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Resoconto dell'Assemblea

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XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 56 di lunedì 29 settembre 2008

Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ANTONIO LEONE

La seduta comincia alle 11,05.

DONATO LAMORTE, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 25 settembre 2008.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Alessandri, Antonione, Berlusconi, Bonaiuti, Bossi, Brambilla, Brunetta, Buttiglione, Carfagna, Casero, Cesa, Colucci, Cossiga, Cota, Crimi, Crosetto, Donadi, Fitto, Frattini, Gelmini, Gibelli, Alberto Giorgetti, Giro, La Russa, Lupi, Malgieri, Mantovano, Maroni, Martini, Meloni, Miccichè, Migliori, Picchi, Prestigiacomo, Rigoni, Roccella, Romani, Ronchi, Rotondi, Stefani, Stucchi, Tremonti, Urso, Vegas, Vitali, Vito e Zacchera sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente cinquantadue, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Annunzio della presentazione di un disegno di legge di conversione e sua assegnazione a Commissione in sede referente.

PRESIDENTE. Il Presidente del Consiglio dei ministri ha presentato alla Presidenza, con lettera in data 26 settembre 2008, il seguente disegno di legge, che è stato assegnato, ai sensi dell'articolo 96-bis, comma 1, del Regolamento, in sede referente, alla VI Commissione (Finanze):
«Conversione in legge del decreto-legge 25 settembre 2008, n. 149, recante disposizioni urgenti per assicurare adempimenti comunitari in materia di giochi» (1707) - Parere delle Commissioni I, V e XIV.

Il suddetto disegno di legge, ai fini dell'espressione del parere previsto dal comma 1 del predetto articolo 96-bis, è stato altresì assegnato al Comitato per la legislazione di cui all'articolo 16-bis del Regolamento.

Sostituzione di un deputato componente della delegazione presso l'Assemblea parlamentare della NATO.

PRESIDENTE. Comunico che il Presidente della Camera ha chiamato a far parte della delegazione presso l'Assemblea parlamentare della NATO il deputato Italo Bocchino, in sostituzione del deputato Carmelo Briguglio, dimissionario.

Modifica nella composizione del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica.

PRESIDENTE. Comunico che il Presidente della Camera ha chiamato a far parte del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica il deputato Carmelo Briguglio, in sostituzione del deputato Italo Bocchino, dimissionario.

Pag. 2

Discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 1o settembre 2008, n. 137, recante disposizioni urgenti in materia di istruzione e università (A.C. 1634-A) (ore 11,08).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 1o settembre 2008, n. 137, recante disposizioni urgenti in materia di istruzione e università.
Ricordo che nella seduta del 17 settembre 2008 è stata respinta la questione pregiudiziale Ghizzoni ed altri n. 1.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 1634-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari dell'Italia dei Valori e del Partito Democratico ne hanno chiesto l'ampliamento, senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che la VII Commissione (Cultura) si intende autorizzata a riferire oralmente.
La relatrice, presidente della VII Commissione, onorevole Aprea, ha facoltà di svolgere la relazione.

VALENTINA APREA, Relatore. Signor Presidente, Ministro Gelmini, sottosegretario Pizza, onorevoli colleghi, il decreto-legge in esame contiene disposizioni urgenti in materia di istruzione e università.
L'articolo 1 prevede che, a decorrere dall'anno scolastico 2008-2009, al fine di favorire l'acquisizione delle competenze relative a «Cittadinanza e Costituzione», siano predisposte azioni di sperimentazione in base all'articolo 11 del decreto del Presidente della Repubblica n. 275 del 1999, nonché di sensibilizzazione e di formazione del personale docente. In proposito, occorre evidenziare che l'articolo 11 del decreto del Presidente della Repubblica n. 275 del 1999 attribuisce al Ministro della pubblica istruzione la facoltà di promuovere progetti in ambito nazionale, regionale e locale, volti a esplorare possibili innovazioni riguardanti gli ordinamenti degli studi, come nel caso in esame, ovvero la loro articolazione e durata, l'integrazione fra sistemi formativi, nonché i processi di continuità e orientamento.
Il Ministro può eventualmente sostenere tali progetti con appositi finanziamenti disponibili negli ordinari stanziamenti di bilancio, come previsto al comma 1. I progetti devono avere una durata predefinita e devono indicare con chiarezza gli obiettivi; quelli attuati devono essere sottoposti a valutazione dei risultati, sulla base dei quali possono essere definiti nuovi curricoli e nuove scansioni degli ordinamenti degli studi, come previsto dal comma 2. Agli alunni deve essere riconosciuta piena validità agli studi compiuti nell'ambito delle iniziative di sperimentazione, secondo criteri di corrispondenza fissati con decreto del Ministro della pubblica istruzione, come previsto dal comma 4. Le attività di cui all'articolo in esame devono essere realizzate nel primo e nel secondo ciclo di istruzione, rispettivamente, nell'ambito delle aree storico-geografica e storico-sociale e del monte ore complessivo previsto per le stesse. Analoghe iniziative dovranno essere avviate nella scuola dell'infanzia.
La VII Commissione (Cultura) ha anche introdotto, su proposta della Lega Nord, lo studio degli statuti regionali.
Il comma 2 dell'articolo in esame specifica che l'attuazione delle misure previste dalla disposizione in esame avvenga entro i limiti delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente. L'opportunità dell'intervento con legge, non strettamente necessario come ha evidenziato il Servizio studi della Camera, si giustifica in un'ottica di educazione alla legalità, sempre più urgente alla luce dell'emergenza educativa di cui ci parlano i fatti di cronaca da qualche anno.
Per queste ragioni e per rafforzare la dimensione educativa dei percorsi di istruzione, il decreto reintroduce all'articolo 2Pag. 3il cosiddetto voto in condotta, prevedendo che, a decorrere dall'anno scolastico 2008-2009, in sede di scrutinio intermedio e finale nelle scuole secondarie di primo e secondo grado viene valutato il comportamento di ogni studente e la relativa valutazione è espressa in decimi. La disposizione specifica ulteriormente che il comportamento dello studente deve essere analizzato in relazione sia al periodo di permanenza nella sede scolastica, sia alla partecipazione alle attività realizzate dalle istituzioni scolastiche anche fuori della propria sede. Il voto in condotta viene ristabilito facendo salve le previsioni dello statuto delle studentesse e degli studenti della scuola secondaria, adottato con decreto del Presidente della Repubblica n. 249 del 1998. A tal proposito, ricordo che lo statuto delle studentesse e degli studenti richiede agli studenti un comportamento corretto e coerente con i doveri sanciti nello statuto stesso; sono i regolamenti degli istituti scolastici ad individuare quei comportamenti che configurino mancanze disciplinari, nonché le relative sanzioni. In ogni caso, lo statuto esclude che una qualunque infrazione disciplinare connessa al comportamento dello studente possa influire sulla valutazione del profitto. Infine, è previsto che solo in caso di particolare gravità del comportamento, il consiglio di istituto possa adottare sanzioni che implicano l'esclusione dallo scrutinio finale o la non ammissione all'esame di Stato conclusivo del corso di studi. Il comma 3 dispone che la valutazione del comportamento dello studente spetta collegialmente al consiglio di classe e concorre alla valutazione complessiva dello studente. Qualora sia inferiore a sei decimi, invece che a otto decimi, come nella precedente disciplina, comporta la non ammissione al successivo anno di corso, ovvero all'esame conclusivo del ciclo di studi. La norma, infine, rinvia ad un decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca per la determinazione dei criteri da utilizzare ai fini della correlazione tra gravità del comportamento e voto insufficiente, nonché per le eventuali ulteriori modalità applicative. L'articolo 3 introduce alcune innovazioni in relazione alle modalità di valutazione del rendimento degli studenti nelle scuole del primo ciclo di istruzione. In particolare, si stabilisce, che, a partire dall'anno scolastico 2008-2009 nella scuola primaria, la valutazione periodica ed annuale degli apprendimenti degli alunni e la certificazione delle competenze da essi acquisite è espressa in decimi ed illustrata con giudizio analitico sul livello globale di maturazione raggiunto dall'alunno; nella scuola secondaria di primo grado, la valutazione periodica ed annuale degli apprendimenti degli alunni e la certificazione delle competenze da essi acquisite è espressa in decimi. Rispetto alla disciplina vigente, nella scuola primaria, il giudizio analitico - per il quale non si fa più cenno alla motivazione - è accompagnato alla valutazione numerica, mentre nella scuola secondaria di primo grado, il giudizio numerico sostituisce del tutto quello analitico. Il comma 3 specifica che per essere ammessi alla classe successiva ovvero all'esame di Stato a conclusione del ciclo, è necessario aver ottenuto un voto non inferiore a sei decimi in ciascuna disciplina o gruppo di discipline. Il successivo comma 4 prevede alcune modifiche ed integrazioni della normativa vigente, necessarie in relazione alle innovazioni introdotte. L'aver reintrodotto il sistema di valutazione decimale nel primo ciclo contribuisce a fare chiarezza sui reali livelli di apprendimento dei nostri studenti e agevolerà il percorso di definizione di standard descrittori, che l'Invalsi è chiamato ad elaborare, affinché l'indicazione del voto corrisponda ad oggettive conoscenze, abilità e competenze comparabili da scuola a scuola, superando le differenze attuali nella certificazione dei livelli di competenze acquisite dagli studenti.
Verrà predisposto un ordine del giorno che sottoporremo al Governo, perché il Ministro Gelmini possa accelerare questo processo da parte dell'Invalsi di definizione di standard. Tuttavia, l'approfondito dibattito tenutosi in Commissione ha evidenziato l'opportunità di rendere collegiale la disposizione contenuta al commaPag. 43 dell'articolo, prevedendo per la proposta di non ammissione alla classe successiva l'unanimità del team docente nella scuola primaria e il giudizio a maggioranza del consiglio di classe nella scuola secondaria di primo grado. Nell'esame del provvedimento in Aula, si darà dunque parere favorevole alle proposte emendative che andranno in questa direzione.
In Commissione si è inoltre modificata la modalità dell'esame conclusivo del primo ciclo, reintroducendo, accanto al voto, il giudizio analitico sulla maturazione globale dell'alunno e, su proposta dell'onorevole Nicolais, vicepresidente della Commissione, la certificazione delle competenze in uscita. Allo stesso modo, accogliendo proposte emendative dell'onorevole Goisis e dell'onorevole Ghizzoni, è stata prevista una valutazione differenziata per alunni con difficoltà di apprendimento e con disabilità.
Il comma 1 dell'articolo 4 stabilisce che, nei regolamenti da adottare ai sensi dell'articolo 64 del decreto-legge n. 112 del 2008 per la riorganizzazione del servizio scolastico e dell'assetto ordinamentale, organizzativo e didattico delle scuole, si preveda che le istituzioni scolastiche costituiscono classi assegnate ad un unico insegnante e funzionanti con un orario di 24 ore settimanali. Con la disposizione in commento, si consente, dunque, di ricostituire classi con il maestro unico, secondo il modello organizzativo tradizionale della scuola elementare vigente fino al 1990.
Accanto alla reintroduzione delle classi ad insegnante unico, la disposizione in commento specifica ulteriormente che nei regolamenti si deve comunque tenere conto delle esigenze di una più ampia articolazione del tempo-scuola sulla base delle richieste delle famiglie. Secondo quanto specificato nelle relazioni al provvedimento, ciò significa che, nella definizione dei regolamenti, l'articolazione del tempo-scuola deve essere prevista in funzione non soltanto delle esigenze di riorganizzazione didattica, ma anche delle esigenze dell'utenza. In ragione della domanda delle famiglie, vi potranno essere differenti articolazioni dell'orario scolastico. Il comma 2 dell'articolo in esame prevede l'adeguamento del trattamento economico spettante ai docenti che si troveranno ad operare nelle classi con un unico insegnante, che avverrà in sede di contrattazione collettiva.
Su questo punto, comunque, specificheremo con un emendamento, che ci ha richiesto e sollecitato la V Commissione, la copertura finanziaria anche dell'integrazione della retribuzione di questi docenti, che, eventualmente, dovessero svolgere 24 ore, anziché 22. Tale adeguamento si rende necessario in quanto l'orario settimanale delle classi a maestro unico è superiore rispetto alle ore di lezione che ciascun docente è tenuto a svolgere secondo le vigenti previsioni della contrattazione collettiva, pari a 22 ore settimanali.
La norma individua le risorse finanziarie necessarie per far fronte agli oneri derivanti dall'adeguamento retributivo nella quota parte delle economie di spesa discendenti dalla realizzazione degli obiettivi della razionalizzazione prevista dal citato articolo 64 del decreto-legge n. 112 del 2008 e destinata al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca. Ma ribadisco che, con un emendamento che presenteremo in Aula, si chiarirà meglio la copertura finanziaria di questa spesa. Questa disposizione interviene sul segmento della scuola primaria, che era stato interessato da modifiche ordinamentali con il decreto legislativo n. 59 del 2004, che aveva introdotto la differenza tra «apprendimenti fondamentali» non negoziabili e «apprendimenti opzionali» e «facoltativi», prevedendo in 27 ore il tempo-scuola necessario per i primi e tre ore per gli altri, quelli di natura opzionale.
Il decreto in esame, questo del Ministro Gelmini, rafforza, dunque, la scelta del decreto legislativo n. 59 del 2004, che, peraltro, aveva anche introdotto l'insegnante tutor quale insegnante prevalente del team, indicando in 24 ore il tempo-scuola non negoziabile, e quindi da considerare come unità organizzativa di base per l'acquisizione degli alfabeti essenzialiPag. 5della cultura e dei contenuti delle aree disciplinari di studio. In più, questo decreto evidenzia come l'intero modulo possa essere affidato anche ad un solo insegnante. Con ciò si ottengono due effetti sicuramente positivi per il sistema educativo: si amplia la libertà di scelta delle famiglie che volessero occuparsi dell'educazione dei propri figli in orario pomeridiano e si recupera la funzione educativa del docente, quale punto di riferimento, non solo per gli insegnamenti, ma anche dal punto di vista relazionale.
E non è corretto parlare di ritorno al passato, paragonando questo modello a quello degli anni '70-'80. Da allora sono cambiate molte cose, ma soprattutto è cambiata la cornice giuridica entro cui i modelli organizzativi ordinamentali si giustificano. È stata riconosciuta, in legge ordinaria prima ed in Costituzione poi, l'autonomia scolastica e con il decreto n. 275 del 1999 è stata, di fatto, abolita la rigidità e l'unicità dei modelli organizzativi, e quindi anche il modello dei tre insegnanti su due classi.
Dall'anno scolastico 2004/2005, inoltre, in virtù del citato decreto legislativo n. 59 del 2004, il 73 per cento delle classi della scuola primaria ha attivato la figura del tutor e il 40 per cento di queste classi ha affidato questa figura ad un solo insegnante. Né può valere l'obiezione che la scuola primaria sia tra le migliori scuole nei confronti internazionali. La scuola primaria è stata punto di eccellenza del sistema formativo del nostro Paese ben prima dell'ingresso dell'organizzazione didattica per moduli, grazie alla capacità e generosità di generazioni di maestri, di direttori didattici e di famiglie attente ai beni primari dei loro figli: l'educazione e la cultura di base.
Semmai, occorrerebbe ripensare proprio agli ultimi due anni della scuola primaria, visto che l'apprendimento dei nostri ragazzi comincia ad essere scadente, Ministro, dopo i nove anni fino ai quindici, come confermano da troppi anni le rilevazioni dell'OCSE con riferimento al PISA. L'avere inserito questa misura in un decreto-legge si giustifica, inoltre, in una logica di vincoli di bilancio, che impongono inderogabili economie di spesa previste dalla legge n. 133 del 2008, e che tendono a coniugare riqualificazione della spesa pubblica e qualità.
Anche in quest'ottica, dunque, l'organizzazione del lavoro nel primo ciclo, ma in particolare nella scuola primaria, richiede una revisione dei criteri di assegnazione e di utilizzo dei docenti finalizzata ad ottimizzare le ore di insegnamento e quindi, di apprendimento degli studenti. La questione, d'altra parte, era stata affrontata in modo dettagliato già dal Quaderno bianco sulla scuola, curato dai Ministri dell'economia e dell'istruzione del Governo Prodi nel settembre 2007, allorquando al paragrafo 4.3, pagine 45 e seguenti, si sosteneva che: per quanto riguarda gli studenti, le ore effettive medie di lezioni, orario discente, possono essere più elevate di quelle curricolari, se si ricevono ore di insegnamento frontale per sperimentazioni con un monte ore più esteso di quello ordinario, ovvero se, nella stessa ora di corso, sono previsti due insegnanti, col risultato che gli studenti ricevono di fatto due ore di insegnamento. Sto ripetendo testualmente le parole del Quaderno bianco sulla scuola del Governo Prodi. Ancora, in esso si dice: ciò è quanto avviene nella scuola primaria, per alcune discipline tecniche, ovvero nel caso di studenti diversamente abili la cui istruzione richiede insegnanti supplementari. In Italia, in particolare, si può stimare che tali fattori facciano sì che le ore di insegnamento effettivamente ricevute eccedano l'orario strettamente curricolare in media di circa il 18 per cento nella scuola primaria - questa era la denuncia fatta dal Governo Prodi nel 2007 - dov'è particolarmente elevata la compresenza per far fronte anche al tempo pieno, di circa il 16 per cento nella scuola secondaria di primo grado e di circa il 12 per cento nella scuola secondaria superiore, dove la compresenza è associata ad una forte frammentazione disciplinare non generalista. A parità del resto, ciò tende ad accrescere ulteriormente il numero di insegnanti necessari per studente.Pag. 6
Sempre nel Quaderno bianco sulla scuola - e concludo con questo periodo la citazione - si leggeva nel 2007: nel caso della scuola primaria si osserva che l'eccesso di circa il 60 per cento del rapporto insegnanti-studenti dell'Italia rispetto al valore OCSE, è spiegato: a) per circa la metà, dal maggiore impegno orario degli studenti; b) per circa un quinto, dal minore impegno orario degli insegnanti; c) per meno di un terzo, dalla minore dimensione delle classi.
Si comprende per questo perché, sempre come sostiene il Quaderno bianco sulla scuola, nel confronto internazionale ai valori raccolti dall'OCSE, l'Italia mostri un valore del rapporto insegnanti per 100 studenti del 20 per cento superiore alla media: 9,1 insegnanti nel 2004 contro una media di 7,5 dell'OCSE, meno di 7 in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, facendo riferimento ai cicli primario e secondario infanzia esclusa, per cui è possibile la comparazione. La differenza è assai più marcata - sempre dati del Quaderno bianco sulla scuola - nella primaria, 9,3 insegnanti per cento studenti in Italia, contro una media OCSE di 5,9, che nella secondaria inferiore, è pari rispettivamente a 9,7 e 7,3, e secondaria superiore, pari rispettivamente a 8,7 e 7,9.
Signor Presidente, non stiamo dando i numeri: stiamo dimostrando che paghiamo almeno due volte le ore di insegnamento nella scuola primaria; e questi dati non li abbiamo inventati noi o il Ministro Tremonti o il Ministro Gelmini: non li abbiamo «costruiti» noi, ma sono stati «costruiti» e pubblicati, resi pubblici dal Governo che ci ha preceduto, il Governo Prodi.
Tutte queste considerazioni giustificano dunque ampiamente la scelta del Governo. Ciò vale per il merito, con il maestro unico; e vorrei qui ricordare, ma credo che i colleghi dell'opposizione siano ben a conoscenza di questo dato, i sondaggi non di parte che sono stati resi noti da più parti, e che mostrano un alto indice di gradimento delle famiglie e dell'opinione pubblica italiana con riferimento a questo modello didattico.
Quindi, sia il merito, che il metodo del provvedimento (il ricorso al decreto-legge), rilanciano con forza un rinnovato investimento sulla formazione iniziale dei docenti della scuola primaria. Questo sì, Ministro, resta un nodo: la formazione iniziale dei docenti della scuola primaria, affinché gli stessi siano preparati a svolgere con competenza e professionalità il proprio compito, a cominciare dalle sfide costituite dalla competenza in lingua inglese e informatica, apprendimento obbligatorio fin dalla prima classe, che mi auguro lei vorrà continuare a garantire anche dopo l'approvazione di questo decreto-legge. Questo è l'unico, vero nodo: dobbiamo formare i docenti della scuola primaria affinché possano avere anche questo tipo di competenze. Nella fase transitoria ci auguriamo e siamo convinti che il Governo continuerà a garantire queste competenze, come le leggi prevedono, fin dalla prima classe.
L'articolo 5 del provvedimento in esame detta alcune prescrizioni per la scelta dei libri di testo nelle scuole, che si aggiungono a quelle di recente recate dall'articolo 15 del decreto-legge n. 112 del 2008. Con la dichiarata finalità di contenere il disagio economico costituito dal costo dei libri scolastici, l'articolo in esame prevede, quindi, che gli organi scolastici adottino libri di testo in relazione ai quali l'editore si sia impegnato a mantenere invariato il contenuto per un quinquennio, salva l'eventualità che si rendano necessarie appendici di aggiornamento che comunque dovranno essere disponibili separatamente.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

VALENTINA APREA, Relatore. Si prevede, inoltre, che l'adozione dei libri di testo avvenga con cadenza quinquennale salvo che ricorrano specifiche e motivate esigenze. Da ultimo, l'articolo attribuisce al dirigente scolastico l'obbligo di vigilare affinché i collegi dei docenti assumano la proprie determinazioni in materia di libri scolastici nel rispetto della normativa vigente.Pag. 7
L'articolo 6 attribuisce nuovamente all'esame di laurea in scienza della formazione primaria il valore dell'esame di Stato che abilita all'insegnamento nella scuola dell'infanzia e nella scuola primaria. Nel corso dell'esame del provvedimento in Commissione - mi avvio alla conclusione, Presidente -, su proposta del relatore e d'intesa col Governo, è stato approvato un emendamento che consente ai laureati che frequentano il nono corso SSIS (scuole di specializzazione per l'insegnamento secondario) di accedere alle graduatorie permanenti, ripristinando una norma che il Governo Prodi aveva abrogato in vista dell'espletamento dei concorsi per l'assunzione in ruolo, ma che di fatto negava a questi docenti l'immediato accesso all'insegnamento. Con riferimento all'emendamento approvato sarà proposta una modifica per consentire a questi docenti, come è stato richiesto da più gruppi parlamentari in Commissione, di essere inseriti nelle graduatorie secondo il punteggio.

PRESIDENTE. Deve concludere.

VALENTINA APREA, Relatore. In conclusione, prenderò nota del dibattito che si svolgerà e mi corre l'obbligo di affermare che la V Commissione ha espresso parere favorevole con una condizione e con una osservazione e che il Comitato dei nove, che è stato convocato domani mattina, terrà conto di queste indicazioni, mentre gli altri pareri espressi sono stati tutti favorevoli.

PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire in sede di replica.
È iscritta a parlare l'onorevole De Pasquale. Ne ha facoltà.

ROSA DE PASQUALE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor Ministro, signor sottosegretario, vorrei iniziare questo mio contributo comunicandovi una personale preoccupazione attraverso un primo ragionamento. Per comprendere come funziona un orologio, un organismo, una giostra, una società, bisogna cercare di capire i meccanismi di base che li regolano. Oggi viviamo in un mondo talmente sviluppato e complesso che diviene sempre più difficile scorgere semplici regole di base ormai completamente coperte da una fittissima vegetazione di leggi morali, di strutture sociali, di dottrine politiche, sistemi economici, tradizioni culturali e così via. Viviamo in un mare di dettagli in cui ci sfugge l'insieme, la cosiddetta «interazione», ovvero l'influenza reciproca dei vari elementi. Questo sembra essere il problema principale del mondo oggi: la crescente difficoltà di distinguere con chiarezza le ripercussioni lontane di un gesto e, inversamente, di capire quanto un gesto sia a sua volta condizionato da elementi lontani e poco visibili.
Siamo sempre più portati a dare spazio al pensiero sbrigativo (per dirla con Michele Serra), alla mentalità immessa dal mercato che alimenta il proprio insaziabile bisogno di crescita ridefinendo come prodotti interi settori che in precedenza erano considerati parte integrante del patrimonio comune e non in vendita, semplificando e riducendo tutto a valutazioni economiche, così da allontanarci sempre di più gli uni dagli altri, così che anche i frutti del nostro essere insieme, grazie alla nostre non-relazioni, vanno scemando e perdendo di senso.
Siamo entrati in crisi di ruolo e di anima, questo ha affermato qualche giorno fa Giuseppe De Rita sul Corriere della sera parlando della culla del nostro patrimonio comune, la scuola.
Consapevole che l'oggi necessita di una maggiore capacità di apertura per essere meglio compreso, voglio poggiare il mio intervento su di una affermazione attualissima, lungimirante e portatrice di spazi giusti espressa da un nostro concittadino ben 1.500 anni fa, Benedetto da Norcia (per me che sono una credente: San Benedetto da Norcia), patrono d'Europa, una di quelle persone che rappresentano in maniera inconfutabile il valore della nostra civiltà e oggi, tra l'altro, citato dai più significativi guru dell'organizzazione aziendale: «Per risolvere urgentemente e bene i problemi, io devo capirli; per capirliPag. 8devo saper ascoltare; per sapere ascoltare devo fare silenzio. Solo con il silenzio riesco ad essere efficace e veloce nella soluzione dei problemi. Sembra un assurdo, perché quando si sta in silenzio si ha l'impressione di non fare niente, ma solo il silenzio mi consente di ascoltare, per capire e infine risolvere».
Vorrei partire da questa affermazione per tentare di portare un contributo vero e profondo a quanto questo Parlamento si accinge a decidere circa il decreto-legge 1o settembre 2008 n. 137, recante disposizioni urgenti in materia di istruzione e università.
Permettetemi brevemente in questa prima parte del mio intervento di confutare le scelte del Ministro alla luce del pensiero di Benedetto e poi tentare di guardare oltre, tentare di leggere, per tornare alla mia primaria preoccupazione, l'oggi che interroga, specialmente sulla crescita del futuro rappresentato dai nostri ragazzi. «Per risolvere bene e urgentemente i problemi, devo capirli; per capirli, devo saper ascoltare, per saper ascoltare devo fare silenzio».
Ci eravamo lasciati ai primi di agosto con la concorde e condivisa consapevolezza (condivisa anche dal signor Ministro) che quarantacinque giorni, così come previsto dall'articolo 64 del decreto-legge n. 112 del 2008, erano veramente troppo pochi per ridisegnare un piano programmatico di intervento volto a una maggiore razionalizzazione dell'utilizzo delle risorse umane e strumentali disponibili nella nostra scuola dell'obbligo. Cosa è successo nella seconda metà del mese di agosto? Cosa è successo in quindici giorni tanto da rendere urgente, di quell'urgenza prevista dalla nostra Costituzione, la presentazione di un decreto-legge in materia di istruzione da parte del Governo? Cosa è successo fuori da questo Parlamento, casa dei rappresentanti dei cittadini tutti, che ha determinato il Ministro a espropriare il Parlamento stesso del democratico iter previsto dalla Costituzione per il varo delle leggi? I primi di agosto eravamo tutti d'accordo nel riconoscere che le materie che riguardano la cultura e l'istruzione nel suo complesso costituiscono la base del vivere civile di un Paese, la sua identità; ce lo hanno ricordato i ragazzi che abbiamo ricevuto in sede di audizione presso la VII Commissione. Invece, con poco più di cinque articoli, in un decreto-legge che in sessanta giorni dovrebbe essere convertito in legge dello Stato, di fatto si cambia l'assetto di fondo della nostra scuola.
Anche in occasione delle ultime audizioni, alle quali hanno partecipato circa sessanta sigle di organizzazioni che lavorano intorno al sistema scuola, tutti, ma proprio tutti, hanno messo in evidenza la mancanza di urgenza ed hanno, di contro, chiesto la possibilità di avere tempo: tempo per aprire dialoghi, tempo per condurre confronti, tempo per sviluppare studi, ricerche, laboratori di idee che la nostra scuola merita. Attenzione: per risolvere urgentemente e bene i problemi, io devo capirli; per capirli, devo saperli ascoltare; per saper ascoltare, devo fare silenzio.
Benedetto indica che occorre tempo, perché non pensa a sé, ma pensa agli altri; non vuole risolvere i suoi problemi, ma i problemi degli altri; e per fare questo, indica un cammino: innanzitutto capire, ma per capire, occorre saper ascoltare; e per saper ascoltare, occorre fare silenzio dei propri pensieri, delle proprie visioni, per accogliere pienamente anche il punto di vista degli altri. Apparentemente, questo stare in silenzio sembra un assurdo, perché sembra di non fare niente; ed invece è proprio da questo profondo ascolto degli altri che arrivano le soluzioni ai problemi.
Ma desidero ora entrare brevemente, quasi per titoli, all'interno delle conseguenze che il presente decreto-legge intende di fatto realizzare, partendo dalla reintroduzione del voto in condotta, e voglio citare quanto il regio decreto del 4 maggio 1925, n. 653, all'articolo 78 - attualmente vigente e dal Ministro non citato nel suo articolo 2 perché forse troppo lungimirante - decretava: «il voto di condotta è unico e si assegna, su proposta del professore che nella classe ha un più lungo orario di insegnamento, in base ad un giudizio complessivo sul contegnoPag. 9dell'alunno in classe e fuori di classe, sulla frequenza, salvo il caso di assenze giustificate a norma dell'articolo 16, e sulla diligenza».
Sulla diligenza, perché vedete, colleghi, questo articolo 2 inganna anche il cittadino, in quanto al comma 1 si dichiara di tenere fermo quanto previsto nello Statuto delle studentesse e degli studenti, citando il decreto del Presidente della Repubblica del 24 giugno del 1998, n. 249, tralasciando però di citare le modifiche allo Statuto intervenute con il decreto del Presidente della Repubblica del 21 novembre 2007, n. 235, dove, al comma 3 dell'articolo 1, si dichiara che: «la responsabilità disciplinare è personale. Nessuno può essere sottoposto a sanzioni disciplinari senza essere stato prima invitato ad esporre le proprie ragioni. Nessuna infrazione disciplinare connessa al comportamento può influire sulla valutazione del profitto». La citazione di questo comma intende richiamare all'attenzione dei professionisti della scuola che un comportamento, anche il più scorretto e lesivo dei diritti altrui, non è in grado di cancellare i risultati positivi di profitto e non può giustificare la negazione del merito conseguito su questo piano, merito che costituisce base imprescindibile del futuro progresso degli alunni. Per tale ragione, in questi anni, la scuola e i docenti si sono dotati di un sistema articolato di parametri, per individuare il giudizio circa la condotta. Un punto nodale di tale articolazione è stata ed è la separazione di tale giudizio disciplinare da quello del profitto, che, in questo articolato, viene deliberatamente e scientemente depennato.
Inoltre, come può una scuola, il cui compito è quello di educare istruendo, prescindere dal proporre reali, tangibili e costruttivi patti educativi con la famiglia e, di conseguenza, marchiare l'esclusione del ragazzo o della ragazza dal contesto scolastico, senza condividerne il percorso educativo con la famiglia? Attenzione: per risolvere urgentemente e bene i problemi, io devo capirli; per capirli, devo saperli ascoltare; per saper ascoltare, devo fare silenzio.
Il ritorno alla valutazione in decimi cancella l'idea di valutazione formativa. La valutazione in decimi presuppone, infatti, una scuola con atteggiamento selettivo, in contrasto con quanto è stato costruito negli ultimi trent'anni (vedi anche l'articolo 177 del decreto legislativo n. 297 del 1994).
Per di più, in antitesi con quanto previsto dalla legge n. 53 del 2003 e dal decreto legislativo applicativo n. 59 del 2004, che mettevano in luce la necessità di realizzare piani di studio personalizzati, in modo da permettere ad ogni allievo di raggiungere il successo formativo e di realizzare i propri talenti e rimandavano a situazioni di eccezionalità la non ammissione alla classe successiva. Con l'enunciazione della non ammissione alle classi successive per quegli allievi che non raggiungono i sei decimi in tutte le discipline, si creano i presupposti per una selezione consistente fin dal primo anno della scuola elementare - un aumento di classi e di spese? -, con un evidente ritorno all'esclusione piuttosto che all'inclusione e all'accoglienza. Non dimentichiamo la situazione drammatica di un numero sempre maggiore di alunni non italiani o con difficoltà specifiche di apprendimento o di disagio sociale, che si troverebbero sicuramente nella situazione sopra descritta, espulsi dal percorso formativo in pochi anni.
La valutazione in decimi va contro la funzione docente, così come concepita nella scuola primaria, nella quale la valutazione deve infatti configurare l'assetto formativo e non sommativo, e distrugge di fatto la collegialità in tutti i suoi aspetti didattici, valutativi, programmatici e di ricerca. Si lascia nel potere del singolo la possibilità di escludere, con la bocciatura, l'assioma dell'inclusività della scuola nel suo non voler lasciare indietro nessuno, perpetuando la peggiore ingiustizia nel «fare parti uguali tra diseguali», come in modo plastico dice Don Milani. Persino il citato regio n. 653 del 1925, all'articolo 79, terzo comma, salva una certa forma di collegialità della maggioranza ed offre ampie garanzie agli studenti prima di giungerePag. 10ad un'esclusione. Infatti recita: «I voti si assegnano, su proposta dei singoli professori, in base ad un giudizio brevemente motivato, desunto da un congruo numero di interrogazioni e di esercizi scritti, grafici o pratici, fatti in casa o a scuola, corretti e classificati durante il trimestre (...). Se non siavi dissenso, i voti in tal modo proposti s'intendono approvati; altrimenti le deliberazioni sono adottate a maggioranza, e, in caso di parità, prevale il voto del presidente». Attenzione, ancora una volta, per risolvere urgentemente e bene i problemi, devo capirli, per capirli devo saperli ascoltare e per saper ascoltare devo fare silenzio.
In merito al maestro unico, dal 1990, con la legge di riforma n. 148, la scuola elementare vede la presenza, in ogni classe, di un team di docenti in genere composto da due o tre insegnanti a seconda che si tratti di tempo scuola modulare o di tempo pieno. Essi intervengono nella o nelle classi loro assegnate per l'area linguistica, matematica e storico-sociale. Questa pluralità di docenti, che è simile a quella esistente in tutti gli altri livelli scolastici, compresa la scuola dell'infanzia, lavora in modo efficace, anche perché dedica almeno due ore settimanali del tempo di lavoro obbligatorio alla programmazione dell'attività didattica delle singole classi. A questo si deve anche la buona preparazione dimostrata dagli allievi della nostra scuola primaria a livello internazionale.
Oggi parliamo di didattica laboriatoriale, in tutte le discipline e in tutte le locuzioni: informatica, tecnologia, attività musicali, artistiche, motorie, educazione alla pace, alla convivenza, all'ambiente, al benessere e alla legalità. L'espressione individuale, la creatività, il superamento dell'intolleranza e lo spirito della accoglienza sono ormai patrimonio dell'attività formativa di ogni scuola. Per realizzare tutto questo è impensabile ridurre il tempo scuola, sottolineo: ridurre il tempo dedicato ad istruire le generazioni future del nostro Paese. Esso passerebbe da 891 ore di lezione annuale del decreto Moratti a poco più di 700 ore, per ritornare ad un unico maestro che dovrà affrontare tutte le discipline di studio, spesso in presenza di alunni con disabilità, disagio sociale o di nazionalità diverse, lavorando nella complessità che tutti noi riconosciamo oggi alla nostra società e, grazie all'attuale Governo, in classi sempre più numerose, a causa dell'innalzamento del rapporto tra alunni ed insegnanti previsto dall'articolo 64 del decreto-legge n. 112 del 2008 del cui disegno di legge di conversione, questa estate, ponendo la fiducia, il Governo ha ottenuto l'approvazione. La scuola primaria ha fatto dell'accoglienza e dell'inclusione sociale il tratto costitutivo della sua identità formativa e della riconosciuta professionalità dei docenti che vi operano.
La richiesta di specializzazione nella professionalità docente è stata costruita negli ultimi venticinque anni con interventi di formazione iniziale ed in servizio che hanno richiesto investimenti, ben giustificati si intende, a carico di tutti i cittadini che ora vedrebbero un ritorno alla genericità ed alla superficialità.
Facciamo tesoro delle buone pratiche esistenti e razionalizziamo laddove questo non avviene o avviene solo in parte, laddove si possono ravvisare gli sprechi e le negligenze. Non imponiamo, quindi, un organico ridotto, ma indichiamo un tempo scuola che possa essere organizzato dall'istituzione scolastica nel pieno rispetto dell'autonomia prevista dal decreto del Presidente della Repubblica n. 275 del 1999.
Che cosa dire poi dell'articolo 1 che, inserito in un decreto-legge emanato d'urgenza, non cambia assolutamente nulla in materia di insegnamento dell'educazione civica, ma per come è scritto, addirittura non riesce nemmeno a spiegare come e se dovranno essere intraprese azioni di sensibilizzazione e di formazione del personale.
Infatti, la scuola è da anni che affronta concretamente realtà di giovani che richiedono sempre più di essere educati alla legalità democratica e costituzionale. Molte delle iniziative progettuali delle scuole vanno da anni in questa direzione, altro che novità! Altro che sensibilizzazione e formazione del personale!Pag. 11
Attenzione: per risolvere urgentemente e bene i problemi, io devo capirli, ma per capirli devo saperli ascoltare, per sapere ascoltare devo fare silenzio. Sin qui - quanto in maniera barbara - le semplificazioni andranno a togliere ai nostri ragazzi in termini di rispetto della persona, di accoglienza, di inclusione, di tempo di effettiva ed adeguata formazione, di condivisione, di ampiezza di vedute, di feconda scoperta del diverso. I tagli, però, non riguardano solo l'aspetto pedagogico che ne esce fortemente mutilato e rispetto al quale solamente negli anni potremo comprenderne le nefaste conseguenze. I tagli riguardano nell'oggi anche i precari e le famiglie perché questo modo sconsiderato di agire passa sopra alla preparazione e alla formazione di migliaia di persone che non sono solo in attesa di un posto di lavoro, ma sono già qualificata parte integrante del nostro sistema scuola.
Perché, signor Ministro, li vogliamo escludere? E senza il tempo pieno, inteso come modalità didattica che consente una più ampia estensione dell'attività di istruzione, dove le ore di compresenza aiutano i ragazzi ad essere maggiormente seguiti al fine del superamento di eventuali gap formativi in specifiche discipline, quali saranno le conseguenze che le famiglie dovranno affrontare? Perché si troveranno nella necessità di attivare soluzioni pomeridiane alternative alla scuola o, volendo credere alle parole non scritte del signor ministro, tutt'al più potranno parcheggiare i propri figli nell'ambito delle istituzioni scolastiche, sempre che vi siano le disponibilità finanziarie delle stesse, ma non solo, che vi sia altrettanta disponibilità dei docenti a fare gli straordinari. Gli straordinari sui nostri figli!
Le ripeto per l'ultima volta, signor Ministro, attenzione: per risolvere urgentemente e bene i problemi devo capirli, ma per capirli devo saperli ascoltare e per sapere ascoltare devo fare silenzio.
Ora, anche in forza di questo cammino che ci indica oggi Benedetto, questo nostro determinante concittadino costruttore sia morale che materiale dell'Europa, chiedo al signor Ministro un forte e coraggioso segno di discontinuità rispetto a quanto da lei proposto. Chiedo di dare un segno, attraverso il ritiro del decreto-legge n. 137 del 2008 per aprire nel Paese un ampio e variegato dibattito che davvero cerchi quale scuola sia veramente utile per i nostri ragazzi, quali apprendimenti e quali competenze deve trasmettere la scuola-comunità. Solo dopo si potrà capire quale organizzazione e quali metodi didattici, nel pieno rispetto dell'autonomia scolastica, siano utili per raggiungere il corretto obiettivo.
In favore di ciò non vorrei con il mio intervento fermarmi qui; vorrei, con estrema brevità, facendomi aiutare anche dalle parole di un mio carissimo amico pedagogista, cercare di lanciare stimoli di prospettiva, finalizzati all'attivazione di una seria riflessione intorno ad un progetto pedagogico che preveda, accanto al compito di intuizione e della comprensione dell'influenza reciproca dei vari elementi, anche l'imprescindibile apertura all'orizzonte delle finalità, dei valori irrinunciabili, a quella dimensione che indica l'orientamento, la direzione da intraprendere, il senso vero dell'itinerario educativo.
Chiamo in causa il compito di intenzione che allude proprio alla «tensione a», alla necessità di riconoscere, definire e condividere quell'utopia che, in ambito pedagogico, non significa sogno illusorio e intangibile, ma si riferisce ad una terra che ancora non c'è ma potrebbe e dovrebbe esserci. L'utopia funge, pertanto, da ideale regolativo, da calamita che attira e orienta, da intimo desiderio - cioè dal latino de sidera, dalle stelle - che richiama qualcosa di alto e profondo che sollecita al trascendimento e al superamento dei limiti della realtà di fatto, che tuttavia non va negata attraverso l'educazione autentica. L'educazione, d'altronde, è proprio cambiamento verso il meglio. Ma abbiamo bisogno di percepire e decidere cosa è meglio. Qual è il suo significato? Per questo non può mancare nel progetto la fase della teleologia pedagogica, ossia la riflessione sui fini, la chiara indicazione delle finalità, il disegno di quell'utopia che, seppure sempre in parte, dobbiamo impegnarci a perseguire e raggiungere.Pag. 12
Anche in tale direzione vi è uno specifico pedagogico che dobbiamo capire e difendere. L'utopia che interessa gli educatori non è una dimensione eterea e macroscopica: è la persona umana, il suo poter e dover essere, la realizzazione della dimensione teleologica che la riguarda, dell'intima speranza che palpita nella persona stessa e che in tante occasioni viene sopita.
Attenzione, onorevoli colleghi, attenzione signor Ministro, attenzione, signor sottosegretario. Sembra un assurdo, perché, quando si parla, quando si sta in silenzio si ha l'impressione di non fare niente, ma solo il silenzio mi permette di ascoltare per capire ed infine risolvere (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Frassinetti. Ne ha facoltà.

PAOLA FRASSINETTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevole sottosegretario, signor Ministro, nel parlare di questo provvedimento non ci si può esimere dal fare una premessa necessaria e fondamentale che sgombra il campo dai successivi equivoci. Si tratta dello stato di emergenza nel quale da decenni vive la nostra scuola. Solo chi non parte da tale riflessione può mettere in atto le solite critiche di carattere demagogico che hanno come scopo quello di difendere ad oltranza questo pericoloso status quo. Valga un solo dato per tutti: da dieci anni la spesa per l'istruzione cresce in modo esponenziale ed incontrollato, senza che ciò produca il minimo miglioramento.
Le critiche che muove l'opposizione sembrano ignorare questo dato rilevante e complessivo e si basano su posizioni preconcette. Nulla è più facile, per chi non ha argomenti, di attivare un processo di mistificazione della realtà alludendo al fatto che il decreto-legge in esame sia stato concepito solo per mere esigenze di tagli. Esso non è stato concepito solo per mere esigenze di tagli. La finalità non è economica ma si tratta di un provvedimento pervaso da una finalità di fondo che è quella di voler perseguire un piano di razionalizzazione e di riorganizzazione del nostro sistema educativo per fare in modo di frenare un pericoloso collasso dal quale non potremo più rialzarci.
Pertanto, davanti a queste spese senza controllo ormai non ci si può più permettere di attuare alcun tipo di gradualità. Troppo silenzio, onorevole De Pasquale, vi è stato fino ad ora. Un silenzio chiassoso, dovuto ad un accordo scellerato tra i sindacati che, difendendo questo status quo, hanno ridotto la scuola ad uno «stipendificio», hanno bloccato la meritocrazia e hanno sostanzialmente sostituito l'ideale educativo, che vede nella meritocrazia e nell'educazione dei nostri figli una sorta di roccaforte spesso e volentieri per difendere degli interessi che poi non attuano veramente le loro finalità. Siamo stufi di questo silenzio ed è proprio per tale ragione che cerchiamo di risolvere e portare fuori la scuola da tale immobilismo.
Il ritorno al maestro unico, il voto decimale, la possibilità di contrastare il bullismo dilagante, dando maggior valenza al voto di condotta, l'importanza di voler attuare l'insegnamento dei principi della cittadinanza e della Costituzione sono temi da sempre sostenuti da questa maggioranza. Lo possiamo evincere da proposte di legge presentate nelle scorse legislature, sia da Alleanza Nazionale sia da Forza Italia. Questo rende ancor più fondante il principio che informa completamente il provvedimento in esame.
Il ritorno del maestro unico, previsto dall'articolo 4, non è stato introdotto per meri motivi di carenza di risorse, ma si rifà ad un modello pedagogico che intende tutelare il bambino nei suoi primi anni di scuola, ripristinare una figura prevalente di riferimento mentre, purtroppo, sempre più spesso in famiglia non si riesce a trovare l'unitarietà di intenti nel processo educativo.
Le accuse al maestro unico fonderebbero le loro ragioni sul fatto che i bambini di oggi avrebbero mille sollecitazioni in più rispetto a quelli del passato, ma io non credo che poter contare su una figura diPag. 13riferimento in grado di spiegare le principali materie con un unico metodo vada in contrasto con le esigenze dei bambini di oggi.
Inoltre, lascia il tempo che trova l'obiezione che sostiene che sia assurdo modificare la scuola primaria in quanto sarebbe l'unica ad avere superato il vaglio delle indagini OCSE (questa è stata una delle obiezioni che l'opposizione ha svolto anche in Commissione). Voglio rispondere a questa critica, ribattendo, in merito, che se c'è stato un risultato positivo per la scuola elementare è anche in gran parte dovuto alla riforma Moratti che ha introdotto strumenti essenziali, quali il portafoglio delle competenze ed i piani di studio personalizzati.
Inoltre - non è cosa di poco conto - bisogna verificare che, da sempre, quindi anche prima dell'introduzione del modulo, la nostra scuola elementare era in testa (per semplificare) alle classifiche di gradimento. Maestro unico, inoltre, non significa - lo sappiamo benissimo - per l'alunno escludere l'apprendimento delle materie complementari, dell'informatica e della lingua straniera, per le quali è prevista e non viene eliminata la presenza degli altri insegnanti.
Le maggiori polemiche in questi giorni si sono concentrate sul tempo pieno e sulla sua presunta eliminazione. A nulla sono valse in merito le continue rassicurazioni del Ministro, ma questa, si sa, come dicevo in precedenza, è la dimostrazione che, quando le battaglie sono animate dalla malafede di fondo, spesso è inutile qualsiasi tipo di interlocuzione.
L'opposizione è consapevole del fatto che questa è l'unica strada per evitare la paralisi; lo diceva anche la nostra relatrice nel libro bianco che è stato presentato durante il Ministero Fioroni, queste riflessioni venivano effettuate anche in maniera approfondita, ma costa ammetterlo. E poi, ciò che è più grave, la scuola deve essere usata per mobilitare le piazze e lì non ci sarà silenzio.
Il tempo pieno non verrà eliminato e le economie verranno realizzate, rivedendo i programmi tramite una seria razionalizzazione. Sul ritorno al voto decimale poco c'è da dire se non ribadire la consapevolezza che un sistema valutativo armonico e preciso non può non iniziare dai banchi delle primarie. Il voto non deve essere visto come uno spauracchio, ma deve riassumere con precisione e senza giri di parole il risultato delle prestazioni dello studente, cosa che il giudizio riusciva a determinare con più difficoltà proprio per la soggettività e la scarsa analiticità insita nel metodo valutativo stesso.
È dannoso cercare di rimandare il momento nel quale ci si confronta in modo diretto con la valutazione, anzi, paradossalmente, il voto decimale offre all'insegnante la possibilità di poter esprimere diverse sfumature di giudizio. Inoltre, il voto in condotta, che può provocare la non ammissione al successivo anno di corso qualora sia inferiore a sei decimi, è uno degli strumenti che credo debba provare a contrastare le forme di bullismo. Questa disposizione sana uno status di impasse normativo che si è creato a causa del mancato avvio del secondo ciclo rinviato al prossimo anno scolastico.
Chi si dice contrario a ciò dimostra di non aver capito appieno il senso, di non aver capito che il bullismo sta degenerando in forme odiose che vanno ben oltre la pesante goliardia che da sempre è stata presente sui banchi di scuola e che, pertanto, servono strumenti efficaci e questo è sicuramente uno di quelli. Con il voto in condotta non si risolveranno tutti i problemi e, soprattutto, senza l'aiuto delle famiglie questa battaglia non sarà mai completamente vinta. Tuttavia, si tratta di uno strumento in più in mano alla scuola e previsto con prudenza, tanto che le sanzioni sarebbero adottate in modo collegiale dal consiglio di classe.
Nel decreto è inserita, all'articolo 5, una grande innovazione che, spesso e volentieri, è troppo dimenticata dall'opposizione: mi riferisco alla norma che detta alcune prescrizioni per la scelta dei libri di testo, una norma che aiuta le famiglie, che introduce principi sociali nella scuola e che si aggiunge a quelle di recente disposte dall'articolo 15 del decreto-legge n. 112Pag. 14del 2008 che ha introdotto nuove modalità di fruizione dei libri scolastici volte a ridurre progressivamente i costi per le famiglie, come ad esempio la possibilità di scaricare i testi sui Internet.
Ma la novità più rilevante è che si prevede che gli organi scolastici adottino libri di testo in relazione ai quali l'editore si è impegnato a mantenere invariato il contenuto per un quinquennio. Le famiglie da tempo aspettavano questo provvedimento, attendevano questa riforma e il plauso è stato generale. Questo deve essere considerato un primo passo verso una revisione più radicale del principio del libro di testo obbligatorio che vede la possibilità di lasciare agli alunni delle secondarie libera scelta del libro di testo così da assicurare una più ampia offerta formativa.
Prima di concludere, vorrei fare un breve accenno all'importanza dell'insegnamento della cittadinanza attiva e della Costituzione: si tratta di materie fondamentali per colmare l'ignoranza che i giovani - e non solo loro - hanno sugli elementi essenziali sui quali si basano le nostre istituzioni. È auspicabile che si riesca in futuro a far sì che gli studenti delle scuole superiori abbiano l'opportunità di svolgere concretamente azioni di volontariato nel pubblico, offrendo così loro l'opportunità di vivere un'esperienza formativa anche dal punto di vista etico e morale.
Non posso - dopo questo breve excursus - non esprimere la mia piena soddisfazione per la volontà dimostrata dal Ministro di voler migliorare la scuola, iniziando proprio da modifiche sostanziali, incidenti sulla formazione e sull'educazione dei nostri ragazzi. Questa è la strada per andare avanti. Vi è un elemento importante di discontinuità e i cittadini italiani hanno capito: esiste un grande consenso attorno a queste modifiche. Non ci faremo spaventare da mobilitazioni di piazza che lasciano il tempo che trovano: si tratta di un primo passo per sgretolare un sistema educativo che non ha più ragione di essere e per portare la scuola italiana finalmente ai livelli che si merita (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Morassut. Ne ha facoltà.

ROBERTO MORASSUT. Signor Presidente, colleghi, il decreto-legge n. 137 del 2008 sulla scuola, del quale inizia oggi la discussione in Parlamento, diversamente da quanto affermato dalla collega che mi ha preceduto, trae origine sostanzialmente - direi quasi esclusivamente - dal provvedimento economico di fine estate. Da quel documento finanziario si origina la decisione del provvedimento scolastico, di un taglio di quasi 8 miliardi di euro alla scuola italiana, che condiziona ogni valutazione ed ogni decisione sulla specifica materia della politica dell'istruzione.
Già questo dà il senso di un provvedimento che è senz'anima e ciò è tanto più grave dal momento che si parla di istruzione, di scuola, del futuro delle nostre generazioni e dei nostri figli e privo di qualunque reale significato per migliorare o riformare e adeguare il sistema scolastico italiano.
L'unica vera ragione per la quale viene adottato - sommando una serie di decisioni sbagliate e dannose - è di tipo economico. La scuola italiana viene ridotta ad una voce di spesa, ad un capitolo di bilancio sul quale esercitare dei tagli e delle riduzioni, coprendole con misure da libro Cuore, signor Ministro, che puntano nella migliore adesione ad una condotta politica che si basa ormai - da parte delle forze politiche di maggioranza del Popolo della Libertà - esclusivamente sul sondaggio d'opinione come metodo di formazione delle decisioni politiche. Si punta, inoltre, a raffigurare un ritorno all'antico, un recupero di buone tradizioni con misure simboliche, alcune discutibili, altre francamente inessenziali, come il grembiule. Apro una parentesi: la reintroduzione del grembiule non è un fatto di equiparazione e di eguaglianza degli studenti, il grembiule aveva nella scuola passata un senso pratico perché si facevanoPag. 15delle operazioni, si svolgevano delle attività che necessitavano di vestire i bambini e di coprirli.
La reintroduzione del grembiule, in un'epoca in cui ai nostri bambini dobbiamo dare sempre più strumenti tecnologici di accesso al sapere e la capacità di collegarsi al mondo, francamente è una di quelle misure da libro Cuore che non si capisce che cosa c'entri all'interno di un provvedimento di modernizzazione della nostra scuola.
L'illusorietà di questa condotta è tutta nei numeri, che dimostrano chiaramente la secca riduzione di qualità e quantità dell'offerta formativa, di forza lavoro e della sua qualità, di squilibri tra diverse aree territoriali del Paese, che il decreto-legge in esame porta con sé e che, anzi, aggrava. Infatti, il nostro è già un Paese che da questo punto di vista ha accumulato nel tempo dei forti squilibri territoriali. Basti pensare che, per esempio, per quanto riguarda l'utilizzo del tempo pieno da parte delle famiglie, esso varca nel centro-nord la percentuale di circa il 50 per cento, mentre già oggi non arriva al 5 per cento nelle regioni centro-meridionali, soprattutto dal Lazio in giù.
Recentemente il Ministro Tremonti si è avventurato, in una sua intervista ad un grande quotidiano italiano, a recuperare la figura e il pensiero di John Maynard Keynes, il grande economista moderno del Novecento a tutti noto, ispiratore della politica dello stato sociale, il welfare state, per motivare il bisogno di un ritorno del pubblico nel gioco economico per regolare un capitalismo ormai eccessivamente consegnato alle logiche e alle leggi brutali del cosiddetto mercatismo. Ma, forse, il ruolo pubblico nell'economia a cui pensa il Ministro Tremonti si riferisce alle ricette dell'amministrazione Bush per fermare il crollo dei titoli dei grandi istituti finanziari: gettare e bruciare centinaia di miliardi di dollari o di euro - soldi pubblici delle banche centrali - nel buco nero della crisi finanziaria americana può esser una misura per frenare il tracollo finanziario, ma non ha nulla a che vedere con il keynesismo che è invece una politica tesa ad incentivare la domanda, a sostenere gli investimenti e a dare corpo e struttura alla società civile incidendo proprio su quei capisaldi della politica per la casa, per la sanità e per l'istruzione, che sono le basi per dare nei Paesi moderni pace sociale, estensione e solidità ai ceti medi, benessere.
Che cosa c'entra Keynes con una politica che deprime l'istruzione pubblica, che riduce la forza della scuola pubblica, che debilita la capacità di istruzione delle nuove generazioni, che aumenta la dispersione scolastica (già in crescita negli ultimi anni in Italia) e gli squilibri territoriali tra nord e sud, che cancella di fatto gli insegnanti di sostegno per i bambini diversamente abili e che in questo modo spinge oggettivamente - come sempre accade in queste situazioni e come è accaduto in altre circostanze soprattutto fuori dall'Italia dove si è, in anni passati, introdotto un metodo privatistico nel sistema dell'istruzione - le famiglie ricche a comprare l'istruzione dal mercato privato e quelle meno abbienti ad accontentarsi del poco che lo Stato è in grado di dare loro?
La scuola elementare italiana è sempre stata, nonostante tutto, uno dei punti di forza del sistema scolastico italiano e anche una delle più avanzate al mondo. La nostra tradizione nazionale nella materia dell'obbligo scolastico ha sempre avuto al centro del proprio percorso l'obiettivo dell'aumento della scolarizzazione, della massima estensione dell'alfabetizzazione e di una progressiva crescita dell'obbligo scolastico. C'è in questo specifico aspetto il meglio della tradizione liberale italiana che dai primi anni del regno, con la legge Casati del 1859 e con la legge Coppino del 1877, ha cercato di gettare le basi e di consolidare un sistema scolastico nazionale omogeneo su tutto il territorio, con un forte ruolo dello Stato e degli enti locali.
Questa tradizione non si è mai interrotta in modo grave, anche se ha avuto delle parentesi, ed ha avuto un ulteriore slancio proprio negli anni Settanta, in quegli anni in cui, si diceva poc'anzi, si è creata una cultura del movimento che haPag. 16danneggiato la scuola italiana. No, proprio gli anni Settanta e gli anni Ottanta sono stati gli anni della grande partecipazione ai destini della scuola da parte degli studenti, dei genitori, vale a dire di un movimento di massa per i diritti civili che ha teso a far crescere e migliorare la qualità dell'offerta della scuola e dell'istruzione, soprattutto per i cittadini più piccoli, i bambini. Quella tradizione ha avuto quindi un ulteriore slancio in quegli anni con la progressiva introduzione e stabilizzazione proprio del tempo pieno che è diventato ed è in tutto il mondo civile, in tutto l'occidente civile e sviluppato, uno dei punti fermi dell'organizzazione statale e dell'organizzazione scolastica nazionale.
Con questo decreto-legge, che oggi il Governo presenta al Parlamento, questa tradizione viene interrotta e tradita proprio da un Governo che, a parole, rivendica una cultura politica liberale.
Vale la pena, a questo proposito, ricordare anche ai colleghi della Lega Nord le idee e le parole di un grande italiano come Carlo Cattaneo, troppo spesso utilizzato a sproposito per dare dignità ad una strampalata idea di federalismo, il quale sosteneva che il principio di cui necessita l'istruzione italiana è quello della specializzazione: solo attraverso di essa si potranno avere quelle varietà di mestieri e di conoscenze di cui necessita una grande nazione.
Ebbene, con questo decreto-legge, Ministro Gelmini, si torna al maestro unico e per una motivazione contabile la trasmissione del sapere viene semplificata all'essenziale; si comprimono e si sacrificano la curiosità e la vivacità intellettuale, lo spirito di ricerca dei nostri bambini e degli alunni che non sono più quelli di venti o trent'anni fa, ma che esprimono una domanda ed un bisogno più alto, più ricco, che necessita oggettivamente di un'offerta più specifica nonché di una capacità di ascolto e di un'attenzione più dettagliata alle attitudini e alle tendenze della personalità individuale.
Ma la gravità di questo provvedimento, in fondo, va ben oltre le questioni, pur gravi, di una disordinata restaurazione di vecchie metodologie educative per coprire i tagli finanziari ed il tema riguarda la crisi sociale che il Paese attraversa, che è la crisi dei ceti medi della nostra nazione. Si discute molto del senso di paura, di insicurezza, che attanaglia la nostra società, nonché della paura di futuro; ma dove nasce questa paura di futuro, di percorrere la vita e di farla percorrere alle proprie famiglie, da cui scaturisce anche una riduzione delle nascite, un contrarsi della capacità di costituirsi in famiglia? Nasce dalla crisi grave con riferimento alla quale il Ministro Tremonti si è speso in tante analisi, paragonando addirittura questi anni a quelli della crisi finanziaria del 1929 e del crollo finanziario della società che ha prodotto crisi sociali gravissime, ma mentre ci si avventura in queste indagini non si coglie il cuore del problema: noi stiamo attraversando una crisi organica gravissima dei ceti medi e di quei ceti popolari che hanno nella famiglia il loro istituto fondamentale.
Questa parte della collettività, che per anni è stata la parte centrale, quella che ha caratterizzato la società dello Stato sociale - che potremmo raffigurare come un grande centro costituito da un grande lago di ceti medi, di famiglie con delle punte di povertà ridotte e delle punte di ricchezza altissima altrettanto ridotte - è stata la base della pace sociale ed anche di quella internazionale fondata su un sistema sociale. Ora, questa crisi rapida di certezze in questa parte della società, che nel dopoguerra è stato il principale elemento di stabilità della piramide sociale, si sta accentuando; le vicende americane che sono sotto gli occhi di tutti da più di un anno colpiscono duramente, come è noto, non solo le fasce sociali basse, ma anche quelle parti di middle class che grazie ai mutui, alla finanza facile, hanno potuto illudersi ad un certo punto di partecipare ai benefici del capitalismo finanziario.
La crisi di futuro di questa parte di società fatta di non ricchi e di non poveri si è fatta violenta, ma già prima della crisi finanziaria dei cosiddetti mutui facili in tutti i Paesi dell'occidente, e in Italia il fenomeno è riscontrabile molto visibilmentePag. 17già da tempo, perché in fondo si alimenta della lunga crisi del welfare, tra la metà degli anni Ottanta e la fine degli anni Novanta, che ha prodotto una polarizzazione del reddito sempre più accentuata all'interno delle classi medie, producendo nuovi ceti ricchi e nuovi ceti poveri.
Lo scasso del sistema fiscale italiano e il suo uso spregiudicato per creare nuove gerarchie sociali, soprattutto negli anni del Governo Berlusconi tra il 2001 e il 2006, ha accentuato questo processo. Si può dire che il capitale finanziario è apparso, ad un certo punto, illusoriamente, un modo per tamponare il progressivo venir meno delle protezioni dello Stato sociale, proprio verso i ceti popolari e medi, e dell'istituto della famiglia. Mentre il welfare con il suo carico di protezioni, di sostegni, di bassi costi dei servizi declinava nel corso degli anni Novanta, cresceva il ruolo del credito, la sua capacità di diversificare i prodotti e di ampliarne l'accesso alle fasce sociali più deboli.
Il capitale finanziario veniva in qualche modo sostituendosi alla spesa pubblica tradizionale e, conseguentemente, il debito pubblico delle prestazioni sociali si trasformava sempre più in un debito finanziario delle famiglie, verso una sorta di finanza di massa. Da campioni del risparmio, i ceti medio-piccoli stanno progressivamente trasformandosi in primatisti di un debito sociale sempre più ampio e insufficiente a garantire nel tempo le certezze di alcuni bisogni essenziali, tali da consentire l'appartenenza agli strati medi della società, senza far scivolare in basso.
Ho svolto questa digressione per affermare che questi diritti fondamentali - frutto anche di molte battaglie condotte dal movimento sindacale e da quello democratico nei decenni passati - sono la casa, la sanità e l'istruzione.
Prima di terminare con l'illustrazione dei numeri esplicativi della situazione che si determinerebbe con l'approvazione del disegno di legge in esame, vorrei concludere la digressione con un accenno molto rapido su questi tre aspetti fondamentali. La parte più stabile della nostra società - ma in questo momento più sofferente -, costituita dalle famiglie appartenenti ai ceti medi, monoreddito o bireddito, o ai ceti popolari, soffre di queste tre gravi difficoltà: quella di avere un tetto e di accedere al bene-casa, quella di potersi curare con costi accessibili e quella di mandare a scuola i figli, dalle prime fasce di istruzione fino all'università.
Per quanto riguarda la casa, nel provvedimento in materia economica è contenuto un passaggio - di cui si discuterà prossimamente, in occasione della presentazione dei decreti attuativi di quel provvedimento - riguardante il «piano-casa» Tremonti, che sarà una misura illusoria, perché non affronta la questione fondamentale a causa della quale i comuni non costruiscono più case popolari, ossia una grande riforma urbanistica che consenta ai comuni di acquisire terreni a basso costo per costruire case di edilizia popolare. Il nostro Paese, con riferimento alla produzione di edilizia popolare, è fermo all'ultimo posto in Europa: non si costruiscono case popolari e vince il mercato privato. Il «piano-casa» Tremonti, però, non si pone questo problema, ma cerca un ampio accordo con i grandi costruttori, per regalare rendite e costruire 20 mila alloggi, ossia praticamente un decimo del reale fabbisogno italiano.
La sanità si pone il problema di rompere un intreccio che sembra ormai inestricabile tra lobby finanziaria, politica, sistema degli interessi: a questo proposito mi corre l'obbligo - torneremo su questo aspetto - di chiedere al Governo qui presente di sbloccare quanto prima i fondi - pari a 5 miliardi di trasferimenti ordinari - che si debbono trasferire alla regione Lazio per affrontare la grave crisi finanziaria che è stata determinata negli anni di governo della giunta Storace (fino al 2005), che ha prodotto, anche a causa di una gestione dissennata e molto discutibile dal punto di vista morale (perché è sotto l'occhio della magistratura), 10 miliardi di euro di debiti.
Il terzo diritto fondamentale è appunto quello dell'istruzione, sul quale voglio concludere per non sforare troppo dall'argomentoPag. 18in discussione. I numeri di questo disastro (va chiamato così), che sarebbero prodotti dall'approvazione del disegno di legge in discussione, sono i seguenti: oggi la scuola italiana, con riferimento al settore della scuola elementare, ha 138 mila classi e 245 mila insegnanti che operano su 2 milioni 750 mila bambini. Il provvedimento in esame elimina le scuole in 1080 comuni: alla faccia del federalismo! In Italia si parla di questo grande federalismo sempre in modo retorico: si parla in modo retorico sempre di tutto, ci si riempie la bocca del federalismo e del regionalismo, ma poi, andando all'essenza delle questioni, si sottraggono le risorse ai comuni abolendo l'ICI, si puniscono i comuni nella politica urbanistica (perché la politica della casa prevista dal «piano Tremonti» è centralistica, taglia fuori i comuni e non dà loro diritto di parola) e, con il decreto del Ministro Gelmini, si eliminano scuole in 1080 piccoli comuni italiani, soprattutto nel centrosud e nelle comunità montane.
In questi 1080 comuni, le scuole che vengono di fatto tagliate, perché accorpate secondo il criterio degli istituti scolastici che hanno meno di 500 alunni, variano tra mille, secondo un primo calcolo, e quattromila istituti. Le unità lavorative che vengono escluse dall'esercizio del lavoro sono 130 mila, 87 mila insegnanti e 43 mila dipendenti di altro ruolo nel settore scolastico, che corrispondono al 30 per cento nel campo della scuola elementare, al 29 per cento nel campo della scuola media e, in assoluto, al 13 per cento nel campo degli insegnanti e al 17 per cento nel campo delle professioni di altro tipo, di altra natura.
L'80 per cento di questa forza lavoro è costituita da donne, il 20 per cento da uomini. È, quindi, stupefacente che un decreto-legge prodotto - mi scusi Ministro - da un Ministro donna sia così insensibile alla vita delle donne italiane, che vedranno i propri bambini uscire alle 12,30 e dovranno riorganizzare, quindi, completamente la propria giornata, non avendo più la possibilità di utilizzare il tempo pieno come risorsa di sostegno sociale, anche per la vita della famiglia, e che vengono colpite anche nel lavoro, perché l'80 per cento - lo ripeto - della forza lavoro che viene compromessa dal decreto-legge è costituita da donne.
Le scuole tagliate attraverso il decreto-legge, ossia gli istituti scolastici che vengono di fatto ridotti nell'impianto del provvedimento, sono concentrate soprattutto nel centrosud. Guida la classifica la Campania, con un taglio di 573 istituti, seguono la Sicilia con 506, la Calabria con 416, la Puglia con 379, il Lazio con 317, la Sardegna con 297. Quindi, è un decreto-legge punitivo verso il Mezzogiorno, che già sconta, come ho detto all'inizio, un grave ritardo nell'utilizzo del tempo pieno, essendo l'utilizzo del tempo pieno nel Mezzogiorno mediamente dieci volte più basso che nel centronord.
Questo provvedimento, quindi, si caratterizza come un provvedimento socialmente ingiusto, che non ha un'anima e che non ha un'idea di riforma del sistema scolastico, ma che è solamente improntato ad una misura di carattere economico. Come spesso accade, diversamente dalle dichiarazioni del Ministro Tremonti contro il mercatismo e per il ritorno del keynesismo, qui si sta facendo una politica puramente finanziaria, senza alcun riguardo per il sistema di tenuta delle prestazioni sociali. È un provvedimento sbagliato, perché parte da una logica finanziaria. È un provvedimento dannoso, perché colpisce le famiglie e le donne, ed antifederalista, perché contraddice l'idea di un sano federalismo, del ruolo dei comuni, dell'aumento delle prestazioni sociali nelle istituzioni di prossimità e del loro protagonismo. Noi faremo un'opposizione forte in Parlamento, organizzeremo manifestazioni e una contestazione dura nel Paese.

