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Resoconto dell'Assemblea

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XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 38 di venerdì 18 luglio 2008

Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROCCO BUTTIGLIONE

La seduta comincia alle 9,35.

GIUSEPPE FALLICA, Segretario, legge il processo verbale della seduta di ieri.

Sul processo verbale (ore 9,40).

FABIO EVANGELISTI. Chiedo di parlare sul processo verbale.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signori rappresentanti del Governo, stavo rileggendo il resoconto stenografico...

PRESIDENTE. Scusi, onorevole Evangelisti, lei è consapevole del fatto che l'articolo 32, comma 3, del Regolamento stabilisce che «sul processo verbale non è concessa la parola se non a chi intenda proporvi una rettifica, o a chi intenda chiarire il proprio pensiero espresso nella seduta precedente, oppure per fatto personale»? Il suo intervento ricade in uno di questi tre casi?

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, ne ho piena consapevolezza, la ringrazio. Rileggendo il resoconto stenografico delle concitate fasi procedurali in cui ieri ci siamo trovati, non volendo lasciare giammai il dubbio che qualcuno non mi abbia capito, ma semmai il dubbio di non essermi chiaramente espresso, volevo, signor Presidente, brevemente ricapitolare il mio pensiero, a chiarimento di quanto è stampato, in particolare alle pagine 44 e 45 del resoconto stenografico, per quanto attiene alle mie espressioni.
Ho cercato di precisare che ci troviamo innanzi ad una manovra finanziaria anticipata a luglio. Quindi, non solo il Documento di programmazione economico-finanziaria, ma l'intera manovra. Questa è la prima stranezza - consentitemi di chiamarla così - istituzionale e procedurale.
In secondo luogo, si tratta dell'ennesimo decreto-legge in poche settimane, che peraltro inizia il suo iter di conversione in un modo e poi lo finisce in un altro, con il solito sistema del maxiemendamento.
In terzo luogo, ci si avvale del singolare sistema del preannunzio della posizione della questione di fiducia, non della posizione effettiva della questione. Poi, per questa strada, avviene lo smembramento totale delle procedure.
Quindi, voglio chiarire una volta per tutte che il mio riferimento all'articolo 116 del Regolamento non può essere pretermesso, ovvero messo da parte. La posizione della questione di fiducia non può comprimere i tempi dell'esame e non può mai comportare la rinunzia alla fase della discussione generale. Sarebbe bene che questa avesse senso autentico e si riferisse al vero testo su cui poi si svolgerà la fase di votazione. Altrimenti pazienza - ho detto - ma mai vi rinunzieremo. Quello che intendo sottolineare con forza, signor Presidente, è questo: la discussione generale, ove anche riferita ad un articolo unico che poi viene modificato, perde sì parte del suo significato contenutistico, ma giammai - e lo ripeto con forza - quello procedurale e garantistico per le opposizioni.
Quindi, come è stato da più parti detto, ciò suggeriva - e suggerisce ancor più oggi - la somma opportunità del rinvio inPag. 2Commissione, e non soltanto al Comitato dei nove o, come nel caso specifico, al Comitato dei diciotto.
Tutto ciò perché venga registrato e messo a verbale. Un minuto dopo le chiederò, signor Presidente, di poter intervenire per un richiamo al Regolamento.

PRESIDENTE. Prendiamo atto della sua precisazione, che ricade esattamente nel secondo caso previsto dall'articolo 32, comma 3, del Regolamento.
Se non vi sono ulteriori osservazioni, il processo verbale si intende approvato.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che non vi sono ulteriori deputati in missione a partire dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente cinquantatré, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Seguito della discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, recante disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria (A.C. 1386-A) (ore 9,44).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, recante disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria.
Ricordo che nella seduta di ieri sono iniziati gli interventi in sede di discussione sulle linee generali.
Avverto che il Governo, con lettera a firma del Ministro dell'economia e delle finanze, ha trasmesso alla Presidenza alcune correzioni al testo dell'emendamento Dis 1.1, presentato lo scorso 16 luglio e dichiarato ammissibile nella giornata di ieri. Si tratta di modifiche volte a porre rimedio ad errori di natura tecnica o materiale, anche per correggere disposizioni viziate da profili di incoerenza ordinamentale o finanziaria e, in un caso, in relazione all'esigenza di adeguamento alla disciplina comunitaria, di cui il Comitato dei diciotto ha avuto modo di prendere visione. La trasmissione delle medesime ha luogo in modo formale da parte del Governo e, comunque, prima che il Governo medesimo abbia posto la questione di fiducia. Tali modifiche, il cui testo è in distribuzione, devono ritenersi apportate al maxiemendamento del Governo.

FABIO EVANGELISTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, avevo chiesto di parlare proprio su questo, poiché ero stato da poco informato della presentazione da parte del Governo di questi subemendamenti al maxiemendamento stesso. Le chiedo, signor Presidente, che cos'altro debbo dire di più offensivo di quello che ho già detto ieri a tal proposito, più di dirvi che siete confusi, che siete divisi, che siete pasticcioni, che siete degli arroganti? Ovviamente in questo caso le espressioni non sono rivolte alla Presidenza, ma ai rappresentanti del Governo, che piegano una volta di più al proprio interesse di parte il Regolamento, le norme, le procedure, la prassi e quant'altro. Insomma, questo Governo pensa di poter disporre a piacimento delle istituzioni.
Invito la Presidenza della Camera dei deputati a non sottostare a questi interessi particolari e di parte. Non si venga a direPag. 3che quelle proposte sono soltanto correzioni formali: infatti, in tal caso sarebbe stata sufficiente la formula che, alla fine di ogni discussione e prima di licenziare un testo da parte dell'Assemblea, il Presidente recita, chiamando la disponibilità dell'Assemblea tutta ad affidare alla Presidenza il coordinamento formale. Non ci troviamo in questo caso: siamo di fronte a dei veri e propri subemendamenti.
Pertanto, signor Presidente, chiedo a lei e anche agli uffici della Camera, sperando di essere ascoltato: ci sono dei precedenti in materia? Non è il caso che il Presidente della Camera si assuma la responsabilità di giudicare l'ammissibilità di questi subemendamenti?
Infine - l'ho già detto prima, l'ho già detto ieri e mi ripeto, a costo di essere noioso e antipatico - di fronte a questo ennesimo cambiamento in corso d'opera l'Italia dei Valori chiede il ritorno in Commissione del maxiemendamento e dei suoi subemendamenti. Siete arrivati al punto non solo di mettere in difficoltà i componenti del Comitato dei diciotto, ma di far dire al presidente della Commissione che si sente estremamente in imbarazzo (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

BRUNO TABACCI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BRUNO TABACCI. Signor Presidente, la lettera che lei ha letto non è un aggiustamento formale, riguarda una questione di sostanza. Tra l'altro proprio ieri mi era capitato, richiamando il Ministro Tremonti, di sollevare la questione della coerenza con le norme comunitarie...

ELIO VITO, Ministro per i rapporti con il Parlamento. Quindi va bene...

BRUNO TABACCI. Ho capito che va bene, ma non va bene come si procede, signor Ministro. E siccome l'avevo detto prima, non si procede così: mi dispiace, non si procede così. Lei non è stato in Commissione, abbiamo fatto anche tardi in Commissione, alcuni di noi non parlano certo a vuoto. Se segnalano un problema non è una svista, non è una virgola. Ancora ieri il relatore Zorzato ha spiegato che il vostro testo era il recepimento dell'emendamento Lanzillotta-Tabacci. Ma perché? L'incompetenza sfiora il ridicolo. Non solo non era il recupero di quell'emendamento, che sarebbe stato saggio, ma è una cosa diversa. Infatti incrocia le procedure comunitarie, soprattutto laddove si è infilata la questione delle società a capitale misto (esattamente la contestazione che ieri ho rivolto al Ministro).
Quindi non si tratta di una correzione formale, signor Presidente, è una correzione di sostanza, e non basta dire: avevi ragione, ci siamo sbagliati, abbiamo letto male. Ciò conferma quello che ho detto dall'inizio, cioè che una procedura che tende a sostituire il Parlamento per l'iniziativa del Governo sul terreno legislativo, che appare del tutto immotivata, non solo, ma anche sorretta da scarsa competenza, poi vi porta a fare queste figure, che però non sono un problema di rapporti personali, ma una questione istituzionale. Avete fatto un sacco di pasticci e continuate su questa strada, quindi non si venga a dire che Tremonti, siccome si è accorto, fa una correzione formale: questa è una correzione sostanziale, avete sbagliato clamorosamente. Non dovevate infilare dentro questo decreto-legge la riforma dei servizi pubblici locali, che andava ripensata all'interno di un procedimento legislativo corretto, ma siccome avevate fretta, siete come la gatta: avete fretta, fate i gattini ciechi, solo che paga il cittadino.
Vi sono molti altri pasticci, ma poiché non abbiamo fretta di svelarli in un colpo solo ve ne accorgerete nei prossimi mesi. Voi pensate che, facendo la voce grossa o dimostrando la vostra potenza di fuoco, in questo modo risolvete i problemi. Non è così: li complicate, e lo vedremo presto (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

RITA BERNARDINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

Pag. 4

RITA BERNARDINI. Signor Presidente, intervengo solo per far presente che il testo di queste modifiche non è in distribuzione né è disponibile per l'Aula.

ROBERTO GIACHETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà

ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, intervengo sulla questione precedente. Ci troviamo in una situazione paradossale, d'altra parte era facilmente prevedibile e non è detto - è ciò che temo - che ci fermiamo qui. Quando si scelgono delle strade che innovano - per usare un eufemismo - e cambiano sostanzialmente le nostre procedure per forzare fino all'inverosimile il dibattito e anche la possibilità per i deputati di affrontare, non dico con calma, ma con la necessaria attenzione le questioni che si trovano di fronte, poi non può che accadere questo.
È tutto figlio - signor Presidente, noi dell'opposizione avevamo cercato anche di stigmatizzarlo - di un'anomalia verificatasi alla nascita di questo procedimento. Quando si presenta un maxiemendamento sul quale si preannuncia la fiducia - un maxiemendamento che ha motivo e possibilità di essere presentato soltanto in ragione del fatto che si preannuncia la fiducia - prima che inizi una discussione generale, poi è inevitabile che qualunque tipo di aggiustamento e correzione in corso d'opera - che non a caso avviene magari perché durante il dibattito generale qualcuno interviene, e penso al collega Tabacci ma anche a tanti altri colleghi dell'opposizione intervenuti ieri - deriva dal fatto che il Governo si rende conto in corso d'opera di avere commesso qualche castroneria. La ragione per cui si separano le discussioni generali dalle discussioni sul complesso degli emendamenti è anche questa.
Avete voluto forzare, avete voluto presentare un maxiemendamento, per la prima volta, prima che iniziasse la discussione generale, solo che poi le conseguenze di quello che fate, signor Presidente, dovrebbero essere che, presentato il maxiemendamento per il quale si preannuncia la fiducia in attesa dell'ammissibilità da parte della Presidenza, se voi foste stati rigorosi fino in fondo, oggi il Governo non avrebbe potuto proporre questi subemendamenti, perché si sarebbe dovuta chiamare la fiducia immediatamente dopo l'ammissibilità da parte della Presidenza della Camera, cioè nella giornata di ieri.
Almeno abbiate il pudore di non venire a trattarci come se fossimo dei... lasciamo perdere! Venite a parlare di correzioni tecniche: Presidente, ma quali correzioni tecniche? Non sono palesemente delle correzioni tecniche, per le ragioni che anche il collega Evangelisti illustrava, cioè per la possibilità prevista dal nostro Regolamento, attraverso interventi dei relatori e della Presidenza della Camera, di apportare correzioni formali al testo. Queste non sono correzioni di tipo formale, sono correzioni di tipo sostanziale, alcune delle quali necessarie - come diceva il collega Tabacci - per porre riparo a un errore, ma è un piccolo riparo, se voi pensate a tutto quello che c'è qui dentro, e a quello che fino alle tre di questa notte (insieme a lei, signor Presidente, che presiedeva fino a quell'ora) e andando avanti nella mattinata di oggi siamo stati diligentemente qui a cercare di spiegarvi.
Adesso che cosa accade? Presentate dei subemendamenti, il che implica che evidentemente quel maxiemendamento era emendabile, non era un emendamento blindato sul quale il Governo avrebbe, da lì a un momento, posto la fiducia. In altre parole, il principio che dobbiamo sancire - invertendo quello che avete voluto fino ad oggi dimostrare - è che quello non era un maxiemendamento, era un emendamento, tant'è che il Governo presenta dei subemendamenti a quell'emendamento, e teoricamente - almeno questo salviamolo nel momento in cui parliamo di precedenti - a questo punto sarebbe legittimo per chiunque poter presentare dei subemendamenti. Perché è chiaro che se era un maxiemendamento aveva il rango di non essere emendabile perché in attesa della posizione della fiducia, ma è del tuttoPag. 5evidente che se poi il Governo presenta dei subemendamenti quello non era un maxiemendamento, ma un normale emendamento.
Tutto ciò, signor Presidente, per associarmi alla critica formulata, che è anche una critica al modo pasticciato, all'arroganza con la quale si viene in questa sede e si pretende di agire nello stesso modo in cui si è approvato in Consiglio dei ministri in nove minuti il provvedimento. Ma questo è un problema di chi ha accettato che in nove minuti si discutesse e si approvasse un provvedimento del genere, però da questa parte c'è l'opposizione che forse è un po' meno disponibile a questo tipo di sistema e che in pochi secondi dimostra ciò di cui, se avessimo più tempo vi rendereste conto (e non è detto che non accada, magari più tardi, entro le tre, le quattro, prima della chiusura della discussione generale), e cioè che in questo provvedimento di castronerie ve ne sono tante.

PRESIDENTE. Ritengo che la discussione svolta finora abbia due versanti: uno di carattere formale, sul quale riferirò al Presidente della Camera, e uno di carattere sostanziale. Prima di procedere vorrei sentire, se crede, il parere del presidente della Commissione finanze, onorevole Conte.

ROBERTO GIACHETTI. È imbarazzato.

PRESIDENTE. Credo che sia opportuno che ci dica la sua valutazione della situazione, onorevole Conte.

GIANFRANCO CONTE, Presidente della VI Commissione. Signor Presidente, devo dire che in sede di Commissioni riunite ho espresso talune mie perplessità, ma non tanto per il contenuto delle norme che sono, sotto un certo profilo - lo hanno riconosciuto anche i componenti delle Commissioni - migliorative del testo (altre sono di carattere assolutamente formale). Rispetto tuttavia al tentativo, nell'ultima «nottata» dei nostri lavori in sede di Commissioni riunite, di portare definitivamente in Aula un testo che fosse stato esaminato e confezionato dalle Commissioni stesse, è chiaro tuttavia che vi è stata una differenziazione, perché le modifiche apportate al testo contengono anche questioni che, in realtà, non erano state considerate dalle Commissioni. Si è un po' «debordato», ma mi sembra in maniera assolutamente accettabile, anche perché alcune modifiche, soprattutto quelle apportate stamane, vengono incontro a problemi che erano stati evidenziati anche dall'opposizione durante l'esame del provvedimento e, quindi, mi sembrano addirittura migliorative.
Capisco che c'è sempre da affrontare questa prima «guerriglia» di carattere regolamentare; avrei preferito - e, insieme a me, il presidente Giorgetti - che ci si fosse attenuti alle questioni affrontate e non terminate nelle Commissioni, come quella relativa alla modifica della legge n. 468 del 1978, per quanto concerne il bilancio. Per quanto riguarda le altre normative, era stata preannunciata in Commissione - anche su richiesta dell'opposizione - la necessità di stanziare i 400 milioni di euro per la copertura relativamente alla questione dei ticket: mi sembra che ciò venga incontro alle richieste dell'opposizione. Era stata espunta, inoltre, la vicenda che riguardava le autorità indipendenti (si trattava di un tema di raccordo). Le altre questioni mi sembrano del tutto comprensibili. Era stata anche rappresentata in sede di Commissioni riunite qualche perplessità sull'accoglimento e sull'inserimento della norma che riguarda Radio radicale: poiché nel settore dell'editoria erano state dichiarate inammissibili altre questioni, è sembrata, questa, una forzatura.
Rappresento il mood e la sensibilità anche della maggioranza, tuttavia mi sembra complessivamente che l'azione del Governo sia, in questo caso, anche se non strettamente in linea con le aspettative delle Commissioni, che si sono impegnate a concludere il testo, assolutamente accettabile.

Pag. 6

PRESIDENTE. Onorevole Conte, prendo atto che non chiede che il testo venga rinviato alle Commissioni.

AMEDEO LABOCCETTA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

AMEDEO LABOCCETTA. Signor Presidente, desidero esprimere un forte apprezzamento al lavoro svolto da tutti i funzionari in questa fase complessa della vita del Paese perché, con il loro lavoro altamente qualificato, non hanno supportato manovre ed iniziative, come penso sostiene qualcuno, del Governo e della maggioranza, legate ad interessi particolari, ma hanno compreso che la velocità che ci chiede il Paese è diversa, probabilmente, dalla velocità che di solito vive in quest'Aula parlamentare. Pertanto, sento di rivolgere questo doveroso ringraziamento perché, forse da neofita, ma probabilmente da uomo attento alle questioni della pubblica amministrazione e dei cittadini, in quest'Aula ho visto un'altissima professionalità, alla quale penso che la Presidenza di questa Camera debba dare obiettivo e concreto riconoscimento.

GIUSEPPE VEGAS, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE VEGAS, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Signor Presidente, vorrei svolgere una premessa ed alcune precisazioni. Per quanto riguarda la premessa, una prassi più che decennale ha sempre riconosciuto ampia libertà al Governo nel caso di formulazione di emendamenti o dei testi sui quali chiedere la fiducia. In questo caso, vi è stata una sorta di autolimitazione del Governo, che in sede di Commissioni riunite ha affermato che si sarebbe attenuto al testo approvato dalle Commissioni stesse, ovviamente con i necessari correttivi, e con libertà emendativa su due articoli, segnatamente gli articoli 7 e 60 (cosa che è avvenuta). Quanto al testo approvato dalle Commissioni, faccio presente che sono stati apportati solo correttivi assolutamente limitati - e, oserei dire, di portata normativa modesta - che, comunque, anche laddove la portata normativa sia un po' più che modesta, non hanno assolutamente mutato il complesso del valore del testo, se non in modo marginale e anche - oserei dire - quantitativamente trascurabile. Pertanto, quanto il Governo aveva promesso di fare in sede di Commissioni riunite, lo ha mantenuto e le modifiche sono assolutamente limitate: non si può adesso rimbrottare il Governo, assumendo che avrebbe fatto ciò che ha voluto, cosa che assolutamente non è accaduta.
Faccio presente che non si tratta di subemendamenti, ma di modifiche, non tutte di carattere formale, qualcuna di valore assolutamente ordinamentale, ma indispensabile. Vi sono alcuni casi, infatti, che riguardano temi di copertura e, quindi, è opportuno provvedere in sede emendativa; altri casi rischiavano di poter rappresentare qualche pericolo, come la questione relativa al comma 12-bis dell'articolo 39.
Veniamo al tema che è stato più dibattuto in questi minuti, quello dell'articolo 23-bis, concernente i servizi pubblici essenziali. La modifica relativa al comma 3, non è puramente formale, ma è di carattere ordinamentale e conseguenziale al fatto che - come i colleghi possono agevolmente notare - il comma 1, cioè l'incipit dell'articolo 23-bis, recita così: «Le disposizioni del presente articolo disciplinano l'affidamento e la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, in applicazione della disciplina comunitaria (...)». È chiaro, che tutto il sistema dell'articolo, per essere coordinato al suo interno, postula la necessità che la disciplina comunitaria sia il filo conduttore di questa normativa; dunque, non poteva essere diversamente, anche con riferimento al comma 3. Pertanto, il comma 3 andava, per armonia della normativa, coordinato con l'incipit del comma 1Pag. 7dell'articolo medesimo. Per questo motivo, è stato modificato con le correzioni governative.
Colgo l'occasione per far notare - e, quindi, per chiedere una modifica in sede di coordinamento - che il comma 9, secondo periodo, dell'articolo in oggetto recita: «Il divieto, di cui al periodo precedente non si applica alle società di cui al comma 3, lettera b), quotate (...)». È ovvio che, cadendo la lettera b), resterebbe solo il comma 3 e che, quindi, anche al comma 9, deve essere espunto il riferimento alla lettera b).

FABIO EVANGELISTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà, anche se è la seconda volta che interviene. La invito, quindi, ad essere sintetico.

ROBERTO GIACHETTI. Il Governo ha parlato!

GIUSEPPE VEGAS, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Il Governo ha replicato!

ROBERTO GIACHETTI. Il Governo ha replicato e noi non possiamo replicare?

PRESIDENTE. A termini di Regolamento, ritengo che quello che ha svolto il Governo non possa essere qualificato come un intervento, ma come un'offerta di informazioni e chiarificazioni. Comunque, darò la parola, se richiesta, ad un rappresentante per gruppo, pregando però di essere breve.
Prego, onorevole Evangelisti.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, qualora ritenesse che il mio intervento fosse improprio, fuori luogo e, soprattutto, contro il Regolamento, la prego di togliermi la parola. Se così non fosse e avrò, quindi, la facoltà di parlare, ho chiesto di intervenire perché lei, cortesemente, si è riservato di riferire al Presidente della Camera le osservazioni, e di merito e di forma, che sono state qui evidenziate.
Ho avuto anch'io la sensazione, come lei, che l'intervento del Governo fosse nel senso di offrire, in qualche modo, una risposta ai rilievi che sono stati formulati da questa parte. Non so se ricordo bene, ma l'onorevole Vegas, prima di assumere rilevanti funzioni di Governo, è stato un funzionario del Senato. Molto più modestamente, posso attingere soltanto non ad un'esperienza di quel livello, ma a qualche reminiscenza scolastica o universitaria, a un po' di diritto pubblico ed un po' di diritto parlamentare.
Non è quantificabile il cambiamento, l'emendamento. Non è quantificabile. Basta anche soltanto una virgola, basta soltanto una congiunzione per costringere l'esame di un provvedimento legislativo che in ipotesi abbia già passato il vaglio di un ramo del Parlamento a tornare alla Camera che in prima istanza lo aveva approvato. Quindi, non venga qui ad impreziosire il nostro dibattito con questo tipo di argomentazioni.
Tuttavia, mi rivolgo ancora una volta alla Presidenza per chiedere quanto segue. Prima questione: esistono precedenti? Seconda questione: non è il caso che il Presidente della Camera esprima un giudizio di ammissibilità su questi subemendamenti? Infatti, delle due, l'una: o queste proposte emendative sono ammissibili, e va bene, ma, nel caso, vuol dire che non era ammissibile il maxiemendamento giudicato ammissibile nella giornata di ieri. O l'una, o l'altra, tutte e due insieme, queste ipotesi, non sono compatibili. Insistiamo, quindi, per un rinvio alle Commissioni di tutto il testo (Applausi dei deputati dei gruppi Italia dei Valori e Partito Democratico).

BRUNO TABACCI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BRUNO TABACCI. Signor Presidente, non voglio far girare la «giostra», intervengo semplicemente per puntualizzare,Pag. 8perché il sottosegretario Vegas tende a sminuire la portata di questo passaggio ed io vorrei, invece, essere puntuale perché vi è tutto un dibattito precedente. Non siamo arrivati qui, questa mattina, e ci siamo accorti dell'errore.
Dal momento che state correggendo, conviene che vi segnali la necessità di completare la correzione del testo. Esistono, infatti, profili problematici rispetto alle compatibilità comunitarie, che sono accresciuti dal disposto del comma 9 dell'articolo 23-bis che consente alle società miste quotate in borsa, titolari di affidamenti diretti, di acquisire la gestione di servizi ulteriori ovvero in ambiti territoriali diversi. Anche questo non va bene. Sarebbe bene che fosse corretto. Sono cose che con la collega Lanzillotta abbiamo detto, abbiamo segnalato.
Dovete andare in profondità e riconoscere che questa misura non si doveva prevedere. L'avete voluta inserire a tutta forza. Credo che non si possa concludere come se si trattasse di un rituale per cui tutte le volte che si deve apportare una correzione formale, lo si fa. Non è una correzione formale! Voi avete fatto un'azione politica che è stata totalmente... insomma, vi hanno trovato con le mani nel sacco! Almeno riconoscete questo: «abbiamo sbagliato politicamente, avevate ragione» ed io mi taccio, ma dovete riconoscere questo, in questa maniera, come lo dico io, con sincerità, ma anche con serietà. Diversamente, cosa dire? Che in Commissione si gioca, si scherza e che gli interventi di coloro che hanno qualche ragione vengono «snobbati» perché voi avete i numeri, avete i muscoli. Almeno riconoscete che vi siete sbagliati, ma fatelo, anche con il formalismo necessario e rispettoso di un'Aula come questa. Non stiamo recitando qui, è così: vi siete sbagliati!

ROBERTO GIACHETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, non solo non riconoscono di avere sbagliato, ma poi abbiamo anche interventi quali quelli con quel piglio un po' saccente dell'onorevole Vegas, il quale ci viene anche a spiegare quali siano i nostri diritti, quasi come un bambino che «batte i piedi» dicendo: il Governo ha replicato. Il Governo replica e quindi si può intervenire, eventualmente, all'infinito, perché ancora ciò non lo avete modificato attraverso il decreto-legge sul quale ponete la questione la fiducia! Qualche diritto ancora il Regolamento ce lo preserva e intenderemo conservarlo fino in fondo, se all'onorevole Vegas non dispiace.
Sul merito di questa fattispecie, signor Presidente, interverrà tra molto poco l'onorevole Lanzillotta, la quale sicuramente potrà evidenziare non solo come le modifiche non siano poi così marginali, ma anche quale sia il prodotto di tali modifiche. Metterà, pertanto, sicuramente in luce quanto sia stato - come ricordava ora il collega Tabacci - semplicemente sbagliato inserire in questo provvedimento queste norme.
Tuttavia, mi affido semplicemente a lei, signor Presidente, ovviamente attraverso la collaborazione degli uffici. Forse noi parliamo una lingua diversa da quella del collega Vegas o forse, evidentemente, abbiamo dei limiti nella nostra espressione, per cui non riusciamo a trasmettere al collega Vegas la nostra obiezione relativamente a queste che lui considera pure, normali e naturali correzioni, le quali, tuttavia, non si trasformano attraverso l'acqua piovana nel nostro ordinamento, ma si maturano attraverso la predisposizione di proposte emendative che vengono presentate. Ebbene, signor Presidente, dovrebbe riuscire a far capire al collega Vegas che la nostra obiezione, prima di entrare nel merito, è che, avendo il Governo presentato con lettera alla Presidenza della Camera un maxiemendamento sul quale - lo spieghi all'onorevole Vegas - ha preannunciato la posizione della questione di fiducia, a quel punto questo procedimento crea una situazione parlamentare nella quale, sostanzialmente, si paralizza la capacità emendativa da parte di tutti, compreso il Governo. Infatti, sePag. 9noi fossimo in una situazione naturale (nella quale non siamo), come è sempre accaduto - e non ci sono precedenti diversi da questo - dopo il vaglio di ammissibilità da parte della Presidenza, si sarebbe dovuta porre la questione di fiducia.
Cosa avrebbe comportato questo? Lo spieghi all'onorevole Vegas. Avrebbe comportato che oggi il Governo non avrebbe potuto fare queste correzioni più o meno inutili, banali e via dicendo, perché se fosse stata posta la questione fiducia, anche queste cose così banali, inutili e via dicendo, non le avrebbe potute fare! Chiaro?
Cosa comporta questo? Mi aiuti sempre a spiegarlo al collega Vegas. Non è che il Governo, il quale probabilmente pensa ormai di avere in mano tutti i poteri del mondo e anche quello parlamentare, ha un diritto di emendare perché, chiaramente, presenta una misura che non è più un maxiemendamento, ma è un emendamento sul quale pone subemendamenti, e noi, figli di un dio minore, non potremmo avere il diritto di emendare!
A me sarebbe sufficiente che, in questo quadro contorto perché sono accadute sin dall'origine cose abbastanza anomale, fosse chiaro che quello che è stato presentato dal Governo non è un maxiemendamento, ma è un emendamento, al quale il Governo può presentare dei subemendamenti e, almeno in via teorica e di principio, se non vi dispiace, lo stesso diritto di presentare proposte emendative lo hanno pure i colleghi dell'opposizione.

PRESIDENTE. Onorevole Giachetti, la ringrazio prima di tutto, oltre che per l'intervento, anche per il fatto che ha chiaramente distinto nel suo intervento - come non sempre è avvenuto - le responsabilità del Governo e quelle della Presidenza. A me compete dire due parole su come la Presidenza ha affrontato la questione.
Intanto, devo osservare che la richiesta di modifica avviene con trasmissione formale attraverso lettera del Governo e che le modifiche vengono inviate previamente per l'esame al Comitato dei diciotto. La richiesta viene formalizzata prima della posizione della questione di fiducia e le correzioni sono riferite ad un testo non ancora approvato (siamo al di fuori del coordinamento formale). Se avete posto attenzione a quello che ho detto comunicando il recepimento della lettera, ricorderete che non ho detto che si trattava di correzioni meramente tecniche o formali. Ho anche sottolineato che almeno qualcuna di esse aveva un'importante valore ordinamentale.
Se poi posso aggiungere qualcosa, credo che la questione fondamentale l'abbia posta l'onorevole Evangelisti, perché questo procedimento, certamente, ha aspetti che lasciano perplessi. Qual è il problema? Esistono precedenti? Sì, esistono precedenti: abbiamo fatto fare una ricerca e mi viene la tentazione di dire: «purtroppo» - non lo dico perché non spetta a me esprimere questa valutazione - i precedenti vi sono. Sono più di uno. Gli uffici me ne hanno trasmesso uno particolarmente pregnante: l'esame del disegno di legge finanziaria per il 2008. Nella seduta del 13 dicembre 2007, il Presidente della Camera diede notizia di una lettera con la quale il Ministro per i rapporti con il Parlamento aveva indicato talune correzioni al testo dell'emendamento depositato, alcune delle quali incidevano in maniera sostanziale sul contenuto del testo medesimo.
Un esempio è la modifica dell'importo delle regolazioni debitorie a rettifica dell'importo del saldo netto da finanziare e la modifica concernente la disciplina dei consorzi di bonifica. Anche in quel caso, naturalmente, la modifica avvenne con atto formale del Governo e prima della posizione della questione di fiducia.
La Presidenza, in questo caso, ha seguito la medesima procedura adottata in quell'occasione. Potrebbe essere auspicabile che, in sede di riforma regolamentare, si riveda anche questo sistema di precedenti per dettare regole più trasparenti. A questo punto considero chiusa questa discussione.

Pag. 10

FABIO EVANGELISTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, intervengo per dire che non mi sento per niente soddisfatto, anche se la ringrazio per la risposta che ha tentato di offrire perché il richiamo che ha appena fatto, quello a una lettera del Ministro Vannino Chiti, Ministro per i rapporti con il Parlamento dell'epoca, lo ricordavo, ma non sono assolutamente convinto - disponibile però a correggermi e a emendarmi pubblicamente - che faccia riferimento alla stessa medesima fattispecie di cui stiamo parlando adesso.
Qui di stravolgimenti ce ne sono stati più d'uno: la predisposizione di un maxiemendamento prima ancora dell'avvio della discussione generale e, poi, la correzione al maxiemendamento stesso prima ancora della posizione della questione di fiducia. Gli uffici, o meglio la Presidenza, cui grava la responsabilità di «piegare» le norme regolamentari alle esigenze di questo o di quel Governo, ma in spregio alle prerogative dei parlamentari, si deve mettere d'accordo con se stessa. Quindi, io non sono soddisfatto e chiedo che mi venga recapitata una lettera con i riferimenti che lei ha appena citato.
Inoltre, le avevo chiesto altre due cose: il giudizio di ammissibilità su questi subemendamenti da parte del Presidente della Camera che si deve assumere la responsabilità, per l'appunto, di dichiararli ammissibili (e se sono ammissibili questi, lo ripeto, non era ammissibile il maxiemendamento) e, infine, il rinvio in Commissione che continuo a chiedere.

PRESIDENTE. Onorevole Evangelisti, lei avrà i dati che chiede da parte degli uffici. La inviterei a non parlare di spregio da parte della Presidenza per i diritti del Parlamento che la Presidenza ha il dovere di difendere. Potremmo discutere a fondo di questa situazione dopo che avrà ricevuto la lettera, ma, al momento presente, il presidente della Commissione ritiene che non sia opportuno un rinvio in Commissione ed io devo procedere secondo l'ordine dei lavori.

(Ripresa discussione sulle linee generali - A.C. 1386-A)

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Milo. Ne ha facoltà.

ROBERTO GIACHETTI. È una facoltà che non viene esercitata...

PRESIDENTE. È una facoltà che non viene esercitata; s'intende che vi abbia rinunziato.
È iscritto a parlare l'onorevole Mosella. Ne ha facoltà.

