizzazione, ritenevano di doversi fideisticamente affidare al liberismo senza regole come mallevatore dello sviluppo e della crescita e per l'affermazione individuale, oggi si scoprono le virtù taumaturgiche della politica e delle regole e si arriva a dosi massicce di interventismo.
Certo, qualcosa di grosso sta per cambiare se gli euroscettici divengono paladini - non so quanto affidabili - dell'Europa, se i fautori della finanza creativa e delle cartolarizzazioni divengono i rigoristi di turno ed accarezzano persino l'idea di un rinnovato ruolo dello Stato nella gestione. Di questi cambiamenti, però, e concludo signor Presidente, ce ne accorgiamo molto a parole, ma nei fatti essi non hanno una traduzione concreta e operativa.
Di questi grandi cambiamenti pare non ne risenta, nei fatti, la politica economica del Governo che, anziché scommettere sullo sviluppo, vuole assecondare un cicloPag. 52economico di recessione e che non fa nemmeno i conti con lo sconvolgimento di queste settimane.
Credo, però che sull'insieme di questi argomenti la discussione sarà più concreta e più forte nei prossimi giorni e nelle prossime settimane quando discuteremo i provvedimenti relativi alla legge finanziaria per il 2009.
Per ora riconfermiamo il nostro giudizio fortemente critico e negativo nei confronti del comportamento dell'atteggiamento del Governo sulla vicenda dell'Alitalia. Prima dalla posizione di opposizione, come Presidente del Consiglio in pectore, si blocca una trattativa che avrebbe avuto un esito che abbiamo cercato di dimostrare più favorevole al nostro Paese, e dopo si impiegano ingenti risorse per costruire una compagnia di bandiera (e questa non è polemica nei confronti degli imprenditori che fanno quello che ritengono di dover fare) molto modesta e prevalentemente domestica, una compagnia di bandiera che dà anche l'idea di una piccola Italia, di un'«Italietta» che non è in grado di fare i conti con i temi dello sviluppo globale, della competizione e della capacità di costruire soggetti industriali che siano all'altezza delle sfide che il mondo attuale ci propone (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico - Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rugghia. Ne ha facoltà.