VALENTINA APREA, Relatore. Che errore!

ROBERTO MORASSUT. Se l'aspetti, Ministro, diversamente da quanto diceva la collega che mi ha preceduto, secondo cui queste cose lasciano il tempo chePag. 19trovano. Lo vedremo. Intanto, cominceremo oggi pomeriggio con una manifestazione con il segretario del Partito Democratico, Walter Veltroni, al Capranica. Saremo insieme ai sindacati, ai lavoratori, alle donne italiane e agli studenti, alla testa di un movimento per cambiare questo decreto-legge e questa ingiusta politica scolastica, se così si può chiamare (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Goisis. Ne ha facoltà.

PAOLA GOISIS. Signor Presidente, Ministro, sottosegretario, colleghi, devo partire diversamente da come mi ero prefissata, avendo sentito il deputato Morassut, che mi ha appena preceduto. Chiaramente egli non è uomo di scuola, ha condotto tutta la sua attività fuori dalle classi, pur essendo laureato in lettere moderne, e ha svolto tutta la sua azione come dirigente di partito, di quel partito che è responsabile della distruzione della scuola pubblica.
Dal momento, infatti, che si permette di parlare di un movimento e di attribuire a questo movimento di parlare a sproposito, voglio indicare quanto a sproposito, da 30-35 anni, sta parlando una scuola di sinistra, che ha confuso e non conosce bene i termini e le parole. Un esempio: confonde la scuola dell'obbligo con obbligo di promozione. Se vogliamo andare a vedere i motivi della decadenza della scuola italiana, dobbiamo proprio andare a vedere - l'ho già detto varie volte, quindi non dico cose nuove e ne sono profondamente convinta - qual è l'anello debole. È proprio la scuola media, la secondaria di primo grado, laddove maggiormente si esercita questo equivoco, questo errore: pensare che fare una scuola dell'obbligo significhi promuovere tutti, dare a tutti la promozione obbligatoria. Si arriva, poi, a quei risultati che tutti abbiamo visto, che si vedono quando si arriva al biennio delle superiori, dove ogni anno i risultati sono sempre più negativi, sempre peggiori.
Ancora, vogliamo parlare della difficoltà di comprensione di determinati termini? La sinistra «si lava la bocca» - scusatemi questa espressione non molto elegante - con parole quali partecipazione, inclusione, ascolto. Bisogna che stiamo zitti per ascoltare, ma abbiamo ascoltato tanto! Voglio, però, capire: con questi termini la scuola è arrivata veramente al collasso, perché si sono confusi i termini partecipazione e inclusione con maleducazione. Impariamo a parlare con i termini giusti ed esatti, perché il deputato che ha appena parlato, se fosse nelle scuole degli istituti superiori, saprebbe bene come determinati alunni, parlando di partecipazione, politica o cose di questo tipo, arrivano a forme di maleducazione che hanno visto i nostri insegnanti dileggiati e derisi, a maggior ragione se non erano insegnanti di un certo colore. Voglio allora dire che, prima di parlare, certi nostri colleghi dovrebbero pensare a cosa dicono e non venire qui a dare lezioni di dirigenti del partito del PD, del PDS o di che cos'era tempo fa, il partito comunista.
Cosa insegnate ai nostri ragazzi, se andrete nelle classi, relativamente all'insegnamento dato dalla sinistra? Voglio parlare del 1956, di Budapest, voglio ricordare il 1968, voglio ricordare una scuola di sinistra che ha voluto portare nelle nostre scuole il trionfo di forme di marxismo, che hanno potuto portare, come esempio, settanta anni di stalinismo, che abbiamo visto che ha portato i Paesi comunisti alla fine, al disastro.
Sono stata obbligata a parlare di questo, perché, quando mi tirano in causa, mi sento veramente invitata a nozze. Tornando, comunque, al merito di questo provvedimento, devo dire che già abbiamo parlato della questione dell'incostituzionalità che era stata sollevata, perché secondo la sinistra non ci sarebbero gli elementi di urgenza.
Ancora una volta, se la sinistra dice che non ci sono gli elementi di urgenza, vuole dire o che è cieca o che è in malafede, perché solo l'anno ormai trascorso e l'anno precedente, ci ha fatto vedere su tutte le televisioni e i giornali che cosa era diventata la scuola di Stato; una scuola in cui dominavano il dileggio e la derisionePag. 20dei docenti e degli insegnanti, nonché dei presidi, in cui dominava il bullismo, la violenza e - ripeto - la maleducazione nei confronti dei più deboli, ma non solo, nei confronti di chiunque non fosse in grado di far valere un minimo di buona educazione. Voglio dire che, prima di parlare del voto in condotta, se la nostra scuola è arrivata a questa situazione, dobbiamo andare a vedere quali sono le cause che hanno condotto a ciò. Già l'ho detto: 30-35 anni di scuola di sinistra. Pensate all'innovazione - si parla sempre di innovazione - della questione dei debiti e dei crediti, che hanno condotto la nostra scuola nel baratro, perché abbiamo visto che debiti già conseguiti alla scuola media inferiore si sono poi trascinati nel biennio delle superiori, nel triennio delle superiori, all'università.
Pensate che, quando si entra in una facoltà universitaria, gli insegnanti come forma prioritaria fanno svolgere esami, corsi di italiano, corsi di grammatica, corsi di matematica, perché ormai la scuola pubblica non offre più questi insegnamenti. Non li dà più per forza, sempre per quell'equivoco di cui parlavo prima, cioè scuola dell'obbligo uguale obbligo di promozione. Ma non è così che si riforma la scuola, non è in questo modo, andando a illudere - questa poi è veramente un'azione secondo me delinquenziale - i nostri ragazzi che, perché hanno svolto tre anni di scuola media o gli anni della scuola superiore, abbiano in mano dei documenti, abbiano in mano degli attestati che abbiano un valore: quando poi arrivano all'università, o anche solo nel mondo del lavoro, si scontrano con una realtà che è ben diversa; una realtà che deriva proprio da questa scuola - dicevamo prima - che è incancrenita in tale mancanza di soluzioni.
Un altro aspetto che vorrei sottolineare, in modo molto forte essendo stata una docente, è il seguente: uno Stato, una Repubblica non può consentire che i docenti vengano relegati ai più bassi livelli della società, in quanto derisi dalle stesse famiglie, dagli stessi studenti. Come si può stare zitti e dire che non c'è l'urgenza del decreto in esame, quando abbiamo visto su tutte le televisioni insegnanti dileggiati, con ragazzi che si permettevano di avvolgere la carta igienica attorno alla testa dell'insegnante? Come possiamo permetterci di accettare situazioni di questo tipo? Ci vuole il decreto-legge, e urgentemente; anzi, bisognava muoversi ancora prima! Certo siamo qui da tre mesi, e quindi non si poteva fare alcunché più velocemente.
Ancora: la scuola, in modo particolare la scuola secondaria di primo grado, ma ormai lo sta diventando anche la scuola superiore, è un parcheggio. Non possiamo fare dei nostri insegnanti dei parcheggiatori: gli insegnanti, i docenti devono avere la loro dignità, la loro credibilità, devono essere considerati per il ruolo che loro compete e per la preparazione che loro compete. Sarei un po' critica sulle accuse che vengono spesso rivolte, relativamente al fatto che gli insegnanti non siano preparati, che gli insegnanti non si formino, che gli insegnanti non studino abbastanza, non siano adeguati al loro ruolo: diciamo invece che è la scuola che demotiva gli insegnanti, questa scuola che rende - dicevo e lo ripeto con forza - gli insegnanti dei parcheggiatori, o dei baby sitter. Ormai, quando si vuol parlare di partecipazione e di ascolto, tutte le giustificazioni sono valide: un ragazzo può permettersi qualunque azione ed è sempre, sempre, sempre giustificato; la colpa è sempre dell'insegnante, che è incapace. E allora ben vengano anche i grembiulini, se i nostri studenti sono così incivili da venire a scuola con tutti i calzoni strappati, o da venire a scuola con i calzoni che tirano su tutto ciò che si trova per le strade, sotto le scarpe; ben vengano i grembiuli, se possono impedire anche a tante nostre ragazze di venire a scuola con l'ombelico fuori: non siamo in una discoteca, non siamo a un party, non siamo a un gioco! La scuola non è un gioco, quindi serietà.
Serietà per serietà, ciò mi porta a dire, a proposito della questione del voto in condotta, che ben venga il voto in condotta! Preciso: se un insegnante ha polso, ha coscienza del proprio ruolo, non ha neanche bisogno del voto in condotta;Pag. 21però, bisogna prendere provvedimenti riguardo a certe azioni, a certe situazioni in cui siano coinvolti anche studenti molto bravi nel profitto. Ho sentito dire prima che bisogna distinguere il profitto dal comportamento: ma visto che uno studente, un ragazzo è una persona, nella persona non si può distinguere la preparazione culturale dalla preparazione civica, dalla preparazione che porta all'educazione, che porta al rispetto degli altri, rispetto dei genitori, rispetto degli insegnanti, rispetto delle istituzioni; e quindi se uno studente bravissimo, che fosse anche Einstein, è incivile, è maleducato nei confronti degli insegnanti, dei genitori e degli studenti, approvo il voto in condotta, in modo particolare il fatto che anche un cinque in condotta (anzi lo avrei messo addirittura più in alto, anche il sette) porti alla bocciatura, persino di uno studente che ha tutti dieci nelle materie.
Occorre, ormai, mettere un po' di ordine, anche perché sono gli studenti stessi, i ragazzi stessi, che ce lo chiedono. Non dimentichiamo che tutta la psicologia dell'età evolutiva, tutta la psicologia sociale, ci dimostrano che quando un ragazzo è ribelle, in pratica, sta sfidando l'adulto. Il ragazzo ribelle ci sta chiedendo: dimmi fino a dove mi posso muovere, fino a dove posso andare avanti, senza paura di colpire la società o di essere contro le norme comuni del vivere civile. Se l'adulto, quindi, se il genitore, se il professore, l'insegnante o la scuola non sanno porre questi paletti, non sono in gradi di fermare le azioni di questi ragazzi, ben venga, allora, il voto in condotta. D'altra parte, se siamo arrivati a queste forme così gravi di violenza, di bullismo e così via, lo dobbiamo proprio al fatto che la società oggi non dà più figure di riferimento. Il genitore non fa più il genitore; il genitore vuole essere amico del figlio, ma il genitore ha un ruolo, è padre e madre e non può confondersi con l'amico. Il ragazzo con l'amico potrà andare a divertirsi, a scherzare e a fare anche della goliardia, ma non con il genitore. La stessa cosa vale per quanto riguarda l'insegnante e l'istituzione scuola: l'istituzione scuola deve assumersi anche l'onere di dire dei «no», l'onere di dare delle regole ben precise e di farle rispettare. Quindi ben venga - ripeto - il voto in condotta.
Per quanto riguarda il voto in decimi, è vero che il voto in decimi ci fornisce chiarezza, esprime in modo inequivocabile qual è la formazione e la preparazione di un individuo (anche se, tra virgolette, possiamo dire che l'oggettività completa non si raggiunge mai). Ben venga, quindi, anche il voto in decimi, naturalmente - insisto - rispettando la collegialità. Il consiglio di classe deve essere l'istituzione che stabilisce, che determina la votazione e, quindi, anche la promozione o la bocciatura. Avrei qualche riserva, per quanto riguarda il voto in decimi, sulla promozione o meno per le insufficienze in una materia nella scuola primaria. Su questo argomento so, comunque, che possiamo trovare un accordo. Abbiamo già discusso di questo aspetto e, quindi, questa assicurazione mi tranquillizza.
Sulla questione del maestro unico, qualcuno ha parlato di nostalgia e di libro Cuore. Ben venga il libro Cuore se questo libro ha educato generazioni di cittadini, ben vengano queste forme di letteratura che forse facevano anche commuovere. Ma perché non deve esserci commozione anche nelle nostra scuole? Forse i nostre ragazzi sarebbero meno bulli. In ogni caso, la figura del maestro unico risponde a una esigenza che è stata dimostrata sia dalla psicologia dell'età evolutiva sia dalla psicologia sociale. I ragazzi hanno bisogno di un referente, di una figura referenziale, a cui fare riferimento, che serva da esempio e da modello. Sono sicura di questa affermazione perché in un recente sondaggio - forse di una settimana o dieci giorni fa - i ragazzi dai 12 ai 16 anni, hanno dichiarato che il motivo della loro insicurezza, del loro essere fragili è dovuto al fatto dell'assenza di figure referenziali. È chiaro che poi i ragazzi avranno tutto il tempo di scegliersi altre figure referenziali, ma non possiamo accettare che per i nostri ragazzi di 14 o 15 anni, il referente sia il calciatore, la velina, l'individuo che partecipa all'Isola dei famosi o cose diPag. 22questo tipo. Noi adulti non dobbiamo abdicare al nostro ruolo di educatori. Il maestro unico, quindi, in modo particolare nella scuola primaria, non penso che sia una scelta negativa, anche perché mi sembra dovremmo parlare non tanto di maestro unico ma di maestro prevalente. Ciò perché altre figure, che possono anche diventare referenziali, rimangono; per il maestro unico ci vorrà poi del tempo. Nelle nostre scuole elementari ci sarà spazio per altri maestri e in modo particolare - il Ministro ce l'ha confermato - non vi sarà l'obbligo delle 24 ore, ma anzi viene garantita la libertà di scelta.
Ogni famiglia, ogni genitore potrà scegliere tra le varie possibilità (le 24, le 27, le 30 o le 40 ore), in modo particolare (parlo per i paesi del nord Italia) laddove entrambi i genitori lavorino e abbiano, pertanto, l'esigenza di lasciare i bambini al sicuro presso istituzioni che siano educative e formative.
Per ciò che riguarda i libri di testo, chiunque si sia recato nelle scuole sa come sia sufficiente cambiare una fotografia all'interno di un testo scolastico, come sia sufficiente cambiare la pagina introduttiva per far lievitare il suo prezzo e per indurre i docenti a cambiarlo o a cambiare l'edizione. Ben venga, quindi, anche l'indicazione dell'impegno a carico degli editori a non cambiare il contenuto dei testi prima di cinque anni mentre, per quanto riguarda l'adozione, abbiamo considerato la necessità di rispettare il ciclo del corso scolastico, evitando che il testo possa essere cambiato a metà di un corso.
Con quanto detto credo di avere espresso in maniera chiara la posizione mia personale e della Lega Nord, una posizione che guarda la questione in modo chiaro, sicuro e senza paura, «togliendosi gli occhiali» e non nascondendosi dietro al classico dito nel tentativo di poter dire «non vedo». Può parlare di un provvedimento senz'anima soltanto chi non vive all'interno delle aule scolastiche, perché vivere ogni giorno a contatto con le problematiche degli studenti, delle famiglie e della società in genere non è lo stesso che vivere nell'aula asettica della dirigenza di un partito (Applausi dei deputati dei gruppi Lega Nord Padania e Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Zazzera. Ne ha facoltà.

PIERFELICE ZAZZERA. Signor Presidente, intervengo brevemente sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Le chiedo scusa, onorevole Zazzera, lei non ha chiesto di parlare sull'ordine dei lavori, ma è iscritto a parlare sul provvedimento.

PIERFELICE ZAZZERA. Le chiedo di poter intervenire brevemente sull'ordine dei lavori, dopodiché interverrò sul provvedimento. Me lo consente?

PRESIDENTE. Prego, onorevole Zazzera.

PIERFELICE ZAZZERA. Lei, signor Presidente, rappresenta il garante delle forze politiche presenti in quest'Aula. Due giorni fa un Ministro di questo Governo ha affermato che l'Italia dei Valori è un partito eversivo. Io non mi sento di appartenere a un partito eversivo e ritengo di essere stato eletto democraticamente in questa nazione. Quindi, lo ripeto, si è definito il mio partito, i cui rappresentanti sono stati eletti democraticamente dal popolo, eversivo.
Ora, se mi è consentito, vorrei intervenire sul decreto-legge n. 137. Signor Presidente, signor Ministro, colleghi deputati, vorrei innanzitutto ringraziare il presidente della VII Commissione, Valentina Aprea e tutti i commissari impegnati nella discussione di questo decreto-legge n. 137. È stata una discussione dura, intensa e franca nel rispetto dei ruoli. Il mio ruolo è quello di essere un'opposizione al Governo e di provare a presentare delle controproposte al provvedimento in discussione.
Il decreto-legge n. 137 recante disposizioni urgenti in materia di istruzione e di università che ci accingiamo a discutere in queste ore è un provvedimento chePag. 23(il signor Ministro me lo consentirà) si scrive Gelmini, ma si legge Tremonti. Non è vero che siamo di fronte ad una riforma copernicana della scuola, anche se, per la verità, essa ne avrebbe certamente bisogno.
Siamo di fronte ad un provvedimento che trova la sua origine ed anche il suo essere nell'articolo 64 del decreto-legge n. 112 del 2008, collegato alla finanziaria; ovvero, avete deciso di presentare un decreto-legge sulla scuola perché il Ministro Tremonti vi ha imposto 8 miliardi di euro di tagli in tre anni, da qualche parte dovete pur cominciare e avete cominciato dalla scuola, dalla scuola primaria. Insomma, Tremonti detta l'agenda politica del Paese e decide anche il sistema scolastico da impiantare.
Una vera riforma della scuola non può cominciare dalla scuola elementare, il cui modulo a tre maestri ci è invidiato da mezzo mondo. Infatti, lei stessa, in una recente intervista di luglio concessa al giornale La Repubblica, così dichiarava: «È chiaro che razionalizzare la rete scolastica impone alcune scelte, ma credo che le elementari siano un ciclo scolastico che funziona; lo dicono anche i dati OCSE-PISA e, quindi, mi auguro che non sarà necessario tornare al maestro unico». Come detto, fatto! Probabilmente l'estate le ha portato consiglio.
Voglio ricordare che persino ispettori del Governo Clinton sono venuti in Italia a studiare il modulo a tre insegnanti: ogni tanto, invece, di copiare noi dagli altri, c'è qualcuno che copia le nostre cose migliori.
La riforma della scuola è più complessa. Deve coinvolgere tutti i livelli formativi, deve interessare tutto il sistema scuola sul piano educativo e formativo, ovvero: quale sistema di istruzione proporre ai nostri figli e al Paese, cominciando dall'infanzia, fino all'ingresso nel lavoro? Qual è il modello di istruzione? Che modello di educazione? Per noi dell'Italia dei Valori, la scuola deve educare a formare cittadini, deve coniugare informazione e formazione sociale, deve rappresentare una risposta all'emarginazione e alla solitudine, deve valorizzare i saperi. La scuola è un diritto che dev'essere assicurato a tutti e soprattutto ai più deboli.
Questa riforma somiglia alla scuola coreana, più che al modello finlandese, dove il debole viene aiutato, supportato, integrato e dove gli insegnanti godono di prestigio, perché formano i figli della nazione e, quindi, hanno un compito gravoso e di grande responsabilità. In Italia - ma lo ha detto lei durante l'audizione in Commissione - gli insegnanti sono demotivati e ricevono stipendi quattro volte inferiori rispetto a quelli degli altri Paesi europei.
Una riforma vera della scuola deve guardare alla formazione dei docenti, al diritto allo studio, ai programmi, al merito (ne ha parlato tanto lei), al ricambio generazionale della classe docente, alla valorizzazione delle risorse migliori della scuola, all'innovazione, alla tecnologia, ai cicli formativi per gli studenti in forma multidisciplinare e integrata; deve includere e non escludere; una scuola che stia dentro la modernità dei tempi, che sappia dare una risposta alle grandi problematiche come la globalizzazione, le questioni legate alle società multietniche, la presenza sempre più numerosa nelle scuole (e, quindi, con le problematiche annesse) di figli di genitori separati, la presenza nella scuola della disabilità, la presenza di ragazzi e studenti sempre più succubi di una comunicazione invasiva dei mass media e di modelli privi di valori. Rispetto a queste problematiche, il Governo che risposta intende dare? La risposta, oggi, è: tagli per i docenti e autorità per gli studenti.
Una vera riforma della scuola si prende il compito accompagnare, e non solo di giudicare, i ragazzi, dalla loro infanzia fino al momento in cui diventano cittadini; si prende il compito di proseguire il loro stato formativo nel tempo. Voglio solo ricordare a tutti voi che l'Italia continua ad essere la nazione dove si legge meno e che dati recenti dicono in aumento l'analfabetismo. Riporto dati che sicuramente lei conosce, del 2005, dove si parla di 6 milioni di persone analfabete in Italia, ilPag. 2412 per cento della popolazione, mentre la soglia d'allarme è rappresentata dall'8 per cento.
L'Italia è il fanalino di coda dei trenta paesi più istruiti. Dietro di noi ci sono solo il Portogallo e il Messico. Da dieci anni i dati sull'alfabetizzazione della popolazione italiana non migliorano, anzi il 36 per cento, pari a 20 milioni di cittadini italiani, o non posseggono un titolo di studio o al massimo posseggono la licenza elementare. Come la Ministra Gelmini intende rispondere a questi numeri preoccupanti? Basta, lo chiedo a me stesso, il decreto-legge n. 137? Il compito della scuola è appunto intervenire in quelle zone critiche e spesso l'assenza di istruzione corrisponde ad un maggiore tasso di illegalità, di disoccupazione e di arretratezza. Come è possibile affrontare le sfide della modernità senza rendere la scuola accessibile a tutti? Il titolo di studio è un'opportunità per tutti! La vostra risposta a questa sfida enorme è solo il taglio degli insegnanti.
In Germania, il primo giorno di scuola viene persino festeggiato come il grande momento di inizio e ai bambini viene regalata una scatola di dolci, segno che la scuola è un momento di gioia e non solo per essere giudicati. Dobbiamo invogliare a frequentare la scuola e non a fuggire da essa. E non servono, signora Ministra, i suoi blitz in incognito nei plessi scolastici che, più che rappresentare la scuola, manifestano la paura di incappare nel dissenso. Non abbia paura del dissenso, lo affronti. Una scuola efficiente deve sapere individuare tra gli studenti le migliori attitudini, le capacità, i ruoli che potranno svolgere domani. La scuola deve dare alla società le persone da collocare nei posti giusti. Oggi non è così. E questa riforma non aiuta a cambiare direzione. Avete realizzato non una riforma, bensì un provvedimento economico. Dovete tagliare 8 miliardi e cominciate dalle elementari perché il modulo a tre vi consente di togliere un insegnante, di eliminare 14 mila cattedre, di cui 7 mila al sud, di innalzare la soglia di alunni per classe, di ridurre il personale ATA tecnico di 40 mila unità in tre anni. Questo provvedimento avrà una ricaduta sociale devastante, con 87 mila insegnanti precari fuori dal ciclo lavorativo. Parlo della mia regione: in Puglia, verranno chiusi 168 istituti scolastici pari al 10 per cento della quota nazionale. È vero, il personale della scuola incide per gran parte sulla voce della spesa. Un provvedimento di tale portata però, non può limitarsi al momento contingente, ma deve essere capace di trovare risposte alternative, per ricollocare quelle persone, oggi di fatto espulse ed abbandonate a se stesse. Mi consenta, Ministra Gelmini, se mi vuole ascoltare: la sua proposta di ricollocarli nel turismo non solo è un insulto agli insegnanti, ma alla sua intelligenza, quindi ci risparmi simili battute. È proprio sicura, ministra Gelmini che tagliando 87 mila insegnanti la scuola ne guadagnerà in qualità? È proprio sicura che la preparazione degli studenti sarà migliore? Che il bullismo sarà ridimensionato? Non crede forse che queste problematiche così complesse meritavano una riflessione più approfondita, più condivisa e più collegiale? E allora, perché la decretazione d'urgenza? Ancora una volta ricorrete alla decretazione senza averne le motivazioni reali, soffocando il dibattito parlamentare in Aula e nelle Commissioni e solo perché avete fretta di approvare un provvedimento per far piacere al Robin Tremonti. E lo approvate talmente in fretta che sbagliate persino la forma italiana del decreto e dimenticate di inserire la copertura finanziaria necessaria al maestro unico, nell'articolo 4.
Ve lo ha scritto la V Commissione il cui presidente non è certamente di centrosinistra!
Devo riconoscere, però, che siete stati bravi: nel presentare questo provvedimento avete gettato fumo negli occhi della gente, avete preparato con la comunicazione il Paese ed avete presentato questo provvedimento come il ritorno all'autorità, al voto in condotta contro il bullismo imperante, ai voti decimali, al grembiulino. Persino l'educazione civica, siete riusciti a venderla come una novità, ed è falso!
La scuola non ha bisogno di autorità, la scuola ha bisogno di autorevolezza, diPag. 25credibilità in chi la governa, come voi, e in chi la rappresenta, che sono gli insegnanti e gli studenti. Avete innalzato una cortina fumogena mentre sotto vi state spolpando la sostanza, vi state spolpando la scuola pubblica! Questo avete fatto e questo volete presentarci oggi! Avete presentato il fumo mentre l'arrosto brucia, avete detto che ritorna il voto in condotta per nascondere agli italiani, dietro ai sondaggi di opinione, che licenziate 87.000 persone! Avete negato ai cittadini la verità! State realizzando una riorganizzazione aziendale che passa sulla testa delle persone, avete montato un' operazione pubblicitaria ovvero si parla di qualcosa che è la facciata di un provvedimento ben più profondo e pericoloso.
Questo provvedimento è propedeutico allo smantellamento della scuola pubblica ed è propedeutico a quell'autonomia scolastica anticamera della privatizzazione. State mettendo le basi per privatizzare i saperi!
La Ministra Gelmini sa che in molte scuole del sud l'educazione alla cittadinanza ed alla Costituzione - che pure condivido in linea di principio - non avviene perché è la stessa Costituzione ad essere inapplicata? Sa la Ministra Gelmini che in molte scuole del sud il diritto allo studio sancito dalla Costituzione è negato perché gli edifici scolastici sono fatiscenti ed i ragazzi sono costretti a studiare in luoghi disagiati? Non avete ammesso neppure l'emendamento 4.6 a firma Borghesi e presentato in Commissione che prevedeva proprio di destinare somme residue in bilancio al piano di messa in sicurezza degli edifici scolastici. Neppure quello perché a voi non interessa! A voi interessava solo blindare il provvedimento sul piano economico!
Lei pensa che si possa assicurare il diritto allo studio in un quartiere della periferia di Bari e di Napoli? Lei pensa che a Casal di Principe questo modello possa dare una risposta all' illegalità culturale di quel Paese? Ecco, una vera riforma della scuola si sarebbe dovuta preoccupare di come assicurare il diritto allo studio a tutti e di come tenere fede alla Costituzione italiana che evidentemente voi, voi, mettete quotidianamente sotto i piedi. Si sarebbe dovuta preoccupare di come arginare con la scuola la cultura dell'illegalità, di come, attraverso la scuola, costruire la cultura della legalità ed il rispetto delle istituzioni. Niente di tutto questo! Ci avete parlato di maestri del sud incapaci e di studenti del nord maltrattati.
L'educazione civica mascherata dallo studio della Costituzione e dalle passeggiate nei luoghi istituzionali come da lei stessa riferito in Commissione, quasi l'educazione civica fosse la gita a Montecitorio! La vostra educazione civica non rappresenta niente di nuovo, è già prevista nei programmi della scuola; il vostro compito è gettare fumo negli occhi!
Mi consenta la battuta: io, l'educazione civica, la farei a questo Governo che ha approvato un provvedimento incostituzionale come il cosiddetto lodo Alfano. Altro che agli studenti! Avete spiegato a mezza Italia che è necessario reintrodurre il voto in condotta per fermare il bullismo, ma davvero crede che ci saranno meno bulli con il voto in condotta? State costruendo un modello di scuola autoritaria!
Ma il perno di questo provvedimento scandaloso è rappresentato dall'articolo 4. Si tratta di un pericoloso ritorno al passato e di un provvedimento anacronistico che pone la scuola italiana fuori dalla modernità, dalla complessità dei tempi, non rispondendo a una società multietnica e multirazziale e a studenti che oggi sono più avanti di noi, che oggi acquisiscono nozioni complesse che vanno da Internet all'utilizzo dell'iPhone. Rischiamo di avere maestri tuttologi e male formati rispetto a ragazzi che si formano sui Internet, che sanno leggere e parlare più lingue, che sanno usare il personal computer e che sanno utilizzare gli strumenti multimediali.
Il modulo a tre maestri ha dato buoni risultati perché è stato al passo con i tempi e ha permesso agli studenti di formarsi nella complessità della nostra società. La pluridisciplinarietà è certamente un vantaggio rispetto a chi oggi può sapere tutto e male. Il modulo a trePag. 26permette di rapportarsi con la diversità, con i diversi modi di agire e di operare e sfrutta la capacità critica degli studenti. Il modulo a tre ha permesso a molte scuole di attivare laboratori capaci di integrare le diversità razziali e sociali. Penso ai disabili che in questa maniera e con tale provvedimento rischiano di perdere il sostegno necessario.
Il modello di scuola (Commenti del deputato Renato Farina)... lo dirà quando interverrà! Il modello di scuola che proponete lascia indietro chi è in difficoltà e manda avanti pochi. Propone una scuola per privilegiati. Il maestro unico è una soluzione che impedirà di svolgere il tempo pieno creando enormi difficoltà a quelle famiglie che oggi sempre più necessitano, per entrambi i genitori, di lavorare per necessità.
In conclusione, il provvedimento in esame va rigettato nel suo insieme perché rappresenta un pericoloso ritorno al passato e soprattutto apre un pericoloso scontro sociale licenziando, in tre anni, 87 mila insegnanti e 40 mila tecnici. Di questo sarete responsabili davanti al Paese (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Mogherini Rebesani. Ne ha facoltà.

FEDERICA MOGHERINI REBESANI. Signor Presidente, sul provvedimento in esame in questa settimana si è a lungo dibattuto, soprattutto sulla stampa, per le misure cosiddette di riforma che introduce, dal voto in condotta al ritorno ai voti per decimi, fino alla reintroduzione del maestro unico. Misure certamente discutibili su cui è bene quindi che si apra un confronto. E tuttavia il provvedimento in esame si inserisce in un processo di destrutturazione della scuola pubblica italiana che il Governo e il Ministro Gelmini - o forse, anzi sicuramente, farei meglio a dire: il Ministro Tremonti - hanno avviato con la manovra economica approvata nel luglio scorso. Si è trattato di una manovra approvata senza discussione, a colpi di fiducia, espropriando il Parlamento e temo purtroppo anche il Governo di qualsiasi possibilità di discussione di merito e di confronto vero sulle proposte. Mai come in questo caso le cifre del bilancio di previsione per il triennio 2009-2011 chiariscono in modo inequivocabile quale sia l'idea di scuola che avete in mente. La scuola è un costo da tagliare per far cassa, per far quadrare i conti dello Stato e basta. Invece - forse vi do una notizia - è il luogo dove i nostri figli, dove mia figlia si forma e cresce come persona e come cittadino.
Per tale ragione nel Paese sta crescendo proprio negli ultimi giorni l'ansia per questi provvedimenti. Si moltiplicano non soltanto le iniziative degli insegnanti, degli studenti e delle famiglie (proteste e manifestazioni che il Governo farebbe bene a non ignorare). Non vi è solo la netta contrarietà delle organizzazioni sindacali o delle forze politiche democratiche, ma anche molto di più. Infatti, vi è una parte larga della società italiana inquieta e preoccupata nel vedere messo in discussione il destino della scuola pubblica italiana e la qualità della formazione dei propri bambini. È in gioco il futuro dell'Italia, l'investimento sul capitale umano, sui saperi, sulla formazione come terreno strategico per qualificare il nostro Paese nella sfida internazionale della competizione globale.
Proprio Tremonti, scopertosi paladino dell'intervento pubblico in economia e oppositore dell'ideologia del mercatismo, propone al Parlamento una manovra economica che taglia le ali al nostro Paese, riducendo le spese per gli investimenti, aumentando la pressione fiscale e minando alla radice le speranze di crescita e di innovazione dell'Italia, colpendo in modo così drastico scuola, università e ricerca che dovrebbero essere, invece, proprio oggi il primo capitolo del bilancio pubblico su cui tornare ad investire con grande determinazione.
Il ministro Gelmini sostiene che i tagli previsti sulla scuola sono resi necessari per riequilibrare una spesa pubblica per l'istruzione dove il 97 per cento della spesaPag. 27sarebbe destinato al personale e che la scuola italiana non può essere scambiata per un ammortizzatore sociale.
Sono d'accordo: la scuola non è e non può essere un ammortizzatore sociale, ma non può neanche essere ridotta ad un inutile parcheggio per i nostri bambini (oltretutto un parcheggio che chiude alle 12,30 è piuttosto inutile).
Sappiamo che per avere una scuola di qualità dobbiamo investire su un personale qualificato e motivato, il cui lavoro venga riconosciuto ed incentivato. Ricordiamo, allora, che, secondo il rapporto OCSE del 2007, la spesa per il personale è inferiore al 75 per cento della spesa complessiva, in linea con la media dei Paesi OCSE, così come la spesa è in linea con la media OCSE in rapporto al PIL, cioè il 3,5 per cento.
Gli stessi dati, riferiti all'assestamento di bilancio del Ministero della pubblica istruzione dell'anno 2007, confermano che, su una spesa complessiva di 42,4 miliardi, le spese per il personale sono di circa il 74 per cento. Sappiamo bene che c'è una grande questione legata alle condizioni di precarietà di decine di migliaia di insegnanti e che questa situazione richiede una definizione per offrire loro una prospettiva di stabilità e di crescita professionale e, soprattutto, per assicurare agli studenti continuità nella didattica e qualità dell'insegnamento frutto solo di formazione e aggiornamento continuo del corpo docente.
Per parte nostra, in questa discussione, non c'è alcuna preoccupazione di difesa corporativa di una categoria in sé; per noi contano solo due cose: la difesa del valore e della dignità del lavoro, che va qualificato e valutato costantemente, e la tutela della qualità dell'offerta formativa della scuola. Per noi contano i bambini. Non si può affrontare la questione scuola solo con l'approccio del ragioniere che pensa unicamente a tagliare. I tagli in un bilancio dello Stato non sono mai, e dico mai, una scelta neutra e tecnica, ma hanno sempre un valore politico ed una ricaduta molto concreta sulla vita reale delle persone e dei cittadini italiani.
C'è da chiedersi quale idea di sviluppo e di crescita avete per l'Italia per rimetterla in moto, per farla competere sui livelli alti della produzione, se scegliete di colpire così duramente la scuola. I tagli per il prossimo triennio sono pari a 7 miliardi e 832 milioni di euro, con una riduzione di 130 mila posti negli organici del personale, di cui 87 mila docenti e 43 mila tra personale tecnico, ausiliare e amministrativo.
Tagli così drastici mettono in discussione i livelli minimi di funzionamento delle scuole. L'impatto sarà veramente grave e la preoccupazione che cresce tra le famiglie (non dico tra gli insegnanti, ma tra le famiglie italiane) è motivata dalla consapevolezza che questi interventi produrranno un peggioramento concreto dell'offerta educativa per i loro figli.
Il ritorno al maestro unico, con orario scolastico di ventiquattro ore settimanali (4 ore al giorno senza più moduli pomeridiani e attività integrative) determinerà la riduzione drastica del tempo pieno e del tempo prolungato nelle scuole dell'infanzia, elementari e medie e costringerà i bambini delle elementari a tornare a casa alle 12,30.
Quale impatto avrà questo taglio sulla vita di milioni di genitori che lavorano? Ve lo siete chiesto? Vi interessa? Sono a rischio di chiusura fino a 4 mila scuole, soprattutto nei piccoli comuni. Sarà forte la riduzione degli insegnanti di sostegno per i bambini disabili, si avranno meno strumenti per l'integrazione dei bambini migranti e dei bambini rom, meno strumenti per l'integrazione. Non lo capite, non lo sapete, o semplicemente non vi interessa?
Quanto crescerà, con questi tagli, la dispersione scolastica? Già oggi è a un livello tra i più alti in Europa. E non è tutto, purtroppo: la manovra economica, già approvata a luglio, colpisce duramente gli enti locali con tagli di bilancio che penalizzeranno due capitoli di spesa fondamentali per la scuola: l'edilizia scolastica e il diritto allo studio. Si va incontro, così, ad aumenti delle tariffe di servizi fondamentali come le scuole dell'infanzia,Pag. 28le mense e il trasporto scolastico. Si tratta di misure a forte discriminazione sociale e pesante ricaduta sulla vita quotidiana delle famiglie.
In concreto, famiglie e studenti non potranno più decidere liberamente in quale scuola andare, ma dovranno fare i conti per capire quale scuola si potranno permettere di pagare. Per non parlare delle difficoltà crescenti di conciliazione tra il lavoro e la cura dei figli che penalizzerà le mamme, ma tutti i genitori che lavorano (certo, soprattutto le donne). Qui c'è il cuore del problema, la contestazione di fondo che avanziamo al Governo rispetto alle sue scelte sulla scuola.
La vostra politica per la scuola, se così si può chiamare, ha due sole coordinate: la prima, drastici tagli di bilancio per far quadrare i conti dello Stato, senza alcun disegno complessivo, senza alcuna strategia. Prima si taglia, poi si costruiscono le motivazioni dei tagli, così si colpiscono aree vitali per il presente ed il futuro del nostro Paese. La seconda: il ritorno ad un modello educativo vecchio, formalista ed antico, che riproduce e perpetua al suo interno le diseguaglianze e le discriminazioni della società.
Io capisco che qualcuno possa provare nostalgia di un mondo che non c'è più: la maestrina con la bacchetta forse, magari anche le punizioni corporali e i ragazzi in ginocchio sui ceci dietro alla lavagna.
Personalmente sono cresciuta in una scuola nella quale, quando gli insegnanti entravano, bisognava alzarsi in piedi, salutare e possibilmente avere le braccia conserte dietro la schiena.
Posso garantire che alla mia buona educazione ha contribuito di più l'intelligenza e la fantasia dei tanti insegnanti che ho avuto, piuttosto che queste rigide regole formali. Posso assicurarle, Ministro, che per la buona educazione di mia figlia - che ha tre anni e mezzo e che probabilmente soffrirà dei vostri tagli - vale molto di più spegnere la televisione una volta che rientro a casa, piuttosto che ipotizzare di metterle il grembiule o il voto in condotta. Infatti, la repressione - anche quella contro il bullismo - può incidere soltanto a posteriori.
È il buon esempio, è un certo rigore nei comportamenti personali dei punti di riferimento dei ragazzi, è un buon livello di motivazione e di soddisfazione per la propria vita personale, che possono prevenire il bullismo. Conta su questo di più far passare l'idea che le regole, tutte le regole, si rispettano da parte di tutti a qualsiasi livello che non far finta di punire gli anelli più deboli della catena, dopo che magari li si è incoraggiati ed istigati a comportamenti antisociali. La vostra è un'idea vecchia di scuola e di società. È un'idea antimoderna che non offre nulla per mettere le nuove generazioni in relazione con il mondo che cambia, con una società sempre più complessa attraversata da un'identità difficile e da culture plurali spesso tra loro conflittuali.
Occorrerebbe, invece, offrire nuove mappe interpretative dell'oggi, strumenti di comprensione del nuovo mondo che si modella sotto i nostri occhi, capacità di navigare nel mare aperto di saperi sempre più volatili e disponibili, ma al contempo più difficilmente selezionabili sul piano della qualità. Il cuore della riflessione pubblica della politica, della cultura e della scuola dovrebbe essere concentrato su questo: quale didattica, quali programmi, quali strumenti per l'apprendimento, quali metodi di verifica del sapere acquisito, quali modalità di formazione permanente, quali connessioni tra scuola, ricerca e lavoro.
Nelle vostre proposte non c'è traccia di tutto ciò. Non c'è un ragionamento sul progetto didattico della scuola italiana, sulla sua missione di grande motore della mobilità sociale per dare a tutti strumenti e opportunità per realizzare le proprie aspirazioni di vita.
Paradossalmente, nella vostra idea di scuola non vi è traccia neanche di una semplice radice liberale che culturalmente dovrebbe appartenere ad una destra moderna. Non vi è neanche più traccia di quell'idea, in parte discutibile, ma sempre almeno un'idea, della scuola delle «tre i»Pag. 29di qualche anno fa: inglese, internet, impresa. Per anni è stato il vostro orizzonte di riforma in materia scolastica, oggi è sparito. Resta solo una proposta mesta e declinante: l'idea di smontare pezzo per pezzo la scuola pubblica italiana per tenersi il minimo essenziale. Non vi rendete conto di ciò che le famiglie italiane vedono benissimo e cioè che nella scuola il minimo essenziale è una contraddizione in termini: l'essenziale è la qualità, non il minimo.
La stessa riforma che proponete nel decreto-legge in esame - con la reintroduzione del maestro unico alle elementari - rimanda ad una didattica superata, inadeguata rispetto ad una società contemporanea più complessa e che sollecita capacità di comprensione degli stimoli crescenti che investe i bambini di oggi. Così come la concezione rigorista della bocciatura nelle scuole elementari motivata anche solo da una difficoltà in una singola materia non solo non ha alcuna giustificazione pedagogica, ma è assolutamente disumana.
Si scarica sul bambino l'inadeguatezza di un sistema formativo ed educativo che nella delicata fase dei primi anni di formazione deve piuttosto accompagnarlo e non abbandonarlo a se stesso. Deve offrire quegli strumenti necessari di cui a quell'età da solo può anche non disporre per superare le difficoltà ed avere incentivi a migliorarsi. La scuola elementare è determinante per offrire i primi strumenti del sapere, per acquisire i primi alfabeti, per iniziare ad affacciarsi sul mondo e rappresenta allo stesso tempo uno straordinario luogo di accoglienza e di integrazione culturale e sociale.
Non a caso la riforma del 1990 della scuola di base ha permesso di modernizzarla e metterla più in sintonia con il mondo che cambiava. Si è costruito in questi anni un ambiente di apprendimento più stimolante, dove l'alternarsi di due o tre insegnanti consente di curare con maggiore attenzione sia le competenze linguistiche di base, sia le conoscenze matematiche e scientifiche, senza trascurare linguaggi della creatività e della nostra identità, dalla musica all'arte fino ad arrivare alle attività motorie. Se una riforma oggi è necessaria, va orientata proprio in questa direzione: completare il percorso avviato, qualificando ancora di più la pluralità e la qualità dell'offerta formativa che oggi invece non sempre è all'altezza, piuttosto che tornare ad una scuola con meno tempo a disposizione e con figure docenti generiche nelle loro competenze didattiche e costrette ad inseguire troppe differenti forme del sapere.
Così si offre meno qualità ai bambini, minor quantità di tempo trascorso a scuola alle famiglie e minori possibilità per gli insegnanti di svolgere con competenza e motivazione il proprio lavoro. In inglese si direbbe che è una loose-loose situation: ci perdono tutti, da qualsiasi punto di vista la si guardi. La scuola che prefigura il Governo Berlusconi, il vostro Governo, rinuncia così a promuovere la qualità e il merito; rinuncia a dare a tutti gli alunni pari opportunità di studio, di formazione, di costruzione di competenze e saperi per il proprio percorso di vita e professionale, indipendentemente dalla condizione economica e sociale di appartenenza.
Nell'appello «salva la scuola», che in questi giorni il Partito Democratico ha lanciato al Paese, indichiamo un modello alternativo che prende le mosse dall'idea che la scuola sia la priorità per l'Italia, la base fondamentale su cui costruire il nostro futuro e quello dei nostri figli. Crediamo che procedere a tagli indiscriminati sia folle ed irresponsabile. C'è piuttosto bisogno di qualificare la spesa pubblica, di investire meglio e di più sul sapere e sulla formazione. Un piano di investimenti straordinari e mirati alla qualità per scuola, università e ricerca: questa è la migliore risposta alla stagnazione economica che vive l'Italia e alla drammatica crisi che investe i mercati finanziari internazionali; sarebbe l'investimento più lungimirante e proficuo per il nostro Paese, scegliendo ovviamente di tagliare altri capitoli della spesa pubblica, razionalizzando gli investimenti, operando controlli sulla qualità dell'impiego delle risorse.Pag. 30
Sulla scuola il Partito Democratico ha presentato proposte chiare che rappresentano anche il frutto di un dialogo e di un confronto con insegnanti, studenti e famiglie già avviato in questi giorni in tutta Italia e che proseguirà nelle prossime settimane. Sappiamo che il sistema formativo italiano va ridisegnato, non lo vogliamo tenere così com'è. Per tale motivo proponiamo, primo, l'approvazione di nuove norme sugli organi collegiali della scuola e il potenziamento dell'autonomia scolastica; secondo, l'attivazione di un sistema di valutazione di tutte le istituzioni scolastiche; terzo, la riorganizzazione degli organici del personale come organici funzionali in ogni scuola; quarto, la valorizzazione della professionalità degli insegnanti anche sul piano salariale con il riconoscimento del merito e la realizzazione di un piano straordinario permanente di aggiornamento; quinto, l'azzeramento del precariato che colpisce le giovani generazioni di insegnanti e la definizione di nuove norme di accesso e di reclutamento degli insegnanti; sesto, la corretta attuazione dell'obbligo di istruzione a 16 anni, con la conseguente riduzione a zero della dispersione scolastica; settimo, il raggiungimento dell'obiettivo dell'85 per cento dei ragazzi diplomati e per gli altri il conseguimento almeno di una qualifica professionale; ottavo, l'attuazione dei provvedimenti sugli istituti tecnici professionali; nono, la realizzazione di una scuola per la formazione permanente per tutto l'arco della vita ed, infine, una scuola che finalmente sia più aperta alla comunità che la circonda e integrata con il territorio, che promuova la cultura, l'alfabetizzazione informatica, lo sport, le attività sociali e di volontariato.
Queste proposte incontrano già oggi il consenso e il sostegno di una parte importante del mondo della scuola. Quando parlo di mondo della scuola mi riferisco agli insegnanti, ma soprattutto - e insisto su questo - ai ragazzi e alle famiglie dei ragazzi; sarà per la mia esperienza personale, sarà che ho una bambina piccola che va a scuola, sarà che parlo con i genitori e con i compagni di classe di mia figlia e sento quanto questa cosa sia avvertita profondamente dalle famiglie.
Nelle prossime settimane, anche con la manifestazione nazionale del 25 ottobre, vedrete crescere una mobilitazione nel Paese su questi temi. Vorrei dire questo: la mobilitazione nel Paese su questi temi ci sarebbe comunque, anche in assenza di questo nostro investimento per renderla visibile. La nostra non sarà e non è, come avete visto, un'opposizione ideologica: non diciamo soltanto «no» ai vostri provvedimenti, ma accompagniamo ogni nostro «no» con una proposta alternativa, come già oggi facciamo in quest'Aula.
Perché, Ministro, la differenza oggi qui tra noi e voi non è tra il mantenimento dello status quo e la riforma; al contrario è tra il vostro piano di smantellamento della scuola pubblica, che parte dai tagli della manovra e tenta di costruire intorno ai tagli una parvenza di giustificazione a posteriori, e le nostre proposte per renderla migliore, più qualificata, più efficiente, più moderna, con al centro i bambini e il loro futuro (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Ceccacci Rubino. Ne ha facoltà.

FIORELLA CECCACCI RUBINO. Signor Presidente, esprimo tutto il mio sostegno alla conversione in legge di questo decreto-legge n. 137, recante disposizioni urgenti in materia di istruzione e università, perché lo ritengo un provvedimento necessario ad affrontare con la giusta urgenza i maggiori nodi problematici del nostro sistema scolastico: l'onerosità, l'inefficienza e l'ineguaglianza.
Abbiamo un sistema scolastico noto a tutti per essere eccessivamente oneroso, inefficace nelle trasmissioni dei saperi e - lo sottolineo - dei valori, nonché con marcate disparità tra nord e sud del Paese e tra istituto e istituto; problematiche che hanno portato a quello che è ormai un leitmotiv sull'emergenza educativa del nostro Paese.Pag. 31
Illustrando il primo punto, ossia l'eccessiva onerosità del sistema, i dati del rapporto OCSE 2008 sull'istruzione evidenziano come l'Italia investa nella scuola primaria più risorse della media OCSE, mentre nella secondaria è in linea con la spesa media OCSE. Il problema, invece, è come vengono spesi questi soldi: nell'istruzione l'Italia spende molto denaro, paga però molti professori, dando loro uno stipendio molto basso; insomma, ci comportiamo in modo contrario a quello che fanno i Paesi con i rendimenti OCSE-PISA più alti, dove il numero dei professori è minore, ma maggiore è il loro stipendio. Il provvedimento in esame, quindi, trae la sua ragion d'essere da questa constatazione, affrontando una delle più importanti criticità del nostro sistema scolastico: quella dell'eccessiva onerosità del nostro corpo docente, numericamente pletorico, mal pagato, e per questo poco motivato.
Il 96,98 per cento dei costi della scuola è destinato agli stipendi - abbiamo, infatti, un docente ogni nove alunni - lasciando ben poco agli investimenti e, quindi, all'edilizia scolastica, alle biblioteche, alle attrezzature scientifiche, alle palestre e ai laboratori didattici. Questo provvedimento, al di là di quello che sostiene l'opposizione, non risponde ad una semplice logica di cassa, di taglio della spesa, ma bensì di razionalizzazione, riqualificazione e ottimizzazione della spesa scolastica per indirizzarla a quegli investimenti che rendano maggiormente efficiente il nostro modello di istruzione così da assicurare una migliore preparazione dei nostri giovani che dovranno muoversi in un mondo globale sempre più complesso.
Il comma 9 dell'articolo 64 del decreto-legge n. 112 del 2008 sulla manovra finanziaria parla chiaro: il 30 per cento degli oltre sette miliardi di euro risparmiati in tre anni con le economie di spesa del Ministero dell'istruzione saranno investiti in premi ai docenti più bravi, nell'ammodernamento delle strutture e nel potenziamento del tempo pieno; quindi avremo più tempo pieno con questo provvedimento.
L'introduzione del maestro unico, all'articolo 4, con conseguente soppressione del modulo di tre docenti per due classi, libererà un numero di ore più che sufficiente ad aumentare le ore di tempo pieno, così da dare maggiore soddisfazione alle richieste delle famiglie; né si vede poi su quali basi l'opposizione agiti lo spettro di una riduzione degli insegnanti di sostegno o della chiusura delle scuole di montagna che nessuna norma in discussione prevede.
Ma la cosa più importante di questo provvedimento è che abbiamo iniziato quel percorso di valorizzazione del nostro corpo docente che porterà ad avere insegnanti meglio retribuiti, quindi più motivati e più rispettati. Il problema delle retribuzioni dei nostri docenti è, infatti, una questione che ormai non è più possibile rinviare: dal 1995 ad oggi lo stipendio degli insegnanti ha perso il 21 per cento del potere d'acquisto; i colleghi tedeschi guadagnano il doppio mentre quelli spagnoli guadagnano una volta e mezzo in più. Invece, in tutti questi anni in Italia si è scelta la formula del «lavorare meno, lavorare tutti» così, per non scontentare nessuno, si sono scontentati tutti.
Gli insegnanti della scuola primaria svolgono 735 ore di lezione l'anno contro le 812 ore della media OCSE; questa formula del «lavorare meno, lavorare tutti », di chiara matrice politica, è la stessa che ha portato al fallimento l'Alitalia. Ebbene, noi non possiamo permetterci il fallimento della nostra scuola, per questo apprezzo il coraggio del Governo e del Ministro Gelmini di agire attraverso la decretazione d'urgenza nella direzione del rigore e di un uso migliore dei fondi, liberando risorse laddove sono evidenti sprechi e duplicazioni di ruolo.
Non posso che esprimere rammarico per il comportamento dell'opposizione; ci saremmo aspettati un atteggiamento più responsabile, più sensibile ai problemi della scuola e non delle sue corporazioni interne, anche in considerazione del fatto che questo provvedimento riprende la politica di riduzione delle cattedre del precedente Governo Prodi. La cifra di 87 mila insegnanti in meno che avverrà, limitandoPag. 32le nuove assunzioni, quindi non licenziando nessuno, si raggiungerà nel 2012 ed include nel calcolo le riduzioni già pianificate dal precedente Governo Prodi di circa 20 mila unità, a suo tempo giudicate insufficienti nel Quaderno bianco sulla scuola pubblicato dall'allora Ministro dell'economia e delle finanze, Tommaso Padoa Schioppa.
Non comprendo, quindi, l'atteggiamento ostruzionistico dell'opposizione, che rinnega le proprie scelte solo per mero intento strumentale. L'opposizione deve avere il senso di responsabilità di unirsi alla maggioranza nel mettere mano al più presto ai temi dell'autonomia dei dirigenti scolastici, della valutazione degli istituti e dei criteri di reclutamento dei docenti, che rappresentano la tanto agognata riforma della scuola, che da anni tutti aspettano.
Vorrei ora esaminare il secondo aspetto del provvedimento in esame, che reputo centrale, ossia il suo valore pedagogico e sociale: mi riferisco all'articolo 1, dove si propone, per l'anno scolastico 2008-2009, di favorire l'acquisizione dei saperi e delle competenze relative alla cittadinanza e alla Costituzione, all'articolo 2, in merito alla valutazione dei comportamenti dei ragazzi e al cosiddetto voto in condotta e all'articolo 5, sull'adozione dei libri di testo, che avranno un grande impatto pedagogico e sociale, su cui è opportuno soffermarsi.
I primi due articoli vanno nella direzione di una concezione della scuola diversa dal «diplomificio» - ossia di un luogo asettico di trasmissione di sapere -, una concezione della scuola come luogo vivo di formazione umana e sociale del futuro cittadino. Un giovane deve conoscere la Costituzione e i valori che la sottintendono, che sono valori di rispetto delle istituzioni (rappresentato a scuola dal docente) e rispetto delle persone (rappresentato a scuola dai compagni). Possiamo formare le persone più intelligenti e più colte del mondo, ma se esse sono maleducate, ciniche e violente, non abbiamo fatto appieno il nostro lavoro.
L'avere inserito in un decreto-legge l'insegnamento dell'educazione civica, dopo anni di totale abbandono, è il segno di una volontà politica orientata a ricostruire quel senso di appartenenza, di rispetto dei simboli e di responsabilizzazione delle persone, che in tutti questi anni è andato perduto.
Sono convinta, così come è convinta la stragrande maggioranza degli italiani, che l'insegnamento dei valori della Costituzione e l'apprendimento dei diritti e doveri che sottintendono il nostro esser parte di una comunità nazionale, coniugati con il voto il condotta, rappresenteranno ottimi ausili per il contrasto del fenomeno allarmante del bullismo.
Mi avvio alla conclusione: il provvedimento in esame ha anche un forte contenuto sociale. L'articolo 5, relativo all'adozione dei libri di testo, finalmente pone fine allo scandalo di costringere ogni anno milioni e milioni di famiglie a cambiare i libri ai propri figli. Mandare a scuola i propri figli non deve rappresentare più un onere per le famiglie italiane e lo Stato deve garantire il diritto allo studio, contrastando queste palesi forme di speculazione. Per tale motivo reputo positiva la decisione di indurre all'adozione solo di quei libri di testo dei quali l'editore si sia impegnato a mantenere invariato il contenuto per un quinquennio, salvo l'eventualità che si rendano necessarie appendici di aggiornamento, che comunque dovranno essere rese disponibili separatamente.
Signor Presidente, concludo dando tutto il mio pieno e convinto appoggio a questo importante provvedimento che, a dispetto di ciò che vuole farci credere l'opposizione, non è finalizzato a fare cassa, ma, finalmente, a restituire alla scuola e alle nostre famiglie quella dignità che da molto tempo è stata loro sottratta (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

Sull'ordine dei lavori (ore 13,28).

RENATO FARINA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

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RENATO FARINA. Signor Presidente, intervengo per informare l'Aula di una notizia lieta: gli ostaggi italiani, insieme a quelli tedeschi ed egiziani e alla cittadina rumena sequestrati in Egitto, sono liberi e stanno bene (Applausi). Lo ha comunicato il Ministro Frattini, che ha affermato che hanno collaborato alla liberazione anche le nostre Forze armate e l'intelligence. Ringrazio il Governo per questo risultato.

ROBERTO GIACHETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, ovviamente mi associo alla soddisfazione espressa dal collega Renato Farina: siamo lieti che questa vicenda si sia risolta positivamente. Ci siamo occupati della questione in passato e il fatto che ce ne occupiamo oggi, dopo che è stata trovata una soluzione, non può che farci piacere.

PRESIDENTE. Sospendo ora la seduta, che riprenderà alle 14,30 con il prosieguo della discussione sulle linee generali.

La seduta, sospesa alle 13,30, è ripresa alle 14,35.

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Angelino Alfano, Cosentino, Craxi e Lombardo sono in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente cinquantasei, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Si riprende la discussione.

(Ripresa discussione sulle linee generali - A.C. 1634-A)

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Lolli. Ne ha facoltà.