DONATO RENATO MOSELLA. Signor Presidente, signori del Governo, onorevoli colleghi e colleghe, dopo una discussione come quella di questa mattina è molto difficile entrare nel merito del provvedimento e guardarlo dall'angolatura di competenza. Proverò a farlo perché credo sia un dovere di ciascuno di noi evidenziare gli aspetti che più stanno a cuore, anche perché il dibattito che si è svolto sui pareri in Commissione - basta leggere gli atti parlamentari - è stato quasi inesistente almeno da parte della maggioranza e noi ci siamo dovuti adeguare.
Il decreto-legge sulla manovra di bilancio che l'Assemblea è chiamata ad esaminare suscita perplessità sotto molti profili. Questa mattina ne sono stati evidenziati diversi, sia di merito, sia di metodo.
Le intenzioni sbandierate dal Governo di voler operare secondo equità e buon senso appaiono tradite già ad una prima lettura, oltre che nel modus operandi che è stato adottato. Viene proposta una manovra triennale, priva di sostanziali elementi di novità sui capitoli sensibili come quelli delle questioni sociali e della salute di cui prevalentemente mi occupo, e che presenta nodi critici per quanto riguarda il reperimento delle risorse necessarie per coprire le misure che si vorrebbero adottare: penso al tema del ticket che è inPag. 11corso di esame. Appare grave, a fronte degli scompensi che affliggono la sanità pubblica in Italia, la decisione di cassare il Ministero della salute, cosa peraltro mai avvenuta nella storia repubblicana e sconosciuta nelle più moderne democrazie. Una decisione questa - abbiamo avuto modo di dirlo in tutti i modi possibili in Commissione, anche ai diretti interessati - che intacca il più fondamentale dei diritti umani: il diritto alla salute e alla conservazione della vita.
Ma è ragionevole dubitare degli intendimenti del Governo in tutte le materie che investono direttamente i diritti primari dei cittadini, tanto dei nostri connazionali, quanto degli uomini, delle donne e anche dei bambini, onorevole Ministro, migranti che nel rispetto delle leggi e perfettamente integrati danno il loro contributo quotidiano alla crescita del nostro Paese; il mio pensiero corre all'operazione della schedatura dei bambini rom, perché di questo si tratta, che è stato un cartello più che un provvedimento giusto nel merito, e che il Governo si ostina a portare avanti.
Il quadro che emerge dai primi documenti finanziari e di bilancio, che ci vede rincorrere tra il maxiemendamento e la correzione allo stesso, è a tinte scure. È tale anzitutto per l'utilizzo della strumento della decretazione d'urgenza - è stato detto nel dibattito di queste ore - che ha espropriato il ruolo del Parlamento in una materia di fondamentale importanza per la vita dello Stato quale appunto la manovra di bilancio. Si è deciso di varare provvedimenti d'urgenza, ma che urgenti poi non sono, visto che la manovra di fatto ha una valenza triennale. Con la minaccia della posizione della fiducia sul decreto-legge, sottraendolo al contributo del Parlamento e imponendolo al Paese a scatola chiusa, il Governo ha mostrato di non avere alcuna intenzione di concretizzare quella tanto sbandierata fase costituente che doveva caratterizzare l'attuale legislatura.
Vi è stato poi lo strappo alle procedure della sessione di bilancio. Di regola l'approvazione del DPEF da parte delle Camere impegna il Governo sui contenuti della successiva manovra di bilancio; al contrario noi abbiamo assistito e stiamo assistendo ad una inversione della procedura: è la manovra finanziaria che di fatto ha anticipato e vincolato il Documento di programmazione economico-finanziaria. Procedere ad una riforma della sessione di bilancio, in linea di principio giusta per arginare i tempi morti della legge finanziaria, senza però provvedere alla riforma dei Regolamenti parlamentari equivale a creare un vulnus normativo e soprattutto ha svilito il ruolo del Parlamento - basta solo ascoltare il dibattito di questa mattina - chiamato ad approvare in tutta fretta provvedimenti che incidono su settori sensibili della vita nazionale.
Dunque, la manovra che viene sottoposta, anzi imposta, al Parlamento è insoddisfacente, tanto per la forma quanto per i contenuti. Soprattutto trascura i punti critici dai quali sarebbe stato opportuno ripartire per restituire fiducia ai giovani e alle famiglie italiane. Il nostro, lo rivelano tutte le ricerche, è un Paese stanco: stanco di fare sacrifici infruttuosi, stanco di vedere disattesi i diritti fondamentali, stanco di vedere allargare sempre di più la forbice tra chi non ha problemi e chi dubita di avere un futuro.
Le scelte che caratterizzano la manovra di bilancio hanno un impatto evidente sulle dinamiche sociali, condizionandole: esse, dunque, non possono essere valutate soltanto in termini economici, ma devono per forza essere valutate per i loro costi umani e per il modo in cui affermano o negano i bisogni più elementari delle persone. È fresco il dato dell'inflazione che, più di ogni altro, fotografa la stato di salute del Paese. L'ISTAT ha rilevato che essa è pari al 3,8 per cento: non ha mai raggiunto questo livello dal 1996, con i prezzi dell'energia che crescono del 14,8 per cento e i generi alimentari di prima necessità del 6,1 per cento, con punte di oltre il 20 per cento per la pasta.
Il Governo pare disattento a questi temi e non considera che, con questi numeri, le famiglie non solo non arrivano alla famosa quarta settimana, ma iniziano ad arrancarePag. 12già alla terza. Ciononostante, il Governo, nel Documento di programmazione economico-finanziaria, prevede un'inflazione programmata pari all'1,7 per cento per il 2008 e all'1,5 per cento per gli anni successivi; un'inflazione programmata sottostimata almeno del 50 per cento rispetto a quella reale uccide il reddito delle famiglie e rischia di generare tensioni sociali fortissime laddove, in base ad essa, si dovessero rinegoziare i contratti delle lavoratrici e dei lavoratori. Avrebbero meritato ben altra attenzione le aspettative dei giovani e delle famiglie italiane, che invece sono state tamponate con misure in parte recuperate sfruttando il lavoro del precedente Governo o, peggio ancora, con provvedimenti paternalistici ed umilianti.
Nulla di nuovo sul fronte dell'emergenza abitativa, dove il decreto-legge in esame, nei fatti, si limita sostanzialmente ad utilizzare le risorse del Governo Prodi per varare il suo «piano casa». Da una manovra triennale ci si sarebbe aspettati qualcosa in più anche sul capitolo, tanto sbandierato in campagna elettorale - ma anche negli ultimi mesi - che riguarda i giovani. Abbiamo ascoltato il Ministro Meloni in Commissione affari sociali e in quella sede - devo affermare con grande franchezza - le intenzioni sono apparse molto illuminate.
Avremmo voluto trovare fondi per finanziare gli strumenti del contrasto al disagio giovanile, principalmente la droga e l'alcol. Anche il sottosegretario Giovanardi ha avuto modo di illustrare al Parlamento e alle Commissioni riunite il suo piano, che mi sembrava carico di buone intenzioni, ma non trova il riscontro oggettivo negli impegni economici. Evidentemente, non è nelle corde di questo Governo comprendere che ciò che si destina all'educazione giovanile in forma di prevenzione non è un costo a perdere, ma un investimento fondamentale per il futuro del Paese.
Speravamo in un riconoscimento del ruolo dell'associazionismo, che in questi anni si è assunto un generoso compito di supplenza nel dare sostegno e conforto alle dinamiche di crescita e di sviluppo della popolazione giovanile, per invogliarli sulla via della partecipazione alla vita democratica, della solidarietà e della convivenza civile: speranza inutile, considerato il modo in cui ci si è affrettati a cancellare i fondi triennali che il Governo Prodi aveva destinato a progetti per l'educazione giovanile e la tutela della salute attraverso lo sport (a questo proposito vi invito a leggere il testo del decreto-legge).
Mancanza di punti di riferimento, carenza di strutture e momenti di aggregazione, difficoltà di inserimento lavorativo: sono alcuni dei fattori che alimentano il preoccupante e purtroppo crescente fenomeno della marginalità del mondo giovanile. In un Paese che sta progressivamente invecchiando e dove le migliori energie giovanili volano all'estero perché qui sono prive di prospettive, sarebbe fondamentale dare ossigeno e anche un po' di fiducia alle nuove generazioni, invertendo la rotta. Per compiere questo salto, però, sarebbe necessario che il tema della promozione dell'agio e del contrasto alle marginalità giovanili e al disagio fosse sentito dal Governo come una priorità e, per questa via, fosse tradotto in attenzioni costanti e in risorse stabili, e non in provvedimenti una tantum.
La conferma che il tema delle marginalità non soltanto giovanili, riguarda ampie fasce sociali (poiché la marginalità non è nel DNA e nella sensibilità del Governo è immediatamente rintracciabile nel decreto-legge in esame: basta sfogliarlo anche rapidamente.
Si istituisce un fondo destinato al soddisfacimento delle esigenze alimentari delle categorie più disagiate. Il testo del decreto-legge recita che il fondo successivamente può essere destinato anche alle esigenze energetiche e sanitarie. Quel «successivamente» la dice lunga sull'approccio che il Governo ha sui temi della marginalità, ponendo in essere una sorta di gradazione tra le esigenze primarie della gente, per cui quelle relative alla salute sono meno importanti di altre.
Per una nazione che voglia dirsi evoluta, tanto più che siede al tavolo del G8, ragionare di correttivi in termini di unaPag. 13carta dei poveri non è varare una politica sociale, ma semplicemente concedere un'elemosina. È qualcosa di umiliante, non tanto per chi spinto dal bisogno l'elemosina è costretto ad accettarla, quanto per chi, in questo modo, ritiene di mettersi a posto la coscienza. È umiliante per l'immagine dell'Italia, che con questa misura proclama che la sua bussola è tarata sull'egoismo sociale piuttosto che sul senso di solidarietà, cosa che la allontana dall'essere un Paese moderno.
Eppure, non mancherebbero gli indicatori dei settori più bisognosi di intervento. Le criticità che gravano sulle giovani generazioni e sulle famiglie sono ben note al Parlamento, che le ha apprese dall'indagine conoscitiva sulla famiglia, condotta nella XV legislatura dalla Commissione affari sociali: perdita del potere d'acquisto dei redditi, precarietà del lavoro, sistema fiscale non commisurato alle esigenze delle famiglie con figli, discriminazione nel lavoro, carenze, soprattutto nel Mezzogiorno, dei servizi d'assistenza, difficoltà di conciliazione tra i tempi di lavoro e la vita affettiva o familiare, che costringe molte donne a scegliere di non lavorare o, peggio ancora, a lasciare il tanto desiderato posto di lavoro.
Chi può credere davvero che la soluzione riposi in un certificato di povertà, qual è la carta per fare la spesa e pagare le bollette? Occorre procedere secondo politiche di sistema, integrate e coordinate tra loro, incidere strutturalmente su criticità che corrono il rischio di cronicizzarsi, adottare politiche che, in maniera armonica, puntino a sviluppare la rete dei servizi sul territorio (consultori familiari, asili nido, recupero del ruolo nobile dell'associazionismo, quale vero pilastro del sostegno alle famiglie e alle condizioni di disagio e marginalità).
Sui modi di reperire le risorse necessarie è questione su cui si potrebbe ragionare armonicamente. Anche per questo motivo, questa manovra di bilancio, discutibile di per sé e ingessata dal voto di fiducia, appare lontanissima dalle reali esigenze del Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Lanzillotta, che, come ricordiamo, ha svolto un non troppo fortunato tentativo di riformare proprio quei servizi pubblici locali che oggi tornano alla nostra attenzione. Ne ha facoltà.

LINDA LANZILLOTTA. Signor Presidente, tornerò più avanti su questa materia. Intanto, lasciatemi fare solo un piccolo commento, che è soprattutto una battuta, in una lingua che è più vicina a quella dei presentatori del famoso emendamento in Commissione che alla mia, che sono più una donna del sud. Direi che questa mattina, con questa lettera mandata dal Governo, potremmo dire che è peggio el tacon del buso, perché era meglio non fare niente, visto che la toppa ha peggiorato la situazione.
Vorrei partire, signor Presidente, rappresentanti del Governo, da una notazione fatta ieri mattina dal Ministro Tremonti, che ha ricordato il principio che costituisce la base delle democrazie parlamentari: no taxation without representation. È il principio su cui, difatti, sono nate le moderne democrazie negli Stati nei quali la borghesia ha sottratto al monarca il potere di imporre gabelle e di disporre spese per rimettere, invece, al popolo - e, quindi, al Parlamento - queste fondamentali decisioni sulla distribuzione della ricchezza e sulla destinazione delle risorse collettive.
Quindi, non è un caso che in tutte le moderne democrazie, che siano parlamentari, semipresidenziali o presidenziali, il potere di bilancio costituisca il cuore del potere del Parlamento. Da noi questo potere, in poche settimane, è stato gravemente intaccato.
Il Presidente del Consiglio grazie all'acquiescenza dei Presidenti delle Camere, e con una serie di forzature istituzionali che il Presidente della Repubblica è riuscito ad arginare solo in parte, non solo ha realizzato una profonda modifica della nostra forma di Governo, ma ha in qualche misura inciso, per quello che affermavo poc'anzi, sulla forma di Stato, spostando il potere di bilancio dal Parlamento al Governo.Pag. 14Non basta, con la prassi legittimata in queste settimane, di fatto è stato anche eliminato il carattere collegiale dell'istituzione Governo e il suo potere è stato concentrato sul Primo Ministro e sul Ministro dell'economia e delle finanze, vanificando così le prerogative che la legge e la Costituzione riservano ai singoli Ministri, che hanno scoperto in Parlamento il destino riservato ai settori di loro competenza per i prossimi tre anni. È merito e, in qualche misura, aggravante della procedura seguita, infatti, che questa manovra si riferisca, come ha rivendicato il Ministro Tremonti, al prossimo triennio e non abbia solo carattere congiunturale. Con questa procedura, dunque, si mortificano l'autorevolezza e la rappresentatività dei singoli Ministri, rafforzando quella configurazione di Governo del Premier che fin dall'inizio ha avuto questo Esecutivo. Mentre fuori dal Parlamento si svolgono discussioni accademiche sulle riforme istituzionali, il Premier e il Ministro dell'economia e delle finanze rendono nei fatti questo dibattito ormai superfluo e del tutto sopravanzato dai fatti. Non si tratta, infatti, come ci ha detto il Ministro Tremonti, di razionalizzare la decisione annuale di politica economica e di finanza pubblica. Questo è un obiettivo per il quale - come il sottosegretario Vegas sa bene, visto che appartiene a quel piccolo club che di questa materia si occupa da qualche decennio - il Partito Democratico ha più volte dichiarato la propria disponibilità ad affrontare sia la modifica della legge 5 agosto 1978, n. 468, per ridimensionare il contenuto della legge finanziaria e concentrare strumenti e tempi del ciclo di bilancio, sia per una modifica dei Regolamenti parlamentari volti a razionalizzare la decisione di bilancio in Parlamento. Peraltro, tali esigenze sono state ricordate correttamente anche dal relatore per la Commissione finanze, onorevole Jannone, che tuttavia ha onestamente riconosciuto che in questa occasione si è andati molto al di là. Ciò che è stato messo in discussione infatti è molto di più perché sono in discussione i poteri costituzionali di bilancio, che rappresentano il nucleo irrinunciabile dei poteri parlamentari in una moderna democrazia. Nessuno può negare, che con questo provvedimento e con questa procedura il potere del Parlamento è annullato perché si estremizza e si radicalizza una prassi, che in verità bisogna riconoscere essere sciagurata, adottata dai vari Governi che si sono succeduti nel tempo e che consiste nel ricorso in sequenza a decreto-legge, maxiemendamento e fiducia. Così facendo si estremizza, annullando la possibilità che almeno in una fase di Commissione, che sia referente o redigente, come qualcuno ha ipotizzato nelle riforme regolamentari che potremo affrontare nei prossimi mesi, ci sia la possibilità di esaminare il testo. In questo modo, il Parlamento non diventerebbe solo il luogo delle parole, ma anche il luogo della decisione democratica, altrimenti si svilisce e si delegittima un'istituzione con danno per tutte le parti e per l'Italia nel suo complesso.
Il testo all'esame dell'Aula malgrado avesse avuto poche ore per essere esaminato è stato sostituito prima della discussione sulle linee generali; si tratta di una cosa che onestamente non è mai avvenuta e sulla quale non credo ci siano precedenti. Il testo, quindi, viene sostituito da un maxiemendamento diverso dal testo delle Commissioni, ignorando anche in ciò prassi, già perverse, del passato e non credo che il vago precedente ricordato dal Presidente Buttiglione possa superare questa obiezione. Mi pare da una rapida scorsa - perché lettura sarebbe una parola grossa, visti i tempi che ci sono stati assegnati - che sia stato evitato un ulteriore strappo sul tema affrontato ieri dal Ministro Tremonti (forse per l'esercizio saggio, almeno in questa fase, dei poteri sull'ammissibilità da parte del Presidente della Camera).
Non solo quella modifica della legge n. 468 del 1978, che pure c'è in un emendamento presentato all'ultimo momento dal Governo, su cui si chiede la fiducia delle Camere - e quindi alterando quella riserva di legge che dovrebbe consistere in un bilanciamento di poteri tra Governo e Parlamento, che vi è nell'articolo 81 dellaPag. 15Costituzione, per quanto riguarda la disciplina delle procedure di bilancio (credo che siamo ai limiti della costituzionalità) - ma si era ipotizzato addirittura di introdurre in questo maxiemendamento - Vegas mi ha capito, perché forse si è messo le mani nei capelli, quando ha sentito il suo Ministro affermare che si puntava ad inserire nel maxiemendamento la inemendabilità della legge finanziaria...

GIUSEPPE VEGAS, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. È un lapsus.

LINDA LANZILLOTTA. Ecco, mi sembra veramente estremo.

GIUSEPPE VEGAS, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Non è quello che voleva dire.

LINDA LANZILLOTTA. Capisco che è assente, quindi mi compiaccio del fatto che il sottosegretario Vegas comprenda che questa sarebbe stata una misura ai limiti dell'eversione costituzionale. Tuttavia, qualcuno ci ha pensato, se il Ministro in quest'Aula lo ha autorevolmente detto.
Concludo qui la parte di riflessione sullo stato delle nostre istituzioni e delle procedure costituzionali, per affrontare invece alcune questioni di merito che più riguardano i temi che mi trovo ad affrontare in questa fase. Nel suo intervento, Tremonti ha omesso di affrontare le due questioni che oggi rappresentano l'emergenza economica e sociale dell'Italia. Si è focalizzato sul tema della tenuta dei conti pubblici, così sposando la linea che tanto aveva criticato dei tecnocrati comunitari, con una linea di impressionante continuità rispetto al suo predecessore, e invece ha ignorato alcuni aspetti che forse anche il suo predecessore ha troppo ignorato, con conseguenze che non sempre sono state positive.
I due punti sono stati il potere d'acquisto e la crescita. Questi fenomeni sono, in qualche misura, intrecciati, in quanto la diminuzione del reddito disponibile e la percezione dell'impoverimento frenano i consumi e rallentano una crescita già arrivata ai minimi. Queste due parole sono state però praticamente ignorate dal Ministro Tremonti, che pure ha ampiamente analizzato le paure che agitano il nostro tempo. Ma come ben sappiamo, la madre di tutte le paure è appunto la paura della povertà, ed è da lì che nascono angosce, incertezze, scarsa propensione a investire, senso di insicurezza, rinuncia al futuro.
Ebbene, nel settore pubblico - vengo qui ad un'analisi delle disposizioni che riguardano le pubbliche amministrazioni - si opera esattamente nella direzione opposta a quella del sostegno ai redditi e anche a quella, pur sbandierata, di aumentare efficienza e competitività.
Anche se annunciato da una strombazzante (in verità eccessivamente strombazzante) campagna mediatica contro i fannulloni - campagna, a mio avviso, nei toni ingiusta e sbagliata: ingiusta perché diretta in modo indiscriminato ad un'intera categoria, dove pure chi sa e conosce, come i Ministri dell'attuale Governo, che operano nell'amministrazione, alcuni da molti anni, è consapevole che vi sono molte persone di grande valore professionale e di grande abnegazione, ma anche sbagliata, perché occorre dare dignità e valore alla funzione pubblica, se vogliamo attrarre nell'amministrazione nuove leve, giovani e professionalmente valide - e nonostante questo avvio un po' radicale, nella sua campagna mediatica, avevamo tuttavia concesso al Ministro Brunetta un'apertura di credito, perché in qualche modo, giustamente, riportava la pubblica amministrazione al centro dell'agenda politica, e soprattutto perché annunciava di voler perseguire obiettivi di efficacia ed efficienza attraverso la diffusione e generalizzazione di metodi di selezione e promozione meritocratica, basati sulla trasparenza e sulla valutazione; inoltre, perché puntava all'affermazione della responsabilità organizzativa e gestionale, come leva per un'evoluzione in senso manageriale della dirigenza pubblica; puntava ad un aggancio forte delle retribuzioni alla produttività e, ancora, ad una più forte autonomia della dirigenza pubblica dalla politica, attraversoPag. 16una limitazione dello spoil system; e, infine, perché a sanzioni nei confronti degli impiegati non rispettosi dei loro doveri professionali, faceva corrispondere però un'identificazione puntuale delle singole responsabilità. Tuttavia, alla prima prova concreta questi buoni propositi risultano disattesi.
Sullo sfondo del decreto-legge che oggi esaminiamo c'è il disegno di legge delega all'esame del Senato, nel quale si opera la scelta di ampliare la sfera della legge e, dunque, della decisione unilaterale della politica, sia nella disciplina del rapporto di lavoro sia nell'organizzazione degli uffici; con ciò, non solo reintroducendo forti elementi di rigidità nell'organizzazione amministrativa, ma anche illudendosi di riportare sotto controllo i costi, che, come noto - i dati lo dimostrano - sono sempre cresciuti in misura superiore nelle categorie non contrattualizzate, quelle, cioè, direttamente governate dalla politica.
Si tratta di una scelta che è stata fatta, e viene rivendicata, in nome della conclamata volontà di sottrarre il rapporto di lavoro pubblico ad una gestione consociativa con il sindacato, ma che, come dire, butta il bambino con l'acqua sporca e rinuncia alla sfida della privatizzazione del rapporto di impiego pubblico, una frontiera moderna che altri Paesi ci invidiano e che, naturalmente, deve essere conquistata o, se volete, riconquistata, immettendo nelle pubbliche amministrazioni la capacità, la cultura e le regole per essere datori di lavoro capaci e interessati a dirigere il tavolo del negoziato.
Credo che non siano prudenti le scelte che si stanno ventilando al Senato e in altre sedi e che sono due: la prima è quella di regionalizzare i contratti, la seconda è quella di rilegificare il rapporto di pubblico impiego.
Lo dice l'esperienza di questi anni: ogni volta che la contrattazione si è avvicinata alle constituency politiche, quando il datore di lavoro è stato più vicino alla constituency politica, lì i costi sono andati fuori controllo. Vediamo i dati della contrattazione integrativa negli enti locali: ogni volta che è intervenuta la legge, ha fatto dei danni.
In questo sfondo, che ho delineato, di innovazione del quadro ordinamentale, il decreto-legge inserisce una serie di norme che rivelano uno spirito punitivo e persecutorio, che non aiuterà il futuro delle riforme. Così, mentre al Senato si elimina il tetto dei 290 mila euro, con buona pace dei Robin Hood de' noantri, per le retribuzioni dei dirigenti, cui si possono, poi, aggiungere incarichi e compensi extra, perché non si inserisce nemmeno il principio dell'onnicomprensività, alla Camera, invece, si tagliano - dico si tagliano, non si raffreddano - le retribuzioni reali degli altri dipendenti, che riceveranno in busta paga, dal 1o gennaio 2009, a parte le assenze, che sono un altro titolo, dai 35 ai 110 euro mensili in meno, in virtù del taglio dei compensi di produttività.
I dipendenti delle amministrazioni speciali, invece, vedranno decurtati i loro compensi fino a 5 mila euro annui. Caro Ministro Brunetta, posso capire che sia necessario raffreddare l'andamento delle retribuzioni in alcuni settori, perché non in tutti c'è stato un andamento divaricato rispetto a quello delle retribuzioni private. La tabella, molto significativa, pubblicata da Il Sole 24 Ore domenica scorsa dimostra proprio quello che dicevo poc'anzi, e cioè che le retribuzioni pubbliche sono cresciute più di quelle private innanzitutto con i Governi di centrodestra, e inoltre esclusivamente nel comparto degli enti locali. Ma se questo, cioè un raffreddamento della curva, sarebbe accettabile, non è invece accettabile che si riducano le retribuzioni reali dei redditi medio-bassi, che già sono duramente colpiti dall'inflazione.
Non credo che sarà socialmente sostenibile impoverire, oltre che con l'inflazione, anche con il taglio delle retribuzioni, milioni di dipendenti pubblici e ritengo si tratti anche di un'operazione miope dal punto di vista della politica economica. Non è difficile prevedere che si determinerà un malessere crescente, che si acuirà con l'acuirsi della crisi economica.Pag. 17Certo, Ministro Brunetta, non sarà un buon viatico per le riforme, che, per essere realizzate, hanno bisogno che i milioni di uomini e di donne che operano nelle pubbliche amministrazioni siano motivati, coinvolti, innanzitutto rispettati e, poi, orientati, con le loro intelligenze, a partecipare ad un grande progetto di modernizzazione della pubblica amministrazione del Paese, e non siano solo additati come dei fannulloni. Ma le scelte fatte sono intrinsecamente contraddittorie, come sto cercando di dimostrare, e rivelano una sostanziale assenza di visione riformatrice.
Il Ministro Brunetta ci ha più volte spiegato che il problema della pubblica amministrazione è di non essere esposta al mercato e alla concorrenza, e che per questo inefficienze e rendite vengono finanziate dal bilancio pubblico senza che ci possa essere mai un effetto default. Ebbene, laddove questo effetto si poteva realizzare, aprendo al mercato e alla concorrenza settori in cui prosperano inefficienza e rendita monopolistica, si è andati in direzione opposta: parlo, come è chiaro, dei servizi pubblici locali, di cui abbiamo discusso poc'anzi.
Non è chiaro l'obiettivo sistemico dell'emendamento del Governo: sarebbe stato interessante se il sottosegretario Vegas ci avesse spiegato quale riforma ha in mente il Governo riguardo ai servizi pubblici locali, essendo un settore che vale, nel nostro sistema produttivo, un fatturato di circa 42 miliardi di euro, impiega 170 mila addetti, e dunque ne è un pezzo consistente; e soprattutto è un pezzo consistente di spesa pubblica, e quindi credo che dovrebbe stare molto a cuore al Ministro dell'economia e delle finanze. Tra l'altro, vorrei anche sapere se questa riforma è stato oggetto di una discussione collegiale del Consiglio dei ministri: non mi risulta, perché so che Ministri che dovrebbero avere competenze concorrenti, penso al Ministro Scajola, non lo hanno visto prima che questo fosse stato presentato in questa Camera.
Che cosa vuol dire rinviare tautologicamente per tre commi consecutivi alla disciplina comunitaria? È quello che già c'è! Il famoso emendamento Buttiglione, tanto famoso e famigerato perché è la chiave e il grimaldello con cui abbiamo introdotto e dilatato il sistema dell'in house, dice esattamente questo. Quando però si ammette implicitamente che nell'in house possa essere in qualche modo coinvolta una società per azioni quotata, siamo fuori dalla disciplina comunitaria. Per quale motivo la disciplina comunitaria è stata elusa? Perché nessuna autorità è stata in grado, salvo talvolta il Consiglio di Stato, di costringere le amministrazioni locali a rimanere dentro la tipologia che la disciplina comunitaria delinea come in house, e cioè un'organizzazione direttamente sotto il controllo dell'amministrazione locale, qualcosa di molto simile alla vecchia municipalizzata. Nella precedente legislatura si era addivenuti a un testo di compromesso nell'ambito del centrosinistra, un testo nei cui confronti le trombe dei «benaltristi» hanno tuonato per circa un anno e mezzo, tanto da concorrere a vanificare l'approvazione di quel testo; che cosa diceva esso però, pur nella sua provvisorietà? Che l'in house doveva avere le caratteristiche, ed esse venivano esattamente disciplinate nel testo, della vecchia municipalizzata, cioè essere poco più di un ufficio della pubblica amministrazione, e solo a queste condizioni si sarebbe rientrati effettivamente nella modalità in house. Invece, nel testo presente non abbiamo una disciplina dell'in house; non c'è più, mi sembra di capire, perché, cassando l'intero comma 3, viene anche eliminata la disposizione in cui si prevedeva, non si capisce bene con quale ruolo, ma insomma quantomeno a titolo conoscitivo e di espressione di un parere che poteva esercitare una qualche moral suasion, il passaggio presso l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, che avrebbe comunque avuto un effetto moralmente inibitorio di pratiche anomale rispetto a una configurazione in house effettivamente coerente con la disciplina comunitaria.
Inoltre, non si dice nulla di alcuni punti che sono fondamentali perché si crei una vera liberalizzazione. La prima è quellaPag. 18della disciplina dei conflitti di interesse. Le poche gare che sono state tenute in questo Paese sono gare finte: il gestore della gara, cioè il comune concedente, indice una gara cui partecipa la propria azienda locale, e c'è quindi una chiara asimmetria informativa e una chiara gestione asimmetrica, per dire così, delle procedure competitive.
Tanto che vince sempre l'azienda che è detenuta dal titolare del potere di concessione. Quando poi vi è un'apertura del mercato, emerge comunque una chiara collusione fra i soggetti che fanno le gare contemporaneamente: così, se le gare vengono bandite dai comuni X e Y, nel comune X vince l'azienda di proprietà di Y e nel comune Y vince l'azienda di proprietà di X. Insomma, o si disciplinano in maniera seria e stringente i conflitti di interesse, o questa è solo acqua fresca. Allo stesso modo, si ignora completamente un capitolo fondamentale che in tutti i Paesi europei ha ormai centralità nella disciplina dei mercati, quello della tutela dei consumatori e della loro partecipazione a procedure che debbono essere caratterizzate da trasparenza.
Insomma, si tratta di un testo non solo pessimo ma, direi, inutile, che però, contrabbandando il fatto che si è approvata una riforma, metterà una pietra tombale sulla possibilità di modernizzare un settore che invece credo il dibattito di questi anni ha confermato essere strategico. Esso costituisce, infatti, una leva che può determinare un effetto domino: perché è un tappo sulla potenzialità di crescita delle economie territoriali; perché genera costi a carico dei cittadini e delle imprese (vari rapporti di Confartigianato, Confcooperative e Confindustria dimostrano che proprio in ragione della mancata liberalizzazione dei servizi pubblici locali le imprese sono soggette a differenziali di costo sui servizi che generano asimmetrie competitive rispetto a quelle che operano negli altri Paesi); perché, in una fase di inflazione e aumento del costo dei servizi, la mancata liberalizzazione genererà aumento delle tariffe e aumento delle imposte locali.
La liberalizzazione di questo settore avrebbe peraltro due effetti ulteriori. Il primo è quello di allontanare la politica dalla gestione di enormi interessi. Credo che quello che sta accadendo nella sanità dovrebbe consigliare di intervenire ora, prima che anche questo settore divenga terreno di intrusione - se vogliamo dir così - della magistratura penale: non ci si può infatti lamentare dopo del fatto che interviene la magistratura, se prima non si fanno le riforme che possono prevenire le distorsioni della spesa pubblica.
Infine, non posso comprendere - ed è veramente impressionante - come questa riforma sia voluta soprattutto da chi ha come proprio obiettivo strategico il federalismo. Se attraverso una riforma del modo di operare delle amministrazioni locali non si riducono i costi delle prestazioni e dei servizi prodotti dagli enti locali, il federalismo fiscale sarà un'operazione impossibile, poiché genererà costi e, quindi, un livello di fiscalità insostenibile sul piano sociale. Dunque, proprio chi ha nell'orizzonte del federalismo fiscale il suo traguardo dovrebbe più di tutti essere interessato a riformare quei meccanismi che dilatano la spesa a livello regionale e locale e che rendono impossibili, ad esempio, i processi di perequazione. Imporre patti di stabilità senza modificare profondamente il modo di operare delle amministrazioni è un'operazione che negli anni ha dimostrato il proprio carattere di illusorietà: o si generano deficit occulti o si comprimono in modo indiscriminato, random, le prestazioni. Anche qui, si tratta di un compromesso al ribasso che io ritengo riveli tutta la sua miopia.
Il socialismo municipale, come è stato giustamente definito il sistema delle utilities locali, trionferà, e questa mancata riforma sarà un altro dei modi con cui occultamente si metteranno le mani nelle tasche degli italiani. È questo un altro dei motivi per cui la rivoluzione delle amministrazioni pubbliche tanto annunciata appare oggi assai poco credibile (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico e del deputato Tabacci).

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PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Favia. Ne ha facoltà.

DAVID FAVIA. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, anzitutto il testo che, dopo lunga elaborazione, giunge alla discussione sulle linee generali da parte dell'Aula, è sbalorditivo per come ha visto i suoi natali: sappiamo, infatti, che è stato approvato dal Consiglio dei ministri in nove minuti e mezzo. Questo non mi sembra un sintomo di efficienza o di efficientismo, bensì mi sembra l'ennesimo atteggiamento di spregio nei confronti degli organi costituzionali, oltre che del Parlamento. Questa attività di spregio, alla quale non ci abitueremo mai e che, con la terza fiducia che vediamo in arrivo, impedisce un dibattito concreto, colpisce anche il Consiglio dei ministri. Questa non è assolutamente una prova di efficienza, e poteva tranquillamente essere risparmiata, pensando questa manovra un po' meglio che in nove minuti e mezzo (chiaramente so che probabilmente essa è stata elaborata e concordata a monte, ma a volte anche le forme hanno la loro importanza). La manovra poteva cioè essere valutata un po' meglio in Consiglio di ministri, senza farci assistere a questo balletto di tantissimi emendamenti, del maxiemendamento e poi della fiducia, perché credo che da un dibattito e un confronto chiaro e serio sarebbe potuto venir fuori un testo migliore, probabilmente gradito anche all'opposizione.
Un'opposizione che, nei limiti del possibile, ha dato un forte contributo, soprattutto in Commissione, e credo che le poche misure positive ed apprezzabili di questa manovra siano proprio il frutto dell'impegno dell'opposizione, un impegno che, tuttavia, ha condotto ad un parto che non rende votabile il provvedimento al nostro esame.
Si tratta di un provvedimento il cui titolo parla di sviluppo economico, di competitività e di perequazione tributaria, tutte parole vuote, e che non trovano corrispondenza nel testo. Sui giornali di ieri, ma in parte anche di oggi - come nella sempre azzeccata e bellissima vignetta di Giannelli sul Corriere della sera - si dà atto che sia il Premier, sia, soprattutto, il Ministro Tremonti sono, per così dire, non molto ottimisti. Riteniamo che già questo sia un atteggiamento sbagliato, perché il Governo dovrebbe infondere fiducia nella Nazione, e se non lo fa lui per primo la Nazione ne ha un detrimento; ma, non a caso, il crollo del gradimento di questo Governo parla da sé di tale problematica.
Come dicevo, Tremonti parla di una crisi del tipo di quella del 1929 (una crisi drammatica, la più grande ed importante del secolo scorso), ma poi non è conseguente riguardo alle soluzioni. La crisi del 1929 ha avuto un approccio risolutorio ormai storicizzato: essa venne affrontata con il New Deal roosveltiano, ossia sostanzialmente con un grande intervento dello Stato, soprattutto nel settore delle opere pubbliche, per fare da volano alla ripresa economica. Ma soprattutto, la filosofia - e non potrebbe essere altrimenti - è quella di sorreggere i cittadini più deboli e, in buona sostanza, di mettere soldi in tasca ai cittadini, proprio perché i consumi possano riprendere e il volano virtuoso dell'economia possa ripartire.
In Italia invece, circa ottanta anni dopo, Berlusconi e Tremonti tagliano sostanzialmente i fondi per gli investimenti infrastrutturali (per quegli investimenti, cioè, che invece potrebbero dare lavoro e costituire il volano dell'economia) in parte anche per ridurre l'ICI (una manovra nobile negli intenti della quale, però, non sentivamo questo bisogno prioritario).
L'ANCI ha calcolato che il sollievo sia di cinque euro al mese circa per ogni famiglia che possiede una casa, sebbene in molti casi gravata da un mutuo. Pertanto, ci riferiamo a famiglie certamente non allo stremo delle forze. Si tratta, dunque, di una manovra che si poteva non fare lasciando i denari allocati là dove erano, ossia principalmente su investimenti infrastrutturali e su altre iniziative assolutamente più importanti e lodevoli.
Che dire poi dell'esigenza straordinaria di bruciare 300 milioni di euro, 600 miliardiPag. 20del vecchio conio, per Alitalia? A proposito, ieri non sono stato in Aula, ma immagino che il Ministro Tremonti ci abbia illuminato sulla cordata Alitalia, ci abbia detto che è tutto a posto e che è tutto fatto, visto che nell'audizione in Commissione ci aveva informato che più o meno in questi giorni avremmo avuto tutte le notizie.
Questo piano, questa legge - chiamatela come volete - non affronta il problema fondamentale che abbiamo oggi in Italia, vale a dire il costo della vita e il contenimento dei prezzi; anzi, lo affronta in un caso perché, come ho detto prima con alcuni colleghi, blocca i prezzi dei libri di testo (si tratta di un'operazione senz'altro lodevole, ma non credo che sia l'obiettivo cui tutti i cittadini ambiscono). Non viene affrontato il problema dei prezzi se non con delle norme che dicono: vedremo, ascolteremo le lamentele delle associazioni dei consumatori, ma poi il Governo non ci dice effettivamente cosa fa per limitare il costo della vita (la famosa problematica della quarta settimana). Per esempio, non vi è cenno alcuno ad una rinuncia importante, quella alle accise sui prodotti petroliferi, ma solo un discorso parziale. Non sappiamo, se non con battute che cadono nel nulla, come il Governo voglia partecipare ad affrontare il problema del costo del petrolio. Non si affronta minimamente - anzi, mi scuso e mi correggo, lo si affronta in maniera peggiorativa - la problematica dei precari. Non si affronta la problematica dei salari più bassi degli operai e del popolo da 900, 1.000, 1.100 euro al mese. Non si affronta la problematica delle pensioni minime e di quelle sociali. A fronte del ricordo della crisi del 1929, non si attuano minimamente gli strumenti che consentirono a quell'epoca di uscire dalla crisi.
Mi sono riferito ai precari, e intendo ora affrontare il problema del lavoro. È offensivo il modo con cui tale materia viene trattata. Si stabilisce l'abolizione del divieto di cumulo tra pensione e lavoro e riguardo all'apprendistato professionalizzante viene abolito il termine minimo che era di sei mesi e viene fissato, invece, un termine massimo pari a sei anni. Offensivo: l'apprendistato professionalizzante si può svolgere per sei anni!
È stato detassato il lavoro straordinario, anche in questo caso rubando soldi a investimenti produttivi, ed è stata varata la cosiddetta liberalizzazione del mercato del lavoro, ossia è stato abolito il limite di 36 mesi per i contratti a termine, al di là del quale si doveva passare ad un contratto a tempo indeterminato. Vorrei sapere da questo Governo quando ha intenzione di prevedere un lavoro sicuro, fisso e a tempo indeterminato per i nostri giovani, qual è la strada per uscire dal precariato, qual è la strada perché i nostri giovani escano dall'incubo degli 800 euro al mese e possano avere una vita normale. Credo, francamente, che questo sia il primo grande problema che il Governo dovrebbe affrontare e che, invece, non affronta.
Trovo offensiva l'istituzione della social card - per la quale, signor sottosegretario, se non vi sono ulteriori modifiche, vengono stanziati 260 milioni di euro - che, da quanto ho capito, metterà in mano della gente più povera un'elemosina una tantum, forse insufficiente a pagare una bolletta e a fare la spesa in un normale supermercato.
Tra gli impieghi più importanti vi è più di un miliardo di euro solo per finanziare il cumulo pensione-lavoro e per finanziare il bonus del personale che rimane in servizio. Vorrei capire che politica è questa, che dà di più a chi ha già un lavoro e crea di fatto uno steccato e uno sbarramento per l'accesso al mondo del lavoro a tempo indeterminato. Consentitemi di definire quest'ultimo «normale», perché non vi è un mondo del lavoro parallelo, fisiologico, del lavoro a termine. Infatti, se ci fosse vi sarebbe solo il problema di cambiare lavoro spesso, ma il lavoro ci sarebbe. Sappiamo che in Italia questo tipo di lavoro precario, interinale, che purtroppo ammorba ed è consentito anche nelle pubbliche amministrazioni, getta le famiglie nella disperazione.
Credo che le famiglie siano rette ormai soltanto dalle persone più anziane, dalle pensioni e dai risparmi degli anziani.Pag. 21Credo che se si va avanti ancora con questo tipo di politica economica e con questa totale assenza di rispetto nei confronti della gente comune e più debole, in breve, quando le generazioni più anziane saranno passate, arriveremo al totale scollamento e alla distruzione del contratto sociale. Ho la sensazione, a meno che non abbia letto male, che non vi sia nulla, vi sia poco per affrontare tale problematica.
Voglio fare un excursus su alcuni punti. Avete posto la questione di fiducia sulla sicurezza. In questo decreto-legge vi è un piano assolutamente insufficiente per quanto riguarda le forze dell'ordine, che, non per nulla, sono in piazza. Ho letto questa notte, nel maxiemendamento, un ripensamento da parte del Governo e, quindi, della facoltà data alle Forze armate e alle forze dell'ordine di effettuare alcune assunzioni in deroga.
Credo che queste assunzioni siano assolutamente insufficienti per affrontare le problematiche della sicurezza, che indubbiamente vanno affrontate, ma vanno affrontate bene.
Che dire poi dell'articolo 26, il famoso «taglia-enti», che è stato positivamente modificato solo grazie all'insurrezione di gran parte della cosiddetta società civile e operativa e dell'opposizione, che ha ben rappresentato tali istanze. Si arrivava addirittura ad abolire gli enti che tengono vivo il ricordo della Resistenza e, salvo il grazioso ripensamento per decreto ministeriale, addirittura le autorità portuali. Fortunatamente, con emendamenti trasversali delle Commissioni poi fatti propri dal Governo, questi enti ed altri sono stati salvati.
Credo che, anziché fare le cose in nove minuti e mezzo, sarebbe meglio farle in molte più ore, ma facendole bene, in maniera non pasticciata, come invece questo Governo ci ha abituato a considerare la propria attività. Abbiamo un aumento della pressione fiscale per tutta la legislatura, in barba a ciò che questa maggioranza ha detto in campagna elettorale. Sembrava che fosse malevolo il decreto Prodi a non abbassare le tasse, e siamo sulla stessa identica necessaria lunghezza d'onda. Abbiamo riduzioni di spese in conto capitale, cioè per gli investimenti. Non vediamo significative riduzioni della spesa corrente.
Abbiamo un piano casa sicuramente importante e ce n'è bisogno, sia per la nostra gente, sia per gli immigrati regolari che lavorano e partecipano alla produzione della nostro PIL. È un piano casa assolutamente insufficiente su cui vengono investiti pochi soldi, e rilevo che è basato anche sul via libera alla speculazione, perché leggevo questa notte nel maxiemendamento che viene consigliato agli enti locali di fare accordi con i privati concedendo edificabilità in cambio di abitazioni. Potrebbe essere uno strumento interessante, se usato cum grano salis, ma temiamo che, se finisce in mani sbagliate, sia l'ennesimo esempio di speculazione e di consumo indiscriminato del territorio.
Abbiamo già sentito - ne sono interprete per quanto riguarda la mia terra, ma credo che in tutta Italia sia così - un'alta lamentazione da parte delle regioni e degli enti locali perché vi sono meno soldi per i servizi e meno soldi per la sanità. La sanità in questi giorni rappresenta un problema scottante e credo che, anziché tagliare indiscriminatamente i trasferimenti, sarebbe opportuno che venissero eseguiti efficaci controlli, perché il taglio indiscriminato finisce per colpire i sistemi virtuosi, non risolvendo le problematiche dei sistemi meno virtuosi. Credo che andrebbe analizzata ogni singola realtà e che andrebbe finanziata la politica dei controlli sulla spesa sanitaria e sulla spesa pubblica in genere, e poi che dovrebbero essere finanziati ragionevolmente i bisogni della comunità. Non ci sembra che questo sia l'approccio giusto.
Abbiamo notato un'apertura indiscriminata al nucleare, e noi non diciamo un «no» secco a tali forme di energia, credo che però vada almeno studiata la problematica. È dell'altro ieri una crisi presso una centrale in Francia e pochi giorni prima c'è stata una crisi importante altrove. Non mi sembra che il nucleare sia l'unico sistema al quale affidarsi. Credo che sarebbe opportuno fare tutti insiemePag. 22un'approfondita riflessione, colti - come sempre è opportuno fare nella vita - dal dubbio e poi trovare una soluzione. Le parole del Primo Ministro e del Ministro competente nel settore delle attività economiche ci sembrano l'ennesimo spot al quale questo Governo ci sta abituando: nucleare, nucleare. Ma quale nucleare? Con quali garanzie e quali prospettive? Per coprire quale fabbisogno? E in che modo? Integrato con altro tipo di energia? Ha un senso diventare schiavi dell'uranio quando sembra - non sono un esperto, ma sono queste le notizie di cui dispongo - che si potrebbe andare in crisi di fornitura forse ancora prima di quando finirà il petrolio? Allora poniamoci dei dubbi. Studiamo tutti insieme e troviamo una soluzione.
Che dire poi dello sbandierato amore per il recupero delle nostre intelligenze che scappano all'estero? Dell'amore che mostra a parole - come sempre - in modo pubblicitario questo Governo per l'istruzione e per la formazione? I rettori delle università italiana sono sul piede di guerra. Abbiamo bloccato i fondi, abbiamo bloccato le assunzioni nelle università italiane.
Abbiamo aumentato le classi - mi sembra da ventotto a trentuno componenti - senza alcuna soddisfazione per quella classe importantissima, che è la classe docente italiana, sottoremunerata e per la cui formazione perenne viene fatto assolutamente troppo poco.
Ovviamente, non è possibile svolgere l'analisi e la disamina di tutta questa manovra: ho toccato alcuni punti generali ed altri specifici (quelli che mi hanno colpito di più). Non vi sono investimenti sufficienti per le nostre imprese, per l'internazionalizzazione, per lo sviluppo economico e per la competitività. Non ci sembra che vi siano investimenti sufficienti anche per le cosiddette «autostrade telematiche». I denari pubblici sono utilizzati male, indirizzati verso settori sbagliati e non, invece, verso le problematiche principali che, come affermavo in precedenza, sono quelle dei ceti che maggiormente soffrono in questa situazione. Ci sembra che abbiate guardato troppo a chi già ce la fa - forse fin troppo bene - e troppo poco a chi soffre: purtroppo, questa ci sembra la cifra politica che contraddistingue la destra al Governo.
Spero - e concludo - che possiate capire e comprendere il prima possibile che una società ed una nazione, si valutano soprattutto da come trattano i propri figli più deboli e - mi si consenta, in fondo, me ne stavo dimenticando -, specialmente nel caso di una nazione come l'Italia, da come viene trattata la cultura (che, invece, appunto, è trattata malissimo). Mi sembra che vi siate dimenticati di inserire, addirittura, tra le strutture che possono fruire del 5 per mille, delle strutture culturali. Questa manovra è assolutamente da «bocciare» (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tabacci. Ne ha facoltà.

