Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

Cerca nel sito

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Per visualizzare il contenuto multimediale è necessario installare il Flash Player Adobe e abilitare il javascript

Resoconto dell'Assemblea

Vai all'elenco delle sedute >>

XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 40 di martedì 22 luglio 2008

Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROSY BINDI

La seduta comincia alle 9.

MIMMO LUCÀ, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 18 luglio 2008.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Angelino Alfano, Bonaiuti, Bossi, Brambilla, Brancher, Brugger, Brunetta, Bruno, Caparini, Carfagna, Casero, Cosentino, Cossiga, Cota, Crimi, Crosetto, Donadi, Fitto, Frattini, Gelmini, Gibelli, Alberto Giorgetti, Giancarlo Giorgetti, Lo Monte, Lupi, Mantovano, Maroni, Martini, Meloni, Menia, Pescante, Prestigiacomo, Rigoni, Roccella, Ronchi, Rotondi, Scajola, Stucchi, Tremonti, Vegas e Vito sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente cinquantacinque, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Seguito della discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, recante disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria (A.C. 1386-A) (ore 9,05).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, recante disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria.
Ricordo che nella seduta di ieri è stato approvato l'emendamento Dis. 1.1 del Governo, interamente sostitutivo dell'articolo unico del disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 112 del 2008, sull'approvazione del quale, senza subemendamenti e articoli aggiuntivi, il Governo ha posto la questione di fiducia.
Ricordo, inoltre, che, secondo quanto convenuto nella Conferenza dei presidenti di gruppo di ieri, nel corso della giornata odierna avrà luogo l'illustrazione degli ordini del giorno. Il parere del Governo, le dichiarazioni di voto e le votazioni degli ordini del giorno avranno invece luogo nella giornata di domani.

(Esame degli ordini del giorno - A.C. 1386-A)

PRESIDENTE. Passiamo all'esame degli ordini del giorno presentati (Vedi l'allegato A - A.C. 1386).Pag. 2
L'onorevole Beltrandi ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/101.

MARCO BELTRANDI. Signor Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, sottosegretario Vegas, con il mio ordine del giorno n. 9/1386/101 intendiamo occuparci di una questione fondamentale, ritenuta tale da tutti gli economisti, ossia la cosiddetta liberalizzazione dei servizi pubblici locali, che, come si sa, vengono gestiti, quasi sempre in esclusiva e senza gara d'appalto, da società pubbliche o miste pubblico-privato. Tutti gli economisti sostengono che per lo sviluppo economico è essenziale procedere a questa liberalizzazione, che d'altronde era stata oggetto anche del disegno di legge Lanzillotta nella scorsa legislatura, che però non è stato approvato.
Il Ministro dell'economia e delle finanze, Tremonti, aveva annunciato che questa riforma sarebbe stata operata in occasione della manovra di bilancio e tutti - noi per primi - siamo stati lieti di questo annuncio. Tuttavia, come hanno riportato ampiamente le cronache, è accaduto che - in particolare per iniziativa di deputati della Lega Nord - l'affidamento tramite gara sia stato sostituito dalla possibilità di affidamento in house, ossia direttamente, senza passare attraverso gara pubblica. Ciò è consentito dalle norme comunitarie, che però certamente non consentono l'affidamento in house con riferimento a società a capitale misto pubblico e privato.
Chiediamo al Governo, pertanto, di escludere espressamente dall'affidamento diretto in house le società miste, in modo che, su questo aspetto, non vi siano dubbi, sia di conformità con la normativa europea sia in ordine alla possibilità che, in realtà, la norma in esame serva per favorire alcune società piuttosto che altre. Ritengo che l'affidamento tramite procedure di gara sia l'unico modo, in realtà, per assicurare competitività e concorrenza nella fornitura dei servizi pubblici locali e, quindi, per abbassare le tariffe e per migliorare la competitività del sistema economico.

PRESIDENTE. L'onorevole Bobba ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/47.

LUIGI BOBBA. Signor Presidente, quest'ordine del giorno è relativo ad un elemento del provvedimento che, con una procedura inedita, anticipando in generale i contenuti della manovra economico-finanziaria per il prossimo triennio, indica tra le misure di contenimento della spesa una forma sommaria e approssimativa di soppressione di enti pubblici che non siano più rispondenti alle esigenze istitutive o alle funzioni che erano state affidate loro da parte delle amministrazioni pubbliche.
L'articolo 26 prevede la soppressione, entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore di questo decreto-legge, di enti che abbiano una dotazione organica inferiore a cinquanta unità. Tale previsione appare evidentemente generica, se non addirittura grossolana, perché non tiene conto in alcun modo delle specificità funzionali di queste amministrazioni, nonché dei gradi di efficienza organizzativa che sono riuscite a conseguire. Pertanto, si potrebbe ottenere paradossalmente persino l'effetto opposto a quello che la norma si propone, ovvero che enti che abbiano una conduzione gestionale più razionale ed efficiente e che siano riusciti a ottenere risparmi nella dotazione di personale, pur svolgendo pienamente le loro funzioni, si trovino ad essere soppressi, mentre altri enti, che non hanno già operato questa preventiva razionalizzazione e conseguito un'efficienza organizzativa, non incorrerebbero nella norma indicata.
Questa specificità - lo dico anche al sottosegretario Vegas, che conosce bene il territorio di Vercelli, Biella e Verbania, cui faccio riferimento - verrebbe proprio a riguardare le Camere di commercio di questi territori, che già hanno conseguito un risultato di maggiore efficienza organizzativa, pur non riducendo, anzi qualificando meglio, i servizi alle imprese iscritte a quelle Camere di commercio. Dunque, proprio questi enti, come altri in altre parti d'Italia, si troverebbero a doverPag. 3subire la norma, pur avendo quest'ultima una finalità inversa rispetto all'effetto che produce nel caso che ho indicato.
Pertanto, si chiede al Governo, visto che la norma prevede che un decreto ministeriale attuativo possa eventualmente indicare delle deroghe, che queste tengano in considerazione tre criteri diversi: il contesto socio-economico in cui agisce quella determinata amministrazione o ente non economico; il numero di imprese iscritte, visto che il criterio del numero di soggetti cui si rivolgono questi servizi è evidentemente un criterio di efficacia e di efficienza; la capacità di questi stessi enti di aver già raggiunto e conseguito quegli obiettivi di razionale organizzazione che la norma si propone.

PRESIDENTE. L'onorevole Corsini ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/204.

PAOLO CORSINI. Signor Presidente, in realtà vorrei prendere spunto da questo ordine del giorno per una valutazione più generale sulla manovra finanziaria che ci viene proposta.
Credo che si possano prendere le mosse da una constatazione, ossia dal fatto che da tempo le nostre istituzioni sono alle prese con un problema tuttora irrisolto: come procedere da una doverosa democrazia della discussione ad un'auspicabile democrazia della decisione. Non c'è dubbio che l'innovazione procedurale, che la manovra introduce, si sforza di dare una risposta a questo problema.
Tuttavia si tratta di una risposta che nega il problema nella sua essenza procedendo in modo unilaterale ad una ridefinizione delle modalità, delle procedure e delle regole e determinando una scorciatoia che giudico estremamente preoccupante, perché non definita sulla base di una concertazione condivisa. Del resto la stessa presentazione di questo provvedimento del Governo in nove minuti e mezzo al Consiglio dei ministri documenta e comprova quanto sto affermando.
Come definire con una rapida e sintetica definizione il senso della manovra che ci viene proposta? La firma del Ministro Tremonti richiama sostanzialmente tre «t», quelle delle tasse, dei tagli e dei ticket. Richiama le tasse perché la pressione fiscale, uno dei temi che costituivano l'orizzonte di proposta di battaglia anche in campagna elettorale, viene fissata alla fine della programmazione di cui oggi stiamo discutendo al 42,90 per cento. Non vi sarà, quindi, nessun abbassamento di tasse in presenza peraltro di un'inflazione programmata che non corrisponde realmente all'andamento dei costi e della vita economica.
Per quanto riguarda i tagli non vi è alcun dubbio che la manovra opera tagli a «ventaglio» sulle molteplici materie di intervento della pubblica amministrazione e penso soprattutto alla penalizzazione dei comuni, che pagheranno in modo particolarmente salato l'operazione che oggi viene condotta a scapito di un miglioramento e di una qualificazione dei servizi essenziali pubblici, dei servizi rivolti ai cittadini, senza, al contempo, mettere mano ad una riflessione adeguata in vista di una ridefinizione più generale del nostro ordinamento istituzionale per quanto riguarda, in modo particolare, gli enti locali. Sono previsti pure tagli alla sanità, all'università, alla scuola e alle stesse forze dell'ordine, benché dal punto di vista del Governo questo tema sia stato agitato come una delle materie cruciali sulle quali intervenire. Vi saranno, inoltre, tagli ai beni culturali, alle politiche di tutela del paesaggio e di valorizzazione ambientale, all'amministrazione della giustizia, misure di forte penalizzazione per quanto attiene allo sviluppo e alla possibilità di ripresa e di crescita attraverso meccanismi di competizione e di modernizzazione competitiva nel Mezzogiorno. È presente, infine, una prospettazione del tutto vaga, spesse volte incerta ed equivoca, per quanto riguarda gli investimenti destinati alla realizzazione di grandi opere.
Vi è nel cuore della manovra l'intento di una iniziativa di carattere redistributivo, anche se credo che questa manovra, in realtà, non passerà alla storia ma alla cronaca come la manovra della «pompa ePag. 4dello sportello», perché a questo allude la Robin Hood tax. È una redistribuzione che, in realtà, nella sua destinazione e nelle sue modalità, determina una forte alterazione del principio universalistico alla base del welfare comunitario del nostro Paese ovvero un riconoscimento del diritto a misure di natura compassionevole (e tale è, ad esempio, la cosiddetta tessera della povertà o del pane), senza contare che non vengono definite con chiarezza, né vengono attivate misure, per riprendere la battaglia antielusione e antievasione.
Potremmo, allora, sintetizzare con una perentoria valutazione l'iniziativa del Governo utilizzando il «dittico» di Tremonti La paura e la speranza: questa manovra conferma sia tutte le paure e le preoccupazioni per un Paese in preda alla recessione e ad un processo di stagflazione, sia la mortificazione della speranza.
Infine, due brevissime considerazioni per quanto attiene a un tema che ancora non è stato focalizzato al centro dell'attenzione: le ripercussioni della manovra sui finanziamenti della nostra politica estera.
Balza subito evidente il taglio alla cooperazione per 175 milioni di euro. Da un lato si predica sicurezza, e la sicurezza certamente consiste nell'attivazione di misure che garantiscono la soluzione dei problemi dell'ordine pubblico, ma io credo anche, soprattutto per quel che attiene all'immigrazione extracomunitaria, che la cooperazione costituisca una risorsa.

PRESIDENTE. Onorevole, deve concludere.

PAOLO CORSINI. Infine, mi richiamo all'utilizzazione dei tagli lineari per cui la missione di spesa maggiormente falcidiata è quella denominata «italiani in Europa e nel mondo». Ritengo che questi due elementi giustifichino ampiamente il giudizio negativo che, anche sotto questo profilo, sentiamo di dover confermare.

GIANLUCA BUONANNO. Per la sicurezza ci vuole l'indulto!

PRESIDENTE. L'onorevole Levi ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/268.

RICARDO FRANCO LEVI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor rappresentante del Governo, l'articolo 15 del provvedimento in esame, cui si riferisce l'ordine del giorno che sto illustrando, solo apparentemente ha una natura tecnica. Si tratta delle modalità per l'adozione dei libri di testo. In realtà al di sotto di questa problematica risiede una questione molto delicata. Il Governo muove da due obiettivi condivisibili. Da un lato vi è l'obiettivo primo di ridurre la spesa in capo agli studenti... con la speranza che il rappresentante del Governo riesca ad ascoltarmi.

GIUSEPPE VEGAS, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Ci provo.

RICARDO FRANCO LEVI. Lo ripeto, il primo obiettivo è la riduzione della spesa in capo agli studenti e alle loro famiglie e il secondo è contribuire all'introduzione delle nuove tecnologie nella scuola. Nel fare questo però il Governo dimentica o tralascia alcuni elementi di base di economia domestica e di economia delle imprese. Si ipotizza che lo strumento essenziale sia quello della produzione di libri scaricabili da Internet, nella prospettiva a valle che gli studenti e le loro famiglie possano scaricare da Internet i loro libri e stamparli a casa, evitando così di acquistarli.
Tutto ciò tralascia elementi base di economia domestica, perché stampare un libro con una fotocopiatrice costa di più di quanto corrisponda al prezzo d'acquisto del libro. Viola inoltre elementi di base del diritto d'autore e disconosce anche gli elementi di base dell'economia delle imprese, perché immaginare che il prezzo di vendita dei libri possa rimanere inalterato se gli editori perdono una quota importante delle loro vendite a favore di uno scarico gratuito non è evidentemente irrealistico. Al di sotto di tutto questo però vi è una grande preoccupazione: che introdurre le nuove tecnologie nella scuolaPag. 5in questo modo, di fatto affidandosi alle dotazioni informatiche degli studenti e delle famiglie, non faccia che accrescere quella divisione di accesso alle nuove tecnologie, il digital divide, per dirlo in termini più attuali (anche se c'è un refuso nel testo del fascicolo degli ordini del giorno per cui è diventato «migital divide» che non si capisce bene cosa voglia dire). Tutto questo lascia grandi preoccupazioni sugli effetti concreti di questa norma e sulle conseguenze in termini di parità di accesso dei nostri giovani all'istruzione.
Tra l'altro è in parte una sorpresa che ciò avvenga, perché durante la discussione presso la V Commissione (Bilancio) il Governo aveva sottoscritto e presentato un emendamento che si faceva carico di queste preoccupazioni e che risolveva il problema. Purtroppo, per una qualche disattenzione - e non posso immaginare che sia stato altro che così - questo emendamento del Governo è andato perduto.
Per questo motivo, ora, chiedo al Governo di prendere in considerazione l'ordine del giorno n. 9/1386/268 da me presentato, che invita, nell'applicazione della norma, ad attribuire margini di autonomia ai docenti nelle loro adozioni, per poter eventualmente riconoscere il valore di strumenti anche preesistenti e diversi. Lo stesso ordine del giorno invita, inoltre, il Governo ad attivare misure e strumenti che consentono di porre i nostri ragazzi, nella scuola, su un piano di parità per quanto riguarda l'accesso alle tecnologie...

PRESIDENTE. La invito a concludere, onorevole Levi.

RICARDO FRANCO LEVI. Invita, infine, il Governo, in sede di attuazione della norma, a riconoscere il problema dei diritti d'autore e anche ad offrire spazi di manovra agli editori nella produzione dei libri.

PRESIDENTE. L'onorevole Bocci ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/71.

GIANPIERO BOCCI. Signor Presidente, con l'ordine del giorno n. 9/1386/71 chiediamo al Governo di mantenere alcuni benefici a favore del settore del risparmio energetico, dell'efficienza energetica e di interventi che in qualche modo aiutano e promuovono i comportamenti ecocompatibili.
Con l'ordine del giorno in questione entriamo più nello specifico e chiediamo al Governo di mantenere alcune misure, già presenti nella legislazione attuale, che a nostro parere devono essere sviluppate ulteriormente perché si tratta di misure che, da un lato, rispondono ad un'esigenza forte e importante di un settore dell'economia, dall'altro, offrono risposte significative sul versante dei prodotti ad alta efficienza energetica. In sostanza, chiediamo al Governo di mantenere la detrazione del 41 per cento per le ristrutturazioni edilizie e la detrazione del 55 per cento per gli interventi di risparmio energetico nelle abitazioni.
Perché riteniamo che ciò sia indispensabile? Per due motivi principali. In primo luogo, perché tali misure hanno innescato negli anni un circolo virtuoso nel comportamento dei cittadini e delle famiglie e nei settori economici coinvolti, favorendo non solo un miglioramento dello standard delle costruzioni ma anche occupazione ed emersione del lavoro nero nelle aziende del settore. Bloccare questo meccanismo che, di anno in anno, vede aumentare in maniera considerevole coloro che vi fanno ricorso, sarebbe con tutta franchezza fortemente deleterio sia per i cittadini sia per le imprese.
In secondo luogo, tra gli obiettivi indicati nel testo della manovra economica triennale come prioritari dallo stesso Governo, si individuano il decentramento e la diversificazione delle fonti di energia. Sarebbe, quindi, coerente con questa impostazione il mantenimento degli incentivi indicati. Infatti, come scriviamo nell'ordine del giorno in oggetto, l'assunzione di politiche ambientali e, in particolare, energetiche in linea con gli obiettivi del Protocollo di Kyoto e dell'Unione europea rappresenta una necessità non più rinviabile, sia nella prospettiva globale di tutela dell'ecosistema del pianeta e di contrastoPag. 6ai mutamenti climatici, sia nella dimensione nazionale di una politica innovativa della ricerca scientifica, di produzioni competitive ad alto valore aggiunto e di promozione sul territorio, tra i cittadini e gli attori sociali ed economici, dei prodotti delle tecnologie più avanzate nel campo dell'efficienza e del risparmio energetico e della riduzione di produzione dei rifiuti.
Per tali motivi abbiamo presentato l'ordine del giorno in questione e chiediamo al Governo di accettarlo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. L'onorevole Tassone ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/156.

MARIO TASSONE. Signor Presidente, nell'ordine del giorno in esame poniamo una questione importante, sia io che i colleghi che lo hanno sottoscritto: la questione della giustizia. Più volte e in ogni occasione, soprattutto all'inaugurazione degli anni giudiziari, si lamenta - ieri il procuratore generale, quando illustrava la relazione, oggi i presidenti delle corti d'appello - e si denuncia lo stato di insufficienza e di precarietà delle strutture dell'organizzazione della giustizia: mancano le risorse, il personale e tutti gli strumenti per fronteggiare una situazione estremamente difficile e delicata, qual è il quella che riguarda tutto il mondo della giustizia.
Si chiede un aggiornamento rispetto a questi appuntamenti, che dobbiamo vivere con grande consapevolezza, perché non basta affermare che la giustizia è in crisi e in difficoltà, non basta dire che la giustizia ha bisogno di innovazione, sia per quanto riguarda il processo sia per quanto riguarda il diritto sostanziale o comunque il diritto formale: bisogna capire e bisogna comprendere come fronteggiamo la crisi della giustizia.
Vi sono innovazioni che bisogna pur fare, rispetto ai due aspetti che indicavo poc'anzi, ma bisogna capire e comprendere se queste riforme, che vengono auspicate e invocate, possano procedere senza un minimo di organizzazione, senza un minimo di strumenti e senza un minimo di supporto operativo. Il decreto-legge n. 112 del 2008 in esame non presenta condizioni per alimentare fantasie o creatività: vi è un'insufficienza, soprattutto si parla di riduzione del personale, di personale amministrativo, cancellieri e quant'altro; un taglio del 10 per cento del personale amministrativo, del 20 per cento per gli uffici dirigenziali e del 15 per cento per quelli di livello.
Detto ciò, ovviamente, appare molto chiaro che quando parliamo di innovazione e di riforme nel campo della giustizia ci imbattiamo in questi problemi, certamente oggettivi e di difficile soluzione. Lo stesso Ministro Alfano, nella prima parte dell'audizione svolta alla Camera sulle linee programmatiche del suo Ministero, poneva con grande evidenza questi problemi: i problemi della tecnologia, dell'informatica e dell'innovazione degli uffici giudiziari.
Voglio capire se abbiamo contezza di quanto avviene negli uffici giudiziari del nostro Paese, dove vi sono pochi impiegati e dove i pochi impiegati devono fare tutto e il contrario di tutto, in una vicenda spasmodica, che non ha certezze e non dà prospettive.
Per tali motivi nel nostro ordine del giorno, poniamo tale questione e ci rivolgiamo al Governo; ci auguriamo che nella fase del parere che esprimerà sull'ordine del giorno in esame riserverà una maggiore attenzione, soprattutto in ordine al reperimento delle risorse per fronteggiare questa situazione d'urgenza per quanto riguarda tutta la macchina della giustizia, con una grande accelerazione anche rispetto a quegli obiettivi che sono stati da me indicati. Ciò credo che sia il minimo che potevamo chiedere in questa fase, in una manovra economica di cui abbiamo avuto poca contezza e in cui abbiamo avuto poca possibilità di elaborazione e di fornire un contributo che potevamo dare. Tuttavia, ci imbattiamo nel problema delle risorse. Qui bisogna operare delle scelte e delle opzioni - e concludo, signor Presidente - rispetto a quello che vogliamo. Vi è la politica degli annunci, delle riforme accompagnate da grandi speranzePag. 7e soprattutto da grandi entusiasmi, e vi è poi il problema delle strutture e dell'articolazione.
Ritengo che la scelta che va operata per un Paese civile, nel momento in cui vuole uscire da questo tunnel e da questa difficile situazione della giustizia, è quella di creare le condizioni vere, non soltanto nel diritto formale e sostanziale, cambiando le norme di procedura o cambiando le norme dei codici, ma creando ovviamente le strutture e gli strumenti.
Al di là di ciò, anche le leggi e anche i migliori intendimenti di innovazione si imbatteranno contro insufficienze e lacune (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).

PRESIDENTE. L'onorevole Bernardini ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/105.

RITA BERNARDINI. Signor Presidente, a nome della delegazione radicale nelle liste del Partito Democratico, illustro l'ordine del giorno sull'equiparazione dell'età pensionabile delle donne, ovvero il grande tabù del nostro sistema previdenziale.
Sull'emergenza dell'occupazione femminile in Italia, non credo che vi sia molto da dire, oltre ad una percentuale che parla da sola: il tasso di occupazione delle donne in Italia è del 46,7 per cento. L'Europa ci ha chiesto di arrivare al 60 per cento entro il 2010, che è alle porte: siamo ventiseiesimi nell'Europa «a 27» e dietro di noi c'è solamente Malta. Se si considerano le due «Italie» che anche in questo settore si manifestano, si evince che al nord il tasso di occupazione femminile raggiunge quella percentuale che ci è stata richiesta dall'Europa, mentre al sud siamo al 31,2 per cento. Inoltre, una donna - e questa credo che sia la ciliegina sulla torta - percepisce in media, a parità di posizione professionale, tre quarti dello stipendio di un uomo: semplicemente imbarazzante, per qualsiasi Paese che ha ambizione di crescere e voglia di definirsi civile ed attento ai diritti e ai doveri di tutti.
È logico pensare che sia necessario un insieme coordinato di interventi, di iniezioni di servizi di assistenza e cura e di una maggiore conciliazione fra vita privata e lavoro. La strada sarà lunga e faticosa, ma esistono misure alla portata che si possono realizzare, che innescano circoli virtuosi e aumentano la forza lavoro, poiché intervengono implicitamente sulla gestione della vita familiare e della ripartizione dei ruoli uomo-donna in modo naturale. L'equiparazione dell'età pensionabile delle donne non è una bizzarria femminista, ma qualcosa che ci viene richiesto dall'Europa. È un impegno che ci viene ricordato da un'infrazione europea e da una Corte di giustizia che presto ci recapiterà una multa salatissima.
In un sistema previdenziale ormai contributivo, una diversa età pensionabile fra uomini e donne è, di fatto, una vera e propria disparità salariale. Ciò implicitamente ci comunica che, in Italia, il lavoro della donna conta meno di quello di un uomo: il maschio italiano lavora e spesso può essere legittimato a fare solo quello; il lavoro di una donna è assistenza e cura nelle mura domestiche, l'occupazione diviene qualcosa di accessorio e l'uscita anticipata dal mercato del lavoro prevista dalla legge è la buonuscita - o, meglio, la «fregatura» - che il nostro Stato, senza welfare e senza servizi, regala alle donne italiane per scusarsi dei torti inflitti, tra cui annoveriamo anche il perdurare di una certa cultura maschilista e la scarsa propensione a guardare alle esperienze degli altri Paesi europei.
Conoscete sicuramente il nostro sostegno di radicali alla cosiddetta legge Biagi e alla richiesta del suo completamento, attraverso la creazione di ammortizzatori sociali. Da sempre favorevoli alla flessibilità e ad una visione dinamica, competitiva e anticorporativa del mondo del lavoro, siamo convinti che la sintesi davvero liberale passi per una visione che tuteli i cittadini, ma non imbrigli l'imprenditoria, per un patto di produttività fra imprese e lavoratori. Non vi potranno essere nuovi e diversi investimenti nel welfare, se non saremo capaci di compiere passi coraggiosi (mi rivolgo soprattutto ai colleghi del mio gruppo, cioè del Partito Democratico). NonPag. 8dimentichiamo che se in Italia l'occupazione femminile fosse pari al livello medio europeo, il nostro PIL sarebbe più alto di quasi il 7 per cento.
L'approvazione o meno dell'ordine del giorno a mia firma ci dirà se intendiamo o no cambiare la strada che, fino ad oggi, ha determinato l'emarginazione delle donne nel mondo del lavoro (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. L'onorevole Lanzillotta ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/183.

LINDA LANZILLOTTA. Signor Presidente, con questo ordine del giorno noi invitiamo il Governo a prendere atto, con onestà intellettuale, del pasticcio che è stato combinato introducendo l'articolo aggiuntivo 23-bis riguardante la riforma dei servizi pubblici locali e a rinunciare a questo intervento nel prosieguo dell'iter del provvedimento. Ciò per evitare che una materia non solo non venga riformata ma sia il terreno su cui si alimenti, nei prossimi anni, un interminabile contenzioso e un'assoluta incertezza nell'esercizio di attività di impresa in un settore molto importante per l'economia.
L'articolo aggiuntivo 23-bis che era, almeno nel suo contenuto materiale, inserito originariamente nel disegno di legge all'esame del Senato, si è voluto travasarlo nel disegno di legge di conversione del decreto in esame. Esso era invece inserito originariamente in un testo presentato dal Governo che, sebbene risultasse molto parziale, inseriva il principio dell'obbligo della gara, con alcune marginali deroghe. Su questo testo si è inserito, nella notte durante l'esame del decreto-legge che oggi discutiamo in Assemblea, un emendamento del relatore - sostanzialmente elaborato dal gruppo della Lega, che è poi il testo del maxiemendamento - che sostanzialmente vanifica qualsiasi ipotesi di apertura al mercato, perché estende la possibilità dell'in house a tutte le tipologie di società (società miste, società quotate) in chiaro contrasto con tutta la giurisprudenza comunitaria e nazionale. A questo punto il Governo, resosi conto della gaffe, nonché delle violazioni a regole di grammatica del diritto comunitario, ha presentato, dopo la posizione della questione di fiducia, con la lettera firmata dal ministro Tremonti, un'ulteriore formulazione, che rende questo testo del tutto incomprensibile.
Dopo un'affermazione di principio, che si applica cioè il principio della gara per l'affidamento della gestione dei servizi pubblici locali, il comma 3 che riguardava le deroghe per l'affidamento in house, è quasi illeggibile: manca l'oggetto del primo capoverso e invece di disciplinare le tipologie e le fattispecie di affidamento in house, si fa riferimento genericamente alla coerenza con i principi comunitari. Questo è esattamente ciò che c'è già nella legislazione vigente e che ha determinato la situazione di fatto, cui si vuole porre rimedio con l'intervento riformatore.
L'ulteriore incongruenza è che nel successivo comma 9 si fa ancora riferimento al comma 3, lettera b), prima della correzione apportata con la lettera del Governo e si ipotizza quindi, indirettamente, una violazione agli stessi principi comunitari cui quella formulazione del Governo cercava di porre rimedio. In qualche modo si ipotizza infatti che le società quotate possano rientrare negli affidamenti diretti. Poiché, come è noto, l'affidamento diretto può essere disposto nei confronti dei soggetti sui quali l'amministrazione proprietaria esercita un controllo diretto, come se fossero propri uffici, è evidentemente impossibile che ciò avvenga nei confronti di una società quotata: la norma è quindi illegittima ed intrinsecamente contraddittoria. Non solo, il comma 5 implicitamente ribadisce un principio, ormai superato dall'ordinamento, quello cioè della proprietà pubblica delle reti, con ciò violando situazioni di fatto che cadono nell'illegittimità, come quelle relative alle reti del gas, che sono già privatizzate.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

LINDA LANZILLOTTA. Con la norma che fa riferimento al successivo regolamento,Pag. 9si incide con regolamento in una materia su cui esiste una riserva assoluta di legge, qual è l'esercizio dell'attività di impresa. Infine si dice che rimane parzialmente vigente l'articolo 113, non si sa per quali parti.
Pertanto, invito il Governo ad evitare questo pasticcio e a prendere atto che non è in grado di varare una riforma di liberalizzazione, perché prevale al suo interno la cultura dirigista e statalista.

PRESIDENTE. L'onorevole Schirru ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/43.

AMALIA SCHIRRU. Signor Presidente, con questo ordine del giorno ci poniamo l'obiettivo di richiamare l'attenzione del Governo sulla situazione dei lavoratori del pubblico impiego, colpiti ingiustamente dal provvedimento in esame. Invitiamo, pertanto, il Governo non solo ad individuare le contraddizioni che sono contenute all'interno del decreto-legge, ma anche a riprendere la strada del confronto e della condivisione con le organizzazioni sindacali, se vogliamo davvero raggiungere la riorganizzazione della pubblica amministrazione e incentivare la produttività dei dipendenti. Inoltre, vogliamo soprattutto invitare il Governo a procedere con la semplificazione amministrativa per quanto riguarda l'accertamento dell'invalidità civile.
Riteniamo utile attuare alcune disposizioni che sono contenute in questo provvedimento, tuttavia riteniamo necessario arrivarci attraverso il confronto e la condivisione con i lavoratori e con la loro partecipazione, per creare un'amministrazione efficiente, dove il cittadino possa veramente essere l'attore protagonista della vita pubblica e nella quale, però, il lavoro di ciascuno sia incentivato, anche perché dev'essere competitivo, dev'essere fonte di vera produttività, perché il lavoro dev'essere premiato attraverso un processo meritocratico e, soprattutto, deve essere valorizzato quello che si presenta come eccellenza.
Vogliamo che il nostro Paese vada verso la semplificazione, con l'auspicio che le amministrazioni pubbliche siano davvero la prima risposta di fiducia ai bisogni del cittadino, ma anche che vengano riconosciuti e gratificati quei lavoratori che dimostrano impegno, dedizione, che non smettono mai di arricchire il proprio operato con la formazione continua, anche a loro spese, reinvestendo quotidianamente, in modo proficuo, le competenze che hanno acquisito.
Ci chiediamo, inoltre, come potrà essere possibile migliorare i risultati raggiunti, promuovere i lavoratori del pubblico impiego e la loro formazione, se si continuano ad organizzare tagli a quelle risorse necessarie per finanziare i fondi destinati alla produttività della pubblica amministrazione.
Migliorare l'efficienza della pubblica amministrazione non può avvenire attraverso la diffamazione continua che abbiamo visto sulla stampa, sui media e per bocca anche del nostro Ministro, nei confronti di chi lavora ogni giorno per far funzionare gli uffici pubblici. Si alimenta continuamente e pesantemente il divario tra lavoratori pubblici e lavoratori del settore privato: infatti, mentre ai lavoratori del settore privato è stata riconosciuta la detassazione dello straordinario, al contrario, nel settore pubblico si fanno tagli e si disincentiva, acuendo la separazione e differenziando i due settori, soprattutto a livello di contrattazione e di regolamentazione dei contratti di lavoro.
Un altro punto è quello che riguarda le assenze per malattia, che si vorrebbe combattere insieme con il fenomeno dei cosiddetti fannulloni. Mi chiedo come si possa pensare di combattere l'assenteismo vero e proprio, o presunto, con l'estensione dell'obbligo di reperibilità, o con la riduzione dello stipendio in caso di malattia fino al 30 per cento.
Riteniamo infatti grave l'incidenza degli interventi prospettati in questo provvedimento, soprattutto per i lavoratori che hanno familiari disabili in casa o che assistono familiari con problemi di disagio sociale, ad esempio di tossicodipendenza.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

Pag. 10

AMALIA SCHIRRU. Questi lavoratori pubblici si vedranno penalizzati da un provvedimento che non legge le loro difficoltà e li equipara - senza cognizione e con leggerezza - ai cosiddetti fannulloni. Non vorrei che il ricorso ad un diritto divenga in questo caso un indicatore utile per individuare un assenteista, non un genitore costretto a macinare centinaia di chilometri per curare il proprio figlio all'altro capo della regione, come spesso accade, ad esempio, nella mia regione e in tutto il sud. La fruizione dei permessi e dei congedi cui hanno diritto inciderà negativamente anche sulla loro busta paga, soprattutto se stimati in ore e non in giorni, andando così a gravare ancora una volta sui soggetti più deboli, vanificando le conquiste sociali e culturali in tema di disabilità.

PRESIDENTE. Onorevole Schirru...

AMALIA SCHIRRU. Siamo insomma qui anche per suggerire di andare avanti con la semplificazione amministrativa, soprattutto nell'ambito dell'accertamento, della verifica e del controllo dell'invalidità civile e dell'handicap, un settore in cui sono numerose e immotivate le ridondanze, gli sprechi, i disagi e le scorrettezze. Occorre invece concentrarsi sul lavoro di verifica e di controllo e su accertamenti puntuali a danno di chi approfitta realmente dell'indennità di invalidità, senza però umiliare ulteriormente i veri invalidi.

PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Fiano, che aveva chiesto di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/103: s'intende che vi abbia rinunziato.
L'onorevole Garavini ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/66.

LAURA GARAVINI. Signor Presidente, con questo ordine del giorno vorrei attirare l'attenzione del Governo sulla necessità di predisporre una serie di misure idonee al raggiungimento degli obiettivi della strategia di Lisbona, in particolare per quanto riguarda l'occupazione femminile. Nel contesto del Consiglio europeo tenutosi a Lisbona nel marzo del 2000, l'Italia si è impegnata a perseguire e raggiungere entro il 2010 l'obiettivo di un livello medio di occupazione pari al 70 per cento e di un livello di occupazione femminile pari al 60 per cento. Nel 2005, a metà percorso, rendendosi conto che gli obiettivi fissati nel 2000 erano ben lontani dall'essere stati raggiunti, si è deciso di rilanciare la strategia di Lisbona concentrandosi in particolare proprio sul raggiungimento degli obiettivi in materia di occupazione.
Contrariamente agli impegni assunti, però, il disegno di legge al nostro esame non tiene per nulla in considerazione tali impegni, non prevede alcuna misura finalizzata alla promozione dell'occupazione femminile, né interventi volti a ridurre le discriminazioni fra uomini e donne sul mercato del lavoro e ad evitare le disparità di retribuzione. Anzi, il provvedimento in esame va a peggiorare tali disparità, poiché rende più difficile ricorrere al lavoro a tempo parziale, quando invece tante donne scelgono proprio il part-time per riuscire a conciliare lavoro e famiglia. Il decreto toglie infatti al lavoratore la possibilità di decidere in prima persona se optare per il part-time o per il tempo pieno e attribuisce invece all'amministrazione la possibilità di concedere o meno il part-time ai lavoratori, in base alle esigenze interne.
Dal momento che siamo soprattutto noi donne a ricorrere al tempo parziale, il decreto in esame produrrà un ulteriore peggioramento del tasso di occupazione femminile. Si tratta di un vero e proprio passo indietro per noi donne, è un ulteriore schiaffo al perseguimento delle pari opportunità nel mondo del lavoro, poiché non si tiene affatto conto delle esigenze di flessibilità di tante lavoratrici che, di fronte all'assenza di servizi da parte dello Stato sociale, hanno bisogno del part-time per conciliare lavoro e famiglia.
Già oggi il nostro Paese, rispetto agli standard internazionali, è in netto ritardo sul tema dell'occupazione femminile: conPag. 11un tasso fermo al 46,3 l'Italia è fortemente al di sotto della media europea e lontana in modo preoccupante dall'obiettivo finale che ci siamo dati.
La manovra economica, nel suo complesso, rischia di allontanare ulteriormente il nostro Paese dagli obiettivi indicati dalla strategia di Lisbona proprio mentre le politiche di pari opportunità e di perseguimento di un'elevata occupazione femminile vengono viste, dai partner europei, come strategia vincente per un rilancio dello sviluppo economico dell'Unione europea. Tanti Paesi europei - penso alla Francia, alla Germania, alla Svezia, alla Danimarca - dimostrano come un'elevata occupazione femminile e la messa in campo di politiche di pari opportunità, che consentano indistintamente a uomini e donne di potere conciliare vita di lavoro e vita familiare, siano la premessa indispensabile per un benessere prima di tutto economico e poi anche legato alla qualità della vita.
Io stessa personalmente ho potuto usufruire per anni all'estero di sagge politiche a sostegno del part-time e a favore della conciliazione di maternità e lavoro. Pur non avendo al fianco i mitici nonni italiani, lavorando per un lungo periodo a part-time ho potuto essere mamma e ho potuto lo stesso continuare a lavorare in qualità di dirigente. Io stessa sono la dimostrazione di come politiche a favore del part-time femminile possano garantire contemporaneamente successo economico, carriera professionale e natalità, proprio ciò di cui il nostro Paese avrebbe tanto bisogno.
Le donne rappresentano una risorsa insostituibile per quei Paesi che vogliono raggiungere elevati livelli di sviluppo. Analogamente agli altri Paesi più industrializzati, l'Italia può riuscire a vincere la sfida della crescita economica solo investendo sui talenti e sui saperi femminili, incrementando così l'occupazione femminile. È necessario, però, varare misure straordinarie che consentano di conciliare famiglia e lavoro. È necessario istituire asili nido; prevedere incentivi che favoriscano un'equa ripartizione fra i coniugi per la cura del bebè; è necessario incentivare l'occupazione femminile attraverso la riduzione delle imposte per aziende che assumono personale femminile, specialmente nel Mezzogiorno; è necessario promuovere una strategia di sostegno all'imprenditorialità femminile; è necessario vigilare affinché le misure previste dal provvedimento in esame in materia di part-time non si traducano in un'ulteriore limitazione, per le donne, alle possibilità di accedere e permanere sul mercato del lavoro.
Ecco perché ritengo necessario, con questo ordine del giorno, impegnare il Governo a concorrere agli obiettivi fissati dalla strategia di Lisbona. Sostenere e promuovere l'occupazione femminile non è solo una questione di giustizia sociale, ma è anche una questione di intelligenza economica: ogni Paese che vuole crescere economicamente ha estremamente bisogno dei tanti talenti femminili.

PRESIDENTE. L'onorevole Farinone ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/215.

ENRICO FARINONE. Signor Presidente, l'ordine del giorno che ho presentato impegna il Governo ad adottare ogni utile provvedimento teso ad evitare qualsiasi discriminazione o compressione dei diritti riconosciuti ai cittadini comunitari o ai loro familiari. Perché un tale invito? Perché il decreto-legge che stiamo discutendo prevede un tempo minimo di dieci anni di permanenza sul territorio nazionale prima che un soggetto avente titolo possa accedere all'assegno sociale.
Si tratta di una disposizione non coerente con lo spirito - quanto meno con lo spirito - della direttiva 2004/38/CE che ritiene, invece, sufficiente ai fini della maturazione di un diritto di soggiorno permanente, per i cittadini comunitari e i loro familiari, un tempo minimo pari a cinque anni.
Del resto, signor Presidente, purtroppo sono ormai numerosi i provvedimenti approvati o in corso di approvazione che mirano, più o meno esplicitamente, da un latoPag. 12a comprimere i diritti riconosciuti ai cittadini comunitari - diritti riconosciuti dalle normative europee - specie in relazione alla libertà di circolazione ed al diritto di soggiorno, dall'altro a segnare una sempre più pericolosa equiparazione dello status e dei diritti dei cittadini comunitari a quelli degli extracomunitari. Un'equiparazione che obiettivamente «spinge verso il basso» le posizioni giuridiche soggettive riconosciute in ambito dell'Unione europea. Numerosi sono gli esempi in tal senso, ne cito alcuni. Basti pensare allo schema di decreto legislativo correttivo del decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 30, che prevede l'espulsione automatica del cittadino comunitario a seguito del mancato disbrigo di formalità amministrative come, ad esempio, la mancata richiesta di iscrizione all'anagrafe o anche la mancata richiesta della carta di soggiorno per i suoi familiari. Tali formalità amministrative nelle nuove disposizioni diventano addirittura motivi imperativi di pubblica sicurezza, sufficienti ad allontanare il cittadino comunitario e il suo familiare in violazione della direttiva comunitaria e, soprattutto, della consolidata giurisprudenza della Corte di giustizia.
Si pensi anche alle norme del decreto sicurezza in base alle quali non solo lo straniero, ma anche il cittadino appartenente ad uno Stato membro dell'Unione europea, qualora sia condannato alla reclusione per un tempo superiore a due anni, deve essere automaticamente espulso o allontanato con provvedimento del giudice. Anche questa norma contrasta profondamente con le direttive europee e con la consolidata giurisprudenza della Corte di giustizia. Anche questa norma determina un ripiegamento verso il basso, come dicevo prima, dei diritti ormai da anni riconosciuti ai titolari della cittadinanza europea.
Il rischio di tutto ciò è proprio di peggiorare, attraverso un incomprensibile (a mio avviso) inasprimento, le norme sull'immigrazione e, soprattutto - ed è più grave - di esporre l'Italia a procedure di infrazione comunitaria e a condanne della Corte di giustizia europea. Ecco il senso di questo ordine del giorno, che spero il Governo voglia accogliere (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. L'onorevole De Biasi ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/262.

EMILIA GRAZIA DE BIASI. Signor Presidente, questo ordine del giorno ha come oggetto il tema dell'editoria... se cortesemente il rappresentante del Governo, visto che ce ne è uno solo, ascolta, altrimenti non vado avanti (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico). Dicevo che è un ordine del giorno che affronta il tema dell'editoria e della sua mancata riforma, per l'ennesima volta. Mentre nel provvedimento in esame ci sono riforme a colpi di decreto (basta un articolo per modificare le norme sull'università o sulla scuola) nel caso dell'editoria, settore che richiederebbe una riforma profonda e su cui da molto tempo e in modo anche unitario le maggioranze e le opposizioni che si sono succedute si sono adoperate, invece di ragionare su una riforma seria del comparto si procede all'ennesimo taglio.
Il problema è molto serio. Infatti, non si tratta soltanto di un taglio finanziario, ma di mettere molte testate nell'impossibilità di poter continuare ad esistere. Con il decreto che regola l'ICI per il 2010 è stata prevista, per il settore dell'editoria, una riduzione di 26 milioni di euro. Nel provvedimento in esame è prevista l'eliminazione dei contributi diretti all'editoria e una decurtazione alla missione «Comunicazioni» di 80 milioni di euro per l'anno 2009, 95 milioni 945 mila euro per l'anno 2010, 169 milioni 352 mila euro per l'anno 2011, rispetto a un fabbisogno di circa 600 milioni di euro. I suddetti interventi riducono i fondi del 25 per cento, portando il totale degli stanziamenti a 414 milioni di euro per il 2008, 307 per il 2009 e 266 per il 2010. Queste sono considerazioni che non è che fa l'opposizione perché si è svegliata una mattina, ma sono le considerazioni svolte anche dal nuovo presidentePag. 13della FIEG in un'intervista apparsa su un noto giornale economico nazionale in cui esprime profonda preoccupazione per il futuro di questo settore.
Sottosegretario Vegas, lei non ha avuto occasione di discutere con noi in Commissione cultura perché non è la sua materia di competenza, ma l'onorevole Bonaiuti si è presentato raccontandoci una meravigliosa riforma dalle sorti progressive e indimenticabili, fondata sulla multimedialità, su un equilibrio delle risorse pubblicitarie, sullo sviluppo del settore.
Di tutto questo non può esservi traccia perché senza finanziamenti, come è noto, non è possibile produrre nessuna riforma. Quindi, la richiesta che facciamo con questo ordine del giorno è di valutare, invece di tagliare i contributi diretti che sono un diritto soggettivo e quindi un fondamento importante del pluralismo dell'informazione nel nostro Paese, di procedere con una riforma del settore che sia in grado di sostenere l'equilibrio pubblicitario oggi totalmente nelle mani delle televisioni.
Quindi, se le risorse pubblicitarie stanno solo da una parte, non si può certo ragionare di multimedialità o di una riforma che consideri nuovi criteri di trasparenza nella distribuzione dei contributi, che non sostenga esclusivamente le grandi testate, che sia in grado di sostenere quell'insieme di informazione che nel nostro Paese è oramai l'unico strumento per raccontare quanto accade in Italia. Quindi, è un punto che riguarda la democrazia, non solo un aggiustamento finanziario.

PRESIDENTE. Onorevole De Biasi, la prego di concludere.

EMILIA GRAZIA DE BIASI. Concludo subito, signor Presidente. Inoltre, così come ha già sostenuto il collega Levi, penso che vi sia bisogno di una maggiore tutela del prodotto editoriale e del diritto d'autore. Infatti, se colleghiamo questi tagli alle scelte che sono state fatte sui libri di testo, l'intero settore dell'editoria italiana chiude. Può darsi che vi vada bene, tuttavia penso che una minore democrazia non convenga a nessuno (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. L'onorevole Giorgio Merlo ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/271.

GIORGIO MERLO. Signor Presidente, l'ordine del giorno che ho presentato con i colleghi Delfino e Fiorio richiama l'attenzione del Governo sul tema della recente alluvione, che abbiamo già affrontato in quest'Aula e credo che sia importante sotto questo aspetto... (Una voce dai banchi del gruppo Partito Democratico: «Il Governo!» - Applausi polemici dei deputati del gruppo Partito Democratico). Ma il Governo sta ascoltando... Credo che sia importante ricordare anche in questo momento l'azione intrapresa sin da subito dal sottosegretario Bertolaso.
Attualmente il problema è che, per l'alluvione che ha colpito le province di Torino e Cuneo, raccogliendo le indicazioni precise fornite dalle amministrazioni comunali, la regione Piemonte ha indicato la cifra necessaria per poter ripristinare la situazione antecedente: circa 700-800 milioni di euro. Il Governo, con un emendamento al decreto-legge fiscale approvato nei giorni scorsi al Senato, ha accolto la richiesta, stanziando in tre anni circa 80 milioni di euro che, aggiunti a quelli già stanziati dalla regione Piemonte e ai 20 precedenti dal Dipartimento della protezione civile, ha, lo ripeto, fissato in 80 milioni la cifra che potrà essere spesa nei prossimi anni.
Se la richiesta della regione Piemonte è di circa 700-800 milioni, se lo stanziamento indicato dallo Stato ad oggi è di 80 milioni, credo che occorra e sia necessario un ulteriore sforzo da parte del Governo, capace almeno di stanziare risorse che ripristino la situazione antecedente. Per poter fare questo, è importante dare una risposta affermativa ad un quesito che abbiamo inserito in questo ordine del giorno, che deve impegnare il Governo (ciò non è previsto nella manovra finanziaria), a far sì che questi Fondi debbano essere inseriti per legge nei bilanci dei comuniPag. 14come spesa straordinaria (altrimenti, il loro utilizzo li porterebbe al mancato rispetto del Patto di stabilità).
Quindi, la richiesta che formulo oggi al Governo, che è contemplata anche in altri ordini del giorno, è: occorre definire una situazione concreta che consenta ai comuni interessati di utilizzare le somme loro destinate per riparare i gravi danni subiti dal loro territorio. Tali risorse non debbono essere considerate con riferimento al Patto di stabilità. Questa è l'unica risposta concreta capace di venire incontro alle richieste precise avanzate dalla regione Piemonte e dalle province di Torino e di Cuneo. Inoltre, è al contempo una risposta concreta e capace di ripristinare la situazione precedente.
Credo che la necessità di far sì che il tema dell'alluvione non si ripeta, che lo Stato risponda in termini di efficacia e di efficienza e, soprattutto, che i territori colpiti ripristinino la situazione antecedente sia impellente e a tal proposito il Governo, accogliendo questo ordine del giorno, può fornire una risposta concreta alla domanda che sta salendo dalle amministrazioni comunali, dalle province di Torino, di Cuneo e dalla regione Piemonte (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. L'onorevole Bachelet ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/263.

Testo sostituito con errata corrige volante GIOVANNI BATTISTA BACHELET. Signor Presidente, l'ordine del giorno n. 9/1386/263 impegna il Governo a individuare, qualora si rivelasse necessario, provvedimenti normativi straordinari atti a garantire, sia nell'università che negli enti di ricerca, la possibilità tecnica di realizzare operazioni di reclutamento, stabilizzazione e promozione in misura adeguata all'auspicato ringiovanimento - auspicato dal Ministro, naturalmente - e in ogni caso sufficiente ad onorare gli impegni assunti dai precedenti Governi. Parlo dell'invecchiamento perché il Ministro, a più riprese, ha parlato del problema dell'invecchiamento del corpo docente dell'università, segnalando che il 47 per cento del corpo docente verrà pensionato nei prossimi cinque anni (dunque la metà) e che l'1 per cento degli ordinari e l'8 per cento degli associati ha meno di quarant'anni.
Con la serie di provvedimenti previsti dal decreto-legge in esame avremo il blocco del turnover al 20 per cento e questo, unito ai vincoli di budget delle università, vuol dire che per ogni otto pensionati se ne potrà riassumere uno. Con candore, qualche giorno fa, il Ministro ha dichiarato in un'intervista, che il blocco del turnover non è esclusivo dell'università e della ricerca, ma è per tutti. Vorrei ben vedere! Il punto è che, dopo le affermazioni del Ministro sul fatto che il corpo docente va ringiovanito, ci aspettavamo un rilancio delle assunzioni dei giovani; invece non solo il Ministro non è riuscito ad ottenere questo, ma neppure ad escludere l'università e la ricerca dal blocco del turnover. Il blocco del turnover, insieme alla previsione di metà dei docenti che verranno pensionati e alla riduzione sostanziale del Fondo di finanziamento ordinario è, secondo moltissimi osservatori, un decreto di condanna a morte per l'università e perfino per le fantomatiche fondazioni che l'articolo 16, in modo del tutto surrettizio, introduce come riforma totale del sistema universitario. Tale articolo che trasforma le università - o meglio: dà ad esse la facoltà di trasformarsi - in fondazioni, risulta inapplicabile e privo di copertura, come ho mostrato in altra sede. Vorrei qui ricordarne soltanto due commi che faranno sì che anche le fondazioni nasceranno morte: il comma 13, che implica per ricercatori e docenti la permanenza del trattamento economico e giuridico vigente, fino a data sconosciuta, e il comma 14, che dichiara la permanenza di tutte le disposizioni vigenti in ambito universitario anche per le fondazioni; quindi, anche per le fondazioni varranno le attuali regole di reclutamento, gli attuali requisiti minimi per i corsi di laurea, il blocco del turnover nelle assunzioni e così via. Dunque, anche queste fondazioni non potranno aiutarci.Pag. 15
Non è un caso che ieri, ad esempio, il rettore della Sapienza abbia indetto un'assemblea di tutto il personale. È un fatto che - credo - non accadeva dalla guerra; l'aula magna era piena, ero presente anch'io e vi erano duemila persone; non era «roba» di sinistra, perché tra i partecipanti ho visto anche il mio collega Gianvittorio Pallottino che parecchi anni fa è stato anche responsabile dell'università e della ricerca di Alleanza Nazionale. Del resto, leggevo su Il Secolo XIX, che non è un giornale propriamente comunista, un articolo di Franco Cardini che, qualche giorno fa, stroncava le implicazioni del decreto-legge n. 112 del 2008 sulle università, sostenendo anch'egli che si trattava di un vero bombardamento che non avrebbe lasciato altro che macerie. Dunque si sentono le prime urla bipartisan, perché la comunità universitaria rischia di essere colpita a morte.
Vorrei dire, visto che è cominciata una divertente campagna su Il Giornale, che il problema non è per i baroni come me, che sono già dentro, e nessuno di questi provvedimenti è capace di scalfire, meno che mai di licenziare; il problema è dei giovani, che da anni lavorano con contratti di ricerca a tempo determinato e non avranno nuovi concorsi: per molti altri anni non vi saranno nuovi concorsi da ricercatore e da associato. Chi altro urlerà? Urleranno i ricercatori idonei che non sono chiamati come associati, e urleranno gli studenti che avranno molte più tasse: la riduzione del FFO provocherà almeno il radoppio delle tasse; e ciò a fronte della metà dei professori, perché metà di essi andranno in pensione e nessuno li rimpiazzerà nei prossimi cinque anni...
GIOVANNI BATTISTA BACHELET. Signor Presidente, l'ordine del giorno n. 9/1386/263 impegna il Governo a individuare, qualora si rivelasse necessario, provvedimenti normativi straordinari atti a garantire, sia nell'università che negli enti di ricerca, la possibilità tecnica di realizzare operazioni di reclutamento, stabilizzazione e promozione in misura adeguata all'auspicato ringiovanimento - auspicato dal Ministro, naturalmente - e in ogni caso sufficiente ad onorare gli impegni assunti dai precedenti Governi. Parlo dell'invecchiamento perché il Ministro, a più riprese, ha parlato del problema dell'invecchiamento del corpo docente dell'università, segnalando che il 47 per cento del corpo docente verrà pensionato nei prossimi cinque anni (dunque la metà) e che l'1 per cento degli ordinari e l'8 per cento degli associati ha meno di quarant'anni.
Con la serie di provvedimenti previsti dal decreto-legge in esame avremo il blocco del turnover al 20 per cento e questo, unito ai vincoli di budget delle università, vuol dire che per ogni otto pensionati se ne potrà riassumere uno. Con candore, qualche giorno fa, il Ministro ha dichiarato in un'intervista, che il blocco del turnover non è esclusivo dell'università e della ricerca, ma è per tutti. Vorrei ben vedere! Il punto è che, dopo le affermazioni del Ministro sul fatto che il corpo docente va ringiovanito, ci aspettavamo un rilancio delle assunzioni dei giovani; invece non solo il Ministro non è riuscito ad ottenere questo, ma neppure ad escludere l'università e la ricerca dal blocco del turnover. Il blocco del turnover, insieme alla previsione di metà dei docenti che verranno pensionati e alla riduzione sostanziale del Fondo di finanziamento ordinario è, secondo moltissimi osservatori, un decreto di condanna a morte per l'università e perfino per le fantomatiche fondazioni che l'articolo 16, in modo del tutto surrettizio, introduce come riforma totale del sistema universitario. Tale articolo che trasforma le università - o meglio: dà ad esse la facoltà di trasformarsi - in fondazioni, risulta inapplicabile e privo di copertura, come ho mostrato in altra sede. Vorrei qui ricordarne soltanto due commi che faranno sì che anche le fondazioni nasceranno morte: il comma 13, che implica per ricercatori e docenti la permanenza del trattamento economico e giuridico vigente, fino a data sconosciuta, e il comma 14, che dichiara la permanenza di tutte le disposizioni vigenti in ambito universitario anche per le fondazioni; quindi, anche per le fondazioni varranno le attuali regole di reclutamento, gli attuali requisiti minimi per i corsi di laurea, il blocco del turnover nelle assunzioni e così via. Dunque, anche queste fondazioni non potranno aiutarci.Pag. 15
Non è un caso che ieri, ad esempio, il rettore della Sapienza abbia indetto un'assemblea di tutto il personale. È un fatto che - credo - non accadeva dalla guerra; l'aula magna era piena, ero presente anch'io e vi erano duemila persone; non era «roba» di sinistra, perché tra i partecipanti ho visto anche il mio collega Gianvittorio Pallottino che parecchi anni fa è stato anche responsabile dell'università e della ricerca di Alleanza Nazionale. Del resto, leggevo su Il Secolo d'Italia, che non è un giornale propriamente comunista, un articolo di Franco Cardini che, qualche giorno fa, stroncava le implicazioni del decreto-legge n. 112 del 2008 sulle università, sostenendo anch'egli che si trattava di un vero bombardamento che non avrebbe lasciato altro che macerie. Dunque si sentono le prime urla bipartisan, perché la comunità universitaria rischia di essere colpita a morte.
Vorrei dire, visto che è cominciata una divertente campagna su Il Giornale, che il problema non è per i baroni come me, che sono già dentro, e nessuno di questi provvedimenti è capace di scalfire, meno che mai di licenziare; il problema è dei giovani, che da anni lavorano con contratti di ricerca a tempo determinato e non avranno nuovi concorsi: per molti altri anni non vi saranno nuovi concorsi da ricercatore e da associato. Chi altro urlerà? Urleranno i ricercatori idonei che non sono chiamati come associati, e urleranno gli studenti che avranno molte più tasse: la riduzione del FFO provocherà almeno il radoppio delle tasse; e ciò a fronte della metà dei professori, perché metà di essi andranno in pensione e nessuno li rimpiazzerà nei prossimi cinque anni...

PRESIDENTE. La prego di concludere.

GIOVANNI BATTISTA BACHELET. ...urleranno i ricercatori in via di stabilizzazione negli enti di ricerca perché, benché esclusi dal blocco del turnover, anche gli enti di ricerca sono seriamente a rischio per l'articolo 74 del decreto-legge, che riduce gli assetti organizzativi. Rischiano quindi di saltare le stabilizzazioni previste dal precedente Governo per il 2009.
Dunque, senza interventi normativi straordinari sarà impossibile onorare gli impegni assunti dai precedenti Governi e meno che mai procedere al ringiovanimento che tanto sta a cuore al Ministro. Per questo motivo l'ordine del giorno impegna il Governo ad individuare provvedimenti normativi straordinari atti a garantire la possibilità tecnica di realizzare reclutamento, stabilizzazione e promozione nella misura adeguata al ringiovanimento auspicato (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. L'onorevole Farina Coscioni ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/106.

MARIA ANTONIETTA FARINA COSCIONI. Signor Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, la delegazione radicale del Partito Democratico ha il preciso obiettivo di concorrere per l'equità del nostro sistema di welfare (o di quello che ne sopravvive), di parlare delle risorse umane del nostro Paese e di come aumentare le forze lavoro, come indicato anche dalla strategia di Lisbona. Ciò vale per le donne italiane, per il potenziale sommerso di sei milioni di inattive fuori dal mercato del lavoro, per gli ammortizzatori sociali e per i milioni di outsider, di giovani donne e di over 58 fuori dal mercato del lavoro, o fermi uno, due, tre giri, o meglio giorni, mesi e anni per la difficoltà a trovare un'occupazione.
Nascono da questo senso del dovere e da questo paradigma per lo sviluppo gli ordini del giorno in materia di welfare e di previdenza. In particolare, quello che vi illustro verte sul sistema degli ammortizzatori sociali e rappresenta la testimonianza del nostro sostegno da sempre alla legge Biagi e dell'impegno che ci aspettiamo da parte di tutti per il suo completamento attraverso la creazione di ammortizzatori sociali, proprio come lo stesso Biagi voleva.
L'ordine del giorno testimonia, inoltre, come si può essere favorevoli alla flessibilità,Pag. 16alla dinamicità e alla competitività del mondo del lavoro ed essere proprio per questo ancora più convinti che la sintesi liberale passi per una visione che tuteli i cittadini, ma non imbrogli le imprese, che favorisca una mobilità nel mondo del lavoro, ma garantisca sicurezza a tutti i cittadini.
L'attuale sistema di ammortizzatori sociali quasi inesistenti è decisamente iniquo, in quanto solo il 28,5 per cento delle persone in cerca di lavoro e solo il 22,5 per cento dei disoccupati riceve un'integrazione al reddito. In Italia, su cento disoccupati poco meno di un quarto riceve un sussidio, mentre i restanti tre quarti devono arrangiarsi come possono. Ma anche fra quanti hanno il privilegio di ricevere un sussidio di disoccupazione, si registra un'ulteriore ingiustizia tra chi appartiene alle categorie privilegiate. C'è chi riceve un sussidio che copre l'80 per cento dell'ultima retribuzione per un periodo che può essere prorogato anche fino a sei anni, mentre c'è chi deve accontentarsi per sei mesi del 50 per cento dell'ultimo stipendio e per il settimo mese del 40 per cento.
È nostro desiderio e speriamo presto intenzione e azione politica del Governo porre rimedio a tutto ciò. Vogliamo gradualmente eliminare un sistema iniquo come quello attuale e proporre un sistema di welfare to work, un modello inglese che garantisce un unico ammortizzatore sociale esteso a tutte le categorie dei lavoratori che, a fronte di un sussidio erogabile nei periodi di inattività, riqualifica il disoccupato con la formazione continua, garantendo un rapido reinserimento del cittadino nel mercato del lavoro. Si tratta di un sistema di ammortizzatori sociali regolato secondo le pratiche del welfare to work, che consente di aumentare le forze lavoro del nostro Paese e di spendere meno di quanto non si spenda oggi, dando corso finalmente alla sana e positiva flessibilità che può essere un volano per la crescita del Paese e rendere più dinamico il mercato del lavoro italiano.
Un primo passo sarebbe già possibile semplicemente dando corso ad un'eredità positiva del precedente Governo che ci auguriamo vogliate raccogliere, essendo un'urgenza improcrastinabile per il nostro Paese e tematica assolutamente bipartisan, proprio perché nell'interesse dei cittadini italiani. Si potrebbe far attuare la delega prevista dalla legge 24 dicembre 2007, n. 247 per la riforma degli ammortizzatori sociali, al fine di creare uno strumento unico e indirizzato al sostegno del reddito e al reinserimento lavorativo dei soggetti disoccupati senza distinzione di qualifica, appartenenza settoriale, dimensione di impresa e tipologia di contratti di lavoro, proprio come previsto dalla delega stessa.
È urgente e necessario occuparsi degli esclusi dal mondo del lavoro, dei dimenticati dal welfare e dei nuovi ultimi. Su questi argomenti chiediamo un'attenzione maggiore del Governo e anche della stessa opposizione, perché le riforme vere si realizzano solo valutando tutte le strade percorribili e dialogando. È quello che stiamo provando a fare, riportando al centro del dibattito politico e parlamentare gli ultimi, coloro che sono a rischio povertà in Italia e coloro che sono sempre più esposti ai rischi provocati da un sistema Paese ingessato e sprecone.
Donne, giovani e over 58: nutriamo il legittimo sospetto di avere un ampio mercato di non garantiti, ai quali proporre soluzioni economiche liberali che migliorino la vita della società, e auspichiamo di alimentare un dibattito politico che non escluda nessuna via e che approfitti della chance di poter fare qualcosa di importante per l'esercito degli outsider in questa legislatura.

PRESIDENTE. L'onorevole Rossa ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/17.

SABINA ROSSA. Signor Presidente, onorevole rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, la legge finanziaria per il 2008 ha istituito, tra gli altri dedicati allo sport, un Fondo di dieci milioni di euro per il sostegno alla promozione degli eventi sportivi internazionali calendarizzati in Italia nei prossimi anni. TalePag. 17Fondo, nel 2007, ha già cofinanziato ben cinquantadue eventi e manifestazioni relativi a numerose e differenti discipline (sport e famosi e meno famosi), contribuendo significativamente a promuovere una cultura della programmazione e del cofinanziamento.
Il decreto-legge in esame sulla manovra di bilancio non prevede nuovi Fondi per finanziare progetti da destinare all'educazione della popolazione giovanile e alla tutela della salute attraverso lo sport. Constatiamo, di fatto, che il settore dello sport è stato fortemente penalizzato e, con il decreto-legge che regola l'ICI, ha subito pesanti tagli e decurtazioni per l'intero triennio 2008-2010.
Si tratta di un fatto grave e va detto che tutto ciò contraddice in pieno quanto - anche di positivo e di condivisibile - è stato espresso, nell'audizione in Commissione cultura, dal sottosegretario di Stato con delega per lo sport, l'onorevole Rocco Crimi, che ci ha presentato lo sport come un fenomeno sociale ed economico di assoluta priorità, la cui importanza è pienamente riconosciuta dall'attuale Governo. La sua relazione fa riferimento alle indicazioni europee, alla dichiarazione di Nizza del 2000 (con la quale il Consiglio europeo ha indicato le caratteristiche specifiche e le funzioni dello sport da realizzare nell'attuazione delle politiche comuni) e al Libro bianco sullo sport, presentato nel 2007 dalla Commissione europea, che ha evidenziato soprattutto il ruolo sociale e la dimensione economica dello sport in Europa.
Lo sport è attualmente oggetto di numerose politiche comunitarie che promuovono la parità di accesso, da parte delle donne e degli uomini, all'attività sportiva a tutti i livelli, che promuovono la formazione dei giovani, la tutela della salute degli sportivi, la lotta contro il doping e contro la violenza e le manifestazioni razziste e xenofobe.
Il sottosegretario Crimi ha sottolineato come le politiche nazionali in materia sportiva debbano muoversi in armonia e coerenza con il quadro delineato a livello europeo. Una posizione - quella del sottosegretario - certamente condivisibile: in particolare, il riferimento al Libro bianco sullo sport può trovare ulteriori spunti di interesse nella Risoluzione approvata dal Parlamento europeo l'8 maggio 2008. Al punto 45 della Risoluzione si sottolinea che lo sport è uno degli strumenti più efficaci per l'integrazione sociale e dovrebbe essere promosso e sostenuto, ad esempio, attraverso programmi speciali destinati agli organizzatori di eventi sportivi e ricreativi livello europeo, nazionale e locale, eventi sportivi che promuovano l'integrazione e coinvolgano i disabili, ricordando che, nel quadro dell'anno europeo del dialogo interculturale 2008, si dovrà accordare particolare attenzione al ruolo dello sport quale luogo per eccellenza della coesistenza interculturale, nonché quale elemento costitutivo del dialogo e della cooperazione con i Paesi terzi.
Nel nostro Paese lo sport è un fenomeno sociale diffuso. Sono oltre 17 milioni gli italiani che lo praticano o che dichiarano di praticarlo, pari al 30,2 per cento, con un fortissimo impatto socio-culturale. Lo sport rappresenta un forte veicolo di valori sociali, educativi e culturali ed ha una capacità di penetrazione formidabile in tutti gli strati sociali, soprattutto fra i giovani.
Nella sua relazione, il sottosegretario Crimi ha sottolineato che lo sviluppo di strategie volte a incentivare e a promuovere l'attività fisica e sportiva costituisce un obiettivo prioritario dell'attuale Governo. Ci piacerebbe che alle parole seguissero i fatti, perché il fatto che l'onorevole Crimi abbia ricordato che l'articolo 90 della legge finanziaria per il 2003 - dedicato al sostegno dell'attività sportiva dilettantistica e dei soggetti promotori - è stato approvato dalla Commissione bilancio all'unanimità, dà la dimostrazione che si possano davvero trovare larghe intese nelle politiche di sostegno allo sport in Italia. Tutti possiamo essere concordi anche sul fatto che investire nello sport - e in particolare negli eventi sportivi - può essere (cito ancora l'onorevole Crimi) la dimostrazione di una «lungimirante strategia di riqualificazione territoriale, lePag. 18cui implicazioni coinvolgono diversi settori economici quali il turismo, i trasporti, l'edilizia e l'offerta alberghiera, nonché quella manifatturiera e commerciale, che si sviluppano come conseguenza fisiologica».
Con questo ordine del giorno, chiedo, quindi, al Governo di considerare tra le priorità il sostegno allo sport e di provvedere, nel corso del prossimo esercizio finanziario, allo stanziamento di ulteriori fondi, volti a promuovere nel nostro Paese importanti eventi sportivi (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. L'onorevole Siragusa ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/256.

