Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

Cerca nel sito

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Per visualizzare il contenuto multimediale è necessario installare il Flash Player Adobe e abilitare il javascript

Resoconto dell'Assemblea

Vai all'elenco delle sedute >>

XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 29 di lunedì 7 luglio 2008

Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ANTONIO LEONE

La seduta comincia alle 11,35.

GREGORIO FONTANA, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 3 luglio 2008.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Angelino Alfano, Berlusconi, Bonaiuti, Bossi, Brambilla, Brunetta, Buttiglione, Carfagna, Casero, Cirielli, Colucci, Cosentino, Cossiga, Cota, Craxi, Crosetto, Donadi, Fitto, Frattini, Gelmini, Gibelli, Alberto Giorgetti, Giro, La Russa, Lupi, Mantovano, Maroni, Martini, Meloni, Pescante, Prestigiacomo, Roccella, Romani, Ronchi, Rotondi, Soro, Stefani, Tremonti, Urso e Vito sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente quarantaquattro, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Discussione del Documento di programmazione economico-finanziaria relativo alla manovra di finanza pubblica per gli anni 2009-2013 (Doc. LVII, n. 1) (ore 11,40).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del Documento di programmazione economico-finanziaria relativo alla manovra di finanza pubblica per gli anni 2009-2013.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

(Discussione - Doc. LVII, n. 1)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione.
Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

GIUSEPPE VEGAS, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Signor Presidente, mi riservo di intervenire in sede di replica.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il relatore per la maggioranza, onorevole Toccafondi.

GABRIELE TOCCAFONDI, Relatore per la maggioranza. Signor Presidente, il DPEF 2009-2013 introduce e definisce le coordinate fondamentali di una manovra triennale di stabilizzazione della finanza pubblica caratterizzata da una integrale convergenza fra indicazioni programmatiche ePag. 2misure attuative. Per la prima volta, contestualmente al DPEF viene proposta una manovra in grado di conseguire pienamente gli obiettivi fissati nel Documento per gli anni oggetto di programmazione. L'attuazione della manovra con riferimento all'intero triennio e non ad un solo anno rappresenta una rilevante novità, in grado di rafforzare il processo di risanamento della finanza pubblica, concentrare le risorse sulle effettive priorità del Paese, dare certezza agli operatori economici, fornire garanzie ai mercati e porre le basi per avviare un cammino di sviluppo e di crescita. Una parte rilevante della manovra finanziaria è stata anticipata attraverso il decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, che affianca e dà corpo al DPEF.
Nel DPEF è preannunciata anche la presentazione di un provvedimento legislativo concernente il federalismo fiscale, destinato ad influire in maniera positiva sugli equilibri di finanza pubblica, anche attraverso una riduzione dell'evasione fiscale, nonché di un disegno di legge volto alla costituzione di un codice delle autonomie, in modo da dare un assetto stabile alla finanza degli enti territoriali. Con l'attuale manovra, il Governo pone quindi le premesse per un dibattito, tra settembre e dicembre, incentrato in prevalenza sulla riforma in senso federale del sistema fiscale. In tal modo si potrà, tra l'altro, individuare una ragionevole ed equa soglia di perequazione a vantaggio delle Regioni con minori capacità fiscali per abitante, abbandonando tuttavia il principio della spesa storica, che ha nei fatti coperto le responsabilità di chi si è reso protagonista di una cattiva gestione della cosa pubblica ed ostacolato le riforme volte a promuovere la qualità e l'efficienza delle amministrazioni regionali e locali. Più ampiamente, il federalismo fiscale potrà fornire un fondamentale apporto alla razionalizzazione dei rapporti tra tutti i livelli di Governo, alla allocazione delle funzioni pubbliche secondo una logica di sussidiarietà ottimale anche dal punto di vista economico ed alla eliminazione di costose ed inutili sovrapposizioni di competenze e duplicazioni di strutture, prevedendo anche strumenti, in un'ottica di piena sussidiarietà orizzontale, che favoriscano una piena attuazione della libertà di scelta, sia in ambito economico sia per quanto riguarda i servizi alla persona.
Il Governo ha voluto evidenziare con chiarezza il rapporto sussistente tra il DPEF ed il decreto-legge prima ricordato, con il quale è stata data tempestiva attuazione alla manovra. Nel primo articolo del decreto-legge, il Governo esplicita infatti ambito ed obiettivi della manovra che con lo stesso provvedimento prende corpo. Particolarmente significativa è la definizione, su base triennale, degli obiettivi in termini di indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche e di rapporto tra debito pubblico e PIL.
Per quanto riguarda gli obiettivi di finanza pubblica da conseguire nel triennio, l'impostazione del DPEF si pone in continuità sia con la Relazione unificata sull'economia e la finanza pubblica (RUEF), presentata nel marzo scorso dal precedente Governo, sia con gli impegni assunti dallo stesso Governo.
In breve, gli obiettivi indicati dal DPEF possono ritenersi ampiamente condivisi e, per così dire, già verificati in ambito parlamentare. Ciò rende obiettivamente assai meno problematico l'esame del Documento a ridosso del decreto-legge che avvia l'attuazione della manovra. Ma vi è di più. La contestuale presentazione del DPEF e dei provvedimenti normativi in cui si articola la manovra finanziaria rappresenta una rivoluzione positiva in quanto alla classica funzione di enunciazione di obiettivi che per sua natura ha il DPEF si aggiunge quella di puntuale definizione dei contenuti della manovra di finanza pubblica per il periodo compreso nel bilancio pluriennale. Una rivoluzione nel metodo, quindi, ma anche nella sostanza.
Passando ad esaminare più nel dettaglio i contenuti del Documento, posto che il bilancio pubblico può costituire la base per giusti interventi pubblici solo nei limiti in cui l'economia reale crea un'effettiva disponibilità di risorse, va sottolineato che l'azione correttiva si concentrerà principalmente sulla riduzione della spesa pubblica,Pag. 3in ragione di un punto percentuale annuo, con l'obiettivo di assicurare comunque una diminuzione dello 0,5 per cento annuo del saldo strutturale a partire dal 2009. Quest'ultimo obiettivo è perfettamente in linea con i vincoli derivanti dal Patto di stabilità e crescita.
Si esclude, invece, l'introduzione di nuove imposte, con l'eccezione di alcune misure di perequazione tributaria mirate a colpire gli extraprofitti legati alla crisi finanziaria in atto.
Come ha ricordato il Governatore della Banca d'Italia, dopo la riduzione di 0,3 punti del PIL attesa per il 2008, è previsto che la pressione fiscale rimanga invariata. L'aumento del prelievo nei confronti di banche, assicurazioni, imprese del settore dell'energia e cooperative viene infatti compensato dalla riduzione dei contributi sociali e delle imposte dirette.
Il DPEF tratteggia una manovra seria e rigorosa, che fa i conti con una congiuntura internazionale sfavorevole, con i vincoli europei, con le criticità dei conti pubblici e con la realtà economica attuale del Paese. Nelle attuali condizioni nessun Governo responsabile poteva ipotizzare una manovra di natura espansiva. Tuttavia, come ha dichiarato il Ministro dell'economia e delle finanze, il Governo si riserva di avviare un'azione congiunta per redistribuire risorse verso le famiglie e i lavoratori, vale a verso dire le categorie oggi maggiormente esposte agli effetti della crisi in atto, non appena verranno segnali positivi in termini di crescita economica. Non vi è dubbio che ai primi segnali di un miglioramento della congiuntura sarebbe non solo opportuna, ma addirittura dovuta una diminuzione della pressione fiscale per sostenere soprattutto i redditi delle famiglie.
La crescita italiana ha confermato, in questi anni, il divario con l'area dell'euro. Un punto percentuale, sia nel 2006 sia nel 2007. Nel 2008, nonostante i risultati superiori alle aspettative registrati nel primo trimestre, la crescita è stimata pari allo 0,5 per cento, a fronte dell'1,7 per cento dell'area dell'euro. È questa la spia forse più evidente della crescita del nostro sistema economico. Entrambi questi fenomeni richiedono di essere contrastati con politiche che promuovano lo sviluppo del capitale umano, investendo nella scuola e nella ricerca e creando migliori opportunità lavorative. La crescita del capitale umano è un fattore essenziale per uno sviluppo duraturo così come il fattore educativo. In particolare, non pare sufficiente aumentare le risorse perché aumenti la qualità del servizio educativo. Infatti, è necessario che l'aumento della spesa sia accompagnato da una decisa attenzione alla qualità sia essa intesa nella valutazione, nel riconoscimento del merito scolastico e nella piena attuazione dell'autonomia scolastica e universitaria. Pertanto, adottare provvedimenti che favoriscano lo sviluppo del capitale umano, promuovendo azioni finalizzate a migliorare la qualità del servizio educativo risulta fondamentale, così come un'attenta valutazione al riconoscimento del merito all'autonomia scolastica ed alla piena libertà di scelta da parte delle famiglie.
Il DPEF segnala come a frenare la crescita concorrano, più che le turbolenze finanziarie internazionali, fattori negativi di natura esogena quali i forti rincari del petrolio e delle materie prime nonché l'apprezzamento dell'euro rispetto alle principali valute.
Il Documento evidenzia il permanente divario di sviluppo territoriale tra le aree del Paese: nel 2007 la crescita del PIL è stata pari all'1,6 per cento nel centro-nord ed allo 0,9 per cento nel Mezzogiorno.
Come accennato, l'azione correttiva si concentrerà principalmente sulla spesa pubblica, nella prospettiva di ridurla senza intaccare la quota di garanzia sociale. In particolare, il contenimento della spesa dovrebbe essere realizzato attraverso l'applicazione di un limite preventivo alla crescita della spesa di bilancio relativa a missioni, programmi e costi di gestione.
Secondo le indicazioni fornite nel DPEF l'intervento potrà assicurare nel triennio cospicui risparmi di spesa per le amministrazioni centrali per un ammontare pari a circa 14,5 miliardi, di cui circa 5 miliardi nel 2009. Il DPEF conferma iPag. 4tassi di inflazione programmata contenuti nel precedente DPEF: 1,7 per cento nel 2008, 1,5 per cento annuo dal 2010 al 2013.
Rispetto a tale dato alcuni hanno sottolineato come il tasso di inflazione si collochi attualmente attorno al 3,4 per cento e ciò rende irrealistico un simile tetto di inflazione programmata. Al riguardo il Documento ricorda come gli accordi tra Governo e parti sociali in materia di inflazione programmata contemplino il mancato recupero dell'inflazione dovuto all'aumento degli input importati che determina un impoverimento netto per l'intero Paese.
Non vi è dubbio, soprattutto se disaggreghiamo il paniere, che noi oggi soffriamo di inflazione importata. Come ha rappresentato l'ISTAT, il contributo al tasso di inflazione della dinamica dei prezzi dei prodotti energetici e di quelli alimentari, che era pari allo 0,5 per cento nel settembre 2007, è salito sino a 2,2 punti percentuali a giugno.
Devo inoltre ricordare come, nel dare attuazione al compito di assicurare la stabilità dei prezzi assegnato alla Banca centrale europea dal Trattato, il Consiglio direttivo della BCE abbia precisato che in un orizzonte di medio termine è sua intenzione mantenere l'inflazione su livelli inferiori, ma prossimi al 2 per cento.
Anche sotto questo aspetto il DPEF si muove in una logica di rispetto dei vincoli europei ed all'interno di un quadro macroeconomico in evoluzione e caratterizzato da importanti fattori di rischio. Questo non implica alcuna sottovalutazione del problema della perdita di potere d'acquisto dei salari che, come ho ricordato, la maggioranza ed il Governo sono invece determinati ad affrontare.
In conclusione, il Documento e le contestuali azioni programmate ci dicono che il nostro Paese ha bisogno di fiducia per ripartire. La ricchezza, prima di essere distribuita, va creata. La redistribuzione di ciò che non c'è ci farebbe sicuramente sentire più uguali, ma nel senso di più poveri, senza creare quella maggiore eguaglianza alla quale il nostro Paese aspira. Per dare una spinta alla produzione di nuova ricchezza occorre dare fiducia, materiale ideale a chi è in grado di produrla.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il relatore di minoranza, onorevole Baretta.