BRUNO TABACCI. Signor Presidente, intervengo in questa discussione sulle linee generali anche per testimoniare rispetto per il Parlamento e per le sue procedure. Svolgerò un intervento che punta ad evidenziare le questioni poste dall'articolo 60, successivamente il rapporto tra aumento della pressione fiscale e tagli lineari della spesa; svolgerò un cenno alle questioni dei servizi pubblici locali (anche se ne ha parlato diffusamente l'onorevole Lanzillotta e posso tranquillamente riferirmi alle cose da lei dette), un accenno al piano casa ed una conclusione sul «convitato di pietra», ovvero il federalismo fiscale.
L'onorevole Maroni ha appena dichiarato che a settembre si realizzerà il federalismo fiscale sul modello lombardo. Il modello lombardo è uno slogan pernicioso, come sbandierare la presa delle impronte digitali ai bambini rom. Così come egli ha dovuto estendere tale pratica a tutti i cittadini, se vuole prospettare un federalismo fiscale organico, non può certamente partire dal modello lombardo. Tuttavia, Maroni deve affiggere il suo manifesto padano e, quindi, dichiara che a settembre si partirà dal modello lombardo.Pag. 23
Vi sono questioni istituzionali e rapporti tra Governo e Parlamento, che vengono richiamati dall'articolo 60, che introduce misure di flessibilità: si modifica la procedura di bilancio, s'introducono rimodulazioni disposte con decreti ministeriali in contrasto con l'articolo 81 della Costituzione, si modifica la disciplina generale di contabilità con un provvedimento di decretazione d'urgenza. In sede di Commissioni riunite, con i colleghi dell'opposizione, a più riprese, abbiamo sottolineato la grave violenza che si opera sulle procedure di bilancio con il decreto-legge n. 112 del 2008.
Se, infatti, risulta utile valutare l'opportunità di un anticipo nella tempistica di presentazione del disegno di legge finanziaria, questo dev'essere il risultato di una modifica legislativa e non di un'iniziativa autonoma del Governo. A questo proposito, devo ricordare che anche la risposta del Presidente Fini alla lettera che, su tale argomento, gli è stata indirizzata dai colleghi Veltroni e Casini, non centra la questione, richiamando precedenti non assimilabili con quelli dei decreti-legge adottati nell'estate del 2006 e del 2007. Ciò risulta tanto più grave poiché l'esame alla Camera del provvedimento in questione si concluderà con il voto di fiducia sul maxiemendamento.
Venendo al merito del provvedimento, non nascondo che lo stesso contiene specifiche misure condivisibili, come quelle in materia di stock option e di alleggerimento degli adempimenti per le imprese. Allo stesso modo, ritengo condivisibile che si affrontino questioni come la promozione della banda larga, o interventi sulla pubblica amministrazione, oppure sui controlli relativi alla spesa sanitaria. Anzi, ritengo che su questi argomenti vi sia molto da lavorare e sarebbe stato positivo se la discussione parlamentare avesse posto le condizioni per una condivisione ampia.
Allo stesso modo, ritengo condivisibile la promozione dell'energia nucleare che il decreto-legge prevede. In proposito, ricordo di essere stato forse il primo nei tempi più recenti, nel 2002, a sostenere tale posizione, promuovendo, in qualità di presidente nella Commissione attività produttive della Camera, un'indagine conoscitiva sull'argomento, nonché una modifica legislativa che ha consentito alle imprese italiane di operare all'estero nel settore nucleare. Sottolineo, quindi, che la discussione sul punto debba uscire da una dimensione ideologica e mi rivolgo anche ai colleghi dell'Italia dei Valori, i quali, su questo punto, si fanno a mio avviso trascinare un po' troppo dalle posizioni di Grillo.
Al tempo stesso, rilevo che il decreto-legge n. 112 del 2008, nel suo insieme, reca pesanti difetti di impostazione generale: in primo luogo, l'appesantimento fiscale sulle imprese che operano nel settore energetico, il quale si riflette anche su quelle che fanno trading elettrico, cioè che non utilizzano direttamente petrolio, ma fanno commercio di elettricità. La qual cosa - come ha evidenziato l'andamento della borsa elettrica - si conclude con una traslazione sulle tariffe dei consumatori, rispetto alla quale l'Autorità per l'energia elettrica e il gas ha già dichiarato la sua impotenza. Anzi, da questo punto di vista, devo dire che, poiché essa si è permessa di avanzare qualche critica, il Governo aveva pensato bene di azzerarla, di tagliarle la testa. Poi è ritornato sui suoi passi. Non è l'unica volta che lo fa, ma è clamoroso che vi siano questi «effetti-annuncio» così prepotentemente polemici nei confronti del ruolo delle autorità indipendenti, come se il Governo - questo Governo - volesse tornare indietro, sui passi assunti dal nostro Paese in questi anni attraverso la strada delle privatizzazioni e attraverso il riconoscimento della necessità di affidare la cura di questi mercati ad autorità indipendenti.
Ieri, il Ministro Tremonti ha affermato che lui, invece di tassare gli operai, i correntisti e gli automobilisti, tassa - appunto perché è Robin Hood - i potenti, ossia i petrolieri, i banchieri, gli assicuratori. In realtà le cose non stanno esattamente così. Ritengo che sarebbe stato molto meglio modificare le norme sul CIP6 del 1992, in particolare l'erogazione diPag. 24incentivi che vengono pagati dai consumatori nelle bollette, non solo per la produzione di energie rinnovabili - e questo si comprende - ma anche per quelle assimilate, con un arricchimento ingiustificato delle imprese petrolifere.
Allo stesso modo, la questione che si riferisce alle disposizioni in materia di indeducibilità degli interessi passivi ai fini IRES per il settore bancario: mi pare scalfiscano solamente gli extraprofitti di un settore che opera spesso in totale assenza di concorrenza e certo non lascia tranquilli i correntisti. Infatti, come ha detto il Governatore della Banca d'Italia, c'è il rischio di un trasferimento e di un appesantimento dei costi di tenuta delle attività a danno dei consumatori correntisti, così come quelli in materia di trattamento fiscale della riserva sinistri per il settore assicurativo, posto che il livello di tali riserve è diminuito con il meccanismo dell'indennizzo diretto.
Non condivido poi il meccanismo sbrigativo ed indifferenziato dei tagli lineari di spesa che già in passato non hanno prodotto i risultati previsti. Richiamo, in proposito, la cosiddetta regola del 2 per cento ideata dal Ministro Siniscalchi, successore pro tempore del Ministro Tremonti. Al riguardo osservo che così operando si trattano nello stesso modo situazioni meritevoli di essere considerate in modo diverso e la vicenda del comparto sicurezza sta a dimostrare il significato della portata di questa mia opinione.
Vorrei approfondire ulteriormente il tema della contraddizione tra il titolo dell'articolo 81 (perequazione tributaria) e il fatto che il decreto-legge in esame sconta il fatto che le tasse aumenteranno, fino a raggiungere nei prossimi anni un livello pari al 43 per cento nel 2013. Quindi, il ministro Tremonti, che si era presentato come colui che avrebbe abbassato le tasse, in realtà, si conferma come uno che fa il contrario. A proposito di promesse elettorali, se c'era un tentativo da fare andava espletato in questa direzione.
Ricordo che ho predisposto due emendamenti in sede di Commissioni riunite per costruire in maniera diversa la cosiddetta Robin Hood tax, rilevando come essa sia stata giustamente criticata dal Governatore che ha specificato che l'imposta in questione si trasferisce sui consumatori finali. Quando si cita il governatore Draghi il Ministro Tremonti si innervosisce, ma non ve ne è ragione perché il governatore Draghi sul punto non fa altro che evidenziare una possibile ricaduta che è già nei fatti.
Ricordo, tra l'altro, che la relazione annuale in materia dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas aveva confermato quanto sostenuto dal Governatore della Banca d'Italia. Le mie proposte in materia consistono in un intervento organico sul CIP6 che garantirà di avere risorse per offrire delle tariffe agevolate ai clienti più svantaggiati, invece di istituire un fondo sociale che non ha alcuna utilità. Questo è il punto: anziché stabilire questa sorta di fondo sociale, propongo, con le risorse del CIP6, di intervenire direttamente per garantire tariffe agevolate ai clienti più svantaggiati.
In tal modo vi è un automatismo e non una discrezionalità; infatti, tale fondo è ispirato ad una logica compassionevole, anche perché non è possibile fare un censimento dei poveri al fine di individuare i beneficiari della carta speciale alla luce di una dimensione del sommerso che talvolta ci fa capire e individuare male chi è davvero povero e chi finge di esserlo. Invece, con il taglio del CIP6, è possibile intervenire con tariffe agevolate a sostegno di soggetti che è possibile individuare in maniera molto semplice.
Ma quanto vale il CIP6? Dai dati relativi all'applicazione del provvedimento del CIP6 nell'anno 2006, l'impatto delle agevolazioni concesse ai sensi del provvedimento richiamato sulla componente tariffaria A3 della bolletta - utilizzata prevalentemente a copertura dei costi del CIP6 - è pari a 3,5 miliardi di euro.
Da informazioni ricevute dall'Autorità per l'energia elettrica e il gas, la parte di tale somma riferibile al sostegno delle fonti assimilate è pari a 2,5 miliardi; quella riferibile alle fonti rinnovabili èPag. 25pari a circa un miliardo. La proiezione per gli anni successivi, ho parlato del 2006, fornite sempre dall'Autorità, stimano per il 2007 che l'aggravio da CIP6 che si riversa sulla componente tariffaria della bolletta sarà pari a 2,5 miliardi di euro, di cui 1,5 attribuibile all'incentivazione delle fonti assimilate alle rinnovabili. Per il 2008, quindi per l'anno in corso, questa proiezione prevede che il sostegno alle fonti assimilate alle rinnovabili avrà un impatto pari al 1,2-1,3 miliardi di euro. Questi sono i numeri.
Invece di fare il solletico ai petrolieri si può intervenire in maniera strategica attraverso questa via, una via diretta, semplice e lineare. Perché, per la via intrapresa dal Ministro Tremonti, si evidenzia che le sue previsioni appaiono troppo ottimistiche per quel che riguarda gli introiti derivanti dalla Robin tax, oppure opera per tentare di ricostruirsi un tesoretto. In entrambi i casi, non è un'operazione trasparente; per questo manifesto perplessità sul fatto che una società quotata in borsa, l'ENI, decida per puro spirito di liberalità di donare 200 milioni di euro.
Tale donazione costituisce una conferma del fatto che la Robin tax non può sortire gli effetti sperati, oppure li sortisce, ma sono perversi, sottolineando altresì che tali risorse provengono probabilmente da impianti CIP6 dell'ENI o da impianti degli idrocarburi dell'ENI stessa, oppure si fa riferimento a quella verifica sulla subsidenza nell'alto adriatico per la quale io auspico che si utilizzino degli specifici studi settoriali. Tuttavia, è evidente che questa iniziativa dell'ENI appare tutt'altro che trasparente e chiara, e poiché ritengo che l'ENI non possa avere un rapporto diretto e personale, come se fossero affari privati, con il Ministro dell'economia, queste spiegazioni dovranno essere date dai vertici dell'ENI agli azionisti; il Ministro Tremonti deve dare spiegazioni anche al Parlamento sul significato di questa apertura dell'ENI. Perché, vedete, in Italia esiste un cattivo funzionamento del mercato del gas e se vi sono profitti troppo elevati a favore del monopolista di fatto, vuol dire che non ha difficoltà a restituire una parte dell'ingente quantità di risorse lucrate, tra l'altro lucrate ai cittadini con bollette molto care.
Ecco perché la manovra di cui parlo è sostitutiva, è una cosa diversa rispetto a quella prospettata dal Ministro Tremonti. Sì, mi sento un po' più Robin Hood di quanto non sia lui, un Robin Hood a parole. Questa manovra per il suo carattere lo sarebbe nei fatti e avrebbe la capacità di affrontare le questioni laddove esse debbono essere affrontate.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MAURIZIO LUPI (ore 11,40)

BRUNO TABACCI. Conseguentemente, si potrebbe eliminare il fondo sociale previsto, che appare come una sorta di elemosina, perché l'applicazione delle entrate da CIP6, con riferimento al vantaggio dei consumatori finali, specie quelli svantaggiati, sarebbe molto più forte, più potente e incisiva rispetto a ciò che si verifica con il fondo sociale. Così come si potrebbe togliere quell'aumento dell'IRES a carico delle imprese che fanno trading elettrico, le quali, come ho già detto prima, hanno già anticipato il trasferimento sulle tasche dei consumatori. La nostra opinione sul punto è radicalmente alternativa a quella del Ministro Tremonti.
Sui servizi pubblici locali, dopo quello che è accaduto stamattina, non ci sarebbe bisogno di aggiungere molto. Devo dire al collega Fugatti che, la prossima volta, è bene che si armi di maggiore prudenza, perché può anche essere che glielo abbiano chiesto i suoi colleghi della Lega, ma è un pasticcio clamoroso quello che si costruisce con quest'iniziativa del Governo.
Si tratta di un Governo che sarebbe dovuto essere liberale, e invece si ritorna proprio alla «mangiatoia» denunciata dallo stesso onorevole Bossi: si introduce, infatti, il meccanismo perverso che consente di tenere in vita le società pubbliche o miste, ove non vi siano le condizioni per il ricorso al mercato.Pag. 26
È chiaro che, poiché si accerterà che non vi sono le condizioni per il ricorso al mercato, la società pubblica e la società mista diventeranno la regola: si tratta, quindi, dell'ossificazione della «mangiatoia», secondo la quale vi sono consigli di amministrazione che rispondono direttamente al controllore politico, al sindaco o al presidente della provincia. Vi sono, altresì, le assunzioni mirate. È vero che la Lega deve avere qualche azienda municipalizzata al nord, ma vi pare normale che si faccia tutto questo per l'azienda municipalizzata di Varese o quella di Busto Arsizio? L'Italia è lunga e stretta, ma è ampia e articolata, quindi credo che proprio non ne valesse la pena.
Aggiungo che la Lega assume la posizione che Rifondazione comunista aveva nel Governo Prodi: non è una posizione diversa. Su questi temi essa è statalista, altro che liberista, e lo è in maniera grifagna e aggressiva nei confronti dei cittadini consumatori, dei quali non ha alcun rispetto.
Svolgo un accenno al tema del «piano casa»: il Ministro dell'economia e delle finanze ha fatto riferimento al «piano Fanfani». È come mettere insieme il diavolo e l'acqua santa: si tratta di una citazione del tutto impropria, non solo per le caratteristiche diverse del ruolo di Fanfani (con il suo «piano casa» emanato durante il Governo De Gasperi), ma anche per le condizioni strutturalmente diverse del mercato. Il «piano casa» - che tra l'altro è dotato di modeste risorse - non interviene sulla rendita immobiliare, ma semplicemente sul costo di costruzione, con un intervento mirato, tra l'altro, di modesta consistenza. Segnalo che il costo di costruzione incide solo per il 25 per cento sul valore finale dell'abitazione. È il restante 75 per cento - che è il frutto della rendita immobiliare - che deve essere aggredito: invece, come è stato ricordato dal collega che mi ha preceduto, si danno indicazioni agli enti locali di mettersi d'accordo con i proprietari delle aree. Così non si va da nessuna parte.
Siamo molto indietro rispetto perfino all'iniziativa pregevole che un Ministro come Fiorentino Sullo aveva assunto sull'edificabilità dei suoli, in anni nei quali i Governi avevano una capacità di compiere iniziative e di favorire il progresso che, senza voler essere nostalgici, si vede, si nota e si evidenzia.
Tra l'altro, poiché sono mutati profondamente, da un lato, il rapporto tra costi di costruzione e rendite dei terreni e, dall'altro, l'andamento degli stipendi e dei salari, oggi non è più possibile fare quello che era possibile fare negli anni Settanta: pertanto, questo «piano casa» - che in sé sarebbe una buona idea - appare in tutto il suo velleitarismo.
Concludo con alcune considerazioni sul federalismo fiscale (il convitato di pietra): si nega il tesoretto e si costruisce uno spazio contabile, magari sottostimando le entrate e sovrastimando le uscite, su cui si innestano tagli lineari. Cosa non si fa per creare questo spazio, almeno sulla carta! È lo spazio del tesoretto. Non viene cercato lo sviluppo. Lo sviluppo si vedrà. Se, per avventura, esso vi fosse, Tremonti afferma che ve ne sarà per tutti. Adesso la questione più urgente è come tentare di accantonare risorse per affrontare il tema del federalismo fiscale. Intanto, il decreto-legge si limita a studiare il problema. Vi sono poche risorse per tentare di compiere studi in materia, ma si dice - il Ministro Maroni lo ha dichiarato pochi minuti fa - che a settembre si approverà il federalismo fiscale.
Mi permetto di svolgere alcune brevi considerazioni in materia di federalismo fiscale, evidenziando intanto la necessità di rifuggire da una parola che dovrebbe avere effetti taumaturgici, per cogliere, invece, un'occasione utile per modernizzare il nostro Paese, rendendolo più efficiente.
Il problema reale di partenza è la consapevolezza dell'ampio divario di ricchezza tra le diverse regioni italiane. Vi invito a riflettere sui dati dello Svimez di stamattina sull'andamento dei consumi e della ricchezza nel Mezzogiorno. C'è un pericolo incombente da evitare. È il federalismo delle furbizie contrapposte, tra chi considera quanto può recuperare nel giocoPag. 27dei nuovi equilibri e chi valuta quanto può continuare a spendere, sulla base di un generico principio di solidarietà e di perequazione.
Ci sono vincoli ineludibili da affermare: come garantire i livelli essenziali per tutti i cittadini italiani e come determinare una previsione dei costi standard per ciascun servizio prestato. Emerge una necessità di fondo, vale a dire il superamento della spesa storica nei meccanismi di finanza locale, superando l'attuale centralizzazione delle entrate e l'incontrollabile dispersione dei centri di spesa, che non possono rivendicare autonomia disgiunta dalla responsabilità.
Allo stesso modo, si deve organizzare un'uscita degli enti locali dalle società partecipate, che gestiscono servizi pubblici locali - esattamente il contrario di quello che propone di fare l'attuale Governo - per ragioni legate, ovviamente, all'efficienza dei mercati, dei servizi, alla tutela dei consumatori e per l'affermazione del passaggio definitivo dallo Stato imprenditore allo Stato regolatore, in tutte le sue regolazioni istituzionali. Altre volte ho detto che questa operazione non può essere attuata a Roma e contraddetta in periferia. Non si può chiudere l'IRI a Roma e aprirne tanti nelle realtà regionali o periferiche dell'Italia.
Ovviamente, bisogna, tra l'altro, ragionare su dati omogenei e impiegare il tempo necessario per trovare soluzioni condivise. Non so se voi, a settembre, sarete davvero pronti. È vero che la Lega scalpita, ma dovremo almeno metterci d'accordo su cosa intendiamo sul tema del federalismo fiscale. Occorre riflettere, ad esempio, sulle entrate, che devono camminare sul binario della responsabilità e crescere, riducendo il peso del sommerso, che incide sulla base imponibile.
Quando in un Paese vi è un 30 per cento di sommerso, è difficile pensare di svolgere riflessioni concrete e serie in materia di federalismo. A meno che il loro federalismo non sia la chiusura della partita con due lire a Roma capitale, cinque lire all'expo 2015, con la restituzione di qualcosa, a mo' di segnalibro, nei confronti della regione Lombardia, perché ha fatto la voce più grossa. Questo non è il federalismo, ma confusione istituzionale. Si tratta di valutare le dimensioni dei PIL regionali, almeno considerando gli andamenti statistici degli ultimi dieci anni.
Bisogna capire cosa è accaduto negli ultimi dieci anni in materia di sviluppo e come il PIL sia articolato su base regionale. È necessario perché bisogna capire come deve essere suddiviso il peso del debito pubblico, che va suddiviso virtualmente, ma non c'è dubbio che il problema si pone. Infatti, il debito pubblico si è accumulato nel corso di questi anni, in particolare a partire dal 1980.
Nel 1980 - forse molti non l'avranno presente - il rapporto tra debito pubblico e PIL era solo del 55,2 per cento. Ovviamente, bisognerebbe ripercorrere tutta la storia e ieri, il Ministro Tremonti, che pure ha parlato molto, lo ha fatto in modo molto sbrigativo. Non ha fatto cenno all'introduzione del divorzio tra Tesoro e Banca d'Italia e alle politiche monetarie di quegli anni, come se il debito pubblico si fosse manifestato quasi per incanto.
Eppure il debito c'è e, quindi, il problema di come affrontarlo, anche in chiave di federalismo fiscale, è decisivo. Occorre riflettere poi sulle dimensioni del capitale fisso sociale, accumulato nelle diverse realtà regionali. Non è vero che le situazioni sono tutte uguali. Il capitale fisso sociale è quello che è stato accumulato e anche questo va messo a fattor comune. Un confronto così ampio sulla dimensione del federalismo fiscale impone un chiarimento di fondo sulle istituzioni Stato, regioni e comuni, sulle loro competenze e sulla natura sussidiaria e solidale dei loro compiti.
Questo richiede di completare una riflessione sia sul ruolo delle città metropolitane, sia sull'individuazione di un ente intermedio, che superi l'attuale provincia, che non può essere eletto direttamente, ma che può essere di secondo livello e con una soggettività fiscale che è propriamente legata ai servizi realizzati, così come previsto nell'esperienza amministrativa francese.Pag. 28
Per realizzare queste cose, però, occorre il tempo necessario ed è inutile che la Lega scalpiti. Ritengo che questa sia un'occasione importante per ammodernare le nostre istituzioni e che debba essere colta, ma per portare a termine, davvero, un'operazione di tali dimensioni non è sufficiente che la Lega affigga il suo manifesto padano; questo è il punto centrale e di questo ci si dovrà rendere conto con serenità. Tutti quelli che tentano di fare dei passi troppo affrettati saranno costretti, come questa mattina sui servizi pubblici locali, a tornare precipitosamente indietro. Comunque, la ringrazio signor Presidente e saluto i colleghi che sono qui presenti per la pazienza che hanno avuto di ascoltarmi (Applausi dei deputati dei gruppi Unione di Centro, Partito Democratico e Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Nastri. Ne ha facoltà.

GAETANO NASTRI. Signor Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, le vicende che si sono susseguite sul piano economico, soprattutto a livello internazionale, confermano, ancor più di quanto già non fosse evidente al momento dell'approvazione da parte del Governo, l'utilità e la tempestività del decreto-legge in esame, che permette di anticipare di diversi mesi i contenuti sostanziali della manovra finanziaria per il 2009. In tal modo, lo Stato dà mostra di sapere reagire con fermezza alle sfide della globalizzazione e alle nuove minacce che si addensano all'orizzonte con il propagarsi, di Paese in Paese, di settore in settore, di crisi e di difficoltà che, ormai, non si possono più definire congiunturali, ma hanno una connotazione di fenomeni strutturali nei confronti dei quali serve una risposta complessiva e sistematica dei pubblici poteri. Si stanno purtroppo concretizzando le minacce di carattere economico su scala globale nei confronti delle quali il Ministro Tremonti era stato tra i primi a lanciare l'allarme in mezzo ad una generale sottovalutazione delle conseguenze delle bolle dell'edilizia, createsi negli Stati Uniti e propagatesi negli altri Paesi occidentali, che molti analisti, e anche le banche centrali, tendevano a derubricare a livello di una semplice e passeggera turbolenza dei mercati.
Ritengo che si possa, dunque, salutare con soddisfazione l'iniziativa del Governo assunta con il decreto-legge n. 112 del 2008. Con il varo del decreto si ottiene il risultato di definire con notevole anticipo rispetto a quanto avveniva nei precedenti esercizi finanziari il quadro certo a cui gli operatori economici, le aziende e i cittadini possono fare riferimento, adeguando di conseguenza i propri comportamenti e conoscendo fin da ora quali sono gli elementi di politica economica, le linee e le iniziative concrete del Governo. È questo il testo in cui il Governo Berlusconi annuncia i propri obiettivi per l'intera legislatura. In esso è contenuto l'impegno del Governo a rilanciare l'azione di risanamento della finanza pubblica al fine di conseguire il pareggio di bilancio entro il 2011 ed a portare lo stock del debito pubblico, nello stesso anno, al di sotto del 100 per cento del PIL; si tratta di obiettivi ambiziosi ma che rispettano i criteri stabiliti dall'Unione europea. L'azione per correggere i conti pubblici si concentrerà, dunque, principalmente sulla riduzione della spesa pubblica, con un ritmo dell'1 per cento annuo. In continuità con queste proposte strategiche si colloca appunto il contenuto del decreto-legge n. 112, rispetto al quale credo si possa dire che vi sono contenute misure di equità, di semplificazione, di snellimento dei rapporti tra Stato, cittadino e imprese, e di rigore non solo finanziario.
Si tratta di misure di equità in quanto si stabilisce il principio di una tassazione dei guadagni di congiuntura, con il coinvolgimento delle compagnie petrolifere, delle banche, delle assicurazioni per concorre alla creazione di un Fondo sociale destinato alle fasce più deboli della popolazione.
La difesa appassionata che il ministro Tremonti ha svolto in questa sede è pienamente condivisibile. Appare curioso ed incomprensibile che da taluni ambientiPag. 29della stessa sinistra siano state sollevate critiche alle misure di tassazione degli alti profitti conseguiti in questi settori in virtù di una congiuntura favorevole e, dunque, senza particolari meriti. A regime, si calcola di ricavare dalla cosiddetta Robin tax qualcosa come 4 miliardi di euro, che avranno un ruolo fondamentale per garantire un sostegno alle fasce più deboli, senza dover ricorrere ad altre modalità di tassazione più estese.
La manovra definisce, inoltre, i contorni di uno straordinario Piano casa indirizzato a quelle famiglie che hanno il problema dell'abitazione principale. Sono misure di semplificazione e di rilancio della produttività che serviranno a rendere più rapidi gli adempimenti ed a centrare l'obiettivo di rendere effettiva la cosiddetta impresa in un giorno.
Così come risultano adeguate anche le normative per l'internazionalizzazione delle imprese e si ammette finalmente la piena cumulabilità tra pensione e redditi da lavoro. Viene poi prorogata la validità delle carte d'identità da cinque a dieci anni, facilitando tale adempimento per tutti i cittadini. Vengono adottate misure di rigore per i dipendenti pubblici, per i quali il provvedimento in esame sancisce norme giustamente meno generose per le assenze per malattia, con controlli più serrati per combattere l'assenteismo. Vengono ridotte collaborazioni e consulenze e diventano più serrate le verifiche su incompatibilità e cumulo di incarichi. Nel settore del lavoro, oltre alle modifiche alla disciplina dell'apprendistato, si rilanciano i buoni lavoro, mai decollati, per le prestazioni occasionali, e si delinea un piano d'azione per combattere l'evasione.
Sono questi i passaggi a mio avviso più significativi, che contraddistinguono il contenuto del provvedimento in esame, consegnando ai cittadini italiani, prima della tradizionale pausa estiva, uno strumento di cui - sono certo - il Governo saprà fare buon uso, per garantire che lo Stato e l'insieme del sistema pubblico possa dare risposte efficaci alle difficoltà che purtroppo si annunciano nei prossimi mesi.
In conclusione, appare evidente che con il decreto-legge n. 112 del 2008 il Governo Berlusconi ha messo in condizione il Paese, con notevole anticipo rispetto alla scadenza di fine anno, come non accadeva da molto tempo, di affrontare con sicurezza le sfide dell'economia, che è ormai pienamente globalizzata. Senza questo autentico scudo l'Italia, con l'alto debito pubblico, con le difficoltà in qualche modo congenite della propria struttura finanziaria e produttiva e con i problemi ereditati dal passato, avrebbe corso il rischio di essere investita dalla crisi in modo molto più pesante.
Da parte del Governo vi è stata la capacità di incidere, nell'arco di sessanta giorni, su molti fronti e su molte emergenze del Paese: dalla questione sicurezza (alla quale è stata data una risposta operativa efficace, anche dal punto di vista psicologico, rispetto alla percezione di rischio e di malessere che è presente in molta parte della popolazione) alla questione del sostegno immediato ai redditi bassi (con la soppressione dell'ICI sulla prima casa, la detassazione degli straordinari e la rinegoziazione dei mutui), alla scandalosa questione dei rifiuti della Campania (che tanto danno ha arrecato all'immagine dell'Italia e che pare ormai avviata ad una soluzione valida e definitiva).
È con rammarico che si osserva l'atteggiamento dell'opposizione rispetto a questi problemi, il cui interesse travalica i confini di una parte politica per coinvolgere tutto il Paese e tutti i cittadini, anche quanti, nel segreto dell'urna, hanno scelto il centrosinistra, un centrosinistra che nei due anni del Governo Prodi non è stato in grado di cogliere i problemi economici, di comprenderne la portata e di agire di conseguenza.
È opportuno ricordare che con la legge finanziaria per il 2007 si volle imporre una manovra di severo contenimento, con l'aumento della tassazione a livelli mai raggiunti prima, proprio mentre l'espansione dell'economia avrebbe permesso di ridurre il carico fiscale e agire invece sugli investimenti. Con la legge finanziaria successiva,Pag. 30quella per il 2008, anche questa volta in piena contraddizione con l'incipiente e sottovalutata crisi internazionale, il Governo Prodi, a picco nei sondaggi, creava e cercava un improbabile recupero distribuendo mance ai pensionati ed elargendo generose contribuzioni alle proprie clientele. Quali lezioni possono giungere da una parte politica che si è resa responsabile di simili errori? La netta vittoria della coalizione guidata dal Presidente Berlusconi, lo scorso aprile, ha fortunatamente messo fine a questa situazione schizofrenica, in cui il Governo agiva sempre in controtendenza rispetto all'andamento dell'economia e di conseguenza agli interessi del Paese. Esiste oggi in Italia un Esecutivo che, grazie alla capacità del Presidente Berlusconi e all'intuito del Ministro Tremonti, può essere davvero di sostegno allo sviluppo del Paese e non di intralcio. Questo sforzo e questa volontà meritano dunque il sostegno pieno ed incondizionato del Parlamento (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cambursano. Ne ha facoltà. La ascoltiamo tutti, anche nella sua sintesi.

RENATO CAMBURSANO. Signor Presidente, questo temo che sia un po' improbabile. Ci provo, ma non so se ci riesco.

PRESIDENTE. Noi lo auspichiamo, poi sta al suo buon cuore. Prego, onorevole Cambursano.

RENATO CAMBURSANO. Ho atteso così a lungo di prendere la parola, quindi...

PRESIDENTE. Al suo buon cuore.