ANTONIO RUGGHIA. Signor Presidente lascia l'amaro in bocca l'esito della vicenda Alitalia di cui questo decreto-legge rappresenta, per ora, l'ultimo atto.
Non si tratta di una grande vittoria, come vorrebbero farci credere gli orchestranti della campagna mediatica messa in scena in questi ultimi mesi. Non è un grande successo - l'ennesimo direbbero gli adulatori del Presente del Consiglio - e non sono state gettate le basi per il rilancio di una grande compagnia di bandiera. Non è neppure l'affermazione dell'italianità: piuttosto siamo di fronte ad un epilogo che ci riporta alla memoria - come diceva poc'anzi il collega Scarpetti - l'«Italietta» delle aziende salvate con il denaro pubblico e con il soccorso delle tasche dei cittadini, quella della tutela dei privilegi e degli interessi di amministratori e imprenditori di corte.
Inoltre, ci ricorda l'«Italietta» dei colpi di spugna, varati per legge o, come in questo caso, per decreto-legge, che cancellano responsabilità penali, amministrative e contabili. L'«Italietta» del «peggio che è tanto meglio» come in questa triste vicenda, che è andata a finire proprio come ha voluto il Presidente Berlusconi, che ha svolto il ruolo di protagonista principale in questi ultimi anni nei quali la crisi di Alitalia si è acuita fino al collasso.
Nel 2001 l'allora Ministro degli affari esteri Ruggiero si dimise proprio perché il Governo Berlusconi decise di uscire dal progetto Airbus, impedendo ad Alitalia di svolgere quel ruolo di protagonista nella politica industriale del traffico aereo come quello che in Europa hanno sentito il bisogno di svolgere gli altri Paesi con le altre loro grandi compagnie aeree nazionali.
Fu sempre il Governo Berlusconi a sottrarsi all'accordo con Air France-Klm facendo fallire un'intesa che avrebbe consentito un'alleanza da posizioni più dignitose e più vantaggiose per il Paese e anche di dar vita ad una grande compagnia europea del traffico aereo. Fu ancora una volta durante il Governo Berlusconi del 2001-2006 che si alternarono alla guida di Alitalia presidenze e gestioni aziendali che hanno portato l'azienda a perdere efficienza e quote di mercato. È proprio in quel periodo, infatti, che il titolo Alitalia è crollato nove volte, da 9,36 euro nel 2001 a 1,042 euro del maggio 2006.
Infine, è sempre Berlusconi che si incarica di dare il colpo mortale alla trattativa con Air France, quando si era ormai in campagna elettorale, dopo la caduta del Governo Prodi, che aveva deciso la privatizzazione della compagnia di bandiera attivando una procedura competitiva, come previsto dalle regole del mercato. Insomma, se è vero, come hanno osservato tutti i commentatori, che la crisi di AlitaliaPag. 53è figlia di una decennale ingerenza della politica nelle scelte aziendali è anche vero che il principale responsabile di questa invasione di campo e di questa crisi è stato ed è proprio il Presidente Berlusconi con i suoi Governi.
Siamo contrari al decreto-legge all'esame dell'Aula, come hanno già ricordato i colleghi del mio gruppo che hanno preceduto il mio intervento. Il nostro non è un voto contrario al salvataggio di Alitalia alle condizioni, purtroppo, attualmente possibili. Anzi, ci siamo spesi convintamente per la chiusura della trattativa e per ottenere l'accordo di tutte le forze sindacali per evitare una situazione ancora più catastrofica per l'Alitalia, per i suoi lavoratori e per l'economia del nostro Paese. Siamo contrari ad un piano, ideato dal Premier, che prevede che i debiti della compagnia - due miliardi di euro - saranno posti a carico dei cittadini e che invece gli utili andranno a favore di una cordata di imprenditori italiani che acquisterà Alitalia, scaricando sullo Stato e sui lavoratori il piano di risanamento e i costi sociali dell'operazione.
Con il decreto-legge in esame si determineranno condizioni di privilegio contravvenendo alle regole del mercato e alle norme ordinamentali. Si sospende l'attività dell'Antitrust, derogando le norme in materia di concentrazioni. Vengono previste regole ad hoc per alienare i beni dell'impresa, in deroga alle norme sulla valutazione indipendente, sulla pubblicità e sul vincolo di miglior realizzo nella cessione dei beni. Si dispongono nuove regole a tutela di specifici azionisti e obbligazionisti. Infine, si dispone una sorta di amnistia preventiva per gli amministratori di Alitalia che saranno esenti da qualsiasi responsabilità penale, amministrativa o contabile.
E qualcuno, sicuramente non inconsapevolmente, ha tentato di utilizzare questa norma, già riprovevole di per sé, per cercare di sanare tutte le responsabilità penali, amministrative e civili di bancarottieri, furbi, furbetti e furboni che hanno gettato sul lastrico tante famiglie, con gli scandali finanziari di questi ultimi anni e di questo ultimo decennio.
Ma sono molti i motivi della nostra contrarietà nel merito del provvedimento. Noi non siamo mai stati convinti che la questione principale per Alitalia fosse quella di trovare qualcuno disposto a comprarla, bensì riteniamo che il problema principale per Alitalia è ancora quello di trovare qualcuno capace di continuare a farla volare.
Finora abbiamo una cordata di imprenditori che, senza rischi particolari, si è detta disposta ad acquisire gli asset produttivi e che ancora non ha effettuato l'aumento di capitale da un milione di euro e non ha presentato l'offerta vincolante per l'acquisizione della parte produttiva di Alitalia ed Air One. Pur sorvolando su questi non trascurabili particolari, è immaginabile ritenere che la nuova compagnia possa attuare un qualsivoglia piano industriale di sviluppo senza una flotta e un network adeguato, senza un forte partner internazionale, priva di alleanze che possano determinare un'economia di scala?
Finora l'unico soggetto industriale della cordata è Air One che, però, non appare in nessun modo adeguato a tali obiettivi. Anzi, a ben guardare, questo provvedimento non serve tanto per il salvataggio di Alitalia, i cui debiti vengono comunque scaricati sui contribuenti, bensì proprio per quello di Air One, i cui debiti (1,1 miliardi di euro) saranno i soli ad essere riassorbiti dal mercato e, guarda caso, uno dei soggetti della cordata, Banca Intesa, è proprio nel contempo il creditore principale di Air One.
Nessuna proposta, quindi, può tenersi in piedi in assenza di un partner capace di far volare gli aerei, senza continuare a produrre debiti e con adeguati margini di profitto. La vera scelta strategica sarà rappresentata proprio dall'individuazione del partner internazionale e ci auguriamo che questa volta tale scelta possa essere compiuta senza condizionamenti politici.
La proposta della CAI, che abbiamo avuto modo di conoscere sui giornali sotto la denominazione «piano Fenice», ma non negli atti parlamentari, appare deludente e sicuramente peggiore dell'offerta di AirPag. 54France che, pure, fece gridare allo scandalo l'attuale maggioranza parlamentare. Per quanto riguarda esuberi e licenziamenti, investimenti, programmi di sviluppo e aeromobili impiegati e, soprattutto, per quanto riguarda i costi che vengono scaricati sulla collettività, le due proposte sono imparagonabili e quella della Compagnia aerea italiana è nettamente la più deludente.
Il numero di aeromobili verrà ridotto dagli attuali 230 (la somma degli aeromobili di Alitalia ed Air One) a 136 nel 2009. L'attività operativa verrà sviluppata su sei aeroporti sul modello point to point con l'abolizione dei due hub. L'attività cargo verrà venduta ai privati, l'attività intercontinentale verrà collocata prevalentemente su Malpensa con quattordici voli, mentre a Fiumicino ne rimarranno soltanto tre e, tra l'altro, l'aeroporto di Fiumicino verrà ulteriormente penalizzato con la diminuzione dei voli internazionali.