PIER PAOLO BARETTA, Relatore di minoranza. Signor Presidente, il Documento di programmazione economico-finanziaria, il primo del Governo Berlusconi, con il quale viene illustrata la politica economica del Governo per il periodo 2009-2013, non è all'altezza dei problemi del Paese.
L'Italia è in difficoltà; la nostra principale sofferenza è la scarsa crescita; la nostra economia non si sviluppa ai livelli dei nostri partner e competitori. Le cause esterne sono note: l'aumento dei prezzi del petrolio, delle materie prime ed alimentari, l'aggressiva competitività dei Paesi emergenti, le crisi finanziarie che bruciano ogni venerdì importanti quantità di denaro.
Ma a queste si somma, per il nostro Paese, una difficoltà competitiva di scarsa produttività tutta interna al nostro sistema produttivo ed amministrativo. Al tempo stesso, il deficit del debito pubblico, nonostante i significativi miglioramenti raggiunti dal Governo Prodi, rappresenta un peso del quale è bene liberarsi nei tempi stabiliti dal Patto di stabilità.
La presenza di una percentuale di lavoro nero pari quasi al 30 per cento del PIL costituisce probabilmente la prima causa di questa spirale perversa nella quale si aggira da alcuni anni la nostra economia, ma anche la principale fuga contributiva che pesa direttamente sul nostro disavanzo.
In questo difficile contesto cresce, giorno dopo giorno, quella che si configura come la vera emergenza e priorità sociale ed economica: la crisi del valore nominale e, di conseguenza, del potere di acquisto dei redditi, delle retribuzioni e delle pensioni. Tutti gli osservatori sono concordi, e recentemente l'OCSE ha ancora rilevato un differenziale negativo delle retribuzioni italiane del 20 per cento rispetto ai lavoratoriPag. 5dell'area. La riduzione dei risparmi accumulati e la crescita dell'indebitamento - impressionanti sono i dati sulla cessione del quinto da parte delle famiglie - per tentare di mantenere, inutilmente, un livello di consumi, che infatti cala nettamente (le vendite al dettaglio, in particolare nel Mezzogiorno, sono calate del 4 per cento nell'ultimo anno); la crisi dei mutui, alla quale il Governo ha dato nei giorni scorsi una risposta truccata; la crescita rapida e fuori controllo dell'inflazione, sostenuta dagli aumenti, talvolta sconsiderati, dei prezzi e delle tariffe, delineano un quadro davvero preoccupante sul quale è urgente e non procrastinabile prevedere un intervento ben più organico ed efficace del ricorso alla parziale riduzione delle tasse sul lavoro straordinario, tra l'altro realizzata in via sperimentale e con esclusione dell'intero settore pubblico.
La nostra opinione è che, in questo quadro, ciò che serve al nostro Paese è uno scatto di orgoglio, la volontà di non rassegnarsi, bensì di reagire e di contrastare questa situazione negativa con una strategia capace di allargare i nostri orizzonti di sviluppo, di coinvolgere in questa sfida l'insieme delle imprese, dei lavoratori e dei cittadini; una «sfida Paese» che valorizzi le straordinarie potenzialità che abbiamo e che dia ai giovani la percezione concreta di un futuro alla loro portata. Queste emergenze: più crescita, più reddito, meno deficit, non sono separabili, né nell'approccio strategico, né nelle scelte di merito, né nella tempistica con la quale combatterle. Il DPEF e la collegata manovra non adottano questa linea di intervento: per esplicita dichiarazione degli estensori viene scelta, in via esclusiva, la strada del risanamento del debito pubblico, da realizzarsi attraverso un intervento mastodontico di tagli che mettono in ginocchio settori strategici anche ai fini dello sviluppo, quali, ad esempio, la scuola e la sicurezza. Si rinuncia così ad un progetto ambizioso, sul piano economico e sociale, rifugiandosi in una linea difensiva sul terreno della sfida globale e senza fornire risposte alla società italiana, sia per quanto riguarda la competitività - la semplificazione burocratica è un mezzo, pur utile, ma non è fine a se stesso e cruciale, a tal proposito, è la marcia indietro sulle liberalizzazioni, per cui si richiama il titolo ma si arretra anche rispetto alle proposte presentate nella scorsa legislatura - sia per quanto concerne la «terza settimana».
Sono queste vistose e pesanti assenze, nonché la dubbia qualità di ciò che è presente, che rendono il DPEF e la manovra collegata inadeguati ed inefficaci, se non addirittura controproducenti proprio ai fini di quell'aggiustamento della finanza pubblica che è l'obiettivo principale del Documento. Se, infatti, si interviene solo dal lato della spesa - obiettivo che comunque va perseguito - e non si affrontano contestualmente anche le altre due priorità che abbiamo di fronte a noi: l'anemia della produttività e la perdita del potere di acquisto dei redditi da lavoro e da pensione, le stesse previsioni di pareggio di bilancio pubblico per il 2011, sulle quali si fonda il senso della manovra di legislatura che il DPEF propone, rimarranno sulla carta. Ancor peggio: è concreto il rischio che si inneschi un circolo vizioso tra misure procicliche depressive e maggiori spese per i bilanci pubblici.
Tuttavia, prima di dar conto di queste affermazioni, analizzando il merito del provvedimento, dobbiamo denunciare lo stravolgimento delle regole che presiedono allo svolgimento della sessione di bilancio. La sessione di bilancio ha regole ben precise, nei tempi e nei modi, sia sotto l'aspetto della legislazione sia sotto quello dei Regolamenti parlamentari. Stavolta, invece, la tempistica viene invertita: è la manovra che anticipa e vincola il DPEF e non il contrario. A tal fine è stato imposto al Parlamento un calendario improbabile, che non ha precedenti di questa entità e che ha di fatto ridotto, se non annullato, il necessario e doveroso spazio per l'approfondimento della discussione, come sanno i componenti di tutte le Commissioni.
Infatti, la questione che si solleva, signor Presidente, non è di calendario. Con la scelta di sovrapposizione e di rapidaPag. 6conclusione il Governo modifica di fatto la procedura istituzionale sulla manovra di bilancio senza discuterne e senza prevedere la formalizzazione di nuove procedure. Non contestiamo la necessità di una riforma della sessione di bilancio e dei lavori parlamentari sulle quali da tempo si discute, ma allora se ne discuta e si decida.
Quanto sta avvenendo, dunque, rappresenta una grave violazione della prerogativa del Parlamento, cui la Costituzione con l'articolo 81 attribuisce una funzione di indirizzo e di controllo in ordine alla destinazione e all'allocazione delle risorse pubbliche in relazione ai fini da perseguire nell'interesse della collettività.
In ordine al merito delle questioni, l'assenza di interventi significativi per lo sviluppo e per il sostegno del potere d'acquisto delle famiglie è il risultato di un approccio secondo cui la crisi macroeconomica internazionale è sostanzialmente considerata non aggredibile e direi inarrivabile.
La lettura del DPEF ci presenta un Governo che, di fronte alle difficoltà della congiuntura economica, si presenta rinunciatario. Il giudizio smaliziato e critico sulla globalizzazione, più volte espresso dal professor Tremonti sul piano intellettuale, sembra sul piano politico condannarlo ad una subalternità senza appello alle strettoie della negativa situazione mondiale.
Di conseguenza, preso atto che siamo in un ciclo negativo di carattere economico (ricordato anche dal relatore di maggioranza), il DPEF tara al ribasso tutti gli indicatori di previsione per tutta la durata della legislatura. Se questi sono gli obiettivi che si dà un Governo che si dichiara compatto e che ha alle spalle una larga maggioranza, ciò significa che è il Governo stesso il primo ad essere consapevole di non essere in grado di agire a favore della crescita, oppure fa previsioni velleitarie sulla finanza pubblica. Con una crescita così bassa mi chiedo come potranno realizzarsi gli obiettivi di finanza pubblica e, primo tra tutti, il pareggio di bilancio nel 2011.
La valutazione che svolgiamo di un Governo scoraggiato sulle possibilità di sviluppo del Paese e in difesa rispetto a quella che insistentemente il Ministro Tremonti ha ripetuto essere, a suo avviso, la madre di tutti i problemi (ovvero la grande speculazione internazionale) è dimostrata anche dalle scelte di politica settoriale e territoriale, nonché dalla qualità dei tagli incentrati sulla spesa pubblica. Mi riferisco, innanzitutto, alle infrastrutture e al Mezzogiorno.
È clamorosa la scelta, avviata con i recenti interventi, di vanificare il credito di imposta per gli investimenti nel Mezzogiorno, nonché i tagli agli investimenti per le infrastrutture in Sicilia e in Calabria per 2 miliardi di euro, il cui effetto è emarginare ulteriormente il sud escludendolo dal volano dello sviluppo. A ciò si aggiungano i tagli (previsti dal decreto-legge e dal disegno di legge finanziaria) per 6 miliardi di euro ad investimenti pubblici, al sostegno delle imprese e allo svuotamento per «Industria 2015».
Il miglioramento e il potenziamento della dotazione infrastrutturale in termini di reti e nodi, di plurimodalità e di logistica e, soprattutto, di grandi assi di collegamento, costituisce (lo sappiamo) una condizione necessaria per incrementare la competitività del nostro Paese, mentre il primo atto concreto del Governo sulle infrastrutture è stato il dirottamento delle previste risorse verso la copertura del decreto-legge sull'ICI. Inoltre, nella manovra non si indicano le quote annuali di fabbisogno di competenza e di cassa opera per opera, si rinvia ad altri provvedimenti l'entità del rifinanziamento della legge obiettivo ed evidentemente si confida in modo eccessivamente ottimistico sull'apporto di ingenti risorse private.
Ma il pessimismo del Governo verso il nostro futuro volge al masochismo se si pensa che dopo tutta quella campagna elettorale, mentre il DPEF tace, la manovra taglia sulla sicurezza. I corpi di polizia infatti, dopo essere stati esclusi dai benefici dello straordinario, ottengono dal GovernoPag. 7una drastica riduzione delle assunzioni con tagli di risorse e delle assunzioni stesse.
In ordine alla scuola, il taglio di 87 mila cattedre e di circa 43 mila posti per gli amministratori tecnico-ausiliari non è certo il miglior contributo che il nuovo Governo poteva dare al futuro del Paese.
Secondo quanto indicato nel documento, l'azione correttiva si concentrerà principalmente, dunque, sulla spesa pubblica, senza intaccare (si afferma) la garanzia sociale. In particolare, oltre i presunti risparmi di spesa per le amministrazioni centrali con un aumento di 14,5 miliardi di euro, (di cui circa 5 miliardi di euro nel 2009), il DPEF prevede misure specifiche con un effetto di recupero nel triennio pari a circa 20 miliardi di euro che si concentrano principalmente nei settori del pubblico impiego, della finanza decentrata, della sanità e della previdenza.
Considerato che molti dei servizi sono forniti dagli enti territoriali già duramente colpiti dal provvedimento sull'ICI, risulta francamente difficile capire come questo possa non ridurre i servizi e le garanzie sociali essenziali. Si tratta di una questione che si pone anche per i numerosi interventi sul lavoro che il provvedimento che seguirà il DPEF propone. Su tale aspetto vi sarà una discussione specifica e, dunque, non entro ora nel merito, se non per porre due osservazioni. La prima osservazione riguarda non il diritto ma la scelta politica del Governo di modificare parti dell'accordo del 23 luglio 2007, firmato con i sindacati, senza un nuovo negoziato. Per quanto riguarda la seconda osservazione: siamo sicuri che la strada dell'intervento legislativo in materia di lavoro sia la migliore? Tra le tante forme di semplificazione burocratica alle quali vi dedicate, forse potreste prendere in considerazione anche quella di lasciare sempre più alle parti sociali la definizione delle regole sul lavoro.
Per quanto riguarda la finanza pubblica, la correzione del 2009 comporterà un aumento della pressione fiscale e una riduzione delle spese in conto capitale. È esattamente il contrario di ciò che sarebbe necessario per rilanciare l'economia mediante un incremento della domanda e di quanto promesso in campagna elettorale e propagandato nei primi provvedimenti. Clamorosa, quindi, è la notizia che le tasse non diminuiscono per tutta la legislatura, rendendo così chiaro il senso dello slogan elettorale che diceva letteralmente: «non metteremmo le mani nelle tasche degli italiani né per prendere, né per dare». Le tasse non diminuiscono, anzi, in alcuni casi, in verità, addirittura aumentano: in valore assoluto la pressione fiscale aumenta di 6,5 miliardi di euro per il 2009, di 6,7 miliardi nel 2010 e di 6,5 miliardi nel 2011. Poiché le varie Robin Hood tax dovrebbero fornire maggiori entrate per 5,4 miliardi di euro, se ne deduce che tali maggiori entrate non potranno che arrivare da nuove imposte, a meno che non si scopra, cammin facendo, che il famoso tesoretto esiste, cosa della quale non mi stupirei particolarmente visto che nello stesso DPEF, nell'analizzare gli andamenti degli ultimi anni, si riconosce che: «L'indebitamento netto in rapporto al PIL dopo aver raggiunto il 12,4 per cento nel 1985 ha cominciato a decrescere fino a raggiungere nell'anno 2000 il valore minimo dello 0,8 per cento. Successivamente il deficit ha ripreso a salire toccando il 3,4 per cento nel 2006 per poi collocarsi nel 2007 all'1,9 per cento del PIL». Inoltre, si riconosce anche che: «dal 1998 l'avanzo primario ha cominciato a decrescere prima, fino ad azzerarsi quasi completamente nel 2005. Nel 2007 si è ricostituito un avanzo primario pari al 3,1 per cento del PIL». Infine, riguardo alle uscite si riconosce che: «dal 2001 l'incidenza delle uscite totali ha ripreso a salire fino a toccare nel 2006 il 49,3 per cento». Il Governo Berlusconi, come dichiara il Ministro Tremonti tramite il DPEF, ha quindi incassato un quadro sano di finanza pubblica. In sostanza, i numeri rivelano andamenti esattamente opposti alla propaganda.
Un'osservazione va fatta sull'allentamento della pressione sugli evasori. La drastica riduzione della cifra obbligata alla tracciabilità e di altre misure avrà un impatto, oltre che sul buon costume, anchePag. 8sui conti e la loro eliminazione altera in negativo le previsioni da gettito delle imposte indirette.
A proposito di azione civica, trovo di cattivo gusto la soppressione della class action: se il tema è la revisione, si presenti subito una proposta, se è la cancellazione, non siamo d'accordo.
A proposito delle Robin Hood tax, al di là della propaganda, queste nuove tasse rischiano di scaricare sui consumatori, imprese e singoli cittadini maggiori costi data la scarsissima concorrenza sui relativi mercati, come ha opportunamente richiamato nella sua audizione il governatore Draghi. Come spiegare altrimenti il 23 per cento di aumento dei prezzi medi negoziati nella borsa elettrica nell'ultima settimana, oltre il doppio rispetto a quello che hanno prodotto le altre borse europee che, pure, subiscono identiche tensioni? Come si pensa, allora, di rilanciare i consumi? Con la scelta pauperistica dei buoni dell'ECA, con l'aumento del prezzo alla pompa dei carburanti o con l'aumento delle tariffe che deriveranno dalla Robin Hood tax? Poiché, comunque, una traslazione sarebbe dannosissima, va perlomeno potenziato il ruolo di controllo e di prevenzione dell'Autorità garante. Arriviamo così, conclusivamente, al punto che consideriamo più urgente e che è completamente ignorato dalla politica del Governo.
La dinamica del PIL poggia quasi interamente sulla domanda interna. La domanda interna, però, non ha sostegni. Nel 2009 la crescita delle retribuzioni è prevista in termini aggregati sostanzialmente in linea con il deflatore dei consumi. Pertanto, non si aprono spazi, almeno per i redditi da lavoro, per contribuire all'aumento in termini reali della domanda. Ciò è tanto più vero se si prende in considerazione il tasso di inflazione programmata, che pesa sull'andamento dei redditi da lavoro e, conseguentemente, della domanda interna.
Il Governo ha indicato un'inflazione programmata del 1,7 per l'anno in corso e dell'1,5 dal 2009 in poi. L'inflazione programmata è uno dei numeri più importanti del DPEF. È uno strumento fondamentale di politica economica. Essa deve certamente essere inferiore all'inflazione tendenziale, perché deve piegare le aspettative inflazionistiche, però deve essere credibile. Alla sua credibilità concorre ovviamente la politica della BCE, dalla quale è in arrivo una stretta, ma anche il livello indicato nel DPEF. Un obiettivo troppo basso non diventa credibile e, invece di favorire un compromesso ragionevole tra organizzazioni degli imprenditori e dei lavoratori, genera conflittualità, incertezze, ritardi nella negoziazione e, inevitabilmente, effetti negativi sugli investimenti e sui consumi e, di conseguenza, sul PIL e sui bilanci pubblici.
Nel corso della sua audizione il Ministro dell'economia e delle finanze ha invitato le parti politiche a formulare proposte alternative. Ebbene, per sostenere il potere d'acquisto dei redditi da lavoro e da pensione e risolvere l'impasse in cui ha costretto le parti sociali, il Governo dovrebbe fare due mosse: la prima, portare l'inflazione programmata al livello massimo compatibile con il mandato della BCE; la seconda, innalzare le detrazioni fiscali sui redditi da lavoro e da pensione.
Se prendiamo, a solo titolo di esempio, una detrazione corrispondente ad un importo medio di almeno 250 euro, essa corrisponde a un punto di inflazione con un reddito di 25 mila euro l'anno. Con tale intervento, ne beneficerebbero davvero la distribuzione dei redditi e la domanda interna.
Concludendo, signor Presidente, siamo di fronte ad un avvio di legislatura caotico, aggressivo, debole nei contenuti e un po' preoccupante per le prospettive. Francamente, c'era da aspettarsi di più. Il Paese ha bisogno di più. Ci avete presentato un DPEF e una manovra collegata che tradiscono le promesse di riduzione di pressione fiscale fatte in campagna elettorale, ma questo è soprattutto un vostro problema. Non è, invece, solo un vostro problema il fatto che questa manovra, che segue il piccolo cabotaggio degli straordinari sperimentali, deprime ulteriormente i consumi, perché non prevede alcuna misura di aumento del reddito disponibilePag. 9delle famiglie, riduce le spese per investimenti e non rilancia l'economia, perché si affida esclusivamente ai tagli sociali.
Queste, invece, sono al contrario le vere priorità del Paese ed è su queste che fonderemo la nostra risoluzione parlamentare.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Santagata. Ne ha facoltà, per sei minuti.

GIULIO SANTAGATA. Signor Presidente, il Documento di programmazione economico-finanziaria è essenzialmente - lo dice il titolo stesso - lo strumento con cui il Governo e il Parlamento (se il Parlamento fosse in grado di intervenire) tentano di far collimare la politica finanziaria e di finanza pubblica con la politica economica.
Questo è lo scopo fondamentale, non tanto quello di fare da cornice o da cappello a interventi più o meno articolati e coerenti di sola finanza. Se sul piano della finanza pubblica possiamo condividere l'obiettivo di mantenere l'impegno del pareggio di bilancio per il 2011, assunto in sede europea anche dal Governo precedente, è sulla politica economica - come già si affermava nella relazione di minoranza del collega Baretta - che questo Documento è fondamentalmente carente.
Tornando, però, al problema finanziario e tralasciando i problemi di metodo, che già sono stati ricordati nella relazione di minoranza, gli strumenti per raggiungere un obiettivo pur condivisibile, almeno dal mio punto di vista, non sono accettabili, perché in gran parte non funzionano e non hanno funzionato neanche nelle altre occasioni in cui sono stati proposti.
Penso, innanzitutto, ai tagli orizzontali di spesa. Il meccanismo dei tagli orizzontali, il meccanismo che segue il modello Gordon Brown, applicato al nostro modello di bilancio non ha funzionato e non si può pensare di recuperare la rigidità di questo meccanismo, così come vorrebbe il Governo, esautorando totalmente il Parlamento dalle sue funzioni di indirizzo e di controllo sulla politica di bilancio e dando piena autonomia al Ministro dell'economia e delle finanze di modificare le poste di bilancio a seconda di come vanno le cose.
I tagli orizzontali sono stati un problema nel 2006 e, secondo noi, saranno un problema, a maggior ragione, nell'attuale situazione. Ridurre la spesa tagliando gli investimenti ci sembra quanto meno bizzarro in un momento economico come questo. Sappiamo che è la cosa più semplice. La spesa per investimenti è meno rigida della spesa corrente, però credo sia sotto gli occhi di tutti che questa manovra è decisamente contraria alle esigenze del Paese, sia a quelle di breve periodo sia, soprattutto, a quelle di lungo periodo.
Resta la manovra sugli enti locali e resta quella sul personale. Intendo spendere una parola su quest'ultima. Abbiamo visto, dal 2001 al 2006, crescere le retribuzioni, o meglio il monte retribuzioni pubblico (perché in realtà non tutte le retribuzioni dei dipendenti si sono comportate in questo modo) decisamente più del PIL nominale. Il Governo Berlusconi è stato particolarmente di manica larga in quel periodo. Oggi il DPEF ci propone una crescita del monte retribuzioni della pubblica amministrazione italiana dell'1,3 per cento contro una crescita del PIL nominale che supera il 3 per cento. Si tratta di più di 2 punti di restrizione in un solo anno.
Mi permetto di dubitare fortemente della credibilità di questa operazione e non giudico nel merito. Ovviamente spero che non sia figlia della facile demagogia sui «fannulloni», e quando discuteremo di retribuzioni del pubblico impiego sarà meglio farlo avendo ben chiaro come si configura un'operazione di recupero di efficienza, perché è di questo che abbiamo bisogno.
La questione complessiva vera, invece, è quella della mancanza o debolezza di politica economica: molti aspetti sono stati illustrati dal collega Baretta e intendo riprenderli molto rapidamente.
Ci troviamo di fronte ad una politica economica debole, arrendevole e direi rassegnata rispetto al ciclo economico internazionale. Forse mi verrebbe da dire qualcosaPag. 10di più, addirittura che è sbagliata in alcune sue parti: una politica economica prociclica. Sembra essere una consuetudine del Ministro Tremonti e dei Governi Berlusconi. Ricordo quando nel 2001, durante il famoso intervento dei cento giorni di quel Governo, le opposizione e le forze economiche chiesero...

PRESIDENTE. La prego di concludere.

GIULIO SANTAGATA. Ricordo quando le opposizioni e le forze economiche - concludo Presidente - chiesero invano di cambiare quel segno di politica. Manca totalmente un sostegno alla domanda interna, ai salari, alle infrastrutture e, ancora una volta, al di là delle belle parole, manca una strategia per la crescita. È stato abbandonato (per la verità non è stato mai praticato davvero) il concetto di «meno Stato e più mercato», che non condivido totalmente, ma davvero, oltre a questo, non c'è molto in questo documento (basta ricordare la vicenda di Alitalia e di Autostrade). Eppure la strada sarebbe chiara: per tenere il passo dell'Europa l'Italia deve liberarsi dalla pesante zavorra della rendita e premiare impresa e lavoro; ma per fare questo ci vuole il coraggio di scegliere, e questo documento non sceglie.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Farinone. Ne ha facoltà per sei minuti.