RENATO CAMBURSANO. Signor Presidente, ho intravisto e credo che sia ancora in Aula anche il Ministro Vito: lo ringrazio della presenza.
Ringrazio soprattutto il sottosegretario Vegas per la tanta attenzione dimostrata, anche se, per la verità, siete riusciti entrambi, come Governo, a creare imbarazzo stamani anche nei confronti del presidente della Commissione finanze, quindi vuol dire che evidentemente non vi sono più limiti, come veniva ricordato prima dal collega Evangelisti. Ieri, il Ministro Tremonti ha affermato che, pur se richiesta la sua presenza, l'essere qui era per lui un grande onore. Ne prendiamo atto. Peccato che la sua presenza la avessimo chiesta sessanta giorni fa, cioè subito dopo l'insediamento del Governo e l'ottenimento della fiducia, affinché, appurati i conti dello Stato, ci venisse a dire esattamente come stavano le cose.
Però, non è venuto. Non lo abbiamo visto se non ieri, quando è venuto a raccontarci non il decreto-legge al nostro esame, ma alcune favole che girano per il Paese e nel mondo.
Gliela voglio ricordare io, signor Ministro che non c'è, per il tramite del suo sottosegretario Vegas, la situazione che lei o, meglio, loro hanno lasciato nella primavera del 2006 e quella, invece, che avete ereditato non più tardi di tre mesi fa.
Lei, Ministro Tremonti, ha lasciato una situazione che possiamo fotografare con tre dati soltanto. Il primo: il disavanzo, il deficit superava abbondantemente il 4 per cento. Il debito, che avevamo diminuito, lo avete, invece, rilanciato, era cresciuto; avevate azzerato l'avanzo primario, che è uno degli elementi principali di valutazione dell'operato del Governo.
Credo che questi siano tre dati assolutamente inconfutabili, a tal punto che a certificare questi dati non è Renato Cambursano né l'Italia dei Valori né l'opposizione tutta, ma è un'autorità superiore, che si chiama Unione europea.
Il Commissario dell'Unione europea ha avviato la procedura di infrazione proprio perché non eravate riusciti a stare dentro i parametri, e noi arriviamo sempre per salvare la patria (evidentemente, è il nostro destino); così, abbiamo rimesso insieme i conti, abbiamo lasciato una situazione assolutamente diversa, positivamente diversa, da come ce l'avevate lasciata voi.Pag. 31
Il deficit era diminuito all'1,9 per cento, il debito aveva ripreso a calare vistosamente, si era cominciato a ricostruire l'avanzo primario. Avevamo anche lasciato - lo aveva detto anche la Ragioneria dello Stato, tra le righe di un documento non firmato - un extragettito, quantificabile in almeno tre miliardi di euro.
Ma, soprattutto, la certificazione di questi dati positivi, ancora una volta, come quelli negativi di due anni prima, l'ha rilasciata l'Unione europea, quando il Commissario Almunia ha annunciato il ritiro della procedura di infrazione; in contemporanea, però, ha fatto anche altro. Ha sollecitato il nuovo Governo a rispettare gli impegni presi dal Presidente Prodi: innanzitutto, quello di azzerare il disavanzo entro la data convenuta, e cioè il 2011, e quello di far rientrare il debito, nell'arco degli stessi anni, sotto il 100 per cento.
Il Ministro Tremonti ha accettato, ha convenuto, non poteva fare che così; ma - ahimè - molto presto gli impegni assunti verranno disattesi e la situazione in questi sessanta giorni - ecco perché desideravamo fortemente che ci venisse a dire quale era la situazione sessanta giorni fa, non oggi - è sicuramente cambiata e se ne stanno rendendo conto a tutti i livelli internazionali.
Nel frattempo, infatti, per mantenere un impegno meramente elettoralistico, avete soppresso l'ICI; lo avete fatto anche in modo subdolo, caricando l'onere per una fetta consistente, superiore al miliardo di euro - voglio ricordare che un miliardo di euro non sono noccioline - sui comuni, che hanno due strade da seguire, anzi, ormai solo una.
Una volta c'era quella di aumentare le entrate locali, fiscali e tributarie; adesso, visto che nel decreto-legge questa possibilità non gliela concedete più, gliene rimane solo una: quella di tagliare i servizi.
E, guarda caso, quali servizi? Nei confronti di quale categoria di persone, tra la popolazione, i sindaci saranno costretti - ahimè - con grande disappunto e rammarico, con grande sofferenza, a operare dei tagli?
Sono esattamente le fasce più deboli, perché gli altri ci pensano da soli: hanno risorse proprie.
Ma c'è un'altra nocciolina, bella davvero, o ciliegina sulla torta: ed è ancora quella dell'Alitalia. Oggi su tutti i quotidiani viene richiamato questo argomento, perché viene promessa la soluzione da un giorno all'altro, da una settimana all'altra, da un mese all'altro; e leggiamo sui giornali di oggi 18 luglio, venerdì: «Berlusconi: Alitalia, soluzione vicina». Ma quante volte l'abbiamo già sentita questa litania, questa nenia! Ancora: «Il Premier: presto il piano». E poi (questo è il top): «Abbiamo dovuto dire no a tanti imprenditori». Avevo ragione io allora, quando discutendo del decreto in cui erano contenute le norme relative ad Alitalia, «salva Alitalia», affermavo che c'era la coda di imprenditori davanti al portone principale della sede di Alitalia. Peccato che non fossero lì per sottoscrivere o acquistare il capitale Alitalia, perché sanno bene quanto valga, cioè zero, ma erano lì per prendere il primo volo per andare nelle destinazioni desiderate.
Signor Presidente, lei sicuramente ricorderà che, non più tardi di ieri, un collega del Popolo della Libertà ha detto in Aula: «turbo-avvio del Governo». È vero. Infatti basta leggere i quotidiani degli ultimi giorni, per avere conferma dell'entità di questo turbo-avvio; o turbato, ma forse ho capito male io; o turbante, peggio ancora. Cito titoli di giornali di ieri, di ieri l'altro e di oggi: «Economia ferma», «Tempi duri», «Spettro del '29» (argomento questo ripreso anche dallo stesso Ministro Tremonti), «Giornate nere a ripetizione»; e ancora: «Potere d'acquisto in forte calo». A tal proposito, voglio anche qui richiamare che cosa sta succedendo.
Il 38,5 per cento delle famiglie italiane in un recente sondaggio ha dichiarato di aver limitato l'acquisto di pasta o aver scelto prodotti di qualità inferiore; il 33,2 per cento ha fatto lo stesso discorso per il pane, il 45,3 per la carne. Anche i luoghi del consumo mutano, e sono sempre più quelli che per risparmiare si indirizzano verso gli hard discount, dove si possonoPag. 32trovare prodotti privi di marchio o con marchi poco conosciuti a prezzi competitivi. È una conseguenza scontata che ad una contrazione dei consumi segua una frenata della produzione industriale, che guarda caso a maggio ha registrato un calo del 6,6 per cento rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente. Questi sono i risultati di questo Governo: giù la produzione, giù anche la vendita di beni non solo di prima necessità, ma anche di quelli definiti normalmente beni durevoli.
Ma c'è un rischio maggiore, e sicuramente il sottosegretario Vegas lo sa. Lo ha ricordato anche lo stesso Ministro ieri, quando si è degnato di venire in Aula: è ai massimi il rischio di insolvenza per i titoli di debito pubblico. Attenzione: accendiamo tutti i fari su ciò, che potrebbe davvero significare una débâcle totale di questo Paese. Lei sa, signor sottosegretario, cosa significa l'aumento della non credibilità dello Stato, del Paese Italia nei confronti del collocamento dei titoli di debito pubblico.
E poi c'è l'argomento principale, i rincari sulla spesa quotidiana primaria. È stato detto da più parti, anche da tanti miei colleghi dell'Italia dei Valori, che l'inflazione registrata al 3,7- 3,8 per cento complessiva ormai si avvia verso il 4 per cento; è stato anche ricordato che sui beni di prima necessità è più prossima al 6 per cento, per alcuni prodotti addirittura ben oltre.
Questo significa - come si trova scritto su tutti i giornali, anche quelli non comunisti, come Il Sole 24 Ore - 130 euro al mese in meno. Insomma, il Paese è fermo: anzi, arretra.
E arretra non solo economicamente, ma anche moralmente, per gli atti presi da questo Parlamento non più tardi di qualche giorno fa. L'illegalità è diffusa: quattro regioni sono controllate dalla malavita organizzata; il 25 per cento dell'economia - unico caso nel mondo occidentale - è sommerso; il lavoro nero è in crescita; l'evasione fiscale è ancora altissima e anzi negli anni 2001-2006, quando già governava il cavalier Berlusconi, essa ha subito un incremento esponenziale.
E di cosa è frutto questo aumento dell'evasione fiscale? Di tre provvedimenti. Il primo è il change-over del 1o gennaio 2002. Chi doveva controllare quello che stava avvenendo nel Paese nel momento del cambio fra lira ed euro non lo ha fatto, addossando poi la responsabilità dell'accaduto sull'euro stesso: no, la responsabilità era di chi aveva il dovere di controllare e non ha controllato, poiché quell'aumento dei prezzi non si è verificato negli altri Paesi dell'Unione che in quel momento aderivano alla moneta unica. Il secondo provvedimento è lo scudo fiscale. Bel termine, «scudo fiscale»; ma ricordate come veniva intitolata quella norma? Così: rientro dei capitali esportati - e attenzione all'avverbio! - clandestinamente all'estero. In altri termini: soldi sporchi, che venivano lavati e che poi - pagando il 2,5 per cento, quando invece sui titoli di Stato si paga il 12,5 e sui conti correnti il 27 - venivano riciclati e ripuliti. Il terzo provvedimento sono i condoni fiscali. In proposito, sottosegretario Vegas, mi permetta di ripetere quel che è accaduto ieri e che è già stato ricordato: la sentenza - ribattezzata «sentenza degli onesti» - della Corte di giustizia delle Comunità europee sul condono IVA varato nel 2003... indovinate da chi? Dal Governo Berlusconi. La Corte lo ha definito illegale perché favorisce gli evasori fiscali. Lo ripeto: illegale perché favorisce gli evasori fiscali. Ci risiamo, insomma.
Ed è questo un principio che potrebbe essere ribadito nei prossimi giorni e nel prossimo mese, quando i giudici dell'Unione si dovranno esprimere su un altro condono del centrodestra, cioè appunto il condono tombale del 2004. Esso infatti - afferma la Corte di giustizia - ha danneggiato il mercato comune e ha favorito i contribuenti colpevoli di frode fiscale: un giudizio pesante su un provvedimento sfruttato da ottocentomila contribuenti, i quali ora stanno meditando se rivolgersi allo Stato per chiedere indietro quel poco che hanno pagato. Oltre il danno, insomma, anche la beffa!
Ma non basta: Bruxelles ha infatti bocciato anche un altro provvedimento delPag. 33centrodestra. Si è infatti giudicata illegale - leggo testualmente - anche la remunerazione versata dal Tesoro a Poste italiane per il deposito presso il Ministero della liquidità raccolta tramite conti correnti postali negli anni dal 2005 al 2007.
Insomma, signor Ministro Tremonti che non c'è, non ne ha proprio azzeccata una. Ma allora: come possono gli italiani credere che è cambiato? Come possono credere che non è lo stesso Ministro Tremonti quello che ci propina oggi le cose di cui stiamo discutendo?
Negli ultimi due anni sul fronte della lotta all'evasione fiscale si era fatto parecchio, come hanno certificato, mettendolo nero su bianco, l'Unione europea e la Corte dei conti. Adesso, invece, che cosa fate? Introducete norme che hanno come logica conseguenza - che si è già cominciata a verificare nel momento in cui è stato annunciato che cosa questo decreto avrebbe previsto - il ritorno dell'evasione. E infatti - siete voi a dirlo - le entrate stanno diminuendo.
Allora mettetevi d'accordo, ma su questo punto ritornerò: o le entrate stanno diminuendo per davvero, o siete voi a dire che stanno diminuendo perché avete un altro progetto, quello, come ricordava Bruno Tabacci poc'anzi, di creare quel famoso maxi extragettito da utilizzare (vedremo come fra poco). Il Paese quindi arretra, mentre la corruzione e la concussione sono in aumento, certo non più nelle forme del 1992 e degli anni precedenti, ma in altre forme un po' più intelligenti, ad esempio quelle della cartolarizzazione dei crediti delle ASL. Tali crediti sono stati dichiarati inesigibili dalla Corte dei conti ed invece vengono trattati per il tramite di soggetti finanziari robusti, per esempio Deutsche Bank Italia (tutti abbiamo letto sui giornali di questi giorni cosa è accaduto in una nota regione italiana). Questi crediti, nonostante fossero stati dichiarati inesigibili dalla Corte dei conti, sono stati ceduti per il 70 per cento del loro valore (e poi questo 70 per cento molto probabilmente è stato diversamente distribuito). Per non parlare poi di quanto è capitato nelle varie regioni sul fronte ASL (ad esempio Lazio, Lombardia). Santa Rita si volterà nella tomba, quella povera santa alla quale è intitolata quella clinica che ha fatto le cose che sappiamo tutti! E poi volete abrogare le intercettazioni: meno male che ci sono!
L'inflazione, negata naturalmente dal Governo, fa paura a tanti: i meno abbienti se ne sono accorti da tempo, ma se ne sta accorgendo anche quello che una volta veniva definito il ceto medio (ora anche una sua parte medio alta). L'unica che non se ne è accorta e non se ne sta accorgendo - o che, anche se se ne accorge fa finta, perché comunque ha la possibilità di rientrare - è l'oligarchia, che fa ricadere ovviamente su altri - sui consumatori finali - il costo dell'inflazione.
La paura della crisi petrolifera e di quella alimentare fa novanta, lo ha detto il Ministro Tremonti. È vero! Nell'audizione presso le Commissioni riunite ho interloquito con il Ministro, convenendo su tale punto. Ma questi, signori miei colleghi, signor Presidente, sottosegretario, sono i vostri modelli, quelli che avete seguito negli anni precedenti! Sono i modelli di USA e Gran Bretagna (anglosassoni, in generale), sono quelli che non vogliono alcun controllo!
Avrete letto tutti cosa è avvenuto al G8 in Giappone nei giorni scorsi. Due Stati, due signori - Bush (vi dice qualcosa questo cognome? Sì, ma spero per poco, ormai) e Gordon Brown - si sono opposti a qualsiasi iniziativa atta a frenare la speculazione sul greggio virtuale, sul greggio carta. La finanza strutturata non regolata è una bomba ad orologeria: 300 mila miliardi di euro di derivati, di cui 42 mila miliardi di credit default swap.
Chi esaltava, qualche anno fa, la bontà del mercato senza regole? Io no! Chi esaltava il liberismo sfrenato, quando poi si è accorto come andavano le cose, ha fatto ricadere la responsabilità prima sull'euro (nel 2001), poi sulla tragedia dell'attacco terroristico dell'11 settembre 2001, poi ancora sulla Cina. Se non fossimo stati protetti dall'euro - è il Ministro che parla, riconoscendolo sette anni dopo - le turbolenze degli shock attuali siPag. 34sarebbero rovesciate in modo asimmetrico sui 300 milioni di europei, e più pesantemente, in particolare, sugli italiani.
Adesso quel medesimo Ministro - che è ritornato ad essere tale dopo l'esperienza 2001-2006 (con una breve parentesi di consegna obbligata voluta dall'allora Vicepresidente del Consiglio Fini, ora Presidente di questa Camera, nel corso della quale se ne era andato per poco, ed ora è ritornato) - si accorge che l'euro è utile e sputa sentenze contro la globalizzazione ed il mercato, che sono sempre stati i due pilastri della sua - della vostra - azione politica.
In campagna elettorale poi c'è stato chi - voi - ha enfatizzato le paure dell'altro, ha strumentalizzato fatti di sangue gravi, ha posto la giusta attenzione su fatti criminosi, ma si è totalmente dimenticato delle paure che bussano pesantemente alle porte degli italiani. Ha detto e scritto nel programma che la pressione fiscale era troppo alta e che l'avrebbe portata sotto il 40 per cento e ha stigmatizzato l'aumento della pressione fiscale degli ultimi due anni.

PRESIDENTE. Onorevole Cambursano...

RENATO CAMBURSANO. Signor Presidente, ho ancora sette minuti.

PRESIDENTE. Volevo solo ricordarglielo...

RENATO CAMBURSANO. Grazie, signor Presidente, lei è molto gentile.

PRESIDENTE. La vedo talmente appassionato che mi sarebbe dispiaciuto interromperla per toglierle la parola, sono intervenuto per consentirle di organizzare un po' il suo discorso.

RENATO CAMBURSANO. La ringrazio, signor Presidente. Recuperiamo anche questi pochi secondi.
Ad averlo scritto è Il Sole 24 Ore del 26 giugno, quello del gran recupero alla lotta all'evasione fiscale compiuto dal Governo Prodi. E adesso invece nel DPEF e nel decreto-legge al nostro esame la pressione fiscale passa dal 42,6 al 43,3 per cento. Ma questo, però, non preoccupatevi, cittadini italiani che siete in ascolto, colleghi, non sarà un aumento di pressione fiscale. No: sarà perequazione tributaria, che è tutt'altra cosa, naturalmente, state tranquilli! Ma di abbassare la pressione fiscale non vi è alcuna traccia di qui al 2013, anzi, spunta qualche traccia di aumento, per l'appunto, nel 2010-2012.
Signor Presidente, credo che Antonio Martino sia noto ai militanti del centrodestra. Ieri, nella rassegna stampa, vi era una sua dichiarazione che affermava testualmente: «La riduzione delle aliquote è il mezzo più efficace per accrescere le entrate dello Stato. Non ha senso, quindi, invocare il bene pubblico superiore che è il bilancio dello Stato per rinviare alle calende greche quanto promesso in campagna elettorale. La riforma fiscale è il taglio delle aliquote». Di ciò non vi è traccia.
Adesso vi è chi - sempre il nostro grande Ministro - critica duramente, lo abbiamo letto sul DPEF, gli egoismi individuali (cito testualmente), i blocchi corporativi, ma mi sembra che gli esperti di corporazioni stiano da qualche altra parte, non dalla nostra. Parla di mano morta pubblica. Si tratta di cose ampiamente condivisibili. Ma di questi mali ve ne siete accorti solo adesso? Perché, invece, queste cose sono avvenute e cresciute nel quinquennio berlusconiano? Però adesso state tranquilli, cittadini italiani: c'è un impegno solenne del Ministro, cosa volete di più? «Noi siamo per il taglio delle mani morte»: vedrete quante mani mozze ci saranno nei prossimi giorni e nei prossimi mesi. No, non sono credibili, perché sono stati i veri responsabili dell'innalzamento della spesa corrente.
C'è chi ha tracciato - ce lo ricordiamo tutti - in un noto programma televisivo, su una lavagna dove vi era una cartina d'Italia, linee verticali, orizzontali e chi più ne ha più ne metta, che rappresentavano la realizzazione di grandi infrastrutture.Pag. 35Di queste non abbiamo visto alcunché, però adesso ci penseranno, non preoccupatevi.
Onorevole Ministro Tremonti che non c'è, lei scommette sul disastro. Quello che sto per dire, e mi avvio a concludere, è molto grave. Lei, lo ripeto, scommette sul disastro. La sua strategia è chiara. Delle due l'una: o la situazione internazionale migliora oppure, come dice lui ancora oggi sui giornali, vi sono tutte le premesse perché si deteriori. Quella nostrana addirittura l'aiuta lei, signor Ministro, ad aggravarsi. Come ho detto in premessa basta guardare l'opera dei due mesi appena trascorsi.
Se in autunno la situazione si dovesse aggravare ulteriormente, ossia povertà crescente, disoccupazione in aumento, cassa integrazione e mobilità, io Tremonti lo avevo previsto, vi avevo messo in guardia, avevo trovato il responsabile: la speculazione. Ho messo da parte un maxitesoretto per far fronte a eventuali iniziative clamorose di piazza. Oppure può verificarsi la seconda ipotesi, ovvero che invece, me lo auguro e con me tutti gli italiani, le cose non vadano poi così male.
Quindi, che cosa potrà fare? Potrà gestire il tesoretto, che è frutto di tre cose: l'aver accantonato e nascosto il tesoretto lasciato dal Governo Prodi; la sottostima delle entrate IVA; la sopravvalutazione del fabbisogno di cassa, fermo a 23 mila miliardi al 30 giugno, mentre lo moltiplicate per dire che si stanno gonfiando. Con questo maxitesoretto volete fare un federalismo fiscale in salsa lombarda e tranquillizzare alcuni Ministri, che si agiteranno di sicuro, perché i tagli che avete fatto sono pesanti, non riusciranno a farvi fronte e, quindi, verranno a battere cassa.
Avete previsto l'aumento di stipendio promesso per i dipendenti pubblici a 100 euro e adesso li ridimensionate a poco più della metà. Bloccate il turn over, il ricambio sarà uno a dieci: ogni dieci pensionati sarà inserito un nuovo dipendente. Non ha funzionato, signor Presidente, quando gli obiettivi di rapporto erano fermi a uno a quattro. Quindi, delle due l'una: o funzioneranno i Ministeri, gli enti locali e le regioni, oppure questo turn over bloccato non funzionerà e, quindi, ci troveremo un aumento della spesa corrente e il deficit che riprende a correre. Questa manovra non è credibile, non ci credete neppure voi, ma serve al superministro, come ho detto poc'anzi.
Signor Presidente, signor Ministro che non c'è, signor sottosegretario che invece c'è quasi sempre, avremmo voluto discutere in Assemblea la manovra finanziara e fiscale. Avremmo voluto dare, come ci ricordava il nostro presidente, onorevole Di Pietro, il nostro contributo per migliorarla e, invece, nulla.
Ci sono parti che condividiamo, dato il tempo ne ricordo soltanto qualcuna. La possibilità per la Cassa dei depositi e prestiti di utilizzare la gestione separata in modo attivo, per gli housing sociali, le venture capital per la ricerca, il private equity per le piccole e medie aziende. Si tratta di un mio emendamento, poi fatto proprio dal Governo: siamo favorevoli. La concentrazione strategica dei Fondi FAS, del quadro strutturale strategico nazionale 2007-2013, del CIPE e degli accordi di programma per realizzare le grandi opere. Noi dell'Italia dei Valori sul principio siamo d'accordo, ma temiamo un suo cedimento verso le pressioni delle regioni governate dai suoi addetti, degli enti locali che faranno pressione. Siamo d'accordo sulla guerra ai fannulloni, ma attenzione alla caccia alle streghe e, soprattutto, alla caccia agli avversari politici. Sì alla banda larga, agli start up, agli strumenti innovativi di investimento, sì alla sorveglianza dei prezzi, sì al piano casa, ma non ci avete messo un quattrino in più.

PRESIDENTE. Onorevole Cambursano, adesso deve veramente concludere.

RENATO CAMBURSANO. Onorevole Tabacci, noi non siamo preventivamente contrari alle centrali nucleari, vorremmo capire come le vogliono fare: si parla di terza o di quarta generazione. Sì alla riforma dei servizi sociali, fuori gli enti pubblici dalle società.

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PRESIDENTE. Onorevole Cambursano, la prego di concludere.

RENATO CAMBURSANO. No al federalismo fiscale parolaio (lo avete dimostrato con il taglio dell'ICI e con i tagli agli enti locali). No all'inflazione programmata all'1,7 per cento. No ai tagli alla giustizia, alla scuola, alla sanità e alla sicurezza.
Signor Presidente, la ringrazio, anche per la sua pazienza (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Evangelisti. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, questa mattina ho già avuto modo in più di un'occasione di denunciare come certe forzature regolamentari da parte del Governo abbiano in parte svuotato del significato contenutistico, non procedurale e garantistico, questo dibattito. Pertanto, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento. È una forma di protesta, cui aggiungo un consiglio modesto e sommesso: non faccia vedere le riprese di quest'Aula al Ministro Brunetta, perché è capace magari di mandare la visita fiscale a tutti i deputati del centrodestra, con la lodevole eccezione del mio amico Simone Baldelli (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori)!

PRESIDENTE. Onorevole Evangelisti, la Presidenza autorizza sulla base dei criteri costantemente seguiti la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo del suo intervento.
È iscritta a parlare l'onorevole Ghizzoni. Ne ha facoltà.

MANUELA GHIZZONI. Signor Presidente, sottosegretario Vegas, colleghi, in premessa vorrei esprimere una valutazione sul vettore normativo, cioè il decreto-legge, scelto dal Governo per anticipare a metà anno gran parte della manovra di finanza pubblica. Come Partito Democratico stigmatizziamo tale scelta del Governo. Le modalità e i tempi contratti di conversione del decreto in legge, infatti, impediscono di affrontare compiutamente la dimensione e la rilevanza economica e sociale delle misure contenute nel provvedimento. Con la decretazione d'urgenza i componenti delle Commissioni permanenti sono esautorati dal vagliare approfonditamente le materie di propria competenza, e la sorte di una discussione limitata tocca anche a norme di carattere ordinamentale contenute nel decreto. Ve ne sono alcune, ad esempio, che riguardano l'istruzione e l'università, e si tratta, senza tema di essere smentiti, di riforme occulte, i cui esiti, però, non potranno essere dissimulati, poiché incideranno pesantemente sugli attuali e, soprattutto, sui futuri assetti della scuola pubblica e del sistema universitario e della ricerca.
Inoltre, la scelta del decreto-legge non consente la predisposizione a quel clima di dialogo e di condivisione tanto invocata in avvio di legislatura, che andrebbe invece garantita alla materia e agli ambiti relativi alle scelte strategiche e di lungo periodo del Paese.
Infine, mi lasci aggiungere, signor Presidente, che l'uso intenso della decretazione d'urgenza, sin dall'avvio della legislatura, sta producendo un eccezionale squilibrio tra i poteri dello Stato, un'anomala dilatazione del potere Esecutivo a discapito di quello legislativo, un'estromissione del Parlamento, e in particolare, dell'opposizione dall'assolvere al proprio ruolo.
Su questo scenario si innesta la richiesta del voto di fiducia, il terzo, preannunciato ieri con una prassi inusuale. Il Governo ha quindi deliberato di sottrarsi ancora una volta al dibattito parlamentare e al costituzionale confronto tra opposizione e maggioranza e - vorrei aggiungere - alla consueta dialettica interna alle forze di maggioranza. Il maxiemendamento rappresenta l'ultima (anzi veramente la penultima, stando alle correzioni presentate stamani) delle approssimazioni successive con cui il Governo ha proceduto nel definire la propria manovra triennale. Come interpretare, del resto, i più di 130 emendamentiPag. 37presentati dal Governo? O si tratta di una forma di accanimento terapeutico verso il testo originario, quello approvato negli ormai famosi nove minuti e mezzo, ma scritto in nove giorni, oppure siamo di fronte ad uno stato di confusione programmatica, dove la strategia si confonde con la tattica.
Il Partito Democratico ha un giudizio negativo su questa manovra. Riteniamo, infatti, che oltre a non affrontare il problema urgentissimo del potere d'acquisto delle famiglie, essa non contenga alcun provvedimento concreto a sostegno della crescita del Paese. Questa è una manovra depressiva, che si regge esclusivamente sui tagli di spesa lineari, generalizzati e non finalizzati a sconfiggere sprechi e inefficienze, come invece ci si aspetterebbe da un Governo responsabile. È una manovra che produrrà inevitabili e pesantissimi tagli di diritti a causa delle forti riduzioni di spesa del nostro sistema di welfare. È una manovra che palesa il proprio carattere recessivo, soprattutto se si prendono in considerazione i provvedimenti previsti per la scuola e l'università, vale a dire per le strutture che rappresentano il volano di crescita sociale, culturale ed economica del Paese.
Intervenire sul sistema scolastico e universitario con la sola preoccupazione di tagliare, di ridurre, di contenere e di comprimere, tradisce evidentemente un'ideologica prevenzione nei confronti del sistema pubblico di istruzione e formazione, percepito come mero elemento della manomorta pubblica da smantellare, e manifesta altresì una colpevole disattenzione verso gli obiettivi di Lisbona e del cosiddetto processo di Bologna che - va detto - tutta l'Europa persegue, eccetto il Paese che lo ha visto nascere. Tale atteggiamento determina un'irresponsabile preclusione del Paese alla crescita e al futuro, che sono stati affidati all'istruzione, alla formazione superiore, alla ricerca di base, al trasferimento tecnologico e all'innovazione.
Sulla scure che si è abbattuta sulla scuola e per esporre le proposte alternative del Partito Democratico interverrà la collega Coscia. Pertanto, signor Presidente, mi limiterò a valutare le conseguenze previste per l'università dagli articoli 16, 66 e 69 del testo licenziato dalle Commissioni bilancio e finanze, assorbiti dal maxiemendamento.
In particolare, il comma 13 dell'articolo 66 dispone per le università un limite al turn over delle assunzioni del personale, per ciascun anno del triennio 2009-2011, pari al venti per cento delle cessazioni dal servizio verificatesi l'anno precedente. In altre parole, signor Presidente, per assumere un giovane ricercatore, occorrerà attendere che siano andati in pensione almeno cinque professori. In particolare, per il corpo accademico, il reale peso di questa norma può essere colto se abbinato alle previsioni di pensionamento indicate dal Ministro Gelmini nell'audizione che ha reso dinanzi alla VII Commissione, che sono stimate, entro il 2012, in un ammontare intorno al 47 per cento del personale. Con blocco del turn over al venti per cento, ciò corrisponde, in termini assoluti, a più di 22 mila 500 professori e ricercatori in meno, pari ad un taglio clamoroso del 37,6 per cento della forza lavoro più qualificata per la didattica e la ricerca universitaria.
Forse le previsioni di pensionamento indicate dal Ministro Gelmini sono pessimistiche: la CRUI, infatti, ipotizza che saranno «solo» ottomila i professori e i ricercatori che andranno in pensione entro il 2013 e che potrebbero essere sostituiti da 1.600 nuovi assunti. Signor Presidente, credo che, anche in questa ipotesi, ci troveremmo di fronte ad una situazione allarmante per la tenuta del sistema. Di fronte ad una prevista emorragia di personale nel sistema universitario (ma non solo), il Governo non mette in campo alcuna strategia per ringiovanire il corpo accademico ed innovare la qualità della didattica e della ricerca. Eppure, risuonano ancora nelle nostre orecchie, le dichiarazioni e le affermazioni del Ministro Gelmini - pronunciate, appunto, nel corso dell'audizione sulle linee programmatiche del suo dicastero - sul ruolo dei giovani, bloccato da una società gerontocratica ePag. 38sulla volontà di coinvolgere i giovani docenti e i ricercatori nel progettare il futuro del Paese.
Stante, però, il provvedimento sul turn over, dobbiamo ritenere che la volontà espressa dal Ministro di aprire le porte ai giovani sia da limitare alle sole porte del Ministero, non certo a quelle dell'università e degli enti di ricerca, che si spalancheranno, invece, per far uscire personale (o, forse, è il Ministro dell'economia e delle finanze a non essere d'accordo con il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca). Pertanto, invece di garantire il turn over, lo si blocca e - questo è ancora più grave - lo si fa in modo indiscriminato e per tutti gli atenei, indipendentemente da una seria valutazione sia dell'attività dei docenti (e, quindi, dell'offerta didattica), sia delle strategie assunte dai singoli atenei per migliorare la qualità dei servizi. Evidentemente, di valutazione, di valorizzazione delle esperienze meritevoli e di autonomia non c'è bisogno, quando lo scopo dell'intervento è «fare cassa».
A fronte delle mancate immissioni in ruolo, si prevede, infatti, di ridurre, nel quinquennio 2009-2013, di oltre un miliardo e 400 milioni di euro la dotazione del Fondo di finanziamento ordinario (il cosiddetto FFO), cioè il fondo con il quale lo Stato trasferisce le risorse agli atenei. A questa significativa decurtazione devono sommarsi i due tagli già intervenuti con il decreto-legge che ha previsto l'abolizione dell'ICI: già a partire dal 2008, il taglio di 16 milioni di euro all'incremento del Fondo di finanziamento ordinario, introdotto dal cosiddetto «Milleproroghe», approvato nel febbraio scorso dal Governo Prodi e, a partire dal 2010, in modo permanente, l'ulteriore taglio di ben 467 milioni di euro, corrispondenti al 6,78 per cento della dotazione della tabella C, in cui sono rubricate gran parte delle risorse per l'università.
Non sfugge a nessuno la consistenza di tagli e riduzioni del Fondo di finanziamento ordinario ma, forse, non tutti i colleghi sanno e sono consapevoli che è a valere su questo Fondo che gli atenei affrontano non solo le spese correnti di amministrazione e di organizzazione, ma anche quelle del personale. Come è facile intuire, si tratta, quindi, di spese obbligatorie ed incomprimibili e, ad oggi, non pochi atenei utilizzano poco meno del 90 per cento del Fondo per coprire le spese di personale. Per capirci, signor Presidente, a fronte di questa spesa per il personale, il taglio previsto del 6,78 per cento del Fondo corrisponde, in realtà, ad un taglio del 67,8 per cento delle spese correnti. Un taglio assolutamente insostenibile per qualunque amministrazione pubblica o privata, ancorché virtuosa.
Insomma, il combinato disposto dei tagli del fondo FFO e degli aumenti stipendiali del personale docente avrà come conseguenza che la quota per le spese amministrative, per le ricerche, per la manutenzione edilizia, per le attività istituzionali, di promozione e ogni altra esigenza organizzativa dell'ateneo, sarà sempre più residuale, fino quasi a scomparire a partire dal 2013. Da quella data non vi sarebbero più risorse per pagare le utenze, per gli affitti, le pulizie locali e le fotocopie. Già dal prossimo anno, a meno di un ripensamento, assisteremo alla progressiva paralisi del funzionamento degli atenei e al collasso dell'andamento amministrativo. Scelga il Governo l'espressione che preferisce, ma nei fatti l'esito concreto è identico e comunque nefasto per il nostro sistema universitario.
Il Partito Democratico ha presentato alcune proposte emendative al comma 13 dell'articolo 66, per riportare la percentuale di contenimento del turn over ai limiti delle leggi finanziarie precedenti, che non possono certo essere tacciate di scarsa attenzione alla riduzione della spesa pubblica, poiché è stato proprio grazie a tali manovre economiche che la Commissione europea ha ritirato la procedura di infrazione per deficit eccessivo, aperta nei confronti dell'Italia al termine del quinquennio del precedente Governo Berlusconi.
Vale, inoltre, la pena ricordare che nella legge finanziaria per il 2007 fu previsto un piano straordinario di reclutamentoPag. 39di ricercatori, per complessivi 140 milioni di euro nel triennio e 80 milioni di euro a regime. Se gli atenei assumeranno giovani - ammesso che riescano a rientrare nei parametri determinati dal blocco del turn over - lo potranno fare solo grazie alle risorse stanziate dal Governo Prodi.
Le forze di maggioranza della VII Commissione hanno approvato un parere favorevole sul provvedimento, subordinato però, signor Presidente e sottosegretario, a ben nove condizioni, per le quali, come ben sappiamo, la prassi parlamentare prevede che siano accolte dal Governo e dalle Commissioni referenti. Tra le condizioni del parere, vi è anche l'esclusione dei ricercatori dal blocco del turn over.
Spiace dover constatare che i relatori sul provvedimento e il Governo non abbiano avuto la forza e soprattutto la lungimiranza di accogliere questa e le altre condizioni poste dai colleghi di centrodestra della Commissione, ai quali la coerenza intellettuale imporrebbe ora un voto contrario sul provvedimento, poiché, colleghi, come ben sappiamo, gli ordini del giorno non possono compensare l'ottusa chiusura mostrata dal Governo sulle richieste di motivate modifiche avanzate dai propri parlamentari.
Il nuovo testo dell'articolo 69, come modificato dalle Commissioni bilancio e finanze, ha attenuato il carattere vessatorio del testo originario, ma non lo ha completamente obliterato. Ora la norma prevede un differimento di dodici mesi degli automatismi automatici di carriera: sostanzialmente, un taglio degli stipendi dei professori e dei ricercatori universitari, anche se più limitato, rispetto alla precedente versione. Resta il fatto, però, che il risparmio di spesa - peraltro coperto nuovamente con un ulteriore taglio lineare alla tabella C dello 0,83 per cento - non rimane nelle disponibilità degli atenei, ma va restituito allo Stato. Si è persa un'ulteriore occasione per attuare due indirizzi annunciati dal Ministro Gelmini: il principio della valorizzazione del merito e il rafforzamento dell'autonomia responsabile.
Come abbiamo proposto nei nostri emendamenti originari, sarebbe bastato assicurare agli atenei l'impiego di queste risorse, per assegnare ai ricercatori e ai professori migliori incentivi retributivi premiali, basati sulla valutazione della qualità dell'attività scientifica e didattica. Insomma, alla promessa «più risorse, più meritocrazia» del Ministro Gelmini, sia è sostituita, anche questa volta, una realtà meno entusiasmante: «meno risorse e nessuna meritocrazia».
Martedì scorso, nella dichiarazione di voto di fiducia sul decreto-legge in materia di sicurezza pubblica, l'onorevole Cota ha esordito dicendo: «quando si promette, si mantiene». Evidentemente non tutto l'Esecutivo è sintonizzato sulla stessa lunghezza d'onda: alcuni Ministri possono promettere e mantenere, mentre ad altri, che pur possiedono un portafoglio (almeno a parole), non è consentito di onorare quanto dichiarato ufficialmente nelle Aule parlamentari.
Le norme che ho fin qui esaminato prevedono tagli di risorse e di personale in quantità tali da compromettere concretamente la funzionalità didattica e di ricerca del sistema universitario, ma niente paura: a questo punto, dal cilindro del decreto-legge esce l'articolo 16, il quale prevede la possibilità, per le università, di trasformarsi in fondazioni di diritto privato. Come dire, una vera e propria riforma ordinamentale - l'ha definita così, del resto, anche la Ministra Gelmini in un'intervista rilasciata ad un noto quotidiano economico domenica scorsa - una riforma inserita surrettiziamente nel decreto-legge, benché priva di urgenza, si è detto, a meno che non la si consideri il salvagente al quale le università possono aggrapparsi per non affondare in un FFO sempre più inadeguato.
Stando alle dichiarazioni del Ministro, la ragione della nascita delle «università-fondazioni» risiede proprio nella presunta loro capacità di attrarre capitali privati sottoposti ad un regime fiscale particolarmente favorevole da cui discenderebbe taumaturgicamente una competizione virtuosaPag. 40tra atenei e, perfino, una maggiore severità nella valutazione degli studenti.
Il Ministro si dimentica, però, di dire che gli studenti saranno chiamati, per esempio, a concorrere al finanziamento dell'ateneo con rette di iscrizione sganciate dai tetti fissati per quelle statali e, quindi, verosimilmente più alte di quelle odierne. Questo tema si salda con quelli, completamente e colpevolmente ignorati nella previsione delle fondazioni, del diritto allo studio per gli studenti meritevoli provenienti da famiglie non abbienti e (altro importante tema) delle pari opportunità culturali e formative per le aree del Paese economicamente più svantaggiate.
Del resto, già la cosiddetta «legge Ruberti», la n. 168 del 1989, concede alle università un'autonomia gestionale, organizzativa e contabile che il Ministro, invece, annuncia come inedita e possibile solo per i nuovi enti. Manca, invece, nella proposta della «università-fondazione» la definizione della governance dei nuovi soggetti giuridici, una dimenticanza non da poco. Resta poi il nodo irrisolto della certezza e della continuità dei finanziamenti statali, che dovrebbero avere fini perequativi, e il dubbio circa l'applicazione o meno alle fondazioni universitarie di tutte le disposizioni vigenti per le università, applicazione invece prevista dal comma 1414 dell'articolo 23.
Da questa previsione si ricava, quindi, che nulla dovrebbe cambiare, ad esempio, per la disciplina del personale, per la governance, per l'organizzazione interna didattica e dell'attività scientifica. Insomma, nessuna novità è prevista circa l'attuazione di una piena autonomia responsabile. Nonostante le ripetute e attente letture - le posso assicurare, signor Presidente - restano pertanto oscuri i motivi che dovrebbero incentivare la trasformazione in fondazioni.
I Ministri Gelmini e Tremonti non hanno saputo resistere alla tentazione gattopardesca di riformare il sistema universitario, coacervo di relazioni, strutture, soggetti e prassi, limitandosi però a definire una nuova cornice giuridica e senza misurarsi con ineludibili e non più rinviabili riforme per un funzionamento più efficace.
Le norme previste all'articolo 16 sono, per la verità, quanto di più confuso e generico si sia previsto nella legislazione universitaria. Persino i colleghi di maggioranza della VII Commissione, nel già citato e inascoltato parere, hanno valutato opportuno e necessario attuare la norma mediante lo strumento regolamentare, premesso che (cito dal parere dei colleghi di maggioranza): gli effetti della manovra sul sistema appaiono non sufficientemente definiti e non è chiaro in che modo e in che misura si applicano alle fondazioni le disposizioni vigenti in materia di università.
Ai bistrattati colleghi di maggioranza va la nostra umana comprensione, anche se abbiamo considerato quella condizione troppo benevola e inadeguata alla gravità della situazione. L'unica cosa di buonsenso da fare sarebbe stato stralciare la norma e inserirla in un apposito disegno di legge da assegnare alla VII Commissione sul quale aprire una discussione approfondita, seria e ampia, cioè estesa a tutti i soggetti interessati, poiché a nessuno sfugge che l'opzione delle «università-fondazioni» rappresenta una forma spuria di parziale privatizzazione dell'università italiana.
Nell'ambito dell'estemporanea proposta messa in campo dal Governo desta poi perplessità e preoccupazione il mancato approfondimento del rapporto tra natura privata delle «università-fondazioni» e natura pubblica del principale o unico bene che esse amministrano: la conoscenza. La stessa Unione europea ha più volte qualificato la conoscenza come bene pubblico e la creazione e la trasmissione della conoscenza, vale a dire proprio la missione istituzionale dell'università, come inderogabile impegno pubblico.
Secondo la CRUI (la conferenza dei rettori delle università italiane) la manovra nel suo complesso rappresenta (cito dal documento): «un sostanziale, progressivo ed irreversibile disimpegno dello Stato dalle sue storiche responsabilità di finanziatore del sistema universitario nazionale». In analogia, gli organi accademici diPag. 41molti atenei hanno assunto prese di posizione pubbliche di viva preoccupazione. Non si tratta, come qualcuno potrebbe pensare, di avversioni preconcette o di attacchi corporativistici ad un approccio riformatore.
Quello che emerge chiaramente è la richiesta di maggiore autonomia responsabile, basata sulla valutazione della didattica, della ricerca, dei servizi offerti, sulla verifica delle capacità di spesa, di investimento e di attrarre capitali privati, sulla qualità e intensità delle relazioni che gli atenei intrattengono tanto con le comunità locali, quanto con le comunità scientifiche internazionali.
Tali richieste coincidono sostanzialmente con quanto annunciato dal gruppo del Partito Democratico in VII Commissione nel proprio parere alternativo al provvedimento. A ben vedere, si tratta della griglia di intenti che supporta il Patto per l'università firmato nell'agosto 2007 ed inserito nella legge finanziaria per il 2008. Con il Patto - e concludo - il Ministero e gli atenei sanciscono una reciproca assunzione di responsabilità mediante la quale il primo si impegna a trasferire adeguate risorse tenendo conto del tasso di inflazione e delle dinamiche delle retribuzioni, mentre gli atenei, sottoposti ad un'efficace sistema di valutazione, si vincolano al rispetto di strategie di razionalizzazione delle spese, all'adozione di un sistema programmatorio degli interventi, al miglioramento della qualità dei servizi e dell'offerta didattica. Con questo Piano i due criteri del finanziamento incentivante e della programmazione connessa alla valutazione trovano finalmente concreta applicazione nel nostro sistema universitario.
Per concludere, signor Presidente, quello che emerge dalla mobilitazione degli atenei è la richiesta di un ripensamento dei provvedimenti annunciati e la predisposizione di un piano, di una strategia che finalmente ed effettivamente ponga al centro della politica universitaria autonomia, responsabilità e valutazione: il trinomio che anche il Ministro Gelmini ha citato in audizione come fondamentale della sua azione di Governo. Bene, ora non resta che far seguire i fatti alle parole, ma se i fatti si riducono ai discutibili provvedimenti del decreto-legge n. 112 del 2008, sarà bene che il Ministro e l'Esecutivo ammettano il proprio errore di valutazione oppure la propria incoerenza (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

Sull'ordine dei lavori (ore 12,55).