ALESSANDRA SIRAGUSA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevoli rappresentanti del Governo, siamo molto preoccupati per quanto sta per accadere al nostro sistema scolastico. Siamo preoccupati non, come si vuol far credere, perché saremmo arcaici difensori dello status quo, ma perché siamo di fronte ad una vera e propria riforma. È una riforma pensata dal Ministro dell'economia e delle finanze al solo scopo di ridurre drasticamente la spesa, senza poterne discutere in Aula e in Commissione, nelle scuole e nelle associazioni con i sindacati, senza sperimentazione, senza approfondimento, senza pubblicità, mentre il Paese è in vacanza.
Verrà modificato l'intero sistema scolastico: i criteri per la formazione delle classi, i curricula, i piani di studio, i quadri orari di tutti gli ordini e di tutti tipi di scuola, i criteri e i parametri per gli organici, le classi di concorso, l'assetto dei centri di istruzione per adulti e dei corsi serali.
Tutto questo non può prescindere da una seria e approfondita verifica di sostenibilità da parte delle istituzioni scolastiche, per evitare che vengano compromessi i livelli minimi di funzionalità. Temiamo fortemente che la trasformazione in legge di questo decreto-legge dia il colpo di grazia ad un sistema che ha resistito in tutti questi anni anche in condizioni davvero difficili.
Infatti, ritenere, come fa il Ministro Gelmini, che la scuola sia stata un ammortizzatore sociale e che, quindi, i docenti, precari e non, siano lavoratori socialmente utili, cui lo Stato passa un inutile sussidio, o far finta di non capire, come fa l'onorevole Bossi, che al nord pochi vogliono fare gli insegnanti, perché ritengono di avere più appetibili prospettive di successo, e che senza i docenti del sud le scuole al nord non potrebbero funzionare significa non capire nulla di scuola e, in particolare, della scuola italiana.
Significa non comprendere neanche la grande intuizione dell'Europa, ossia quella di modernizzare radicalmente l'economia per essere competitivi nei riguardi delle grandi economie mondiali. Quando l'Europa scommette sulla possibilità di diventare l'economia della conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, indica nei sistemi di istruzione e formazione lo strumento principe di tale trasformazione.
La nuova società basata sulla conoscenza - cito dai documenti del Consiglio europeo - offre un immenso potenziale per ridurre l'esclusione sociale. Essa comporta, nel contempo, il rischio di un divario sempre più ampio tra coloro che hanno accesso alle nuove conoscenze e quanti ne siano esclusi. Per evitare tale rischio e valorizzare appieno questo nuovo potenziale, occorre compiere sforzi per migliorare le competenze e promuovere un maggiore accesso alle conoscenze e all'opportunità.
Cito la relazione del Consiglio dei ministri dell'istruzione, della gioventù e della cultura dell'Unione europea del 2001: «le conoscenze non potranno più essere considerate un'acquisizione definitiva, come avveniva un tempo. L'apprendimento lungo tutto l'arco della vita costituirà un requisito essenziale per continuare ad avere una buona quotazione sul mercato del lavoro».
L'istruzione e la formazione costituiscono i mezzi strutturali attraverso i quali la società può aiutare i propri cittadini ad avere un accesso più equo alla prosperità e a modalità decisionali democratiche. L'accesso all'aggiornamento delle competenzePag. 19lungo tutto l'arco della vita diventa, quindi, un elemento chiave nella lotta contro l'esclusione sociale e nella promozione delle pari opportunità, nel senso più ampio del termine.
Per questo l'ordine del giorno che illustro impegna il Governo a tenere conto degli obiettivi di Lisbona, in particolare nella rimodulazione dei centri di educazione per gli adulti. La legge finanziaria ha riorganizzato già i centri territoriali permanenti e i corsi serali su base provinciale, attribuendo loro autonomia amministrativa, organizzativa e didattica, con il riconoscimento di un proprio organico, distinto da quello degli ordinari percorsi scolastici. Ciò proprio in funzione del raggiungimento degli obiettivi europei.
Vi sono, infatti, ancora troppi adulti con uno scarso livello di alfabetizzazione, persone che hanno lasciato precocemente la scuola e che non fanno più ricorso alle loro conoscenze ormai da tempo. Questa mancanza di competenza che li esclude da un già difficile mondo del lavoro ha un forte impatto sulla situazione economica, la salute e il benessere sociale, sia dei singoli che delle famiglie e della comunità. Per non parlare dell'importanza dei centri per l'integrazione degli stranieri che sono frequentati per imparare la nostra lingua e per accrescere le competenze.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

ALESSANDRA SIRAGUSA. Investire nell'educazione lungo tutto l'arco della vita è, quindi, fondamentale. Chiediamo allora al Governo di tenerne conto nelle scelte che andrà ad operare così come chiediamo che tenga conto degli altri indicatori individuati dal Consiglio europeo: dall'abbandono scolastico, alle competenze minime, all'innalzamento dei livelli di istruzione (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. L'onorevole Recchia ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/97.

PIER FAUSTO RECCHIA. Signor Presidente, con il presente ordine del giorno n. 9/1386/97 si intende richiamare l'attenzione del Governo sugli effetti che la manovra finanziaria potrebbe avere sull'organizzazione delle nostre Forze armate con particolare riguardo all'impatto che la stessa produce sul reclutamento dei militari.
Come è noto le Forze armate italiane sono organizzate sulla base di un modello fondato sul reclutamento volontario, detto con qualche approssimazione professionale, istituito con legge 14 novembre 2000, n. 331 e definito con decreto legislativo n. 215 del 2001, che fissa il numero dei militari previsti in servizio presso l'Esercito italiano, la Marina militare e l'Aeronautica militare, in 190 mila unità. È utile ricordare da subito che a tale riorganizzazione delle Forze armate si era giunti attraverso un'analisi profonda guidata dalla coerenza tra obiettivi, esigenze e risorse, con un'ampia partecipazione e coinvolgimento del Parlamento.
La manovra finanziaria sulla quale avete chiesto la fiducia del Parlamento - ne faccio solo un cenno - dispone un taglio del reclutamento che riduce le risorse previste per il modello professionale del 7 per cento per l'anno 2009 e del 40 per cento a decorrere dall'anno 2010 e, comunque, da tale attuazione devono conseguire economie di spesa per un importo non inferiore a 304 milioni di euro a decorrere dall'anno 2010. Risulta evidente come tale riduzione rimetta in discussione tutto il quadro di alimentazione del nostro strumento militare sia per quanto riguarda le nuove assunzioni, ovvero i nuovi arruolamenti, sia per la possibilità di transito in servizio permanente degli attuali volontari in rafferma da cinque a sette anni (i cosiddetti VFB) e di quelli di cui era già pianificata la stabilizzazione a partire dal 2012 (VFP4).
Oggi abbiamo in servizio solo 187 mila unità, ovvero tremila unità al di sotto dei volumi previsti dalla legge, e per effetto della norma approvata dalla maggioranza i reclutamenti saranno destinati a diventare pressoché nulli a partire dal 2010. Tra i tanti effetti negativi, non ultimo quello legato al deperimento della funzione diPag. 20formazione svolta attraverso le accademie e le scuole militari delle Forze armate che si vedrebbe svuotata, si produrrà un invecchiamento del personale militare con riflessi immediati sulla capacità dello strumento nei suoi assetti operativi, che sono condizionati dal requisito anagrafico del personale di cui esso può disporre.
Alla luce di quanto sottolineato appare chiaro come i tagli producano effetti sulla realizzazione del «modello 190 mila», che a giudizio del Capo di Stato maggiore della difesa, generale Camporini - come ci ha esposto in Commissione la settimana scorsa - si era mostrato efficace e capace di rispondere a tutte le esigenze, anche nella sua fase di trasformazione, sia dal punto di vista della quantità del personale impiegato che della qualità dell'attività operativa svolta. La manovra dunque mette in crisi la coerenza di questo modello.
Affinché un modello tenga e venga realizzato completamente è necessario che risulti un equilibrio tra obiettivi e risorse a disposizione ovvero che tra le due variabili vi sia una congruità; lo voglio ripetere: è indispensabile un corretto rapporto tra risorse complessive messe a disposizione e compiti affidati allo strumento militare dallo Stato. Pertanto delle due l'una, o il Governo ritiene che le risorse messe fino a ora a disposizione dello strumento militare siano eccessive, allora lo deve dire e spiegare che siamo di fronte ad un tentativo specifico di razionalizzazione della spesa, oppure eccessivi sono gli obiettivi e allora il Governo venga in Parlamento ad affermare con chiarezza quali impegni intende ridimensionare o abbandonare.
Gli obiettivi di cui parliamo, infatti, non sono obiettivi qualsiasi ma quelli fondamentali che assicurano la difesa del nostro Paese da rischi esterni e la proiezione dei nostri contingenti militari all'estero per svolgere la propria parte - quella dell'Italia - al fine di costruire un mondo pacificato.
Questo è il rilievo di ciò di cui stiamo discutendo. Oggi invece si procede ad una modifica implicita dello strumento militare, a partire unicamente dall'esigenza di fare risparmio senza che questa sia accompagnata da un ragionamento complessivo.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

PIER FAUSTO RECCHIA. Noi riteniamo che nel campo della difesa questo approccio sia sbagliato ed altamente rischioso e, viceversa, vorremmo avviare una riflessione profonda sulla funzione e sui compiti che devono svolgere le nostre Forze armate, sia per quel che riguarda la difesa del territorio nazionale, sia per il ruolo che esse svolgono sullo scenario internazionale, nel rispetto di quella idea di responsabilità condivisa che ci fa scegliere di contribuire alla sicurezza del mondo e che fa della difesa anche un prezioso strumento di politica estera per il nostro Paese.

PRESIDENTE. Deve concludere.

PIER FAUSTO RECCHIA. L'ordine del giorno in discussione - concludo Presidente - ha come obiettivo quello di impegnare il Governo ad adottare provvedimenti che consentano di portare a compimento il modello professionale così come previsto dalla legge. Se invece, come appare, s'intende condizionare lo strumento militare tagliando le risorse, in particolare quelle destinate al reclutamento, allora il Governo si impegni a venire in Parlamento con uno specifico provvedimento che permetta di avviare quella necessaria riflessione, a cui ho fatto riferimento, che parta dagli obiettivi e sia in coerenza con le risorse finanziarie a disposizione. Per quanto detto chiediamo al Governo di assumere questo impegno accogliendo l'ordine del giorno che ho appena illustrato (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. L'onorevole Codurelli ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/40.

LUCIA CODURELLI. Signor Presidente, l'ordine del giorno di cui sono primaPag. 21firmataria riguarda il part-time, in quanto siamo preoccupati che questa manovra possa in qualche modo modificare ulteriormente o peggiorare in particolare la situazione dell'occupazione femminile, visto che gli ultimi dati OSCE confermano quanto sapevamo già: l'Italia continua ad essere maglia nera per quanto riguarda l'occupazione femminile. Si tratta di un indice di significativa arretratezza del nostro Paese in Europa e del nostro scarso contributo alla costruzione della società e dell'economia della conoscenza e al superamento delle discriminazioni di genere.
L'Italia si colloca all'ottantaquattresimo posto ed è il Paese europeo con il più basso indice di occupazione femminile, con differenze rilevanti tra il sud, il centro e il nord. Siamo undici punti sotto la media europea, mentre secondo l'agenda di Lisbona dovremmo arrivare al 60 per cento entro il 2010, inoltre una donna su cinque è costretta al lasciare il lavoro quando nasce il primo figlio. Questo è uno dei principali problemi, a nostro avviso, che determinano la bassa natalità.
Vi è la necessità della promozione del lavoro femminile per la crescita e per lo sviluppo del Paese. Il PD lo ha definito, nel proprio programma, l'asse dello sviluppo. Deve diventare uno degli aspetti più significativi dell'innovazione e della cultura politica di Governo. Occorre innescare un circolo virtuoso fra occupazione femminile, consumi, e investimenti, producendo una crescita del PIL. L'esperienza degli altri Paesi dimostra infatti che più occupazione femminile significa maggiore serenità nelle famiglia, più nascite, più investimenti in servizi (perché crescono domanda e bisogno) e diminuzione del numero dei bambini che vivono in povertà.
Donne più istruite dei loro coetanei maschi non possono continuare ad essere mortificate nella loro capacità e restare indietro nel mercato del lavoro e nella carriera, così come il Paese non può continuare a privarsi dei loro talenti e del loro sapere, pena il blocco della crescita dello sviluppo generale. Signor rappresentante del Governo, vorrei che dedicasse l'attenzione anche all'occupazione femminile... forse meno importante.

PRESIDENTE. Onorevole La Loggia, non distragga il sottosegretario.

LUCIA CODURELLI. Sarebbe una miopia non più tollerabile, considerati i primi provvedimenti del Governo Prodi: il bollino rosa, gli incentivi fiscali alle imprese del sud che promuovono le donne, un piano straordinario dei nidi e servizi. Ora con questo Governo registriamo una frenata incredibile, soltanto arretramenti, come la cancellazione della legge per evitare le dimissioni in bianco che riguardano soprattutto donne giovani, maggior precarizzazione del lavoro, nessun incentivo fiscale, niente sulla conciliazione, anzi penalizzazione del lavoro femminile, come la detassazione sugli straordinari ha ben prodotto.
Per la destra la promozione dell'occupazione femminile non esiste, infatti il disegno di legge di conversione in legge del decreto in oggetto, oltre a non promuovere il lavoro delle donne contiene una misura, all'articolo 73, che tende a ridurre il ricorso al part-time, limitandone l'applicazione al fine di subordinarne la concessione alla valutazione discrezionale dell'amministrazione.
Questo è gravissimo, in quanto sono soprattutto le donne lavoratrici che ricorrono all'alternativa dell'orario di lavoro a tempo parziale, al fine di conciliare l'onere della cura del lavoro domestico con la presenza sui luoghi di lavoro. Ritengo che questo accada in assenza di un'adeguata rete di servizi sociali: infatti, il lavoro in famiglia, ancora oggi, è pagato soprattutto dalle donne che devono rispondere ai bimbi e agli anziani.

PRESIDENTE. La invito a concludere, onorevole Codurelli.

LUCIA CODURELLI. Inoltre, spesso - voglio sottolinearlo concludendo - il ricorso al part-time è volto ad assicurare un'adeguata qualità della vita anche ai malatiPag. 22oncologici che non può limitarsi alla cura e al sostegno psicologico ma deve estendersi anche alla vita professionale, soprattutto favorendo la modulazione dei tempi di lavoro e la conciliazione con le esigenze e l'inserimento nella pienezza della vita attiva.
Ecco perché, dunque, con l'ordine del giorno n. 9/1386/40 chiediamo che il Governo vigili affinché sul part time non ricada un'ulteriore limitazione in questo senso (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. L'onorevole Iannuzzi ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/21.

TINO IANNUZZI. Signor Presidente, l'ordine del giorno n. 9/1386/21 è l'occasione per una riflessione su un tema di assoluta rilevanza, che riguarda non soltanto il comparto delle infrastrutture ma più in generale il tema dello sviluppo economico e produttivo di una vasta area del Paese come il Mezzogiorno, non in un'ottica territoriale e circoscritta o in qualche misura di parte ma, invece, con un autentico respiro di interesse nazionale, nella persuasione e nel convincimento che lo sviluppo del Mezzogiorno è legato in un tutto inscindibile con lo sviluppo e la crescita del Paese.
L'evoluzione del Mezzogiorno è funzionale e serve a consentire a tutto il Paese di raggiungere ritmi economici, sociali e produttivi più alti. Deve esservi la consapevolezza che l'attenzione decisamente maggiore e assolutamente diversa da quella dimostrata nei confronti del sud nei primi atti di questo Governo e che noi chiediamo per il Mezzogiorno è un tutt'uno con la sfida per la modernizzazione del Paese, è un tutt'uno con la sfida per l'innovazione della politica per il profondo rinnovamento delle classi dirigenti.
Proprio tale consapevolezza ci induce a riflettere, da un lato, sui recenti dati del rapporto Svimez per l'anno 2008, che testimoniano un quadro di indicatori di grande preoccupazione per il Mezzogiorno del Paese. Ne basti uno solo per tutti: l'indice di tendenziale e crescente impoverimento delle famiglie nel Mezzogiorno è praticamente nel rapporto di uno a due rispetto a quanto avviene nelle aree del centro e del nord del Paese. È un dato che esige una politica forte, attiva e attenta, assolutamente diversa da quella che abbiamo visto delinearsi nelle prime scelte di questo Governo. Con molta franchezza, siamo di fronte ad una politica ostile, nettamente ostile, una politica di chiusura e di arretramento nelle scelte dello Stato verso il Mezzogiorno del Paese.
Il Governo pensa di eliminare l'ICI sulla prima casa con un provvedimento i cui effetti economici si faranno sentire soprattutto per le famiglie del centro-nord, che riceveranno in media un beneficio annuo all'incirca di 300 euro nelle grandi aree urbane e metropolitane del centro-nord rispetto ad un effetto economico sulle famiglie del sud che non supererà i 50 euro.
Ebbene, la copertura finanziaria dell'ICI per circa due miliardi va a carico dei fondi già destinati per il sud. Cadono così le destinazioni dei fondi e dei finanziamenti già destinati al ponte sullo stretto di Messina e che giustamente noi avevamo riservato ad altra finalizzazione: infatti, li avevamo destinati per alcune infrastrutture essenziali di Sicilia e Calabria, le metropolitane leggere di Palermo e Messina, l'autostrada Agrigento-Caltanissetta, i lotti della statale ionica 106, la tangenziale di Reggio Calabria. Ebbene, tutte queste risorse vengono sottratte al sud e alle sue infrastrutture e vengono spostate per coprire l'eliminazione dell'ICI sulla prima casa, così come altri 500 milioni di euro già riservati ad infrastrutture viarie, stradali e autostradali, della Calabria e della Sicilia.
Intervenite, inoltre, sul credito di imposta, ne eliminate il carattere di automaticità che avevamo previsto nella scorsa legislatura, il sostanziale riallineamento per le domande in qualche misura eccedenti i fondi occorrenti e, quindi, ne riducete anche le risorse, ne rallentate notevolmente il ritmo e l'erogazione, ne restringete l'ambito.Pag. 23
E ancora, nelle priorità per le infrastrutture vi è pochissimo spazio per il Mezzogiorno, e da questo punto di vista voglio anche sottolineare al rappresentante del Governo almeno questo: serve un impegno ben diverso dalle enunciazioni formali, dai faticosi rattoppi che avete posto in essere nel DPEF per quanto riguarda la linea ad alta capacità ferroviaria Napoli-Bari, per realizzare - questo sì - un vero ponte infrastrutturale che congiunga le due aree metropolitane del Mezzogiorno, in un diretto e lineare collegamento con l'area metropolitana romana.
Noi siamo per l'identificazione di chiare, poche, rigorose e precise priorità, per le infrastrutture al sud, nel centro e nel nord del Paese, perché servono la Brebemi e la Pedemontana, ma serve anche la Napoli-Bari e serve il finanziamento integrale dell'autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria. Anche per questa opera, con l'operazione del ponte sullo stretto di Messina, vi avviate a ritardare, in un tempo indefinito e indeterminato, l'erogazione dei 2 miliardi e 200 milioni di euro che ancora occorrono per il completamento del progetto.
Vi chiediamo di intervenire con forza e con determinazione. Vi presseremo e vi incalzeremo, nelle aule e nel Paese, nel convincimento che quella del Mezzogiorno è sfida di grande e vero interesse nazionale, di grande e vero rinnovamento della politica e della vita pubblica (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. L'onorevole Pezzotta ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/171.

SAVINO PEZZOTTA. Signor Presidente, onorevoli colleghi e onorevole rappresentante del Governo, nel suo intervento di giovedì scorso il Ministro dell'economia e delle finanze, onorevole Tremonti, nel presentarci le sue considerazioni sulla manovra economica del Governo, ha voluto estendere il suo intervento a un campo più generale: ci ha dato la sua interpretazione di quanto sta accadendo nell'economia globale. Tra le molte cose che ci ha spiegato, ci ha detto con chiarezza che il mondo è radicalmente cambiato e di come, attraverso l'aumento dei prezzi, in particolare del petrolio, sia in atto un passaggio di ricchezza dall'Occidente verso altre parti del mondo. E, per togliere ogni sguardo buonista sulla globalizzazione, ha aggiunto che non possiamo dire che l'effetto è redistributivo in senso positivo, poiché quel «pompaggio» - ha continuato il Ministro - va a favore di entità e strutture che non sono propriamente definibili come umanitarie e democratiche e che vanno comunque a danno drammatico e verticale della parte più povera del mondo.
Vi è stato un periodo in cui molti economisti, operatori economici e politici sostenevano che salvaguardare ed espandere la globalizzazione fosse la soluzione migliore contro la povertà e contro l'insicurezza. Ora però questa prosopopea è in via di dissolvenza, lasciando spazio a dubbi, interrogativi e scetticismi, soprattutto sulla piega assunta dalla globalizzazione finanziaria. A fronte di tali processi, che inquietano tutti e nei confronti dei quali si stanno cercando strumenti di intervento, l'onorevole Ministro ha voluto precisare che, in un momento in cui è fondamentale agire localmente ma anche pensare globalmente, non possiamo pensare che la politica si riduca ad una prassi specifica: dobbiamo tentare di avere una visione generale.
Essendo anch'io convinto, come il Ministro, che non si dà una buona prassi politica senza una visione generale, vorrei anche aggiungere che è però dalla prassi, dagli atti concreti e dalle decisioni che si assumono, che si rilevano gli elementi più profondi della visione generale che si vuole mettere in campo. Ed è in virtù di ciò che vorrei qui sottolineare che tra le affermazioni di metodo avanzate dal Ministro Tremonti - cioè quelle sull'analisi delle grandi trasformazioni del mondo e la denuncia dell'iniquità in cui viene distribuita oggi la ricchezza che si produce - e i provvedimenti assunti dal Governo con il decreto n. 112 del 2008 vi siano evidenti dicotomie, o perlomeno si evidenzia una visionePag. 24generale che non possiamo condividere, soprattutto quando - ed è il tema dell'ordine del giorno in esame - si decide di ridurre i finanziamenti alla cooperazione internazionale dell'Italia con i Paesi deboli ed impoveriti.
La consapevolezza che ci troviamo di fronte a processi inediti non ci deve consegnare a forme più o meno larvate di egoismo quando, invece, sarebbe necessaria una visione politica generale più ampia. Gli eventi recenti hanno posto sul campo molti problemi inaspettati e, ancora una volta, è entrata in crisi l'idea di un progresso che avanza linearmente. La campagna presidenziale negli Stati Uniti ha evidenziato quanto sia fragile il consenso al libero scambio e come le propensioni protezionistiche siano sempre in agguato. La crisi dei mutui ha dimostrato come la mancanza di coordinamento a livello internazionale sia in grado di acuire la fragilità implicita dei mercati finanziari. L'incremento dei prezzi dei prodotti alimentari ha messo in mostra l'aspetto negativo dell'interdipendenza economica, quando non è accompagnata da meccanismi di trasferimento e di compensazione.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

SAVINO PEZZOTTA. Credo che questi siano gli elementi sui quali dovremmo riflettere. Pertanto, è necessario riflettere con attenzione sulle motivazioni per cui il nostro Paese operi in modo contrario a quello che, invece, sarebbe utile e necessario. Mentre ci attendiamo - anche sulla linea di quanto ha affermato il Ministro Frattini - una buona legge sulla cooperazione e che sia rilanciata la cooperazione bilaterale, con il decreto-legge in esame, all'articolo 60, comma 11, si stabilisce che l'aiuto pubblico alla cooperazione sia ridotto di 170 milioni di euro annui, a decorrere dal 2009. In pratica, nel 2011 la cooperazione internazionale potrà disporre solo di 393 milioni di euro...

PRESIDENTE. Deve concludere.

SAVINO PEZZOTTA. ...in un momento in cui si mette a disposizione la città di Milano per l'Expo 2015, intitolata «Sfamare il mondo», e ci si prepara all'appuntamento del prossimo G8 (che si terrà nel 2009 presso l'isola de La Maddalena), in cui si discuterà, tra l'altro, dei problemi africani. Siamo, altresì, inadempienti per quanto riguarda tutti gli obiettivi del millennio, di cui pure il nostro Paese è firmatario. Ecco il motivo per cui riteniamo che occorra ripristinare, invece, l'aiuto ai Paesi e alla cooperazione.
Pertanto, chiediamo al Governo - e vogliamo che l'ordine del giorno in oggetto sia sostenuto da quest'Assemblea - d'impegnare i finanziamenti esistenti nel Fondo rotativo, di cui all'articolo 6 della legge n. 49 del 1987; a valutare con chiarezza gli effetti derivanti dall'articolo 60, comma 11, allo scopo di reintegrare gli stanziamenti in favore dei Paesi in via di sviluppo ridotti dal presente decreto-legge; a valutare le modalità e i tempi per definire misure di cui ai punti indicati nel nostro ordine del giorno.
Credo che rispondere a ciò, sia un modo per esprimere una presenza nuova del nostro Paese nella dimensione internazionale, per contribuire alla governance della globalizzazione e per esprimere quali sono i valori, il radicamento e le radici del nostro Paese che, sicuramente, non sono quelle che qui sono state presentate (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).

PRESIDENTE. L'onorevole Mosella ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/52.

DONATO RENATO MOSELLA. Signor Presidente, onorevoli colleghi e colleghe, signori del Governo, questo ordine del giorno vuole evitare una forma di strumentalizzazione, che pure è facile, visto l'argomento. Il decreto-legge in oggetto, all'articolo 81, prevede l'istituzione di un fondo destinato agli acquisti di generi alimentari e al soddisfacimento delle esigenze primarie per le categorie più disagiate.
Si è scritto molto in questi giorni sul tema. Con l'ordine del giorno in discussione, vorremmo accendere una luce sulPag. 25l'argomento. Vorremmo mettere in evidenza, infatti, come il Governo, in questa circostanza, in maniera anche alquanto sorprendente, si stia muovendo in modo disordinato. Abbiamo ascoltato in Commissione i diversi Ministri che si occupano dell'ambito sociale e sanitario; abbiamo preso atto delle loro buone intenzioni e, negli interventi che ne sono seguiti, vi sono state anche attestazioni positive da parte nostra. È chiaro però che, di fronte a provvedimenti di questo tipo, anche le migliori intenzioni di un'opposizione costruttiva vengono a mancare.
Il testo del decreto-legge in esame, all'articolo 81, comma 29, recita che il fondo successivamente può essere destinato anche ad esigenze energetiche e sanitarie. Quel «successivamente» la dice lunga su come sia concepito l'argomento e quale sia l'approccio che il Governo ha sui temi della marginalità, ponendo in essere quasi una sorta di graduatoria tra le esigenze primarie delle persone, per cui quelle relative alla salute sono meno importanti di altre.
La sensazione che abbiamo forte, ci sia consentito di sottolinearlo, è che si tratti di un approccio in ordine sparso, senza un filo conduttore e su simili temi crediamo si tratti di un errore molto grave. Per un Paese che voglia dirsi evoluto - tanto più che siede al tavolo del G8 ed ha una serie di responsabilità - ragionare di correttivi in termini di una carta dei poveri non vuol dire varare una politica sociale ma semplicemente concedere una forma di elemosina. È qualcosa di umiliante - ci sia consentito dirlo - non tanto per chi, spinto dal bisogno, l'elemosina è costretta ad accettarla, quanto per chi, in questo modo, ritiene di mettersi a posto la coscienza. Vorremmo che fosse, in queste ore, messo in evidenza quanto ciò sia umiliante per l'immagine del nostro Paese, il quale, con tale misura, proclama qual è la bussola che lo guida e dice che è tarata sull'egoismo sociale piuttosto che sul senso di solidarietà e si allontana dall'essere un Paese moderno. Eppure non mancherebbero gli indicatori dei settori più bisognosi di intervento e delle criticità che gravano sulle giovani generazioni e sulle famiglie, che sono oltretutto ben note al Parlamento.
L'onorevole Lucà ha presieduto, durante la scorsa legislatura, la Commissione affari sociali, che ha condotto un'indagine conoscitiva sulla famiglia. L'indagine ha evidenziato: perdita del potere di acquisto dei redditi, precarietà del lavoro, sistema fiscale non commisurato alle esigenze delle famiglie con figli, discriminazioni nel lavoro, carenze soprattutto nel Mezzogiorno dei servizi di assistenza, difficoltà di conciliazione tra i tempi di lavoro e la vita affettiva o familiare, che costringe molte donne a scegliere di non lavorare o peggio ancora a lasciare il tanto desiderato posto di lavoro.
Chi può credere davvero che la soluzione riposi in un certificato di povertà, qual è la carta per fare la spesa o pagare le bollette? Siamo convinti - e su questo vorremmo richiamare il Governo con il nostro ordine del giorno - che occorre procedere secondo politiche di sistema, integrate e coordinate tra di loro. Occorre incidere strutturalmente su criticità che corrono il rischio di cronicizzarsi. Questa è la bussola di un Paese come il nostro e su questo ordine del giorno noi chiediamo davvero, anche ai colleghi della maggioranza, una riflessione per mettere sul giusto binario l'intera materia.

PRESIDENTE. L'onorevole Marantelli ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/74.

DANIELE MARANTELLI. Signor Presidente, il ruolo del Governo è importante ma, in una democrazia, è importante anche quello dell'opposizione. Senza la cultura del controllo, la nostra fragile democrazia è esposta a rischi continui. Quando le istituzioni non funzionano interviene il ruolo di supplenza della magistratura: è inevitabile.
Noi ci adoperiamo per assolvere al nostro dovere di moderna forza di opposizione sul tema delle infrastrutture. Il deficit infrastrutturale che le regioni del nord scontano ormai da numerosi anniPag. 26rappresenta non solo un grave ostacolo allo sviluppo per i territori interessati, ma anche un'ipoteca sul futuro dell'intero Paese. La drammaticità della situazione è confermata da tutte le analisi oggettive. Per brevità risparmierò una raffica di dati e ne citerò solo due: sulle strade lombarde si viaggia con una velocità media di 30 chilometri all'ora e su ogni chilometro di strade si spostano 22.900 tonnellate di merci, contro le 7.100 tonnellate della media nazionale.
Chiunque comprende che il rilancio dello sviluppo è la priorità per l'Italia e che senza l'apporto delle regioni più dinamiche, le strategia di espansione e crescita sono destinate a restare velleitarie. È chiaro a tutti che qualsiasi innovazione di processo e di prodotto risente fortemente del congestionamento del sistema della mobilità, ferroviaria e stradale. Il collasso su strade e autostrade incide per circa il 20 per cento sulla competitività dei prodotti: è un dato che non ci possiamo permettere e che dobbiamo rimuovere perché il contesto competitivo in cui siamo chiamati ad operare è basato sullo scambio di conoscenze e sulla capacità di garantire flussi continui e veloci di informazioni, persone e merci.
Ciò è stato evidenziato dall'Unione europea che ha posto la strategia di Lisbona al centro della propria politica ed ha individuato il tema delle reti TEN nei primissimi posti delle proprie strategie di azione.
Desidero ricordare che le regioni Lombardia, Piemonte, Liguria, Veneto, Friuli ed Emilia Romagna avevano indicato le opere che loro ritenevano irrinunciabili per il territorio, comprese nel sistema di corridoi definito a livello nazionale e comunitario: la tratta ferroviaria alta capacità Lione-Torino-Milano-Trieste, il collegamento Genova-Sempione-Gottardo-Rotterdam, comprensivo del cosiddetto terzo valico, il collegamento con il traforo del Brennero anche attraverso la realizzazione del collegamento alla linea tirrenica Ti-Bre; inoltre: lo sviluppo della rete autostradale del nord, anche attraverso il trasferimento del potere concessore in capo alle regioni, per le tratte di prevalente interesse regionale, per progettare, approvare e finanziare opere prioritarie, quali il sistema viabilistico Pedemontano lombardo, il passante di Mestre, la Orte-Ravenna-Venezia e la Asti-Cuneo. Come sappiamo, la legislatura non è iniziata benissimo su questo punto. Il recente rinnovo trentennale delle concessioni autostradali si configura come un regalo a taluni gruppi privati, violando princìpi di concorrenza, controllo e trasparenza, e ledendo soprattutto i diritti di centinaia di migliaia di forzati del traffico - i pendolari - costretti a pagare pedaggi sempre più alti a fronte di servizi scadenti.
L'ordine del giorno a mia firma n. 9/1386/74 si concentra, in particolare, sulla Pedemontana lombarda, anche se sappiamo che la Salerno-Reggio Calabria è una priorità nazionale. Ci ha sorpreso il giudizio del Ministro Matteoli, espresso al riguardo in Commissione. In quella sede, egli ha sostenuto che la Pedemontana è stata vittima delle politiche del «no», le quali ne avrebbero ostacolato la realizzazione nella scorsa legislatura. Devo dire che il Ministro è stato male informato: pur in un contesto difficile, di condizioni finanziarie difficili, il Governo Prodi aveva destinato rilevanti risorse pubbliche per la realizzazione di quell'opera. Non solo: egli decise di attribuire alla regione Lombardia nuovi e importanti poteri che, attraverso la CAL, hanno dato vita a quello che, in modo appropriato, è stato definito federalismo infrastrutturale.
Inoltre, essendo stato, nella scorsa legislatura, in Commissione, relatore delle convenzioni di Pedemontana Brebemi e Asti-Cuneo, desidero confermare che la cosiddetta sinistra radicale aveva legittimamente espresso - è vero - alcune perplessità, ma abbiamo proceduto ugualmente con decisione, approvando tutte e tre le convenzioni relative ad infrastrutture essenziali per il nord.
Vorrei dire al Governo che il profilo riformista del nostro partito cambia in profondità la natura del rapporto Governo-opposizione: noi vi sollecitiamo a realizzare le opere, non a frenarle...

Pag. 27

PRESIDENTE. La prego di concludere.

DANIELE MARANTELLI. ...con parametri europei di altissima qualità. Da qui, il contenuto dell'ordine del giorno in esame: secondo quanto prescritto dalla delibera CIPE, il piano finanziario della Pedemontana non comprende i lotti delle tangenziali di Varese e Como. Queste ultime, invece, devono essere completate perché costituiscono parte integrante del sistema autostradale.
In conclusione, considerato che il progetto definitivo dell'opera è in fase di avanzata redazione, è opportuno che nella prossima manovra finanziaria siano disposte le appostazioni necessarie per realizzare la Pedemontana nella sua completezza. Si tratta di opere di cui il Paese ha bisogno, anche in vista dell'Expo 2015 (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. L'onorevole Margiotta ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/223.

SALVATORE MARGIOTTA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, nella versione originaria del decreto-legge, al comma 1, dell'articolo 81, si prevedeva - era la vera Robin tax - un incremento delle royalties dovute ai sensi dell'articolo 19 del decreto legislativo n. 625 del 1996, dovute dalle compagnie petrolifere titolari di concessioni di estrazione di idrocarburi, in funzione dei quantitativi estratti.
Lo stesso Governo, poi, per la verità, con un subemendamento ha stralciato e cancellato tale norma, evidentemente in virtù di pressioni provenienti proprio dalle compagnie petrolifere. Ciò nonostante, al comma 16 è previsto un aumento del prelievo fiscale a carico dei titolari di concessioni petrolifere.
Con l'ordine del giorno a mia firma n. 9/1386/223 chiediamo semplicemente che, anche in coerenza con i princìpi di federalismo fiscale tanto conclamati, una parte di questo gettito sia utilizzata a favore dei cittadini residenti e delle imprese con sedi nelle regioni interessate dalle infrastrutture di estrazione. Tra queste, vi è la regione Basilicata, il cui territorio produce circa il 74 per cento del greggio globalmente estratto in Italia.
In particolare, con l'ordine del giorno chiediamo che il Governo assuma iniziative volte all'esenzione totale o parziale delle accise sulle benzine, sul gasolio e sul gas da petrolio liquefatto, utilizzati dai cittadini residenti e dalle imprese aventi sede legale e operativa nelle regioni interessate dalle estrazioni. In alternativa, chiediamo che il 50 per cento di tale ulteriore prelievo sia destinato alle regioni sede di infrastrutture di estrazione, le quali impiegano tali cifre per la riduzione del costo dei carburanti per autotrazione a favore dei cittadini residenti e delle imprese operanti nei loro territori.
Ricordo in particolare al Governo che il centrodestra in Basilicata, in forte polemica politica e in dissenso con la maggioranza di centrosinistra che guida la regione, ha condotto l'ultima campagna elettorale promettendo di assumere esattamente le misure descritte nell'ordine del giorno (hanno anche proiettato nel comizio di chiusura un video del Premier Berlusconi che prometteva queste cose). Alla prima occasione, la presente manovra, non lo avete fatto, e la promessa che era stata fatta ai cittadini lucani è stata assolutamente «bucata». Accogliendo questo ordine del giorno, potreste quindi almeno dimostrare che avete l'intenzione, prima o poi, di farlo (Applausi del deputato Iannuzzi).

EMERENZIO BARBIERI. Iannuzzi, ma cosa applaudi?

PRESIDENTE. L'onorevole Maurizio Turco ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/102.

MAURIZIO TURCO. Signor Presidente, già dalla scorsa legislatura l'Autorità per l'energia elettrica ed il gas aveva richiesto un adeguamento del personale impiegato presso i propri uffici. Ricordo che l'Autorità ha la finalità di assicurare, nei settori di sua competenza, la promozione dellaPag. 28concorrenza e dell'efficienza, adeguati livelli di qualità dei servizi, un sistema tariffario certo e trasparente, la tutela degli interessi degli utenti e dei consumatori. Ancora negli ultimi tempi, ad essa sono stati inoltre conferiti compiti aggiuntivi a livello sia nazionale sia internazionale, in materia di definizione di tariffe elettriche agevolate in favore dei clienti domestici economicamente svantaggiati, di attuazione delle disposizioni comunitarie in materia di liberalizzazione dei mercati dell'energia e di ricerca di sistema nel settore elettrico (con riguardo in particolare all'attribuzione di funzioni sostitutive del Comitato di esperti di ricerca per il settore elettrico), di svolgimento di una funzione para-giurisdizionale per la risoluzione delle controversie fra produttori di energia e gestori di rete mediante decisioni vincolanti tra le parti.
Da ultimo, il decreto-legge n. 112 del 2008 al nostro esame, all'articolo 81, comma 18, ha posto in capo all'Autorità una funzione di vigilanza circa il divieto imposto agli operatori economici di settore di traslare sui prezzi al consumo l'onere derivante dalla maggiorazione di imposta prevista per gli stessi. Vi è, infine, tutto un capitolo che riguarda la collaborazione con la Guardia di finanza, in quanto uno dei compiti essenziali dell'Autorità è quello di svolgere un'attività ispettiva e di vigilanza nei confronti dei soggetti regolati.
L'Autorità per l'energia elettrica ed il gas aveva originariamente un contingente massimo di personale fissato in 120 unità, di cui 80 di ruolo e 40 a tempo determinato. Successivamente, per effetto del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79, di recepimento di direttive comunitarie, sono stati incrementati funzioni e compiti dell'Autorità. Attualmente essa conta su 180 unità, di cui 120 di ruolo e 60 a tempo determinato.
L'Autorità per l'energia elettrica ed il gas, a differenza di tutte le altre autorità, è l'unica autofinanziata: essa non percepisce infatti alcun contributo né grava in alcun modo sul bilancio dello Stato, in quanto la sua stessa legge istitutiva prevede un sistema di completo autofinanziamento tramite un contributo - di importo non superiore all'1 per mille dei ricavi dell'ultimo esercizio - da parte degli operatori economici dei settori dell'energia elettrica e del gas.
Sicuramente, una delle mancanze, forse, dell'Autorità è costituita dal fatto che si è mossa in un'ottica di un'efficiente gestione delle risorse: infatti ha sempre contenuto, negli ultimi quattro anni, la misura dell'aliquota allo 0,3 per mille, rispetto al richiamato limite dell'1 per mille previsto dalla legge istitutiva.
Con questo ordine del giorno si chiede al Governo di dotare di 20 unità aggiuntive il personale impiegato, di provvedere a stabilizzare il personale a tempo determinato e, soprattutto, di valutare l'opportunità di stipulare un'apposita convenzione con la Guardia di finanza che consenta all'Autorità di avvalersi di personale particolarmente qualificato per lo svolgimento delle specifiche incombenze che il competente personale della Guardia di finanza, eventualmente collocato in posizione fuori ruolo, possiede in massimo grado.

PRESIDENTE. L'onorevole Samperi ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/229.

MARILENA SAMPERI. Signor Presidente, tutti conveniamo che il servizio giustizia è un nodo strategico ed essenziale ai fini della competitività del Paese e della sua capacità di attrarre investimenti internazionali. Allo stesso modo, tutti conveniamo sugli effetti negativi che l'inefficienza della giustizia provoca: compromette la crescita, impedisce lo sviluppo dei mercati finanziari, distorce il mercato del credito e quello del prodotto. Il 12 per cento delle imprese italiane ritiene l'inefficienza della giustizia civile il maggiore ostacolo alla crescita e tale percentuale è superata solo dal giudizio sui mali della burocrazia. Se il recupero di efficienza della giustizia appare così l'ambito prioritario su cui intervenire, del tutto marginale sembra l'attenzione dedicata alla giustizia nel decreto-legge che ci apprestiamo a votare. I tagli previsti nell'articoloPag. 2960 impongono una riduzione di spesa al bilancio del Ministero della giustizia del 22 per cento nel 2009, che diventerà del 30 per cento nel 2010 e addirittura del 40 per cento nel 2011.
Il blocco del turnover avrà conseguenze pesanti perché riguarderà magistrati ordinari, amministrativi e contabili, avvocati e procuratori dello Stato nonché il personale della carriera dirigenziale penitenziaria, oltre tutti gli altri dipendenti dell'amministrazione della giustizia, compresi i cancellieri. Le conseguenze dell'intervento sull'automatico aumento della retribuzione previsto dall'articolo 69 mortificherà i giovani magistrati destinati per lo più a ricoprire sedi disagiate.
L'insieme di queste misure rischia di dare il colpo finale al servizio giustizia già al collasso e di lasciare inevasa la richiesta di giustizia di milioni di cittadini. Le comunicazioni e le notificazioni per via telematica o la diminuzione a cinque anni del tempo per la perenzione dei ricorsi amministrativi o, ancora, la cancellazione della causa dal ruolo e l'estinzione del processo alla seconda mancata comparizione delle parti alla nuova udienza fissata dal giudice appaiono interventi sporadici, disomogenei, sostanzialmente inefficaci. Di interventi di sistema ha invece bisogno la giustizia, di semplificazione delle norme e dei procedimenti.
Vi è una responsabilità nel malfunzionamento della giustizia, innanzitutto del legislatore. Se la prima esigenza è quella di razionalizzare e accelerare i tempi dei procedimenti civili e penali al fine di realizzare pienamente la tanto agognata ragionevole durata del processo, il Governo farebbe bene a intervenire urgentemente in modo organico: in primo luogo, attraverso un nuovo metodo di organizzazione del lavoro del personale dell'amministrazione giudiziaria tale da introdurre modelli orientati all'efficienza del servizio e da valorizzare la professionalità degli operatori.
In secondo luogo, dovrebbe intervenire attraverso la costituzione di archivi informatizzati per la raccolta di dati statistici, consentendo l'accesso gratuito agli archivi digitali dei provvedimenti giurisdizionali da parte di magistrati, avvocati e personale dell'amministrazione, per superare le forme di trattazione ancora prevalentemente cartacee delle attività processuali; in terzo luogo, attraverso un corretto riconoscimento delle professionalità del personale dell'amministrazione, il cui sviluppo di carriera è rimasto da lungo tempo bloccato, e attraverso un adeguato accesso di personale qualificato dall'esterno.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

MARILENA SAMPERI. Concludo, Signor Presidente. In quarto luogo, attraverso l'adozione nel processo telematico quanto meno in materia di ingiunzioni, di esecuzioni immobiliari e di controversie in materia di previdenza e assistenza.
Tutto questo è realizzabile ed è contenuto nella proposta di legge di istituzione dell'ufficio del processo che i membri della Commissione giustizia del Partito Democratico hanno già depositato. Sul piano di questa proposta, e non di sterili lagnanze, noi intendiamo confrontarci con il Governo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. L'onorevole D'Amico ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/91.

CLAUDIO D'AMICO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor rappresentante del Governo, la gestione del fenomeno immigratorio verso il nostro Paese comporta, per lo Stato italiano, costi ingentissimi, sia per ciò che attiene alla gestione delle pratiche per il rilascio ed il rinnovo dei permessi di soggiorno da parte degli sportelli unici dell'immigrazione istituiti presso le prefetture, sia, soprattutto, per il contrasto all'immigrazione clandestina, anche sotto il profilo dei costi per la gestione e l'allestimento di nuovi centri di identificazione e di espulsione.
Con questo ordine del giorno affermiamo un concetto per noi importante, e cioè che la copertura di questi costi non siPag. 30scarichi integralmente sulla fiscalità generale (e quindi su tutti i cittadini), ma veda, piuttosto, una compartecipazione degli stessi immigrati che intendono lavorare e stabilirsi sul territorio italiano.
È, quindi, necessario istituire nello stato di previsione del Ministero dell'interno un apposito fondo principalmente destinato alla realizzazione di iniziative e all'ammodernamento di mezzi e strutture per il contrasto all'immigrazione irregolare e clandestina. Questo fondo dovrebbe essere alimentato mediante l'incremento di 50 euro del costo che gli immigrati pagano per il permesso di soggiorno. Ricordo che ora il costo è irrisorio: una semplice marca da bollo da 14,62 euro cui si aggiungono 27,50 euro da versare con bollettino postale, per un totale di soli 42 euro.
All'estero non è così; ad esempio, in Francia il costo è di 275 euro. Anche in Spagna il permesso si paga: un permesso per lavoro costa da un minimo di 182 euro a 365 euro l'anno e in Gran Bretagna si parte da 140 sterline. Da questo si evince che anche con questo leggero aumento del costo del permesso di soggiorno la cifra totale dovuta sarà sempre sotto la media europea, e quindi assolutamente lecita.
Tenendo conto che stime dicono che ci sono almeno tre milioni di permessi di soggiorno all'anno che vengono rilasciati, è facile fare un conto di 150 milioni di euro che potrebbero essere destinati immediatamente al Ministero dell'interno per contrastare i fenomeni di immigrazione clandestina che, come sappiamo, comportano un aumento sensibile dei reati. I dati del Ministero dell'interno ci dicono che, soprattutto nel nord, più del 50 per cento dei reati sono commessi da clandestini. Quindi, invitiamo il Governo ad accettare questo ordine del giorno.

PRESIDENTE. L'onorevole Barbi ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/63.

MARIO BARBI. Signor Presidente, colleghe e colleghi, signor rappresentante del Governo, l'ordine del giorno che illustro è volto ad ottenere dal Governo l'assicurazione che alcune riduzioni di spesa previste dal prossimo anno nell'ambito delle politiche internazionali del nostro Paese non incideranno sugli impegni assunti dall'Italia per la lotta alle pandemie (AIDS, malaria e tubercolosi).
Il Governo italiano - lo ha detto il Presidente del Consiglio nel corso del recente G8 a Tokyo - si è impegnato a portare il proprio contributo finanziario alla lotta alle pandemie a 500 milioni di dollari l'anno, pari a 320 milioni di euro.
Non voglio dire che tale impegno sarà disatteso, ma temo, in assenza di assicurazioni di merito e di precisazioni corrispondenti, che i tagli previsti per gli anni a venire possano tradursi in un minore impegno nella lotta all'AIDS, alla tubercolosi e alla malaria, che colpiscono e si diffondono innanzitutto nelle aree più povere e tra le popolazioni più sfortunate del pianeta. Le riduzioni di spesa, cui mi riferisco e previste dal decreto-legge in esame, riguardano un taglio per gli aiuti ai Paesi in via di sviluppo pari a 170 milioni di euro a partire dal 2009 (articolo 60, comma 11) e una non meglio specificata riduzione delle dotazioni finanziarie del Ministero degli affari esteri di 195 milioni per il 2009, 215 per il 2010 e 378 per il 2011. Si tratta di somme consistenti, che viaggiano nell'ordine del 10 per cento delle dotazioni di quel Dicastero. Poiché non è indicato il campo di applicazione di quei tagli è da ritenersi che essi siano applicati - in senso lato, si vedrà come - alla macromissione denominata «L'Italia in Europa e nel mondo».
È fuori di dubbio che la lotta alle pandemie sia una delle cose più urgenti e necessarie per restituire dignità e umanità alle popolazioni più povere della terra. Per noi, per l'Italia ne va della credibilità e dell'affidabilità. Non sempre siamo stati all'altezza delle promesse fatte, anche se ricordo che fu proprio nel corso del G8 del 2001 a Genova che i Paesi ricchi - l'Italia allora se ne fece promotrice - costituirono il fondo globale per la lotta all'AIDS, alla tubercolosi e alla malaria. Quel fondo è stato utile ed è utile, anzi è indispensabile,Pag. 31e quanto l'impegno internazionale sia necessario e il quadro delle pandemie sia critico lo indicano dati sempre più che preoccupanti.
È noto che i Paesi più colpiti dalla pandemia dell'AIDS sono quelli dell'Africa subsahariana. Tali Paesi dipendono, e dipenderanno significativamente ancora nel prossimo futuro, dalle risorse che arrivano dai Paesi donatori, e anche dal nostro. L'AIDS in quella parte del continente è un flagello gravissimo. In poche cifre, le ricordo che AIDS significa negli ultimi 25 anni 65 milioni di persone contagiate e 25 milioni di vittime, e solo nel 2006 il virus ha ucciso ancora 2,8 milioni di persone e i nuovi contagi sono stati oltre 4 milioni.
La vita media in Africa è bloccata a 41 anni, è circa la metà della nostra, e sarebbe di 56 senza l'incidenza dell'AIDS. È evidente che in queste condizioni mancano i presupposti per qualsiasi forma di sviluppo civile, sociale ed economico. Come dicevo, alcuni progressi sono stati fatti: dal 2006 la diffusione dei farmaci salvavita è aumentata del 42 per cento, ma raggiunge solo il 30 per cento di coloro i quali ne avrebbero bisogno. Siamo lontani dal garantire la copertura del 100 per cento, che sarebbe l'obiettivo, definito «accesso universale», entro il 2010. Ecco il contesto cui si riferisce l'ordine del giorno: certezza delle risorse per il fondo contro le pandemie.

PRESIDENTE. Onorevole Barbi, la prego di concludere.

MARIO BARBI. Signor Presidente, mi avvio a concludere. Chiediamo al Governo questo impegno specifico, anche perché nel passato il contributo italiano al fondo globale per la lotta all'AIDS non sempre è stato costante e puntuale. Spesso è andato ad incidere sui fondi per la cooperazione allo sviluppo e, dopo gli impegni internazionali assunti in occasione del G8 del 2001, vi sono stati ritardi nelle quote assegnate e non devolute al fondo, che sono stati ripianati nella scorsa legislatura dal Governo Prodi, che ha versato già nel dicembre 2007, in anticipo e come primo Paese tra quelli aderenti al fondo, la quota destinata dall'Italia al fondo per il 2008. Ecco perché chiediamo al Governo di dire al Parlamento che manterrà gli impegni assunti, e mi auguro che l'ordine del giorno venga accolto.

PRESIDENTE. L'onorevole Gianni Farina ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/60.

GIANNI FARINA. Signor Presidente, il decreto-legge n. 112 del 2008 - almeno a me così sembra - è una vera iattura per i cittadini italiani in Europa e nel mondo: nessuna visione riformatrice, ma un'impressionante tosatura sui fondi che, direttamente o indirettamente, riguardano la comunità italiana.
Mi sembra - scusate questo ricordo - di essere ritornato ai tempi in cui un eminente statista delle mie valli, Ezio Vanoni, ricordava spesso la vicinanza dello Stato unicamente nel momento in cui il cittadino veniva chiamato al servizio di leva. Una tosatura sui Fondi destinati alle attività consolari, quando non se ne decide la chiusura totale o parziale, senza una previa doverosa consultazione della comunità nazionale: Berna, Neuchatel, Lussemburgo, Istituto di cultura italiana, enti e istituzioni italiane; tutto è provvisorio, aleatorio, legato all'imponderabilità del metodo e degli avvenimenti.
Per non parlare di uno scandalo, l'ICI, imposta applicata ai cittadini emigrati proprietari di prime case, salvo autonoma e provvidenziale decisione dei comuni: è una sociale conquista del Governo Prodi annullata con un breve tratto di penna.
Vi è un disinteresse verso le proposte degli eletti della comunità italiana nel mondo, mentre un grande Stato, la Francia, modifica la sua Costituzione dando rappresentanza ai propri cittadini nel mondo, nella consapevolezza della straordinaria ricchezza che essi rappresentano.
È uno Stato assente e, quando è presente, è vessatorio: la situazione debitoria rilevata in seguito alla campagna reddituale effettuata dall'ente di previdenza INPS nei confronti dei nostri pensionatiPag. 32all'estero sono una delle tante dimostrazioni di un'amministrazione dello Stato non funzionante. È vessatorio nella sua implacabilità quando si tratta di colpire i deboli, gli indifesi, i nostri cittadini emigrati titolari di prestazioni legate al reddito, che si trovano spesso in gravi difficoltà, sia di carattere morale, per cui si tratta di una vera e propria vessazione periodica, non annuale, i cui tempi sono spesso sconosciuti e aleatori, sia materiale, con indebiti che vanno da pochi euro a somme anche esorbitanti per cittadini lavoratori il cui reddito è spesso poco oltre il minimo indispensabile ad una vecchiaia decorosa. Sono indebiti dovuti alla cattiva informazione da parte dell'INPS erogante, che nel corso dei decenni non ha approntato una serie verifica reddituale per i pensionati e i nostri residenti all'estero.
Per tali motivi impegniamo il Governo a valutare ogni opportunità volta a sanare gli indebiti pensionistici dei residenti all'estero quando è evidente l'assenza del dolo, nonché a provvedere per ridare un clima di fiducia alle nostre comunità e nelle istituzioni della Repubblica (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. L'onorevole Gatti ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/39.

MARIA GRAZIA GATTI. Signor Presidente, intervengo a sostegno dell'ordine del giorno n. 9/1386/39, che impegna il Governo ad adottare ulteriori iniziative normative volte a dare piena attuazione ai principi ed alle finalità previste in materia di lavoro usurante, entro e non oltre il 31 dicembre 2008. Abbiamo presentato dapprima un emendamento, il cui contenuto è stato poi trasfuso in questo ordine del giorno, per testimoniare che non abbiamo nessuna intenzione di far calare l'attenzione su un tema, quale quello dei benefici previdenziali per i lavoratori impegnati in lavori usuranti, perché consideriamo una legislazione di questo tipo un'importante conquista sociale.
Questo provvedimento ha una storia complicata, vi sono stati vari tentativi che sono andati tutti a vuoto negli anni passati. Il Governo Prodi, nella fase quasi conclusiva del suo mandato, ha consegnato al Governo attuale un importante provvedimento, completo in tutte le sue parti, a vantaggio dei lavoratori e delle imprese, che è stato approvato e certificato sotto il profilo dei costi anche dalla Ragioneria generale dello Stato.
Rispetto a questo provvedimento sono stati presentati mozioni e ordini del giorno. In particolare, si è svolta una discussione in Aula in cui sono state presentate anche mozioni alternative. Vi era chiaramente qualche elemento di visione differente e molto probabilmente l'articolazione sul lavoro notturno non era condivisa, tuttavia un elemento in comune vi è stato: la richiesta al Governo di intervenire in modo definitivo entro il 31 dicembre 2008. Questa parte comune delle mozioni è stata votata da tutti ed ha rappresentato un impegno solenne assunto dal Governo.
Il problema è che, nonostante quest'impegno, a tutt'oggi manca una disposizione volta a rendere praticabile la delega legislativa nei prossimi mesi e ciò ci preoccupa molto. La delega, infatti, era originariamente inserita nella legge n. 247 del dicembre 2007, la quale dava attuazione al Protocollo del 23 luglio del 2007. Il Protocollo è frutto di un accordo raggiunto con molta fatica, con un lavoro molto complesso di mediazione tra le parti, che ha visto la condivisione di tutte le parti sociali e, soprattutto, la partecipazione attiva di milioni di lavoratori (hanno votato in più di cinque milioni) che si sono espressi con un voto sull'accordo contenuto nel Protocollo sul welfare.
Ricordo a quest'Aula che sono sufficienti 50 mila firme per presentare una proposta di legge di iniziativa popolare e che siamo in una fase in cui è grande la difficoltà di relazione tra eletti ed elettori e tra il Parlamento e i cittadini. Un provvedimento di questo tipo era stato votato da cinque milioni di lavoratori e pensionati e ciò conferiva un valore importantissimo al provvedimento di legge che attuava l'accordo.Pag. 33
Ebbene, ci siamo ritrovati con il decreto-legge n. 112 del 2008 che, con una seraficità che non riesco a definire, interviene, piccona e distrugge grandi parti dell'accordo e del provvedimento di legge con un furore che non riesco proprio a capire e che mi sembra poco giustificabile. Il decreto-legge, infatti, da una parte piccona e, dall'altra, non pone alcun elemento che possa dare la possibilità di attuare la delega sui lavori usuranti nei termini in cui era prevista. Parlo di furore distruttivo perché alcune delle norme previste all'interno della legge n. 247 del 2007 non hanno avuto neanche il tempo di spiegare completamente la loro funzione e di generare nuove situazioni. Non vi è stato neanche il tempo di svolgere delle valutazioni. Si sono semplicemente cancellate delle norme, alcune dal valore simbolico molto alto. Richiamo per tutte l'abrogazione della legge n. 188 del 2007, sulle dimissioni «in bianco» che tanto ha significato per la civiltà del Paese, soprattutto per le donne e per i giovani.
L'altro aspetto è che tutto ciò è avvenuto con un decreto-legge, con una compressione dei tempi di discussione allucinante e, quindi, stiamo discutendo presentando ordini del giorno. Non so se ci stiamo rendendo conto di ciò e del valore di alcuni interventi fatti in quest'Aula.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

MARIA GRAZIA GATTI. Sì, Presidente. Soltanto mi sarebbe proprio piaciuto riuscire a discutere anche con la maggioranza su una serie di elementi. Ad esempio, mi piacerebbe capire quali sono state le valutazioni sul nostro apparato produttivo e se sono state svolte delle valutazioni sull'effetto che la deregolazione avrà sull'apparato produttivo stesso, che per il 90 per cento è formato da aziende con meno di 5 dipendenti e che stranamente presenta una produttività in crescita nelle aziende tra i 50 e i 200 dipendenti.
Nonostante tutto ciò, noi in Commissione lavoro non siamo riusciti nemmeno ad esprimere un parere sul decreto-legge n. 112, in quanto non vi è stata la possibilità di discutere su un testo definitivo. Tuttavia, noi non molliamo: abbiamo presentato anche una proposta di legge sui lavori usuranti e continueremo in tutti i modi a chiedere al Governo di rispettare gli impegni e il termine del 31 dicembre 2008 per dare piena attuazione ai principi e alle finalità previste in materia di lavoro usurante (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico - Congratulazioni).

PRESIDENTE. L'onorevole De Pasquale ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/269.

ROSA DE PASQUALE. Signor Presidente, gentili colleghi, è con grande rispetto ed anche con senso di responsabilità verso l'istituzione scolastica del Paese che mi accingo ad illustrarvi una difficilissima e spesso disperata condizione della nostra scuola a causa di un'endemica e sempre più evidente carenza organica.
È risaputo che ogni anno la popolazione scolastica è in costante aumento e che lavorare in classi molto numerose, nelle quali frequentemente è presente un elevato numero di ragazzi stranieri e di alunni con disabilità, di ragazzi con disturbi specifici dell'apprendimento e con difficoltà relazionali o comportamentali, non consente a nessuno di conseguire un ragionevole grado di educazione che istruisce. Inoltre, non è stata ancora affrontata in modo organico e risolutivo la problematica relativa all'insegnamento della lingua italiana agli alunni stranieri, che sempre più spesso sono presenti numerosi, non solo nella scuola primaria e secondaria di primo grado, ma anche in quella secondaria di secondo grado.
È evidente e universalmente comprensibile come sia una priorità assoluta apportare un piano organico e capillarmente diffuso su tutto il territorio ed in ogni ordine e grado di scuola, che consenta agli alunni non italofoni di apprendere, prima di ogni altra materia, la lingua italiana, mezzo e strumento per una vera e sostanziale didattica che include ed istruisce.
Non è più possibile, quindi, tergiversare nel mettere a disposizione risorse e progettiPag. 34costruttivi, se vogliamo camminare e, di conseguenza, giungere verso una vera e costruttiva integrazione degli alunni stranieri e delle loro famiglie nel tessuto culturale e produttivo del nostro Paese.
Attualmente, inoltre, una notevole quantità di insegnanti è destinataria di contratto a tempo determinato, per il grande divario che esiste tra i posti dichiarati vacanti e disponibili e i posti che, pur presenti in organico, non sono dichiarati tali. Detta situazione genera precariato, insoddisfazione nei lavoratori e instabilità negli insegnanti delle classi i cui alunni spesso vivono il calvario di vedere alternarsi, durante i nove mesi di scuola, più di un docente supplente.
Certo, questo sistema non giova né alla qualità didattica, educativa e culturale dell'istruzione nella scuola italiana, né alla qualità della vita dei suoi lavoratori. Il Ministro dell'istruzione del precedente Governo, l'onorevole Fioroni, aveva approntato un piano triennale che avrebbe consentito di ridurre moltissimo il menzionato gap, mediante un monitorato e bilanciato piano che andava ad incrementare la stipula di contratti a tempo indeterminato, praticamente fino a portare a termine la graduatoria nella quale sono presenti docenti abilitati che aspirano al contratto a tempo indeterminato, graduatoria che proprio per questo motivo era stata trasformata da graduatoria permanente a graduatoria ad esaurimento.
È in questo panorama - che richiederebbe un investimento sostanzioso e mirato di risorse, per poter dare al nostro sistema scolastico un colpo d'ala ed una piena e qualificata corrispondenza tra le potenzialità presenti nelle persone che vi operano e la reale ricaduta in migliore cultura, istruzione ed educazione - che intervengono invece i drastici, deleteri e non ponderati tagli alla scuola da parte del Governo.
Allora, invece di ridurre il numero di alunni per classe, al fine di consentire agli insegnanti di seguire ciascuno di loro (secondo un metodo didattico e relazionale che non lasci indietro nessuno e conduca ciascuno a esprimere la propria eccellenza), si aumenta di un punto percentuale il rapporto alunni-docenti, invocando a giustificazione un necessario accostamento di tale rapporto ai relativi standard europei. Gli altri Paesi europei, però, non prevedono l'integrazione esemplare che noi abbiamo dei ragazzi con disabilità all'interno delle classi, integrazione che richiede la presenza di insegnanti di sostegno che, ovviamente, fa lievitare il rapporto alunni-docenti. Fa lievitare il citato rapporto anche la presenza in organico degli insegnanti di religione cattolica e la presenza del tempo pieno nella scuola primaria.
Eppure, le differenti situazioni presenti nel nostro sistema scolastico sono straordinarie risorse che fanno della nostra scuola primaria una delle prime in Europa. E invece si taglia, e così gli alunni aumentano e i docenti diminuiscono. Gli alunni stranieri aumentano e, considerato che i docenti diminuiscono, chi insegnerà loro l'italiano, signor Ministro? In classi sempre più numerose, chi seguirà i ragazzi con difficoltà di apprendimento relazionali e chi insegnerà realmente italiano, storia e matematica in classi così variopinte per diversità linguistiche e problematiche, le più disparate e ancora così tanto numerose? Mi chiedo chi resterà indietro, ma anche chi andrà avanti. Cosa ne sarà dei docenti precari che avevano cominciato a fare progetti veri per una vita vera, nella previsione dell'esaurimento della graduatoria che li «ospitava» ormai da anni e che aveva consentito loro di effettuare tante belle faticose supplenze per decenni?
Ancora, questo vostro «mitico» articolo 64 non è finito. Ecco altri tagli: dopo i docenti (o prima dei docenti: è la stessa cosa), l'articolo 64 prevede per il personale ATA una riduzione complessiva in tre anni del 17 per cento della consistenza numerica della dotazione organica determinata per l'anno scolastico 2007-2008. Ciò vuol dire non solo che la consistenza organica non crescerà per tre anni, nonostante il numero degli alunni sia in costante aumento, ma anche che, rispetto all'annoPag. 352007-2008 (quello già trascorso), vi sarà una riduzione complessiva del 17 per cento. Vi sarà, pertanto, una doppia riduzione, quella determinata dall'aumento degli alunni (che di per sé avrebbe richiesto un aumento di organico che non ci sarà) e, in aggiunta, quella prevista dal «meraviglioso» articolo 64.
Allora, giusto per temperare un po' il disastro, per far sì che non si trasformi in una irreparabile Caporetto della scuola italiana, ho proposto l'ordine del giorno che vi sto illustrando, che parte dalle premesse che la dotazione organica del personale ATA nella scuola italiana è già, ai fini dell'assolvimento dei compiti propri di ciascuna qualifica, numericamente appena sufficiente a coprire il fabbisogno necessario per il funzionamento delle istituzioni scolastiche autonome e che tanto per il regolare svolgimento dei compiti di segreteria e di assistenza tecnica, quanto per garantire le funzioni di sorveglianza degli alunni, l'assistenza degli alunni con disabilità e il puntuale funzionamento di ogni plesso scolastico per l'intero orario di apertura, è necessario un congruo numero di personale ATA, che già ad organico attualmente vigente, riesce a malapena a garantire tutte le istituzioni scolastiche.
Per questo motivo, il mio ordine del giorno impegna il Governo affinché eserciti un ruolo di controllo e garanzia che assicuri in ogni plesso scolastico del Paese, per l'intero orario di funzionamento, la vigilanza degli alunni, l'assistenza degli alunni con disabilità e la funzionalità dei servizi amministrativi e tecnici, vigilando affinché...