ENRICO FARINONE. Signor Presidente, questo verrà ricordato come il DPEF di Robin Hood, con la sola differenza che l'arciere di Sherwood rubava ai ricchi per dare ai poveri, mentre in questo caso ai poveri non si restituisce nulla.
Infatti, signor Presidente, al di là dell'aspetto demagogico ma, soprattutto, vagamente snob e, quindi, un po' irritante della social card, dei 5 miliardi derivanti dall'imposizione addizionale sui petrolieri si destina solo il 6 per cento alla carta per i poveri: una miseria. In tre anni, invece, si destinerà ai ceti più deboli quanto si è dato ad Alitalia per mantenerla in vita tre mesi in più, nella speranza che la mitica cordata, evocata dal Presidente Berlusconi in campagna elettorale, si materializzi. Dov'è, dunque, Robin Hood? La verità è che una mossa di marketing sostituisce un'esigenza vitale a cui questo Governo non può dare risposta, perché strutturalmente, direi costitutivamente, ostile ad ogni seria e vera azione in favore dei ceti popolari, per i quali la vita diviene sempre più dura.
Le spese aumenteranno in media di 300 euro tra generi alimentari, luce, gas e benzina, perché tutti noi sappiamo benissimo, e più autorevolmente è emerso dalle audizioni della settimana scorsa del Governatore della Banca d'Italia e del presidente della Corte dei conti, che la Robin Hood tax verrà scaricata sui prezzi al consumo.
Un'altra perla del Robin Hood nostrano è la previsione del tasso di inflazione: come è stato già ricordato, 1,7 per cento per il 2008 e 1,5 per cento successivamente. Se si voleva elaborare una previsione bassa, si doveva almeno prevedere la soglia del 2 per cento, indicata dalla Banca centrale europea. Ma l'inflazione viaggia purtroppo a livelli ben superiori e quella reale - starei per dire quella percepita dal popolo italiano - è clamorosamente più alta della percentuale ottimisticamente propostaci dal Ministro. Quindi, l'inflazione programmata non è credibile, e ciò genererà ulteriore indebolimento economico e delle famiglie e, soprattutto, del lavoro dipendente a reddito fisso.
Anche qui, dov'è Robin Hood? La verità è che sviluppando la sua narrazione avviata con il libro «ultrautocitato», scritto alla fine dello scorso anno, il Ministro dell'economia e delle finanze ritiene che la crisi economica sia dovuta alla speculazione, che dal piano finanziario si è spostata a quello delle materie prime e che, quindi, occorre combattere in sede europea ancor più che nazionale. Pertanto, non è adottata né prevista alcuna misura, per così dire, anticiclica.
Signori del Governo e della maggioranza, ci avete detto per due anni che noi del centrosinistra avevamo impoverito il Paese per le troppe tasse: in realtà stavamoPag. 11recuperando evasione e abbiamo realizzato alcune operazioni - cito soltanto quella della riduzione del cuneo fiscale - in favore delle imprese, anche se oggi che è cambiata la maggioranza di quell'operazione nessuno più parla.
Ci avete detto in campagna elettorale - l'ha ricordato testé il collega Baretta - che avreste portato la pressione fiscale al di sotto del 40 per cento del PIL e, ora, il vostro DPEF ci spiega tranquillamente che nel 2013 saremo al 42,9 per cento. Le tasse quest'anno aumenteranno dello 0,2 per cento, mascherate però dalla locuzione «perequazione tributaria», volutamente oscura e - mi si consenta - un tantino fuorviante. È il potere delle parole.
Nel frattempo, nel mese di giugno, tradizionalmente in attivo per i versamenti fiscali, si è avuto un avanzo inferiore di 2,7 miliardi rispetto al giugno di un anno fa: sarà un caso, ma, forse, qualcuno avrà immediatamente pensato che la lotta all'evasione non sia più così prioritaria per il nuovo Esecutivo.
Si riduce la spesa in conto capitale e, quindi, gli investimenti: 10 miliardi in meno nel triennio. Si riducono le spese per scuola, sanità, forze dell'ordine: settori che, al contrario, tutti i cittadini, sia quelli che hanno votato il centrosinistra come coloro che hanno votato il centrodestra, vorrebbero vedere rafforzati o, almeno, non indeboliti.
Tale è il quadro economico, qui tratteggiato in maniera sommaria, nel quale si riducono i servizi e si deprime la crescita, senza immaginare un intervento vero a favore di salari e pensioni, mentre colgo l'occasione per ricordare che dal 1o luglio ai detentori di pensioni basse sono arrivati 1,2 milioni decisi e votati dalla nostra maggioranza nella scorsa legislatura. Ebbene, questo quadro si colloca in un contesto che vede i consumi crollare e il tasso di occupazione decrescere, la produttività scendere e il PIL rimanere immobile.
Come potremo raggiungere il pareggio del bilancio nel 2011, con una crescita che lo stesso Governo prevede ai minimi termini? Come potremo far crescere i consumi, e quindi il PIL, se non si favorisce un recupero del potere d'acquisto per il ceto medio, oltre che per quello più debole?
Come si potrà far fronte agli inevitabili tagli, non solo sugli sprechi, come è giusto che sia, ma anche a quelli sui servizi sociali, sulle mense, sugli asili nido, sui trasporti pubblici, sull'assistenza ai non autosufficienti, che gli enti locali privati dell'ICI dovranno operare?
Concludo, signor Presidente. Nessuna risposta è data dal DPEF sottoposto alla nostra attenzione, che non affronta - colpevolmente, secondo me - la questione salariale, in un Paese che vede ormai i propri lavoratori ai livelli retributivi più bassi d'Europa.
Cos'ha in mente Robin Hood, per sostenere il reddito e per difendere il potere d'acquisto? Non c'è risposta, nel piano quinquennale del Governo.

PRESIDENTE. Sospendo la seduta, che riprenderà alle 15.

La seduta, sospesa alle 12,25, è ripresa alle 15.

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Crimi e Vegas sono in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente quarantacinque, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Si riprende la discussione.

(Ripresa discussione - Doc. LVII, n. 1)

PRESIDENTE. Riprendiamo la discussione del Documento di programmazionePag. 12economico-finanziaria relativo alla manovra di finanza pubblica per gli anni 2009-2013.
È iscritto a parlare l'onorevole Meta. Ne ha facoltà.

MICHELE POMPEO META. Signor Presidente, onorevoli colleghi, non possiamo fare a meno di denunciare il metodo paradossale seguito nella determinazione delle politiche economiche e di manovra finanziaria per i prossimi anni di vita di questa legislatura. Il Partito Democratico chiede, in fondo, di poter discutere delle scelte d'indirizzo economico che il Governo ha deciso di intraprendere per i prossimi anni. Si tratta di scelte che, a nostro parere, non sono all'altezza dei problemi del Paese e che arrivano ad essere, persino, controproducenti ai fini del riassetto della finanza pubblica. Tuttavia, è evidente, sin dall'inizio della legislatura, che l'attuale maggioranza è terrorizzata dal confronto parlamentare della competizione sana, che altro non è - ricordando l'etimologia del termine latino cum petere - che la ricerca, appunto, di soluzioni condivise nell'interesse generale del Paese e non di prevaricazione su una parte politica.
Il nostro punto di vista, cari colleghi, è fortemente critico sia nel metodo che nel merito dell'approccio parlamentare. Non è la prima volta e, purtroppo, non sarà l'ultima, perché siamo oggetto di uno svuotamento delle prerogative parlamentari, sempre più subalterne ad una decretazione d'urgenza governativa.
Sul metodo, assistiamo ad un'immersione ingiustificata delle normali regole che disciplinano la sessione di bilancio: questa, infatti, è una manovra che anticipa il DPEF.
Sul merito, si concentrano gli sforzi della riduzione della spesa pubblica in modo del tutto irresponsabile ed aleatorio, andando ad incidere sulla diminuzione dei servizi e delle garanzie sociali essenziali. I consumi non vengono sostenuti, i redditi inchiodati al palo, la crescita bloccata ad una misera previsione dell'1,2 per cento di media nel prossimo triennio; l'inflazione viene programmata all'1,7 per cento per l'anno in corso e all'1,5 per cento dal 2009 in poi. Si tratta di un livello basso e irrealistico, che genererà inevitabilmente incertezza, conflittualità ed effetti negativi sui consumi e sugli investimenti. Un disastro, insomma. Si riducono notevolmente le spese per gli investimenti infrastrutturali, concentrandosi su armi di distrazione di massa del tutto inutili, come il ponte sullo Stretto di Messina.
La realtà è ben diversa, cari colleghi ed è ben chiara anche alla Confindustria che, per bocca del presidente Marcegaglia, ha denunciato le gravi carenze sugli investimenti in infrastrutture e trasporti. Si tratta di carenze che si sommano alle già gravi conseguenze prodotte dai decreti-legge emanati dal Governo prima della presentazione del DPEF. Sentiamo parlare dell'esigenza di una politica integrata dei trasporti e di uno stretto rapporto tra le politiche della mobilità sostenibile, ma poi ci troviamo, purtroppo, di fronte a decisioni che umiliano il bilancio dei trasporti, quello delle infrastrutture ed anche gli accordi di Kyoto. Viene, quindi, da pensare che la mano destra non sappia cosa fa la mano sinistra.
Credo che i colleghi della maggioranza non conoscano le reali esigenze del Paese, fatto di persone che si muovono ogni giorno per recarsi al lavoro e che, colpiti dall'aumento del costo del carburante, riconvertono le proprie abitudini spostandosi con i mezzi pubblici. Sono quindici milioni i nostri concittadini costretti a sopportare i disservizi: tagli alle corse dei treni, tagli ai servizi per i clienti, mezzi di trasporto fatiscenti e sporchi. E proprio nel settore della mobilità dei passeggeri non vengono previste risorse adeguate al rinnovo del contratto di lavoro degli autoferrotranvieri, già scaduto, per il quale i sindacati chiedono un unico contratto di settore, che garantisca omogeneità salariale di sicurezza. Tale richiesta è alla base dello sciopero che, da ieri sera, sta creando enormi disagi ai cittadini. Allo stesso modo, si riducono le risorse del trasporto pubblico locale e per gli investimenti del trasporto regionale su ferro,Pag. 13colpiti da un'impossibilità di acquisto di materiale rotabile e da un'inadeguatezza negli investimenti per la sicurezza del trasporto ferroviario.
Sono stati drasticamente ridotti gli stanziamenti per le Ferrovie dello Stato, che incidono negativamente sulle infrastrutture, sulle linee ferroviarie tradizionali, colpendo il Mezzogiorno e le linee trasversali.
Il sud del Paese, quindi, già penalizzato per i redditi bassi, per l'alto tasso di disoccupazione e per uno sviluppo che non viene sostenuto, viene privato dei necessari adeguamenti infrastrutturali di cui necessita da decenni.
Nel settore del trasporto aereo assistiamo ad un completo disinteresse del Governo sul ruolo e l'efficienza dell'ENAC, dell'ENAV e persino dell'Agenzia nazionale per la sicurezza del volo. Vengono previsti ulteriori blocchi delle assunzioni del personale (intralci burocratici che frenano le possibilità di sviluppo del trasporto aereo italiano), per non parlare, poi, dell'irresponsabilità nella gestione della vicenda Alitalia, la quale viene condotta in modo oscuro verso lo «spezzatino» e la liquidazione, con la previsione angosciante di migliaia di esuberi, ben oltre quelli previsti nella trattativa con Air France, fatta fuggire via da Berlusconi.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

MICHELE POMPEO META. Mi sto avviando alle conclusioni, signor Presidente.
Nel settore portuale, inoltre, non viene prevista l'effettiva autonomia finanziaria delle autorità portuali, alle quali viene sottratto l'80 per cento del fondo annuale istituito con la legge finanziaria 2007 per la manutenzione degli scali italiani; viene abolito il contributo per le autostrade del mare; vengono ridotti drasticamente gli investimenti infrastrutturali e, addirittura, è minata la stessa esistenza delle autorità portuali, per non parlare del settore cantieristico e della vicenda Tirrenia e delle società regionali, ove non si prevede alcuna garanzia per i lavoratori e non vi è certezza per i contributi statali alle regioni Toscana, Sardegna, Lazio e così via.
In conclusione, cari colleghi, la confusione e l'irresponsabilità della maggioranza di Governo è tanta, ma non saranno certo, a mio avviso, gli stravolgimenti dei Regolamenti parlamentari e gli strapazzamenti delle prerogative costituzionali ad annebbiare le capacità critiche degli italiani, i quali hanno ben altri problemi che quelli relativi agli interessi del Premier...

PRESIDENTE. Onorevole Meta, deve concludere.

MICHELE POMPEO META. Ho concluso, signor Presidente.
Come dicevo, gli italiani, probabilmente abituati a farsi due conti in tasca nella difficile gestione della vita domestica, capiranno presto che questo Governo è un fallimento totale nella gestione della drammatica crisi che l'Occidente globalizzato sta vivendo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cambursano. Ne ha facoltà.