Nella nuova compagnia troveranno posto solo 12.500 lavoratori: gli esuberi saranno di 3.250 unità, i licenziamenti 4.900, 2 mila lavoratori verranno esternalizzati. Il «piano fenice», quindi, ha un impatto sociale nettamente più oneroso (quasi 4 mila unità in più) rispetto alle condizioni della trattativa Air France, con nessuna tutela per i 3 mila lavoratori stagionali. Ed è soprattutto nel territorio di Roma e del Lazio che ci saranno pesanti ricadute economiche e sociali.
Abbiamo recentemente ascoltato il sindaco di Roma Alemanno affermare in televisione che fino ad ora ha evitato di intervenire sulla vicenda Alitalia per non creare problemi alla conclusione della trattativa, ma che, quando sarà il momento, si farà sentire per difendere i legittimi interessi di Roma e del Lazio. È questo il momento di intervenire, anzi era già il momento di intervenire. Il «piano Fenice» prevede il declassamento dell'aeroporto di Fiumicino e assesta un forte colpo ai settori dell'indotto, catering, duty free, attività commerciali, ending, cargo, spedizioni pulizia dell'aeroporto e degli aeromobili, sicurezza degli aeromobili, turismo, trasporto pubblico e privato.
Ci saranno 3.418 dipendenti in meno per l'indotto previsto di Alitalia. Secondo uno studio della Camera di commercio di Roma, tra indotto diretto e indiretto per le attività aeroportuali e per le conseguenze che si determineranno anche sul settore del turismo, la proposta CAI porta alla perdita di oltre 20 mila posti di lavoro a Roma e nel Lazio. Non è un caso che Alitalia in termini occupazionali sia considerata la FIAT di Roma. Il progetto della Compagnia aerea italiana, inoltre, taglia la possibilità di sviluppo dell'aeroporto di Fiumicino che, con il piano di raddoppio (80 milioni di passeggeri nel 2020), rappresenta un'insostituibile risorsa per le infrastrutture ad esso strumentali (Cargo city e Fiera di Roma) già realizzate e che dovranno essere incrementate.
Inoltre, il «piano Fenice» taglia la crescita dell'area tecnica di Alitalia che è la più grande realtà industriale nella regione Lazio. Sostenere le ragioni di Roma significa sostenere le ragioni di sviluppo del Paese e non rivendicazioni localistiche. Per questo, ci aspettiamo un intervento deciso del sindaco Alemanno al fianco del presidente della regione Lazio Marrazzo e della provincia di Roma Zingaretti, per questo ci batteremo per modificare il piano industriale della Compagnia Aerea Italiana. Gestire un network su sei basi operative e non più su due hub (Fiumicino e Malpensa) significa avere ambizioni molto ridotte e non tali da giustificare un così oneroso salvataggio della compagnia di bandiera.
È quello, infatti, un modello operativo tipico delle compagnie piccole e dei voli low cost. Ritengo che non abbia nulla a che fare con gli interessi nazionali la proposte trasferire 14 voli intercontinentali da Fiumicino a Malpensa e quella di declassare l'aeroporto di Linate. Su questo tema vale la pena di leggere testualmente la dichiarazione del 27 agosto 2008 dell'ufficio stampa di Alitalia con i dati successivi alla de-hubbing da Malpensa: «Nell'ambito del trend di crescita del traffico presso lo scalo di Roma Fiumicino, Alitalia ha registrato dall'1 al 24 agosto un aumento di passeggeri del 35,6 per centoPag. 55per lo stesso periodo del 2007. In particolare, il traffico internazionale cresce del 42,8 per cento, quello intercontinentale cresce del 121,1 per cento. Inoltre, si hanno dati positivi sull'attività dell'aeroporto di Linate».
Insomma, non vi è veramente alcuna ragione che imponga il trasferimento da Roma dei voli intercontinentali e internazionali. L'aeroporto di Fiumicino è uno scalo attrattivo per il traffico turistico internazionale e intercontinentale e si pone come snodo del traffico mondiale proveniente da e per il Nord America e verso il Medio Oriente. Oggi, nel Mediterraneo volano 200 milioni di passeggeri, rispetto agli 800 milioni che volano in tutto il mondo. Nella scelta del migliore hub per il nostro Paese, possiamo ritenere che Fiumicino, che è al centro del Mediterraneo, sia trascurare o da depotenziare?
A me non sembra giusto che le scelte strategiche sulla programmazione dei servizi di trasporto, sui sistemi di trasporto e sui piani aeroportuali nello specifico, vengano lasciati all'arbitrio, alle convenienze, agli interessi dei singoli investitori od operatori.
Sono scelte che competono al Parlamento e al Governo del Paese che dovranno decidere tenendo conto degli interessi dell'economia nazionale e di quelli della popolazione. Io ritengo che corrisponda all'interesse nazionale generale una scelta che preveda il bilanciamento dei voli intercontinentali ed internazionali tra Fiumicino e Malpensa. Lo sviluppo di Fiumicino è complementare a quello di Malpensa e viceversa, anche in ragione delle diverse tipologie di passeggeri in transito, perché Fiumicino, come sappiamo, ha una vocazione turistica mentre Malpensa ha una vocazione business. Indipendentemente da quale sarà il partner europeo, Air France o Lufthansa, sarà necessario che queste scelte vengano assunte da chi ha responsabilità politiche di Governo in questo Paese e di indirizzo politico - quindi, Governo e Parlamento insieme - e non siano riferite soltanto alle logiche e agli interessi delle compagnie aeree.
Noi naturalmente, come dicevo, ci auguriamo che la scelta del partner internazionale di Alitalia venga fatta senza condizionamenti politici, ma alla politica spetta la programmazione. Io ritengo che per esigenze politiche sia necessario un accordo che preveda il bilanciamento dei voli intercontinentali. Potrebbero essere assegnati nove voli per hub. Bisognerà abbandonare il modello di network su sei basi operative che impedirebbe per sempre la crescita di Alitalia e anzi la condannerebbe a svolgere esclusivamente una funzione di vettore regionale; non diventerebbe mai, con questo modello organizzativo e con questo network, un grande vettore intercontinentale.
Quindi occorre ritornare sui due hub, fare in modo di garantire il bilanciamento e la crescita di entrambi, sia Fiumicino sia Malpensa, procedere verso la razionalizzazione e l'ammodernamento della flotta, anche per ottemperare ai requisiti di tutela ambientale. Credo che una volta raggiunto il pareggio di bilancio - perché noi ci auguriamo che Alitalia possa essere risanata e possa di nuovo, per dirla con un eufemismo, decollare - sarà necessario prevedere l'ampliamento della flotta di lungo raggio, con l'acquisto di due aeromobili all'anno fino alla saturazione del mercato per garantire il progressivo potenziamento delle piattaforme aeroportuali di Fiumicino e di Malpensa. Occorre evitare quindi l'inclusione nel mercato italiano di vettori stranieri. In questo modo, signor Presidente, credo che si eviterebbero emergenze sociali nei territori regionali, si porrebbe finalmente fine ad un conflitto territoriale inutile, si preserverebbe il futuro del trasporto aereo italiano.
Per i motivi indicati e per la scelta che il Governo ha fatto attraverso il varo di questo decreto-legge del quale si chiede alla Camera la conversione, noi preannunciamo come Partito Democratico il nostro voto contrario; naturalmente, lo facciamo come una grande forza che ha a cuore gliPag. 56interessi generali e nazionali, e quelli di Alitalia rientrano negli interessi generali del nostro Paese: lo facciamo, quindi, contestando nel merito questo provvedimento perché purtroppo lo riteniamo insufficiente a cogliere l'obiettivo del rilancio, e non soltanto del salvataggio, di Alitalia.