SILVANA MURA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SILVANA MURA. Signor Presidente, intervengo sull'ordine dei lavori perché ritengo necessario esprimere la mia solidarietà personale e quella dell'Italia dei Valori al Consiglio superiore della magistratura e al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che del CSM è il Presidente.
Ritengo doveroso esprimere questa solidarietà a seguito delle gravi parole pronunciate dal senatore Maurizio Gasparri il quale ha definito «cloaca» il Consiglio superiore della magistratura. Insulti di un'assoluta gravità politica perché rivolti dal presidente di un gruppo parlamentare nei confronti di un organo costituzionale. Insulti che inevitabilmente investono anche il Capo dello Stato che di quell'organo, definito «cloaca», è il Presidente a norma dell'articolo 104 della Costituzione. Sono parole inaccettabili che danno vita ad uno scontro istituzionale assolutamente inaccettabile e dalle quali spero che i colleghi del Popolo della libertà, che purtroppo oggi non sono in Aula, vorranno dissociarsi (Applausi dei deputati dei gruppi Italia dei Valori e Partito Democratico).

Si riprende la discussione.

(Ripresa discussione sulle linee generali - A.C. 1386-A)

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Duilio. Ne ha facoltà.

Pag. 42

LINO DUILIO. Signor Presidente, innanzitutto vorrei esprimere la mia solidarietà al sottosegretario Vegas che da ieri ininterrottamente è qui, perché con questo suo aspetto resistenziale, almeno a me, che l'ho definito ineffabile in Commissione, restituisce una dimensione di umanità apprezzabile.
Detto questo, vengo al merito della nostra discussione. Abbiamo detto in molti, in Commissione e lo abbiamo ripetuto qui, che siamo di fronte ad una manovra finanziaria anticipata, fatta per decreto-legge, aggiungo: senza il tempo necessario per approfondire, con il Parlamento ridotto all'esercizio di una funzione notarile e con l'esito di una cattiva legislazione. Mi permetto di dire questo in termini non formali perché, anche per quanto riguarda l'organizzazione dei lavori, sarebbe stato preferibile operare diversamente visto come è andata a finire. Infatti voteremo il provvedimento la settimana prossima e ci accorgeremo fra pochi mesi che dovremmo sicuramente inserire nel prevedibile e certo decreto-legge che accompagnerà la finanziaria smilza, chiamiamola così, che verrà fuori, una serie di norme per correggere inevitabili errori che emergono quando si lavora in questo modo.
Abbiamo sotto mano un provvedimento corposo, articolato, che abbiamo esaminato in un tempo assolutamente inadeguato e insufficiente. Lo segnalo perché tutti ci lamentiamo che abbiamo una pessima legislazione; forse, oltre a fare la diagnosi, bisognerebbe anche individuare un poco di terapia. Mi auguro, quindi, per il futuro che si possa intervenire in Commissione, visto che poi si mette la fiducia e quindi non si corregge nient'altro alla Camera; spero che almeno questo sussulto di buonsenso relativamente a un'organizzazione dei lavori che dia un poco di tempo in più possa intervenire.
Entrando nello specifico del ragionamento, vorrei riallacciarmi all'intervento di ieri in Aula del Ministro dell'economia e delle finanze, che riassumo telegraficamente in uno schema che lo stesso ci ha sottoposto, secondo il quale oggi ci troviamo in uno scenario internazionale preoccupante, connotato da fenomeni speculativi in ragione di una ricchezza di carta che però trasferisce i suoi effetti sull'economia reale, con conseguenze sulla vita dei cittadini e dei Paesi. Allo stesso tempo, il Ministro ha affermato che abbiamo un Paese a struttura solida, perché ha un sistema bancario, assicurativo e industriale solido. Ci troviamo, quindi, di fronte a quello che potremmo definire una sorta di ossimoro: un Paese solido, sia pure in difficoltà, che vive una condizione ciclica avversa, anche a motivo di questo scenario internazionale caratterizzato da fenomeni speculativi che producono effetti che rischiano di arrivare anche nel nostro Paese.
Il Ministro ha aggiunto un'osservazione, sulla quale vorrei soffermarmi molto brevemente, secondo la quale i Governi non fanno l'economia, ma al massimo apprestano le condizioni dentro le quali si manifesta il processo economico. Credo che questa affermazione possa essere recuperata nel resoconto stenografico e, peraltro, ritengo che essa corrisponda a una convinzione del Ministro, che non è la mia, non per arrivare alla banale domanda «ma che cosa ci facciamo qui, se i Governi non fanno l'economia?», ma semplicemente per affermare - come abbiamo scritto nell'ultima relazione unificata presentata - che è possibile una politica economica che incida sullo sviluppo. In uno dei passaggi della relazione unificata, presentata pochi mesi fa, si sostiene che «la politica economica può influire sulla crescita, oltre che attraverso la finanza pubblica, con misure che accrescono la competitività e il dinamismo del sistema produttivo. Nelle circostanze dell'Italia di oggi, liberalizzazioni e semplificazioni sono probabilmente al primo posto nella scala delle influenze sull'attività economica. Se perseguite con determinazione e intensità, possono contrastare con efficacia gli impulsi recessivi».
Non mi pare che in questa manovra troviamo traccia - nemmeno nelle intenzioni - di processi di liberalizzazione che in modo strutturale possano incidere sull'economiaPag. 43reale del nostro Paese e dischiudere orizzonti meno preoccupanti per i rischi di recessione. Anzi, la riforma dei servizi pubblici locali, ad esempio, è stata operata con un emendamento discusso in un'ora verso mezzanotte: è letteralmente assurdo elaborare una riforma dei servizi pubblici locali, di notte, con un emendamento a un decreto-legge sul quale ci si è concentrati per un'ora circa. Peraltro, adesso tutti affermano - da ultimo, stamattina, ho sentito la presidente di Confindustria Marcegaglia - che il contenuto di questo emendamento costituisce un passo indietro rispetto alla normativa previgente. Lo ha affermato la Marcegaglia, non un esponente della sinistra o dell'estrema sinistra! Anzi, per certi versi, la riforma introdotta si sposa più con le convinzioni di Rifondazione comunista che con quelle liberali, qui proclamate ripetutamente.
Il Ministro ha affermato di muoversi, in questo contesto di difficoltà, secondo una logica di responsabilità repubblicana e che quindi rispetterà gli impegni presi dal Governo Prodi in Europa, peraltro attenendosi anche a quanto scritto nella relazione unificata: cercherà, cioè, tra i venti e i trenta miliardi di euro (questo è il dato riportato nella relazione unificata) per tentare di perseguire l'obiettivo del pareggio del bilancio entro il 2011.
Il Ministro ha affermato - mi sarebbe piaciuto tanto sentire pronunciare queste parole dall'opposizione negli anni scorsi - che il nostro bilancio è un «bene superiore» e che, siccome è un bene superiore, dobbiamo lavorare per gli equilibri di bilancio.
Il Ministro, inoltre, ha detto che questa è la ragione per cui hanno blindato la manovra, presentandola al Parlamento anticipatamente, l'hanno resa triennale, per far coincidere la sua dimensione dispositiva con la dimensione programmatica, e si apprestano a reperire i 20-30 miliardi di questa manovra triennale anticipata, realizzata con questo decreto-legge, in cui hanno blindato il bilancio.
Rispetto a questa impostazione, noi siamo evidentemente d'accordo sui fini. Peraltro, ci avevamo lavorato in condizioni di maggiore difficoltà negli anni scorsi. Siamo d'accordo sui fini, anche se - devo essere sincero e io amo essere sincero - questo modo di ragionare del Ministro mi è sembrato un po' furbesco e strumentale. L'avevo sentito, con lo stesso atteggiamento che probabilmente riflette un aspetto caratteriale, fare considerazioni del tutto analoghe a Bruxelles, se non ricordo male, sull'Alitalia, quando - traduco - ha detto: noi sull'Alitalia - si parlava del decreto relativo ai 300 milioni di euro - siamo gli esecutori testamentari di quello che ha fatto il Governo Prodi. Ciò quando si sapeva benissimo come stavano le cose. Sembrava, insomma, che ci si disponesse ad adottare delle misure, perché si stava semplicemente attuando quello che aveva stabilito il Governo precedente, in maniera un po' furbesca e un po' strumentale.
Comunque, ciò detto, noi siamo d'accordo sui fini, quindi sull'obiettivo di tenere sotto controllo la finanza pubblica, perché - ahimè - ne abbiamo scontato le conseguenze nei due anni precedenti. Abbiamo trovato una finanza pubblica fuori controllo ed è costato lacrime e sangue cercare di rimetterla a posto. Siamo d'accordo, evidentemente, sull'obiettivo di far crescere il nostro Paese, anche se - devo essere sincero - non trovo, lo dirò meglio tra un attimo, né in questo decreto-legge, né nei provvedimenti annunciati elementi che mi facciano essere ottimista per quanto riguarda il discorso dello sviluppo, a meno che l'affermazione che il Ministro ha fatto ieri, ossia che i Governi non fanno l'economia, non porti alla conclusione che non bisogna fare niente per quanto riguarda le misure concrete e, quindi, le risorse da apprestare per favorire, in termini di politica economica, la crescita del nostro Paese.
Siamo d'accordo sui fini, ma non sui mezzi, innanzitutto per quanto riguarda il metodo. Questo decreto-legge contiene norme - l'abbiamo detto più volte in Commissione e anche qui in Aula, quindiPag. 44sarò molto sintetico su questo - che hanno trasferito potere legislativo all'Esecutivo.
In questo decreto-legge, avete previsto norme che hanno modificato la legislazione contabilistica, attribuendo un potere al Governo, in particolare al Ministro dell'economia e delle finanze, che è di fatto gigantesco, perché consente sostanzialmente al Ministro di fare, con un semplice atto amministrativo, ciò che vuole, anche modificare autorizzazioni di spesa disposte per via legislativa. Personalmente, credo che emergeranno un po' di problemi anche tra il Ministro dell'economia e delle finanze e gli altri Ministri, quando si accorgeranno cosa vuol dire questo potere del Ministro dell'economia e delle finanze.
Al di là di questo, signor Presidente, onorevoli colleghi, la notazione circa il fatto che contestiamo questo modo di procedere attiene al metodo, perché noi, non più tardi dell'anno scorso, abbiamo cercato, per quasi sei mesi, di fare la riforma della sessione di bilancio. L'allora opposizione, di fatto, non è mai venuta a discutere di queste cose. Avevamo addirittura ipotizzato di far decorrere la riforma dalla legislatura successiva, quindi senza favorire il Governo in carica. Senza dirlo, c'è stato un atteggiamento tra l'abulico e il contestatario, che non ha portato a nessuna conclusione, salvo poi affermare che, siccome non si conclude niente per la riforma della sessione di bilancio, adesso la si fa con un bel decreto-legge e voi la «ingoiate».
Il collega Ventura ha avuto modo di citare, in questo caso, la riflessione teorica del sottosegretario Vegas, che non molto tempo fa si era profuso in una riflessione, molto apprezzabile, sul fatto che la legislazione contabilistica non potesse subire queste violenze. Però, così va il mondo: si sostengono posizioni a seconda dei ruoli che si esercitano, quindi si recita a soggetto.
Fatto sta che noi, oggi, ci troviamo in una situazione in cui andiamo progressivamente verso un Parlamento senza finanziaria, come affermato su Il Sole 24 ore pochi giorni fa. Tutto è fatto di nascosto, sostanzialmente infilato in qualche decreto-legge. In autunno, avremo un disegno di legge finanziaria che sicuramente servirà a comunicare al popolo che non sarà più la finanziaria ipertrofica degli anni scorsi.
Nello stesso tempo accanto a quella legge finanziaria «smilza» composta di poche tabelle e di qualche contenuto si affiancherà un decreto-legge molto corposo di cui si parlerà meno e che dovrà servire anche a correggere gli errori compiuti con questo testo. Questa è la situazione e noi stigmatizziamo convintamente questo modo di procedere e di cambiare sostanzialmente la situazione, gli equilibri di potere nel nostro Paese, trasferendo subdolamente all'Esecutivo poteri che competono al Parlamento.
Non siamo d'accordo poi, oltre che sul metodo, anche sul merito del provvedimento rispetto ad alcune misure. Per onestà intellettuale devo dire che si tratta di un provvedimento articolato rispetto al quale vi sono anche contenuti che condividiamo - come sempre capita non è tutto negativo - ma complessivamente il nostro giudizio non è positivo. Innanzitutto perché, lo dico al sottosegretario Vegas, rispetto alla brillante performance del Ministro di ieri mi pare di notare una sorta di sproporzione: rispetto a queste grandi considerazioni che alludono agli scenari internazionali entro i quali si muove la nostra piccola Italia, a questi destini del mondo, vi sono delle misure molto piccole. Non vi è un equilibrio tra quello che ieri è stato evocato con lo slogan di Toronto del 1980 thinking globally, acting locally allorché l'acting locally è una «cosetta».

GIUSEPPE VEGAS, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Fate largo al migliore, come diceva De Amicis.

LINO DUILIO. Svolta questa considerazione sulla sproporzione in quella che sembrava una riflessione teorica non seguita dai fatti, noi diamo un giudizio negativo sul provvedimento perché riteniamo che questa manovra ha un respiro recessivo in quanto taglia gli investimentiPag. 45sia per le infrastrutture sia per l'innovazione e deprime i consumi. Non avete voluto accogliere la nostre proposte che puntavano ad aumentare le detrazioni fiscali in modo da restituire potere di acquisto ai lavoratori e ai pensionati e non avete voluto accogliere i nostri emendamenti che puntavano almeno a restituire un po' di fiscal drag, dato che sappiamo benissimo che esiste questo fenomeno di erosione del potere di acquisto dovuto al processo inflazionistico strisciante. Avete fissato un delta per quanto riguarda l'incremento dei prezzi all'1,7 per cento quando si sa benissimo - è stato affermato da molti - che l'inflazione reale sarà più del doppio, il che ulteriormente deprimerà la capacità di consumo dei nostri connazionali.
Allora come si pensa, di fronte ad un'economia già oggi «rachitica» nel tasso di crescita, anche secondo i dati resi oggi dall'ISAE per quest'anno e per l'anno prossimo, di tenere almeno il minimo di questa economia, che è tutta legata alla domanda che proviene dall'export? Noi ed autorevoli economisti avevamo chiesto di cercare di rilanciare un po' i consumi, perché la domanda interna possa in qualche modo compensare ciò che sta accadendo a livello internazionale.
Voi invece siete un po' tristi in queste vostre previsioni e la tristezza, peraltro, aumenta se andiamo a vedere i dati sul fabbisogno del secondo semestre a meno che, di nuovo, non vi sia un atteggiamento un po' furbesco. Lo affermiamo nella solennità di quest'Aula, signor sottosegretario: mi auguro che non vi sia un fabbisogno nel secondo semestre quasi doppio di quello del primo, il che non è mai accaduto. Ma se così non sarà, come mi auguro, almeno si abbia l'onestà intellettuale - lo diciamo in anticipo - di dichiarare che avete scritto nel DPEF una cosa solo per perimetrare, come ha detto anche il collega Tabacci, il potenziale futuro tesoretto con il quale fare uno show down per comunicare al popolo qualcosa di positivo.
Quello che mi preme dire è che rispetto a questo respiro recessivo non trovo misure sullo sviluppo: non sono presenti in questo testo e non sono presenti nella prossima legge finanziaria, in quanto avete previsto un emendamento che espunge le misure sullo sviluppo nella prossima legge finanziaria, e non è annunciato, inoltre, un collegato sullo sviluppo. Ma queste risorse relative alle misure sulle sviluppo dove sono? Quando pensate di tirarle fuori per realizzare qualcosa che faccia crescere la nostra economia? O fatalisticamente dobbiamo vivere secondo quello che passa il convento ovvero il ciclo economico, e quindi una volta va bene e una volta va male?
Ma lei, sottosegretario, sa che la nostra economia è così debole che quando le cose vanno male altrove le incorporiamo molto più velocemente di altri, mentre quando le cose vanno bene altrove le incorporiamo molto più lentamente di altri.
Quindi, se così fosse, questa strategia sinceramente mi sembrerebbe rovinosa, soprattutto rispetto alle grandi questioni che non posso approfondire e che sono quelle della competitività e soprattutto della produttività del nostro Paese e, più strutturalmente, di quella che definisco essere la partita vera su cui non discutiamo mai, cioè la struttura sostanziale dell'economia del nostro Paese (per quelli che dovrebbero essere i sentieri di sviluppo, i nuovi prodotti, i nuovi mercati, cioè che cosa dobbiamo produrre per il futuro, considerato che sono quindici anni che abbiamo tassi di crescita dell'economia «rachitici», che non vanno mai sopra il 2 per cento, una volta sola in quindici anni).
Battute sulla manovra: sulle entrate, non siamo contenti né per quello che c'è e nemmeno per quello che non c'è, perché non vi sono alcune misure che dovevano continuare la strategia di lotta all'evasione e all'elusione fiscale. Anzi, per certi versi, visto che siete di destra, potreste farlo meglio di noi: siete liberali. Però anche a voi mancano i 100 miliardi di euro all'anno di evasione e di elusione fiscale, e questa è una componente fondamentale e di fondamentale importanza.Pag. 46
Non ho trovato, anche solo in termini di annuncio, con convinzione e con determinazione, l'idea che si continuerà a lottare contro l'evasione e l'elusione fiscale. Anzi, ho trovato anche misure un po' preoccupanti, che fanno pensare a qualcuno che la «ricreazione» sia tornata: infatti, avete alzato la soglia da 5.000 a 12.500 euro per quanto riguarda la circolazione del contante, avete eliminato l'elenco clienti e fornitori, avete fatto una serie di cose che adesso non ho tempo di specificare e che non vorrei - mi auguro che così non sarà - che facessero nascere l'idea che è tornata la «ricreazione».
Ciò sarebbe gravissimo per le entrate dello Stato, ma anche per la qualità della legislazione e l'equità delle vostre decisioni. Infatti, come ha detto qualcuno prima, non si possono fare politiche sociali eque, quando non sappiamo quale sia la condizione reddituale vera dei nostri cittadini.
Sul versante spese - e mi accingo a concludere - non siamo convinti della logica dei tagli lineari «giganteschi», li definisco così, che avete pensato di operare, in particolare sui Ministeri, in modo indiscriminato, senza una vera spending review.
Adesso non ho tempo di citarle, ma suggerirei di leggere a pagina 11 della relazione unificata sette o otto righe su come si dovrebbe agire, in modo meno propagandistico, per abbassare le spese e per cercare di spendere meglio e di spendere meno. Non si può pensare che le spese possano essere abbassate semplicemente con proclami e affermazione puramente verbali. Comunque non ho il tempo e devo proseguire.
Credo che vi sia il rischio che abbiamo già vissuto negli anni scorsi e che lei forse ricorda, sottosegretario Vegas: le eccedenze di spesa, con le regolazioni debitorie, le ricorda? Vedremo l'anno prossimo se ricomparirà il fenomeno delle eccedenze di spesa e delle regolazioni debitorie.
Vi sono rischi per la funzionalità della pubblica amministrazione (perché quando si «spara nel mucchio» inevitabilmente si producono conseguenze anche negative) e vi sono conseguenze sociali secondo me preoccupanti, che riguardano settori come la sicurezza (non casualmente si sciopera), come la sanità, come gli enti locali.
A me è spiaciuto constatare, nella performance del Ministro - voglio concludere con questo tema - un atteggiamento che forse sarà anche efficace in termini di comunicazione (non casualmente i giornali radio e i telegiornali hanno ripreso le sue parole: siamo in una situazione in cui i numeri hanno tutti il segno meno davanti - così ha detto il Ministro - e non vi è alcun tesoretto, insomma la catastrofe). Mi sarebbe piaciuto un po' di più che vi fosse stata maggiore onestà intellettuale, perché se noi avessimo seguito - magari con la vostra capacità, che non abbiamo - lo stesso atteggiamento riguardo all'eredità sui conti pubblici che abbiamo trovato, con la procedura di infrazione aperta a livello comunitario, avremmo dovuto sì parlare di apocalisse e di catastrofe.
Dico ciò non per polemica, signor sottosegretario, ma perché su questi argomenti tutti dobbiamo cercare di contribuire a creare un clima nazionale diverso. Bisogna smetterla con queste polemiche. Ogni volta che ci si presenta si dice: non parlo, è meglio se non faccio polemica, mentre in modo subliminale si fa molta polemica e si comunica all'esterno che in sei mesi, in questo Paese, vi è stata la catastrofe lasciata dal vecchio Governo. Così non si costruisce niente.
Se vogliamo uscire da questa situazione, credo che dobbiamo recuperare un clima sociale, una grande ambizione nazionale in cui collocare un patto per lo sviluppo, a partire - ribadisco - da misure anticicliche, perché, altrimenti, neanche voi ce la farete, sarete velleitari.
State producendo un fenomeno culturale interessante nel nostro Paese: state talmente bene inventando la percezione della realtà da produrre la realtà. Non si sta solo mistificando la realtà, la si sta inducendo. Voglio vedere se le regole dell'economia seguiranno questi vostri artifici miracolistici; credo di no, e quindi potrestePag. 47andare incontro, ma questo vale soprattutto per il nostro Paese, a cocenti delusioni.
I nostro problemi sono così strutturali, vengono così da lontano (non sono solo colpa vostra), sono così complicati che fare polemiche più o meno sottili, più o meno strumentali, non serve a niente e a nessuno. Per recuperare quella grande ambizione nazionale, forse, bisogna cominciare, anche stilisticamente, ad agire in modo diverso.

Sull'ordine dei lavori (ore 13,20).

ROBERTO GIACHETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, prima, quando è intervenuta la collega Mura, non avevo ancora letto le dichiarazioni, se così vogliamo dire, del presidente del gruppo del Popolo della Libertà al Senato.
Vorrei semplicemente stigmatizzarle, signor Presidente, e questa volta penso che non sia neanche possibile correggerle, perché non sono frasi carpite da un giornale, ma frasi pronunciate a una radio, che potrà, quindi, fornire la prova testuale di quello che è stato detto.
È stato affermato che un organo costituzionale, presieduto dal Presidente della Repubblica, è «la cloaca del CSM correntizio, partitizzato e parcellizzato» e che «è uno scandalo che offende gli italiani»; penso che gli italiani siano, innanzitutto, offesi da persone che, pur avendo ruoli istituzionali, perché il presidente del gruppo di maggioranza relativa al Senato è anche un soggetto che ha un ruolo istituzionale, si permettono di dire cose del genere.
Al di là di qualsiasi critica che si può fare sull'ordinamento giudiziario e sugli organi costituzionali, credo che un presidente di gruppo avrebbe il dovere, quanto meno, di usare un linguaggio rispettoso delle nostre istituzioni.

Si riprende la discussione.

(Ripresa discussione sulle linee generali - A.C. 1386-A)

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Barbato. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Un invito alla moderazione! Lo stesso che lei farà, immagino, al presidente Gasparri.

FRANCESCO BARBATO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, nella mattina di ieri ho partecipato alla manifestazione che si è tenuta in piazza Montecitorio, insieme ad una delegazione guidata dall'onorevole Di Pietro e, poi, da un altro «questurino», l'onorevole Paladini; sì, perché così fanno, così ci appellano di volta in volta, quando non hanno più termini per denigrare noi dell'Italia dei Valori, quando non sanno più come attaccare Di Pietro: una volta lo chiamano «orrore», una volta lo si chiama «munnezza», adesso anche «questurino». Come se «questurino» fosse un termine negativo, un epiteto negativo. Questo, naturalmente, la dice lunga sulla concezione che alcune forze politiche, una certa politica, hanno dello Stato e delle sue istituzioni.
Ecco perché, poi, arriviamo a delle forme così degenerate, come quella che abbiamo sentito poc'anzi, la «cloaca», con cui viene etichettata la magistratura. È qualcosa di veramente indegno, perché una cosa è cercare di non farci fare una critica politica, come si fa anche nei miei confronti e nei confronti dell'Italia dei Valori, ma un'altra cosa è degenerare con attacchi personali e violenti, come quelli che si stanno facendo.
Ma ritornando alla manifestazione di ieri, c'erano tutti i sindacati delle forze di polizia, il COCER, i vigili del fuoco. Avete avuto un'abilità incredibile, per riuscire a mettere insieme tanti pezzi dello Stato, che sono la dimostrazione, vissuta ieri, di come avete tradito, di come state tradendo lo Stato.Pag. 48
In campagna elettorale avete fatto della sicurezza una bandiera e, ora, nel momento in cui dovete trasformare le promesse, gli impegni elettorali, quello che avete scritto nel vostro programma in atti concreti, si vede la differenza tra la politica del dire e la politica del fare. La politica del fare va in una direzione completamente diversa, perché ieri abbiamo registrato che le forze di polizia erano mortificate, erano avvilite, erano veramente abbattute al massimo, perché non si aspettavano un comportamento del genere.
Non si aspettavano uno stanziamento del genere; perché poi, tradotto in soldoni, rispetto alle previsioni del decreto-legge n. 112 del 2008, in cui si sta cercando di fare una programmazione, la sicurezza chi è che la realizza, chi è che la porta avanti? Le forze dell'ordine! Le forze dell'ordine, dovrebbero essere aiutate e sostenute per contrastare una criminalità, che oggi è diventata sofisticata e organizzata (ha mezzi satellitari, cellulari, ha di tutto); e noi, anziché irrobustire, rinforzare la politica della sicurezza attraverso lo strumento delle forze dell'ordine, andiamo invece ad indebolire questo comparto fondamentale, facendo addirittura mancare la benzina alle volanti; il personale non avrà neanche più le divise o comunque il minimo, l'essenziale per fronteggiare una criminalità così organizzata, così forte, così violenta, così prevaricatrice, specialmente in alcune parti del nostro territorio. Probabilmente, questo è molto sintomatico; non a caso stamattina, su un argomento così importante, nel corso della discussione sulle linee generali riguardante l'economia, le misure che il Governo e quindi il Parlamento intendono predefinire per i prossimi anni, non vedo presente in aula i rappresentanti della Lega; non c'è neanche un parlamentare. Probabilmente, la Lega si rende conto che ormai è stato definito il «pacco sicurezza», e quindi tutto ciò che ha sbandierato durante la campagna elettorale ormai sono solo chiacchiere, è solo fumo, e quindi hanno preso in giro i cittadini. Questa è la ragione per cui questa mattina in Parlamento non c'è neanche un parlamentare della Lega.
Noi invece eravamo di ben altro avviso: dovevamo rinforzare un capitolo fondamentale, che posso chiamare il capitolo della legalità. Quello era il capitolo che bisognava rinforzare, perché la legalità è convenienza soprattutto per i cittadini.

PRESIDENTE. Onorevole Barbato...

FRANCESCO BARBATO. La legalità è convenienza: pensate che un GIP del tribunale di Milano, Clementina Forleo, con la sua attività giudiziaria, ha fatto rientrare nelle casse dello Stato ben 94 milioni confiscati a Fiorani durante il tentativo di scalata alla Banca Antonveneta. Se a questo aggiungete che, l'anno scorso, nel 2007, è stato confiscato ben un miliardo di euro in gioielli, beni, autovetture alle mafie, ciò sta a significare che, alla fine, la legalità è davvero convenienza, perché non solo protegge i cittadini rispetto alle prevaricazioni, alle ingiustizie, alle illegalità, ma soprattutto fa recuperare quei soldi che sono stati «fregati» allo Stato.
E invece bisogna fare un'altra cosa che non avete fatto: tagliare un capitolo odioso e odiato al massimo dagli italiani, quello di tangentopoli. Quello è il capitolo invece che non volete eliminare definitivamente, perché è da tangentopoli che è nato il grande debito pubblico italiano. Vi siete preoccupati semplicemente di prevedere gli scudi stellari sul Premier e mi riferisco anche a quelli che volete istituire adesso con l'immunità parlamentare, perché volete portare avanti questo tipo di politica. Insomma, manca una politica della legalità, per la sicurezza, a favore dei cittadini.
Ecco perché voi ci attaccate e ci dite che l'Italia dei Valori rappresenta l'antipolitica: è esattamente il contrario! Noi dell'Italia dei Valori siamo la medicina, l'antibiotico della politica, perché, a nostro avviso, bisogna soprattutto affrontare una questione morale che non viene presa in considerazione.
Per questa ragione, mi avvio alle conclusioni e vi dico che, oltre a condurrePag. 49questa battaglia in Parlamento, cercherò poi di approvarmi un piccolo emendamento: me lo approvo autonomamente e sapete come? Oggi tornerò a Nola, nel mio territorio, che, come diceva il procuratore della Repubblica di Nola, è la sede legale della camorra: per non vedere afflitti, avviliti e demotivati tutti i carabinieri e la Polizia che operano lì, prenderò quella parte del mio stipendio, un fondo, che abbiamo a disposizione per curare i rapporti eletto-elettore, e la darò per far fronte alle loro esigenze. Non è un granché, non risolve i problemi delle forze dell'ordine, ma è un segnale, una testimonianza, un modo simbolico per dire che noi stiamo davvero vicino alle forze di polizia. Anzi, invito con l'occasione a fare la stessa cosa anche il Ministro dell'interno, che ha sicuramente uno stipendio più significativo del mio, anzi tutti gli altri parlamentari, visto che vi è un momento di ristrettezza.
Diamo, dunque, un segnale di questo tipo: usiamo così parte del fondo che riceviamo per curare il rapporto eletto-elettori; usiamolo non per gli elettori (perché a me non interessa curare gli elettori, a me interessa curare i cittadini del mio territorio e del mio collegio), ma per i cittadini. E sono vicino ai cittadini se metto a disposizione questi soldi per dimostrare la mia vicinanza alle forze di polizia. Infatti, se sono vicino alle forze di polizia, ai carabinieri, alla Guardia di finanza, allora sarò stato vicino ai miei concittadini e avrò dato un segnale molto forte e la dimostrazione che si può fare una politica diversa: la politica dei cittadini (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cavallaro. Ne ha facoltà.

MARIO CAVALLARO. Signor Presidente, mi occuperò specificamente delle questioni della giustizia, per la verità assai scarne nel testo al nostro esame che sarà oggetto del voto di fiducia. Ma non posso non inserire le mie considerazioni in un quadro generale che per la verità già molti altri colleghi hanno affrontato certamente con più proprietà ed efficacia di me.
La cosiddetta manovra finanziaria al nostro esame presenta certamente una caratteristica peculiare: quella di essere particolarmente anticipata rispetto ai tempi parlamentari e solari cui eravamo abituati. Forse si pensava - probabilmente perché la temperie economica era diversa anche solo sessanta o novanta giorni fa - che il «generale estate» fosse più benevolo del «generale inverno», come spesso accade per le manovre finanziarie, subito dopo l'approvazione delle quali vi è un rimbalzo fisico delle disposizioni sulle attività economiche dei cittadini. Purtroppo, invece, la condizione economica sempre più degradata del nostro Paese ha probabilmente vanificato questo primo obiettivo e, soprattutto, ha fatto emergere una certa povertà e inconsistenza del provvedimento rispetto allo scenario millenaristico più volte evocato dal Ministro Tremonti.
Ma vi è un altro elemento di carattere generale che non possiamo non notare, e che aumenta sempre più la divaricazione fra, da un lato, l'immaginifica proiezione esterna delle disposizioni che si assumono e il modo con cui esse vengono assunte (ad esempio, l'enfatizzazione dei nove minuti e mezzo con i quali il provvedimento sarebbe stato approvato dal Consiglio dei ministri, forse con una inconscia suggestione o parafrasi di un torrido film di qualche anno fa), e, dall'altro, i contenuti reali della manovra, anch'essi visibilmente legati a una certa povertà e mancanza di consequenzialità e congruenza rispetto ad enunciati così forti: enunciati che, invece, dovrebbero meritare ben altre misure, in particolare in considerazione della stessa indicata e denunziata grave difficoltà economica in cui versa il Paese.
Vi è l'uso in questo caso accorto di efficaci pennellate. Penso, ad esempio, all'introduzione del cosiddetto taglia-leggi, del taglia-enti, alla scelta di chiamare perequazione l'aumento reale delle tasse: tutti provvedimenti che non sortiscono altro effetto che quello di una suggestione, poiché rimangono intangibili i loro effetti reali. Ad esempio, si può anche parlare diPag. 50un taglio di 3.500 leggi, ma poi ci si accorge che, trattandosi di un taglio più mediatico che effettivo, e non essendovi stato alcuno studio reale, non si tagliano né si accorpano provvedimenti che hanno tuttora reale efficacia nel nostro ordinamento, ma si compie solo un lavoro formale, eliminando leggi ormai totalmente desuete: cosicché l'enunciazione di quei principi perde ogni efficacia.
Aumenta infine - ed è questo un terzo elemento di carattere generale che voglio indicare - la differenza fra l'atteggiamento assai tracotante che nel 2001 caratterizzò il Ministro Tremonti (il quale, peraltro, dimentichiamo spesso essere stato licenziato dalla stessa maggioranza dopo talune cattive prove) e quello con cui sono affrontati i temi e le problematiche economiche nelle quali il Paese si trova oggi. Ricordiamo tutti allora il buco, le lavagnette, le suggestioni prima e dopo le elezioni, le facili lezioni di carattere para-universitario. Oggi, invece, si parla con insistenza della gravità della situazione economica.
Si parla con insistenza della necessità di misure, ed anche se non si usa il termine sacrifici - che è una parola cattiva secondo chi crede nella proiezione mediatica della politica - certo si fa capire e si fa intendere che molto non si farà. Non ci si esime dal dire qualche bugia, come quella per cui tutti i numeri consegnati dal Governo Prodi sarebbero di segno meno. In realtà, l'unico numero che è stato consegnato dal Governo Prodi è quello della fine della procedura di infrazione che il Ministro Tremonti e la sua finanza creativa avevano provocato dinanzi agli organi comunitari.
Questo è, quindi, lo scenario generale nel quale ci troviamo. Ci saremmo aspettati persino un furore iconoclasta, anche nello stesso mondo della giustizia, nel quale avremmo previsto e visto non con piacere, ma certo con coerenza, che gli animal spirits del capitalismo, del liberismo e del garantismo, che per la verità da quindici anni aspettiamo che Berlusconi e Tremonti liberino delle gabbie, finalmente prendessero il largo.
Invece, c'è sostanzialmente una grande delusione perché, nonostante tutti noi diciamo che il mondo della giustizia e la riforma del sistema - e del servizio - giustizia costituiscono un elemento essenziale per una condizione di ripresa del nostro Paese, in realtà vengono proposti pochissimi pezzetti di norme (che sono poi uno smontaggio di provvedimenti, addirittura del vecchio provvedimento presentato dall'allora Ministro Mastella che non ha poi esitato l'approvazione parlamentare).
In altri campi, che pure sarebbero significativi e che non voglio invadere ma solo citare a titolo d'esempio, si registra la medesima delusione: nel settore dell'istruzione si parla infatti di grembiuli rosa, celesti o neri e di sette in condotta, mentre nella sanità, che sicuramente è un comparto che meriterebbe grande interesse, ben poco altro si offre che non sia, invece, una serie di tagli.
Nella giustizia i tagli sono impressionanti: siamo già scesi dall'1,7 del PIL nel 2006 all'1,5 nel 2008, e scenderemo ancora con i tagli lineari che vengono praticati. Le norme di cui possiamo occuparci specificamente sono modeste, ad esempio la cancellazione delle cause dal ruolo. Ma anche in questo caso si ravvisa una suggestione mediatica, per cui si chiama accelerazione dei processi amministrativi e tributari semplicemente l'anticipazione delle perenzioni non più a dieci, ma a cinque anni. In pratica, non solo dichiariamo formalmente la resa della giurisdizione, ma addirittura la acceleriamo, stabilendo che non ci vogliamo occupare più non soltanto delle cause che hanno dieci anni, ma anche di quelle che ne hanno solo cinque e che la giurisdizione non ha trattato per la sua inadeguatezza.
Un tema molto importante - come quello della riforma della giustizia amministrativa e, in particolare, dell'ordinamento del Consiglio di Stato - viene anch'esso affrontato (come quello, già citato, dei servizi pubblici locali) con un emendamento e poche battute, quando invece il Consiglio di Stato è il cuore della giurisdizione amministrativa ed esercita anche, nell'ambito della giustizia amministrativa,Pag. 51una rilevantissima funzione nomofilattica. Sarebbe stato quindi - e sarebbe - opportuno che l'intera giustizia amministrativa fosse oggetto di una profonda riflessione e riforma, perché anch'essa è molto importante nel nostro Paese.

PRESIDENTE. Onorevole Cavallaro, la invito a concludere.