PRESIDENTE. Onorevole De Pasquale, la prego...

ROSA DE PASQUALE. È il mio primo intervento, me lo faccia finire... vigilando affinché i previsti tagli all'organico del personale ATA vengano proporzionalmente...

PRESIDENTE. Spero che ve ne saranno molti altri.

ROSA DE PASQUALE. Me lo faccia finire, la prego... secondo l'effettivo incremento dell'iscrizione di alunni. In ogni caso, occorre che non vengano disposti tagli nelle regioni che hanno già concluso il processo di razionalizzazione e che, quindi, hanno già tagliato il tagliabile. Vi assicuro per esperienza che, diversamente, portereste la scuola ad un blocco totale.
Signor Presidente, onorevoli Ministri, colleghi deputati, è una questione etica. Non lasciate inascoltato questo appello per la nostra scuola (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori).

PRESIDENTE. Onorevole De Pasquale, le faccio notare che lei è in debito di due minuti con quest'Aula.
L'onorevole Borghesi ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/113.

ANTONIO BORGHESI. Signor Presidente, un minuto lo tolga pure a me. Lo cedo io alla collega.

ROSA DE PASQUALE. Grazie!

ANTONIO BORGHESI. Signor Presidente, colleghe e colleghi, nel mio intervento di ieri per il gruppo Italia dei Valori, per dichiarazione di voto sulla questione di fiducia, ho ricordato che, quando, due mesi fa, il Ministro Tremonti disse di voler colpire la speculazione di petrolieri e banche, noi dell'Italia dei Valori abbiamo sostenuto che non eravamo in presenza di Robin Hood, ma in realtà dello sceriffo di Nottingham.
Questo perché, in effetti, la scelta fatta dal Governo è di non mettere direttamente le mani nelle tasche degli italiani, ma di farle mettere dai petrolieri, dalle aziende energetiche locali, dagli assicuratori e dalle banche.
Noi abbiamo detto che, in realtà, saranno proprio questi soggetti e questo tipo di imprese a prelevare dalle tasche degli italiani - anzi lo stanno già facendo - le somme che il Ministro Tremonti ha chiesto loro di versare in via diretta, attraversoPag. 36un meccanismo di aumento dell'imposta sul reddito di queste imprese, che di fatto trasleranno o cercheranno di trasferire sui cittadini le imposte che vanno a pagare.
Questo è già evidente in molti casi, come nel caso dei petrolieri. Infatti, sappiamo che, da quando è uscita questa notizia, il prezzo della benzina ha continuato a salire. Certamente non calerà, anche se ci sarà un effetto di sterilizzazione contenuto nella manovra. Non calerà e questo significa che i cittadini che per lavoro sono costretti ad usare l'automobile avranno, comunque, un aggravio che va da 30 a 50 euro in più al mese, a seconda della distanza. Non tutte le famiglie possono permettersi aggravi di questo tipo.
D'altronde, per quanto riguarda gli assicuratori, come è noto, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato aveva già monitorato la situazione e dichiarato che le tariffe avrebbero dovuto scendere di almeno il 5 per cento. Le tariffe non sono scese e non scenderanno. Questo significa che gli automobilisti, ancora una volta i più colpiti, come sempre in questi casi, continueranno a pagare tariffe superiori al dovuto, proprio per effetto di questa Robin Hood tax alla rovescia.
Lo stesso capita per le altre aziende energetiche locali che evidentemente produrranno utili più bassi e non trasferibili a quei comuni che spesso li hanno utilizzati ampiamente per far quadrare i propri bilanci. I cittadini, quindi, dovranno pagare tutto ciò sotto forma di maggiori contributi o, addirittura, attraverso l'assenza di determinati servizi che risultavano utili alle famiglie, in particolare alle lavoratrici madri, come gli scuolabus o altri ancora.
Le banche, al contrario, hanno immediatamente aumentato le commissioni bancarie e gli interessi passivi e l'hanno fatto verso i soggetti più deboli perché le grandi imprese si difendono ma le piccole e medie imprese non hanno difese, così come quel 10 per cento di italiani che per far quadrare i conti familiari ricorre al credito al consumo. È evidente che su questi soggetti si andrà a scaricare ulteriormente questo prelievo previsto dal Ministro Robin Hood, alla rovescia, Tremonti.
Tra l'altro, quando qualcuno ha alzato la voce come l'Authority per l'energia, affermando di voler provare a controllare che non avvenisse questa traslazione, qualcuno - in questo caso la Lega - con un emendamento, ha cercato addirittura di cancellare il ruolo di questa Autorità che si proponeva come soggetto in grado di frenare questo tipo di traslazione (lo stesso Ministro dell'economia e delle finanze, peraltro, nel commentare la manovra ha rilasciato dichiarazioni che vanno in tal senso).
Noi chiediamo, quindi, con l'ordine del giorno n. 9/1386/113 di impegnare il Governo ad attuare costantemente tutti i necessari controlli affinché non si verifichino tentativi di traslazione, estendendo la fase di controllo anche alla partecipazione dell'Antitrust (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. L'onorevole Zamparutti ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/107.

ELISABETTA ZAMPARUTTI. Signor Presidente, all'annuncio della scelta nucleare, sulla quale come delegazione radicale nel gruppo Partito Democratico non nutriamo posizione preconcette, abbiamo subito chiesto che questa fosse il frutto di una strategia complessiva di politica energetica nazionale mentre, al contrario, vediamo dal testo del decreto-legge che ne prescinde, perché precede e condiziona la definizione di tale strategia. Questo, congiuntamente al fatto che nessuno ricorda che l'Italia non possiede giacimenti di uranio, il cui costo nell'ultimo periodo ha subito aumenti di prezzo molto superiori a quelli del petrolio, e che quindi il tanto sbandierato concetto di indipendenza energetica viene a mancare, ci ha indotti a ritenere di trovarci di fronte all'annuncio di una scelta manifesto, questa sì dal sapore ideologico.
Allora, anche attraverso l'organizzazione di un convegno abbiamo volutoPag. 37scoprire dal Governo i termini di tale scelta rispetto ai tempi, ai costi, alle risorse umane e al rapporto col mercato, ma non abbiamo ricevuto risposte convincenti, così come vaghe sono state le informazioni fornite sempre dal Governo in sede parlamentare quanto a proliferazione, scorie e sicurezza. Devo dire inoltre che mi ha molto turbata la scorsa settimana il Ministro Tremonti, allorché ci ha chiesto di riflettere se, a fronte dell'obiettivo di produzione del 20 per cento dell'energia da fonti rinnovabili (tra cui le biomasse), a cui l'Europa ci chiede di giungere entro il 2020, e considerate le conseguenze drammatiche degli aumenti dei prezzi delle materie prime come il grano, questo sia un obiettivo propositivo o piuttosto un crimine contro l'umanità.
Vorrei rassicurare il Ministro Tremonti sul fatto che questo è un obiettivo propositivo, non foss'altro perché oggi vi è la possibilità con le biomasse monocellulari di far produrre da un ettaro di terreno duemila tonnellate di biomassa invece che le sole trenta tonnellate che si ottengono con tecniche tradizionali. Vi è un detto per cui l'umanità non è passata dall'età della pietra a quella del ferro perché sono finite le pietre, ma perché l'uomo sa guardare avanti. Con l'ordine del giorno n. 9/1386/107 vi chiediamo di fare esattamente questo, di guardare avanti e, allorché aveste intenzione di realizzare investimenti di Stato, che questi siano realizzati sulle nuove frontiere da conquistare nell'ambito energetico e non su proposte, come quella nucleare, sonoramente bocciate dal mercato.
Infatti è questo che spiega l'innegabile empasse in cui il nucleare versa - checché se ne dica - nell'intero mondo industrializzato. Tant'è che sulle trentacinque centrali nucleari attualmente in costruzione nel mondo, di cui tredici bloccate, appena cinque sono in costruzione in Paesi industrializzati: una in Finlandia (con i problemi che conosciamo), una in Francia, bloccata circa tre settimane fa dall'autorità di vigilanza, una in Giappone e due in Romania. Le restanti centrali sono in costruzione principalmente nei Paesi emergenti, in regimi perlopiù non proprio democratici, e non firmatari del trattato di non proliferazione.
Ma quello che più ci allarma e ci trova assolutamente contrari è il fatto che il Governo, prima ancora di definire una strategia energetica, metta le mani sui controlli ambientali e crei le condizioni per un azzeramento dell'autorità di controllo della sicurezza nucleare.
Ci avevate provato nel corso del dibattito sul decreto sui rifiuti a Napoli, salvo poi promettere che avreste presentato un disegno di legge sulla riforma complessiva di vari enti. Ed invece, riecco comparire, in sede di esame del decreto avente ad oggetto la manovra finanziaria, la riforma dell'Agenzia governativa per l'ambiente, che ha anche l'autorità di controllo della sicurezza nucleare con in più quel grave incidente che, nonostante i rimedi contenuti nel maxiemendamento, rimane comunque agli atti (mi riferisco all'azzeramento dei vertici dell'Authority per l'energia elettrica ed il gas).
Quanto all'Agenzia per la protezione dell'ambiente, che fu istituita nel 1994, frutto di una lunga battaglia volta a risolvere la questione della convivenza delle funzioni di controllo e di quelle di promozione ricerca e sviluppo in un medesimo soggetto, l'ENEA, e sotto la medesima amministrazione vigilante, l'allora Ministero dell'industria, un caso eclatante di controllore e controllato, sono consapevole che con l'ordine del giorno n. 9/1386/107 (sostenuto anche da un pubblico appello promosso dagli Amici della terra) stiamo giocando la carta del possibile, cioè che riconsideriate la scelta di sopprimere l'Agenzia per la protezione dell'ambiente, contro quella del probabile, cioè che procediate a testa bassa.
Ma è su questo filo, quello del possibile contro il probabile, che come radicali ci muoviamo in ambito politico per scansare scelte scontate e cercare soluzioni per un futuro migliore.

PRESIDENTE. L'onorevole Cambursano ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/111.

Pag. 38

RENATO CAMBURSANO. Signor Presidente, come è noto ai pochi colleghi presenti, con il decreto-legge Bersani-Visco, più precisamente il n. 223 del 2006, si erano introdotti degli interventi per la lotta all'evasione fiscale, per combatterla, per snidarla, e per far pagare meno tasse a quelli che fino ad allora, e ancora ad oggi, continuano a pagarle anche per gli evasori.
Tale provvedimento aveva introdotto strumenti di controllo e di contrasto nei confronti di tutti i soggetti tenuti alla comunicazione annuale dei dati IVA, cioè l'obbligo di presentare ogni anno per via telematica l'elenco dei clienti e l'elenco dei fornitori. L'eventuale omissione avrebbe significato una sanzione amministrativa anche di entità non indifferente. Ebbene, che cosa si fa con questo decreto-legge, per il quale ieri è stata chiesta la fiducia e dopodomani ci sarà il voto finale? Si fa un passo indietro, cioè si eliminano quelle norme che andavano nella direzione di una vera, costante e continua lotta all'evasione fiscale.
Ma non basta. Il decreto legislativo n. 231 del 2007 aveva anche inserito nella nostra legislazione un altro importante gruppo di disposizioni dirette ad eliminare l'uso del contante e dei titoli al portatore, nonché ulteriori restrizioni alla libera circolazione degli assegni, riducendone la possibilità, abbassando la soglia anche dell'uso dei contanti da 12 mila 500 euro a 5 mila. Il decreto al nostro esame cosa fa? Stralcia anche questa norma. Quindi noi con questo ordine del giorno chiediamo che almeno si trovino le iniziative (gli strumenti) al fine di monitorare quello che invece prima era certificato da una norma che adesso viene depennata.
Altrimenti, colleghi e rappresentanti del Governo, il rischio è che, con il provvedimento in esame, ci troviamo di nuovo a quanto è accaduto nel quinquennio 2001-2006: che si favoriscano tutte le norme indirizzate non a combattere una vera battaglia all'evasione fiscale, al sommerso, al lavoro nero ma, piuttosto, ad avvantaggiarli.
Se coniughiamo questo con quanto è capitato nei giorni scorsi, con una sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee e un pronunciamento della Commissione europea, è facile immaginare davanti a cosa si troveranno gli italiani molto presto: il deficit, programmato al 2,5 per cento per l'esercizio in corso, e il debito riprenderanno la loro corsa, perché si è interrotta la lotta all'evasione fiscale che nei due anni del Governo Prodi aveva dato grandi risultati. Era previsto che questo extragettito derivante dalla lotta all'evasione fiscale fosse attribuito ai lavoratori dipendenti e ai pensionati: così non avverrà e coloro che davvero dovranno mettere le mani al portafoglio, continueranno ad essere quelli che hanno sempre pagato, vale a dire i cittadini onesti, siano essi lavoratori dipendenti, pensionati ma anche, perché no, lavoratori autonomi onesti, e ve ne sono, certamente, anche in questa categoria.
Diciamo che la Corte di giustizia delle Comunità europee ha dichiarato illegittimo, illegale - attenzione agli aggettivi, perché hanno anche un loro significato: illegale - un provvedimento del Governo Berlusconi. Questo nel 2003 aveva assunto un provvedimento, chiamato condono IVA, illegale. Il Parlamento con la maggioranza di allora che - guarda caso - è quasi l'identica fotocopia di quella attuale, ha varato provvedimenti illegali, come anche il condono tombale, che molto presto avrà la stessa sorte. Quindi, cittadini italiani, amici italiani, preparatevi a mettere ulteriormente mani al portafoglio perché è l'obiettivo di questo Governo: far pagare gli onesti e far evadere i disonesti. Grazie, Governo! (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. L'onorevole Boccuzzi ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/41.

ANTONIO BOCCUZZI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la tragica sequenza delle morti sul lavoro, ripropostasi in tutta la sua drammatica gravità a seguito delle stragi a Campello sul Clitunno,Pag. 39alla Umbria Olii, a Fossano al Mulino Cordero, a Torino alla ThyssenKrupp, a Molfetta, a Mineo, merita il massimo sforzo normativo, finanziario e organizzativo per consentire il concretizzarsi delle condizioni per una incisiva azione di controllo e prevenzione da parte di diversi soggetti preposti a tali funzioni. La vigilanza è uno strumento di fondamentale importanza, ma non è in grado di risolvere tutti i problemi: bisogna investire sulla conoscenza, sulla ricerca e sulla diffusione delle buone politiche, di azioni che siano realmente efficaci.
In una delle prime misure, ad esempio, si dovrebbe provvedere ad un sostanzioso potenziamento degli organici dei servizi ispettivi delle ASL, con la sospensione del blocco delle assunzioni dei tecnici della prevenzione. Il Governo non faccia un passo indietro sulle norme per la sicurezza: il dramma delle morti bianche va affrontato nel merito, senza strumentalizzazioni o biechi sotterfugi.
Il Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, Sacconi, ha più volte puntato il dito sul testo unico: a suo dire, troppi adempimenti producono meno sicurezza. Al Governo, come dicevo, chiediamo di non fare passi indietro: non è possibile oggi trarre conclusioni sull'efficacia della legge 3 agosto 2007, n. 123. In essa si tenta anche la strada della deterrenza, legata ad alcune sanzioni, neppure tanto pesanti. Si discute tanto di deterrenza a proposito di immigrazione clandestina: perché questo meccanismo non deve valere per la sicurezza sul lavoro? Verifichiamo, dunque, se la deterrenza produce maggiore prevenzione. Noi crediamo sia uno strumento utile: sarebbe sbagliato cambiarla.
Inoltre, non dimentichiamo che in Italia il problema è l'applicazione effettiva della norma, soprattutto in questo settore. Le parole chiave del nuovo testo unico sono: riordino, innovazione, coordinamento, semplificazione, maggiore prevenzione, controlli più efficaci e diffusione di una cultura della sicurezza. La battaglia sulla sicurezza nei luoghi di lavoro è una battaglia di civiltà, è una priorità nell'azione di Governo, che dovrebbe impegnarsi nell'intraprendere tutte le iniziative necessarie per vincere questa battaglia.
Nel 2006 vi sono stati 1.341 morti sul lavoro, 1.260 nel 2007 e la strage continua. Le morti bianche sono una sconfitta per la nostra democrazia. Gli infortuni sul lavoro costano ogni anno tre punti di PIL.
Non solo: anche l'ANCE, l'associazione dei costruttori edili, è d'accordo con noi sul fatto che il lavoro nero si traduce in meno sicurezza e in concorrenza sleale tra le imprese. Insomma, danneggia le virtuose e avvantaggia le irregolari. Nelle gare di appalto il costo relativo alla sicurezza non può essere soggetto a ribasso d'asta.
Da pochi mesi è stato varato il primo decreto correttivo al codice degli appalti, che introduce norme più restrittive sulla sicurezza nei luoghi di lavoro. L'obiettivo è quello di mettere in mora quelle aziende che, pur di accaparrarsi una commessa, abbassano in maniera inverosimile l'offerta, per poi rivalersi sui lavoratori, risparmiando anche sulle più elementari misure di sicurezza nei cantieri. Occorreva dare un giro di vite contro il lavoro nero e occorrevano misure per aumentare la sicurezza nel settore edile.
Dal 1o ottobre è obbligatoria la tessera di riconoscimento per i lavoratori dei cantieri edili, un'apposita tessera corredata di fotografia, contenente le generalità dei lavoratori e l'indicazione del datore stesso. La norma nasce proprio con la finalità di garantire la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori e di contrastare il fenomeno del lavoro sommerso ed irregolare.
Per non dover riconoscere i risultati raggiunti dal Governo precedente, il Governo Berlusconi nega l'evidenza. È inutile e scandaloso gridare periodicamente alla vergogna dei morti sul lavoro, se poi non si mettono a disposizione risorse e soluzioni per garantire un minimo di attività di prevenzione. Notiamo però un silenzio assordante: la piaga del lavoro nero ed irregolare è il terreno fertile sul quale prospera ogni tipo di illegalità e di irregolarità, da quella retributiva a quellaPag. 40contributiva, dall'evasione fiscale fino al mancato rispetto delle norme a tutela della salute dei lavoratori.
A questo proposito, vogliamo ribadire l'importanza dell'ordine del giorno in esame per contribuire a rendere un servizio in termini di qualità della vita, pensando che il lavoro è il fondamento della nostra società e ci dà sussistenza, mentre l'ambiente è la nostra casa (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori).

PRESIDENTE. L'onorevole Messina ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/131.

IGNAZIO MESSINA. Signor Presidente, l'ordine del giorno in esame riguarda un tema caro al Governo, perché lo stesso Ministro Tremonti lo aveva già proposto nel 2004, con esito fallimentare, con l'istituzione della banca del Mezzogiorno. Premessa la contrarietà del nostro gruppo all'istituzione di una banca del Mezzogiorno, considerata la sua inutilità, bisogna evidenziare alcune questioni.
Innanzitutto i precedenti: banche del Mezzogiorno ne abbiamo avute molte, molte e con esiti fallimentari. Partiamo dal Banco di Napoli, salvato in extremis, dal Banco di Sicilia, acquisito dal gruppo Unicredit, dalla Sicilcassa, già in liquidazione, e chi più ne ha più ne metta (ricordo le più grandi, ma vi sono anche le piccole).
Quindi, creare una nuova banca di questo tipo non si capisce quale utile e quale vantaggio possa costituire per il Mezzogiorno, anziché intervenire su questioni serie per il Mezzogiorno, come le infrastrutture, che invece sono state sottratte togliendo i fondi proprio alla Sicilia, alla Calabria e alle regioni del sud.
Premesso ciò, anche il tipo di banca pensata non ha veramente senso: si parla di 5 milioni di euro per la sua istituzione. I dati della Banca d'Italia prevedono che per istituire una banca di credito cooperativo con uno sportello unico occorrono almeno due milioni di euro di capitale sottoscritto: con cinque milioni ci facciamo due sportelli e mezzo in tutto il sud.
Poi guardiamo la situazione, per esempio, della Sicilia - sono sempre dati della Banca d'Italia - per capire se serve una nuova banca. In questo momento, in Sicilia sono operanti 79 banche, con 1.788 sportelli, che coprono 337 comuni. Banche di credito cooperativo ce ne sono invece 30 e sono quelle più radicate sul territorio, con 147 sportelli e coprono 119 comuni. Pensare a una nuova «bancarella», francamente non sappiamo a cosa serva.
Non solo: consideriamo la compagine sociale. Pensare che i soci siano gli enti locali (regioni, province e comuni) è anche questa una grande forzatura: da un lato gli enti locali non riescono a garantire i servizi essenziali, anche per colpa dell'attuale Governo, che ha sottratto loro i fondi e dall'altro lato li facciamo diventare i soci di una banca.
La vera finalità credo sia indicata nella norma istitutiva del Governo: acquisire rami secchi di banche meridionali e insulari. Vorremmo anche capire quali sono, forse l'unica che è rimasta è la Sicilcassa, gli altri sono chiusi o acquisiti già da altri.
Non solo: l'altra finalità probabilmente è nominare tre nuovi soggetti, tre nuovi posti di sottogoverno in una nuova banca (infatti si parla di un comitato promotore di tre soggetti). Ci avessero almeno detto come si chiamano, quanto meno sapremmo chi sono gli interlocutori e con chi parlare.
Cosa serve, invece, al sud? Serve una nuova politica finanziaria su cui il Governo non intervenga assolutamente. Serve una politica finanziaria che consenta al sud pari opportunità di accesso al credito: non una nuova banca, ma trattare con le banche che esistono per garantire tale pari opportunità.
Mi avvio a concludere senza, signor Presidente, che lei mi segnali che il tempo a mia disposizione sia terminato.
Il senso dell'ordine del giorno a mia firma è quello di salvare il salvabile. In altre parole, visto che in questo momento una banca inutile serve a poco (solo ad «occupare» cinque milioni di euro), è necessario provvedere immediatamente alla privatizzazione dell'intero capitale sociale,Pag. 41considerato che è stato prelevato, in egual misura, dal Ministero per i beni e le attività culturali per due milioni e mezzo di euro, e dal Ministero della salute per altri due milioni e mezzo di euro. Pertanto, si privatizzi immediatamente, per fare in modo che questi cinque milioni di euro, per pochi che sono, rientrino e vengano destinati alle finalità originarie, perché il sud non ha bisogno di nuove banche con trovate che garantiscano nuovi posti di sottogoverno, ma di una nuova politica che lo rilanci (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori - Congratulazioni).

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Messina, senza l'uso del campanello!
L'onorevole Palagiano ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/134.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MAURIZIO LUPI (ore 12,05)

ANTONIO PALAGIANO. Signor Presidente, il motivo per cui oggi intendiamo esporre il nostro ordine del giorno è perché in Italia vi è sempre stata una scarsa propensione ad investire nella ricerca scientifica, quasi come se fosse qualcosa di opzionabile o uno spreco di energia.
Quei pochi soldi che arrivano negli atenei sono pochi e vengono distribuiti «a pioggia», senza alcun criterio di merito. Mi dispiace che l'onorevole Bindi vada via, perché come ricercatrice universitaria, avevo impiantato il discorso proprio su qualcosa, a mio avviso, di condivisibile; rimarrà, tuttavia, agli atti.
Non dobbiamo stare qui ad esaltare o spiegare i motivi per cui l'investimento sulla ricerca è indispensabile per un Paese, in quanto sappiamo bene che oggi nel mondo siamo sei miliardi e mezzo di individui: ciò corrisponde ad una nascita di circa tre neonati al secondo e, pertanto, vi è più bisogno di energia e di fonti energetiche. La ricerca serve sia a migliorare la qualità della vita, sia perché - vi sono i risultati degli studi - l'età media è molto aumentata negli ultimi decenni, ma anche per costruire nuove fonti alternative di energia, che siano alternative a quelle a rischio, potenzialmente e non ancora sicuramente innocue per il resto della collettività e dell'umanità.
Sappiamo bene, inoltre - e ci rivolgiamo al Presidente che è subentrato all'onorevole Bindi - che è necessario operare dei tagli: sicuramente essi vanno eseguiti, ma il problema è come farlo. A nostro avviso (cioè dell'Italia dei Valori), è necessario distinguere, sul criterio meritocratico. Durante la campagna elettorale, avete tanto parlato del merito: secondo noi è indispensabile intercettare il merito e, quindi, premiare quelle università virtuose, che hanno requisiti particolari. Le università che dovrebbero ricevere meno fondi sono quelle in cui la durata del corso di laurea è sensibilmente più lunga, in cui l'abbandono degli studenti è maggiore, l'indice di gradimento dei professori è più basso e la ricerca - quella che viene espressa dalle pubblicazioni scientifiche - è più scarsa o di più scarsa qualità.
Pertanto, a nostro avviso, bisogna smetterla con il pullulare delle sedi distaccate delle università, che servono soltanto a sistemare i soliti figli dei soliti nomi illustri. Il nostro Paese, l'Italia, è il primo in Europa in cui si perpetuano sempre gli stessi cognomi: da noi vi è il più alto numero di notai figli di notai, di primari figli di primari, di dirigenti ASL figli di dirigenti ASL e di professori figli di professori. Non va bene così: non è questo il sistema d'intercettare il merito. Ormai vi sono una serie di dati: in tutte le università si moltiplicano i «libri bianchi», in cui viene dimostrato e testimoniato che, oltre alla perpetrazione dei soliti cognomi, la produzione scientifica di maggiore spessore appartiene alla fascia docente più bassa e, quindi, ai ricercatori piuttosto che ai professori ordinari.
In questa maniera crediamo non bisognerebbe andare avanti: quindi i fondi per la ricerca che il Governo vorrà stanziare, anche se in maniera sensibilmente minore a quella precedente, dovrebbero tenere conto della meritocrazia. Intercettare ilPag. 42merito è quindi l'invito dell'Italia dei Valori a voi del Governo. Come avete promesso in campagna elettorale: premiate le università più virtuose e meritevoli e concentrate su di esse le vostre risorse finanziarie! Se quindi un taglio deve esserci a tali fondi, deve essere a carico delle università meno meritevoli. In altri termini, onorevoli del Governo, fate in modo che in Italia più che i «ricercatori» vengano premiati i «trovatori» (Applausi dei deputati dei gruppi Italia dei Valori e Partito Democratico).

PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Palagiano. Nonostante il cambio di Presidente anche lei non ha avuto bisogno del richiamo della campanella.
L'onorevole Peluffo ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/226.

VINICIO GIUSEPPE GUIDO PELUFFO. Signor Presidente, colleghi deputati, l'assegnazione dell'Expo del 2015 a Milano è una vittoria dell'intero sistema Paese ed è stata ottenuta attraverso la collaborazione istituzionale tra il Governo innanzitutto, presieduto allora da Romano Prodi, la regione Lombardia, la provincia di Milano, ovviamente il comune di Milano, che ha guidato il comitato di candidatura, e gli altri soggetti coinvolti, quali la Camera di commercio e la Fondazione Fiera Milano. Si è trattato di collaborazione tra istituzioni guidate da maggioranze diverse, che hanno però cooperato pienamente nella fase della promozione della candidatura.
Dal 31 marzo, e cioè dal giorno della designazione di Milano, si respira però un'aria diversa, tant'è che è lecito chiedersi dove sia finita quella collaborazione istituzionale. È di qualche giorno fa una convocazione del Presidente del Consiglio che, rivolta al sindaco di Milano e al Presidente della regione Lombardia, ha dimenticato il Presidente della provincia. Se la collaborazione è tra tutte le istituzioni, tutte le istituzioni devono essere coinvolte. Questo è soltanto un esempio e lo faccio notare perché, se la collaborazione tra istituzioni è stata così importante per vincere la sfida della candidatura, segnalo che la parte più difficile della vicenda legata all'Expo inizia proprio adesso. È infatti adesso che bisogna realizzare i padiglioni dove sorgerà l'Expo, adesso che bisogna realizzare le infrastrutture collegate, tutte quelle infrastrutture cioè inserite nel dossier di candidatura, per la realizzazione delle quali il Governo italiano, il nostro sistema Paese si è impegnato con il Bureau Internazionale delle Esposizioni. Sette anni per realizzare tutte queste infrastrutture sono in realtà pochi. Del resto, l'Expo sorgerà vicino al nuovo polo fieristico di Fiera Milano, inaugurato nel 2005. Segnalo che abbiamo ancora i cantieri aperti delle infrastrutture collegate: sette anni sono davvero pochi.
L'ordine del giorno in oggetto verte specificamente sull'articolo 14 del decreto-legge 112; un articolo così snello da risultare in realtà abbastanza scarno, tanto da rimandare quasi tutto ad un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri. Su questo DPCM c'è innanzi tutto una questione di tempi: mancano pochi giorni allo scadere del mese entro cui doveva essere emanato e c'è da domandarsi perché ciò non è ancora accaduto. Sono forse giuste le voci sulle divisioni della maggioranza rispetto all'impostazione di questo DPCM? È giusta l'impressione che viene dalla lettura della stampa locale, con le uscite gli uni contro gli altri di esponenti del Popolo delle Libertà al vertice degli enti locali lombardi, in primis regione Lombardia e comune di Milano? La sollecitazione che rivolgiamo al Governo è che venga emanato prima possibile tale DPCM (adesso sembra possa essere cosa delle prossime ore), perché siamo già in ritardo. Del resto doveva giungere anche una delegazione del BIE agli inizi di luglio ed è stata rimandata.
Ci sono ulteriori due questioni che riguardano il DPCM e l'articolo 14 del provvedimento, contenute nell'ordine del giorno in esame. Una riguarda la governance, l'altra i finanziamenti.
Per quanto riguarda la governance: perché non si è puntato su una governance duale per quanto riguarda la gestione dell'EXPO? Sarebbe stato molto semplice:Pag. 43un comitato di sorveglianza e un comitato di gestione che avrebbe potuto garantire una governance semplice, efficace e limpida, anziché quella delineata dalla bozza del DPCM, la quale ha confini molto labili e confusi, tra società di gestione, comitato di indirizzo e programmazione, commissario straordinario e tavolo istituzionale per gli interventi complessivi. È uno schema che, nel complesso, rischia di non funzionare, proprio perché non indica con precisione le responsabilità.
Un'altra domanda - sempre seguendo quanto riportato dalla stampa sulla bozza del DPCM (mi scuso se cito come fonte la stampa, ma sono le uniche informazioni a nostra disposizione) - è la seguente: perché nel comitato di programmazione e di indirizzo, che dovrebbe essere costituito da tredici membri, più della metà - sette - sono espressione del Governo, cioè sono Ministri o loro delegati? È una sorta di commissariamento del comitato di programmazione e di indirizzo dell'EXPO, è una lottizzazione che deve tenere conto di tutte le sensibilità di questa maggioranza di Governo. Non dovrebbe essere il territorio, protagonista?

PRESIDENTE. La prego di concludere.

VINICIO GIUSEPPE GUIDO PELUFFO. Infine, due ultime questioni.
Innanzitutto, il commissario straordinario: dalla bozza non si capisce se è il sindaco pro tempore di Milano (come era previsto), o il sindaco pro tempore di Milano oggi fino al 2016 (cosa che sarebbe irrituale).
Infine, per quanto riguarda i finanziamenti, nell'articolo 14 si parla di 134 milioni di euro nei prossimi tre anni e di 1352 nei quattro anni successivi. Per realizzare in tempi rapidi i lavori ed i cantieri, bisognerebbe invertire ed aumentare i finanziamenti (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. L'onorevole Ruvolo ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno 9/1386/160.

GIUSEPPE RUVOLO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor sottosegretario, certamente non basta un ordine del giorno per parlare di agricoltura, anche perché questo Governo fino ad ora non ci ha dato alcuna occasione di parlare di un comparto così importante dell'economia italiana.
Il mio ordine del giorno n. 9/1386/160 vuole mettere in evidenza qualche aspetto dei tanti temi che affliggono l'agricoltura italiana, e meridionale in particolare. Ho messo in evidenza il fatto che i costi di produzione in agricoltura sono aumentati in maniera esponenziale. Cito qualche dato che, peraltro, viene fornito dall'ISTAT e da Ismea: i fertilizzanti dal 2007, comparati ad oggi, hanno subito un aumento del 45 per cento. Non parlo poi dell'effetto carburante: siamo oltre il 72 per cento. Vi è, quindi, un boom di tutti i costi di produzione e poi, dall'altra parte, una diminuzione rispetto al 2007-2008 per i prodotti dell'agricoltura, a cominciare dalla frutta fresca e gli ortaggi, dei prezzi, che alla produzione subiscono flessioni. Peraltro, poi, i prezzi al consumo sono raddoppiati o triplicati. Pertanto, delle due l'una: qui vi è lo sfacelo dell'agricoltura italiana!

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROSY BINDI (ore 12,20)

GIUSEPPE RUVOLO. Signor sottosegretario, ritengo che questo Governo - al di là degli annunci del Presidente Berlusconi, proprio l'altro ieri, all'assemblea della Coldiretti (si è conclusa la campagna elettorale) - non ci può dire di fare proprie le proposte della Coldiretti quando poi ciò non trova seguito in alcun documento di manovra economica che avete presentato in quest'Aula, a partire dal DPEF, dove la parola agricoltura è stata citata solo due volte per indicare semplicemente qualche percentuale.
Aspettavamo la conversione di questo decreto-legge per trovare qualche spunto positivo, per dare qualche risposta a questo comparto importante per l'economiaPag. 44italiana. Nessuna risposta è stata data. Aspetteremo, forse, la manovra finanziaria, ma in quella occasione avremo davvero una risposta per questo mondo che sta crollando? Questa è la domanda che poniamo al Governo, affinché ci fornisca risposte concrete, anche e soprattutto attivando una linea di contrasto all'aumento sfrenato dei prezzi di produzione e al consumo.
Questo dovrebbe essere l'epicentro del vostro impegno per il Paese: e invece non vediamo alcuna traccia in questo senso. Occorrerebbe una verifica della qualità dei prodotti per calmierare ed evitare la tensione dei prezzi; così come occorrerebbe verificare i prezzi al dettaglio del pane, della pasta e dei latticini e confrontarne il prezzo di acquisto con quello finale, per tentare di dare davvero una risposta anche ai consumatori. È così che si difende il made in Italy: non facendo proclami, ma dando risposte concrete.
In conclusione, signor Presidente e signor sottosegretario, vorrei soffermarmi su un altro dato emblematico e drammatico che è stato denunciato dalla Coldiretti: che cioè abbiamo scorte di grano per pane e pasta solo per sette mesi. Diteci dunque qual è la vostra strategia, quale la vostra indicazione, qual è il vostro programma per dare risposte a queste problematiche, che creano confusione nel consumatore e danno tristezza e difficoltà anche al produttore! Sono dunque questi gli argomenti che ho voluto evidenziare nel mio ordine del giorno, dal momento che non ci è stata data alcuna occasione per parlare di agricoltura: e ci auguriamo che nel prossimo futuro questo Governo possa finalmente cominciare a farlo (Applausi dei deputati dei gruppi Unione di Centro e Italia dei Valori).

PRESIDENTE. L'onorevole Favia ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/118.

DAVID FAVIA. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, l'ordine del giorno da me presentato riguarda quello che definirei un odioso furto legalizzato: la cosiddetta commissione di massimo scoperto, usualmente pari ad un ottavo di punto, che viene applicata sullo scoperto consentito dalla banca al consumatore (per così chiamarlo). Tale commissione pesa in maniera assolutamente significativa sul bilancio delle famiglie italiane e credo dunque che la proposta che noi dell'Italia dei Valori facciamo al Governo attraverso la mia modesta persona, quella cioè di abolire per legge tale commissione, vada nella direzione di fornire un aiuto alle famiglie in difficoltà.
Il credito per conto corrente al consumo è infatti quanto mai diffuso in questo momento, ed è in sofferenza: pertanto, intervenire su questa odiosa gabella sarebbe estremamente significativo ed importante da parte del Governo, poiché davvero non si vede per quale ragione l'utente consumatore debba pagare, oltre agli interessi sullo scoperto, anche questa commissione che è veramente assolutamente ingiustificata. Ovviamente, chiedo l'espunzione dal testo dell'ordine del giorno di quello che io ritengo esser stato un refuso: cioè, il fatto che viene detto che la commissione scatta anche in mancanza di utilizzo dello scoperto, poiché così non è. Resta però gravissimo che essa scatti, in aggiunta agli interessi, quando un utilizzo c'è.
La maggioranza ed il Governo parlano di Robin tax (cosa che noi riteniamo non essere vera): ebbene, questa potrebbe essere invece una vera Robin tax da imporre al ricchissimo sistema bancario, impedendogli di gravare i bilanci delle famiglie in difficoltà con questa gabella assolutamente ingiusta. Ricordo fra l'altro che qualche anno fa si procedette contro un'altra, terribile gabella: l'anatocismo. La normativa dell'articolo 1283 del codice civile fu cambiata ed ora si stabilisce che esso è bensì legittimo, ma deve essere convenzionale e per debiti per interessi di almeno sei mesi, con convenzione stipulata posteriormente alla scadenza.
Purtroppo, l'istituto ancora resiste in maniera maldestra nel nostro codice civile. In realtà, esso andrebbe proprio abolito inPag. 45ordine agli interessi infrannuali. Tuttavia, qualcosa venne fatto. Chiediamo, con l'ordine del giorno in esame, che possa essere fatto qualcosa in più per i consumatori, che non vengono assolutamente alleviati dalla normativa che questa maggioranza ha già varato sui mutui, perché ha statuito per legge ciò che qualunque consumatore era già in grado di fare da solo, ossia andare nella propria banca e allungare la scadenza del mutuo.
Pertanto, ci sembra che l'impegno che chiediamo che il Governo assuma con l'abolizione dell'ottavo di massimo scoperto potrebbe essere qualcosa di molto più interessante di quanto il Governo ha fatto finora, anzi non ha fatto finora, per portare sollievo alle nostre famiglie che non ce la fanno.
La normativa sui prezzi è troppo blanda; è stata rinviata - temiamo sine die, anche se c'è un termine - l'attuazione della class action; il precariato è stato aggravato e non è stato fatto nulla per le pensioni e per i salari. A questo punto ci sentiamo di fornire un modesto suggerimento: abolire la commissione di massimo scoperto sarebbe un segnale importante per le nostre famiglie in sofferenza (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. L'onorevole Picierno ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/261.

PINA PICIERNO. Signor Presidente, spesso anche in quest'Aula abbiamo parlato della centralità del sapere e della centralità della formazione. Per il Partito Democratico, in particolare, società della conoscenza non è uno slogan, ma un obiettivo preciso al quale dedichiamo le nostre riflessioni, il nostro tempo e il nostro impegno quotidiano, perché sappiamo che dai nostri studenti, dalla loro formazione, dalla loro testa - oserei dire - dipende il futuro del nostro Paese e la capacità che avremo di risalire nelle classifiche che ci indicano, purtroppo, a livelli bassissimi per la capacità di produrre e competere con gli altri. Ma anche questa banalissima riflessione, data per acquisita dal dibattito economico internazionale, non trova riscontro nell'azione del Governo che ieri ha approvato, grazie al voto di fiducia, una manovra economica assolutamente irrazionale, che taglia risorse proprio a quei settori che dovrebbero garantire, invece, il rilancio del Paese.
L'università e la ricerca sono al collasso. Ce lo ricordano anche le innumerevoli proteste del mondo accademico, da ultimo quella dell'Università La Sapienza di stamattina. Si rischia di non poter addirittura aprire l'anno accademico, a causa dei tagli insensati del Ministro Tremonti a cui corrisponde - va ricordato - una muta e colpevole accondiscendenza del Ministro Gelmini.
Credo sia il caso di ricordarlo: l'eccellenza culturale non dipende dall'utilizzo o meno di grembiuli, non si raggiunge trasformando le università in fondazioni e nemmeno tagliando il personale tecnico-amministrativo e i docenti. Le eccellenze si creano innanzitutto investendo, in particolar modo nel settore del diritto allo studio per i nostri studenti. Abbiamo il dovere, a mio avviso, di garantire livelli essenziali di prestazioni per dare piena attuazione all'articolo 34 della Costituzione, perché - è il caso di ricordarlo - le regioni hanno standard molto diversi nei servizi erogati agli studenti. Infatti, vi sono regioni che addirittura riescono a coprire poco più del 50 per cento delle borse di studio, e questo avviene, in particolar modo, nelle regioni del Mezzogiorno. Occuparsi di questo significa occuparsi di garantire il diritto di scegliere liberamente in quale università andare a studiare perché ora tale diritto, purtroppo, è consentito soltanto a chi se lo può permettere.
Signor Presidente, colleghi, il mio ordine del giorno si sofferma proprio su tale aspetto e propone di incrementare i posti letto a disposizione delle residenze universitarie, perché sappiamo bene che il tema dell'alloggio rappresenta un ostacolo concreto per gli studenti fuorisede e per la piena applicazione dell'articolo 34 della Costituzione che ricordavo prima.Pag. 46Proponiamo, quindi, una misura concreta, che sarebbe molto importante per i nostri ragazzi. Mi auguro che almeno su questo il Governo dimostri responsabilità, perché penalizzare la cultura vuol dire non credere nel Paese e nel suo futuro (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Colleghi, per dare ordine ai nostri lavori comunico che l'intenzione della Presidenza è quella di sospendere la seduta alle 14,30 per riprenderla alle 16, al fine di consentire la partecipazione di tutta la Presidenza alla riunione dell'Ufficio di Presidenza, che si svolgerà in quell'orario.
L'onorevole Pisicchio ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/124.

PINO PISICCHIO. Onorevole Presidente, circolano nel nostro Paese alcune parole ipnotiche che, di quando in quando, vengono assunte dalla politica. Una di queste - da sempre, devo dire - si è installata nel vocabolario di quest'Aula e si chiama federalismo, che in sé è una parola importante, ma che viene depotenziata e devitalizzata rispetto al suo significato originario quando viene usata e consumata in modo inutile.
Una delle parole ipnotiche più in voga in questo periodo, e peraltro particolarmente visitata dal Governo in carica, è la parola liberalizzazione. Ci porta a riflettere sull'ipnotismo vacuo che viene esercitato rispetto a questa importante parola l'Autorità garante della concorrenza e del mercato con la relazione del 9 giugno di quest'anno, la quale ha peraltro approvato una segnalazione al Governo e al Parlamento sulle liberalizzazioni.
In modo particolare, l'Autorità garante, dopo aver fatto una sottolineatura sulla mancanza di concorrenza nel nostro Paese e sulla lentezza del processo decisionale pubblico, che rappresenta per ciò stesso un freno allo sviluppo (quindi facendo riferimento a infrastrutture, energia, servizi pubblici locali, trasporti, distribuzione, e via dicendo), ha fatto un importante riferimento al settore carburanti. Stiamo parlando di energia e dell'incredibile e pesantissimo elemento di drammaticità che grava sulle famiglie degli italiani. Il petrolio, come tutti sappiamo, continuerà a macinare record e continueranno i contraccolpi sui prezzi dei carburanti. L'Italia, che è uno dei Paesi più esposti, anche per la struttura dei mercati di approvvigionamento e fornitura dei carburanti, essendo meno competitiva paga di più, e le famiglie italiane pagano di più questa difficoltà.
Ciò avviene per due fondamentali ragioni. Una di queste, su cui talvolta non si riflette abbastanza e sulla quale l'Autorità garante della concorrenza e del mercato ci invita invece a riflettere, è quella relativa ai prezzi industriali. Utilizzando i dati disponibili da parte dell'Unione petrolifera e confrontando i prezzi industriali di Francia, Germania, Regno Unito e Italia viene fuori un'evidenza nettissima: per la benzina senza piombo tra aprile 2003 e febbraio 2008 i prezzi industriali italiani sono stati superiori del 15,4 per cento rispetto alla media di Francia, Germania e Regno Unito. Per il gasolio e per il gasolio da riscaldamento la differenza è del 13 e del 14,2 per cento, una differenza che, attenzione, va ben oltre la congiuntura internazionale riguardante il greggio e rimanda a problemi di concorrenzialità e di efficienza lungo la filiera di stoccaggio, raffinazione e distribuzione.
Certo, vi è anche una componente fiscale del prezzo al consumo, tuttavia i prezzi industriali sono sempre i più elevati per questi prodotti e, dunque, dovrebbe intervenire il Governo. È questo il senso dell'ordine del giorno che noi abbiamo presentato per rendere possibile un'inversione di tendenza. Infatti, il differenziale di prezzo industria, il cosiddetto stacco, è sintomo di una mancanza di concorrenza e dell'esistenza di rendite di posizione lungo tutta la filiera, dalla raffinazione alla pompa.
Quindi, per queste ragioni chiediamo che il Governo valuti l'opportunità di adottare le adeguate iniziative normative al fine di incentivare la libera concorrenza.

Pag. 47

PRESIDENTE. Onorevole Pisicchio, la prego di concludere.

PINO PISICCHIO. Concludo, signor Presidente. Credo che questa parola magica, concorrenza, rappresenti una delle parole ipnotiche su cui molto spesso si adagia questo Governo (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. L'onorevole Strizzolo ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/192.

IVANO STRIZZOLO. Signor Presidente, sul problema dei tagli dei fondi destinati al comparto dell'istruzione, dell'università e della ricerca sono intervenuti diversi colleghi, non solo in sede di discussione generale, ma anche illustrando gli ordini del giorno. Con questo ordine del giorno, assieme al collega Fluvi, puntiamo a tentare di recuperare due aspetti che, a nostro giudizio, non sono affrontati - anzi, sono affrontati in modo negativo - dalla manovra proposta dal Governo con il decreto n. 112 del 2008.
A tal proposito, debbo subito svolgere una considerazione di fondo, che richiamava poco fa anche la collega Picierno. Siccome in questo nostro Paese l'unica grande, vera e autentica risorsa è quella delle capacità intellettuali - la «risorsa cervello», come l'ha definita recentemente un capitano d'industria - ritengo che sia un errore tragico l'aver ridotto gli stanziamenti nel settore dell'università e della ricerca. Debbo dire per correttezza che tale errore, seppure poi in parte corretto, lo ha fatto anche il precedente Governo, che poi - lo ripeto - è in parte corso ai ripari. Infatti, procedere ad un taglio indiscriminato che ha colpito diversi settori senza un minimo di selezione e di prefigurazione di scelte strategiche e prioritarie, denota una scarsa capacità di Governo.
Quindi, aver ridotto gli stanziamenti al settore dell'università, della ricerca e dell'istruzione significa pregiudicare quella che dovrebbe essere la grande forza e capacità competitiva del nostro Paese. Infatti, accanto alle capacità intellettuali, alla flessibilità e all'inventiva (tipica e tradizionale del popolo italiano), ad una significativa, rilevante, preziosissima presenza di giacimenti e beni culturali, questa è l'autentica risorsa del nostro Paese, soprattutto nel momento in cui - attraverso la concezione nuova della globalizzazione e la competizione sui mercati internazionali - vi è una sollecitazione ad essere ancora più presenti e puntuali con la ricerca e l'attività scientifica, che porta all'innovazione e alla capacità di essere competitivi.
In questa manovra, che riduce gli stanziamenti, a mio modo di vedere vi è anche la necessità, che tentiamo di porre all'attenzione del Governo con questo ordine del giorno, di rivedere i criteri attraverso i quali le risorse vengono erogate alle singole università. Infatti, vi sono alcune università sottofinanziate da alcuni anni. Mi riferisco a quella di Udine, la mia realtà, che conosco di più, che, pur avendo anche dei livelli di eccellenza e producendo dei risultati apprezzati dal punto di vista qualitativo, è sottofinanziata, così come altre. Pertanto è necessario, oltre che reintegrare gli stanziamenti, procedere ad una revisione dei criteri in base ai quali vengono erogati i fondi.
Vi sono tantissimi aspetti di questa manovra e, come esempio, ne cito uno: il Governo, presentando una modifica all'articolo 35 con la quale ha introdotto il comma 2-bis, forse sulla spinta di qualche lobby immobiliarista, ha eliminato l'obbligo di allegare ai contratti di compravendita l'attestato di qualificazione energetica, che è un documento tecnico essenziale per garantire il prosieguo di un'azione di risparmio energetico e di valorizzazione degli edifici del patrimonio immobiliare che presentano caratteristiche tecniche idonee ad assicurare il risparmio energetico.
Tuttavia, l'aspetto ancora più curioso è che si è abolito l'obbligo di allegare ai contratti di compravendita questo attestato, ma non si è eliminato l'obbligo di redigerlo, per cui i venditori sono costretti ad acquisirlo ma poi, quando vanno a farePag. 48il rogito presso il notaio, non sono obbligati a consegnarlo, e questo tanto per dire: quando si fanno le cose in fretta, e magari - lo ripeto - sulla spinta di qualche lobby, di qualche interesse, poi nascono queste operazioni contraddittorie.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

IVANO STRIZZOLO. Perciò, tornando all'ordine del giorno che ho sottoscritto, mi auguro che il Governo colga questa sollecitazione e, soprattutto, lo invito, attraverso una riflessione che vada al di là delle comiche (se non fossero state tragiche!) che abbiamo ascoltato ieri in alcuni interventi sulla vicenda delle dichiarazioni di Bossi, a riflettere e a correggere sostanzialmente la sua manovra e la sua impostazione rispetto ai problemi reali che questo Paese ha.

PRESIDENTE. L'onorevole Barbato ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/112.

FRANCESCO BARBATO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, parto dalla questione energetica, che è una priorità per il sistema Paese, essendo un nodo strategico che coinvolge aspetti strutturali del sistema produttivo e la vita delle famiglie, quindi la qualità della nostra esistenza. Un futuro migliore dipende dalla capacità di rispondere alle sfide energetico-ambientali, fronteggiando i cambiamenti climatici e trovando soluzioni alternative al petrolio e agli altri combustibili fossili.
La crisi climatica, prodotta da un forte incremento di emissioni inquinanti di gas serra, in particolare dell'anidride carbonica, generata dal massiccio uso di combustibili fossili, si prospetta ormai come vera e propria emergenza ambientale globale. Il decreto-legge all'attenzione della Camera dà attuazione a strategie energetiche nazionali al fine di ridurre le emissioni di CO2.
Tra i diversi atti di indirizzo emanati dall'Unione europea in materia di politica energetica, particolare rilevanza hanno assunto negli ultimi anni quelli relativi all'utilizzazione delle fonti energetiche rinnovabili, con l'obiettivo di garantire una strategia europea per la sicurezza dell'approvvigionamento energetico sempre più sostenibile e coerente con la necessità di riduzione delle emissioni di gas inquinanti.
I rifiuti, l'indirizzo delle politiche relative e la loro gestione in questo quadro rappresentano una risorsa importante, particolarmente utile ad un Paese come l'Italia, sostanzialmente privo di risorse energetiche e costretto ad acquistare energia. È su questo capitolo, sul capitolo rifiuti, che sarebbe il caso di tornare a svolgere una riflessione, anche alla luce del recente decreto-legge sull'emergenza rifiuti in Campania, perché sicuramente è stato fatto il peggior uso possibile di tali rifiuti, che da disgrazia del Paese potevano e dovevano essere una risorsa e un'opportunità.
Si tratta di un utilizzo indiscriminato e indistinto di rifiuti speciali, nocivi, velenosi ed equiparati ai rifiuti domestici (di casa) che sono stati buttati nelle discariche in modo indiscriminato e direi anche in modo abbastanza criminale, in quanto la nostra regione Campania si è trasformata in una regione criminale, dove non si rispettano innanzitutto le norme comunitarie. Quindi, Dio salvi la regina, perché spero davvero che il provvedimento adottato e che si sta realizzando in Campania non ci esponga - come pare già avvenga - a procedure d'infrazione comunitaria. Siamo, infatti, l'unica regione d'Italia e d'Europa che adotta tali modalità per lo sversamento in discarica di rifiuti.
I rifiuti, invece, dovevano rappresentare una grande risorsa e l'occasione con la quale trarre energia. La scelta del Governo diventa schizofrenica, in quanto ci sta portando alla realizzazione di un quarto termovalorizzatore non affatto compatibile con le risorse e le esigenze della Campania in ordine ai rifiuti stessi. Quindi, si tratta di una contraddizione per la quale non ci stanchiamo di dirvi che avete sbagliato di grosso sull'utilizzo dei rifiuti e sulla gestione dell'emergenza rifiuti in Campania.

Pag. 49

PRESIDENTE. La invito a concludere.

FRANCESCO BARBATO. In ogni caso, il piano d'azione europeo stabilisce, altresì, la necessità di aumentare l'efficienza energetica nell'Unione europea, in modo da raggiungere l'obiettivo di risparmio dei consumi energetici del 20 per cento rispetto alle proiezioni per il 2020, e adotta un obiettivo vincolante che prevede una quota del 20 per cento di energie rinnovabili nel totale dei consumi energetici dell'Unione europea.
Pertanto, l'ordine del giorno impegna il Governo a creare le condizioni necessarie affinché si possano potenziare le azioni che esortino la crescita dell'energia rinnovabile, sia nelle applicazioni civili che in quelle industriali, unica risposta reale al sempre crescente bisogno di energia e ai gravi problemi del riscaldamento globale, dell'effetto serra (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. L'onorevole Pedoto ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/138.

LUCIANA PEDOTO. Signor Presidente, il termine per definire questa manovra economica per la salute dei cittadini è destrutturazione del diritto alla salute e alla cura. Con questi tagli, il diritto si trasforma in franchising e ciascuno di noi avrà la sanità che potrà pagarsi, associata alla fortuna del luogo in cui è nato. Il presidente Formigoni ha denunciato che con questi tagli i cittadini lombardi pagheranno di più per avere gli stessi servizi, e la Lombardia è tra le regioni più ricche: pensiamo alle altre!
Ci dicono di stare tranquilli perché se aumenta il PIL aumenteranno le risorse per la sanità. Ciò significa non capire le emergenze e le priorità: la salute non può attendere. Il malato grave non può aspettare che l'Italia diventi ricca, così si potrà curare, e nel frattempo si cura solo se ha soldi per pagare. Gli ospedali classificati e gestiti dagli istituti religiosi si caratterizzano, come le strutture pubbliche, per non avere finalità di lucro. Questi ospedali sono inseriti a pieno titolo nella programmazione ospedaliera pubblica, hanno un ordinamento di servizio uguale a quello degli ospedali pubblici e un ordinamento del personale equiparato a quello pubblico.
L'emendamento presentato dal Governo sugli ospedali classificati, solo apparentemente innocuo, li equipara per legge alle case di cura private. Le modifiche proposte dal Governo non potenziano gli strumenti della programmazione sanitaria regionale nei confronti degli ospedali equiparati, ma modificano il loro status, assimilandoli alle cliniche private. Questo è un modo per non investire in qualità, per sottrarre offerta sanitaria di livello e per spalmare risorse sul mercato dove è il profitto, invece della salute dei cittadini, a fare la differenza.
Con questo ordine del giorno chiediamo di impedire che la qualità delle prestazioni sia sempre più una variabile del reddito e del mercato e che sia risolta in via definitiva la posizione degli ospedali classificati all'interno del servizio sanitario nazionale; altrimenti si metterebbe a rischio la sopravvivenza stessa di questi ospedali che a volte rappresentano la storia ospedaliera delle nostre città (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori).

PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Costantini, che aveva chiesto di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/135: s'intende che vi abbia rinunziato.
L'onorevole Mosca ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/42.

ALESSIA MARIA MOSCA. Signor Presidente, il mio ordine del giorno n. 9/1386/42 riguarda una questione dirimente, non di contorno (come spesso la stessa viene trattata). In quasi tutte le discussioni che vengono svolte in quest'Aula vi è sempre l'intervento di qualche collega - anzi, sempre di una collega - che ricorda che, oltre a tutte le altre problematiche, non ci si può dimenticare di quella relativa all'occupazione femminile. La questione,Pag. 50però, viene poi considerata, nel migliore dei casi, come una doverosa aggiunta rispetto a tutte le altre.
A nostro avviso, invece, si tratta di una priorità sulla quale il Governo dovrebbe indirizzare la maggior parte delle proprie risorse e che, anzi, dovrebbe essere in cima alla lista delle priorità di un qualsiasi Governo che si trovi a gestire una situazione con le caratteristiche di emergenza come quella del nostro Paese.
Sulle emergenze non vi sono dubbi: per citare solo alcuni esempi, il rallentamento dell'economia (non bilanciato da un aumento della produttività, che continua ad essere tra le più basse d'Europa), il crescente rincaro dei prezzi, la perdita di potere d'acquisto dei salari.
L'Italia, come è già stato ricordato più volte - ma giova ribadirlo ulteriormente - ha un livello di occupazione femminile del 46 per cento, con una punta minima del 31 per cento nelle regioni meridionali: una situazione aggravata dalla recente fuoriuscita dal mercato del lavoro di una larga fetta di lavoratrici, disilluse dopo vane ricerche di un lavoro. La media dell'Unione europea è del 57 per cento. L'obiettivo fissato dalla cosiddetta strategia di Lisbona è del 60 per cento. Solo Malta, tra i 27 Paesi membri, è in condizioni peggiori rispetto alle nostre.
Inoltre, le statistiche ci dicono che le donne lavoratrici e quelle che vivono nelle aree più dinamiche - Milano prima di tutto - hanno più figli rispetto a quelle disoccupate o precarie (aspetto non secondario, considerato che l'Italia, insieme al Giappone, è l'ultimo Paese per tasso di natalità, con conseguenze molto pesanti per la sostenibilità del nostro welfare).
Aumentare il tasso di occupazione femminile, quindi, avrebbe un impatto dirompente su una serie di fattori. In primo luogo, aumenterebbe la crescita complessiva del nostro Paese: se le donne lavorano, infatti, non tolgono spazio ai colleghi uomini e fanno invece crescere i consumi, esternalizzano alcuni servizi, fanno aumentare la crescita economica e quindi il tasso di occupazione. Inoltre, il secondo salario in famiglia è una risposta efficace contro l'impoverimento e per far ripartire i consumi. Infine, non utilizzare le competenze migliori del nostro Paese significa rilanciare alla risorsa più importante nell'era dell'economia della conoscenza. I dati, infatti, ci dicono che le donne conseguono titoli di studio più elevati in tempi più ridotti rispetto ai colleghi maschi.
È sorprendente che, dinanzi a un quadro così chiaro, la risposta del Governo Berlusconi sia il silenzio totale sul tema. Addirittura - peggio - vari indizi fanno pensare a una tendenza a disincentivare il lavoro femminile o, comunque, a considerarlo accessorio, di «serie B». La sbandierata azione di detassazione degli straordinari - per citare solo un esempio - è discriminante per le donne, così come sono discriminanti le modifiche alle tipologie contrattuali che, se non accompagnate da un intervento sugli ammortizzatori sociali, rischiano di penalizzare soprattutto i lavoratori più deboli, tra i quali, ovviamente, sono incluse le donne, specie le più giovani.
Ci si chiede, quindi, di quale sviluppo economico parli il Governo, se esso non prende neppure in considerazione la misura che più di ogni altra potrebbe davvero sostenerlo. Per questo motivo chiediamo al Governo di impegnarsi su misure concrete che incentivino l'occupazione femminile, sostenendo la conciliazione fra lavoro e vita familiare, il raggiungimento della parità salariale e la convenienza fiscale di lavorare e di farlo in modo regolare. Crediamo che questo debba essere uno dei primi impegni del Governo, invece che immaginare illusionistiche misure dagli assai dubbi effetti sulle tasche dei consumatori (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. L'onorevole Di Giuseppe ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/114.

ANITA DI GIUSEPPE. Signor Presidente, nelle disposizioni in materia di organizzazione scolastica, è prevista una norma finalizzata a ridurre, nel triennio 2009-2011, di un punto il divario esistentePag. 51tra il rapporto medio alunni-docenti in Italia e il corrispondente rapporto medio degli altri Paesi europei.
È previsto anche il decremento delle dotazioni organiche del personale amministrativo tecnico ausiliario, nella misura del 17 per cento, obiettivo da raggiungere sempre nel triennio 2009-2011.
La scuola pubblica non è un carrozzone che spreca risorse e che deve essere ridimensionata in un attimo, nel più breve tempo possibile. La finalità enunciata dall'articolo 64 di questo decreto-legge è la seguente: una migliore qualificazione dei servizi scolastici ed una piena valorizzazione professionale del personale docente.
Signor Presidente, non è di certo con l'aumento del rapporto alunni-docenti che si ottiene una migliore qualificazione del servizio scolastico. I tagli si concentreranno soprattutto nei piccoli comuni. Questa situazione preoccupa molto le famiglie, i dirigenti scolastici e tutti gli altri operatori della scuola, nonché le organizzazioni sindacali. Quali effetti si produrranno?
Innanzitutto, l'effetto di costituzione di classi più numerose e il cambio di istituto di centinaia di insegnanti soprannumerari, a scapito della famosa continuità didattica, la soppressione di interi corsi e la costituzione di classi articolate, con l'inevitabile sconvolgimento del percorso curricolare scelto dei ragazzi e dalle famiglie al momento dell'iscrizione nella scuola stessa. Occorre, quindi, evitare queste recisioni agli organici, perché andrebbero a penalizzare soprattutto le zone più svantaggiate del Paese, in particolare le piccole comunità. Organici adeguati e coperture rispondenti costituiscono elementi essenziali per una scuola di qualità. Il diritto allo studio, che è sancito dagli articoli 33 e 34 della Costituzione, presuppone l'efficienza dell'organizzazione scolastica. Con questi tagli, si andrà a penalizzare proprio l'organizzazione scolastica.
Signor Presidente, noi vogliamo pensare al «grembiulino». Da parte mia, faccio questa riflessione: si farà a gara per il grembiule più costoso e firmato, alla faccia dell'eguaglianza. Non è l'abbigliamento uguale per tutti la chiave dell'uguaglianza stessa, ma una formazione ad un'istruzione che consenta ad ogni alunno un orientamento adeguato per il suo futuro.
I tagli previsti, inoltre, andranno ad aggravare la situazione dei precari, rendendola ancora più paradossale. Non dobbiamo dimenticare che c'è una cifra compresa tra 280 e 300 mila docenti iscritti nelle graduatorie ad esaurimento. Sono docenti che hanno un'età compresa tra i trentacinque e i cinquant'anni di età. Quindi, il Governo deve trovare una soluzione, affinché questi precari abbiano una loro dignità e una loro sistemazione. Pertanto, bisogna predisporre un piano triennale di assunzioni portando avanti l'immissione in ruolo di almeno 50 mila assunzioni annue, fino all'esaurimento delle attuali graduatorie.
Inoltre, i precari non hanno gli stessi diritti dei docenti a tempo indeterminato. Hanno gli stessi doveri, ma non gli stessi diritti. Infatti, non hanno le stesse ferie, gli stessi permessi, assenze per malattia e scatti stipendiali di carriera. Altro criterio che riteniamo inadeguato è la chiamata diretta da parte dei dirigenti scolastici dei supplenti, perché andremmo a finire in una situazione di forma clientelare.
Un altro aspetto che dà lustro alla scuola italiana è il processo ormai consolidato relativo all'integrazione scolastica degli alunni disabili. Si tratta di un processo trentennale che tutti ci invidiano. Tutti ci riconoscono questo modo di operare all'avanguardia per quanto riguarda i disabili, tranne il Governo. Tutto questo è all'insegna di un risparmio. Io voglio ricordare che la scuola è l'impresa che produce di più, perché il prodotto della scuola è il cittadino formato e competente. La cultura è l'unica cosa che nessuno può togliere, quindi cerchiamo di darle maggiore attenzione (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. L'onorevole Rosato ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/98.