PRESIDENTE. Dovremmo ora sospendere i lavori della Camera.
Poiché la Conferenza dei presidenti di gruppo è convocata alle ore 18 per esaminare la situazione dei nostri lavori, non posso comunicare all'Assemblea l'ora di ripresa della seduta. La seduta della Camera riprenderà, pertanto, al termine della riunione della Conferenza dei presidenti di gruppo.

ROBERTO GIACHETTI. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
Non mi dica che protesta contro il fatto che ci riuniamo dopo la Conferenza dei presidenti di gruppo. Non posso mica riunirvi prima!

ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, non ho capito il senso di questa comunicazione. Oggi la Camera è stata convocata con un ordine del giorno il quale prevedeva che oggi ci fosse seduta fino ad una determinata ora, poi alle 15 e alle 19 si sarebbe riunito il Parlamento in seduta comune per l'elezione di un giudice costituzionale.
Immagino - e spero che lei mi garantisca su questo punto, perché altrimenti sarebbe singolare - che, qualunque decisione affronti la Conferenza dei presidenti di gruppo quest'oggi, essa riguardi le giornate a venire, atteso che l'ordine del giorno della seduta di oggi è già stato determinato. Sarebbe ben complicato immaginare, senza una condivisione e un coinvolgimento dei gruppi, aggiungere alla giornata di oggi una coda che non era assolutamente prevista, tant'è che al riguardo basta vedere le condizioni nelle quali si trova ad operare l'Aula. Ciò significherebbe, credo, anche ledere il diritto del singolo parlamentare ad essere presente, qualora lo volesse, ai lavori della Camera.
Quindi, mi auguro che la sua comunicazione - se posso permettermi, signor Presidente, l'ho avvertita un po' come ultronea - sia dovuta al fatto che lei ci vuole preannunciare che forse nella Conferenza dei presidenti di gruppo ci si troverà a dover organizzare i nostri lavori a partire da martedì, anche in base all'evolversi della situazione relativa all'elezione del giudice della Corte costituzionale. Altrimenti, trovo veramente singolare che, a seduta convocata e ad ordine del giorno stabilito, lei ci dia una comunicazione che riguarda degli auspici che però non possono palesemente riguardare questa seduta.

MASSIMO POLLEDRI, Relatore per la X Commissione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MASSIMO POLLEDRI, Relatore per la X Commissione. Signor Presidente, il collega Giachetti è troppo navigato per poterci indurre a credere nel suo stupore e mi sembra anche evidente che non sia intenzione del collega Giachetti conculcare i legittimi diritti della Conferenza dei presidenti di gruppo. Pertanto, gli auspici del collega Giachetti sono validi, ma altrettanto valide sono le prerogative della Conferenza dei presidenti di gruppo che può verificare l'andamento dei lavori.
A tal proposito, credo che sia da registrare un dato nuovo, sostanzialmente politico: l'accavallarsi dell'elezione di un giudice della Corte costituzionale con la scadenza imminente della conversione in legge del provvedimento cosiddetto Alitalia ha portato ad una congestione dei lavori parlamentari a cui sicuramente non ha dato un contributo fattivo, né in termini di modifica del testo, né di apporto alla discussione, non già il grande atteggiamento ostruzionistico, ma l'impossibilità da parte dell'opposizione di ridurre i tempi della discussione, addivenendo magariPag. 57anche ad una modifica. Pertanto, alla luce di queste novità e dell'impossibilità o, al contrario, della possibilità di sciogliere il nodo dell'elezione, ritengo che non solo sia motivato, ma anche doveroso, un ripensamento, un pronunciamento da parte della Conferenza dei presidenti di gruppo.

PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Polledri. Onorevole Giachetti, condivido i suoi auspici, tuttavia non ho l'autorità per prendere impegni per conto della Conferenza dei presidenti di gruppo, la quale, nel suo ambito, è sovrana e non dubito che la Conferenza, e in modo particolare il Presidente della Camera, sappiano quali sono i limiti loro imposti dal Regolamento.

ROBERTO GIACHETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, poiché non vi sono dubbi sui diritti della Conferenza dei presidenti di gruppo, ma vi sono anche quelli dei singoli parlamentari, vorrei che lei riferisse alla Conferenza dei presidenti di gruppo - la quale, mi auguro, che se dovesse prendere decisioni, lo possa fare all'unanimità - che abbiamo terminato alle 14 una parte della discussione sulle linee generali su questo provvedimento...

PRESIDENTE. Alle 14,30, mi permetto di correggerla, onorevole Giachetti.