MARIO CAVALLARO. Vi sono quindi poche misure, sulle quali spendere qualche altra parola è addirittura troppo, ma soprattutto si registra una sostanziale - e concludo, signor Presidente - inadeguatezza per quanto concerne gli investimenti. Non esiste nessuna seria riforma, che non sia appunto ideologica, che non abbia necessità di forti investimenti, tant'è vero che si parla, ad esempio, di introdurre il processo e le notificazioni telematiche ed informatiche, ma si rinvia a futuri provvedimenti amministrativi, perché in realtà anche queste modeste riforme per essere attuate hanno bisogno di una fase di riflessione ma anche, e soprattutto, di una fase di investimenti e di organizzazione.
Nulla si prevede poi per il sistema carcerario, che invece è un altro dei nodi fondamentali e consuma quasi la metà delle risorse del comparto giustizia e che oramai è universalmente dichiarato inadeguato, tanto che - dall'associazione Antigone alla rivista La Civiltà cattolica - esso è uno dei temi fondamentali per la sicurezza stessa dei cittadini e non soltanto per l'esercizio di un generico buonismo e per un'adeguata condizione della vita carceraria (tale tema rappresenta, infatti, una delle condizioni tipiche e specifiche di un grande Paese democratico ed occidentale nel suo rapporto con chi delinque e con la sicurezza di tutti i cittadini).
Avvertiamo, dunque, una grande insoddisfazione e soprattutto una grande inadeguatezza, anche nel campo della giustizia, delle poche e modeste misure che ci vengono proposte.
Fuori di qui, invece, si continua a parlare di impunità. Scusate, ho pronunciato la parola impunità, ma piuttosto avrei dovuto parlare di applicazione dell'articolo 68 della Costituzione nella sua vecchia versione. Si continua a parlare di riforma del CSM, a parte gli insulti ignobili che vengono rivolti a questo supremo organo. Si continua, cioè, a parlare di quella giustizia che non riguarda i cittadini e i milioni di processi pendenti, ma soltanto ed esclusivamente il conflitto non tra la politica e la giurisdizione, ma alcuni potenti della politica, che vogliono farsi scudo della politica per avere l'impunità dalla giurisdizione. Questo è un altro motivo per cui certamente non potremo esprimere voto favorevole al provvedimento in esame (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori).

FABIO EVANGELISTI. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, speravo proprio di non dover più intervenire in questa discussione. Avevo dato la disponibilità a presentare il mio intervento per iscritto, e la ringrazio ancora per aver accolto tale richiesta. Da stamattina siamo qui, si accavallano i dubbi e le interpretazioni, sono passaggi difficili e caotici.
Già stamattina mi ero chiesto cosa avrei ancora dovuto dire di più offensivo. Mi giunge notizia e le chiedo conferma, signor Presidente...

PRESIDENTE. Mi auguro nulla di offensivo...

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, è offensivo il modo in cui viene trattata l'Aula di Montecitorio! Stamattina il Governo ha presentato dei subemendamenti al Comitato dei diciotto, e pare che non sia finita. Infatti, sembra che si preparino altre correzioni al testo che stiamo discutendo.
Signor Presidente, lei capisce che ciò da parte nostra è inaccettabile. Le chiedo sePag. 52le mie informazioni sono fondate. Ovviamente, non conosco il merito della questione, ma ho bisogno di sapere subito se vi è un fondamento alle notizie che mi sono giunte oppure no. Se c'è un fondamento a tali notizie la prego di sospendere immediatamente i lavori dell'Assemblea, di convocare quanto meno il Comitato dei diciotto, se non addirittura le Commissioni, e chiedo che ci venga riferito quali sono gli emendamenti che il Governo intende ancora proporre al provvedimento in esame.

PRESIDENTE. Approfondirò subito il contenuto del suo intervento e le darò notizia al più presto.
È iscritta a parlare l'onorevole Coscia. Ne ha facoltà.

MARIA COSCIA. Signor Presidente, colleghi, sottosegretario Vegas, ieri il Ministro Tremonti ci ha presentato la grave situazione finanziaria ed economica del Paese. La sua relazione richiedeva il tempo per un confronto sul merito delle questioni poste e un confronto aperto sulle proposte da noi avanzate, ma ciò è stato reso impossibile dal preannuncio di un nuovo voto di fiducia sul maxiemendamento che sostituisce interamente il testo del decreto-legge in esame, su cui si è svolto un lavoro molto approfondito e faticoso nelle Commissioni V e VI, ma anche nelle altre Commissioni. Ad esempio, la VII Commissione ha espresso, a maggioranza, parere favorevole, ma ha anche posto una serie di condizioni e di proposte di modifiche di cui non si è tenuto alcun conto nel maxiemendamento.
Vi sono, quindi, problemi nella stessa maggioranza, ma si è voluto tacitare tutto e impedire ogni possibilità di dialogo. Sia chiaro, per noi non è in discussione la linea del risanamento e del controllo della spesa pubblica. Il Governo Prodi ha agito con determinazione in tale direzione anche sulla scuola, con un piano triennale di riduzione della spesa già in vigore con la legge finanziaria 2008 ma verificando, con un lavoro attento e minuzioso, la sostenibilità di tale piano sul sistema dell'istruzione del nostro Paese.
Con il decreto-legge n. 112 del 2008, invece, in particolare con l'articolo 64, si mettono in discussione anche i livelli minimi di funzionalità delle scuole e il diritto allo studio di milioni di bambini e di ragazzi. Infatti, sono previsti tagli indiscriminati di oltre 87 mila posti di docenti e 43 mila posti di amministrativi, tecnici e bidelli.
Si tratta di ben 7 miliardi e 832 milioni che vengono sottratti alla scuola pubblica.
Come si può pensare di promuovere il rilancio e la crescita del nostro Paese senza puntare sulla formazione, sui saperi e sulla ricerca? Un Paese che non investe sull'istruzione e sulla conoscenza è destinato drammaticamente all'emarginazione economica e sociale e ad un declino irreversibile. Un serio investimento sull'educazione e sull'istruzione richiede una strategia e un piano finanziario, anche di riqualificazione della spesa, che affronti però alcuni nodi strutturali, quali: lo sviluppo degli asili nido; la generalizzazione della scuola dell'infanzia; il sostegno alla qualità della scuola primaria; il riconoscimento della professionalità dei docenti, con stipendi adeguati e con formazione continua (non con spot, come ha fatto il Ministro Gelmini); il potenziamento dell'autonomia scolastica; la realizzazione delle pari opportunità e la piena integrazione dei bambini e dei ragazzi svantaggiati (per condizioni di salute, economiche o sociali); la valorizzazione del merito, sia per i docenti che per gli alunni; l'attuazione dell'obbligo scolastico fino a 16 anni; la valorizzazione dell'istruzione tecnica e professionale; la riduzione della dispersione scolastica; lo sviluppo dell'educazione degli adulti; la sicurezza degli ambienti scolastici e lo sviluppo delle attività laboratoriali.
Tutto ciò nella manovra economica non c'è. Ci sono invece i tagli indiscriminati agli organici e il taglio alle assunzioni dei precari. Ai tagli lineari sulla scuola si aggiungono i tagli pesantissimi ai bilanci degli enti locali, che, associati alle minori entrate derivate dall'abolizione totale dell'ICI, provocheranno un effetto drammatico sulla capacità dei comuni di continuarePag. 53a garantire servizi fondamentali come gli asili nido, le scuole dell'infanzia comunale, le mense scolastiche, il trasporto scolastico, gli interventi per il diritto allo studio per i bambini e i ragazzi con disabilità o in condizioni sociali ed economiche disagiate.
Purtroppo, è fin troppo facile prevedere che ci saranno un aumento delle tariffe a carico delle famiglie, già così in difficoltà ad arrivare alla quarta settimana, e una riduzione dei servizi. I tagli degli organici della scuola comporteranno, ad esempio, la riduzione del 35 per cento degli insegnanti della scuola primaria e, conseguentemente, una drastica riduzione del tempo pieno. Così le famiglie italiane non solo non avranno le tasse ridotte, ma aumentate, non solo avranno le tariffe per i servizi scolastici aumentate, ma avranno anche il tempo pieno tagliato, con tutte le gravi conseguenze sull'organizzazione della vita quotidiana e sulla conciliazione tra il lavoro e la scuola dei figli.
Le famiglie più in difficoltà avranno una vita ancora più dura. Penso ai bambini con disabilità e con difficoltà economiche e sociali, ai quali verrà messo in discussione il diritto allo studio e alle pari opportunità. Eppure, la nostra scuola elementare è tra le migliori del mondo, seconda in Europa e ottava nel mondo per la lettura. Che cosa ne sarà poi della qualità dell'obbligo scolastico a 16 anni? Si tratta di un'innovazione fondamentale introdotta dal Governo Prodi e dal Parlamento con la legge finanziaria per il 2008 al fine di superare le criticità ed elevare la qualità della nostra scuola superiore e portarla ai livelli europei.
Viceversa, sembra che, con uno specifico emendamento del Governo, si voglia vanificare la qualità degli apprendimenti. Infatti, non viene richiamato il decreto ministeriale sui livelli essenziali dei saperi e delle competenze da acquisire con l'obbligo scolastico in tutti i percorsi, compreso quello assolto nella formazione professionale. Sembra, dunque, che si voglia reintrodurre surrettiziamente il doppio canale, e cioè la scuola di serie A e la scuola di serie B.
Con il decreto-legge in esame, inoltre, si vuole espropriare il Parlamento delle sue competenze legislative sulla scuola, rinviando ad un piano l'applicazione concreta dei tagli. Tale piano dovrebbe essere approvato dal Governo, sentite le Commissioni parlamentari e la Conferenza unificata, in soli 45 giorni, e cioè entro il 9 agosto. Dovrebbe seguire poi l'approvazione di regolamenti, sempre da parte del Governo, anche in deroga alla legislazione vigente. Quindi, con semplici regolamenti si vorrebbe varare una vera e propria riforma ordinamentale e organizzativa della scuola senza neanche il parere del Parlamento.
Altro che confronto, dialogo e la grande alleanza per la scuola annunciata dal Ministro Gelmini! Siamo di fronte ad un vero e proprio colpo di mano, che ci auguriamo il Parlamento non consentirà. Ci avvarremo di tutte le nostre prerogative per contrastare un decreto-legge che vuole infliggere un colpo durissimo alla scuola del nostro Paese, così come all'università e alla ricerca. Infatti, le misure previste per l'università e la ricerca mettono in discussione anche i livelli minimi di funzionalità, come l'onorevole Ghizzoni ha ampiamente dimostrato con il suo intervento. Viviamo nella società della conoscenza.
La possibilità per il nostro Paese di promuovere la crescita e di competere nella società globale è legata alla capacità che avremo di mettere in campo tutte le intelligenze, i talenti dei nostri giovani, e di accrescere i nostri saperi, i nostri saper fare, le nostre competenze, la nostra capacità di promuovere idee, innovazione e ricerca. Ma voi non volete investire sul futuro del nostro Paese.
Con il voto di fiducia che vi apprestate a porre ci avete impedito di dare il nostro contributo fattivo. Le scelte sbagliate che avete compiuto saranno perciò contrastate non solo da noi in Parlamento ma nel Paese dai cittadini, dalle famiglie, dai giovani e in particolare da tutto il mondo della scuola, dell'università e della ricerca (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori).

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PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Di Giuseppe. Ne ha facoltà.

ANITA DI GIUSEPPE. Signor Presidente, mi lasci fare una riflessione, prima di iniziare il mio intervento. C'è stata una critica atroce per una manifestazione di piazza dove alcuni comici hanno pronunciato delle offese. Cosa succederà adesso per la grave affermazione pronunciata dal presidente dei senatori del PdL, un senatore della Repubblica italiana? Staremo a vedere.
Signor Presidente, l'articolo 28, commi 1 e 2 del provvedimento in esame, prevede l'istituzione dell'ente ISPRA, Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, al quale verrebbero trasferite le funzioni dell'Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici (l'APAT), dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica (l'INFS) e dell'Istituto centrale per la ricerca scientifica e tecnologica applicata al mare (l'ICRAM).
Prevedere la riorganizzazione di enti vigilati dal Ministero dell'ambiente ci sembra veramente una forzatura. Sarebbe stato meglio effettuare un esame più approfondito. Non si possono riordinare enti così importanti in maniera così celere a discapito della tutela dell'habitat del nostro Paese. Ad esempio, proprio l'INFS ha la responsabilità del monitoraggio faunistico e della produzione delle indicazioni tecniche e scientifiche che sono di supporto alle decisioni assunte dallo Stato, dalle regioni e dalle province in materia di conservazione della fauna e di gestione dell'ambiente. È un Istituto che gode di prestigio a livello internazionale per la professionalità dei suoi dipendenti, e che ha subito tagli sistematici ai fondi trasferiti dallo Stato. È un ente che non offre pareri di comodo, ma che mira ad esprimerli con una precisa applicazione delle direttive nazionali e comunitarie in materia soprattutto di conservazione della fauna, e ha anche lo scopo di coniugare l'attività venatoria con la tutela dell'ambiente.
L'Istituto garantisce l'applicazione corretta delle norme, soprattutto quelle legate alla caccia. Non si può smontare con tanta facilità il sistema di controllo ambientale, eliminando istituti così qualificati. Ci sorprende davvero questa decisione, cioè che venga scelta la strada di uno strumento che predispone tagli, a volte sconsiderati, proprio per la riorganizzazione di enti di controllo che invece andrebbe disposta in modo attento e condiviso, definendo fin da subito l'organizzazione, gli scopi e gli strumenti operativi.
Il Paese ha bisogno di ricerca e tutela nel settore dell'ambiente, e i tre enti hanno dimostrato di rispondere a questo bisogno. Lo ripeto, vi è troppa genericità nella scelta di organizzare tutto attraverso questo istituto, l'ISPRA, vista la complessità dei problemi dei tre enti, primo fra tutti quello del personale precario già in fase di stabilizzazione o in attesa di potere entrare nei ruoli dopo lunghi anni di attività, oltre al servizio della tutela dell'ambiente. Tutto ciò necessita di un approfondimento della questione. Non si può accorpare, anzi non si può con un colpo di spugna eliminare tutto a nome e per conto dell'economicità.
Un'iniziativa così importante che stravolge la struttura organizzativa di questi enti avrebbe richiesto proprio una riflessione. Non può essere frutto di una decisione unilaterale ed improvvisa, non maturata con il concerto dei soggetti interessati. Questa decisione, non supportata inoltre da un'adeguata ed efficace strategia programmatica, avrebbe come effetto immediato soltanto quello di azzerare i vertici dei tre istituti. Inoltre vi è il rischio reale che la trasformazione dell'APAT, che è l'Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici, possa indebolire l'intero sistema agenziale che è costituito anche dalle agenzie regionali quali l'ARPA, e con questo, quindi, il sistema dei controlli ambientali.
La preoccupazione fondamentale, quindi, è che si potrebbero creare anche problemi relativi al personale dei tre enti. La futura IRPA avrà la possibilità di avere una dotazione adeguata, con tutto il personale oggi presente in APAT, ICRAM e INFS. L'unione dei tre enti non dovràPag. 55risultare una sommatoria burocratica, ma essere occasione di crescita e di sviluppo delle attività previste. All'interno dei tre enti esistono forme di precariato che comprendono tempo determinato, contratti di collaborazione e assegni di ricerca. Anche la soppressione dell'ICRAM appare deleteria, perché questo è l'unico istituto italiano per la ricerca e la tutela dell'ambiente marino. Nel contempo, l'azione di controllo e di monitoraggio del mare, attualmente, è competenza delle regioni: introdurre nuovi ambiti e sovrapposizioni di ruolo provocherebbe un'inutile e dannosa duplicazione.
Il Governo sostiene di volersi impegnare a stabilire risorse per incoraggiare comportamenti virtuosi dal punto di vista ambientale e a favorire la ricerca e l'innovazione per tutelare la natura. È proprio il caso di dire che fra il fare e il dire c'è di mezzo il mare: a cosa vale, allora, accorpare in un unico ente istituti che hanno proprio il ruolo di tutelare e salvaguardare l'ambiente del nostro Paese? Noi contestiamo il metodo, lesivo dell'autonomia degli enti di ricerca garantita dalla Carta costituzionale, ed esprimiamo dissenso su questo accorpamento, perché riteniamo che ciascun istituto debba continuare a svolgere liberamente il suo ruolo. Sicuramente, l'ISPRA è non produttivo per le sorti dell'ambiente. Insomma, non siamo per un carrozzone inefficiente.
Vorrei, inoltre, sottolineare che poco è stato concesso da Tremonti all'agricoltura, mettendo in imbarazzo anche il Ministro Zaia, che sembra avere le idee chiare ma, senza fondi, rimarrà, come lui si definisce, il Ministro del pronto soccorso dell'agricoltura. È, inoltre, da sottolineare che in questo decreto-legge non esista alcun riferimento alle politiche che il Governo intende adottare per il rilancio dell'agricoltura. In particolare, noi dell'Italia dei Valori riteniamo che, proprio per sostenere lo sviluppo del settore, il Governo dovrebbe dare risposte efficaci ed adottare politiche mirate sui seguenti aspetti: promozione della qualità dei prodotti e del sistema di produzione; sviluppo degli strumenti di promozione di terra dei servizi, in una prospettiva di sistema Paese; sostegno all'imprenditoria giovanile.
In conclusione, signor Presidente, per la competitività dell'impresa agricola, alimentare e della pesca avremmo voluto maggiori indicazioni sulla stabilità fiscale e sulle strategie per il rilancio dello sviluppo economico dell'intero settore agroalimentare e della pesca e sui nuovi strumenti d'intervento finanziario in agricoltura. La manovra del Governo avrebbe dovuto affrontare i nodi di fondo che comprimono questo settore.
Desidero concludere, signor Presidente, me lo consenta, con una frase pronunciata da Indro Montanelli: gli uomini politici non fanno che chiedere ad ogni legislatura un atto di fiducia, ma qui la fiducia non basta: ci vuole l'atto di fede. E credo che ci azzecchi proprio (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Bernardini. Ne ha facoltà.

RITA BERNARDINI. Signor Presidente, signori rappresentanti del Governo, colleghi, signor Ministro Tremonti che non c'è, è indubbio che il mondo e, in particolare, il mondo occidentale, stia attraversando un periodo di pesante crisi economica, e non passa giorno senza l'approfondimento di questo o quel commentatore autorevole su aspetti particolari e/o verità parziali di questa crisi. Non sono sicura, come sostiene il Ministro Tremonti, che siamo al 1929. Non mi pare neppure convincente la tesi per cui l'esplosione dei prezzi delle materie prime sia causata principalmente da fenomeni speculativi.
Quello che so per certo è che il nostro Paese patirà più di altri questa congiuntura sfavorevole, perché prigioniero e vittima di antiche incrostazioni, occasioni perdute e mancate riforme in tutti i campi, non solo quello economico. Per questo motivo, noi radicali evitiamo di fermarci e di alimentare il pessimismo che il Ministro Tremonti tende a spargere a piene mani. A tal proposito, mi chiedo dove sia finito il volontarismo ottimista ePag. 56il «Rialzati Italia!» della campagna elettorale; fra poco dovremo dire e pronunciare: «Inginocchiati Italia!».
Come dicevo, noi radicali proveremo, comunque, fuori e dentro questo Parlamento, a segnalare i campi d'intervento urgente, che possono contribuire, se affrontati con rigore e decisione, ad attenuare gli effetti della crisi e a porre le basi di un rilancio civile ed economico del nostro Paese, evitando di fare leva sulla paura che, di solito, è strumento efficace per acquisire consensi elettorali, ma è cattiva maestra per le azioni di Governo.
Per noi radicali, la priorità dello Stato di diritto e della «giustizia giusta» non è cosa nuova, anzi, è tanto antica, quanto solitaria, anche se ha trovato spesso il favore del popolo italiano attraverso i referendum: dall'abolizione delle norme fasciste del codice Rocco sui reati d'opinione e di associazione dei referendum dei primi anni Settanta, al caso Tortora con il referendum vincente sulla responsabilità civile dei magistrati durante gli anni Ottanta, fino ai referendum sottratti dalla Corte costituzionale al voto popolare e a quelli del 2000 sulla separazione delle carriere, sugli incarichi extragiudiziari e per cambiare il sistema di elezione del Consiglio superiore della magistratura, qui richiamato questa mattina. In queste occasioni, abbiamo sempre visto tutto il sistema schierato contro, oppure indifferente, ma crediamo che in questo caso l'indifferenza sia proprio la volontà di essere contrari.
Se parliamo di giustizia per i cittadini, quindi, per uscire dalla logica dei provvedimenti emergenziali, credo che più che mai parliamo di economia e di possibilità concrete di sviluppo economico. Diamo atto al Ministro Alfano di aver risposto positivamente ad una richiesta di incontro da parte dei radicali che avverrà in tempi brevi e anche, devo dire, all'attenzione del Presidente della Camera, il quale, in questo periodo, sta prestando attenzione ad una nostra proposta - una proposta radicale - sull'anagrafe degli eletti, la quale consenta al cittadino di conoscere l'attività degli eletti e del Parlamento, e non solo del Parlamento, ma di tutti i livelli istituzionali. Questa conoscenza darà possibilità di controllo ai cittadini italiani, un controllo che oggi essi non hanno.
Come delegazione radicale abbiamo già detto, qui in quest'Aula, nelle occasioni che abbiamo di intervenire, di ritenere che in Italia siamo in una «non democrazia» e questo non succede da oggi con la nuova maggioranza, ma è una situazione che si è riprodotta ed è andata avanti per decenni. Ci sembra che questa «non democrazia» italiana sia più che mai in crisi. Una crisi può sempre risolversi in modo completamente negativo e, quindi, senza più speranza, ma se si acquisisce la consapevolezza del momento che stiamo attraversando, essa può anche avere possibilità positive.
Infatti, il ripristino della legalità è essenziale per affrontare il tema dell'economia e il problema della sicurezza, tanto sbandierato (spesso a sproposito), o declinato principalmente sul fenomeno «immigrazione rom», che tante polemiche e confusioni ha provocato con iniziative legislative prima annunciate, poi ritirate, quindi modificate in una girandola di proposte e controproposte che non hanno di certo aiutato l'opinione pubblica ad avere una visione ragionata e non impaurita del suo vivere quotidiano accanto e con esseri umani provenienti da altri Paesi. Questo Governo ha taciuto tutti i dati della buona immigrazione, preferendo puntare su altri aspetti, la cui esistenza noi non nascondiamo, ma che non sono certo esaustivi del fenomeno.
È indubbio, per esempio, l'apporto positivo che l'immigrazione ha dato e dà alla nostra economia, però dobbiamo dire che, sia sul fronte della giustizia, sia sul fronte degli interni, vediamo solamente tagli orizzontali e indiscriminati. Credo che per far fronte alla crisi attuale servano, per esempio, più liberalizzazioni e non certo i provvedimenti che sono stati annunciati di una banca per il sud, oppure operazioni come la gestione che il Governo sta facendo del problema Alitalia. OccorronoPag. 57liberalizzazioni accompagnate da un nuovo welfare che assecondi un diverso e più flessibile mercato del lavoro.
C'è poi la questione delle donne, e noi abbiamo preparato un ordine del giorno sull'innalzamento e l'equiparazione dell'età pensionabile, che ha riscosso sottoscrizioni sia da parte del centrosinistra sia da parte del centrodestra, e per un accesso al mercato del lavoro. Vedete, nei vostri provvedimenti ci sembra si continuino a punire le donne. Infatti, se parliamo, per esempio, della detassazione degli straordinari dobbiamo senz'altro riflettere e dire che le donne fanno poco gli straordinari, perché li fanno gratis nei lavori domestici. Di tutto questo, purtroppo, abbiamo trovato poche tracce nella relazione presentata in quest'Aula e nel decreto-legge.
C'è poi la questione energetica, indubbiamente un tassello importante per lo sviluppo economico e tecnologico del Paese. Questo Governo ha deciso, pare, di tornare al nucleare, scelta su cui ci pare si sia davvero poco riflettuto e sia stata ancor meno esaminata e proposta nei suoi aspetti complessi. Ci viene detto che vent'anni fa abbiamo perso un treno; ammesso che sia così (da parte nostra abbiamo forti dubbi) crediamo che non abbia senso rincorrere un treno perso rischiando, nel frattempo, di perdere il treno che sta passando, ossia quello dell'efficienza energetica e dell'innovazione tecnologica anche in questo campo.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

RITA BERNARDINI. Non è la nostra una preclusione ideologica, non lo è mai stata. Si tratta della diffidenza e della contrarietà di chi solleva delle domande e non riesce ad ottenere risposte. Quanto costa, quanto produce, in quali tempi, chi paga e chi mette i capitali?
In conclusione, la delegazione radicale nel gruppo del Partito Democratico invita il Parlamento e il Governo a prestare attenzione agli ordini del giorno che presenta: intanto, lo ripeto, quello sull'innalzamento e l'equiparazione dell'età pensionabile delle donne, sugli interventi mirati di welfare che, per esempio, possono consentire alle donne italiane l'ingresso nel mondo del lavoro (siamo ultime in Europa per quel che riguarda l'occupazione femminile). Sul nucleare abbiamo preparato due ordini del giorno così come sulle autorità amministrative indipendenti e sulla liberalizzazione dei servizi pubblici.
Credo che dobbiamo riflettere e che il Parlamento debba riflettere. Certo, è difficile discutere con i tempi che ci vengono dati e anche con le modalità di svolgimento dei nostri dibattiti, con provvedimenti che vengono in continuazione cambiati in corso d'opera e con la continua posizione della questione di fiducia da parte del Governo. Noi crediamo che veramente il ruolo del parlamentare venga sempre di più sminuito e, se il Parlamento italiano non avrà la forza di porsi il problema di quanta mancanza di rispetto della legalità c'è nel nostro muoverci, nel nostro rappresentare il popolo italiano, credo che avremo ben poco da sperare e da proporre per risolvere questo momento difficile (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Debbo una risposta all'onorevole Evangelisti. È effettivamente pervenuta una richiesta del Governo per apportare delle ulteriori correzioni tecniche. Questa richiesta è stata rimessa, come è corretto, alle Commissioni per le loro valutazioni.

FABIO EVANGELISTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, intervengo anche se non ci sono più le parole. Però a questo punto, più che ad indignarsi Fabio Evangelisti, l'Italia dei Valori, il Partito Democratico e le opposizioni, ad indignarsi dovrebbe essere piuttosto la Presidenza della Camera, la quale dovrebbe dire al Governo che così non si può procedere. È del tutto evidente che quando si sbaglia una volta, poi si sbaglia una seconda ed una terza volta.Pag. 58
Mi permetta Presidente (io in genere cerco di parlare alla Presidenza) di rivolgermi al Governo in questo momento: state mettendo in difficoltà e in serio imbarazzo tutti; questa mattina era in imbarazzo il presidente della Commissione di merito, in questo momento immagino l'imbarazzo che pervade gli uffici della Presidenza della Camera.
Esprimo solamente un auspicio a nome dell'Italia dei Valori, che la correzione sia davvero di carattere tecnico, poco più che formale e non sostanziale, perché se così non fosse davvero dovremmo trarne le conseguenze.

ROBERTO GIACHETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, eravamo stati facili profeti nell'immaginare che la seduta non si sarebbe conclusa questa mattina. Le sottopongo di nuovo il tema, riportando le considerazioni che ho fatto questa mattina, perché non conosciamo il merito della questione, ma in ogni caso non cambia, possiamo essere d'accordo o meno: quello che a mio avviso viene lesa è la procedura dei lavori della nostra Aula. Le considerazioni politiche che ho fatto questa mattina le riporto allo stesso modo per quanto sta accadendo.
Le vorrei dire in aggiunta, pregandola di trasferire ciò al Presidente della Camera, che sono molto preoccupato perché, al di là del merito, quello che stiamo facendo è modificare surrettiziamente, ma sostanzialmente, il Regolamento della Camera, perché la finestra che si lascia aperta, dal momento in cui viene presentato il maxiemendamento al momento in cui viene posta effettivamente la fiducia con preannuncio, sta sostanzialmente creando una riserva di emenda al Governo a danno del Parlamento, ed in particolare dell'opposizione. Affinché questo non accada la pregherei semplicemente di trasferire il complesso delle valutazioni che abbiamo fatto nella giornata di oggi al Presidente della Camera. Forse questa è la prima volta, nel combinato disposto di un maxiemendamento presentato sul quale si preannuncia la fiducia (presentato prima del dibattito generale) e una finestra che credo non abbia precedenti per il tempo in cui è stata tenuta aperta prima di porre effettivamente la fiducia, che si rischia veramente di cambiare le regole con le quali noi operiamo qui dentro. Forse per la prima volta potrebbe valere la pena, nei tempi e nei modi che il Presidente ritiene, di rassicurarci che questo non diventi un precedente, perché altrimenti sarebbe davvero un precedente pericoloso.

PRESIDENTE. Riferirò certamente le sue osservazioni. Credo che a questo punto, proprio per la preoccupazione espressa sia dall'onorevole Giachetti che dall'onorevole Evangelisti, sia opportuno sospendere brevemente la seduta, per il tempo necessario che ci indicherà il presidente Conte (credo cinque minuti), per le valutazioni di merito.

La seduta, sospesa alle 14,10 è ripresa alle 14,45.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROCCO BUTTIGLIONE

PRESIDENTE. Diamo la parola all'onorevole Conte, che ci ragguaglia sugli sviluppi della situazione.

GIANFRANCO CONTE, Presidente della VI Commissione. Signor Presidente, il Comitato dei diciotto si è riunito e ha rilevato che si tratta di correzioni di carattere formale e non sostanziale. Naturalmente, però, vorremmo avere dal Governo una garanzia sotto il profilo formale, al fine di sapere se la sostituzione della parola «contratti» con «accordi» comporti di per sé una modifica di carattere finanziario.

PRESIDENTE. Il Governo è stato chiamato in causa. Prego, onorevole Vegas.

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GIUSEPPE VEGAS, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Signor Presidente, le modifiche proposte all'articolo 79, che sono coordinate tra loro, mirano sostanzialmente a sostituire la parola «contratti» con «accordi», con riferimento ai rapporti tra il Servizio sanitario nazionale e gli ospedali classificati.
La sostituzione della parola «contratti» con «accordi» deriva dal fatto che la natura di questi istituti di cura è assimilata a quella degli istituti di carattere pubblico, mentre gli enti di carattere privato sono regolamentati dai contratti.
Essendo questi istituti assimilati a quelli di carattere pubblico, che ovviamente non sono regolati con contratti, perché si tratta sempre di soggetti che agiscono all'interno del settore pubblico e sono regolamentati con accordi, era giusto regolamentare con accordi anche questo tipo di enti.
Sotto il profilo del rischio finanziario, signor Presidente, mi permetta di affermare con ragionevole sicurezza che questo rischio non si pone, perché il comma 2-quater, come si può vedere leggendo il testo, in ogni caso, circoscrive il livello della spesa nell'ambito dei tetti di spesa prefissati.
Secondo le disposizioni di tale comma: le regioni stipulano accordi con determinati soggetti, che prevedono che l'attività assistenziale, attuata in coerenza con la programmazione sanitaria regionale, sia finanziata a prestazione, in base ai tetti di spesa ed ai volumi di attività predeterminati annualmente dalla programmazione regionale nel rispetto dei vincoli di bilancio.
Ciò vuol dire che, in ogni caso, la spesa deve essere quantificata in relazione alle prestazioni e si deve mantenere rigorosamente nel rispetto dei vincoli di bilancio, che l'articolo che stiamo commentando serve a rendere più rigorosi rispetto alla previsione generale - che si fa, comunque, nel testo del provvedimento - di un tetto di spesa complessivo per la spesa sanitaria dei prossimi anni.
Quindi, abbiamo un tetto di spesa complessivo per la spesa sanitaria e poi alcuni articoli, tra i quali quello che stiamo leggendo, che fissano criteri più rigorosi per rendere inossidabile il tetto di spesa e non farla superare.
In ogni caso, la spesa, anche se è cambiata la natura, accordo, piuttosto che contratto, resta limitata nel complesso. Se la spesa eccederà, sono previste alcune sanzioni per le regioni inadempienti.
Vi è di più: il comma 2-quinquies prevede un meccanismo per evitare che in qualche modo si possa eludere questa prefissione di tetti ovvero per scongiurare il rischio che si possa evitare di sottoscrivere l'accordo. Infatti, come recita il comma 2-quinquies, in caso di mancata stipula dell'accordo di cui al presente articolo, l'accreditamento è sospeso. Esiste, quindi, un meccanismo sanzionatorio nel caso in cui ci si voglia allontanare dal percorso di rigore sanitario. Sotto questo profilo, il Governo ritiene che la modifica che si propone con l'ultima lettera che il Governo si è permesso di inviare al Presidente della Camera non abbia effetti negativi di carattere finanziario.

PRESIDENTE. Considerato l'esito della riunione del Comitato dei diciotto e l'assenza di obiezioni in quella sede, considerate le motivazioni di ordine tecnico rappresentate dal Governo e le precisazioni testé fornite dal sottosegretario Vegas, la Presidenza ammette le ulteriori correzioni all'articolo 79 dell'emendamento Dis 1.1 che il Governo ha chiesto di apportare con apposita lettera, il cui testo è in distribuzione.
Riprendiamo, dunque, gli interventi previsti per la discussione sulle linee generali.
Ha chiesto di parlare l'onorevole Ria, deputato del Salento. Ne ha facoltà.

LORENZO RIA. Signor Presidente - per un attimo la stavo chiamando professore, da salentino era abituato infatti a chiamarla in questo modo -, onorevole rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, neppure al più accanito e acritico difensore del Governo possono sfuggire le mille contraddizioni innescate dall'azionePag. 60dello stesso, soprattutto in materia economica, su un tessuto socio-economico già molto sofferente ed in difficoltà. La prima e più grande contraddizione paradossale emerge dalla considerazione che il Governo ha approvato - lo abbiamo detto in tutti questi giorni - la manovra in soli nove minuti e mezzo e stiamo parlando del Documento di programmazione economico-finanziaria per il 2009 -2013, del decreto-legge n. 112 del 2008 che stiamo per votare e del disegno di legge sulle misure di accompagnamento. Ciò che è avvenuto in questi giorni alla Camera e nelle Commissioni competenti di merito, con la presentazione di migliaia di emendamenti, di cui la gran parte presentati dalla maggioranza e dallo stesso Governo, lo slittamento ininterrotto dei termini per la presentazione degli stessi emendamenti e il sostanziale stravolgimento delle originarie proposte del Governo, dimostrano che il Governo, per potere avere le idee chiare sulla situazione da affrontare e sulle misure da adottare, avrebbe dovuto lavorare non nove minuti e mezzo ma molto di più. Siamo, quindi, in presenza di una manovra varata quasi da irresponsabili ovvero da un Governo che non sapeva ciò che faceva. Il numero degli emendamenti, la loro forza stravolgente, il nome e l'appartenenza politica dei firmatari degli emendamenti e anche quello che sta succedendo, in queste ore e nella giornata di ieri, in Aula, dimostrano che siamo in pieno caos. E questo caos, signor Presidente, è documentato da indicatori inoppugnabili: da un lato, il ministro Tremonti introduce la Robin Hood tax e la definisce una misura di equità, un sostegno ai redditi medio bassi falcidiati nel loro potere d'acquisto, dall'altro, il Governatore della Banca d'Italia lo smentisce platealmente, affermando che la Robin hood tax è una misura iniqua che concorrerà a falcidiare ulteriormente i redditi medio-bassi e le possibilità di spesa delle famiglie; tra Tremonti e Draghi non ho il minimo dubbio nel definire chi è credibile e chi non lo è.
Vi è un'altra contraddizione: nel primo semestre 2008 i dati del fabbisogno di cassa del settore statale sono positivi in modo eclatante. Chissà per quale motivo, per la seconda parte dell'anno, si prevede un repentino peggioramento del fabbisogno di cassa sino al 2,9 per cento del PIL annuale, così da giustificare un'ulteriore intollerabile azione di drenaggio fiscale. Ma com'è possibile, con queste misure tanto raffazzonate e contraddittorie, pretendere di risanare l'economia? La contraddizione più clamorosa tra gli obiettivi che si dice di voler perseguire e gli effetti reali che quelle misure procureranno davvero, possiamo leggerla in due semplici dati recenti. Nei primi cinque mesi dell'anno, le entrate fiscali crescono addirittura del 3,3 per cento rispetto al 2007. Ma, nello stesso periodo, rallentano le imposte indirette, l'IVA; vanno male i proventi delle attività cinematografiche e di spettacolo. Ciò significa che le famiglie italiane stanno cominciando a risparmiare sull'essenziale: prima, compravano nei centri commerciali ma, poi, hanno cominciato a comprare nei discount; in seguito, hanno tagliato il weekend fuori porta e le vacanze (oggi lo leggiamo sui quotidiani); ora man mano stanno tagliando le sigarette, il cinema, le uscite del sabato sera, la frutta, il latte, il pane. Intanto, il gettito IRPEF e IRES continua a crescere, dimostrando in questo modo che le ingiustizie sociali in questo nostro Paese stanno diventando sempre più eclatanti.
A nostro avviso, sostenere i redditi delle famiglie è una scelta obbligata e senza alternativa. Sia chiaro che non proponiamo una scala mobile, anche perché una scala mobile può valere per il futuro ma non rende giustizia per il passato. È indispensabile una chiara, palese, evidente e dichiarata integrazione dei redditi familiari, con una contestuale rigorosissima azione di contenimento dei prezzi. Questi ultimi, per lo meno quelli che non sono influenzati da fattori internazionali, dovrebbero essere non solo monitorati, ma anche contrattati con riferimento alle loro effettive motivazioni, tra produttori, consumatori e Governo.
Né l'Unione europea - consenta questa riflessione - può fermarsi all'allarme inconcludentePag. 61della rincorsa prezzi-salari. Il compito dell'Unione europea non è quella di predicare i pericoli, ma di evitarli. L'Unione europea deve fare molto in materia di prezzi petroliferi, di quelli delle materie prime, in termini di misure a livello continentale a sostegno degli investimenti, della ricerca e dell'innovazione tecnologica.
L'altro elemento che colpisce e fa male nella manovra del Governo, è la sua eterogeneità e genericità: rimette sotto controllo la spesa dei Ministeri con misure che, però, sono generiche e incapaci di operare qualsiasi distinzione tra Ministero e Ministero.
Da un lato, cioè, assistiamo a tagli nei ruoli del Ministero della giustizia, peraltro, già sguarniti, creando ulteriori vuoti: non si tratta di vuoti di pianta organica ma di vuoti di giustizia, di legalità. Opportunamente, molti osservatori, sulla base di questo ulteriore taglio, hanno tristemente previsto che, per questa via, sarà avviata un'amnistia occulta e non voluta dal Parlamento a causa della prescrizione che riguarderà migliaia e migliaia di processi in atto.
D'altro lato, assistiamo a tagli anche delle risorse destinate alla sicurezza. A questo punto, mi domando: ma il Governo con chi pensa di affrontare i serissimi problemi di delinquenza che torturano l'Italia, lesinando addirittura l'essenziale, le auto, il carburante, le tecnologie alle forze di polizia e ai carabinieri? Oppure, pensa di risparmiare in sicurezza, generalizzando l'utilizzazione dell'esercito per servizi di ordine pubblico?
Penso che anche il Governo, come tutti i cittadini, si debba porre queste domande, che riguardano aspetti importanti e paradossali della manovra economica. E ancora, si tagliano al buio i bilanci di regioni, enti locali, sanità, università, senza capire minimamente il tessuto sociale, i bisogni reali, i disagi sui quali si infierisce.
Si parla di licenziamenti più facili nel pubblico impiego (sono i titoli di oggi), ma non si individua una norma, dico una, che potrà consentire di mandare davvero a casa gli incapaci per scelta, i profittatori, i parassiti.
Anche le misure sui certificati medici, quelle sui controlli delle malattie, appaiono approssimative o, addirittura, demenziali. Come si fa a volere, per legge, il controllo da parte delle ASL delle malattie, se già oggi le ASL non riescono a fare almeno il 50 per cento dei controlli loro richiesti?
Come si fa a chiedere ad un lavoratore di presentare il certificato medico dell'ASL, quando la stessa ASL non è attrezzata a rilasciarli, e, quando dovesse attrezzarsi, imporrà ai lavoratori, quelli buoni e quelli cattivi, i produttivi e i parassiti, i leali e i furbi, file insostenibili?
Che dire, poi, della semplificazione delle norme e delle procedure, a partire dal piano «Impresa in un giorno» e dal potenziamento dello sportello unico? Sono tutte misure che si innestano su un tessuto burocratico inefficiente, con capacità di reazione lentissima, che fagocita tutti i cambiamenti e le innovazioni in un burocratismo estenuante, costoso ed inefficiente, che mette a dura prova la pazienza degli utenti.
L'insieme di queste misure è fatto solo per l'immagine e i rotocalchi, per un titolo nei telegiornali della sera, ma non servirà in nessun modo a rendere efficiente la società, la burocrazia, l'apparato statale.
Se il complesso della manovra economica ha molti contenuti di immagine e numerosi elementi di contraddizione e di confusione, c'è qualcosa che non c'è, la cui assenza rappresenta l'elemento più clamoroso di ingiustizia: manca, signor Presidente - ricordava il Salento, che è la mia terra d'origine - il sud, tutto il sud. Manca l'attenzione ai suoi problemi, mancano le misure indispensabili per la sua crescita.
Cari colleghi del nord, insieme ai milanesi e ai lombardi, tutti gli uomini del sud hanno gioito con voi, quando Milano è stata designata sede dell'Expo 2015. Quella scelta, per noi, ha rappresentato un progetto ed un vantaggio validi per l'intero Paese. Riconosciamo a Milano capacità ideali, concretezza, ottimismo, realismo,Pag. 62capacità di crescere per sé, ma anche di trainare - concludo - l'intero Paese.
Per questo, apprezziamo e riteniamo ben impegnate le risorse che il Governo destina all'Expo di Milano. Diversamente dalla Lega Nord, che ha storto il naso e ha fatto mille distinguo per le semplici anticipazioni finanziarie che il Governo ha fatto a Napoli per affrontare l'emergenza rifiuti e a Roma per affrontare i più impegnativi problemi di bilancio, noi parlamentari del Partito Democratico, noi parlamentari del sud, riteniamo doveroso il sostegno che il Governo dà a Milano per affrontare l'Expo 2015.
Ma su certe questioni, soprattutto sui temi della distribuzione delle risorse in periodi di crisi, deve essere applicata la regola aurea della reciprocità; non è possibile che alcuni parlamentari protestino puntualmente in Aula ogni qualvolta si parla del sud.
Ricordo che la manovra in discussione ha dimenticato totalmente il sostegno al sud, che avrebbe potuto essere rappresentato dal credito di imposta e da una serie di risorse...