ETTORE ROSATO. Signor Presidente, onorevole colleghi, ho già avuto modo diPag. 52sottolineare - nel mio intervento notturno in sede di discussione sulle linee generali - di come è stato penalizzato duramente il comparto sicurezza e difesa da un colpevole atteggiamento di questo Governo, che ha operato con tagli indiscriminati nei capitoli di spesa, senza utilizzare alcun criterio selettivo. Si tratta di tagli orizzontali su cifre che erano già considerate da chi oggi è maggioranza come inadeguate; le ricordo: il Ministero dell'interno ha subito, per quanto attiene alle forze di polizia e ai vigili del fuoco, tagli per 1.673 milioni di euro nel triennio e il Ministero della difesa per 1.815 milioni di euro. Accanto a questi tagli lineari si aggiungono anche altre decurtazioni che riguardano gli investimenti e altri capitoli di spesa. Oltre a questi aspetti di carattere finanziario che non colpiscono solo i cittadini, ma anche gli operatori, abbiamo una diminuzione evidente della qualità dei servizi operati in settori sensibili come questo. Inoltre, accanto a tutto ciò abbiamo una demotivazione degli operatori, che vengano lodati in ogni occasione e poi dimenticati quando si debbono assumere provvedimenti di carattere finanziario, come quelli di cui stiamo discutendo oggi. Ciò avviene in un contesto, onorevoli colleghi, in cui i cittadini considerano la sicurezza sempre più al primo punto delle loro esigenze e aspettative. Vi è un'insicurezza che di fronte al calo del numero dei delitti cresce forse in maniera inspiegabile e un allarme criminalità, che voi avete alimentato nel periodo del nostro Governo e di cui dovete tenere conto anche nella predisposizione degli strumenti finanziari.
Oltre alle questioni di carattere finanziario, volevo ricordare che insieme ad alcuni colleghi abbiamo presentato l'ordine del giorno n. 9/1386/98 per limitare la portata di alcune norme punitive che avete previsto a carico dei nostri soldati, dei poliziotti, dei carabinieri, dei finanzieri e dei nostri vigili del fuoco. Mi riferisco in particolare all'articolo 71 del provvedimento, che riguarda le decurtazioni relative alle assenze per malattia. È una norma colpevolmente punitiva, che colpisce in modo inutile, non corretto e indiscriminato questi operatori, che non sono omologabili in tutto ai dipendenti della pubblica amministrazione. È una norma che colpisce questi operatori in maniera più dura, considerato che una parte rilevante della retribuzione degli operatori del comparto sicurezza e difesa e vigili del fuoco è determinata proprio dalla parte mobile della retribuzione su cui intervenite. Per essere chiari, a un fante dell'Esercito, a cui compete, nella prima fase del suo ingresso, una retribuzione di circa 1.300 euro, almeno il 40 per cento della retribuzione è determinato da questa parte, dall'indennità operativa su cui andate a intervenire. Naturalmente vi sono anche gli specialisti, come ad esempio i piloti e i sommergibilisti, in cui la parte mobile della retribuzione è più ampia, così come avviene con le forze di polizia e i vigili del fuoco, ma ciò è dettato dalla volontà di trattenere questi operatori con alti livelli di specializzazione nei nostri organici. Su tutto ciò realizzate un taglio indiscriminato sul quale avete anche tentato di intervenire all'interno del maxiemendamento del Governo con una norma assolutamente inutile che prevede testualmente che: «Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano al comparto sicurezza e difesa per le malattie conseguenti a lesioni riportate in attività operative ed addestrative».
Questo significa che la volontà del Governo, quando ha predisposto il testo, era che, oltre a tutto il resto, anche un operatore della sicurezza, della difesa, che si fosse fatto male durante il servizio, avesse una decurtazione dello stipendio. Naturalmente questo è sicuramente riduttivo e non è sufficiente.
Noi vi chiediamo quindi di intervenire secondo quanto prevede l'ordine del giorno in esame e di farlo in maniera regolamentare, evitando che l'applicazione di una norma di questo tipo provochi effetti moltiplicatori delle misure sanzionatorie proprio nei confronti del personale che tutti noi lodiamo e ringraziamo ogni giorno, che invece voi intendete penalizzare con questo provvedimento in modoPag. 53così colpevole e così duro (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. L'onorevole Binetti ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/56.

PAOLA BINETTI. Signor Presidente, l'ordine del giorno in esame fa riferimento a una situazione che da un certo punto di vista ci interpellerà tutti in un modo molto pesante nel prossimo autunno. In questo ordine del giorno si parte dalla constatazione dei 300 milioni di euro che sono stati destinati al Fondo per le politiche sociali. Questo Fondo per le politiche sociali è praticamente la fonte principale cui attingere per venire incontro ad una molteplicità di bisogni che riguardano, da un lato i servizi diretti alla persona, dall'altro il miglioramento della qualità dei servizi più generalmente presenti sul territorio.
A noi sembra che in questo momento vi siano due motivi gravi di preoccupazione. Uno è quello che riguarda l'annunciato dramma del prossimo autunno. Non si fa altro che sentire segnali pesanti e forti di queste difficoltà cui andremo incontro, che si sommano alle difficoltà delle famiglie di arrivare alla famosa quarta settimana. Dunque si aggiunge una pluralità di bisogni che, in questi giorni, sono stati fortemente messi in evidenza anche da parte degli anziani. Mi riferisco alle difficoltà di trovare una collocazione in strutture, che siano RSA o comunque luoghi di accoglienza, ma anche a situazioni che noi tocchiamo con mano drammaticamente ovverosia quelle in cui versano le famiglie che ospitano nella loro casa un paziente molto grave, financo ad arrivare ad un paziente in stato di coma persistente.
Noi ci troviamo davanti ad una crescente qualità di domanda e ad una crescente quantità di bisogni che vengono posti. Ripercorrendo questo decreto-legge, guardando i tagli ampiamente distribuiti in tutti i settori e le esiguità delle risorse investite, ci chiediamo davvero come potremo far fronte a questa situazione. Ci chiediamo altresì come possano fare le fasce deboli di questo Paese, destinate ad aumentare, anche per motivi di età (chiamiamoli pure motivi positivi posto che il nostro è uno dei Paesi a più alto indice di invecchiamento). Sono destinate ad aumentare anche perché, tutto sommato, nel nostro Paese le risorse mediche permettono in qualche modo di prolungare la vita delle persone, per cui ci troviamo sempre meno pazienti in fase acuta e sempre più pazienti in fase cronica (sappiamo bene che i pazienti in fase cronica non chiedono esclusivamente la medicalizzazione della loro situazione ma l'investimento di risorse di tipo sociosanitario).
Ci troviamo ad affrontare una situazione che ben conosciamo, quella dell'immigrazione che chiede risorse per trasformarsi in politica dell'integrazione e per non rimanere semplicemente politica della repressione. Noi abbiamo bisogno di poter contare su politiche sociali che riflettano un nuovo stile di welfare. Abbiamo bisogno di leggere, attraverso le politiche del Governo, che a fronte di una difficoltà economica generale crescente, nazionale e internazionale, e a fronte di una destinazione sempre più limitata di fondi vi sia davvero la capacità di concepire un welfare con una creatività che individua i bisogni, che li articola tra di loro, che li mette in relazione, che li mette in rete, e che suscita nuove modalità di reperimento dei fondi.
Non a caso una delle nostre richieste più importanti riguarda proprio la possibilità da parte del Governo di reperire nuovi fondi. Il non reperire fondi per le politiche sociali - lo sappiamo tutti - è sempre destinato ad incrementare, attraverso il disagio sociale, politiche comportamentali da parte delle frange più deboli dei cittadini che sono percepite come destabilizzanti dal Paese. Quella nuova povertà, che da un certo punto di vista suscita da parte nostra la comprensione e la solidarietà, quando si traduce nella ricerca di stratagemmi e sotterfugi e di modalità trasgressive per garantirsi la sopravvivenza, diventa un elemento di destabilizzazione nel nostro Paese.Pag. 54
Quindi, mi permetto ancora una volta di insistere, abbiamo bisogno di risorse soprattutto per quella parte delle politiche sociali che intercettano anche i bisogni sanitari.

PRESIDENTE. La invito a concludere, onorevole Binetti.

PAOLA BINETTI. Non possiamo, da un lato, dire «sì» alla vita e, dall'altro lato, «no» a qualunque tipo di richiesta di accorciare la propria vita, perché la fatica del vivere diventa insostenibile per il paziente e per le famiglie. Non possiamo dire questi «no» senza compiere investimenti coraggiosi che dicono al Paese, nei fatti, che i bisogni sociali sono prioritari e che sulla soddisfazione di tali bisogni sociali si fonda gran parte della serenità e della tranquillità di un Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. L'onorevole Marchi ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/222.

MAINO MARCHI. Signor Presidente, nel presentare l'ordine del giorno n. 9/1386/222, vorrei svolgere una valutazione preliminare. Si è già osservato come siano state forzate diverse regole del confronto parlamentare nel presentare a luglio un'anticipazione della manovra finanziaria comprimendo in un mese un dibattito e un percorso parlamentare che con la sessione di bilancio è previsto nell'arco di tre mesi: tempi strettissimi per il lavoro in Commissione e avanzamento a tappe forzate.
In questo ambito è ancor più necessario che il confronto tra maggioranza e opposizione, tra Governo e opposizione e tra Governo e Parlamento si basi almeno su alcuni punti fermi. Si sono voluti forzare tutti i tempi per poter presentare un lavoro completo delle Commissioni riunite su tutto il decreto-legge, perché in caso di presentazione di un maxiemendamento il Governo si era assunto l'impegno che quello sarebbe stato il contenuto del maxiemendamento stesso.
Ora si può comprendere che vi sia qualche aggiustamento formale, si può comprendere - anche se non è condivisibile - che vi sia qualche aggiunta: non è condivisibile però essere stati inondati in Commissione da emendamenti del Governo su un decreto-legge che passerà alla storia per essere stato adottato in nove minuti dal Consiglio dei Ministri e, in seguito, continuamente modificato dal Governo stesso. Inoltre, non è assolutamente ammissibile sul piano della correttezza del confronto politico che vengano cambiate parti del testo delle Commissioni su cui vi è stato confronto e dibattito nelle Commissioni stesse, seguito da un voto unitario.
Se anche le proposte che vengono accolte, in seguito vengono modificate alla prima occasione, che credibilità può avere il lavoro parlamentare? È il caso del comma 12 dell'articolo 11- chiederei l'attenzione del sottosegretario - riguardante il «Piano casa». Abbiamo evidenziato come si trattasse dell'ennesima norma manifesto, perché il Governo non stanzia risorse individuate ora, ma riutilizza quelle già stanziate dal Governo Prodi, circa 800 milioni. Abbiamo sottolineato come la norma che dispone che restino privi di effetti provvedimenti adottati in attuazione delle leggi in vigore, potesse determinare il blocco di interventi già pronti, in particolare per l'edilizia pubblica, e il rischio di contenziosi amministrativi.
Su tale questione si è arrivati ad un punto di convergenza nelle Commissioni, escludendo dalle risorse che confluiscono nel fondo per il «Piano casa» sia quelle relative al programma straordinario di edilizia residenziale pubblica, previste dall'articolo 21 del decreto-legge n. 159 del 2007, sia quelle già iscritte nei bilanci degli enti destinatari e impegnate di cui all'articolo 21-bis, relative ai contratti di quartiere.
Sono pronto a riconoscere che non c'è perfetta corrispondenza tra le proposte espresse al termine del dibattito su questo punto e il testo che risulta approvato. A noi interessava salvaguardare le risorse giàPag. 55iscritte e impegnate nei bilanci di cui all'articolo 21. Nel testo che risulta approvato dalle Commissioni, che non è responsabilità nostra, ci si è un po' allargati, escludendo tutto l'articolo 21 e le risorse iscritte e impegnate in base all'articolo 21-bis.
Ora, però, il Governo non può fare il contrario, sconvolgendo l'accordo raggiunto nelle Commissioni e riportando tutte le risorse dell'articolo 21 tra quelle che sono comprese nel fondo. Chiediamo con l'ordine del giorno in oggetto un impegno del Governo a dare una corretta interpretazione ed applicazione della riformulazione compiuta, prevedendo che l'esclusione delle risorse già iscritte nei bilanci degli enti destinatari e impegnate operi sia per l'articolo 21-bis che soprattutto per l'articolo 21. Se non viene proposta questa interpretazione si tradisce uno dei pochi accordi tra maggioranza e opposizione sul decreto-legge in esame, che aveva visto il consenso del Governo.
Aggiungo un'osservazione su un altro punto che aveva visto convergenze in sede di Commissioni riunite e che ora rischia di non essere approvato per la collocazione che ha avuto nel testo, sul piano interpretativo, in questo caso già nel testo approvato dalle Commissioni.
Mi riferisco al comma 8 del patto di stabilità interno per gli enti locali: è emerso chiaramente nel dibattito in Commissione quanto si chiede nell'ordine del giorno De Micheli n. 9/1386/224, e cioè che anche il saldo finanziario 2007 possa essere ridotto di un importo pari alle risorse derivanti dalla cessione di azioni o quote di società operanti nel settore dei servizi pubblici locali o derivanti dalla vendita del patrimonio immobiliare, qualora siano destinate alla riduzione del debito, altrimenti quella norma non avrebbe senso.
Infine, una sottolineatura su una questione: i rappresentanti della maggioranza dicono sempre che il Governo non mette le mani nelle tasche dei cittadini. Allora mi chiedo: siccome i soci delle cooperative sul prestito sociale, dal 1o gennaio 2008, avranno gli interessi tassati al 20 per cento e non più al 12,5, per la maggioranza i soci delle cooperative non sono cittadini (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico)?

PRESIDENTE. L'onorevole Viola ha facoltà di illustrare suo ordine del giorno n. 9/1386/214.

RODOLFO GIULIANO VIOLA. Signor Presidente, negli ultimi anni abbiamo assistito, a seconda della situazione, ad atteggiamenti ondivaghi riguardo ai temi della prevenzione in tutti i settori della salute pubblica. Ci pare che in uno Stato moderno la prevenzione dovrebbe essere uno degli strumenti fondamentali della tutela della salute e che quindi l'atteggiamento, al contrario, dovrebbe essere coerente e costante.
Altri ordini del giorno e interventi di colleghi del Partito Democratico in fase emendativa hanno rilevato come, ad esempio, in tema di prevenzione sulla sicurezza sui luoghi di lavoro il Governo, col decreto-legge in esame, spinga verso la riduzione della presenza dei tecnici della prevenzione, strumento essenziale per qualsiasi attività di controllo e prevenzione. Si colpisce in maniera trasversale, quindi, la possibilità per lo Stato di svolgere il suo ruolo essenziale in questa materia.
In tal senso, con l'ordine del giorno in esame vogliamo esprimere la nostra preoccupazione per il fatto che si apre, in maniera strisciante, allo svuotamento del ruolo di un altro fondamentale comparto della prevenzione, e cioè quello della veterinaria pubblica, ruolo che oggi si applica attraverso il controllo dell'intera filiera alimentare e del rapporto, ormai consolidato dal punto di vista sociale, tra uomo ed animali.
Orbene, negando la stabilizzazione ai dirigenti del Ministero della salute, e tra questi ai medici veterinari, si comincia ad introdurre l'idea che quell'articolato di conoscenze e professionalità che hanno garantito alti livelli di salute pubblica può essere smantellato. Siccome il Ministro Brunetta non riesce a far lavorare di più e meglio qualche pubblico dipendente o aPag. 56ridurne il numero dove ve ne è più bisogno, si tagliano i più deboli e senza tutele, i precari appunto, in maniera indiscriminata, professionisti che negli anni ci hanno permesso di affrontare - e con successo - gravi emergenze sanitarie internazionali.
Ne cito due per tutte: in Italia la BSE, epidemia durata un decennio in Europa, ha provocato un solo decesso, contro le centinaia di Gran Bretagna e Francia. In Italia l'influenza aviaria è stata fermata alle frontiere. Potrei continuare a lungo. Se le cose sono andate così, lo si deve ad un sistema sanitario basato su una rete che va dal controllo alla frontiera fino all'attività delle aste editoriali, passando attraverso il lavoro degli istituti zooprofilattici.
L'idea che si possa fare a meno di un pezzo di questo sistema, dopo che il precedente Governo invece si era impegnato a stabilizzarlo, ci preoccupa, proprio per l'idea che un nuovo modello di sanità pubblica possa affermarsi attraverso la riduzione dei controlli, con gravi rischi per la salute pubblica. Dal 2009 si passerà, quindi, ad un sistema più simile a quello inglese o francese, che, come abbiamo visto, in questo settore non hanno brillato certo per efficienza.
Proprio per questo, con l'ordine del giorno in esame chiediamo al Governo di rivedere tale posizione, che colpisce seri professionisti e, con essi, una parte della sanità pubblica che tutta l'Europa ci invidia (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. L'onorevole Miotto ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/61.

ANNA MARGHERITA MIOTTO. Signor Presidente, chi ci ascolta assisterà ad una discussione e ad una serie di interventi che si susseguono e che riguardano una serie di materie apparentemente fra loro disomogenee. In verità è così perché nel provvedimento omnibus in esame si parla di tutto.
Tuttavia, vi è una linea di continuità - ahimè - che è rappresentata dai tagli ed uno fra questi coinvolge l'assegno sociale. È all'esame dell'Aula un'innovazione, al comma 10 dell'articolo 20 del provvedimento in esame, che riguarda appunto il riconoscimento dell'assegno sociale, che è già in essere da molto tempo nel nostro Paese. Questa innovazione, però, trascina con sé conseguenze che penso - anzi, ne sono certa - nemmeno chi ha formulato le proposte emendative poteva immaginare (mi riferisco, in particolare, ad un collega appartenente alla SVP, che ha presentato l'emendamento più pericoloso da questo punto di vista). Di cosa stiamo parlando?
L'assegno sociale viene riconosciuto ora a cittadini italiani che abbiano più di 65 anni, che siano residenti in Italia, che siano privi di un trattamento pensionistico, o perché non hanno lavorato oppure perché non hanno maturato il trattamento previdenziale minimo. Si tratta, peraltro, di persone che non hanno altri redditi propri, né vivono con un coniuge che abbia redditi superiori a diecimila euro. A questi cittadini italiani, sono stati equiparati, negli anni scorsi, anche i cittadini immigrati in possesso di carta di soggiorno. Ebbene, cosa propone il Governo oggi? Esso propone che alle citate quattro condizioni (cittadini con più di 65 anni, residenti, privi di trattamento pensionistico o di reddito, che sia superiore a 5200 euro o, se coniugati, superiore a diecimila euro) se ne aggiungano altre due: un soggiorno continuativo per dieci anni (è evidente, quindi, il riferimento ai cittadini immigrati) e aver lavorato per oltre dieci anni in modo continuativo, con un reddito superiore a 5200 euro.
Queste innovazioni comportano una serie di conseguenze: ne cito solo due, che sono quelle che preoccupano di più. La prima conseguenza è che si cambia la natura dell'assegno sociale. Non sfugge ad alcuno la circostanza che il requisito ora proposto di un'attività lavorativa modifica il significato e la natura assistenziale che aveva finora questa prestazione. La seconda conseguenza che si crea - e per la quale, in particolare, ho presentato l'ordine del giorno in oggetto - e la preoccupazione che nutro è che questa modificaPag. 57cambia sostanzialmente la platea degli aventi diritto. In altre parole, come prevede ora la norma, gli aventi diritto devono aver lavorato per dieci anni continuativamente con un reddito superiore a 5200 euro. A partire dal 1o gennaio 2009, non potrebbero, cioè, più percepire l'assegno sociale - che, lo ricordo, è di 395 euro al mese - gran parte o, forse, quasi la totalità delle persone che ora ne sono titolari: ad esempio, tutte le donne - sono moltissime - che non hanno avuto lavoro dipendente o lavoro autonomo, ma che si sono dedicate totalmente e unicamente alla famiglia. È noto, infatti, come l'assegno sociale sia impropriamente conosciuto come la pensione delle casalinghe.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

ANNA MARGHERITA MIOTTO. Queste persone non potranno dimostrare di aver lavorato per dieci anni continuativamente: a dire il vero, hanno lavorato una vita intera, ma quel lavoro in famiglia non è riconosciuto e, pertanto, non potrebbero aver diritto all'assegno sociale.
Signor Presidente - e concludo - con l'ordine del giorno a mia prima firma propongo che il Governo si faccia carico di questa situazione che si è determinata e che rischierebbe di privare qualche centinaia di migliaia di persone di un assegno assistenziale che - devo dire - è inferiore al minimo vitale, ma che costituisce almeno un piccolo riconoscimento in una situazione di grave difficoltà economica per queste persone. Mi auguro e spero che il Governo non farà mancare la sua iniziativa per cambiare questa norma che avrebbe davvero effetti aberranti.

PRESIDENTE. L'onorevole Mastromauro ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/194.

MARGHERITA ANGELA MASTROMAURO. Signor Presidente, la maggioranza ha scelto di porre la fiducia anche su questo importante provvedimento, privando l'opposizione della possibilità di aprire una discussione equilibrata e di entrare seriamente nel merito del provvedimento stesso, senza intenti polemici ma nel solo tentativo di renderlo davvero efficace rispetto alle finalità indifferibili ed urgenti per le quali è stato emanato sotto la forma di decreto-legge.
Abbiamo pertanto ritenuto opportuno presentare alcuni ordini del giorno che riassumessero le obiezioni già formulate in sede di Commissione e nel corso della seppur breve discussione parlamentare e rimaste inascoltate. In particolare, l'ordine del giorno su cui ho chiesto la parola si riferisce all'articolo 11, relativo al piano casa, una norma che, oltre ad avere un notevole impatto economico, riveste anche un notevole interesse pubblico poiché affronta una vera emergenza, quella dell'alloggio sociale. Non è nostra intenzione intralciare i lavori parlamentari con sterili discussioni, ma abbiamo la convinzione che dobbiamo fare in modo che norme di una tale importanza sociale abbiano attuazione nel più breve tempo possibile ed in armonia con i sistemi europei.
Diamo atto al Governo che, rispetto alla stesura iniziale, il piano casa ha subito delle lievi modifiche che, in parte, hanno recepito le obiezioni emerse in Commissione ma riteniamo che tali modifiche siano ancora insufficienti a garantirne una corretta e rapida attuazione. In particolare, con l'ordine del giorno in esame, chiediamo al Governo di impegnarsi su due temi fondamentali per la riuscita del piano casa. Il primo riguarda i tempi di attuazione del piano: il comma 1, dell'articolo 11, fissa infatti il termine di 60 giorni solo per l'approvazione del piano di edilizia abitativa, ma non è definita la tempistica di attuazione. La mancanza di vincoli temporali all'attuazione porta come conseguenza l'assenza di certezze, attendibilità e affidabilità della norma.
Il secondo riguarda l'indeterminatezza del ruolo delle regioni in sede di formazione e attuazione del piano. Nell'attuale formulazione del piano, infatti, le regioni svolgono un ruolo marginale rispetto alla competenza anche legislativa che invece la Costituzione attribuisce loro. Come ha già avuto modo di chiarire la Conferenza deiPag. 58Presidenti delle regioni, la partecipazione al piano casa, ridotta all'approvazione da parte della Conferenza medesima in sede di stesura iniziale e poi la partecipazione della regione interessata alla stipula dell'accordo di programma, sono insufficienti.
Con questo ordine del giorno, quindi, chiediamo al Governo l'impegno a garantire, sia nella fase di formulazione che di attuazione del piano casa, il massimo coinvolgimento delle regioni, affinché le importanti scelte di destinazione dei fondi che esso comporta siano prese con la collaborazione degli enti che a livello regionale possono meglio rappresentare l'interesse del territorio nazionale (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. L'onorevole Ferranti ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/231.

DONATELLA FERRANTI. Signor Presidente, con l'ordine del giorno in esame si intende sollecitare il Governo ad assumere tutte le iniziative che possano rendere operativo in tempi più certi e rapidi possibili, le norme sull'azione collettiva risarcitoria. Il decreto-legge in conversione, infatti, prevede un'ulteriore proroga all'entrata in vigore di questo istituto che, mutuato dagli Stati Uniti, è stato previsto dalla legge finanziaria per il 2008. Essa ha recepito, per il nostro ordinamento, un'azione legale che può essere esercitata da uno o più soggetti i quali, in quanto membri della stessa classe, chiedono che la soluzione di una posizione comune di fatto o di diritto avvenga con effetti ultra partes, per tutti i componenti presenti e futuri della classe.
Nell'adattamento, questo istituto, che negli Stati Uniti è previsto anche per ottenere i cosiddetti «danni punitivi», è stato invece previsto dalla legge finanziaria in Italia, adeguandosi ai nostri principi ordinamentali, come azione collettiva ai fini risarcitori.
Comunque, questo istituto aveva una funzione, rispondeva ad un'istanza sociale: riequilibrare la posizione di debolezza del consumatore ogni qualvolta - e la realtà ha dimostrato che ciò accade frequentemente - il consumatore patisce la lesione di un diritto, che magari non ha un valore economico e come tale da indurlo a rinunciare, a volte, alla tutela in giudizio singola, perché antieconomica rispetto al risarcimento del danno che andrebbe ad ottenere ed anche rispetto al percorso giudiziario che dovrebbe sostenere.
Il rinvio dell'entrata in vigore della legge non consente di verificare sul campo se questo processo collettivo avrebbe funzionato, anche perché siamo consapevoli che erano sorti dibattiti dopo questa introduzione; tuttavia l'istituto dev'essere operante per verificarne l'impatto sociale e per verificarne, poi, eventualmente, delle modifiche, una volta che sia stato messo nelle condizioni di funzionare. Al contrario, il Governo ha deciso di rinviare sul procedimento e si è assunto, così, una responsabilità di fronte ai cittadini. Ci auguriamo che il rinvio non sia un addio all'istituto e che in realtà non si mediti, nel frattempo, di rimettere mano alla legge per modificare il sistema attualmente vigente. I cittadini non lo perdonerebbero perché la class action è, e rimane, un'istanza sociale, voluta dalla gente come necessario strumento di governo del mercato.
Pertanto, confidiamo che il Governo riesca a capire e a pensare le realtà in termini di effettività di strumenti per la società, per i cittadini comuni e, quindi, anche su questo punto, abbia la capacità di mettere in campo un istituto che è lo strumento - è sorto con questa filosofia - per ottenere in tempi rapidi un risultato concreto in termini di risarcimento del danno per soggetti lesi, i quali, molto spesso, rimangono senza un'effettiva tutela.

PRESIDENTE. L'onorevole Bratti ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/72.

ALESSANDRO BRATTI. Signor Presidente, nonostante si fosse convenuto di affrontare il tema dei controlli ambientaliPag. 59e della loro organizzazione attraverso un percorso legislativo che potesse coinvolgere il Parlamento, il Governo ha riproposto la decretazione d'urgenza. Lo scopo è ben preciso: appropriarsi per legge del sistema dei controlli e delle commissioni autorizzative, stravolgendo il ruolo di terzietà e garanzia di questi organi, i quali devono garantire la sicurezza dei cittadini, la tutela della loro salute, oltre ad esprimersi sulla fattibilità o meno di infrastrutture strategiche.
Il disegno è chiaro: da un lato si propone la costruzione di impianti nucleari, dall'altro si costruisce la strada per non trovare ostacoli di alcun tipo e genere riguardo alle autorizzazioni. Si tratta di un disegno miope, che tende a svilire sempre di più organi tecnici, asservendoli a decisioni già assunte. Nell'ambito della strategia energetica nazionale si individua l'opzione nucleare più come slogan che come reale fattibilità, mentre non si parla di interventi di risparmio energetico. Rispetto a Kyoto non vengono destinate attenzioni particolari, né finanziamenti mirati, così come pare molto debole la volontà di puntare sulle energie alternative. Nulla si dice rispetto ai parchi, dimenticando la loro potenziale funzione in termini di serbatoi di CO2 e, quindi, fondamentali per le politiche per contrastare i cambiamenti climatici. Nulla viene proposto rispetto alle azioni di adattamento da mettere in campo per far fronte al cambiamento del clima. Non vi è una svolta importante riguardo l'incentivazione del trasporto pubblico: una delle maggiori fonti di produzione di gas serra non può valersi di energia nucleare. Non vi si trova traccia di finanziamenti o di azioni a supporto della difesa idrogeologica del territorio, né vi è alcunché di concreto sul tema della fiscalità ambientale.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nell'audizione in Commissione, ha lamentato ritardi nel rilascio delle autorizzazioni da parte dell'attuale commissione per l'autorizzazione ambientale integrata. In realtà, buona parte di questi ritardi sono da imputare al Governo condotto dall'attuale maggioranza negli anni 2002-2006, il quale non ha emanato i tariffari ed ha infarcito la I Commissione di persone senza i necessari requisiti tecnici, tanto da non ottenere la registrazione del decreto di nomina alla Corte dei conti.
Quella Commissione, in quasi un anno, non ha prodotto una pagina. Si propone dunque un istituto - anzi un istituto superiore - per la protezione e la ricerca ambientale, non conoscendo evidentemente né la differenza fra istituto di ricerca ed organo tecnico strumentale, né la relazione esistente tra queste due sfere. La domanda che si pone dunque è la seguente: dal momento che si parla di razionalizzazione degli enti, perché si crea un nuovo ente di ricerca? Come si intreccia l'attività di questo nuovo ente con quella dei vari istituti del CNR, con l'ENEA, con l'INFS? E ancora: rispetto ad un ente come l'Istituto nazionale per la fauna selvatica, come viene regolamentato il rapporto con le regioni quanto ai calendari venatori? Mi pare che in questa proposta vi sia una grande confusione.
La creazione dell'ISPRA - il cui acronimo peraltro ricalca il nome della località che ospita e spesso dà il nome al JRC (Joint Research Centre), uno fra i più importanti centri di ricerca ambientale europei, denotando ancora una volta la scarsa conoscenza di questo mondo - riguarda direttamente o indirettamente circa 10 mila tecnici che si occupano di monitoraggio e controllo. Dall'impostazione del decreto ho l'impressione che si voglia andare verso una centralizzazione del sistema, attraverso la nomina di tecnici di fiducia per poter esercitare un forte condizionamento politico sugli organi di controllo, praticando uno spoil system mascherato e di fatto esautorando completamente il sistema delle regioni.
L'efficacia del sistema dei controlli è fondamentale per mantenere la legalità in questo Paese: non ci si può riempire la bocca di legalità e sicurezza quando si parla di immigrazione, inventando provvedimenti estemporanei e solo di facciata, e poi smantellare una parte del sistema dei controlli che serve a garantire laPag. 60legalità in un settore come quello ambientale, che - come abbiamo visto per il caso dei rifiuti - è estremamente delicato. In questo modo, non solo non si tutela l'ambiente ma si creano per le imprese condizioni di disparità di trattamento nel territorio nazionale, generando fenomeni di dumping industriale e favorendo condizioni di illegalità.
Pur non condividendo dunque l'impostazione generale, con questo ordine del giorno proponiamo che il nuovo istituto che si verrà a definire abbia le seguenti caratteristiche: il federalismo come modello organizzativo complessivo; la terzietà rispetto al binomio pubblico-privato; la multi-referenzialità nei confronti dei diversi soggetti istituzionali; l'autonomia scientifica di gestione e di programma necessaria per svolgere il proprio lavoro (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. L'onorevole Mariani ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/69.

RAFFAELLA MARIANI. Signor Presidente, la scelta prima di emanare un decreto-legge e poi di porre la fiducia sulla sua conversione ci ha ridotti a discutere attraverso la presentazione di ordini del giorno una manovra economica che bensì contiene taluni riferimenti alle tematiche ambientali e dei lavori pubblici, ma contiene anche molte omissioni. Si è infatti deciso di far passare nell'opinione pubblica, attraverso l'indicazione di talune priorità soltanto enunciate, l'immagine di uno Stato che decide, opera e predispone assai rapidamente gli atti necessari alla soluzione di annosi problemi. Spetta però a noi - è questa la regola democratica principale - confutare, obiettare, fare proposte ed indicare argomenti degni di intervento.
In quest'ottica, con il mio ordine del giorno ho scelto di affrontare un tema che è stato sollevato assai spesso e che riguarda in particolar modo il Mezzogiorno d'Italia ma in generale - posso sostenerlo grazie alla documentazione che citerò - l'intero Paese: quello delle risorse idriche e delle iniziative urgenti che vorremmo il Governo adottasse al fine di dotare il nostro sistema idrico di risorse economiche adeguate. Con questa manovra economica, infatti, (come per numerosi altri argomenti che riguardano le infrastrutture) si è deciso di sottrarre risorse pari a 70 milioni di euro in tre anni che sarebbero state destinate alla ristrutturazione e all'ammodernamento della rete idrica nazionale (e che peraltro sarebbero state di per sé insufficienti).
Poche settimane fa, la relazione dell'Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici citava come argomento di particolare rilevanza questo tema (quello delle reti di distribuzione delle risorse idriche), sottolineando come tale annoso problema rappresenti ormai un'emergenza nel nostro Paese. Da un lato, infatti, vi è una ingentissima perdita d'acqua da parte del sistema, poiché la rete è ormai obsoleta ed evidenzia grandi mancanze, dall'altro - lo si evince da quella relazione - vi sono destinazioni assolutamente insufficienti da parte del bilancio dello Stato. Si pensi che nell'ultimo trentennio gli investimenti dedicati alla rete idrica nazionale sono stati ridotti di circa i due terzi.
Si è passati da una media di 2,3 miliardi di euro nel 1985 ad una spesa di poco superiore ai 700 milioni di euro nel 2005. La rete degli acquedotti, di circa trecentomila chilometri, ha mediatamente 32 anni di vita. Vi sono pochissime condotte giovani. Vi è la necessità di rinnovare, adeguare e mettere in stato di efficienza un sistema molto vecchio; le stime evidenziano che mediamente il 42 per cento del volume di acque erogato viene disperso. Tutto ciò a fronte di una necessità sempre maggiore di risorse idriche e dinanzi anche a cambiamenti climatici rispetto alle cui misure di attenuazione si è ancora detto e fatto molto poco.
Pretendevamo che nella discussione della manovra economica (è la prima e comporta le predisposizioni dei futuri tre anni nonché gli intendimenti del Governo) si potessero avere indicazioni precise su tale argomento. Niente è stato detto ePag. 61quello che vorremmo evidenziare riguarda non solo il tema in sé della rete idrica ma tutto ciò che sia connesso alla normativa di riferimento, ossia la legge 18 maggio 1989, n. 183, sulla difesa del suolo, e alla cosiddetta legge Galli - la legge 5 gennaio 1994, n. 36 - sulle acque. Ricordo che tali leggi vedono ancora non attuate disposizioni fondamentali del loro assetto. In particolare, mi riferisco all'organizzazione delle Autorità di bacino, alla loro funzione gestionale e a tutto ciò che si sarebbe dovuto rivedere con la discussione del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, rispetto al quale dobbiamo ancora iniziare una discussione. Ci auguriamo che si procederà con disegni di legge con la partecipazione piena del Parlamento e delle Commissioni competenti.
Purtroppo, l'avvio è stato molto differente da quello che immaginavamo. Ciò è avvenuto, come hanno affermato i colleghi che mi hanno preceduto, per quanto riguarda le Autorità, la casa e le concessionarie autostradali dove abbiamo assistito ad uno Stato che ha voluto imprimere le sue decisioni non nella direzione di agevolare un sistema e la sua efficienza ma temiamo, purtroppo, per rispondere a promesse elettorali che niente hanno a che vedere con un sistema moderno che sia a favore di tutti cittadini italiani e soprattutto all'efficienza generale delle nostre strutture.

PRESIDENTE. L'onorevole Calvisi ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/197.

GIULIO CALVISI. Signor Presidente, l'ordine del giorno che illustro fa riferimento al tema delle autostrade del mare perché noto un'incongruenza molto significativa tra quanto dichiarato dal Governo, in particolare dal Ministro Matteoli, e quanto concretamente viene previsto in proposito nel decreto-legge in esame. Il Ministro Matteoli, proprio nel mese di luglio, ha dichiarato che si devono rilanciare le autostrade del mare, ripensare e migliorare il progetto, ridefinire i collegamenti e si è posto un obiettivo ambizioso: coprire con le autostrade del mare che partono dall'Italia tutta l'area del Mediterraneo. Infine, ha dichiarato che il nostro Paese si è fatto promotore di un incontro con Francia e Spagna per investire maggiori risorse economiche.
Si tratta di un programma condivisibile in linea con una considerazione, un assunto, comune a tutte le forze politiche presenti in Parlamento, relativo all'importanza strategica delle autostrade del mare. Infatti, l'88 per cento delle merci che si muovono in Italia viaggiano sulle strade. Vi sono problemi di sicurezza e di congestione del traffico su strada. Le autostrade del mare liberano, appunto, le nostre strade e sono percorsi alternativi alle strade d'asfalto e rappresentano una grande possibilità di trasformazione - forse l'unica - di mobilità delle merci.
Il precedente Governo aveva previsto strumenti molto importanti per gli autotrasportatori che sceglievano il mare e non la strada. Allora, il punto qual è? Il Governo taglia, con il decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, risorse importanti per lo sviluppo delle autostrade del mare: 77 milioni di euro per il 2008 (disposti dal precedente Governo), 77 milioni di euro per il 2009 e altri 77 milioni di euro per il 2010.
È incoerente, del resto, questa misura con quanto anche l'attuale maggioranza e l'attuale Presidente del Consiglio avevano fatto nella XIV legislatura per lo sviluppo delle autostrade del mare. Ricordo la costituzione, proprio durante il Governo Berlusconi, nel 2004, della società per lo sviluppo delle autostrade del mare, la legge n. 166 del 2002, la legge n. 265 del 2002 per incentivare il trasporto modale dalle strade al mare, gli impegni anche del DPEF del Governo Berlusconi del 2004, tutte cose che poi hanno trovato perfezionamento e risorse concrete e disponibili con il Governo Prodi.
Programmi importanti, infatti, sono stati predisposti dal Governo Prodi per lo sviluppo delle autostrade del mare: 400 milioni di euro stanziati nella legge finanziaria del 2008 e l'eco-bonus di 77 milioni di euro dal 2008 al 2010 per il rimborsoPag. 62del biglietto per gli autotrasportatori che sceglievano il mare rispetto alla strada.
C'era un vincolo allora dettato dall'Unione europea che prevedeva incentivi per sostituire il trasporto su strada con quello via mare e che, in un primo momento, portò ad escludere alcune realtà importanti del Mediterraneo, come la Sardegna (la regione che rappresento), che, essendo un'isola, non poteva sostituire la strada con il mare, perché tutto il trasporto avveniva via mare. Poi, grazie alla mobilitazione dei lavoratori, della regione Sardegna e di tutti i parlamentari sardi, il Governo dichiarò la propria disponibilità e fece ricomprendere la tratta via mare Cagliari-Olbia per lo sviluppo delle autostrade del mare, nella speranza che in futuro si potesse aprire uno spiraglio per un successivo reintegro delle rotte delle autostrade del mare della Sardegna per coprire, appunto, le grandi autostrade del mare nazionali e internazionali.
Ora il punto è che questo taglio riduce gli incentivi per quelle rotte già individuate e mette, a mio avviso, una pietra tombale sulla possibilità di un inserimento più completo della Sardegna nelle grandi infrastrutture del Mediterraneo, tanto auspicate dal Ministro Matteoli. Per questo chiediamo al Governo una cosa semplice: di essere coerente con gli intendimenti, con i programmi elettorali e con gli annunci fatti in questi primi mesi del Governo Berlusconi dallo stesso suo Ministro, e cioè di assumere un impegno per assicurare risorse per lo sviluppo delle autostrade del mare e per assicurare il collegamento di queste grandi reti infrastrutturali con la Sardegna, un'isola già colpita dalla soppressione del trasporto merci sui traghetti che effettuano cabotaggio dei vagoni ferroviari sulla linea Civitavecchia-Golfo Aranci, e di prevedere risorse adeguate. Quindi, ci auguriamo che vi sia una sensibilità da parte del Governo e l'accettazione di un ordine del giorno che è coerente con gli intendimenti dello stesso Ministro Matteoli (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. L'onorevole Misiani ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/190.

ANTONIO MISIANI. Signor Presidente, signor sottosegretario, colleghi, l'articolo 77 del decreto-legge in esame fissa la misura del concorso delle autonomie territoriali alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica per il triennio 2009-2011. In questo quadro, il contributo che viene richiesto agli enti locali è particolarmente importante e significativo. Per i soli comuni lo sforzo sollecitato dal decreto è di 1.340 milioni di euro nel 2009, 2.370 nel 2010 e 4.145 nel 2011.
Tutto questo avviene nonostante il fatto che nel 2007, per la prima volta da dodici anni, i comuni abbiano chiuso i propri conti con un avanzo di 325 milioni di euro. Queste misure si inseriscono in un contesto particolare di grande incertezza delle entrate comunali per effetto di provvedimenti assunti dal Governo precedente e in relazione ai contenuti previsti dal decreto-legge n. 93 del 2008 che, come è noto, all'articolo 1 ha sostanzialmente abolito l'ICI sulle abitazioni principali.
La relazione tecnica del decreto-legge n. 93 del 2008 ha quantificato il minor gettito per i comuni derivante dall'abolizione dell'ICI sulla prima casa in 2.604 milioni di euro, di cui 904 milioni derivanti dalle scelte della legge finanziaria 2008 e 1.700 da quelle del decreto-legge n. 93 del 2008. Sulla consistenza effettiva del minor gettito per i comuni dell'ICI sull'abitazione principale si è però aperta una diatriba.
Infatti, altre fonti hanno indicato dati molto discordanti rispetto a quelli forniti dal Governo. Il CER (Centro Europa ricerche) ha stimato il minor gettito in una cifra compresa tra 3.242 e 3.813 milioni, utilizzando i dati dei consuntivi 2006 che si possono reperire sul sito del Ministero dell'interno. L'IFEL (Istituto per la finanzia e l'economia locale dell'ANCI) ha fornito a sua volta una stima compresa tra 3.177 e 3.311 milioni, sempre utilizzando i dati del Ministero dell'interno. I comuni entro aprile, in base al decreto ministerialePag. 6315 febbraio 2008, hanno a loro volta inviato certificazioni al Ministero dell'interno del gettito ICI riguardante la prima casa. La somma di tali certificazioni dà un totale di 3.009 milioni di euro. In ultimo, ma non certo ultimo in ordine di importanza, il servizio bilancio del Senato ha prodotto una valutazione che oscilla tra 3.537 milioni a livello di riscossione e 3.738 milioni di minor gettito ICI sulle abitazioni principali in relazione agli accertamenti dei bilanci comunali.
In definitiva, abbiamo stime del minor gettito ICI sull'abitazione principale che oscillano tra 3.009 milioni e 3.813 milioni, a fronte di una quantificazione nella relazione tecnica del decreto n. 93 del 2008 che è di 2.604 milioni. La differenza è molto rilevante, perché parliamo di qualcosa che oscilla da un minimo di 405 milioni di euro ad un massimo di un miliardo e 200 milioni di euro.
Se le cose stanno così, per i comuni si apre un problema serio, poiché la compensazione prevista dal comma 4 dell'articolo 5 del decreto n. 93 del 2008 corre il rischio di essere già nel 2008 sottodimensionata, perché il Governo ha stanziato risorse inferiori rispetto alla stima del minor gettito che viene fatta da parecchie altre fonti, e, in prospettiva, ulteriormente insufficiente, perché il rimborso è previsto costante nel tempo, a fronte di un gettito ICI che ha un suo dinamismo. Infatti, basti pensare che tra il 1995 e il 2006 il gettito ICI è cresciuto nel suo complesso del 4,4 per cento come media annua.
Sulla base di queste premesse, con questo ordine del giorno formuliamo alcune richieste di impegno al Governo. La prima è di adottare provvedimenti opportuni per compensare integralmente il minor gettito ICI derivante dall'applicazione del decreto n. 93 del 2008. Chiediamo di stanziare nella legge finanziaria per il 2009 risorse da trasferire ai comuni in misura sufficiente e necessaria ai rimborsi ICI.

PRESIDENTE. Onorevole Misiani, la prego di concludere.

ANTONIO MISIANI. Chiediamo, inoltre, di introdurre anche in questo caso un meccanismo di certificazione, con cui siano i comuni stessi a comunicare al Ministero dell'interno il minor gettito e chiediamo, infine, di garantire che, qualora il minor gettito ICI sia superiore alle cifre indicate al comma 4 dell'articolo 1 del decreto-legge n. 93 del 2008, l'ulteriore minore imposta, qualora ci dovesse essere, determinata a decorre dal 2008, sia rimborsata ai singoli comuni con un trasferimento da erogare entro e non oltre il 30 giugno 2009 (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. L'onorevole Mazzarella ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/260.

EUGENIO MAZZARELLA. Signor Presidente, non so se questa Camera nel vuoto, peraltro surreale, in cui conduciamo il nostro lavoro è consapevole che, con l'articolo 16 del decreto-legge in esame sul quale ha approvato la fiducia, di fatto si è avviata in modo surrettizio una riforma di sistema dell'università italiana che avrebbe meritato ben altro respiro di dialogo parlamentare se davvero, come in Commissione il Ministro Gelmini aveva assicurato, l'università e la ricerca in Italia sono patrimonio condiviso da difendere e su cui costruire il futuro del Paese.
Ci sarebbe voluta la buona volontà della saggezza per stralciare l'articolo 16, che avvia la trasformazione degli atenei in fondazioni di diritto privato. Si sarebbe potuto dare un segnale, almeno su questo, che un dialogo è possibile tra maggioranza e opposizione. Non si è voluto farlo. Insistere a mantenere nel decreto-legge in esame una normativa su cui si sarebbe potuto discutere costruttivamente nella sede appropriata di un confronto in Commissione e in Assemblea dà la frustrante sensazione al mondo dell'università che anche gli atenei sono intesi dal Governo, come tutto ciò che è impegno diretto dello Stato, come mano morta pubblica su cui abbattere la scure del Ministero dell'economia. Si tratta di un astio ideologico chePag. 64l'università italiana, che pure ha bisogno di interventi riformatori importanti, non merita e che, peraltro, è sintomatico di una sfiducia in se stesso del Governo, di non essere cioè capace di mettere in efficienza i comparti pubblici, per cui si preferisce la via breve dell'esternalizzazione sul mercato, fingendo di illudersi che le presunte virtù salvifiche del mercato costringeranno i comparti già pubblici all'efficienza.
Per riparare a questo, tenendo conto delle preoccupazioni espresse dalla CRUI all'unanimità che la normativa prevista dall'articolo 16 e dagli altri tagli presenti nel decreto-legge delinei un «sostanziale, progressivo e irreversibile disimpegno dello Stato dalle sue storiche responsabilità di finanziatore del sistema universitario nazionale, con ripercussioni che non potranno pertanto non riguardare anche gli atenei non statali», con questo ordine del giorno proponiamo che, almeno in via regolamentare, alla luce delle gravi preoccupazioni che emergono da tutto il mondo universitario - ossia che quello che rischia di restare in piedi, dopo un intervento del genere, è un sistema duale che vedrà università di serie A e di serie B, con quelle di serie B presenti ovviamente in modo prevalente nel centro sud, aggravando così il divario socio-economico del Paese e differenziando ai danni dei giovani meridionali le pari opportunità del diritto allo studio - il Governo si impegni affinché la trasformazione degli atenei in fondazioni sia possibile solo a condizione che gli stessi siano stati messi in condizioni previe di equilibrio finanziario e di efficienza sistemica della loro governance, in modo che le previste fondazioni siano attrattive per l'impegno dei privati.
Chiediamo, inoltre, che sia previsto un sostegno perequativo alla rete degli atenei meridionali per non aggravare ulteriormente il divario socio-economico tra nord e sud, garantendo pari opportunità di diritto allo studio a tutti i giovani del Paese, e che ovviamente nel prossimo esercizio finanziario sia previsto un incremento del Fondo di finanziamento ordinario delle università.
Questo Governo, che ha l'ambizione di passare alla storia del Paese, rischia di entrare in questa storia dalla porta sbagliata, di chi ha distrutto la grande tradizione pubblica dell'università italiana che ha tra i suoi padri uomini come Giovanni Gentile, che certo oggi non siederebbe nei banchi del PD, ma che credo non avrebbe dato la fiducia ad un provvedimento del genere (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. L'onorevole Realacci ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/67.

ERMETE REALACCI. Signor Presidente, il sottosegretario Vegas è persona competente e intelligente...

GIUSEPPE VEGAS, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Non esageriamo!

ERMETE REALACCI. Sì, senza esagerare! Al sottosegretario non sfuggirà che nel provvedimento che stiamo esaminando non vi è traccia di una delle sfide più importanti che hanno davanti i grandi Paesi industrializzati dell'Occidente e di tutto il mondo, ossia il tema che riguarda il risparmio energetico e la promozione delle fonti rinnovabili.
Se il Parlamento avesse avuto il tempo di esaminare con attenzione il provvedimento e di portare un suo contributo sono sicuro che ci saremmo trovati di fronte ad uno strumento più utile per il nostro Paese; invece, di questo non c'è stata data possibilità, e ci troviamo oggi di fronte ad un provvedimento che rispetto alle grandi sfide che abbiamo davanti e al forte rischio rappresentato dal costante aumento del prezzo del petrolio non fornisce alcuna risposta.
Devo dire che in questi giorni anche alcuni esponenti del Governo - penso ad esempio al Ministro Prestigiacomo e alla sua audizione presso la Commissione ambiente della Camera dei deputati - hanno parlato di future politiche ambientali in cui gli strumenti fiscali vengono adoperatiPag. 65per favorire le industrie più innovative, le politiche ambientali avanzate e, al tempo stesso, per scoraggiare scelte sbagliate, ma di questo non v'è traccia.
Stiamo parlando di una questione che è molto importante per la competitività del nostro Paese e per il rispetto degli impegni che l'Italia ha assunto in sede di Protocollo di Kyoto. Ricordo che noi, purtroppo, siamo tra i grandi Paesi europei in fortissimo ritardo per quanto riguarda il rispetto di tali impegni; dovremmo ridurre le emissioni di CO2 oramai di circa il 18 per cento entro il 2012 e non è dal continuo, propagandistico, e francamente anche un po' sopra tono richiamo all'uso del nucleare - il cui utilizzo, se avverrà, sarà intorno al 2020 - che verrà la risposta a questi temi. Soprattutto, non è attraverso questa strada che si risolverà un problema che è importante anche per i cittadini: quello delle spese connesse al consumo che gravano, appunto, sulle loro tasche. A tal proposito, ricordo che siamo di fronte ad una situazione che già oggi ha portato ad una riduzione dei consumi di benzina in tante grandi città italiane cui conseguirà, per fare un solo esempio, una domanda nei confronti del trasporto pubblico che alla ripresa sarà molto più forte. Questo ovviamente è anche un dato positivo; però, a confronto di questa domanda più forte, oltre ai già annunciati tagli ai treni pendolari, non avremo investimenti nel trasporto pubblico locale; quindi, questa occasione si tradurrà in un ulteriore elemento di stress per le tasche dei cittadini, per l'ambiente e per la salute delle nostre città.
In tanti altri campi la situazione è analoga. Nella passata finanziaria - si poteva fare molto di più, e noi saremmo ben lieti se questo Governo facesse molto di più di quanto si è fatto nel passato - erano state adottate una serie di misure, anche a costo zero, che avevano il doppio vantaggio di favorire la competitività della nostra industria e di fare un favore ai cittadini.
Ad esempio, era stata introdotta una misura a favore dei frigoriferi a più basso consumo. Oggi nel mercato vi sono frigoriferi che a parità di prestazioni consumano un terzo dei frigoriferi del passato, più «energivori» ed inquinanti. Noi siamo leader in Europa degli elettrodomestici bianchi, la nostra industria è avanzatissima in materia ed ha una concorrenza che spesso è molto più arretrata. Stabilendo degli obiettivi avanzati, quindi, noi difendiamo la competitività della nostra industria. Ciò vale per i frigoriferi e per le lampadine: infatti, dal 2011 è previsto il divieto delle lampadine ad incandescenza e dal 2010 degli elettrodomestici non di classe A. Aiutiamo, dunque, i cittadini e l'ambiente e rendiamo più competitiva la nostra economia.
A maggior ragione queste argomentazioni valgono per le fonti rinnovabili. Nel mese di marzo la Spagna ha prodotto la maggior parte della sua energia elettrica da fonti rinnovabili, mentre l'Italia è molto indietro e dobbiamo recuperare il terreno. Chiediamo a questo Governo di farsi carico degli interessi del Paese e di guardare al futuro cercando di dare speranza all'Italia, non con politiche vecchie, chiuse e conservative che non aiutano la sfida che l'Italia ha davanti (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. L'onorevole Quartiani ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/80.

ERMINIO ANGELO QUARTIANI. Signor Presidente, ho presentato un ordine del giorno relativo ad un tema che apparentemente non dovrebbe interessare le popolazioni, i cittadini e gli elettori di realtà come quella milanese, o altre realtà di pianura, che non si collocano nella montagna italiana, e che, io come tanti altri colleghi, rappresentiamo in quest'Aula. Il tema di cui mi occupo con questo ordine del giorno è quello delle comunità montane, oggetto di un duro intervento da parte del Governo, che riduce e quasi azzera il Fondo ordinario di funzionamento.
Signor Presidente, il tema non riguarda esclusivamente la vita di coloro che sono (anche per scelta individuale e non soloPag. 66per costrizione) abitanti delle diverse condizioni della montagna italiana, ma riguarda anche la situazione per cui in un gran numero di valli la montagna italiana rischia di produrre spopolamento e spaesamento, quindi di ingenerare a livello nazionale una realtà di diseducazione volta a non considerare la montagna e coloro che abitano in montagna un valore per tutta la Nazione italiana. È in montagna, infatti, che si ricavano le risorse idroelettriche per far funzionare molte nostre aziende e fabbriche; è in montagna che in passato sono state prelevate risorse e si è determinato uno degli indirizzi fondamentali che hanno portato numerose zone industriali del Paese a ritrovare l'energia necessaria (quella elettrica) per poter produrre e creare benessere che abbiamo l'obbligo di far ritornare alle zone montane, dentro un'idea di solidarietà che non può venire meno.
Ora si può eccepire che le comunità montane siano anche un grande carrozzone burocratico, ma non lo sono, in quanto nel tempo sono state oggetto di riorganizzazione.
Lo si può anche eccepire, ma non si può certo accettare il fatto che il Governo intervenga in modo tale da ridurre un Fondo che è già stato oggetto di razionalizzazione da parte del precedente Governo, il quale, però, ha comportato l'impegno delle regioni a riorganizzare le comunità montane. Le comunità montane, ormai, in quasi tutte le regioni italiane, proprio in virtù della legge finanziaria dello scorso anno, si stanno riorganizzando e stanno producendo, quest'anno, un risparmio di 30 milioni di euro e, nei prossimi anni, ne produrranno uno pari a 60 milioni. Questo risparmio è stato indirizzato verso lo sviluppo delle zone montane. Con la legge finanziaria per il 2008, in vigore cioè, abbiamo prodotto un processo di razionalizzazione importante che ha determinato risparmi nell'attività di funzionamento burocratico delle comunità montane, ma ha ricondotto quei risparmi e quelle risorse allo sviluppo della montagna italiana. I 30 e i 60 milioni di euro di cui si è parlato, quindi, sono stati e sono usati per rimpinguare il Fondo previsto dalla legge n. 97 del 1994 per lo sviluppo delle comunità montane, come richiede l'articolo 44 della nostra Costituzione.
Questo Governo non agisce allo stesso modo: sottrae 90 milioni di euro alle comunità montane, riducendone il Fondo ordinario a 30 milioni di euro, cioè azzerandolo (poteva anche eliminarlo, a questo punto). Signor Presidente, signor sottosegretario, il Governo non restituisce queste risorse alle comunità montane (con un gesto di perequazione - questa sì - per gli italiani e per la fiscalità generale, a favore di zone meno sviluppate), ma semplicemente le trasferisce su un fondo generico del Ministero dell'economia e delle finanze. Un giorno, magari, potrà utilizzarle per approvare una «legge-mancia».
Signor Presidente, concludo con una citazione dell'intervento pronunciato da un grande italiano in occasione del suo ultimo discorso al Senato. Si tratta di Ezio Vanoni, che, parlando della sua montagna (in occasione della discussione sulla fiducia al Governo Segni) disse di conoscere un paese di 1.200 abitanti, ancora senza la strada, i cui abitanti impiegavano cinque ore per raggiungerlo (riassumo, per arrivare al punto fondamentale). Vanoni disse che noi siamo certamente «uomini orientati in senso sociale, quindi, in senso di sinistra». Ma - continua Vanoni - non posso dimenticare questo Paese, questo villaggio di montagna che ha avuto nelle due guerre il maggior rapporto tra popolazione residente e caduti e non posso dimenticare quei «1.200 contadini montanari, cui non è possibile evitare la chiamata alle armi perché non hanno tecniche speciali che li allontanino dalla prima linea» (ossia pastori e contadini). Non posso dimenticare che dobbiamo dare loro «una tranquillità economica ed una speranza di un avvenire migliore per sé e per i propri figli». Così dobbiamo fare ancora noi per la montagna italiana, in cui non c'è ancora il mercato: se vogliamo portarlo, dobbiamo mettervi le risorse e i soldi della comunità e della solidarietà nazionale (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

Pag. 67

PRESIDENTE. L'onorevole Lovelli ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/193.

MARIO LOVELLI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, le modalità con cui il Governo ha inteso affrontare la manovra di finanza pubblica si prestano a molteplici considerazioni, la principale delle quali, ovviamente, riguarda l'efficacia delle misure proposte e l'opportunità di anticipare, con provvedimenti urgenti, interventi normalmente portati all'attenzione di un'intera sessione di bilancio.
Avremo modo di verificarlo, ma intanto, tra le conseguenze di questa impostazione, sono da registrare una correlazione spesso indeterminata fra le indicazioni del DPEF 2009-2013 e le scelte economico-finanziarie effettive del provvedimento oggi in esame e, inoltre, l'impossibilità per gli altri attori istituzionali (regioni ed enti locali) e per le forze economiche e sociali (per la ristrettezza dei tempi) di intervenire con proposte di merito preventive.
Con il mio ordine del giorno n. 9/1386/193, con il quale voglio porre all'attenzione dell'Aula e del Governo un problema territoriale specifico, rilevo che, da una parte, con il provvedimento in esame si ipotizzano nuove modalità di finanziamento per le infrastrutture strategiche del Paese e, dall'altra non si individua un collegamento operativo più stringente con norme già decise in precedenza o con indirizzi di investimenti più puntuali previsti, ad esempio, dall'allegato infrastrutture del DPEF.
È il caso di ANAS, qui presa in esame per sbloccare fondi pregressi ancora da utilizzare. Con il decreto-legge n. 59 del 2008 vi è stata l'approvazione per legge di alcune convenzioni autostradali, il cui contenuto, per la nuova durata trentennale e per il meccanismo tariffario, praticamente della scala mobile, avrebbe richiesto un iter più meditato e partecipato.
In questo contesto, si inserisce l'ordine del giorno n. 9/1386/193, che riprende un tema già oggetto di un'interpellanza mia e dei colleghi del gruppo del Partito Democratico, discussa il 29 maggio scorso, che raccoglie le proposte che, a questo proposito, sono successivamente emerse in sede di concertazione locale e di osservazioni della regione Piemonte allo stesso DPEF.
Si tratta della necessità urgente e inderogabile, per ragioni di sicurezza stradale e di miglioramento dei collegamenti fra la Liguria e il Piemonte, con particolare riferimento al trasporto delle merci dai porti liguri al nord Italia e all'Europa, di inserire prioritariamente la tratta autostradale Genova-Serravalle Scrivia (autostrada A7), che poi prosegue verso Milano, e, parallelamente, la A 26, Genova-Gravellona Toce, che va verso il nord Piemonte, fra gli assi viari da considerare nel contesto del Corridoio europeo 24, Genova-Rotterdam.
Nello specifico, l'autostrada A7 richiede interventi di manutenzione straordinaria e di modifica del tracciato, in particolare nell'attraversamento di Serravalle Scrivia e nel tratto oltre-appenninico, che possano renderla idonea alle moderne esigenze del traffico su gomma, essendo un'autostrada obsoleta, inaugurata nel 1935.
Con questo ordine del giorno, vogliamo impegnare il Governo ad attivarsi decisamente nei confronti di ANAS e di Autostrade per l'Italia Spa, concessionaria della A7, oltre che della A26, affinché si programmi un intervento risolutivo, anche con le necessarie modifiche di tracciato, che renda percorribile e in sicurezza l'infrastruttura, eviti i periodici allarmi ambientali, in caso di incidenti che coinvolgano mezzi di trasporto di sostanze nocive e pericolose, e renda un servizio più efficiente al sistema di trasporto automobilistico e delle merci, che va quotidianamente ad intasare in modo particolare il nodo di Genova.
Mi avvio alla conclusione del mio intervento. Abbinare scelte strategiche finalmente incisive a favore del trasporto ferroviario e delle nuove infrastrutture necessarie a questo scopo può rappresentare un passo avanti importante.
Chiediamo al Governo di attivarsi con urgenza, avvalendosi del tavolo istituzionale e interregionale che si è già costituitoPag. 68ad Alessandria, facendo in modo che si superino resistenze e ritardi, che, in particolare dopo il favorevole rinnovo della concessione per Autostrade per l'Italia Spa, non hanno più ragione di esistere (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. L'onorevole Garofani ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/10.

FRANCESCO SAVERIO GAROFANI. Signor Presidente, l'ordine del giorno che illustro tocca uno dei punti più delicati e gravi della manovra finanziaria, vale a dire il taglio dei finanziamenti ai comparti sicurezza e difesa.
In questo senso, l'ordine del giorno impegna il Governo ad adottare provvedimenti normativi atti a garantire tempestivamente ulteriori risorse, finalizzate allo svolgimento dei compiti assegnati alle forze di polizia e alle Forze armate, anche in relazione agli accresciuti compiti di pubblica sicurezza, che a queste ultime si sono voluti assegnare con il provvedimento sulla sicurezza, che questa Camera ha da poco licenziato.
Proprio questa concatenazione di provvedimenti, calati in sequenza sul Parlamento, senza la possibilità di discuterne il merito e la sostanza, svela paradossalmente una contraddizione grave dell'azione del Governo. È una contraddizione troppo evidente e clamorosa per poter restare nascosta sotto il silenzio della fiducia e la velocità del processo legislativo, con cui si è cercato di legare le mani ed impedire l'iniziativa dell'opposizione.
È una contraddizione che tocca un punto vitale sul quale pure il centrodestra ha costruito una parte importante, per non dire decisiva, del suo successo elettorale: la sicurezza sia interna che esterna, dove per esterna è da considerarsi il contributo che il nostro Paese, attraverso l'azione delle Forze armate, è chiamato a fornire alla sicurezza globale. Oggi viene alla luce l'inaccettabile distanza tra le tante promesse, i troppi annunci e la dura realtà dei fatti, delle scelte compiute dal Governo, che incidono negativamente sulla domanda di tante donne e tanti uomini che chiedono alle istituzioni maggiore sicurezza e non trovano risposta. Si tratta di scelte che offendono e umiliano la dignità di chi in questo Paese veste un'uniforme, mettendo a repentaglio la sua stessa incolumità. È innegabile, infatti, che i tagli all'esercizio previsti da questa manovra finanziaria si tradurranno inevitabilmente in una riduzione dei livelli di addestramento ed è un dato che incide in modo fondamentale sulla sicurezza del personale. Così accade che mentre si chiede alle Forze di polizia, ad ordinamento civile e militare, e alle Forze armate, un maggior impegno nelle attività di controllo del territorio, di prevenzione e di repressione, da aggiungersi agli impegni istituzionalmente previsti, allo stesso tempo si decidono pesanti riduzioni delle risorse per gli apparati di sicurezza e difesa. La gravità di questa situazione non sta soltanto nella nostra denuncia di forze di opposizione, ma nella protesta dei sindacati delle forze dell'ordine, dei Cocer e nell'autorevole, e per alcuni aspetti drammatico, grido d'allarme lanciato pochi giorni fa, nel corso di una audizione parlamentare in Commissione difesa di questa Camera, dal Capo di stato maggiore della difesa, il generale Camporini che, riferendosi ai contenuti della manovra, ha detto testualmente che: «Con i provvedimenti economici previsti dal Governo si produrrebbe in brevissimo tempo un decadimento verticale delle attuali capacità operative e dell'efficienza delle Forze armate in tutte le sue componenti. Appare, allora, inevitabile che a questo punto ci si ponga il problema non solo della validità o meno del modello a suo tempo approvato ma del ruolo stesso che nei prossimi anni il Paese vorrà assumere nel contesto internazionale soprattutto in quella che è oggi la priorità delle priorità: la stabilità e la sicurezza internazionale». Ritengo che le stesse misure con le quali il Governo ha cercato di correggere in extremis il decreto appaiono fragili palliativi che non modificano la sostanza di quanto denunciato: si taglianoPag. 69i fondi che vi dovrebbero essere e si promettono risorse che non vi sono e che, molto probabilmente, non vi saranno mai. Si tratta proprio di quelle risorse che non vi saranno nei tempi in cui servirebbero per evitare un decadimento che il generale Camporini, e non solo lui, ha così autorevolmente e con forza denunciato (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. L'onorevole Toccafondi ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/6.