GIOVANNI LOLLI. Signor Presidente, signor Ministro, ho avuto la fortuna di seguire l'iter di questo provvedimento in Commissione. Ho ascoltato diligentemente gli interventi del Ministro e quelli di tutti i colleghi, le audizioni delle diverse forze interessate che abbiamo seguito insieme, quindi mi sono fatto una modesta opinione su questa vicenda. Cercherò pertanto di comunicarle in questa sede, Ministro, qualche mia impressione, in modo garbato e, le assicuro, non pregiudiziale. Tuttavia, le debbo dire subito che - forse mi sbaglierò - la prima impressione avuta è che si sia proceduto ad adottare un provvedimento a mio avviso così impegnativo e su un terreno, come lei spesso ci ricorda, tanto complesso, delicato e fragile, con un certo grado di fretta e anche con un po' - mi consentirà - di improvvisazione.
So che gliel'hanno detto in moltissimi, quindi mi dispiace ripeterlo qui anch'io, ma davvero l'impressione che abbiamo tutti avuto è stata che lei sia stata costretta a dare questa accelerazione così brusca sulla base di un'esigenza che proveniva da altra parte, cioè quella di un forte contenimento di costi.
Ora, intendiamoci: che in Italia ci sia il problema di un forte contenimento di costi e un'esigenza di risparmi, che ciò riguardi tutta la spesa pubblica e, quindi, anche la scuola, è un argomento sul quale mi pare difficile poter obiettare.
Come è stato ricordato da molti, d'altra parte, anche il Governo precedente si trovò di fronte a un'esigenza di questo genere e operò con alcune misure volte a determinare un contenimento di costi per quanto riguarda la spesa scolastica. Tuttavia, qui siamo di fronte ad una misura la cui dimensione (8 miliardi di euro) è davvero imponente, impressionante.
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Gli argomenti portati a difesa e a motivazione di un intervento così massiccio sono anche - le debbo dire - connessi a una certa campagna che è stata fatta in questo Paese, secondo la quale, nel settore della scuola, noi ci troveremo di fronte ad un aumento di costi totalmente fuori controllo.
I dati di cui ho potuto prendere visione e che sono a disposizione di tutti, sui quali abbiamo lavorato in Commissione, ci dicono che l'aumento in questi anni è stato del 30 per cento, esattamente in linea con l'aumento in tutti gli altri Paesi europei.
Naturalmente, si può obiettare che il debito pubblico del nostro Paese è talmente più alto rispetto a quello di tutti gli altri Paesi concorrenti che da noi bisogna fare sforzi che altrove forse non bisogna fare. Questo mi sembra ragionevole, ma qui siamo di fronte all'entità di una misura che ci porta completamente al di fuori del contesto europeo. Se poi mettiamo queste misure in parallelo con l'intervento, proporzionalmente altrettanto imponente, di tagli all'università, l'idea che stiamo effettuando un enorme disinvestimento sul sistema formativo italiano obiettivamente - lei capirà - ci preoccupa tutti.
Ho ascoltato davvero con attenzione tanti interventi che lei ed altri hanno svolto in Commissione e non sono riuscito a convincermi del fatto che 8 miliardi di contenimento di costi non determinino tagli. Infatti, sento dire che 87 mila insegnanti e 42 mila unità del personale ATA in meno non produrranno licenziamenti, che l'offerta formativa per i cittadini italiani alla fine di questa vicenda uscirà allargata, che il tempo pieno non verrà tagliato, ma verrà esteso. Naturalmente, aspetteremo di leggere i documenti che lei ci fornirà, ma se sulla logica si possono avere opinioni diverse, la matematica non è un'opinione. Davvero non riesco a capire come, con 8 miliardi di tagli e con 130 mila persone in meno, l'offerta formativa di questo Paese possa allargarsi. Mi pare inevitabile che l'offerta formativa per i cittadini si restringerà in modo consistente.
Come ho detto prima, non vorrei assolutamente usare toni da comizio oppure fare interventi animati da pregiudizi.
Le devo osservare sinceramente che, se qui fossimo stati messi di fronte ad un progetto ragionato e meditato, e se da questo progetto fossero anche emersi riduzioni di costi o anche tagli (voglio usare questa parola), saremmo stati disponibilissimi - almeno io lo sarei stato - ad ascoltare e dialogare.
Mi sembra che qui ci sia stato un po' un rovesciamento: non si è partiti da un progetto, nel cui ambito poi ragionare sul contenimento dei costi; si è invece partiti dalla necessità di un taglio molto pesante e il progetto, in qualche modo - non vi offendete, ma devo osservare: un po' in fretta e furia - è stato costruito proprio a giustificazione a posteriori di questo taglio.
La prova che le cose siano andate così, mi sembra di ravvisarla nel fatto che l'intervento del Ministro in Commissione in sede di audizione programmatica - intervento che ho ascoltato con grande interesse; d'altra parte, sono atti pubblici, a disposizione di tutti - era pieno di considerazioni, molte delle quali, a mio personale avviso, non convincenti, ma pur sempre nell'ambito di uno sforzo, che andava riconosciuto a quell'intervento, di compiere un ragionamento generale.
Vi era un impianto, vi era anche l'affermazione di un metodo, addirittura vi era un'affermazione molto efficace, che il Ministro rese in quell'occasione, e cioè che non è possibile proseguire con l'orientamento secondo il quale, ogni volta che cambia il Governo, si insedia un ministro nuovo che intende stravolgere la scuola italiana sottoponendola allo shock di una trasformazione generale.
Quindi - in quella sede, lei così ci riferì -, si sarebbero operato con pazienza ed estrema gradualità. Dopo qualche giorno è stato varato - capisco che non è stata lei a scriverlo - il decreto-legge n. 112 del 2008, che ha completamente cambiato e stravolto questa sua affermazione.
Ma venendo a poche considerazioni di merito, tratterò di un argomento molto utilizzato, sul quale cercherò pertanto diPag. 35non soffermarmi a lungo, ma non posso fare a meno di tornarci, perché ha colpito anche me: sappiamo tutti, e lei stessa lo ha riconosciuto, che in mezzo, purtroppo, a tanti altri settori che funzionano meno, abbiamo la scuola primaria italiana, che è considerata da tutti quanti un settore di eccellenza e - questo, probabilmente, lei non lo condivide - tutte le audizioni che abbiamo svolto e gli stessi dati OCSE, che sono a disposizione e vanno letti, ci dicono che questo settore, già eccellente da anni, nel 1990, con l'irruzione del team di maestri, è ulteriormente migliorato.
Intanto, quantitativamente, l'offerta formativa per i ragazzi è cresciuta a 27 ore per tutti e poi, qualitativamente, è migliorata. È migliorata qualitativamente perché la scuola primaria, con questa riforma che si è fatta, ha mostrato, diversamente da altri reparti della scuola italiana di altri settori, di saper tenere conto, per quanto è possibile, naturalmente, e adeguarsi all'evoluzione della domanda di istruzione, che ovviamente cambia.
Quando si sente, ogni tanto, agitare queste nostalgie del maestro unico, occorre considerare che è cambiato tutto, è cambiato il mondo, è cambiato quello che i bambini e le famiglie si aspettano di trovare nella scuola. Tutte le audizioni, e anche i dati, ci dimostrano che la scuola primaria italiana - mettiamola così - funziona e funziona bene.
Prima di manomettere - con le migliori intenzioni, per carità! - proprio il settore che ci sta dando più soddisfazioni, francamente, mi sarei aspettato una maggiore prudenza.
Altra considerazione, che mi conferma un certo grado di improvvisazione con il quale si opera: l'introduzione del maestro unico produce, come d'altra parte è evidente, un problema di organizzazione. Mi riferisco al fatto che, per arrivare alle 24 ore necessarie, perché questo voi stabilite che sia, giustamente, obbligatorio fare, essendo il contratto degli insegnanti di 22 ore, bisogna integrare le due ore che mancano.
Per coprire i costi di questa integrazione, così è scritto al comma 2 dell'articolo 4 del decreto-legge, si attinge alle risorse di cui al comma 9 dell'articolo 64 del decreto-legge n. 112 del 2008; il comma, cioè, in cui voi, con grande enfasi, avevate stabilito che il 30 per cento di quanto si risparmiava con i tagli per la scuola dovesse essere destinato al miglioramento selettivo delle condizioni retributive degli insegnanti meritevoli, sottolineando più e più volte che il problema fondamentale della nostra scuola era premiare il merito, perché gli insegnanti italiani, come dite sempre e com'è vero d'altra parte, sono sottopagati e perché vi è troppa uniformità.
Quelle risorse, in fretta e in furia ancora una volta, anziché essere destinate a finanziare selettivamente il merito, vengono utilizzate per coprire il disastro nel quale adesso ci troviamo. Anche questa è un'altra delle testimonianze del fatto che si continua ad operare un po' sulla base di emergenze e con fretta.
C'è poi un'altra conseguenza diretta sulla quale vorrei si svolgesse una riflessione; so che essa non dipende in maniera automatica e diretta dal decreto-legge di cui discutiamo, ma è connessa con la misura complessiva che voi ci proponete. D'altra parte, se vogliamo valutare le misure che ci proponete, bisogna capire quello che si determinerà nella scuola italiana a partire dai prossimi mesi e nei prossimi anni. I tagli di cui al decreto-legge n. 112 del 2008, secondo una delle ipotesi che fornisce il vostro Ministero, dovranno essere in qualche modo realizzati attraverso un accorpamento, abbiamo letto, degli istituti superiori a 500 alunni, che verrebbero accorpati e quindi in gran parte soppressi. Secondo una simulazione che abbiamo svolto, in Italia a quel punto ci troveremmo con 1000 comuni su 8000 sprovvisti di qualunque scuola. Ho visto che per quanto riguarda la mia regione, l'Abruzzo, verrebbero soppresse 157 scuole. Al riguardo, davvero vi vorrei richiamare all'idea che dell'Italia abbiamo: noi siamo un Paese fatto così, con questa morfologia e con questa distribuzione demografica, un Paese fatto di tanti piccoli comuni, una gran parte dei quali in collinaPag. 36o in montagna. E questo non è un problema o, come forse piace di più dire a voi, non è solo un costo: è una risorsa, è l'Italia, è la sua cultura, è la sua storia, è la sua identità, è anche il suo valore, perfino il suo valore turistico. Vivere in questi piccoli comuni, credetemi, è più difficile che vivere in una città. Costa di più, per quelli che ci vivono, perché pagano le tasse come tutti gli altri, ma hanno in cambio servizi che sono molto inferiori e spesso anche più costosi - e quando parliamo di comuni di montagna, molto più costosi: considerate semplicemente il costo per il riscaldamento -; altri servizi, poi, li possono ottenere solo fuori, a proprie spese.
Vivere quindi in questi comuni è difficile, e il rischio, anzi la tendenza allo spopolamento è nota. Le conseguenze dello spopolamento sono disastrose per tutto il Paese, perché tale fenomeno porta con sé uno smarrimento dell'identità nazionale ma anche conseguenze economiche: per esempio, è stato ampiamente provato il nesso sussistente tra la densità abitativa in questi comuni (lo spopolamento in atto) e disastri idrogeologici per quanto riguarda un territorio non più organizzato. La scuola è uno degli strumenti che permette di mantenere la vita, l'identità! Chiudendo tutte queste scuole, si prevede che i bambini vengano trasferiti in altri istituti nei paesi vicini. Ma non si capisce a spese di chi: a spese dei comuni? Quegli stessi comuni sulle cui risorse da anni tutti quanti continuiamo a operare tagli pesantissimi! Ma soprattutto, a quanto ammonterà il costo dell'aver contribuito per questa via allo spopolamento dei nostri comuni? Quanto ci costerà? Davvero dunque qui vedo ancora volta il segno di un intervento compiuto in maniera improvvisata e con poca riflessione.
E da ultimo, vorrei tornare alla scuola primaria, un tema che mi è molto caro e che però ho visto che è stato un po' tenuto in ombra in tutta questa discussione; lei ogni tanto vi ha fatto cenno, ma in maniera un po' frettolosa. Credo che l'offerta formativa e educativa, soprattutto nella scuola primaria, non solo non debba essere ridotta, ma se possibile - naturalmente, in modo compatibile con il problema dei costi che, come detto dianzi, nessuno di noi può negare - deve essere semmai arricchita. E c'è un tema sul quale qui vedo una carenza enorme, il tema dell'educazione motoria. Tenga presente che il Governo precedente, le comunico, su questo tema si è cimentato, e ha predisposto anche degli strumenti. Nello scorso anno, 9 milioni di euro, di cui 2 milioni provenienti dal bilancio del Ministero delle politiche giovanili e gli altri attinti dalla legge n. 440 del 1997, cioè dai fondi del Ministero, sono stati messi a disposizione del sistema delle autonomie; il precedente Governo ha inoltre previsto che venticinque scuole per ogni provincia italiana potessero sperimentare, non l'ora di sport (e su questo vorrei che ci capissimo), ma l'introduzione della disciplina dell'educazione motoria, che è una cosa diversa.
Ho sentito dire l'altro giorno che lei su questo tema vuole incontrarsi - impegno che, intendiamoci, fa bene ad assumere - con il CONI; attenzione però, qui non stiamo parlando dell'avviamento precoce dei bambini ad un'attività sportiva specialistica, che è altra cosa e che, se fosse la sola che c'è, come purtroppo in parte succede in Italia, sarebbe perfino un po' deviante. Dobbiamo fare in modo che tutti i bambini, sia quelli dotati, sia quelli non dotati, scoprano la bellezza, il gusto e il piacere di muoversi e portino con sé per tutta la vita detto piacere e detto gusto: muoversi, infatti, non solo rende più felici e fa stare meglio, ma è, innanzitutto, il più importante strumento di prevenzione di quasi tutte le malattie, a partire da quella malattia endemica nel nostro Paese che si chiama obesità infantile, la quale porta con sé tante altre malattie successive.
Ma soprattutto, l'attività e l'educazione motoria nei bambini producono un effetto di conoscenza di sé, di rapporto con gli altri e di scoperta del mondo molto più efficace e molto più forte. La prego di andarsi a vedere gli studi compiuti recentemente dall'università di Urbino: in base a test svolti nelle scuole primarie italiane, per i bambini di scuole nelle quali siPag. 37pratica l'educazione motoria, rispetto a quelli di scuole in cui non si fa l'educazione motoria, l'apprendimento della matematica e dell'inglese mostrano un significativo incremento.
L'educazione motoria, naturalmente, deve essere impartita da specialisti, ed è questa la ragione per la quale il Governo precedente aveva adottato un'iniziativa che prevedeva la messa sotto contratto dei laureati in scienze motorie che escono dalle nostre facoltà di scienze motorie (le quali, grazie a Dio, sono diventate da qualche anno facoltà universitarie e naturalmente debbono essere seguite, perché si deve capire fino a che punto sono attrezzate a mettere a disposizione un'offerta formativa di questo genere). Si tratta di un'iniziativa delicata, raffinata e, a mio parere, moderna, ottenuta non con l'ora di educazione motoria - o, peggio ancora, di sport - nelle scuole elementari (cosa che sarebbe a mio giudizio improponibile e, tra l'altro, forse sbagliata), ma attraverso, per così dire, una funzione che si integra con l'attività generale che svolgono i maestri - o in questo caso, ahimè, l'unico maestro che rimarrà - e che arricchisce proprio l'offerta ed il modello pedagogico.
Naturalmente per fare questo, come lei ha ricordato - ed in ciò, invece, ha perfettamente ragione -, occorre affrontare un problema drammatico di strutture che mancano (e naturalmente questa è una situazione complessa che richiede investimenti importanti), ma anche di come queste strutture vengono predisposte e si connettono al territorio, affinché possano essere messe a disposizione di tutti, allo scopo anche di proseguire nel pomeriggio tale attività.
Le segnalo che il Governo precedente aveva adottato una misura che lei troverà ancora: 64 milioni di euro per l'apertura pomeridiana degli edifici scolastici, che in gran parte vuol dire l'apertura pomeridiana delle palestre, per metterle a disposizione del sistema sportivo da integrarsi con l'attività delle scuole.
Se poi i bambini o i ragazzi decidono di svolgere un'attività sportiva specialistica, ne sono, ripeto, felicissimo e dobbiamo fare di tutto perché ciò avvenga, ma stiamo ora parlando di una cosa diversa, e cioè del fatto che tutti i bambini, sia quelli dotati, sia quelli non dotati, facciano attività motoria. Se lei legge le ultime statistiche scoprirà che, a fronte di un incremento del numero di praticanti che si è registrato in tutti gli ultimi anni nel nostro Paese, vi è una assai preoccupante inversione nell'età adolescenziale, per cui moltissimi bambini o ragazzi abbandonano l'attività sportiva nell'età adolescenziale. Ma ciò dipende esattamente dall'offerta che noi gli proponiamo, perché se il modello è quello del «campioncino» solo il bambino o la bambina dotati continueranno ad occuparsene, mentre gli altri naturalmente smetteranno, si metteranno davanti alla televisione e non faranno più niente.
Quindi, con riferimento a quella scuola primaria italiana che già funziona bene, prima di operare interventi che inevitabilmente porteranno (temo) a guai, avrei cercato di capire come far proseguire l'azione che abbiamo intrapreso negli anni passati, cercando piuttosto di arricchire ed integrare l'offerta che si deve fare ai bambini, non con l'ora curricolare - ripeto -, ma mediante l'integrazione con quel modello di team che si è rivelato un modello formativo efficace (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Di Giuseppe. Ne ha facoltà.

ANITA DI GIUSEPPE. Signor Presidente, signor Ministro, signor sottosegretario, mi fa molto piacere che sia presente questa sera in Aula il Ministro dell'istruzione, in maniera tale che possa ascoltare anche la voce di chi da tanti anni opera nella scuola.
Signor Ministro, da sempre nella scuola gli utenti, ovvero quelli che si rapportano con la scuola sia trasversalmente che direttamente, richiedono un'azione efficace. Si richiede alla scuola di essere educativa, di unire all'azione informativa anche quella educativo-formativa, soprattutto di essere il luogo di formazione sociale chePag. 38deve promuovere il benessere degli studenti. Il luogo dove meglio si evidenziano problematiche come l'emarginazione, la solitudine e i disagi. È dovere, quindi, della scuola educare i ragazzi sia a conoscersi meglio sia a sapersi rapportare con gli altri e curare atteggiamenti negativi come il bullismo. Però, devo porle una questione, signor Ministro: è davvero sicura che, con il voto in condotta, il bullo si ridimensiona o, perlomeno, avrà paura della bocciatura? Vi sono problematiche ben più serie alle spalle del bullo. Il bullismo è una questione che deve essere risolta, adottando delle strategie particolari e non soltanto con la repressione.
Questa mattina ho sentito parlare di scuola di sinistra, di trent'anni di scuola dell'obbligo della promozione; ma questo non è vero. Noi vogliamo non una scuola dell'obbligo della promozione, ma una scuola formativa, che formi soprattutto gli studenti e non siamo di certo per la scuola delle bacchettate sulle mani. Non basta soltanto l'osservazione della regola, bisogna soprattutto tendere alla qualità del servizio e lo ha affermato anche lei. Bisogna valorizzare le risorse professionali che operano all'interno della scuola per fare in modo che il percorso educativo rivolto ai ragazzi sia efficace ed efficiente. Questa è la scuola che vuole l'Italia dei Valori.
Appena nominata, lei ha sostenuto che non avrebbe prodotto cambiamenti nella scuola, poi, però, ha predisposto il decreto-legge n. 137, senza tener presente l'opinione dei sindacati soprattutto del mondo della scuola. Forse, Ministro, veramente dovrebbe imparare ad ascoltare con un pizzico di umiltà quelli che sono definiti gli addetti ai lavori ovvero quelle persone che veramente operano all'interno della scuola. In fondo, che cosa vogliamo noi dell'Italia dei valori? Che i ragazzi imparino a saper essere in una società che ormai è multiculturale e multietnica. Riteniamo proprio che i temi dell'istruzione debbano essere al centro delle politiche del Governo. Non siamo d'accordo con chi dice che nella scuola vengono sperperati dei soldi. Noi li chiamiamo investimenti, perché, quando si investe nella scuola, si investe chiaramente nella società.
Per quanto riguarda il ritorno del maestro unico, questa decisione porterà veramente indietro l'istruzione primaria, perché la scuola primaria si è dedicata alla ricerca scientifica, pedagogica e ha attivato i laboratori che poi hanno trovato un pieno gradimento sia da parte degli studenti che delle famiglie e degli insegnanti. Riteniamo, quindi, che questa decisione - ormai glielo stanno dicendo tutti - il fatto di tornare al maestro unico è da ricollegare esclusivamente alla politica dei tagli messa in atto dal Ministro Tremonti.
Ho ascoltato anche questa mattina - ci ascolta molto il Ministro: se ne va! - che la scuola primaria è una scuola che dà dei risultati ottimali. Io voglio, invece, parlare della scuola dell'infanzia perché qualcuno sostiene che sia un nido ovattato. Non è vero: la scuola dell'infanzia è una scuola formativa, non è una scuola di custodia e di assistenza. I bambini, attraverso i campi di esperienza, arrivano al primo anno della scuola primaria con competenze adeguate.
Addirittura, alcuni alunni sanno utilizzare il computer e magari si è già messo in atto l'alfabetizzazione di inglese; pertanto, voglio sottolineare l'utilità di non chiudere le scuole dell'infanzia, soprattutto nei piccoli paesi. Con l'arrivo di questi bimbi, soprattutto quelli del terzo anno dell'infanzia, che hanno competenze maggiori, occorrono maestri che siano sempre più competenti, specializzati e, soprattutto, con una preparazione più dettagliata, per bambini che sono sempre più curiosi e più informati. Quindi, affermare che i bimbi delle prime classi hanno bisogno di una figura di riferimento è anacronistico: con tali presupposti, questi bimbi non hanno bisogno del maestro «tuttologo», che dia semplicemente un'infarinatura generale.
È questa la realtà: i provvedimenti messi in atto dal decreto-legge in esame non hanno una motivazione pedagogica, ma soltanto una motivazione dettata dalla legge finanziaria di Tremonti.Pag. 39
Poi parliamo anche del tempo pieno, perché al riguardo non vi è molta chiarezza all'interno del decreto-legge n. 137 del 2008. Infatti, anche il tempo pieno è stato gradito dalle famiglie, dai docenti e dai ragazzi: è la scuola della cooperazione, dell'approfondimento e non è sicuramente un parcheggio per ragazzi; è il luogo dove veramente si può offrire al bambino e ai bambini una pari opportunità di apprendimento.
Per quanto riguarda la valutazione, poi, adesso anche con una sola insufficienza si può essere bocciati. Ma è formativa questa valutazione, così come è stata proposta? È necessario valutare il percorso didattico dell'alunno, partendo da una situazione iniziale; quindi, bisogna verificare in itinere quali sono i risultati raggiunti dall'alunno. Ora, se un bimbo parte da un voto pari a 3 - per dirla come adesso volete esprimere voi la valutazione - per poi arrivare a 5, è una valutazione che è formativa, perché il bimbo ugualmente ha raggiunto dei risultati. Poi, poco cambia se questa valutazione è espressa con un vocabolo o con un numero. D'altronde, i decreti delegati qualcosa di buono lo hanno anche fatto: con l'ingresso a scuola dei genitori, i genitori ormai si erano abituati a capire cosa era un «non sufficiente», un «sufficiente», un «buono» e un «distinto», quindi questo cambiamento credo che produca ben poco.
In questo modo dimentichiamo ciò che è di fondamentale importanza, vale a dire le recisioni degli organici: bisogna evitare l'accorpamento delle classi e soprattutto la chiusura delle scuole nei piccoli comuni; infatti, come l'onorevole collega sosteneva prima, chiudere una scuola significa spopolare il paese, perché viene a mancare il servizio fondamentale, che è quello dell'istruzione.
Queste sono le priorità della scuola, e non il voto in condotta o addirittura il grembiulino, ma ormai glielo stiamo ripetendo tutti.
Vi è stato molto clamore per la visita in Molise, a San Giuliano di Puglia, del Presidente Berlusconi e del Ministro Gelmini, ma fino a quando resterà aperta quella scuola? E per una scuola che si inaugura, altre centinaia di scuole verranno chiuse con il piano di ridimensionamento preparato e predisposto dal Ministro Gelmini. Allora, sapete cosa pensiamo? Che il Ministro abbia perso un po' tempo, abbia preferito veramente «insaccare la sabbia». Preferiremmo che le istituzioni scolastiche si interessassero di più delle competenze, dei curricula: questo è importante. Noi, considerando che la conoscenza è un bene e l'ignoranza è un male, vorremmo consigliare il Ministro Gelmini di salvaguardare la conoscenza e soprattutto di non invogliare all'ignoranza.
La nostra Costituzione recita: «l'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro». Questo Governo, per quanto riguarda la democrazia lascia un pò a desiderare, perché certamente non ha ascoltato i consigli che l'opposizione gli ha fatto pervenire.
Per quanto riguarda poi il lavoro, cominciamo a temere un po' di più, perché pare che la parola disoccupazione diventi ogni giorno più concreta.
Ministro Gelmini - che adesso è andata via - le sue decisioni in merito alla scuola sono «antipopolari», e non impopolari come lei ha affermato, perché distruggono la scuola e la sua autonomia, favoriscono l'ignoranza e creano anche disoccupazione.
Infine, è vero, l'insegnamento è una missione, un mestiere che non possono fare tutti (lo ha sempre sostenuto lei), ma sa cosa pensano molti docenti? Che essere Ministro dell'istruzione prevede altrettanta preparazione e competenza.
Allora, signor Ministro, abbia coraggio: si confronti con gli insegnanti per riflettere su quello che è il ruolo della scuola, sulle migliori condizioni organizzative di un buon fare scuola, perché questo è importante. Il nostro sistema scolastico ha bisogno di una scuola di base che non sia di rigore o punitiva, ma che sia autorevole, credibile e solida. Non possiamo disperdere un patrimonio di professionalità posseduta da migliaia di docenti (pare che lei non creda molto a questo patrimonio di professionalità) che in tutti questi anni haPag. 40tenuto alto il livello qualitativo della scuola primaria. Alle ragioni, alle necessità e alle esigenze della scuola, signor Ministro, non si può rispondere a colpi di decreto come sta facendo lei.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Rossa. Ne ha facoltà.

SABINA ROSSA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevole rappresentante del Governo, il Consiglio dei ministri ha approvato il 28 agosto un nuovo decreto-legge che riguarda la scuola. Nella predisposizione e nell'emanazione dell'atto credo si possano indicare motivi di illegittimità che possono assumere profili di incostituzionalità.
In primo luogo, ciò che si rileva è la mancanza di un'effettiva urgenza. Le materie trattate riguardano, all'articolo 1, l'avvio di una sperimentazione nazionale, finalizzata all'acquisizione di competenze relative a cittadinanza e Costituzione, a decorrere dall'inizio dell'anno scolastico 2008-2009, e all'adozione di corrispondenti azioni di sensibilizzazione e di formazione del personale insegnante. Poiché tale sperimentazione viene promossa dal Ministro ai sensi dell'articolo 11 del decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 275, e poiché non comporta nuove spese, non è assolutamente necessario il ricorso ad un atto legislativo per realizzarla.
L'articolo 2 introduce (sempre a decorrere dall'anno scolastico 2008-2009) il voto di condotta in decimi per gli studenti della scuola secondaria di primo e secondo grado. Tale votazione determina, se inferiore a sei decimi, la non ammissione al successivo anno di corso o all'esame conclusivo del ciclo. Con decreto ministeriale dovrebbero poi essere specificati i criteri per correlare la particolare e oggettiva gravità del comportamento al voto insufficiente, nonché eventuali modalità applicative. Anche qui, non esiste alcun motivo di urgenza, perché la scuola non è priva di strumenti disciplinari volti a colpire fenomeni di bullismo fra le aule scolastiche. Infatti, proprio il 1o agosto 2008 il Ministro in carica aveva licenziato una circolare che dava attuazione al decreto Fioroni sulle modifiche allo statuto degli studenti in base alle quali venivano individuate le procedure per colpire duramente (anche sul piano dell'esito degli studi, quindi con bocciature e con esclusione dagli esami finali) i comportamenti gravemente scorretti.
All'articolo 3 vengono introdotte modifiche alle attuali modalità di valutazione del rendimento scolastico, che vengono ora espresse in decimi per tutti gli ordini scolastici. Si tratta di materie di carattere tecnico-didattico che non presentano carattere di urgenza e che possono essere trattate con legge ordinaria; lo stesso decreto-legge rinvia il completamento della loro trattazione a un ulteriore strumento delegificante.
All'articolo 4 si prevede la possibilità di costruire classi affidate ad un unico insegnante e funzionanti con un orario di ventiquattr'ore settimanali. La misura mira a completare quei criteri per la definizione del piano di razionalizzazione di cui all'articolo 64 del decreto-legge 25 giugno 2008 n. 112, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2008 n. 133. Essa è destinata a entrare in vigore negli anni scolastici successivi e può pertanto essere trattata come una legge ordinaria.
L'articolo 5 prevede che, salva la ricorrenza di specifiche e motivate esigenze, l'adozione dei libri di testo avvenga con cadenza quinquennale, a valere per il successivo quinquennio. Anche in questo caso si tratta di materia su cui già possono deliberare i competenti organi scolastici e che, comunque, non presenta carattere di urgenza e potrebbe essere trattata con legge ordinaria.
Agli articoli 6 e 7 si reintroduce il valore di esame di Stato abilitante all'insegnamento, all'esame di laurea sostenuto a conclusione dei corsi in scienze della formazione primaria; si modificano, inoltre, alcune disposizioni relative all'accesso alle scuole di specializzazione mediche. Si tratta di provvedimenti adottabili per viaPag. 41ordinaria, che possono comunque, come ormai di norma, sanare situazioni di ammissione con riserva.
A proposito del carattere di urgenza, il 1o agosto 2008 lo stesso Consiglio dei ministri non aveva riconosciuto tale requisito, approvando, sulle stesse materie, un disegno di legge ordinaria. È quindi difficile sostenere che la situazione nelle scuole sia precipitata proprio nel mese di agosto.
In definitiva, ci sembra evidente che il decreto-legge rivesta un'esclusiva valenza propagandistica, riguardante l'immagine di un Governo che riporta l'ordine nelle strade e nelle scuole e che mette a posto i rom, i bulli e i fannulloni.
In realtà, quello che osserviamo è che c'è da tagliare e, quindi, la scuola, ma anche l'università e la ricerca, in fondo, sono il terreno più semplice e facile. Lo si può fare con il pallottoliere, con una preparazione matematica non molto superiore alle famose tabelline, magari dopo aver annunciato nei programmi elettorali che la scuola è la vera priorità del Paese e che, senza scuola non c'è futuro, ma retropensiero è nella convinzione che questo Paese al futuro non ci pensa davvero!
È tradizione che, ad ogni nuovo Governo, in Parlamento si attui uno scontato «tira e molla» in cui il Ministro dell'economia tiene stretti i cordoni della borsa e il Ministro dell'istruzione cerca di allentarli, ma questa volta il Ministro ha fatto proprie, senza batter ciglio, le ragioni dell'economia, addirittura assumendole come bussola su cui orientare le scelte didattiche, i tempi e le modalità del percorso educativo. Così, oltre ai tagli di ordinanza (quelli dovuti ai processi di razionalizzazione per i quali, comunque, la scuola paga un pegno pesante), sono state varate misure strutturali - come il maestro unico - con la conseguente cancellazione strisciante del tempo pieno.
Questo è il punto e, Ministro, lei fa affermazioni davvero difficili da poter mantenere, credo, quando sostiene che, con l'adozione del maestro unico, non verrà meno il tempo pieno e che aumenterà lo spazio ad esso riservato, quando afferma che il Governo si rende conto che nelle famiglie vi sono difficoltà economiche e che la maggior parte delle mamme lavora. Su questo tema ha rassicurato mamme e papà.
Inoltre, basandosi su una simulazione di Tuttoscuola, il Ministro ha affermato che il tempo pieno potrà essere addirittura incrementato del 50 per cento, passando dalle attuali 34 mila, fino alle 50 mila classi. La simulazione in oggetto, in realtà, sembra essere in questi termini, perché attualmente le classi di scuola primaria organizzate a modulo (cioè, due classi con tre docenti) sono circa 104 mila, ossia il 75 per cento del totale, mentre quelle a tempo pieno (cioè, una classe con due docenti) sono circa 33 mila, ossia il 25 per cento. Ora, se circa la metà delle classi normali a modulo passassero a ventiquattro ore settimanali, vi sarebbero 50-52 mila classi con il docente unico, con un risparmio di altrettante mezze unità di personale, quindi 25-26 mila posti. Supponendo che un terzo di quel risparmio, pari a 16-17 mila mezze unità di personale docente, ossia 8 mila posti, fosse reinvestito gradualmente in nuove classi a tempo pieno, avremmo l'incremento di altrettante classi, le quali passerebbero dalle attuali 33 mila, ossia il 25 per cento del totale, a circa 50 mila, ossia il 37 per cento del totale.
Ciò che non viene chiaramente detto è che anche con questa farraginosa ipotesi avremmo un 10 per cento degli studenti in più che potrebbero usufruire del tempo pieno, ossia circa 300 mila, ma questo a fronte di un 38 per cento, quindi ben 1 milione e 50 mila studenti, ai quali verrebbe, invece, imposto il maestro unico. Allo stesso tempo, se l'attuazione del maestro unico partisse a pieno regime, ossia per tutti e cinque gli anni della scuola elementare, i provvedimenti porterebbero nel complesso ad un esubero di 83 mila unità.
Si sta di fatto smantellando la scuola pubblica partendo da quel segmento, la scuola primaria, che ne costituisce il punto più alto riconosciuto a livello italiano ed internazionale. E ciò avviene ingannandoPag. 42l'opinione pubblica, parlando di ritorno ai grembiulini e del voto in condotta. Torna quindi la vecchia e buona scuola elementare degli anni Cinquanta, ma anche prima, quella sulla quale ancora oggi scrivono parole di accorata nostalgia giornalisti ed intellettuali vari. A loro, si sa, la scuola è andata bene. Ma quel che stupisce è che, tuttora, non si siano resi conto che quella buona scuola paterna e materna, lasciava indietro, fin dalle elementari, migliaia di bambini, quelli dell'ultimo banco, quelli su cui raramente lo sguardo del maestro si posava, quelli che, finito il tempo breve della scuola, tornavano in casa senza libri e senza lingua. Perché, in passato, sono stati i figli dei più poveri a studiare meno, al contrario delle classi sociali abbienti che avevano accesso ad una ricca offerta formativa, ben oltre le quattro ore scolastiche previste.
C'è un punto su cui è bene essere chiari: si ascoltano tesi che quasi tendono a presentare la scuola primaria come un servizio assistenziale per le famiglie e non come un grande progetto educativo di cui sono protagonisti i nostri bambini in quanto portatori di diritti, un progetto fondamentale su cui si gioca una buona parte del futuro di tutta una nazione. Ricordiamoci che il tempo pieno, la cultura della compresenza, del progetto didattico condiviso, non nacque semplicemente per permettere alle madri di andare a lavorare, ma anche per fare una scuola capace di valorizzare le diverse intelligenze di tutti, con il linguaggio delle mani e dei corpi, la cultura dei libri e la cultura del fare, per evitare che la scuola si limitasse a riprodurre le differenze sociali e culturali delle famiglie di origine. Questa missione della scuola è ancora più decisiva oggi, quando i bambini provenienti da paesi diversi dal nostro sono in crescita esponenziale.
Come farà, ci chiediamo, il maestro unico ad affrontare problemi già così difficili per chi, pur lavorando in equipe, fatica per costruire uguaglianza nella diversità, fra stereotipi e pregiudizi, in scuole nelle quali i bambini stranieri sono più di un terzo? Dietro i banchi oggi ci sono bambini indiani, cinesi, pachistani, ricchi e poveri e nell'affrontare tutte le diversità un solo insegnante, per quanto preparato e motivato, sarebbe sicuramente in grosse difficoltà. Sarà insomma ridotta la possibilità dell'apprendimento dei saperi fondamentali - leggere, scrivere e far di conto - per tutti i bambini e particolarmente per quelli che hanno minori opportunità educative al di fuori della scuola.
Qui si inserisce un altro aspetto del problema che il Ministro e anche il dibattito politico hanno largamente ignorato, problema che però è stato colto - e devo dire efficacemente - dal Ministro per le riforme Bossi che ha usato queste parole: «Se c'è un solo insegnante è più facile che si rovini il bambino; se ci sono più insegnanti almeno qualcuno è buono». Un maestro inefficace didatticamente o incapace di motivare rischia di pregiudicare seriamente le basi dell'apprendimento dei suoi alunni per cinque anni e per tutta la loro vita scolastica futura. Ne deriva che, a maggior ragione, in un contesto di molteplicità dei saperi, la pluralità di maestri e il lavoro di equipe possono garantire più qualità di apprendimento per i bambini.
La scuola italiana ha puntato in questa direzione e proprio a livello elementare ha raccolto consensi e ottimi risultati. Il fatto che proprio non si capisce è perché si vada a toccare l'unica parte del sistema formativo italiano che funziona, la scuola primaria. Di questo se ne ha conferma dai risultati delle valutazioni scientifiche internazionali. Nel 2001, l'indagine IEA-PIRLS ha dimostrato, esaminando la capacità di lettura degli allievi di quarta elementare in 35 paesi, che gli studenti italiani si collocano sopra la media per capacità di lettura. È altresì vero che l'indagine TIMSS ha fatto lo stesso, per matematiche e scienze: qui i nostri alunni si dimostrano agli ultimi posti, fra i paesi industrializzati, in capacità di applicare e ragionare in matematica.
Comunque la scuola elementare italiana, nel suo complesso, ha una performance superiore rispetto alla media internazionale e pensare che sia migliorabilePag. 43con l'introduzione del maestro unico è a dir poco difficile. Molto più facile è, invece, immaginare l'elenco dei servizi che non sarà più possibile garantire ai bambini.
Ci chiediamo quante attività di ricerca, di approfondimento, quanto gioco finalizzato all'apprendimento attivo (che richiede tempo e presenza di più docenti), si potrà realizzare con 24 ore di funzionamento settimanale che comprenderanno, lo sappiamo, le ore di inglese, di religione e forse anche le attività motorie (a meno che non si sia deciso di eliminarle totalmente, visto che ancora oggi non esiste la figura dello specialista dedicato quindi, ad esempio, il laureato in scienze motorie).
Inoltre quante uscite sul territorio, quante gite culturali si potranno fare? Come si potranno aiutare i bambini che hanno più carenze o assistere quelli diversamente abili in mancanza del docente di sostegno? Chi si occuperà dei bambini stranieri che affrontano le difficoltà di un ambiente estraneo anche per la lingua?
E ancora le mense, il tempo scuola: in molti comuni le famiglie dovranno riorganizzare il proprio tempo per far fronte alla mancanza di mense oppure esse verranno gestite da personale estraneo alla relazione didattica. Insomma, per i più sfortunati, insieme alle mense torneranno i doposcuola. E se sono questi i risultati del decreto-legge n. 137 del 2008 di quali esigenze pedagogiche si può parlare oltre alla perdita di circa ottantamila posti di lavoro?
La scuola elementare, la scuola primaria, è un grande fenomeno sociale, prima ancora di essere un'articolazione del sistema di istruzione è un luogo universale che affronta da subito l'impatto con le nuove tendenze demografiche, sociali, culturali, della popolazione del nostro Paese. Oggi, ad esempio, accoglie nelle sue aule una quota crescente di bambini non italiani - siamo ora all'8,5 per cento, ma in alcuni territori oltre il 15 o il 20 per cento - e deve imparare a costruire nuove grammatiche di convivenza, dar senso all'alfabetizzazione funzionale, praticare inedite forme di dialogo sociale. Se c'è conflitto attorno alla scuola elementare, al suo modo di essere, ai suoi valori, viene messa a repentaglio la funzione di pacificazione sociale che questa istituzione diffusa ed estesa, sia nel suo insediamento che nei suoi tempi di funzionamento, ha svolto in Italia, non solo nell'età della Repubblica, ma fin dall'unificazione del nostro Paese.
Il modello organizzativo della scuola elementare è assai vicino a quello di tutti gli altri segmenti scolastici, anzi il rapporto docenti per classi, pari a 1,77, è inferiore a quello della scuola media che è pari a 2,10, delle superiori pari a 1,93 e della scuola d'infanzia pari a 1,97. Semmai va ricordato che la presenza della scuola elementare in ogni contrada del nostro territorio (sono oltre sedicimila gli insediamenti scolastici) risponde ai caratteri di una scuola di comunità, ma anche che questo implica un elevato numero di classi e di rapporti numerici più bassi.
Piuttosto che azzerare un modello organizzativo costruito nel corso degli anni sarebbe necessario interrogarsi su questa presenza distribuita della scuola elementare nel territorio, sui suoi vantaggi e svantaggi, sulla flessibilità del modello organizzativo nei diversi contesti: piccole scuole, tempo pieno, aree urbane a forte immigrazione. L'organico funzionale abbozzato a metà degli anni Novanta proprio a seguito delle prime verifiche della riforma modulare della scuola elementare ma mai attuato, sarebbe la via maestra per ridurre eventuali zone di spreco e commisurare le risorse all'effettiva complessità dell'organizzazione scolastica.
Ma l'emergenza sui conti pubblici da sola non spiega la disputa di oggi sulla scuola elementare, c'è dell'altro, c'è una forte rimessa in discussione dei principi pedagogici sui quali si è costruita la nuova scuola primaria dagli anni Settanta ad oggi.
Il profilo pedagogico viene da prima, abbiamo parlato del tempo pieno che risale al 1971, dall'introduzione dei concetti di valutazione formativa, flessibilità organizzativa, integrazione scolastica, del ruolo formativo dei sistemi simbolici e deiPag. 44linguaggi che danno forma al pensiero. Dunque, è il tema dell'alfabetizzazione culturale che sostiene l'idea di una pluralità di presenze e di insegnanti nella scuola elementare oltre che nella scuola d'infanzia.
Oggi non basta un solo docente per aiutare i bambini ad incontrare la ricchezza dei saperi. È un'idea povera e forse benevolmente paternalistica quella che vorrebbe affidare ad una sola figura il filtro dei tanti stimoli che giungono, spesso, disordinatamente ai bambini. Mi riferisco ai linguaggi, alle forme espressive, ai gadget tecnologici, agli strumenti riferiti al mondo dell'arte, della musica e delle scienze, della storia e delle lingue, che vanno riorganizzati, ristrutturati, rielaborati per conoscere la realtà, per comprenderla e per descriverla.
Sono gli insegnanti i portatori di questi diversi saperi ed è bene che ne siano competenti e appassionati. Sono queste le ragioni nobili che stanno a fondamento del team docente, vale a dire la sollecitazione a prendersi cura insieme, come gruppo di docenti competenti e appassionati dei saperi, dell'educazione di un gruppo di bambini, incrementando la qualità degli stimoli culturali e della mediazione didattica attraverso la cooperazione, la condivisione e la riflessione comune. Nasce da tale esigenza il tempo obbligatorio dedicato alla programmazione e alla verifica del lavoro settimanale da realizzare in classe.
La pluralità dei docenti, dunque, è nata per arricchire la relazione educativa con i bambini, per offrire un ambiente più equilibrato e presentare punti di vista sulle cose e non un'unica lettura semplificata della realtà, al fine di rendere più efficace l'azione didattica degli insegnanti, per fare interagire esperienze vissute con nuovi stimoli culturali, per dare consistenza e unitarietà alle esperienze di apprendimento e per costruire motivazioni e senso per le cose che si fanno insieme a scuola.
Una giornata a tempo pieno consente di garantire un'equilibrata distribuzione delle attività e permette di caratterizzare la vita delle classi in termini più operativi, come dicevamo, con laboratori, con uscite e atelier, in una didattica più attiva che comunque deve rispettare il curriculum nazionale obbligatorio nelle discipline come nel modulo.
La scuola a tempo pieno si è diffusa gradualmente fino a raggiungere oggi la quota del 25 per cento in tutte le classi, ma con forti differenze territoriali. È superiore al 50 per cento in alcune regioni e grandi città del nord, inferiore al 5 per cento in molte aree del sud. I genitori gradiscono il modello a tempo pieno e, infatti, la richiesta oggi è superiore alla possibilità di accoglienza. Soprattutto nelle aree a intensa urbanizzazione abbiamo il 25,2 per cento della richiesta a fronte di un 23,9 di offerta e la richiesta aumenta ogni anno di 0,4 punti in percentuale.
Si tratta di questioni che non possono essere affrontate a colpi di decreti-legge e regolamenti amministrativi, ma solo aprendo un forte confronto a tutto campo sul senso della scuola elementare oggi, sulle sue tipologie organizzative, sui suoi punti di criticità e sulle sue positività, sulle sue virtù e sugli eventuali sprechi. Quindi, la nostra critica - devo dire il nostro totale dissenso - al decreto-legge in esame non vuole certo essere un alibi per l'immobilismo o per una critica a difesa dello status quo. Pertanto, ritenere che tale provvedimento sia, in qualche modo, da respingere non si vuole intendere che non vi sia nulla da fare per migliorare la qualità della scuola.
In ordina al tema della spesa pubblica ricordiamo che il Ministro ha denunciato l'eccesso di spesa dovuta alla presunta pletora di insegnanti. Verifichiamo, invece, che non la preoccupa il ventiduesimo posto su trenta nella graduatoria dei Paesi OCSE e una percentuale pari al 3,5 rispetto al PIL della spesa pubblica e privata destinata all'istruzione preuniversitaria. Tuttavia, sappiamo che tale argomento è forse l'unico che, se preso sul serio, consentirebbe di aprire la strada, con il sistema dei bonus e con quello delle fondazioni nel quadro di una realizzazione pervertita e incostituzionale del federalismo fiscale, ad un cospicuo finanziamento della scuola privata.Pag. 45
Dispiace che fino ad oggi autorevoli commentatori economici non abbiano avvertito che si tratta di una grossolana falsificazione della realtà, perché il Ministro lamenta che la spesa per gli stipendi del personale arrivi a coprire il 97 per cento del bilancio dell'istruzione. Questa sarebbe davvero una distorsione insopportabile per il nostro sistema scolastico. Le cose, in realtà, pensiamo stiano diversamente, perché innanzitutto la spesa per gli stipendi non coincide con la spesa per il personale che comprende, invece, le indennità accessorie dei fondi di istituto legate alla realizzazione di progetti e alla tassa dell'IRAP.
Secondo le stesse fonti ministeriali la spesa per stipendi del bilancio del Ministero della dell'istruzione, dell'università e della ricerca comprendente gli oneri previdenziali ed erariali nel 2004 rappresentavano l'88,4 per cento della spesa corrente. Inoltre, la spesa per l'istruzione preuniversitaria non si esaurisce in quella del Ministero, ma deve comprendere quella degli enti locali e delle regioni, attestandosi sui 50,7 miliardi nel 2004.
È questo il dato cui si deve aggiungere quello delle famiglie a favore delle scuole statali (pari a 7,7 miliardi) che viene comparato nelle rivelazioni OCSE, citate spesso a sproposito, ma significativamente ignorate a tale riguardo. In questo corretto quadro di riferimento della spesa per l'istruzione si devono fare i raffronti internazionali che, stranamente, abbondano per i rapporti PISA, ma latitano per quanto riguarda i raffronti sulla spesa per l'istruzione.
Dal rapporto OCSE, ad esempio quello del 2007 riportato nel volume dello scorso anno, che presenta una tabella riguardante tutti i Paesi OCSE associati, risulta che per l'Italia, per il 2004, sul complesso della spesa per l'istruzione e la sua formazione, come descritta, quella totale di parte corrente è pari al 93 per cento, quella in conto capitale è del 7 per cento, quella di parte corrente per i soli docenti è del 62,5, quella per tutto il personale è dell'80,7 per cento.
Del 19,3 per cento risultano, invece, le spese di parte corrente non destinate al personale. Se ne ricava che la situazione in Italia non è poi così catastrofica come strumentalmente ce la descrive il Governo. C'è sicuramente da risanare, e di questo ne siamo convinti, c'è da ottimizzare la spesa per la scuola, ma non bisogna dimenticare che nel sud la spesa degli enti locali e delle famiglie è molto al di sotto della media nazionale. Il Ministro ci parla solo di spesa per gli stipendi perché forse, ignorando i dislivelli di quella complessiva, può giustificare i tagli e può facilmente prendersela con gli insegnanti ignoranti e fannulloni del nostro Mezzogiorno.
Per concludere vorrei citare l'ultima legge finanziaria, quella del Governo Prodi, che individuò uno strumento innovativo e non centralistico, concordato tra Ministero dell'economia e delle finanze e Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca che dava finalmente spazio e potere al decentramento territoriale e alle autonomie scolastiche e si proponeva di sperimentare in un congruo numero di province, anche in deroga alle disposizioni vigenti, con un'azione congiunta di Ministero, regioni, province e comuni e con il protagonismo delle scuole stesse, modalità nuove di utilizzo degli organici, di composizione delle classi, finalizzate a ridurre gli sprechi e a rendere più efficace l'azione formativa, con un vincolo importante, però: che tutti i risparmi venissero reinvestiti nella scuola stessa, in laboratori, attrezzature, tecnologie, nella crescita e nella piena valorizzazione economica della professionalità insegnante. Quello strumento è legge dello Stato ed è oggi una concreta e praticabile alternativa ai tagli con la sega elettrica contenuti in questo decreto del Governo, una proposta che può ridare fiato alla scuola ed una concreta azione di riforma che è quella che ogni giorno porta avanti chi nella scuola vive e lavora.
Detto questo, siamo consapevoli che nel nostro Paese esiste una grave emergenza educativa ed esiste la necessità di una nuova formazione delle giovani generazioni. C'è bisogno di una riforma dellaPag. 46scuola che parta dalla consapevolezza del ruolo che deve avere l'istruzione per il Paese e che intervenga sia sull'ambito educativo del rigore ma, soprattutto, della formazione del pensiero e dell'istruzione.
Vogliamo riforme, quindi, e non decreti, che sono la mortificazione della scuola, emergenza educativa e non tagli indiscriminati e ulteriore impoverimento culturale dei ragazzi, quindi coinvolgimento degli insegnanti e non scontro o impronte digitali per chi protesta. Siamo di fronte a un punto di non ritorno che deve vedere le culture del nostro nuovo secolo discutere in chiave illuminata, progressiva, di investimento sulle nuove generazioni e sui loro insegnanti (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Sarubbi. Ne ha facoltà.

ANDREA SARUBBI. Signor Presidente, sono molto contento di vedere in aula il Ministro Mariastella Gelmini per la quale nutro - come lei stessa sa - una simpatia personale, che oggi, però, dovrò mettere da parte.
Il Ministro, come me, è nuova alla politica nazionale e, pur avendo qualche esperienza a livello locale, in questo ambito anche per lei è una prima volta. Quindi, credo che possa imparare qualcosa da questa discussione, come, per esempio, quello che dice un proverbio che non so se conosce, ma è abbastanza noto: «Se vuoi andare veloce, vai da solo, ma se vuoi andare lontano, vai insieme agli altri». Significa che le decisioni migliori si prendono soltanto dopo aver ascoltato tutti o almeno qualcuno.
Non dico che lei deve ascoltare noi dell'opposizione, dal momento che nessuno dei colleghi di Mariastella Gelmini è avvezzo a questo genere di consuetudine: non lo avete mai fatto fino ad ora. Se consultasse l'opposizione prima di assumere una decisione, lei sarebbe il primo Ministro a farlo dall'inizio della legislatura. Ma, Ministro, almeno ascolti gli addetti ai lavori, soprattutto gli insegnanti, che da almeno tre mesi la stanno «bombardando» di e-mail, nella speranza che qualcuno le legga. Ciò accade da mesi anche a noi parlamentari, che riceviamo e-mail dagli insegnanti disperati. Personalmente ne ho ricevute almeno quattrocento in poche settimane. Siccome il nostro compito è rappresentare la società - chi ci ha votato e anche chi non lo ha fatto - oggi, nel mio intervento, sarà utile leggere in aula (e dunque al Ministro, che mi ascolta) alcune di queste e-mail, al fine di dare la parola a chi ne sa più di noi, avendo dedicato alla scuola tutta la vita, professionale e personale, dal momento che il mestiere dell'insegnante mette insieme i due ambiti. Si tratta di una professione molto difficile, che spesso richiede grandi sacrifici e che non fornisce grandi soddisfazioni economiche. Meno male che ci sono i ragazzi e che c'è il rapporto con loro, perché altrimenti - se non ci fosse nemmeno questa soddisfazione - credo che l'Italia sarebbe vuota di insegnanti. Spesso l'unica cosa che regge l'insegnamento in Italia è il rapporto tra alunno e docente e il desiderio di costruire un'Italia migliore.
Signor Ministro, l'ultima e-mail che è arrivata nella mia casella - ma suppongo anche nella sua e anche in quella dei colleghi del centrodestra - è di giovedì scorso, quattro giorni fa. Un'insegnante che si chiama Simona mi ha scritto: «Onorevole, mi rivolgo a lei perché la scuola non può essere cambiata a colpi di decreto-legge. Onorevole, la invito a rappresentarci durante la discussione parlamentare (ecco perché mi trovo qui), affinché la trasformazione generale della scuola italiana non sia finalizzata ad un progetto generale di riduzione e di depotenziamento, di perdita di qualità e di efficacia, a partire proprio dalle elementari. La invito a far risuonare in Parlamento i nostri "no": no alla politica dei tagli; no al ritorno del maestro unico e tuttologo; no alla cancellazione del tempo pieno; no alla riduzione del tempo-scuola; no al massacro dei precari». Queste sono soltanto alcune delle cose che ha scritto questa insegnante.Pag. 47
Come forse il Ministro saprà, nella vita precedente alla politica svolgevo il lavoro di giornalista, per cui ho il vizio di riassumere le cose e lo faccio anche adesso a beneficio di chi ci sta seguendo alla radio e in televisione. Il 27 agosto era un mercoledì, il Parlamento era ancora in pausa estiva e, pertanto, quest'aula era ancora più vuota di quanto non sia oggi. Ma il Ministro Gelmini, che, se non ricordo male, era in vacanza fino a tre giorni prima, dal momento che è tornata al lavoro il 25 agosto (Ministro, vede come la seguo!) il 27 decide di intervenire e il Parlamento - lo ripeto - è ancora in pausa estiva.
Tuttavia, il Ministro Gelmini, considera questa circostanza una minuzia di poco conto. I maligni parlerebbero di un «impiccio» in meno. Siccome non sono maligno, propendo per la sua buona fede. Quindi, il Ministro Gelmini annuncia il varo della nuova riforma della scuola, andando anche nel dettaglio e parlando di maestro unico, grembiulino, voto in condotta e tutto il resto.
Il giorno successivo, giovedì 28 agosto - lo ricordo, dal momento che conservo ancora la copia del giornale a casa - il Corriere della sera pubblica tutto in due articoli: uno in cui si spiega cosa è successo e un altro che entra nel dettaglio dei singoli provvedimenti.
Ora, il Corriere della sera è il sogno lavorativo di tanti giornalisti, sarà anche uno dei più autorevoli giornali italiani, vende circa 600 mila copie al giorno, ammettiamo che lo leggano un milione e duecento mila persone, ma il Corriere della sera, signor Ministro, non è ancora la Gazzetta Ufficiale. Quindi, diversi dubbi sul metodo da lei utilizzato, mi permetta, rimangono.
La scuola è uno dei nodi cruciali per il Paese, perché è ciò che tiene insieme in Italia il nostro passato (lo impariamo dalla storia, ma non solo), il nostro presente (i nostri ragazzi di oggi) e il futuro (quelli che saranno gli adulti di domani). Allora mi chiedo: tu, Governo, come fai a non chiederti, prima di rivoluzionare la scuola, cosa ne pensino gli altri? Come fai a non chiedere un parere al Paese intero, nella veste dei suoi rappresentanti in Parlamento? A cosa servono le elezioni, se anche su un punto come questo vai avanti per decreto? A cosa serve una discussione parlamentare, aggiungerei, se avete già deciso tutto da soli? O meglio - perché bisogna essere onesti - direi che ha deciso tutto da solo il nostro convitato di pietra: il Ministro Tremonti, che ha ordinato il taglio di 90 mila insegnanti e che oggi non è qui.
Ecco cosa scrive un altro insegnante, Gianni, in un'altra di queste famose e-mail: «I provvedimenti del Ministro Gelmini (anzi, del Ministro Tremonti), fanno gridare vendetta a Dio ed agli uomini (anche parte della Chiesa si sta pronunciando contro quelle scelte), perché non tengono conto né delle indagini che pongono la scuola primaria italiana ai primi posti al mondo, né dei pareri di studiosi emeriti nel campo della formazione e della pedagogia. Naturalmente - prosegue - non tengono neanche conto del fatto che tanti padri e madri di famiglia vedranno devastata la propria vita per il solo fatto che, dopo 10 o 20 anni della loro vita passati a lavorare da precari nella scuola, saranno messi alla porta senza tanti complimenti, senza poter garantire il sostentamento per se stessi e per le loro famiglie».
Perché questo docente, Gianni, parla anche della Chiesa? Perché non riusciamo a resistere alla tentazione di tirarla per la giacchetta, quando ci fa comodo? No, perché esistono atti ufficiali e pubblici, resi noti in questi giorni - non so se li ha letti, signor Ministro - della FIDAE, la Federazione Italiana delle Attività Educative, che non è propriamente il Minculpop, ma la rete delle scuole cattoliche in Italia. Si tratta di un organo serio e competente, totalmente al di fuori degli schieramenti politici, che il 31 agosto pubblica un comunicato stampa molto severo, intitolato: «I problemi veri sono altri» (se non lo ha glielo mando). Insegnamento di cittadinanza e Costituzione, voto di condotta, valutazione con voti alfanumerici: come al solito, il centrodestra è stato bravo aPag. 48spostare l'attenzione sugli slogan (il nostro «ministro ombra» dell'economia Pierluigi Bersani utilizza un'espressione molto simpatica, ma anche molto dolorosa: le chiama «armi di distrazione di massa»), ma i problemi, appunto, sono altri, come scrivono queste scuole cattoliche. Ecco cosa scrive la FIDAE: «Tutti questi aspetti - quelli che ho nominato prima: insegnamento di cittadinanza e Costituzione, voto di condotta, valutazione con voti alfanumerici, eccetera - sono alquanto marginali rispetto ai grandi nodi irrisolti del sistema educativo di istruzione e formazione che l'attuale Governo è chiamato a sciogliere il più in fretta possibile».
Ci si potrebbe chiedere quali sono questi problemi. Secondo la rete delle scuole cattoliche sono: la definizione dei curricoli, la riqualificazione dell'istruzione tecnica e professionale, la parità scolastica, la formazione iniziale dei docenti, la valutazione del sistema scolastico e del personale, l'obbligo formativo, l'alternanza scuola-lavoro, l'istruzione tecnica superiore post-diploma, la riforma universitaria, l'autonomia anche finanziaria delle istituzioni scolastiche, il rapporto Stato-regioni sulle materie concorrenti, l'edilizia scolastica, la formazione degli adulti, eccetera. Sono questi, scrivono le scuole cattoliche, i grandi capitoli della questione scuola ed è su questi che si gioca la vera partita per avere, anche in Italia, una scuola di qualità, che sia inclusiva, idonea a rispondere ai crescenti e diversificati bisogni formativi e a conseguire gli obiettivi comunitari di Lisbona per il 2010 dai quali nessun Paese europeo può sottrarsi se non vuole diventare un'area povera e periferica del mondo e del benessere.
Riguardo ai punti che ho menzionato, non ho citato il programma del centrosinistra, perché quando si parla di parità scolastica anche tra noi la discussione è piuttosto aperta a diverse sfumature, ma intenzionalmente ho voluto assumere un atteggiamento non di parte, citando una parte esterna che dovrebbe esserle anche molto cara, signor Ministro, visto che lei ha rivendicato più volte la sua formazione cattolica.
Tutti questi sono i problemi veri; ebbene ora vi chiedo - sempre da giornalista - ma di che cosa stanno discutendo, invece, i giornali e le televisioni del vostro Presidente del Consiglio in questi giorni? Del dilemma se il grembiule sia di destra o di sinistra: è di destra perché è ordine e disciplina; no, è di sinistra perché mette tutti allo stesso piano. Ma per piacere! I problemi veri, lo ripetiamo, sono altri.
Signor Ministro, per mero esercizio dialettico, facciamo finta di credervi un attimo ed accettiamo per un momento la sfida non sul grembiule, perché onestamente ci sembra un diversivo, anche di livello piuttosto basso, ma sul maestro unico, visto che non è una questione di colore, né marginale, ma dalla quale dipende la vita di migliaia di insegnanti e, dunque - ahinoi - anche di migliaia di famiglie.
Conosco già il pensiero del Governo, non perché lo abbia detto al Parlamento, naturalmente, ma sempre perché l'ho letto sui giornali: la previsione di più docenti venne introdotta all'epoca per sistemare gli esuberi, adesso invece abbiamo il problema contrario, ci servono risorse, quindi togliamo questi esuberi e torniamo al modello di prima, ossia quello della maestra chioccia, che tutti ricordiamo con affetto. Credo, infatti, che ognuno di noi, me compreso, abbia alcuni begli aneddoti da citare sulla propria maestra delle elementari, sulle cose che gli ha insegnato, sulle volte che ci si sbagliava e la si chiamava mamma invece che maestra e via dicendo. Potremmo andare avanti così, però il problema non è neanche questo, non è affettivo.
Signor Ministro, se lei chiede agli insegnanti, molti di essi vedono la questione in maniera diversa. Senta cosa scrive ancora un insegnante, sempre Simona, in una sua e-mail: «Vogliamo ricordare al Ministro che la riforma della scuola elementare non era motivata da politiche occupazionali ma rispondeva alle esigenze di adeguare l`intervento di questa scuola ai nuovi bisogni formativi (...). Un grande epistemologo e filosofo, Karl Popper, diceva che il sapere non è mai unitario, maPag. 49viene diviso in diverse discipline per garantire un maggior spazio alla specificità delle ricerche». E ancora prosegue la maestra: «Ci vogliono far credere che i nostri alunni hanno bisogno di un unico riferimento pedagogico forte: la maestra chioccia. Anche se in famiglia il bambino si rapporta con due figure genitoriali, non importa! Anche se alla scuola dell'infanzia (tre-cinque anni) sono presenti due docenti, non importa!
Anche se alla scuola media e superiore sono tante le figure, non importa! L'importante è tagliare, eliminare lo spreco».
C'è un'altra insegnante, Paola, che sempre in una e-mail inviata a tutti i parlamentari ribadisce: «Non ritengo si possa dare un colpo di spugna a vent'anni di scuola solo per motivi economici: se si facesse sarebbe un errore storico che nel lungo periodo si pagherebbe assai caro. La reintroduzione del maestro unico è un modo molto semplice per risparmiare, però senza andare alla sostanza del problema. Infatti, se è vero che nella pubblica amministrazione e anche nella scuola ci sono tanti sprechi, bisognerebbe intervenire in modo più sistematico e non nel modo più semplice e immediato, tanto per fare qualcosa. (...)». In un'altra parte dell'e-mail scrive: «Quello che vorrei è che prima di prendere una decisione ci fosse un confronto articolato con esperti del settore e si trovasse la scelta più giusta per migliorare la scuola e non la scelta più semplice per fare economia».
Per facilitare la discussione, signor Ministro, facciamo finta che sia indifferente avere uno, due o tre maestri, perché voglio toglierle la soddisfazione di obiettare che gli studi pedagogici non hanno dimostrato nulla di certo in proposito. Lasciamo per un attimo da parte il merito, facciamo finta che sia proprio uguale avere uno, due o tre maestri, però torniamo sul metodo.
Le pare normale che, nel giro di poco tempo, si cambi tutto un'altra volta? Leggo un'altra nota della FIDAE, proprio di questi giorni, quindi ancora più recente di quella di prima, che risale al 31 agosto: «Modificare continuamente un qualsiasi aspetto organizzativo della scuola non è bene - scrive la rete di scuole cattoliche italiane -, perché in coloro che in essa operano crea disorientamento, resistenze, demotivazione, stress e perciò difficilmente si raggiunge quello che nelle intenzioni si vorrebbe raggiungere. Quindi, anche questo ritorno, dopo soli pochi anni, rispetto alla formula precedente del maestro unico comporterà inevitabili difficoltà».
Le scuole cattoliche, poi, lanciano una proposta di mediazione, che è la loro e non quella del Partito Democratico, ma voglio leggergliela: «Ma se si vuole proprio, a fronte di sopraggiunti e imprevisti elementi nuovi, modificare la formula dei tre maestri, non converrebbe farlo attraverso passaggi prudenziali come la gradualità e la condivisione?».
Quando ho letto questa nota mi è venuto da rispondere alle scuole cattoliche che la condivisione, purtroppo, non rientra nelle vostre parole d'ordine e non rientra nelle parole d'ordine di questo Governo. Affermavo anche all'inizio del mio intervento, poco fa, che non vi è mai stata condivisione, neppure con il Parlamento. Figuriamoci con la società civile e con i diretti interessati! Il Governo, ad esempio, ha mai chiesto agli insegnanti di chimica che cosa essi pensino dell'abolizione di questa materia? In un momento, tra l'altro, in cui il fattore ambientale sta diventando sempre più importante per i destini del mondo, sarebbe magari comodo sapere cos'è il buco nell'ozono, quali danni si possono provocare con il surriscaldamento climatico e, soprattutto, perché, anziché andare avanti con frasi fatte. Voi non avete chiesto agli insegnanti di chimica che cosa ne pensino.
Per questo motivo, leggo anche cosa ha scritto a me - e a tutti - il professor Michele Borrielli, che è il presidente dell'associazione insegnanti chimici: «La strada che passa per l'accorpamento delle discipline scientifiche, la strada che passa per la riduzione dell'orario scolastico di queste ultime (...) condurrà inesorabilmente ad un impoverimento netto e persistente proprio della scuola e un'altrettantoPag. 50netta e duratura crisi di competitività, culturale prima ancora che economica, del nostro Paese».
Signor Ministro, le ho esposto diverse critiche, che ho cercato di argomentare come meglio ho potuto, tentando sempre di mettermi nei panni di chi lavora in questo campo e non in quelli di chi vuole fare per forza polemica politica tout court, anche perché ciò non rientra proprio nel mio stile. Le sto esponendo tutte queste critiche proprio perché lei sappia e si renda conto che esse provengono non da rappresentanti del Partito Democratico (le ho citato numerose e-mail), ma da persone di diversa provenienza e diverso orientamento politico: siccome avete vinto voi le elezioni, credo che la maggioranza di queste persone avrà votato per voi, eppure ha qualche dubbio sulle cose che state facendo.
Allora, rimaniamo un attimo al di fuori della polemica politica: si interroghi seriamente sulle conseguenze della vostra riforma, che chiaramente, lei, Ministro, non ha deciso da sola - la citazione del Ministro Tremonti che riportavo prima non è casuale - ma che, comunque, verrà ricordata con il suo nome (riforma Gelmini). Temo purtroppo, mi permetto di dirle, che non saranno bei ricordi (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico)!