PRESIDENTE. Onorevole Ria, devo ricordarle il tempo.

LORENZO RIA. Concludo, signor Presidente, dicendo che la stessa manovra riscrive il quadro strategico nazionale, i fondi per le aree sottoutilizzate, centralizzando la spesa per non meglio chiarite azioni innovative e interventi infrastrutturali di livello nazionale.
In questo accentramento abbiamo visto il rischio reale che il sud restasse relegato ai margini delle scelte innovative, e soprattutto non fosse l'effettivo destinatario della parte dovuta delle risorse disponibili. Su questo terreno - ho concluso - siamo stati esigenti e inflessibili, accorti e severi, puntigliosi e duri in Commissione, assicurando una quota rilevantissima dei fondi per le aree sottosviluppate e del quadro strategico nazionale, centralizzati dalla manovra economica, in larghissima misura alle regioni del sud per il finanziamento di progetti strategici e per il finanziamento di interventi infrastrutturali strategici (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Paladini. Ne ha facoltà, per quindici minuti, secondo gli accordi intercorsi.

GIOVANNI PALADINI. Signor Presidente, noi avremmo voluto migliorare con emendamenti il provvedimento in esame, ma il Governo ha voluto autoritativamente subordinare, ancora una volta, il Parlamento a questa che si chiama fiducia: direi fiducia aperta, considerato che ogni secondo vengono apportati emendamenti; userei, quindi, un nuovo nome - fiducia aperta - considerato che ogni secondo chi è in Aula non sa mai quello che succederà il minuto dopo. Quindi, è anche difficile riuscire a vedere e, soprattutto, a dire cose interessanti.
Abbiamo parlato di sicurezza; credo che la sicurezza e, soprattutto, la prevenzione siano le cose più importanti. Proprio oggi in Aula si è detto che qui non si predica ma si pratica, che qui non si fanno parole ma fatti: infatti, vedo i banchi della Lega e del Popolo della Libertà veramente pieni e soprattutto noto molta attenzione su questo problema, e poi vi dirò anche il motivo.
Credo che, in questo caso, per evitare una situazione di normalità, si passi a una condizione di disagio e di sofferenza per le forze dell'ordine, che si aspettavano da questo Governo, vista la campagna elettorale fatta sul tema della sicurezza, un ben diverso trattamento.
Credo che, invece, le forze dell'ordine con il provvedimento in esame, come può capitare loro nella vita lavorativa, escono gravemente ferite, perché con alcuni accorgimenti di rettifica (se non ne arriveranno altri) hanno rischiato di essere definitivamente «ammazzate».
Signor Presidente, credo che non abbiate una visione diretta di quanto sia grave la situazione. State attraversando una via pericolosa che mi preoccupa per il futuro, fatta di retorica strumentale. VoiPag. 63asserite di essere statalisti quando volete, e di non esserlo quando volete: specialmente quando sottraete i fondi dalle forze di polizia nazionali e li date ai sindaci che dovrebbero raccordare le stesse, tagliate i fondi del Ministero dell'interno per gli straordinari, i mezzi, gli strumenti, le caserme, il vestiario, la formazione, i poligoni, le indennità accessorie, la reperibilità, le festività, i notturni, i buoni pasto; e ancora non siete riusciti a chiudere la coda contrattuale che il personale attende da tempo. Di fronte a tutto ciò, cosa fate? Costituite ope legis un'altra forza di polizia, la sesta, impegnando i militari per il servizio di polizia, e dando loro attribuzioni di polizia. Decidete di introdurre il reato di immigrazione clandestina, ma tagliate i fondi alla magistratura e al Ministero della giustizia per le carceri e per il personale di polizia penitenziaria. Dite di stare dalla parte delle forze dell'ordine - che sono state umiliate, offese, strumentalizzate e usate - e che questa manovra avrebbe interessato proprio quel comparto che combatte la criminalità. E di fatto lo stiamo vedendo: ieri, tutti i sindacati di Polizia hanno dovuto manifestare per cercare almeno di mantenere la condizione originaria che, per la prima volta dal 1981, quando è stata approvata la riforma della legge n. 121, è stata fortemente intaccata.
Per la prima volta, avete avuto qui davanti tutti i sindacati di polizia, civili e militari, e tutte le rappresentanze. Questo siete riusciti a fare: altro che Robin tax! Altro che immunità! Altro che i 300 milioni di euro per l'Alitalia! Altro che decreto «salva Retequattro»! Altro che «bloccaprocessi»! Altro che investimenti strategici sulla sicurezza! Altro che città sicure! Possiamo citarne quanti ne vogliamo: ormai le forze dell'ordine si trovano ai margini della povertà, e proverò a spiegare il motivo, visto che voi non lo avete capito e non lo capirete mai.
Avete predisposto un maxiemendamento nel quale date 400 milioni di euro e togliete due miliardi e mezzo: con una mano avete dato e con l'altra togliete. Al Ministero dell'interno avete sottratto 479 milioni di euro di tagli alla spesa; avete fatto tagli del personale per 277 milioni per la polizia e di 250 milioni per i carabinieri; avete fatto un totale di tagli e risparmi sulle forze dell'ordine per un miliardo di euro; avete fatto una riduzione del personale della polizia di Stato di 1.611 unità nel 2009, di 1.008 nel 2010, di 1922 nel 2011 e di 1356 nel 2012, per un totale di 6689 persone. L'attuale carenza di organico è di 9030 persone: i tagli di organico di tutte le forze dell'ordine ammonteranno insomma complessivamente a 21 mila persone.
Con il maxiemendamento, il Governo ha restituito 400 milioni, di cui 100 andranno alle forze di polizia locali e 100 per le assunzioni per i sei corpi di polizia. Questa purtroppo è la verità - a meno che, considerata questa fiducia aperta, fra due, cinque o sette minuti introdurrete qualcosa d'altro. Ma per adesso le cose stanno così.
Ma non solo: siete riusciti a fare di meglio. Siete riusciti ad introdurre in questa manovra ben cinque articoli contro le forze dell'ordine.
Anzitutto, vi è l'articolo 66, che riguarda il turn over: esso pone forti limitazioni in materia di assunzioni e stabilizzazione del personale, le quali sono rideterminate in base al fabbisogno risultante dalla programmazione triennale redatto dalle stesse amministrazioni entro il 31 dicembre 2008, alle quali la disposizione in esame raccomanda l'adozione di misure di razionalizzazione, di riduzione delle dotazioni organiche e di contenimento delle assunzioni. Nello specifico, nel 2008 e nel 2009, le amministrazioni potranno procedere ad assunzioni di personale nel limite del 10 per cento delle unità cessate nell'anno precedente e, allo stesso modo, alla stabilizzazione del personale, per il 2009, nel limite del 10 per cento delle unità cessate nell'anno precedente. In base al comma 6, solo i corpi di polizia possono procedere, per l'anno 2008, ad ulteriori assunzioni per una spesa annua di 75 milioni di euro a regime. A tal fine è istituito un fondo pari a 25 milioni di euro per il 2008 e a 75 milioni di euro dalPag. 642009. Questo articolo continua poi ponendo una serie di pesanti limiti alle assunzioni nelle forze di polizia ad ordinamento civile e militare, con evidenti ripercussioni sulle posizioni, già di per sé precaria, dei VFP, cui non vi siete interessati.
Non parliamo poi dell'articolo 67 sulla contrattazione integrativa. Esso prevede la riduzione del 10 per cento delle risorse destinate per l'anno 2007 agli istituti retributivi della contrattazione integrativa, cioè in particolare al fondo di efficienza (e voi di efficienza ne avete e ne volete fare ben poca!). Per la prima volta in trent'anni dalla riforma della polizia, inoltre, siete riusciti a disapplicare per l'anno 2009 tutte le disposizioni speciali che prevedono risorse aggiuntive a favore dei fondi per il finanziamento della contrattazione integrativa delle amministrazioni statali. A decorrere dall'anno 2010, viene addirittura prevista una riduzione del 20 per cento di tali fondi, ed è previsto un fondo di assistenza per i soli finanzieri pari a 20 milioni di euro. Insomma, il taglio vi è stato e si farà sentire: e ci dovete dire come volete risolvere questo problema.
Quanto all'articolo 69, esso contribuisce a creare una sperequazione nella pubblica amministrazione: fino ad oggi, il personale a regime non contrattualizzato di cui all'articolo 3 del decreto legislativo n. 165 del 2001, inclusa la dirigenza delle forze di polizia e delle forze armate, godeva di una progressione economica dello stipendio secondo automatismi biennali.
Con questa norma, invece, gli aumenti periodici saranno triennali. E voi cosa avete fatto? Avete fatto una una tantum: per quest'anno si prevedono tre anni, poi fra tre anni vedremo! Fate sempre così, dite sempre «poi vedremo», come per gli straordinari. Intanto da due anni li avete portati a tre. Vi devo ringraziare perché avete fatto una bella cosa. Avete inserito due emendamenti per cui, con riferimento al personale che aveva il trattamento economico aggiuntivo per infermità dipendente da causa di servizio e a coloro che rimangono feriti - e che naturalmente, quando muoiono o vi sono delle attribuzioni, in quest'Aula vi alzate in piedi -, siete riusciti a colpire anche questa norma. Avete dovuto presentare un emendamento per dire che le forze dell'ordine sono escluse da questa previsione. Ciò è incredibile! Rispetto al trattamento privilegiato per il personale che in servizio contrae una malattia di servizio o viene ferito avete dovuto fare, per la prima volta, una norma per escluderli dal trattamento privilegiato. Davvero complimenti! Ma almeno siete stati bravi ad emendare queste due norme - l'articolo 70 e l'articolo 71 -, e credo che ciò sia stata una cosa importante. Però avete compiuto un capolavoro in riferimento all'articolo 72. Siete riusciti, per la prima volta, a «rottamare» il personale delle forze dell'ordine: lo chiamerei provvedimento di rottamazione, perché avete utilizzato anche dei termini, nell'articolo 72, eccezionali. Quanto al personale dipendente prossimo al compimento dei limiti di età per il collocamento a riposo viene introdotta la posizione dell'esonero, cioè li esonerate! A chi arriva al suo compimento, al dirigente che sta arrivando praticamente alla sua affermazione lavorativa e a tutto il personale che arriva al suo sviluppo economico, voi dite: cari amici, avete lavorato per trentacinque - più cinque - quarant'anni, adesso è il momento per cui se non ci servite più, dopo che avete lavorato, vi siete impegnati, vi siete sacrificati, avete raggiunto una posizione lavorativa ed avete subito tutti i trasferimenti, come ringraziamento vi collochiamo in posizione di esonero! E vi dico anche come li collocate in posizione di esonero. Si tratta di una posizione ibrida, vergognosa, non degna di un Governo che dice di essere vicino alle forze dell'ordine e gravemente lesiva. Non saprei che parole usare perché è una cosa che dà veramente il senso della mancanza di appartenenza allo Stato. Questa norma, per cui non si è né in servizio né in pensione, dà diritto al 50 per cento dello stipendio innalzabile fino al 70 per cento se durante questo periodo si presta servizio di volontariato. In pratica, quando unoPag. 65avrà cinquantadue, cinquantatré, cinquantacinque o cinquantasei anni ed avrà raggiunto il suo massimo, che cosa farà? Se andrà a fare il servizio di volontariato gli darete il 70 per cento; quindi, un dirigente che finisce dovrà andare a guidare un'ambulanza o a fare qualcos'altro per cercare naturalmente di riuscire a sbancare il 70 per cento di quella che era la sua voce stipendiale. Ma, udite bene, possono chiedere l'esonero i dipendenti pubblici nel corso del quinquennio antecedente la data di maturazione dell'anzianità massima contributiva di quarant'anni. Non si capiva bene se da tale previsione fossero interessate le forze dell'ordine, perché nessuno si aspettava mai che fossero anch'esse inserite nel collocamento a riposo dell'esonero (quindi, con un'amministrazione che deciderà chi rimane e chi va, in riferimento ai buoni e ai cattivi, agli alti e ai magri). Come altre misure che avete introdotto, anche in questo caso il superiore deciderà che cosa fare del dipendente sottoposto, se tenerlo o mandarlo via. Avete introdotto il comma che risolve tutto! Nel vostro comma avete proprio introdotto la previsione che anche le forze dell'ordine sono sottoposte a questo problema! Con appositi decreti, il Presidente del Consiglio dei ministri, previa delibera del Consiglio dei ministri su proposta del Ministro della funzione pubblica e sentiti i vari Ministri relativamente al comparto sicurezza, si potrà avere ogni anno la facoltà di risolvere il rapporto di lavoro con preavviso di sei mesi nei confronti del personale dipendente che abbia compiuto l'anzianità massima di quaranta anni, indipendentemente dal limite di età.
Capite bene, quindi, che avete introdotto un emendamento stabilendo che non basta solamente la posizione del Ministro, ma che ci deve essere la posizione del Consiglio dei ministri. Un provvedimento di «rottamazione» così interessante per le forze dell'ordine credo che avrà quindi la loro approvazione; soprattutto esse saranno molto contente di quella che era stata una campagna elettorale vicina alle forze di polizia e alle forze dell'ordine.
Ma credo che potremmo stare ancora qua tutto il giorno. Mi avvio alla conclusione perché veramente pensavo oggi di venire in Aula e di parlare di altro. Non credevo di dovermi preoccupare delle misure che sono state adottate nel provvedimento in esame poiché questo non era mai accaduto - questa è la prima volta - non era mai accaduto. Pensavo che, invece, il Governo si preoccupasse della politica della casa delle forze dell'ordine, dei fondi pensione, del problema delle forze dell'ordine, perché in dieci anni si è assistito ad un distacco e ad una differenza fra il personale che ha più di 15 anni di servizio e quello che ne ha meno - per gli effetti di cui alla legge 8 agosto 1995, n. 335 - che quindi percepirà con la pensione il 62 per cento della retribuzione. Pensavo che vi sareste preoccupati della specificità del comparto sicurezza e di creare una differenza. Pensavo che avreste avuto delle risorse adeguate per il rinnovo del contratto di lavoro. Pensavo che avreste parlato di formazione delle forze dell'ordine.

PRESIDENTE. Onorevole Paladini, la invito a concludere.

GIOVANNI PALADINI. Ho finito, signor Presidente. Pensavo che avreste parlato dei fondi aggiuntivi ai Ministeri, della detassazione degli straordinari, del riordino delle carriere, del personale che ancora dopo quattro anni di servizio non può ritornare nella sede e quindi dei trasferimenti. Pensavo che vi sareste preoccupati degli asili nido, dei turnover negli uffici, dei ruoli tecnici, dei sanitari, insomma della possibilità o meno di svolgere il secondo lavoro considerato che ci troviamo alla soglia della povertà. E invece no! Voi che cosa fate? Non voi, ma qualcuno colpisce addirittura le rappresentanze sindacali militari, i Cocer, per intimorirli, limitarli e intimidirli solo perché hanno fatto esercizio del diritto di critica all'interno di tali questioni. Ecco cosa è stato fatto come ripercussione della manifestazione dell'attività sindacale.

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PRESIDENTE. Onorevole Paladini, concluda.

GIOVANNI PALADINI. Concludo, signor Presidente. Ringrazio il Governo. Lo ringrazio veramente perché il Governo, per la prima volta nella storia della polizia e delle forze dell'ordine e dopo ben trent'anni, è riuscito a unire tutti i sindacati per mostrare ciò che ha fatto per la sicurezza e quanto per le forze dell'ordine.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Mura. Ne ha facoltà, per venti minuti, secondo gli accordi intercorsi.

SILVANA MURA. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, colleghi, stiamo procedendo all'esame dell'ennesimo decreto-legge che in questo inizio di legislatura il Governo sottopone alle Camere. Forse è più corretto affermare che fingiamo di esaminare il provvedimento perché al termine della discussione sulle linee generali che è stata, in un certo senso, graziosamente concessa, il Governo porrà la questione di fiducia. In questa Camera sarà già la terza volta. Non c'è male per chi ha una maggioranza di oltre sessanta deputati.
Con la fiducia verrà meno la possibilità di effettuare l'esame vero e proprio del decreto-legge, discutendo e approfondendo articolo per articolo. L'esame, invece, sarebbe stato quanto mai opportuno, visto che ci troviamo di fronte a gran parte di quella che costituirà la manovra finanziaria. Si tratta di un ulteriore colpo che il Governo infligge alle prerogative del Parlamento. Un colpo ancora più violento e doloroso tra i molti già assestati, dal momento che il Governo ha costretto l'Assemblea a dibattere su un testo diverso da quello definitivo, annunciando preventivamente che al termine del dibattito, che a questo punto si è trasformato in un semplice pantomima, verrà posta la fiducia.
Forse sarebbe stato più opportuno, davanti a siffatto modo di procedere, che dall'opposizione giungesse una risposta molto forte, rifiutandoci di prendere parte ad una recita che certo non fa onore al Parlamento. A differenza del Governo, però, si è scelto di far prevalere la responsabilità e di utilizzare il tempo a disposizione per denunciare politicamente i tanti errori commessi dal Governo sia nel provvedimento in esame sia in quelli già approvati.
Ci apprestiamo, dunque, a votare la manovra economica elaborata dal Ministro Tremonti, quella che il Consiglio dei ministri ha approvato in soli nove minuti. Una prima riflessione che sorge spontanea ci induce ad affermare che forse avreste fatto meglio a prendervi un po' più di tempo visto il risultato e considerando soprattutto che lo stesso Governo, che in nove minuti aveva licenziato la manovra, ha poi presentato circa trecento emendamenti in Commissione - abbiamo visto anche come sono andate le correzioni di oggi - per modificare le misure adottate, appunto, nel testo iniziale.
Colleghi, personalmente ritengo sia impossibile concentrarsi esclusivamente sulla manovra economica senza uno sguardo di insieme a tutti i provvedimenti fin qui approvati dal Governo. L'opposizione e in particolare il partito di cui faccio parte, l'Italia dei Valori, ha spesso accusato il Governo di occuparsi esclusivamente degli interessi privati del Premier, Silvio Berlusconi, disinteressandosi invece dei grandi problemi che investono il Paese. Il cosiddetto «decreto salva Retequattro», il «lodo Alfano», il disegno di legge sulle intercettazioni sono tutte inconfutabili prove a carico di tale accusa. La campagna di autunno, annunciata dal Presidente del Consiglio in persona, che il Governo condurrà contro la magistratura (approfitterà dell'occasione anche per reintrodurre la scandalosa immunità parlamentare) è un ulteriore aggravante.
Si tratta di un'opinione che non è propria solo di un partito «manettaro» come l'Italia dei Valori, ma è condivisa anche da altri, come per esempio Famiglia Cristiana, che ha definito Berlusconi «ossessionato dai giudici» e lo ha accusato di trascurare le famiglie, per le quali questo Governo non ha fatto nulla. Della stessa opinione è anche un osservatore attento ePag. 67documentato come Luca Ricolfi, ovvero colui che in campagna elettorale ha sostenuto le tesi che Silvio Berlusconi nella precedente esperienza di Governo realizzò quasi completamente il famoso contratto con gli italiani. Scrive, infatti, Ricolfi su La Stampa: «Eletto per occuparsi di noi, Berlusconi sembra preoccuparsi solo di sé (....). Spero di sbagliarmi, ma a occhio e croce direi che il Governo sta tradendo silenziosamente le speranze di chi l'ha votato». Non tanto per le leggi ad personam, ma «perché più o meno esplicitamente sta facendo marcia indietro sui tre fronti che - appena tre mesi fa - lo avevano visto vincere la sfida con il centrosinistra». Il primo dei tre fronti cui Ricolfi fa riferimento è rappresentato anzitutto dalle tasse che non calano. Berlusconi ha promesso che avrebbe ridotto la pressione fiscale sotto il 40 per cento, invece rimarrà immutata al 43 per cento ovvero dove l'aveva lasciata il Governo Prodi.
Un altro fronte è la sicurezza. Infatti, Ricolfi si limita semplicemente a sottolineare che non si può assicurare più sicurezza se si tagliano fondi alle forze dell'ordine, se non si investe nell'edilizia carceraria, se si bloccano le intercettazioni.
Infine, vi è la lotta agli sprechi dove, anziché fissare obiettivi di risparmio geograficamente differenziati, si è intrapresa quelle inefficace e dannosa dei tagli generalizzati. Tali duri giudizi confermano le accuse di chi, come noi, rimprovera al Governo di occuparsi solo di leggi ad personam. Tuttavia, dopo avere esaminato il decreto-legge fiscale e dopo aver preso visione della manovra economica, debbo ammettere che forse ci siamo sbagliati. Il Governo privilegia i provvedimenti ad personam rispetto a quelli rivolti agli interessi generali non per malafede, ma semplicemente perché non è capace di varare provvedimenti utili al Paese e, quando ci prova, causa disastri.
È per questo che, a fronte dell'allarme lanciato dal Ministro Tremonti circa l'arrivo di una nuova grande depressione, Berlusconi risponde pianificando la soluzione finale nei confronti della magistratura. Tremonti teme un nuovo 1929, Berlusconi paventa un nuovo 1992. L'incapacità di questo Governo è testimoniata sia da dati oggettivi sia da giudizi degli addetti ai lavori, anche quelli più vicini alla destra, come ad esempio Vittorio Feltri, che sull'edizione di giovedì di Libero ha scritto che l'unica promessa elettorale mantenuta da Berlusconi è quella di avere acquistato Ronaldinho.
L'incapacità di questo Governo è ben testimoniata dal pasticcio che si è venuto a creare circa la copertura del decreto-legge fiscale. Il decreto-legge sulla manovra economica nella sua versione iniziale introduceva l'obbligo del rispetto della copertura finanziaria non solo per il saldo netto da finanziare, ma anche per il fabbisogno del settore statale e per l'indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni. Sulla base di questa norma, già entrata in vigore perché inserita in un decreto-legge, al Senato si è scoperto che il decreto-legge fiscale non ha copertura finanziaria per circa un miliardo. Ciò ha costretto il Governo a presentare un emendamento che modifica la norma sulle coperture finanziarie inserite nel testo originario e, fin quando tale proposta emendativa non è stato approvata, il Senato non ha potuto approvare il decreto-legge fiscale: incredibile ma vero.
Purtroppo, le incongruenze della manovra non si limitano a questo, ma ce ne sono molte altre. Tra le più sconcertanti vi sono i tagli previsti alla voce: ordine pubblico e difesa. Si tratta di tagli che renderanno inapplicabili tutte le misure contenute nel decreto-legge sicurezza, trasformandolo in un semplice provvedimento spot. I tagli di spesa ammontano complessivamente a 3,2 miliardi, dei quali un miliardo e 600 milioni sono stati sottratti al Ministero della difesa. Tali tagli si abbattono sulle risorse materiali e strumentali, ma anche sul personale: sugli agenti di polizia e sui carabinieri, ma anche sulle guardie forestali e sulla Guardia di finanza.
Il blocco delle assunzioni e l'assenza di fondi per pagare straordinari significa meno agenti sulle strade e per meno ore.Pag. 68In tre anni si stima una riduzione complessiva di 40 mila agenti delle forze dell'ordine. Tuttavia, tali agenti dovrebbero arrestare i criminali e rendere più sicure le nostre città. È evidente a tutti che non sarà così se solo a Roma ne verranno tagliati 900 e, pertanto, si otterrà l'effetto opposto: città meno sicure. Gli unici agenti che manderete per le strade sono i tanti che già giovedì scorso sono scesi in piazza per protestare contro i drastici tagli che ne paralizzeranno l'azione.
Tali tagli sono ancora più dolorosi, in quanto contraddicono clamorosamente le tante promesse che la destra aveva fatto ai tempi del Governo Prodi. Sul Corriere della Sera di ieri vi era una fotografia impietosa del senatore Gasparri, che nel dicembre 2007 partecipava alla manifestazione degli agenti delle forze dell'ordine contro la legge finanziaria per il 2008 del Governo Prodi. La maggioranza di cui il senatore Gasparri è membro di spicco e il Governo che avrebbe dovuto essere amico non solo non hanno mantenuto le promesse, ma hanno tolto anche quel poco che il tanto bistrattato Governo Prodi aveva concesso.
Di fronte a queste misure, che senso hanno i 3 mila e 500 militari che vi apprestate ad inviare per le strade delle città italiane con funzioni di pubblica sicurezza? Ammesso che vi siano i soldi per pagare la benzina che serve per far muovere i mezzi che li devono trasportare, questa misura appare veramente una presa in giro che non ha altro fine che rispondere alle esigenze di Alleanza Nazionale di mettere il cappello sul settore sicurezza senza lasciarlo al monopolio leghista. Smettetela di prendere in giro gli italiani. A proposito della Lega e del Ministro Maroni, è evidente che sarà proprio lui la principale vittima dei tagli al settore sicurezza e delle devastanti conseguenze che produrranno. A tale riguardo, nei giorni scorsi non ricordo di aver sentito o letto proteste vibranti da parte dei colleghi della Lega, invece ho letto note ufficiali del collega Cota e del senatore Bricolo che, a nome dei deputati e dei senatori della Lega Nord, si congratulavano trionfalmente con la sedicente nazionale di calcio padana per la vittoria di non so quale trofeo di calcio, più vicino al bar dello sport che non certo ai mondiali di calcio. Forse sarebbe stato più utile che i colleghi leghisti si fossero impegnati a difendere la dignità del Ministro Maroni messa a dura prova dai tagli imposti da Tremonti, considerato che tra qualche giorno i cittadini del nord, a cui hanno promesso più sicurezza, andranno proprio da loro a chiedere conto della mancata osservanza di tale promessa.
Altro settore dove i tagli del Governo appaiono tanto impietosi quanto devastanti nelle loro conseguenze è quello della sanità. Da qui al 2011 il Governo prevede di tagliare 3 miliardi e 481 milioni di fondi destinati dal Governo Prodi al patto per la salute. Si tratta di tagli che si ripercuoteranno inevitabilmente sui servizi offerti, sui posti letto a disposizione dei malati, tagli al personale, tagli che avranno conseguenze comportando l'estensione dell'utilizzo dei ticket anche a categorie ora esenti. Si tratta di misure che non figuravano nel testo originario del decreto ma che vi sono state introdotte con alcuni emendamenti. È una scelta che, non a caso, ha sollevato vibranti proteste, in particolare da parte del governatore della regione Lombardia Roberto Formigoni che ha accusato il Ministro Tremonti di fare male al suo stesso Governo.
Sarebbe ancora lunga la lista dei danni che produrrà questa manovra ma non si può evitare di fare un veloce cenno al settore dell'istruzione e dell'università dove si registrano tagli impietosi; tuttavia, mi astengo perché sono consapevole del fatto che la terza fiducia, che il Governo ci impone, trasforma tutto questo in un semplice abbaiare alla luna che non produrrà nessun effetto. Concludo dunque il mio intervento con l'amarezza di aver visto ancora una volta espropriato il Parlamento delle proprie funzioni, ma consapevole che i nodi prima o poi vengono al pettine. Nel vostro caso ciò significa che quando i tagli indiscriminati inizieranno a produrre i loro effetti ve la vedrete non con noi ma con una opposizione molto piùPag. 69feroce e agguerrita rappresentata dai cittadini che ve ne verranno a chiedere conto (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Zazzera. Ne ha facoltà.

PIERFELICE ZAZZERA. Signor Presidente, ci avviamo alla conclusione e intervengo essenzialmente per dovere e rispetto nei confronti del Parlamento, perché stiamo discutendo forse del provvedimento più importante di una nazione, e soprattutto perché ritengo che chi siede in questa sede è dipendente dei cittadini. Quanto sta accadendo in quest'Aula ed è avvenuto nella giornata di ieri (ma prosegue anche oggi), lo ritengo di una gravità estrema. Un Governo con i numeri in Parlamento che da settimane pone la fiducia sui provvedimenti ed esautora il Parlamento è il segno evidente che questa è una maggioranza divisa e con tanti malumori sommersi. Le dichiarazioni di Bossi di oggi sono la spia evidente di un malessere che cova sotto la cenere.
A mio giudizio, è un film già visto. È il film del 2001. È chiaro che persino la Lega e il suo elettorato non sopportano più che il Presidente del Consiglio si faccia prima gli affari propri e poi quelli del Paese. La spia di un malessere è che oggi persino i sondaggi, che certamente voi conoscete bene, confermano una perdita secca per il Premier di dieci punti in percentuale. Tuttavia il Presidente del Consiglio continua la sua personale battaglia contro i giudici e contro la magistratura per salvarsi dai processi e si disinteressa dei problemi del Paese. È buio nel nostro Paese. È notte fonda per la nostra democrazia. Se dovessi definire con un termine il vostro Governo non riuscirei a trovare niente di diverso che il termine: «dittatura». Mi riferisco alle prerogative del Parlamento espropriate, al dibattito cancellato, alle Commissioni umiliate in un lavoro inutile perché spazzato via dalla fiducia. Avete posto la fiducia persino sul provvedimento più importante che riguarda la manovra finanziaria, da cui dipendono i destini futuri di tanti cittadini, lavoratori ed imprese.
Il Governo pone ancora la questione di fiducia e lo fa dopo essersi occupato di provvedimenti ad personam; avete persino modificato e forzato i regolamenti parlamentari. Oggi, il Presidente del Consiglio, invece di occuparsi del malessere delle forze dell'ordine o degli insegnanti, continua a parlare d'altro, continua a parlare di estensione dell'immunità parlamentare. Ma cosa «gliene frega» alla gente dell'immunità parlamentare, quando molte famiglie non arrivano più neppure alla terza settimana del mese, quando l'economia è ferma e i prezzi salgono? Tutto questo è davvero inaccettabile. Si vuole umiliare il Parlamento e persino al vostro interno i malumori iniziano a diventare dissenso manifesto. Anzi, compare il ricatto mafioso - ma il Presidente, di mafia, se ne intende - di chi dice alla Lega: federalismo e giustizia devono viaggiare insieme. In parole molto più semplici: o mi assicurate il sostegno alla mia battaglia contro i giudici o il federalismo, ve lo scordate. Un comportamento degno di un pizzo o di un'estorsione vera e propria.
Oggi stiamo discutendo del decreto-legge n. 112 del 2008, collegato alla manovra finanziaria: una discussione sbagliata nel metodo e nel merito. Avremmo potuto discutere in quest'Aula e nelle Commissioni con dovizia di approfondimento e con un confronto serrato. Insomma, avremmo potuto dare sostanza a quella parola «dialogo» di cui questa maggioranza si riempie la bocca in ogni dove e, poi, invece, pugnala a freddo e compie blitz. Con la giornata odierna, seppur mortificata sul piano dell'efficienza democratica, avremmo dovuto discutere del futuro del Paese, dei problemi legati alla crisi internazionale, all'economia che non parte, ai salari che non aumentano, ai prezzi in salita, all'occupazione che non c'è e ai conti in rosso. Avremmo dovuto discutere insieme e confrontarci e, invece, abbiamo assistito ad una relazione fredda, senza cuore e senz'anima del ragioniere Tremonti. Il provvedimento firmato e voluto dal ragioniere Tremonti che non faPag. 70ripartire l'economia, anzi la deprime, si caratterizza per i tagli indiscriminati in settori come sicurezza e Stato sociale. Persino alla cooperazione internazionale avete tagliato i fondi, dopo aver annunciato, omnia mundi, la lotta alla fame nel mondo; ma, evidentemente, senza soldi. È un provvedimento che non dà fiducia al Paese, che non riduce la pressione fiscale come promesso.
Cosa dovranno dire i colleghi della Lega Nord ai loro elettori per giustificare provvedimenti che vanno contro quegli interessi, che aiutano «Roma ladrona», che spendono risorse per una banca del sud inutile (perché è già esistente ed è degna del miglior statalismo e assistenzialismo), che chiudono le scuole e licenziano insegnanti? È un provvedimento che interviene pesantemente sul mondo del lavoro in modo peggiorativo, apportando una deregolazione a vantaggio dei contratti precari. Il Governo ha rinunciato ad un confronto sui contenuti e sul merito della manovra finanziaria, in cui avremmo potuto anche trovare convergenze e apportare un contributo in termini migliorativi; invece, no, non è stato consentito.
Penso a provvedimenti che avremmo potuto condividere: la banda larga, il controllo dei prezzi, la sterilizzazione dell'IVA, il piano casa (proseguo oltre, perché tali temi sono già stati affrontati da altri colleghi). Avete perso, ancora una volta, l'occasione per un dialogo senza la spada di Damocle del ricatto, di quel pizzo da pagare, dell'impunità. Per la prima volta, avremmo potuto parlare di sviluppo: questa è una manovra che si caratterizza per tagli agli enti territoriali, tagli alle stabilizzazioni dei precari, tagli alla scuola, tagli alla sanità, tagli alle forze dell'ordine e tagli all'università. Sono, pertanto, parole al vento quelle di Tremonti, quando afferma che il gettito della Robin Hood tax andrà al settore sociale, che è il settore oggi più massacrato.
Nel merito del provvedimento si capisce in maniera chiara come, attraverso un provvedimento d'urgenza e imponendo la fiducia, state mettendo una pietra tombale sul settore di cui mi occuperò: scuola pubblica e università. Togliere le risorse all'istruzione e all'università, è come staccare la spina ad un paziente in rianimazione. La possibilità di trasformare le università in fondazioni, in linea di principio potrebbe essere condivisa, nel momento in cui però l'università, nel bilancio del Governo, fosse ai primi posti in termini di risorse. In realtà, all'università si tolgono le risorse e si apre la svendita ai fondi privati.
Le conseguenze saranno un incremento delle tasse per gli studenti e le famiglie, ricercatori sempre più precari, riduzione della scolarizzazione. Il ricorso ai capitali privati, peraltro, crea un pericoloso corto circuito e una zona grigia, dove la Corte dei conti dovrebbe controllare bilanci di un ente a capitali privati.
Per concludere, manifesto la mia preoccupazione per le università del Mezzogiorno, soprattutto in quelle aree a grande presenza criminale dove i capitali sono per lo più illeciti: come si controlla e si previene l'ingresso di questi capitali nelle università? Nel decreto-legge n. 112 del 2008, all'articolo 64, con una rubrica che fa riferimento alla riorganizzazione della scuola, si prevedono tagli per 8 miliardi di euro in tre anni. Anche in questo caso state mettendo la parola «fine» alla scuola pubblica, senza che vi sia stato un confronto serio e approfondito. In realtà, il ragioniere Tremonti sta attuando un licenziamento di massa di 140 mila persone, nonché di insegnanti di sostegno ai disabili: una vergogna per un Paese civile, un licenziamento di persone in carne ed ossa, persone alle quali, in cambio, non si offre alcuna prospettiva. Per la gran parte, si tratta di precari ai quali viene detto: «ora arrangiatevi», dopo averli sfruttati e spremuti come limoni per tappare le falle organizzative di una scuola lontana dalla modernità.
Certo, la scuola pubblica va riorganizzata, soprattutto va resa efficace ed efficiente, competitiva, dove sanzioni e controlli funzionino davvero. Va assicurato il ricambio generazionale: lo dicono la stessa Banca d'Italia e il MIUR in uno studio in cui dipingono un quadro davvero negativoPag. 71circa le condizioni degli insegnanti. Ma si può rivitalizzare la scuola, il sistema scuola, sottraendo risorse, licenziando, tagliando?
Non mi appassiona neppure la discussione ideologica tra scuola pubblica e scuola paritaria. Entrambe sono complementari ad un sistema scuola che sia integrato ed al passo con i tempi. Non si può pensare di risolvere i problemi della scuola passando il «cancelletto» sui conti pubblici. Sono processi che vanno governati, come mi sembra stesse bene facendo il Ministro Fioroni con le graduatorie ad esaurimento, attraverso un progressivo ingresso di docenti nella scuola.
L'obiettivo è una scuola pubblica davvero autonoma, autonoma non solo sul piano finanziario, ma nel pensare e nell'agire. Credo ancora nella scuola pubblica efficiente, competitiva, che sappia sanzionare i fannulloni e i lavativi, una scuola pubblica innovativa, tecnologicamente avanzata, che valorizzi il merito e le professionalità.