GABRIELE TOCCAFONDI. Signor Presidente, nell'esporre l'ordine del giorno n. 9/1386/6, firmato anche dalla collega De Girolamo, che riguarda il sistema universitario ricordo due passaggi fondamentali ribaditi anche dal ministro Tremonti in quest'Aula: il primo è che l'attuale situazione della nostra finanza pubblica è ormai incompatibile con la crescita dei finanziamenti pubblici e il secondo è che la priorità del nostro Paese è quella di ridurre assolutamente il debito pubblico arrivato al 104 per cento del prodotto interno lordo e non attraverso nuove imposte, ma con una riduzione di spesa.
Resta fermo che le minori risorse sono un dato oggettivo a tutti comparti pubblici e quindi anche al sistema universitario, ma con l'ordine del giorno che presento reputo importante diversificare la richiesta di sacrifici economici e finalmente anche il giudizio rispetto agli atenei del nostro Paese. Riteniamo che considerare tutti gli atenei allo stesso livello non aiuti soprattutto chi si è dimostrato virtuoso e capace di amministrare. Il taglio indiscriminato per chiunque, non aiuta a migliorare la didattica, la ricerca e, in generale, l'università.
Vi sono atenei che hanno investito bene le loro risorse e che sono premiati dal numero degli iscritti e dal numero dei laureati, e vi sono invece atenei che non hanno operato alcun investimento, con pochi servizi, e che hanno attivato corsi con scarso numero di studenti. L'ordine del giorno in esame impegna il Governo quindi ad istituire un tavolo di confronto tra il Governo e le università per individuare criteri di valutazione oggettivi in base ai quali apportare anche le riduzioni delle dotazioni finanziarie, ma diversificate a seconda della virtuosità degli atenei. Lo stesso ordine del giorno - concludo Presidente - impegna il Governo a verificare nel corso dell'anno la possibilità di comprimere il più possibile le riduzioni delle dotazioni finanziare all'università (Applausi del deputato Renato Farina).

PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Bonavitacola, che aveva chiesto di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/199: s'intende che vi abbia rinunziato.

Sull'ordine dei lavori (ore 14,20).

GIULIANO CAZZOLA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIULIANO CAZZOLA. Signora Presidente, con questo intervento desidero esprimere la mia solidarietà ad Ottaviano Del Turco, da una settimana in carcere a Sulmona sulla base di accuse che stanno suscitando sempre più dubbi ed incredulità. Ottaviano Del Turco è stato un importante sindacalista, poi a lungo parlamentare, presidente della Commissione antimafia, Ministro delle finanze, parlamentare europeo, e da ultimo «governatore» dell'Abruzzo. Da sempre socialista, Del Turco ha servito il Paese nella società e nelle istituzioni democratiche con lealtà ed onestà. Intorno alla sua persona ed alla sua famiglia si sta sviluppando un contesto di solidarietà molto significativo - potremmo dire bipartisan - da parte di tante persone che lo conoscono e lo stimano. Nell'affidare queste parole agli atti della Camera voglio ribadire - signora Presidente - la convinzione che Del Turco saprà dimostrare la propria estraneità ai fatti che gli vengono attribuiti (Applausi del deputato Renato Farina).

GIANLUCA BUONANNO. Chiedo di parlare.

Pag. 70

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIANLUCA BUONANNO. Signor Presidente, vorrei intervenire in merito a quello che ho visto ieri, come novello deputato, in relazione alla questione emersa riguardo al Ministro Bossi. Infatti sono rimasto stupito del fatto che molti deputati e anche molte autorità si siano scandalizzati su ciò che ha fatto e detto il Ministro Bossi con un gesto, il famoso gesto del dito, mentre non si sono stupiti e non si sono stracciati le vesti del fatto che fino a tre mesi fa, grazie al centrosinistra, si sono seduti in questo Parlamento ex terroristi (credo che questo non sia un esempio da dare agli italiani), oppure i no global che si vantavano di mettere i semini di hashish o di marijuana nelle fioriere di Montecitorio, oppure persone che hanno organizzato nei centri sociali e hanno subito condanne per fabbricazione di bombe e quant'altro. Questi, secondo me, sono esempi che dovrebbero suscitare scandalo, accaduti non più tardi di qualche mese fa, nella precedente legislatura.
Allora, quando sento queste cose dai colleghi deputati mi rendo conto che, ogni volta che entro qui, mi sembra di essere su Marte e che qui dentro vi sono tanti marziani che non capiscono i bisogni e i voleri della gente. Vi è un'Italia, fuori da questo palazzo, che ha bisogno di tutta una serie di interventi che purtroppo in molte occasioni non vengono realizzati. Molte persone che sono qua dentro, magari da venti o trenta anni, hanno contribuito a mangiare l'Italia per dritto e per rovescio - è questa la realtà signor Presidente - e se noi abbiamo un debito con 80 miliardi solo di interessi da pagare, allora mi chiedo chi è che ha dato vita a questo debito se non quelli che ci hanno preceduto, quelli che adesso, con parole fiorite e un linguaggio forbito, dicono di scandalizzarsi (loro che hanno mandato al massacro la nostra nazione).
Oggi quando si parla, ad esempio, di pensioni, giustamente si afferma che vi sono tante pensioni basse, che bisogna fare di più. Ma vogliamo ricordare coloro che sono di questa generazione, coloro che hanno quaranta anni, trent'anni, vent'anni e che vedranno le pensioni con il binocolo oppure vogliamo parlare, come spesso faccio in altre occasioni, di chi, come mio figlio, ha cinque anni e chissà quale pensione vedrà mai? Noi dobbiamo combattere per fare in modo che vi sia un futuro in Italia. Tante persone che stanno qua dentro, in questa Camera così come al Senato, sono «assassini» di quello che è accaduto in Italia.
In quest'Aula se uno chiede quanto costa un chilo di pane, voglio proprio vedere quanta gente lo sa. Infatti, non è facile e semplice per gli italiani stare fuori, senza avere chi gli porta la borsetta, senza l'auto blu con cui li portano in giro o il segretario, per chi è servito e riverito: fuori gli italiani devono «remare»! Qui c'è troppa gente che va in giro con le auto blu, con la valigetta, servita e riverita, che non capisce qual è la realtà dell'Italia: bisogna dirlo forte e chiaro! Questo Parlamento si deve dare una sveglia su quella che è la vera realtà dell'Italia. È inutile venire qua a fare sempre i moralisti, facciamo piuttosto ciò che serve.
Quando mi dicono e sento dire che bisogna fare qualcosa sulla sicurezza, mi domando: in quest'Aula, quanta gente ha votato l'indulto, facendo uscire 27 mila delinquenti? Quegli stessi che adesso ci fanno la morale, hanno fatto uscire 27 mila delinquenti e poi, nello stesso tempo, parlano di rafforzare la sicurezza. Credo che comportamenti di questo tipo non siano ammissibili.
Voglio aggiungere un'ultima cosa, signor Presidente, quando si parla di tagli, come a casa di ognuno di noi, non è detto che se si prevedono tagli, si compia un disastro, perché dipende da come si spendono i soldi. Si può anche avere un milione di euro e buttarne 999 mila al casinò: vuol dire che comunque ha buttato via i soldi. Qui, se si effettuano dei tagli, si cerca comunque di vedere dove questi soldi, purtroppo, vengono spesi malamente.
Quindi, signor Presidente, mi rivolgo a lei e concludo il mio intervento: qui dentro ci sono troppi marziani. Dobbiamo cambiare le cose e lei, signor Presidente che èPag. 71qui, si deve impegnare insieme a tutti gli altri a ricordare che l'Italia, purtroppo, è in declino anche e soprattutto per colpa di tanta gente che è presente in questa sede e che fa la morale mentre si dovrebbe vergognare (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. Onorevole Buonanno, la rinvio alle parole pronunciate ieri dal Presidente che, credo, siano quelle nelle quali tutta l'Assemblea si è riconosciuta in relazione al problema sul quale, ancora una volta, lei è voluto tornare oggi.
Sospendo la seduta, che riprenderà alle ore 16 per lo svolgimento dei restanti interventi per l'illustrazione degli ordini del giorno riferiti al disegno di legge di conversione n. 1386-A.

La seduta, sospesa alle 14,30 è ripresa alle 16,05.

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che non vi sono ulteriori deputati in missione.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente cinquantaquattro, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Si riprende la discussione.

PRESIDENTE. Ricordo che nella parte antimeridiana della seduta hanno avuto luogo alcuni interventi per l'illustrazione degli ordini del giorno.
Avverto che è stato ritirato dal presentatore l'ordine del giorno Di Virgilio n. 9/1386/244.

(Ripresa esame degli ordini del giorno - A.C. 1386-A)

PRESIDENTE. L'onorevole Tullo ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/195.

MARIO TULLO. Signor Presidente, rappresentante del Governo e onorevoli colleghi, prendo la parola per illustrare l'ordine del giorno in esame, che prende atto del fatto che il Governo è tornato sulle sue decisioni.
Mi riferisco alle decisioni iniziali, contenenti l'articolo 26, il cosiddetto «tagliaenti», che escludeva le autorità portuali, cioè le organizzazioni che sul territorio governano la portualità italiana. Solo 7 di queste, perché sopra i 50 dipendenti, sarebbero rimaste in vita.
Nel prenderne atto, non possiamo non dirvi quanto siamo preoccupati rispetto appunto ad un Governo che vanta di approvare un documento così importante di programmazione economica in meno di dieci minuti, per poi accorgersi, di volta in volta, su sollecitazione dell'opposizione - e in questo caso, devo riconoscere anche dei colleghi di maggioranza - che questo Paese ha bisogno sì di riforme, di semplificazione e di innovazione, ma non possiamo non denunciare qui la gravità di come si è sottovalutato e si è ricorso, per fortuna in extremis, a recuperare quello che sarebbe stato un vero e proprio scardinamento della nostra portualità e del sistema dei porti italiani. Vi sono misure per le quali occorre usare il bisturi, non l'accetta del Ministro Tremonti.
Questa manovra, che come abbiamo già detto non contiene alcuna misura per ridurre la pressione fiscale e per rafforzare i salari e le pensioni degli italiani, è soprattutto una misura che dispone tagli generalizzati, di cui vedremo le conseguenze rispetto alle difficoltà che avranno comuni e regioni. È anche una misura, secondo noi, incapace di investire in un settore strategico per il nostro Paese: quello dell'economia marittima. Non solo vi è l'idea di considerare il superamento delle autorità portuali, ma l'attuale Governo ha rifiutato diversi emendamenti da noi presentati che riguardano appunto la portualità italiana.
Molti di questi emendamenti sono stati definiti estranei alla materia, perché in effetti abbiamo anche faticato per trovare articoli e parti di legge dove potevamoPag. 72«attaccare» questi emendamenti. E qui sta la gravità della nostra preoccupazione: non avevamo chiesto cose impossibili, ma di rendere esecutivo ciò che già è previsto per legge, cioè l'autonomia finanziaria delle autorità portuali. Il Governo Prodi aveva inserito una misura, che era quella dell'extragettito, uno strumento innovativo e da perfezionare, di cui non abbiamo trovato più traccia.
Inoltre, avete deciso di sottrarre circa l'80 per cento del Fondo annuale istituito con la legge finanziaria del 2007, sempre dal Governo Prodi, per la manutenzione dei porti, mettendo a grave rischio la sicurezza e l'efficienza nostri scali. È stato abolito completamente il contributo per le cosiddette autostrade del mare.
Nel settore cantieristico, dell'armamento navale e del cabotaggio sono stati drasticamente tagliati i contributi a queste realtà economiche. Infine, tra le tante cose che verranno bloccate, vi è quella dell'assunzione del personale delle dogane, un personale già in crisi. Voi affermate che poi tutto sarà risolto con la legge finanziaria e che tutto verrà sbloccato. In sede locale i vostri parlamentari, incontrando gli operatori delle dogane e gli spedizionieri, dicono: «Non preoccupatevi, con la legge finanziaria si recupererà tutto». Vedremo.
Certo, proveremo a convincervi e a farvi comprendere che l'economia portuale e marittima è strategica per lo sviluppo di questo Paese e che pochi investimenti, talvolta, hanno un grande ritorno economico. Forse il Ministro Tremonti dovrebbe convincersi di questo, guardando, appunto, quando abbiamo investito in questi settori, cosa si è prodotto anche in termini erariali e di crescita complessiva dell'economia del Paese (ed è stato così negli anni in cui i nostri Governi hanno investito in questi settori).
Se pensiamo per un attimo al nostro Paese - e concludo - e lo osserviamo dall'alto, vediamo l'Italia come un grande porto, con tanti moli: è una porta naturale per molti traffici. Dinanzi all'economia globale, quindi, più che parlare di dazi servirebbe di più investire nell'economia marittima, nei nostri porti e nelle infrastrutture di cui questi porti hanno bisogno. Pertanto, continueremo la nostra iniziativa, a partire dal dibattito sulla prossima manovra finanziaria (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. L'onorevole Velo ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/200.

SILVIA VELO. Signor Presidente, membri del Governo, colleghi, l'ordine del giorno riguarda l'accordo recentemente stipulato tra il Governo e le associazioni di categoria dell'autotrasporto. Il settore dell'autotrasporto attraversa nel nostro Paese, da anni, una crisi strutturale, legata essenzialmente a tre fattori: i costi del gasolio troppo elevati, che incidono sui costi di gestione del servizio, non adeguatamente remunerato; una dotazione infrastrutturale, che nel nostro Paese è inadeguata e che porta gravi conseguenze sull'efficienza del trasporto merci (in particolare, su gomma), un'inefficienza che, quasi sempre, ricade sull'anello debole della catena, cioè sull'autotrasportatore (che rappresenta l'anello finale); la presenza elevata di operatori nazionali e non, che operano in condizioni di irregolarità - se non proprio di illegalità - in assenza di controlli e, quindi, in una condizione di concorrenza sleale. Infine, vi è un sistema caratterizzato da piccole e piccolissime imprese, quelle dei cosiddetti «padroncini» che, di fatto, sono troppo esposte alla concorrenza di mercato.
La riforma del settore, che fu attuata dal precedente Governo Berlusconi, con il decreto legislativo n. 286 del 2005, non ha favorito la riorganizzazione del settore, né la sua modernizzazione, né la crescita della competitività. Al contrario, con questa riforma si è, di fatto, attuata una sorta di deregolamentazione selvaggia che, in assenza di controlli adeguati, ha favorito il diffondersi dell'illegalità e della concorrenza sleale in questo settore. Si è assistito alla crescita esponenziale dei costi di gestione dell'autotrasporto, in particolare legati a gasolio e pedaggi autostradali, in assenza di un'adeguata remunerazione.Pag. 73
Gli autotrasportatori italiani, da tempo, attraverso le loro organizzazioni di rappresentanza, denunciano questa difficoltà e la grave crisi che si trova ad affrontare un settore strategico per la nostra economia. Nel mese di giugno, era stato proclamato un fermo del settore, proprio per denunciare questa situazione. Si è aperta, di conseguenza, una trattativa con il Governo, che ha portato alla sottoscrizione di un accordo, la cui attuazione è oggetto di un articolo all'interno del decreto-legge n. 112 del 2008. Si tratta di un accordo che puntava ad evitare difficoltà come quelle avute nel 2007 a seguito del blocco. Il protocollo sottoscritto mira a rispondere, in via prioritaria, all'esigenza di sicurezza stradale e alla regolarità del mercato. Inoltre, al fine di identificare i parametri della sicurezza e della regolarità del mercato e l'incidenza del prezzo del gasolio, esso fa riferimento all'Osservatorio istituito con il decreto legislativo n. 286 del 2005.
Riteniamo questo accordo ancora insufficiente ad affrontare i problemi e le prospettive del settore, perché pensiamo che s'intervenga, ancora una volta, sull'emergenza e non in via strutturale.
Riteniamo tuttavia che sia prioritario, a questo punto, garantirne l'attuazione. Con questo ordine del giorno, pertanto, impegniamo il Governo ad adottare le opportune iniziative volte a far sì che le autorità competenti effettuino gli interventi necessari ad assicurare il rispetto delle norme sulla sicurezza stradale e sulla regolarità del mercato, tenuto conto anche delle segnalazioni che l'Osservatorio, in seguito a verifiche, riterrà di dover far pervenire.
Il nostro Paese ha bisogno di un riequilibrio modale nel trasporto merci, di puntare sulla ferrovia e sul cabotaggio, riducendo l'incidenza dell'autotrasporto.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

SILVIA VELO. È chiaro però che il sistema imprenditoriale italiano, fatto di piccole e piccolissime imprese, collocate le une a pochissima distanza dalle altre, non può prescindere dallo strumento del trasporto merci, che va adeguatamente sostenuto (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. L'onorevole Vannucci ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/27.

MASSIMO VANNUCCI. Signor Presidente, con l'ordine del giorno n. 27, che ho presentato insieme all'onorevole collega Rosato, abbiamo voluto richiamare l'attenzione del Governo sul Corpo dei vigili del fuoco, che è un corpo da non confondere con la Protezione civile. Non c'è tempo per illustrarvi questa distinzione, ma non vi sfuggirà l'importanza di questo Corpo e della sua attività di prevenzione e di soccorso, che credo corrisponda ad un diritto primario dei cittadini e a un dovere assoluto dello Stato.
Come è noto, il Corpo dei vigili del fuoco è da tempo sotto organico. La rete dei distaccamenti presenti sul territorio nazionale non soddisfa l'obbligo di legge di portare soccorso entro 20 minuti. I precedenti Governi hanno assunto iniziative importanti, soprattutto per impulso del Parlamento, che ha prodotto importanti provvedimenti. Riteniamo che con i tagli apportati dal decreto in esame ci sia un allentamento della tensione nel settore.
L'articolo 61, che pure istituisce un Fondo, lo fa richiamandosi complessivamente al comparto della sicurezza. Con l'ordine del giorno in esame, impegniamo il Governo, nel ripartire il Fondo in questione, a prestare la massima attenzione al settore, richiamando anche le possibilità che già ci sono, i concorsi esperiti e le iniziative in corso.
Molto spesso si confonde il Corpo dei vigili del fuoco con il comparto sicurezza: lo si è fatto anche con il maxiemendamento laddove, nel modificare gli articoli 70 e 71, che fanno riferimento a misure per il personale, con eccezione dei trattamenti economici, si è escluso il comparto sicurezza ma senza citare i vigili del fuoco. Credo che si sia trattato di una dimenticanza.
Dal momento che il confine tra la sicurezza ed i vigili del fuoco è moltoPag. 74stretto, voglio destinare l'ultima parte del mio intervento proprio alla sicurezza. Con l'articolo 60 del decreto-legge in esame si sopprimono tre importanti commi della precedente legge finanziaria, ossia i commi 102, 103 e 104.
Signor Presidente, con il comma 102, il precedente Governo istituiva un vero e proprio Fondo per la legalità. In esso confluivano i proventi derivanti dai beni immobili, nonché le somme di denaro confiscate ai sensi della legge n. 575 del 1965. Il Fondo, nell'intenzione del Governo, era impiegato per rafforzare le strutture delle forze di polizia, per il risanamento di quartieri urbani degradati, la prevenzione e il recupero: si trattava quindi di una corretta declinazione del problema «sicurezza», che è fatta di prevenzione e repressione.
Con il decreto-legge in esame, questi importanti commi sono stati soppressi ed il Governo ha invece strombazzato un proprio provvedimento, al comma 23, che riprende esattamente il medesimo Fondo. Si cancellano quindi i commi della precedente legge finanziaria, si costituisce un Fondo analogo e diverso, che fa leva anche su altre leggi e lo si gestisce in maniera diversa.
Si affida la gestione ad una società e si dice che la restante parte delle somme aggiuntive a quelle che sono le necessità del Corpo della polizia - escludendo gli interventi di prevenzione del recupero e delle condizioni di disagio e di emarginazione - sono versate alle entrate del bilancio dello Stato. A nostro avviso, questo è un passo indietro: viene riciclata una norma che il precedente Governo aveva varato e che funzionava meglio utilizzando gli stessi soldi per lo stesso scopo.

PRESIDENTE. L'onorevole Sbrollini ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/59.

DANIELA SBROLLINI. Signora Presidente, onorevoli colleghi, all'articolo 80 del decreto-legge in esame si prevede un piano straordinario di verifica delle invalidità civili, un piano che riguarderà circa 200 mila accertamenti di verifica da parte dell'INPS nel periodo che va da gennaio a dicembre 2009. Nel caso, poi, di accertata insussistenza dei requisiti sanitari richiesti, si disporrà da subito la sospensione dei pagamenti e si informerà la Corte dei conti per eventuali azioni di responsabilità per danno erariale.
Come si deduce dalla relazione tecnica di accompagnamento a questo provvedimento, si stima che possa derivare un beneficio per le casse dello Stato pari a 100 milioni di euro, questo per ciascuno degli anni 2009, 2010 e 2011. Chiediamo al Governo che queste entrate vengano utilizzate proprio per il Fondo nazionale per le politiche sociali, dal momento che, con questa manovra, non solo tagliate profondamente le risorse destinate ai livelli essenziali, ai diritti universalistici dei cittadini, ma addirittura umiliate le famiglie, i cittadini e tutte quelle categorie che sono tra le fasce più deboli, come fate ad esempio - per citare un caso concreto - attraverso la card dei poveri, oppure attraverso il piano sanitario, che ha raccolto la protesta unitaria di tutte le regioni, anche quelle governate dal centrodestra.
Con questa manovra mettete in ginocchio gli enti locali, che sono alla base di un rapporto quotidiano tra lo Stato e i cittadini; tagliate pesantemente tutte quelle risorse che riguardano la sicurezza, come hanno avuto già modo di dire alcuni colleghi che mi hanno preceduta; offendete i lavoratori pubblici, dal momento che li discriminate rispetto a quelli privati; inoltre, tagliate pesantemente le risorse destinate agli investimenti ed alle infrastrutture, come, ad esempio, quelle del nord-est. Mi dispiace che in questo momento non sia presente alcuno dei colleghi della Lega Nord Padania, perché volevo chiedere proprio a loro come fanno ad accettare tagli così consistenti alle infrastrutture, come ad esempio accade per il nord-est, quando sui nostri territori, soprattutto in alcune regioni come il Veneto, sappiamo quanto vi sia bisogno di investimenti seri sulla viabilità.
Invece, voi avete scelto un'altra strada: quella di anteporre ai salari bassi, allePag. 75pensioni sociali minime, allo sviluppo sociale, alla ricerca, alla cultura e all'università, solo leggi ad personam. Su questo, ovviamente, non vi concederemo alcuna tregua, perché pensiamo che oggi molti cittadini chiedano altre cose, ad esempio essere aiutati ad arrivare alla fine del mese in maniera dignitosa, senza essere umiliati, senza dover chiedere l'elemosina a qualcuno.
Vi chiediamo, pertanto, di accogliere ordini del giorno come questo che ho appena citato, ma anche altri importanti, che i colleghi illustreranno successivamente e che vanno proprio a chiedere il ripristino del Fondo nazionale per le politiche sociali, al fine di aumentare, appunto, quelle risorse.
Desidero, infine, ricordare che il settore del welfare ha veramente bisogno di essere sostenuto perché è il perno di una buona politica, è lo strumento essenziale per dare ai cittadini, alle famiglie, ai giovani, alle donne e agli anziani, qualità vera della vita.
Vi chiedo, su questo, un impegno serio a riconsiderare talune scelte che non solo riteniamo sciagurate ma che anche, in questi giorni - lo abbiamo visto -, hanno raccolto la protesta legittima di molti cittadini (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. L'onorevole Rubinato ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/189.

SIMONETTA RUBINATO. Signor Presidente, come ha appena detto la mia collega, l'articolo 80 del decreto-legge oggetto di conversione disciplina l'attuazione, dal 1o gennaio al 31 dicembre 2009, da parte dell'INPS, di un piano straordinario di accertamenti di verifica nei confronti dei titolari di benefici economici di invalidità civile.
Non possiamo che esprimere, al riguardo, una valutazione positiva, in quanto questo piano mira al ripristino della legalità e dell'equità in un settore della spesa assistenziale in cui è notorio esservi numerosi abusi da parte di soggetti che percepiscono indebitamente tali indennità.
A fronte di tali illeciti, che vanno doverosamente perseguiti, non può, tuttavia, ignorarsi che nell'ordinamento permane oggi una grave ingiustizia, che penalizza i cittadini con handicap, in quanto la maggior parte degli invalidi risulta tuttora esclusa dall'incremento stabilito dall'articolo 38 della legge finanziaria per il 2002 per le pensioni minime in favore di soggetti disagiati (questo minimo è pari, per il 2008, a 580 euro mensili).
Invece, ancora oggi, gli invalidi civili totali, cioè riconosciuti con un'invalidità del 100 per cento, con meno di sessanta anni, e gli invalidi civili parziali, con un'invalidità dal 74 al 99 per cento, benché si trovino in una condizione di evidente disagio, devono sopravvivere con una pensione di 246,73 euro al mese: significa vivere con otto euro al giorno!
È palese che l'ammontare della pensione di invalidità in questa misura è inadeguato e insufficiente a garantire a questa categoria di cittadini disagiati un'esistenza dignitosa. Ricordo, altresì, che un'altra prestazione assistenziale, quale l'assegno sociale, che viene erogato a persone anziane che hanno più di 65 anni e a basso reddito, che siano residenti, anche se non cittadini italiani, è pari ad euro 395,59 per il 2008.
Vorrei leggervi una testimonianza, che ho trovato in un sito Internet, che non cito per non darvi pubblicità, di un invalido civile, che mi ha molto colpito.
Vorrei prestargli la mia voce, oggi, in quest'Aula. Si chiama Davide Paparo. Si presenta: «Cinque anni fa una grave malattia mi costringe al ritiro dal lavoro, nel senso che, essendo un libero professionista e vista la reiterata sospensione dal lavoro a causa di brevi ricoveri, day hospital, e altro, insomma, il contratto non mi è stato più rinnovato. (...) Due anni fa un trapianto di fegato inevitabile, perché le cure cliniche non davano i risultati sperati. Ho perso tutto quello che avevo conquistato da una mezza vita. Oggi mi ritrovo invalido al 100 per cento e con una pensione sociale di 250 euro mensili. Se non fosse stato per una persona a me cara, che mi ha accolto in casa sua e lei stessa precaria,Pag. 76co.co.co., io a quest'ora dormirei sotto un ponte. Sono sotto terapia farmacologica importante salvavita e soggetto a coordinati controlli nel centro ove mi hanno operato, con un impegno economico che non le descrivo. Non arriviamo nemmeno alla fine della prima settimana! Che vergogna! La somma da me percepita, insieme a quella della persona che mi ospita, non arriva (...) a 900 euro al mese, di cui solo 400 vanno per l'affitto. Non proseguo e lascio a lei la giusta considerazione se si può oggi vivere in queste condizioni da «quarto» mondo. Gli stranieri sono accolti meglio - nulla contro di loro - ma io sono italiano e ne sono fiero».
E si chiede: «(...) è mai possibile che (...) ad oggi nessuno dei due schieramenti si sia accorto che c'è gente come me, che oggi vive sulla soglia del baratro economico e psicologico?»
Proprio allo scopo di mettere fine a tale inaccettabile discriminazione, l'Associazione nazionale mutilati e invalidi civili ha promosso, recentemente, una raccolta di sottoscrizioni per la presentazione di una proposta di legge d'iniziativa popolare, con cui si chiede l'incremento delle pensioni e degli assegni agli invalidi civili totali infrasessantenni e agli invalidi parziali che si trovano in una condizione di totale, o quasi, inabilità, per parificarli, almeno, al trattamento pensionistico riservato a chi è invalido civile al 100 per cento, ma ha più di sessant'anni, nonché ai soggetti titolari di pensione minima.
Con questo ordine del giorno chiedo, dunque, al Governo l'impegno necessario - mi auguro che venga accettato - ad estendere l'incremento al minimo di cui alla legge finanziaria per il 2002 a questi cittadini disagiati, oggi discriminati, destinando prioritariamente a questa emergenza sociale innanzitutto le somme che si recupereranno con il piano di verifica delle invalidità civili (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. L'onorevole Pes ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/255.

CATERINA PES. Signor Presidente, molte delle norme contenute nel decreto-legge n. 112 del 2008 si configurano come un grave attacco al sistema pubblico dell'istruzione e dell'università: su 20 miliardi di tagli alla pubblica amministrazione, circa 8 infatti appartengono a questo capitolo. Il blocco del turn over al 20 per cento determinerà una contrazione delle cattedre tale da influire negativamente sulla qualità dell'offerta formativa, peraltro già carente, come dimostrano i dati dell'indagine OCSE-PISA; la contrazione delle cattedre, ancora, renderà più difficile garantire il sostegno ai diversamente abili, sinora accolti dalla scuola italiana secondo un modello di integrazione educativa che a lungo gli altri Paesi ci hanno invidiato. Stessa cosa accadrà nella scuola primaria, col paventato ritorno al maestro unico, e nella scuola secondaria, con l'accorpamento delle aree disciplinari delle classi di concorso. Al posto di un serio investimento sull'istruzione, che passi attraverso l'elaborazione di un piano finanziario per obiettivi, dall'edilizia scolastica al diritto allo studio, ai progetti dell'autonomia, alla qualificazione degli insegnanti, ci sono invece tagli indiscriminati agli organici, e un grosso taglio relativamente all'assunzione dei precari: parliamo di lavoratori della scuola che da anni fanno andare avanti questa «nave» poco sicura e che da anni attendono di essere assunti. Ancora: ci chiediamo perché interrompere improvvisamente le scuole di formazione degli insegnanti, le più note SISS, senza un'alternativa immediata.
Sia chiaro: non siamo insensibili al tema della riduzione della spesa; è già con la legge finanziaria per il 2008 del Governo Prodi che quest'ultimo aveva intrapreso tale sentiero. Riteniamo però che i tagli da voi operati debbano essere sottoposti prima di tutto alla verifica di sostenibilità, e qui, riteniamo, la sostenibilità è del tutto assente. Infatti è assente qualsiasi investimento sulla qualità dell'insegnamento: scegliete l'accorpamento delle cattedre senza capire che in questo modo la specializzazione dei saperi tramonta a discapito delle conoscenze; la scuola diventaPag. 77sempre più, così, un luogo di accoglienza e sempre meno un luogo di formazione. La formazione continua degli insegnanti è obbligatoria per undici Stati membri dell'Unione europea, non per l'Italia. Dal vostro programma nessun investimento sull'aggiornamento disciplinare-pedagogico, ma un adeguamento demagogico degli stipendi degli insegnanti alla media europea; permetteteci di non crederci: ci piacerebbe molto, ma prima dovreste dirci in quale modo pensate di trovare i soldi per l'aumento degli stipendi degli insegnanti, se non con l'immediato blocco di assunzione dei precari già citato.
Infine, il decreto-legge n. 112 del 2008 cancellerà l'innalzamento a sedici anni dell'obbligo di istruzione introdotto dal Governo Prodi. Esso prevede infatti che si potrà assolvere tale obbligo anche nel sistema regionale della formazione professionale, aprendo la strada ad una scuola classista proprio quando i più importanti studi americani ed europei insistono su quanto sia fondamentale per il successo scolastico il contesto sociale da cui si parte. In questo caso la scelta precoce a quattordici anni fra istruzione da una parte e formazione professionale dall'altra finisce per precludere, alla fascia più debole della popolazione, il conseguimento, che solo la scuola può garantire, di una cittadinanza consapevole.
Concludo. Con tutti questi tagli, nascosta dall'emergenza economica, state scrivendo una vera e propria riforma della scuola, specchio di una forte volontà di smantellamento della scuola pubblica, quando invece l'unica via oggi praticabile sarebbe la valorizzazione del lavoro fin qui svolto; con interventi anche correttivi e migliorativi - perché no? -, ma anche con un consistente impegno finanziario che possa restituire a tutto il sistema dell'istruzione, dalla scuola primaria all'università, il ruolo di veicolo strategico di cittadinanza e uguaglianza civile. Chiediamo al Governo di non dimenticarlo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. L'onorevole Evangelisti ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/117.

FABIO EVANGELISTI. Signora Presidente, ho presentato l'ordine del giorno n. 9/1386/117 per impegnare il Governo a rafforzare la scelta verso interventi che sviluppino l'offerta di alloggi in locazione, sia a canone sociale (ovvero quello definito per le case popolari dalle regioni), sia a canone agevolato ai sensi della legge n. 431 del 1998. E questo perché il piano casa delineato nel decreto-legge al nostro esame, che pure presenta anche spunti di indubbio interesse visto che riprende quanto già delineato dal Governo Prodi, non interviene specificamente in relazione a due priorità, o meglio a due esigenze. La prima è quella di rallentare la crescita dei prezzi sul mercato della locazione, la seconda è andare incontro a quelle fasce più deboli della popolazione che si ritrovano sotto sfratto per morosità.
I numeri, del resto, parlano di una vera e propria emergenza abitativa. Cito qualche esempio: sono 40 mila, nel nostro Paese, gli sfrattati per morosità; 750 mila le famiglie in difficoltà, il cui contratto è scaduto tra il 2007 e il corrente 2008; 600 mila le domande inevase di edilizia pubblica presentate, ovviamente, a livello locale; oltre 8 milioni i giovani tra i venti e i trentaquattro anni costretti ancora a vivere in famiglia.
Di fronte a tale situazione l'Italia - queste sono le statistiche, che cito - dispone oggi di soli cinque alloggi sociali ogni cento famiglie, contro una media europea che parla di diciassette alloggi sociali ogni cento famiglie e di molti Paesi in cui sono più di venti gli alloggi sociali ogni cento famiglie (Paesi, cioè, che dispongono di un patrimonio di affitto sociale paragonabile al patrimonio complessivo in affitto nel nostro Paese).
In questa situazione la casa sta appunto diventando, per strati sempre più estesi della popolazione, un fattore di criticità nei processi di sviluppo dei progetti di vita. In un contesto tra l'altro segnato da instabilità e precarietà, il sistemaPag. 78della casa in affitto risulta essere quindi particolarmente sollecitato. Da una parte, si chiede quindi una maggiore capacità di assorbire le richieste, dall'altra una più estesa articolazione delle soluzioni possibili in grado di soddisfare istanze fortemente differenziate (in tal senso una relazione del CNEL).
Il mercato della casa in affitto risente soprattutto di due tipi di problemi, tra loro anche diversi, il cui trattamento implica - o implicherebbe - differenti declinazioni politiche e traduzioni progettuali. In primo luogo, la casa sta diventando sempre più, in linea generale, un problema sociale (il che significa un problema per molti, se non per tutti). Numerose sono infatti le categorie che si trovano in difficoltà nel momento in cui sono chiamate a risolvere il problema abitativo: non solo quelle tradizionalmente svantaggiate come i disoccupati, i lavoratori precari, gli immigrati, i disabili, ma anche studenti, giovani coppie con redditi spesso molto modesti, pensionati, famiglie monoparentali o, comunque, con un solo reddito. Si registra, in sostanza, un progressivo allargamento della base del portatore della domanda, esito in parte dei cambiamenti sociali di carattere strutturale che hanno caratterizzato gli ultimi decenni e in parte anche dell'esiguità del mercato dell'affitto.
In secondo luogo - o secondo corno del problema -, le categorie più povere si trovano in una situazione di svantaggio ulteriore, essendo alto il livello di competizione sul mercato ed elevata la pressione esercitata dall'aumento dei conti e dei costi.

PRESIDENTE. Onorevole Evangelisti, la invito a concludere.

FABIO EVANGELISTI. A nostro avviso, e mio in particolare - e concludo, signor Presidente -, vi è dunque la necessità di aumentare l'offerta abitativa sociale anche con un progetto per l'affitto sociale che deve muoversi due su due piani, puntando ad un rilancio dell'affitto moderato e occupandosi anche con programmi specifici della componente più grave del disagio.
Insomma, si potrebbero sperimentare iniziative e progetti che determinino concretamente un aumento dell'offerta di case in affitto accessibili sul mercato. Questo è l'invito che rivolgo al Governo, e spero che il Governo accetti questo ordine del giorno (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. L'onorevole Ceroni ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/174.

REMIGIO CERONI. Signor Presidente, le morti bianche e gli infortuni sul lavoro sono costantemente e ripetutamente al centro dell'attenzione dell'opinione pubblica, del nostro Paese e dell'Unione europea, per il loro elevato numero. La riduzione di questo dramma è tra gli impegni primari del Governo e di tutto il Parlamento, tanto che il Presidente della Camera, onorevole Gianfranco Fini, ha richiamato il problema nel suo discorso di insediamento.
Certamente la disponibilità di ulteriore personale da adibire al controllo delle aziende è quanto mai necessaria per impedire l'utilizzo di personale irregolare da parte delle aziende, per verificare i luoghi di lavoro e per consigliare e supportare le aziende nella messa in opera di tutte le misure necessarie a prevenire e a ridurre al minimo tale doloso fenomeno. D'altra parte esiste un rapporto di un ispettore ogni duemila aziende e con il personale attualmente in forza si può fare una verifica per azienda ogni dodici anni.
Nel 2004 il Ministero del lavoro e della previdenza sociale ha bandito un concorso, su base regionale, per 795 posti di ispettore del lavoro. Attualmente ne sono stati assunti 542. Nella graduatoria degli idonei predisposta a suo tempo ne restano ancora circa 290. L'ordine del giorno vuole impegnare il Governo a procedere all'assunzione di quanti risultino idonei nelle rispettive graduatorie regionali del concorso indetto dal Ministero del lavoro nel 2004 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 93 dello stesso anno, al fine di potenziare l'attività di prevenzione e controllo ePag. 79ridurre così, nei limiti del possibile, gli infortuni sul lavoro.

PRESIDENTE. L'onorevole Delfino ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/144.

TERESIO DELFINO. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, l'articolo 71 del decreto-legge in esame, allo scopo di ridurre il tasso di assenteismo nel settore pubblico, introduce specifiche misure dirette alla riduzione dei giorni di assenza per malattia dei dipendenti pubblici. Tra l'altro, l'articolo interviene in materia di permessi retribuiti disponendo una fruizione esclusivamente ad ore delle tipologie di permesso retribuito, in luogo dell'alternatività di fruizione degli stessi tra giorni ed ore precedentemente prevista dalla legge e dalla contrattazione. Viene inoltre precisato che le norme introdotte dall'articolo in esame non sono derogabili dalla contrattazione collettiva.
Poiché siamo in presenza di una norma che supera - come è detto nell'articolato - tutte le norme preesistenti è evidente che esiste una vera conflittualità tra l'articolazione dei permessi e dei congedi così come previsti dall'articolo 71 in esame e quelli previsti in forza della legge n. 104 del 1992 a favore dei familiari di persone disabili, gravi e gravissime.
A me pare che questa norma tenda a far regredire il dato culturale tutto italiano, ma non solo italiano, che è di grande attenzione nei confronti dei disabili. Pertanto riteniamo che il Governo - mi rivolgo al sottosegretario - così come ha escluso dall'applicazione della disciplina in esame il personale del comparto sicurezza e difesa per le malattie conseguenti a lesioni riportate in attività operative o addestrative, così in virtù della legislazione che noi abbiamo conosciuto negli anni a sostegno delle difficoltà delle famiglie che hanno familiari disabili, credo che si debba avere una particolare attenzione perché non può non essere disatteso, pur in questa esigenza di razionalizzazione, lo sforzo di quelle persone che sacrificano molto della propria vita, assumendosi incombenze spesso al di sopra delle umane possibilità, a favore dei propri familiari.
In questo senso, con il mio ordine del giorno si chiede al Governo di assumere idonei ed adeguati provvedimenti affinché quanto previsto, con riferimento a congedi e permessi dalla legge n. 104 del 1992, trovi ancora possibilità di applicazione. Questo, signor sottosegretario, mostrerebbe l'attenzione del Governo e del Parlamento verso le famiglie che al loro interno hanno persone disabili e in difficoltà.

PRESIDENTE. L'onorevole Renato Farina ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/15.

RENATO FARINA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor sottosegretario, l'ordine del giorno che illustro intende impegnare il Governo a garantire un trattamento fiscale alle scuole paritarie no profit, analogo a quello previsto per le ONLUS. Questo ordine del giorno ha una motivazione tecnica, nel senso che intende rimediare, con un'interpretazione autentica, ad una mostruosità giuridica che si risolve in qualcosa di peggio di un errore materiale; diventa cioè una presa in giro dell'intenzione del legislatore e, soprattutto, un'umiliazione per chi crede che, se il Parlamento riconosce per legge la parità scolastica, non lo fa per ragione di propaganda, ma per renderla effettiva.
Accade questo: l'articolo 1, comma 8, della legge n. 62 del 2000 recita: «Alle scuole paritarie, senza fini di lucro, che abbiano i requisiti di cui all'articolo 10 del decreto (...) » - vi risparmio la lettura dell'ordine del giorno - «è riconosciuto il trattamento fiscale previsto dal suddetto decreto (...)». Il Ministero dell'economia e delle finanze sembra volere aggirare, con un dribbling alla Cristiano Ronaldo, questa norma voluta dal Parlamento, e pare intenderla in maniera restrittiva, anzi nullificante, così da svuotarla nel cassonetto dell'immondizia. Come avverrebbe questo rovesciamento della volontà del Parlamento? Con un ghirigoro odioso.Pag. 80
La faccio breve: si riconosce il trattamento previsto per le ONLUS alle scuole paritarie che abbiano alunni che siano solo o prevalentemente portatori di handicap, ma questo è in contraddizione con il requisito previsto per essere riconosciute come scuole paritarie ossia la possibilità di iscriversi - cito testualmente - «per tutti gli studenti» che ne facciano richiesta. In pratica, l'interpretazione attuale del Ministero dell'economia prevede la creazione di ghetti per handicappati onde poter avere un trattamento fiscale più favorevole.
Faccio presente che questo ordine del giorno, a giudizio di noi deputati che lo proponiamo, ha un'importanza non solo pratica, ma anche simbolica: la risposta positiva o negativa del Governo dirà se esso intenda proclamare la necessità di rispondere all'emergenza educativa solo con degli slogan o con decisioni politiche effettive, tenendo anche presente che saremmo dinanzi ad un costo minimo per l'erario che, per le 9.700 scuole no profit, abbiamo calcolato nella misura di 11 milioni di euro l'anno.
Credo che anche le opposizioni debbano valutare positivamente questa richiesta: sia l'UdC per la sua ragione sociale, sia la sinistra e l'Italia dei Valori, ricordando che la legge sulla parità scolastica fu proposta dal Ministro Berlinguer. Si tratta di una piccola scelta e di poco costo, ma sarebbe un segno del fatto che, proprio nei momenti di grande difficoltà economica, di paura e di speranza (per usare un'espressione di successo del Ministro Tremonti) si valorizza al massimo ciò che dà fiato alla speranza e non alla paura.
Nei giorni scorsi su Il Corriere della sera è stata pubblicata, a firma di Cazzullo, una bella intervista al patriarca di Venezia Scola, in cui non è la Chiesa a parlare, bensì un uomo che gira nelle parrocchie e nelle contrade, il quale afferma che occorre mostrare un impeto positivo da subito. Occorre, come ha scritto oggi Galli della Loggia sempre sul Corriere della sera, dare contenuti all'azione di Governo che rispecchino un'idea buona e positiva di società, che mostrino di credere in questo «Rialzati, Italia!» della campagna elettorale, che non può essere ridotto a semplice «cerca di non morire Italia».
Non si costruisce niente se ci si ferma a guardare gli spostamenti delle piattaforme continentali che ci stanno stritolando. Intanto viviamo, intanto impariamo dal meglio della nostra tradizione vivente e da quanto emerge da esperienze di vera gratuità e creatività sociale e intanto si può insegnare qualcosa a noi stessi e ai giovani: non valori proclamati e poi traditi con trabocchetti infantili, ma documentati in opere e in giorni.
Sono certo che è possibile e giusto, come fa benissimo questo dispositivo cui abbiamo dato la fiducia, praticare il primum vivere. Ma non si vive solo per sopravvivere, bensì per qualcosa da comunicare e trasmettere ai figli. Questo ordine del giorno intanto permette di non portare a morte veloce chi può sostenerci in questo compito (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. L'onorevole Mario Pepe (PD) ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/22.

MARIO PEPE (PD). Signor Presidente, mi ero iscritto a parlare in sede di discussione sulle linee generali ma i tempi e le discrasie talvolta parlamentari non hanno consentito un intervento più sistematico e più ragionato. In questo intervento non mi limito solo a intervenire sull'ordine del giorno che ho presentato e che è stato richiamato (in quanto similare) da un collega che mi ha proceduto. Mi rendo conto che il dibattito che stiamo producendo, così multiforme, nasce anche dall'esigenza di convertire un decreto-legge attraverso un complesso disegno di legge di conversione come è stato messo in evidenza dai relatori, nonché dal sottosegretario in sede di replica presso le Commissioni competenti.
La sostanza mi pare che si riassuma essenzialmente nella stabilizzazione della finanza pubblica che è un argomento centrale per rilanciare lo sviluppo e laPag. 81crescita del nostro Paese. Tuttavia, è anche vero che si intende realizzare il primo obiettivo: dare sicurezza, diceva il Ministro Tremonti, e salvare il bilancio dello Stato e del Paese. Direi che è solo una parte negativa, ovvero la parte costruttiva alla quale doveva corrispondere l'articolato talvolta caotico e criptico del disegno di legge di conversione.
L'argomento che ho messo in evidenza nell'ordine del giorno - è un ordine del giorno argomentato, esortativo e propositivo, non dissacratorio né dissacrante rispetto alla politica che in altri ambiti è definita negativamente da parte del Governo - può rilanciare anche lo sviluppo e la crescita nelle varie comunità del Paese, in quanto si tratta del tema della casa.
Voglio ricordare - e lo sostiene il Governo, non io - che nel rendiconto che ci accingiamo ad approvare, nel provvedimento di assestamento del bilancio e nella relazione si afferma che il Governo precedente aveva indubbiamente conseguito due obiettivi: l'aver avviato fortemente la crescita e l'aver risanato l'economia. Si tratta di un atto ufficiale di riconoscimento.
All'interno di questa situazione andava meglio articolato il provvedimento sulla casa. Ricordo al sottosegretario che erano depositati 550 milioni di euro per realizzare un piano straordinario di alloggi per quanto riguarda gli sfrattati. Si tratta di un tema che ha forti ricadute non solo sulle comunità più deboli, ma anche in tutte le regioni. Cosa significa il tema della casa? Non significa soltanto la modifica degli strumenti urbanistici, ma anche la crescita e lo sviluppo dell'edilizia, il superamento di difficoltà di ordine sociale, l'azione di attività lavorative e la sollecitazione dell'apprendistato. Come si vede, è un argomento centrale nelle politiche locali.
Sappiamo che il nostro Paese ha bisogno fortemente di avviare politiche di incentivazione di questo settore. Il Governo ha voluto sospendere quel provvedimento del Governo precedente ed emanare un provvedimento omnibus che, indubbiamente, in ordine alla tempistica, incontrerà alcune difficoltà.
Questo tema - concludo - richiedeva anche una riconsiderazione del ruolo dei fondi dei privati nell'attivazione di questo settore e del ruolo degli istituti autonomi di case popolari. Questi temi non sono stati approfonditi. Mi auguro che il sottosegretario voglia generosamente accettare il mio ordine del giorno n. 9/1386/22, che risponde a un desiderio, ad una logica e ad un'istanza fortemente sentiti.

PRESIDENTE. L'onorevole Mario Pepe (PdL) ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/235.

MARIO PEPE (PdL). Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, so di parlare in un momento non facile: il momento della politica del rigore, dei tagli e della lotta agli sprechi. I tagli non hanno risparmiato un settore e un'istituzione in crisi come l'università. La crisi dell'università è la crisi non di una semplice istituzione, ma di quell'istituzione che, formando la futura classe dirigente, è responsabile dello sviluppo di un Paese.
Vi è un malessere che turba da anni la vita interiore dei nostri atenei. Il corpo docente è un corpo invecchiato; l'età media dei nostri docenti è di cinquantacinque anni; l'università allontana da essa i giovani, costringendoli all'esilio; vi è una crisi di vocazioni scientifiche. In questo contesto si inserisce il mio ordine del giorno n. 9/1386/235, che impegna il Governo a valutare l'opportunità di provvedere al rilancio della spesa per la ricerca scientifica già dalla legge finanziaria per il 2009 e a valutare l'opportunità di assumere ulteriori iniziative per valorizzare il ruolo dei dottori di ricerca nell'ambito del reclutamento dei ricercatori.
La strada maestra da seguire, però, è quella indicata dalla riforma Moratti, salutata dalla stampa internazionale con favore perché «sprovincializzava» la nostra università, collegandola con il mondo produttivo, ma, soprattutto, perché sottraeva al potere dei baroni il controllo dei concorsi. Al Ministro Gelmini vorrei ricordare che quella delega è ancora valida e non è ancora scaduta.Pag. 82
Signor Presidente, concludo con una battuta al Ministro Tremonti. Signor Ministro, lei potrà risanare questo Paese e ridurre questo spaventoso debito pubblico che pesa come un macigno, ma, se allontana i giovani dalla ricerca e dalla cultura, lei produrrà un danno insanabile, perché in questo modo si abbasserà il livello del pensiero nazionale e il Paese precipiterà verso la barbarie.

PRESIDENTE. L'onorevole Duilio ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/213.

LINO DUILIO. Signor Presidente, mi rivolgo al sottosegretario Vegas e, come si dice, per conoscenza, ai colleghi parlamentari, affinché il sottosegretario recepisca il contenuto del mio ordine del giorno n. 9/1386/213, che interviene in materia di regole riguardanti la legislazione contabilistica nel nostro Paese: ne abbiamo parlato in Commissione e, in precedenza, anche in Aula.
Mi permetto di affidarmi alla sensibilità del sottosegretario anche per il fatto - come abbiamo ricordato - che, in tempi non sospetti, egli ci ha offerto anche riflessioni letterarie ed accademiche sul tema, scrivendo esplicitamente che non si possono modificare le regole del gioco quando si sta effettuando il gioco stesso. Ricordo che il sottosegretario, anche mimicamente, ha sorriso quando gli abbiamo fatto presente che, quando era all'opposizione, sosteneva idee esattamente opposte rispetto a ciò che sta facendo in questo momento con un decreto-legge che prevede misure che noi riteniamo contrarie anche ai principi scritti nella Costituzione: innanzitutto perché si è anticipata la manovra a luglio, di fatto con una lesione delle prerogative parlamentari. Nella risoluzione sul DPEF, infatti - come il sottosegretario sa -, è scritto che il Parlamento recepisce il contenuto, l'entità della manovra e i perimetri quantitativi entro i quali si muove la legge finanziaria e non è previsto nella legislazione attuale che si debba sostanzialmente anticipare questa manovra.
Si forniva la cornice entro la quale si sarebbe proceduto poi in sede di sessione di bilancio. Si è discusso tanto. Qualcuno di voi si è addirittura spinto a dire che il DPEF era inutile, proprio per il fatto che doveva definire la cornice entro la quale, peraltro, con una nota di aggiornamento poi, a fine settembre, si procedeva in sessione di bilancio.
In secondo luogo, sempre in questo decreto-legge, è previsto che si possano apportare variazioni quantitative alla legislazione di spesa, attraverso una rimodulazione delle dotazioni finanziarie autorizzate per legge, in nome di questo principio della flessibilità, che - se così posso dire - tutto spiana e mi riferisco anche alle regole codificate nel nostro ordinamento contabilistico, di fatto annichilendo le prerogative parlamentari.
Inoltre, sempre nel decreto-legge, è previsto che non si possa emendare la legge finanziaria, andando oltre le misure microsettoriali e localistiche, perché si sono espunte dalla legge finanziaria tutte le norme che, attraverso aumenti di spesa o riduzioni di entrata, hanno a che fare con il rilancio e il sostegno allo sviluppo.
In sostanza, signor sottosegretario, voi, con il decreto-legge, avete modificato le norme che riguardano la nostra situazione legislativa in materia contabilistica. Possiamo dire che la norma regolata ha modificato la norma regolante.
Sulla base di queste premesse, abbiamo previsto un dispositivo molto sobrio e piano, direi ragionevole. Innanzitutto, vi invitiamo a predisporre gli strumenti che contemplino le fattispecie entro le quali poter precedere in questo modo. Si monitorino, cioè, gli effetti che derivano da questo nuovo modo di procedere e si indichino le circostanze che giustificano questo modo di procedere, che di fatto modifica le autorizzazioni disposte per legge in Parlamento.
Vi chiediamo di limitare la previsione a quest'anno - perché avete affermato di voler agire in via sperimentale - e, contemporaneamente, vi chiediamo di avviare insieme le modifiche alla legge n. 468 del 1978.Pag. 83
Infatti, anche noi riconosciamo, come abbiamo affermato in questi anni (a parti inverse, abbiamo recitato gli stessi ruoli), che bisognava apportare alcune modifiche alla legge n. 468 del 1978.
Lo abbiamo detto e abbiamo cercato di farlo. Signor sottosegretario, le ricordo che ci abbiamo lavorato sei mesi, senza, devo dire, un grande contributo dell'allora opposizione. Vi chiediamo di lavorare insieme per modificare i contenuti della legislazione contabilistica. Per questo motivo, confido nella sua sensibilità affinché questo ordine del giorno venga accolto (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. L'onorevole Veltroni ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/273.

WALTER VELTRONI. Signor Presidente, so che può apparire non in sintonia con la dinamica abituale dei lavori del Parlamento che un leader politico prenda la parola per illustrare un ordine del giorno, ma lo faccio con convinzione e con l'obiettivo di richiamare, almeno per parte nostra, l'attenzione su uno dei temi sui quali si è concentrata l'iniziativa parlamentare del nostro gruppo, cioè quello dei tagli che sono stati operati alla sicurezza.
Potrei citare - e lo faccio - un'affermazione del Presidente del Consiglio, che ha preceduto il voto del 14 aprile, quella rilasciata l'8 marzo: daremo a polizia e forze dell'ordine, che sono state maltrattate dalla sinistra per motivi ideologici, maggiori fondi.
Ma cito anche una dichiarazione successiva, rilasciata il 17 luglio, quindi solo qualche giorno fa, che suonava apodittica: non ci sarà nessun taglio alla sicurezza.
Voglio, altresì, leggere le dichiarazioni del generale, Capo di Stato maggiore della difesa, Campolini, rilasciate proprio alla Commissione difesa della Camera, che ha detto che le Forze armate sono ormai arrivate al limite.
Cito, ancora, il rapporto presentato oggi da un sindacato, che credo non sia sospettabile di antipatia nei confronti dell'attuale maggioranza, cioè l'UGL, che ha detto che il 61 per cento degli agenti di polizia vive con meno di 1.200 euro al mese. Si potrebbe continuare.
Le rappresentanze sindacali della polizia e delle Forze armate che abbiamo incontrato ci hanno raccontato nel dettaglio gli effetti dei tagli che sono stati operati, che porteranno ad una riduzione della capacità operativa delle Forze armate e ad una riduzione della capacità da parte delle forze dell'ordine di operare sul territorio, per garantire quella presenza che è necessaria e vitale a tutela della sicurezza dei cittadini.
Dunque, il paradosso nel quale ci troviamo è che mentre, da una parte, abbiamo approvato un decreto sulla sicurezza con un impegno e una sollecitudine del Parlamento, del Governo e della maggioranza che corrispondono all'allarme sociale che esiste attorno a questo tema, dall'altra, si riducono le forze disponibili sul territorio: meno commissariati, meno volanti e meno uomini - nell'ordine di diverse migliaia - che potranno operare per tutelare la sicurezza dei cittadini.
Dunque, l'appello che mi sento di rivolgere illustrando questo ordine del giorno è teso ad un ripensamento. Al ministro Vito, che ringrazio per la presenza, e al sottosegretario Vegas rivolgo un appello per il ripensamento da parte del Governo di un taglio che è tra i più contraddittori. Guardando allo scenario del Paese si nota - ne ha parlato poco fa un deputato del Popolo della Libertà - il taglio a due settori quali quelli della scuola, delle università, della formazione e della ricerca e quello della sicurezza, che sono esattamente quelli nei quali in questo Paese non si dovrebbe tagliare, ma investire.
Mi auguro, quindi, che a partire dalla prossima legge finanziaria possano arrivare in tutti e due questi settori - anche se ora il mio ordine giorno si concentra sul tema della sicurezza - dei segni che vadano nella direzione opposta. Altrimenti, non potrà non apparire persino offensivo - mi sia consentito dirlo - dire alle forze dell'ordine, a persone che operanoPag. 84per la nostra sicurezza spesso a rischio della vita e in quelle condizioni economiche, che non esiste nessun taglio come ha affermato il Presidente del Consiglio qualche giorno fa, sapendo, al contrario, che vi sono tagli nell'ordine di miliardi di euro; ciò diventa persino offensivo. L'appello che vorrei rivolgere nel sostenere il mio ordine del giorno è allora quello di dare un segno immediato di ripensamento.
La nostra attenzione sarà ancora nei prossimi mesi, in occasione della legge finanziaria, esattamente rivolta a ciò, visto che non abbiamo nessun atteggiamento ideologico; anzi, ci sentiamo di affermare che, se sono stati compiuti degli errori nel passato, essi non devono essere ripetuti. Ci sentiamo solidalmente impegnati per sostenere l'impegno delle forze dell'ordine sul territorio a tutela della sicurezza e della legalità del nostro Paese. Alle forze dell'ordine e alle Forze armate dobbiamo consentire di non essere, per usare le parole del Capo di Stato maggiore della difesa, «al limite delle loro possibilità», perché devono operare nella pienezza delle loro possibilità (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori).

PRESIDENTE. L'onorevole Libè ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/172.

MAURO LIBÈ. Signor Presidente, signor Ministro, signor sottosegretario, il nostro ordine del giorno n. 9/1386/172 è volto a fornire un segnale un po' più forte alla politica energetica di questo Paese. Mi rivolgo al Ministro Scajola anche se non è presente: abbiamo condiviso le sue numerose dichiarazioni e gli impegni presi nel campo dell'energia; poi, però, ci troviamo a votare questo provvedimento dove francamente si rischia - come si usa dire dalle mie parti - di votare dell'acqua fresca. Infatti, al di là di un impegno generico all'utilizzo del nucleare, non vi è niente di sostanziale.
Siamo il Paese che ormai da più di vent'anni è uscito dalla politica nucleare scegliendo la strada più difficile e che, uscendo da quella opzione, non ha messo in campo altre strategie e altre iniziative, se non quella di essere totalmente dipendente dall'estero. È inutile parlare, allora, di rispetto dei parametri del Protocollo di Kyoto o di rispetto dell'ambiente quando poi non prendiamo il toro per le corna e mettiamo nero su bianco impegni e decisioni. Gli obblighi del Protocollo di Kyoto sono pesanti e saranno pagati dal sistema produttivo del nostro Paese, dove facciamo ancora discussioni sulle tecnologie, mentre gli altri sono andati avanti. Sento qualcuno parlare di quarta generazione, di fusione, ma ricordiamoci che le centrali di terza generazione non sono ancora attive e che lo saranno solo tra pochi anni in Finlandia.
Dunque, noi crediamo che il Governo, insieme al Parlamento, debba assumersi degli impegni fermi, e debba abbreviare il più possibile i tempi lunghi delle decisioni. Se andiamo avanti con questi provvedimenti - lo dico ancora al Governo - tra cinque anni non poseremo nessuna prima pietra di nessuna centrale nucleare in Italia. Allora, è meglio dire chiaramente che non le vogliamo realizzare, perché la sensazione è questa.
In un Paese in cui la concorrenza in questo settore è quasi nulla, se non nulla, e dove la mancanza di concorrenza viene pagata dalle imprese e dalle famiglie, la politica familiare non si fa con le vuote enunciazioni, ma iniziando ad abbassare i costi dei servizi. Ed il costo più caro per le famiglie e per le imprese (che, non essendo votate alla beneficenza, scaricano poi i costi sulle famiglie stesse) è proprio quello dell'energia.
Dunque, ci vuole un segnale sicuramente molto più forte nel nostro Paese - lo dico a lei, signor sottosegretario - considerato che con il provvedimento in esame si autorizza il Governo ad acquistare energia nucleare dall'estero, acquisto che già facciamo e, purtroppo, a condizioni capestro.
Vorrei fare un inciso rapidissimo anche sulla sicurezza. Tutte le centrali nucleari (è pleonastico ripeterlo) sono situate lungoPag. 85l'arco alpino e, quindi, corriamo gli stessi rischi, ma non gestiamo neanche un rischio. Dunque - lo vorrei dire anche ai signori ambientalisti - non abbiamo la possibilità di gestire il rischio e la tutela dell'ambiente, perché lo fanno altri per noi. Noi possiamo solo comprare energia che ogni anno costa un valore pari al costo di costruzione di una centrale nucleare: in venti anni abbiamo costruito venti centrali per la Francia.
Pertanto, con il nostro ordine del giorno chiediamo che il Governo si impegni, entro tre mesi dall'approvazione di questo provvedimento, a presentare concretamente un piano dettagliato in ordine a quello che intende fare, a comunicarci quanta energia intende produrre dal nucleare, quanti impianti intende realizzare, di quali dimensioni e con quali risorse intenda farlo. Non ci possiamo accontentare delle dichiarazioni giornalistiche. Vogliamo un impegno chiaro in Parlamento, altrimenti il Paese, che è già rimasto troppo indietro per colpa - lo dico con grande sincerità - di tutti, rimarrà ancora più indietro (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).

PRESIDENTE. L'onorevole Madia ha facoltà di illustrare l'ordine del giorno Cesario n. 9/1386/207, di cui è cofirmataria.

MARIA ANNA MADIA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signori del Governo, questo provvedimento si pone in maniera decisamente negativa nei confronti dei beni culturali del nostro Paese. Taglia indiscriminatamente le risorse del Mibac, al punto tale che lo stesso Ministro Bondi, pochi giorni fa, di fronte al consiglio superiore dei beni culturali, si è detto preoccupato per i tagli operati e si è impegnato a far cambiare rotta al suo stesso Governo. Ebbene, i tagli operati al Ministero con il maxiemendamento aumentano.
Nelle stesse ore in cui discutiamo questi ordini del giorno centinaia di biblioteche, archivi e musei italiani vedono il personale iniziare uno stato di agitazione contro la revoca di risorse vitali per la gestione di beni culturali così importanti.
Questo Governo sembra voler abdicare a quella che è una funzione stabilita dalla Costituzione e dalla normativa, ovvero la tutela pubblica dei beni culturali.
Se il Ministro Bondi vuole davvero cambiare rotta può compiere, con questo ordine del giorno, un piccolo passo in avanti per un ritorno dello Stato ad una politica degna di questa funzione. Questo ordine del giorno non ha costi per la finanza pubblica, ma si pone l'obiettivo di riordinare l'esercizio di una delle professioni più importanti legate alla tutela dei beni culturali: la professione dell'archeologo. Oggi migliaia di archeologi italiani agiscono in un sistema completamente deregolamentato.
Chiunque oggi potrebbe fare l'archeologo in qualunque condizione: non sono previsti i requisiti, non è prevista una formazione adeguata, non è prevista la certificazione della professionalità. Tutto ciò in un settore, però, come quello dell'archeologia, che la normativa riconosce di particolare interesse pubblico.
È chiaro che la giungla normativa penalizza professionalità e saperi di una scuola archeologica, come quella italiana, che è tra le migliori del mondo.
In attesa di un complessivo riordino, in coerenza con la normativa comunitaria, dei requisiti minimi per l'esercizio di tutte le professioni ancora non regolamentate - per i beni culturali penso immediatamente agli archivisti, ai bibliotecari, agli storici dell'arte - questo ordine del giorno intende impegnare il Governo per un riconoscimento adeguato della professione archeologica.
In realtà il legislatore, per quanto concerne gli appalti pubblici che riguardano i beni culturali, si era già posto il problema con il decreto legislativo n. 30 del 2004 che prevedeva - leggo - la definizione di specifici requisiti di qualificazione dei soggetti esecutori di scavi archeologici. Tale normativa è rimasta inapplicata a tal punto che l'Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici in un atto di segnalazione al Governo e al Parlamento lamenta laPag. 86grave inosservanza relativa alla norma che prevedeva l'emanazione, da parte del Governo, di un decreto che individuasse proprio i requisiti specifici di qualificazione dei soggetti esecutori di scavi archeologici.
Se la segnalazione dell'Autorità riguarda un pezzo di normativa sugli appalti pubblici, apparirebbe incongruo che tale qualificazione delle competenze per l'esercizio della professione archeologica non si ampliasse anche al settore privato. Infatti, come è noto, il codice dei beni culturali prevede l'interesse pubblico ma anche le relative attività di tutela per i beni all'interno dei lavori privati.
Chiaramente non si tratta della richiesta dell'istituzione di un albo per gli archeologi né tantomeno di una misura neocorporativa, ma noi riteniamo che la liberalizzazione dell'esercizio delle professioni debba contemperare la qualificazione e il miglioramento delle competenze, la tutela del consumatore cui viene offerto il servizio professionale che, in questo caso, è l'intera collettività nazionale, e l'apertura al mercato.
Questo triplice obiettivo può essere raggiunto soltanto con l'individuazione non rigida, ma flessibile e aperta, dei requisiti minimi formativi e curriculari per l'esercizio di un mestiere così delicato e importante per la tutela delle bellezze del nostro Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. L'onorevole Berretta ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/184.