ROBERTO GIACHETTI. Alle 14,30, signor Presidente. Fino a questo momento, cioè prima che lei annunciasse, alle 14,29, la riunione della Conferenza dei presidenti di gruppo - lo tenga bene a memoria per la Conferenza dei presidenti di gruppo, signor Presidente - i colleghi che sapevano che non sarebbero intervenuti oggi nella discussione sulle linee generali hanno preso altri impegni, perché certamente sapevano che oggi la seduta sarebbe terminata con le due chiame del Parlamento in seduta comune. Quindi, signor Presidente, le faccio presente che noi dobbiamo garantire a chi aveva diritto a partecipare alla discussione sulle linee generali di poterlo fare in funzione della programmazione che era prevista per oggi. Ciò che la prego di riferire al Presidente e alla Conferenza dei presidenti di gruppo, è che coloro che sono iscritti a parlare devono essere messi nelle condizioni di poter intervenire, e non certo essere informati cinque minuti prima del fatto che in qualche momento della giornata viene aggiunto un tempo per parlare.
Quindi, ai fini della programmazione non c'è alcun ostruzionismo, non è colpa nostra se non si elegge il giudice della Corte costituzionale; sarebbe utile - ha ragione il collega Polledri - che la maggioranza proponesse un nome che noi potessimo votare. Ciò detto, il Presidente della Camera insieme al suo collega Schifani (non certo Roberto Giachetti, né il Presidente di turno Buttiglione) ha stabilito che vi sarebbero stati, e lo si sapeva da tempo, questi scrutini ad oltranza; quello che deve essere chiaro è che vanno salvaguardati i diritti della Conferenza dei presidenti di gruppo, ma che non possono essere lese le prerogative di chi aveva, ed ha, diritto di partecipare alla discussione sulle linee generali che, conclusasi alle 14,29 con l'intervento del collega Rugghia, riprenderà con il collega Vico, che sicuramente non parlerà oggi, perché oggi non era previsto che vi fossero sedute ulteriori su questo punto all'ordine del giorno.

MASSIMO POLLEDRI. Qualche precedente c'è!

PRESIDENTE. Onorevole Giachetti, in sede di Conferenza dei presidenti di gruppo lei sarà rappresentato due volte: dal punto di vista delle argomentazioni espresse, sarà rappresentato dal Presidente pro tempore, e, dal punto di vista politico, dal suo capogruppo.
Tuttavia, per consapevolezza dei miei limiti, devo confermarle il fatto che la Conferenza dei presidenti di gruppo interpreta essa stessa il Regolamento circa i limiti dei propri poteri.

Pag. 58

Per la risposta ad uno strumento del sindacato ispettivo (ore 14,34)

IVANO STRIZZOLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

IVANO STRIZZOLO. Signor Presidente, intervengo per sollecitare per la seconda volta (peraltro, è di nuovo lei a presiedere i nostri lavori) il Governo a dare una risposta - e in tal senso le chiedo di attivarsi presso il Governo - a una interrogazione da me presentata il 16 settembre per chiedere quali orientamenti e quali iniziative il Governo intenda assumere in riferimento alla crisi che sta, purtroppo, interessando l'industria chimica Caffaro di Torviscosa, in provincia di Udine.
È una crisi che, sicuramente, sarà meno importante di quella di Alitalia, di cui si sta occupando l'Aula in queste ore e in questi giorni, ma che rappresenta una realtà importante, non solo per la zona, ma per l'intera realtà del Friuli Venezia Giulia.
Non solo. Considerato che, nel complesso, tra occupazione diretta e indotto, sono circa mille le persone interessate dalla crisi, anche in aziende site in altre regioni del nostro Paese, la prego di sollecitare il Governo a dare una risposta alla mia interrogazione n. 3-00129.

PRESIDENTE. Onorevole Strizzolo, sarà fatto. Torviscosa, Merloni, sono tante le crisi. Mi auguro che il Governo non solo dia risposte puntuali, ma indichi anche una strategia complessiva.
La seduta è sospesa.

La seduta, sospesa alle 14,35, è ripresa alle 18,55.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ANTONIO LEONE

Sull'ordine dei lavori, annunzio della convocazione del Parlamento in seduta comune e nuova convocazione della Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi per la sua costituzione.

PRESIDENTE. A seguito dell'odierna riunione della Conferenza dei presidenti di gruppo, è stato stabilito che l'esame del disegno di legge n. 1742 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 28 agosto 2008, n. 134, recante disposizioni urgenti in materia di ristrutturazione di grandi imprese in crisi (Approvato dal Senato - scadenza: 27 ottobre 2008) proseguirà nella seduta di domani, con inizio alle ore 11,30 e con votazioni a partire dalle ore 14.
Dopo il disegno di legge di conversione n. 1742 saranno iscritti all'ordine del giorno l'esame e la votazione della questione pregiudiziale presentata al disegno di legge n. 1772 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 16 settembre 2008, n. 143, recante interventi urgenti in materia di funzionalità del sistema giudiziario (Approvato dal Senato - scadenza: 15 novembre 2008), il seguito dell'esame del disegno di legge n. 1441-quater - Delega al Governo in materia di lavori usuranti e di riorganizzazione di enti, misure contro il lavoro sommerso e norme in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro (già articoli 23, 24, 32, da 37 a 39 e da 65 a 67 del disegno di legge n. 1441, stralciati con deliberazione dell'Assemblea il 5 agosto 2008) (collegato alla manovra di finanza pubblica) e, quindi, l'esame del disegno di legge n. 1707 - Conversione in legge del decreto-legge 25 settembre 2008, n. 149, recante disposizioni urgenti per assicurare adempimenti comunitari in materia di giochi (da inviare al Senato - scadenza: 25 novembre 2008) e della proposta di inchiesta parlamentare Doc. XXII, n. 1 ed abbinate - Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sugli errori in campo sanitario e sulle cause dei disavanzi sanitari regionali.
Alle ore 15 sarà commemorato nell'Aula della Camera Vittorio Foa.Pag. 59
Avverto che, su richiesta unanime della X Commissione, l'esame del disegno di legge n. 1441-ter - Disposizioni per lo sviluppo e l'internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia (già articoli 3, da 5 a 13, da 15 a 18, 22, 31 e 70 del disegno di legge n. 1441, stralciati con deliberazione dell'Assemblea il 5 agosto 2008) (collegato alla manovra di finanza pubblica) avrà luogo a partire da mercoledì 22 ottobre.
Ricordo che questa sera, alle ore 19, avrà luogo una ulteriore votazione del Parlamento in seduta comune per procedere all'elezione del giudice della Corte costituzionale.
Ulteriori votazioni, ove necessarie, saranno previste domani alle ore 9 (con inizio della chiama dai senatori) e alle ore 19 (con inizio della chiama dai deputati), mercoledì 22, alle ore 8,30 (con inizio della chiama dai senatori) e alle ore 12,30 (con inizio della chiama dai deputati) ed eventualmente giovedì 23 ottobre, alle ore 8,30 (con inizio della chiama dai senatori) e alle ore 12,30 (con inizio della chiama dai deputati).
La Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi sarà convocata, ove necessario, domani alle ore 12 ed alle ore 22 e mercoledì 22 e giovedì 23 ottobre alle ore 15 e alle ore 20,30.