PRESIDENTE. Onorevole Zazzera, per favore, concluda.

PIERFELICE ZAZZERA. Mi avvio alla conclusione, signor Presidente.
Pur di rispettare i valori contabili, insomma, state togliendo gli insegnanti di sostegno ai disabili. Volete costruire una società economicista e basata sulla quadratura dei bilanci, che risponde solo al Fondo monetario internazionale. Noi crediamo, invece, che vi sia ancora al centro di tutto la persona, l'individuo, prima del mercato, prima dell'economia, prima dei conti di ragioneria. Queste sono le parole, che mi trovano d'accordo, del Papa Benedetto XVI (Applausi dei deputati dei gruppi Italia dei Valori e Partito Democratico).

PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Baldelli, iscritto a parlare: s'intende che vi abbia rinunziato.
Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 1386-A)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il presidente della VI Commissione, onorevole Gianfranco Conte.

GIANFRANCO CONTE, Presidente della VI Commissione. Signor Presidente, lascerò subito la parola al sottosegretario per la replica del Governo, tuttavia mi permetta intanto di ringraziare i tanti colleghi intervenuti in questo dibattito interessante, per il calore e per le loro argomentazioni. Naturalmente non posso condividere molte delle espressioni che sono state formulate durante questo dibattito, volevo solo approfittare dell'occasione - anche in considerazione, ormai, dell'ora tarda - per fare una precisazione relativamente al Comitato dei diciotto che si è tenuto rispetto all'ultima delle modifiche presentate dal Governo. Naturalmente il Comitato ha approfondito la questione, vi è stato uno scambio di opinioni ed è prevalsa l'idea poi complessivamente rappresentata qui in Aula, ossia che le giustificazioni e le argomentazioni presentate dal Governo erano sufficienti e, quindi, si è dato il via libera anche a questa ulteriore proposta emendativa.
Tutto ciò mantenendo un profilo di terzietà che dovrebbe essere garantito dai presidenti di Commissione.

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo, sottosegretario Vegas.

GIUSEPPE VEGAS, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Signor Presidente, innanzitutto mi consenta di ringraziare i relatori delle Commissioni e i presidenti delle medesime, nonché tutti i numerosi intervenuti, che si sono sottoposti ad un dibattito molto serrato anche in ore tarde con, credo, un sacrificio personale non indifferente. Ovviamente approfitto dell'occasione anche per ringraziare gli uffici della Camera, che hanno fatto uno sforzo eccezionale in un periodo molto ristretto.Pag. 72
Signor Presidente, in molti interventi in quest'Aula, ma anche nell'opinione pubblica, si è lamentato il fatto che mentre ci si occuperebbe di provvedimenti che riguardano altri settori, il problema importante del Paese, ossia il livello di vita dei nostri cittadini, sarebbe trascurato dal Governo. Il decreto-legge che stiamo convertendo oggi è esattamente la dimostrazione che non è così. Infatti, in pochi giorni (meno di due mesi) dall'insediamento del Governo, la Camera dei deputati sta approvando un provvedimento che non esito a definire epocale per le sue caratteristiche.
In primo luogo, esso opera una manovra finanziaria triennale, quindi cerca di guardare al futuro (cosa che non è mai stata fatta in questo Paese). Esso non contiene soltanto una manovra finanziaria, ma una serie di misure che tendono a rivoluzionare il modo di essere dei nostri cittadini, dalla pubblica amministrazione, ai rapporti economici, alle liberalizzazioni. In sostanza, quello che si propone il provvedimento non è solo un effetto finanziario, ma - se mi si consente di dirlo - anche un effetto di carattere culturale. Il provvedimento nel nostro intendimento è, in sostanza, l'abbandono della logica del 1968 dopo quarant'anni, è la vera e propria fine del 1968 come metodo di vita politica.
Si dice che il provvedimento è prematuro, che non si seguono le procedure, che sarebbe opportuno attendere la legge finanziaria per regolamentare i flussi della finanza pubblica. Signor Presidente, innanzitutto, quanto al fatto che il provvedimento è prematuro, se c'è una necessità credo sia opportuno intervenire quando questa necessità si manifesta. Ritengo che si debba dare atto al Governo di averlo fatto tempestivamente e di aver adeguato i tempi della politica ai tempi dell'economia e ai tempi della società, e credo si tratti di una valutazione positiva, non negativa.
Ricordate, colleghi, quello che accadde nel 1992, quando il Governo Amato aveva intenzione di attuare una manovra: lo annunciò prima dell'estate, si aspettò l'estate, durante l'estate si realizzò una svalutazione della lira e la dovette fare, molto più intensa, nell'autunno. Credo che pensare prima sia un vantaggio rispetto a ciò che può accadere e significhi cercare di mettere in sicurezza il nostro sistema rispetto agli avvenimenti che possono accadere, costruire la casa nella quale ripararsi nel caso della pioggia.
Si è sostenuto che alcune norme, segnatamente quella di modifica della legge di contabilità, in qualche modo romperebbero le regole. Non credo vi sia una questione di rottura di regole, perché si tratta di una norma legislativa che è sottoposta al Parlamento che non compie nessun atto eversivo, anzi, cerca di stringere il più possibile la finanza pubblica per blindarla - non vietare gli emendamenti, ma renderli più difficili, e soprattutto evitare che vi possano essere emendamenti di spesa ed emendamenti di spesa facile - per, anche in questo caso, mostrare all'Italia, all'Europa e al mondo che le intenzioni del Governo, nella manovra di contenimento della spesa, sono intenzioni serie. Non si tratta di intenzioni temporanee, ma si vogliono mantenere per il futuro, e sono intenzioni corroborate anche dalla saldezza delle regole che presiedono ad esse.
A questo proposito, sicuramente noi siamo rispettosi delle regole, ma non pensiamo, come fa molta sinistra, che ci si possa salvare l'anima e andare in paradiso esclusivamente seguendo delle procedure salvifiche. Non sono le procedure che fanno la qualità degli atti, ma è la qualità degli atti che deve rispondere ai bisogni delle popolazioni. Quindi, guardiamo alla sostanza, insieme alle procedure.
Sono state evidenziate alcune questioni, su due delle quali è opportuno soffermarsi. Innanzitutto si è parlato di oscurità dei dati relativi al fabbisogno. Si è detto, in sostanza, che i dati del fabbisogno nella seconda parte dell'anno sarebbero stati, in qualche modo, peggiorati artatamente. Mi si consenta di affermare che non è così, perché esistono alcuni fenomeni relativi al fabbisogno, che mi permetto di spiegare in estrema sintesi. Innanzitutto i primi sei mesi del 2008 hanno beneficiato di incassi finali e contributivi che nel 2007 sono stati registrati nella seconda parte dell'anno;Pag. 73inoltre, molti pagamenti contenuti nella manovra finanziaria 2008 gravano, a causa dei loro meccanismi, sul secondo semestre del 2008; inoltre, la seconda parte del 2008 è gravata da maggiori oneri per rimborsi fiscali e per interessi sul debito, e non vi è dubbio che gli interessi sul debito siano in crescita in questo periodo. Dunque, il fabbisogno va peggiorando per questa serie di motivi, non escluso anche il fatto che il sistema delle entrate fiscali, dato il livello di raffreddamento dell'attività economica, non è in crescita come lo era stato l'anno scorso, anzi mostra qualche segno di declino. Quanto alla questione circa un presunto tesoretto nascosto, cari colleghi, se il tesoretto ci fosse stato credo che il precedente Governo lo avrebbe ben utilizzato prima delle elezioni, magari come viatico per le stesse. La realtà è che il tesoretto, purtroppo, non c'è.
Un'altra questione sollevata molto spesso in quest'Aula riguarda le spese per la sicurezza. Credo che ci sia stato qualche equivoco o che, perlomeno, qualche conto sia stato artatamente gonfiato. Quando il leader dell'opposizione ha affermato che dalle spese per il comparto sicurezza sarebbero stati sottratti alcuni miliardi ha compiuto un'operazione, diciamo così, disinvolta dal punto di vista contabile, perché ha sommato i cosiddetti presunti tagli relativi all'intero triennio, cosa che normalmente non si fa, perché si guarda alla spesa di più immediata realizzazione, ossia quella del prossimo anno.
Dunque, nel testo originario per il prossimo anno, compariva - è vero - una minore indicazione di spesa nell'ordine di 440 milioni di euro. Questo, però, al netto del fatto che i meccanismi che presiedono alla regolamentazione della spesa, ovvero quella elasticità che abbiamo voluto indispensabilmente conferire al bilancio dello Stato, consentono di destinare alla spesa «buona» la stessa spesa di prima e di ridurre la spesa «cattiva». Quindi, non esiste una sorta di taglio lineare, ma un taglio ragionato, motivo per cui abbiamo dovuto introdurre la norma dell'articolo 60, che consente una certa elasticità nell'attuazione del bilancio.
Successivamente, le modifiche che sono state introdotte hanno ampiamente superato queste presunte riduzioni, perché sono stati introdotti 100 milioni per il mantenimento del turn over, altri 100 milioni per il regime contrattuale, ulteriori 100 milioni per il meccanismo della sicurezza delle città, e poi si è consentito di utilizzare le somme rivenienti dai sequestri per la prima volta direttamente per interventi di spesa e di funzionamento del comparto sicurezza. Tali somme, quantificabili nell'ordine di 1,6 miliardi di euro, possono essere utilizzate, ovviamente non con questa massa, che riguarda lo stock, ma con una massa comparabile ai flussi. Quindi, almeno un paio di centinaio di milioni possono essere utilizzati per questo comparto.
Se ne desume che da una sottrazione presunta di 440 milioni - ripeto, presunta, perché riguardava il Ministero, e non il comparto sicurezza nello specifico - avremo invece un'implementazione di circa 500 milioni. Quindi, alla fine dell'opera di questo decreto-legge (mi permetto di far notare che le leggi si guardano alla fine, più che all'inizio), abbiamo un aumento della spesa per il 2009 per il comparto sicurezza.
Ovviamente, però, vi è un problema non banale, quello del potere d'acquisto delle famiglie. Si è affermato che il Governo ha elaborato un provvedimento di manovra, che però non guarda allo sviluppo e alle famiglie. Mi sembra che non sia stato contestato da quest'Aula che la manovra resti. Con riferimento allo sviluppo, forse si è trascurato che il decreto-legge e l'intero disegno di legge che lo accompagna (che spero la Camera potrà iniziare ad esaminare in tempi rapidi, già prima delle ferie estive) contengono una serie di norme di sviluppo e di rivoluzione della pubblica amministrazione e del processo civile, di modernizzazione e di liberalizzazione, che consente un reale sviluppo e un passo avanti per il Paese.
Sicuramente, però, il potere d'acquisto deriva da un insieme di condizioni, che potremmo dividere sostanzialmente in due grossi gruppi: uno concerne gli effetti dell'inflazione e l'altro gli effetti dellaPag. 74tassazione. In ordine all'inflazione, come possiamo cercare di depurare gli effetti inflattivi (almeno quelli interni, perché quelli esterni sono molto più difficili da depurare)? Possiamo farlo in modo semplice, cercando di liberalizzare il Paese e creando un mercato più ampio, cercando di ridurre il più possibile i costi amministrativi (liberando dalle spese che i cittadini possono rivolgere ai consumi o al risparmio anziché agli oneri) e, ovviamente, diminuendo la spesa pubblica, perché l'effetto spiazzamento della spesa pubblica influisce notevolmente sul regime generale dei prezzi.
Ciò accade sotto il profilo dell'inflazione, ma ovviamente vi è anche un profilo di tassazione: se diminuiamo il livello di tassazione (che resta, ribadisco, un obiettivo primario del Governo), avremo un miglioramento del potere d'acquisto delle famiglie, obiettivo che intendiamo perseguire. Occorre, però, un piccolo passaggio preliminare, ossia la diminuzione della spesa pubblica, perché, purtroppo, ciò che è stato compiuto con scelte che non qualifico - e che però hanno portato ad un incremento del livello di pressione tributaria dell'ordine di almeno due punti percentuali nell'ultimo biennio - ha reso sostanzialmente impossibile diminuire adesso la pressione fiscale. Avremmo voluto farlo, ma per poter ridurre realmente la pressione fiscale è indispensabile ridurre prima la spesa pubblica, perché le scelte compiute hanno portato a un tale aumento di pressione fiscale per finanziare una spesa pubblica, a volte ingiustificata, da non consentirlo.
Ritengo sia finalmente giunto il momento di passare dall'applicazione dello sciagurato principio del «tassa e spendi» ad un principio secondo il quale non si può spendere più di quanto non si abbia.
Signor Presidente, concludo semplicemente manifestando - se mi è consentito - un senso di delusione, perché nel dibattito svoltosi in quest'Aula abbiamo sentito condividere gli obiettivi generali del Governo, che d'altronde ricalcavano quelli del Governo precedente (andare verso un risanamento della finanza pubblica e un pareggio del bilancio entro il 2011).
Tutti gli intervenuti hanno condiviso tali obiettivi in linea generale, salvo il fatto che ciascuno si sia lamentato perché, rispetto a tali obiettivi, questo o quel settore, questo o quel comparto, questo o quel bene o vestito o interesse venissero penalizzati (per l'imposizione di tagli o diminuzioni di spesa o trasferimenti) a favore di questo o quel soggetto e di questo o quel comparto. Ciò non è possibile, perché, se si condivide un interesse generale, non si può pensare di «scroccare» - ossia di fare un free ride, per usare un linguaggio della scuola americana, che in italiano può tradursi appunto con «scroccare» - la strada per il risanamento. Il risanamento è un bene di tutti, al quale tutti devono partecipare. Nessun risanamento è gratis per ciascuno.

(Posizione della questione di fiducia - Emendamento Dis. 1.1 del Governo - A.C. 1386-A)

ELIO VITO, Ministro per i rapporti con il Parlamento. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ELIO VITO, Ministro per i rapporti con il Parlamento. Signor Presidente, a nome del Governo, pongo la questione di fiducia sull'approvazione, senza subemendamenti e senza articoli aggiuntivi, dell'emendamento Dis. 1.1. (Vedi l'allegato A - A.C. 1386), come integrato dalle correzioni comunicate dal Governo e consentite dalla Presidenza, interamente sostitutivo dell'articolo unico del disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 112 del 2008 (Vedi l'allegato A - A.C. 1386 - Per le modificazioni apportate dalle Commissioni e per le proposte emendative riferite agli articoli del decreto-legge nel testo recante le modificazioni apportate dalle Commissioni vedi l'allegato A - A.C. 1386).
Signor Presidente, anch'io, se permette, desidero unirmi ai ringraziamenti chePag. 75sono stati rivolti ai colleghi intervenuti nella discussione sulle linee generali e ai colleghi delle Commissioni bilancio e finanze, per l'esame approfondito del testo del Governo. Desidero, inoltre, unirmi anche ai ringraziamenti per il lavoro svolto dai funzionari della Camera.

PRESIDENTE. Anch'io voglio ringraziare tutto il personale e tutti gli uffici. Sono ringraziamenti ripetuti, ma meritatissimi, perché hanno fatto veramente miracoli, lavorando in condizioni talvolta molto difficili.
A seguito della decisione del Governo di porre la questione di fiducia, secondo quanto stabilito dalla Conferenza dei presidenti di gruppo di ieri, la relativa votazione per appello nominale avrà luogo lunedì 21 luglio 2008, alle ore 17.
Le dichiarazioni di voto dei rappresentanti dei gruppi e delle componenti politiche del gruppo Misto, ai sensi dell'articolo 116, comma 3, del Regolamento, avranno inizio alle ore 16.
Il termine per la presentazione degli ordini del giorno, tenuto conto anche delle richieste dei gruppi di opposizione, è fissato alle ore 11 di lunedì.
Dopo la votazione della fiducia verrà nuovamente convocata la Conferenza dei presidenti di gruppo per definire la successiva organizzazione dei lavori.
Il seguito dell'esame è rinviato, pertanto, alla seduta di lunedì 21 luglio 2008 e riprenderà direttamente con le dichiarazioni di voto sulla fiducia.

Ordine del giorno della prossima seduta.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

Lunedì 21 luglio 2008, alle 16.

Seguito della discussione del disegno di legge:
Conversione in legge del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, recante disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria (1386-A).
Relatori: Zorzato, per la V Commissione e Jannone, per la VI Commissione.

La seduta termina alle 16.

TESTO INTEGRALE DELL'INTERVENTO DEL DEPUTATO FABIO EVANGELISTI IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE DI CONVERSIONE N. 1386-A

FABIO EVANGELISTI. L'ultimo Bollettino di Banca d'Italia chiarisce come l'economia del nostro Paese sia ferma. Sono due anni che la crescita è quasi nulla; i nostri conti con l'estero peggiorano; il costo della vita a giugno ha raggiunto quota 3,8 per cento toccando così il massimo dal 1996.
Il Governatore Draghi nel suo intervento, il 9 luglio scorso, all'assemblea annuale dell'Associazione Bancaria Italiana ha avuto modo di affermare che «nel nostro paese l'accelerazione dei prezzi osservata dall'estate del 2007 ha portato fino a oggi a una minore crescita del reddito disponibile di oltre 1 punto percentuale, che sale a 3 se si tiene anche conto delle perdite di valore reale della ricchezza finanziaria; potrà ridurre i consumi di circa 2 punti entro il prossimo anno. Le retribuzioni unitarie medie dei lavoratori dipendenti, al netto di imposte e contributi e in termini reali, non sono oggi molto al di sopra del livello di quindici anni fa. Nel frattempo il costo del lavoro per unità di prodotto nell'economia è aumentato di oltre il 30 per cento, contro il 20 per cento circa in Francia, pressoché nulla in Germania. Questo divario fra la capacità di spesa dei lavoratori e la capacità competitiva delle imprese riflette la stentata crescita della produttività, la mancata discesa della elevata imposizione fiscale, l'effetto dell'inflazione; è alla base della stagnazione della nostra economia».Pag. 76
Il nostro - come è noto - è un Paese più vulnerabile degli altri paesi europei rispetto ai venti di crisi internazionale che arrivano da Oltre Atlantico e rispetto ai forti rincari dell'energia e degli alimentari. Nel caso il prezzo del petrolio dovesse salire, la Banca d'Italia prevede ulteriori peggioramenti.
I consumi rimarranno sostanzialmente fermi a causa della riduzione del valore reale delle retribuzioni e delle pensioni. Si registrano cali delle spese per i beni durevoli con un deciso calo delle immatricolazioni di autovetture (-10,4 per cento), ma anche dei beni alimentari di prima necessità come il pane e la pasta.
Sono ridimensionati i piani di accumulazione di capitale da parte delle imprese. Si è registrata una restrizione dei prestiti delle banche alle imprese, in particolare nel Mezzogiorno. La debolezza della domanda e l'apprezzamento dell'euro comprimono i margini di profitto.
La competitività delle nostre merci risente negativamente di una crescita della produttività che rimane inferiore a quella delle altre principali economie dell'area euro.
Il quadro internazionale peggiora. Gli organismi finanziari globali si sono finora dimostrati inadeguati nel rispondere alla crisi. Tarda un necessario coordinamento tra BCE e Federal Reserve sulla politica monetaria; si trovano in difficoltà molte istituzioni di vigilanza; non decollano ulteriori misure per la trasparenza e la correttezza di diversi sistemi bancari, e non si sa quando avrà fine l'emersione delle perdite conseguenti alla vicenda dei mutui.
La linea con cui rispondere è solo quella - certamente necessaria - di «mettere in sicurezza» il bilancio dello Stato? È possibile che si trascuri la stagnazione degli investimenti? Che non si consideri il livello della capacità di spesa delle famiglie e si resista all'adozione di un efficace provvedimento, quale sarebbe quello della detassazione di salari e stipendi? Che si rinvii al dopo federalismo fiscale la riduzione della pressione tributaria?
Il DPEF e la manovra collegata intervengono in pratica solo sul risanamento del debito, da realizzarsi attraverso un intervento massiccio di tagli che metteranno in ginocchio settori strategici per lo sviluppo a partire dalle infrastrutture e dal Mezzogiorno. Non si procede alle necessarie liberalizzazioni a partire da quelle dei servizi pubblici locali. Si attuano modifiche al Protocollo sul welfare del 23 luglio scorso senza discuterne con le parti sociali.
Per questo non esitiamo a qualificare questa manovra come una manovra sbagliata. Essa avrà effetti depressivi. Lo hanno affermato fior di economisti ma anche lo stesso Servizio bilancio della Camera. I tagli alle spese pubbliche, alla sanità, alla scuola, all'università, agli enti locali sui ripercuoteranno in minor reddito e servizi per le famiglie ed in minori investimenti e lavori per le imprese.
È evidente che i tagli alla spesa pubblica descritti da Tremonti finiranno per colpire indiscriminatamente, a livello orizzontale, tutte le amministrazioni pubbliche, anziché essere finalizzati, in maniera mirata a recuperare risorse in specifici settori, rischiando così di far pagare tutti gli enti pubblici, anche quelli virtuosi, che saranno costretti a tagliare i servizi sociali con il pericolo, ad esempio, che molti comuni perderanno scuole, dovranno chiudere asili nido e mense, oppure si vedranno costretti ad erogare meno assistenza agli anziani.
Sul versante dei conti pubblici gli effetti di questo feedback, di questa retroazione, si tradurranno in una minore crescita del PIL ed in minori entrate per il bilancio pubblico rispetto alla crescita tendenziale a legislazione vigente, che non viene conteggiata. Ma su questo il Governo fa finta di niente.
Tremonti sostiene che le tasse diminuiranno con il federalismo fiscale. È un'assurdità. La pressione fiscale è il risultante della somma delle imposte erariali e di quelle locali. Se nel DPEF scrivo che la pressione fiscale aumenterà, non ci sono santi ne Madonne: le tasse aumenteranno magari con un incremento maggiore diPag. 77alcune ed un decremento delle altre, ma la loro somma aumenterà. Non si può fare sempre il gioco delle tre carte.
In questa congiuntura avremmo bisogno, viceversa, di un intervento anticiclico: adesso che le cose vanno peggio bisognerebbe lasciare qualche euro nelle tasche delle famiglie e nelle casse delle imprese.
Quando la situazione migliorerà, occorrerà, semmai, migliorare i saldi di finanza pubblica. Non il contrario: facendo il contrario si peggioreranno il ciclo e i conti pubblici. Insomma, Tremonti propugnava politiche espansive quando sarebbe servito più rigore, e adesso sponsorizza politiche «rigorose» quando servirebbe una politica espansiva.
Con una crescita così bassa come potranno realizzarsi gli obiettivi di finanza pubblica, primo fra tutti il pareggio di bilancio fra tre anni?
Si dovrebbe, viceversa, agire con una riduzione fiscale significativa a favore dei redditi da lavoro per rilanciare i consumi. Ma questo non avviene. Lo stesso taglio ulteriore dell'ICI favorisce i ceti con reddito medio-alto con poche o nulle conseguenze sulla domanda interna.
Ma quest'impostazione non è casuale bensì il risultato di un approccio perdente e rinunciatario rispetto alla crisi internazionale.
Per ridurre la spesa pubblica si procede ancora una volta in maniera inefficace con «tagli orizzontali», lo stesso metodo che con il precedente Governo Berlusconi ha prodotto un aumento di più del 2 per cento del PIL della spesa corrente.
Addirittura, si legge nella relazione tecnica del decreto-legge n. 112, che le percentuali di taglio sono state fissate «per differenza» (ad esempio, 222 milioni in meno per l'istruzione scolastica nel 2009), ossia per fare quadrare i conti. Roba da ragionieri, quando i risparmi veri nelle pubbliche amministrazioni si ottengono invece con un'opera pluriennale e mirata di molteplici micro-interventi.
Nel taglio delle spese pubbliche si dovrebbe essere più selettivi colpendo non la spesa sociale ma soprattutto le spese amministrative. In ogni caso è deleterio l'accanimento contro le spese per investimenti delle amministrazioni centrali e degli enti territoriali.
Le spese in conto capitale diminuiscono da 67 miliardi a 63,9 miliardi.
Un recente studio della Banca d'Italia esamina l'andamento dei conti pubblici italiani nel periodo successivo al 1997, l'anno in cui si è conclusa l'azione di riequilibrio volta a consentire l'ingresso dell'Italia nell'Unione monetaria.
Dall'analisi emerge un forte peggioramento del saldo strutturale fino al 2003, derivante per oltre la metà da interventi di riduzione del prelievo, che hanno sostanzialmente annullato l'aumento della pressione fiscale realizzato nella precedente fase di aggiustamento.
Sul peggioramento ha inoltre influito il significativo aumento delle spese in conto capitale e di quelle sanitarie, che erano state fortemente compresse in precedenza. Nel biennio successivo si arresta la tendenza negativa e nel 2006-2007 vi è un significativo miglioramento dei conti.
Se si considera l'intero periodo 1998-2007, il peggioramento dei conti pubblici è essenzialmente attribuibile alla difficoltà di controllare la dinamica della spesa corrente. Questo appare essere il principale problema da affrontare nei prossimi anni per assicurare un assetto sostenibile delle finanze pubbliche.
Aumentano le tasse e diminuiranno i servizi, ossia come far fare il lavoro sporco agli altri. Il Ministro Tremonti afferma che con questa manovra non aumenterà le tasse. In parte mente ed in parte ha ragione. Mente perché le tasse le aumenta, come registrato dalle cifre del DPEF, ed ha ragione in quanto fa fare agli altri il lavoro sporco: agli enti territoriali, alle banche, alle compagnie petrolifere e del gas.
Nel DPEF è scritto che la pressione fiscale programmata (cioè voluta da questo Governo come obiettivo politico) sarà nel 2009 pari al 43 per cento del Pii, nel 2010 al 43,2 per cento: crescerà dunque dello 0,2 per cento cioè di 3,5 miliardi di euro.
Nel 2011 sarà pari al 43,1 per cento, nel 2012 a143,1 per cento. Nel 2008 la pressione fiscale è prevista pari al 43 perPag. 78cento. Dunque il Governo non solo non riduce la pressione fiscale, ma programma di aumentarla.
A questi aumenti tributari si dovranno sommare gli aumenti dei costi delle bollette della luce e del gas, e dei costi per i correntisti bancari e per i possessori di polizze assicurative, derivanti dalle misure della cosiddetta «Robin tax» che si scaricheranno sui consumatori e sugli utenti finali.
Veniamo alla «sheriff tax». È stato scritto che «Robin Hood è rimasto a Sherwood». Potremmo anche dire che più che con una «Robin tax» abbiamo a che fare con un trucco dello sceriffo di Nottingham, con una «sheriff tax».
Contrariamente alle promesse elettorali, infatti, e in linea con quanto ipotizzato nel DPEF, l'insieme dei provvedimenti fiscali contenuti nei decreti-legge n. 93 e n. 112 adottati dal Governo lascia sostanzialmente invariate le imposte per l'anno in corso e ne comporta un aumento netto tra i 3 e i 4 miliardi per il prossimo triennio.
L'aumento del gettito è in larga parte dovuto a un insieme di provvedimenti che, denominati «Robin Hood tax», lasciano erroneamente intendere che si stia ridistribuendo reddito dai ricchi ai poveri. Di sicuro, non redistribuisce ai poveri perché meno del 10 per cento del gettito atteso va nel fondo di solidarietà per i ceti meno abbienti. E solo per il 2008.
Il gettito proviene per il 90 per cento nel 2008, che si riduce al 60 per cento circa nel 2011, da aggravi di imposta su specifici settori: presentati come «Robin tax», colpiscono in misura e con strumenti diversi quelli che producono o distribuiscono petrolio, gas ed energia elettrica, le banche e le assicurazioni, le cooperative.
L'operazione è presentata al pubblico come motivata da ragioni di equità (togliere ai ricchi per dare ai poveri), e di efficienza (riduzione degli extraprofitti favoriti dalla «speculazione»).
L'equità della Robin tax non emerge però dai numeri della relazione tecnica: il «Fondo di solidarietà per i ceti meno abbienti», che dovrebbe finanziare una carta acquisti per alleggerire l'onere di acquisto dei beni alimentari e il costo delle bollette per i cittadini che versino in stato di bisogno è alimentato per il solo 2008 e per soli 200 milioni di euro, meno del 10 per cento del gettito atteso dalla Robin tax in quell'anno.
Se anche fosse vero che si preleva ai ricchi, è certo che non si ridistribuisce ai poveri.
La sua efficienza è pure dubbia. Sarebbe efficiente tassare gli extraprofitti, ossia i profitti superiori al rendimento normale e derivanti, ad esempio, da rendite di posizione o da posizioni monopolistiche. Le «rendite» dovrebbero allora essere in primo luogo definite e poi tassate in tutti i settori in cui si manifestano.
L'intervento del Governo è invece ampiamente discrezionale, colpisce alcuni settori e ne lascia indenni altri, come le telecomunicazioni o le autostrade, in cui sicuramente non mancano extraprofitti.
Perché l'addizionale non si applica a tutte le imprese (con un tot di fatturato) dove l'incremento dei prezzi è stato particolarmente alto? Perché il petrolio sì ed il grano o il rame no?
Le modalità dell'inasprimento fiscale sono pure diverse per settore e ciò accentua il contenuto discrezionale dell'intervento e la carenza di una logica di sistema.
Nel caso del petrolio, dell'energia e del gas, si interviene con un'addizionale all'Ires del 5,5 per cento che, di fatto, per questo settore, annulla la riduzione dell'aliquota di tale imposta dal 33 al 27,5 per cento, operata dal Governo precedente. La maggiore aliquota non si applica agli extraprofitti, ma a tutti gli utili delle imprese del settore con ricavi maggiori di 25 milioni di euro nell'anno precedente.
Prendendo a riferimento i ricavi, e non i profitti, per giunta relativi a un esercizio diverso da quello in cui si applica, essa potrebbe quindi colpire anche profitti ordinari, alzando il costo del capitale delle imprese coinvolte, con effetti potenzialmente negativi sugli investimenti interni e dall'estero.
Aumenta anche la probabilità che, a dispetto dei vincoli meramente formaliPag. 79posti dal decreto sul divieto di traslazione, le imprese siano indotte a trasferire sui prezzi, e dunque sui cittadini, i maggiori costi fiscali.
Nel caso delle banche e delle assicurazioni si agisce invece ampliando l'imponibile, in parte limitando la completa deducibilità degli interessi passivi, in parte riducendo alcune deduzioni dall'imponibile (per svalutazioni e accantonamenti rischi su crediti e per riserve sinistri) che erano state già oggetto di restrizioni nel 2005.
Come nel 2005, viene inasprita anche la tassazione sulle cooperative, questa volta in particolare quelle di consumo, riducendo dal 70 al 45 per cento la quota di esenzione riconosciuta agli utili destinati a quelle riserve indivisibili che le connotano come enti mutualistici.
In conclusione, gli interventi del Governo in campo fiscale sono difficilmente riconducibili a logiche di razionalità del sistema, aumentano le imposte, danno le briciole ai poveri, non affrontano il nodo prioritario del sostegno ai redditi dei lavoratori dipendenti.
Nel provvedimento al nostro esame si introduce una novità a dir poco rivoluzionaria: si vieta alle imprese colpite di «traslare l'onere della maggiorazione d'imposta sui prezzi al consumo», incaricando l'Autorità per l'energia elettrica di «vigilare sul rispetto del divieto». Per fortuna dell'Autorità, le imprese da vigilare non sono tutte (dall'ENI ed ENEL alle migliaia di pompe di benzina sparse nel paese) ma solo quelle che hanno un ricavo superiore a 25 milioni di euro.
Che cosa dice la teoria economica a proposito? Dice che se il mercato è in condizioni di concorrenza, oppure di monopolio, non c'è bisogno di nessuna grida manzoniana; le imposte su rendite e profitti non si traslano.
Purtroppo i mercati dell'energia non sono certo di tipo concorrenziale puro, ma non sono neppure monopoli puri, sono in condizioni di oligopolio. E qui arriva la cattiva notizia: in oligopolio anche le imposte su rendite e profitti possono trasferirsi, magari non completamente. E questo avviene non con un accordo esplicito, depositato dal notaio, ma con una «convergenza parallela» che costituisce qualcosa di meno, ma presenta comunque aspetti di collusione.
Ma in questo caso è perfettamente inutile tentare di vietare un comportamento economico, a meno, ovviamente, di non trasformare tutti i prezzi del settore energetico in prezzi amministrati, cosa che neppure il più colbertista del governo può auspicare.
Non solo il divieto è inutile, ma anche l'invito alla vigilanza è stato fatto all'Autorità sbagliata. Se c'è un'Autorità che può, forse, fare qualche cosa è l'Antitrust; utilizzando il concetto di dominanza collettiva, cioè di collusione tacita in ambiente oligopolistico. Osservando l'andamento dei prezzi e dei margini di profitto, l'Antitrust può tentare di sanzionare comportamenti volti a traslare l'imposta.
Parliamo ora delle difficoltà delle famiglie. Tutti gli osservatori sono concordi, e, ancora recentemente l'OCSE ha rilevato un differenziale negativo delle retribuzioni italiane del 20 per cento in meno rispetto ai lavoratori dell'area.
La riduzione dei risparmi e la crescita dell'indebitamento da parte delle famiglie; la crisi dei mutui, alla quale il Governo ha dato nei giorni scorsi una risposta truccata; la crescita rapida e fuori controllo dell'inflazione, sostenuta dagli aumenti, talvolta sconsiderati, dei prezzi e delle tariffe, delineano un quadro davvero preoccupante.
Se l'inflazione è cresciuta del 3,8 per cento - come già ricordavo - il tasso di incremento dei prezzi della spesa quotidiana è invece balzato al 5,8 per cento. Sotto pressione gli alimentari. Pane e pasta - segnala l'Istat - in un anno hanno visto il prezzo lievitare rispettivamente del 13 per cento e del 22,3 per cento, il latte dell'11,2 per cento.
Le associazioni dei consumatori hanno calcolato che i rincari degli ultimi 6 mesi determineranno a fine 2008 una maxi stangata tra i 1.500 e i 1.800 euro a famiglia.Pag. 80
Il Governo finora non ha fatto niente per arginare i rincari.
Secondo il rapporto annuale Istat 2007, il 50 per cento dei nuclei familiari vive con meno di 1.900 euro al mese, il 15 per cento delle famiglie non arriva alla quarta settimana, il 6,2 per cento ritiene di non potersi permettere una alimentazione adeguata.
Le famiglie conoscono queste difficoltà per una molteplicità di fattori, alcuni dei quali, come l'inflazione crescente, richiamati dalle parole già citate del Governatore Draghi, altri dovuti alla crescente precarizzazione dei rapporti di lavoro, alla carenza di servizi essenziali quali gli asili nido o i servizi per i non autosufficienti, al meccanismo del fiscal drag, alla significativa riduzione della quota di reddito nazionale che va al lavoro, che si è ridotta negli ultimi 20 anni dal 50 al 40 per cento mentre quella della rendita è aumentata dal 20 al 30 per cento, con i profitti intorno al 30 per cento.
Ricordo che l'articolo 1, comma 4, della legge n. 244 del 2007 (la finanziaria per l'anno 2008) prevedeva, sulla base del cosiddetto «extragettito», la riduzione della pressione fiscale nei confronti dei lavoratori dipendenti, da realizzare mediante l'incremento della misura della detrazione per i redditi di lavoro dipendente di cui all'articolo 13 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni.
Facciamo alcune proposte. Non vogliamo solo criticare, ma vorremmo, come Italia dei Valori, fare alcune proposte lungo due assi centrali: stimolare gli investimenti dei privati e l'innovazione valorizzando le eccellenze di questo Paese, dai settori della ricerca alle università, alle filiere ed ai distretti innovativi; fare crescere la domanda interna con gli investimenti infrastrutturali pubblici e l'incremento delle detrazioni fiscali sui redditi da lavoro e le pensioni.
In particolare, proponiamo di tassare le rendite finanziarie al 20 per cento e di destinare le risorse così ottenute a incrementare in maniera significativa le detrazioni (che rispetto alle deduzioni fiscali, favoriscono i redditi più bassi) per i carichi familiari, ed in particolare per i figli minori, ed a restituire il drenaggio fiscale in particolare ai contribuenti con più basso reddito.
Per le altre proposte proponiamo di recuperare le risorse necessarie con tagli mirati e più coraggiosi alle spese correnti - a partire dalla riduzione dei costi impropri della politica.
Su tutto ciò avremmo voluto aprire un confronto vero con la maggioranza nel rispetto dei rispettivi ruoli e soprattutto del ruolo del Parlamento. Il Governo ha preferito scegliere una strada diversa sia nel metodo che nei contenuti. L'esame di questa manovra 2009-2011 è stato dunque un'occasione persa a detrimento degli interessi generali del nostro Paese. E di questo fatto le responsabilità sono purtroppo chiare.