GIUSEPPE BERRETTA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il nostro Paese attraversa una fase molto complessa, caratterizzata da crescita economica insufficiente, diminuzione della domanda interna, inflazione elevata (che sia importata o meno, poco importa).
In tale quadro - non ci stancheremo di ripeterlo - si dovrebbe sostenere il reddito di pensionati e di lavoratori, privati e pubblici. Ma avete scelto strade diverse.
Certamente, siamo consapevoli che l'amministrazione pubblica debba divenire più efficiente e più efficace e sulle riforme necessarie a realizzare tali imprescindibili obiettivi siamo pronti al confronto e alla collaborazione. Del resto, lo abbiamo dimostrato con le uniche vere riforme attuate in tale settore, promosse dal centrosinistra nel periodo 1996-2001. Ciò che rifiutiamo è la crociata ideologica contro milioni di lavoratori pubblici, avviata dal Governo e, in particolare, dal Ministro Brunetta.
Il taglio indiscriminato delle risorse accantonate nel fondo indistinto, appostate per il rinnovo dei contratti collettivi, il blocco del turn over, in particolare nel settore della sicurezza, che stando agli slogan elettorali dovrebbe essere un settore prioritario anche per voi, l'esclusione del pubblico impiego dalla sperimentazione della detassazione degli straordinari, la riduzione delle risorse destinate ai fondi integrativi, cioè ai fondi destinati a premiare la produttività, sono tutte misure che non ci appaiono un buon viatico per tentare di rimotivare i lavoratori pubblici e incrementare la produttività in tale settore.
Paradossale, in tale quadro, appare la scelta di eliminare il tetto massimo delle retribuzioni dei dirigenti: ancora una volta il Governo e la maggioranza si dimostrano forti con i deboli e deboli con i forti.
In tale quadro, chiediamo un impegno al Governo affinché eviti una riduzione delle retribuzioni attualmente percepite dai lavoratori pubblici, che perlomeno garantisca l'attuale potere di acquisto e chiediamo un ulteriore impegno a reperire le risorse necessarie alla stipula dei nuovi contratti collettivi.

PRESIDENTE. L'onorevole Anna Teresa Formisano ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/169.

ANNA TERESA FORMISANO. Signor Presidente, il provvedimento in esame prevede, tra le altre misure, disposizioni fortemente penalizzanti per un settore che, secondo me e secondo noi dell'Unione di centro, è strategico nel nostro Paese: sto parlando del settore delle università, per le università.Pag. 87
Ci riferiamo a misure che vanno dalla riduzione della dotazione finanziaria al blocco del turn over, previsto nell'articolo 66 del provvedimento in esame, fino all'articolo 16, dove si parla della possibilità di trasformare gli atenei in fondazioni (mi verrebbe da fare una battuta: perché non una ONLUS, visto che parliamo di fondazioni?). Tutto ciò, signor Presidente, rischia di compromettere il funzionamento stesso degli atenei.
In particolare le misure previste, non solo dal punto di vista finanziario, investono tutti i soggetti della realtà universitaria: docenti, personale e studenti.
Vi è un gran parlare, in questi giorni, su alcuni quotidiani, degli stipendi d'oro dei cosiddetti «baroni», quasi a voler distrarre l'attenzione degli italiani su una parte che non è «la università»; può esserne una parte (e anche su questo sarebbe poi da vedere il paragone fra i famosi stipendi d'oro).
Non credo che il sistema migliore sia quello di operare tagli nei confronti di tutti per ridurre e fare la cosiddetta economia.
Per noi sarebbe più giusto premiare i migliori atenei, quegli atenei che meritano, ma non secondo gli attuali parametri.
Oggi abbiamo tre parametri di riferimento: il numero degli iscritti, il numero dei fuori corso e il cosiddetto placement tout court, cioè il numero dei laureati che trovano occupazione.
Molto sommessamente, ma anche con altrettanta determinazione, ci permettiamo di suggerire un criterio nuovo, che è quello delle migliori università; ad esempio, uno strumento di graduatoria potrebbe essere il placement dei laureati ad un anno dalla laurea: dove sono andati a lavorare i migliori universitari?
Cari colleghi e signor Presidente, prima sentivo parlare di «rialzati Italia»: ma come fa un Paese serio a parlare di sviluppo economico, se decide di tagliare i fondi alla ricerca e decide di non investire più sui suoi migliori cervelli? Poi, però, facciamo finta di piangere e di preoccuparci per la fuga di cervelli all'estero.
Quale prospettiva può avere un giovane che decidesse di restare a lavorare presso un'università italiana?
Signor Presidente, io vengo da una città di circa quarantamila abitanti, la città di Cassino, che ha l'onore di essere sede universitaria, di aver costruito un'università in concorrenza tra due megacittà universitarie (Napoli e Roma) e di essere posizionata in quelle famose classifiche non in fondo, ma tra le migliori università, grazie al lavoro di tante persone (docenti, personale e studenti) che hanno creduto nell'università e che hanno lavorato per la sua crescita.
Il provvedimento in esame vanifica gli sforzi di tutti coloro che hanno lavorato credendo in ciò, per far crescere un ateneo.
Crediamo che il Governo debba adottare ogni iniziativa utile a valorizzare e tutelare il sistema universitario italiano, puntando a valorizzare e sostenere quei luoghi di eccellenza che, fortunatamente, ci sono ancora nel nostro Paese ma che, se passasse questo provvedimento, rischiano di scomparire.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

ANNA TERESA FORMISANO. Credo - e noi crediamo - che investire sulla ricerca e sui cervelli sia il vero volano di sviluppo per un Paese e la cosa strana, signor Presidente, è che tutto ciò proviene da un Ministro che non è un Ministro qualsiasi, ma è un professore universitario, il che è ancora più grave (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).

PRESIDENTE. L'onorevole Villecco Calipari ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/77.

ROSA MARIA VILLECCO CALIPARI. Signor Presidente, vorrei richiamare l'attenzione del rappresentante del Governo su alcuni fatti, che in questi giorni sono stati riportati da tutte le cronache, relativi alla protesta delle forze di polizia e delle Forze armate per i tagli subiti dal comparto sicurezza e difesa. Poliziotti e militari, però, hanno lamentato non soltantoPag. 88l'insufficienza degli stanziamenti per i trattamenti economici e per i reclutamenti, ma anche la mancata previsione di un elemento al quale tengono moltissimo: il riconoscimento della specificità in relazione al resto del pubblico impiego. Sulle modalità con cui riconoscere tale specificità che, aldilà delle parole, deve concretizzarsi negli istituti per essere attuata, si è molto discusso senza approdare ad alcuna soluzione.
Con questo ordine del giorno, onorevole Vegas, avanziamo una proposta: quella di istituire un Fondo da assegnare al Ministero per la pubblica amministrazione e l'innovazione, sede in cui si svolgono i procedimenti di concertazione e contrattazione per i rinnovi contrattuali del personale delle Forze armate e delle forze di polizia. La norma che proponiamo individua uno stanziamento iniziale compatibile con l'esigenza della finanza pubblica, prevedendo una sua rivalutazione nel tempo, in accordo con le parti sociali. È una norma, quindi, che dà al problema della specificità una prima risposta immediata, anche se parziale, ed una più ampia di prospettiva, per poter costruire, attraverso i rinnovi contrattuali, gli istituti normativi ed i trattamenti economici in grado di corrispondere adeguatamente alle funzioni così particolari svolte da polizia e militari. Essa rimanda, cioè, ad un accordo tra le parti sociali - sindacati e rappresentanze militari - per stabilire in cosa consiste la specificità.
Per capire quanto tale richiesta sia rilevante per questo settore e quanto sia attesa è necessario tornare un attimo indietro nel tempo. Gli organismi di rappresentanza del personale militare a carattere elettivo sono stati istituiti con legge nel 1978 e i primi consigli sono stati eletti nel 1980. Subito dopo - lo ricordiamo tutti - nel 1981, veniva approvata la riforma della Polizia di Stato, che trasformava radicalmente il modello preesistente, aprendo al reclutamento femminile e riconoscendo il diritto al sindacato. Si è trattato di un quadro di scelte molto progressiste e riformatrici che, dopo ventotto anni, conferma la sua positività ed ha ancora una sua validità.
L'esperienza consolidatasi intorno a queste proposte ha dimostrato di saper crescere sia a livello istituzionale, che nel rapporto con le istanze politico-parlamentari. La prova più evidente della crescita sul piano istituzionale consiste proprio nella costituzione presso la Funzione pubblica del comparto sicurezza-difesa, con l'ammissione dei Cocer ad una pratica di concertazione. Si tratta di un procedimento che si sviluppa parallelamente alla contrattazione prevista per le forze di polizia ad ordinamento civile, sindacalizzate e contrattualizzate fin dal 1981. Nel comparto della sicurezza-difesa si rinnovano i contenuti del rapporto di impiego normativo ed economico di 500 mila operatori della sicurezza e della difesa. Si tratta di agenti di polizia, di carabinieri, di finanzieri e di soldati, ai quali affidiamo la nostra sicurezza, gli impegni per il mantenimento della pace e parte significativa di quello che, spesso, ho sentito dalla sua maggioranza e dalla sua parte politica definire il prestigio internazionale del nostro Paese.
Sono tutte persone, uomini e donne, chiamate a una vita di sacrifici. Non sempre il valore di questo sacrificio viene riconosciuto nel modo giusto. Non sono mancati eccessi retorici, mentre credo che la risposta migliore sia quella di saper guardare con rispetto e attenzione alle richieste che provengono dal mondo militare e da quello della sicurezza quali componenti sociali del paese.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

ROSA MARIA VILLECCO CALIPARI. Una componente appunto di uomini e donne, verso i quali la politica deve saper costruire adeguate misure di protezione sociale sui grandi temi come quello della casa, della certezza del rapporto di lavoro e della possibilità di conciliare le esigenze del servizio con quelle della vita familiare e privata.
Onorevole Vegas, chiedo che l'ordine del giorno in esame venga accettato dalPag. 89Governo, in quanto prestato dalle Forze armate e dal comparto sicurezza, in nome e per conto del nostro Paese.

PRESIDENTE. L'onorevole Fontanelli ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno 9/1386/225.

PAOLO FONTANELLI. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, il senso di questo ordine del giorno è molto chiaro: è quello di impegnare il Governo ad assicurare ai comuni la totale copertura delle minori entrate derivanti dall'abolizione dell'ICI sulla prima casa nonché a garantire, quanto prima, la definitiva soluzione connessa al minor gettito ICI per i fabbricati di categoria B. Poniamo tale esigenza con molta forza perché sentiamo nelle amministrazioni locali e nei comuni, una grande difficoltà e preoccupazione per l'incertezza che si è determinata.
Tale situazione è chiaramente indicata anche dalle cifre, dai dati e dei numeri che abbiamo richiamato nonché dall'incertezza di tali numeri, in modo particolare quelli che riguardano il rimborso dell'ICI. Infatti, nel decreto-legge 27 maggio 2008, n. 93, discusso e approvato recentemente e ormai convertito in legge, è previsto uno stanziamento di circa 2 miliardi e 600 milioni per il rimborso dell'ICI. Al Senato tuttavia, nella relazione tecnica assunta nella relazione di maggioranza, si parla di una stima che è di circa 3 miliardi e 700 milioni: c'è un differenziale di circa un miliardo, è evidente, ad oggi non coperto. Questo elemento, insieme al vecchio «decreto Visco» - che anche allora aveva generato una situazione di scompenso tra ciò che si era tolto ai comuni e ciò che effettivamente si era accertato nel gettito - crea una situazione di forte difficoltà e, ripeto, di grande incertezza.
Vogliamo assumere questa preoccupazione pienamente, in un momento in cui ovviamente le preoccupazioni si estendono anche alla manovra in atto - quella di cui stiamo discutendo - che prevede tagli pesanti nel triennio, a partire dal 2006, ma ancor più pesanti in modo progressivo. È ovvio che molte sono le domande che si affollano: vedo che oggi, ancora una volta, alcuni rappresentanti della maggioranza esultano per l'eliminazione dell'ICI come un grande risultato. Nello stesso tempo, leggo una dichiarazione di oggi del ministro Calderoli, il quale afferma che è stato un errore tagliare l'ICI che è una delle poche tasse sulla quale gli enti locali esercitano la loro autonomia e che sarebbe stato meglio intervenire su qualche altra tassa.
Si tratta di elementi che vanno tutti ad inserirsi in un contesto che noi riteniamo, come dire, «di accanimento» verso i comuni. Dico queste cose al sottosegretario Vegas, perché conosce da tempo queste materie e più volte ha avuto modo di confrontarsi con i comuni e con il loro disagi. Vorrei ricordargli anche che cosa è riportato dalla recente indagine pubblicata domenica scorsa su Il Sole 24 Ore, fatta da Dexia-Crediop: in essa si attesta chiaramente il fattore virtuoso dell'andamento della spesa dei comuni, in maniera molto netta rispetto alla spesa complessiva dello Stato e della pubblica amministrazione. Ci interroghiamo allora su questo accanimento. Oggi ciò determina una situazione di forte incertezza, perché se va bene, i comuni che ora, a fine luglio, avrebbero avuto in cassa l'ICI sulla prima casa, si troveranno ad averla, se va bene, alla fine di agosto, ripeto se va bene, e avranno un periodo di scoperto di cassa.
Molti dovranno ricorrere al credito, dovranno quindi pagare interessi su questo ed appesantire ulteriormente i loro bilanci. Chiedo al sottosegretario Vegas di seguire tali questioni perché sono le domande che tutti i comuni si pongono. Ancora oggi ho visto agenzie, per esempio del comune di Ravenna, il quale è fortemente preoccupato per il proprio bilancio.
La cosa grave è che non si parla nemmeno di una previsione, si parla di un bilancio in esercizio! Che cosa accade ad un comune, il quale ha già previsto la spesa che aveva la copertura di entrata e che in questi mesi non ce l'ha? Che cosa accade se questo non avviene? In autunno cosa faranno questi comuni? Si troverannoPag. 90con un bilancio in rosso, che ha uno scoperto, un disequilibrio, si troveranno in grande difficoltà. Ecco perché insistiamo sulla necessità che una risposta a questa domanda venga, venga presto e venga con grande chiarezza!
Finora abbiamo ascoltato impegni generici - faremo, vedremo - ma lo ripetiamo: non c'è la copertura! Riteniamo che su questo vi debba essere un impegno rapido, urgente e chiaro del Governo. Questo è il senso del nostro ordine del giorno ed è anche nella risposta ad esso che misureremo e verificheremo l'effettiva volontà del Governo di far seguire alle parole i fatti (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico - Congratulazioni).

PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Porfidia, che aveva chiesto di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/133.
L'onorevole Bellanova ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/37.

TERESA BELLANOVA. Signora Presidente, signor rappresentante del Governo, con la fiducia la maggioranza di questo Parlamento ha «cancellato» la legge n. 188 del 2007, una legge - voglio ricordarlo - di iniziativa parlamentare, che fu approvata a larghissima maggioranza. Quest'Aula accolse con un applauso quel voto perché tutti insieme dicemmo che in quel giorno si produceva un atto di civiltà e di giustizia sociale contro la pratica delle dimissioni «in bianco».
Si tratta di un problema che questa maggioranza, che questo Governo vogliono disconoscere, ma purtroppo esso esiste nel nostro Paese, insieme a tanto lavoro regolare. Esiste una pratica ricattatoria che si esercita, in modo particolare, in quel sistema di imprese ad alta intensità di lavoro femminile. È una pratica che si abbatte verso quelle donne che decidono di conciliare il lavoro e la maternità. Molto spesso a queste donne viene chiesto non solo di presentare un certificato di mancata gravidanza, ma viene chiesto loro di firmare un foglio in bianco, perché nel momento in cui decidono di fare un figlio, quel foglio diventa una lettera di dimissioni volontarie.
Quella lettera viene utilizzata verso quelle lavoratrici e quei pochi lavoratori che chiedono i permessi parentali, verso quelle persone che hanno una lunga malattia o che subiscono un infortunio; quella lettera viene utilizzata verso quelle lavoratrici e quei lavoratori che, ad un certo punto della loro carriera, sono stanchi di subire il lavoro nero, di subire il mancato rispetto dei contratti, degli orari di lavoro non controllati; viene utilizzata verso quelle lavoratrici che si ribellano alla pratica della doppia busta paga: lavori otto ore, te ne pago quattro; il contratto prevede 1.000 euro, te ne do 500, perché magari sei nel Mezzogiorno e quindi devi sottostare a tutte le vessazioni. Quella pratica è presente nelle aziende degli appalti, del subappalto, del conto-terzismo.
Signori del Governo, avete assecondato quella parte - marginale, certo - del sistema di imprese, quella parte che pratica il lavoro nero, il lavoro grigio, quella parte che non riconosce i diritti. Infatti, le imprese sane - quelle che rispettano il diritto del lavoro e i lavoratori - che problema avevano dall'applicazione della legge n. 188 del 2007? Il Ministro Sacconi ha detto che bisogna semplificare, ma quella legge non aveva alcun onere per le imprese, aveva solo l'impegno per i lavoratori e per le lavoratrici di presentare le dimissioni su uno stampato con un codice alfanumerico con validità limitata nel tempo (15 giorni).
Si tratta di uno strumento facilmente reperibile su Internet, nelle organizzazioni sindacali, nei centri per l'impiego, presso i comuni; quindi, nessun appesantimento burocratico.
Il punto è che in questo Paese si fanno le leggi per i potenti, per sottrarsi all'azione dei magistrati, e poi si chiede coraggio ai soggetti più deboli. In Commissione lavoro il Ministro Sacconi ci ha detto che, se ci sono delle persone che subiscono questa pratica, possono rivolgersi alla magistratura. Perché il ricorso alla magistratura? Perché, per l'esercizioPag. 91di un diritto costituzionale, le persone devono mettere in pratica una causa, sostenendo dei costi, con tempi lunghissimi e con la paura di non essere più assunti in nessuna altra impresa?
È minimale, signori del Governo, ma vi chiedo lo stesso di accogliere questo ordine del giorno. Provate a riparare, avviate un confronto con le parti sociali; loro vi diranno che quello che Sacconi chiama «vincoli di cui liberare il lavoro» sono tutele, diritti indispensabili, rispetto della dignità dei lavoratori e delle lavoratrici (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. L'onorevole Laganà Fortugno ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/96.

MARIA GRAZIA LAGANÀ FORTUGNO. Signor sottosegretario, l'ordine del giorno che vado ad illustrare riguarda la finalità del Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso. In tale Fondo vengono immesse le somme di denaro sequestrato nell'ambito di procedimenti penali contro mafiosi o quelli provenienti dall'applicazione di misure di prevenzione contro gli stessi o risultanti da sanzioni amministrative.
Nella legge n. 575 del maggio 1965 è previsto un amministratore nominato dal tribunale, che si impegni a versare all'ufficio del registro tali somme confiscate e quelle ricavate dalla vendita di beni e titoli. I beni immobili sono da intendersi mantenuti al patrimonio dello Stato, che ne dispone per finalità di giustizia, di ordine pubblico e di protezione civile, e possono essere trasferiti al patrimonio del comune ove l'immobile è sito, per finalità istituzionali o sociali.
La legge n. 512 del dicembre 1999 ha introdotto delle specifiche alle indicazioni suddette, prevedendo la necessità prioritaria di utilizzare tali somme per il risarcimento dei familiari delle vittime dei reati di stampo mafioso; è, quindi, da sottolineare che il Fondo di rotazione per tali vittime, oltre ai proventi derivanti dalla confisca dei beni mafiosi, gode di un contributo annuo dello Stato. Con il decreto-legge n. 112 del 2008, all'articolo 60-bis, comma 25, è stato previsto un taglio a tale Fondo ed un prelievo di somme dai beni confiscati alla mafia per rinforzare, con 300 milioni di euro, le risorse economiche destinate alle forze dell'ordine. Voglio far rilevare, inoltre, che la destinazione di questi 300 milioni non è del tutto chiara: una parte andrà ai comuni, nell'ordine di 100 milioni, altri 100 milioni circa saranno destinati ad assunzioni in vari ambiti (polizia, carabinieri, vigili del fuoco e guardia di finanza), ma di almeno altri 100 milioni non è chiara la destinazione di spesa.
Ma ciò che più mi preme, signor sottosegretario, è ricordare che i familiari delle vittime, durante l'iter processuale, oltre ad un carico economico quantificabile in cifre, subiscono anche danni psicologici per il fatto di trovarsi a volte, durante le udienze, faccia a faccia con i presunti colpevoli dei delitti. Per questo motivo, la normale procedura processuale, che è routine per i professionisti della legge, vi assicuro che per i diretti interessati non solo non lo è, ma non è affatto cosa piacevole (su questo, purtroppo, posso darvi garanzie personali).
Evidenzio inoltre l'eccessiva burocratizzazione del sistema di confisca dei beni, a partire dal momento iniziale - quello del sequestro, appunto, dei beni stessi - fino al reperimento dell'effettiva liquidità. È un meccanismo di cui molti hanno rilevato la lentezza: si è fatto nella passata legislatura come Commissione antimafia, e oggi in quanto rappresentante della Commissione difesa mi auguro che le risorse aggiuntive per le forze dell'ordine siano reperite da altri capitoli di spesa piuttosto che da questo fondo, che ha il primato della burocratizzazione; problema causato anche dalla mancanza di un organo unico che tuteli l'operazione dall'inizio alla fine, quindi dal momento del sequestro a quello della confisca e del riutilizzo.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

MARIA GRAZIA LAGANÀ FORTUGNO. Sappiamo inoltre che in realtà iPag. 92familiari delle vittime della mafia devono aspettare nella migliore delle situazioni almeno dieci anni per un'assegnazione economica, mentre soprattutto per l'operatività e l'efficienza del comparto sicurezza c'è bisogno di fondi disponibili subito: subito per uscire da un'emergenza che sta diventando cronica, sia sotto il profilo di uomini, che tecnico e di mezzi. Pertanto, dove sta la contraddizione? La contraddizione risiede nel finanziare delle risorse aggiuntive per la sicurezza con dei soldi destinati alle vittime di mafia. Questo è stato sottolineato anche dagli stessi sindacati dei lavoratori della Polizia e delle forze dell'ordine: non si può - hanno detto - controbilanciare un miliardo di euro di tagli con poche assunzioni di operatori delle forze dell'ordine e con i soldi destinati alle vittime di mafia.
Concludo, signor Presidente, e faccio appello, signor sottosegretario Vegas, non solo a tutte le forze politiche ma anche al Governo perché venga accettato l'ordine del giorno in esame, affinché ci sia un impegno da ogni parte, senza distinzioni di appartenenza, per rendere fattivo questo risarcimento nelle proporzioni indicate dalle leggi n. 512 del 1999 e n. 575 del 1965. E ribadisco quindi la necessità, per l'utilizzo di tali somme provenienti dalla confisca dei beni, di accordare la priorità alle vittime dei reati mafiosi in quanto diretti e naturali beneficiari delle somme ricavate dalla confisca dei beni stessi (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. L'onorevole La Forgia ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/95.

ANTONIO LA FORGIA. Signor Presidente, signor sottosegretario, le riduzioni dei fondi disposte dai primi due commi dell'articolo 65 minacciano di vanificare la legittima aspettativa ad entrare in servizio permanente di militari che hanno già prestato servizio per anni, in Italia ed all'estero, e che si attendono, sulla base delle norme in vigore, di poter proseguire la propria attività nella forza armata di appartenenza ovvero nella forza di polizia per la quale siano stati ritenuti idonei.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ANTONIO LEONE (ore 17,45)

ANTONIO LA FORGIA. L'ordine del giorno in esame chiede al Governo di assumersi l'impegno di evitare che ciò accada. Mi rendo perfettamente conto che una tale richiesta può apparire, magari ben intenzionata, magari giustamente sensibile ad interessi e ad aspettative legittime appunto, e tuttavia in qualche modo corporativa. Insomma, attenta ad un profilo particolare, pur se significativo ed importante, ma tale da rifiutare, come talora capita dai banchi dell'opposizione, chiunque li occupi, quell'approccio generale cui deve ispirarsi la manovra finanziaria; tale da sottrarsi a quell'esigenza, di cui ci ha parlato il ministro Tremonti, di blindare i conti dello Stato a difesa da una tempesta attesa, e che potrebbe, si dice, persino essere la tempesta perfetta.
Non è così. L'ordine del giorno in esame è sì puntuale, ma non è formulato con l'attenzione rivolta al particolare, e neppure è volto alla difesa di un interesse corporativo, ed ancor meno è mosso da quella certa leggerezza di chi non ha responsabilità di Governo. E per motivare queste affermazioni desidero in primo luogo osservare che il nostro modello professionale è alimentato dalle ferme volontarie annuali e poliennali, cosicché la disillusione dell'aspettativa di poter passare al servizio permanente avrebbe conseguenze fortemente disincentivanti sulla quantità, e soprattutto sulla qualità dell'afflusso di volontari.
Il danno al percorso di realizzazione del modello definito nell'anno 2000 sarebbe assai grave, giacché riguarderebbe la più preziosa delle risorse, appunto quella umana. Ma vi è di più. Signor sottosegretario, spesso qui nelle nostre discussioni attorno allo stato del Paese utilizziamo, come strumento interpretativo, la distinzione tra funzioni e settori esposti al confronto internazionale e gli ambiti chePag. 93ancora ne sono protetti. E sistematicamente individuiamo nel ritardo e nella minore efficienza delle aree protette il più grave handicap che appesantisce la nazione. Ebbene, non vi è dubbio che gran parte della pubblica amministrazione non è sottoposta all'attrito della competizione globale, ma è altrettanto certo che lo strumento militare è pienamente esposto a quel confronto ed è costretto ad adeguarsi agli standard internazionali, e - quel che più conta - ha mostrato di essersi compiutamente adeguato (non devo in questa sede argomentare un'affermazione che so essere condivisa).
Il mio ordine del giorno n. 9/1386/95, come altri presentati dal mio gruppo, muove dalla convinzione che l'impatto delle misure finanziarie sullo strumento militare costringa a valutazioni e scelte di fondo, imponendo una revisione del modello del 2000 e una riduzione del nostro impegno internazionale. Non vi sono alternative, poiché la determinazione degli standard internazionali non è nella nostra disponibilità (tutt'altro, dunque, che preoccupazioni particolaristiche). Ritengo che il Governo debba correggere rapidamente le scelte compiute con questo provvedimento e debba agire, nell'immediato, sulla gestione delle risorse, al fine di guadagnare il tempo necessario.
A sostegno di queste affermazioni non saprei quali parole invocare più autorevoli di quelle scritte nella nostra Costituzione, e precisamente all'articolo 11, in base al quale «l'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali».

PRESIDENTE. Onorevole La Forgia, deve concludere.

ANTONIO LA FORGIA. Credo - e concludo, signor Presidente - che in questa disposizione si debba leggere anche il rifiuto, quando se ne diano le necessarie condizioni di legalità internazionale, di assistere impotenti all'uso della guerra come strumento di offesa alla libertà. Perciò non credo ci si possa rassegnare all'indebolimento del ruolo internazionale dell'Italia, e mi auguro che queste motivazioni dell'ordine del giorno al nostro esame appaiano sufficientemente convincenti da ottenere la condivisione del Governo.

PRESIDENTE. L'onorevole Cera ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/145.

ANGELO CERA. Signor Presidente, signor sottosegretario Vegas, colleghi, proprio un anno fa - credo che tutti possiate ricordarlo, per l'elevata rilevanza mediatica che ha suscitato la vicenda - l'intero territorio del Gargano, ed in particolare i comuni di Peschici e Vieste, è stato colpito da numerosi incendi boschivi che hanno distrutto ben 4.500 ettari di natura protetta andati in fumo in poche ore.
Purtroppo, contammo anche alcune vittime. Ci fu un'evacuazione di massa tra i turisti che assiepavano le zone e le spiagge del litorale, salvati via mare dai tanti turisti che erano presenti. Nei mesi successivi, tra ottobre e novembre, ulteriori eventi calamitosi hanno purtroppo imperversato sulla stessa zona con fortissime alluvioni che si sono susseguite per più giorni, provocando ulteriori e devastanti danni sia ambientali, sia infrastrutturali - ma, soprattutto, economici -, in un'area già fortemente provata da precedenti avvenimenti.
Oggi, a distanza di un anno, il territorio non riesce ad ottenere quei benefici che erano stati promessi per il recupero delle opere distrutte, ed i cittadini e gli operatori economici aspettano l'erogazione di risorse per il risarcimento dei danni subiti.
Vorrei far notare che si tratta di gente che ha visto in pochi giorni distrutti i frutti di sacrifici fatti per un'intera vita lavorativa.
Signor rappresentante del Governo, io chiedo la vostra massima attenzione su queste vicende in quanto non è possibile più aspettare. Alcune aree necessitano di opere di messa in sicurezza in quanto distrutte dagli eventi e fortemente esposte ad altissimo rischio in caso di ripetersi di fattiPag. 94simili. Ci sono tuttora canali pericolanti, argini di alcuni torrenti totalmente distrutti e i cittadini non possono più sentirsi ripetere promesse senza che ad esse seguano fatti concreti.
Vorrei ricordare che il precedente Governo si era impegnato a far fronte all'emergenza prevedendo lo stanziamento di fondi, attingendo anche ai fondi di solidarietà europea, estendendo il beneficio alle regioni colpite da eventi incendiari. Ma per sopraggiunte e imprecisate questioni di natura burocratica la popolazione ancora non vede l'erogazione e il Governo attuale non si è ancora mosso in questa direzione. Mi preme far notare, senza per carità fare polemica, l'impegno - doveroso ma immediato - che invece è stato previsto per la vicenda tragica che recentemente ha visto protagoniste alcune regioni del nord afflitte da pesanti alluvioni; in questo caso l'impegno di 80 milioni di euro nei prossimi anni è considerevole. Non comprendiamo perché si debba agire con due pesi e due misure di fronte a problematiche di medesima natura e valenza. Se l'impegno ci deve essere, deve anche essere svolto a trecentosessanta gradi, comprendendo tutte le situazione di criticità.
Con questo ordine del giorno, colleghi, chiedo al Governo un impegno serio per affrontare l'emergenza che è ancora in atto nel Gargano, a seguito dei disastrosi fatti sopra esposti; chiedo ancora di verificare le ragioni della mancata erogazione dei benefici previsti e di valutare ulteriori misure per la destinazione di risorse sia al finanziamento delle opere strutturali necessarie alla messa in sicurezza delle aree colpite, sia ai meccanismi di sovvenzione per la copertura degli ingenti danni subiti dagli abitanti e dagli operatori economici presenti nel territorio. L'approvazione di questo atto parlamentare, proprio in questi giorni in cui ricorre l'anniversario degli eventi, potrebbe già costituire un segnale importante ed assumere una valenza non indifferente, fortemente percepita da tutti i cittadini del Gargano (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).

PRESIDENTE. L'onorevole Grassi ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/48.

GERO GRASSI. Signor Presidente, il provvedimento in esame è fortemente penalizzante per i medici dipendenti, per il loro ruolo professionale di tutela di un bene costituzionalmente garantito come il diritto alla salute, per i diritti dei cittadini alla qualità e alla sicurezza delle cure.
L'articolo 41, comma 13, prevede per il personale delle aree dirigenziali degli enti e delle aziende del Servizio sanitario nazionale il venir meno del diritto al riposo compensativo di undici ore e della settimana lavorativa non più limitata ad un massimo di quarantotto ore comprensive del lavoro straordinario, eliminando così gli standard minimi di sicurezza validi in tutta Europa e privando questi lavoratori del diritto alla tutela della propria integrità psico-fisica.
Le strutture sanitarie pubbliche, in particolare i DEA, vengono caricate di compiti impropri come la certificazione di malattia per i dipendenti pubblici, con prevedibile aggravamento dei carichi di lavoro e con pesanti conseguenze, anche medico legali, nella gestione dei pazienti.
Le risorse economiche destinate al biennio 2008-2009, calcolate sull'inflazione programmata, sono ben lontane da quella reale e destinano ai medici un aumento medio di 70 euro al mese, che non consente nemmeno il recupero del tasso di inflazione del solo anno 2008. La preventiva riduzione delle piante organiche è un ulteriore colpo alla sopravvivenza del sistema sanitario.
Chiedo, quindi, che il Governo riveda la sua linea politica in materia sanitaria e in particolare per ciò che attiene al rapporto con i medici dipendenti del Servizio sanitario nazionale, assicurando risorse economiche e strumenti adeguati. Aggiungo anche che il provvedimento in esame è tutto improntato ad una logica aziendalistica ed economicistica che esclude la centralità della persona nel Servizio sanitarioPag. 95nazionale (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori).

PRESIDENTE. L'onorevole Baretta ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/209.

PIER PAOLO BARETTA. Signor Presidente, mi rivolgo subito al sottosegretario Vegas. Come lei sa, noi non condividiamo la manovra, però consideriamo un aspetto che ha interessato il dibattito svoltosi in quest'Aula, nelle Commissioni e anche nell'opinione pubblica in queste settimane: è quello che riguarda il potere d'acquisto delle famiglie, dei lavoratori e dei pensionati, che è fortemente scosso dall'aumento pesante dell'inflazione e dalla situazione generale che, considerata la valutazione sulla crisi economica che anche voi avete svolto, e che è alla base del ragionamento sottostante sia al DPEF sia alla manovra finanziaria, purtroppo non tende immediatamente a migliorare dal punto di vista dei fattori di macroeconomia.
L'ordine del giorno tende ad impegnare il Governo ad adottare opportuni provvedimenti per intervenire, attraverso la riduzione della pressione fiscale, nei confronti dei percettori di redditi da lavoro e da pensione. Poiché nell'illustrare la manovra, nella replica, ma anche nell'intervento del Ministro Tremonti, avete spiegato che in questa situazione, attorno a questo provvedimento, non esistono risorse disponibili, noi ne prendiamo atto; tuttavia, la crucialità del problema rende necessaria la conferma di un impegno da parte vostra, e quindi del Parlamento, nel senso di riprendere quello stesso impegno approvato con la scorsa legge finanziaria in modo che diventi vincolante per tutti nel 2009.
Non le sfuggirà, signor sottosegretario, che questo ordine del giorno è costruito - lo dico senza infingimenti - in modo tale da essere approvato perché il tema è decisamente importante. Volutamente non vi è alcun riferimento polemico alla manovra, né alcun riferimento di merito alle scelte che avete compiuto, perché riteniamo importante che in questo momento il Parlamento dia un segnale al Paese. Si tratterebbe di prendere atto di fattori obiettivi, quali i dati economici e dell'inflazione, nonché del fatto che un intervento fiscale a favore dei redditi sarebbe migliorativo dei consumi, quindi dell'economia, e che i rischi di una situazione di rigidità dei mercati potrebbero non favorire il superamento della situazione difficile. Tutte questioni sulle quali siete intervenuti anche voi e che rendono necessario un intervento.
Pertanto, la sfida politica - se permette questo termine, signor sottosegretario, ma lo uso in un'accezione positiva - che lanciamo è la seguente: se questo è un tema cruciale, allora va assunto. Noi non vi chiediamo di cambiare la manovra perché da parte vostra, evidentemente, ciò incontrerebbe un ostacolo; vi chiediamo di assumere questo impegno e di esercitarlo nell'arco del 2009. Credo che se non saremo in grado di farlo, ci assumeremo una responsabilità piuttosto grave; ritengo, però, che noi e il Paese siamo in grado di farlo e che il Governo deve essere in grado di farlo. Questo è il senso del nostro ordine del giorno (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. L'onorevole Compagnon ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/149.

ANGELO COMPAGNON. Signor Presidente, signor sottosegretario, i quasi 300 ordini del giorno che stiamo illustrando la dicono lunga sul contenuto del decreto-legge n. 112. Anche gli argomenti che si sono susseguiti evidentemente hanno dimostrato tutta la preoccupazione presente in buona parte del Parlamento rispetto a questa scelta.
I temi fondamentali e importanti che si sono discussi certamente sono la sicurezza, l'università, la ricerca e quant'altro. Il mio ordine del giorno potrebbe apparire secondario e forse meno importante, invece non lo è (del resto se ne è parlato in maniera molto approfondita), in quanto riguarda un fenomeno deplorevole, ovveroPag. 96l'offerta dei servizi garantiti da Ferrovie dello Stato in ordine ai collegamenti regionali che risulta inadeguata alle esigenze degli utenti in termini di pulizia, di conforto e, soprattutto di sovraffollamento delle carrozze rispetto agli orari.
Questi disservizi che si riscontrano praticamente sulla quasi totalità delle tratte regionali delle Ferrovie dello Stato evidentemente non sono giustificabili, in quanto riguardano il trasporto di persone e non certo di merci, o peggio ancora di animali. Peraltro, l'aspetto fondamentale è che il trasporto regionale, o i trasporti regionali in generale, interessa o interessano utenti abituali e per la maggior parte pendolari che utilizzano il treno ogni giorno per motivi di lavoro o di studio. Mi riferisco, quindi, ad una parte consistente del ceto medio, alle famiglie e ai grandi problemi più volte richiamati ed echeggiati in Aula delle famiglie italiane stesse, soprattutto quelle del ceto medio, quelle che hanno magari un solo stipendio e che devono mantenere i propri figli a scuola.
Vi sono, dunque, grandissimi problemi legati non solo agli stipendi, ma anche al costo del carburante che, non dimentichiamolo, ogni giorno è più alto. Di conseguenza, moltissime persone sono costrette a dover scegliere un mezzo di trasporto diverso per mancanza anche di disponibilità economica, rinunciando alla macchina. Forse, l'aspetto più positivo di questa situazione è che utilizzare questi mezzi di trasporto significa anche ridurre in parte l'inquinamento (riduzione auspicabile).
Dopo queste brevi considerazioni relative ad un aspetto molto delicato e difficile di una parte consistente del nostro Paese, l'ordine del giorno fa riferimento all'articolo 63 del decreto-legge che autorizza una spesa di 300 milioni di euro per l'anno 2008 per far fronte alle esigenze del gruppo Ferrovie dello Stato. La destinazione di tale contributo sarà però definita successivamente con un decreto del Ministero dell'economia e delle finanze.
Quindi, l'ordine del giorno chiede e impegna il Governo a prevedere che, nel decreto di prossima pubblicazione, una parte consistente di tale contributo sia rivolta al miglioramento della qualità del servizio offerto dalle Ferrovie dello Stato, soprattutto sulle tratte regionali maggiormente utilizzate dai pendolari.
Credo che sia un ordine del giorno di responsabilità che - come dicevo inizialmente - potrebbe sembrare meno importante di altri, ma che in effetti non lo è per un semplice motivo. Non parliamo di fiducia ricorrente come in passato e, a tal proposito, guardo con molto piacere il Presidente Leone perché, negli scorsi due anni, abbiamo sostenuto assieme una battaglia anche piuttosto dura rispetto ai metodi che non permettono a noi parlamentari di contribuire, senza fare una battaglia contro, con dei suggerimenti costruttivi.
Spero, quindi, che il mio ordine del giorno, relativo soprattutto alle famiglie che lavorano ogni giorno per stare meglio, sia accolto, in quanto non si tratta solo di un problema così come l'ho esposto, ma vi è di mezzo il rispetto della dignità delle persone umane. Credo, dunque, che anche per questo motivo appaia non riduttivo, ma importante che il Governo vada incontro a queste persone che, con il loro sacrificio quotidiano, aiutano a mantenere in alto l'economia del Paese: almeno trattiamole come persone umane (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).

PRESIDENTE. L'onorevole Ceccuzzi ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/99.

FRANCO CECCUZZI. Signor Presidente, con il mio ordine del giorno n. 9/1386/99 intendiamo sottoporre all'attenzione del Governo alcuni temi che sono stati oggetto di proposte emendative che non sono state esaminate nel corso dei lavori delle Commissioni riunite, in particolare con riferimento all'articolo 33 del provvedimento, che riguarda gli studi di settore.
Intanto, vogliamo ribadire la nostra contrarietà alla manovra, sia dal punto di vista del modo in cui essa è stata condotta in Parlamento - espropriando di fatto ilPag. 97lavoro delle Commissioni e dell' Aula - sia dal punto di vista dei contenuti.
Con il mio ordine del giorno n. 9/1386/99 ci preme rilevare che i provvedimenti introdotti sugli studi di settore sono assolutamente limitati, anche se condivisibili: abbiamo visto con soddisfazione che i provvedimenti introdotti riprendono le proposte che avevamo depositato nella scorsa legislatura e che erano state anche incardinate in Commissione finanze, in particolare riguardo alla non retroattività degli indici di normalità economica. Giustamente, infatti, i contribuenti devono avere un riferimento preciso durante l'anno di imposta e questi indici di normalità economica non devono essere pubblicati successivamente all'anno di imposta.
Prendiamo atto con soddisfazione che i contenuti della nostra proposta di legge sono stati ripresi dal Governo. Se il Governo, tuttavia, riterrà - come dovrebbe ritenere - di proseguire in quest'azione riformatrice, a nostro parere sono altrettanto utili e necessari altri provvedimenti, sui quali continueremo a lavorare anche nei prossimi mesi.
In primo luogo, appare ormai necessario valutare di produrre un testo unico sugli studi di settore, affinché le oltre dieci fonti normative che nel corso del tempo si sono prodotte, con interventi anche estemporanei - che hanno di fatto aggrovigliato e complicato la lettura della materia -, possano essere chiarite. In questo senso ciò apparirebbe coerente anche con l'articolo 25 del disegno di legge A.C. 1441, che il Parlamento esaminerà a settembre, nel quale, appunto, si parla di chiarezza dei testi normativi. Ciò contribuirebbe anche alla delegificazione, della quale si parla all'articolo 24 del citato provvedimento, attualmente all'esame delle Commissioni di merito.
In secondo luogo preme far rilevare che, contraddicendo agli impegni presi ripetutamente dal Presidente del Consiglio - il quale, con una certa enfasi, durante un'assemblea di un'associazione del commercio, ebbe a dire che sarebbero stati abrogati gli scontrini -, la maggioranza e il Governo hanno respinto in Commissione un emendamento teso ad esonerare coloro che applicano gli studi di settore dall'obbligo di emissione di scontrino. Si tratterebbe di una semplificazione per molti esercenti rispetto ai quali si applicano gli studi di settore, che sono assolutamente attendibili e che, pertanto, possono fugare ogni dubbio rispetto a tentativi di evasione fiscale.
Questa incoerenza e questa incongruenza potrebbero essere sanate in parte - perché l'ordine del giorno ha il valore che conosciamo - se il Governo dovesse accettare il mio ordine del giorno n. 9/1386/99. È necessario, inoltre, che vengano introdotti altri provvedimenti, come il riconoscimento della congruità che si dovrebbe ottenere all'interno dell'intervallo di confidenza. Ciò significa considerare un valore medio e non una rispondenza al 99 per cento rispetto a quanto viene dichiarato come ricavo; ciò significa, altresì, considerare la valenza probatoria degli indici di normalità economica come presunzione semplice (in assenza di altri riscontri) e, infine, una revisione degli studi ogni quattro anni anziché tre, perché questo darebbe maggiore stabilità e semplificazione sia per i contribuenti sia per l'amministrazione finanziaria.
Infine, abbiamo introdotto un ultimo passaggio che riguarda le discordanze che ormai si verificano rispetto agli studi di settore in diverse città del nostro Paese, a monocultura termale, nelle quali la fine dei congedi parentali dei primi anni Novanta ha prodotto situazioni di crisi aggravatesi negli ultimi dieci-quindici anni, producendo ricavi assolutamente al di sotto degli indici di normalità economica. Si ritiene che - come è stato disposto lo scorso anno con la legge finanziaria per le imprese contoterziste nel manifatturiero - si dovrebbero applicare criteri selettivi di priorità anche per gli accertamenti svolti nei confronti di soggetti diversi da quelli appartenenti a questa tipologia di imprese operanti nel settore ricettivo e termale, che si trovano, appunto, in aree di crisi e nei confronti delle quali, a tutt'oggi, lo Stato non ha assunto alcun impegno teso a sostenere ipotesi di riconversione.Pag. 98
Pertanto, ritengo che sarebbe molto importante che quest'ordine del giorno venisse accolto dal Governo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. L'onorevole Porfidia, recuperando il suo intervento, ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/133.

AMERICO PORFIDIA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, noi dell'Italia dei Valori, con quest'ordine del giorno, vorremmo riproporre il grande problema attuale degli enti locali e le grandi difficoltà in cui gli stessi versano in questo momento, tenendo anche presente che essi rappresentano il tramite diretto tra lo Stato e i cittadini.
Vorrei sensibilizzare soprattutto il Governo, affinché si renda conto che non è possibile scaricare sugli enti locali quei problemi che, per campagna elettorale o per populismo, si fa credere che siano stati risolti.
Infatti, questo decreto-legge riduce - devo dire drasticamente - i contributi statali agli enti territoriali. In buona parte, questa riduzione interessa soprattutto i comuni, che sono già martoriati dalle riduzioni effettivamente operate - questo lo dobbiamo riconoscere - negli anni addietro.
Si valuta che, per l'applicazione di questo decreto-legge e per il mantenimento del patto di stabilità interno, gli enti territoriali dovranno subire tagli per 3.150 milioni di euro, di cui l'ANCI ha valutato che solo 1.340 sono a carico dei comuni.
Pertanto, la situazione si sta sempre più appesantendo, perché le difficoltà si manifesteranno in futuro, sia per quanto riguarda la competenza, sia per quanto riguarda la cassa.
Prendiamo, ad esempio, l'ultimo provvedimento del Governo riguardante l'ICI per la prima casa. Quei soldi potevano rappresentare, sia sul piano della liquidità, sia per quanto riguarda il tempo, l'unica fonte sicura per i comuni, al fine di offrire ai cittadini i servizi che meritano.
Pensiamo che, ad oggi, i fondi corrispondenti all'esenzione dell'ICI per la prima casa non sono ancora stati assegnati ai comuni, nonostante vi sia stato un impegno preciso da parte del Governo.
Tutto ciò, quindi, determina enormi difficoltà per i comuni, i quali sono costretti ad operare una scelta: aumentare i tributi ovvero ridurre i servizi, rinunciando ad alcuni che ritengo veramente essenziali per una buona vivibilità dei cittadini.
Ecco perché noi dell'Italia dei Valori, attraverso quest'ordine del giorno, chiediamo al Governo di impegnarsi affinché, al previsto invio trimestrale, da parte degli enti locali al Ministero dell'economia e delle finanze, di informazioni concernenti la gestione di cassa e di competenza degli stessi enti locali, per gli adempimenti che devono compiere per rispettare il patto di stabilità, si aggiungano anche tutti i dati utili al fine di monitorare, sotto l'aspetto sociale, gli effetti conseguenti allo stesso rispetto del patto di stabilità, in termini di servizi che vengono resi ai cittadini e di pressione tributaria, affinché di tutto questo e degli errori che, in questo momento, il Governo continua a commettere possa rendersi conto il Parlamento (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. L'onorevole Gozi ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/205.

SANDRO GOZI. Signor Presidente, il testo modificato in Commissione ha aggiunto una disposizione relativa alla durata decennale della carta di identità e alle impronte digitali, che sono previste per tutti a partire dal primo gennaio 2010. I titolari al rilascio della carta d'identità devono però avere almeno quindici anni. Questo obbligo non è estensibile, quindi, ai minori di quindici anni.
Ciò deve valere per tutti, anche per i minori nei campi nomadi. Permane, invece, anche dopo le modifiche adottate in Commissione, il rischio di discriminazione per tutti i minori di quindici anni presenti nei campi nomadi, abusivi o autorizzati, per i quali è stato previsto, con ordinanza, il rilevamento, a prescindere dalla loroPag. 99pericolosità e dalla loro età, essendo sufficiente a tal fine la mera presenza fisica in un campo nomade.
Innanzitutto, si tratta di una disposizione limitativa della libertà personale per cui un atto, come un'ordinanza del Presidenza del Consiglio, appare insufficiente e inadeguato. Inoltre, dobbiamo prevedere che nessun soggetto diverso da quelli per legge titolati al rilascio della carta di identità possa sottoporre qualcuno a questi rilievi dattiloscopici e dobbiamo farlo a maggior ragione, trattandosi di minori per i quali vige in ambito nazionale, ma anche in ambito ONU, una tutela particolare. Non è con le impronte digitali di un gruppo etnico specifico che possiamo meglio garantire la tutela dei minori di quel gruppo. Peraltro, le norme non distinguono, al momento, tra cittadini comunitari ed extracomunitari ed hanno anche suscitato le perplessità dello stesso Garante della privacy. Dobbiamo invece lavorare su altre forme possibili di identificazione di tutti i bambini per tutelarli dagli abusi. Realizzare censimenti per sapere quanti bambini vivono in un quartiere o in una città può essere una buona cosa, e ciò vale soprattutto per la scolarizzazione e per l'assistenza sanitaria in funzione di nuovi piani generali, ma in nessun Paese europeo vengono prese le impronte digitali. Rischiamo, quindi, una inaccettabile criminalizzazione dei minori di alcuni gruppi e in primis dei rom.
Anche guardando all'Europa, invitiamo il Governo ad accogliere questo ordine del giorno e a convenire sulla necessità di modificare le disposizioni attuali. Certo, il testo non parla di rom, ma di campi nomadi ed è positiva, anche se appare un po' improvvisata e confusa, l'intenzione annunciata ieri dal ministro Maroni, a cui però devono seguire i fatti, di concedere subito la cittadinanza italiana ai minori senza genitori certi. Sul punto, però, vorrei ricordare che la questione deve riguardare anche e soprattutto le centinaia di migliaia di figli di immigrati regolari nati in Italia o arrivati minorenni che incontrano oggi enormi difficoltà ad ottenere lo status italiano.
Proprio per questi motivi dobbiamo eliminare la disposizione sui minori che ha portato, tra l'altro, ad una condanna politica dell'Italia senza precedenti da parte del Parlamento europeo. A tale proposito, malgrado la maggioranza di Governo abbia parlato di strumentalizzazione delle sinistre in Europa e della stampa europea, mi sembra che non vi siate fatti capire neppure dal PPE, dato che ventidue parlamentari del Partito popolare europeo hanno votato contro il Governo italiano e sessantanove si sono astenuti. Ciò è avvenuto perché il problema dell'immigrazione e soprattutto quello di minori, è un problema europeo e globale e il Governo non può pensare di risolverlo contro l'Europa o a prescindere dai principi e dai valori affermati in sede europea e internazionale. Per questi motivi, signor Presidente, invitiamo il Governo ad accogliere l'ordine del giorno n. 9/1386/205 (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico e di deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. L'onorevole De Girolamo ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/25.

NUNZIA DE GIROLAMO. Signor Presidente, onorevole sottosegretario, onorevoli colleghi, con l'ordine del giorno n. 9/1386/25, a firma anche del collega Toccafondi, che mi accingo ad illustrare, vorremmo portare all'attenzione del Governo l'articolo 66, comma 7 e comma 13, del decreto-legge n. 112 del 2008. Con la manovra finanziaria approvata con il decreto in esame è stata disposta la riduzione progressiva dei Fondi per il finanziamento ordinario delle università, ma soprattutto sono stati previsti limiti del 20 per cento per le assunzioni rispetto al personale cessato dal servizio. La sostituzione del comma 102 dell'articolo 3 della legge 24 dicembre 2007, n. 244, incide particolarmente sulle università di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 dicembre 1995 ovvero sull'università del Sannio, sull'università di Varese, sull'università Piemonte Orientale, sull'università della MagnaPag. 100Grecia di Catanzaro, sulle università Milano Bicocca e di Foggia, perché, trattandosi di atenei di nuova istituzione, dunque di atenei giovani, si rischia di impedire loro un effettivo turn over del personale docente e tecnico amministrativo e la conseguente possibilità di crescita. Considerare tutti gli atenei allo stesso livello non aiuta e soprattutto non aiuta coloro che hanno amministrato bene e che risultano particolarmente virtuosi.
Senza essere di parte, penso, ad esempio, all'università del Sannio che, dagli ultimi dati del Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario, pubblicati anche da Il Sole 24 Ore il 14 luglio 2008, è risultata tra gli atenei più virtuosi in termini di attività di docenti, per quanto concerne le risorse disponibili per la gestione in bilancio di fonti esterne destinate alla ricerca scientifica. Prediligere, quindi, un sistema che premi la qualità e il merito delle università - penso al modello degli Stati Uniti dove i finanziamenti e le carriere premiano solo chi produce ricerche innovative - consentirebbe un miglioramento della didattica e della ricerca in generale delle università, che in tal modo non verrebbero trattate tutte alla stessa maniera.
Concludo dunque - signor Presidente, onorevole sottosegretario - con un invito al Governo a verificare l'impatto della norma e ad individuare iniziative derogatorie al fine di consentire la crescita di quelle università virtuose e di nuova istituzione, e a valutare, infine, nel corso dell'anno la possibilità di comprimere le riduzioni delle dotazioni finanziarie alle università (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. L'onorevole Marchignoli ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/203.

MASSIMO MARCHIGNOLI. Signor Presidente abbiamo presentato questo ordine del giorno, riferito all'articolo 82, comma 29-bis del provvedimento in esame, che riguarda le cooperative con un volume d'affari inferiore a un milione di euro.
Io vengo da una regione e da una città che conoscono molto bene le imprese cooperative, sia le grandi sia le piccole imprese cooperative, e in questo caso specifico parliamo dell'80 per cento delle imprese cooperative.
La norma che il Governo vuole introdurre (e che noi chiediamo di modificare) con il comma 29-bis dell'articolo 82 elimina i controlli sulle cooperative con un volume d'affari di quelle dimensioni (un milione di euro all'anno), aprendo in tal modo un vulnus. Qual è il vulnus che si introduce con questa norma? Non è una semplificazione, non è una «sburocratizzazione», ma è invece l'apertura pericolosa di un varco alle false cooperative, con forti dubbi di incostituzionalità rispetto all'articolo 45 della Costituzione (tale aspetto andrà valutato).
La norma appena soppressa, quella sui controlli, è una norma essenziale perché ha due caratteristiche fondamentali. La prima è la verifica dei requisiti di mutualità, di rispetto delle regole per tutelare i diritti dei soci e quelli dei lavoratori delle cooperative. La seconda sta nella funzione che gli enti di controllo hanno, non solo di controllori ma anche di aiuto, di supporto e di consiglio nell'indirizzare al meglio le cooperative di tali dimensioni.
In sostanza, se questa norma verrà soppressa, si creeranno gravi difficoltà alle cooperative serie, in particolare alle cooperative sociali che svolgono una funzione delicatissima nella promozione dei diritti delle persone più deboli, nella tutela di queste persone, nel rendere i territori maggiormente coesi e nel praticare quella politica di sussidiarietà molte volte sbandierata ideologicamente ma poi, con norme come questa, negata nella sua essenza migliore e fondamentale.
Voglio anche sottolineare un certo strabismo che questo Governo, nel rapportarsi con le cooperative, anche con questo articolo mette in campo, dimostra e segnala.
Da un lato, si mettono nel mirino le grandi cooperative. In questo complesso atto normativo si puniscono le cooperative dei consumatori, un milione di risparmiatori, quindi di cittadini e di famiglie, chePag. 101vedono aumentare le tasse sui loro depositi e sui loro risparmi. Quindi, da un lato, si mette nel mirino la grande cooperazione, quel movimento che produce il 7 per cento del prodotto interno lordo e, dall'altro, con questa norma si strizza l'occhio a coloro che, promuovendo cooperative finte, inquinano il mondo cooperativo. Essi creano, quindi, problemi seri alle cooperative, a quelle cooperative (sono tante) che svolgono da tempo seriamente il loro lavoro, che si misurano con il mercato, che stanno nelle regole e che, quindi, godono di un sistema di controlli che le tutela.
Quindi, con questo ordine del giorno ci appelliamo, come Partito Democratico, al Governo perché possa accogliere tale atto che peraltro vedo presentato, nella sostanza identico, anche da un gruppo di deputati del PdL.
Vi è, quindi, una trasversalità su questo argomento che mi auguro possa essere tenuta presente e auspico che, tutto insieme, il Parlamento possa approvare l'ordine del giorno in oggetto e indurre il Governo a ripensarci (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. L'onorevole Rao ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/146.

ROBERTO RAO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, prima di illustrare il nostro ordine del giorno n. 9/1386/146 sulla parte di questa manovra che riguarda il sostegno alle forze dell'ordine, vorrei fare una premessa d'obbligo. L'intervento che Walter Veltroni ha svolto oggi in quest'aula merita una particolare attenzione ed è stato particolarmente significativo, perché, oggi, Walter Veltroni si accorge - e ne siamo lieti - che le forze dell'ordine vanno difese senza «se» e senza «ma», giudizio che in passato, per motivi politici, non aveva potuto esprimere con eguale chiarezza e con eguale nettezza.
Quando nel dicembre scorso, ad esempio, scendemmo in piazza con il presidente Casini a fianco delle forze dell'ordine, ci chiedemmo con rammarico come mai con noi non ci fosse proprio il leader del PD, Walter Veltroni. Non c'era neanche Berlusconi, per la verità.

FILIPPO ASCIERTO. C'eravamo!

ROBERTO RAO. Ma il suo Governo colpiva con durezza i finanziamenti al Ministero dell'interno: era il Governo Prodi. Apprezziamo, comunque, la svolta del Partito Democratico, come tutte le iniziative da noi ritenute positive che avvengono in politica e, senza pregiudizi, sosteniamo le sue tesi, se possibile per rivendicarle non da oggi.
Onorevole sottosegretario Vegas, grazie per l'attenzione che sta mettendo in queste giornate.
Vorrei sottolineare un aspetto di questa manovra, a mio avviso pericoloso, che si riflette sulla tanto auspicata necessità di sicurezza, tanto proclamata in campagna elettorale dal Popolo della Libertà e alla quale è stato intitolato perfino un decreto ad hoc, intitolato «Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica».
A nostro giudizio, il Governo ha abbandonato nei fatti le forze dell'ordine, cioè coloro che in prima linea combattono la criminalità diffusa e organizzata e che ieri, ancora una volta, sono scesi in piazza per rivendicare quei diritti di cui erano stati privati dal Governo Prodi. Oggi l'approvazione dell'anticipo della manovra economica smentisce nei fatti e nei numeri questo importante impegno assunto con gli elettori: il primo impegno che il Governo si vanta di aver mantenuto dopo quello dell'eliminazione dei rifiuti dalle strade di Napoli.
L'Unione di Centro non avrebbe fatto mancare oggi e non farà mancare comunque in futuro il suo contributo ad una vera politica di sostegno alle forze dell'ordine per porle in condizioni di attuare un'azione seria di contrasto alla criminalità attraverso la previsione di risorse congrue per gli stipendi, per la benzina delle volanti, per le divise, per i fondi destinati all'addestramento dei corpi speciali. Ma nel decreto-legge in esame tuttoPag. 102questo non c'è, nonostante il balletto di cifre e di rassicurazioni che il Ministro dell'interno si sforza di dare evidentemente alla vigilia dell'incontro con i rappresentanti sindacali delle forze dell'ordine, un'occasione persa di cui, a nostro giudizio, voi siete i soli responsabili.
Dal punto di vista economico, la manovra di bilancio ha oggettivamente penalizzato, infatti, il settore della sicurezza e della difesa: proprio quei settori a cui il Governo chiede tutti i giorni il massimo sforzo sul fronte del contrasto alla criminalità e per la gestione delle emergenze, anche al di fuori dei compiti istituzionali. Penso ancora alla vicenda dei rifiuti di Napoli diventata il fiore all'occhiello, l'unico, a nostro giudizio, dei primi mesi di Governo.
Questi rilevanti tagli si inseriscono in un contesto già gravemente carente che da anni i principali sindacati e le forze dell'ordine denunciano: insufficienza di mezzi a disposizione, impossibilità di svolgere la manutenzione delle autovetture, un parco auto ormai usurato, difficoltà di adempiere ai pagamenti e alle riparazioni con conseguenti atti di pignoramento delle automobili, limitazione all'acquisto dei carburanti e ritardi di pagamento alle autostazioni davvero paradossali.
Tutto ciò, a nostro giudizio, lede la dignità del ruolo delle forze dell'ordine.
Pensate che i poliziotti e i carabinieri, la polizia penitenziaria, i vigili del fuoco, i Cocer siano tutti bugiardi o non sappiano leggere? Questa manovra sottrae oltre un miliardo di euro alle forze di polizia e porterà ad un collasso della parte operativa del sistema sicurezza con il dimezzamento delle volanti sul territorio e la chiusura di oltre un terzo dei commissariati, limitando sensibilmente la capacità di fronteggiare la minaccia che viene dalla criminalità diffusa e organizzata, soprattutto da quella mafiosa. Forse Tremonti e Maroni sperano che la criminalità riduca i turni operativi sul territorio oppure che la mafia utilizzi auto usurate con oltre 400 mila chilometri, oppure che i delinquenti risparmino carburante sulle loro auto? Non credo.
Oltre al problema economico, oggi vi è anche la questione di uomini e donne, servitori dello Stato, che per 1.300 euro al mese, anche a costo della loro vita, combattono la criminalità e si sentono vessati da un Governo che per loro non ha previsto la detassazione del lavoro straordinario, ha imposto il «no» al turn over del personale, nonché la riduzione dell'organico. È evidente a tutti che la vostra decisione di tagliare indiscriminatamente non produce più sicurezza per i cittadini a dispetto del titolo del decreto approvato appena pochi giorni fa (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).

PRESIDENTE. L'onorevole Zaccaria ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/230.

ROBERTO ZACCARIA. Signor Presidente, leggevo poco fa un rapporto che viene dall'Osservatorio sulla legislazione. Faccio questa premessa per poi illustrare il mio ordine del giorno n. 9/1386/230, che ho presentato con riferimento all'articolo 37, comma 2, del decreto-legge in esame. Nel citato rapporto si compie un bilancio di questo primo scorcio di legislatura, dove risulta che sono state approvate definitivamente sette leggi: sono tutte leggi di conversione di decreti-legge, alcuni riferiti al Governo Prodi, altri al Governo Berlusconi.
La cosa più inquietante è che sono in corso di conversione ulteriori sette decreti-legge: questo è un elemento statistico, ma conferma come sostanzialmente il Parlamento abbia iniziato con un ritmo di attività che è totalmente ancillare rispetto all'attività del Governo.
Ma vediamone il contenuto. Infatti, vi sono diversi tipi di decreti-legge e qui siamo in presenza di un provvedimento che tecnicamente rappresenta un'anticipazione della manovra finanziaria (quindi un «anticipato» alla finanziaria) e che, però, ha la caratteristica di essere posto con decreto-legge, corredato di maxiemendamento e corredato di fiducia.
Abbiamo già detto, dal punto di vista economico, come ciò non consenta diPag. 103confrontare due diverse politiche economiche, che sarebbe giusto, evidentemente, mettere a confronto.
Però, vi è di più: compare in una norma - che è esattamente oggetto dell'ordine del giorno da me presentato e che passo ora ad illustrare - una disposizione del tutto eccentrica, dove si afferma che si modifica il testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e le norme sulla condizione dello straniero, relative, quindi, ai soggetti non appartenenti all'Unione europea e agli apolidi.
Si modifica tale testo unico, emanato nel 1998, e questo è un aspetto che va sottolineato. Peraltro, questa mattina il collega Farinone aveva già, con riferimento a una norma analoga contenuta nell'articolo 20 del provvedimento in esame, sollevato forti perplessità sull'equiparazione dei cittadini comunitari agli stranieri extracomunitari o apolidi.
Qui vi è di più: si dice testualmente che il testo unico non si applica ai cittadini degli Stati membri dell'Unione europea, salvo quanto previsto dalle norme di attuazione dell'ordinamento comunitario.
In altre parole, si compie un'ulteriore capriola, non soltanto, con le norme che abbiamo visto, ma anche attraverso il decreto-legge sulla sicurezza, si tende a schiacciare il trattamento dei cittadini comunitari su quello degli extracomunitari (e ciò, lo abbiamo già detto, non è consentito né dalla nostra Costituzione né dalle direttive europee). Vorrei dire che si tratta di un errore di grammatica. Ma se è un errore di grammatica l'equiparazione dei comunitari agli extracomunitari, cos'è il peggioramento dello stato di tali soggetti?
Si pensa che i diritti fondamentali siano tali quando si riferiscono ai cittadini italiani. Qui si tratta di diritti fondamentali: anche i cittadini comunitari hanno diritti fondamentali e hanno diritti fondamentali anche gli stranieri, come ha dimostrato ripetutamente la Corte costituzionale.
Vorrei fare un breve inciso, soltanto perché lei possa riflettere, glielo dico telegraficamente: si può, con decreto-legge, affrontare una restrizione dei diritti fondamentali?
Io qualche dubbio lo nutro, vista la riserva d'Assemblea prevista per le materie di cui all'articolo 72 della Costituzione.
Si può, con il combinato disposto decreto-legge - fiducia, apportare una restrizione ai diritti fondamentali, tra l'altro garantiti dalla Costituzione europea e dell'ordinamento europeo? Io ho fortissimi dubbi.
Ne parleremo, però avete inserito - ve lo dicono tutti i testi di illustrazione del provvedimento in esame - una norma che è totalmente estranea alla materia della manovra economica e finanziaria e, secondo me, avete commesso un grave errore. Lo dico, signor Presidente, pensando che vi siano anche prerogative della Presidenza in discussione in questa materia (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico e di deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. L'onorevole Granata ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/11.