RENATO CAMBURSANO. Signor Presidente, sottosegretario Vegas, colleghi, nelle tante audizioni che abbiamo svolto, sia a proposito del documento di programmazione al nostro esame, che del decreto-legge n. 112 del 2008 recante disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria, in questi giorni all'esame della Commissione bilancio, hanno tutti affermato che il Paese è fermo; anzi, qualcuno si è spinto anche oltre, sostenendo che non solo è fermo, ma che arretra rispetto al pregresso.
Mi viene da dire, per correttezza, che, certamente, non sono i primi provvedimenti di questo Governo a far arretrare il Paese. In questo caso, tuttavia, vedremo molto presto gli effetti negativi. Li voglio ricordare, perché stiamo parlando di un documento di programmazione economico-finanziaria che non può non tenerePag. 14conto di quanto già, quest'Aula, questa maggioranza e questo Governo hanno fatto; mi riferisco all'Alitalia, per la quale non c'è ancora una soluzione in vista. La prospettiva che l'advisor ci indica è quella di una bad company, che si porterà appresso un costo complessivo a carico dei cittadini italiani di 3 miliardi di euro e una nuova Alitalia, senza debiti e senza esuberi, che verrà data ad investitori privati, i quali dovranno, in qualche modo, riconoscere il regalo loro fatto sulla questione autostradale: le concessioni autostradali, messe in evidenza recentemente anche dall'Antitrust; una nuova Alitalia, quindi, che non farà altro che seguire le rotte italiane, senza spingersi fuori dai confini.
L'altro provvedimento è il cosiddetto taglia-ICI. In quest'Aula abbiamo detto più volte che il costo sarebbe stato ben superiore ai 2.604 milioni di euro e siamo dovuti andare nell'altro ramo del Parlamento per scoprire che il relatore, ma soprattutto gli uffici del Servizio bilancio del Senato, hanno quantificato addirittura l'uno in 3 miliardi e mezzo, l'altro in 3,7 miliardi, il costo complessivo dell'operazione prevista dal decreto-legge n. 93 del 2008. Chi pagherà? Gli enti locali e le infrastrutture, che saranno ulteriormente penalizzate.
Si tratta, pertanto, di un Paese che arretra economicamente, perché durante i cinque anni di Governo del Presidente Berlusconi l'economia è stata senza guida, il PIL ha toccato punte dello 0,0 per cento, il deficit è cresciuto fino al 4,4 per cento, il debito non solo si è fermato, ma addirittura ha ripreso a correre e l'avanzo primario è stato azzerato; inoltre, il regalo di fine legislatura (della quattordicesima) è stata la procedura d'infrazione che solo grazie al buon operato del Governo Prodi siamo riusciti a toglierci di dosso.
Ma questo nostro Paese, signor Presidente, arretra soprattutto civilmente e moralmente: l'illegalità è diffusa, quattro regioni sono controllate dalla malavita organizzata e ora vi accorgerete che i provvedimenti emanati nel 2002 riguardanti il codice di procedura penale hanno portato allo svilimento e all'azzeramento dell'articolo 41-bis dell'ordinamento penitenziario, e i risultati si vedono.
C'è anche un 25 per cento dell'economia che è sommersa, il lavoro nero è in crescita e l'evasione fiscale (come riporta oggi Il Sole 24 Ore) ammonta a oltre 100 miliardi di euro, 200 mila miliardi di vecchie lire, una cifra spaventosa. L'ISTAT, come scrive Il Sole 24 Ore, afferma che nel 2007 l'evasione ha corso meno, ammontava a 115 miliardi nel 2006 contro i 100 miliardi del 2007: è la prova provata del gran lavoro svolto su questo fronte, per l'appunto, dal Governo Prodi.
L'inflazione fa paura. Fino a ieri incideva pesantemente sui ceti meno abbienti, ora preoccupa non solo l'ex ceto medio (che non c'è più), ma anche la fascia medio-alta; solo un'oligarchia non ne risente ancora. La paura della crisi petrolifera, di quella alimentare ed ambientale fa novanta, ma la speranza che queste turbolenze, ormai strutturali, finiscano si va affievolendo.
La speculazione finanziaria sulle materie prime e sui prodotti alimentari, così come la finanza strutturata sono una bomba ad orologeria; una tempesta si sta per scatenare per gli eccessi della finanza di carta e l'assenza di regole che ne mettono a repentaglio l'esistenza impoveriscono i nostri cittadini. Quarantadue miliardi di euro di credit default swap faranno impallidire i subprime.
Su Il Mondo di questa settimana, come non sarà sfuggito al sottosegretario Vegas, scopriamo che il comune di Milano (ma quanti saranno gli enti locali alla stregua di questo comune) negli anni passati, tra i tanti derivati che ha sottoscritto vanta anche un CDS, un credit default swap che, per l'appunto, è una bomba ad orologeria.
Signor Presidente, nel corso dell'audizione del Ministro Tremonti, in occasione della presentazione del documento al nostro esame, ho convenuto che il problema della speculazione esiste ed è grave, che occorre fare uno sforzo comune per risolverlo, ma la strada imboccata dal Ministro è fumo, l'arrosto è altro: occorre una nuova Bretton Woods sulla stabilitàPag. 15delle monete, occorre che gli Stati Uniti d'America di Bush, ai quali si sono ispirati per anni i Berlusconi, i Tremonti, cioè i nostri iperliberisti a parole, non si rifugino ora nel protezionismo, se si vuole evitare una nuova grande depressione. Una missione difficile, ma non impossibile che comporta, però, riforme su più fronti: dei commerci, dei sussidi, degli investimenti, dei cambi e dello sviluppo del terzo mondo.
Intanto, una ristretta oligarchia si è arricchita e si arricchisce tuttora alle spalle dei più poveri. Ricordiamo solo una serie di provvedimenti emanati nel precedente quinquennio berlusconiano: il change over, i mancati controlli sul cambio lira-euro, cosa hanno prodotto? Ricordiamo lo scudo fiscale, cioè il lavaggio del denaro sporco, o poco pulito, quello dell'evasione fiscale, che ha arricchito una certa categoria di persone, i tanti condoni fiscali. I super-ricchi vivono consumando risorse di tutti, inquinano, acquistano SUV e barche di decine di metri e speculano, mentre la povertà cresce. Si vedono sempre più persone, giovani ed anziani, ex colletti blu, ma anche ex colletti bianchi, espulsi dal lavoro o con un lavoro precario, che hanno perso tutto, anche la loro dignità di uomo. Queste persone vanno a bussare alle porte della Caritas e della San Vincenzo, vanno a rovistare nei cassetti della spazzatura e non vorrei che un giorno, signor Presidente, ci trovassimo anche qui in Italia come nelle favelas dei paesi sudamericani, dell'Africa o dei paesi più poveri dell'est asiatico, dove la gente va addirittura a cercare qualche pezzo di pane nelle discariche per potersi sfamare.
Chi esaltava la bontà del mercato senza regole, accortosi di come andavano le cose, ha fatto ricadere la responsabilità sull'euro e sulla Cina e ora, senza fare autocritica, inneggia all'euro. Non è mai troppo tardi, ne prendiamo positivamente atto; però, mi passi il termine, «sputano» sentenze contro la globalizzazione. Altri - se mi permette, signor Presidente, anch'io tra questi - evidenziavano da tempo pregi e difetti della globalizzazione e della finanziarizzazione dell'economia ma, ahimè, venivano svillaneggiati.
In una situazione nella quale i salari e gli stipendi sono scesi, in termini reali, del 22 per cento, il potere di acquisto è in caduta libera ed i consumi stanno precipitando, che cosa fate? Una manovra depressiva, fatta di pressione fiscale che non scenderà al di sotto del 43 per cento (in campagna elettorale avevate, invece, promesso di portarla al di sotto del 40 per cento).
A questo punto mi piace ricordare, ancora una volta, quanto scriveva il giornalista Galimberti su Il Sole 24 Ore: non avete neanche avuto il coraggio di dire grazie a chi ha fatto della lotta all'evasione fiscale una battaglia senza tregua, con gli effetti ricordati prima. Portate a casa il risultato, ma non ne tenete conto nelle dichiarazioni pubbliche.
Prevedete un'inflazione programmata all'1,7 per cento per l'anno in corso e all'1,5 per cento per i due anni successivi, mentre quella reale - è ormai chiaro a tutti - è al 3,4-3,6 per cento e, per i beni di prima necessità, veleggia addirittura verso il 6 per cento. A pagare saranno, quindi, sempre i soliti: lavoratori dipendenti e pensionati.
Non fate nulla per recuperare il fiscal drag. A tal proposito, signor Presidente - anche il governatore Draghi lo ha ricordato nell'audizione di qualche giorno fa - esistono disegni di legge presentati nel corso della XIV e XV legislatura, che andavano proprio nella direzione di recuperare il fiscal drag, cioè quel differenziale che esiste tra l'inflazione programmata e quella reale. Naturalmente, vi prendete ben guardia di prevedere alcunché al riguardo nel documento di programmazione in discussione.
Da un paio di anni i prezzi corrono, non perché trascinanti dall'aumento dei salari, come la presidente di Confindustria voleva in qualche modo farci credere, esprimendo al riguardo preoccupazione. No, i prezzi corrono da soli, corrono aPag. 16causa di spinte esterne: il costo del petrolio, dei prodotti alimentari e delle materie prime in generale.
Parlate di difesa dei ceti più deboli e dei consumatori, ma non date attuazione a quanto previsto dalla legge finanziaria 2008, per quanto concerne gli incrementi delle detrazioni per il lavoro dipendente e per le pensioni.
Viceversa, mettete in atto una serie di misure che tendono a favorire fiscalmente il mondo delle partite IVA: non posso che essere concorde, ben vengano tali misure. Nelle audizioni abbiamo del resto sentito le categorie interessate esprimere una valutazione positiva sia sul documento di programmazione economico-finanziaria che sul decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112. Non hanno però risposto a chi - come il sottoscritto e tanti altri colleghi sia del PD che dell'UdC - ricordava loro che il Paese è fermo e che occorre probabilmente un'altra politica. Non hanno saputo far altro che nascondere le proprie incapacità, dimostrate peraltro anche come classe dirigente di questo Paese.
Il Paese è fermo a causa di un'assenza totale di iniziative in grado di rilanciare l'economia.
Si tratta di una manovra assolutamente depressiva: ciò che viene programmato non è la crescita, ma i tagli degli investimenti. L'associazione nazionale dei costruttori, l'ANCI, ha detto, nell'audizione della scorsa settimana, che i tagli previsti nel corso dei prossimi anni superano i 20 miliardi di euro.
La manovra contiene, inoltre, una scommessa tutta incentrata sul coinvolgimento di privati. Tuttavia, signor Presidente, mi domando: quale privato può essere coinvolto in un'operazione nella quale lo Stato non mette del suo, sia in termini di quattrini che di regole in grado di garantire tempi più stretti per l'approvazione dei progetti e per l'esecuzione dei medesimi?
Ci sono disponibilità di risorse da parte di istituzioni finanziarie, ma devono avere la certezza del diritto e dell'esecuzione delle opere. Prevedete tagli alla sicurezza, e questo è molto grave (lo dico agli amici della Lega Nord, che hanno fatto, giustamente, una battaglia per la sicurezza nelle nostre città). Ma come potete consentire che alle forze dell'ordine vengano tolte le risorse necessarie per mandare avanti le auto, per far funzionare i commissariati? Prevedete che le risorse umane vengano depauperate nei prossimi tre anni di 6 mila unità, e poi mandiamo i nostri militari a presidiare le città per garantire la sicurezza, e non, invece, le forze dell'ordine, che sono preposte a ciò.
Tagliate risorse alla giustizia (non parlo di quella penale, perché questo per voi è un tabù, ma della giustizia civile). Non date quattrini per far funzionare la macchina della giustizia italiana. Tagliate risorse alla scuola, e qui, davvero, mi viene persino - mi permetta, signor Presidente - il magone al solo pensarci: togliete l'insegnante di sostegno per quei ragazzi che ne hanno davvero bisogno. Credo che la disgrazia più grande che possa capitare ad un genitore sia quella di avere un bambino con dei problemi (e mi limito ad usare - ahimè - un eufemismo). Non vorremmo trovarci in quelle condizioni, abbandonati a noi stessi. Tagliate anche le risorse destinate al sostegno di quei ragazzi in difficoltà che - ahimè - abbandonano, addirittura, la scuola dell'obbligo.
Questo è il risultato che portate al nostro esame. Parlate di piano-casa, ma non fate altro che bluffare: azzerate il programma straordinario di edilizia residenziale pubblica, di cui alla legge n. 222 del 2007. Fate un vero e proprio scippo di tutte le risorse già stanziate dal Governo Prodi e, in parte addirittura consistente, già impegnate dalle regioni (dalla Lombardia, dal Piemonte, dal Lazio).
Parlate di federalismo, ma intervenite pesantemente nei confronti di regioni, province e comuni. Amici della Lega Nord, non è che nel programma del Popolo della Libertà, della coalizione di centrodestra di cui fate parte, il federalismo fiscale, di cui giustamente tenete alta la bandiera, è uno degli scherzi di Bossi, voluto a tutti i costi, come quello che è stato denunciato dal lontano Giappone, non più tardi di qualchePag. 17ora fa, dal Presidente del Consiglio? Noi ci crediamo profondamente, e su questo siamo disposti a misurarci.
Parlate di riforma dei servizi pubblici locali, ma questa è molto annacquata, perché, anche qui, dovete dare un colpo al cerchio e uno alla botte. Non fate uscire, come invece noi proponiamo con emendamenti al decreto-legge n. 112 del 2008, gli enti locali dall'azionariato, liberalizzando le ex municipalizzate. Lo stop ai contratti in house scatterà soltanto dal 1o gennaio 2011: che riforma dei servizi pubblici locali è, se non una riforma dichiarata, ma non attuata?
Parlate di destinare risorse ai più poveri, prendendole dai petrolieri, dalle banche, dalle assicurazioni, ma poi favorite le banche che hanno il maggior spread tra la raccolta e gli impegni, mentre, invece, bisognerebbe premiarli. Non intervenite sulle odiate commissioni di massimo scoperto e sulla portabilità dei mutui, e ai poveri destinate solo il 5 per cento della Robin Hood tax: 260 milioni, cioè 20 euro al mese per ogni povero che avrà - speriamo - questa etichetta di più povero tra i poveri (una cosa, veramente, degna del ventennio).
Parlate di tagli della spesa corrente, quando, invece, sappiamo bene che l'esperienza del quinquennio 2001-2006 ha dimostrato l'esatto contrario, e cioè che la spesa corrente è cresciuta. Cito solo un esempio: il contratto dei pubblici dipendenti, attuato a chiusura della XIV legislatura, è frutto del vostro sacco. Avete, cioè, riconosciuto ai pubblici dipendenti un aumento che i dipendenti privati non si sogneranno mai.
Dite di non intervenire sul lato delle entrate; invece esse rappresentano il 65 per cento della manovra anti-deficit: 6.535 milioni di euro su 10.082. Di questo 65 per cento di maggiori entrate, 5.196 milioni di euro sono maggiori entrate tributarie (così le chiamate con un eufemismo), 1.099 maggiori entrate da contributi sociali, 240 altre entrate. Per contro, vi sono solamente 3.547 milioni di euro di minori spese: 3.080 sono minori spese per investimenti; 271 sono minori spese per interessi; 196 sono minori spese correnti al netto degli interessi.
Prepariamoci, dunque, signor Presidente. Non voglio essere la Cassandra di turno, ma, alla fine di questi anni (speriamo brevi, speriamo assai meno di cinque: le turbolenze degli ultimi giorni ci fanno intravedere qualche possibilità in questo senso), quando abbandonerete la scena, non vorremmo trovarci di nuovo di fronte ad una procedura di infrazione da parte dell'Unione Europea, così che chi verrà dopo di voi dovrà nuovamente risanare quello che voi siete riusciti a distruggere (Applausi dei deputati dei gruppi Italia dei Valori e Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Livia Turco. Ne ha facoltà.

LIVIA TURCO. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, nel vostro Documento di programmazione economico-finanziaria al tema della promozione della salute del cittadino e della comunità non è riservata purtroppo neppure una riga di attenzione: la politica sanitaria è contemplata solo per i risparmi che si devono conseguire per quanto attiene alla spesa sanitaria. È importante l'informatizzazione del sistema sanitario, che voi prevedete, ma la nostra ottima sanità pubblica ha bisogno di cure e di attenzione per mettere in sicurezza gli ospedali, per prevenire il rischio clinico, per potenziare la medicina territoriale, per aggiornare la formazione universitaria, per promuovere un migliore raccordo fra sistema sanitario e università. Di tutto questo, purtroppo, nel vostro programma non vi è traccia, così come non è ravvisabile alcuna attenzione nei confronti della rete dei servizi sociali, così preziosi nella vita delle persone (penso agli anziani non autosufficienti, ai malati mentali, ai servizi educativi per l'infanzia).
Ci colpisce che nel decreto sullo sviluppo vi sia un accanimento nei confronti delle persone disabili, sia con la verifica a tappeto sui falsi invalidi, che colpisce anche persone che hanno disabilità gravi ePag. 18conclamate, sia mettendo in discussione la legge sull'inserimento lavorativo, la legge n. 68 del 1999, sia alterando norme importanti della legge n. 104 del 1992, relativamente alle persone con disabilità grave.
Mi voglio soffermare su un punto, cogliendo fra l'altro l'occasione della presenza del sottosegretario Vegas. Ci colpisce che abbiate scelto di mettere in discussione il patto per la salute, che ha iniziato un percorso virtuoso fra Governo e regioni. Voi lo mettete in discussione anzitutto con il metodo, perché indicate in modo unilaterale, nel decreto che segue al DPEF, il fabbisogno del servizio sanitario nei prossimi due anni - 2010 e 2011 - mentre tale valutazione avrebbe dovuto essere proprio l'elemento condiviso fra Governo e regioni. In questo modo, ribaltate il metodo, obbligando le regioni a fare un nuovo patto per la salute, avendo deciso unilateralmente la valutazione del fabbisogno.
Alla sanità è assegnato il compito di assicurare, rispetto al tendenziale, ulteriori risparmi, che dovrebbero assommare a due miliardi di euro per il 2010 e a tre miliardi per il 2011, senza tenere conto del fatto che, come voi sapete, il settore ha già contribuito al riequilibrio dei conti pubblici nel 2007, grazie ad una diminuzione del tasso di incremento pari allo 0,9 per cento e grazie alla riduzione del rapporto fra spesa sanitaria pubblica e PIL, che è passato dal 6,85 per cento del 2006 al 6,66 per cento nel 2007. Questi risparmi così consistenti sono immotivati e alterano l'equilibrio fra efficienza ed equità, e soprattutto mettono in discussione la possibilità di soddisfare davvero i livelli essenziali di assistenza. E poi, fate una scelta, signor sottosegretario: cancellate questo ticket!
La sua introduzione da parte del Governo di centrosinistra è stata un errore, e non lo facciamo presente solo adesso, ma lo abbiamo dimostrato con i provvedimenti che adottammo per cancellare quel ticket, con i 350 milioni di euro nel 2007, poiché trovammo 834 milioni di euro lo scorso anno. Pertanto, abbiamo dimostrato con i fatti di considerare quella scelta un errore.
Non proseguite, trovate tali risorse insieme alle regioni, perché se il tema della compartecipazione al costo del servizio sanitario è reale e se il sistema delle esenzioni dai ticket attualmente in vigore va rivisto perché è poco equo, fate di questo un oggetto di concertazione tra Governo, regioni e parti sociali. Ma togliete quel ticket!
Allo stesso modo credo sia importante che proseguiate nella politica di investimenti per la sanità. Noi eravamo passati da 17 a 23 miliardi per ammodernare la rete ospedaliera e per costruire i servizi territoriali: proseguite su questa strada, in accordo con le regioni, perché ciò rappresenta un aspetto importante, insieme alle risorse per i livelli essenziali di assistenza e al controllo sull'andamento della spesa sanitaria, che è stata una nostra forte iniziativa, in quanto abbiamo portato avanti con molta determinazione i piani di rientro e pertanto crediamo fortemente nel valore dell'efficienza. L'efficienza rappresenta l'altra parte, l'altra faccia dell'equità, ma per proseguire nell'efficienza e nell'equità bisogna fornire alle regioni certezza in ordine alla programmazione degli investimenti sanitari per ammodernare gli ospedali, per metterli in sicurezza e, soprattutto, per far decollare la medicina territoriale e l'integrazione socio-sanitaria.
Inoltre, un problema fondamentale della sanità pubblica è quello di chi lavora nella sanità: per questo è necessaria la certezza delle risorse per il rinnovo dei contratti dei medici e l'assorbimento della precarietà nell'ambito del servizio sanitario pubblico. Si tratta di misure importanti non soltanto per dare certezza agli operatori, ma anche per promuovere sempre nel miglior modo possibile il diritto alla salute.
Confermo in questa sede ciò di cui sono stata sempre convinta: il diritto alla salute non deve essere considerato di destra o di sinistra ma per quello che è, vale a dire un diritto fondamentale della persona. PerPag. 19tale ragione è importante che vi sia accordo e dialogo, e dunque auspico veramente che il Governo trovi un accordo con le regioni, ma per trovare un accordo con le regioni credo che debba cancellare quello che unilateralmente ha scritto, ossia quel risparmio pesante per gli anni 2010 e 2011 (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Girlanda. Ne ha facoltà.

ROCCO GIRLANDA. Signor Presidente, sottosegretario Vegas, cari colleghi, il Documento di programmazione economico-finanziaria 2009-2013 su cui si sta dibattendo rappresenta sicuramente un nuovo modo di affrontare la politica economica del Paese. In molti dell'opposizione hanno approfittato negli ultimi giorni per fare facile sarcasmo sui tempi con i quali il Consiglio dei ministri ha dato il via all'approvazione di tale importante documento. Credo, invece, che si tratti di una prova dell'efficienza necessaria e dovuta per fornire risposte concrete ai cittadini, ormai troppo stanchi dei ritardi secolari e delle spesso estenuanti fasi di concertazione, di cui in precedenza si è probabilmente troppo abusato, al solo fine di nascondere difficoltà di coalizione piuttosto che incapacità nel dare soluzioni reali ai problemi del Paese.
Ho qualche dubbio sulla serietà del dibattito politico quando sento dai colleghi dell'opposizione disegni apocalittici sullo scenario in cui verserebbe lo stato economico del Paese. Non si può ignorare chi ha governato questo Paese e chi ha portato la situazione a questo punto critico della politica economica. Tutti potranno comprendere che la stesura di un documento di tale importanza e di così elevata ampiezza e con contenuti metodologici nuovi non può che essere stata, invece, realizzata attraverso numerosi studi, confronti e approfondimenti che speravo, e che mi auguro ancora, di trovare anche nel corso della discussione parlamentare.
Il DPEF in discussione è comunque e soprattutto l'immediata concretizzazione di una parte importante del programma di questo Governo, un programma che gli italiani hanno liberamente scelto, ad amplissima maggioranza, per poter vedere realizzato quello di cui hanno bisogno, e che vogliono subito. È un programma scelto per uscire dall'abisso della retrocessione, dalla difficoltà verso cui il Paese si era incamminato negli ultimi anni ad una velocità più forte e più netta rispetto al resto del continente.
Nei giorni scorsi, dopo la presentazione del DPEF, si è molto parlato di alcuni contenuti dello stesso con una grande polemica mediatica, creata probabilmente ad arte, rispetto ad esempio al tasso di inflazione programmato ipotizzato all'1,7 per cento. È certo che tutto questo può servire per non ascoltare il vero problema e il vero senso di quello che sta, invece, realmente accadendo.
Negli anni, infatti, eravamo abituati ad assistere alla presentazione del DPEF di giugno che spesso, all'effettiva partenza della manovra finanziaria, risultava già superato dagli eventi - questi sì velocissimi - del contesto economico italiano, europeo e spesso mondiale. Oggi il Governo, che voglio ringraziare per questo, ha scelto di presentare insieme al DPEF una parte rilevante, importante e copiosa della manovra finanziaria che, attraverso un procedimento legislativo, mette subito in atto i tratti rilevanti della politica economica e fiscale che i cittadini si aspettano. Questo fatto è stato evidenziato positivamente anche dal rappresentante della Corte dei conti nel corso dell'audizione svoltasi in Commissione sull'argomento.
Il Governo, inoltre, ha scelto di proporre un documento che non si ferma solo al 2009, ma getta le basi concrete per una politica economica di tutto il prossimo triennio, della quale siamo fortemente sostenitori e pienamente convinti. Insieme alle immediate risposte per i cittadini, il documento contiene tutte le azioni necessarie per dar seguito agli impegni assunti dal nostro Paese nei confronti dell'Europa, anche, vale la pena ricordarlo, dal precedente Governo Prodi.Pag. 20
Nell'Europa, non possiamo dimenticarlo, esiste un'elevata inflazione, un basso sviluppo reale, un aumento della disoccupazione e un'accelerata crescita del costo del denaro. Il problema della nostra economia però, purtroppo, non è solo questo in quanto si è aggiunto, da qualche tempo, il problema forte della speculazione, situazione già da tempo compresa e anticipata dal nostro Ministro dell'economia italiano.
Oggi stesso, mentre venivo in auto a Roma, ascoltavo degli esperti alla radio che parlavano di un'ipotesi in cui il prezzo del greggio verrà raddoppiato da qui ai prossimi mesi. Sono necessari, quindi, atti politici dell'Unione europea per affrontare tale situazione speculativa, che sono convinto essere attualmente una delle principali componenti responsabili della crescita del prezzo del petrolio e dei beni alimentari.
L'aumento generalizzato dei prezzi sta mettendo in seria difficoltà le famiglie, soprattutto le fasce più deboli, per cui è necessario porre un rimedio immediato come quello derivante, ad esempio, dagli effetti della Robin Hood tax. Uno dei nostri impegni, ribadito chiaramente nel DPEF che approveremo a breve, è quello di discutere e di escludere l'introduzione di nuove imposte. In questo caso, infatti, si tratta di una manovra di perequazione tributaria mirata a colpire gli extraprofitti, legati anche alle questioni speculative in atto a cui ho precedentemente fatto riferimento. Tali profitti verranno impegnati esclusivamente per aiutare chi ha più bisogno, attraverso l'ormai noto meccanismo della distribuzione delle tessere anonime.
Non è tutto. Il Governo ha preannunciato che presenterà a breve un testo per completare gli obiettivi che intende realizzare nel prossimo triennio, con particolare riferimento al cosiddetto federalismo fiscale, che sarà una vera svolta per la politica economica e sociale di questo Paese.
Per tornare al DPEF, va segnalato come venga evidenziato in esso il divario esistente tra il Paese e l'area euro, dove nonostante risultati migliori del previsto ottenuti nei primi mesi dell'anno - che sono il sintomo della nuova fiducia dei cittadini nei confronti di questo Governo - la crescita è stimata pari a solo lo 0,5 per cento rispetto all'1,7 per cento dell'area euro, con un importante divario tra nord e sud del Paese.
Le azioni correttive necessarie e poste alla base del documento in discussione appaiono, quindi, assolutamente da realizzare nel più breve tempo possibile, anche se in alcuni casi saranno veramente difficili da compiere, soprattutto se vogliamo realizzare il prezioso obiettivo del pareggio di bilancio per il quale siamo impegnati con i cittadini insieme al Governo.
Sono sicuro che riusciremo, attraverso queste azioni e il necessario confronto parlamentare, a raggiungere gli obiettivi posti e a ridare fiducia al Paese e benessere alle famiglie (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Coscia. Ne ha facoltà.