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Renato Farina. Ne ha facoltà.

RENATO FARINA. Signor Presidente, signor Ministro, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, l'onorevole Aprea ha illustrato al meglio i punti del decreto-legge Gelmini, quindi su di essi non mi soffermerò più di tanto.
Vorrei ripercorrere la storia del provvedimento e soffermarmi su quale sia la sua filosofia di fondo. Vi è una fortissima intenzione che anima il tutto, ossia l'idea di educazione (lo so perché ho partecipato anche emotivamente alla costruzione di questi pochi articoli chiari e semplici): come educare al meglio, tenendo conto di tutti i fattori in gioco. Uno dei fattori in gioco è quello dell'urgenza. Tutti parlano di emergenza educativa, ma dinanzi all'emergenza occorre rispondere con l'urgenza: lo dice la parola stessa.
Il primo fattore coincide con coloro che siedono tra i banchi, i bambini e gli studenti; in secondo luogo, chi deve sostenerli in questo cammino, ossia gli insegnanti e la vasta struttura del personale scolastico; in terzo luogo, i genitori e la società nel suo insieme, ma questa società sta vivendo un momento drammatico di crisi economica e, prima ancora, di crisi morale: una crisi di senso.
Esiste una frammentazione del significato, una incapacità ad individuare quelle figure di adulti che consentano di intuire una strada che porti a un destino buono. Il primo punto da recuperare è quello a cui serve la scuola. La scuola serve proprio a questo, alla serietà dinanzi al destino. Do per scontato imparare a leggere e scrivere e far di conto, perché questo è fin troppo ovvio, ma insieme a ciò la scuola da sempre, ben prima dell'arrivo della scuola statale napoleonica, si è caratterizzata per la comunicazione del senso, la consapevolezza che la vita è un caso serio. Tutto deriva da questo: introduzione alla realtà e alla ricerca del suo significato.
Questo esige che la serietà dello scopo che si prefigge la scuola sia, a sua volta, circondata dalla serietà, da gente protesa a questo scopo. Occorre credere nel futuro per fare scuola, ma per credere nel futuro occorre che esistano gli strumenti per la serietà. All'articolo 1 del decreto-legge è previsto l'insegnamento di «Cittadinanza e Costituzione», ossia l'insegnamento dell'educazione civica. A questo punto, vorrei far rilevare come la politica, anzi la volontà di trasformare la scuola in bottega della politica, si sia vista sin dalle prime mosse, allorché si è fatta largo questa intenzione. In Commissione, proprio discutendo dell'articolo 1, proprio ad esordio, il ministro ombra del governo ombra ha parlato di disegno criminale, contro cui opporsi con ogni mezzo possibile e immaginabile. Mi riferisco al ministro ombra della gioventù, l'onorevole Picierno. Mi chiedo, fatto salvo che ognuno è responsabilePag. 51delle sue parole, quale impronta educativa ci sia dentro questa frase, quale comunicazione ci sia in relazione alla crescita delle persone, visto che tutti qui vengono a fare lezione di morale, e se si imputa a un uomo ombra, cioè a Tremonti, il contenuto di questo decreto-legge, il che non è vero, intuisco altre ombre dietro parole così tenebrose come quelle pronunciate dal ministro ombra Picierno. Avrei voluto porre un'interrogazione al premier ombra, almeno un'interrogazione ombra, ma non so dove si depositano, forse al teatro Capranica, invece che nella sede parlamentare.
Poi si è posta la questione della costituzionalità. L'opposizione è arrivata a chiedere al Parlamento di votare l'incostituzionalità dell'insegnamento della Costituzione. È una miseria logica, e non è neanche male per la dialettica marxista questa capacità di dire tutto e il suo contrario, pur di ottenere lo scopo prefisso da parte delle avanguardie.
Il voto in condotta, che fa parte di questo provvedimento e ne è un'evidenza anche simbolica, fornisce strumenti non all'autoritarismo, ma a chi ha una responsabilità non solo sul leggere, lo scrivere e il far di conto, ma sul percorso con cui si arriva a questi apprendimenti. Autorità è una parola che viene dal latino augere, che vuol dire far crescere.
Non vedo perché le prime espressioni di opposizione siano state proprio caratterizzate da un attacco all'autorità (penso alla prima scuola di Roma che ha inaugurato la moda del lutto al braccio e dell'occupazione anche con i bambini).
Altro punto è il maestro unico, o maestro prevalente, perché, in realtà, siccome non sono toccate le 40 ore, e questo è espressamente detto nel decreto, non si capisce perché ciò che voteremo sarà messo in dubbio da ciò che non è scritto. Come è possibile pensare questo? Comunque, parliamo di maestro unico, perché è uno slogan e una formula più comprensibile. La storia dice che è frutto di un'idea di scuola come welfare, come parcheggio di laureati precari; non più semplicemente parcheggio di bambini e di studenti, ma di laureati.
Alberto Alesina è preside di economia ad Harvard. Ha scritto su Il Sole 24 Ore dell'11 settembre: si parla tanto di insegnanti multipli o unici nelle scuole; parliamoci chiaro: gli insegnanti sono diventati multipli non perché si sia capito che questo migliorava la qualità dell'insegnamento, ma semplicemente perché sono nati sempre meno bambini in Italia e non si poteva licenziare nessun docente; anzi, le assunzioni dovevano continuare a ritmi elevati. La scuola, insomma, come welfare per giovani laureati. Ed è una lezione che ci viene dall'estero, che viene sempre citato come il luogo da cui si vede meglio l'Italia e i suoi limiti, e questo è un limite.
La scelta dell'insegnante multiplo, però, non è stata solo, come adesso si tende a dire, esito di una contrattazione e di un cedimento al sindacato, oppure, anche nobilmente, un tentativo di risolvere i problemi sociali, ma è stata anche il riflesso di quella cultura della frammentazione per cui si pretendeva che la costruzione della persona non si basasse su certezze morali, proposte secondo un'ipotesi educativa, da assorbire criticamente e, una volta verificata, da abbracciare o rifiutare, ma come somma di dubbi, di punti di vista differenti, di cui non si proponeva alcuna sintesi. Questa ideologia pedagogica è naufragata nel bullismo, e qui non si tratta neanche di esaminare le competenze OCSE-PISA e via dicendo. Contano, eccome, queste competenze e le graduatorie OCSE-PISA, ma contano se sono dentro un'idea positiva di che cosa sia la vita. Tutti fantasticano del modello finlandese come della scuola perfetta. Mi domando se, all'interno del modello finlandese come scuola perfetta, sia anche prevista la capacità di suicidarsi molto bene, visto che hanno il primato anche in questo.
Tutto questo esige la presenza di un maestro, una prospettiva pedagogica dove il maestro versa se stesso in classe, come capita da tante parti in questo Paese - bisogna dirlo - e nel rapporto con iPag. 52bambini, e non nelle estenuanti riunioni dove concordare piani formativi astrusi con cattivi caffè in bicchierini di plastica, dove si esaurisce buona parte delle energie delle signore insegnanti, come sa chi frequenta i maestri e le maestre.
Mi rendo conto anche che i sondaggi contano e non contano, però qui ci troviamo dinanzi a questi dati di fatto: una maggioranza forte in Parlamento è a sostegno di queste proposte, e lo verificheremo presto, ma queste proposte hanno anche un consenso crescente nel Paese, ben oltre i numeri di questo Parlamento.
Il tutto in una situazione di crisi economica che dovrebbe spingere alla protesta verso i Governi, come capita in tutti i Paesi; assistiamo, invece, al contrario, perché questo invito alla serietà è stato capito, questo invito alla serietà corrisponde al sentimento profondo del Paese. Pensate che il consenso per il maestro unico è al 62 per cento, secondo Mannheimer. È chiaro, allora, che ciascuno ha il dovere di dire quanto pensa in Parlamento e fuori e di criticare come vuole, perché non si deve stare per forza dalla parte della maggioranza, ci mancherebbe! Non è possibile, però, pretendere, attraverso scioperi e mobilitazioni, la dittatura di una minoranza, che è qualcosa che mostra un sostanziale disprezzo verso la democrazia.
Avete distribuito anche ai bambini la maglietta con una rima fanciullesca: «Il futuro dei bambini non fa rima con Gelmini». Il TG3 ha intervistato anche un complesso più o meno rock sulla sua musica, dove gli stralunati personaggi indossavano la maglietta con quella rima: pubblicità subliminale, che non ha suscitato le proteste di nessuno, a proposito di conformismo e di trasmissioni dove si diffondono dei valori senza criticità. Va bene: visto che avete tracciato la strada, vi seguo, senza pretendere la vostra altezza leopardiana. Allora dico: «Le bugie sulla Gelmini fanno ridere i bambini»; perché è una bugia sostenere, come è stato detto da molti in quest'Aula, che verranno soppressi gli insegnanti di sostegno. Non è vero!

ROBERTO GIACHETTI. Soppressi no, perché sarebbe complicato...

RENATO FARINA. Va bene, ho capito la battuta alla Di Pietro. Complimenti, frequentandolo manca solo la battuta sui forni crematori, poi siamo a posto! Ottimo.
Aggiungo però anche un altro slogan: «Attaccare Mariastella a Veltroni porta iella». Mi rendo conto che non sono filastrocche dantesche; di certo, quella che si sta giocando in questi giorni in Italia, e purtroppo anche in quest'Aula, è una battaglia politica per la sopravvivenza nel Partito Democratico di una leadership politica scalcagnata, che non ha nulla a che fare con la scuola e i suoi contenuti educativi.
Esiste una tenaglia spaventosa che blocca la scuola, ed è la tenaglia sindacale. La CGIL è quella che ha messo nel sacco Berlinguer a causa del suo «concorsone», anni fa, e poi ha cercato di impedire qualsiasi dialogo della Moratti con la scuola reale; quindi ha fatto lo stesso con Fioroni, che pateticamente è andato in giro a distribuire volantini dello stesso tenore di quelli che la CGIL distribuiva contro di lui! Ho letto in Commissione il volantino del 2007 della CGIL su Fioroni, che era stato letto in un consiglio di classe da un insegnante, e ha riscosso un applauso unanime anche dei democratici presenti tra i professori perché erano convinti che si riferisse al Ministro Gelmini: perché i contenuti della protesta del sindacato scolastico sono sempre quelli!
La cosa molto triste è l'alleanza periodica della sinistra con la CGIL scuola quando la sinistra passa all'opposizione. Le scelte che voteremo sono nella sostanza dei risparmi già presenti nel Quaderno bianco di Padoa Schioppa e Fioroni: noi ci abbiamo messo una più forte intonazione di serietà. Trasformare queste scelte in occasione di occupazioni e manifestazioni è frutto di un chiaro disegno politico, purtroppo a spese della scuola. Come si può giustificare un allarmismo così sfrontato? Chi ha detto alle mamme che si cacceranno 100 mila maestre, che si toglieràPag. 53il tempo pieno? È una balla: semplicemente non ci saranno due insegnanti in contemporanea.
Oggi il sistema scolastico così com'è, il nostro, è quello più conservatore del mondo: avendo bloccato il merito, si è finito col favorire lo status quo sociale; per usare una metafora della sociologia, l'Italia è il Paese con l'ascensore bloccato. Occorre rimetterlo in movimento! Il decreto-legge in esame, proprio perché avverte questa urgenza, ha le caratteristiche previste dall'ordinamento e dalla Costituzione, tant'è che le regole sono state rispettate. E non capisco perché si debba protestare sistematicamente contro delle regole che la democrazia stessa prevede: in nome di che cosa, un principio superiore rispetto alla democrazia? La democrazia mentale di una parte degli eletti di questo Paese, che si sente superiore alle regole?
Credo che questa crescita della movimentazione sociale, questa crescita della possibilità di migliorare socialmente - ma non è solo miglioramento sociale, è la possibilità di una pienezza nella crescita - sarà possibile con una sana concorrenzialità tra le proposte educative e tra le istituzioni scolastiche, sia a carattere statale, attraverso l'autonomia, sia a carattere non statale, rendendo operativo quell'impianto di parità scolastica che già aveva voluto Berlinguer, e che è stato votato da questo Parlamento ma non attuato, così come si è votato, allo stesso modo, per il federalismo senza implementarlo con il federalismo fiscale.
Allora bisogna passare dalle affermazioni di principio e dalle astrusità teoriche alla pratica, e credo che i prossimi passi da parte del Governo, dopo quelli che sono affermati in questo decreto, saranno - e me lo auguro vivamente - nella direzione della sussidiarietà, della parità scolastica effettiva e dell'autonomia delle scuole. Piazza o non piazza, ce la faremo a farlo! E per finire con un'altra rima fanciullesca, come quella che è stata introdotta nel dibattito politico grazie alla rima, dico: «10 e lode in pagella al Ministro Mariastella!» (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania - Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Capitanio Santolini. Ne ha facoltà

LUISA CAPITANIO SANTOLINI. Signor Presidente, il Ministro mi ha detto che dovrà allontanarsi, e quindi la ringrazio per l'attenzione di avermi avvertita. Spero che si prenderà magari la briga di dedicarmi qualche minuto di lettura, se ne avrà il tempo, e, se ne avrà la possibilità, di darmi poi delle risposte nelle sedi opportune. Mi auguro quindi che il mio intervento non sia inutile ai fini di un dibattito parlamentare (rimane il sottosegretario, e quindi chiedo a lui l'attenzione e poi, eventualmente, di riferire al Ministro le cose che dirò).
Come seconda premessa, dal momento che c'è gente che ci ascolta alla radio e questo dibattito è, fortunatamente, pubblico, gradirei - lo dico per una questione di metodo e lo dico alla maggioranza - che quando si parla di «opposizione» si chiarisse di quale opposizione si parla. È troppo semplice dire l'«opposizione», ed è un vizio metodologico che richiamo e che ricordo proprio per coloro che ci ascoltano: di «opposizioni» in questo Parlamento ve ne sono infatti due, se non tre, visto che Di Pietro spesso si distingue dal Partito Democratico.
Noi, comunque, abbiamo una linea molto diversa, e - ci tengo a sottolinearlo - non abbiamo presentato pregiudiziali di incostituzionalità con riferimento a questo decreto-legge. Nella mia dichiarazione di voto l'ho sottolineato più d'una volta, e ci tengo a ribadirlo in questa sede ed in questa occasione, perché ritenevamo che l'obiezione di incostituzionalità fosse ormai una sorta di rito, ma - giusto o sbagliato che sia - si usa comunque fare così, ed ormai questa prassi è stata talmente abusata che non ha ragione di esistere tra persone serie che vogliono costruire un dibattito parlamentare altrettanto serio. Mi piace fare questa precisazionePag. 54a futura memoria e richiamerò tutte le volte la maggioranza, se dimentica di dire di quale «opposizione» si parla.
Ciò detto, veniamo al nostro dibattito. Com'è noto, faccio un'opposizione, spero argomentata e seria, di metodo e di merito. Anch'io dirò - e non sono l'unica - che non mi piace un decreto-legge che riguarda la scuola, perché la scuola è una cosa troppo seria per essere blindata da un'intesa tra il Ministro del Tesoro e il Ministro dell'istruzione. Credo che la scuola meriti un rispetto ed un'attenzione infinitamente maggiori di quelle che ad essa sono stati dedicati in questo inizio di legislatura.
Concordo sul fatto che la scuola ha bisogno di una cura radicale, drastica, in profondità; però sono anche d'accordo che non si può fare una riforma di questa portata - perché di riforma si tratta, e non sono piccoli aggiustamenti, bensì autentiche riforme, quelle che sono state messe in campo - senza un serio dibattito in Parlamento e nel Paese, senza un coinvolgimento serio di tutti coloro che sono interessati al comparto della scuola e senza che si cercasse di ragionare tra componenti della scuola e, ripeto, pubblica opinione.
Sono d'accordo e concordo: la barricata ideologica del maestro unico o dei tre maestri non mi appassiona più di tanto. Sappiamo tutti quanti che i tre maestri sono stati introdotti non perché questo corrispondeva ad esigenze pedagogiche e formative, ma perché era una precisa esigenza di sindacati e del fatto che diminuivano gli studenti e che, quindi, in qualche modo, bisognava coprire gli organici. Ma è altrettanto vero - credo che di ciò siamo in molti ad esserne convinti - che anche questa controriforma sul maestro prevalente, o maestro unico che dir si voglia, non sia dettata da esigenze pedagogico-formative, ma da esigenze di bilancio. Si tratta di due aspetti della stessa medaglia e a distanza di venti anni ci ritroviamo esattamente nella stessa condizione.
Il Ministro Gelmini all'inizio della legislatura è venuta in Commissione cultura e ha affermato che non avrebbe fatto nessuna riforma; è agli atti e si può verificare. Affermò che non aveva intenzione di farla perché aveva intenzione semplicemente di migliorare l'esistente, dato che la scuola non aveva bisogno di scossoni a ogni Ministro che cambia. Io stessa svolsi un intervento di risposta, affermando di essere perfettamente d'accordo e la ringraziavo per la sua serietà e per la sua volontà di non dare ulteriori scossoni alla scuola. Sono passati due mesi e le cose sono cambiate radicalmente. Evidentemente, i problemi di bilancio che il Ministro Tremonti ha posto sul tavolo di tutti i Ministri, l'hanno indotta a prendere delle decisioni sicuramente faticose e dolorose, ma rimane il fatto che queste decisioni le ha prese. Dispiace molto - lo sottolineo anche alla collega Aprea, che mi sta ascoltando - che le riforme della scuola, giuste o sbagliate che siano, si facciano non a partire dalla scuola, ma a partire da altre ragioni come quelle sindacali, economiche o di altro tipo. Non si riesce a produrre una riforma che parta dalla scuola e ritengo che l'errore di fondo della mancata riforma della scuola sia dovuto al fatto che non esistono un'indagine e una ricerca serie sulla scuola stessa. È vero che in Parlamento sono state realizzate delle indagini conoscitive, prevengo le obiezioni, ma il fatto stesso che, nel dibattito, il Paese sia lacerato dal maestro unico, dal maestro prevalente, da tre maestri, da espressioni come:«no, vanno bene tutti, no, bisogna tornare indietro, la scuola elementare è eccellente, ma lo era anche prima», dimostra che vi è un dibattito ideologico in campo senza che vi sia uno «straccio» di diagnosi convincente sui mali della scuola; non esiste una diagnosi. Si va avanti a colpi di accetta, che possono essere anche giusti, ma non si parte dalla scuola, si parte da altre considerazioni. Non mi risulta che vi sia un'analisi seria su quello che andrebbe realizzato, e sarebbe urgente farla. Quindi, il problema di metodo non è, secondo me, secondario, perché rispetto alle riforme che si propongono, si profila una visione di una società - in questo ha ragione ilPag. 55collega Renato Farina -, del mondo, della famiglia, dei rapporti sociali, e non è, quindi, indifferente quello che si propone e quello che si dice, ma ci vorrebbero dietro degli strumenti valutativi che in questo momento non ci sono; dovremmo partire da ciò. Per intervenire sulla scuola, bisognerebbe intervenire sul modello organizzativo, e anche questo non mi pare che sia stato fatto, al di là del discorso del maestro prevalente o dei tre maestri. I tagli, infatti, non sono graduali e non sono mirati - questo vale anche per l'università e quando arriveremo al dibattito sulle università ne riparleremo - nel senso che non si capisce che tipo di organizzazione si vuole dare alla scuola nel complesso.
Non si capisce dove si andrà e che tipo di scuola verrà fuori dal cilindro del Ministro Gelmini: magari sarà la migliore scuola possibile, ma per adesso stiamo votando al buio, stiamo votando una serie di provvedimenti che non hanno un'organicità, che non sono iscritti in un modello organizzativo condivisibile o meno, non mi pare.
Io sono un'insegnante, ma con tanti insegnanti che ho ascoltato, come tutti, in questi giorni, mi sembra di sentire la stessa obiezione: bisognerebbe avere una visione di insieme, che non c'è e, soprattutto, un'idea di Paese che non mi pare vi sia. È vero, si parla di merito, e questa è una cosa buona e la condivido, si parla del voto in condotta e lo ritengo corretto - non mi scandalizzo del fatto che i ragazzi imparino a fare i conti con un po' di ordine e di disciplina - si parla del grembiulino; francamente non mi appassiona l'idea del grembiule, è un maquillage, è una questione che non incide sui problemi e sul futuro della scuola: si vuole mettere il grembiulino? Si metta, ma non è questo che risolverà i mali della scuola.
Il problema è che, per esempio, sappiamo tutti molto bene che la scuola, in linea di massima, spende male. Sono convinta che bisogna arrivare ad un taglio e ad una correzione di rotta, ma bisogna arrivarci prima con una diagnosi convincente, come ripeto. Si sono moltiplicati organizzazioni, comitati, corsi di aggiornamento di docenti, vi è stata una sorta di bulimia di organizzazioni della scuola negli ultimi anni, che non hanno migliorato il livello della scuola. Quindi, capisco che bisogna razionalizzare il tutto: vi è stata un'eccessiva proliferazione di mille cose, di mille corsi, di mille iniziative, probabilmente in parte inutili. Quindi, andava rivista la spesa dalla scuola, ma va rivista dopo aver compiuto un'attenta analisi zona per zona, città per città, comparto per comparto e livello per livello.
Non si può ragionare semplicemente di tagli alla scuola, senza ragionare su dove vanno questi tagli e su cosa incidono. Questo è un discorso che mi interessa molto, perché ha seminato la paura nelle famiglie e questo è male, perché il Governo ha il dovere di informare le famiglie e di informare i docenti: la controinformazione che una parte dell'opposizione fa, sono d'accordo, non può e non deve prevalere, ma allora bisogna fare in modo che la maggioranza e il Governo forniscano cifre precise, corrette e serie - cosa che non è - e che il Partito Democratico e l'opposizione guidata dal Partito Democratico non agitino spauracchi che non esistono.
Non credo, come dice Panini della CGIL, che sia in atto la distruzione della scuola, non ci credo. Sono d'accordo anch'io che non è vero che saranno licenziati 80 mila insegnanti: semplicemente non saranno assunti. Lo so anch'io che la scuola subirà tagli, ma non di 8 miliardi in cinque minuti: subirà tagli, ma il prossimo anno i tagli che subirà saranno inferiori a 0,5 miliardi, quindi all'1 per cento del budget a disposizione del Ministro. Lo so bene che non verrà levato il tempo pieno, sono sicura che non verranno toccati gli insegnanti di sostegno, quindi perché ci dobbiamo dilaniare su tali questioni, mentre si potrebbe parlare di temi estremamente più seri?
Sul tema dell'insegnante unico: la scuola elementare andava bene prima e va bene adesso. Dunque, sgombriamo il campo da questi discorsi, perché la scuola elementare andava bene prima e va bene adesso. Tuttavia, non sono neanche veritieriPag. 56i dati OCSE-PISA che sventoliamo ogni cinque minuti, perché dipende da come sono stati condotti i test sui bambini: infatti, è vero che la scuola elementare è tra le prime in Europa e nel mondo sulle questioni letterarie, sui test di lettura e sui test che riguardano la lettura e l'italiano, ma quando si parla di matematica e di scienze i bambini delle elementari precipitano in fondo, come è successo anche in passato.
Ci dobbiamo allora interrogare sui dati OCSE-PISA senza farne una bandiera ideologica da una parte o dall'altra, ma semplicemente valutandoli per quello che dicono e per quello che sono. Non si può sbandierare la grande meraviglia della scuola elementare così com'è - che andava bene anche prima - e non si può neanche dire che la scuola elementare si collochi ai primi posti OCSE-PISA su tutto, semplicemente perché non è vero. Se non sgombriamo il campo da queste prese di posizione aprioristiche e pre-giudiziali, un giudizio sereno sulla scuola non lo avremo mai.
Credo che dovremmo ragionare in termini di cattiva informazione e di diffusione di paure, così come bisognerebbe ragionare sul maestro unico in base a dati incontestabili. Ricordo che il Ministro Falcucci (sono abbastanza anziana per ricordarlo) già nel 1984 aveva avanzato l'idea del modulo e già da allora aveva considerato la possibilità di ragionarvi (venne introdotto poi nel 1990 dal Ministro Mattarella). Il Ministro Falcucci affermò, allora, che le scuole dovevano essere libere di effettuare le proprie scelte e di poter prevedere il maestro unico per i primi due anni e il modulo per gli anni successivi. Si trattava di un'idea del Ministro - discutibile o meno -, ma sono anni che si gira intorno al problema: fu proposto nel 1984, finché nel 1990, lo ripeto, il Ministro Mattarella introdusse il famoso modulo. Per i primi due anni i bambini hanno bisogno del maestro unico? Benissimo, è una proposta che abbiamo avanzato in sede di emendamenti; ovviamente la maggioranza l'ha respinta, sebbene a me non sembri così peregrina. Non ne faccio una battaglia da piazza o una battaglia all'arma bianca, ma vi è già stato il modo e il tempo di ragionare, perché - lo ripeto - il Ministro Falcucci già aveva immaginato una simile organizzazione.
La mia domanda è, allora, la seguente: perché non mettiamo le scuole in condizione di scegliere quello che ritengono giusto? Non è possibile dare dei diktat se è vero - come è vero - che le scuole sono degli istituti autonomi. La verità è che le scuole non sono affatto autonome e che l'autonomia è solo sulla carta: questo è il problema. Siccome l'autonomia è solo sulla carta, allora un Ministro si sente in dovere (o ha il diritto, non lo so) di andare giù con l'accetta (e ogni due anni si cambia Ministro e si cambiano le regole): ciò avviene semplicemente perché le scuole non sono autonome. La battaglia vera (il Ministro Gelmini non c'è, ma spero che qualcuno glielo dica, quindi ora lo dico a lei, signor sottosegretario) non è sul grembiulino o sul voto di condotta: questo è un maquillage e lo prendiamo, non importa. La battaglia vera è quella di dare alle scuole l'autonomia che non hanno. Signor sottosegretario, lei lo sa meglio di me: non ce l'hanno perché le scuole non sono in grado di stabilire i curricula, non sono in grado di assumere gli insegnanti, non hanno autonomia né amministrativa, né economica e né didattica. Le scuole non sono autonome e se ci fosse un Ministro che davvero avesse a cuore il bene della scuola dovrebbe dire: care scuole, io vi do l'autonomia, la capacità e la possibilità di scegliere il modello che le famiglie e il contesto territoriale ritengono migliori. Questa sarebbe la logica di un provvedimento serio per la scuola elementare, per la scuola media e per le scuole superiori. Mi viene invece il sospetto che a tutti vada bene così com'è e che nessuno voglia cambiare alla radice: i sindacati dominano la scuola e ne sono gli assoluti arbitri e padroni da trent'anni (ed evidentemente va bene a tutti), i partiti non hanno alcuna voglia di mettersi a fare battaglie su questi discorsi perché magari devono pensare adPag. 57altri argomenti che ritengono ingiustamente più urgenti, ed evidentemente va bene così.
Gli insegnanti sono poco pagati, sono demotivati, non lavorano più di tanto, fanno quello che possono, ma si sentono giustificati perché, in effetti, sono pagati malissimo; le famiglie tirano a campare e fanno quello che possono; i ragazzi escono dalla scuola ignoranti - i nostri ragazzi, purtroppo, sono ignoranti - ma, evidentemente, questo stato della scuola va bene a tutti, perché, altrimenti, la strada maestra è quella della libertà e dell'autonomia, ma di queste parole, in questa sede, non ho sentito dire alcunché.
Pertanto, la nostra ricetta è l'autonomia vera delle scuole e la libertà di scelta educativa delle famiglie, fine! Di questo non si parla perché diventa un problema ideologico. La libertà di scelta educativa delle famiglie, che mette le famiglie stesse in condizione di scegliere, cambierebbe il livello della scuola dalla sera alla mattina e lo migliorerebbe in maniera straordinaria, perché significherebbe mettere le famiglie in condizione di scegliere; le scuole prenderebbero gli insegnanti e si creerebbe un circolo virtuoso per cui le scuole migliorerebbero per forza, perché quelle peggiori chiuderebbero. In tal modo sì che ci si avvierebbe al merito e alla meritocrazia delle scuole. I presidi devono avere responsabilità - una grande responsabilità - ma devono essere manager che portano avanti la scuola in maniera seria e le famiglie devono essere in grado di scegliere, mentre adesso non è possibile!
Tutto ciò - e mi stupisco che questa non sia una battaglia della sinistra, lo continuo a ripetere - va a scapito delle famiglie più povere e più bisognose. Infatti, nel caso di una scuola degradata, che non ha insegnanti motivati, che è effettivamente poco funzionale e funzionante, didatticamente non all'altezza, mentre un ragazzo che non ha i mezzi si deve tenere quella scuola fino alla fine del suo percorso scolastico (e sarà segnato a vita perché non la può cambiare, perché magari il pulmino del comune lo porta in quella scuola e il giro del pulmino è quello e non può cambiare), al contrario, un ricco, se una scuola non funziona e per suo figlio va male (cioè, se non è giusta per quel genitore e per quel ragazzo), risolve il problema mettendo suo figlio nelle scuole non statali, mandandolo all'estero, facendo quello che vuole, ma un ricco casca sempre in piedi! Mi domando perché questa non sia una battaglia della sinistra, la quale, invece, ideologicamente difende la scuola statale come se «statale» fosse bello e «non statale» fosse la rovina! Queste sono le questioni della scuola, che non capisco perché, anche in questo dibattito, non si possano affrontare.
Tra parentesi, mi dimenticavo di dire (vedo un mio appunto), che milioni di ragazzi vanno nelle scuole non statali e le famiglie pagano tali scuole, pertanto lo Stato lucra su queste famiglie 6 miliardi di euro l'anno. È un furto, perché quelle famiglie pagano le scuole due volte: una con le tasse (e quei soldi vanno nella scuola statale) e poi si devono pagare la scuola non statale perché sembra che, a differenza dell'Europa, sia proibito avere questa equità e questa giustizia; pertanto, lo Stato lucra sulle famiglie 6 miliardi di euro l'anno. Ritengo che ciò sia scandaloso.
Un ultimo aspetto che mi preme sottolineare e di cui, ripeto, non si è parlato abbastanza, riguarda le questioni del maestro unico, della cittadinanza e dell'insegnamento della Costituzione che, tra l'altro, c'è già! Insomma, si prevede un articolo, addirittura l'articolo 1 di un decreto-legge su una questione che c'è già: sono operazioni più di maquillage che di sostanza!
L'ultima cosa che cambierebbe davvero la faccia della scuola è una seria valutazione delle scuole stesse, cosa che non è stata fatta praticamente mai, perché sta bene a tutti che il sistema rimanga così ed una seria valutazione delle scuole e dei loro risultati, ripeto, non è mai stata fatta. È vero che c'è l'Invalsi, è vero che sono stati messi in atto alcuni tentativi, anche dalla riforma Moratti, per arrivare ad una valutazione seria, ma questo significherebbePag. 58anche dare premi a chi è bravo e penalizzazioni a chi non lo è, esattamente come le regioni virtuose oppure tutti quei comparti della macchina dello Stato dove qualcuno funziona e qualcuno no.
Pertanto, non si può parlare di merito solamente per i ragazzi; bisogna parlarne anche per le scuole e le scuole devono essere valutate, premiate o penalizzate. Ma questo non succede e le famiglie non sanno qual è la scuola migliore dove mandare i loro ragazzi e dove poterli iscrivere seriamente, sapendo che poi alla fine imparano a leggere, scrivere e far di conto. Ciò perché non ci sono pubblicazioni che dicano se una scuola è migliore e non si valuta se una scuola è migliore dagli esiti che i ragazzi che ne escono ottengono nel corso degli anni. Quanti si sono laureati? Quanti hanno fatto carriera? Quanti, invece, non si sono laureati e si sono persi nelle brume dell'università? Ci sono tante ragioni, io sto semplificando il ragionamento e mi rendo conto che la questione è complessa. Però, non possiamo permettere che la valutazione delle scuole non arrivi alle famiglie, alla pubblica opinione e, in generale, a chi deve, in qualche modo, decidere quanti soldi dare, a chi darli e in che modo darli.
Tutto questo significa che ho l'impressione che il dibattito in corso sul provvedimento Gelmini sia in parte strumentale, in parte inutile. Mi auguro che serva a qualcosa. Credo anch'io che una svolta positiva debba essere data. Non mi convincono né il metodo né gli argomenti e, ultima cosa, mi auguro che poi il Ministro prosegua ad occuparsi delle famiglie. Non auspico il ritorno agli organi collegiali di vecchio stampo, perché sono stati un fallimento, non hanno funzionato e sono stati assolutamente inutili. Però, in relazione ai dati OCSE che tutti sbandierano, tra i tanti indicatori OCSE c'è la collaborazione della scuola con la famiglia. Le scuole che funzionano meglio dimostrano una stretta collaborazione con la famiglia e questo vale in tutti i Paesi europei. In Italia non succede: siamo ad un gap notevolissimo da questo punto di vista, quindi mi auguro che tra le tante attenzioni del Ministro ci sia anche il discorso della famiglia, della libertà di scelta educativa, ma anche di una compartecipazione e di una presenza nel piano dell'offerta formativa che finora e da anni è stata solo ed esclusivamente virtuale.
Mi riservo, in sede di esame degli emendamenti, di approfondire gli aspetti concreti e specifici di questo provvedimento. Mi premeva dire al Ministro che non è così che si riforma la scuola e che dovrà avere molto più coraggio di quello che ha avuto adesso, se davvero vorrà rendere un buon servizio al Paese (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro e del deputato Aprea).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Argentin. Ne ha facoltà.

ILEANA ARGENTIN. Signor Presidente, colleghi, signor sottosegretario, io credo invece che questo dibattito sia importante e ritengo che ci sia la necessità di farlo. I luoghi comuni come quelli del grembiulino o del voto in condotta non mi appartengono. Credo però, signor sottosegretario, che ci siano delle questioni che non possono cadere nel vuoto.
È stato detto dai colleghi che mi hanno preceduto che non c'è il problema degli insegnanti di sostegno. Sono d'accordo, ma ci mancherebbe, mi viene da dire. È ovvio che se noi parliamo di scuola e di pubblica istruzione immaginiamo che ci siano per tutti la possibilità e le pari opportunità per rivendicare il diritto all'istruzione e all'educazione.
Chiaramente questo lo immagino in un sistema che negli anni si è evoluto e, quindi, l'insegnante unico mi crea un po' di preoccupazione per quanto riguarda la questione della varietà degli alunni con la quale noi oggi facciamo i conti.
Mentre prima avevamo alunni di un gruppo medio (venti-venticinque unità), ma comunque ragazzini che avevano lo stesso livello culturale, educativo e familiare, oggi ci troviamo di fronte a una varietà di alunni diversi tra di loro.
I bimbi si differenziano (è sempre stato così, ma ora ancora di più) anche perPag. 59estrazione economica e soprattutto per le situazioni dalle quali provengono. Sono tantissimi i bimbi immigrati, i bimbi rom che frequentano la scuola e per i quali spendiamo soldi perché questo avvenga, e sono tantissimi i bimbi disabili.
Ci tengo a comunicarle, signor sottosegretario, un dato che forse anche a lei può sfuggire: essendo stata io delegata all'handicap nella città di Roma per undici anni, le dico che ci sono sessantamila disabili a Roma, un numero, credo, altissimo rispetto ad una popolazione di normodotati.
Si continua a parlare di istruzione e di obbligo di frequentazione di questi bambini, di questi ragazzi con difficoltà - parlo di disabili in questo momento - come se fosse un parcheggio, un posteggio all'interno di queste classi. Sappiamo, però, che sono tantissimi i bimbi disabili costretti a trascorrere ore intere nei corridoi per non disturbare il gruppo-classe, e ciò vale soprattutto per i bimbi che hanno difficoltà autistiche o comunque un ritardo mentale o cognitivo.
Ho sentito poco parlare di questi, quasi fosse - lo ripeto - dovuto, ma non dovesse essere garantito nulla di più. Ho una grande paura (non le nego che farò grandi battaglie per questo, nei confronti del Ministro Gelmini così come le avrei fatte nei confronti di qualunque Ministro, di destra o di sinistra che fosse), ho il terrore che ci stiamo riavvicinando alle scuole in cui andavano solo i bambini disabili, ossia le scuole speciali. Ciò non deve avvenire, il nostro Paese è comunque uno dei più avanzati rispetto a questa situazione.
Ricordo che in Francia esistono ancora le classi differenziate e lo stesso in Inghilterra e secondo me è un dramma. Noi, negli anni, abbiamo affrontato centinaia di battaglie insieme alle famiglie, agli stessi disabili cresciuti, ma ancora insieme a tantissimi professionisti del settore quali, appunto, gli insegnanti, dal bidello fino al preside.
Ho visto tanta gente non solo sfilare nei cortei, ma fare tavoli di lavoro in cui si poteva discutere, mettere insieme idee e, quindi, non sottovalutare l'importanza dell'inserimento e dell'integrazione, ma soprattutto il riconoscimento di una cultura che rispettava le diversità. Credo che le diversità debbano essere rispettate prima di ogni altra cosa all'interno della scuola. Questo deve avvenire e deve poter avvenire senza che ci siano tagli e divisioni a causa o in ragione di altre questioni.
Se la scuola pensa che il maestro unico sia indispensabile, ben venga il maestro unico. Ma siamo in grado, oggi, di immaginare in una classe di periferia, ma anche centrale, dove ci sono bimbi emigrati, bimbi disabili e bimbi normodotati, la possibilità che un solo insegnante possa far fronte a tutto questo? A me sembra impossibile!
Leggendo attentamente il programma del Ministro Gelmini ho intravisto che questo maestro unico non è poi così unico, mi sembra che ci siano opportunità perché ne siano presenti anche altri. Io, però, sono qui a prevenire; il mio ruolo di opposizione è quello di sottolineare ed evidenziare che problema c'è, se così fosse. Visto che tanta demagogia, tanta strumentalizzazione nella politica c'è e c'è sempre stata (lo abbiamo visto nel Governo precedente in quello precedente ancora e lo ripetiamo oggi), credo che l'attenzione non solo agli insegnanti di sostegno, ma proprio alla varietà dei ragazzini che sono nella scuola vada tenuta presente.
Sul doposcuola non discuto, ossia ritengo che non siate così folli da tagliarlo perché ritengo che ognuno di voi abbia la consapevolezza che in un sistema dove si vive lavorando in due, ossia madre e padre, è impensabile immaginare che un bambino torni a casa a mezzogiorno e mezzo.
Non siamo tutti così ricchi e grandi da poter pagare una baby sitter per il pomeriggio. Inoltre, sapete benissimo che il mondo delle baby sitter è un altro mondo di lavoro nero, per cui mi creo il problema di immaginare questa frotta di donne, ragazze e studentesse che vanno il pomeriggio a supplire alla mancanza della mamma e del papà - perché questi sono al lavoro - per garantire un servizio che fino ad oggi veniva fornito.Pag. 60
Ora immaginate tutto ciò nel mondo della disabilità. Mentre per il bimbo normodotato si può chiamare una baby sitter qualunque, e comunque si riesce a porre rimedio al problema, nell'ambito dei disabili vi sono ragazzini che presentano una patologia media, grave o gravissima. Quale sarà il sistema che potrà gestire tale ambito, se non la scuola? Effettivamente la scuola è un momento di istruzione e di educazione, ma anche di socializzazione. Non possiamo dimenticare che i primi rudimenti li abbiamo appresi a scuola, ma non si tratta soltanto della storia e della geografia. Ritengo che a scuola si impari anche a stare con gli altri e anche - tra le tante altre cose - a conoscere i colori, la vita e altro ancora.
Personalmente posso portare questa testimonianza: ho ottenuto due lauree e vi assicuro che quando ho cominciato la scuola elementare esistevano le scuole differenziate. Ebbene, ho fatto cinque anni in uno durante le elementari, perché i miei genitori non volevano mandarmi nelle scuole differenziate e pertanto ho dovuto fare i cinque anni delle elementari tutti in un solo anno, con una maestra in casa che mi ha insegnato a studiare e mi ha dato i primi elementi.
Pertanto, fate attenzione a non considerare l'inserimento e l'integrazione come un elemento importante né, con faciloneria, ad immaginare quanto la differenza possa essere evidenziata anche dal grembiule. Come diceva la collega poc'anzi, la questione del grembiule è, in un certo senso, solo una parte veramente sciocca del nostro dibattito e della materia, ma un diverso diviene ancora più diverso con un grembiule. Ci tengo a dire questo perché lo ritengo un concetto fondamentale. Quando si è tutti vestiti con i propri indumenti in qualche modo si è se stessi e il problema si percepisce ma, in un certo senso, non viene evidenziato. Il grembiule, invece, lo evidenzia, anche se tutti pensano che in realtà il grembiule significa rendere tutti uguali perché siamo tutti vestiti nella stessa maniera. Non è così. Non è assolutamente così! Lo ripeto. Parlo di questo argomento perché si sono fatte tante chiacchiere, ma non perché lo ritenga un problema. Tuttavia, è giusto che sappiate che poi alla fine la diversità, che è un patrimonio e che va rivendicata come tale all'interno del sistema scolastico, deve trovare un motivo di essere proprio per quello che si è.
Veniamo ora alla questione del voto in condotta. Credo nel voto in condotta e non le nego che, avendo una storia di sinistra, ho lottato per il sei politico, ma le assicuro che mi creava anche un certo rancore verso i miei coetanei o colleghi che invece «se la cantavano e se la suonavano» mentre io stavo in classe. Ciò mi dava parecchio fastidio, però ho portato avanti questa rivendicazione. Il senso del sei politico era il riconoscimento a tutti della possibilità di essere considerati né i migliori né i peggiori.
Come ho già detto, mi piace l'idea del merito però finché si parla di persone che abbiano tutte pari opportunità e lo stesso punto di partenza. Invece, quando il punto di partenza è diverso non ci sto più. Ovviamente, il punto di partenza diviene diverso quando le persone non hanno le stesse possibilità e le stesse facoltà.
Pertanto, è necessario un insegnante di sostegno così come avere più di un maestro in classe e occorre soprattutto che superiamo l'idea un po' malconcia, a mio avviso, e qualunquista del fatto che nelle scuole si va perché vi è l'obbligo. Ritengo che nelle scuole si vada perché è necessario e perché senza di esse non vi sarebbero le basi né vi sarebbero radici.
Tutti noi ricordiamo la famosa maestra o il famoso maestro che ci ha condotto ad arrivare, in qualche modo, a quello che siamo. È chiaro che ricordare più volti ed avere più punti di riferimento rimane, a mio avviso, un arricchimento e non un impoverimento. Tagliare per il gusto di dire che il sistema deve essere quello che è stato e non crescere, non considerare i dati, gli strumenti che fino ad oggi abbiamo in più rispetto a tanti altri Paesi mi sembra assolutamente svilente verso un sistema che invece è cresciuto.
Non vorrei tirarla per le lunghe, ma il mio è il ruolo dell'opposizione (opposizionePag. 61del Partito Democratico, per la collega che va via) per cui voglio essere precisa fino in fondo. Il ruolo dell'opposizione è quello, a mio avviso, di costruire insieme e non soltanto perdere tempo e far continuare una giornata all'infinito.
Tuttavia, sono stata maggioranza per tanti anni nella città di Roma e devo dire che ho trascorso intere giornate dietro ai banchi ad ascoltare. Ho imparato soltanto una cosa: che i valori e i diritti di alcuni hanno più importanza dei diritti di altri, per cui rivendico ancora fortemente e do voce a tutte quelle persone che non hanno voce per parlare. Non si tratta delle persone che si trovano sulla sedia a rotelle e che hanno difficoltà di mobilitazione, ma di tutti quei disabili che hanno difficoltà mentali che non possono dire la loro e che ad oggi sono trascinati da una classe all'altra o in un corridoio per non infastidire i compagni.
Nelle scuole professionali, faccio un esempio per tutti, vi sono alcune classi al cui interno stanno più di cinque disabili. Vi sono, poi, scuole medie inferiori in cui, soltanto perché c'è un insegnante più disponibile, vengono iscritte tutte le persone disabili del territorio. Io credo che questa sia una follia.
Ho sentito la collega che diceva prima «diamo il riconoscimento del merito di una scuola rispetto ad un'altra». Mi rifiuto: io credo che tutte le scuole debbano essere allo stesso livello. Sarò utopistica, sarò poco concreta, ma io credo che non si debba fare una classifica delle scuole, ma si debba garantire assolutamente e necessariamente un livello uguale e paritetico per ogni persona che frequenti la scuola, sia che abiti a Canicattì, sia che abiti a Roma.
La provincia non è vero che sia così lontana da tanti strumenti come lo è la città. Forse ci si sente, nelle classi di una città, molto meno compresi o molto meno visti di quanto ci si senta in un piccolo paesino della provincia. Gli strumenti che mancano quali possono essere? Sicuramente quelli tecnologici e infrastrutturali. Le garantisco che, mentre a Roma il 60 per cento delle scuole ha problemi di barriere architettoniche, nei piccoli paesi di provincia questo non avviene. Forse ciò avviene probabilmente perché c'è una scuola sola.
Tuttavia, vi è un problema: non stiamo attenti a rispettare le normative già preesistenti. Esiste il decreto del Presidente della Repubblica n. 503 del 1996 che prevede l'eliminazione, in tutti gli edifici pubblici, delle barriere architettoniche. Ebbene, noi in Italia non abbiamo assolutamente attenzione e questo mi permetto di dirlo, signor sottosegretario, con umiltà, ma anche con convinzione.
Infatti, tutte le leggi che riguardano la disabilità sono leggi che si intrecciano con la realtà quotidiana: queste leggi, infatti, sono leggi quadro. Lo dico essendo un avvocato e una persona esperta nel legislativo: vi è questa idea folle per cui si fanno ancora leggi quadro, ma queste, mi conceda il termine, imbastardiscono la quotidianità. Infatti, se vi è una legge (e per avere una legge occorre una sanzione), la legge quadro, che dà un indirizzo, non prevede una sanzione e quindi, purtroppo, per questo sistema civico che ci circonda e per questa società che ancora esiste, non c'è applicazione.
Le scuole oggi sono ancora completamente inaccessibili a centinaia di persone, se non migliaia. Dico questo perché l'idea folle della gente comune è che la disabilità sia solo per chi è in carrozzina. Ci si dimentica sempre delle persone sensoriali e cioè gli audiolesi, così come delle persone non vedenti. I non vedenti non hanno strumenti, né computer per prendere appunti nelle nostre scuole e gli audiolesi non riescono ad ascoltare e non hanno dei piccoli display dove leggere quello che sta succedendo, cose che costerebbero molto meno di un insegnante di sostegno. Eppure non lo facciamo, perché non ci pensiamo, oppure perché immaginiamo che l'insegnante di sostegno sia la risposta a tutto.
Non è così: servono strumenti tecnici per cambiare le cose. La tecnologia ci può aiutare e può fare moltissimo. L'insegnante di sostegno è necessaria, ma non per tutti. Incominciamo a dire che ilPag. 62disabile non deve avere il suo insegnante e il suo mondo dentro il mondo classe. Abbiamo persone che ne hanno la necessità e persone che debbono viversi il gruppo classe con gli insegnanti come gli altri. Infatti, è inimmaginabile che un bambino venga affiancato da un insegnante per le sue quattro, cinque, sette ore di scuola sempre e comunque, anche quando è intelligentissimo, soltanto perché si muove sulla carrozzina. Incominciamo a immaginare che quel bambino ha bisogno di un assistente che lo accompagni al bagno, e basta. È una cosa diversa.
Quindi, cerchiamo di non diversificare e di non limitare chi ha già dei limiti. Questo secondo me è importante. Infatti, quando parliamo dei bambini che sono tutti uguali diciamo una grande bugia. Siamo tutti diversi, lo sono tutti i bambini: quelli normodotati e quelli disabili. Anche gli alunni disabili sono differenti l'uno dall'altro, e se noi continuiamo a immaginare invece che sono tutti uguali e tutti hanno bisogno dell'insegnante di sostegno e di avere una serie di attenzioni, molte volte andiamo solo a penalizzare, più che a costruire un percorso educativo.
Forse, nella mia sfortuna, ho avuto la grande fortuna di essere oggi una quarantenne e di essere nata, quindi, in un periodo in cui non vi era l'insegnante di sostegno e nemmeno quello che a Roma viene chiamato l'AEC, ovvero l'assistente educativo culturale, quella persona che ti accompagna in bagno e, se non ce la fai, ti gira le pagine del libro e ti affianca nei movimenti manuali. Le dico onestamente, io sono riuscita ad inserirmi in classe, perché i miei amici erano i miei compagni di classe. Non erano sostituiti sempre da questo principio folle della parità, che mi metteva quest'insegnante adulto accanto. Avevo bisogno e interagivo con gli altri, ma non sottostando agli altri: ero brava, aiutavo gli altri in alcune cose e gli altri aiutavano me. Diventava la normalità, che poi è questo. Invece, non le nego che oggi troppe figure accanto al disabile fanno più male che bene. Ce lo dobbiamo dire questo, e non dobbiamo avere paura di dire che gli insegnanti di sostegno non saranno tagliati. Lo ripeto, ci mancherebbe altro, ma se non servono vanno tagliati.
Infatti, se ci prendiamo la responsabilità di dire che l'unica maestra o più di un'unica maestra, ma comunque che il sistema - come ha fatto il Ministro Gelmini - va rivisto interamente, credo che tutto ciò abbia un senso soltanto nel momento in cui le persone che sono nella classe non vanno a dividere, ma ad unire, a imparare a socializzare e a dare il senso dell'educazione civica, che, per esempio, è imparare a scuola che non bisogna parcheggiare sopra ad un marciapiede dove c'è una rampa. Qui a Roma, che è la città dei parcheggi, dove si parla sempre del traffico locale, sono andata con molte classi di questa città insieme ai loro insegnanti a far fare le multe a chi parcheggiava sulle pedane e sulle rampe fatte sui marciapiedi.
Credo di aver visto delle scene di vita e degli insegnamenti di vita mai avuti prima. I bambini apponevano gli adesivi che avevamo prodotto per l'occasione sulle macchine e lo facevano insegnando poi ai loro genitori a non parcheggiare. Infatti, il problema è proprio che qualcuno deve dire: «Mamma e papà questo non si fa». Visto che non lo hanno imparato i genitori o i familiari, forse è meglio se lo impara un bambino a scuola, perché il suo compagno arriva e deve parcheggiare di fronte alla scuola, evitando così che debba arrivare col pulmino accessibile per cui è allontanato dal gruppo degli altri compagni di classe che arrivano con lo scuolabus. Tutto questo potrebbe modificare e cambiare le cose.
Il collega della maggioranza che prima è intervenuto ha detto che oggi noi andremo a far festa, a strumentalizzare la questione al Capranica. Io andrò al Capranica, signor sottosegretario, proprio per non sentire sciocchezze, perché vorrei dire la mia, se verranno strumentalizzati i disabili. Sono molto attenta ed ho molta paura che ciò possa avvenire. Farò uscire i miei articoli, perché per lavoro io non mi ritengo un'handicappata, ma un deputato, e quindi, ovviamente, farò il deputatoPag. 63d'opposizione del PD, ed uscirò sui giornali con le questioni che riguardano i disabili. Però le dico onestamente: non fraintenda, non immagini la mia come la prosopopea di chi sa e vuole imporre agli altri ciò che non sanno. È solo un'esperienza di vita che voglio condividere e che ci permetterà forse di risparmiare, ma in modo diverso, dando a tutti realmente qualche opportunità (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico e di deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rampelli. Ne ha facoltà.