BENEDETTO FABIO GRANATA. Signor Presidente, onorevole sottosegretario, colleghi, il mio ordine del giorno intende puntualizzare alcuni aspetti complessi riguardanti la manovra in esame nella parte che dispone interventi volti a una maggiore razionalizzazione dell'utilizzo delle risorse umane e strumentali disponibili nel mondo della scuola.
Nelle Commissioni abbiamo condiviso l'impostazione del Ministro Gelmini, quando ha sottolineato come la scuola pubblica italiana sia la più grande infrastruttura di cui dispone la nazione. Abbiamo, altresì, appreso dati molto significativi, direi oggettivi: tra i ventisei Paesi OCSE, l'Italia (la nostra nazione) occupa il quinto posto per quanto riguarda la spesa legata alla scuola, ma si trova al ventiquattresimo posto - su ventisei Paesi - per quanto riguarda la qualità dell'offerta formativa, individuata attraverso alcuni parametri oggettivi. Tali dati sono legatiPag. 104anche ad una quantificazione oggettiva - come si dice, i numeri sono argomenti testardi - tendente a sottolineare che il 96-97 per cento del bilancio complessivo dello Stato, relativamente all'impiego di risorse nel mondo della formazione e nel mondo scolastico, è impegnato per spese correnti (cioè, per pagare gli stipendi del personale docente e del personale ATA).
Pertanto, dobbiamo chiederci tutti, come Parlamento, al di là della differenza delle posizioni politiche e dell'impostazione culturale e politica rispetto all'azione del Governo, se sia possibile parlare di riqualificazione dell'offerta formativa, senza interventi che diano risposte che, come tutte le risposte di sistema, sono estremamente complesse, a problematiche molto complesse. Siamo convinti che in questo, come in altri campi, non esistano risposte semplici a problemi complessi, né risposte demagogiche, né teoricamente legate alla sopravvivenza di un sistema che, così com'è, è già in prossimità del collasso.
Il dato significativo - lo ripeto - e, allo stesso tempo, di grande allarme per tutti noi, dal Parlamento alla nazione, è la sottolineatura del nostro quinto posto per la spesa pubblica legata alla scuola e del nostro ventiquattresimo posto, su ventisei Paesi, legato alla qualità dell'offerta formativa; soprattutto, vi è questo dato agghiacciante del 97 per cento delle risorse che servono unicamente per andare a coprire le spese correnti della scuola.
Da questa angolatura, un intervento che tende a modificare, da un punto di vista ordinamentale, organizzativo e didattico, l'intero sistema scolastico italiano, è tanto radicale quanto complesso nella sua attuazione.
Il senso dell'ordine del giorno a mia firma è di ritenere, non dico impossibile ma, certamente, improbabile e, allo stesso tempo ricca di controindicazioni, la possibilità che questo intervento - che oso definire «ciclopico» - possa essere effettuato nel giro di 45 giorni. Nello stesso termine, le Commissioni competenti dovrebbero esprimere un parere su questa riforma complessiva dell'intero impianto didattico formativo, organizzativo e ordinamentale della scuola italiana.
Credo che l'ordine del giorno che sottoponiamo al Governo, tendente a spostare ad almeno centoventi giorni l'applicazione della norma, visto che si tratta di termini non perentori, preveda una misura razionale, legata a questa esigenza.
Ho svolto una lunga premessa proprio in questa direzione: comprendiamo e condividiamo, almeno da parte nostra, l'azione del Governo, ma pensare che tutto questo possa essere sintetizzabile in 45 giorni, è una pura illusione.
Pertanto, il mio ordine del giorno n. 9/1386/11 tende ad allungare tale termine e ad applicare questa autentica rivoluzione dell'ordinamento scolastico italiano in almeno centoventi giorni, dando modo, così, in sede parlamentare ed in sede di Commissioni di rendere quanto più razionale, logico e, per certi versi, moderno possibile l'intervento legislativo da parte del Governo e del Parlamento (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. L'onorevole Scilipoti ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/127.

DOMENICO SCILIPOTI. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, intervengo sull'ordine del giorno n. 9/1386/127, concernente il disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 112 del 2008. Guardo alle abbondanti riduzioni e ai tagli dei fondi per quanto riguarda la scuola, la sicurezza e la sanità.
In modo particolare quello che mi preme è di fare una piccola riflessione su questo ordine del giorno proprio con l'obiettivo della chiacchierata, della discussione tra opposizione e maggioranza, allo scopo di cercare di tamponare o quantomeno di sollecitare la maggioranza a prendere coscienza di alcuni fatti che a mio giudizio già conosce, ma che dovrebbe approfondire.
Onorevoli colleghi, è evidente che, se da un lato il diritto alla salute dei cittadini èPag. 105fondamentale e inviolabile, con il conseguente diritto ad un'assistenza sanitaria seria ed efficiente, è altrettanto chiaro che l'attuale sistema non è più sostenibile per la collettività.
Nel 2005 - sono gli ultimi dati disponibili - le ASL presenti in Italia erano circa 161, praticamente più di una per provincia. 161 ASL significano 161 direttori generali, 161 direttori sanitari nonché un numero infinito di capi di compartimento. Ogni direttore generale costa allo Stato italiano oltre 150 mila euro l'anno, un direttore sanitario tra i 90 mila e i 120 mila euro, addirittura un capo dipartimento arriva a 140 mila euro. È davvero denaro ben speso? No, onorevoli colleghi. Se davvero lo fosse, se davvero le ASL fossero così efficienti, che bisogno ci sarebbe di avvalersi di strutture private, convenzionate e accreditate? Al 2005, esistevano in Italia ben 520 strutture tra ospedali, cliniche e centri riabilitativi e di analisi cliniche, sovvenzionate dal nostro Sistema sanitario nazionale. La spesa pubblica, nel 2005, è stata superiore a 95 miliardi di euro, dei quali oltre la metà è andata alle strutture private.
Una delle strutture private più famose - lo abbiamo letto sui giornali in questi giorni - è la clinica Santa Rita. Era una struttura accreditata, nella ricca ed efficiente Milano. Abbiamo scoperto che si trattava di una macelleria e non di una clinica, nella quale venivano effettuati interventi ed esami inutili e spesso dannosi. Mi permetto di ricordare ancora il caso del Policlinico di Roma, nei cui scantinati - come denunciato da L'espresso nel gennaio 2007 - venivano espiantati illegalmente gli occhi ai pazienti appena deceduti.
Per contro, al sud, abbiamo un sistema sanitario al collasso. Il sistema sanitario regionale siciliano è tra i più disastrati in Italia: ha falle che vanno dal deficit di macchinari a quelli di personale e che portano alle lunghe liste di attesa che noi tutti conosciamo o ancora ai lavori finanziati ed avviati ma mai conclusi in moltissime parti della Sicilia ed in particolare ad Augusta. A mio giudizio, sarebbe forse opportuno prendere in esame e riflettere su questo passaggio, in vista di istituire una Commissione di inchiesta parlamentare sulla sanità a livello regionale.
La sanità non può essere lasciata solo alle regioni, che la gestiscono secondo capricci e convenzioni politiche. Emerge da questo breve quadro come la spesa sanitaria non deve pertanto essere ridotta, bensì razionalizzata al fine di tagliare i rami secchi a favore di un'assistenza vera ai cittadini italiani, indipendentemente dalla loro regione di residenza. Che bisogno c'è di finanziare cliniche private destinando loro la metà delle spese sanitarie nazionali? Non sarebbe più giusto, sotto il duplice profilo assistenziale e morale, affidare l'assistenza sanitaria dei cittadini a strutture pubbliche funzionanti e ben organizzate? Chi vorrà accedere alla sanità privata sarà libero di farlo ma a spese proprie, a meno che non si tratti di interventi non realizzabili direttamente nelle strutture pubbliche.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

DOMENICO SCILIPOTI. Signor Presidente, le chiedo un'altra frazione di minuto per completare il mio intervento. Per quanto riguarda l'Italia, abbiamo un servizio sanitario che ha disponibili soltanto 1.561 macchinari per TAC, 843 per risonanze magnetiche, 283 acceleratori lineari, per un totale di 2.687 macchinari di uso frequente, necessari a diagnosticare malattie e disturbi di larga diffusione. In molte strutture tuttavia tali macchinari non esistono, perché si è investito male oppure non si è investito nell'interesse della collettività e del Paese.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

DOMENICO SCILIPOTI. Ciò avviene perché molte volte si cerca di dare spazio a strutture private - concludo - non con l'interesse di agevolare il malato ma con l'interesse solo ed esclusivamente del profitto.

PRESIDENTE. Onorevole Scilipoti, deve concludere.

Pag. 106

DOMENICO SCILIPOTI. Concludo, signor Presidente.
Pertanto, chiedo un impegno del Governo a monitorare lo status della somministrazione delle prestazioni sanitarie in tutte le regioni e di intervenire nel caso di evidenti e troppo marcate differenziazioni nel servizio offerto a garanzia del mantenimento di un adeguato livello di prestazioni omogenee in tutto il territorio nazionale (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. L'onorevole Rampi ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/44.

ELISABETTA RAMPI. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, questo ordine del giorno è volto a sanare una palese ingiustizia e a ridare speranza e certezza a quei lavoratori che hanno alle spalle una storia di precarietà e per i quali la legge finanziaria del 2007 aveva previsto un percorso di stabilizzazione.
Le norme introdotte dal Governo penalizzano l'occupazione e, sotto le spoglie della semplificazione, nascondono una vera deregolazione, attaccando pesantemente le parti più deboli del mercato del lavoro, come, in questo caso, il personale precario cosiddetto storico. Se si dovesse compiere una valutazione per verificare l'impatto di genere circa la ricaduta del provvedimento nel mondo del lavoro, siamo certi che ancora una volta le donne risulterebbero le più colpite, al di là delle buone leggi ancora vigenti in materia di parità e pari opportunità nel nostro Paese.
Mentre con il Governo Prodi si lavorava per una buona e piena occupazione, anche attraverso misure volte alla stabilizzazione del personale precario in larga parte presente nella pubblica amministrazione, oggi, con questo provvedimento, si obbligano di fatto le amministrazioni ad una riduzione degli organici e al sostanziale blocco delle assunzioni. Ciò penalizza soprattutto le amministrazioni virtuose perché questo tipo di provvedimento ha ricadute a pioggia, senza distinguere i settori produttivi, in cui vi è necessità di investire anche in risorse umane, dai settori sovradimensionati. Non può essere lasciato ai singoli Ministeri, enti e amministrazioni varie, un onere così pesante, senza fornire strumenti idonei e senza avere un disegno chiaro e condiviso di ciò che si vuole ottenere.
La pubblica amministrazione ha bisogno di regole certe e stabili nel tempo e di personale motivato, in quanto la tipologia di lavoro è strategica nel corretto funzionamento del rapporto Stato-cittadino, rapporto che comincia dal basso, a partire dai comuni. È noto, infatti, che l'istituzione percepita dai cittadini come più vicina, alla quale le persone si rivolgono per trovare risposte ai bisogni concernenti la vita quotidiana, è il comune, l'ente locale che è maggiormente in grado di monitorare le necessità, le aspettative e la vita vera delle persone, per creare risposte adeguate anche se, naturalmente, parziali.
Frustrare le legittime aspettative di una parte consistente di lavoratori che hanno acquisito nel tempo professionalità e competenze, e che hanno consentito in questi anni il funzionamento dell'apparato pubblico, è sicuramente controproducente. Ridisegnare la macchina dello Stato è un dovere, così come è un dovere renderla più leggera, ma sarebbe un errore limitarsi ad operazioni di puro contenimento della spesa, facendo tra l'altro pagare il prezzo più alto ai soggetti più indifesi e senza tutela. Rendere più snello l'apparato pubblico è un lavoro che non può vivere di improvvisazione e semplice dirigismo. Vanno definiti con le parti sociali, con gli enti locali e con tutti i soggetti interessati, obiettivi, funzioni, responsabilità e meriti. Una semplice operazione di restyling può avere impatto mediatico, è vero, ma nel tempo non può funzionare.
Occorre, inoltre, definire in modo chiaro i compiti e le responsabilità dei singoli dirigenti. Senza questo passaggio, nessuna riforma potrà mai funzionare. L'ordine del giorno a mia firma n. 9/1386/44 mira a dare continuità all'azione di Governo, indipendentemente dalla maggioranza del momento. Se ciò che conta èPag. 107il bene comune, dobbiamo tutti insieme lavorare coerentemente per dare a questo Paese un segnale vero di coesione e di prospettiva per il futuro.
Desideriamo, quindi, rivolgere un appello al Governo e al Parlamento, perché è in gioco la cosa più importante: la credibilità dello Stato (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. L'onorevole Argentin ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/53.

ILEANA ARGENTIN. Signor Presidente, mi rivolgo al sottosegretario per poter esplicitare il senso di questo ordine del giorno. Generalmente, non attribuisco molto senso o riconoscimento ad atti come gli ordini del giorno, che, secondo me, molte volte rimangono atti formali, comunque non applicativi rispetto alla normativa, ma credo che, in questo caso, era necessario far presente che cosa sta succedendo.
In questo ordine del giorno viene esplicato, da parte del mondo della disabilità, il fatto di non essere più inseriti in contesti lavorativi con un controllo e una regolamentazione da parte dei centri di pubblico impiego.
Che vuol dire questo? Mentre, fino ad oggi, c'è sempre stato un controllo ed un indirizzo per far sì che un'impresa potesse partecipare a bandi pubblici solo laddove avesse al suo interno disabili, e quindi il rispetto della legge n. 68 del 1999 avesse senso, oggi voi parlate di autocertificazione da parte dell'imprenditore e non più di un percorso collegato, invece, ai centri di pubblico impiego e a tutto un percorso che, dopo la legge n. 68 del 1999, il mondo della disabilità si è conquistato negli anni. È un percorso di inclusione e di integrazione, non certo di obbligatorietà verso la norma.
Le dico che ho sentito, da quando sono in quest'Aula, moltissimi criteri, soprattutto moltissime testimonianze di riconoscimento verso il mondo dell'handicap, ma mi accorgo, ogni volta di più, che esse vengono usate qua e là in modo estemporaneo, non con una lucidità rispetto alla problematica in quanto tale. I disoccupati disabili costano allo Stato quanto gli altri disoccupati!
Una mia collega, precedentemente, nelle ore trascorse qui, oggi pomeriggio, ha parlato dell'importanza dell'invalidità civile; le dico che moltissima gente sulla sedia a rotelle, che non vede o non sente, sarebbe disposta a non prendere la pensione di invalidità per lavorare. Questo ridurrebbe fortemente i costi e se voi per primi non ci tutelate in un meccanismo in cui debba essere soltanto l'imprenditore ad autocertificare, e non vi siano agenzie intermedie che vadano a comprovare il rispetto della normativa, credo che possiamo definirci soli.
E possiamo definirci soli anche nel momento in cui la difficoltà non viene da una diversa impostazione politica, ma da una diversa metodologia di affrontare il problema dell'handicap.
Spesso si dice in quest'Aula che l'handicap non ha colori. Chi l'ha detto? Noi scegliamo se votare a destra o a sinistra, scegliamo di votare al centro o di stare con un politico rispetto ad un altro. È chiaro che poi, rispetto al bisogno dei più deboli, siamo tutti concordi nello stare insieme, ma ci sono vari modi per stare insieme.
Questo ordine del giorno vuole dire che il piano che oggi stiamo votando può capovolgere le aspettative di centinaia di persone, che hanno lottato, fino a ieri, per l'abbattimento delle barriere culturali. Per me sarebbe stato più demagogico essere oggi in quest'Aula a parlarvi di barriere architettoniche, visto che non avete finanziato sufficientemente neanche la legge n. 13 del 1989, ma non lo avete fatto voi come non lo ha fatto il Governo Prodi precedentemente o il Governo Berlusconi ancora prima.
Ma credo che questo ordine del giorno abbia, invece, un senso, perché vuole dire: perché dobbiamo costare su questa società? Per quale motivo dobbiamo essere additati come coloro che sono dispendiosi? Costiamo 290 miseri euro al mese, con i quali non si arriva neanche alla prima settimana, ma che ci rendono diversiPag. 108anche rispetto al mondo dei diversi. Mi si spieghi per quale motivo c'è gente non vedente che prende più di 1.700 euro al mese, mentre chi è invalido al 100 per cento, sulla sedia a rotelle, deve prendere 270 euro. Dobbiamo rivedere questo sistema, perché il sistema pensionistico è assolutamente folle. È come se ci fossero sfigati di «serie A» e sfigati di «serie B». Non dico che siamo tutti uguali, assolutamente, anzi rivendico la mia diversità e identifico il mondo che rappresenta come un insieme di persone diverse.
Ma credo che sia necessario ricordarsi che con l'ordine del giorno in esame parliamo di inclusione.
Vi prego di concludere la conversazione rispetto all'assistenza: non vogliamo essere assistiti, vogliamo essere integrati, e siamo disponibili a metterci a vostra completa disposizione non per fare opposizione, ma per lavorare insieme (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori).

PRESIDENTE. L'onorevole Cirielli ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/141.

EDMONDO CIRIELLI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevole componente del Governo, premesso che il presente decreto-legge reca disposizioni volte al contenimento della spesa pubblica relativamente anche al pubblico impiego, e ovviamente anche alle Forze armate e alle forze di polizia, e senza voler entrare nel merito di quello che, a mio avviso inopinatamente, conteneva il decreto-legge, così come è stato presentato, relativamente alla progressione automatica dei trattamenti economici con aumenti triennali anziché biennali, i trattamenti economici aggiuntivi concessi per infermità derivanti da causa di servizio e l'assenza per malattia nei primi dieci giorni (che per fortuna nel maxiemendamento vengono drasticamente rivisti: nel secondo e terzo caso che ho citato non vengono assolutamente estesi al comparto delle forze dell'ordine e delle Forze armate, rimane in maniera annuale una tantum il blocco della progressione, nel senso che diviene triennale anziché biennale ma non passa a regime), riteniamo che il provvedimento nella sua concezione non abbia preso in considerazione a fondo quanto le forze dell'ordine, le Forze armate svolgono un lavoro completamente diverso nell'ambito del pubblico impiego.
È chiaro ed è notorio che queste persone sono esposte a pericoli concreti, e questa esposizione è insita nel loro impiego operativo; sono spesso impiegati in aree disagiate del territorio nazionale anche dal punto di vista dell'alta concentrazione criminale; ovviamente per il loro specifico impiego per lo più lavorano lontani dalla regione d'origine; sono sottoposti a compiti usuranti, spesso senza soluzione di continuità, in giorni festivi, in condizioni climatiche avverse; sono soggetti a ordinamenti disciplinari assolutamente straordinari rispetto al resto del pubblico impiego: mi riferisco ai codici penali militari di pace e di guerra, al codice di disciplina militare, alla legge di polizia, e comunque a un complesso di strutture gerarchiche che certamente creano nella persona che lavora uno stato di emotività o anche di ansia, semplicemente a causa della sottoposizione gerarchica, che è assolutamente diverso rispetto a qualunque altro dipendente pubblico. È chiaro che esiste una specificità che il decreto-legge, come altre leggi, non avevano preso assolutamente in considerazione.
Con l'ordine del giorno in discussione quindi noi chiediamo con forza che il Governo riconosca questa specificità, e si impegni ad adottare ogni iniziativa, chiaramente anche dal punto di vista legislativo, per il riconoscimento di essa; proprio per creare nell'ambito del pubblico impiego un comparto a sé, che abbia un trattamento giuridico, economico e anche previdenziale assolutamente specifico, peculiare, che possa tenere in grande considerazione il lavoro che questi importanti servitori della patria svolgono nell'interesse di tutti (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

Pag. 109

PRESIDENTE. L'onorevole Fogliardi ha facoltà di illustrare l'ordine del giorno Fluvi n. 9/1386/208, di cui è cofirmatario.

GIAMPAOLO FOGLIARDI. Signor presidente, onorevoli colleghi, onorevole sottosegretario, la manovra presentata dal Governo si presenta come una manovra disastrosa sul piano della crescita, della competitività e dell'equità, e rappresenta sul piano sociale una questione enorme. Già il precedente decreto-legge, con la soppressione dell'ICI sulla prima casa, aveva fatto comprendere l'effimero di un Governo che su populismo e scelte propagandistiche aveva iniziato la propria azione di scoop tendenti a rendere sempre più eclatante il divario tra le classi sociali del Paese.
Credo che occorra ritornare, ancora una volta, proprio sull'ICI, perché nessun'altra scelta, meglio di questa, rende l'idea dell'abnorme divario operato. Qualcuno mi ha detto, in questi giorni, che non è il caso di ritornare a parlare di ICI perché, in fondo in fondo, gli italiani sarebbero tutti contenti, ma ritengo che non sia così e che ciò non sia vero. Oggi, imprenditori, liberi professionisti, lavoratori autonomi (insomma, categorie tutte benestanti ed abbienti) godono di questo beneficio: sono stati esentati dall'ICI ed ora, per compensare tale introito, il Governo ha varato una manovra che opera tagli nei settori della scuola, della sanità, dell'assistenza, degli enti locali, e chi più ne ha, più ne metta! Proprio così, si tornerà ai ticket sanitari: si è rinviato il pericolo per il 2009, ma successivamente le regioni non potranno certamente fare a meno di varare anche questa misura. Si è sostenuto che tale intervento sarà compensato con un taglio degli stipendi di direttori generali e sanitari, ma questa è una sciocchezza e una provocazione nei confronti delle regioni e dei cittadini perché, come giustamente ha ricordato il presidente della Conferenza delle regioni Vasco Errani, non può arrivare ad una soluzione equa se non concordata tra Governo ed enti locali.
Ma dicevo prima che non è vero che tutti siano contenti per il taglio dell'ICI. Per carità, certamente il «regalo» non dispiace, ma parlando nei giorni scorsi con alcuni colleghi liberi professionisti, essi mi confessavano il forte disagio morale quando in pubblico si parla di questa misura, ed il raffronto non può andare tra tali situazioni privilegiate e magari i percettori di un reddito fisso con famiglia a carico che d'ora in poi, per soccombere a tali privilegi, dovranno pure pagarsi i servizi essenziali, quali magari il ticket per le analisi mediche.
Analogo discorso vale anche per le scelte dell'attuale manovra: le tasse non si abbassano - ha dichiarato il Ministro Tremonti - né oggi né domani, dopodomani si vedrà. È veramente incredibile seguire la strategia del Governo, sembra la lettura di un romanzo giallo: nei primi sei mesi il Governo sarebbe in vantaggio di 3 miliardi sull'obiettivo del fabbisogno, nei secondi sei mesi dovremmo andar sotto di 19 miliardi. Delle due sicuramente una è una bufala: o si prevede che non funzioneranno i tagli di spesa, o che l'Italia smetterà di pagare le tasse. È evidente che qualcosa non funziona, o meglio che sotto c'è qualcosa che non viene detto: gatta ci cova!
Tutte le azioni sino ad ora messe in campo dal Governo non hanno protetto dall'inflazione, dall'impoverimento e dal continuo rialzo dei prezzi, e a pagarne le conseguenze sono ancora i pensionati e le persone a reddito fisso: questa è la cruda realtà! Non serve gridare all'untore, ha scritto in questi giorni Francesco Giavazzi su un noto quotidiano economico. Prima i nostri politici si svegliano dall'illusione che la crisi che ha colpito le economie dell'occidente sia colpa di qualche untore, della globalizzazione o della trasformazione dei mercati finanziari, meglio è! I due shock che ci hanno simultaneamente colpito sono gravi, ma abbastanza tradizionali: un aumento del prezzo delle materie prime ed una crisi bancaria. Come già è avvenuto in passato, si prefigura un periodo di forte rallentamento dell'economia.

Pag. 110

PRESIDENTE. Onorevole Fogliardi, la invito a concludere.

GIAMPAOLO FOGLIARDI. In questa situazione è stupefacente che si perda tempo a difendere teorie che non hanno alcun conforto nei dati, anziché chiedersi che cosa possa fare la politica per attenuare lo tsunami che sta per colpirci. Ed anche la Robin Hood tax è, né più né meno, una manovra per mettere i poteri forti al riparo dal confronto con i consumatori e con la concorrenza. Vedremo come le forze sociali potranno accettare un discorso del genere.

PRESIDENTE. Onorevole Fogliardi, deve concludere!

GIAMPAOLO FOGLIARDI. Vedremo in autunno - e concludo subito - che cosa accadrà al rientro nelle scuole con il carovita, al riaccendersi dei termosifoni e alle scadenze. Con l'ordine del giorno Fluvi n. 9/1386/208 vogliamo sperare che il Governo si impegni ad adottare le opportune iniziative per ridurre la pressione fiscale nei confronti dei percettori di reddito da lavoro, anche attraverso l'innalzamento delle detrazioni di imposta sul reddito delle persone fisiche, ovvero mediante un assegno ed una maggiorazione sulla pensione per i contribuenti incapienti (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. L'onorevole Miglioli ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno 9/1386/45.

IVANO MIGLIOLI. Signor Presidente, sottosegretario, colleghi, l'ordine del giorno 9/1386/45, di cui sono primo firmatario, chiede al Governo di prevedere, nell'ambito dell'articolo 76 del decreto-legge al nostro esame, che i comuni con i bilanci in equilibrio e con un limitato rapporto personale-popolazione possano proseguire con le procedure di stabilizzazione del personale a tempo determinato già avviate al momento dell'entrata in vigore del presente decreto-legge.
Cercherò di motivare tale richiesta, lo avrei fatto in una discussione di merito in sede di Commissioni riunite o in Aula, magari presentando degli emendamenti al provvedimento, ma com'è noto ciò non è stato possibile, avendo il Governo posto la questione di fiducia. Quattro voti di fiducia in poco più di due mesi, nonostante la netta maggioranza sia alla Camera sia al Senato. A parte la prima fiducia, quella di prassi alla squadra e al programma, in meno di un mese è stata richiesta la fiducia prima sul decreto ICI e straordinari, poi sul pacchetto sicurezza e sul «blocca processi», infine ieri sul decreto che accompagna il DPEF, di fatto una finanziaria anticipata. Ricordo, per inciso, che il Governo Prodi, che al Senato di certo non aveva una solida maggioranza, nei primi due mesi non aveva mai chiesto voti di fiducia.
Ma non solo siete ricorsi quattro volte alla fiducia; di fatto, il Parlamento in questi mesi è stato impegnato esclusivamente ad esaminare disegni di legge di conversione di decreti-legge: adeguamento delle strutture del Governo; emergenza rifiuti in Campania (il primo e il secondo); sicurezza pubblica; ICI; Alitalia; funzioni e ruolo della magistratura onoraria; proroga termini; spesa pubblica; settore della pesca e dell'agricoltura. In verità, abbiamo anche approvato un disegno di legge, sempre del Governo: il cosiddetto «lodo Alfano», per stabilire che sì, la legge è uguale per tutti, tranne che per l'attuale Presidente del Consiglio, anche in questo caso umiliando il ruolo della Parlamento.
Ma tornando ai problemi del Paese e al merito dell'ordine del giorno, ieri Il Sole 24 Ore riprendeva un recente rapporto del CNEL dedicato al lavoro a tempo determinato: il lavoro precario, perché di questo si tratta, nel 2007 rappresenta il 49,5 per cento, di fatto un addetto su due dei nuovi ingressi nel mondo lavoro. Un trend confermato dall'aumento costante degli ultimi anni in cui l'occupazione a termine, tra il 2003 e 2007, è aumentata costantemente. Parliamo di due milioni trecentomila uomini e donne. Sempre il CNEL ci ricorda che questo fenomeno riguarda inPag. 111particolare i settori dell'agricoltura, degli alberghi, dei ristoranti e del pubblico impiego: istruzione, sanità, comuni ed enti locali.
Per i comuni, il Governo Prodi aveva avviato con le leggi finanziarie per il 2007 e per il 2008 un processo di graduale stabilizzazione, in particolare consentendo loro di mettere in atto una procedura di stabilizzazione del personale presente nelle piante organiche, nel rispetto dei vincoli di equilibrio di bilancio, con riferimento alle necessità organizzative e nel rispetto della riserva del 50 per cento dei posti ad assunzioni esterne mediante selezione.
Il decreto in esame ha abrogato tali disposizioni per cui diversi comuni, soprattutto di piccole dimensioni, in regola con le disposizioni citate, che avevano avviato le procedure di stabilizzazione le vedono bloccate. Da qui l'ordine del giorno, in cui si chiede appunto al Governo di provvedere nel decreto-legge, all'articolo 76, che i comuni che abbiano il bilancio in una situazione di equilibrio e un rapporto limitato personale-popolazione possano proseguire nelle procedure di stabilizzazione del personale che avevano già avviato.
Concludo, Presidente. Sentiamo parlare sovente, dentro e fuori da quest'Aula, di federalismo, di autonomia degli enti locali, di possibilità (nel rispetto dei vincoli di bilancio) di decidere per ogni singolo comune. Per ora, invece, con i provvedimenti che sono stati decisi, dall'ICI ai tagli previsti con questo decreto (nel solo 2009 meno tre miliardi per regioni, province e comuni), si centralizzano le decisioni e si mettono i comuni nella condizione di non fare i bilanci e di chiudere i servizi.
Altro che federalismo! Anche per questo chiedo al Governo di accettare l'ordine del giorno (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. L'onorevole Misiti ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/120.

AURELIO SALVATORE MISITI. Signor Presidente, un recente rapporto Svimez ha chiarito che nel sud la crescita del PIL è sostanzialmente circa la metà di quella del centro nord, stando ai dati del 2007; inoltre, alcune di queste regioni tra cui la mia, la Calabria, hanno avuto, non una crescita zero, ma una decrescita dell'1 per cento con un'emigrazione di giovani di circa 7.800 unità.
Il sud è in una situazione drammatica e quindi, evidentemente, gli investimenti più immediatamente produttivi dovrebbero tendere a porre rimedio a tale situazione. Ma abbiamo visto che i recenti decreti-legge, le recenti iniziative - tra cui ad esempio quella per l'abolizione dell'ICI -, hanno ridotto proprio gli investimenti per le infrastrutture al sud, in particolare in Sicilia e in Calabria. Nel 2003, è stato istituito un Fondo aree sottoutilizzate (cosiddetto FAS) in modo tale da avere uno strumento generale di Governo della nuova politica nazionale e in rapporto alle singole regioni per la realizzazione di interventi in queste aree. L'adozione di una strategia unitaria nella programmazione degli interventi e la flessibilità nella allocazione delle risorse che caratterizzano tale Fondo, consentono di impostare una politica nazionale e regionale coerente con i principi e le regole di politica comunitaria. La strategia resa possibile dal Fondo aree sottoutilizzate permette di conseguire una maggiore capacità di spesa in conto capitale, condizione essenziale per soddisfare anche il principio di addizionalità che è scaturito proprio dagli impegni assunti dall'Italia con l' Unione europea.
Il CIPE, in generale, con delibera del 21 dicembre 2007 ha definito la ripartizione finanziaria e delle procedure di utilizzo del FAS stabilendo che l'utilizzo di tali fondi aggiuntivi avverrà attraverso l'elaborazione di programmi, con valenza per il periodo 2007-2013, omologhi ai programmi attuativi delle politiche comunitarie. Il comportamento, invece, del Governo di prendere decisioni per legge, e non attraverso lo strumento della programmazione, che consentiva per lo meno una gestione unitaria e flessibile delle risorse in relazione alla capacità effettiva di utilizzazione,Pag. 112questo decidere per legge senza una visione precisa delle risorse effettivamente disponibili, ostacola la programmazione finanziaria, programmazione che attraverso le delibere del CIPE si tende invece a costruire. Definendo per le regioni meridionali un'ammontare di risorse del Fondo al di sotto dell'85 per cento, si inciderebbe negativamente sulle politiche di sviluppo e sui servizi sociali ed essenziali delle regioni del sud. Devo dire che il sottosegretario Vegas ha tantissima pazienza, perché ascolta tutti e credo che sarà sensibile al tema segnalato e si farà portavoce in questa direzione. È chiaro che con questo ordine del giorno chiedo al Governo di monitorare la situazione perché l'esperienza mi dice che poi questi fondi non saranno assegnati al sud per l'85 per cento in quanto o le regioni del sud non saranno in grado o comunque altri saranno più in grado di investire e questi fondi potrebbero prendere la via della «emigrazione» dal sud al nord, così come emigra la forza lavoro.
In questo caso, se il Governo procede a monitorare costantemente la ripartizione delle risorse del Fondo per le aree sottoutilizzate a favore delle regioni del Mezzogiorno (in particolare a confermare l'85 per cento di tali risorse) allora il Governo compie un'azione effettivamente buona. Chiedo, quindi, che il Governo (e speriamo anche l'Aula) accetti e approvi il mio ordine del giorno (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. L'onorevole Ciccanti ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/162.

AMEDEO CICCANTI. Signor Presidente, onorevole sottosegretario, affinché resti a verbale dico subito che parlerò nei tempi prescritti dal Regolamento anche sull'ordine del giorno Naro 9/1386/163, di cui sono cofirmatario. Il mio ordine del giorno riguarda la polizia penitenziaria e oltre alle altre rivendicazioni delle forze dell'ordine e della sicurezza è nota la posizione dell'Unione di Centro per quanto riguarda: le rivendicazioni per il comparto sicurezza e difesa; lo stanziamento di risorse adeguate per il rinnovo del contratto collettivo di lavoro del comparto sicurezza e difesa per il biennio 2008-2009; il mantenimento della contrattazione integrativa; l'attuazione della previdenza complementare per gli operatori dell'intero comparto sicurezza e difesa; la copertura totale del turn over nelle forze di polizia e la detassazione della retribuzione accessoria. Delle ultime due l'Unione di Centro ne ha fatto un motivo di distinzione nella battaglia contro il decreto-legge di abolizione dell'ICI.
Con questo ordine del giorno l'Unione di Centro si concentra sulla questione relativa alla polizia penitenziaria, denunciando il taglio dei fondi per l'edilizia penitenziaria: ben 55 milioni di euro su 75 milioni di euro per finanziare l'abolizione dell'ICI. Denunciamo, inoltre, il taglio del 10 per cento del Fondo unico di amministrazione che produrrà un taglio di 640 euro sulle progressioni economiche e professionali previste dal contratto collettivo nazionale di lavoro. Denunciamo anche il sovraffollamento delle carceri - sistema già arrivato a 54 mila detenuti rispetto alla capienza di 42 mila posti letto con un aumento di mille detenuti al mese - la carenza dei mezzi adibiti per il servizio delle traduzioni, il taglio degli organici e degli straordinari e il blocco delle risorse destinate al rinnovo dei contratti.
Con l'ordine del giorno vogliamo denunciare tutto ciò, in quanto sappiamo bene l'attenzione che vi è da parte dei cittadini su tale problema.
L'ordine del giorno Naro 9/1386/163, invece, riguarda le zone franche urbane e con esso proponiamo che siano aggiornati i criteri stabiliti dal CIPE, su proposta del Ministero dell'economia e delle finanze sentite le regioni, che stabiliscono dei parametri in ordine alla perimetrazione dei territori (subcomunali con almeno 25 mila abitanti) e in ordine all'assegnazione delle risorse.
Questi parametri sono modulati su quelli del 2005. Si fa riferimento, pertanto, ai tassi di occupazione e di concentrazione giovanile e anche alla crisi strutturale diPag. 113alcune aree (soprattutto nel Mezzogiorno) dovuta sia al declino industriale, sia alla delocalizzazione delle aziende, soprattutto delle multinazionali che con i contributi della Cassa del Mezzogiorno si insediarono in queste aree. Queste aree, oggi, sono individuate sulla base dei parametri del 2005, ma da allora a oggi sono successe molte cose. Quindi, noi proponiamo che il Governo si adoperi (perché la proposta è del Ministero dell'economia e delle finanze) affinché i parametri del CIPE siano aggiornati.
Sul tale aspetto tengo a sottolineare, soprattutto all'onorevole Vegas che è molto attento, che già nella finanziaria per l'anno 2007, con i commi dal 340 al 344, furono promosse a zone franche urbane alcune aree (mi sembra diciotto) alle quali si concedevano sgravi contributivi e fiscali proprio per creare un tasso di sostituzione delle attività imprenditoriali delle grandi industrie che chiudevano sostenendo le industrie che nel frattempo (soprattutto riguardo all'indotto) si erano consolidate su quei territori.
È chiaro che la defiscalizzazione sia degli oneri sociali sia di altri parametri fiscali può aiutare queste aziende a svilupparsi, ad ingrandirsi ed a riassorbire una parte dei lavoratori oggi in cassa integrazione ed in mobilità.
Per questo motivo, chiedo l'attenzione del Governo affinché, nella prossima sessione di bilancio, vengano aggiornati i commi 340 e 341 della legge finanziaria per il 2007 nel senso desiderato (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).

PRESIDENTE. L'onorevole Occhiuto ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/159.

ROBERTO OCCHIUTO. Signor Presidente, abbiamo già definito questa manovra come una manovra piena di contraddizioni: essa doveva essere, in qualche modo, l'incipit del federalismo fiscale e invece è una manovra che, tra l'altro, accentra la programmazione, soprattutto quella dei fondi comunitari, espropriandola alle regioni, specialmente a quelle del Mezzogiorno.
Doveva essere la manovra di un Governo liberista e invece molte iniziative in essa previste appartengono più ad una visione statalista e centralista dello Stato. Ve ne è una riguardante la Banca del Mezzogiorno: intervengo per illustrare il mio ordine del giorno n. 9/1386/159, presentato in ordine a tale questione, che ritengo emblematica dell'approccio statalista che questo Governo ha rispetto ai problemi dello sviluppo.
Intendiamoci: ciascuno di noi è convinto di quanto sia importante intervenire sulle questioni che riguardano l'accesso al credito per gli imprenditori del Mezzogiorno e su quelle concernenti il rapporto tra il sistema bancario e lo sviluppo delle regioni del Mezzogiorno. Ci sembra, però, che l'iniziativa - proposta nella manovra - dell'istituzione di una Banca del Mezzogiorno non vada in questa direzione: si tratta di una norma che in qualche modo Tremonti ha rispolverato, perché è un suo vecchio cavallo di battaglia, ma per come essa è scritta, è utile soltanto a produrre un ulteriore spot.
Vi siete infatti limitati a stabilire che la Banca del Mezzogiorno debba avere una sede in una regione del sud - come se ciò potesse bastare a qualificare questa banca come un veicolo per lo sviluppo del Mezzogiorno - e che il suo capitale sociale debba essere pari a cinque milioni di euro, che poi vengono restituiti quando in qualche modo lo Stato esce dal capitale della banca. Onorevole sottosegretario, non avete in alcun modo chiarito quale debba essere la missione di questa banca e, soprattutto, come questa missione debba essere conseguita dalla banca stessa. In un momento in cui si parla di banca universale e la concorrenza fra gli istituti finanziari sfugge a logiche territoriali, non si capisce se si tratti di una banca d'affari, di una riedizione aggiornata della vecchia Cassa del Mezzogiorno o di qualcos'altro. Soprattutto, non si capisce come essa possa stare sul mercato e realizzare l'obiettivo, pure auspicabile, di essere una banca orientata a sostenere lo sviluppo del sud e a rimanere al tempo stesso sul mercato, conciliando i principi di sana ePag. 114prudente gestione, tipici delle attività creditizie, con quella che, a nostro avviso, dovrebbe essere la mission di questa banca. Non ci si rende conto, soprattutto, che quest'opera è ancora più difficile dopo Basilea 2.
Nel mio ordine del giorno n. 9/1386/159 chiediamo al Governo di far evolvere la norma in questione e di produrre qualche ulteriore iniziativa utile a definire come debba essere l'assetto organizzativo di questa banca, quale missione essa debba avere e come essa debba realizzarla; soprattutto, chiediamo al Governo di farsi carico di costruire una rete tra la costituenda Banca del Mezzogiorno e il sistema dei confidi, che molto spesso hanno svolto una funzione importante nella direzione di favorire l'accesso al credito degli imprenditori del sud.
Questo è il senso dell'ordine del giorno. Vorremmo che potesse essere utile a stimolare una presa di coscienza davvero concreta, da non realizzarsi attraverso iniziative utili solo ad evocare suggestione attorno ai problemi dello sviluppo del Mezzogiorno, che ci rendiamo conto che oggi non fa più opinione come un tempo. Voi che rappresentate un Governo troppo attento ai sondaggi e alle opinioni prevalenti rischiate di trascurarlo, in una logica che non è federalista, ma puramente egoistica (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).

PRESIDENTE. L'onorevole Di Biagio ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/3.

ALDO DI BIAGIO. Signor Presidente, signor sottosegretario Vegas, onorevoli colleghi, con questo ordine del giorno, intendo veicolare l'attenzione dell'intera Assemblea ancora una volta verso il riconoscimento dell'esigenza di tutelare in modo chiaro, completo ed incondizionato, i diritti dei tanti nostri connazionali residenti all'estero, che spesso si ritrovano a dover vivere un'incomprensibile condizione di disparità di trattamento nei diritti e nelle spettanze, rispetto ai residenti in patria.
La legge finanziaria per il 2007 ha esteso le detrazioni fiscali per carichi di famiglia ai lavoratori e alle lavoratrici residenti all'estero, limitatamente agli anni 2007, 2008 e 2009.
Tali vincoli temporali al godimento di un diritto imprescindibile pongono di fatto i nostri connazionali, che producono un reddito assoggettabile all'IRPEF in Italia, in una ingiustificata condizione di disparità rispetto ai residenti oltre i confini nazionali.
In virtù di tali aspetti, appare doveroso estendere incondizionatamente le detrazioni per carichi di famiglia agli italiani residenti all'estero, oltre la predefinita contrattazione temporale, poiché mi preme sottolineare con forza, in questa sede, che appare inconcepibile il permanere di una siffatta disparità di trattamento e il sussistere della mancata salvaguardia di un tale diritto per chi lavora per lo Stato italiano e produce reddito in Italia (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. L'onorevole Frassinetti ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/245.

PAOLA FRASSINETTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevole rappresentante del Governo, questo ordine del giorno vuole porre l'attenzione sull'articolo 26 del provvedimento in esame, il cosiddetto «taglia enti».
Nel citato articolo 26 del provvedimento, si sopprimono ex lege gli enti pubblici non economici con una dotazione organica inferiore alle cinquanta unità. Potrebbe sembrare marginale rispetto ai tanti problemi che sono stati posti in quest'Aula durante tutta la giornata, ma non è così, perché in questo modo rischiano la chiusura tanti istituti prestigiosi, che hanno fatto la storia della nostra nazione, in primis l'IsIAO, forse non noto ai più ma di vitale importanza.
L'IsIAO nasce nel 1995 dalla fusione dell'Istituto sul Medio Oriente, fondato da Giovanni Gentile nel 1933, con l'Istituto italo-africano.
È un istituto prezioso, un fiore all'occhiello della nostra cultura, presieduto daPag. 115Giuseppe Tucci, uno dei più illustri orientalisti che siano mai esistiti in Italia.
Quindi, è un obbligo porre attenzione a questo ente, che non è un ente inutile. È sul concetto di inutilità che voglio soffermarmi, onorevole rappresentante del Governo.
Infatti, già il Ministro Padoa Schioppa, nella scorsa legge finanziaria, aveva relegato questo ente tra gli enti inutili, ma il Senato all'unanimità era riuscito a salvare questa preziosa e pregevole istituzione. Adesso, sbagliando ancora, ci troviamo in questa situazione.
L'Istituto italiano per l'Africa e l'Oriente ha un grande patrimonio che consiste in migliaia di carte geografiche originali e in un museo di arte orientale nazionale che è simile a quello di Parigi, anzi forse più prestigioso, con la differenza che il museo di Parigi è conosciuto e citato in tutto il mondo e il nostro sta per chiudere. L'Istituto, quindi, risulta importante in un momento in cui le problematiche nei rapporti con il Medio ed Estremo Oriente rientrano nell'attualità dell'agenda politica: basti pensare alla polverizzazione dell'Unione sovietica, alla nascita di tanti Stati, con problematicità, specificità e differenze di cultura e religione, o allo sviluppo della Cina che risultano nell'attualità dell'agenda politica di tutti i giorni.
Questo Istituto culturale, inoltre, non si limita ad attività museali e statiche, ma rappresenta un continuo incentivo a cercare nuovi contatti ed aperture con queste nazioni, con queste culture e con queste etnie. Il presidente Gherardo Gnoli che è sicuramente un grande orientalista e che ha anche rivolto un appello alla Presidente Napoletano, ha lanciato l'allarme. Quanto al bilancio dello Stato, giustamente si cerca di contenere l'inutilità di tali enti, operando tagli che, molte volte, sono stati anche giusti e doverosi, ma non in questo caso; in questo caso l'Istituto ha un bilancio di circa sei milioni di euro e lo Stato arriva in soccorso solo con 2.350 euro. Questo è il contributo pubblico di un ente che si fonda soprattutto sui soci privati che sono ben quattrocento e che aiutano a proseguire un lavoro iniziato 75 anni fa. Vi sono anche delle attività didattiche e dei corsi di lingua orientale frequentati da centinaia di studenti, come quello aperto a Milano che funziona da anni. Si tratta sicuramente di un modo per dare l'opportunità di insegnare queste lingue in un momento in cui, proprio con quel tipo di cultura, spesso e volentieri vi sono dei problemi. L'Istituto ha, inoltre, in stampa uno dei migliori dizionari di cinese, che è stato frutto di un lavoro di 29 anni.
Ritenevo auspicabile che in Italia fossimo ancora in tanti a credere nei patrimoni immateriali, in quella cultura sociale e immateriale che spesso e volentieri è difficile da monetizzare. Questo era uno dei fiori all'occhiello della nostra cultura, una delle nostre prerogative culturali, che se dovessimo far chiudere ci farebbe fare sicuramente un passo indietro. Sarebbe stato opportuno eventualmente riformarlo, ma non distruggerlo, perché non si tratta di un ente inutile ma, al contrario, utilissimo ed in grado di creare «ponti».
In un momento in cui si parla di scontri di civiltà, questo ente, infatti, auspica gli incontri e i «ponti» tra le civiltà. Spero, quindi, che il Governo sia sensibile e che possa fornire una mano e incentivare l'attività di questo centro molto importante (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà)

PRESIDENTE. L'onorevole Saltamartini ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/34.

BARBARA SALTAMARTINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor sottosegretario, il tema che voglio porre all'attenzione dell'Assemblea con questo ordine del giorno n. 9/1386/34, come è stato già in qualche modo evidenziato con riferimento ad altri ordini del giorno trattati, è quello dell'occupazione femminile. Lo sappiamo bene, l'occupazione femminile è ferma in Italia al 46,6 per cento ed è un dato che segna il grave ritardo con cui il nostro Paese si avvicina alla fatidica data del 2010, in cui, in qualità di firmatari del Protocollo di Lisbona, siamo chiamati a rispettare l'obiettivo del 60 per cento.Pag. 116Si tratta, inoltre, di una rilevazione che purtroppo al sud è ancora più bassa, perché l'occupazione femminile è ferma al 34 per cento.
È un dato su cui, indubbiamente, hanno pesato le scelte poco attente effettuate nei due anni della scorsa legislatura, che hanno fatto sì che vi fosse un ritardo conclamato, ma che ci deve vedere come centrodestra impegnati a recuperare questo gap, per arrivare appunto al 2010 il più possibile vicini all'obiettivo del 60 per cento.
Purtroppo, sappiamo bene che in Italia questo dato sussiste proprio perché, ancora oggi, il lavoro di cura è troppo a carico delle donne, e che tutto ciò accade perché è molto difficile per noi donne conciliare il lavoro domestico con quello extradomestico. Spesso e volentieri tutte noi siamo chiamate a delle acrobazie, sempre con l'orologio a portata di mano, per correre e cercare effettivamente di seguire con attenzione la propria vita familiare, conciliandola con la propria vita professionale. In Italia allora dobbiamo compiere una svolta, la quale non può limitarsi soltanto al dato culturale, che comunque dovrebbe cercare di aiutare a redistribuire equamente tra l'uomo e la donna il lavoro di cura. In Italia, abbiamo bisogno di un nuovo sistema sociale, di un nuovo sistema di welfare che sia veramente in grado di aiutare e di sostenere le donne che lavorano, le quali non devono più trovarsi nella condizione di dover scegliere se diventare mamme o se crescere a livello professionale all'interno della società.
Allora, per creare questo nuovo welfare abbiamo bisogno di strumenti. Le leggi già ci sono; formalmente già sussistono le pari opportunità tra uomo e donna nel mondo del lavoro, ma abbiamo bisogno di interventi non più formali ma strutturali, affinché effettivamente il nostro sistema di welfare sia in grado di sostenere le donne che lavorano. Dico questo anche perché, purtroppo, in Italia esiste ancora una condizione per cui le donne che lavorano non sono sostenute da servizi sociali degni di chiamarsi tali, e ancora troppo poche sono le strutture destinate alla prima infanzia, e purtroppo sono altresì poche le strutture destinate all'assistenza agli anziani e alle persone non autosufficienti.
Per far ciò, con l'ordine del giorno che ho presentato si chiede al Governo di impegnarsi ad individuare la strada per concorrere al raggiungimento degli obiettivi fissati dalla strategia di Lisbona, nonché quelle misure necessarie di intervento e di promozione, in materia di conciliazione dei tempi di vita con i tempi di lavoro, e quegli strumenti necessari per far sì che vi siano migliori servizi per l'infanzia e per l'assistenza agli anziani, alle persone non autosufficienti, nonché a quelle portatrici di handicap.
Chiediamo, quindi, al Governo di potenziare, conformemente agli obiettivi europei, le politiche attive per l'occupazione e per l'inclusione sociale, con particolare attenzione alla condizione femminile e alle discriminazioni che ancora oggi le donne subiscono nel campo sociale ed in quello lavorativo, andando a verificare la possibilità di prevedere anche degli incentivi per sostenere le imprese che assumono le donne, soprattutto nel Mezzogiorno d'Italia dove il tasso dell'occupazione è ancora troppo, troppo basso.
Infine, vi è l'invito a rilanciare una strategia di sostegno e di incentivo all'imprenditoria femminile, in modo tale da non disperdere le grandi potenzialità dimostrate nel corso degli anni dall'applicazione della legge n. 215 della 1992.
Anche da questo punto di vista, chiediamo da parte del Governo l'impegno a verificare la possibilità di rifinanziare la legge n. 215, affinché anche l'imprenditoria femminile (che comunque sta segnando un netto miglioramento, perché sempre più donne diventano imprenditrici) possa effettivamente rappresentare il fiore all'occhiello per l'occupazione anche femminile (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. L'onorevole Piffari ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/123.

Pag. 117

SERGIO MICHELE PIFFARI. Signor Presidente, ho presentato un ordine del giorno legato al rinvio delle class action che vorrei chiamare, in italiano, «azioni di classe», o meglio ancora «azioni di popolo» e, magari, se le avessimo nominate «azioni di people» avrebbe suonato meglio e non sarebbe sembrato troppo comunista. Di fatto, questo provvedimento economico finanziario è un provvedimento di rigore (molto rigore), che prevede parecchi tagli alla spesa pubblica e determina sacrifici in comparti strategici come la giustizia, le forze dell'ordine e lo stesso personale che deve combattere l'evasione fiscale. Dunque, con tale provvedimento abbiamo tagliato in parecchi punti. Si è anche detto - o almeno è quanto ho letto - che non si vogliono mantenere tutte le promesse elettorali, o perlomeno che, nei prossimi tre anni, l'abbassamento delle tasse non avverrà.
Il mondo dell'impresa non sarà aiutato economicamente; mentre troviamo aiuti del tipo: «Vedete di arrangiarvi, cercate di ritornare a qualche economia non sempre legittima o legale, perché non siamo in grado di darvi un aiuto». Questo vale per il mondo dell'impresa o delle partite IVA e vale per il mondo dei lavoratori.
Ma cosa ha a che fare con tutto ciò un provvedimento di rinvio riguardante un istituto di tutela che in Europa di fatto è previsto da una decina di anni, dal momento che dal maggio del 1998 è stata approvata una direttiva europea? Queste azioni di gruppo hanno guadagnato popolarità in tutta l'Europa e in tutto il mondo occidentale, mentre qui ancora non riescono ad affermarsi.
Abbiamo trovato delle motivazioni o, almeno, abbiamo letto le dichiarazioni dei Ministri per la pubblica amministrazione e l'innovazione e dell'economia e delle finanze, gli onorevoli Brunetta e Tremonti: dobbiamo fare le cose meglio e, quindi, cosa facciamo a tal fine? Rinviamo, stabiliamo di non dare ancora attuazione a tale istituto. Abbiamo interpretato quest'azione come se fosse un conflitto tra consumatori o risparmiatori, come se fosse un problema delle imprese che rischiano, forse, di dover pagare per qualche violazione commessa nel tempo.
Ad ogni modo, si tratta di un provvedimento in vigore da centottanta giorni; non è una legge approvata dopo un esame approfondito in queste aule (benché in dieci anni più Governi abbiano tentato di elaborare una legge di questo tipo), ma si tratta di una disposizione inserita nella legge finanziaria dello scorso anno. Ritengo, tuttavia, che fosse opportuno attuare questo istituto e, in corso d'opera, eventualmente, provvedere ad emanare un provvedimento migliore.
Non cambio casa finché non ho una casa nuova: cerco di stare sotto un tetto. In questo caso avevamo indicato un tetto, non solo a vantaggio dei consumatori o dei risparmiatori. Pensiamo soltanto a quanto è successo nel mondo della sanità con l'immissione sul mercato di farmaci infetti. Abbiamo trasmesso a migliaia di cittadini italiani epatiti o altre malattie di questo tipo e sappiamo quanti anni sono durate le cause, prima, dei singoli e, poi, in forma un po' più associata. Nel frattempo, qualcuno è deceduto e non ha potuto ottenere giustizia per il danno che il Governo, in questo caso, quindi, un'amministrazione pubblica, ha prodotto attraverso provvedimenti che all'epoca erano illeciti (mi riferisco al caso dell'immissione di farmaci non controllati sul mercato).
Ma potremmo guardare al mondo del lavoro, a quanto accaduto a Porto Marghera o nel settore dell'amianto quando già avevamo segnali per cui si trattava di settori nocivi alla salute pubblica: eppure, nonostante questo, abbiamo lasciato che tali attività proseguissero per ragioni di tutela di grandi imprese che al momento di rispondere del proprio operato fanno marcia indietro.

PRESIDENTE. La invito a concludere, onorevole Piffari.

SERGIO MICHELE PIFFARI. Spero che questo rinvio di sei mesi non sparisca nell'oblio, così come spero che il mio ordine del giorno non finisca ammassatoPag. 118in un angolo. Spero che sia un arrivederci e che, tra sei mesi, il Governo e i Ministri che si sono presi questo impegno lo portino a termine e, quindi, si giunga ad una riconsiderazione del provvedimento con il consenso di tutto il Parlamento (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. L'onorevole Monai ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/121.

CARLO MONAI. Signor Presidente, signor sottosegretario e cari colleghi, intervengo per illustrare l'ordine del giorno n. 9/1386/121.
Sostanzialmente, l'oggetto di tale iniziativa politica fa perno sul piano-casa e sulla necessità che siano rafforzate le misure di contrasto alla difficoltà economica che attanaglia soprattutto le famiglie dei precari del mondo del lavoro.
Si tratta di un precariato causato da una politica del lavoro forse eccessivamente contraddistinta dalla flessibilità e dalla deregulation degli ultimi anni, che qualche tempo fa, con il precedente Governo Berlusconi, aveva suscitato commenti piuttosto sarcastici, che possono essere oggi evocati in relazione alla «politica Robin Hood» di Tremonti, se è vero che allora le iniziative del Ministro Maroni - che sul tema del lavoro avevano allargato le maglie della flessibilità e del precariato - gli avevano garantito la citazione di quel personaggio dei fumetti che in qualche modo lo paragonava ad un Robin Hood alla rovescia, cioè a colui che appunto ruba ai poveri per riconsegnare ai ricchi la loro ricchezza.
Ma tornando al tema: il precariato oggi è effettivamente una piaga sociale.
Secondo quanto risulta da uno studio compiuto nel 2006 da due ricercatori (uno dell'Istituto per lo sviluppo della formazione dei lavoratori e l'altro dell'Istituto nazionale di statistica) alla fine del 2006 erano circa 2.809.000 i lavoratori che, con forme contrattuali precarie, trovavano lavoro e occupazione provvisoria, così come altri 948.000 erano i lavoratori provenienti da esperienze lavorative precarie terminate e in cerca di nuova assunzione, per un totale quindi di oltre 3.750.000 lavoratori.
Sono lavoratori che, come sappiamo, a differenza degli altri lavoratori precari che si trovano nell'Unione europea, hanno stipendi mediamente più bassi e una garanzia sociale molto debole e molto flebile.
Da questo punto di vista il precariato è una piaga sociale, perché intacca la qualità della vita in termini di progettualità personale e sociale, comportando poche garanzie di ammortizzatori sociali e una sostanziale aleatorietà nella creazione di nuclei familiari e tanto più nella costruzione di una casa dove poter essere ospitati e progettare una famiglia.
Da questo punto di vista la politica che il Governo Berlusconi quater sta avviando con il decreto-legge n. 112 del 2008 è anche condivisibile, nella parte in cui rafforza - o meglio prosegue - il percorso tracciato proprio dal Ministro Di Pietro nel precedente Governo Prodi.
Ricordo che fu merito del nostro presidente se, con uno studio affidato a Nomisma, si svolse un approfondimento molto intenso sulle dinamiche dei costi delle abitazioni e sulla necessità di domanda di fasce svantaggiate della nostra comunità, sempre più larghe.
Grazie appunto al Ministro Di Pietro si è svolta, nel settembre 2007, una conferenza nazionale sulle politiche abitative, che ha consentito di mettere davanti a tutti il problema della casa, della tensione abitativa e anche di individuare le soluzioni a tale problema così pressante.
In 12 punti del nuovo piano-casa di Di Pietro sono stati individuati vari terreni di azione: ad esempio, il programma straordinario triennale per l'edilizia agevolata pubblica, l'individuazione dei meccanismi di esenzione fiscale e di incentivo fiscale per chi loca a prezzi calmierati i suoi immobili, la possibilità di riqualificare il tessuto urbano squalificato o abbandonato (penso ai molti edifici demaniali, anche militari, non più necessari: soprattutto nella mia regione, il Friuli Venezia Giulia, ve ne sono moltissimi ancora da riconvertire).

Pag. 119

PRESIDENTE. La invito a concludere.

CARLO MONAI. Da questo punto di vista, quindi, vi è la necessità di quel fondo destinato a garantire ai precari la fruibilità di mutui garantiti in maniera più solida di quanto loro stessi non possano ottenere dalle banche e la necessità di un intervento del Governo più focalizzato su questa tematica, a garanzia del bene casa per tutti (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. L'onorevole Garofalo ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/109.

VINCENZO GAROFALO. Signor Presidente, signor sottosegretario, gentili colleghi, intervengo per illustrare un ordine del giorno il cui tema può apparire di interesse locale ma che, di fatto, non lo è per nulla, in quanto si riferisce ad un problema di carattere nazionale (relativo ad un servizio, appunto, di carattere nazionale), il cui disagio, però, viene a ricadere esclusivamente su una porzione del nostro Paese.
Con questo ordine del giorno, infatti, intendiamo richiamare l'attenzione del Governo sulla situazione nella quale interi e popolosi quartieri di Messina si trovano a convivere, a causa della particolare funzione che viene svolta da Messina e dal proprio porto per garantire la mobilità dei veicoli e delle merci tra la Sicilia e il continente.
Ogni anno, sono 850 mila circa i veicoli industriali e 2 milioni e 700 mila le vetture che attraversano le strade messinesi - ormai insufficienti - per raggiungere gli approdi ed imbarcarsi sulle navi-traghetto che attraversano lo stretto. Il traffico generato da tali veicoli si aggiunge, pertanto, a quello locale nelle stesse strade, creando particolari condizioni di elevato rischio, causando incidenti a volte, purtroppo, mortali e procurando uno stato di insicurezza nei cittadini, che ne condiziona la mobilità e, quindi, la vita quotidiana.
Per tutto quanto illustrato, si rendono indispensabili ed indifferibili le opere individuate, che sono in particolare due: la prima, per separare il traffico locale da quello originato dalla funzione di collegamento che Messina svolge da decenni con grandi sacrifici di tutti i messinesi e la seconda, per realizzare l'ampliamento dell'approdo di emergenza esistente a sud della città - nella frazione Tremestieri - costruito grazie ad un precedente accordo di programma. Con tali opere, si completerà il processo di delocalizzazione degli approdi per le navi-traghetto e, quindi, si allontaneranno alcuni veicoli dal tessuto urbano.
Peraltro, l'importanza e la gravità della situazione messinese è stata già riconosciuta dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, che ha dichiarato lo stato di emergenza ambientale, emanando un proprio decreto nel settembre 2006. In attuazione del citato decreto nel dicembre 2007, il Presidente del Consiglio dei ministri ha nominato il prefetto di Messina quale commissario delegato per l'attuazione di urgenti interventi volti a fronteggiare l'emergenza.
Per consentire, quindi, l'attività già avviata dal prefetto, chiediamo con insistenza al Governo un impegno tendente a sostenere finanziariamente il programma di opere che sono contenute nell'ordinanza urgente di protezione civile e che sono indispensabili - come già detto - a ripristinare condizioni di vita accettabili in tutti quei quartieri che, oltre ad essere ad alta densità abitativa, sono caratterizzati, come è noto, da alta vulnerabilità sismica.
Garantire sicurezza e standard di vita normali è la base necessaria per promuovere sviluppo e modernità. Il Governo, con il provvedimento in esame, all'articolo 11, comma 4, attribuisce una significativa priorità alla risoluzione dei problemi di mobilità urbana. Proprio per tale motivo, riteniamo giusto ribadire al Governo la richiesta di sostenere l'intero programma di opere, che consentiranno alla città di Messina ed ai propri abitanti di riconquistare un livello di qualità di vita da anni sacrificato, per garantire ad un enorme quantità di veicoli il transito per il collegamento tra la Sicilia ed il continente.

Pag. 120

PRESIDENTE. L'onorevole Cazzola ha facoltà di illustrare l'ordine del giorno Antonino Foti n. 9/1386/104, di cui è cofirmatario.

GIULIANO CAZZOLA. Signor Presidente, signori sottosegretari, intervengo per illustrare l'ordine del giorno Antonino Foti n. 9/1386/104. Tra le tante cose meritevoli, il decreto-legge n. 112 del 2008 ha abrogato la legge n. 188 del 2007, che imponeva a tutti i lavoratori, che intendessero volontariamente risolvere il rapporto di lavoro, di rassegnare le dimissioni avvalendosi di un modulo numerato e di validità limitata nel tempo, allo scopo dichiarato di combattere il fenomeno delle cosiddette dimissioni in bianco.
I firmatari dell'ordine del giorno - cioè chi vi parla, il presidente Saglia e l'onorevole Antonino Foti - condividono tale abrogazione, in quanto la legge citata finiva per sottoporre tutti i lavoratori dimissionari ad adempimenti burocratici pensati per contrastare casi e comportamenti scorretti, però limitati ed eccezionali.
Poiché su questa abrogazione l'opposizione ha sollevato diverse critiche, intendiamo dimostrare, con l'ordine del giorno in esame, che l'ordinamento legislativo vigente prevede idonei strumenti normativi e processuali atti a tutelare pienamente le lavoratrici ed i lavoratori eventualmente costretti a subire le succitate pratiche scorrette. Riteniamo che ulteriori interventi legislativi sarebbero inutili e controproducenti perché riprodurrebbero i medesimi inconvenienti lamentati per effetto della legge 17 ottobre 2007, n. 188.
Il problema, signor Presidente, a nostro avviso, può benissimo essere risolto in via amministrativa. L'ordine del giorno in esame invita infatti il Governo ad impartire, nelle forme idonee, specifiche direttive affinché le direzioni provinciali del lavoro protocollino e conservino, garantendo la riservatezza verso terzi dei dati sensibili e dei fatti in essi contenuti, gli eventuali atti di autocertificazione inviati tramite raccomandata postale con avviso di ricevimento, con i quali le lavoratrici e i lavoratori dichiarino di aver dovuto sottoscrivere atti di dimissioni «in bianco». Le direzioni provinciali del lavoro dovrebbero poi restituire copie di tali atti, debitamente certificate dagli uffici preposti alla conservazione, a semplice richiesta del dichiarante o di un suo delegato, come documentazione di prova affinché questi siano eventualmente in grado di difendere i propri diritti in sede giudiziale o extragiudiziale.
Come vedete, signor Presidente, signori sottosegretari, si tratta di una proposta concreta che può risolvere il problema lamentato senza l'enfasi propria di una legge che costringa tutti ad adempimenti cui non sarebbero normalmente tenuti.

PRESIDENTE. L'onorevole Taddei ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/30.

VINCENZO TADDEI. Signor Presidente, onorevoli sottosegretari, onorevoli colleghi, intervengo per illustrare un ordine del giorno che fa riferimento, in particolare, alle misure contenute nell'articolo 81 del decreto-legge in esame. Come ben noto, tale articolo fa riferimento alla coltivazione di idrocarburi nel nostro Paese. Su questo tema specifico, vorrei ricordare che, proprio nel nostro Paese, c'è una piccola regione, la Basilicata, che offre, ormai da anni - più esattamente, da oltre un decennio - circa il 74 per cento della produzione nazionale di idrocarburi. Tale produzione è garantita dall'ENI con i pozzi che attualmente gestisce in Basilicata.
Nel 2010 è previsto che la multinazionale Total, tramite accordi fatti alcuni anni fa, possa aumentare la produzione di circa - così si dice -180 mila barili al giorno che nel 2010 verranno estratte dal territorio lucano. Nel frattempo sono pendenti circa 43 autorizzazioni di ricerca, che riguardano, insieme alle estrazioni petrolifere, circa il 70 per cento del territorio lucano: la Basilicata si avvia quindi, in buona sostanza, a diventare una groviera. Si dice che nei prossimi anni si arriverà a circa 450 mila barili al giorno di estrazione petrolifera, il che senz'altro contribuirà in maniera significativa all'abbattimentoPag. 121della bolletta petrolifera del nostro Paese. La Basilicata, purtroppo, mentre ciò accade, conserva una serie di indicatori economici estremamente negativi quali la povertà e la disoccupazione in aumento, lo spopolamento in atto e una politica - portata avanti dalle istituzioni locali e in particolare dalla regione - che certamente non agevola la soluzione di tali problemi.
Con l'ordine del giorno in esame chiediamo al Governo un sostanziale riconoscimento di quanto la Basilicata offre alla comunità nazionale, attraverso almeno la diminuzione dei prezzi di quelli che sono i prodotti petroliferi, estratti in questa nostra regione.
Si chiede che il Governo prenda atto di questa situazione e che dia sostanzialmente un contributo alla soluzione dei problemi della nostra regione, perché la comunità regionale, in questo momento, assiste al fatto che, a fronte di una grande ricchezza nel sottosuolo, purtroppo, drammaticamente, nel soprasuolo accade ben altro.
Ritengo che le popolazioni lucane non potranno assistere inermi all'ulteriore estrazione di petrolio senza averne alcun beneficio. Pertanto, vi sarà l'esigenza di acquisire un consenso sociale rispetto a quello che accadrà nei prossimi anni, nel momento in cui saranno concluse le ricerche che in questo momento si stanno operando sul territorio lucano. Senz'altro avremo altre estrazioni petrolifere e credo che, a fronte di ciò, vi sia anche la necessità di acquisire un consenso sociale che man mano, purtroppo, sta drammaticamente diminuendo nella regione Basilicata.
Tuttavia, credo che sia opportuno e necessario che nella prossima manovra finanziaria, o in altri provvedimenti che il Governo vorrà adottare nei prossimi mesi, venga presa in debita considerazione questa problematica e si dia una risposta positiva alla comunità della Basilicata.