Annunzio della presentazione di un disegno di legge di conversione e sua assegnazione a Commissione in sede referente (ore 18,58).

PRESIDENTE. Il Presidente del Consiglio dei ministri ha presentato alla Presidenza il seguente disegno di legge, che è assegnato, ai sensi dell'articolo 96-bis, comma 1, del Regolamento, in sede referente, alla VIII Commissione (Ambiente):
«Conversione in legge del decreto-legge 20 ottobre 2008, n. 158, recante misure urgenti per contenere il disagio abitativo di particolari categorie sociali» (1813) - Parere delle Commissioni I, II, V, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria) e XII.

Il suddetto disegno di legge, ai fini dell'espressione del parere previsto dall'articolo 96-bis, comma 1, del Regolamento, è altresì assegnato al Comitato per la legislazione.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Martedì 21 ottobre 2008, alle 11,30:

(ore 11,30, con votazioni a partire dalle ore 14)

1. - Seguito della discussione del disegno di legge:
S. 999 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 28 agosto 2008, n. 134, recante disposizioni urgenti in materia di ristrutturazione di grandi imprese in crisi (Approvato dal Senato) (1742-A).
- Relatori: Polledri, per la X Commissione e Valducci, per la IX Commissione.

2. - Discussione del disegno di legge (per l'esame e la votazione della questione pregiudiziale presentata):
S. 1018 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 16 settembre 2008, n. 143, recante interventi urgenti in materia di funzionalità del sistema giudiziario (Approvato dal Senato) (1772).

3. - Seguito della discussione del disegno di legge:
Delega al Governo in materia di lavori usuranti e di riorganizzazione di enti, misure contro il lavoro sommerso e norme in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro (Già articoli 23, 24, 32, da 37 a 39 e da 65 a 67 del disegno di leggePag. 60n. 1441, stralciati con deliberazione dall'Assemblea il 5 agosto 2008) (1441-quater-A).
- Relatore:
Cazzola.

4. - Discussione del disegno di legge:
Conversione in legge del decreto-legge 25 settembre 2008, n. 149, recante disposizioni urgenti per assicurare adempimenti comunitari in materia di giochi (1707-A).
- Relatore: Conte.

5. - Discussione del testo unificato delle proposte di inchiesta parlamentare:
LIVIA TURCO ed altri; BARANI ed altri; MOLTENI ed altri: Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sugli errori in campo sanitario e sulle cause dei disavanzi sanitari regionali (Doc. XXII, nn. 1-2-4-A).
- Relatore: Binetti.

La seduta termina alle 19.

TESTO INTEGRALE DELLA RELAZIONE DEL DEPUTATO MARIO VALDUCCI IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE DI CONVERSIONE N. 1742-A