FABIO RAMPELLI. Signor Presidente, sottosegretario, colleghi, qualcuno ha giudicato questo decreto un ritorno al passato, un'involuzione, una sorta di regressione della scuola italiana. In altri periodi della nostra storia civile e politica probabilmente sarebbero state erette barricate autentiche contro questo provvedimento reazionario. Si tratta di un modello tutto sommato semplice, e sostanzialmente corrispondente - ritengo questo l'elemento più interessante - alle esigenze delle famiglie italiane, vale a dire ben sincronizzato con la tradizione più alta ed efficace del nostro impianto formativo.
Quando abbiamo avuto la capacità di legiferare, dando priorità al buonsenso e mettendo all'angolo l'interferenza delle ideologie e delle dottrine, dobbiamo ammettere di aver svolto un buon lavoro. Qualcuno prova a protestare contro questo provvedimento e si trova immancabilmente senza argomenti, senza carburante, con un crollo motivazionale che rende la protesta sindacale legittima e ridicola al tempo stesso.
Vediamo lo scenario reale nel quale matura questo provvedimento. Secondo le solite ricerche pluricitate dell'OCSE, le maestre e i maestri italiani fanno 735 ore all'anno, rispetto alle 812 di quelli stranieri. Meno ore e meno costi, si potrebbe presupporre. Invece no, è esattamente il contrario: secondo quanto riportato da Il Sole 24 ore, infatti, l'Italia è tra le nazioni del mondo che spende di più, soprattutto per le primarie, e che utilizza male le risorse nel processo di distribuzione: parliamo di 6.835 dollari per alunno, contro i 6.552 della media mondiale.
Il vero problema, infatti, è come vengono spesi i fondi elargiti dallo Stato. L'Italia vanta il numero di docenti più elevato d'Europa, il bilancio è di 43 miliardi di euro per l'istruzione, spesi, come sappiamo e come più volte è stato riportato anche in quest'Aula, per il 97 per cento per stipendi agli insegnanti (800 mila, un milione e 300 mila, una forbice oscillante a seconda delle fonti, ma comunque questo è il quadro).
In questa discussione viene utilizzata e agitata in maniera strumentale, a mio giudizio, la questione del maestro unico, che già nella nota battaglia delle parole viene in qualche maniera deformata, perché siamo in presenza comunque di un maestro prevalente, non di un maestro unico, ma la propaganda, come sappiamo, marcia di pari passo con la politica. La questione del maestro unico viene attaccata con più forza dall'opposizione la quale, attraverso le sue diramazioni sindacali, alcune associazioni professionali, i docenti, molto orientati politicamente, sta cercando di alimentare la protesta nelle piazze e nelle scuole, a onor del vero con scarsa soddisfazione.
Le azioni di protesta di questi giorni provengono infatti dalla scuola primaria; si sta cercando di trasmettere all'opinione pubblica il concetto che i provvedimenti riguardanti la scuola primaria, soprattutto quello sul maestro unico, siano dettati da mere logiche finanziarie e derivino dalla necessità di tagliare la spesa. Si è aggiunto che tali misure andrebbero a stravolgere la parte migliore della scuola italiana, come rilevato da indagini internazionali. Si è usata la menzogna per allarmare le famiglie - l'abbiamo ascoltato anche in quest'Aula, nel dibattito in corso, negli interventi dell'opposizione - sulla diminuzione del tempo scuola, con conseguente impoverimento dell'offerta didattica.
In verità, le misure di riordino della scuola primaria rimandano ad un disegno complessivo di riqualificazione dellaPag. 64scuola italiana che, a nostro avviso, si fonda su motivazioni di carattere pedagogico, didattico, su logiche di ottimizzazione nell'organizzazione del personale e, conseguentemente, anche di migliore utilizzo delle risorse finanziarie.
La prima questione che vorremmo evidenziare è che occorre piantarla di considerare il bambino una sorta di adulto in miniatura. Il fatto che oggi si insegni sociologia - la definizione corretta è «studi sociali» - fin dalla prima elementare, e che favole e leggende si leggano all'università nell'ambito di studi filologici, può dare la misura delle cose assurde che accadono in Italia, potremmo dire, dall'avvento della cultura marxista in poi.
Oggi, nella scuola elementare non si studia più poesia, ma si fa analisi testuale; il senso del bello che si poteva suscitare con l'educazione artistica lascia il posto alla decodificazione e alla presa di coscienza dei messaggi visivi dell'ambiente; l'aritmetica si mescola confusamente con l'informatica, e la storiografia prende il posto della storia.
L'introduzione del modulo, molto contrastata dagli stessi insegnanti nei primi anni Novanta, ha portato alla «secondarizzazione» della scuola primaria: anche per i bambini di sei anni, come alle medie e al liceo, al suono della campanella cambia insegnante, e cambia secolo. Secondo autorevoli pedagogisti dell'associazione ANPEC non c'è modo più radicale per distruggere la facoltà di concentrazione del fanciullo che passare di ora in ora da un campo all'altro del sapere e con figure di riferimento diverse, senza potersi soffermare e riflettere su un argomento. Proviamo a immaginare questo cambio d'ora, quando il nuovo insegnante che entra in aula senza sapere cosa sia accaduto nell'ora precedente, dice alla classe di chiudere il quaderno di italiano e di prendere, appunto, quello di studi sociali! Questo incessante alternarsi di attività che mal si conciliano tra loro rende sincopato, atomizzato, il fluire delle conoscenze, e se ne vedono i risultati nel prosieguo degli studi.
È evidentemente opportuno andare a rovistare tra le cosiddette classificazioni internazionali. Impropriamente, alcuni quotidiani, citando il Libro bianco pubblicato sotto il Dicastero Fioroni, affermano che il rapporto OCSE salva la scuola primaria italiana, giudicata tra le migliori del mondo; dunque, perché - il sillogismo sarebbe questo - cambiare una scuola che funziona, dice la sinistra?
La scuola elementare italiana era sì fra le prime tre al mondo, ma agli inizi degli anni Settanta, quando vi era davvero il maestro unico e vi erano oltre 5 milioni di alunni, cioè il doppio di oggi. Ciò è riportato in altrettanti rapporti; non si tratta di invenzioni, illazioni, né solo e soltanto di commenti, bensì di studi approfonditi e indagini svolte a cavallo tra la fine degli anni Sessanta e l'inizio degli anni Settanta. Il Libro bianco cita, invece, un rapporto IEA del 2001 che esamina alcuni risultati dell'istruzione in soli undici Paesi.
Tra questi l'Italia risulta entro l'ottavo posto. Il rapporto del 2006, più recente, elaborato dallo stesso istituto nell'ambito della stessa indagine, invece, esamina i risultati nella lettura e nella matematica degli ultimi nove anni. Ecco quanto emerge: con riferimento alle attitudini degli studenti nei confronti della lettura - dato autodichiarato dagli alunni di nove anni - l'Italia è al secondo posto; con riferimento all'indice della percezione della propria capacità di lettura da parte degli alunni, l'Italia è al dodicesimo posto; riguardo alla frequenza con la quale i bambini si dedicano alla lettura di storie e racconti fuori dalla scuola, l'Italia scivola al quarantunesimo posto; riguardo al numero degli alunni che leggono fuori dalla scuola per informazione, siamo al trentatreesimo posto; quanto al numero di ore spese nella lettura, mediamente, in un giorno, finiamo dopo il Kuwait; per numero di alunni che leggono per divertimento siamo al venticinquesimo posto. Non ci sembra una classifica particolarmente esaltante!
Se i sistemi di valutazione potessero cogliere anche il nesso tra causa ed effetto in un processo di apprendimento, scoprirebberoPag. 65che i pessimi risultati degli studenti italiani nelle scuole medie inferiori e superiori non sono altro che il frutto di errori pedagogici e didattici commessi nella scuola primaria. Questa è una considerazione che comincia ad affacciarsi anche tra i più autorevoli commentatori: a questo proposito, la citazione è d'obbligo: «Il mito della scuola elementare», di Luca Ricolfi su La Stampa, anch'esso un testo diversamente citato.
Dunque, vi sono troppe ore di lezione e scarsi risultati. Potremmo prendere in prestito un esempio chiaro degli scarsi risultati ottenuti nella scuola primaria dai dati relativi all'insegnamento musicale, che si svolge per un totale di oltre 500 ore. Ebbene, all'uscita dalla scuola media gli studenti conoscono appena i primi elementi di teoria musicale, non hanno un quadro completo della storia della musica e ancor meno sanno suonare qualche strumento, mentre con le stesse ore di lezione sarebbe possibile conseguire un diploma in conservatorio.
Analogamente avviene per le altre materie di studio, ad esempio per la lingua inglese, su cui sono concentrate più di recente le nostre attenzioni. Negli altri Stati europei l'insegnamento scolastico di una lingua straniera porta gli studenti a un livello di competenza tale da permettere loro di sostenere una conversazione, mentre così non avviene in Italia, nonostante le 500 ore di lezione nei primi otto anni di studi ed almeno altre 300 nei successivi cinque delle scuole superiori. L'organizzazione del personale non può che essere messa a confronto - come hanno fatto altri colleghi - con gli altri Paesi europei. Il modulo è un'anomalia tutta italiana: non esiste in altri Paesi d'Europa, dove i livelli qualitativi sono tra i più alti del mondo. Tra l'altro, più precisamente occorrerebbe parlare di insegnante prevalente, come si affermava in principio, in quanto quest'ultimo viene affiancato sempre da insegnanti specializzati, in lingua inglese e religione, e da insegnanti di sostegno. Si tratta di figure introdotte dopo il 1977: prima di questa data vi era il maestro unico.
Nel rapporto alunni-insegnanti, negli ultimi anni, si è verificato un ingrossamento spropositato tra le file del comparto scuola, assolutamente ingiustificato se lo confrontiamo con il decremento - triste ma impassibile - della popolazione scolastica. Nel 1971, gli alunni della scuola elementare sfioravano i cinque milioni (lo abbiamo detto poco fa) e gli insegnanti erano 230 mila: il rapporto era di un docente ogni ventuno scolari. Nel 1994, tre anni dopo l'introduzione del modulo, gli alunni sono stati 2 milioni 600 mila e gli insegnanti 280 mila: il rapporto è passato ad un docente ogni nove alunni. Attualmente, le proporzioni si mantengono simili, con un'ulteriore diminuzione del numero degli alunni e degli insegnanti e un rapporto docenti-alunni pari a 10,7, che rimane di uno a nove se si aggiungono gli insegnanti di religione e i contratti a tempo determinato.
Non avviene, però, quel che sarebbe facile pensare, ossia che ad ogni insegnante siano affidati nove o dieci alunni, perché mediamente ciascuno ne ha in carico cinquanta. Com'è noto, il modulo ha due principali articolazioni: il modulo tre su due, ossia con tre insegnanti che si alternano su due classi, e il modulo quattro su tre, con quattro insegnanti che si alternano su tre classi, ai quali vanno comunque ad aggiungersi almeno gli insegnanti di inglese e religione.
Dunque, accade che a ciascun insegnante del modulo siano affidati da un minimo di cinquanta a un massimo di settantacinque alunni. Se ripercorriamo a ritroso la vicenda, fino ad arrivare alla genesi del modulo, troviamo che è nato tutto da una clamorosa operazione, che giudico clientelare, che si è cercato poi di dignificare in maniera scientifica, costruendo l'impalcatura psicopedagogica per occultare le vere ragioni di quella terribile scelta, di cui ancora oggi paghiamo le negative conseguenze. Con settantacinque o anche soli cinquanta alunni, si può dare un insegnamento individualizzato ed efficace? È una domanda retorica. Ecco allora l'escamotage delle compresenze per attuare interventi di recupero. AnchePag. 66le due ore previste per la programmazione non sono che una toppa alla frammentazione che si viene a creare in classe nel carosello degli insegnanti che si alternano. Con l'insegnante unico si avrà un miglior rapporto docente-alunno, che gioverà soprattutto sul piano pedagogico e didattico. L'attuale funzionamento del tempo scuola prevede che, con l'attuale organizzazione del personale della scuola primaria, in ciascun modulo risultano in media quattordici o sedici ore di contemporaneità oraria dei docenti. Tali ore devono essere utilizzate per lo svolgimento di attività progettuali e/o di recupero, ove deliberate preventivamente dal collegio dei docenti, ovvero - ed è la prassi - per sostituire colleghi assenti dal servizio fino a cinque giorni consecutivi. Dunque, nella maggior parte dei casi, le ore di contemporaneità vengono utilizzate per supplenze brevi e non per l'ampliamento dell'offerta formativa o per interventi individualizzati.
Qualche parola va spesa anche per le competenze degli insegnanti. Si parla delle specializzazioni conseguite dagli insegnanti delle elementari, sostenendo che non sarebbe possibile per un solo docente affrontare l'insegnamento di tutte le discipline. In realtà, i docenti della scuola elementare afferiscono ad un'unica classe di concorso, che li abilita a insegnare tutte le materie previste dai curricula didattici. Non esiste un ruolo specifico per gli insegnanti dell'ambito linguistico, matematico-scientifico o antropologico. Peraltro, la stessa legge n. 148 del 1990 dispone che venga assicurata un'opportuna rotazione nel tempo, ossia, nella prassi, che almeno al termine di un ciclo quinquennale di insegnamento il docente cambi ambito, dal linguistico allo scientifico o all'antropologico. Quindi, l'insegnante di scuola primaria, come previsto dal contratto di lavoro e dalle leggi, è maestro unico, non professore di italiano, di matematica o «di studi sociali», tanto per spazzare il campo da ogni equivoco.
Strumentalmente, l'opposizione ha gridato e scritto sui manifesti che il tempo pieno sarebbe stato eliminato. Anche di questo abbiamo già parlato, ma l'accusa è talmente barbara che va per forza di cose approfondita. Il Ministro Gelmini ha dichiarato, viceversa, che sarà incrementato il tempo pieno, aggiungendo che, utilizzando circa 8 mila cattedre delle oltre 20 mila che si potrebbero risparmiare con il passaggio delle classi a modulo a classi a ventiquattr'ore, con il maestro unico si potrebbe garantire un incremento del 50 per cento del tempo pieno, portandolo dalla copertura attuale del 25 per cento delle classi ad una del 37 per cento.
Abbiamo ascoltato - voglio accelerare soprattutto sulle materie sulle quali il dibattito si è sviluppato abbondantemente - le ragioni dell'opposizione in contrasto o in contrasto eventuale con la nota questione della reintroduzione dei voti e, in modo particolare, del voto in condotta. Penso che questo sia un aspetto, viceversa, positivo, perché la semplificazione dell'approccio con il sistema scolastico e quello dell'insegnamento dà la possibilità a una famiglia di capire, con maggiore precisione, di cosa si parla, quando si esprime un giudizio. Affiancare il voto numerico al giudizio significa, evidentemente, quasi decodificare o eliminare eccessivi margini di interpretazione e, talvolta, di discrezionalità.
Quindi non c'è, evidentemente, un'elisione del giudizio riflettuto, ma c'è la possibilità di traduzione di questo giudizio in un giudizio numerico, quindi maggiormente comprensibile.
Poi c'è la reintroduzione del voto in condotta, evidentemente un aspetto altrettanto importante. Faccio fatica a immaginare quanti, in cuor loro, possano contrastare questa norma con effettiva trasparenza e coerenza intellettuale. Già da quest'anno nelle scuole secondarie di primo e secondo grado, alla scuola media e alla superiore si ritorna a questa valutazione della condotta come elemento che può determinare la bocciatura. Agli alunni di medie e superiori che durante l'anno dovessero macchiarsi di particolari comportamenti, in sede di scrutinio i professori possono dare un cinque in condotta, che determinerebbe l'automatica bocciatura. Non si tratta di un vero e proprioPag. 67ritorno alle norme ante statuto degli studenti (prima bastava ricevere il sette in condotta per essere bocciati), ma senza dubbio di un giro di vite. Da oltre trent'anni, alla scuola elementare primaria e alla media si ritorna alla valutazione espressa in decimi, come ai vecchi tempi, abbiamo detto, ma voglio, da questo punto di vista, annunciare che su questa materia presenteremo un ordine del giorno. È già stato, anzi, elaborato e lo stiamo confrontando con gli altri colleghi, perché non è intenzione - ma il Ministro, da questo punto di vista, è stato chiarissimo - offrire a qualche insegnante un potere eccessivo, per andare, magari, a punire, con l'escamotage della reintroduzione del voto di condotta, qualche studente che, molto semplicemente, come magari la gran parte dei presenti in quest'Aula, si interessa e impegna da un punto di vista civico, sociale, culturale e politico, e poi, magari, si trova, nella legittima rappresentazione anche di interessi sindacali, in posizioni di contrasto con i docenti o con i presidi.
L'ordine del giorno, quindi, servirà a puntualizzare che la reintroduzione del voto in condotta non può essere brandita come una sorta di strumento per coercizzare lo studente e per togliergli il diritto, anzi, il diritto-dovere di essere una presenza critica all'interno della scuola, e quindi anche di organizzarsi per manifestare il proprio impegno civico o per difendere il proprio diritto allo studio, quando viene messo in pregiudizio dal cattivo funzionamento della scuola o del sistema scolastico.
C'è un'altra questione che è stata affrontata all'interno di questo decreto-legge e riguarda il libro di testo. Tutti conosciamo, e in buona parte abbiamo condiviso, le decisioni che hanno preso la forma del decreto-legge, ma c'è un altro aspetto. Anche qui, ci stiamo comunque applicando per capire e comprendere che tipo di margine esista nel giusto dialogo, anzi, nella dialettica fra maggioranza e opposizione e nel dialogo tra Parlamento e Governo, per puntualizzare che esiste e deve essere salvaguardata una libertà di insegnamento, ma occorre, una volta per tutte, sancire, anche attraverso dispositivi di legge, un'altra libertà, che non può essere considerata meno importante della prima e men che meno può essere cancellata, che è la libertà di apprendimento.
Queste due libertà devono convivere tra loro; non si può sacrificare la libertà di apprendimento perché si erige a totem la libertà di insegnamento, che è diventata, per l'appunto, anche attraverso la scelta del libro di testo obbligatorio da parte dell'insegnante, una sorta di dogma assurdo. Penso che questo Parlamento, se non lo farà attraverso questa norma, dovrà comunque farlo in futuro; si dovrà preoccupare della libertà di uno studente e di una famiglia di affiancare a un testo consigliato da un professore un testo scelto, perché la cultura deve tornare ad essere, dopo gli anni tristi del monopolio marxista, una cultura libera. La scuola deve tornare ad essere, insieme all'università, quel grande contenitore all'interno del quale si può e si deve fare confronto plurale tra culture differenti.
Non è più possibile leggere sui libri di testo - inutile citarli ancora, perché lo abbiamo già fatto in lungo e in largo non solo qui dentro, ma in diverse aule di questa nazione, e lo abbiamo fatto mettendo nero su bianco, formulando e divulgando dei dossier di controinformazione - delle valutazioni di carattere politico intorno ai Presidente del Consiglio, alle forze politiche, intorno al nostro tempo, ma anche delle valutazioni assolutamente mistificatorie rispetto a fatti storici: ricordo, anche in questo caso, interventi importanti non solo della mia parte, ma anche delle istituzioni, anche del Presidente della Camera dell'epoca, del Presidente Violante in ordine alle foibe, e ricordo che molti manuali storici valutavano e descrivevano la foiba come una sorta di dolina carsica, omettendo di raccontare che cosa accadesse, a Seconda Guerra mondiale finita, in quelle doline carsiche per colpa di qualche mascalzone, che ci andava a sterminare famiglie senza fare distinzioni di sesso o di età, scaraventandole dentro queste fosse, facendole morire a centinaia e centinaia di stenti ePag. 68di sofferenza. Eppure la storia dei libri di testo suggeriti o imposti è questa: molte famiglie sono state costrette, si sono trovate costrette a subire un'invasione di campo. Non è quindi possibile, a mio giudizio, che la cultura e la sensibilità personale di carattere politico di un professore possa scavalcare, mortificare la libertà di giudizio di una famiglia e di uno studente; da questo punto di vista, ben venga la norma del Ministro Gelmini sui libri di testo e sull'impossibilità di cambiarli nel corso dei cinque anni, ma c'è anche un dibattito da rilanciare e approfondire per offrire una somma di libertà, e non sacrificare la libertà di apprendimento alla libertà di insegnamento o all'autonomia scolastica.
È importante - e mi avvio a concludere - la norma, per quello che ci riguarda, che è stata anch'essa minimizzata, della reintroduzione dell'educazione civica. Voglio dire che la obbligatorietà di questa materia per una volta la settimana, per un'ora la settimana non significa soltanto appassionarsi allo studio della Costituzione: significa entrare nel merito delle grandi questioni civiche che caratterizzano il processo formativo di crescita di uno scolaro. Nel Regno Unito, in Spagna l'educazione civica si impara fin da piccoli; in Portogallo, in Romania, in Estonia l'educazione civica è una materia che si studia fin dalle elementari; in Germania, negli Stati Uniti è un capitolo del sussidiario o una materia che tocca più discipline; l'educazione per la cittadinanza e i diritti umani è una materia obbligatoria fin dagli ultimi anni delle elementari, dove si studia per ben 50 ore l'anno. Gli studenti spagnoli studiano il significato di rispetto, tolleranza e giustizia sociale, norme e principi della convivenza sociale; un capitolo a parte, per il quale il re in persona ha firmato un decreto ad hoc, è l'educazione etico-civica nelle scuole secondarie. Anche in Gran Bretagna si insegna cittadinanza dai sei anni; dunque penso che tale introduzione fosse assolutamente necessaria, semmai la nostra preoccupazione è seguire il corso di questo decreto-legge e di tutte le relative circolari, quando e dove saranno emesse, perché ci dev'essere garanzia che effettivamente l'apprendimento possa arricchirsi di una materia che è stata studiata, fino a qualche tempo fa, e poi è stata messa nel dimenticatoio; e con questo ha accentuato il principio di atomizzazione della nostra gioventù, talvolta di imbarbarimento, fino alle tendenze al bullismo che abbiamo conosciuto in questi ultimi anni. Sono sempre esistite, per carità, forse la grande importanza dei media ha reso la conoscenza di questi episodi un può più evidente rispetto al passato, al passato più remoto, ma comunque va detto che questi fenomeni esistono e vanno contrastati; e il combinato disposto della reintroduzione dell'ora di educazione civica con la reintroduzione del voto in condotta e una diversa concezione della scuola ritengo possano comunque rappresentare delle efficaci norme per contrastare anche questo fenomeno.
Non voglio fare considerazioni - anzi, per così dire, le cancello - su questo dibattito e su come si sta sviluppando: è importante, intanto, sottolineare che esso esiste e che quindi il decreto-legge al nostro esame non ha tarpato le ali all'opposizione, ma ha consentito un dibattito che è stato anche approfondito, sia in Commissione sia in Aula. Non credo dunque che si possa condannare un percorso che era un percorso obbligato, e chi è esperto di tecniche di Governo e di tecniche parlamentari sa bene che abbiamo fatto comunque un atto dovuto.

PRESIDENTE. Onorevole Rampelli, la invito a concludere.

FABIO RAMPELLI. Mentre non erano - e concludo - un atto dovuto i due atti adottati dal Ministro Fioroni, che di fatto ha impropriamente utilizzato due decreti per realizzare due piccole riforme. In conclusione, l'impressione è che l'opposizione stia soffrendo e che la ragione di tale difficoltà sia più profonda del semplice malessere scaturito dalla violazione del pur simpatico Ministro Fioroni. La sinistra appare stordita da questa conquistata capacità del centrodestra di congiungersi conPag. 69il reale orientamento culturale della nostra comunità nazionale, che non è mai stata di orientamento sinistrorso, comunista o socialista, ma ha solo subito, appunto, un monopolio ossessivo.
Sono convinto, in conclusione, che anche la sinistra stessa - quella sinistra che comunque si è, a passi veloci, allineata ad un'idea della politica più frizzante e più dinamica - in cuor suo stia facendo uno sforzo per ricollegarsi a questa «pancia» del Paese che vuole risposte chiare, che non si vuole lambiccare nei giudizi incomprensibili di una pagella scolastica che non dà linee definitive, che non ha avuto il voto in condotta e che lo ripristina giustamente proprio per semplificare.

PRESIDENTE. Deve concludere, onorevole Rampelli.

FABIO RAMPELLI. Questa è una riforma del buonsenso, è una riforma che, semplificando, riallinea l'Italia alle altre democrazie occidentali (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Giammanco. Ne ha facoltà.

GABRIELLA GIAMMANCO. Signor Presidente, onorevole sottosegretario, onorevoli colleghi, siamo tutti consapevoli in quest'Aula che il decreto-legge di cui stiamo discutendo non riforma soltanto la scuola di oggi, ma disegna l'Italia di domani. Questa riforma rappresenta una grande opportunità, un provvedimento che contribuirà alla creazione di una scuola basata sul principio della meritocrazia, una scuola che finalmente premierà chi vale e chi si impegna. Da troppo tempo, ormai, l'egualitarismo figlio del Sessantotto ha uniformato le differenze tra insegnanti, tra alunni, tra studenti, trascurando il valore essenziale del merito da cui la scuola deve necessariamente ripartire.
È evidente come l'attuale sistema scolastico stia da anni frustrando insegnanti validi con stipendi troppo bassi - tra i più bassi d'Europa - senza investire nella premialità, in incentivi che possano motivare il lavoro quotidiano dei docenti (docenti che ottengono una cattedra stabile, in media, all'età di quarantuno anni). I dati OCSE ci dicono che la scuola italiana ha dei problemi, ci suggeriscono che qualcosa deve cambiare: mantenere lo status quo non è più possibile, ed è necessario correggere ciò che non va.
Il decreto-legge in questione mira a riorganizzare, senza però stravolgere, la scuola italiana: una scuola che funziona meno bene e costa molto di più rispetto alla media degli altri Paesi europei; una scuola dai mille paradossi fondata sulla cultura degli sprechi; un sistema scolastico che conta 10 mila classi con meno di dieci alunni e dove la degenerazione del modello organizzativo dei moduli ha portato a classi in cui, come nella prima elementare di una scuola in provincia di Como, ci sono nove insegnanti; e ancora, un sistema in cui lavorano 167 mila collaboratori scolastici ma che poi, in molti casi, appalta la pulizia delle aule a ditte esterne.
Di fronte alle debolezze ed inadeguatezze strutturali della scuola italiana il Ministro Gelmini, con una riforma semplice e chiara, è arrivato al cuore del problema. Di fronte alla grave crisi in cui versa la scuola è indispensabile trovare una ricetta in grado di coniugare la qualità e la valorizzazione dell'offerta formativa con la riqualificazione della spesa pubblica.
Su questo punto credo ci dovrebbe essere una sostanziale condivisione bipartisan, dal momento che anche il precedente Governo aveva già denunciato, nel Quaderno bianco, il malfunzionamento della scuola ed aveva avviato un piano di contenimento e di razionalizzazione della spesa pubblica nel settore scolastico, rispetto al quale non si sta facendo altro che andare nella stessa direzione.
Sull'articolo 4 della riforma, che reintroduce il maestro prevalente alle elementari, è necessario fare una riflessione. Questo modello didattico, presente in Italia fino al 1990, non è stato abbandonato perché non funzionava.Pag. 70
Anzi, la scuola elementare italiana quando era a regime il maestro prevalente, era in vetta alle classifiche internazionali quanto a rendimento degli alunni. La novità di più insegnanti per classe alle elementari non mirava certo a migliorare la qualità dell'insegnamento e dell'apprendimento ma, nonostante il decremento demografico, aveva l'obiettivo di mantenere alto il livello di assunzioni nella scuola. Il ritorno al maestro prevalente, che sarà una figura di riferimento per le famiglie e per gli alunni, dimostra quanto il decreto-legge in esame valorizzi il fattore umano attraverso lo stretto rapporto docente e discente, che soprattutto negli anni dell'infanzia ha un valore fondamentale.
D'altra parte, in molti Paesi d'Europa dove la qualità della scuola elementare è massima, il modello didattico del maestro prevalente non è stato mai abbandonato. A supporto di quanto detto, vi è anche l'esperienza in atto in numerose scuole paritarie del modello stellare, con un maestro prevalente attorno al quale gravitano alcuni esperti, che costituisce sicuramente un esempio positivo.
Si potrebbe obiettare che oggi i test nazionali e internazionali ci offrono un'immagine ottimistica della scuola primaria, ma questo è vero solo in parte. L'apprendimento dei bambini, infatti, comincia ad essere scadente già all'età di 9 anni.
Per quanto riguarda poi le perplessità circa la riduzione del tempo obbligatorio, l'articolo 4 che affida le classi all'insegnante prevalente, al comma 1 non trascura l'importanza delle esigenze delle famiglie, prevedendo la possibilità di una più ampia articolazione del tempo a scuola in ragione della loro domanda.
Più volte, inoltre, è stato ribadito dal Governo che il tempo pieno verrà in ogni caso mantenuto, così come gli insegnamenti di religione, di lingua inglese e di educazione fisica. Lo stesso dicasi per gli insegnanti di sostegno in pianta organica: anche il loro lavoro verrà salvaguardato.
Oggi, quasi la totalità del bilancio del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca viene destinato a coprire gli stipendi degli insegnanti. Quasi nulla rimane da investire nell'edilizia scolastica, negli incentivi ai docenti migliori e nella qualità della formazione. L'attuazione del provvedimento in esame permetterà, nell'arco di tre anni, un risparmio di 8 miliardi di euro, 2 dei quali serviranno a premiare gli insegnanti più capaci.
I problemi del sistema scolastico non si risolveranno certo spendendo di più, ma studiando finanziamenti ben mirati per i migliori. La crescita culturale degli studenti non dipende solo dalla spesa pubblica, ma dal grado di approfondimento delle materie, dalla qualità del tempo che si dedica a ciascuna disciplina e dalla formazione dei docenti.
Gli altri provvedimenti della riforma penso siano largamente condivisibili. Primo tra tutti, quello di orientare gli organi scolastici alla scelta di libri di testo sui quali l'editore si sia impegnato a mantenerne invariato il contenuto per un intero ciclo di studi. Si tratta di un'iniziativa inedita che ha l'obiettivo di combattere il caro-libri, di salvaguardare il potere d'acquisto delle famiglie italiane e di aiutare quelle con più bambini sotto lo stesso tetto.
Oltre ad offrire un futuro più dignitoso a insegnanti preparati e che lavorano con passione, questa riforma vuole far recuperare alla scuola quella autorevolezza che da troppi anni è andata persa. Sono perfettamente consapevole che non sarà il ripristino del voto in condotta a risolvere il problema dell'aggressività tra i giovanissimi, ma questa iniziativa potrà servire da deterrente e, in ogni caso, contribuirà a trasmettere ai giovani i valori della disciplina, del rispetto dell'altro e della responsabilità; valori su cui deve fondarsi una società civile. Mi sembra che in questo modo la scuola recuperi la sua fondamentale funzione educativa, quella di rappresentare non un semplice veicolo di nozioni, ma un reale percorso formativo.
Anche l'introduzione del voto in decimi per la valutazione del rendimento scolastico nella scuola primaria mi sembra una modifica più che sensata. Il numero nellaPag. 71sua estrema capacità di sintesi rappresenta con grande efficacia il rendimento di uno studente ed è di facile lettura per le famiglie, mentre i giudizi possono essere nebulosi e di difficile comparazione.
Mi auguro, quindi, un confronto dai toni pacati che possa realmente salvaguardare l'interesse dei piccoli protagonisti della scuola e di questa riforma, ovvero i bambini. La scuola non può essere e non deve essere campo di battaglia tra ideologie contrapposte e terreno di conquista di consensi politici. Fomentare allarmismi ingiustificati, attivare una campagna della disinformazione, non risolverà certo i tanti problemi della scuola italiana, ma servirà soltanto a creare confusione, incertezza e disorientamento.
Vi è poi chi solleva l'obbiezione di un eccessivo precariato dei docenti. A questi colleghi vorrei ricordare che è stato il precedente Governo a chiudere, nella legge finanziaria per il 2008, l'accesso alla graduatorie, lasciando aperte le SSIS, inventando in questo modo posti di lavoro che di fatto non esistevano.
È una situazione paradossale, che presto verrà sanata dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca.
Da questi banchi voglio anche rivolgermi al segretario della CGIL Guglielmo Epifani, per chiedergli di non strumentalizzare la scuola nella sua battaglia contro il Governo, ma di aiutare, con proposte realizzabili, il cambiamento di cui la nostra scuola ha bisogno.
Infine, invito i colleghi dell'opposizione ad un confronto libero dai pregiudizi e dalla critica aprioristica sulla riduzione degli stanziamenti, un confronto che possa convergere verso un unico grande obiettivo: costruire insieme, maggioranza e opposizione, una scuola veramente capace di formare, una scuola che non è né di destra né di sinistra, ma semplicemente la scuola dei cittadini del domani (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà - Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Castagnetti. Ne ha facoltà.

PIERLUIGI CASTAGNETTI. Signor Presidente, signor sottosegretario, non se ne abbia se mi rivolgerò idealmente al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca in questo mio intervento, Ministro che ha dovuto assentarsi dall'aula. Forse dovrei giustamente rivolgermi al Ministro dell'economia, il vero autore del provvedimento in esame, ma per garbo istituzionale mi rivolgerò al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca.
Ho chiesto di poter intervenire anch'io in questo dibattito, pur non occupandomi abitualmente di problematiche scolastiche, perché considero centrale il tema della scuola, in una strategia di rigenerazione morale e culturale del Paese.
Come cittadino e soprattutto come legislatore ho cercato pertanto di approfondire il provvedimento in esame attraverso la partecipazione ad incontri con esperti, proprio perché avverto la grave responsabilità del Parlamento oggi.
Perché, signora Ministro e signor sottosegretario, un decreto-legge? Non vi era alcun presupposto perché un provvedimento di questa portata fosse approvato attraverso lo strumento della decretazione d'urgenza. Evidentemente, avete voluto eludere un confronto serio. Ma se siete così convinti della giustezza di queste scelte, perché temere il dialogo, l'approfondimento, il confronto con il mondo più strettamente interessato: gli insegnanti e le famiglie, in primo luogo? Come è possibile modificare l'ordinamento scolastico di un Paese con un provvedimento notturno come questo? Non sarebbe possibile in nessun altro Paese e non è mai stato fatto nemmeno nel nostro e nemmeno in tempi in cui vi era poca confidenza con la democrazia. Non vi è un esempio, in nessun'altra democrazia moderna, in cui si modifichi, si riformi, si definisca un nuovo sistema e un ordinamento scolastico in questi tempi e con questi strumenti legislativi.
Il nostro - vorrei che il Governo lo sapesse - non è un atteggiamento pregiudiziale, e lo voglio dire anche ad altri colleghi di altri gruppi di opposizione: non abbiamo un atteggiamento negativo pregiudizialmente.Pag. 72Sulla scuola vorremmo, avremmo piacere, avremmo voluto poter dialogare e lavorare insieme.
Il nostro non è neppure - lo dico ad alcuni editorialisti che si sono impegnati e cimentati in questi giorni - un atteggiamento di conservazione; siamo riformisti, ma non siamo favorevoli ad un riformismo fine a se stesso, a cambiare per cambiare: così si scassa soltanto, non si fanno le riforme. E in ogni caso, non si confondano le riforme con la restaurazione di un ordine precedente, di un vecchio sistema ordinamentale.
Ciò che colpisce, poi, in questa vicenda, è la disinvoltura e l'arroganza di un pensiero sbrigativo, per rubare l'immagine di un recente articolo molto interessante e inquietante di Michele Serra su la Repubblica. Abbiamo letto un'intervista dell'autore del provvedimento in esame (infatti ci risulta che in Consiglio dei Ministri il provvedimento in esame non sia stato presentato dal Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, ma dal Ministro dell'economia, e ciò la dice lunga).
Il Ministro dell'economia nel corso di un'intervista pubblicata il 22 agosto sul Corriere della sera ha espresso concetti raffinatissimi, del tipo: i numeri sono una cosa precisa, mentre «i giudizi, per come sono strutturati e «bizantinati», basati su formule che tendono a essere ipocrite, psicopedagogiche, tautologiche, caramellose, offensivo-giudiziarie o presunte tali, sembrano fatti apposta per mandare fuori di testa i genitori o per stendere i ragazzi sul lettino dello psicanalista (...)».
Lei stessa, signora Ministro dell'istruzione, non ha voluto essere da meno quanto a raffinatezza del pensiero sbrigativo quando ha affermato in un'altra dichiarazione: «La scelta dei tre maestri alle elementari non ha avuto alcuna motivazione educazionale e pedagogica: è stata fatta per aumentare il numero degli insegnanti».
Se non lo avesse ancora fatto, consiglio a lei, signora Ministra, e anche a lei, signor sottosegretario, di leggere su Europa del 5 settembre scorso l'intervento del Ministro della pubblica istruzione del 1990, Sergio Mattarella, che dimostra l'assoluta falsità di tali affermazioni e le dà, se consente, anche una garbata lezione di stile, oltre che di merito, su tutti i contenuti di questo provvedimento, perché un ministro, proprio in quanto tale, non ha il diritto che ha un cittadino qualunque, un cittadino che parli al bar, di dire delle cose false che non siano documentate e documentabili.
Signor Presidente, ho visto che alcuni colleghi hanno riportato delle lettere ricevute da cittadini, da insegnanti, da genitori e da studenti. Consenta anche a me di riportare la testimonianza di un'insegnante della mia città, Reggio Emilia, una testimonianza scritta non a me (non conosco neppure questa insegnante), ma ad un giornale, il Giornale di Reggio del 26 settembre. L'insegnante si chiama Maria Rita Ruozzi e il Ministro dovrebbe conoscere la sua lettera, perché è stata inviata direttamente a lei e, per conoscenza, alla stampa locale. Trovo la lettera molto interessante ed esplicativa delle ragioni per cui noi - non per motivazioni di conservazione, non per pigrizia mentale e non per pregiudizio, come ho detto prima - non possiamo condividere questo provvedimento.
Ho sentito poc'anzi l'intervento del collega Farina. Vorrei poter interloquire; purtroppo in questo Parlamento e in questa legislatura non vi è mai la possibilità di una interlocuzione, per una ragione semplice: perché i provvedimenti ci vengono proposti per essere ratificati. Di fronte ai decreti il Parlamento ha soltanto la libertà di ratificarli, cioè di dire che è d'accordo. Tale «libertà» è imposta soprattutto ai colleghi della maggioranza, i quali non hanno la possibilità di dialogare con i colleghi dell'opposizione, semplicemente perché non hanno la libertà di modificare neppure una virgola dei provvedimenti: devono approvarli e stare zitti, premere il tasto e stare zitti. È mortificante, perché può accadere che qualche volta per ragioni di urgenza si proceda attraverso la decretazione, ma in questi primi cinque mesi il Governo ha portato aPag. 73casa molti provvedimenti e soltanto uno di essi non è stato emanato attraverso la procedura della decretazione.
Se avete pazienza vi leggerò questa lettera inviata al Ministro e per conoscenza al giornale. Il contesto è dato dalla città di Reggio Emilia, una città in cui vi è una civiltà e una qualità che io giudico medio-alta, ma diciamo pure media, anche nei livelli di funzionamento del sistema scolastico. La lettera riporta quanto segue: "Insegno lingua italiana in una quinta elementare, in una scuola della prima periferia della mia città insieme alle colleghe degli altri ambiti logico-matematico e antropologico. Siamo tre insegnanti che operano su due classi, per un totale di 46 alunni. Le ore di contemporaneità sono 6 alla settimana, alle quali vanno tolte quattro ore di educazione alternativa alla religione, per cui la cosiddetta compresenza si riduce a 2 ore settimanali. Nelle mie classi vi sono degli alunni diversamente abili (non se ne discute mai abbastanza), perciò è presente l'insegnante di sostegno a metà tempo in entrambe le classi.
Questa è la composizione dei due gruppi di classi: tre alunni diversamente abili, sei alunni con certificazioni di dislessia, dieci alunni stranieri di cui due appena arrivati dai Paesi di origine, sei alunni con gravi problemi di apprendimento non certificati. Facendo un semplice calcolo, si renderà conto che la presenza di alunni con esigenze particolari è di tredici bambini su ventitré. Ora arrivano le domande.
Prima domanda: come pensa che potrò affrontare una realtà di questo tipo - peraltro nemmeno una delle peggiori della mia città e del Paese - come maestra unica, costretta ad utilizzare esclusivamente la lezione frontale, senza possibilità di alternativa come il lavoro a piccolo gruppo, modalità di cui tutti i bambini abbisognano, ma assolutamente necessaria per gli alunni in difficoltà?
Seconda domanda: insegno italiano da sedici anni e ho comunque bisogno di studiare costantemente per adeguare le mie proposte didattiche alle esigenze sempre differenti degli alunni; come potrò farlo anche per matematica, storia, geografia, educazione alla cittadinanza, geometria, scienze, eccetera? O lei pensa che per insegnare a fare una moltiplicazione sia sufficiente saper moltiplicare?
Terza domanda: come potrò condividere progettazioni, metodologie, proposte didattiche, offerte formative, idee? Qualche volta anche le maestre hanno delle idee.
Quarta domanda: con chi potrò confrontarmi riguardo i temi delicatissimi, quali la valutazione, l'ascolto dei bambini, la comunicazione con le famiglie, le varie emergenze che ormai quotidianamente ogni insegnante si trova ad affrontare?
Io non so che tipo di scuola lei, signor Ministro, abbia sperimentato. Certo, sentirla affermare - dico io, pensiero sbrigativo - in televisione che su tre maestre, una lavora e due stanno a guardare, mi ha fatto veramente male».
Ecco, signora Ministra e signor sottosegretario, se vogliamo essere seri, questi sono i problemi della scuola. Con il pensiero sbrigativo non si va da nessuna parte, si scassa il sistema soltanto.
Non neghiamo che vi siano questioni aperte, problemi seri nella scuola italiana (l'indagine OCSE-PISA del 2006 li ha evidenziati in modo drammatico); ciò che le contestiamo è l'efficacia della risposta che il Governo intende dare. Il decreto-legge sposta il suo intervento verso contenuti assolutamente sbagliati, che vengono di fatto identificati come le cause dei problemi della scuola italiana: troppi insegnanti, il voto in condotta, l'orario scuola, la valutazione numerica.
La prima risposta riguarda l'introduzione dell'insegnante unico: si ipotizza che l'insegnante unico possa migliorare la qualità dell'apprendimento degli studenti fin dalla scuola primaria, così da superare l'ostacolo che è stato evidenziato dal confronto con altri Paesi. L'incongruità della risposta rispetto al problema posto appare evidente. Non si capisce per quale ragione pedagogica e didattica l'insegnante unico dovrebbe essere più competente di un insegnante che ha un'area più ristretta di contenuti da insegnare. Il principio sembraPag. 74il seguente: più si amplia lo spettro della pluralità disciplinare, più l'insegnante otterrà risultati migliori. Il ragionamento appare paradossale, ma è questo il ragionamento che si fa. Pertanto, è solo il caso di ricordare che la figura dell'insegnante unico, nei fatti, non esiste e non può esistere, perché alcune discipline sono insegnate separatamente proprio in quanto anche voi ritenete che l'insegnante unico non possa avere le competenze necessarie per insegnare in modo competente una pluralità di contenuti come sono quelli previsti dalle diverse materie di studio (inglese, religione, educazione fisica ne sono un esempio).

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROSY BINDI (ore 17,55)

PIERLUIGI CASTAGNETTI. Non si può nemmeno sostenere la tesi che l'insegnante imparerà rapidamente ciò che non sa, perché nel decreto-legge il problema della riqualificazione dei docenti non è affrontato e non è certo un tema che possa essere risolto in tempi brevi.
Sono contento che nel frattempo sia entrata l'onorevole Aprea, perché almeno c'è qualcuno della maggioranza che può ascoltare, che ha una competenza di settore.
E allora - mi rivolgo all'onorevole Aprea - occorre ancora sottolineare che la tipologia formativa delle indicazioni nazionali dei Ministri dei due precedenti governi, Moratti e Fioroni - sottolineo Moratti, se proprio vi dà fastidio il nome del Ministro Fioroni - prevedevano e mantenevano, per la stessa scuola primaria, una struttura disciplinare dei contenuti. Le discipline per loro natura rappresentano una specializzazione del sapere, sono caratterizzate da un proprio statuto disciplinare. Il loro mantenimento nei programmi non può che prevederne un insegnamento coerente e specifico. Di tutto questo ci si è dimenticati, come se i Ministri che hanno preceduto la Ministra Gelmini fossero stati assolutamente non all'altezza della situazione ed avessero svolto un lavoro per nulla apprezzabile. Ma non è accettabile che un Ministro appena arrivato cambi tutto così, senza consentire una discussione.
Veniamo alla seconda risposta che il Governo ha proposto, quella della reintroduzione della valutazione numerica. La cosa è davvero sorprendente, perché si è scambiata la valutazione con il simbolo con il quale essa viene rappresentata. La rappresentazione numerica può anche semplificare la comunicazione sociale, ma non porta nessun valore aggiunto alla conoscenza dei problemi di apprendimento dei soggetti in questione. Lo sforzo della valutazione qualitativa è stato proprio quello di cercare di capire, e quindi di intervenire per aiutare le operazioni di assimilazione e di costruzione della conoscenza. Il voto numerico non solo lascia intatto tutto il problema, ma pone una questione non affrontata dal testo normativo: il criterio di interpretazione del valore numerico ritorna ad essere completamente soggettivo. Soprattutto, impedisce di fatto che si formi un'adeguata cultura della valutazione formativa. Se la consuetudine valutativa acquisita in questi ultimi anni non era ritenuta adeguata, si poteva pensare ad un intervento teso a rifocalizzare il tema e a portarlo verso un più sicuro possesso delle procedure.
La terza risposta riguarda l'introduzione della bocciatura resa possibile dall'insufficienza in una sola materia. Si lascia così pensare che la risposta al tema della valorizzazione del merito si realizzi mediante una più consistente selezione dei soggetti e mediante la ripetizione della stessa classe, che potrebbe accadere anche più di una volta. Il nostro Paese ha il più alto tasso di bocciatura nel biennio della scuola secondaria superiore, con particolare accanimento negli istituti tecnici e professionali. Alle volte si ha l'impressione di una vera e propria strage, fino ad oltre il 30 per cento. Si poteva pensare che questo fosse un problema serio da affrontare, invece si cambia strada e si dice che occorre cominciare a bocciare da subito, dai primi anni, in modo che si eviti di arrivare al biennio con la sua strage degliPag. 75innocenti, oppure vi si arrivi creando un flusso di soggetti già destinati ad approdare direttamente alla formazione professionale regionale, abbandonando precocemente la scuola.
Di fatto, questo provocherà il ripristino di quella particolare "sensibilità culturale", riferita alle vecchie scuole di avviamento professionale. Il cosiddetto "doppio canale" si può realizzare mediante un preciso ed intenzionale modello istituzionale o mediante il criterio della selezione precoce attuata con la bocciatura. Così tutto il tema dell'orientamento, su cui tanto si è investito, viene dimesso e si opta, fin dalla scuola primaria, per scelte diverse e radicali. La bocciatura prevista anche per una sola materia ritenuta insufficiente diventerà un'ossessione che attraverserà la psicologia della scuola.
La quarta risposta che è contenuta nel provvedimento riguarda il voto in condotta e le sue conseguenze in caso di insufficienza. La cosa può avere un qualche senso: sicuramente produce un consenso emotivo nella società, oggi fortemente colpita da tanti episodi di violenza giovanile, di bullismo, di comportamenti comunque inaccettabili. Noi stessi non sottovalutiamo l'importanza di questo aspetto. Ma in questa sede vorrei richiamare il Governo a qualche valutazione sull'efficacia dell'intervento in questione, soprattutto se lasciato come unico, come una specie di spot sul tema.
Si torna al comportamentismo puro, che consiste nel ritenere che la punizione migliori il comportamento del soggetto, non solo nelle sue azioni ordinarie, ma anche nelle sue motivazioni, e che ne favorisca i processi di apprendimento. Nemmeno il padre del comportamentismo educativo, Frederic Skinner, era arrivato a tanto. Anche lui riteneva, infatti, che la stimolazione dovesse sempre essere positiva, per ottenere una risposta positiva. Il mettere in connessione questi tre punti - punizione, motivazione, apprendimento - con un rapporto di causa-effetto riporta la visione antropologica del soggetto della scuola primaria alla cultura del positivismo, del più angusto positivismo. La norma si basa sul principio dell'incentivazione della paura della bocciatura per ottenere il risultato comportamentale adeguato. È difficile pensare a qualcosa che sia più contrario ad una strategia educativa, ammesso che la strategia educativa sia nell'interesse di questo Governo.
La quinta risposta è stata quella della riduzione delle ore di presenza dei soggetti a scuola. Anche questo va annoverato tra i fatti singolari. La difficoltà dell'apprendimento dei soggetti in alcune discipline viene risolta con la minore offerta del tempo di formazione. Si poteva pensare che l'intervento legislativo potesse essere finalizzato a una riqualificazione della didattica, al fine di provare strade più adeguate e finalizzate per ottenere risultati. Invece, si è pensato che l'esposizione dei soggetti alla scuola sia eccessiva, e che quindi questa debba essere ridotta.
Si chiede così alla famiglia, onorevole Aprea - già fortemente sconvolta sul piano organizzativo proprio da questo intervento, che semplicemente si disinteressa di conciliare i tempi della scuola con quelli di vita e di lavoro dei genitori - che sia lei a migliorare o a integrare ciò che la scuola non riesce a fare. In questo modo la famiglia viene caricata di ulteriori problemi. In particolare, è tutta da provare la capacità della famiglia oggi, della famiglia media, di offrire al figlio un servizio di supporto culturale. Pensate, signori del Governo, alla realtà delle famiglie italiane, soprattutto di quelle più povere, più marginali, che hanno meno opportunità e risorse. Sembra da escludere che la famiglia media possa supplire a ciò che la scuola toglie ai ragazzi senza ricorrere a servizi privati esterni alla famiglia stessa e alla scuola, ovviamente onerosi.
La famiglia oggi, con tutti i suoi problemi e con tutte le sue diverse forme sociali, richiede una strategia opposta. Ha bisogno di un supporto forte da parte dei servizi educativi, ha bisogno di non essere lasciata sola nella già complessa situazione sociale del momento, ha bisogno di trovare nei servizi sociali, sopratutto in quelli della scuola deputati alla cultura e alla formazione di comportamenti etici, un solido edPag. 76efficace sostegno non solo durante il periodo invernale ma, quasi paradossalmente, per tutto l'anno. La scuola ha una funzione sociale, oltre che strettamente culturale. Il suo nuovo impegno oggi è quello di migliorare e differenziare i servizi, non di ridurli.
Questo Governo - signor sottosegretario, signora Ministro, che ci leggerà (chissà se lo farà), collega Valentina Aprea, Renato Farina e voi della maggioranza che state ad ascoltarci - che pure ha annunciato in campagna elettorale di voler sostenere la famiglia, si segnala, anche con il provvedimento in esame, come con tutti gli altri di natura fiscale e finanziaria, come un pervicace persecutore economico e morale della famiglia. C'è qualcuno dalle vostre parti, lo dico in particolare ai colleghi cattolici che siedono nei banchi della maggioranza, che apre gli occhi su questo aspetto veramente inquietante? State bistrattando le famiglie, state scaricando su di esse degli oneri che non possono sopportare, delle funzioni che non sono in grado di poter esercitare.
I colleghi cattolici che siedono nei banchi della maggioranza se ne rendono conto, almeno? Hanno la possibilità di rilevarlo, almeno all'interno della maggioranza, visto che in questo Parlamento sono tutti zitti e allineati?
Veniamo alla sesta risposta del Governo, che è quella relativa all'introduzione di un nuovo contenuto nell'insegnamento: la cittadinanza e la Costituzione. Credo che si debba valutare positivamente l'idea, ed io la valuto positivamente, anche se deve essere accompagnata dalla sua definizione in quanto disciplina. Il decreto non è chiaro: si dice che viene insegnato il contenuto, ma non lo si definisce istituzionalmente. Cari signori del Governo e colleghi della maggioranza, non si può scherzare, non si possono fare degli spot. Vogliamo sapere concretamente come pensate di gestire questo nuovo insegnamento. Occorre che sia definito istituzionalmente, problema questo non indifferente, perché attiene alla formulazione di un voto e alla presenza di una cattedra e di una specifica competenza in questa materia: una cattedra, un voto, una competenza, una preparazione a gestire questa materia.
La formazione alla cittadinanza e alla cultura costituzionale avviene certamente attraverso momenti conoscitivi, ma questi per la formazione del soggetto ai valori del vissuto democratico, lo sappiamo tutti, non bastano. La Costituzione non è un insieme di nozioni; la formazione della cittadinanza non è l'assemblaggio di nozioni. La formazione al comportamento democratico avviene anche attraverso l'esperienza effettiva che un soggetto compie. Si tratta, pertanto, di articolare l'organizzazione scolastica in modo tale che i partecipanti svolgano reali esperienze di sensibilizzazione democratica attraverso l'apprendimento del discutere, del lavorare in gruppo, del decidere su questioni ad essi proporzionate, e via dicendo.
La scuola deve diventare una palestra di esperienze attive e di azioni finalizzate all'esperire la forma democratica. La cittadinanza attiva non è una disciplina, ma un'esperienza, che si serve inevitabilmente di alcuni elementi conoscitivi. Tra la formazione democratica dei soggetti e il principio della possibile bocciatura c'è un abisso. E poi, signora Ministra, signor sottosegretario, onorevole presidente della Commissione, per favore, non allineiamo sullo stesso piano la formazione costituzionale con l'educazione stradale. Servono entrambe, evidentemente, ma almeno gerarchizziamo i piani.
Le risposte dei due punti relativi poi alla presenza dei libri di testo nella scuola e al mantenimento ancora per un certo tempo del valore abilitante del corso di laurea per la formazione primaria passano completamente in secondo piano rispetto ai contenuti più pregnanti del decreto.
Nel concludere, rilevo che gli interventi previsti dal decreto concentrano la loro attenzione più sugli effetti di risonanza esterna (la bocciatura, sia per ragioni di condotta, sia per quelle di apprendimento), che non sugli obiettivi di qualificazione degli apprendimenti; più sugli aspetti di selezione sociale, piuttosto che sullo studio degli interventi promozionali;Pag. 77più sugli aspetti di apparenza (il voto numerico) che su quelli di significato (la valutazione formativa).
Il risultato sarà quello di un aumento della tensione psicologica tra i soggetti (gli insegnanti e le famiglie). In tutto il decreto, onorevole Aprea, lei che se ne intende, non c'è un solo elemento propositivo per lo sviluppo degli apprendimenti. Non c'è una riga: la bocciatura, il taglio delle ore, il voto in condotta, l'insegnante unico non hanno niente in comune con l'investimento sulla ricerca didattica, sulla qualificazione professionale dei docenti e sulla stessa organizzazione della scuola.
Perciò riteniamo che questa non sia una riforma, ma una modalità per lo Stato di fare cassa. E fare cassa sulle spalle delle nuove generazioni è la cosa più imperdonabile, oltre che più autolesionista, che uno Stato possa immaginare (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Antonino Russo. Ne ha facoltà.

ANTONINO RUSSO. Signor Presidente, in via preliminare vorrei sviluppare alcune considerazioni propedeutiche ad una migliore comprensione delle mie riflessioni sui temi di riforma scolastica aperti dal decreto-legge n. 137 del 2008. Faccio parte di quella generazione di giovani neodeputati che in questa legislatura si trovano per la prima volta a svolgere la propria funzione e il proprio impegno nelle Commissioni e dentro quest'Aula parlamentare. Sono perciò tra quelli che speravano che questa nuova legislatura potesse aprire davvero una nuova stagione dei rapporti politici e, quindi, una inedita fase di dialogo tra le forze politiche e, più complessivamente, nel Paese. Ovviamente non sono così ingenuo da pensare che ci potesse essere convergenza di posizioni sui temi più scottanti della giustizia o dell'emittenza radiotelevisiva, temi di geloso interesse del cavalier Berlusconi. Non sono così ingenuo da pensare che si potesse andare d'accordo e convergere sul lodo Alfano o sul decreto-legge «salva Berlusconi» - come è stato definito - o sul decreto-legge «salva Retequattro». Tuttavia, credevo ed auspicavo, fino a qualche tempo fa, che su temi fondamentali per un Paese, come la scuola, si potessero e si dovessero trovare le condizioni per un dialogo sereno, non ideologico ed epurato da pregiudizi.
Anche in questa seduta, poco fa, ho sentito questi toni. Anche in questi minuti ho sentito parlare di Marx, foibe, comunisti, qualcuno è addirittura arrivato a parlare di monopolio ossessivo della cultura socialcomunista. Si ha la sensazione che si voglia ideologizzare un dibattito sulla scuola quasi fosse necessaria una rivincita storica rispetto al sessantotto e a quella scuola intrisa di rivoluzionarismo. Invece, anche sulla scuola non è andata così e non è stato possibile avviare un dialogo, davvero necessario.
Sentivo poco fa l'onorevole Giammanco parlare della necessità di deideologizzare il dibattito sulla scuola, di parlare concretamente della necessità che la scuola ha, nel Paese, di vedere una riforma condivisa. Mi chiedo quale sforzo sia stato fatto da parte del Governo e della maggioranza. Si è utilizzato - ha fatto bene a dirlo l'onorevole Castagnetti - la decretazione d'urgenza come se si volesse impedire di parlare e di discutere, quasi davvero che si temesse il confronto.
Quale motivo vi è per l'unico punto fondamentale di questo decreto-legge, che - lo sappiamo tutti - è il superamento del team di insegnanti, di utilizzare la decretazione d'urgenza, visto che questo provvedimento entrerebbe in vigore l'anno prossimo? Penso che poteva esserci più tempo per discutere e per approfondire. Quindi, i presupposti minimi per un confronto ampio non sono andati oltre le dichiarazioni di rito dell'avvio di legislatura. Ricordo che cosa ci ha detto la Ministra (o il Ministro, come qualcuno vuole che si dica): non voglio disperdere il lavoro già fatto dai precedenti Ministri, in particolar modo la Moratti e Fioroni; voglio ripartire da quanto fatto e da quanto è importante. Addirittura, in Commissione, quasi con dei segnali incoraggianti di dialogo per parlare con un pezzoPag. 78consistente o con la parte più ampia dell'opposizione del Parlamento, utilizzò delle citazioni persino di Gramsci. Non so quanti nel Popolo della Libertà fossero d'accordo e quanti fossero contenti, però si arrivò perfino a questo, quasi per determinare un clima disteso.
Ovviamente, oggi quelle parole ci suonano come una grande ipocrisia e ci consegnano tutta intera l'amarezza di una grande occasione perduta. Non so davvero, non riesco ancora a spiegarmi perché non si voglia dialogare su un tema come la scuola.
Sono certo che allo scontro è sempre preferibile il confronto: è sempre stato un mio modo di pensare e di comportarmi, perché credo che sia sempre preferibile il dialogo costruttivo. Ma quando questo è considerato, ed anche additato con fastidio, come qualcosa da cui liberarsi, allora non si può altro che prenderne atto e noi, signor Presidente, ne abbiamo preso amaramente atto come gruppo del Partito Democratico, e vi assicuro che ne prenderemo atto fino in fondo.
Io so quanto sia preoccupata la Ministra del fatto che in democrazia si possano mobilitare le persone, le coscienze, i cittadini che non condividono un determinato provvedimento, ma vi assicuro che le manifestazioni che abbiamo portato avanti in questi giorni, la mobilitazione di questo fine settimana che si conclude questo pomeriggio con l'iniziativa al Capranica, sono state grandi manifestazioni di successo. In uno dei banchetti al quale ero presente per raccogliere le firme per tentare di bloccare questo percorso rispetto alla scuola, mi sono trovato addirittura un gruppo di insegnanti - e vi assicuro che nessuna di loro era comunista - che ha preso il posto dei militanti del Partito Democratico per chiedere alle persone che passavano la partecipazione su una semplice petizione.
Io sono convinto che c'è una miopia da parte del Governo sul tema della scuola in generale e in particolar modo rispetto al modulo, alla non necessità di reintrodurre il maestro unico, davvero preoccupante. Penso che non siate davvero in sintonia, e questo probabilmente è il primo punto che determinerà una profonda inversione. Avete fatto di tutto per occultare la gravità del provvedimento, mettendo degli articoli «bandiera», come si diceva un tempo: avete introdotto l'articolo sul voto in condotta, condivisibile al di là delle valutazioni di dettaglio; avete ragionato intorno al grembiulino, come se fosse centrale nella vita del Paese e nelle questioni della scuola; avete ragionato di voti numerici piuttosto che di giudizi: tutte cose di cui si può discutere, ma che non rappresentano il cuore delle necessità della scuola italiana.
Invece, sul tema fondamentale di una parte della scuola, quella primaria, che funziona meglio, in maniera del tutto inusitata avete deciso di procedere con decreto-legge, annunciandolo a fine estate quando era difficile anche immaginare delle mobilitazioni. Ma le mobilitazioni successive credo che stiano dando grandi risultati: ho visto quelle dei sindacati, le nostre, e penso che fareste bene a riflettere di più.
La concezione del Governo, e quindi di riflesso anche di tutta la maggioranza parlamentare, almeno sui temi della scuola, credo che sia sintetizzabile bene dal senso dell'intervista di ieri sul Corriere della sera del professor Panebianco. Insomma, non si può correre il rischio che le scelte del Governo e della maggioranza appaiano come il frutto classico del consociativismo politico-sindacale che avrebbe caratterizzato tanti aspetti della vita repubblicana. Quindi, meglio abbandonare ogni intenzione di dialogo, ogni ipotesi di confronto e percorso condiviso, anche su temi strategici, fondamentali per un Paese, che non devono essere ideologizzati - né di destra né di sinistra, dice qualcuno - come quello della scuola.
Ma restiamo alla concretezza del provvedimento, alla sua origine, al suo sviluppo, alla sua attualità ed alle sue conseguenze, a partire dall'immediato futuro se mai - almeno nell'aspetto più importante, ossia il maestro unico - entrerà in vigore. Ai più attenti credo che sia apparso chiaro, a partire dall'approvazione in ConsiglioPag. 79dei ministri del decreto-legge n. 112 del 2008, il tipo di indirizzo e la natura delle politiche sulla scuola di questo Governo, in particolare del Ministro Gelmini, collocando all'articolo 64 i provvedimenti sulla scuola.
In quel Consiglio dei ministri, però, c'è stato di più. Quel Consiglio dei ministri è passato alla storia per la sua durata di appena nove minuti - dico nove minuti: nove! - ed era già chiaro come fosse inconsistente il ruolo del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. In quei nove minuti - sottolineo nove - verosimilmente non c'è stato il tempo per alcuna osservazione da parte di nessun Ministro e se ne sono pure fregiati, vantati: in nove minuti non si era approvata mai alcuna manovra finanziaria.
Presumibilmente anche la Gelmini non ha trovato nulla di interessante da dire, niente che potesse anche solo mettere in dubbio il disegno di tagli profondissimi e violenti del Ministro Tremonti alla scuola; allora delle due l'una: o il Ministro Gelmini non ha capito fino in fondo la portata dei tagli alla scuola - ed è possibile - oppure ne era pienamente consapevole e convinta della necessità. In ognuno dei due casi, resta vera una certezza: il Ministro Gelmini non ha sprecato alcuna energia per difendere l'attuale scuola italiana, a partire da quella più importante e che funziona meglio perché più al passo con i tempi, ossia la scuola primaria. A me - consentitemelo - risulta incredibile, oltre che inammissibile, il comportamento di un Ministro che vede tagliati 7 miliardi 832 milioni di euro al proprio Ministero e non ha nulla da dire, neanche una timida e garbata lamentela.
In astratto, sembrerebbe logico che ogni Ministro, e quindi anche quello dell'istruzione, dell'università e della ricerca, avesse a cuore la sorte degli ambiti che si trova a governare. Sembrerebbe dunque naturale che il Ministro fosse il primo difensore del proprio Ministero, che si battesse per avere più risorse, invece che meno, che potesse contribuire a migliorare gli aspetti essenziali del mondo della scuola; invece, incredibilmente, non solo nulla di ciò è accaduto, ma addirittura è avvenuto l'esatto contrario.
Il Ministro Gelmini ha raccolto le disposizioni di quel Consiglio dei ministri quasi fossero compiti per casa e li ha tradotti nelle proposte che oggi ci troviamo a discutere. Credo che perfino lo svolgimento di quei compiti sia stato svogliato e poco approfondito, probabilmente il Ministro ha avuto dei cattivi maestri a seguirla a casa. In ogni caso, credo che vi sia ancora il tempo per poter correggere quei provvedimenti e in alcuni particolari spero che la presidente della Commissione, in special modo, abbia potuto consigliare bene la Ministra, che in Commissione, non conoscendo ovviamente gli argomenti, aveva chiesto il tempo per approfondirli.
Tutto questo ci porta a dire che è stata vana anche l'audizione nella VII Commissione di tutte le associazioni di genitori, di studenti, di insegnanti, di presidi, di pedagogisti, dei sindacati della scuola e delle organizzazioni dei precari. Nessuno spunto - dico nessuno - è stato ritenuto degno di considerazione; nessun elemento, nessun dubbio ha intaccato la presunta graniticità di quel testo tutt'altro che ricco e, nel punto essenziale, ossia quello del maestro unico, tutt'altro che urgente. Così, nessun emendamento degli oltre cento che sono stati presentati da tutte le opposizioni, e in particolar modo dal Partito Democratico, è stato ritenuto di buon senso, utile a migliorare il testo; nemmeno quando era tecnico o esplicativo e non solo di sostanza.
Il mandato al quale la maggioranza non poteva derogare era chiaro ed evidente: nessuna modifica al testo varato dalla maggioranza era possibile; si doveva andare avanti da soli a prescindere da tutto e da tutti; questo era l'imperativo che i commissari della VII Commissione avevano davanti. Questa è stata l'idea di collaborazione, di dialogo, emersa in Commissione nell'esame del disegno di legge di conversione del decreto-legge cosiddetto Gelmini.
Secondo me, ciò porterà - non voglio essere profeta di sventura in questo sensoPag. 80- a una conversione ancora più rapida del decreto-legge: credo che anche le spaccature profonde manifestatesi in quella sede con alcuni esponenti della Lega espone a rischio, perché erano troppo evidenti i presupposti di buonsenso contenuti nei nostri emendamenti, che venivano cestinati, respinti e bocciati solo per pregiudizio.
Credo che anche per questo provvedimento si arriverà probabilmente alla posizione della questione di fiducia. Ovviamente, sarebbe un fatto gravissimo: non si può cambiare un aspetto fondamentale della vita del Paese, che riguarda direttamente o indirettamente tutte le famiglie italiane e che incide soprattutto sul futuro dei bambini (che dovrebbero subire questa pessima riforma della scuola), sulla qualità del loro sapere e su ciò che essi conosceranno, in questo modo così superficiale, approssimativo e irresponsabile.
Mi chiedo come si possa concepire un cambiamento di un'importante legge, frutto di una lunga gestazione e maturazione. Poco fa, ancora una volta, l'onorevole Castagnetti richiamava una lettera dell'ex Ministro Mattarella su Europa, che conteneva la cronistoria dei cambiamenti nella scuola. Prima della riforma operata dalla legge n. 148 del 1990 vi era stato un lungo percorso di quasi dieci anni, iniziato nel 1981 con l'avvio della riforma dei programmi didattici per la scuola elementare e portato a compimento nel 1985. Successivamente, erano state effettuate sperimentazioni, prima su 7 mila, poi su 21 mila classi, diventate poi la scuola che conosciamo.
Non so come si possa procedere quasi con un semplice schiocco di dita e si possano rimettere indietro le lancette di vent'anni così irresponsabilmente e come si possa cancellare una lunga fase di sperimentazione, che appunto ha preparato con cautela la scuola di oggi, giudicata tra le prime al mondo per qualità e capacità formativa.
Perché sulla reintroduzione del maestro unico si pensa di andare dritti senza alcun dubbio, senza neanche il sospetto di creare danni gravi ad intere generazioni di cittadini e, più complessivamente, al Paese? Perché non si è immaginata nemmeno una fase di sperimentazione, così come ha insegnato bene il passato, che possa comprovare i propositi del Governo ed ampliare i presunti consensi che avete su questo tipo di riforma? Credo che il problema del consenso sul grembiulino si risolverà presto, quando le mamme dovranno lavarlo alla prima occasione. La questione del voto si risolverà al più presto, quando il voto numerico sarà più asettico del giudizio e quando il rischio di vedere bocciato il proprio figlio alla scuola elementare, anche per una sola materia - sapete che è così -, determinerà probabilmente alcune preoccupazioni.
Per quanto riguarda il maestro unico, credo che avreste dovuto almeno immaginare il dovere della sperimentazione. So che del maestro unico non era convinta, a meno che non raccontasse cose false ai giornali, la Ministra Gelmini stessa, perché non più tardi della fine dell'estate, la Ministra stessa parlava della speranza di non dover tornare al maestro unico. «Spero che non si debba tornare al maestro unico», aveva detto, salvo poi farselo imporre dal Ministro unico Tremonti, che è il problema dei problemi della scuola italiana. Penso che il problema sia non il maestro unico, ma il Ministro unico, che ha determinato, senza neanche immaginare gli effetti che potevano avere, i tagli per 7 miliardi 832 milioni di euro per i prossimi anni. Così, però, a mio avviso, create una scuola più simile a quella del terzo mondo che a quella che vuole proiettarsi con autorevolezza verso il terzo millennio.
Voi create una scuola che penalizza i discenti, i docenti, le famiglie ed anche il Paese nel suo complesso. Create sicuramente problemi ai discenti, perché inevitabilmente, acquisendo meno conoscenze, meno sapere, meno informazioni e studiando meno, saranno meno preparati.
Per il tipo di insegnamento che pensate di istituire, probabilmente avranno un sapere meno approfondito, molto più generalistico, come generalisti dovranno essere gli insegnanti. Potrà essere meno specifico,Pag. 81meno competente in alcuni aspetti che, magari, potrebbero appassionare di più il singolo bambino o ragazzo.
Penalizza enormemente le famiglie. È inutile dire che ci sarà il prolungamento del tempo pieno: ci sono zone del Paese in cui il tempo pieno esiste per il 3,2 per cento. Nel Mezzogiorno, i dati sono questi. Quando lo aumentiamo del 50 per cento, chi facciamo ridere? Come si può immaginare di dire queste cose?
Devo dire che la riduzione dell'orario scolastico a ventiquattro ore - questo è scritto nel testo, al di là delle correzioni del Ministro in giro per i talk show, salvo le figuracce per l'enunciazione di cose che non stanno né in cielo né in terra, rispetto anche ai tre docenti, un docente, due docenti nelle scuole - ha evidenziato lo spessore degli interventi.
Credo che il Ministro debba poter tornare indietro su questo, perché le ventiquattro ore sarebbero penalizzanti non solo per i ragazzi, ma più complessivamente per le famiglie, laddove sono due a lavorare, marito e moglie.
La mamma, la donna, che in genere ha più carichi rispetto all'uomo, si troverà a dover andare a scuola a prendere i bambini o a trovare una forma per prendere i bambini, perché usciranno alle 12,30 e saranno a casa prima.
Quindi, ci sono anche elementi che intaccano gli stili, gli usi, la vita sociale nel Paese e non riguardano soltanto la scuola. Allora, attenzione anche a ridurre il numero delle ore nella scuola. Per quanto riguarda la flessibilità, in Commissione ho sentito la Ministra dire che saranno i genitori a stabilire quante ore vogliono. Ma è possibile immaginare che, in una stessa classe, sia facoltativo stabilire quante ore si vogliano?
Immaginate che ciò sia utile per garantire un sapere che abbia quanto meno lo stesso livello di offerta formativa, differenziando le ore per ragazzo o bambino? Io penso proprio di no. Credo che questo crei danno al Paese più complessivamente, perché non può essere altrimenti. Crea sicuramente un grande danno anche ai docenti.
Credo che quella dei docenti sia la categoria che voi, con più astio ideologico, prendete come bersaglio e, tra i docenti, non tanto quelli di ruolo, ma soprattutto quelli che sono meno tutelati e meno protetti, ossia i precari.
Credo che complessivamente - questo è ciò che si evince dal piano programmatico del Ministro Gelmini, presentato alle organizzazioni sindacali - si segnino dei punti negativi rispetto ai docenti, alla certezza di lavoro, alle unità che rimarranno dentro la scuola.
Abbiamo letto di tagli che riguarderanno 87 mila docenti e 43 mila unità di personale tecnico non docente, il personale ATA, ma saranno tagliate anche molte supplenze annuali. Avete cancellato le immissioni in ruolo del precedente Governo, del Ministro Fioroni. In tre anni, erano state previste 150 mila assunzioni, di cui 50 mila erano state fatte dal Governo Prodi, prima che cadesse.
Soltanto 25 mila, su una copertura finanziaria di 50 mila, sono state effettuate quest'anno dalla Ministra, mentre per i prossimi due anni avete bloccato tutto.
Credo che non sia questo il modo di intervenire. Poco fa sentivo parlare l'onorevole Giammanco di come risolvere il problema del precariato. Ecco, questo era uno dei modi per stabilizzare e immettere in ruolo persone, che non sono solo numeri.
Ho la sensazione che con la voglia dei numeri, con questa filosofia del Ministro Tremonti, del Ministro unico, sia stato contagiato il pensiero del centrodestra, perché, a forza di ragionare per numeri, alla fine si pensa che anche le persone siano numeri, che anche i precari da tagliare e da depennare siano numeri, come se dietro quelle cifre non ci fossero persone in carne, ossa e sentimenti, con una vita sociale, con un progetto di vita, con la possibilità di stare dentro questo Paese come ogni altro lavoratore.
In questi anni si sono formate persone che hanno studiato, hanno pagato per abilitarsi e poi ce ne disfarremo come se nulla fosse. Ho visto anche la sensibilità, per fortuna non unanime, e mi auguro chePag. 82sia così, che c'è stata perfino in Commissione, su proposta, ovviamente, del Ministro, che non sapeva di cosa stava parlando, rispetto al tema dell'inserimento nelle graduatorie ad esaurimento degli ultimi precari, degli ultimi docenti abilitati o che si abiliteranno nel IX corso SSIS, dei COBASLID e delle altre categorie simili, da inserire in coda.
Addirittura, in quest'Aula - ci tengo a sottolinearlo - si è messa perfino in scena una piccola commedia, che ha dell'irreale.
Il capogruppo e il vicecapogruppo del PdL, gli onorevoli Cicchitto e Bocchino, preparano un'interrogazione alla Ministra per sapere quale fine faranno i precari del IX corso SSIS. Penso che fossero distratti durante l'esame del disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 112 del 2008, in ordine a quanto un emendamento, poi trasformato in ordine del giorno in quest'Aula, presentato dal gruppo del PD, chiedeva, pretendeva ed ha ottenuto, fortunatamente, anche perché non c'era motivo per dire altrimenti, visto che un ordine del giorno presentato dal PdL dal contenuto analogo era stato accolto dal Governo al Senato.
Nonostante questo ordine del giorno che impegnava il Governo, il capogruppo e il vicecapogruppo chiedevano in un'interrogazione al Ministro di sapere quale poteva essere la sorte di tali docenti e la Ministra, con il compitino preparato, ha risposto che verranno inseriti in coda.
Ovviamente non si rendeva conto della gravità delle affermazioni, di cosa significasse per quelle 15 mila persone essere inserite in coda. Significava lo stesso di nulla, un'enorme presa in giro.
In Commissione mi sono permesso di sottolineare questo elemento, anche con forza. Ho visto che la Ministra ha dato particolarmente in escandescenza e ha usato argomenti, anche lì, tutt'altro che concreti rispetto a quelli che dovrebbe usare un ministro, argomenti ideologici.
Per fortuna, la presidente Aprea ha riconosciuto la validità delle nostre osservazioni, tutt'altro che ideologiche, non fosse altro perché quelle battaglie erano state le sue battaglie di un'altra stagione.
Non abbiamo addotto motivazioni culturali, marxiste, comuniste e via discorrendo, ma abbiamo addotto argomentazioni che riguardano una sentenza della Corte costituzionale, guarda caso sul tema specifico, sull'inserimento nelle graduatorie ad esaurimento dei precari SSIS. Anche rispetto a questo, che non era un argomento...