MARIA COSCIA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, sottosegretario Vegas, con questo primo Documento di programmazione economico-finanziaria il Governo lascia irrisolta la vera emergenza: il recupero del potere d'acquisto dei redditi fissi, ossia dei lavoratori dipendenti e dei pensionati, e non affronta l'altra priorità fondamentale, quella della crescita economica. Dal DPEF e dal decreto-legge n. 112 del 2008, infatti, non si evince alcuna misura credibile in tale direzione. Vi sono inoltre altri due aspetti importanti che connotano la manovra come una manovra depressiva: si aumenta la pressione fiscale dello 0,2 per cento e si riducono le spese per gli investimenti; esattamente il contrario di quanto sarebbe necessario fare per rilanciare l'economia, nonché il contrario di quanto è stato promesso in campagna elettorale e propagandato con i primi provvedimenti del Governo.
Sul versante della riduzione della spesa pubblica sono presenti tagli pesantissimiPag. 21per le regioni e gli enti locali che, associati alle minori entrate derivanti dall'abolizione dell'ICI, per quanto riguarda in particolare i comuni, daranno luogo ad un effetto drammatico, non solo sullo sviluppo, ma anche sulla tenuta di servizi fondamentali, come gli asili nido, le scuole dell'infanzia, le mense scolastiche, gli interventi per il diritto allo studio dei bambini con disabilità e per quelli in condizioni sociali ed economiche disagiate. I tagli provocheranno un inevitabile aumento delle tariffe a carico delle famiglie che, già in difficoltà ad arrivare alla quarta settimana, si troveranno ora in grave difficoltà ad arrivare alla terza.
Ai tagli che comportano ricadute così negative sui servizi gestiti dagli enti locali, si aggiungono i tagli riferiti a settori vitali per il nostro Paese, quali la scuola, l'università e la ricerca. Per quanto riguarda la scuola, le misure accennate nel DPEF e concretizzate con il decreto-legge n. 112 del 2008, sono assurdamente in contraddizione con quanto affermato nelle linee programmatiche illustrate in VII Commissione dal Ministro Gelmini che, a proposito del contenimento della spesa pubblica, ha testualmente affermato: «la coperta è corta, ma la scuola è una priorità, non è un capitolo di bilancio qualsiasi, da essa dipende il futuro del Paese, bisognerà tenerne conto». Il Ministro Gelmini si anche è guadagnata i titoli dei telegiornali e dei giornali con l'affermazione che gli insegnanti italiani hanno stipendi da fame e che l'impegno prioritario del Governo sarebbe stato quello di aumentarli: bene! Tuttavia le risposte concrete sono state invece tagli e ancora tagli indiscriminati agli organici del personale e l'assunzione solo della metà dei precari programmata dal Governo Prodi. I fatti dimostrano che, come ci ha abituato questo Governo in altri settori, sono stati lanciati solo degli spot, anche nella scuola.
Noi non siamo insensibili al tema della riduzione della spesa pubblica, tant'è che già con la legge finanziaria per il 2008 il Governo Prodi aveva definito un piano di riduzione consistente, in tre anni, di posti di docenti e di collaboratori scolastici, però con un lavoro molto attento, minuzioso e paziente di verifica della sostenibilità. L'attuale Governo, invece, ha aggiunto tagli indiscriminati per ben 87 mila posti di docenti e 43 mila posti di amministrativi, tecnici e bidelli, non garantendo così neanche i livelli minimi delle attività didattiche e di supporto. «La coperta è corta» affermava il Ministro Gelmini in Commissione «ma la scuola è una priorità, non è un capitolo di bilancio qualsiasi»: è incredibile come, a distanza di pochi giorni, il Ministro abbia raccontato in un'intervista un'altra storia, e si sia allineata alle decisione del vero Ministro dell'istruzione, il Ministro Tremonti. Sono ben 7 miliardi 832 milioni di euro che vengono sottratti alla scuola pubblica che, se confermati, comporteranno ad esempio una drastica riduzione del tempo pieno nella scuola primaria, perché il taglio del 34,7 per cento degli insegnanti riguarderà le scuole elementari. Così le famiglie italiane non solo non avranno le tasse ridotte, ma aumentate, non solo avranno le tariffe scolastiche per i servizi scolastici aumentate, ma avranno anche il tempo pieno tagliato, con tutte le gravi conseguenze che ciò comporta sull'organizzazione della vita quotidiana e sulla conciliazione tra il lavoro e la scuola dei figli. In particolare, le famiglie più in difficoltà avranno una vita ancora più dura; penso ai bambini con disabilità e a quelli svantaggiati da difficoltà economiche e sociali, rispetto ai quali verrà messo in discussione il diritto allo studio e alle pari opportunità: altro che la valutazione equa del merito! Eppure, la nostra scuola elementare è considerata tra le migliori del mondo: seconda in Europa e ottava nel mondo per la lettura.
Che ne sarà dell'elevamento dell'obbligo scolastico a sedici anni?
Si tratta di un'innovazione fondamentale introdotta dal Governo Prodi e dal Parlamento con la legge finanziaria per l'anno 2008 per superare le criticità, elevare la qualità della nostra scuola superiore e portarla ai livelli europei.
Che dire, inoltre, dell'educazione degli adulti che si vuole azzerare, nonostante gliPag. 22obiettivi europei di Lisbona, per il cui raggiungimento il Governo Prodi aveva gettato le basi? Con un decreto-legge si vuole espropriare il Parlamento delle sue competenze legislative sulla scuola, rinviando ad un piano l'applicazione concreta dei tagli. È previsto che il piano sia approvato direttamente dal Governo, sentite le competenti Commissioni parlamentari e la Conferenza unificata in soli quarantacinque giorni, compreso il mese di agosto.
Sono, inoltre, previsti dei regolamenti anche in deroga alla legislazione vigente, con i quali si vuole surrettiziamente varare una vera e propria riforma ordinamentale e organizzativa della scuola senza neanche il parere del Parlamento. Ci troviamo di fronte ad un tentativo di portare avanti un vero e proprio colpo di mano che, ci auguriamo, il Parlamento non consentirà.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

MARIA COSCIA. Noi ci avvarremo di tutte le nostre prerogative per contrastare un decreto-legge che vuole infliggere un colpo durissimo alla scuola del nostro Paese come all'università e alla ricerca. Mi auguro, dunque, che il Parlamento modifichi radicalmente i provvedimenti in esame accogliendo le proposte da noi presentate relativamente al DPEF e che presenteremo con riferimento al decreto-legge n. 112 del 2008 (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Simonetti. Ne ha facoltà.

ROBERTO SIMONETTI. Signor Presidente, membri del Governo e colleghi, la strategia di bilancio individuata dal Governo è certamente innovativa sia nei contenuti, sia nei tempi. Per la prima volta, infatti, la manovra sarà anticipata nelle sue linee essenziali già a prima dell'estate e prenderà la forma organica di un piano triennale di stabilizzazione della finanza pubblica.
Ci sarà, pertanto, per la prima volta una convergenza tra parte progettuale e parte attuativa realizzata grazie al pacchetto di provvedimenti legislativi collegati alla manovra stessa. Quest'ultima, infatti, sarà suddivisa in quattro parti e avrà una caratteristica triennale con effetto immediato, dato che le due leggi economiche saranno varate entro luglio e concretizzeranno le azioni necessarie per la realizzazione degli obiettivi.
Inoltre, è la prima volta che è definita contestualmente al DPEF una manovra in grado di conseguire gli obiettivi fissati nel Documento stesso per gli anni oggetto di programmazione. Ciò porterà più certezza, credibilità e maggiore controllo da parte sia dei cittadini, sia degli operatori economici.
Oltre alle due leggi economiche il DPEF si compone del disegno di legge delega per il federalismo fiscale (fortemente voluto dalla Lega Nord) e del codice delle autonomie. Il Documento di programmazione relativo alla manovra di finanza pubblica per gli anni 2009- 2013 fonda le sue radici su quattro strategie mirate: la riduzione del costo complessivo dello Stato, senza mettere le mani nelle tasche dei cittadini con nuove tasse e senza ridurre i servizi e le garanzie sociali essenziali; rendere più efficace l'azione della pubblica amministrazione prendendo come assioma che è lo Stato a servizio del cittadino e non viceversa; ridurre il peso burocratico che grava sulla vita dei cittadini attraverso la semplificazione normativa e burocratica; spingere l'apparato economico verso lo sviluppo attraverso interventi specifici. Riassumendo, quindi, si tratta di interventi di sostegno allo sviluppo economico, di stabilità dei conti pubblici e di promozione della coesione sociale attraverso il federalismo fiscale.
Parte della manovra si basa sulla perequazione tributaria attraverso la rimodulazione della base imponibile di alcuni settori ad alto profitto (quali banche, assicurazioni ed industrie operanti nel settore dell'energia), l'armonizzazione del regime fiscale delle cooperative e l'eliminazione del regime di favore fiscale per gli extra compensi. L'extragettito derivante sarà destinato all'attivazione di un fondo aPag. 23favore dei più disagiati, ovvero la cosiddetta social card per i generi alimentari e per il pagamento delle bollette.
Il piano industriale per la pubblica amministrazione si basa sulla riorganizzazione mediante una filosofia basata su meritocrazia, innovazione e trasparenza per raggiungere adeguati livelli di efficacia e di efficienza. Oltre a ciò, per il triennio 2009-2011, si vogliono attuare miglioramenti quantificabili in un risparmio di circa un punto percentuale l'anno di prodotto interno lordo. Meno burocrazia, più digitale e accelerazione dei processi di innovazione porteranno nel 2012 ad una riduzione degli oneri amministrativi del 25 per cento, conseguendo così un aumento potenziale di 1,7 punti percentuali del PIL.
La semplificazione della macchina-Stato è tesa a produrre effetti positivi per famiglie, cittadini e soprattutto imprese, anzitutto sotto il profilo economico. Ciò si attuerà in diversi modi: vi è il «taglia-leggi», ossia il decreto-legge n. 112 del 2008, che individua tutte le norme che saranno considerate abrogate, il «taglia-tempo», che garantisce la certezza dei tempi di conclusione dell'iter burocratico, il «taglia enti inutili», che prevede la semplificazione dei controlli amministrativi a carico delle imprese (nel decreto-legge n. 112 del 2008 vi è un articolo rubricato «Impresa in un giorno») e la semplificazione in materia di lavoro, salute e fisco.
Per il lavoro, viene abolito il divieto di cumulo tra pensione e redditi da lavoro, sia autonomo sia dipendente. Per quanto riguarda la semplificazione, essa è prevista in campo fiscale ed è tesa a ridurre gli adempimenti dei contribuenti. Ricordo, per esempio, la soppressione dell'obbligo della trasmissione dell'elenco dei fornitori e dei clienti, della disposizione che prevedeva per i professionisti l'obbligo di accendere un conto corrente dedicato all'attività professionale e, soprattutto, della normativa riguardante la tracciabilità dei pagamenti relativi ai compensi professionali.
Importante è anche l'anticipazione della pubblicazione degli studi di settore. Gli interventi per lo sviluppo saranno finalizzati a concretizzare un'azione mirata a promuovere il Paese in modo duraturo. Le iniziative, peraltro già inserite - come dicevo - nell'articolato del decreto-legge n. 112 del 2008, riguarderanno la concentrazione degli interventi FAS per infrastrutture energetiche, reti di telecomunicazione, sicurezza, tutela dell'ambiente, trattamento dei rifiuti e internazionalizzazione delle imprese. Inoltre, si prevede di riformare il processo civile attraverso l'introduzione del sistema di comunicazione e notifica telematica e di ripartire con la produzione di energia nucleare, attraverso la definizione delle tipologie degli impianti e la valutazione dei criteri di localizzazione dei siti.
Si dovrà attuare la liberalizzazione dei servizi pubblici locali. Inoltre, sono previsti il sostegno alle reti di comunicazione a banda larga, il rafforzamento dei distretti, nuovi fondi per l'innovazione destinati alla realizzazione di iniziative produttive ad elevato contenuto tecnico.
È importante ricordare il piano casa, per la realizzazione di un incremento del patrimonio immobiliare ad uso abitativo, da destinarsi come prima casa alla fascia più debole della società.
Punto cardine politico ed economico del presente Documento di programmazione economico-finanziaria è l'attuazione dell'articolo 119 della Costituzione, il cosiddetto federalismo fiscale. Collegato al presente Documento, difatti, verrà predisposto un disegno di legge delega, da approvarsi entro il termine della sessione di bilancio, che disciplinerà la perequazione delle risorse finanziarie per i territori con minor capacità fiscale, nonché i principi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, stabilendo la compartecipazione delle regioni e degli enti locali al gettito di tributi erariali riferibili al loro territorio e garantendo la loro autonomia di entrata e di spesa.
Tutto ciò non dovrà comportare, ovviamente, né aumenti della spesa pubblica né inasprimenti dell'imposizione fiscale sui cittadini. Questo, oltre a dare finalmentePag. 24giustizia ai territorio virtuosi, che producono reddito, assicurerà la correlazione tra prelievo fiscale e beneficio connesso ai servizi offerti sul territorio, oltre alla massima trasparenza ed efficienza nelle decisioni di entrata e di spesa, in modo da valorizzare il controllo democratico dei cittadini e aumentare la responsabilità degli amministratori.
Il decentramento offre la possibilità di calibrare l'offerta di servizi ai bisogni delle collettività locali e, nel contempo, consente agli elettori di giudicare con più immediatezza la qualità dell'azione politica. Per realizzare questi benefici occorre che il decentramento sia formato su un sistema di responsabilità chiaro e coerente. L'autonomia fiscale dei governi locali, l'adeguatezza e la trasparenza dei flussi perequativi e vincoli severi all'indebitamento sono i tasselli fondamentali di tale sistema. Queste sono parole che - colgo l'occasione per riportarle all'Assemblea - ha adottato il governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, nell'audizione svolta presso le Commissioni bilancio riunite di Camera e Senato.
Quindi, possiamo affermare che, dopo vent'anni di proposta politica della Lega Nord, fa veramente piacere leggere in testi legislativi come quelli in esame, ciò che la Lega da sempre scrive nei suoi programmi elettorali, cioè la necessità di attuare un vero federalismo fiscale e istituzionale in questo Paese.
Concludendo, il DPEF conferma l'obiettivo del pareggio di bilancio nel 2011, nonostante la difficile situazione congiunturale, e lo fa senza mettere le mani nelle tasche dei cittadini, come invece fu fatto nei due anni precedenti.
Difatti, per il primo anno del triennio vi è solo la perequazione tributaria di banche, assicurazioni e imprese legate al mondo energetico, mentre per il restante biennio la manovra si basa esclusivamente sui tagli alla spesa pubblica e alla riorganizzazione dello Stato. Quindi, più sviluppo, più innovazione, meno Stato e burocrazia, attuazione del federalismo fiscale, sono le risposte legislative che la Lega Nord dà alle esigenze del territorio, dei cittadini e a quanto promesso in campagna elettorale (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Mario Pepe (PD). Ne ha facoltà.