MARIO VALDUCCI, Relatore. Il decreto-legge in esame introduce una serie di disposizioni urgenti in materia di grandi imprese in crisi, modificando in più parti la disciplina vigente della materia, recata dal decreto-legge n. 347 del 2003 (cosiddetta «legge Marzano»). Al riguardo si ricorda brevemente che la procedura di amministrazione straordinaria è stata introdotta in Italia per la prima volta con il decreto-legge n. 26 del 1979, convertito dalla legge n. 95 dello stesso anno (cosiddetta legge Prodi). La procedura allora delineata prevedeva un ruolo preponderante dell'amministrazione centrale, la quale, mediante decreto del Ministro dell'industria, di concerto con il Ministro del tesoro, disponeva l'ammissione dell'impresa in crisi alla procedura straordinaria e, successivamente, aveva il compito di vigilare sull'attività del commissario o dei commissari, nominati dal tribunale. Tale disciplina, oggetto di diverse censure di illegittimità costituzionale e di rilievi critici per violazione della normativa comunitaria, fu sostituita con il decreto legislativo n. 270 del 1999 (cosiddetta legge Prodi-bis). Da ultimo, il decreto-legge n. 347 del 2003 (cosiddetta legge Marzano), adottato a seguito delle note vicende riguardanti il gruppo Parmalat, ha previsto una complessiva semplificazione della procedura per l'ammissione all'amministrazione straordinaria e ha rafforzato i poteri riconosciuti all'autorità amministrativa.
Il decreto-legge in esame prevede, in particolare, un ampliamento dei destinatari della disciplina della legge Marzano, consentendo l'applicazione di tale procedura speciale anche alle imprese in stato di insolvenza che intendono procedere alla cessione di complessi aziendali in base ad un programma che preveda la prosecuzione dell'esercizio dell'attività di impresa. Rimangono invece invariati i due principali requisiti previsti per accedere all'amministrazione straordinaria: il numero dei lavoratori dipendenti, che non dovrà essere inferiore a 500, da almeno un anno, e l'ammontare dei debiti, che non potrà essere inferiore a 300 milioni di euro.
L'articolo 1 del decreto introduce, come detto, una serie di modifiche ed integrazioni al decreto legge n. 347 del 2003.
Il comma 1 novella l'articolo 1 del decreto-legge n. 347, al fine di estendere l'ambito di applicazione delle norme anche alle imprese che intendono avvalersi delle procedure di cessione di complessi aziendali, sulla base di un programma di prosecuzione dell'esercizio dell'impresa di durata non superiore ad un anno. Il comma 1-bis, introdotto dalle Commissioni IX e X, prevede che le finalità dell'amministrazione straordinaria si possano realizzare, oltre che con la cessione di complessi aziendali, anche mediante dismissione di beni e contratti.
Il comma 2, in conseguenza della modifica apportata all'articolo 1, modifica l'articolo 2, comma 1, del decreto-leggePag. 61n. 347, relativo alle procedure per l'ammissione immediata all'amministrazione straordinaria.
Il comma 3 integra il comma 2 dell'articolo 2 del decreto-legge n. 347 del 2003, prevedendo che per le società operanti nel settore dei servizi pubblici essenziali, l'ammissione immediata alla procedura di amministrazione straordinaria, la nomina del commissario straordinario e la determinazione del relativo compenso, ivi incluse le altre condizioni dell'incarico, anche in deroga alla vigente normativa in materia, possono essere disposte con decreto sia del Presidente del Consiglio dei ministri, sia del Ministro dello sviluppo economico.
I commi 4 e 5 novellano il comma 1-bis dell'articolo 3 del decreto-legge n. 347, al fine di estendere l'applicazione della disciplina da esso prevista anche alle imprese del gruppo, intese come imprese che intrattengono rapporti contrattuali in via sostanzialmente esclusiva con l'impresa interessata dalla procedura, per la fornitura di servizi necessari allo svolgimento dell'attività.
I commi 6, 7 e 8 recano modifiche di coordinamento formale all'articolo 4, commi 2 e 4, del decreto-legge n. 347, al fine di assicurare coerenza con quanto previsto al comma 1.
Il comma 6-bis, introdotto dal Senato, esclude l'applicabilità del comma 2 dell'articolo 4 del decreto-legge n. 347 del 2003, concernente la presentazione del programma del commissario, alle imprese operanti nel settore dei servizi pubblici essenziali per le quali sia stato fatto immediato ricorso alla trattativa privata.
Il comma 9 modifica il comma 4-bis dell'articolo 4 del decreto-legge n. 347 del 2003, al fine di prevedere che il programma di cessione può anche essere presentato dal commissario straordinario.
Il comma 10 aggiunge quattro commi dopo il comma 4-ter dell'articolo 4 del decreto-legge n. 347 del 2003. II comma 4-quater, in particolare, dispone, in deroga all'articolo 62 del decreto legislativo n. 270 del 1999 (sull'alienazione dei beni delle imprese insolventi), e per le sole operazioni effettuate entro il 30 giugno 2009, che per le società operanti nel settore dei servizi pubblici essenziali, nonché per le imprese del gruppo, il commissario straordinario possa individuare l'acquirente a trattativa privata, tra i soggetti che garantiscono la continuità del servizio, la rapidità dell'intervento e il rispetto dei requisiti previsti dalla legislazione nazionale, nonché dai Trattati sottoscritti dall'Italia. Il prezzo di cessione non deve essere inferiore a quello di mercato, risultante dalla perizia effettuata da primaria istituzione finanziaria, individuata con decreto del Ministro dello sviluppo economico. Il comma 4-quinquies, sempre con riguardo a società operanti nel settore dei servizi pubblici essenziali, dispone che le operazioni di concentrazione contemplate nel programma autorizzato rispondono a preminenti interessi generali e, fatto salvo quanto previsto dalla normativa comunitaria, non sono soggette all'autorizzazione dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato; tali operazioni devono comunque essere notificate preventivamente dalle parti all'Autorità medesima, unitamente alla proposta di misure idonee a prevenire il rischio di imposizione di prezzi o altre condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose per i consumatori. L'Autorità può tuttavia, entro trenta giorni dalla comunicazione dell'operazione, prescrivere modificazioni ed integrazioni alle suddette misure e definire il termine, non inferiore a tre anni, entro il quale le posizioni di monopolio eventualmente determinatesi devono cessare. In caso di inottemperanza si applicano le sanzioni di cui all'articolo 19 della citata legge n. 287 del 1990.