PRESIDENTE. La prego di concludere.

ANTONINO RUSSO. ...ideologico - mi avvio a concludere - perché si parlava del rispetto di una sentenza della Corte costituzionale, la n. 168 del 2004, la Ministra ha detto che in quel modo saremmo incorsi in tanti ricorsi.
Come si faccia a dire cose di questo tipo non lo so (peraltro, mi risulta che sia un avvocato abilitato a Reggio Calabria). Poteva anche capire che i ricorsi sarebbero avvenuti nel caso in cui si disconoscesse questa cosa, nel caso in cui non si tenesse conto di una sentenza della Corte costituzionale.
Noi abbiamo votato quel provvedimento perché in ogni caso era meglio che niente; ma abbiamo detto che in Aula avremmo ripresentato l'emendamento, affinché la norma potesse non essere incostituzionale. Ci sono tre commi dell'articolo 5-bis che vanno modificati, perché sarebbero incostituzionali.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

ANTONINO RUSSO. Signor Presidente, un ultimo minuto e poi mi avvio a concludere davvero.
Noi pretendiamo che almeno su questo facciate retromarcia. Potete andare avanti su tutto, vi misurerete e ci misureremo anche noi con il consenso nel Paese sui temi della scuola; ma rispetto a sentenze della Corte costituzionale non si può andare avanti. Capisco che il Presidente del Consiglio se ne infischia, e minaccia, pure rispetto al possibile parere sul lodo Alfano; ma sui temi della scuola quantomeno fate un passo indietro.Pag. 83
Del resto voi potrete utilizzare il machete, come avete fatto in questi giorni sulla scuola, anche che nei prossimi giorni; noi pensiamo che utilizzeremo fino in fondo le prerogative che la Costituzione garantisce e le opportunità di ricorrere rispetto a provvedimenti che non vengono condivisi. Penso che così come si approva con la decretazione d'urgenza un provvedimento, allo stesso modo ci possono essere i referendum che misurano quanto consenso e quanta validità quel provvedimento può avere (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Stracquadanio. Ne ha facoltà.

GIORGIO CLELIO STRACQUADANIO. Signor Presidente, mentre siamo qui in pochi nell'Aula del Parlamento a discutere di scuola e del modo di renderla migliore e più adeguata alle esigenze di una nazione competitiva (che, se vuole competere, deve avere innanzitutto una buona scuola), fuori di qui, in un teatro, il leader di un pezzo dell'opposizione (e devo dire, grazie a Dio, di un pezzo soltanto, anche se quello prevalente) sta tenendo una manifestazione e sta usando argomenti per lo più demagogici, come li abbiamo sentiti in Aula, ma si guarda bene dal venire a confrontarsi nell'Aula del Parlamento dopo avere lamentato la mancanza di questo confronto. Forse perché, nell'Aula del Parlamento, signor Presidente, è difficile ripetere senza essere smentiti alcune bugie che si possono dire ai giornali, come quella del Ministro giunto a Cernobbio in elicottero, additandola così come un esempio di comportamento moralmente riprovevole, perché un Ministro non giunge a un seminario internazionale in elicottero. Si è poi scoperto che un infortunio giornalistico, subito corretto, aveva detto che il Ministro era giunto in elicottero, quando il Ministro era giunto con i suoi mezzi personali, in auto; però, si continuano a ripetere nei confronti del Ministro dell'istruzione menzogne di questo tipo.
Come è possibile confrontarsi seriamente sulla scuola, quando l'atteggiamento del leader di un partito che si dice riformista, e che riformista non è, è quello che ho appena descritto? Grazie a Dio, in questo Parlamento non abbiamo solo questo tipo di posizioni: abbiamo sentito prima dalle parole della collega dell'Udc tutt'altro taglio e tutt'altra impostazione nei confronti dei problemi della scuola.
Non sarei intervenuto in questo dibattito sulla scuola, se non avessi sentito in Aula da stamani una montagna di aria fritta, fatta di cattiva sociologia, cattiva pedagogia, cattiva propaganda e cattiva politica; una montagna di argomenti che hanno al centro soltanto un'idea: «Nulla dev'essere cambiato, perché la scuola, così com'è, è la scuola che noi abbiamo costruito e che riteniamo di dover difendere come tale».
Anche il collega che mi ha preceduto si è lamentato del fatto che il Ministro non difendesse l'esistente, come se questo esistente potesse essere accettabile!
Tutti hanno parlato dei dati dell'OCSE, ma vogliamo discutere un minimo di dati comprensibili a tutti senza esprimerci genericamente e in un modo, per così dire, da esperti di dati? Parliamo di qualche numero. Abbiamo il 17 per cento di laureati tra i venticinque e i trentaquattro anni contro il 33 per cento dei venticinque Paesi più industrializzati (siamo sotto il livello del Cile e del Messico); i nostri diplomati sono il 15 per cento in meno della Grecia e il 5 per cento in meno della Slovenia; i nostri giovani di quindici e sedici anni hanno il più basso livello di preparazione in tutta Europa in materie scientifiche, in matematica e nelle lingue straniere.
Per misurare di che si tratta, dobbiamo parlare di questi test spiegandoli. Lei sa, signora Presidente, che il 60 per cento degli studenti ignora perché si susseguono il giorno e la notte? Posti di fronte a quattro risposte in un test sul perché notte e giorno si susseguono (e la risposta è semplice, ossia perché la Terra ruota intorno al suo asse), essi danno nel 66 per cento dei casi una risposta sbagliata! E questa sarebbe la scuola che noi dovremmo difendere? Ma lei lo sa che il 30Pag. 84per cento degli studenti del liceo è in difficoltà nel risolvere questo problema: il tasso di cambio tra il dollaro di Singapore e il rand del Sudafrica è di 1 a 4,2; quanti rand valgono 3.000 dollari di Singapore? Ebbene, la risposta sta in una moltiplicazione: 3.000 per 4,2 uguale a 12.600. Il 30 per cento dei liceali non sa risolvere questo problema elementare! E questa sarebbe la scuola che noi vogliamo e dobbiamo difendere? Questa scuola sta alla base della perdita di competizione del nostro Paese. Vogliamo andare avanti?
Si è detto che la scuola elementare è la migliore nelle classifiche, ma anche su questo ho qualche osservazione da fare. Nella scuola elementare di un tempo - ed era molto migliore di quella attuale - si insegnavano cose semplici, per esempio le quattro operazioni e le tabelline. Oggi si insegna invece l'insiemistica, con il risultato che abbiamo reso relativo quello che invece è assoluto e certo, e cioè il numero, ed abbiamo trasformato i numeri in opinioni invece di rafforzare il senso e il valore simbolico di precisione del numero. Si insegnava a scrivere in un modo comprensibile e non si diceva invece, come si dice oggi, che la calligrafia comprime la personalità; si insegnava la geografia, si insegnavano i mari, le terre emerse, i fiumi, i laghi e le montagne; si insegnava la morfologia di un territorio. E invece adesso si insegnano il sopra e il sotto, il dietro e il davanti, e tutti questi, signora Presidente, vengono chiamati indicatori topologici della spazialità. Dietro questo linguaggio incomprensibile, sociologistico, pedagogistico si nasconde il grande vuoto anche, ahimè, della scuola elementare nella quale un tempo si insegnava che la storia è innanzitutto una successione cronologica di eventi e non si diceva ciò che ha detto un'insegnante in una lettera inviata a Il Messaggero, e cioè che lei si rifiuta di insegnare i «fatterelli» della scuola mentre invece vuole insegnare le cause che stanno alla base degli eventi storici, come se si potessero comprendere le cause di qualcosa senza conoscere il «qualcosa» medesimo!
Questa, signora Presidente, è la scuola di cui parliamo e che abbiamo davanti. In quest'Aula ho sentito tante argomentazioni, ma non ne ho sentite alcune elementari e semplici, così come non ho sentito porre alcune domande: quali compiti dovrebbe assumere la scuola in una società moderna - ma in una qualunque società - che voglia dirsi tale? Probabilmente dovrebbe insegnare a leggere, a scrivere e a far di conto inizialmente. Dovrebbe formare buoni cittadini. Dovrebbe dare opportunità di successo sociale a tutti, al figlio dell'operaio come al figlio del professionista, garantendo quelle eguali opportunità tali da creare quella mobilità sociale che è al cuore di una società democratica e che dovrebbe stare ancora più a cuore alla sinistra. Mentre, invece, una scuola che non svolga questi compiti, che non formi buoni cittadini, che non insegni a leggere, a scrivere e a far di conto, che non dia, appunto, opportunità a tutti, sarà una scuola che creerà discriminazioni e ingiustizie. Sarà una scuola che consoliderà le differenze sociali, perché il figlio del professionista, dell'avvocato o del medico, avrà altro da poter godere per la sua formazione di diverso e di meglio della scuola che gli dà la società, mentre gli altri si dovranno accontentare di quel poco che gli dà la scuola. Non è un caso che l'Italia tra i Paesi occidentali è quello che ha la più bassa mobilità sociale e che più consolida le differenze di partenza anche nel percorso successivo dei giovani, e ciò proprio perché la scuola è stata degradata a qualcosa di diverso.
La scuola cosa dovrebbe mettere al centro, colleghi? Dovrebbe mettere al centro gli studenti, gli scolari: tutto il resto dovrebbe ruotare intorno all'obiettivo di fornire loro opportunità e conoscenze. Non dovrebbe mettere al centro gli insegnanti, perché come gli ospedali mettono al centro i malati e la loro salute e tutti coloro i quali lavorano hanno come prima missione quella di garantire la salute dei pazienti, la prima missione di chi lavora nella scuola dovrebbe essere quella di assicurare opportunità, insegnamento, conoscenze e cultura. La scuola, invece, ed èPag. 85risuonato nelle parole dei nostri colleghi, è innanzitutto il luogo di lavoro degli insegnanti. La sinistra, che è sinistra sindacale, prima ancora di essere sinistra politica, e che comunque non è mai riformista, difende con essi un blocco sociale di riferimento e un blocco culturale che si è creato negli anni.
Una buona scuola influisce direttamente sullo sviluppo di una nazione. L'Italia, che non ha materie prime, non può pensare di competere nel mondo senza avere persone preparate, tecnici competenti, professionalità diffuse. La via maestra che abbiamo per restare nei primi posti della competizione internazionale è nella nostra capacità tecnologica, nel nostro capitale umano. Fino agli anni Sessanta, l'Italia aveva la leadership di una serie di importantissimi settori tecnologici. Eravamo in testa nella chimica, in cui avevamo espresso il premio Nobel con Giulio Natta, nell'elettronica, nel nucleare, nella ricerca farmaceutica. Avevamo ovunque industrie di eccellenza, avevamo una classe di laureati, di tecnici e di diplomati di altissimo livello, che il mondo ci invidiava.
Poi sono venuti il Sessantotto, gli errori di politica industriale e una cultura anti-industriale, pauperistica e falsamente egualitaria, che ha distrutto la scuola e che ha trasformato quello che era il principale asse culturale del nostro Paese, il merito, in qualcosa che andava cancellato e dimenticato. Per troppi anni si è parlato di diritto allo studio, confondendo l'opportunità di studiare per acquisire professionalità e per accrescere la propria voglia di fare, con il diritto a ricevere automaticamente, dopo un certo numero di anni, un titolo di studio. Così quello che era un diploma ambito, perché dava professionalità e opportunità di mobilità sociale, è diventato un pezzo di carta, un'illusione che spesso si è tradotta nel suo opposto: nella frustrazione delle possibilità offerte da un'accresciuta scolarizzazione.
Una frustrazione che ha colpito, innanzitutto, i ceti meno agiati del nostro Paese, perché i ceti più agiati hanno potuto procurarsi conoscenza, apprendimento e professionalità attraverso altri canali, andando all'estero, e non dovendosi accontentare di quello che gli dava la scuola italiana. Se oggi tanti giovani laureati lavorano nei call center, dove è richiesta una professionalità non di altissimo livello, non è colpa del mercato del lavoro, ma è, probabilmente, responsabilità di una scuola che non forma.
È sbagliato il sistema formativo, non è sbagliato il mercato del lavoro, e la laurea vale più di un diploma. Il Sessantotto è al centro delle responsabilità: non è un fatto ideologico, è un fatto storico, signora Presidente: ha inventato alcune cose che sono state alla base della distorsione del nostro modello formativo. Ha inventato il voto politico, che è la negazione stessa del voto; ha inventato la lotta alla selezione, che ha portato alla cancellazione del merito e all'idea che la promozione sia un automatismo, quasi fosse un diritto di anzianità scolastica; ha portato l'esame di gruppo e l'idea che non vi sia selezione individuale, cancellando così ogni possibilità di valutazione della crescita e dell'acquisizione delle conoscenze; ha portato, appunto, al diritto di studio, che è diventato diploma, senza preparazione, per tutti, cioè nulla e illusione collettiva; inoltre, ha portato studenti che giudicano gli insegnanti, in modo tale che l'insegnante migliore non è quello che dà il migliore degli insegnamenti e che è più esigente nelle sue richieste, ma quello che concede la promozione senza nulla chiedere in cambio e senza fare fatica (vocabolo che è stato cancellato dalle nostre scuole e che è cancellato dagli interventi dell'opposizione, sedicente riformista, ma assolutamente reazionaria e conservatrice, del Partito Democratico).
Con queste brillanti idee che, come abbiamo ascoltato oggi nell'aula del Parlamento, non sono state abbandonate dalla sinistra, l'università è diventata un liceo, e non dei migliori, il liceo è diventato una scuola media, e non delle migliori, la scuola media è diventata una scuola elementare, e non delle migliori. Così abbiamo i risultati dell'OCSE, quelli che abbiamo citato prima.Pag. 86
E cosa si dice però da parte dell'opposizione del Partito Democratico? Si dice che tutto ciò è dovuto al fatto che nella scuola italiana si spende meno e questo Governo intende tagliare. Forse dovremmo intenderci sui numeri e sulla dimensione economica della scuola in Italia. Ho qui qualche appunto che può essere interessante esaminare (raccolgo le mie carte, signor Presidente, perché non voglio fornire dati errati). Spendiamo poco per la nostra istruzione? Il confronto con i Paesi OCSE ci dice che non è vero che noi oggi spendiamo poco. Se facciamo il raffronto tra spesa scolastica e prodotto interno lordo, spendiamo il 3,5 per cento del nostro PIL, come la Germania, leggermente meno della Francia e della Gran Bretagna, nella media perfetta dei 25 Paesi più industrializzati dell'OCSE. Se confrontiamo il rapporto tra spesa per l'insegnamento, per la scuola, per l'istruzione e spesa pubblica totale, vediamo che anche in questo caso l'Italia sta nella media: spendiamo un po' più della Germania e spendiamo come la Francia. Vi è però un confronto, quello vero, che andrebbe fatto e che nessuno in quest'Aula ha ancora fatto, da parte dell'opposizione: la spesa normalizzata per studente, perché è quella che dà la vera misura di quanto un Paese spende, rispetto alla funzione che deve svolgere, in questo caso quanto è l'investimento che l'Italia fa nei confronti di ciascuno studente che frequenta la scuola. Noi spendiamo 5.710 euro a studente, molto più della media OCSE, che è di 4.623 euro, e spendiamo circa 1.000 euro in più della Germania e della Gran Germania e 500 euro in più per studente della Francia, per ottenere i risultati che abbiamo descritto prima, i risultati di un disastro e di un fallimento educativo, fatto di quel pedagogismo e di quel sociologismo di cui abbiamo sentito l'eco per tutta la giornata di oggi, da parte del Partito Democratico, nell'aula del Parlamento.
Allora, forse, dovremmo proseguire con qualche numero: il bilancio del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca è oggi di circa 42 miliardi e mezzo di euro; nel 1999 spendevamo 32 miliardi: in meno di dieci anni la spesa è cresciuta di 10 miliardi di euro, ben 20 mila miliardi delle vecchie lire, cioè il 30 per cento in più, senza che ciò abbia portato ad alcun miglioramento, anzi abbiamo peggiorato i nostri standard, secondo tutte le statistiche e le valutazioni internazionali e nazionali e la valutazione del buonsenso che ciascuna famiglia fa rispetto alla propria scuola.
Non siamo soltanto noi e i numeri a dirlo, lo ha fatto anche lo scorso Governo in sede di Commissione tecnica per la spesa pubblica. Nel rapporto della Commissione cosiddetta Muraro, istituita per iniziativa del Ministro Tommaso Padoa Schioppa, si afferma che la spesa per studenti in Italia è tra le maggiori dell'OCSE e il rapporto tra insegnanti e studenti è molto più alto che altrove; eppure, i risultati misurati nei test di apprendimento utilizzati a livello internazionale sono modesti. Questa è la realtà della scuola italiana.
Si dice che il Governo abbia in previsione tagli per 8 miliardi e la riduzione di 120 mila posti di lavoro. Possiamo illustrare la situazione generale? Intanto possiamo dire che abbiamo troppi insegnanti e abbiamo degli stipendi per gli insegnanti assolutamente inaccettabili: 30 mila euro l'anno di media contro i 38 mila della media OCSE e i quasi 50 mila euro della Germania. Ciò avviene perché l'Italia ha un insegnante ogni 9 alunni, mentre la media europea è di 12 e alcuni Paesi viaggiano su una media di 14 o 16. Inoltre, come è stato ricordato già da alcuni colleghi, molti insegnanti lavorano meno di altri: 735 ore, contro le 812 della media OCSE. Allora noi non spendiamo poco: spendiamo molto male. In dieci anni si è registrato un incremento del 30 per cento delle spese e il 97 per cento della spesa è destinata agli stipendi, contro l'81 per cento di media dei Paesi OCSE. Per investire nella scuola a noi resta il 3 per cento, laddove gli altri hanno a disposizione il 20 per cento in più.
Siamo stati solo noi del Governo di centrodestra, signora Presidente, ad affermare tutto questo? Nel 1998 il GovernoPag. 87D'Alema aveva previsto per allora una riduzione del personale del 4 per cento in tre anni. Ebbene, nonostante quella previsione, la cattiva politica di quel Governo che ha mancato i suoi obiettivi ha portato alla crescita del personale del Ministero dell'istruzione di quasi il 6 per cento, mentre intanto calava il numero degli studenti: via via che calava il numero degli studenti cresceva il numero degli insegnanti, secondo una logica totalmente irrazionale rispetto agli obiettivi della scuola e totalmente guidata dalla necessità di fare della scuola il più grande ammortizzatore sociale e il più grande centro di reclutamento clientelare e dispensatore di illusioni nei confronti delle giovani generazioni e di quei laureati (pochi e male) che la media OCSE denuncia.
Sempre in quegli anni si sarebbe dovuto verificare il passaggio allo Stato di 72 mila unità appartenenti al personale amministrativo e tecnico degli enti locali. Lo Stato ne ha assunti 132 mila invece che 72 mila, 60 mila in più, garantendo gli stessi servizi o forse anche meno. Ciò è tanto vero che nel 1998 era stata prevista (proprio per la riduzione del personale ausiliario) la possibilità di affidare alcuni servizi agli appalti esterni: i servizi sono affidati agli appalti esterni e abbiamo più personale tecnico e ausiliario all'interno della scuola, un'ulteriore contraddizione in base alla quale, ad esempio, nel libro di Gian Antonio Stella, La deriva, è stato scritto che esiste una nuova figura professionale in Italia, quella delle «scodellatrici» che appositamente vengono reclutate per scodellare la pasta alla mensa scolastica, perché non è compito del personale ausiliario servire la pasta ai bambini.
In questo contesto, signora Presidente, dire che noi facciamo macelleria sociale, che distruggiamo la scuola, che compromettiamo il futuro del Paese solo perché prevediamo nei prossimi tre anni che questo disastro venga riorganizzato in maniera che si passi da un milione 300 mila dipendenti della scuola pubblica a un milione 200 mila per poter essere adeguati alla richiesta di formazione del Paese, per poter corrispondere migliori retribuzioni e per riservare una parte della spesa a favore degli investimenti, credo che sia irresponsabilità demagogica.
Si tratta della stessa irresponsabilità che ha portato, appunto, in questi dieci anni all'esplosione della spesa pubblica nella scuola, senza che a questo abbia corrisposto di un centesimo il miglioramento della qualità, anzi si è vista la qualità della nostra scuola costantemente declinare e degradarsi.
Ma veniamo al punto che è stato scelto come una bandiera ideologica dall'opposizione del Partito Democratico: quello che è stato chiamato il maestro unico. Mi permetto, qui, di dare un suggerimento al Ministro e al sottosegretario: non parliamo di ritorno del maestro unico, parliamo di ritorno del maestro, perché la scelta del modulo - che non è il maestro - è la fine della figura professionale e civile del maestro stesso. Il Partito Democratico e il suo leader si riempiono la bocca dell'insegnamento di Don Milani e dimenticano che Don Milani non era un modulo, ma era un maestro, e che forse il maestro è quello che è più in grado di formare personalità che crescono, ma per una ragione molto banale: è inutile invocare la complessità dei saperi, lo sviluppo delle conoscenze, quando non siamo in grado di insegnare ai nostri studenti che un problema di cambio si risolve con una moltiplicazione.
Queste sono parole vuote, questo è pedagogismo d'accatto. Noi dobbiamo dare ai bambini un maestro, perché il maestro si occupa complessivamente della formazione del bambino e non della sua disciplina; perché il maestro ha la responsabilità piena della sua classe; e perché, se fosse vera la tesi secondo cui maggiore è il numero degli insegnanti, maggiore è la qualità della scuola, la nostra scuola superiore dovrebbe essere al vertice delle classifiche mondiali (vista la quantità di docenti che c'è al liceo) e invece è in fondo a queste classifiche. Infatti, si fanno ragionamenti assolutamente strampalati sul ruolo dei docenti, ben sapendo (e lo hanno scritto tutti) che quando si scelse di passare dal maestro al modulo - che non èPag. 88il maestro, perché è un'altra cosa - lo si scelse perché la natalità era calata, il numero degli scolari era diminuito e se si fosse proceduto secondo un razionale disegno, in cui un servizio deve venire erogato in base a quanto esso viene richiesto, si sarebbe dovuto procedere a convertire del personale, che allora insegnava, in qualcos'altro, e dire che l'Italia aveva bisogno di un numero minore di insegnanti, di maestri, di quanti ne aveva.
Invece, si è escogitato il trucco del modulo e lo si è ammantato di motivi pedagogici e di argomenti assolutamente inconsistenti, che fanno parte della retorica in cui la scuola italiana è stata mandata al disastro e per la quale un giornalista di sinistra come Floris, il conduttore di Ballarò, l'ha definita, senza tema di smentite, «la fabbrica degli ignoranti».
Ora, signora Presidente, perché il Governo e la maggioranza hanno agito con un decreto-legge? Questo è stato un tema richiamato. Perché molti di questi provvedimenti che sono contenuti nel decreto-legge dovevano essere operativi dal primo giorno di scuola, ed è noto che la scuola inizia a settembre. Settembre è finito, e noi stiamo discutendo adesso di questo decreto-legge. Se avessimo indugiato, se il Governo avesse indugiato e non avesse presentato un decreto-legge, avrebbe probabilmente fallito nei suoi obiettivi di cambiamento e nella necessità di cambiare il passo nei confronti della scuola.
Si dice che si sarebbe potuto evitare di introdurre qui il ritorno della figura del maestro, perché questo entrerà in vigore soltanto il prossimo anno. Signora Presidente, il Parlamento della Repubblica ha approvato una manovra di politica economica che non ha solo il senso - come dicono i colleghi del Partito Democratico - di tagliare, ma ha il senso di riportare in bonis il bilancio della Repubblica italiana e di blindare i conti pubblici, perché l'economia italiana non vada precipitosamente verso il disastro, del quale pagherebbero le più alte conseguenze i ceti popolari, e non certo i ceti benestanti.
Riportare in bilancio in bonis, vuol dire anche riportare il bilancio della scuola in bonis, facendo sì che si possa offrire il miglior servizio al minor costo, cercando, per esempio, anche di attivare quella scuola paritaria che ha dato prova, in questi anni, di costare meno al contribuente e di dare migliori risultati al Paese. Ovvero, cercando di riattivare un circuito virtuoso per il quale l'insegnante deve essere persona degna di rispetto e di considerazione e non deve finire sottoproletarizzato, così come venti anni di cattiva politica hanno fatto, con uno stipendio indecente e chiedendogli però, a fronte, una professionalità adeguata. Riportare la scuola in bonis vuol dire innanzitutto ridarle un senso e una missione, la missione che aveva smarrito e che questi provvedimenti possono finalmente restituirle.
Ci saremmo attesi dal Partito Democratico parole di questo tipo, visto quello che doveva essere lo slancio riformista annunciato al Lingotto. Ci saremmo attesi parole del tipo: «Per avere un'Italia migliore abbiamo bisogno di una scuola migliore; le condizioni del nostro sistema scolastico richiedono scelte coraggiose di rinnovamento e non sono sostenibili posizioni di pura difesa dell'esistente; l'Italia deve ridurre a zero il suo deficit e nessuna parte sociale e politica può ridurre questo imperativo e questo comporta anche un contenimento delle spese della scuola». Questo ci saremmo attesi dal leader del Partito Democratico che voleva essere riformista. Grazie a Dio queste parole sono venute oggi dal Capo dello Stato, che ha reso onore alla sua storia di riformista e alla Repubblica mentre nel teatro Capranica si rende omaggio soltanto alla cattiva demagogia e alla cattiva politica che hanno distrutto il Paese (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Pedoto. Ne ha facoltà.

LUCIANA PEDOTO. Signor Presidente, mi spiace che il ministro sia andata via ...

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VALENTINA APREA. È al Quirinale per l'inaugurazione dell'anno scolastico.

LUCIANA PEDOTO. Signor sottosegretario mi sente? Caro ministro, avere la missione di riformare la scuola significa prima conoscere la nostra scuola, poi condividere la missione ed infine proiettare questa missione negli scenari futuri. A mio avviso, siamo in presenza di una serie di interventi che hanno ignorato tutto ciò e hanno piegato la scuola che vogliamo per i nostri figli alla scuola che serve per far tornare i conti. Quando si taglia il futuro dei nostri figli e si disegna la loro crescita come risultante di una critica e asettica manovra economico-finanziaria, è certo che la scuola è condannata a regredire. Per questo vorrei indicare alcune considerazioni sulla scuola che vogliamo e collocarla nello scenario futuro.
Il compito della scuola è quello di educare la persona, un essere unico ed irripetibile. Ogni bambino, ogni ragazzo, ha la necessità di essere educato nel senso etimologico del termine, ha bisogno di essere aiutato a scoprire il valore di se stesso, delle cose e della realtà. Questa persona unica ed irripetibile, può essere educata a conoscere, accettare, tirar fuori e costruire sé e può farlo solo entrando in rapporto con la realtà che la circonda. Questa realtà è fatta di persone, di fatti, di eventi del presente e del passato di cui presente è figlio. L'arte, la storia, la letteratura, le scienze, non sono che strade tracciate dagli uomini per capire, scoprire e conoscere la realtà. Questa persona, unica ed irripetibile, non vive da sola. Ha bisogno di essere educata a conoscere e apprezzare gli altri. La difficoltà di questo percorso è data dal disagio che molti giovani vivono. Le paure, le incertezze, la solitudine, l'idea di una vita vuota e senza senso sono il sottofondo, molto spesso, di quel malessere diffuso che è anche espressione di un eccesso di avere e di una carenza di essere. Quell'essere che è ciò che siamo, in connessione e continuità con le cose in cui crediamo, con i nostri valori.
La scuola deve essere un luogo dove si riconosce significato a ciò che si fa e dove è possibile la trasmissione di quei valori che corrispondono al cuore, perché danno appartenenza, identità e passione. Tra questi valori, il primo fra tutti è il rispetto di sé e degli altri. Il rispetto nasce dalla consapevolezza che esiste un valore intangibile che è la dignità, la dignità di tutti, nessuno escluso. Tutto ciò richiede alla scuola un surplus. Educare istruendo è un'aggiunta di responsabilità dell'adulto persona docente come dell'adulto persona genitore, che si declina nell'essere maestri di vita, testimoni di ciò che si trasmette.
Il primo rispetto della cultura della legalità è quello di incarnare ciò che trasmettiamo e di dimostrare che a fare il bene corrisponde un premio e a fare il male corrisponde una punizione.
Bisogna inoltre aggiungere che la scuola è un luogo di incontro e di crescita di persone. Infatti, persone sono sia gli insegnanti sia gli allievi. Educare istruendo significa consegnare il patrimonio culturale che ci viene dal passato perché non vada disperso. Educare istruendo significa preparare al futuro introducendo i giovani alla vita adulta, fornendo loro quelle competenze indispensabili per essere protagonisti all'interno del contesto economico e sociale in cui vivono. Infine, educare istruendo significa accompagnare il percorso di formazione personale che uno studente compie mentre frequenta la scuola, sostenendo la sua ricerca di senso e il faticoso processo di costruzione della propria personalità.
Inoltre, l'obiettivo della scuola è quello di far nascere il tarlo della curiosità, lo stupore della conoscenza, la voglia di declinare il sapere con la fantasia, la creatività e l'ingegno nonché la pluralità delle applicazioni delle proprie capacità, abilità e competenze. Pertanto, è necessaria una scuola che non abbia come obiettivo solo l'essere in funzione della richiesta del mercato. Solo se non si rinuncia a educare istruendo si può mettere veramente a frutto l'unicità e l'irripetibilità di ogni singolo individuo. Solo così ogni persona può essere protagonista e costruire il proprio futuro.Pag. 90
Per raggiungere questi obiettivi resta centrale l'acquisizione della cultura scientifica, così come la valorizzazione di quella tecnica e professionale, campi nei quali il nostro Paese ha costruito le fondamenta del proprio sviluppo.
La nostra scuola deve essere un luogo in cui nelle diversità e nelle differenze si condivide l'unico obiettivo, che è la crescita della persona. Solo così si capisce cosa significa una scuola capace di consegnare il patrimonio culturale che ci viene dal passato e di promuovere la capacità di innovare e di costruire il futuro che ogni singola persona ha. Non accettiamo una scuola che persegue soltanto l'utilità del momento storico e dell'attimo fuggente. Occorre realizzare una rete di azioni integrate ed atte a valorizzare lo stile cognitivo unico e irripetibile, proprio di quello specifico studente, uscendo da ogni genericità e standardizzazione. Non è più pensabile una scuola costruita sul modello unico di studente astratto. Piuttosto, la scuola deve concentrare la propria proposta formativa e il percorso curricolare nell'attenzione a quell'essere unico e irripetibile che è in classe.
Questa è la sfida. Questo è il rischio educativo che gli insegnanti assumono sulla propria professionalità. Oltre alle risorse economiche necessarie e indispensabili esistono altre risorse fondamentali che consistono nella condivisione del progetto educativo da parte della famiglia e della società. Vi sono oggi famiglie in crisi e in difficoltà che chiedono e pretendono sempre di più dalla scuola. Occorre che il patto tra la scuola e la famiglia diventi l'elemento portante della cornice culturale, perché non vi è possibilità che la scuola realizzi il proprio compito di educare istruendo senza la condivisione della famiglia. Infatti, cercare di educare istruendo in opposizione o nell'indifferenza della famiglia depotenzia tutto il lavoro che si svolge a scuola.
Negli ultimi tempi siamo passati da una società relativamente stabile a una società caratterizzata da molteplici cambiamenti e discontinuità. Gli ambienti in cui la scuola è immersa sono più ricchi di stimoli culturali, ma anche più contraddittori. Oggi l'apprendimento scolastico è solo una delle tante esperienze di formazione che i bambini e gli adolescenti vivono e per acquisire competenze specifiche spesso non vi è neanche bisogno dei contesti scolastici. Ma proprio per tale ragione la scuola non può e non deve abdicare al compito di scoprire la capacità degli studenti di dare un senso alla varietà delle loro esperienze.
Inoltre, bisogna far presente che il nostro orizzonte si allarga. Ogni specifico territorio possiede legami con la varie aree del mondo e costituisce un microcosmo che su scala locale riproduce opportunità, interazioni, tensioni e convivenze globali. Anche ogni singola persona, nella sua esperienza quotidiana, deve tener conto di informazioni sempre più numerose ed eterogenee e si deve confrontare con la pluralità delle culture. Conseguentemente, nel suo itinerario formativo ed esistenziale lo studente si trova ad interagire con culture diverse. Alla scuola spetta il compito di fornire i supporti adeguati affinché ogni persona sviluppi un'identità consapevole e aperta.
Tuttavia, non dobbiamo dimenticare che in questa situazione di potenziale ricchezza formativa restano vecchie forme di analfabetismo e di emarginazione culturale. Infatti, la diffusione delle tecnologie di informazione e di comunicazione, insieme a grandi opportunità, rischia di introdurre anche serie penalizzazioni nelle possibilità di espressione di chi non ha accesso a tali tecnologie.
Tutta questa situazione nella scuola è ancora più evidente. Anche le relazioni tra il sistema formativo e il mondo del lavoro stanno rapidamente cambiando; ogni persona si trova ricorrentemente nella necessità di riorganizzare e reinventare il proprio sapere, le proprie competenze, a volte il proprio lavoro.
Le tecniche e le competenze diventano obsolete nel volgere di pochi anni. Per questo l'obiettivo della scuola non può essere soprattutto quello di inseguire lo sviluppo di singole tecniche e competenze.Pag. 91Piuttosto, deve essere quello di formare saldamente ogni persona sul piano cognitivo e culturale affinché possa affrontare positivamente l'incertezza e la mutevolezza degli scenari sociali e professionali, presenti e futuri.
Le trasmissioni standardizzate e normative delle conoscenze che comunicano contenuti invarianti, pensati per individui medi, non sono più adeguate. La scuola può e deve realizzare percorsi formativi sempre più rispondenti alle inclinazioni personali degli studenti, nella prospettiva di valorizzare gli aspetti peculiari della personalità di ognuno.
La scuola deve offrire agli studenti occasioni di apprendimento dei saperi e dei linguaggi culturali di base. La scuola deve far sì che gli studenti acquisiscano gli strumenti di pensiero necessari per apprendere e selezionare le informazioni. La scuola deve promuovere negli studenti la capacità di elaborare metodi e categorie che siano in grado di fare da bussola negli itinerari personali. La scuola deve favorire l'autonomia di pensiero degli studenti, orientando la propria didattica alla costruzione di saperi a partire da concreti bisogni formativi.
Ora, se il Governo e la maggioranza condividono questa missione, come è possibile coniugarla con un percorso che smantella la parte migliore della scuola e che riconsegna, con il maestro unico, gli apprendimenti dei nostri ragazzi all'alfabetizzazione di una civiltà post-contadina, riassumendo i saperi, le competenze e gli strumenti da fornire ai nostri bambini? Si tratta di strumenti necessari per interpretare la complessità della nostra società e che vengono ridotti e livellati verso il basso.
Come pensate di ritornare ad un doposcuola pagato dalle famiglie? Come pensate, con l'abrogazione dagli ordinamenti del tempo pieno, di rispondere ai bisogni dei nostri ragazzi? Come pensate di far fronte al dramma delle famiglie di dover andare a prendere a scuola i bambini a mezzogiorno e mezzo? Sono certa che queste domande non ve le ponete, perché non condividete questa missione e questo progetto di scuola.
Nel Quaderno bianco sulla scuola presentato nel settembre scorso, realizzato dal Ministero dell'economia e delle finanze e dal Ministero dell'istruzione, erano indicate chiaramente le necessità di una seria programmazione della scuola, non più affidata alle emergenze e all'improvvisazione. C'era l'ambizione di un processo riformatore che, con questa missione, individuasse i bisogni della scuola, dai docenti alle risorse economico-finanziarie, in un lasso di tempo che investisse una programmazione a cinque, dieci e vent'anni, tenendo conto dell'andamento demografico e dei flussi migratori.
Lì si deve tornare per una programmazione ragionata, che renda la scuola motore di questo Paese e non spot nei telegiornali. Lì c'era disegnata la centralità del merito, della valutazione che continuate ad annunciare come una minaccia, invece che come elemento indispensabile per una scuola efficace ed efficiente. Lì c'era il riordino degli istituti tecnici professionali, il riordino della sperimentazione, di un sistema da rilanciare con un intervento in rete con regioni, province e comuni. Lì c'erano le risorse necessarie per l'aggiornamento del personale docente come un dovere su cui lo Stato deve investire. Lì c'era lo sforzo per il rilancio della dignità della professione del docente, che è fatta di trattamento economico, ma anche di rilancio della funzione.
Lì c'era la centralità della famiglia, con la stipula di un patto di responsabilità che ribadiva che la scuola è chiamata ad educare istruendo, ma che la centralità della funzione educativa è della famiglia: non ci può essere conflitto tra scuola e famiglia. Lì c'era la centralità dello studente persona, da incentivare per il merito e per i risultati e da sostenere nelle difficoltà. Lì c'erano gli strumenti per la lotta alla dispersione ed anche per esplorare nuove frontiere dell'obbligo di istruzione come un'opportunità in più per i ragazzi e non una libertà in meno per il futuro.Pag. 92
Signor Ministro, si rilegga gli avanzati testi di lavoro elaborati tra la regione Lombardia e il Governo precedente. Troverà un metodo diverso da quello da lei adottato, un metodo di chi crede che siamo chiamati ad educare e non a litigare. La scuola non è un campo di battaglia e di scorribande distruttive per far quadrare i conti, ma è il luogo dove costruire il nostro futuro. Ma forse, per questo, il Ministro della scuola dovrebbe conoscere la scuola in tutte le sue componenti, rispettarla e averne cura.
Io ho la sensazione che i toni e il linguaggio sono consoni a chi da un pulpito fa una predica, a chi è chiamato a redigere un atto d'accusa, a chi pensa che la scuola si può migliorare, ma senza la scuola. Questo Governo sta imponendo una manovra economica che ha lasciato irrisolte le nostre emergenze.
Sul versante di riduzione della spesa pubblica sono stati operati tagli generalizzati e non finalizzati a sconfiggere gli sprechi, una manovra che produrrà tagli di diritti a causa delle riduzioni di spesa in settori vitali: la salute, la sicurezza e la scuola.
Le misure previste sulla scuola sono insostenibili: compromettono i livelli minimi di funzionalità e disattendono il programma di assunzioni avviato dal Governo precedente. Non si può aumentare la qualità della scuola italiana diminuendone le risorse. Sappiamo già quali saranno le conseguenze più gravi. Con il ritorno al maestro unico, i bambini delle scuole elementari dovranno tornare a casa a mezzogiorno e mezzo. Ci sarà una riduzione drastica del tempo pieno, da cui scaturiranno ricadute sulla qualità della didattica e sull'organizzazione della vita delle famiglie. Sono a rischio di chiusura migliaia di scuole, soprattutto nei piccoli comuni. Vi sarà la riduzione degli insegnanti di sostegno per i bambini disabili, maggiori difficoltà per l'integrazione dei bambini stranieri e l'aumento della dispersione scolastica, che peraltro è già tra i livelli più alti d'Europa.
Inoltre, gli enti locali saranno costretti ad operare scelte che metteranno in discussione servizi educativi e scolastici fondamentali. È vero, ci sono aree sulle quali è necessario operare tagli, ma non è quello della scuola il settore in cui portare la spesa pubblica al di sotto della media europea.
Come ha già detto il segretario del nostro partito recentemente in una conferenza stampa, la scuola non deve essere un ammortizzatore sociale, ma è il primo grande luogo che fa della giustizia sociale e delle pari opportunità il proprio obiettivo primario. Insomma, la scuola ridisegnata da questo Governo è più povera di risorse, non può svolgere un ruolo fondamentale, ossia promuovere quella mobilità sociale che consenta di far emergere il merito dando a tutti gli alunni pari opportunità di studio, di acquisizione di conoscenze, saperi e competenze, indipendentemente dalla condizione economica e sociale di appartenenza. È una scuola che tenderà ad acuire le diseguaglianze e le differenze sociali.
I nodi critici della nostra scuola debbono essere affrontati con serietà e rigore. Il Partito Democratico ritiene che occorra partire da una scelta di fondo: considerare la scuola un investimento decisivo per il futuro dei nostri figli e del Paese.
Sul ritorno al maestro unico nella scuola elementare penso ad una operazione «nostalgia» che, mascherata da intenti pedagogici, tenta maldestramente di coprire la vera ragione del provvedimento: il risparmio economico. A tutti piace pensare al libro Cuore e all'immagine della maestra con la pena rossa, ma di quell'esperienza dobbiamo salvare i valori, che sono quelli che hanno formato i grandi di oggi.
Oggi all'interno di una classe convivono bambini diversi, diverse culture e religioni, spesso anche modi di mangiare differenti. Qualcuno potrebbe obiettare che il maestro ai nostri tempi teneva in classe fino a cinquanta alunni. È proprio questo il problema: a volte il maestro si limitava a tenere in classe, mentre oggi il maestro ha a che fare con programmi articolati ePag. 93piani individualizzati di apprendimento e nuove componenti sociali, come gli alunni extracomunitari.
Ci troviamo in una società complessa, che richiede le conoscenze tecnologiche in continua evoluzione. Il maestro di oggi, oltre ad insegnare, deve comprendere, coordinare ed integrare le classi, che sono spesso fette di mappamondo. L'integrazione deve avvenire a scuola. Sono la scuola dell'infanzia e la scuola elementare a farsi luogo di accoglienza e pacifica convivenza.
Come ha recentemente detto il segretario Veltroni (non a caso lo ha fatto alla scuola di formazione politica): «Se sono un democratico, mi riguarda l'amore speciale che abita in una famiglia che ha un bambino disabile, mi riguarda l'ansia con cui i genitori guardano al suo futuro, se al loro fianco non c'è il concreto sostegno della comunità e delle istituzioni». Sono necessari insegnanti specializzati nel sostegno perché a suo tempo è stata fatta una scelta di civiltà che ci onora e della quale dobbiamo essere orgogliosi: è stata quella dell'integrazione degli alunni con disabilità nelle classi insieme a tutti gli altri bambini. Se la nostra scuola primaria è tra le prime al mondo, lo si deve anche a questa scelta coraggiosa.
Poi mi chiedo: dove passeranno i loro pomeriggi i bambini che tornano a casa a mezzogiorno e mezzo? Ricacciati nella strada, condannati alla delinquenza come avviene in molte regioni del sud oppure a casa, seduti davanti alla scatola magica, educati con il sistema dei valori della televisione commerciale governata dall'audience? Le mamme saranno costrette a servirsi della televisione come di una specie di bambinaia elettronica. Così lo Stato e le famiglie abdicano al ruolo primario di educatori dei propri cittadini e dei propri figli.
Ho una preoccupazione: che il combinato disposto dei provvedimenti dei Ministri Tremonti, Gelmini e Calderoli ci disegni non la scuola come strumento aperto a tutti, per consentire a ciascuno - in base a ciò che è e a ciò che sa - di fare qualunque cosa nella vita, ma la scuola che ci si può permettere, in base ai soldi che abbiamo in tasca e al luogo in cui siamo nati. Questa è la scuola di «Dio, patria, famiglia» che la Resistenza e la Costituzione avevano definitivamente debellato. Vi prego: non lavorate per ripristinarla (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico)!

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Levi. Ne ha facoltà.

RICARDO FRANCO LEVI. Signor Presidente, questa sera stiamo svolgendo una discussione generale e mi auguro che, dunque, avremo tempo nelle prossime sedute della nostra Camera - quando esamineremo gli emendamenti - di affrontare i dettagli del provvedimento sulla scuola che il Governo ha varato. Oggi, dunque, in questa discussione sulle linee generali credo sia il caso di affrontare solo nei suoi aspetti generali le singole norme e concentrarci sulle linee fondamentali del provvedimento.
Vorrei dunque parlare del metodo con il quale il Governo si è mosso su questo campo e del senso generale che emerge dalla lettera e dal metodo del provvedimento.
Inaugurando oggi, con una cerimonia al Quirinale, l'anno scolastico, il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, ha pronunciato parole che tutti sottoscriviamo: «per avere un'Italia migliore» - ha detto il Presidente della Repubblica - «abbiamo bisogno di una scuola migliore»; inoltre, ci ha ricordato e ci ha spronato in questa direzione, dicendo che nella scuola serve un rinnovamento coraggioso e che «non sono per questo sostenibili» - sono ancora parole del Presidente Napolitano -«posizioni di pura difesa dell'esistente e sono inevitabili i tagli della spesa».
Queste parole del Capo dello Stato sono state citate, anche poco fa, da un parlamentare della maggioranza che le interpretava come un segno di sostegno alle posizioni del Governo; io non voglio tirare per la giacca il Capo dello Stato perché è un esercizio che vediamo troppo spesso nella politica quotidiana e che non apprezziamo.Pag. 94
Tuttavia, posto che, come ha affermato il Presidente della Repubblica, sia necessaria una profonda riforma nella scuola italiana (sappiamo, infatti, che il risultato complessivo di educazione che viene dato ai nostri ragazzi nel complesso degli anni della nostra scuola non è all'altezza di quanto avremmo bisogno e di quanto vorremmo) perché - questa è la domanda che pongo questa sera, ma che ho già rivolto anche al Ministro Gelmini nella discussione nella Commissione cultura - se è necessaria una profonda riforma della scuola e se pure sono necessari anche i risparmi (forse) nella scuola, partire proprio dalla scuola primaria, da quel comparto della nostra scuola che tutti i confronti internazionali e le riflessioni più approfondite ci presentano come un'isola di eccellenza nella preparazione dei nostri ragazzi? Perché questo spreco di energie, questa ricerca di uno scontro così forte per toccare alle radici quella parte del nostro sistema educativo che funziona? Perché ipotizzare tagli così brutali nell'occupazione?
Vorrei solo ricordare che, quando si parla di circa 130 mila posti di lavori in meno, stiamo parlando di qualcosa che vale quaranta volte i tagli prospettati per l'Alitalia; davvero, con tutto il rispetto per i piloti, per gli assistenti di volo e per coloro che lavorano a terra nella nostra compagnia di bandiera, un maestro o una maestra valgono così tanto di meno nella considerazione che ne hanno il nostro Governo e la maggioranza?
Innanzitutto, dunque, in questa discussione generale vorrei porre una questione di metodo, che è già stata affrontata in alcuni degli interventi che mi hanno preceduto, ma che è importante ripetere: perché il Governo ha scelto di procedere per decreto-legge? Quali erano i motivi di urgenza e di necessità che giustificavano un intervento per decreto-legge? Era urgente riformare il voto in condotta, la struttura che presiede all'educazione dei principi fondamentali della nostra Costituzione? Era urgente riprogrammare l'introduzione del grembiulino e dare così occasione a tanti nostri giornali di presentarci le nuove proposte della moda in materia? Era urgente dettare una nuova disciplina per l'adozione dei libri di testo che chiaramente non può partire da quest'anno perché sono già stati scelti?
Era dunque necessario intervenire attraverso un decreto-legge? Soprattutto, perché dettare nuove norme per introdurre novità che tali non sono, quando l'educazione civica è già insegnata nelle nostre scuole e quando la riflessione sulla condotta degli alunni è già presente nei singoli insegnanti e negli istituti e nei consigli di classe che valutano i nostri ragazzi? Perché i grembiulini, che già ci sono nelle nostre scuole? Infine, ancora sul metodo: perché così tante ambiguità nella lettera del decreto-legge?
Signor Ministro, signor sottosegretario - qui presente in Aula questa sera -, in merito al maestro unico e alle ventiquattro ore di riduzione dell'orario scolastico, la relazione tecnica che accompagna il provvedimento e il provvedimento medesimo parlano due lingue diverse. Le riflessioni e gli appunti degli uffici tecnici della Camera hanno sottolineato questa divergenza. Quante ore sono previste per l'educazione civica?
Con riferimento ai libri di testo, si sta parlando solo delle nuove adozioni o si sta programmando una nuova tornata generale di adozioni? Soprattutto, le ventiquattro ore e il maestro unico sono un obbligo o un'opzione? Sono un'opzione - ossia una possibilità che si offre alle scuole e alle famiglie - o sono l'unica opzione che, forse a partire dalle nuove classi, verrà offerta alle scuole e alle famiglie, considerato che prima che vengano effettuate le scelte verrà comunque imposto alle scuole di adeguare la propria offerta formativa alla possibilità di disporre di risorse sufficienti?
Perché, nonostante la chiara contraddizione, avete voluto mantenere quest'ambiguità? Perché non avete avuto voluto rispondere alle osservazioni degli uffici tecnici? Perché non avete voluto cogliere le possibilità che erano state offerte dall'opposizione, con le proprie proposte e i propri suggerimenti? Perché volete mantenerePag. 95un atteggiamento muscolare nei confronti dell'opposizione e rifiutare ogni modifica che possa apparire una concessione alle opposizioni stesse, o invece perché volete coprire le vostre vere intenzioni, a partire dalla riduzione dell'orario a ventiquattro ore? Perché avete voluto discutere tutto questo senza nemmeno dare i contorni e i dettagli delle risorse e degli orari del piano che avete elaborato e che, forse, state ancora elaborando? È questo il tipo di rapporto che volete avere con l'opposizione, con il Parlamento, con il Paese? Davvero volete giocare a carte coperte?
Mi auguro, dunque, che vorrete consentire al Parlamento di avere tre giorni, possibilità che già tante volte avete negato in questo avvio di legislatura, blindando la discussione con la posizione della questione di fiducia su un decreto-legge: in tre giorni, con una discussione che mi auguro sarà possibile sugli emendamenti, potremmo ritornare sul dettaglio di tutti i punti di questo discutibile provvedimento.
Qualche osservazione, però, va svolta subito, sin da questa sera. Innanzitutto, riguardo al maestro unico, abbiamo sentito tanta retorica e avvertito tanta nostalgia nelle vostre parole e anche nei commenti di tanti osservatori o di commentatori sui nostri fogli di informazione, poco attenti alla materia e, purtroppo, come spesso accade nei nostri giornali, poco propensi ad informarsi prima di esprimersi e di esprimere le proprie opinioni e i propri giudizi.
Davvero considerate che la scuola di oggi sia ancora la scuola di trenta, quaranta o cinquant'anni fa, in cui bastava imparare a fare di conto e magari a scrivere con una buona calligrafia, imparata con le aste? Davvero pensate che il maestro unico possa ancora essere il modello per la scuola di oggi, nella quale il sapere che dobbiamo offrire ai nostri ragazzi ha assunto proporzioni così diverse, per cui la matematica non è più quella di un tempo, ma è molto più complessa e larga, e la geografia non è più quella di un tempo? Sono comparse nuove complessità nel mondo, che dobbiamo raccontare ai nostri ragazzi. I nostri stessi ragazzi sono cambiati, perché hanno acquisito le nuove tecnologie, di cui oggi sono diventati padroni molto spesso più pronti di noi che siamo i loro genitori, perché tra i nostri ragazzi spesso ce ne sono alcuni che hanno una diversa provenienza, nazionalità, lingua, religione e persino - è stato detto - un modo diverso di mangiare.
Farli incontrare è un punto essenziale della nostra scuola, che ha anche saputo integrare i ragazzi che hanno abilità minori e abilità diverse. Tutto questo siamo stati capaci di farlo nella nostra scuola primaria, che è stata sottoposta, come tutte le altre scuole italiane, come gli altri ordini di scuola, alle valutazioni internazionali, e mentre, come riconosciamo tutti, negli altri ordini di scuola l'Italia non ne esce bene, perché ne esce distaccata dai primi, così non è nella scuola primaria, che anzi ha dimostrato di essere capace, proprio dal momento in cui è stato introdotto il maestro unico, e soprattutto da quando è stato introdotto il modulo con i tre insegnanti che si dividono su due classi, di recuperare ritardi nell'apprendimento e, soprattutto, di trattenere nella scuola i ragazzi delle nostre città del sud.
Soprattutto vorrei chiedere una cosa al Ministro Gelmini e ai deputati della maggioranza: perché considerate che possa essere meglio, ancorché solo come un'opzione, offrire meno scuola ai nostri ragazzi? Perché considerate, quand'anche possa essere solo un'opzione (nulla ci tranquillizza su questo punto), che ventiquattro ore di scuola siano meglio di ventisette o di trenta? Perché pensate che sia meglio che i ragazzi nel nord-est del Paese possano andare a lavorare prima nelle fabbriche? Perché pensate che nelle città del sud, nei quartieri difficili delle grandi metropoli del sud, sia meglio avere i ragazzi per strada, invece che a scuola? È questo che pensate? Questo è il modello che avete in mente? Quale idea avete del ruolo delle madri, delle donne? Pensate che sia meglio per loro essere chiamate a correre a scuola a mezzogiorno e mezzo per riprendere i ragazzi, invece di poterPag. 96svolgere appieno il proprio ruolo nel mondo del lavoro e della famiglia? Ancora sul merito: davvero vi sembra ragionevole, giusto e intelligente bocciare uno studente per una sola insufficienza?
Davvero vi sembra intelligente, giusto e ragionevole privare centinaia e centinaia di piccoli comuni della loro scuola primaria? Vi sembra questo il modo in cui si può difendere la vita delle nostre comunità montane? Vi sembra questo il metodo migliore per offrire al mondo delle imprese ragazzi capaci di inserirsi in modo utile nel mondo del lavoro?
Confrontatevi con quello che vi dicono i grandi pedagogisti. Voglio fare solo un nome: non parlerò di Don Milani, ma dei pedagogisti di oggi, di Esping Andersen, di coloro che ci hanno insegnato come i primi anni dell'educazione siano decisivi nel costruire la capacità di apprendere, nel consentire di superare le differenze di opportunità di partenza che dividono i nostri ragazzi.
È questo, dunque, che volete modificare? È questo il vostro modello di scuola? È bene che ci chiediamo quale senso complessivo abbiano le misure che ci state annunciando, ripeto, al di là dei dettagli singoli nei provvedimenti, che potremo discutere quando saremo chiamati a presentare i nostri emendamenti.
Quale futuro pensate di costruire per l'Italia? Quale tipo di sviluppo pensate di offrire al nostro Paese? Quale rapporto pensate di voler costruire tra il nord e il sud? Quale ruolo per le donne nella nostra società e per le donne e gli uomini che vengono nel nostro Paese per costruirsi una nuova vita, così come, in un passato non troppo lontano, le nostre donne e i nostri uomini sono andati lontano dall'Italia per costruire la loro?
Quale rapporto tra gli investimenti nella conoscenza e nel resto? L'ho già detto: 130 mila posti in meno equivalgono a moltiplicare per quaranta i posti di lavoro che saranno perduti nell'Alitalia, il che dà una ben chiara misura del valore relativo che date a chi lavora nella conoscenza e a chi lavora negli altri settori dell'economia.
Ma visto che stiamo parlando di conoscenza e visto che stiamo parlando in una discussione di ordine generale del tipo di società che si legge in filigrana in questo provvedimento, lasciatemi parlare di un altro tema, che presto, mi auguro, verrà in discussione nelle aule del Parlamento: quello dell'informazione. All'articolo 21 la nostra Carta costituzionale afferma il principio del pluralismo dell'informazione, che una lunga serie di sentenze della Corte costituzionale ci ha insegnato ad intendere nei suoi due versanti, come diritto di essere informati e libertà di informare.
Ebbene, non c'è che una ricetta semplice ed efficace per garantire che davvero ci sia pluralismo dell'informazione, ed è quella di creare le condizioni perché esistano tante e diverse voci, tante, diverse e libere opinioni, che abbiano la possibilità di esprimersi e di farsi ascoltare.
Su questo tema, il tema del pluralismo dell'informazione, il Governo e la maggioranza stanno intervenendo con una tenaglia molto, molto pericolosa.
Con i provvedimenti dell'estate scorsa è stato brutalmente tagliato il fondo a disposizione dell'editoria, e vorrei ricordare che il principio del pluralismo dell'informazione è un principio riconosciuto ufficialmente e formalmente dall'Unione europea, che proprio in funzione del ruolo che l'informazione ha nel dibattito democratico, dunque nell'alimentare la democrazia, ha sempre considerato il tema dell'informazione un tema che giustificava gli aiuti di Stato, nonostante gli aiuti di Stato siano in tutti gli altri settori dell'economia, come ben sappiamo, vietati.
Il pluralismo dell'informazione, la difesa delle identità culturali, la difesa della lingua sono motivazioni che in tutta Europa consentono di venire meno al divieto degli aiuti di Stato; ebbene, nel luglio scorso questo Governo, brutalmente tagliando i fondi all'editoria, ha posto le premesse perché il pluralismo dell'informazione venga meno in questo Paese, perché togliere le condizioni minime per la vita di un numero molto largo di mezziPag. 97di informazione equivale ad andare contro lo spirito e la lettera dell'articolo 21 della nostra Costituzione.
Con il regolamento che il Governo e la maggioranza hanno deciso di mettere in mano all'Esecutivo, con un provvedimento anche questo del luglio scorso, si è poi offerto all'Esecutivo - e vediamo in questi giorni il risultato - la possibilità di ulteriormente incidere sulle condizioni di vita dei nostri mezzi di informazione. Il regolamento che andremo a discutere nei prossimi giorni e nelle prossime settimane è un regolamento che non solo va oltre le previsioni di delegificazione contenute nel provvedimento che è stato varato dal Governo, e soffre dunque di una fondamentale mancanza di legittimazione, ma interviene anche, in realtà, rendendo ancora più drastico l'intervento già effettuato con il taglio dei fondi, e mette davvero a repentaglio la possibilità di una platea larghissima di giornali e di mezzi di informazione di potere continuare a sopravvivere.
È questo dunque il modo di governare questo Paese, che questo Governo e questa maggioranza hanno intenzione di perseguire? È questa la vostra idea d'Italia, un'Italia con una scuola fatta piccola, con un'informazione fatta piccola? È questo il tipo di Paese che voi volete proporre agli italiani? L'Italia è un Paese grande, è un Paese che merita di avere grandi ambizioni, perché alle grandi ambizioni l'Italia, anche nei suoi momenti più difficili, ha sempre saputo fare fronte. Voi volete invece un'Italia piccola, voi ci proponete un'Italia dagli orizzonti ristretti, dalle piccole ambizioni, dalle piccole risorse, dal piccolo futuro. Voi volete un'Italia piccola perché voi siete un Governo piccolo. Voi avete la più grande maggioranza di cui abbia goduto un Governo nella storia dell'Italia repubblicana, ma siete un Governo piccolo; e posso dire questo con libera coscienza, perché il progetto che voi presentate all'Italia è un progetto piccolo. L'Italia non merita questa dimensione, l'Italia non merita di avere questo orizzonte di fronte a sé. Noi lavoriamo per un'Italia che abbia un grande futuro, e non è il futuro che voi state preparando, tagliando alla radice l'istruzione che si offre ai nostri giovani. Noi contro questo continueremo a batterci, perché abbiamo una diversa idea dell'Italia (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Zampa. Ne ha facoltà.