MARIO PEPE (PD). Onorevole Presidente, colleghi deputati, la lettura del Documento di programmazione economico-finanziaria non ha suscitato, caro sottosegretario, grandi entusiasmi sia perché non sono individuate a sufficienza le vie che si vogliono percorrere per risanare e stabilizzare la finanza della pubblica amministrazione, sia perché non si riesce a vedere la soluzione dei problemi che riguardano il nostro Paese: la precarietà dei redditi e dei salari, l'inflazione crescente, le categorie della macroeconomia sempre più onerose, il sistema e la qualità della vita che evidenziano sempre più diffuse povertà.
L'introduzione del DPEF è una pagina tutta parenetica, un invito ad uscire dalle nostre difficoltà, dai problemi che appesantiscono il ritmo della vita del nostro Paese. È un'introduzione che può anche persuadere sul piano culturale ma che non ha effetti concreti sulle dinamiche dello sviluppo. Si tratta, quindi, di un DPEF approssimativo, incolore, insignificante, che vuole baldanzosamente affrontare due temi: rilanciare la crescita economica e lo sviluppo del Paese e attutire gli effetti della precarizzazione crescente. Esso offre una soluzione piatta, senza orizzonti, senza slancio e prospettive, tralasciando i settori produttivi del Paese, le dinamiche dello sviluppo, le interconnessioni con le economie europee e internazionali. È la prima volta - lo dobbiamo dire - che il DPEF assume una forma incomprensibile, un pocket-book pieno di affermazioni tautologiche che non hanno un'interpretazione dialettica forte ed una uscita sicura e precisa dalle condizioni nelle quali ci troviamo a vivere.
Il DPEF verrà accompagnato da provvedimenti legislativi che saranno parte integrante e di attuazione di una leggePag. 25finanziaria che verrà, per cui ci troviamo di fronte a due modalità di concepimento della legge finanziaria: una annunciata con ulteriori deleghe che bisogna affidare al Governo, l'altra che metterà a frutto le poste del Bilancio, alla luce anche della Relazione unificata per l'economia e la finanza (RUEF). Insomma uno stato normativo che viene annunciato nel DPEF, caotico, fatto di ulteriori sovrapposizioni, come si vede nel decreto-legge 25 giugno 2008, n.112, e asimmetrico rispetto alle questioni che interessano l'Italia. Ritengo che manchi quella visione culturale e politica cui pure si fa riferimento a pagina dieci del DPEF; è una visione, dopo un'attenta lettura, anchilosata, solo asseverativa ma non interessante.
Il quadro economico punta a risolvere il rapporto tra debito pubblico e deficit annuale, anche se registriamo molte incertezze. La scansione temporale che il Documento si dà prevede che il debito pubblico si attesterà al 90 per cento nel 2013, ma non dimentichiamo che il tasso di disoccupazione aumenterà oltre il 5 per cento nel triennio considerato e che il cosiddetto differenziale SFA (stock flow adjustment) sarà sempre più considerato alla luce delle scelte economiche e finanziarie che farà il Governo. Mi auguro, quindi, che il Governo non depotenzi le capacità legislative del Parlamento e che non si riduca tutto ad una decretazione d'urgenza. Non manca nel Documento l'indicazione di interventi per lo sviluppo, che vengono annunciati in maniera lineare senza un'argomentazione valida, ma soltanto enunciati come capitoli di un DPEF ancora da scrivere, perché i settori produttivi, le infrastrutture materiali ed immateriali, i servizi sociali e sanitari, le indicazioni sulla formazione, sulla ricerca sono tenuti lontano nella stesura del Documento stesso.
Vi è una sola citazione per il sud, ritenendo che la Banca del Mezzogiorno sia la soluzione magica che risolve improvvisamente i problemi che affliggono le comunità meridionali. Giustamente il governatore Draghi in alcune considerazioni ribadisce che gli spazi di crescita sono molto più ampi al sud che al nord; azioni volte a sfruttarli possono dare un contributo decisivo al rilancio di tutta l'economia italiana. Si tratta di un'affermazione interamente condivisibile, anche se non suscita attenzione e recepimento nei responsabili del Governo.
Un tema evocato nel DPEF è quello relativo al federalismo fiscale, argomento molto gettonato nella pubblicistica corrente e dottrinaria. Tutto sarà affidato ad un disegno di legge delega a cui sarà peraltro conferito il compito di trovare una sintesi tra federalismo fiscale e regionalismo solidale.
L'articolo 119 della Costituzione deve essere argomentato e articolato bene, altrimenti rischiamo di rendere povere le regioni più povere e quelle ricche ancora più esuberanti. Non ci sarà molta crescita nel Paese in questo anno - lo dobbiamo dire - per le difficoltà strutturali e generali che interessano l'Europa, ma non è con la social card (mi ricorda la tessera annonaria dopo la guerra) che si risolvono i problemi dell'incremento del reddito e delle pensioni e, soprattutto, le difficoltà occupazionali dei giovani.
Il Mezzogiorno nel federalismo fiscale deve crescere e svilupparsi, altrimenti rischiamo di rendere incontrollabile la tenuta sociale del nostro Paese. Dovremo attendere ulteriori provvedimenti, come viene dichiarato a pagina 43 del DPEF, che renderanno più leggibile tutta la manovra e daranno concretezza alle scelte che il Governo vorrà fare. Non trovo quelle considerazioni e quegli afflati di modernizzazione che il Ministro Tremonti nel libro La paura e la speranza aveva argomentato; ritrovo molte attese fobiche, molta incertezza e intricate difficoltà nel volgere lo sguardo verso l'orizzonte. Non so quale sarà il soft landing, l'approdo sicuro e consolatorio verso il quale ci porterà il Ministro Tremonti. Il DPEF, tanto conclamato pamphlet, rappresenta il nuovo documento ideologico del Ministro dell'economia e delle finanze, o, se volete, il manifesto della destra girondina che vuole affermare l'autorità governante e non democratica del nostro Paese. L'augurio, signorPag. 26Presidente, è che il novello Robin Hood non ci faccia smarrire nelle foreste numeriche di Sherwood.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Vico. Ne ha facoltà.

LUDOVICO VICO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, rappresentanti del Governo, il DPEF viene approvato dalle Camere mediante una risoluzione con la quale si impegna il Governo sui saldi ed eventualmente sui contenuti della manovra. Il DPEF è una decisione vincolante per la fase di bilancio che naturalmente è successiva. Il concetto per cui tale fase è successiva rappresenta una prerogativa parlamentare, persino sancita dall'articolo 81 della Costituzione. Questa volta è la manovra che anticipa e, quindi, vincola il DPEF. La politica del Governo che si illustra nel DPEF non è all'altezza dei problemi del Paese, perché non affronta assolutamente due priorità. La prima è l'anemia della produttività (vedi la tavola II. 6), mentre la seconda priorità non affrontata è la perdita di potere di acquisto dei salari e delle pensioni (vedi l'obiettivo dell'inflazione programmata per l'anno in corso e dal 2009 in poi, a cui si aggiunge la stretta monetaria della BCE).
In queste ore il Ministro dell'economia e delle finanze, onorevole Giulio Tremonti, all'Ecofin e alla Commissione europea sta avanzando la richiesta di ricorso all'articolo 81 del Trattato istitutivo della Comunità europea, perché si adottino gli strumenti più idonei tesi a stroncare le manovre speculative sul petrolio e sul cibo.
In questo modo il Ministro Tremonti muove un pensiero lungo sul cosiddetto fronte esterno. Nella sostanza, egli sostiene che, di fronte allo shock dei prezzi delle materie prime e dei prodotti agricoli, il Governo italiano non possa fare nulla a causa dei vincoli di bilancio. Inoltre, il Ministro Tremonti sostiene che bisogna agire sul fronte esterno, che occorre mobilitare i Governi europei contro la speculazione, afferma che bisogna sperare nel successo della lotta alla peste speculativa e poi, aggiunge, se il PIL nazionale sale, il Ministro tornerà ad occuparsi del Paese e del fronte interno.
Prescindendo dalla possibilità concreta del ricorso all'articolo 81 del Trattato istitutivo della Comunità europea e dalle cause dello shock, se risiedono nei cartelli o nelle posizioni dominanti, resta il fatto che nel Paese l'aumento del petrolio e del cibo è uno shock all'offerta e alla domanda: alla prima perché salgono i costi di produzione, alla seconda perché viene aggredito il potere di acquisto delle famiglie.
Si afferma che, quando si verifichino tali situazioni di shock sulla domanda e sull'offerta, non si ricorra ai pensieri lunghi e alle politiche monetarie, ma si debba ricorrere alle politiche fiscali. I manuali affermano che bisogna mettere mani alla riduzione delle imposte sui redditi da lavoro: quindi, è necessario un intervento sui salari e sulle pensioni per dare sollievo alla domanda e, dal lato dell'offerta, determinare una diminuzione dei costi di produzione.
Tra gennaio e maggio i consumi sono scesi dell'1,9 per cento. L'inflazione a giugno è stata del 3,8 per cento. Il fiscal drag torna a corrodere la busta paga. I salari crescono in maniera nominale, crescono gli scaglioni del reddito e il prelievo fiscale diventa letale. Superato il 2 per cento di inflazione - così fu stabilito nel lontano 1989 - il fiscal drag va restituito ai lavoratori.
In sette anni quel prelievo ha reso i lavoratori creditori di 1182 euro e, nel solo 2008 secondo i dati della CGIL, i lavoratori e i pensionati saranno creditori mediamente di 220 euro.
Dunque, per sostenere il potere di acquisto dei redditi da lavoro e da pensione e risolvere l'impasse, il Partito Democratico propone e suggerisce al Governo due mosse: la prima, portare l'inflazione programmata al livello massimo compatibile con il mandato della BCE, innalzare le detrazioni fiscali sui redditi da lavoro e da pensione per un importo medio di 250 euro, corrispondente ad un punto di inflazione per un reddito di 25 mila euro l'anno.Pag. 27
Concludo con una domanda e una risposta. Come finanziare queste maggiori detrazioni? Risposta: con il ripristino delle principali misure di contrasto all'evasione, la cui eliminazione viene correttamente scontata dagli uffici del Ministero dell'economia e delle finanze nella previsione del gettito da imposte indirette.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Capitanio Santolini. Ne ha facoltà.

LUISA CAPITANIO SANTOLINI. Signor Presidente, signori membri del Governo e onorevoli colleghi, come ogni anno siamo arrivati a discutere il DPEF in Assemblea: sembrerebbe normale amministrazione e, invece, non lo è. È «straordinaria amministrazione». Infatti, com'è noto, dopo avere varato un decreto-legge fiscale, quest'anno per la prima volta il DPEF è accompagnato da un decreto-legge che anticipa i contenuti della legge finanziaria e declina le politiche economiche del Governo per tre anni. Si tratta di un DPEF da leggere con molta attenzione, perché questa volta la manovra non riguarderà solo il 2009, ma sarà decisivo per gli anni a venire. Dunque, vediamo di cosa si tratta, qualcosa che non è discutibile perché sono i numeri e i fatti a parlare.
Primo punto: la pressione fiscale non diminuirà sino al 2011 e sarà la stessa del Governo Prodi, circa il 43 per cento del PIL.
Vale la pena ricordare che il Presidente del Consiglio, in campagna elettorale, aveva detto ben altro, cioè aveva promesso che progressivamente avrebbe ridotto le tasse, fino ad arrivare al di sotto del 40 per cento del PIL.
Punto secondo: il tasso di crescita dell'Italia previsto per i prossimi anni è modestissimo, è lo stesso Governo ad affermarlo (meno dell'1,5 per cento del PIL, molto al di sotto della media europea).
Terzo punto: la lotta agli sprechi, che riguarda da vicino anche il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca. Eravamo tutti in attesa di tagli, con relativi obiettivi di risparmio, che fossero differenziati, non solo dal punto di vista geografico, ma anche in base a criteri che individuassero differenti situazioni e differenti spese, che non sempre si possono chiamare sprechi. Ebbene, la scelta è stata quella di tagli generalizzati e proporzionali alla spesa storica, con reali rischi di tagliare dove, invece, si possono creare danni e ingiustizie.
Lascio ad altri colleghi il quarto punto, che riguarda la sicurezza e i tagli alle risorse alle forze dell'ordine, con buona pace delle promesse fatte di garantire agli italiani maggiore giustizia e minore criminalità.
Va detto, a commento del provvedimento in esame, che siamo tutti d'accordo, credo, sull'obiettivo di rispettare gli impegni assunti in sede europea, cioè arrivare al pareggio di bilancio nel 2011, e siamo tutti d'accordo, credo, che gli sprechi della pubblica amministrazione vadano combattuti. Tuttavia, il Governo ha scelto una strada del tutto criticabile e, soprattutto, non mantiene le promesse fatte.
Dal mio punto di vista, che il Governo tradisca le promesse elettorali è un problema dell'Esecutivo, di cui dovrà rispondere agli italiani. Ciò che mi preoccupa, e molto, è il fatto che sul fronte delle famiglie proprio non ci siamo: non solo non diminuiranno le tasse, ma nulla è previsto, quanto a misure serie e strutturali, per riconoscere alle famiglie la presenza di carichi familiari.
Si ha la sgradevole sensazione che la famiglia sia ancora una volta espunta dall'agenda della politica e non tranquillizzano le reiterate assicurazioni di vari Ministri, relativamente al fatto che in autunno il Governo affronterà il problema famiglia e introdurrà misure di sostegno per le famiglie con figli.
Nel DPEF e nel decreto allegato sulla famiglia non c'è nulla e questo è l'unico dato che abbiamo a disposizione. La famiglia sta diventando una grande sfida, è il grande rebus dell'attuale legislatura, ma per ora non pare una preoccupazione centrale e orientativa di tutti quei dicasteri che, con la loro azione, agiscono sul benessere e sul futuro delle famiglie (miPag. 28riferisco ai Ministeri dell'economia e delle finanze, dell'istruzione, dell'università e della ricerca, e a quello del lavoro, della salute e delle politiche sociali).
Ripetiamo fino alla noia a tutti i Governi che siamo al suicidio demografico, al suicidio sociale e al suicidio culturale, come afferma il professor Donati e che le varie emergenze sono quelle che incrociano le famiglie (emergenza dell'educazione, emergenza della natalità, emergenza sul fronte della compatibilità dei tempi del lavoro e dei tempi della famiglia, emergenza invecchiamento, emergenza sociale per la carenza di servizi che aiutino le famiglie, emergenza anziani non autosufficienti, emergenza disabili, emergenza futuro che viene negato ai giovani, emergenza mobilità sociale).
Le povertà, oggi, sono essenzialmente familiari, come afferma l'ISTAT, e non possiamo non richiamare il fatto che il «fare famiglia» costituisce il fattore più elevato di rischio di impoverimento (non lo dico io, lo dicono i dati ufficiali). Questo tremendo ciclo di deprivazione collettiva sta alla base del declino dell'Italia, afferma il professor Donati, e molti economisti sono d'accordo con lui.
La Commissione affari sociali della Camera, nella scorsa legislatura, al termine di un'indagine conoscitiva sulle famiglie, si è espressa chiaramente in questo senso e ha proposto di porre mano a politiche familiari concrete e urgenti, non rimandate a tempi lontani e nebulosi.
Il Ministro Tremonti ne è consapevole? Il Premier Berlusconi se ne rende conto?
Sappiamo bene che molti Ministri si pronunciano spesso a favore di interventi attivi per le famiglie, ma le famiglie sono stanche di riassicurazioni e di promesse e francamente vorrebbe sentirsi dire, in modo concreto e realistico, cosa il Governo intende fare a partire dal DPEF e dal relativo decreto collegato.
Viene da porre la seguente domanda: che fine ha fatto il milione e mezzo di firme che sono state raccolte dal Forum delle famiglie e depositate nelle mani del Presidente della Repubblica? Dove sono andati i provvedimenti promessi dai Presidenti della Camera e del Senato in quell'occasione? Il Governo ritiene che gli interventi di equità fiscale per le famiglie siano un consumo, una spesa oppure un investimento sociale?
In base al Rapporto annuale ISTAT, una donna su tre non riesce a mettersi alla ricerca di lavoro, perché è oberata da impegni familiari. Questo dato è degno di rientrare in una legge finanziaria o no? Metà dei nuclei familiari vive con meno di 1.900 euro al mese, una famiglia su tre non riesce a far fronte alle spese impreviste, una su sei afferma di non arrivare alla fine del mese e, come al solito - sempre secondo i dati ISTAT -, la povertà è correlata al numero dei figli. Questo è degno di risposta da parte di un DPEF e di una legge finanziaria o no?
Luigi Biggeri, presidente dell'ISTAT, dichiara: «Investimenti e consumi delle famiglie sono fermi o in regresso. Affinché gli uni e gli altri tornino a crescere e, in particolare, aumenti il reddito disponibile delle famiglie maggiormente in difficoltà occorrono interventi energici». Qui siamo al silenzio. L'allarme famiglia potrebbe continuare. Del resto, sono dati a disposizione di tutti: basta volerli leggere e farsene carico. Nel DPEF non vi è neppure un cenno alle attese delle famiglie: si preannunciano tagli generalizzati - di cui in parte ne faranno le spese le famiglie - e la certezza che le tasse non caleranno. A quando il promesso «quoziente familiare»?
Siamo profondamente delusi e preoccupati e facciamo appello al senso di responsabilità di tanti esponenti del Governo per sollecitare il Premier ed il Ministro Tremonti ad un'inversione di rotta, avendo come faro quanto affermato dal demografo Francesco Billari nel presentare a Ginevra un'inchiesta appena realizzata dalla Commissione economica per l'Europa da parte dell'ONU, che ha coinvolto quindici Paesi. In quell'occasione, Francesco Billari ha affermato - e ciò risulta da questa inchiesta - che una bassa natalità non è più associata con la modernità. Felicità e natalità sono legatePag. 29in maniera positiva e i bambini sono riconosciuti come fonte della più grande soddisfazione della vita.
Siamo in attesa di risposte serie da questo Governo, che su questo fronte per ora è assolutamente latitante (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Misiti. Ne ha facoltà.