Il comma 4-sexies prevede che le imprese operanti nei servizi pubblici essenziali ammesse alla procedura di amministrazione straordinaria conservano, per sei mesi dalla data di ammissione alle procedure, le eventuali autorizzazioni, certificazioni, licenze, concessioni o altri atti o titoli per l'esercizio e la conduzione delle relative attività svolte alla data di sottoposizione delle stesse alla procedura concorsuale.Pag. 62
Il comma 11 modifica il comma 1 dell'articolo 5 del decreto-legge n. 347 del 2003, al fine di prevedere che l'autorizzazione rilasciata dal Ministro dello sviluppo economico su richiesta del commissario straordinario, dopo la dichiarazione dello stato di insolvenza, ad effettuare operazioni di cessione e di utilizzo di beni, di aziende o di rami di aziende dell'impresa possa essere finalizzata, oltre che alla ristrutturazione dell'impresa o del gruppo, come già previsto, anche alla salvaguardia del valore economico e produttivo, totale o parziale, dell'impresa o del gruppo.
Il comma 12 autorizza l'effettuazione delle medesime operazioni anche prima della dichiarazione dello stato di insolvenza, per motivi di urgenza.
Il comma 13, aggiungendo i commi 2-ter e 2-quater all'articolo 5 del decreto-legge n. 347 del 2003, reca disposizioni inerenti all'integrazione salariale straordinaria e alla mobilità per i dipendenti di imprese in amministrazione straordinaria operanti nel settore dei servizi pubblici essenziali.
L'articolo 1-bis, introdotto nel corso dell'esame presso il Senato, reca una norma di interpretazione autentica degli articoli 50 e 51 del decreto legislativo n. 270 del 1999, relativi alla disciplina dei contratti in corso e ai diritti dell'altro contraente.
L'articolo 2, commi da 1 a 5, reca modifiche alla disciplina sui trattamenti di integrazione salariale straordinaria e di mobilità per il personale dei vettori aerei e delle società derivate da questi ultimi.
L'articolo 3, al comma 1, introduce norme volte a escludere la responsabilità degli amministratori di Alitalia per atti compiuti dal 18 luglio 2007 fino alla data di entrata in vigore del decreto-legge (28 agosto 2008). In primo luogo, si prevede che la responsabilità di amministratori, componenti del collegio sindacale e del dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili per gli atti posti in essere - nel periodo indicato - sono a carico delle società Alitalia S.p.A. e Alitalia Servizi S.p.A. Tale esimente è limitata ad atti e comportamenti adottati per garantire la continuità aziendale, in considerazione del preminente interesse di garantire il servizio pubblico di trasporto aereo. II comma 1 esime inoltre dalla responsabilità amministrativo-contabile, negli stessi limiti, i soggetti sopra indicati, nonché i pubblici dipendenti e i soggetti titolari di incarichi pubblici. L'ultimo periodo del comma 1 esclude che lo svolgimento di funzioni di amministrazione, direzione o controllo delle società in questione possa costituire motivo per ritenere insussistente il possesso dei requisiti di professionalità richiesti per lo svolgimento di tali funzioni in altre società.
Il comma 2 introduce una tutela per azionisti e obbligazionisti di Alitalia che non abbiano esercitato opzione per la conversione dei titoli in azioni di nuove società, mediante ricorso al Fondo per l'indennizzo dei risparmiatori che siano rimasti vittime di frodi finanziarie e abbiano subito un danno ingiusto, previsto dall'articolo 1, comma 343, della legge n. 266 del 2005 (legge finanziaria 2006).
Il comma 2-bis prevede una serie di misure per garantire una sollecita operatività del suddetto fondo. Il comma 2-ter sostituisce il secondo comma dell'articolo 2952 del codice civile, disponendo che gli altri diritti derivanti dal contratto di assicurazione diversi da quello al pagamento del premio si prescrivono in due anni dal giorno in cui si è verificato il fatto su cui il diritto si fonda.
Il comma 2-quater stabilisce che nella procedura di amministrazione straordinaria la domanda di ammissione al passivo per conto degli obbligazionisti e dei titolari di strumenti finanziari ammessi alla negoziazione sui mercati regolamentati è presentata dal rappresentante comune delle relative assemblee speciali. Il comma 3 reca, infine, l'abrogazione dell'articolo 1-bis, comma 4, del decreto-legge n. 80 del 2008. Tale ultima disposizione ha dettato una disciplina specifica per la cessione di Alitalia, prevedendo deroghe alla normativa vigente sulle partecipazioni azionarie possedute dallo Stato e sui relativi obblighi informativi. Il comma 4 - di cui si disponePag. 63l'abrogazione - esenta le determinazioni relative alla cessione del controllo, alle operazioni straordinarie strumentali al perfezionamento della operazione e alle indennità da rilasciarsi in relazione alla situazione della società dall'osservanza dell'articolo 80, comma 7, della legge n. 289 del 2002, concernente la determinazione del prezzo dei titoli destinati alla vendita. Nel corso dell'esame in sede referente, le Commissioni hanno apportato talune modifiche al testo del provvedimento trasmesso dal Senato.
È stata introdotta, al comma 1-bis dell'articolo 1, una novella all'articolo 27, comma 2, del decreto legislativo n. 270 del 1999 volta a prevedere che, ai fini dell'ammissibilità alla procedura di amministrazione straordinaria, le società operanti nel settore dei servizi pubblici essenziali possano procedere anche alla cessione di complessi di beni e contratti.
Strettamente consequenziali a tale modifica sono poi da considerarsi i nuovi commi 13-bis e 13-ter dell'articolo 1 introdotti dalle Commissioni, che si limitano ad apportare correzioni di natura meramente tecnica.
Un significativo intervento delle Commissioni ha inoltre riguardato l'originario comma 13-bis dell'articolo 1, introdotto nel corso dell'esame presso il Senato. Dopo un suo più approfondito esame, si è convenuto di espungere dal testo tale disposizione, che era volta a circoscrivere l'applicabilità di talune disposizioni penali della legge fallimentare. Si è trattato di una correzione sulla cui opportunità hanno peraltro convenuto, oltre al Governo, anche i rappresentanti di tutti i gruppi parlamentari, che hanno presentato identiche proposte emendative.
Le Commissioni hanno infine novellato il comma 5-bis dell'articolo 2, approvando, anche in questo caso, identici emendamenti presentati dal Governo e dal principale gruppo di opposizione, volti ad elevare di un ulteriore euro a passeggero (e quindi complessivamente di due euro, da 2,5 a 4,5 euro) l'importo dell'addizionale comunale sui diritti di imbarco dei passeggeri sugli aeromobili. Nel contempo, si è provveduto altresì a specificare le modalità tecniche di versamento delle maggiori risorse che saranno in tal modo introitate.