PRESIDENTE. L'onorevole Cimadoro ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/130.

GABRIELE CIMADORO. Signor Presidente, signori rappresentanti del Governo, l'ordine del giorno a mia firma n. 9/1386/130 ha una difficoltà: parla di energia. Quest'ultima è una delle grandi difficoltà del nostro Stato ed è anche a causa di questo che ci troviamo in difficoltà economiche e non riusciamo a far quadrare i conti, per cui quando ci si muove in questo ambito è ovvio che bisogna usare la delicatezza del caso, la delicatezza che il Governo in questa circostanza non ha dimostrato.
La competitività del nostro Paese e la sua capacità di reggere il confronto con gli altri partner europei si misura principalmente sulla capacità di produrre e gestire energia. Tale capacità ha assunto oggi un rilievo strategico ancora più decisivo rispetto agli ultimi decenni. L'energia, la sua produzione, la sua distribuzione e controllo, è la questione del nuovo millennio: i destini, non solo del nostro Paese, ma del mondo intero, così come lo conosciamo, sono legati alla questione energetica.
Sappiamo quanto sia rilevante l'apparizione sullo scenario mondiale di nuovi potenti ed aggressivi protagonisti, basti pensare a due nazioni come l'India e la Cina, più sub-continenti che nazioni vere e proprie: proprio questi nuovi protagonisti richiedono quantità di energia enormi per sostenere il loro sviluppo. Recentemente, a livello internazionale, è emersa chiaramente l'impossibilità di arrivare ad un accordo generale proprio per l'indisponibilità dei nuovi protagonisti asiatici.
L'Europa, così come la conosciamo oggi, è nata nell'ottica di salvaguardare la competitività dei suoi membri di fronte ad un mercato mondiale troppo vasto perché ognuno di essi singolarmente possa riuscire a competere. Oggi il processo di integrazione europeo sta drammaticamente rallentando: mentre si estendono i confini, si marcano però tra i partner storici le difficoltà e le caratterizzazioni nazionali. Manca, tra le altre, una politica comune sull'energia, mancano investimenti e progetti comuni.Pag. 122
L'Italia non ha proprie risorse energetiche sufficienti, compra energia ed è in ritardo culturalmente sull'utilizzo delle energie rinnovabili. In luogo di investimenti sullo sviluppo di nuove fonti energetiche, si rispolverano e si propongono, a fasi alterne, interventi sullo sviluppo del carbone e del nucleare. È fondamentale chiedersi quale sia il ruolo del nostro Paese nel nuovo scenario mondiale: non può essere una domanda retorica. Come si possa costruire una nuova prospettiva energetica per l'Italia è una domanda a cui la politica deve saper dare una risposta concreta e realmente praticabile.
Enormi flussi di ricchezza e, dunque, di potere di scelta, si stanno muovendo in questi anni: non si tratta sempre di un movimento coerente; lo stesso allargamento dei confini della democrazia comporta costi enormi e sacrifici necessari su cui bisogna riflettere perché sarà soprattutto l'occidente e le sue aeree più deboli a pagarli.
Il dottor Scaroni, in una recente audizione presso la X Commissione, ha fornito un dato allarmante: i nove Paesi produttori di petrolio, i più importanti Paesi produttori di petrolio sul continente, anche a scarsa democrazia, riusciranno nei prossimi vent'anni a produrre un utile di 18 mila triliardi - non riesco neanche a pronunciarlo - di euro.
Questo potere in mano a Paesi con una scarsa democrazia, probabilmente, causerà qualche problema. L'affermazione del potere, del diritto-dovere di scelta per i «nuovi cittadini» che acquisiscono oggi tale dimensione, comporta - non possiamo dimenticarlo - anche una redistribuzione della ricchezza e della sua gestione; la produzione e i consumi si stanno diversificando, si stanno spostando, trovando nuovi luoghi di creazione e di gestione.
L'aumento dei consumi, dei livelli di istruzione, ed anche, come detto, l'affermazione del metodo democratico, a cui non sempre si accompagna fisiologicamente l'affermazione della cultura della democrazia, nonché l'estensione della rivendicazione della capacità di scelte responsabili in Paesi dall'enorme potenziale di crescita, determina una nuova cartina geografica delle forze e degli interessi e, inevitabilmente, una nuova distribuzione delle energie disponibili.
In quest'Aula, recentemente, è stato affermato, da un importante esponente del Governo, che il mondo sta cambiando; è stata fatta una panoramica estesa ed articolata di questi cambiamenti, senza precisare, però, rispetto alla questione energetica, intendimenti sufficientemente chiari rispetto al ruolo del nostro Paese in questo mutato scenario.
L'esempio è stato fatto dal Ministro Tremonti, quando, rispetto ad una richiesta di reinserimento di fiscalità che il petrolio riusciva ad ottenere rispetto alla speculazione, bisognava far fronte in qualche modo.
Arrivo alla conclusione, signor Presidente. Entriamo nel tema specifico, saltando alcuni passaggi: la legge n. 481 del 1995, all'articolo 2, istituiva l'Autorità di garanzia, prevedendo che «in nessun caso, le nomine possono essere effettuate in mancanza del parere favorevole espresso dalle predette Commissioni a maggioranza dei due terzi dei componenti». Questo perché, signor Presidente...

PRESIDENTE. La prego di concludere.

GABRIELE CIMADORO. Tutto ciò nel tentativo di rendere l'organo, per quanto possibile, soggetto terzo effettivo di garanzia. Vorrei chiedere al Governo, e l'ordine del giorno n. 9/1386/130 ne è la sintesi, di rispettare le scadenze naturali per le cariche dell'Authority sull'energia, di intervenire, nel rispetto delle proprie competenze, per salvaguardarne e garantirne la piena autonomia ed indipendenza, e di assumere le iniziative di sua competenza... (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Cimadoro. Aveva già esaurito prima il suo tempo.
L'onorevole Nunzio Francesco Testa ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/164.

Pag. 123

NUNZIO FRANCESCO TESTA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevoli rappresentanti del Governo, il decreto-legge n. 112 del 2008, in sede di conversione in legge, al termine dell'iter emendativo, stabilisce, al comma 19 dell'articolo 61, che per gli anni 2009, 2010 e 2011 la quota di partecipazione per le prestazioni ambulatoriali specialistiche per gli assistiti non esentati è abolita. Bene, perché, con questo articolo, si cancellerebbe definitivamente il ticket, che è un prelievo istituito nel marzo del 1989, rispetto al quale si sono succeduti e inseguiti ciclicamente decreti-legge, indirizzi ministeriali, norme e disposizioni, fino alla proposizione nella finanziaria 2007.
Considerando, però, che sono necessari, per l'abolizione del ticket, circa 834 milioni di euro, a fronte dei 400 stanziati dal Governo, la restante somma dovrà essere reperita dalle regioni. Tra i suggerimenti del Governo c'è quello di ridurre del 20 per cento le retribuzioni dei dirigenti sanitari, dei direttori generali e di altre figure di comparto. Bene anche questo, però, con questi provvedimenti, non si riescono a reperire più di 15-20 milioni di euro; la verità è che mancano all'appello ancora circa 420 milioni di euro. E qui le cose si complicano, perché il comma 21 del medesimo articolo dà la possibilità alle regioni di decidere di applicare in misura integrale o ridotta la quota di partecipazione abolita, ovvero altre forme di partecipazione dei cittadini; il che significa, alla fine, che il ticket dovrà essere reinserito, forse non su queste visite specialistiche, ma su altre prestazioni.
Vi è infatti la espressa e fondata preoccupazione da parte delle regioni virtuose di avere delle ripercussioni sui bilanci extrasanitari; e ne sono prova le parole del presidente Formigoni, che dice che le condizioni economiche illustrate dal Governo sono non solo inaccettabili, ma soprattutto insostenibili. Immaginiamo invece cosa succede nelle regioni poco virtuose, che nel corso degli anni hanno consolidato un debito, uno stato deficitario delle finanze, e con le quali era stato concordato un piano di rientro: parlo della regione Lazio e della Sicilia in testa, a seguire poi la Campania, la Calabria e il Molise, e così via (tutte regioni comunque del centro-sud). In queste ultime infatti si dovrà non solo tagliare per rientrare nel debito pregresso, ma tagliare ancora per il ridimensionamento del Fondo sanitario. Per queste regioni, ad osservare meglio, la strada del ticket non solo si prospetta necessaria, ma in qualche caso potrebbe anche risultare insufficiente, e ciò indurrebbe - cosa inaccettabile - il taglio di alcuni servizi.
Ma la più evidente conseguenza di tutto questo è la incostituzionale disomogeneizzazione delle prestazioni sanitarie, che ha già preso le prime mosse con la regionalizzazione della sanità, e che metterebbe in discussione uno dei pilastri portanti, e cioè la legge n. 833 del 1978, quella della gratuità, dell'uguaglianza e della universalità delle prestazioni sanitarie.
Il decreto-legge in discussione non va sicuramente in questo senso. Ci saranno quindi regioni che avranno il ticket e regioni che non hanno il ticket; e la cosa più grave ancora è che in tutto questo il cittadino sarebbe il più penalizzato, perché pagherebbe non solo un ticket iniquo rispetto ad altre regioni, ma soprattutto potrebbe rischiare di non avere nel novero tutte le prestazioni elargite dalle altre regioni.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

NUNZIO FRANCESCO TESTA. Concludo. Per questo motivo con l'ordine del giorno in esame chiediamo al Governo di intraprendere ogni iniziativa necessaria ad evitare ulteriori mortificazioni del settore sanitario, e di avere particolarmente un riguardo per le regioni che presentano situazioni contabili critiche (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).

PRESIDENTE. L'onorevole Bucchino ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/24.

GINO BUCCHINO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, decine di migliaia diPag. 124pensionati italiani residenti all'estero hanno ricevuto e stanno ricevendo una lettera dell'INPS con la quale viene chiesta la restituzione di somme indebitamente percepite e contestate dall'istituto previdenziale in seguito agli accertamenti reddituali effettuati in occasione delle campagne reddituali all'estero del 2002 e del 2004-2005. Di norma si tratta di indebiti che si sono costituiti perché nostri connazionali hanno nel tempo riscosso importi pensionistici superiori al dovuto a causa del ritardo con cui l'INPS ha acquisito le informazioni reddituali degli interessati, e quindi effettuato il ricalcolo delle prestazioni legate al reddito.
I ritardi dell'INPS sono la conseguenza della farraginosità e della sporadicità con le quali vengono effettuati gli accertamenti reddituali dei pensionati residenti all'estero (l'ultima rilevazione riguarda gli anni 2004-2005), e del complicato iter procedurale che queste rivelazioni comportano. In Italia invece le campagne reddituali devono essere e vengono effettuate ogni anno. Gli importi da restituire variano da poche centinaia ad alcune migliaia di euro. L'impatto economico, umano e psicologico sui pensionati, i quali ricevono le lettere di recupero da parte dell'INPS, è devastante, considerate le precarie condizioni economiche degli interessati aventi diritto a prestazioni legate al basso reddito, e soprattutto la loro totale buona fede, che esclude la presenza di dolo. Si sottolinea che in taluni casi alcune sedi provinciali dell'INPS intimano che le restituzioni degli importi deve avvenire in un'unica soluzione tramite bonifico entro 60 giorni dalla data di ricezione della lettera raccomandata, e che se non dovesse essere rispettata tale scadenza sarà dato corso all'azione legale per il recupero coattivo delle somme indebite.
Fino all'anno scorso, su richiesta di alcuni parlamentari eletti all'estero, dei patronati e delle forze rappresentative dei nostri emigrati, l'INPS aveva sospeso la richiesta di restituzione delle somme erogate indebitamente, in attesa di una legge di abbandono del recupero degli indebiti pensionistici sulla quale - voglio precisarlo - esiste un'intesa unanime. È utile ricordare che nella XIV legislatura era stato presentato in Parlamento, dopo l'approvazione da parte del Consiglio dei ministri, un disegno di legge finalizzato a sanare le situazioni debitorie nei confronti di soggetti che avevano percepito indebitamente, ma senza dolo, prestazioni a carico dell'INPS per i periodi dal 1o gennaio 2002 al 31 dicembre 2003. Il disegno di legge si sarebbe applicato anche alle pensioni in convenzione e ai titolare di pensione italiana residenti all'estero, ma non fu neanche discusso in Aula.
Purtroppo, anche nella precedente legislatura il Parlamento italiano si è dimostrato insensibile alla problematica ed ha ignorato le giuste richieste delle collettività italiane all'estero. Infatti, l'emendamento alla legge finanziaria per il 2008 relativo ad una sanatoria degli indebiti pensionistici presentato da alcuni parlamentari eletti nella circoscrizione Estero non è stato accolto. Voglio ricordare che in una recente sentenza la Corte costituzionale ha sostenuto il principio dell'importanza dell'affidamento dei pensionati al diritto di non dovere restituire trattamenti pensionistici indebitamente percepiti in buona fede, principio che, secondo la Corte, è tanto più meritevole di tutela ove si tratti di pensionati a reddito non elevato, che destinano le prestazioni pensionistiche, pur indebite, al soddisfacimento di bisogni elementari, propri e della famiglia. Con l'ordine del giorno n. 9/1386/24 che abbiamo presentato, impegniamo il Governo a predisporre un provvedimento legislativo che preveda una sanatoria degli indebiti pensionistici a carico di pensionati residenti all'estero in assenza di dolo e in presenza di determinati limiti reddituali. La sanatoria prospettata potrebbe rappresentare l'ultimo condono relativo agli indebiti pensionistici dei residenti all'estero, dal momento che è allo studio un provvedimento amministrativo che, riformando e sistematizzando con cadenza annuale le procedure relative alla rilevazione dei redditi dei pensionati residenti all'estero, eliminerà, a regime, le cause che provocano l'insorgere delle situazioni debitorie. ConcludoPag. 125rimarcando che l'abbandono del recupero degli indebiti pensionistici a carico dei nostri connazionali residenti all'estero è, senza ombra di dubbio, una delle rivendicazioni più importanti ed urgenti invocate dalle nostre collettività emigrate. La sua attuazione rappresenterebbe un segnale di sensibilità e di attenzione di questo Parlamento nei riguardi di decine di migliaia di cittadini italiani residenti all'estero, ai quali questo Governo ha finora riservato solo tagli di spesa e politiche restrittive (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. L'onorevole Burtone ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/51.

GIOVANNI MARIO SALVINO BURTONE. Onorevole Presidente, il finanziamento del Sistema sanitario nazionale deve essere perimetrato in relazione ai bisogni di salute e deve cogliere l'obiettivo di garantire l'erogazione delle prestazioni assistenziali a tutti i livelli territoriali. Il DPEF appena pubblicato indica una sostanziale stabilizzazione delle risorse in rapporto al PIL tra il 6,8 al 6,9 per cento per il triennio 2009-2011, un dato inferiore a quello dei nostri principali partner europei. Non vi è dubbio che la spesa va tenuta sotto controllo e che vanno ridotti sprechi ed inefficienza, ma la frenata determinata dal Governo fa correre il rischio di ripercussioni molto serie nel finanziamento del Sistema sanitario nazionale.
Infatti, va sottolineato che l'indebitamento grave di alcune regioni nel settore sanitario ha avuto come base anche il sistematico sottofinanziamento del comparto negli anni 2001-2005. Sottofinanziamento e sprechi hanno dunque determinato, in alcune regioni, una vera e propria voragine dei conti nella sanità. Per porre nel tempo a risanamento i conti della spesa sanitaria nelle regioni più indebitate, il Governo Prodi aveva varato nella precedente legislatura, d'intesa con le suddette regioni, il Patto per la salute, con l'obiettivo di intervenire in maniera seria, dal punto di vista del sostegno finanziario, con un aumento consistente del Fondo sanitario nazionale e con l'individuazione di contributi straordinari, ma anche con la definizione di procedure di forte rigore e di rigido controllo delle attività di gestione sanitaria.
Dunque il patto per la salute ha rappresentato e rappresenta in modo chiaro la volontà e la determinazione di definire regole e risorse certe per il sistema sanitario pubblico, universalistico e solidale. Se i finanziamenti però non vengono mantenuti adeguati per salvaguardare i livelli essenziali di assistenza e nel contempo per definire un piano di risanamento, si corre un duplice rischio: si mette in discussione il pieno riconoscimento del diritto universale alla salute a favore dei cittadini su tutto il territorio nazionale e il risanamento dei disavanzi da parte delle regioni più deboli finanziariamente e di quelle meno virtuose.
Il nostro ordine del giorno ha dunque l'obiettivo di impegnare il Governo a definire con certezza le risorse adeguate per un settore delicato quale quello sanitario, in considerazione dell'attuazione di politiche di rigore, ma anche al mantenimento dei diritti di cittadinanza, come il diritto alla salute. Un impegno ben diverso da quello del Ministro Sacconi che in un'intervista ha parlato di «neocolonizzazione» del Mezzogiorno. Lo voglio dire con grande franchezza, siamo stanchi di questo approccio nordista del Governo; ciò vale per la sanità, per l'istruzione, per le infrastrutture, settori in cui a prevalere solo gli interessi del nord. Dovrebbe ben sapere il Ministro Sacconi che i modelli che lui cita - ad esempio, quello lombardo e quello veneto - si sono retti e si reggono sulla emigrazione, purtroppo, dal Mezzogiorno. Per questo motivo il nostro ordine del giorno assume un valore ulteriore: chiediamo il rispetto del patto per la salute soprattutto nel Mezzogiorno, che ha bisogno di investimenti e non di tagli (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

Pag. 126

PRESIDENTE. L'onorevole Antonino Russo ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/257.

ANTONINO RUSSO. Signor Presidente, l'ordine del giorno sostanzialmente chiede all'Aula tutta, anche se può apparire un paradosso, e all'intera compagine del Governo - anche in tal caso può sembrare un paradosso - di condividere una triplice richiesta di impegno che ha comunque un comune denominatore: il superamento dei problemi che si sono venuti a creare con la chiusura delle graduatorie ad esaurimento. Più nello specifico chiediamo di superare alcune irrazionalità, alcune incongruenze che determinano anche ingiustizie e discriminazioni oltre che un insensato spreco di risorse e di energie formate e professionalizzate.
Tengo a sottolineare ciò perché non ci sono piaciute alcune dichiarazioni sulla stampa di ieri. Parliamo di quindicimila specializzandi che nella prossima primavera conseguiranno l'abilitazione, a dispetto delle nuove procedure sulla formazione iniziale che dovranno ancora essere approvate dal Parlamento. Questi insegnanti, quando conseguiranno l'abilitazione, avranno svolto 1200 ore di corso post-universitario, di cui 400 di tirocinio nelle scuole, valutati da personale esperto, supervisori e tutors, contrariamente a quanto si evince dalle dichiarazioni un po' disinvolte e alquanto superficiali del Ministro Gelmini rese pubbliche sul Corriere della Sera di ieri.
Per essere ancora più chiari, i docenti che hanno frequentato i corsi abilitanti all'insegnamento secondario, quali le scuole di specializzazione per l'insegnamento secondario (SISS), i corsi biennali accademici di secondo livello ad indirizzo didattico (COBASLID), i corsi di didattica della musica e di strumento musicale presso i conservatori di musica e il corso di laurea in scienza della formazione primaria, nell'anno accademico 2007-2008, rischiano nella sostanza di non vedere riconosciuto l'impegno e gli sforzi sostenuti per la frequenza di tali corsi. Noi questo non lo possiamo tollerare né condividere.
C'è poi un secondo tema, quello dei docenti di strumento musicale (Classe A077) che hanno subito una grave discriminazione, in quanto, pur avendo maturato i 360 giorni di servizio previsti, non hanno avuto l'opportunità di conseguire l'abilitazione e conseguentemente di inserirsi nelle graduatorie permanenti, rese ad esaurimento dalla legge n. 296 del 2006.
Infine, vi è la terza questione che è più specifica e meno ampia. Per una differente interpretazione di scadenze sull'inserimento nelle graduatorie, alcuni docenti precari hanno proposto ricorso al TAR avverso l'esclusione, ottenendo con ciò l'inclusione con riserva nei corsi abilitanti e l'inserimento con riserva nelle graduatorie permanenti, rese anche queste ad esaurimento dalla legge n. 296 del 2006.
Con riferimento agli aspetti che ho evidenziato vi sono già precedenti interventi bipartisan che offrono una soluzione positiva. Innanzitutto, vi è l'atto Camera 2272-ter dello scorso anno, già approvato da una Camera, che prevedeva l'inserimento dei docenti di strumento musicale nelle graduatorie permanenti; purtroppo, l'interruzione della legislatura ha comportato l' interruzione anche dell'iter di questo provvedimento. Vi è poi il precedente della settimana scorsa, anch'esso bipartisan, di un atto approvato, o meglio, recepito dal Governo al Senato che trae origine da due proposte emendative simili presentate, una dal Partito Democratico, in particolare da Rusconi e Legnini, l'altra dal Popolo della Libertà, in particolare da Di Stefano e Valditara. Al Senato alla fine sono riusciti a trovare una sintesi che noi auspichiamo ci sia anche in quest'Aula. Si tratta, infatti, non di provvedimenti ideologici che gratificano una parte della società, bensì di interventi che permetterebbero di sanare e di dare delle prospettive più certe di futuro a 15 mila persone che sono altamente professionalizzate e che possono dare impulso alla scuola.
Per questo, chiediamo, e chiederemo domani con più forza, all'intera Aula diPag. 127condividere questo ordine del giorno e al Governo di accettarlo, così come è già accaduto al Senato.

PRESIDENTE. L'onorevole Causi ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/202.

MARCO CAUSI. Signor Presidente, da alcuni anni i Governi che si sono succeduti alla guida della Repubblica, indipendentemente dal loro orientamento politico, sono accomunati da un vero e proprio accanimento terapeutico nei confronti della finanza comunale. Si tratta di un comparto che non vale più del 7 per cento sul totale delle spese della pubblica amministrazione, ma a suo carico, nel corso degli anni, sono stati posti obiettivi di contenimento ben superiori a quelli richiesti ad altri settori.
La tendenza è chiara e la si può leggere sui dati di lungo periodo. Nel 1990 la spesa dell'intera pubblica amministrazione, al netto degli interessi, era pari al 43 per cento del PIL, oggi è pari al 44 per cento; nello stesso periodo la spesa regionale è cresciuta di più di un punto di PIL, da meno dell'8 per cento a più del 9 per cento; la spesa dei comuni, invece, si è ridotta dal 4,5 al 4 per cento perdendo mezzo punto di PIL.
Cosa sta dietro queste tendenze? Certamente la spesa sanitaria è la voce più espansiva degli ultimi diciotto anni, anche per effetto della mutata composizione demografica della popolazione e dell'aumento dell'offerta di cura, oltre che di assetti gestionali non uniformemente efficienti sul territorio nazionale. Al tempo stesso è interessante notare che la spesa delle pubbliche amministrazioni centrali non si è ridotta in quota sul PIL, mentre una contrazione rilevante è stata imposta ai comuni, che oggi gestiscono risorse inferiori come quota sul prodotto nazionale del 10 per cento rispetto a quelle di diciotto anni fa.
Negli ultimi tre anni la «dieta ipocalorica» imposta ai comuni ha assunto dimensioni assolutamente rilevanti: il comparto è passato da un deficit di 3,7 miliardi ad un avanzo di 325 milioni di euro, dando così un contributo importante al contenimento dei saldi di finanza pubblica, diversamente da quanto accaduto per regioni e sanità. Le terapie che il Governo centrale ha somministrato si sono basate su sistematiche sottostime dei provvedimenti compensativi posti in essere a fronte della riduzione dei trasferimenti ovvero, al contrario, di sottostime dei trasferimenti compensativi a fronte della riduzione dell'ICI. Sappiamo che la storia si sta ripetendo in questi giorni perché l'originaria copertura di 2,6 miliardi di euro si è rivelata in pochi giorni ampiamente insufficiente a saldare il fabbisogno reale, che è ben superiore a tre miliardi di euro.
La manovra triennale contenuta nel decreto-legge n. 112 in continuità con il passato prevede per i comuni un contributo ai saldi di finanza pubblica pari a 1,3 miliardi di euro nel 2009, a 2,37 miliardi di euro nel 2010 e a 4,15 miliardi di euro nel 2011.
Visto che il comparto parte oggi da una posizione di sostanziale pareggio, il Governo progetta di destinare una parte consistente e crescente nel tempo delle risorse che i comuni hanno in entrata non già al finanziamento della spesa locale, ma al risanamento della finanza pubblica. Poiché le risorse in entrata per i comuni non hanno prospettive di crescita (dopo il blocco dell'addizionale e l'abolizione dell'ICI sulla prima casa), il progetto rischia di avere effetti davvero perversi. I comuni, infatti, non potranno fare altro che ridurre l'offerta di servizi, ovvero aumentarne drammaticamente il costo tariffario.
Su questa prospettiva il Partito Democratico vuole lanciare con questo ordine del giorno un forte grido di allarme. Chiediamo a tutte le componenti politiche presenti in Parlamento di aderire affinché il Governo si impegni, già con la prossima legge finanziaria, a garantire almeno il mantenimento degli attuali livelli di servizio ai cittadini. Quelli erogati dai comuni, infatti, sono servizi pubblici essenziali: si pensi ai trasporti, all'ambiente, all'acqua, all'illuminazione, alla manutenzionePag. 128del territorio, alla sicurezza, agli asili nido e all'assistenza agli anziani. Si pensi, inoltre, agli investimenti infrastrutturali per i quali i comuni contano per più del 40 per cento sul totale della pubblica amministrazione e si trovano impegnati, in particolare nelle più grandi città del Paese, nella realizzazione di opere di importanza storica, soprattutto nel settore del trasporto ecosostenibile.
Il Partito Democratico ritiene che l'intonazione fortemente centralistica della politica economica proposta dal Governo con questa manovra vada velocemente ribaltata nella direzione di un convinto e definitivo investimento politico sui governi di prossimità. Un investimento sulle autonomie locali che naturalmente non deve soltanto comportare certezza delle risorse, ma anche il completamento di un processo di riforma istituzionale da troppo tempo iniziato e ancora non concluso (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. L'onorevole Lenzi ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/58.

DONATA LENZI. Signor Presidente, colleghi, intervengo per illustrare l'ordine del giorno n. 9/1386/58 che, aggiungendosi a quelli di altri colleghi, riguarda il tema della condizione dell'invalidità. Eduardo De Filippo ha intitolato una volta una sua commedia famosa Gli esami non finiscono mai e per gli invalidi gli esami non finiscono mai. Salvo qualche rara eccezione per alcune tipologie di malattia, in tutti gli altri casi gli esami si fanno, sottoponendosi a commissioni ai sensi della legge n. 104 del 1992, per l'invalidità, per l'accompagnamento, per la legge n. 68 del 1999 e per ogni genere di possibilità di ricevere qualche cosa dallo Stato.
Questa vostra previsione normativa prevede per 200 mila invalidi come minimo la sottoposizione ad un nuovo esame. Non è la prima volta che ciò succede ed è già capitato altre volte con esiti peraltro molto scarsi, perché in realtà dovremmo combattere alla radice l'idea così diffusa che riuscire ad ottenere un po' di soldi dallo Stato non è un errore (tantomeno un reato), ma un atto di furbizia. Purtroppo, però, i pochi furbi danneggiano la condizione dei tanti che vivono una vita quotidiana dura, difficile e in condizioni di malattia, per i quali essere sottoposti ad ulteriori esami e visite mediche è un vero tormento.
D'altronde, ciò fa parte del disegno di tutto il provvedimento, nel quale sembra si debbano combattere le situazioni dei lavoratori con un reddito fisso, dei pensionati e di chi riceve una pensione d'invalidità di 246 euro come hanno già ricordato altri colleghi.
Quindi, si sottopone a verifica chi chiede gli sconti in base al redditometro e all'ISEE, mentre si tagliano le indennità per la malattia ai lavoratori del pubblico impiego.
Dall'altra parte, invece, si permette di evadere, chiudendo tutti e due gli occhi, si eliminano possibilità di controllo (come quella costituita dal libro clienti e fornitori), si modifica il limite per la tracciabilità (fissato in 12 mila 500 euro) e si introducono altre misure.
Evidentemente, a vostro avviso i controlli contro l'elusione vanno compiuti nei confronti dei soggetti che, ricevendo un sussidio dallo Stato, più di quello non possono fare e di sicuro non hanno conti in Svizzera.
Noi abbiamo chiesto e proposto, invece, che si agisca sull'aumento delle indennità, che è veramente vergognoso. È già stato ricordato anche questo aspetto e quindi non lo ripercorrerò, ma si tratta di una cifra talmente bassa, che non permette sicuramente di poter far fronte al minimo di esigenze vitali. Certo, ciò deve avvenire all'interno di un quadro coraggioso di riordino delle provvidenze in questo settore, in modo organico, non estemporaneo, non casuale e non penalizzante per chi soffre davvero (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. L'onorevole Servodio ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/219.

Pag. 129

GIUSEPPINA SERVODIO. Signor Presidente, onorevole sottosegretario Vegas, ho avuto l'impressione e la certezza che, durante la discussione sulle linee generali, in quelle ore così tarde della scorsa settimana, lei abbia riposto una grande attenzione sui temi che abbiamo proposto e che attraversano il sistema dell'agricoltura italiana.
Con il mio ordine del giorno n. 9/1386/219 non proponiamo un intervento privilegiato per le imprese agricole e neppure uno settoriale: vogliamo impegnare il Governo ad aprire finalmente anche alle imprese agricole il Fondo per il salvataggio e la ristrutturazione delle imprese in difficoltà, istituito con decreto-legge nel 2005, che è stato autorizzato da parte dell'Unione europea. Quest'ultima ha visto in questo Fondo la possibilità di intervenire soprattutto nei processi di ristrutturazione delle filiere e dei distretti produttivi e, quindi, lo ha considerato non come un aiuto di Stato, ma come un intervento per favorire un processo non solo di salvataggio dei livelli occupazionali, ma di ristrutturazione delle aziende all'interno di un processo produttivo nuovo. Nella citata delibera - lo ricordo al sottosegretario Vegas - il CIPE determina alcuni criteri, affermando chiaramente che questi fondi possono essere utilizzati per le aziende con dimensioni rilevanti (che abbiano non meno di 200 dipendenti), ma aggiungendo che esso può essere utilizzato anche per quelle imprese che, con un numero di dipendenti non inferiore a cinquanta, operano all'interno di filiere o di distretti produttivi.
Qui ci siamo, nel senso che le imprese agricole italiane, per fortuna, in questi anni hanno compiuto una serie di sacrifici e di passaggi importanti per essere inserite all'interno di filiere produttive agroalimentari. Desidero ricordare al sottosegretario che questo Fondo - che è stabilito per tutte le imprese - non è stato mai utilizzato per le imprese agricole. Non voglio tornare sugli aspetti che abbiamo illustrato in sede di discussione sulle linee generali, ma a tale riguardo chiediamo l'impegno del Governo non solo per sostenere economicamente questo Fondo (che, ricordo, è stato finanziato per 15 milioni di euro per l'anno 2007 e per 35 milioni di euro per gli anni 2008-2009) con ulteriori finanziamenti, ma anche per considerare la possibilità di una sua utilizzazione (prevista nell'ambito dei criteri che la delibera CIPE ha indicato) anche per le aziende agricole. Tralascio di sottolineare come l'agricoltura rappresenti un comparto essenziale per l'economia di questo Paese e come rappresenti, anche per le famiglie italiane, uno strumento per poter affrontare le difficoltà relative al proprio reddito: se, infatti, abbiamo un'agricoltura che, alla fonte, è sana e produttiva, essa rappresenta indirettamente anche un aiuto per le famiglie italiane.
Quindi, signor sottosegretario, noi non chiediamo un intervento settoriale, ma chiediamo che finalmente l'agricoltura italiana sia considerata al pari delle altre imprese italiane e che, dunque, questo fondo sia messo a disposizione.
Noi chiediamo una cifra di almeno 10 milioni di euro; pertanto, lascio alla sensibilità del Governo di accogliere quest'ordine del giorno, che è una risposta molto politica, con la «P» maiuscola, al sistema agroalimentare italiano (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. L'onorevole Brandolini ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/220.

SANDRO BRANDOLINI. Signor Presidente, signor sottosegretario, gli intenti erano certamente condivisibili, ossia intervenire per la crescita e la competitività di questo Paese.
Questo provvedimento, a dire il vero, è stato anticipato da un altro provvedimento, che doveva servire a migliorare le condizioni degli italiani che stavano peggio, che hanno di meno.
Il Ministro Tremonti si è inventato, fra le altre cose, la Robin tax. Ebbene, spesso la realtà anticipa e supera la fantasia, mentre dovrebbe avvenire il contrario.
In questi giorni, sugli schermi inglesi è in programmazione un nuovo film suPag. 130Robin Hood. Cambia le carte in tavola: Robin Hood non ruba più ai ricchi per dare ai poveri, ma ruba per sé.
Infatti, penso che la Robin tax serva al Ministro, eventualmente per i conti dello Stato, ma certamente non serve e non aiuta chi è in difficoltà.
Inoltre, questo provvedimento nel titolo stesso prevede il sostegno allo sviluppo e alla competitività, anzi questi erano e sono gli obiettivi dichiarati che giustificano o dovrebbero giustificare il provvedimento d'urgenza. Purtroppo, però, abbiamo visto tutt'altro nel corso della discussione che non c'è stata, fase in cui avremmo potuto, in modo serio e rigoroso, contribuire per migliorare il provvedimento e sostenere lo sviluppo economico e la competitività, in un momento di particolare difficoltà per il Paese e in un contesto internazionale non favorevole per l'economia dei Paesi cosiddetti sviluppati.
Ma se sviluppo economico e competitività erano obiettivi dichiarati del provvedimento, se l'intento era veramente il sostegno della crescita, allora sarebbe stato indispensabile, e lo rimane tuttora, accompagnare le misure di carattere generale, come quelle contenute nel provvedimento per quanto riguarda il sostegno allo sviluppo, con misure mirate a sostegno dei sistemi produttivi.
Quindi, il mio ordine del giorno, il n. 9/1386/220, entra nel merito di uno dei sistemi produttivi, quello agroalimentare, che rappresenta senz'altro una risorsa strategica per il nostro Paese.
Peraltro, voglio sottolineare che il settore agroalimentare è secondo solo al settore metalmeccanico, per quanto riguarda il valore delle esportazioni.
Il settore agricolo attraversa una fase di preoccupante perdita di competitività, dovuta sia a fattori congiunturali, sia a fattori strutturali.
La concentrazione dell'offerta rappresenta la principale misura per fronteggiare la crisi strutturale del settore agricolo, per accorciare la filiera e quindi ridurre i costi dalla produzione al consumo, per accrescere il potere contrattuale dei produttori agricoli, che sono spesso alla mercé della grande distribuzione o, comunque, di soggetti internazionali ben più potenti e, pertanto, non riescono a valorizzare e a vendere in modo adeguato i loro prodotti. Questo non si ripercuote peraltro, in riduzione dei prezzi per i consumatori, in quanto vi è un ricarico esagerato.
La principale risposta, il principale strumento per l'aggregazione del mondo agricolo è storicamente rappresentato - ancora oggi è uno dei suoi elementi fondamentali - dall'associazionismo cooperativo che, con la normativa attuale, non può beneficiare del meccanismo premiale previsto dai commi che vanno dal 242 al 249 della legge finanziaria per il 2007, che aveva appunto l'obiettivo di incentivare la giusta spinta all'aggregazione delle imprese, assicurando nel biennio 2007-2008 uno sconto fiscale.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

SANDRO BRANDOLINI. Questo meccanismo non incide in alcun modo sulle cooperative che realizzano le medesime operazioni societarie, in quanto la legge ad esse applicabile non permette di avere questi benefici. Riteniamo, quindi, necessaria una norma, i cui effetti siano identici a quelli dei commi che vanno dal 242 al 249 della legge finanziaria per il 2007 previsti per le società di capitale che sia in grado di essere applicabile anche alle cooperative.

PRESIDENTE. Onorevole Brandolini deve concludere.

SANDRO BRANDOLINI. Chiedo quindi che il mio ordine del giorno n. 9/1386/220 sia accolto dal Governo, ponendo in essere il primo provvedimento utile per superare le condizioni di difficoltà del mondo agricolo.

PRESIDENTE. L'onorevole Fiorio ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/221.

MASSIMO FIORIO. Signor Presidente, la questione dell'estensione della disciplinaPag. 131delle prestazioni occasionali di tipo accessorio in agricoltura è una questione controversa, lunga e non ancora chiarita. Non si tratta ora di farne una cronistoria ma con questo ordine del giorno n. 9/1386/221 si chiede un chiarimento.
Nel cosiddetto Protocollo sul welfare, approvato il 23 luglio del 2007, il Governo e le parti sociali sottoscrivevano un accordo che prevedeva, tra l'altro, l'avvio di una sperimentazione dei cosiddetti voucher in ambito agricolo e in particolare e limitatamente per quello che riguarda le attività di raccolta. Il fine era quello di sperimentare se tale strumento offrisse un'opportunità e consentisse per i lavori di breve durata ad aziende agricole di svolgere le attività di raccolta nella piena regolarità; si sarebbe poi verificata l'efficacia di tale strumento che eventualmente si sarebbe esteso e stabilizzato.
Sul finire della scorsa legislatura, il Ministro Damiano, al termine del confronto condotto sul tavolo di lavoro tra il Ministero del lavoro e il Ministero dell'agricoltura, definiva attraverso un decreto le regole e le condizioni per i cosiddetti «buoni vendemmia» da utilizzarsi appunto nelle raccolte vendemmiali, laddove, per breve periodi, vi fosse stato bisogno celermente di manodopera per consentire di terminare i lavori.
Nella prima versione del decreto-legge in oggetto si prevedeva l'estensione indistinta dell'uso di questo strumento a tutti i lavori stagionali in agricoltura e, quindi, di fatto a tutti i lavori in agricoltura. Tale estensione è apparsa eccessiva perché tale impostazione avrebbe costituito una deregolamentazione del lavoro dipendente in agricoltura, settore che in molte parti di questo Paese deve essere oggetto di particolare attenzione perché fenomeni di caporalato, se non addirittura di schiavismo, sono tutt'altro che immaginari. Conosciamo benissimo le inchieste condotte da Amnesty International, così come quelle del settimanale L'espresso, che ci hanno rivelato come in molte aree d'Italia lo sfruttamento e le condizioni di irregolarità nell'agricoltura rappresentano una situazione drammatica. Ora scopriamo che nelle correzioni al maxiemendamento le prestazioni occasionali di tipo accessorio in agricoltura sono giustamente ridimensionate e, tuttavia, ciò ci appare come una retromarcia addirittura maggiore rispetto alla situazione approvata nella scorsa legislatura. Chiediamo con questo ordine del giorno n. 9/1386/221 di chiarire quale sia l'ambito di utilizzazione di questo strumento e di interpretare tale norma, che appare oggettivamente mal formulata, secondo la finalità prevista dal decreto approvato sul finire della scorsa legislatura. È di questi giorni l'approvazione in varie regioni delle convenzione locali con l'INPS e l'INAIL al fine di predisporre le regole nei vari territori viticoli di questo Paese.
Uno stravolgimento della norma sarebbe vanificare tutto quel lavoro che permetterebbe di avere quest'anno delle vendemmie condotte nella regolarità. Ciò che lascia davvero con l'amaro in bocca è il fatto che il settore dell'agricoltura venga trattato in questa maniera, e che si possa con disinvoltura, rispetto ad una situazione delicata come quella della manodopera nel settore, avere un atteggiamento così fluttuante. Proprio una settimana fa il ministro Sacconi sosteneva che la possibilità di estendere le prestazioni occasionali di tipo accessorio in agricoltura sarebbe stata una sterzata d'innovazione all'intero comparto. Le vicende successive insegnano che si può avere un atteggiamento ideologico come si è avuto in questo caso, perché diventa poi difficile sostenerlo e si è costretti a fare marcia indietro, travolgendo quel buono che si è fatto passo dopo passo.
Credo che, se vogliamo dare credito all'agricoltura per affrontare con serietà la criticità, non si possa che chiedere determinazione, sensibilità, ma anche conoscenza (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. L'onorevole Marco Carra ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/196.

MARCO CARRA. Signor Presidente, noi abbiamo già avuto modo in queste settimane,Pag. 132in queste ore, di esprimere una valutazione complessiva sul provvedimento in esame. Si tratta di una valutazione negativa, non in termini pregiudiziali, ma che deriva dalla consapevolezza che con questo provvedimento il Paese vivrà sicuramente una fase di arretramento culturale, sociale ed economico. Sono queste le ragioni di fondo che ci hanno portato a condurre una forte opposizione in Aula, che stiamo estendendo e che continueremo ad estendere nel Paese, tuttavia un'opposizione costruttiva, nonostante la mortificazione che avete inflitto alla Camera attraverso il ricorso alla fiducia.
Se poi si entra negli elementi di dettaglio della manovra si scoprono scelte pesanti per quanta riguarda tutta una serie di politiche. Mi riferisco a sforbiciate senza né capo né coda, figlie di un'improvvisazione creativa estremamente preoccupante. Ebbene, il trasporto pubblico locale non sfugge a questa logica. L'ordine del giorno che presentiamo parte da quanto di estremamente positivo ha prodotto il Governo Prodi in accordo con le regioni, gli enti territoriali e le parti sociali. È stato, quell'accordo, il frutto di una pratica a voi sconosciuta, al centrodestra sconosciuta, che porta il nome di concertazione. Tale accordo è stato siglato in piena coerenza con il Titolo V della Costituzione e assicurava risorse per il trasporto pubblico locale, sia per migliorare la qualità del servizio, sia per ammodernare gli automezzi. Sono scelte che partivano dall'assunto che il trasporto pubblico locale significa servizio anche di carattere sociale. Basti pensare al trasporto di milioni di pendolari, lavoratori e lavoratrici, pensionati, studenti (quegli studenti che si guadagnano la promozione sul campo e che non hanno bisogno di essere coperti da padri importanti), insomma le categorie sociali più in sofferenza in materia di mobilità.
Trasporto pubblico locale significa migliorare la qualità della vita e dell'ambiente, come ha ricordato questa mattina molto bene il collega Realacci, ed è un comparto che va sostenuto ed incoraggiato con politiche pubbliche serie e concrete, anche alla luce degli impressionanti aumenti dei costi energetici che stanno mettendo in ginocchio le società di gestione. Penso ad esempio alla società mantovana, l'APAM Spa, ma come essa molte altre società pubbliche italiane soffrono questo particolare momento di difficoltà. La finanziaria per il 2008, in altre parole l'accordo siglato dal Governo Prodi, prevedeva investimenti ingenti (oltre 240 milioni di euro per l'anno in corso, 264 per l'anno prossimo e 284 milioni per il 2010) oltre all'introduzione di un meccanismo basato sulla compartecipazione all'accisa sul gasolio per autotrazione.
La manovra in esame penalizza il trasporto pubblico locale perché non individua risorse sufficienti né per garantire servizi né per il rinnovo del contratto nazionale di lavoro degli autoferrotranvieri (basti ricordare lo sciopero di alcuni giorni fa).
L'ordine del giorno n. 9/1386/196, rispetto al quale ci auguriamo che possa esserci una vasta convergenza in Parlamento, chiede pertanto al Governo di recuperare il terreno perso e, cioè, risorse finanziarie per favorire un accordo con le regioni, con gli enti territoriali, con le parti sociali e per migliorare il trasporto pubblico locale e la definizione del rinnovo contrattuale dei lavoratori del settore (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. L'onorevole De Torre ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/267.

MARIA LETIZIA DE TORRE. Signor Presidente, onorevole rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, l'ordine del giorno n. 9/1386/267 è volto a portare in evidenza nell'agenda politica del Parlamento e del Governo una questione particolare, ma fondamentale della scuola italiana: la presenza nelle classi degli alunni con disabilità che da trentuno anni, quindi dal 1977, con la legge 4 agosto 1977, n. 517, che chiuse gli istituti speciali, sono tutti in aula, accanto ai loro compagni. Chi c'era, allora, ricorda quellaPag. 133scelta come una grande conquista che - come disse l'allora Ministro dell'istruzione Falcucci - ebbe la forza di «cambiare profondamente la scuola italiana». E cambiò anche la cultura del Paese che aperse gli occhi sulla segregazione di ragazzi disabili in istituti che ora non riusciremmo neppure a concepire e imparò che l'accoglienza vera - quella cioè fatta con preparazione, con professionalità, con strumenti adeguati - non solo non va temuta, ma è un valore aggiunto. Fu così che dopo le prime proteste dei genitori che non volevano mandare i loro figli a scuola con i diversi, proprio come ora talvolta avviene con gli alunni immigrati, tutti imparammo che i nostri figli crescendo insieme diventavano donne e uomini migliori, con un grado di istruzione non compromesso, ma anzi più completo, più aperto alle difficoltà reali della vita, con un'esperienza che li rendeva forti anche di fronte alle tipiche difficoltà dell'adolescenza. Accompagnava questa operazione un impegno straordinario e appassionato di tanti docenti e la produzione di pensiero da parte di molti intellettuali che contribuirono a plasmare la cultura di accoglienza nel nostro Paese.
Ecco, questa dimensione della scuola inclusiva italiana, ancora unica nel suo modello e studiata a livello internazionale, non vive di inerzia: è il momento in cui se alla stessa non si dedicano adeguate energie, essa rischia di scivolare all'indietro.
Inoltre, nella scuola di oggi tanti studenti manifestano difficoltà specifiche di apprendimento, come dislessia, disgrafia, discalculia, iperattività, particolari difficoltà di relazione. Per queste specifiche difficoltà oggi sono a disposizione molte più strategie e strumenti didattici, ma la scuola non vi è ancora sufficientemente preparata. È richiesto, dunque, un forte impegno di formazione. Il Governo Prodi, cogliendo queste emergenze, raccogliendo la voce di tanti docenti e di tante famiglie aveva avviato un piano consistente che agiva su più fronti.
Ebbene, ora, nel terremoto che questa manovra provoca alla scuola italiana, in particolare per il taglio di centomila docenti, questi temi sono andati in fondo all'agenda. Anzi, forse, sono proprio usciti dall'agenda politica. Tra quei centomila docenti saranno senza dubbio tanti gli insegnanti di sostegno e, in assenza di un piano di miglioramento - che ovviamente andava fatto prima dei tagli! - verrà compromesso il lavoro di tante istituzioni scolastiche. I Comuni, vedendosi operare così consistenti tagli, non avranno risorse per fare la loro parte per i minori con disabilità. Verranno lasciate sole tante famiglie con il proprio fardello di fatica e sofferenza. Le differenze diverranno disuguaglianze. Questo ordine del giorno chiede, quindi, con forza al Governo di considerare come prioritaria l'integrazione degli alunni con disabilità e con difficoltà specifiche di apprendimento, di mettere in atto una politica di miglioramento che porterà certamente anche ad un uso non solo più efficiente, ma soprattutto più efficace della spesa, ma che porterà come principale effetto quello di far crescere tutta la scuola, come è già stato trent'anni fa.
L'ordine del giorno in oggetto chiede, in particolare, che venga rispettato il decreto ministeriale n. 141 del 1999, che prevede un numero massimo di venti alunni per classe, in presenza di disabili gravi e gravissimi eventi, e quando gli alunni con disabilità sono due e, comunque, anche in casi in di lieve disabilità indica che la classe non può superare i venticinque alunni. Chiede che le scuole siano «sbarrierate», che i libri di testo siano fruibili sin dall'inizio dell'anno dagli alunni con particolari necessità.
Chiede ancora, questo ordine del giorno, che vi sia una formazione continua di tutto il personale della scuola (nell'anno scolastico in corso il piano I care sta interessando oltre 1.700 scuole e se esso proseguisse, cioè se il Governo lo rifinanziasse, in cinque anni potrebbero essere raggiunte tutte, dico tutte, le scuole italiane) e chiede una formazione specifica e diversificata per le varie disabilità, per quegli insegnanti che la legge n. 517 del 1977 denominava non «insegnanti di sostegno», ma «insegnanti di sostegno all'integrazione», figure docenti, cioè, chePag. 134non si devono sostituire ai docenti di classe, che non portano fuori gli alunni in un'auletta a parte, ma che devono essere capaci di un ruolo di coordinamento e di consulenza per tutto il consiglio di classe e per l'istituzione scolastica e i rapporti con il territorio.
Il mio ordine del giorno chiede che nella futura formazione iniziale siano obbligatori per tutti gli aspiranti docenti corsi di didattica speciale. Basta docenti precari, che per gli alunni disabili sono particolarmente dannosi (e per questo era stata prevista via via la stabilizzazione di 90.000 docenti di sostegno).

PRESIDENTE. Deve concludere, onorevole De Torre.

MARIA LETIZIA DE TORRE. Sto concludendo: il mio ordine del giorno chiede, ancora, di favorire l'attuazione dell'intesa tra Stato, regioni ed enti locali stipulata il 20 marzo 2008 e che dovrebbe ora vedere una fase di accordi di programma regionali per un reale lavoro di rete tra scuola, sanità e sociale in ogni territorio.
Crediamo che un simile impegno non possa che vedere pienamente concorde il Governo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. L'onorevole Goisis ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/84.

PAOLA GOISIS. Signor Presidente, il crescente fenomeno dell'immigrazione ha modificato sensibilmente il modello organizzativo del sistema scolastico italiano e l'elevata presenza di alunni stranieri nelle singole classi della scuola dell'obbligo determina difficoltà oggettive, sia di insegnamento per i docenti sia di apprendimento per gli studenti.
D'altra parte, il diverso grado di alfabetizzazione linguistica si rivela un ostacolo per gli studenti stranieri che devono affrontare lo studio e gli insegnamenti previsti nei programmi scolastici, ma anche per gli alunni italiani, che assistono ad una penalizzante riduzione dell'offerta didattica, a causa dei rallentamenti degli insegnamenti, dovuti alle specifiche esigenze di apprendimento degli studenti stranieri.
Tale situazione è ancor più evidente nelle classi che vedono la presenza di studenti provenienti da diversi Paesi, le cui specifiche esigenze personali sono anche caratterizzate dalla diversità culturale del Paese di origine, tanto da indurre gli insegnanti ad essere più tolleranti e meno rigorosi in merito alle valutazioni volte a stabilire i livelli di competenza sulle singole discipline acquisiti dagli alunni stranieri rispetto agli alunni italiani.
La disomogenea distribuzione territoriale di alunni di cittadinanza non italiana è molto concentrata al centro-nord, mentre è scarsa al sud e nelle isole e interessa circa 37.000 punti di erogazione del servizio scolastico, rispetto ai 57.000 presenti in ambito nazionale.
La maggiore consistenza di alunni stranieri si trova nella scuola primaria e secondaria di primo grado. Abbiamo già detto che l'area del Paese con maggiore incidenza è appunto il nord, ma in modo particolare il nord-est. Le scuole, così, si trovano ad affrontare molte sfide: dall'insegnamento della lingua italiana ai bambini emigrati a percorso scolastico già iniziato, alla concentrazione di alunni stranieri in poche scuole.
Tutto ciò, purtroppo, crea una fuga dei bambini italiani, per la preoccupazione dei genitori, che vedono un abbassamento del livello di istruzione.
Le disposizioni ministeriali eludono, per certi versi, uno dei principi fondamentali dell'accoglienza, che presuppone l'inserimento dello studente straniero nei canali dell'integrazione.
Al riguardo, è sufficiente citare l'SOS lanciato da alcune scuole del quartiere San Salvario di Torino, che denunciano appunto la fuga degli scolari italiani dalle classi multietniche, con la conseguenza di non poter formare alcune classi prime con bambini italiani e, quindi, con la realtà che anche molti insegnanti devono essere licenziati.Pag. 135
Nei quartieri delle città caratterizzati dalla concentrazione abitativa di famiglie straniere, l'utenza italiana nelle scuole dell'obbligo si è assottigliata, vista la fuga silenziosa a causa del carente livello di didattica.
Un sondaggio, svolto dall'istituto Demos, indica che il 27 per cento dei veneti e dei friulani chiede aule separate per gli studenti stranieri, la cui media nazionale è del 18,3 per cento, ma nelle zone del nord-est arriva addirittura a superare, in alcune realtà, il 44 per cento.
Considerate tutte queste premesse, l'ordine del giorno in esame impegna il Governo a «valutare l'opportunità di rivedere il sistema di accesso degli studenti stranieri alla scuola dell'obbligo, autorizzando il loro ingresso previo superamento di test e specifiche prove di valutazione, disciplinate dalle singole regioni interessate, così come previsto dal terzo comma dell'articolo 117 della Costituzione, provvedendo all'istituzione di classi d'inserimento temporaneo, che consentano agli studenti stranieri che presentano un livello di alfabetizzazione della lingua italiana molto basso, di frequentare corsi di apprendimento della lingua italiana, nonché gli insegnamenti di base previsti dai vigenti programmi scolastici, preparatori e propedeutici all'ingresso nelle classi permanenti».

PRESIDENTE. La invito a concludere.

PAOLA GOISIS. Concludo, Presidente. L'ordine del giorno in oggetto impegna, altresì, il Governo «a formare e assegnare alle predette 'classi d'inserimento temporaneo' una quota del personale docente in soprannumero che si intende assorbire, al fine di creare da un lato un 'progetto ponte di integrazione' per l'inserimento definitivo degli studenti stranieri nelle classi con bambini italiani, dall'altro lato di evitare le cosiddette 'fughe multietniche' dei bambini italiani dalle scuole del quartiere di residenza».

PRESIDENTE. L'onorevole Braga ha facoltà di illustrare l'ordine del giorno Ginoble n. 9/1386/70, di cui è cofirmataria.

CHIARA BRAGA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'ordine del giorno che mi appresto ad illustrare riguarda l'ampio spettro di carenze in campo ambientale contenute nella manovra finanziaria presentata dal Governo. Nonostante i buoni propositi dichiarati in più occasioni dal Governo e, in particolare, dal Ministro dell'ambiente nelle sue linee programmatiche, i primi provvedimenti assunti dall'Esecutivo dimostrano la volontà di costruire, in campo ambientale, proposte di carattere propagandistico e mediatico, come i grandi proclami sul rilancio del nucleare, senza che queste posizioni siano supportate da un'adeguata valutazione delle reali condizioni di sostenibilità e di opportunità per il Paese. Per contro, assistiamo a preoccupanti arretramenti rispetto a politiche ambientali di lungo respiro, avviate dal precedente Governo, con l'obiettivo di stimolare nella cittadinanza e nel sistema articolato del Governo locale un'attenzione nuova e responsabile rispetto a problematiche che coinvolgono l'intero Paese.
Nel dire questo, mi riferisco non solo al decreto-legge in esame, ma anche al decreto-legge n. 93 del 1998, di cui è appena terminato l'iter di conversione al Senato, che ha azzerato i finanziamenti destinati a molti interventi di notevole rilevanza infrastrutturale e ambientale. Cito solo due esempi: sono state soppresse le risorse del Fondo per la forestazione e la riforestazione e per la riduzione delle emissioni di anidride carbonica (centocinquanta milioni di euro in tre anni), nonostante gli impegni assunti in ambito internazionale, che si sostiene di voler onorare. Sono stati cancellati gli stanziamenti per il Fondo per il ripristino dei paesaggi danneggiati da infrastrutture e abusi, destinato alla demolizione dei cosiddetti «ecomostri» (45 milioni di euro in tre anni), scelta che fa temere un abbassamento del livello di guardia e d'impegno nella lotta contro l'abusivismo e i comportamenti illeciti connessi, a favore della difesa del paesaggio.
Pertanto, in perfetta coerenza, in questo decreto-legge, con un emendamentoPag. 136del Governo, si cancella in larga misura la previsione delle disposizioni in materia di certificazione energetica degli edifici, facendo compiere un passo indietro all'impegno sul risparmio energetico e al processo di riqualificazione del mercato immobiliare. Tale misura, oltre a far rischiare al Paese una nuova procedura d'infrazione comunitaria, ha suscitato l'opposizione di molte regioni e province autonome che, già in questi anni, hanno introdotto, nel loro ordinamento, l'obbligo della certificazione energetica: mi riferisco a Bolzano, alla Liguria, all'Emilia Romagna e alla Lombardia, che è già arrivata a 45 mila edifici certificati. Si tratta di una scelta contrastata dalle stesse giunte regionali di centrodestra e definita dall'assessore della regione Lombardia, Buscemi, uno «scivolone», perché contraria alle direttive comunitarie e al percorso virtuoso intrapreso dalla regione.
Nello specifico, l'ordine del giorno in esame porta all'attenzione del Parlamento un tema di assoluta centralità nel dibattito ambientale, recentemente tornato agli onori della cronaca dopo gli eventi meteorologici particolarmente gravi avvenuti nelle scorse settimane in Piemonte e in Valtellina, oltre che, seppur in misura minore, nelle province di Como, Varese, Lecco e Sondrio: il tema del dissesto idrogeologico e della difesa del suolo.
In questo provvedimento nulla è previsto in termini di finanziamenti per questo settore che non può tornare ciclicamente all'attenzione solo quando si verificano eventi calamitosi i cui effetti negativi restano a lungo impressi nei territori e nella memoria di una popolazione. Non si tratta certo di un'emergenza nuova: emblematico è il caso della Valtellina, ben più drammaticamente colpita nel 1987, nuovamente e ripetutamente interessata in questi anni.
Da allora certamente molti passi in avanti sono stati fatti: ne è dimostrazione la maggiore efficacia con cui è stata gestita quest'ultima emergenza, grazie al coordinamento del Dipartimento nazionale della protezione civile e al rafforzamento del sistema di attori locali che, in questi anni, hanno investito energie e risorse e hanno maturato maggiore capacità di azione puntuale e tempestiva. L'auspicio è che la stessa prontezza venga garantita dal Governo nel trasferimento di risorse ai territori colpiti, per far fronte ai danni e agli interventi di ripristino che si renderanno necessari.
Questa mattina il sottosegretario Bertolaso, in un'audizione presso la Commissione ambiente, ha ricordato che i piani di assetto idrogeologico redatti dall'Autorità di bacino hanno evidenziato che, per garantire la messa in sicurezza dai rischi di dissesto idrogeologico delle sole regioni del centro-nord, occorrerebbero 27 miliardi di euro.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

CHIARA BRAGA. In una situazione in cui l'80 per cento del nostro Paese è soggetto al rischio di frane e alluvioni, è del tutto evidente che le risorse normalmente messe a disposizione dal livello centrale, risultino irrisorie e insufficienti per la programmazione di interventi strutturali in grado di stimolare l'apporto fondamentale delle istituzioni locali nelle scelte di Governo del territorio.
Pertanto, con l'ordine del giorno in esame, il gruppo del PD intende chiedere al Governo di dare attuazione alla dichiarazione di intenti a cui ci ha abituato, ripristinando in modo tempestivo, già nella prossima manovra di bilancio, risorse adeguate al sostegno delle politiche ambientali ed in particolare rivolte alla difesa del suolo e alla prevenzione del dissesto idrogeologico (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Narducci, che aveva chiesto di illustrare il suo ordine giorno n. 9/1386/64 e dell'onorevole Meta, che aveva chiesto di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/198. Si intende che vi abbiano rinunciato.
L'onorevole Rota ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/129.

Pag. 137

IVAN ROTA. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, nella sua essenzialità - anche per l'impegno richiesto al Governo - questo ordine del giorno evidenzia la questione che sta più a cuore agli italiani, quella del loro potere di acquisto e del problema legato alla loro busta paga. L'aumento dei prezzi erode il potere d'acquisto delle famiglie. Le retribuzioni unitarie medie dei lavoratori dipendenti non sono molto al di sopra del livello di 15 anni fa. Si tratta di affermazioni di Mario Draghi, Governatore della Banca d'Italia, nel corso del suo intervento all'assemblea annuale dell'ABI. Nel frattempo il costo del lavoro, per unità di prodotto nell'economia, è aumentato di oltre il 30 per cento, contro il 20 per cento circa della Francia e del mancato aumento in Germania. Questo divario tra la capacità di spesa dei lavoratori e la capacità competitiva dell'impresa riflette la stentata crescita della produttività. La mancata discesa dell'elevata imposizione fiscale è l'effetto dell'inflazione. Questi fattori sono alla base della stagnazione della nostra economia. Dobbiamo quindi constatare come negli ultimi anni, nel nostro Paese, si è verificato un continuo e costante innalzamento dei prezzi. Dall'estate del 2007 - da circa un anno quindi - tale fenomeno si è evidenziato, acutizzato ed è in continua crescita.
Parallelamente, abbiamo assistito e continuiamo ad assistere ad una crisi generalizzata dei mercati finanziari mondiali, che vanno a compromettere ulteriormente i redditi delle famiglie italiane, direttamente colpiti da tali fenomeni. Dal 2007 ad oggi - come ricordato anche dalla Banca d'Italia - si è arrivati ad una situazione insostenibile da parte delle famiglie, che si trovano un reddito disponibile di oltre un punto percentuale in meno o addirittura di tre punti percentuali se si considerano anche le perdite di valore della ricchezza finanziaria. Il ristagno dei consumi, poi, è diventato una costante del nostro sistema economico. Il rialzo dei prezzi continuerà ad erodere i consumi anche nel prossimo futuro.
Il sostegno ai salari e la regolamentazione efficace delle nuove tipologie contrattuali che contraddistinguono oggi il mercato del lavoro appaiono gli strumenti principali per ridare fiducia soprattutto ai giovani lavoratori e dunque slancio ai consumi.
All'interno di questa manovra e negli emendamenti apportati manca un aspetto, che è quello di dare un potere di acquisto ulteriore alle famiglie, un contenimento della precarietà dei giovani e un sostegno, che muove, però, dalla loro tranquillità da un punto di vista di potere di acquisto e del loro salario.
L'impegno che con questo ordine del giorno si chiede al Governo è di intervenire con necessità ed urgenza per mettere a punto strumenti adeguati, finanziariamente compatibili, a sostegno del reddito e dei salari dei lavoratori italiani. È un impegno chiesto dal sottoscritto, che ha presentato questo ordine del giorno, ma che, credo, sarà sicuramente sentito anche dal Governo, che non avrà problemi ad accettare questa formulazione (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. L'onorevole Razzi ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1386/126.

ANTONIO RAZZI. Signor Presidente, onorevole sottosegretario, onorevoli colleghi, premesso che esiste oramai da anni nel nostro Paese la necessità di regolamentare coerentemente la disciplina dei lavori usuranti, tale disciplina deve tenere conto della relazione che esiste tra lavori usuranti ed il pericolo concreto di incidenti sul lavoro.
È fondamentale investire le risorse necessarie per far crescere e per radicare definitivamente una diffusa cultura della prevenzione e della sicurezza sul lavoro. I controlli vanno intensificati e, contemporaneamente, andrebbero adottate tutte le misure necessarie per evitare la pericolosa, quanto inutile, sovrapposizione di competenze tra regioni e Stato nazionale, proprio nella fase dei controlli, lasciando che per omogeneità, e dunque efficacia diPag. 138intervento, sia soprattutto il Governo nazionale ad assumersene la maggiore responsabilità.
Nel decreto-legge alla nostra attenzione si interviene in più modi ed in maniera profonda sulla regolamentazione del mercato del lavoro, anche in relazione ad aspetti squisitamente contrattuali.
Il mio ordine del giorno impegna il Governo ad intervenire sulla disciplina dei lavori usuranti, comunque entro il 2008, recependo, in particolare, in materia di lavoro notturno, le definizioni più favorevoli ai lavoratori già presenti in alcuni contratti collettivi nazionali di lavoro.

PRESIDENTE. È così esaurita la fase dell'illustrazione degli ordini del giorno. Come convenuto nella Conferenza dei presidenti di gruppo, il seguito dell'esame degli ordini del giorno, a partire dall'espressione del parere da parte del Governo, è rinviato alla seduta di domani.

Integrazione nella composizione dell'ufficio di presidenza di un gruppo parlamentare (ore 21,24).

PRESIDENTE. Comunico che il presidente del gruppo parlamentare Misto, con lettera in data odierna, ha reso noto che la deputata Daniela Melchiorre è stata nominata vicepresidente del gruppo in rappresentanza della componente politica Liberal Democratici-Repubblicani.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Mercoledì 23 luglio 2008, alle 9,30:
Seguito della discussione del disegno di legge:
Conversione in legge del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, recante disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria (1386-A).
- Relatori: Zorzato, per la V Commissione e Jannone, per la VI Commissione.

La seduta termina alle 21,25.

ERRATA CORRIGE

Nel resoconto stenografico della seduta del 21 luglio 2008, a pagina 1, prima colonna, riga ventiduesima, il nome: «Schifani» si intende sostituito dal seguente: «Stefani».