AURELIO SALVATORE MISITI. Signor Presidente, l'intervento di carattere generale, per l'Italia dei Valori, è stato già svolto dall'onorevole Cambursano, pertanto mi riferirò soltanto ad alcune questioni di carattere settoriale.
In primo luogo, devo notare che il settore dell'ambiente, che doveva costituire un capitolo specifico del DPEF, è sostanzialmente ignorato dal Documento di programmazione economico-finanziaria per gli anni 2009-2013. Nella sostanza, potrebbe apparire che, in futuro, vi sarà un assorbimento di un Ministero nell'altro - mi riferisco al Ministero delle infrastrutture e trasporti - e ciò spiegherebbe tale situazione. Tuttavia, invece, vi è un perentorio e limitatissimo riferimento ad una questione legata al tema ambientale, cioè la produzione di energia nucleare, attraverso la definizione delle tipologie d'impianti, procedure autorizzative, criteri e localizzazione dei siti.
Tale concisa enunciazione - contenuta, peraltro, in un capitolo intitolato «Interventi per lo sviluppo» - non fa alcun riferimento alle competenze delle regioni e degli enti locali in materia di governo del territorio, né alla necessaria valutazione dell'impatto ambientale degli impianti: non si definisce, infatti, in modo coerente e credibile alcun orizzonte temporale e normativo di riferimento per un'affermazione apodittica che non lascia neppure capire se ci si riferisca ad impianti di terza o di quarta generazione (come si dice oggi). Non si comprende, quindi, chi e in quale sede debba definire queste due tipologie di impianti e i criteri di riferimento, né alcun cenno è fatto alla partecipazione dei cittadini e degli enti locali al processo decisorio.
Per quanto riguarda, invece, le infrastrutture, l'allegato non contiene alcun paragrafo di riferimento settoriale, né tanto meno dedica particolare attenzione a quello che doveva essere il rilancio della politica infrastrutturale. In altri termini, vi sarebbe la necessità di 14 miliardi di euro, richiesti dal Ministro delle infrastrutture e trasporti, e sarebbero, altresì, necessari 10,6 e 11,6 miliardi di euro, rispettivamente per l'ANAS e le Ferrovie dello Stato, per un totale di 36,2 miliardi di euro. Tuttavia, è chiaro che, in quel caso, la Presidenza del Consiglio dei ministri e il Ministero dell'economia e delle finanze, avrebbero consigliato al Ministro Matteoli di procedere secondo il metodo, molto concreto, affermato dal Ministro Di Pietro, di selezionare, quando la logica seguita non è quella delle cifre, le priorità e indicare, in base al loro avanzamento, le necessità e i fabbisogni. Tale strada non è stata seguita e, quindi, come al solito, avremo sempre una scatola vuota riferita a non si sa quale obiettivo. L'allegato infrastrutture, inoltre, parla di 64 miliardi di euro per il prossimo triennio, di cui il 50 per cento dovrebbe provenire dal mondo privato. È chiaro - lo sappiamo benissimo - che dal mondo privato non verrà alcunché, perché esso interviene quando vi è certezza dell'inizio, della fine e della realizzazione delle opere.
Vi è poi una questione che, evidentemente, riguarda il nostro Mezzogiorno. Guardate bene le cifre! I sottosegretari ci comunicano alcune cose, ma in realtà vi è solo la novità del ponte sullo Stretto, questione che, evidentemente, non si riferisce a fondi precisi. Infatti, i fondi pubblici del ponte sullo Stretto sono stati già utilizzati dal CIPE. Anche i fondi ex Fintecna, destinati ad opere importanti ed infrastrutturali per la Calabria e la Sicilia, sono stati portati via e, quindi, non si hanno né quelli del ponte, né quelli delle opere infrastrutturali.
Questa non è la via giusta, perché la via giusta è quella di un bilanciamento. Il federalismo si deve attuare anche in ciò. Il federalismo, infatti, significa anche investimenti proporzionati al territorio, allePag. 30sue necessità e alla popolazione. Ma se non considerate più la questione del sud, evidentemente, questo è il risultato.
Infine, per quanto riguarda la questione dei trasporti - la quale, oggi, ci occupa terribilmente - tutti noi sappiamo benissimo cosa sta accadendo. È in atto uno sciopero terrificante; come Parlamento e come Governo dobbiamo riguardare tutto ciò che attiene alla questione del trasporto, soprattutto locale, dobbiamo dare una mano, aiutare e, quando il datore di lavoro è pubblico, impedire che intercorra un largo lasso di tempo tra la fine del contratto e il rinnovo dello stesso.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

AURELIO SALVATORE MISITI. Concludo, signor Presidente. Pertanto, ritengo che anche su questi settori si è mancato. Non parliamo, poi, della politica della casa, che è stata stravolta con una promessa - magari fatta dal Giappone - che vi sarà un grande piano casa che porterà ventimila appartamenti (o cose del genere) a 300 euro al mese. Beato chi ci crede! La comunicazione è tutto e, forse, solo nel mondo comunicativo e virtuale si possono fare queste affermazioni.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Milo. Ne ha facoltà.

ANTONIO MILO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, in qualità di rappresentante degli interessi dello sviluppo delle regioni meridionali, sono convinto che il risanamento della finanza pubblica passi in particolare per una spesa che eviti sprechi ed inefficienze, così da accrescere il volume degli investimenti strutturali. Risanare la finanza pubblica è essenziale per rilanciare la crescita e sostenerla con una fiscalità di vantaggio per l'innovazione e l'espansione della capacità produttiva, facendo leva sulla grande risorsa rappresentata dal Mezzogiorno, come sostengono anche sia il Governatore della Banca d'Italia, sia i responsabili dell'associazione nazionale degli imprenditori.
È questa la ragione per la quale il gruppo Movimento per l'Autonomia ha sottoscritto un patto di Governo che fa del Mezzogiorno l'obiettivo primario della politica di crescita dell'economia nazionale.
Non è questione di spesa pubblica clientelare, ma di rigorosa spesa produttiva, ed è in nome di tale patto che sin dai primi provvedimenti di questo Governo abbiamo esercitato una funzione di stimolo e di controllo per la realizzazione dell'obiettivo Mezzogiorno con una visione nazionale e di interesse, quindi, per tutto il Paese. Lo abbiamo fatto in occasione dell'esame e dell'approvazione del decreto-legge che ha previsto l'abolizione dell'ICI sulla prima casa, non perché fossimo contrari al provvedimento, ma perché giudicavamo la copertura del mancato introito fiscale non coerente con un punto fondamentale e prioritario del programma di Governo; tale atto, infatti, cancellava investimenti infrastrutturali nel sud, in particolare in Sicilia e in Calabria.
Abbiamo apprezzato gli impegni del Governo e vorremmo che fossero rapidamente assolti, come sollecitiamo anche in questa sede. Gli interventi per lo sviluppo economico costituiscono il nodo centrale del quadro programmatico, con concentrazione degli interventi del Fondo per le aree sottoutilizzate, a favore di settori strategici come quelli delle infrastrutture energetiche, delle reti di telecomunicazione, del trattamento dei rifiuti e della internazionalizzazione delle imprese. L'impianto, però, non deve distogliere l'attenzione dalla necessità di completare il sistema delle reti stradali, aeroportuali e, in generale, di comunicazione ancora sospese che interessano gran parte del territorio delle zone meridionali, con programmi da tempo avviati per favorire lo sviluppo dei territori coinvolti direttamente, ovvero attraversati.
Per entrare nel merito degli indirizzi del Documento di programmazione economico-finanziaria, non si può prescindere da alcune considerazioni rispetto alle misure esplicative individuate dal decreto-legge n. 112 dello scorso giugno. In tale contesto, ricordo la necessità di quantoPag. 31affermato dal sindaco di Milano, che considera l'Expo 2015 un'esposizione universale che non si riassume nei sei mesi a Milano, ma che è l'insieme delle attività, delle iniziative e degli investimenti che si realizzeranno nei prossimi sei anni. Anche in funzione di ciò, chiediamo di coinvolgere in questa road map il Mezzogiorno nelle sue diverse espressioni istituzionali, economiche e sociali.
Va altresì sottolineata l'importanza dell'incremento del patrimonio immobiliare ad uso abitativo; in funzione di questo, riteniamo che il nostro lavoro emendativo al citato decreto-legge n. 112 possa essere utile per creare margini di liquidità per tutti gli enti locali, regioni e province, destinando parte del ricavato all'estinzione dei prodotti derivati, nonché alla realizzazione di nuovi piani alloggiativi. In tale contesto, onorevole sottosegretario, noi privilegiamo finanziamenti che abbiano carattere di investimento strutturale e che non siano destinati, come avverrà per Roma Capitale, a reintegrare i soli flussi di cassa corrente, con scarsa incidenza sui livelli di crescita relativi. Sono stati questi i due aspetti fondamentali, che si riconoscono nella filosofia del DPEF, su cui abbiamo lavorato per indicare il rifinanziamento del programma legato alla missione infrastrutture pubbliche e logistica, nonché sistemi stradali e autostradali, già destinato alla realizzazione del collegamento stabile viario e ferroviario tra la Sicilia e il continente, il cosiddetto ponte sullo Stretto. Erano doverose queste considerazioni di merito rispetto al decreto-legge 112, perché esaustive del superamento di impegni da parte del Governo e della nostra progettualità politica.
Il DPEF dedica molta attenzione alla concreta realizzazione del federalismo, ma riteniamo sia necessario mettere in piedi una struttura di reale raccordo permanente tra Governo centrale e regioni. In tal senso, diventa fondamentale il metodo per dare una concreta risposta ai fenomeni di crescita interna, un sistema articolato di scelte che devono privilegiare la rotazione delle infrastrutture del Paese, la crescita delle aree sottoutilizzate, l'innovazione tecnologica, in altre parole, un'accelerazione degli investimenti. Un nuovo sistema di intervento sulla natura della spesa è inevitabile, con l'obiettivo di far lievitare la spesa strutturale e, contestualmente, comprimere quella corrente.
Signor sottosegretario, onorevoli colleghi, nel dare atto della qualità concettuale del Documento di programmazione presentato, partecipiamo, quale gruppo dell'MpA, l'esigenza di perseguire un nuovo modello di sviluppo interno al nostro Paese, aprendo la strada ad una nuova e diversa strategia di riforme, e di contemplare l'esigenza di appartenenza ad un sistema comunitario con i suoi limiti e le prerogative tutte di un territorio capace di attivare un autonomo percorso di crescita reale con stabilità, sviluppo e coesione sociale, nella sua interezza, senza alcuna forma di frazionamento culturale, storico e politico.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cesare Marini. Ne ha facoltà.

CESARE MARINI. Signor Presidente, preliminarmente chiedo alla Presidenza l'autorizzazione alla pubblicazione del testo del mio intervento in calce al resoconto della seduta odierna, in modo tale da contenerlo in due o tre minuti.

PRESIDENTE. La Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.

CESARE MARINI. Signor Presidente, la parte politica che rappresento, nella quale milito, non può approvare questo Documento, perché ci sembra che parta da un presupposto sbagliato, costituito dall'equilibrismo del Ministro dell'economia e delle finanze di volere attribuire la situazione congiunturale difficile alle forme degenerative del mercato e della globalizzazione, prescindendo da quelle che sono, invece, situazioni gravi, che si correggono con politiche economiche adeguate. In modo particolare, poi, a parte la mancata risposta allo sviluppo che tarda a innescarsi, che non c'è, e il problema serio dei salari,Pag. 32che sono insufficienti a far fronte al costo della vita, vi è una sottovalutazione del problema del Mezzogiorno che nel testo del mio intervento ho cercato di rimarcare. In esso, inoltre, pongo in rilievo che la prospettiva, non di poco conto, ma, anzi, sulla quale credo che l'intero Paese debba puntare, quella, cioè, dell'applicazione dell'Accordo di Barcellona, della costruzione di un'area di libero scambio nel Mediterraneo, non sia prevista nel Documento, ma sia del tutto estranea ad esso.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Baldelli. Ne ha facoltà.

SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, stiamo oggi affrontando questa discussione sul Documento di programmazione economico-finanziaria; una discussione importante, anche alla luce delle novità che sono state introdotte, di fatto, dal Governo Berlusconi nell'ambito della programmazione della sessione di bilancio e con l'anticipazione di una manovra di lungo periodo, che ci permette di poter guardare con più serenità alle prospettive inquadrate all'interno del DPEF.
Proveniamo da una fase di Governo, quella del Governo Prodi, in cui c'è stato un parallelismo fra l'aumento della pressione fiscale, quello delle entrate e quello delle spese dello Stato. Si tratta di uno Stato e un Governo che hanno lasciato in eredità iniziative e manovre costose per la pubblica amministrazione. Pensiamo soltanto alla questione della stabilizzazione dei cosiddetti precari del pubblico impiego: è, ancora oggi, una questione che va chiusa e chiarita, speriamo al più presto, e che potenzialmente può prevedere l'assunzione di duecentomila persone, che abbiano avuto negli ultimi cinque anni contratti con la pubblica amministrazione per tre anni o nei prossimi anni a venire. Sono questioni, quindi, che rimangono in sospeso e che vanno chiarite. In questo senso, l'attenzione importante e forte che il Governo vuole dare, all'interno del Documento di programmazione economico-finanziaria, alla pubblica amministrazione, alla sua maggiore efficienza, al suo snellimento, alla sottrazione di oneri burocratici per i cittadini e le imprese, credo sia, in qualche misura, significativa di un contesto di sviluppo economico che, veramente, in questo caso, deve avviarsi.
Il DPEF viene dunque abbinato ad una anticipazione della manovra finanziaria che riguarda non solo il prossimo anno ma i prossimi tre e permette così un ragionamento di ampio respiro. Esso si inquadra inoltre in un contesto anticipato già da provvedimenti quali l'abolizione dell'ICI, l'introduzione di un regime fiscale agevolato per il lavoro straordinario e per i premi, e la rinegoziazione dei mutui: tutti provvedimenti a sostegno delle famiglie che sono stati approvati in quest'Aula non più tardi di una settimana fa, e che si inquadrano in un'ottica generale nella quale vi è stata condivisione - almeno nel contenuto, come comune denominatore - sul riconoscimento dell'esistenza di una situazione di criticità che cittadini, lavoratori e famiglie italiane hanno registrato al termine della scorsa legislatura e alla quale questo Governo ha sin da subito cominciato ad offrire risposte.
Al di là delle questioni numeriche - quali l'inflazione programmata, che può essere più o meno contestata, ma che va in realtà valutata al netto dell'inflazione importata, come faceva giustamente presente il relatore in apertura della seduta - sul tappeto vi sono sfide importanti. La prima è quella di una riorganizzazione completa e generale della pubblica amministrazione. Essa dovrebbe essere terreno di confronto fra maggioranza e opposizione, fra Governo e Parlamento e all'interno del Parlamento stesso: crediamo infatti che questa sia una delle parti più importanti sulle quali le forze politiche possono dare il loro contributo. Dobbiamo riuscire a costruire qualcosa di concreto e di introdurre principi come quelli della meritocrazia, per poter premiare i comportamenti virtuosi e punire quelli viziosi: si tratta insomma di poter pagare di più chi lavora di più, di pagare di meno chi lavora di meno e di licenziare chi non va a lavorare. Sembra una rivoluzione copernicanaPag. 33ma in un Paese civile dovrebbe essere la norma. In questo quadro si inserisce il proposito di dare responsabilità ai dirigenti: mentre essi possono, forse, oggi essere considerati una delle cause dell'attuale inefficienza, se riusciremo a guardare ad essi come una risorsa, dando loro i necessari poteri datoriali, potremo ottenere un miglior funzionamento della pubblica amministrazione.
Occorre dunque una riforma della contrattazione e dei rapporti industriali che riguardi non solo il privato ma anche il pubblico, e che è propedeutica e necessaria per agganciare la macchina competitiva del Paese al treno di un'Europa che deve tenere rispetto ai tanti segnali di crisi e di inflazione importata e di rallentamento dell'economia continentale e non solo (pensiamo agli Stati Uniti): dobbiamo riuscire a tenere salda la linea e ad attrezzarci ad essere un Paese competitivo. Di qui l'esigenza di rispondere a sfide quali il federalismo e il Mezzogiorno. Quanto al federalismo, esso dovrà saper applicare i criteri di sussidiarietà verticale ed orizzontale e non comportare dunque - come spesso abbiamo visto in passato - una mera moltiplicazione dei centri di spesa e di decisione (o di confusione) politica. Quanto al Mezzogiorno, esso può e deve divenire una risorsa per il paese.
Queste sono le sfide sul tappeto: con esse il Governo non ha paura di confrontarsi. È ovvio che, quando si formulano scelte, si indicano priorità e si modificano decisioni prese da Governi precedenti: crediamo però che in questo caso aver deciso in maniera diversa rispetto ai Governi precedenti sia stato un atto dovuto rispetto agli impegni che il Governo e questa maggioranza hanno assunto in campagna elettorale con gli elettori. Crediamo infatti che si possa portare avanti un progetto alternativo: un progetto che miri allo sviluppo e alla competitività, nell'ambito della quale esiste anche un ragionamento che va incontro alle liberalizzazioni e a un alleggerimento non solo della pressione fiscale ma di tutti gli oneri burocratici e quindi a una maggiore possibilità di liberare energie.
Nel far ciò, crediamo che questa maggioranza stia portando avanti quanto i cittadini italiani e gli elettori si aspettavano. Vi è stata una grande scelta di fatto, a legislazione invariata, da parte del Governo: quella di lanciare il cuore oltre l'ostacolo. È questa una scelta che la maggioranza condivide e cui noi ci atteniamo poiché crediamo che questo sia il modo migliore per rispondere alle esigenze concrete dei cittadini italiani.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ciccanti. Ne ha facoltà.