SANDRA ZAMPA. Signora Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, ho chiesto di intervenire anch'io oggi in quest'Aula non solo per la viva preoccupazione che insieme al Partito Democratico anch'io nutro per le sorti della scuola pubblica italiana, ma anche perché sono figlia di una maestra elementare e sorella di una maestra elementare (figlia di una madre che è stata maestra unica e poi invece maestra nel nuovo sistema, quello che voi vi apprestate a liquidare, e sorella di una maestra che lavora insieme ad altre in realtà complesse di un piccolo paese).
Parlo, quindi, avendo ben presenti le loro considerazioni sulla positività del passaggio dal maestro unico ad un sistema diverso, che è nato per affrontare nuovi problemi e per aggiungere ricchezza di sapere nell'insegnamento. Colpisce negativamente, signor sottosegretario, anche se non stupisce, che su una materia di così strategica importanza per il futuro del nostro Paese questo Governo abbia deciso di procedere con una decretazione d'urgenza, senza aprire un serio ed approfondito dibattito pubblico e parlamentare, quel dibattito a cui il Paese aveva diritto.
Il Governo, con il suo decreto, ha calato una mannaia sulla scuola, che genera il più giustificato allarme in milioni di famiglie italiane, le quali a soli quindici giorni dall'inizio dell'anno scolastico hanno visto messa in discussione la prima e la più importante risorsa della quale può disporre una famiglia, quella dell'istruzione garantita dalla scuola pubblica, ossia quella che garantisce parità di accesso alla società ed al futuro.
Sono stati tagliati e verranno tagliati 8 miliardi di euro. Ancora una volta con una faccia il Governo promette la riduzione delPag. 98carico fiscale e con l'altra, invece, sottrae servizi e risorse. Mentre la scuola pubblica si deve trasformare in una grande scatola svuotata di contenuti e di saperi, si fa spazio l'idea di affidare l'istruzione alla privata iniziativa. A pagarne il prezzo più alto saranno le fasce più deboli: lo sappiamo tutti, lo sapete voi, e noi lo denunciamo. Per tutto il Paese è già ora emergenza culturale.
Davvero la Ministra Gelmini pensava che ci appassionassimo al dibattito estivo, usato a mo' di specchietto per le allodole, sul grembiulino sì o il grembiulino no? Di una cosa, però, siamo assolutamente certi: non basterà un grembiulino a coprire il vuoto culturale che questo provvedimento causerà, soprattutto in quel segmento del sistema scolastico italiano che è la scuola primaria. La nostra scuola è la sesta al mondo e la seconda in Europa per qualità ed efficacia, e un grembiulino non basterà nemmeno a garantire ai nostri giovani il diritto all'istruzione, così come è sancito dalla nostra Costituzione.
Così come non basteranno a fermare la civile protesta le intimidazioni subite da alcuni docenti da parte di esponenti locali della maggioranza, come è accaduto pochi giorni fa nella mia città, a Bologna; intimidazioni che oggi intendo denunciare in quest'Aula e che a nulla serviranno, perché - sia chiaro alla Ministra Gelmini e al Governo - le manifestazioni e i cortei di protesta di genitori, di alunni, docenti e personale tecnico che riempiono le piazze e le strade della nostra città sono state la testimonianza più vera e civile dello sconcerto e dell'indignazione di chi vive, lavora, frequenta la nostra scuola ogni giorno.
Io ero lì, in mezzo ai manifestanti, ho visto bambini con la proprie madri e con le proprie maestre, bambini con cartelli, allegri, coccolati e amati dai propri insegnanti, bambini che vorrei vedere ovunque così curati ed educati con tanto amore. Ad intimidire, rivolgendosi alla procura, è stato l'onorevole Fabio Garagnani, al quale voglio assicurare una cosa: noi, Partito Democratico, non lasceremo insultare e minacciare gli insegnanti, che al di là dei loro legittimi orientamenti politici personali, si stanno battendo per assicurare una scuola migliore a tutti i nostri figli, ai nostri nipoti, ai bambini d'Italia. E visto che parlo di Bologna, è bene che gli italiani sappiano come sono andati i fatti, quei fatti che l'onorevole Garagnani ha denunciato. L'episodio a cui mi riferisco, che è stato riportato dai quotidiani locali e che non è stato in alcun modo smentito, riguarda un volantino predisposto da un gruppo di genitori di un consiglio di circolo di una scuola e dal presidente dello stesso consiglio. Un volantino che non aveva alcun simbolo di partito, alcun segno grafico che lasciasse in qualche modo immaginare un'appartenenza politica e che presentava alcune informazioni sul decreto cosiddetto Gelmini, con l'annuncio di una manifestazione, quella svolta appunto il 26 settembre scorso. Un volantino che su richiesta dei genitori è stato fatto pervenire alle famiglie attraverso i diari, esattamente come avviene sempre e normalmente nelle comunicazioni tra scuola e famiglia. Questo volantino è passato dalle mani di un consigliere di Forza Italia e da lui consegnato all'onorevole Garagnani, il quale ha dichiarato ai quotidiani bolognesi che lo avrebbe consegnato al Ministro Gelmini, che avrebbe cercato gli estremi per allontanare le maestre dalla scuola, ha annunciato un esposto in procura e ha più volte minacciato l'allontanamento delle insegnanti. Bene, lo ribadisco, le insegnanti non verranno lasciate sole. Chiedo che si indaghi piuttosto sulle presunte riprese filmate che sono state eseguite a Bologna nel corso di quella manifestazione da esponenti della maggioranza che lo hanno anche dichiarato. A che titolo sono state fatte? A che titolo consiglieri comunali di Forza Italia minacciano allontanamenti o si permettono di riprendere i bambini? Porterò questa questione, ovviamente, alla Commissione bicamerale per l'infanzia della quale faccio parte. Alla Ministra Gelmini voglio chiedere: davvero volete far tacere le voci di protesta? Perché volete farle tacere? Suggerisco di ascoltare le madri e i padri che consegnano fiduciosi i loro figli nelle mani di insegnanti capaci,Pag. 99appassionati e coinvolti, ai quali non intendono rinunciare. E mentre si intende fermare la civile protesta dei cittadini, con la procedura di urgenza adottata dal Governo si vuole evitare anche il dibattito democratico e l'apporto del confronto parlamentare. Diversamente, ci spieghi il Ministro Gelmini quale carattere di urgenza è possibile intravedere nell'articolo 1 in materia di cittadinanza e Costituzione. Lo hanno denunciato già tutti i miei colleghi: è un tema ampiamente previsto dalle disposizioni vigenti (legge n. 53 del 2003).
Inoltre, lo stesso articolo 1 non si configura certo come un contributo così innovativo da dover essere con urgenza approvato, anzi vi si esprime un'idea statica di un tema che richiederebbe, invece, una trattazione che meglio tenesse in conto i grandi mutamenti culturali che hanno interessato la società contemporanea e, in modo del tutto peculiare, le giovani generazioni.
Non in un solo punto, infatti, si richiama la necessità di affrontare il tema dell'identità culturale, come l'inevitabile risultato di un costante processo di contaminazione e di confronto con altre culture.
Per non dire dell'articolo 2, quello che riguarda la valutazione del comportamento degli studenti: un caso di disposizione del tutto immotivata. Con il decreto del Presidente della Repubblica n. 235 del 21 novembre 2007, il Ministro Fioroni aveva già provveduto ad inasprire le sanzioni in caso di reiterati comportamenti di violenza e di mancato rispetto delle regole della comunità scolastica, fino ad arrivare alla non ammissione allo scrutinio finale, fino alla bocciatura. Ci spieghi il Ministro Gelmini perché avete sentito la necessità di intervenire d'urgenza: perché il precedente provvedimento impone che ogni provvedimento disciplinare debba essere sempre ispirato al fine educativo proprio della scuola? È questo il punto da cancellare? L'articolo 2 del decreto-legge n. 137 del 2008 è del tutto privo di riferimenti al compito fondamentale della scuola, che è e deve restare quello educativo. L'estensione poi del provvedimento alla scuola primaria, che non ne risulta esplicitamente esclusa, non solo è totalmente priva di fondamenti pedagogici, ma è insostenibile dal punto di vista giuridico, considerato che i bambini fino a 11 anni non possono contare su un codice di diritti e di doveri: lo statuto delle studentesse e degli studenti si applica infatti solo alla secondaria di primo e di secondo grado.
Questo pasticcio normativo che avete introdotto nella scuola non contiene una sola riga dedicata all'urgenza di far comprendere ai giovani studenti la necessità di ritrovare, insieme ai loro professori e non nello scontro di due blocchi destinati a non comprendersi, un nuovo codice di comportamento, costituito da regole condivise, di rintracciare un nuovo linguaggio che riavvicini i giovani alle istituzioni scolastiche e che possa restituire prestigio e autorevolezza ai docenti.
Non basta e non basterà battere il pugno sulla cattedra: l'insegnante più ascoltato - lo sappiamo tutti, perché a scuola ci siamo andati tutti - è quello che sa farsi ascoltare. Minacciare la bocciatura a che cosa servirà, se non saranno state percorse prima tutte le strade per trattenere ognuno dei nostri giovani il più a lungo possibile dentro la scuola? Come combattere contro l'abbandono scolastico, con le armi spuntate della scuola del ventennio, che oggi volete ripristinare? Vede, signor sottosegretario, sono stupita di avere ascoltato un collega della maggioranza elencare qui il cahier de doléances della scuola italiana e della scuola superiore, tutto ciò che non va, e di averlo sentito elencare queste cose come se la risposta fosse semplicemente ridurre le spese, ridurre la fatica, battere appunto i pugni sulla cattedra, quando in molte regioni sono state sperimentate - così come è avvenuto anche in altri Paesi del mondo - politiche contro l'abbandono scolastico.
La mia regione - e io ne sono orgogliosa - è una di queste: un grande piano contro l'abbandono scolastico, che si vedrà tagliate risorse per tre milioni di euro, mezzo milione dei quali verranno tagliati alla provincia di Bologna.Pag. 100
Ma il capolavoro del decreto-legge n. 137 del 2008 è l'articolo 4, quello che riguarda l'introduzione del maestro unico. Con un colpo di spugna il Governo cancella l'esperienza della scuola primaria italiana che con la legge n. 148 del 1990 aveva sostituito la figura ormai superata del maestro unico; disconosce il faticoso impegno degli insegnanti, dimenticando colpevolmente che i nostri maestri sono figure ormai specializzate nei propri ambiti disciplinari, e trascura le grandi potenzialità che il tempo pieno (e non un tempo scuola generico, non un «parcheggio» dove lasciare i bambini) favorisce in ogni bambino, con particolare riguardo a tutti quei soggetti ai quali è necessario un tempo più dilatato per apprendere, per potersi esprimere e per entrare in sintonia con il gruppo classe.
Oggi vale la pena ricordare al Governo e al Ministro Gelmini i risultati dell'indagine PIRLS 2006, dai quali risulta che le competenze in lettura dei nostri bambini di quarta elementare sono di gran lunga superiori a quelle degli altri bambini europei e del mondo. Nella classifica mondiale tra i quarantadue Paesi a confronto l'Italia occupa il sesto posto e il secondo in quella europea. Inoltre, i bambini italiani sono, a parità di percorso scolastico, più piccoli di età rispetto ai bambini degli altri Paesi. Tale competenza è riferita alla reading literacy, che comprende anche la capacità di riflettere e di saper utilizzare quanto letto per il raggiungimento di obiettivi personali e sociali.
In questa accezione, quindi, le competenze dei nostri bambini di quarta elementare, confrontate con quelle dei compagni di altri Paesi del medesimo livello scolare, assumono un significato particolarmente importante, tanto da spingerci a chiedere al Ministro Gelmini e al Governo: perché? Perché si è deciso di intervenire così pesantemente su questo segmento della scuola che risulta essere il sesto al mondo e il secondo in Europa? Qual è la ragione pedagogica? Quale disastro didattico ha così fortemente colpito il signor Ministro da farle prevedere tagli del personale docente che a regime saranno di 90 mila cattedre, tagli del personale tecnico che si aggirano intorno alle 50 mila unità e una riduzione in cinque anni del tempo scuola che va dalle 990 ore per il modulo alle 2.640 per il tempo pieno? Ci spieghi il Ministro perché la nostra scuola primaria deve cambiare in favore di un modello che ha dato risultati peggiori? Perché, signor Ministro, non ha deciso di discutere con tutte le forze politiche? Perché non ha chiesto che si organizzasse un pubblico dibattito su questo tema che coinvolge milioni di cittadini ?
Perché non ci dice chiaramente, come ha fatto il ministro Tremonti, che questo Governo ha deciso che l'Italia non può più permettersi di avere una scuola primaria competitiva? Se questi sono i provvedimenti nel segmento della scuola primaria che risulta essere la seconda in Europa, cosa accadrà quando metterete le mani sui segmenti più critici del sistema? Già se ne vedono i primi effetti.
Nella scuola secondaria di primo grado, la riduzione del monte ore ha già prodotto la decurtazione della terza ora settimanale per la seconda lingua straniera. Signor sottosegretario, signor Ministro, davvero ci volete far credere di essere convinti che un ragazzino di undici anni possa imparare il tedesco, il francese, lo spagnolo, con due ore di lezioni frontali settimanali?
Non vi è venuto il sospetto che tutto ciò significherà: meno tempo per l'approfondimento dei contenuti disciplinari; minori competenze di tipo specialistico dei docenti, a fronte di una necessità di saperi sempre più complessi e di un'approfondita conoscenza delle nuove tecnologie; l'impossibilità di individualizzare gli insegnamenti, sia per i bambini in difficoltà, sia per le eccellenze; impossibilità di attivare laboratori o recuperi, tutto in favore dell'inevitabile crescita della dispersione scolastica e dell'impossibilità di favorire l'apprendimento in tempi distesi, nel rispetto dei processi cognitivi di ogni bambino; una scuola pubblica, impoverita di saperi e di competenze; una scuola che dovrebbe formare gli uomini e le donne di domani e che, invece, si ispira al passato; una scuola per chi non potrà permettersi una baby sitterPag. 101di lingua inglese, tedesca o spagnola; una scuola destinata a scendere dalle classifiche internazionali.
Dietro il decreto-legge n. 137 del 2008 vi sono unicamente ragioni di contenimento della spesa dettate dalla manovra finanziaria e dispiace, ma non stupisce, che questo Governo pensi di contribuire al risanamento dei conti pubblici con un provvedimento così penalizzante per la scuola, una scuola che dovrebbe, invece, corrispondere alle crescenti necessità di domani e non riproporre modelli del passato.
Ci chiediamo, insieme alle tante famiglie italiane, come pensa il Ministro Gelmini di garantire il tempo pieno, perché non basterà riproporre il doposcuola che ci siamo lasciati alle spalle ormai da trent'anni. Questo Governo pensa che le regioni a piena occupazione femminile potranno rinunciare ad un tempo scuola pomeridiano garantito dalla presenza di insegnanti di ruolo? Ci si aspetta che le famiglie accettino di lasciare in una sorta di parcheggio i propri figli, non più impegnati in ore di lavoro didattico, in laboratori di approfondimento, in visite a musei, nel lavoro individuale di recupero? Ci si aspetta che le donne di questo Paese, sulle quali pesa la cura dei figli e spesso anche degli anziani della propria famiglia, possano rinunciare alle prospettive di lavoro e di carriera per tornare anche loro al ruolo di madri a tempo pieno come in passato quando la campanella della scuola suonava alle dodici e trenta, oppure ai sensi di colpa per avere scelto di andare avanti con il proprio lavoro?
Alla manifestazione di Bologna, signor sottosegretario, c'erano giovani insegnanti con la penna rossa tra i capelli, le avrete forse viste in televisione. Insegnanti che richiamavano alla memoria la maestrina dalla penna rossa del libro Cuore, evocata anche da altri miei colleghi, inevitabilmente. Ma oggi quella scuola della penna rossa non esiste più, quella società non esiste più. Oggi, il difficile Franti è un ragazzo prezioso agli occhi del suo insegnante, quel difficile Franti è un ragazzo per il quale non devono mai più riaprirsi le porte delle classi differenziali destinante, come erano, a chi faticava a socializzare, a chi mostrava disturbi comportamentali, a chi aveva un vissuto complesso e difficile, magari perché aveva alle spalle, e se la lasciava dietro la porta quando la chiudeva la mattina, una famiglia piena di problemi, a chi semplicemente aveva bisogno di un tempo dilatato per apprendere. Per quei bambini e per i loro genitori, gli insegnanti della scuola dell'infanzia e poi quelli della primaria sono la prima e la più importante risorsa. Un solo maestro, con sole ventiquattro ore settimanali, come si rapporterà con quel bambino? E come riuscirà a soddisfare i bisogni di quella famiglia una scuola come quella del secolo scorso? Noi ci auguriamo davvero che il Ministro Gelmini voglia ripensare questo provvedimento e voglia decidere di non accogliere le richieste del Ministro Tremonti a scapito della nostra scuola e che voglia ridiscutere una vera riforma fondata su un autentico progetto culturale. L'Italia ha bisogno di scuola, scuola, scuola. A Bologna, nel corteo, sfilavano cartelloni con la scritta: «Il nome Gelmini non fa rima con bambini». Noi vorremmo davvero che il nome del ministro Gelmini possa comparire in calce ad un provvedimento che ha al suo centro il futuro dei nostri bambini perchè quel futuro è il futuro del nostro Paese. Faccia in modo la Ministra Gelmini che il suo nome non strida più con il nome dei bambini che sono e restano la più preziosa risorsa del Paese.
Prima di concludere, vorrei anche replicare all'onorevole Renato Farina che oggi in quest'Aula, quando è intervenuto - non c'è più, avrei preferito parlare in sua presenza -, ha rivolto moniti e ha dato lezioni di morale all'opposizione, rivolgendosi al ministro del Governo-ombra Picierno. Farina ha parlato di inviti alla serietà e, bontà sua, ha ammesso che si può non essere d'accordo con la maggioranza. A quale titolo l'onorevole Farina parla di etica, di morale e di serietà, lui che ha tradito i principi che avrebbero dovuto ispirare il suo lavoro, firmando, come «agente Betulla», una delle piùPag. 102vergognose pagine del giornalismo e della politica italiana? Noi vorremmo sapere di quale serietà e di quale etica parla quando cerca di dare lezioni di etica all'opposizione (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, sono iscritti a parlare ancora 15 deputati. Propongo la sospensione della seduta per 30-45 minuti. Suggerirei di riprendere la seduta alle 21,15 e successivamente i nostri lavori proseguiranno fino alle 24. Credo che possa essere un orario condivisibile. Naturalmente il seguito della discussione sulle linee generali avrà luogo domattina a partire dalle 9.
Sospendo la seduta, che riprenderà alle 21,15.

La seduta, sospesa alle 20,30 è ripresa alle 21,20.

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che non vi sono ulteriori deputati in missione alla ripresa notturna della seduta.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente cinquantasei, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Annunzio di una nota di aggiornamento al documento di programmazione economico-finanziaria relativo alla manovra di finanza pubblica per gli anni 2009-2013 (ore 21,21).

PRESIDENTE. Con lettera del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro dell'economia e delle finanze, in data 25 settembre 2008, è stata trasmessa, ai sensi dell'articolo 3 della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni, una nota di aggiornamento al documento di programmazione economico-finanziaria relativo alla manovra di finanza pubblica per gli anni 2009-2013.
La nota di aggiornamento (doc. LVII, n. 1-bis) è stata trasmessa alla V Commissione (Bilancio), con il parere della VI Commissione (Finanze).

Si riprende la discussione.

(Ripresa discussione sulle linee generali - A.C. 1634-A)

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Pes. Ne ha facoltà.

CATERINA PES. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, Piero Calamandrei, nel dibattito sulla Costituzione, diceva che per trasformare gli italiani da sudditi in cittadini ci voleva un miracolo che solo la scuola poteva fare.
Convinti, come siamo, del valore di queste affermazioni, siamo anche profondamente sconcertati ed estremamente preoccupati del modo con cui questo Governo sta affrontando l'emergenza educativa. Infatti, si tratta di emergenza educativa e di questo abbiamo parlato a lungo più di una volta.
Se di emergenza educativa si tratta, però, si procede per decreti-legge, cioè anziché governare, come si dovrebbe fare, il sistema educativo con un progetto vero in un'ottica che noi crediamo debba essere di sistema (con una visione ampia) e in un'ottica di lungo periodo, si introducono delle riforme che in realtà servono solo ed unicamente ad esclusive esigenze finanziarie.
L'improvvisa scelta estiva del Ministro Gelmini di intervenire sulla riorganizzazione didattica della scuola primaria e secondaria di primo grado solleva, ancor prima che conseguenze sul piano dei contenuti (che comunque sono tante), un problema di metodo. Infatti, l'istruzione e la formazione sono, prima di tutto, un diritto-dovere di ognuno di noi e dei nostri figli e appartengono a quell'ambito del sociale che è l'interesse collettivo.
L'interesse collettivo non può essere definito mai, noi crediamo, a colpi diPag. 103maggioranza, sequestrando il dibattito, come si sta facendo, e scegliendo la strada del decreto-legge. Perché dico «sequestrando il dibattito»? Perché se anche un tema che ha a che fare con l'interesse collettivo, come può essere quello dell'istruzione, della conoscenza e della trasmissione del sapere, viene affrontato ricorrendo alla decretazione d'urgenza e, naturalmente, alla «fiducia» (come noi supponiamo che accadrà nei prossimi giorni) è evidente che in qualche modo gli interessi della collettività non si stanno perseguendo, ma si stanno solo facendo gli interessi di pochi.
Parlavo di indizi di metodo perché ci sono chiari indizi di metodo che non accettiamo, prima ancora dei contenuti di questa riforma. Infatti, il metodo adottato è fondamentalmente autoritario e consiste nell'affrontare temi complessi con operazioni semplici.
Quindi, non c'è dubbio che il tema dell'istruzione e della scuola sia uno dei più complessi che la società contemporanea, che è una società complessa, si trova a dover gestire, a maggior ragione sempre di più oggi.
Tuttavia, questo tema richiederebbe un'altrettanto complessa riflessione, dove tutti gli attori vengano coinvolti in questo processo di adeguamento e di riforma. Invece, in questo caso ci troviamo di fronte ad un decreto-legge che ha tagliato su una parte e una componente della scuola italiana, quella legata alla scuola primaria, senza che questo fatto sia stato però accompagnato da una vera e propria valutazione empirica sui risultati ottenuti dalla scuola elementare negli ultimi trent'anni, ma non c'è mai stato neppure alcun confronto con la scuola primaria almeno europea e con i risultati delle pedagogie europee.
L'aspetto più importante e fondamentale era - ritorno alla semplificazione di cui parlavo prima - reagire a quello che Tremonti chiama il nullismo di origine sessantottesca. Quindi, per reagire a questo nullismo di origine sessantottina, o sessantottesca, si ripristina il principio di autorità, l'ordine, la famiglia, la Patria, semplificando in realtà un tema che - come dicevo prima - richiederebbe ben altra riflessione. Si semplifica ricorrendo a degli slogan, perché le questioni del grembiule (su cui, tra l'altro, non ci sentiamo nemmeno di fare barricate), del maestro unico, della reintroduzione dei voti in decimi sembrano e sono in realtà degli slogan vuoti, in quanto dal punto di vista pedagogico non reggono su nessun tipo di argomentazione che possa dirsi valida.
Ho parlato di interesse e di bene collettivo. Noi consideriamo la scuola prima di tutto un grande laboratorio sociale, così come mi è capitato di dire altre volte. Alla luce di questa convinzione, ritengo che ancora di più la scuola elementare sia quel piccolo laboratorio sociale dove per la prima volta i bambini si confrontano con un mondo che a loro appare come in espansione, in movimento, colorato e variegato, in cui la loro voglia di giocare e la loro libertà si confrontano con la voglia di conoscere, e anche di camminare sul mondo. Tuttavia, il mondo nel quale i bambini camminano all'inizio del loro percorso cognitivo è un mondo che ha naturalmente bisogno di ripensare se stesso, e sta ripensando se stesso, e la cui direzione e il cui sentiero solo la scuola - come diceva Calamandrei - può indirizzare, a partire da quella dei più piccoli.
Vorrei aprire una parentesi: sia chiaro che non siamo insensibili ai tagli della spesa pubblica e al fatto che l'Italia sta attraversando un periodo molto difficile. Rispetto a quelli che vengono considerati sprechi, tutti dobbiamo assumere un atteggiamento di grande responsabilità. Siamo anche consapevoli del fatto che il bilancio dell'istruzione non è un bilancio qualsiasi. Tuttavia, non possiamo minimamente accettare che questi tagli passino come una mannaia sulla qualità dell'offerta formativa e, in particolar modo, su quell'offerta che proviene dalla scuola primaria che sappiamo essere ai primi posti dell'Europa.
Allora, perché mai colpire la scuola elementare quando gli indicatori internazionali ci dicono che quello è il segmento della scuola italiana che va bene? QuandoPag. 104noi sappiamo dalle indagini OCSE-PISA che il problema della scuola italiana è legato alla scuola secondaria di primo e di secondo grado, ma non alla scuola elementare? Cosa c'è dietro questa necessità di tagliare su quel segmento che invece funziona? Questa mannaia si può giustificare con la sola necessità di fare cassa: sullo sfondo dell'eliminazione del modulo didattico ci sono, come tutti sappiamo, 87 mila cattedre tagliate in tre anni.
Il tutto è camuffato dal folklore del grembiulino con il fiocco rosso e dal vago e rassicurante ritorno a questo piccolo mondo antico di ottocentesca memoria. Peccato che questo piccolo mondo antico in realtà noi non lo viviamo più già da tempo: le nonne dei nostri piccoli sono tutte laureate, le mamme e i papà sono fuori casa tutto il giorno, i nostri piccoli scelgono tra quintalate di programmi televisivi che quotidianamente già li educano; non direi che poi questi bambini arrivano a scuola nelle stesse condizioni in cui siamo arrivati noi. «Avevamo un maestro unico e siamo cresciuti bene», ci avete detto. Sì, però permetteteci di dire che noi avevamo solo Oggi le comiche il sabato pomeriggio e I ragazzi di padre Tobia, non mi sembra che avessimo altre scelte oltre a queste (vedo qualcuno che sorride, perché i ricordi di queste trasmissioni, che sono appartenute alla nostra infanzia, penso che ci accomunino tutti).
Ma vogliamo veramente pensare che i bambini di oggi sono come i bambini che eravamo noi in quegli anni? I bambini di oggi arrivano a scuola in prima elementare che sanno già leggere l'i-Phone, e non glielo abbiano certo insegnato noi. Gli stimoli culturali, oggi, sono diversi, e anche le richieste sociali sono diverse, perché è la stessa società che chiede alla scuola qualcosa di diverso, non chiede il maestro unico di un tempo. Negli anni le esigenze della scuola italiana sono cambiate perché prima di tutto è cambiata la società che esprime la scuola, perché non dimentichiamo che la scuola, essendo laboratorio sociale, è espressione della società che la inventa.
Negli anni Ottanta la riforma dell'insegnamento modulare, dei cosiddetti tre maestri su due, è stata frutto di un dibattito culturale che allora ci fu e che fu estremamente appassionato. Si trattò allora di una riforma condivisa, partecipata, una riforma, soprattutto, che prendeva le mosse dall'esperienza del tempo pieno, che era stata sperimentata sin dal 1977. Si trattava di una riforma maturata intorno alla riflessione su concetti quali la scuola inclusiva, l'integrazione, la valutazione formativa che non è una parolaccia, ma una cosa molto seria.
Da quel dibattito all'epoca emerse una cosa importante, cioè che il modello del team teaching era uno strumento educativo che ha reso possibile migliorare lo sviluppo cognitivo del bambino attraverso l'introduzione di quella che si chiama programmazione didattica, il confronto e la collaborazione costante tra gli insegnanti. Guardate che la programmazione didattica è anche esercizio e condivisione della responsabilità, ed è una cosa importante, perché è condivisione di obiettivi e, contemporaneamente, condivisione di responsabilità. Portò anche alla cosiddetta «ri-scoperta» delle discipline, che con il maestro unico, che non poteva essere un tuttologo, erano state abbandonate.
Questo modello - ripeto, quello del team teaching, cioè dell'insegnamento per team - grazie alla diversificazione delle esperienze e all'ampiezza delle relazioni, negli ultimi trent'anni ha permesso di far crescere i nostri figli in quella che prima ho definito la società complessa, qual è quella contemporanea.
Fatta questa premessa, arriviamo al decreto-legge 1o settembre 2008, n. 137, con cui si torna al maestro unico con una motivazione che sarebbe veramente un regalo poter pensare che sia di tipo pedagogico - le faremmo un regalo se così la definissimo - vale a dire che i nostri bambini hanno bisogno del maestro unico. Mi viene da dire: ma chi l'ha detto? Non è vero per niente, non siamo convinti di questo. I nostri bambini sono molto diversi da quelli di trent'anni fa, hanno più riferimenti culturali, spesso e volentieriPag. 105hanno la famiglia allargata, hanno più suggestioni di carattere ludico, ed inoltre le stesse richieste che giungono alla scuola sono estremamente più vaste rispetto a quelle di un tempo. Possiamo veramente pensare che un unico insegnante possa essere capace di fornire attenzioni e cure sufficienti, nonché strumenti culturali a tutti?
Prima ho ascoltato un collega del centrodestra dire che è giusto tornare alla scuola di un tempo, perché quella che si insegna oggi non è più la matematica di una volta, e così anche la concezione dello spazio e quella dei numeri non sono più quelle di una volta: due più due non sempre fa più quattro; ma insomma, lo vogliamo ricordare che il mondo sta cambiando e che, forse, una delle condizioni principali della scienza è anche quella di modificarsi e di modificare i contenuti del proprio sapere? Nel Novecento sono state scoperte le geometrie non euclidee; è da allora che abbiamo capito che la matematica è un'opinione, abbiamo finalmente la possibilità di dirlo anche ai nostri bambini che la concezione dello spazio dipende dal punto di vista che assumiamo come criterio di misura.
Allora, che cosa fa il maestro unico? Dà un'infarinatura di cognizioni che sono poi i suoi punti di vista, ma di scientifico, di disciplinare, cosa dà a questi bambini? Il modello scientifico dovrebbe essere quello che essi imparano, e se imparando il modello scientifico imparano che anche la matematica è un'opinione, bene, forse nella vita diventeranno anche meno totalitari. Insomma, sono convinta che sia molto più probabile che un bambino trovi una figura di riferimento in una pluralità di docenti, proprio per la complessità di cui ho parlato prima, che non in un maestro unico.
Inoltre, alcune domande rimangono senza risposta, perché quella che ci porta a non accettare questa scelta così poco meditata non è solo una questione di tipo filosofico-pedagogico, ma ci sono anche delle conseguenze che poi sono importanti dal punto di vista dell'organizzazione. La prima domanda che vi facciamo è: in che modo verranno aiutati con il maestro unico i bambini che necessitano di sostegno? Detto in altre parole: se togliamo le compresenze, che sostegno verrà attivato a coloro che attualmente ne usufruiscono? Così facendo rischiamo di tornare indietro e di buttare al macero, di distruggere, trentuno anni di scuola inclusiva, e non è certamente un bene. L'integrazione dei disabili nella scuola italiana è un punto di qualità e di civiltà che ci viene riconosciuto a livello mondiale; ciò vuol dire che occorre investire sul sostegno e sulla dotazione di tempo, che non deve essere risicato per questi interventi. Naturalmente c'è da chiedersi come si possa fare, considerato che nelle nostre scuole, nelle nostre classi elementari, oggi ci sono, in media, tre o quattro bambini che hanno dei disagi, e tali disagi non sono sempre uguali, perciò anche la loro valutazione non può essere identica.
Un'altra domanda, che poi è legata alla prima: come potranno essere conciliati gli obiettivi previsti dalle nuove indicazioni con il tempo scuola ridotto a ventiquattro ore settimanali?
Mi spiego meglio: se togliamo le due ore di religione e le ore di inglese, rimangono, per il cosiddetto percorso curricolare, per le cosiddette aree disciplinari fondamentali, 19-20 ore per la lingua italiana, la matematica, le scienze, la storia, geografia, lo studio della Costituzione, l'informatica, l'educazione musicale, l'educazione all'immagine e l'educazione motoria.
Anziché pensare che il tempo della scuola deve dilatarsi e deve essere sempre più disteso, perché è un fattore fondamentale nell'apprendimento (chi, come me, insegna lo sa benissimo), finiamo invece per ridurre ulteriormente il tempo della scuola. Qualche giorno fa, in Commissione, il Ministro ci ha detto che non abbiamo capito nulla di questo tema e ci ha spiegato che, invece, si lascia la libertà alle famiglie di scegliere tra 24, 27, 30 e anche 40 ore. Insomma, siamo noi che non abbiamo capito e quindi, in buona sostanza, il provvedimento in esame è estremamentePag. 106liberale, tanto liberale che ogni famiglia può scegliere quante ore far fare ai figli.
Permetteteci di non credere a questa cosa: a parte il fatto che per noi il tempo della scuola deve essere ricondotto minimo a 30 ore per tutti, permetteteci anche di dire, però, che il tempo di 40 ore, il tempo pieno, sarà applicato - e continuerà ad essere applicato, perché è vero che non lo avete tolto - solo e unicamente laddove già c'è: in questo modo rischiamo di perpetuare la distinzione tra scuole di serie A e scuole di serie B. Lo dico perché, soprattutto nel sud - dove non c'è l'esperienza del tempo pieno, che non è diffuso come nel nord -, naturalmente questa previsione non verrà applicata, perché le disposizioni parlano chiaro: il tempo pieno verrà garantito solo laddove già esiste e, invece, verrà concesso solo in condizioni di disponibilità economica. E dove dovrebbe essere concesso? Nelle scuole del sud. E ciò in barba a Don Milani, che oggi vi è piaciuto citare contro di noi. È vero che Don Milani era un maestro unico, ma è anche vero che insegnava in un periodo diverso dal nostro e che non aveva certamente una visione della scuola così reazionaria come la vostra.
Qualcuno, prima di noi, ha detto che a pensare male si fa peccato, ma a volte ci si azzecca: ci viene allora da pensare che, di fronte ad una tale distruzione della scuola pubblica, saranno presto le scuole private a sperimentare il team teaching, ossia il sistema modulare, e il tempo pieno. È quindi evidente che, a maggior ragione, le famiglie saranno libere (perché questo è un provvedimento liberale) di scegliere dove mandare i loro figli, pagando, con buona pace di chi, per anni, ha difeso il valore del tempo pieno.
Noi crediamo che l'intero impianto formativo debba necessariamente tenere conto del fatto che il tempo scuola necessario e indispensabile per garantire livelli buoni di apprendimento debba corrispondere a 30 ore e che il tempo pieno non è, come lo ha chiamato qualcuno, uno spezzatino pedagogico di 40 ore, non è il doposcuola, con momenti obbligatori (che sarebbero le famose 24 ore del maestro unico, più altri momenti aggiuntivi). Il tempo pieno è e dovrebbe essere il tempo di tutta la scuola. Nella proposta del Governo, però, vi è anche un altro tema, che a me sta molto a cuore, perché vengo da anni di esperienza valutativa.
Vengo dal mondo della scuola superiore e credo di essere un buon testimone nel sostenere che anche il tema del ripristino dei voti - mi riferisco all'articolo 3 del decreto-legge - in questo caso è stato affrontato con una semplificazione veramente da far paura.
Il problema della valutazione non risiede nel sistema simbolico utilizzato, cioè possiamo utilizzare i numeri dall'uno al dieci o anche giudizi sintetici, che vanno dall'insufficiente all'ottimo. Il problema, dunque, non è il sistema simbolico (i decimi, i trentesimi, i centesimi, in questo caso il sufficiente, il buono o l'ottimo), ma il fatto che il tema, o meglio il problema, della valutazione deve essere fortemente collegato alla chiarezza del criterio che sottende alla valutazione. Voglio dire che i criteri di valutazione dovrebbero essere condivisi, chiari e facilmente interpretabili da tutti. Non c'è dubbio che in Italia manchi un sistema nazionale di valutazione. Questo è realmente un problema che tutti noi ci dobbiamo porre. Ma se questo è vero, allora non serve a niente, dal punto di vista della chiarezza - come dite voi - trasformare il sufficiente in un sei, perché rimaniamo al punto di prima.
Karl Popper, noto filosofo del Novecento, diceva che una teoria è scientifica se può essere falsificata, che, detto in altre parole, significa che una teoria è scientifica se può essere sottoposta a verifica sperimentale ed eventualmente superata. Solo ciò che non può essere superato non è scientifico e confina già con i limiti della fede.
In realtà, allo stato attuale, ancora non esiste nessun tipo di modello sperimentale che sia verificabile ed eventualmente anche superabile. Ancora non abbiano fatto chiarezza sugli obiettivi che intendiamo raggiungere: quali sono le competenze, le conoscenze, le abilità che richiediamo aiPag. 107nostri alunni, per conseguire una valutazione di tipo sufficiente. Dunque, noi torniamo ai voti mentre, nel frattempo, nel dibattito europeo e internazionale, si va in tutt'altra direzione, cioè da più parti si stanno sperimentando indicatori descrittivi che certificano le competenze. Pensate per esempio al portfolio della lingua inglese, della lingua straniera. Mentre il resto dell'Europa lavora sul criterio di valutazione, sulla sperimentazione - mi piace usare questo termine -, noi invece torniamo a quello che in Sardegna noi chiamiamo su connottu, che è un modo per dire l'antico, il conosciuto, quello che è in qualche modo più sicuro e più rassicurante. Però, nel nostro senso, il su connottu è qualcosa che valorizziamo molto. Qui mi permetto di non valorizzare tutto questo. Si mettono alle spalle anni di ricerca intorno alla valutazione formativa e si ritorna ai semplici voti. Qui vorrei dire una cosa sulla valutazione formativa, permettetemi. La valutazione formativa - l'ho detto anche prima - non è una parolaccia, ma una cosa molto seria, che fu introdotta negli anni Settanta, esattamente nel 1977 con la legge n. 517, che aveva lo scopo di sottolineare come nel percorso di apprendimento cognitivo del bambino ci fossero da sottolineare due momenti importanti: uno era quello legato alla valutazione sommativa, cioè alla valutazione finale delle conoscenze, l'altro, invece, era legato alla valutazione per fasi dell'accrescimento di queste conoscenze, che avviene attraverso l'acquisizione delle competenze.
Ecco, tutti noi, professori, maestri nella scuola italiana (mi riferisco anche al nostro Ministro, che forse dovrebbe fare un po' di giri e percorrere i sentieri della scuola dal didentro), che da quando abbiamo sei anni stiamo andando a scuola tutti i giorni, applichiamo il principio della valutazione formativa accanto a quello della valutazione sommativa.
Anni di riflessione su questa forma di valutazione sono stati buttati al macero; in questo modo, non si capisce neanche che tipo di interventi si stiano facendo. Ancora una volta, così come per l'articolo 4, che reintroduce il maestro unico, anche in questo caso si è proceduto con una semplificazione superficiale e a colpi di mannaia.
Ultima riflessione: l'articolo 3, al comma 3, recita testualmente...

PRESIDENTE. La prego di concludere.

CATERINA PES. ...che sono ammessi - ho quasi finito - alla classe successiva, ovvero all'esame di Stato a conclusione del ciclo, gli studenti che hanno ottenuto una valutazione non inferiore a sei decimi. Detto in parole fruibili, così tutti lo capiamo, vuole dire che da quest'anno i bambini delle scuole elementari e medie, quindi delle scuole dell'obbligo, e questo mi piacerebbe sottolinearlo, possono essere bocciati per una sola materia insufficiente.
Ma la cosa grave è che in questo caso la normativa è addirittura più restrittiva che per le scuole superiori, perché mentre nelle scuole superiori c'è scritto che comunque, di fronte all'insufficienza, la scuola è obbligata ad organizzare corsi di recupero e di sostegno, nella scuola elementare, invece, dove i bambini ancora si stanno approcciando a questo mondo di conoscenza e a tutto quello che ho detto prima, questi bambini possono essere bocciati senza nessun recupero.
Poco ci tranquillizza la rassicurazione del Ministro, che ci dice che tanto saranno i consigli di classe a promuovere. Insomma, la norma è questa; se poi ci si può affidare in Italia al buonsenso di chi lavora sulle norme, mi sembra che stiamo veramente navigando a vista. E poi quale consiglio di classe? Non c'è rimasto solo un maestro? Non potrà, poi, forse accadere che quel maestro, magari, non capisca il nostro bambino e non abbia tutta questa comprensione verso le conoscenze del nostro bambino?
Insomma, concludo dicendo che vi stiamo chiedendo naturalmente di ritirare questo decreto-legge. Ve lo stiamo chiedendo e vi diciamo che fare scuola richiede un confronto aperto, e che questo non c'è stato.
Chiediamo un serio investimento in un'ottica di sistema, che non dimentichiPag. 108assolutamente la scuola inclusiva e solidale, che è patrimonio della nostra tradizione. Chiediamo di assumere il punto di vista dei bambini e delle loro difficoltà, delle loro differenze e anche delle loro curiosità.
Chiediamo che vengano garantiti ai bambini portatori di disabilità un sostegno individualizzato, la compresenza e un sistema di valutazione che sia peculiare. Chiediamo il confronto e non lo scontro. Dicono che stanno suonando le campanelle in tutta Italia per la scuola. Bene, credo che questo fenomeno si allargherà a macchia d'olio.
Chiediamo di non sottovalutare questa cosa, perché vuole dire che la riforma non è condivisa. Vi chiediamo di ascoltarci, perché poi la campanella non suoni per tutti noi come una bocciatura della storia (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Mazzarella. Ne ha facoltà.

EUGENIO MAZZARELLA. Signor Presidente, con la levità che gli è propria quando viene il momento degli interessi personali, il Presidente Berlusconi, ritenendo offensivo lo stile di Putin, ascrittogli per le sue dichiarazioni intimidatrici verso la Consulta, che deve decidere sul lodo Alfano, ha affermato che con il segretario del maggior partito di opposizione, il PD, è inutile dialogare, giacché, parole sue, il signor Veltroni si illustra da sé, basta leggerlo.
Tralascio di sottolineare che, oltre a rappresentare un momento di crisi acuta nei rapporti di politica interna, le dichiarazioni del Presidente Berlusconi rischiano, o meglio, rischierebbero di incrinare i buoni ma complessi rapporti con la Russia, giacché bisognerebbe chiedere a Putin cosa pensi del fatto che il nostro Premier ritenga un'offesa inescusabile essere a lui paragonato.
Ma probabilmente Putin conosce bene del suo amico dichiarato la maldestra confusione tra umori, interessi e responsabilità istituzionali, e non farà richiamare l'ambasciatore. Pericolo scampato, magari. Tuttavia, la sindrome «coda di paglia» di Berlusconi chiarisce bene la potenza del subconscio, fondamento della teoria analitica del lapsus.
Ad ogni modo, vorrei segnalare a questo Parlamento, per tornare al tema, che è la politica del Governo Berlusconi che si illustra da sé: basta leggere gli effetti delle sue misure legislative sulla società italiana. Oggi è in esame il decreto-legge Berlusconi-Gelmini sull'istruzione, segnatamente incidente sulla scuola primaria. Il Ministro Gelmini ha purtroppo parlato di «stipendificio meridionale»: andiamo a sciogliere anche questa lieve sintesi socio-antropologica, leggendo un articolo. Vorrei appunto leggere, a questo proposito, un articolo, un resoconto di un cronista di un giornale meridonale, Il Mattino, probabilmente il maggior quotidiano del Mezzogiorno, quello forse con maggiore storia, che è andato a fare un viaggio in questa società dello stipendificio meridionale: e vediamo che ne viene fuori.
«Rosalba Russo ha 53 anni, vive da sola e paga 300 euro di affitto al mese. L'ultimo stipendio l'ha percepito a giugno, circa 1.100 euro. A settembre doveva tornare a scuola, era in attesa di essere convocata per una supplenza annuale nella primaria. Ma le sue speranze, con quelle degli altri precari, si sono infrante al rientro delle vacanze. Non saranno assegnati incarichi annuali nella scuola primaria. Neanche un posto, a fronte dei 400 contratti a tempo determinato stipulati l'anno scorso secondo le stime dei sindacati. "Sono disperata", grida Rosalba. Marianna Castaldo ha avuto la cattiva notizia per telefono. "Non volevo crederci - racconta - Sono nella scuola da 19 anni e da 5 avevo assunto l'incarico annuale. Ho accumulato 200 punti, ero prossima all'incarico. Ora che succederà?". L'anno scorso Marianna ha insegnato in una scuola di Barra, il suo è l'unico reddito che arriva in famiglia. Vive a Sorrento, ogni giorno per recarsi a scuola è uscita di casa all'alba. Tutto questo nella speranza di accumulare punteggio, inseguendo il sogno del contratto a tempo indeterminato.Pag. 109Francesca Salzano, 37 anni, da tre anni ha assunto l'incarico annuale. Insegna inglese, per 13 anni si è divisa tra scuole private e paritarie. "Mio marito ha uno stipendio da statale - spiega - e abbiamo due bambini. Se io non lavoro non sappiamo cosa fare". Dietro ogni donna una storia diversa, tutte disperatamente simili. Storie di disagi e corse frenetiche per arrivare alla fine del mese. Francesca si scioglie in lacrime, Mariapia cerca di consolarla, ma anche lei ha i suoi problemi. "Vivo da sola, in un miniappartamento - spiega Mariapia Russo - ho un plico di bollette da pagare chiuso nel cassetto. Non so come vivere, come pagare l'affitto". Mena, 36 anni, ha acceso un mutuo di 727 euro basandosi solo su questo lavoro. Il marito prende 900 euro al mese, rischiano di indebitarsi fino al collo. "Ho iniziato a lavorare quando la bimba aveva otto mesi - ricorda - ogni giorno venivo chiamata anche solo per due ore. Prendevo la piccola dal letto, la vestivo di corsa e la lasciavo dalla prima persona disponibile. Tutto questo per nulla". Infine B.S., che ha anche il pudore di non dire il suo nome, 45 anni, quest'anno era convinta di essere finalmente immessa in ruolo: "Ero quarantesima in graduatoria, pronta per essere assunta". Non è andata così. Per lei nemmeno la supplenza».
Questa è una fotografia dello «stipendificio meridionale» con cui la Gelmini ha ritenuto di dovere commentare gli effetti, i vantaggi del suo decreto-legge. Per questi lavoratori della scuola, che hanno garantito anni di una buona scuola nel nostro Paese, non ci sono le trattative privilegiate come per Alitalia, perché evidentemente sulla scuola italiana, sul futuro dell'Italia, il Premier Berlusconi non si è giocato la faccia, e quindi non c'è bisogno di salvarla.
La possiamo perdere di fronte ai nostri figli ed al nostro futuro; la possiamo perdere, per la scuola primaria, rispetto anche alla società internazionale della conoscenza, che questa scuola la pone ai massimi livelli delle esperienze europee. Per quanto riguarda i risvolti sociali dell'intervento distruttivo sulla scuola primaria, e sulla scuola in generale, del decreto Berlusconi-Tremonti valgano la notazione e la preoccupazione di quello che un rappresentante dello Stato nella provincia di Napoli, e cioè il prefetto Pansa, ha scritto al Governo, segnalando che 5 mila posti di lavoro in meno nel settore scolastico preventivati solo su quest'anno rappresentano più che un problema di gestione e di management scolastico, un problema di ordine pubblico (il tutto andando ad incidere su una scuola che è il segmento migliore del nostro percorso formativo, ma a questo ormai, in questo Parlamento e nel Paese, abbiamo dovuto fare il callo).
La ripresa legislativa per la scuola italiana è stata, questo settembre, molto amara in Commissione cultura, scienza e istruzione, con l'arrivo del disegno di legge di conversione di questo decreto-legge sul maestro unico nella scuola primaria.
Sostanzialmente l'articolo 4, cui si riferisce il maestro unico e a cui è connessa la riduzione dell'orario scolastico sostanzialmente a ventiquattro ore, è il piatto forte del decreto-legge, con il contorno scenico del ritorno del voto in decimi, della valutazione della condotta e del libro di testo adottabile per un quinquennio. Il piatto forte del decreto-legge è stato presentato dal Governo e, con qualche dissimulata sofferenza, dalla maggioranza come la panacea di tutti i mali della scuola primaria italiana, scuola affetta da bulimia di spese da un lato (lo «stipendificio» per lo più rivolto a pessimi docenti meridionali con cui, come abbiamo visto, ci ha deliziato la Gelmini questa estate), e dall'altro lato da anoressia di risultati di qualità.
Eppure la scuola primaria è l'unico segmento formativo italiano collocato nelle prime posizioni di tutte le classifiche del settore, anche quelle richiamate dal Governo. Ma l'argomento, a quanto pare, per il Governo è debole, a fronte dell'esigenza di ridurre il rapporto studenti-docenti (rapporto troppo alto rispetto alla media europea) e di dare alle famiglie più libertà formativa per i loro figlioli, liberandoli da un tempo in classe troppo prolungato chePag. 110gli consenta qualche ora quotidiana in più per le attività formative extrascolastiche.
Il maestro unico e l'orario obbligatorio ridotto a ventiquattro ore saranno più che sufficienti e più che efficienti per le casse dello Stato e per la formazione dei bambini: questa sembra essere la tesi del Governo, il cui idealtipo educativo su cui concentrare gli sforzi è evidentemente un bambino di buona famiglia, ben seguito da genitori attenti che abbiano la disponibilità economica e, a discendere, organizzativo-familiare per attingere liberamente fuori dalla scuola, in modo magari più creativo, quel quanto di formazione extracurriculare che gli viene tolto in classe.
In buona sostanza, se a quest'ora riusciamo a strappare un sorriso, si tratta della filosofia creativa di Linus: «meglio ricchi e felici, che poveri e malati». Ma il mondo non va così, purtroppo. Facendo grazia al Governo dell'obiezione che il rapporto docenti-allievi, per il Governo da abbassare, portandolo a medie europee, è incrementato da dati non depurati (ad esempio, i docenti di sostegno e di religione), l'antitesi a questa boutade didattica e formativa è nel realtipo educativo italiano presente in vaste fasce sociali, soprattutto quelle più deboli, che si ampliano sempre di più, cominciando ovviamente dal Sud, ai cui peggiori risultati scolastici medi il Governo pure dice di voler porre riparo.
E questo realtipo parla di famiglie niente affatto in grado di sostenere costi aggiuntivi extrascolastici per la formazione dei loro ragazzi, tanto più che non saranno certamente i comuni, a loro volta messi in difficoltà dall'abolizione dell'ICI, a poter fornire ai ceti medio bassi, che sono la maggioranza del Paese, gratis o a prezzi popolari, le opportunità formative o extracurriculari portate fuori dalla scuola. In sostanza, il progetto del Governo è una formazione flessibile in una società flessibile, dove chi può irrobustirà la sua formazione con mezzi propri e chi non può starà a guardare.
Alla società flessibile serve una formazione di classe, questo sembra essere lo spot del Governo, nel senso che la qualità formativa, un mix tra quello che lo Stato offrirà nella scuola e quello che dovrai procurarti a tue spese fuori dalla scuola, sarà appannaggio privilegiato di chi se lo potrà premettere in termini di censo ovvero, appunto, di classe. Né a dire che i risparmi previsti dall'introduzione del maestro unico e dalla riduzione dell'orario scolastico saranno investiti sulla scuola secondaria o sulle università dove il confronto con l'Europa, mano a mano che si sale nella filiera della formazione, ci imporrebbe investimenti maggiori. Anzi, anche qui la Gelmini taglia per fare cassa. Alla fine la pagheranno gli 87 mila maestri in meno e i 42 mila esuberi del personale ATA. Bel modo di far volare l'Italia!
Ma anche a voler tenere in conto la franchezza di Tremonti, che l'ha fatta breve dichiarando a Ballarò che la scuola primaria italiana sarà pure di qualità, ma non ce la possiamo permettere, anche come mera manovra di cassa per il Paese, il decreto-legge è una manovra sbagliata. Se si guarda ai costi sociali allargati del provvedimento - per le famiglie, che dovranno integrare di tasca propria, se potranno il deficit di formazione extracurriculare prodotto dal combinato disposto maestro unico-riduzione a ventiquattro ore settimanali del tempo curriculare obbligatorio, per gli enti locali, se potranno e vorranno sostituirsi, ricorrendo a nuove imposizioni, agli impegni formativi cui lo Stato viene meno, per la spesa sociale, ovviamente sollecitata da 130.000 disoccupati in più - il decreto-legge rischia di essere a somma zero per il sistema Paese.
Inspiegabile, pertanto, resta, su una materia così delicata, su cui ci sarebbe stato bisogno di un ampio confronto in Parlamento e con le parti sociali che nella quasi totalità, come risulta dalle audizioni in Commissione cultura, sono contrarie al maestro unico e all'orario ridotto, il ricorso al decreto-legge, se l'urgenza di fare cassa per sostenere i costi di qualche promessa elettorale del Premier, a cominciare dall'Alitalia, non avesse fatto aggio su tutto.
E per restare in tema, se qualche perverso risparmio avanzerà, molto probabilmentePag. 111sarà usato per costituire un tesoretto cui far ricorso a fine legislatura per finanziare in extremis un qualche meschino ed elettoralistico taglio dell'IRPEF da vendere agli elettori per recuperare il consenso perso lungo la strada con gli infortuni sociali prevedibili con l'approccio di Tremonti alla finanza pubblica impegnato con una cura di magra per lo Stato. A Tremonti andrebbe ricordato che lo Stato e la sua spesa pubblica sono un po' come la pecora famosa del capitalismo: la puoi tosare, ma non oltre lo spellamento, dopo l'ammazzi e basta.
La verità è che questo decreto-legge Berlusconi-Gelmini applica la filosofia e le parole con cui sostanzialmente Tremonti concludeva la illustrazione della manovra triennale del Governo presentata prima dell'estate, dove sostanzialmente - se i colleghi ricordano - affermava che compito del suo Ministero sarebbe stato contrastare la manomorta pubblica. Peccato che, evidentemente, Tremonti pensi che la manomorta pubblica sia tutta la spesa dello Stato, mentre nella spesa dello Stato vi è, ad esempio, la polizia che difende la nostra sicurezza, i maestri e i professori che difendono il futuro dei nostri figli.
Questo Governo sta costruendo il suo consenso lavorando sulle paure del Paese. È chiaro il senso complessivo di questa operazione, è una politica mediatica e perversa. È un Paese impaurito come molte delle società avanzate occidentali e ovviamente in un mondo impaurito, in una società della paura - per usare un'espressione del grande sociologo contemporaneo Zygmunt Bauman -, in un mondo segnato dalla paura del futuro, perché cambia talmente in fretta che le nostre categorie concettuali mentre si formano vedono sparire l'oggetto per cui si formano davanti ai proprio occhi e quindi non sono più abilitate a gestire le trasformazioni, in realtà, vi è una risposta corta.
È la risposta della nostalgia: appunto il maestro unico di quando eravamo piccoli, il voto in condotta per dare una risposta breve e corta ad una difficoltà educativa, il grembiule perché in realtà cerchiamo col grembiule di porre riparo all'individualismo, all'educazione all'individualismo spinta da tutto il sistema dei media.
Allora, a questo punto, consiglierei al Ministro Gelmini di parlarne un po' col suo Governo, perché non sarà il grembiule ad educare i bambini alla solidarietà e al non individualismo, non sarà questo ciò che frenerà la spinta al consumismo. Probabilmente, bisognerebbe a questo punto istituire un'alleanza educativa con la TV di intrattenimento, di cui praticamente è dominus, in questo Paese, il Presidente Berlusconi, facendo qui veramente una mossa epocale: ad esempio, finendola di solleticare i bambini come acquirenti. Allora sì, forse, potremmo ottenere qualche effetto, oltre a mettere loro il grembiule (e magari già oggi se ne fabbricano di diverse specie, con vari loghi). È stato abbastanza strano vedere ciò da un Ministro che sembrava la Klein, l'autrice canadese di No logo.
Per una società della paura, cui si risponde con questi strumenti della nostalgia, un'operazione di questo tipo non è senza costi, perché in realtà, per rassicurare falsamente il Paese guardando al passato e guardando a questi elementi nostalgici, si sbarra la strada all'unico percorso che ci porterebbe fuori dalle angosce e dalle difficoltà del presente. A una società impaurita, infatti, si può rispondere affidandosi con responsabilità alla costruzione di una speranza per tutti, mentre invece, se si distrugge, come si farà col decreto-legge in esame, una delle poche cose buone e che funzionano in questo Paese, cioè la scuola primaria, sì dà solo un potente contributo all'insicurezza del Paese: non si costruisce il suo futuro, se ne alimenteranno in definitiva le angosce, togliamo futuro al nostro Paese e ai nostri bambini.
Una scuola a metà, come quella che la Gelmini disegna in questo suo decreto-legge, è una vita a metà per i bambini che vi si formeranno e, poiché la cosa riguarda molto le donne, sono anche tante mamme più sole, che dovranno vedere come risolvere l'equazione tempo in una società complessa come la nostra. Su questo sarebbe interessante poter interrogare anchePag. 112il giovane Ministro per le pari opportunità: cosa sarà delle famiglie e delle donne italiane soprattutto, quando avrà efficacia e si vedrà nel corpo vivo della società ciò che significa questo decreto-legge Berlusconi-Gelmini (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico)?

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Giachetti. Ne ha facoltà.

ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, non ho particolari pregiudiziali nei confronti del Ministro Gelmini, anzi, per come la penso, il Ministro Gelmini ha tre caratteristiche che dovrebbero rappresentare un valore aggiunto: è una donna, è giovane ed è una persona che viene comunque da un percorso politico, non è un tecnico. Non ho mai pensato - e ovviamente è una mia personalissima riflessione - che in politica i tecnici, soprattutto laddove occorre dare indirizzi politici e prendere decisioni politiche, in quanto tali abbiano qualcosa in più rispetto a chi ha invece fatto un'esperienza e una carriera prettamente politiche.
A mio avviso, il Ministro Gelmini avrebbe avuto tutte le condizioni per operare nel settore che le è stato affidato e che, lo vorrei ricordare (ma ci tornerò, signor Presidente), non è rappresentato soltanto - come nel precedente Governo - dall'istruzione, ma anche dall'università e dalla ricerca scientifica, quindi da un complesso di materie. Quanto affermo ha un valore perché, a mio avviso, la scelta di intervenire in via prioritaria sulla fascia di istruzione che (come hanno ricordato molti colleghi) probabilmente è quella che meglio funziona nel nostro Paese fa riflettere. Per quale motivo il Ministro Gelmini, se effettivamente era mossa dall'intenzione di operare una vera riforma nel vasto ciclo dell'istruzione, non ha dedicato la sua principale attenzione a quei settori che sono in maggiore sofferenza nel nostro Paese?
Considero il Ministro Gelmini una persona per bene e anche una persona intelligente, quindi analizzando quanto è accaduto rimane per me soltanto un tassello mancante: mi riferisco a quella che potrei definire una forma di onestà intellettuale. Cosa è accaduto? I colleghi del mio gruppo che sono già intervenuti hanno detto e dimostrato in tutte le forme possibili che nessuno di noi è spaventato dall'idea che si apra un processo di riforma in alcuni settori, ad esempio nel settore della scuola. Noi non riteniamo che la risposta da dare a una evidente sofferenza presente nel nostro Paese in questo settore sia semplicemente quella di negare che esistano dei problemi. Anzi, con tutti gli interventi che si sono succeduti e che ancora seguiranno, e anche con i pochi e umili argomenti che tenterò di illustrare, noi cerchiamo di indicare una strada con la quale, a nostro avviso, sarebbe necessario e anche urgente operare una riforma nel campo della scuola.
Per quale motivo parlo di onestà intellettuale? Signor Presidente, tutti i precedenti interventi lo hanno sottolineato e il Ministro Gelmini potrà confermarlo: se analizziamo le prime dichiarazioni del Ministro rispetto al comparto che le è stato affidato e il modo in cui poi ha operato in conseguenza di... (e lascio per ora in sospeso la risposta, che cercherò di dare tra breve), vi è un'evidente discrasia, tanto che inizialmente, sia per quanto riguarda il settore della scuola primaria, sia per quanto riguarda il settore dell'università e della ricerca, tutti avevano colto nelle parole del Ministro una voglia effettiva di entrare nel merito delle questioni e di cercare di trovare soluzioni o, quantomeno, di indicare un percorso che potesse portare alla soluzione delle parti più sofferenti del nostro ciclo educativo.
Cosa è accaduto, signor Presidente? È accaduto che è intervenuto il Ministro Tremonti, è intervenuta la decisione unilaterale di tagliare in modo indiscriminato in tantissimi settori - lo abbiamo ampiamente analizzato e denunciato nel corso dell'esame del provvedimento collegato alla manovra finanziaria che ha avuto luogo prima della pausa estiva - e inevitabilmente, in maniera indiscriminata, questo taglio ha riguardato anche la scuola. Il Ministro Gelmini, che, a mioPag. 113avviso, per le caratteristiche peculiari che ho indicato poc'anzi e anche, probabilmente, per il fatto che non essendo esperta in materia era anche più libera di approcciarsi in maniera serena ed efficace ad una riforma autentica della scuola, ha dovuto semplicemente prendere atto delle decisioni del Ministro Tremonti realizzando un'operazione che, inevitabilmente, non poteva non condurre a ciò cui ha condotto. Facendo di necessità virtù, atteso che non aveva la possibilità di intervenire sul diktat di Tremonti, a partire da una decisione irrazionale, irresponsabile e insensata in un campo come quello della scuola, ha preso atto del taglio e sulla base di quello ha tentato di vestire un'operazione di semplice taglio indiscriminato con i panni di una riforma e ha iniziato a definirla tale. In seguito, un po' con la complicità dei media, un po' con la complicità di noi tutti che abbiamo avallato questo concetto, è uscita fuori la riforma Gelmini. Ma non è la riforma Gelmini; non vi è niente in termini di riforma, niente che passi attraverso quelle che sono le corde e il naturale svolgimento di un approccio riformista. Non vi è un'analisi.
Signor Presidente - e mi rivolgo anche al sottosegretario -, non mi va di dire che sono contrario al ritorno al maestro unico. Non so se sono contrario al maestro unico, ma è certo che sono contrario al ritorno al maestro unico motivato esclusivamente dalla necessità di risparmiare e, quindi, di tagliare il numero degli insegnanti.
Se realmente si volesse riformare sarebbe necessario studiare, analizzare, ascoltare, verificare, monitorare e ragionare su ciò che comporta, non semplicemente tradurre in un decreto-legge quanto un altro Ministro ha stabilito, perché tagliando i fondi non è consentito altro.
Questa non è una riforma. È una presa d'atto di un diktat da parte di un ministro che dovrebbe probabilmente avere l'orgoglio di rivendicare la volontà di riformare seriamente un settore e che, invece, non può far altro - anzi decide di non far altro - che prender atto della decisione e divenirne complice, cercando di mascherare un'operazione irresponsabile - ancor più irresponsabile perché fatta in un ambito particolarmente delicato della nostra società, intervenendo peraltro nel settore che va meglio e non in quelli che sono più in sofferenza - presentandola come una riforma. Non lo accetto. Non lo so e vorrei sapere. Mi sono interrogato e, guardi, con grandissima disponibilità - lo dico anche al sottosegretario - sul tema del maestro unico. Ho fatto una riflessione che probabilmente hanno fatto molte famiglie. Non parliamo poi dei tagli sulle ore di aiuto ai ragazzi! Possiamo accettare che la soluzione arrivi semplicemente perché vengono tolti fondi? Non lo so. Mi sono interrogato sul tema del passaggio, dall'asilo alle elementari, da uno a tre maestri, e su quello che significava. Mi ricordo quando andavo a scuola: è vero che l'insegnante unico probabilmente rappresentava una forma di continuità che teneva insieme la famiglia e la scuola e che proiettava verso un percorso. È vero. A me piacerebbe saperlo da un sociologo, magari con qualche approfondimento, con qualche studio in più. Lo dico anche alla mia parte perché quando fu varata la riforma con i tre maestri non è che nel centrosinistra ci fossero manifestazioni di gioia. Ci furono anche critiche e non fu una riforma semplice. Però, passato un certo periodo...
Non so, mi piacerebbe discuterne, non perché Tremonti taglia le risorse, ma per sapere se dal punto di vista dell'impatto sociale e sociologico effettivamente quella riforma abbia funzionato e se adesso la situazione sia migliorata o peggiorata. Quanto affermava oggi l'onorevole Capitanio Santolini può darsi sia vero, non ho motivo di escluderlo. Io non lo so, ma non è questo il modo. Il mio rifiuto a questa decisione non è perché non voglia entrare nel tema ma perché entrarci in questo modo è farlo ovviamente in un modo sbagliato. Perché dico che non è una riforma? Perché, se il Ministro avesse voluto fare una riforma - lasciamo perdere il grembiule e simili sciocchezze -, anziché un percorso di finto coinvolgimento del Parlamento, avrebbe scelto, in ipotesi utilizzando l'istituto delle audizioniPag. 114fatte un pochino meno in fretta, un percorso legislativo in ragione del quale dimostrare di voler veramente accogliere quanto meno talune considerazioni, per poi produrre un atto legislativo che fosse effettivamente almeno frutto dell'ascolto - è chiaro poi che il Ministro e il Governo decidono - magari di coloro che oggi vengono additati per essere pregiudizialmente contro il Ministro. Abbiamo sentito le parole - francamente anche un po' risibili - del collega Renato Farina, mentre c'è una sofferenza vera. Signor sottosegretario, se tutti coloro che stanno protestando, genitori e professori, su questo argomento, dovessero essere di centrosinistra e del Partito Democratico noi probabilmente avremmo i sondaggi che ha Berlusconi. Fatevi un giro nel Paese, con la differenziazione che c'è tra sud e nord. Vedete che c'è un fermento di proteste assolutamente spontaneo che non è teleguidato né dal Partito Democratico né dalla CGIL né dai sindacati. Salvo il fatto che poi non vedo perché si dovrebbe accusare un partito che sta all'opposizione di portare avanti una protesta rispetto a determinate vostre proposte. Se questa poi coincide con il sentimento dei cittadini e degli operatori, credo che non solo non ci sia nulla di male ma forse significa saper interpretare tale sentimento. Andate a vedere cosa sta succedendo. Non è una protesta isolata né una preoccupazione organizzata né, come diceva l'onorevole Capitanio Santolini, la voglia di fare quanto voi da specialisti siete abituati a fare - e che avete fatto sulla sicurezza e in tanti altri campi - ovvero gettare «polpette avvelenate» di terrore per cercare di ottenere qualcosa, magari delle vittorie di Pirro, come il sindaco Alemanno che vince la campagna elettorale stressando i cittadini romani sul tema della sicurezza e poi, beato beato, una volta che è stato eletto sindaco grazie a questo tema, scopre, indovini cosa? Che i romani si sentono i più insicuri del mondo, anche se probabilmente il livello di insicurezza di Roma non è certo pari a quello di tante altre capitali europee, e non solo.
Questo avete fatto per una vita e noi, invece, non lo stiamo facendo. Ma voi girate, sentite e guardate ciò che accade nelle scuole - non solo nelle scuole, ma anche nelle famiglie - e capirete che probabilmente ciò che state mettendo in piedi è qualcosa che nell'immediato vi rende, perché fate finta di corrispondere ad un sentimento generalizzato di insoddisfazione per ciò che accade nella scuola. Lo stesso avverrà nel settore della giustizia e in altri ancora.
Ma state ingannando la gente, e la gente comincia a capirlo, state fornendo delle risposte che ci faranno arretrare non perché accettate e proponete un confronto di merito sulle questioni, ma perché camuffate come riforme delle questioni su cui avete un atteggiamento semplicemente burocratico, di conto dell'oste, che non tiene minimamente conto dei danni che procurerete, probabilmente non solo oggi, ma soprattutto nel tempo.
In questo senso stiamo parlando, comunque, di un settore che riguarda il futuro delle generazioni, dei nostri figli (dei nostri come dei vostri, perché non ci sono solamente i figli di centrosinistra, ma anche quelli di centrodestra) e ciò che state - si potrebbe dire - organizzando, ma che in realtà avete già organizzato, avrà degli effetti, nel corso del tempo, devastanti.
Intendo ora passare all'analisi del contenuto del decreto-legge in esame, provando a dare per buone alcune delle argomentazioni che il Ministro Gelmini ha portato a sostegno degli obiettivi di maggiore efficienza e qualità che il provvedimento si ripromette di garantire nel prossimo triennio. Tralascio le considerazioni, pure evidenziate da molti colleghi, in ordine alla realtà del settore dell'istruzione e anche che quello che è stato preso di mira è in realtà, con tutte le luci ed ombre, il migliore in questo momento che c'è in Italia, per riconoscimenti generali. Trascurerò anche alcune considerazioni in ordine agli stipendi dei nostri professori e il paragone con quelli di altri Paesi europei. Ma i dati sono impietosi, e per certi versi anche drammatici.Pag. 115
Infatti, se i nostri bambini raggiungono livelli di eccellenza nelle competenze legate all'apprendimento e alla lettura, come testimonia il sistema di valutazione dell'Invalsi, le performance diventano disastrose alle superiori, dove solo l'85 per cento dei ragazzi porta a compimento il ciclo di studi, contro il 100 per cento di Paesi come la Germania o la Grecia, e dove i pessimi risultati dei nostri studenti, nelle materie scientifiche in particolare, ci collocano agli ultimi posti della graduatoria.
Tralascio il tema dell'università. Anche qui, signor Presidente, per esempio mi sarebbe piaciuto sapere quali sono le intenzioni reali del Ministro Gelmini in ordine a tale settore. Auspico che tali intenzioni non si formino e si fondino esclusivamente a partire, anche in questo caso, dai tagli indiscriminati che sono stati attuati. Anche in tale settore vi erano dichiarazioni del Ministro - riguardanti appunto l'università, in modo particolare - che lasciavano ben sperare. In realtà, quando si taglia indiscriminatamente in ogni settore, quando non si fa la fatica di analizzare, per esempio, il rendimento tra una facoltà e l'altra, probabilmente si mette tutto sullo stesso piano e si azzera una delle ragioni che dovrebbe essere al fondo del settore dell'istruzione - in particolare di quella superiore - che è quella del merito, del talento e del verificare fino a che punto c'è una distinzione, e c'è, tra un'università e l'altra.
Si tratta di argomenti che non fanno parte di questo dibattito, e pur facendo parte dell'iniziativa politica del Ministro richiedono un po' più di coraggio, poiché notoriamente si tratta dei settori dove siamo più in sofferenza. Infatti, quando i rettori rimangono in carica per 10, 15 o 18 anni e quando per farli rimanere in carica qualcosa di più si modificano gli statuti e si cambiano le regole, quando ci riferiamo a un mondo vasto e molto complicato come quello dell'università, probabilmente bisognerebbe avere anche, come dire, il coraggio di affrontare delle questioni in modo duro e studiare il modo per migliorare quei settori, evitando possibilmente di rompere e devastare quelli che funzionano.
Mi limito solo a ricordare che in fatto di laureati e specializzati siamo scesi sotto la media di Cile e Messico, per cui tra i 24 e i 34 anni solo il 17 per cento possiede una laurea, e scendiamo al 9 per cento se calcoliamo la fascia d'età compresa tra i 55 e i 64 anni.
In linea generale, volendo però rimanere sul terreno del contenimento della spesa invocato a più riprese dal Ministro per spiegare i tagli apportati alla manovra, scopriamo subito che, in realtà, il rapporto dell'OCSE testimonia che gli stanziamenti per il personale rispetto alla spesa complessiva destinata all'istruzione non sono affatto superiori alla media, e a tal proposito richiamo gli interventi svolti da parte di molti colleghi.
L'idea di utilizzare la scuola come se si trattasse di un ammortizzatore sociale, appellandosi alla necessità di evitare gli sprechi e per questo intervenendo con pesanti tagli sul personale (93 mila insegnanti e 43 mila bidelli, oltre al blocco dell'assunzione dei precari), sconsiglierebbe il Ministro dal continuare a parlare di valorizzazione del merito e di esaltazione della qualità.
Se, in estate, si parte annunciando di voler aumentare gli stipendi dei docenti italiani (che ricordiamo essere tra i più bassi in Europa e, soprattutto, sostanzialmente invariati dopo anni di servizio) e poi, in autunno, ci si muove con l'accetta senza alcuna ragione riconducibile ad un progetto complessivo o ad una filosofia di fondo che animi il provvedimento, si chiarisce a tutti che non vi è alcuna intenzione di migliorare realmente il nostro sistema scolastico.
Stiamo assistendo a qualcosa di molto diverso, a una riforma al contrario, una riforma che non nasce da un'analisi approfondita dello stato di salute della scuola, che non mira a trovare soluzioni in positivo attraverso il confronto con i principali operatori coinvolti, ma diviene il prodotto di un'esigenza di risparmio alla cieca (non sono parole mie, ma del collegaPag. 116del Ministro Gelmini, Bossi) che, anziché curare il sistema, avrà lo straordinario effetto di destrutturare e di destabilizzare proprio il settore che meglio funziona (come abbiamo detto la scuola elementare), tralasciando di intervenire laddove invece il sistema è in crisi.
Non c'è, perché non ci può essere, alcuna ratio di merito e di contenuto nei danni incalcolabili che, qualora questo decreto venga approvato, apporterà ad un elefante già malato come il mondo della scuola. Tutto quello che viene proposto in questo provvedimento, così come il piano presentato ai sindacati nei giorni scorsi, rivela una scarsissima attenzione per le problematiche reali e, nella sostanza, procede a tagliare indiscriminatamente e senza verifica di sostenibilità sotto la coperta di misure populiste e di esclusivo impatto mediatico, quali l'obbligo del grembiule, l'insegnamento dell'educazione civica, il ripristino del voto in condotta o il ritorno alle valutazioni in decimi.
Si delinea, dunque, una visione passatista che, nello specifico, si concretizza in modifiche che, nella migliore delle ipotesi, sono del tutto irrilevanti e, nella peggiore, riportano la nostra scuola indietro di trent'anni. La verità è che in questo decreto il punto chiave è rappresentato dall'articolo 4, non a caso, signor sottosegretario, inserito all'ultimo minuto nel testo presentato in Commissione.
Come poter, infatti, giustificare l'urgenza del voto in condotta o di quello espresso in decimi? È dal 1977 che la scuola ne fa a meno, né si può realisticamente pensare che da questi accorgimenti dipenda la sopravvivenza dell'istituzione e il futuro dei nostri figli. Ma questa nostalgia per il passato, questo ritorno all'antico che si vuole spacciare come la ricetta di cui ha bisogno la scuola italiana per riportare disciplina ed educazione nelle classi, in realtà, serve al Governo per far quadrare il cerchio e per motivare concettualmente ed organicamente il ritorno al maestro unico nella scuola primaria, con la relativa riduzione dell'orario scolastico a 24 ore settimanali.
Vorrei ribadire che, in via preliminare, proprio perché sono abituato a ragionare sempre al di fuori di ogni possibile schematizzazione ideologica, non sono contrario a questa soluzione. Non mi ritengo pregiudizialmente contrario ad un'unica figura di educatore che accompagni la fase iniziale della crescita, perché penso che, in una società in cui i giovani faticano a trovare dei punti di riferimento certi ed in cui il nucleo familiare attraversa una fase critica a causa di input esterni che spesso disorientano i genitori come i figli, la presenza di un insegnante unico potrebbe avere maggiori possibilità di fornire una traccia personalizzata e continua al percorso formativo del bambino. Si tratta di una mia personale opinione, che metto nel dibattito semplicemente per spiegare che non è vero che esiste una preventiva e pregiudiziale contrarietà.
D'altra parte, visto che il confronto con l'Europa vale anche in questo caso, molti Stati membri, occorre ricordarlo, riescono a garantire ottimi standard mantenendo la figura di un unico docente per le classi elementari e cito, a tal proposito, il tanto richiamato in tanti altri settori esempio francese.
Del resto, di questa materia ci siamo occupati venti anni fa, nel 1990, in un'apposita commissione tecnica per la spesa pubblica in cui, anche all'epoca, le divergenze sul tema, come ricordavo, furono molteplici, e ci vollero dieci anni di dibattito pubblico e parlamentare per approdare all'elaborazione degli attuali programmi.
Se oggi, quindi, vi fosse stata l'autentica necessità, dal punto di vista pedagogico e formativo, di ragionare sull'utilità del ripristino del vecchio modello, in ogni caso il tema andava affrontato in tutt'altro modo. Se ne sarebbe potuto e dovuto discutere, ma non certo imponendo - come fa ora il Governo - la sua filosofia in materia senza alcun confronto di merito. In effetti, entrando nel cuore della questione, in questo caso il problema è un altro. Vi è il sospetto che l'intento altamente formativo che il Ministro sostanzia nella scelta del maestro unico abbia tuttaPag. 117l'aria di uno specchietto per le allodole a protezione di quello che sembra essere il motivo reale, ovvero un ulteriore taglio di posti di lavoro, un risparmio economico che equivale ad una arretramento decisivo non sono sul piano didattico, educativo e culturale, ma soprattutto per le conseguenze sociali che questo andrà a determinare. Ridurre le ore a ventiquattro, al di là di tutte le dichiarazioni verbali, equivale ad una drastica riduzione - se non alla cancellazione - del tempo pieno, così come del tempo prolungato alle scuole medie.
Il Ministro Gelmini - che aveva dichiarato a suo tempo di non avere intenzione di apportare riforme radicali alla scuola, ma di inserire esclusivamente alcune norme di carattere amministrativo - smentisce così sé stessa, perché attraverso l'introduzione per decreto-legge (lo ripeto, per decreto-legge) di una modifica sostanziale in un organismo delicatissimo, quale il ciclo della scuola primaria, non solo rovescia completamente lo scenario attuale, ma teorizza evidentemente una società vecchia di trent'anni, incurante delle profonde trasformazioni sociali di questi decenni, che hanno rivoluzionato il tempo e le abitudini quotidiane delle famiglie.
In questo contesto, nonostante le retoriche assicurazioni, il combinato disposto dei tagli agli organici con quelli alle assunzioni dei precari, più le ulteriori decurtazioni ai bilanci degli enti locali (con tutto ciò che comporta in termini di garanzie dei servizi scolastici tra cui mense, trasporti e asili nido) non potrà che arrecare un danno incalcolabile alle famiglie sul piano della fornitura di servizi essenziali, dell'organizzazione quotidiana e della conciliazione tra lavoro dei genitori e scuola dei figli.
Si tratta di una misura che colpisce in primo luogo le donne, in particolare quelle che lavorano. In un Paese in cui il tasso di occupazione femminile è tra i più bassi tra quelli industrializzati, con un livello di crescita demografica minimo, se non nullo, per ragioni legate soprattutto alla precarietà del lavoro e alle difficili condizioni sociali la scelta di mettere in discussione la necessità di un orario dilatato nelle scuole, in particolare nelle aree più produttive del Paese dimostra ancora di più le gravi responsabilità che vi state assumendo portandoci a votare questo provvedimento.
Se alcune motivazioni della mia collega e amica Aprea - autrice, lo ricordo, di un progetto di legge per l'autogoverno delle istituzioni scolastiche che, se approvato, rivoluzionerebbe a mio avviso ancor più negativamente l'intero sistema scolastico, avviandolo verso drastiche forme di privatizzazione - non riguardassero un aspetto così drammatico, ci sarebbe da ridere.
Infatti, l'onorevole Aprea, relatrice del provvedimento al nostro esame, per descrivere uno degli effetti positivi nella reintroduzione del maestro unico alle scuole elementari ha - se non erro - testualmente dichiarato in sede di Commissione che: «così si amplia la libertà di scelta delle famiglie che volessero occuparsi dell'educazione dei propri figli in orario pomeridiano, ricordando inoltre che, nel sistema odierno, quello che prevede un duplice modello a modulo con i tre docenti con un minimo obbligatorio di ore fissato a ventisette e quello a tempo pieno, spesso non è stata data in concreto alle famiglie la possibilità di scegliere il primo tipo, obbligandole di fatto a optare per il secondo». Mi pare che una modifica così nevralgica per l'intero sistema della scuola primaria avrebbe meritato un'argomentazione a sostegno francamente meno debole e anche un po' meno imbarazzante nella sua ingenuità.
Il problema è che il Governo - nella persona del Ministro Gelmini, ma anche dello stesso Tremonti - si rapporta alla scuola esattamente come se si trovasse a dover gestire un'azienda. Se anche vi fosse la necessità di intervenire contenendo la spesa, che pure abbiamo visto essere in linea o comunque inferiore alle medie europee, questo non potrebbe che avvenire soltanto attraverso un piano graduale di effettiva razionalizzazione, ispirato ad un progetto complessivo che tenta di apportarePag. 118migliorie e soluzioni ad hoc e non certo attraverso un sostanziale smantellamento della scuola pubblica.
Non può sfuggire la probabile deriva classista che la riduzione del tempo pieno alle elementari rischia di determinare, proiettando il sistema scolastico del primo ciclo in un'ottica che diremmo «all'americana» dell'educazione e dell'istruzione: chi potrà permetterselo manderà i propri figli alla scuola privata, perché quella pubblica non sarà più in grado di garantire una preparazione attenta e all'avanguardia dal punto vista qualitativo, né potrà rispondere alle esigenze che i ritmi della società odierna impongono alla vita quotidiana delle famiglie.
Voi intervenite proprio là dove dovreste lasciare tutto com'è, e non vi rendete conto che tali passaggi, peraltro stabiliti nella fretta di «incassare» e senza alcuna logica di fondo, non sono gestibili in pochi mesi, ma richiedono eventualmente del tempo per venire elaborati ed assimilati.
Nessuno di noi ha interesse a mantenere lo status quo - lo hanno detto tanti colleghi - in un settore che necessita di un monitoraggio continuo proprio perché cruciale strategicamente e su cui è indispensabile investire meglio, oltre che di più. Ci piacerebbe però capire a quale criterio qualitativo, improntato ad una maggiore efficienza, risponda la diminuzione delle ore nella scuola superiore di primo e di secondo livello, ad esempio, relativa a quella fascia di età in cui gli studenti italiani risultano essere nettamente più impreparati rispetto ai coetanei europei. Se mi si risponde che la quantità non equivale alla qualità in linea di principio potrei anche concordare, solo che sarebbe interessante sapere dal Ministro quale tipo di investimento si fa sull'insegnamento nel momento in cui, accanto ai tagli generalizzati del personale docente ed amministrativo, si tagliano quei precari che di fatto hanno spinto per decenni la carretta, come si suol dire, e che non avranno più diritto alle 150 mila assunzioni disposte dall'ex ministro Fioroni ed in parte da noi realizzate, semplicemente perché il Ministro ne ha previsto il blocco. Quei precari costituiscono il ricambio necessario ad una scuola che andrebbe svecchiata e migliorata attraverso un sistema di valutazione serio e trasparente, grazie al quale sia possibile riconoscere le competenze e ristabilire la centralità sociale del mestiere dell'insegnante.
In questo discorso è ovvio che debba rientrare l'adeguamento degli stipendi perché è impensabile accettare supinamente l'idea che un docente elementare tedesco guadagni ad inizio carriera quanto da noi un professore delle superiori a fine carriera, con una differenza pari a circa 20 mila dollari a favore del primo. Ma di questa anomalia italiana si era accorto anche il Ministro il 10 giugno scorso, illustrando in Commissione il suo programma per la scuola, quando aveva affermato - cito sempre testualmente - che: «questa legislatura deve vedere uno sforzo unanime nel far sì che gli stipendi degli insegnanti siano adeguati alla media OCSE». Peccato che poi, a soli tre mesi dall'annuncio, a viale Trastevere qualcuno deve aver scoperto improvvisamente che la coperta è troppo corta e quindi tali buoni propositi sono stati rinnegati dalla risposta che la titolare del Ministero dell'istruzione il 22 settembre scorso, qualche giorno fa, in una nota trasmissione ha dato al segretario generale della CGIL-scuola ovvero: non ci sono soldi per aumentare gli stipendi agli insegnanti. Diciamo che la moda di questo Governo che dice una cosa e venti giorni dopo dice il suo esatto contrario è assolutamente rispettata.
Come giudicare queste parole? Un dietrofront dovuto ad un approfondimento tardivo o piuttosto la conferma di un modo di intendere la politica fatto di slogan che durano lo spazio di un mattino? Difficile non propendere per la seconda ipotesi se leggiamo testualmente quanto dichiarato dal Ministro Gelmini in proposito di ipotetici «premi di produttività da destinare agli insegnanti più preparati e meritevoli, benefici che scatteranno gradualmente già a partire dal 2010-2011 e verranno erogati ad un numero di docenti inizialmente limitato ma che entro la fine della legislatura (2013),Pag. 119coprirà una percentuale rilevante». Ma di cosa parliamo? Come si può maneggiare una materia tanto delicata ricorrendo a generiche astrazioni e a termini quali «limitato» o «rilevante»?

PRESIDENTE. La prego di concludere.

ROBERTO GIACHETTI. Ho concluso. Non è dato sapere in base a quali criteri verranno valutati migliori i professori, ci si limita a rimandare il tutto a quando si provvederà a definire lo statuto giuridico dei docenti, disposizione contenuta sempre nel progetto di legge dell'onorevole Aprea che ha la cortesia di ascoltarci da questa mattina.
Se non fosse altro che per questo, le esprimo grande solidarietà e ringraziamento, così come al sottosegretario. Tengono alta la bandiera del Governo in un dibattito che, in mancanza di una solida tenuta psicofisica, è difficile da sostenere perché le argomentazioni praticamente non ci sono e la realtà è sotto gli occhi di tutti. Portano il vessillo del Governo con determinazione e per questo li apprezziamo e rivolgiamo loro una vera solidarietà umana. Peraltro, politicamente state distruggendo il sistema della scuola e credo che di questo dovrete prima o poi (temo, purtroppo, più poi che prima) rispondere a chi vi ha dato fiducia e che state ingannando, dando delle risposte semplicemente di facciata, mentre nella sostanza state operando contro la volontà della maggioranza degli italiani (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Lenzi. Ne ha facoltà.

DONATA LENZI. Signor Presidente, colleghi presenti a quest'ora ancora pazienti ed attenti all'ascolto di un dibattito difficile e importante, come quello sui temi della scuola, il Governo, che ha una maggioranza schiacciante, prosegue nella pratica delle riforme in pochi minuti, anche se io preferirei definirle, soprattutto questa, più simili ad una restaurazione che ad una riforma.
Siamo dinanzi ad una riforma diretta a rassicurare il corpo elettorale, ricordando i bei tempi andati, e motivata, come i colleghi hanno già detto, dalla necessità di congrui, rilevanti risparmi. Lo si fa partendo da una discussione su piccole riforme di costume: il grembiule «sì», il grembiule «no»; non mi si dica però che ciò permette un risparmio alla famiglia, perché a me è capitata in sorte una classe di scuola dove il grembiule si poteva comprare solo in una data cartoleria e costava una cifra rilevante; quindi, è più una scelta simbolica. Intanto, nel frattempo, si prepara un cambio significativo che riguarda tutti i livelli di scuola.
Quest'estate, sotto l'ombrellone, si è discusso quindi di grembiuli, magari di voti in condotta - nei confronti dei quali tutti, in realtà, si sono dichiarati e sono favorevoli - ma ci siamo accorti di parlare d'altro e ciò che veramente è successo è stato l'annuncio progressivo (ogni giorno) di cambiamenti che incidono su tutti i livelli di scuola sui giornali, perché nelle Aule del Parlamento si discute dopo, per poco tempo, con fatica, e sono poche le questioni poste dall'opposizione che vengono accolte; di sicuro, non si discute a sufficienza sui giornali e nel Paese.
Ritengo che l'unica cosa su cui varrebbe la pena di confrontarsi è come oggi, nell'anno 2008, si possa fare perché i nostri ragazzi, i nostri figli, imparino meglio, bene e di più, nonché ricordino nel tempo. Come fare affinché imparino più nozioni - certo - ma acquisiscano anche la capacità di studiare da soli e di aggiornarsi, perché è quello che gli toccherà fare più volte nella vita, come peraltro è già toccato a noi e a loro toccherà ancora di più? Come fare per far sì che vengano non solo istruiti, ma educati dalla famiglia, dalla scuola, dai mezzi di comunicazione, dalla società intera, ad essere cittadini, uomini e donne capaci di relazioni serene e positive, in grado di essere amici?
Se non è questo, che cos'è la lotta contro il bullismo? Qualcuno pensa veramente che il bullismo nelle scuole di oggi si risolva con il voto in condotta o magari l'educazione civica? Quello che accadràPag. 120sarà che il tormento pesante, il fotografare, il picchiare, l'insultare pesantemente il più debole, il compagno di colore, la ragazza meno bella, il disabile, si trasferirà dalle aule scolastiche dove si starà sempre di meno, alle strade intorno. Non crediamo, e non crediate, che quegli episodi di bullismo che si svolgeranno alle porte delle scuole non abbiano le stesse radici e noi non saremo stati capaci di assumere appieno le nostre responsabilità educative.
Imparare di più, sapere di più nell'era della conoscenza non è una scelta, è una necessità. La Ministra ci parla di una scuola da libro Cuore, con il maestro Perboni, le divise, la patria, il re, magari il sindaco di Roma potrebbe appellarsi il Papa re! Si tratta di una politica meglio illustrata più sinteticamente dalle parole di Tremonti: Dio, patria e famiglia; quando le sento mi evocano sempre un pensiero di linea di confine e di guerre, piuttosto che l'idea di vita, di pace, di persona e di solidarietà.
Il tutto condito con un disprezzo - non si sa perché sorto ora - nei confronti del mitico e ormai molto distante 1968, che peraltro i nostri figli ventenni non saprebbero neanche dire dove si colloca, confondendolo con il G8.
Il mitico 1968 sarebbe fonte di ogni male: se ne deduce che il modello culturale è quello dell'Italia del 1958 (sono passati un bel po' di anni). Chiedo alla Ministra e alla relatrice qui presente: voi tornereste all'Italia del 1958 quando si parla di sanità? Tornereste alle terapie di allora, rinuncereste alle cure di lotta contro il tumore, alle macchine che la scienza ci ha portato e che ci hanno permesso salti avanti così grandi? Tornereste al mondo del lavoro del 1958, rinunciando all'informatizzazione e a come questa lo ha modificato e cambiato? Tornereste a una società senza il telefonino, senza il computer, senza Internet (magari qualche giorno sì, perché si stava più tranquilli e il mondo era più lento). Tornereste alla televisione del 1958, al canale unico in bianco e nero? Qualcuno di noi potrebbe essere tentato a rinunciare alle televisioni di Berlusconi, ma tutto ciò è possibile? È possibile tornare indietro? È possibile fare come si diceva in un film: «Fermate il mondo, voglio scendere»? Il mondo non si ferma, che ci piaccia o no. I nostri figli devono vivere in questo e devono vivere in un mondo che noi non riusciamo neanche del tutto ad immaginare: saranno adulti fra trent'anni, genitori fra trenta e, mi auguro, allora anche alla guida di questo Paese. Non abbiamo idea di quali cambiamenti tecnologici dovranno affrontare, forse neanche di quali saranno le lingue parlate nel mondo: potrebbero dover affrontare il tema di studiare il cinese.
A questi ragazzi è necessario dare un bagaglio pesante di conoscenze, elasticità mentale, capacità di concentrazione (si impara più a scuola che davanti alla televisione), pensiero critico e rispetto di sé: con questa riforma, invece, diamo loro meno scuola, meno informazione e meno sapere.
Condivido che nel Paese c'è e si sente forte la necessità di tornare al rispetto delle regole, di tutte le regole, quelle contro i furti come quelle contro il lavoro nero. Vi è bisogno di più disciplina e di più rispetto reciproco in molti luoghi, a cominciare da quelli che pratichiamo noi, ma certamente anche a scuola.
Ricordo, peraltro, che il precedente Ministro Fioroni si mosse sulla stessa direttrice, anche forzando rispetto ad alcune resistenze. Nessuno di noi ha sollevato obiezioni su questi temi e sulla necessità di una scuola più seria e che tutti noi dobbiamo prendere più seriamente.
Quello che noi opponiamo è la capacità della vostra risposta di riuscire a dare ai nostri ragazzi una scuola migliore. Se avessimo potuto ragionare un po' di più e dare ognuno un contributo - anche chi, come me, non si occupa di scuola tutti i giorni -, io almeno avrei detto che il primo problema e la prima cosa da fare fossero agire sugli insegnanti, perché una scuola migliore è quella che ha buoni insegnanti. Il nodo della formazione, dell'aggiornamento, della motivazione e delPag. 121reclutamento degli insegnanti a me sembra il primo problema di tutti i livelli di scuola.
Questa, però, è una riforma che un po' costa, forse non tantissimo, ed incide anche su un certo livello di consenso, incontrando grandi difficoltà. Essa richiederebbe di chiamare intorno a un tavolo i maestri delle singole discipline e gli esperti dell'insegnamento. È inutile lamentarsi dell'eccesso di presenza di pedagogisti, di psicologi e quant'altro nella scuola, quando, per troppi anni, abbiamo delegato a queste figure professionali la totalità della responsabilità delle decisioni in materia di formazione. La risposta sta nel mescolare le competenze, nel non lasciare soli i nostri ragazzi.
Si parlassero mai una volta gli esperti della materia, che giustamente lamentano la mancanza delle conoscenze fondamentali, con gli studiosi dei problemi dell'apprendimento, per cui il metodo viene prima di ogni altra cosa. Magari dovrebbero farlo insieme con i grandi maghi della comunicazione, così debitori alle scienze sociali e psicologiche del loro sfondamento e del loro successo, anche se adesso contribuiscono a demonizzarle. Sono gli unici che forse potrebbero dirci qualcosa su come affrontare il problema di tener fermo intorno a un oggetto un ragazzino di sei anni, che ha imparato a guardare la televisione forse quando aveva pochi mesi.
Infatti, i bimbi di oggi non sono i bambini di allora. Mi hanno stupito sui giornali in questi giorni gli interventi di questi eminenti studiosi, tutti ultrasessantenni, che ben che vada sono nonni, che hanno tutti l'idea che la scuola che avevano frequentato loro sia la stessa che va bene ai loro nipoti, che non riuscirebbero a tener fermi neanche dandogli delle caramelle.
Un bambino di sei anni che va a scuola oggi ha ricevuto un numero di informazioni tali che non riusciamo nemmeno a immaginarlo. Le ha incamerate, non sappiamo quanto le abbia digerite, nessun adulto probabilmente è stato al suo fianco ad aiutarlo a discriminare, a scegliere, a individuare le priorità. Sicuramente, è abituato e ha l'attitudine ad imparare per immagini, mentre noi siamo ancora legati all'apprendimento attraverso la parola.
Mi ha colpito l'altro giorno nei giornali locali della mia città un intervento di Filippo Andreatta, il quale si era trovato in una situazione nella quale aveva dovuto misurare la capacità di conoscenza di un gruppo di studenti in un contesto particolarmente selettivo. La facoltà è quella intitolata a Roberto Ruffilli nella sede di Forlì, che attira studenti da tutte le regioni. Si trattava dell'ammissione alla laurea magistrale di scienze internazionali diplomatiche. Il colloquio doveva servire a verificare, una volta accertate le qualità strettamente accademiche, la motivazione dei candidati allo studio della politica internazionale. Il sorprendente e triste risultato è che moltissimi candidati avevano un livello insufficiente di conoscenza dei fenomeni politici, verificato in base a domande di tre tipi: nozioni apprese sui libri di scuola e università, conoscenza del meccanismo del sistema politico, lettura dei giornali. Si è registrata una preoccupante deficienza delle nozioni di cultura generale necessarie a contestualizzare non quello, ma qualsiasi tipo di studio specialistico.
È difficile immaginare l'utilità dello studio delle relazioni internazionali contemporanee se si ignorano le principali dinamiche della Seconda guerra mondiale, se si ignora la modalità di partecipazione del nostro Paese. Che senso ha studiare i meccanismi di allargamento dell'Unione europea se si ignorano i confini della Turchia e persino dove si trovi?
Quasi tutti gli studenti erano laureati in scienze politiche, dove sono previsti insegnamenti generali, ma queste nozioni non erano state trattenute in un bagaglio culturale e non erano insediate su solide basi provenienti dalla scuola superiore.
Gli studenti ritengono l'università una serie di esami scollegati tra di loro e dimenticano i manuali che non hanno letto che a poche settimane dall'esame.
Sono impressionanti le carenze che riguardano la storia politica del nostroPag. 122Paese. Nessuno degli studenti ha risposto a elementi di conoscenza dell'evoluzione politica della Repubblica. La maggior parte non ne aveva nemmeno un'idea. Sicuramente, in parte questo è dovuto alla giovane età dei candidati, per i quali i governi del secolo scorso sono storia remota, ma le carenze sono di una tale entità da denotare un completo disinteresse per la questione; ed è chiaro che non parlino mai a casa di politica, né con i genitori né con i nonni. In una facoltà intitolata a Ruffilli è risultato sorprendente che non si sapesse chi fosse, né chi fossero D'Antona e Marco Biagi, o cosa fosse piazza Fontana e, andando più indietro, chi fossero i fratelli Rosselli. Mentre, alla domanda su Matteotti, hanno risposto che era una vittima delle brigate rosse.
Forse ancor più sorprendente, visto che ne sono piene le cronache dei giornali, è stata l'incapacità di rispondere su che cosa fosse l'MSI, a che partito appartenesse Aldo Moro, come si chiamassero i partiti che componevano il pentapartito.
E la più clamorosa risposta è stata l'unanime convinzione che il Partito comunista italiano fosse stato sempre al Governo, nonché uno dei cardini del pentapartito. E alla vistosa incredulità dei commissari, che hanno fatto la stessa domanda decine di volte, nessuno degli studenti si è neanche posto il dubbio se c'era qualcosa di sbagliato.
Con pochissime eccezioni, non leggono i giornali. Qualcuno ha risposto saltuariamente, al che la commissione ha investigato sulle questioni di fondamentale importanza per studenti che vogliano studiare la politica internazionale, quali la crisi del Caucaso, le tensioni in Pakistan, le elezioni americane, il crack finanziario degli Stati Uniti. Le risposte sono state quasi sempre deludenti. Questi ragazzi ci interrogano sull'ampiezza e sulla profondità dell'ignoranza, in particolare su un campione di studenti che, per studi precedenti e per programmi, dovrebbero avere una cultura sopra la media. Interroga noi docenti sul fatto se non dobbiamo tornare ad insegnare anche le basi concrete delle nostre discipline, e non solo le teorie più avanzate. Interroga tutti noi se non sia necessario riprendere in mano la scuola, dalle elementari alle superiori, perché all'università è troppo tardi. Questo sarebbe il vero dibattito politico che dobbiamo fare, perché queste voragini di conoscenze non siano l'avverarsi della triste profezia di Popper sulla prevalenza della televisione su qualsiasi altra forma di conoscenza e di informazione.
A questo intervento, duro nei toni e drammatico, ne sono seguiti successivamente altri; almeno questo è un elemento positivo, perché hanno sentito la necessità di intervenire diversi professori universitari. Le considerazioni variano sull'impossibilità e sull'incapacità dei ragazzi di sedimentare le conoscenze acquisite. Non c'è corrispondenza tra i risultati ottenuti durante i corsi, l'esame dato, il voto ottenuto e quanto poi, a distanza di mesi, risulta effettivamente imparato. E per quanto ci si sforzi di usare una didattica più vicina alle nuove generazioni, resta il fatto che questi ragazzi, che hanno intorno ai 25 anni, apprendono solo per immagini.
Dobbiamo superare questa distanza e insistere sul fatto che le lezioni non possono essere lasciate andare. Dobbiamo tornare ad insegnare. Sottolineo questo passaggio: imparano solo per immagini. La testa e il modo di memorizzare, la tenuta delle informazioni, di tutte le informazioni, di cui ognuno di noi è sommerso ogni anno, provoca dei mutamenti, dei cambiamenti nella capacità di apprendere.
Non so, e potrei sottoscrivere quello che ha detto l'onorevole Giachetti prima di me, se il maestro unico sia la soluzione di questi problemi. Non lo so, non lo so dire; mi sembra, però, che non sia stato neanche oggetto di una qualche riflessione.
La sfida della scuola, e della scuola pubblica, è quella di insegnare nelle condizioni più difficili. A chi ha una famiglia buona, a chi ha la mamma o uno dei genitori o dei nonni in gamba che stanno a casa il pomeriggio, e non sono la maggioranza, a tutti questi che vivono in una famiglia dove ci sono libri e dove i giornaliPag. 123si comprano e si leggono, a tutti questi la scuola può dare molto, ma ce la possono fare comunque.
L'insegnante vero, quello che affronta le difficoltà, quello che dovrebbe essere premiato, è quello che affronta l'insegnamento nel contesto sociale più difficile, dove tutte queste condizioni non ci sono. Sono loro e sono in quel contesto quelli che hanno bisogno di più scuola e di più ore di scuola.
Bene, crescendo, le differenze di capacità di apprendimento tra noi e loro sono ancora più grandi. A parte la riduzione di ore nelle scuole professionali, che era un tema già in discussione e che condivido, perché c'era veramente anche un'iniqua distanza fra il numero delle ore che veniva fatto al liceo e quello nelle scuole professionali, anche nelle superiori il tema vero è la qualità dell'insegnamento, e non mi sembra che sia oggetto di discussione.
Non capisco poi perché quando si dice: più ore di scuola, si dice: la scuola non è un parcheggio. Certo che no! Certo che la scuola non è un parcheggio! Ma che sia o no un parcheggio lo fa l'insegnante, perché un cattivo insegnante rende parcheggio anche le quattro ore della mattina. Certo che una scuola più lunga richiede una diversa organizzazione e una diversa didattica, sono vent'anni che lo stiamo sperimentando: si vadano a vedere i risultati, si corregga quello che dall'esperienza si è visto non funzionare, non si cancelli tutto per tornare indietro! La nostra incapacità di riformare nasce dalla nostra tendenza di eliminare tutto e partire daccapo, e non dalla prassi, forse più britannica o dei Paesi del nord, che misura il risultato, corregge piuttosto che rivoluzionare; i grandi cambiamenti, poi, hanno sempre costi sociali elevati. Certo che una scuola come quella che vogliamo richiede un equilibrato alternarsi di momenti di studio, di apprendimento e di gioco, che peraltro è anch'esso un modo di apprendere; ma, ribadisco, questa è la scuola che vogliamo, questa è quella che pensiamo sia necessaria.
Penso, inoltre, ai temi forse più banali, più concreti: una scuola così fatta tornerà a riempire di compiti a casa. Sono stati un incubo per molti di noi, devo dire nel mio caso più da genitore che non da figlio. E come si farà? Anche qui: non è una delega, non è una rinuncia, non è un lasciare in carico alla famiglia un ulteriore onere? Sento adesso questa riflessione sul fatto e l'importanza che un bambino di sei anni, che è andato all'asilo nido dove aveva sicuramente almeno un gruppo di tre maestre, magari alla scuola materna dove si alternavano in due, sarebbe traumatizzato da una scuola elementare con tre; e magari a casa ha la mamma, il babbo, l'ex-compagno dell'uno e dell'altro e si trova in una famiglia allargata, e tutti diciamo che deve imparare a voler bene a tutti quanti, che sono anche questi i nuovi modelli di famiglia, che ci si separa in pace, che dobbiamo andare all'affido condiviso e accettare un nuovo compagno, ma non supererebbe il trauma di avere due maestre. Devo dire che è un bambino molto flessibile nelle relazioni, un po' rigido nell'apprendimento; o siamo noi, che non abbiamo idea di chi sono i bambini oggi?
La sfida, allora, è continuare a lavorare per una scuola pubblica come opportunità di riscatto sociale, speranza di una vita migliore per tutti quanti, a partire da quei figli degli operai che il Presidente del Consiglio dei ministri in fase di dibattito elettorale mostrò con grande meraviglia di ritenere dovessero rimanere nella loro condizione sociale: forse per questo non gli interessa il loro destino di studio.
Speranza per il futuro, che viene stroncata poi per i tanti precari che sono del mondo della scuola, che ad essa hanno spesso dedicato anni, attendendo un pieno inserimento, una piena legittimazione. Speranza per gli insegnanti che vi lavorano, che hanno faticosamente seguito le nuove riforme e si sono adattati ad esse, discutendo anche ruvidamente a volte, e che attendono ancora la valutazione sociale del loro ruolo, a cui hanno diritto: e anche questo è un passaggio da fare. E mentre dovrebbero avere un riconoscimento maggiore, chiediamo loro l'impossibile: penso che sia impossibile chiedere aPag. 124un insegnante, unico o in compagnia, di reggere una classe di 30 bambini al giorno d'oggi; dubito che qualcuno di noi ci riuscirebbe per più di 10 minuti.
Se poi questa soluzione, quella prospettata per le elementari, del maestro unico, è così didatticamente e pedagogicamente meravigliosa, allora la si adoperi per tutti. Se è la soluzione a tutti i mali e permette una migliore capacità di apprendere, la si adotti anche nella scuola privata: non capisco perché ne dovrebbero essere escluse. Se così non è, si smascheri l'inganno: e l'inganno è di nascondere dietro una riforma quella che è una riduzione di risorse.
Onestamente, correttamente la relatrice, in un'intervista, che ho letto nella rassegna stampa, dice che non ci possiamo più permettere questo tipo di scuola, che è una buona scuola.
No, non è così! È una questione di scelte, e questo Governo ha scelto di salvare l'Alitalia (e non ce n'era alcun bisogno, anche se la prendevano dall'estero), comprandola e pagandola; ha scelto di mettere lì risorse e di toglierle alla scuola pubblica! È una questione di scelte, ed io sceglierei la scuola. Non è vero che non ce lo possiamo permettere, è una questione di scelte fatte.
Aggiungo - e concludo - una considerazione, spero locale: ho visto nella mia città un atteggiamento pesantemente intimidatorio e minaccioso, non tanto nella discussione se andare o meno in piazza con i bambini (devo dire che sono di quelli che hanno molte perplessità su questo), bensì sul fatto che alla manifestazione vi fossero insegnanti. Ancora oggi, non so per quanto, la nostra Costituzione garantisce sia il diritto di sciopero, sia quello di manifestare il proprio pensiero: è una libertà, la libertà di manifestare! E in un Paese democratico ciò deve essere garantito e tutelato. Quindi rifiuto, condanno e dico in questa sede che le minacce che gli insegnanti di Bologna hanno ricevuto dall'onorevole Garagnani, condannati alla gogna pubblica con nome e cognome, è una cosa vergognosa, che dovrebbe essere citata a discredito sia di chi la compie, sia di chi la copre e la sostiene.
Ci stiamo incamminando molto velocemente verso un tempo in cui la scuola pubblica sarà più povera e, inevitabilmente, più iniqua, nella quale si rischierà di acuire le diseguaglianze e non promuovere la mobilità sociale. Ciò che sta avvenendo è preoccupante, perché la drastica riduzione della spesa pubblica sull'istruzione avviene, nel contempo, senza mettere mano a sprechi e inefficienze che pure nella scuola vi sono: ogni euro sottratto è un euro sottratto al bisogno vero, è un euro tolto al futuro dei nostri figli (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Nicolais. Ne ha facoltà.

LUIGI NICOLAIS. Onorevole Presidente, onorevole sottosegretario, onorevoli colleghi, ci troviamo stasera ad analizzare gli aspetti di una cosiddetta riforma i cui effetti rischiano di ripercuotersi in via del tutto deleteria sugli istituti scolastici italiani, sulla società della conoscenza in senso più generale e sul Paese intero, con il rischio di vedere aprirsi una tendenza legislativa e finanziaria che possa minare il raggiungimento degli standard europei assegnatici per lo sviluppo di un sistema formativo all'altezza della sfida globale.
Ci troviamo dinanzi ad un provvedimento normativo che nelle intenzioni del Governo nasce nominalisticamente per adottare misure urgenti in materia di istruzione, ma che finisce con il mettere in discussione alcuni tra gli aspetti più validi del nostro sistema di formazione, dimenticando dieci anni di appelli per il consolidamento delle reti immateriali lungo le quali corre la nostra economia.
L'oggetto della riflessione che proverò a portare avanti è proprio quello di testimoniare come non si possa separare l'urgenza di intervenire sulla scuola primaria dall'esigenza di rilanciare un sistema scolastico efficiente, di rilanciare la ricerca, di rilanciare le università, già private dei fondi necessari al loro funzionamento.Pag. 125
Sostengo da tempo che una visione più ampia, una visione di sistema, debba insistere su tutta la filiera della conoscenza. Riteniamo che vada rafforzata questa necessità e che, diversamente, male farebbe il Governo ad avventurarsi lungo un pericoloso crinale che stride con tutte le riflessioni operate in questi anni intorno al ruolo strategico rivestito dalla società della conoscenza. Siamo infatti ben distanti dal raggiungimento degli obiettivi fissati dalla nuova Agenda di Lisbona rilanciata dal dossier presentato dalla Commissione Barroso, e purtroppo ci tocca affrontare ritardi e difficoltà complessive che l'intero sistema Paese si porta dietro per storia, tradizione, struttura economica.
Tutti i partner dell'Unione europea da tempo ormai hanno ribadito la necessità di una profonda modernizzazione dell'economia europea per essere in grado di competere con le altre grandi nazioni del mondo.
Riunitosi a Lisbona nel marzo del 2000, il Consiglio europeo ha conferito all'Unione un ambizioso obiettivo: diventare entro il 2010 l'economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale. La strategia di Lisbona prevede interventi in numerosi settori, a cominciare proprio dalla ricerca scientifica, dall'istruzione e dalla formazione universitaria. Il Consiglio europeo, non soddisfatto da quanto messo in atto dai Governi nazionali in materia di investimenti nel settore della conoscenza, su iniziativa del Presidente della Commissione, Barroso, ha riconosciuto che il bilancio del processo lanciato a Lisbona otto anni prima non è entusiasmante. Esso ha, quindi, deciso di affrontare il problema del tasso elevato di disoccupazione che caratterizza ancora molti Stati membri e di ricentrare le priorità dell'Unione europea sulla crescita e sull'occupazione. Per accrescere la produttività della sua economia e rafforzare la coesione sociale, l'Unione europea, pertanto, dovrà continuare a puntare principalmente sul miglioramento dei risultati economici, mirando al massimo sulla valorizzazione delle competenze del suo capitale umano. Insomma, nel quadro della strategia di Lisbona dobbiamo saper realizzare quell'economia della conoscenza che punti tutto sulla realizzazione di una solida filiera del sapere in stretta sinergia con un tessuto imprenditoriale a maggiore vocazione innovativa; il sistema scolastico avrà in tutto ciò un ruolo determinante.
Non vi sarà mai né presente, né futuro, per le nostre giovani generazioni se non investiremo in conoscenza, fornendo le scuole di ogni ordine e grado, ma anche gli atenei e le facoltà che ci rendono onore in tutto il mondo, delle risorse necessarie a mantenersi e a completare i propri programmi di una dotazione di personale docente in numero proporzionato alle classi di studenti e fornito di un livello di alta specializzazione in ogni materia da insegnare ai propri alunni. La società della conoscenza fa sì che l'intero sistema dei saperi e della competitività del Paese sia in rete. Indebolire oggi l'anello scuola, dopo gli opinabili provvedimenti già adottati nei mesi scorsi per l'università in materia di taglio del Fondo del finanziamento ordinario, significa far ricadere sulla qualità dello sviluppo gli effetti meno positivi di queste politiche. Ecco perché costruire una moderna filiera della conoscenza che punti su scuola, università, ricerca, lavoro di qualità e produzione ad elevato valore aggiunto, è divenuto un nuovo imperativo categorico per tutti i governi delle società avanzate. Ecco perché il tema del rilancio della centralità degli istituti scolastici è oggi al centro di una riflessione stringente e complessiva tanto in Italia, quanto nei nostri principali partner europei. La scuola è il luogo dove si forma la società del futuro, in cui si rendono effettivi i diritti di cittadinanza delle giovani generazioni. È necessario dare un'occasione a tutti, valorizzando fortemente il merito e consentendo a tutti i giovani di mettere alla prova i propri talenti, di sfidare la rigida gerarchia sociale, di conquistare un ruolo nella società facendo leva sulle proprie capacità e non sul censo o sulla famiglia. Non investire nella scuola è un consapevole suicidio collettivo, un suicidio a cui condanniamo i nostri figli e i nostri nipoti, specialmente ora che laPag. 126competitività del Paese è sempre più basata sulla conoscenza. Abbiamo bisogno di affrontare molti problemi, ma la scuola è un sistema complesso e non possiamo pensare di arrivare ad una soluzione in maniera semplicistica e sbrigativa, prescindendo da un reale coinvolgimento di chi poi vivrà quotidianamente gli effetti dei cambiamenti introdotti. È necessario intervenire sui punti di debolezza del sistema formativo scolastico, rafforzando la valutazione tanto del discente, quanto del docente, rafforzando il ruolo della scuola secondaria, definendo istituti aperti e che si qualificano per la modernità dei loro programmi, proponendo nuovi sistemi di governance e nuovi programmi di insegnamento.
Il problema dei problemi è poi come portare a scuola docenti e studenti motivati, come tenere in piedi la motivazione degli allievi con l'aiuto delle famiglie, come sostenere la motivazione dei docenti con salari adeguati e con un riconoscimento della loro dignità professionale. Certamente, senza strutture adeguate ogni sforzo può essere vanificato, quindi è fin troppo ovvio ricordare che servono aule, biblioteche, laboratori, computer e reti adeguate: l'una senza l'altro è cosa inutile.
Ma nessuno pensi che bastino strutture e infrastrutture per risolvere i problemi: la qualità della scuola nasce innanzitutto dalla motivazione e dalla professionalità degli insegnanti. Restituiamo autorevolezza e autorità al docente, definiamo incentivi e progressioni di carriera che spingano al miglioramento della qualità della didattica attraverso la valorizzazione dell'impegno e delle reali competenze. Per realizzare una vera riforma che sia all'altezza di queste premesse, abbiamo bisogno di un cambio di mentalità nell'intervento legislativo, un cambio di mentalità che non può essere ottenuto con il ricorso alla decretazione d'urgenza e straordinaria, limitando il ruolo del legislatore. Oggi abbiamo perso tutti l'occasione per svolgere un'intensa discussione propositiva e migliorativa e ci limitiamo a svolgere un ruolo di maggioranza e di opposizione finalizzato esclusivamente a ratificare un provvedimento che necessitava sicuramente di ben altra partecipazione.
Come Partito Democratico, ravvisiamo la necessità di coinvolgere tutti gli attori del processo formativo, sin dalla definizione dei primi aspetti della norma: dirigenti scolastici, corpo docente e platea studentesca non possono essere chiamati a ratificare o esprimere valutazioni ex post. Un cambiamento radicale, coraggioso e ambizioso di un settore così fondamentale della nostra società ha bisogno, sin dalla sua genesi, del contributo di idee e di proposte di chi è protagonista, ogni giorno, nelle aule di insegnamento. Pertanto, il ricorso ad un iter legislativo ordinario avrebbe consentito di avanzare proposte più rispondenti alle esigenze reali.
Sicuramente la scuola primaria, come hanno ricordato i partecipanti alle audizioni della VII Commissione permanente, rappresenta un segmento di eccellenza per il comparto scolastico, mentre altri settori - in primis la scuola secondaria di primo grado - richiedono sostanziali interventi migliorativi e di modifica.
Entrando nel merito del provvedimento in esame, vorrei qui sviluppare solo alcune osservazioni: ad esempio, in merito all'introduzione del voto in condotta, non si può prescindere dal presupposto che il raggiungimento degli obiettivi è, prima ancora che un risultato dell'impegno e del lavoro degli allievi, un preciso compito di programmazione della scuola. Quindi, un ragazzo che non riesce e non si integra è, senza nulla togliere alle sue personali responsabilità, prima di tutto uno smacco per le proposte della scuola. Perciò, in questi anni, la scuola e i docenti si sono dotati di un sistema articolato di parametri per individuare il giudizio circa la condotta. Un punto nodale di tale articolazione è stata ed è la separazione del giudizio di merito da quello del profitto disciplinare. Il ripristino del voto in condotta, da solo, non sarà mai rimedio al problema di ricomporre una dimensione di rispetto e riconoscimento dell'istituzione scolastica, se non si predispongono misure legislative, ma soprattutto culturali, di affermazionePag. 127della centralità sociale della scuola e di recupero di autorevolezza della figura del docente.
Particolare preoccupazione, inoltre, desta il ritorno della valutazione in decimi, misura che cancella l'idea di valutazione delle competenze raggiunte. Don Milani affermava che non vi è maggiore ingiustizia che far parti uguali tra disuguali: qui si potrebbe parafrasare che rischiamo di usare un voto uguale tra disuguali. La valutazione in decimi, infatti, finisce col non rispondere alle esigenze di articolazione di un giudizio complessivo delle reali capacità dello studente, dei suoi miglioramenti o delle sue criticità.
È fondamentale distinguere il giudizio sulla competenza raggiunta da quello sulla conoscenza acquisita. Un giudizio sulla conoscenza acquisita può, infatti, essere parametrato con un voto decimale, ma una valutazione delle competenze raggiunte richiede un giudizio più articolato, come avviene in tutto il mondo.
La procedura della verifica e valutazione degli esiti di apprendimento è altra cosa rispetto a quella della validazione delle competenze. È errato concettualmente poter pensare a una classificazione delle competenze in termini di punteggio decimale quando tutti gli esperti sono concordi nella individuazione di competenze con l'eventuale possibilità di gradazione, come è anche previsto dalle raccomandazioni europee.
La valutazione in decimi diventa poi un mix esplosivo se collegata all'introduzione del maestro unico nella scuola primaria e ai singoli insegnanti nella scuola secondaria di primo e di secondo grado. Infatti, distruggendo di fatto la collegialità in tutti i suoi aspetti didattici, valutativi, programmatici e di ricerca si lascia nel potere di singole persone la possibilità di bocciare. Inoltre, sarebbe fortemente in contrasto con il concetto di successo formativo nell'ambito della scuola dell'obbligo, dove il conseguimento delle competenze e delle conoscenze deve procedere di pari passo con il livello di maturità individuale, sia nell'ambito dell'affettività, della socializzazione e della partecipazione, sia nell'acquisizione di un valido e personale metodo di studio e di lavoro e dove il successo è sempre commisurato rispetto al livello di partenza.
Diviene poi cruciale in questo contesto il ritorno al maestro unico per la scuola primaria. Da lungo tempo, ormai, la scuola primaria vede la presenza in ogni classe di un team di docenti, in genere composto da due o tre insegnanti. Questi intervengono nelle classi loro assegnate per l'area linguistica, quella matematica e quella storico-sociale. Questa pluralità di docenti, che è simile a quella esistente in tutti gli altri livelli scolastici, compresa la scuola dell'infanzia, lavora in modo efficace, anche perché dedica almeno due ore settimanali del proprio tempo alla programmazione dell'attività didattica delle singole classi. A questo si deve anche il buon livello di preparazione dimostrato dagli allievi della nostra scuola primaria a livello internazionale. L'OCSE, l'organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, nel suo recente rapporto 2008, infatti, ha promosso proprio le scuole elementari italiane che rappresentano il fiore all'occhiello del sistema di istruzione nostrano. Per la scuola primaria il rapporto OCSE-PISA ci fornisce dati relativi alla preparazione dei fanciulli italiani che ci collocano entro la fascia di livello alto lungo la scala internazionale del rendimento. I nostri bambini sono molto bravi fino alle ultime classi della scuola primaria, tra i migliori a livello internazionale. In una ipotetica scala da uno a dieci meritano quasi otto.
Nella scuola secondaria di primo grado si registrano, invece, fenomeni di arretramento nella qualità dell'apprendimento e tassi di insuccesso e abbandono ancora molto preoccupanti. Oggi nella scuola primaria parliamo di didattica elaboratoriale in tutte le discipline: l'informatica, la tecnologia le attività musicali, artistiche, motorie, l'educazione alla pace, alla convivenza, all'ambiente e al benessere. L'espressione individuale, la creatività, il superamento dell'intolleranza e lo spirito dell'accoglienza sono ormai patrimonio dell'attività formativa in ogni scuola. PerPag. 128realizzare tutto questo è impensabile ridurre il tempo scuola e tornare ad un unico maestro che debba affrontare tutte le discipline di studio spesso in presenza di alunni con disabilità o disagio sociale e di nazionalità diverse lavorando nella complessità che tutti noi riconosciamo alla nostra società.
La scuola primaria ha fatto dell'accoglienza e dell'inclusione sociale il tratto costitutivo della sua identità formativa e della riconosciuta professionalità dei docenti che vi operano. La richiesta di specializzazione nella professionalità docente è stata costruita negli ultimi venticinque anni con interventi di formazione iniziale e in servizio che hanno richiesto investimenti (ben giustificati, s'intende) a carico di tutti cittadini che ora vedrebbero un ritorno alla genericità e alla superficialità.
Facciamo tesoro delle buone pratiche esistenti e razionalizziamo laddove questo non avviene o avviene solo in parte, laddove si possono veramente ravvisare gli sprechi e le negligenze. In conclusione, ritengo che è quanto mai necessario intervenire in un settore cruciale per lo sviluppo del Paese soprattutto in una fase storica nella quale gli investimenti nella filiera della conoscenza diventano la chiave per rilanciare la nostra competitività su scala globale. Una riforma che sia all'altezza della sfida ha bisogno di partire dai punti oggettivamente riconosciuti come di maggiore debolezza per il settore formativo, quali i contenuti formativi, i livelli di apprendimento della scuola secondaria, un più moderno sistema di governance, l'orientamento, un miglior coordinamento tra i vari livelli di istruzione, la riduzione del tasso di dispersione, un forte miglioramento nel sistema di valutazione e la premialità tanto dei discenti quanto dei docenti. Purtroppo, l'aver deciso di affrontare un settore così fondamentale per lo sviluppo del Paese con un decreto-legge, compromette lo spirito stesso dell'intero provvedimento. L'evoluzione di un Paese dipende principalmente dalla qualità delle sue risorse umane e l'istruzione e la formazione sono lo strumento per sviluppare il patrimonio di idee e di conoscenze, la riserva di sviluppo di una nazione.
Oggi nel mondo la nuova frontiera dello sviluppo è la creatività dell'intelletto. Dinanzi alla sfida dettata dalla competizione globale, l'assioma della società della conoscenza afferma che chi sa può, chi conosce è in grado di conoscere e di gestire. Non vogliamo che si avvii, a cominciare da questo provvedimento, una stagione politica in controtendenza con il resto dell'Unione europea, che finisca con il privarsi del valore aggiunto delle politiche per la diffusione del sapere e della sua prima riserva di sviluppo, giovani brillantemente formati e capaci di competere con il proprio bagaglio di conoscenza su scala globale. (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Il seguito della discussione è rinviato alla seduta di domani.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Martedì 30 settembre 2008, alle 9:

(ore 9 e al termine delle votazioni)

1. - Discussione del disegno di legge (per il seguito della discussione sulle linee generali):
Conversione in legge del decreto-legge 1o settembre 2008, n. 137, recante disposizioni urgenti in materia di istruzione e università (1634-A).
- Relatore: Aprea.

2. - Discussione delle mozioni Livia Turco ed altri n. 1-00041, Barani ed altri n. 1-00043, Pezzotta ed altri n. 1-00044 e Palagiano ed altri n. 1-00045 concernenti iniziative per il contrasto della povertà e della diseguaglianza sociale (per la discussione sulle linee generali).

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(ore 11,30)

3. - Seguito della discussione del disegno di legge:
Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria (Testo risultante dallo stralcio degli articoli 3, da 5 a 13, da 15 a 18, da 22 a 24, 31, 32, da 37 a 39, da 65 a 67 e 70 del disegno di legge n. 1441, deliberato dall'Assemblea il 5 agosto 2008) (1441-bis-A).
- Relatori: Bernini Bovicelli, per la I Commissione e Corsaro, per la V Commissione.

4. - Seguito della discussione del disegno di legge:
Conversione in legge del decreto-legge 1o settembre 2008, n. 137, recante disposizioni urgenti in materia di istruzione e università (1634-A).
- Relatore: Aprea.

5. - Seguito della discussione delle mozioni Livia Turco ed altri n. 1-00041, Barani ed altri n. 1-00043, Pezzotta ed altri n. 1-00044 e Palagiano ed altri n. 1-00045 concernenti iniziative per il contrasto della povertà e della diseguaglianza sociale.

La seduta termina alle 23,35.