AMEDEO CICCANTI. Signor Presidente, signor sottosegretario Vegas, onorevoli colleghi, Berlusconi ha vinto le elezioni con un programma che prometteva agli italiani un impegno di Governo articolato in sette missioni: rilanciare lo sviluppo, sostenere la famiglia, più sicurezza e più giustizia, servizi ai cittadini, il Sud, il federalismo ed un piano straordinario di finanza pubblica.
Nel DPEF in esame non si rilancia lo sviluppo, anzi se ne registra il regresso. Nel 2008 il PIL italiano si stima possa crescere tra lo 0,3 e lo 0,5 per cento mentre, nel 2009, dello 0,9 per cento. Il PIL dei Paesi dell'area euro si stima che cresca dell'1,7 per cento nel 2008 e dell'1,5 per cento nel 2009. Si stima che Francia, Germania e Spagna cresceranno rispettivamente dell'1,7 per cento, dell'1,8 e dell'1,6 per cento nel 2008 e dell'1,5 dell'1,6 e dell'1,3 per cento nel 2009. Si stima inoltre che il PIL mondiale possa crescere del 3,9 per cento sia nel 2008 sia nel 2009. Mentre il mondo corre più del doppio della velocità dell'Europa dell'euro, l'Italia corre meno della metà dell'Europa.
Il divario di crescita dell'Italia nel 2007 rispetto all'Europa - ma anche nel 2006 è avvenuto lo stesso - è di un punto percentuale inferiore. Negli ultimi quindici anni il divario tra Italia, Europa e mondo è stato costante. Abbiamo consumato tutto il vantaggio accumulato dal dopoguerra agli inizi degli anni Novanta. Un punto di PIL, oggi, equivale a circa sedici miliardi di euro. La crescita di un punto di PIL siPag. 34traduce in circa sei, sette miliardi di euro di maggiori entrate per lo Stato al lordo dell'inflazione. Se la ricchezza non cresce, nemmeno si può distribuire o impiegare. La crescita programmata dal Governo nel quinquennio 2009-2013 ha una media di poco più dell'1 per cento, per l'esattezza l'1,28 per cento. Quindi niente soldi per scuola ricerca, infrastrutture e sicurezza.
Sempre per stare al programma di Berlusconi, nel DPEF non c'è una riga per il sostegno alla famiglia; anzi non si cita nemmeno nelle cinquantaquattro pagine che ci avete consegnato.
Avevate promesso alle famiglie italiane di detassare i loro redditi per sostenere il potere di acquisto eroso dall'aumento dei prezzi di prima necessità, dalle tariffe di luce, acqua e gas che sono aumentate tra il 2007 e l'anno in corso più di dieci volte dell'inflazione programmata. Invece, avete regalato un miliardo e settecento milioni di euro per l'abolizione dell'ICI a chi ne aveva meno bisogno e avete ripristinato la tessera dei poveri, riportando l'Italia al 1948.
In ordine alla sicurezza, è stato fatto però di peggio. Il Governo ha prima aggirato il Capo dello Stato con un decreto-legge che doveva garantire la sicurezza degli italiani e poi, attraverso una mano pirata, ha inserito una norma che sospende le pene e i processi per i reati minori la cui pena è inferiore ai dieci anni, comprendendo tra questi quelli che riguardano il Presidente del Consiglio nell'affare Mills.
In ordine ai servizi ai cittadini non siete andati più in là della propaganda di Brunetta contro i fannulloni. La pubblica amministrazione, in base a quanto scritto nel DPEF, costa al cittadino italiano quanto costava nel deprecato Governo Prodi-Padoa Schioppa. La spesa corrente rimane costante rispetto al PIL ed aumenta, in valori assoluti, anno dopo anno dal 2009 al 2013. Però, nel triennio 2009-2011 si tagliano 9,2 miliardi di euro agli enti locali, senza spiegare in che modo e al netto della spesa sociale, che si sostiene debba essere salvaguardata. Significa minori servizi ai cittadini.
In ordine al Mezzogiorno si registra un maggior divario rispetto al Nord a partire dal 2002, soprattutto per quanto riguarda il reddito pro capite - 0,9 contro l'1,6 per cento - e il tasso di occupazione, in modo particolare quello femminile, che si attesta a meno della metà degli obiettivi posti dalla strategia di Lisbona.
Anzi, finora abbiamo visto taglieggiare il sud con il decreto-legge ICI: l'80 per cento della copertura finanziaria, infatti, è stata ottenuta, tagliando la spesa in conto capitale per le infrastrutture del sud, soprattutto per la Calabria e la Sicilia, compreso il ponte sullo Stretto di Messina, che faceva parte del programma del Popolo della Libertà.
Delle promesse elettorali rimangono due aspetti da definire: federalismo fiscale e piano straordinario di finanza pubblica. Sul federalismo fiscale la partita è aperta e si giocherà ad ottobre con la legge finanziaria. È aperta perché si scontrano due tesi: quella di Bossi, che rivendica il «modello lombardo», ossia la tesi dell'imposta proprietaria per cui il tributo maturato territorialmente viene ceduto in parte allo Stato per fini perequativi e la tesi «regionalista», quella delle regioni ed anche delle opposizioni, quindi dell'Unione di Centro, che mantiene in capo allo Stato la pretesa erariale, perché possa essere ripartita a livello territoriale secondo parametri perequativi.
Tremonti ha dichiarato di propendere per questa seconda tesi, nonostante il programma del Popolo della Libertà si sia espresso per il «modello lombardo». Quale si affermerà non si sa. Sul pilastro del federalismo fiscale si gioca tutta la partita politica di questa maggioranza e anche il risanamento dei conti pubblici, perché ad esso è legato il DPEF. Siamo tutti appesi, quindi, a qualche cena ad Arcore, che metta d'accordo Bossi e Berlusconi.
Sul risanamento dei conti pubblici ci troviamo di fronte al decreto-legge 25 giugno 2008, n.112 che si presenta come una manovra triennale 2009-2011, dalla quale dovrebbero derivare il rientro sotto il 100 per cento del debito pubblico, cioèPag. 35il 97,2 per cento nel 2011 e il pareggio di bilancio nel 2011, nel rispetto degli accordi europei di Berlino del 20 aprile 2007 contratti dal Governo Prodi.
In questo decreto-legge, però, si fissano solo gli obiettivi finanziari, ma non ci sono norme ordinamentali o interventi che modificano in modo sostanziale i meccanismi di spesa. Si ripropone ancora il metodo del taglio lineare della spesa dei Ministeri, che già si è dimostrato fallimentare sia nel quinquennio 2001-2005 che nel biennio 2006-2007, con il famoso comma 507 dell'articolo 1 della legge finanziaria per il 2007.
Di fronte all'esperienza fallimentare di Siniscalco, con il suo metodo «Gordon Brown», e di Padoa-Schioppa, come può essere credibile che Tremonti proponga un taglio del 21 e del 22 per cento, rispettivamente per gli anni 2009 e 2010, per quanto riguarda la spesa dei Ministeri e addirittura del 40 per cento nel 2011?
La scure, inoltre, cade ancora sui servizi intermedi e sulla spesa in conto capitale. Sa bene il sottosegretario Vegas che si tratta di un limone già spremuto; ne danno dimostrazione le proteste delle forze dell'ordine, che si trovano con gli sfratti esecutivi di caserme dei carabinieri e la benzina razionata delle volanti della polizia nelle grandi città.
Per brevità non cito le difficoltà delle scuole, dei tribunali, dei vigili del fuoco e di altre amministrazioni dello Stato che pure hanno fatto sentire la loro voce. Sui tagli agli enti locali aspettiamo che si definisca il nuovo patto di stabilità interno e sulla sanità aspettiamo che si definisca l'accordo Stato-regione di revisione del patto sulla salute.
Come ben si comprende ci troviamo davanti a norme-manifesto dove la propaganda prevale sulla sostanza. Basti l'esempio della Robin Hood tax: Tremonti toglie, nel triennio 2009-2011 cinque miliardi e 100 milioni ai petrolieri, alle banche, alle assicurazioni, i quali si rifaranno sui clienti e consumatori, per dare ai poveri, solo nel 2009, appena 200 milioni di euro. E gli altri 4 miliardi e 800 milioni a chi vanno?

PRESIDENTE. La prego di concludere.

AMEDEO CICCANTI. Eppure, è passato il messaggio che a guadagnarci saranno i poveri.
Con l'aumento del costo del petrolio, che sfiora i 156 dollari al barile (per fortuna c'è l'euro!), con l'aumento del costo delle materie prime, di cui l'Italia è povera, e con l'aumento del costo dei prodotti alimentari, la sfida globale è pesante per l'Italia ed è resa ancora più pesante dall'alto costo degli interessi sul debito pubblico, che è il più elevato d'Europa. La sfida è più pesante anche perché è stata "strappata la tela" di quel dialogo tra maggioranza e opposizione che avrebbe dovuto riformare le istituzioni e renderle più efficienti per il bene dell'Italia. La conflittualità sociale riprenderà quota e il conflitto istituzionale è già in atto. In questo clima, signor Presidente, non si va da nessuna parte! Consigliamo pertanto al Governo di meditare e di meditare bene.
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).

PRESIDENTE. Onorevole Ciccanti, la Presidenza lo consente sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritto a parlare l'onorevole Ria. Ne ha facoltà.

LORENZO RIA. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, già in sede di esame in Commissione, ma anche nella seduta di oggi, io personalmente ed altri componenti del mio gruppo parlamentare non ci siamo limitati a descrivere i punti di debolezza economica, le contraddizioni e le ambiguità delle misure previste dal Documento di programmazione economico-finanziaria per gli anni 2009-2013 rispetto agli obiettivi dichiarati. Abbiamo, invece, cercato di individuare azioni economiche e politiche alternative che, composte in un quadro d'insieme, potessero prefigurare un diverso DocumentoPag. 36di programmazione economico-finanziaria coerente con gli obblighi internazionali, con lo stato reale della finanza pubblica, con le condizioni di disagio di una larghissima parte delle famiglie italiane, nonché con le esigenze di sviluppo e di coesione sociale.
Siamo stati puntuali e propositivi, in particolare, sul tema dell'inflazione programmata che, se non sarà più realisticamente rideterminata, rappresenterà il più grave elemento distorsivo delle politiche dei redditi e degli equilibri sociali nei prossimi anni. Se il Governo fosse stato coerente con i propri impegni elettorali avrebbe inserito in questo Documento misure puntuali per recuperare la differenza di inflazione tra il 2,8 per cento reale e il 2 per cento autorizzabile, con trasferimenti automatici alle famiglie per lo 0,8 per cento di differenza. Solo così avrebbe potuto scongiurare una scelta, ossia un tetto di inflazione tanto ambizioso da apparire offensivo, tanto irreale da provocare conflitti sociali ingovernabili, tanto ideologico da essere inutile per frenare la futura rincorsa dei prezzi.
Siamo stati egualmente puntuali e propositivi sui temi del contenimento della spesa, in merito alle cui scelte di settore abbiamo rilevato, più che approssimazione e genericità, addirittura vacuità e sterile ambizione. In particolare, per quel che riguarda i risparmi - ma forse sarebbe più esatto parlare di tagli - nel pubblico impiego, nella finanza decentrata, nella sanità e nella previdenza, abbiamo descritto come tali misure contribuiranno ad impoverire ulteriormente la parte più povera del Paese, ma abbiamo anche indicato, in alternativa, azioni più realistiche, più eque e più socialmente sostenibili. Anche in tema di investimenti, abbiamo rilevato il respiro asfittico che ha la presunzione di mantenere l'orizzonte del prossimo quinquennio e abbiamo proposto scelte contrapposte. Come si fa a voler rianimare l'economia, i consumi, la volontà di investimento dell'intero sistema pubblico e privato se poi il primo investitore nazionale taglia prioritariamente i propri investimenti di qualità!
La presa d'atto, nei giorni scorsi, da parte del Consiglio dei ministri che le entrate nel 2008 saranno inferiori di 3 miliardi di euro rispetto alle previsioni è la premessa di quello che inevitabilmente saremo costretti a constatare nei prossimi anni in conseguenza del programmato taglio degli investimenti che, sommato al prevedibile minor gettito del recupero dell'evasione fiscale, causerà un esponenziale raffreddamento dell'economia.
Abbiamo infine manifestato seria delusione, che è poi una delusione generalizzata, e in modo particolare degli economisti più avvertiti, per le tecniche di aggiustamento previste dal Governo. Rispetto al quadro tendenziale, l'Esecutivo intende reperire nel 2009 circa 10 miliardi di euro, 6,5 dei quali verranno da inasprimenti fiscali.
In altre parole, la prima finanziaria del nuovo Governo aumenta le entrate di oltre 6,5 miliardi di euro. Non a caso, nel 2009, la pressione fiscale dal 42,6 per cento crescerà al 43 per cento. È una brutta ed inaspettata sorpresa. Dopo aver tuonato per tutta la campagna elettorale contro gli aumenti delle tasse del Governo Prodi, si procede, come se niente fosse, ad un ulteriore incremento delle imposte.
Nei dettagli l'aumento deriva da una crescita delle imposte dirette ed è ben superiore a qualunque stima dell'ormai celebre Robin Hood tax su banche e petrolieri che finirà per gravare in grande misura sulle famiglie. Proprio il violento scarto tra gli impegni elettorali e le scelte di governo effettivamente compiute in materia di tassazione, proprio la divaricazione fra le necessità primarie dell'economia e il raschiamento del fondo del barile operato dalla maggioranza in materia di imposta ci ha portati a contrastare in modo convinto la complessiva manovra finanziaria per gli anni 2009-2013, a partire dalle misure urgenti di riequilibrio in corso d'anno.
Inoltre, il gruppo del Partito Democratico contesta la manovra ed il Documento di programmazione economico-finanziaria, perché omette ogni riferimento a politichePag. 37per il Mezzogiorno e non prevede il ripristino degli automatismi fiscali in favore dello sviluppo, come il credito di imposta sugli investimenti nel Mezzogiorno, la cui efficacia è vanificata dal ripristino della vecchia e fallimentare logica discrezionale dei pesanti adempimenti amministrativi del passato previsti dal decreto-legge n. 97 del 2008 attualmente all'esame del Parlamento. Nel Documento è assente qualunque misura a favore dello sviluppo del Mezzogiorno, tanto che non si stabilisce alcun intervento a favore delle zone franche urbane.
Infine, signor Presidente, la nostra contrarietà al Documento di programmazione economico-finanziaria è ulteriormente motivata dalla grave forzatura costituzionale operata dal Governo in materia di indirizzo della programmazione finanziaria. È una prerogativa che, a Costituzione vigente, compete al Parlamento, il quale oggi, con incredibile forzatura, lascia solo all'opposizione il compito di non restare spettatore muto di una prassi costituzionale innovativa in virtù della quale il Parlamento non fornisce gli indirizzi preventivi, ma si limita a ratificare le scelte compiute dal Governo.
Noi non sappiamo dove potremmo arrivare da forzatura a forzatura e da strappo costituzionale ad altro strappo. La maggioranza ha i numeri (non so se anche la compattezza) per agire nelle Aule parlamentari con foga e con puri atti di forza. Non è questa la strada maestra e per la via intrapresa dal Governo non solo i problemi complessi del federalismo fiscale, ma gli stessi semplici problemi in ordine al tenore di vita delle famiglie, alla sicurezza economica dei giovani, alla sopravvivenza dignitosa del poveri diventeranno dei problemi insormontabili per la maggioranza (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Il seguito della discussione, a partire dallo svolgimento degli ulteriori interventi dei deputati iscritti a parlare, è rinviato alla seduta di domani.

Discussione della mozione Vico ed altri n. 1-00007 concernente iniziative in materia di marchio d'origine ed etichettatura dei prodotti (ore 17).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Vico e altri n. 1-00007 concernente iniziative in materia di marchio d'origine ed etichettatura dei prodotti i (Vedi l'allegato A - Mozioni).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione della mozione è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
Avverto, altresì, che sono state presentate le mozioni Raisi ed altri n. 1-00020, Polledri ed altri n. 1-00021 ed Anna Teresa Formisano ed altri n. 1-00022 (Vedi l'allegato A - Mozioni) che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente. I relativi testi sonno in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritto a parlare l'onorevole Vico, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00007. Ne ha facoltà.

LUDOVICO VICO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, rappresentanti del Governo, la mozione Vico 1-00007, concernente iniziative in materia di marchio d'origine ed etichettatura dei prodotti, che illustrerò, vuole ricercare e verificare la possibilità di un'ampia condivisione del Parlamento ed impegnare il Governo italiano ad intervenire in sede di Unione europea per sostenere misure di salvaguardia nei confronti di importazioni dalla Cina per almeno tutto il 2008, dal momento che quest'anno è scaduto il sistema delle quote per otto categorie di prodotti tessili, ma anche per sostenere la posizione italiana sul marchio di origine, qualePag. 38punto di partenza per una negoziazione ed un confronto che abbia alla base la tutela del consumatore italiano ed europeo e il contrasto al fenomeno del dumping sociale ed ambientale.
Il 1o gennaio 2008 è scaduto il memorandum d'intesa siglato nel 2005 fra la Commissione europea e il Ministero del commercio della Repubblica popolare cinese, relativo all'esportazione di alcuni prodotti tessili e dell'abbigliamento cinesi nell'Unione europea. Quel memorandum, attraverso un sistema di quote e di vigilanza, regolava l'importazione dalla Cina nell'Unione europea di dieci categorie di prodotti tessili, ossia delle categorie 2, 4, 5, 6, 7, 20, 26, 31, 39 e 115, riguardanti tessuti di cotone, T-shirt, pullover, pantaloni, bluse, biancheria da letto, abiti, reggiseni, biancheria da tavola e da cucina, tessuti e di lino o di ramiè.
Alla fine del 2008, in assenza di una presa di posizione da parte dell'Unione europea, i produttori europei e, soprattutto, quelli italiani si troveranno ad affrontare un libero mercato, nel quale la concorrenza sleale dei prodotti contraffatti, ma anche di quelli legali, rischierà di mettere in ginocchio importanti settori dell'economia.
Basti ricordare che negli Stati Uniti nel gennaio 2004, quando sono cadute le barriere all'importazione secondo gli accordi della WTO, le camicie importate dalla Cina sono state 18,2 milioni contro le 941 mila del gennaio 2003, con un aumento del 1.834 per cento. In quello stesso mese, 12.200 operai tessili americani furono licenziati. Per gli Stati Uniti si stimano 700 mila posti in pericolo, mentre per l'Italia se ne stimano 200 mila.
Il Parlamento europeo, in data 14 dicembre 2007, ha approvato una risoluzione comune sostenuta da tutti i gruppi politici (con l'esclusione di Indipendenza e democrazia), che sottolinea anzitutto che il 70 per cento di tutte le merci contraffatte importate nel mercato europeo «proviene dalla Cina» e che «la metà di tutte le procedure doganali europee contro la contraffazione riguarda il settore tessile e dell'abbigliamento».
Il Parlamento europeo, consapevole del fatto che l'eliminazione del sistema di quote scaturisce da un accordo legalmente vincolante e contestuale all'adesione della Cina all'Organizzazione mondiale del commercio, ricorda tuttavia che tale accordo consente a tutti i membri dell'OMC, compresa l'Unione europea, di applicare misure di salvaguardia nei confronti di importazioni dalla Cina fino alla fine del 2008. Il Parlamento europeo invita la Commissione ad assicurare una transizione agevole verso il libero commercio dei prodotti tessili, per consentire di mantenere e promuovere l'occupazione e l'attività del settore nell'Unione europea. Il Parlamento europeo ha chiesto il monitoraggio per valutare i primi risultati a partire dal 31 marzo 2008.
Già alla fine di ottobre 2007, l'Ufficio europeo per la lotta antifrode (Olaf), in collaborazione con le autorità austriache, ha scoperto un vasto traffico illegale di tessuti e scarpe proveniente dalla Cina. La frode - organizzata tramite false fatturazioni, false dichiarazioni d'origine e la sottostima (fino a 15 volte) del valore reale di mercato - è stata stimata in 600 mila tonnellate di prodotti tessili e scarpe.
Per i soli dazi doganali si calcola un impatto sul bilancio dell'Unione europea pari a 200 milioni di euro.
Onorevoli colleghi, l'Unione europea è il secondo esportatore mondiale di prodotti tessili e di abbigliamento. Il Parlamento europeo ha manifestato, quindi, la sua preoccupazione per le elevate barriere, tariffarie e non, che esistono in numerosi Paesi terzi ed ha sottolineato che la Commissione europea, negli accordi bilaterali, regionali e multilaterali con i Paesi terzi, dovrebbe garantire migliori condizioni di accesso ai mercati di tali Paesi. I deputati europei ritengono, infatti, che ciò è essenziale per il futuro dell'industria tessile e dell'abbigliamento in Europa e, soprattutto, per le piccole e le medie imprese. Vanno applicate norme vincolanti sulla denominazione di origine per i prodotti tessili importati dai Paesi terzi e la risoluzione del Parlamento europeo invita il Consiglio ad adottare la proposta di regolamentoPag. 39del made in per tutelare meglio i consumatori e per sostenere l'industria europea anche dalle sistematiche violazioni della proprietà intellettuale.
Il Parlamento europeo rileva anche la necessità che la Commissione europea si avvalga dei propri poteri per proibire che siano immessi prodotti pericolosi nel mercato dell'Unione europea, anche nel caso di prodotti tessili e d'abbigliamento, e invita la Commissione stessa a garantire che i prodotti tessili importati che entrano nel mercato dell'Unione, in particolare dalla Cina, siano soggetti ad esigenze di sicurezza e di protezione dei consumatori identiche a quelle applicate ai prodotti tessili confezionati nel territorio dell'Unione europea. Il Parlamento europeo considera, inoltre, che gli strumenti di difesa commerciale antidumping, antisovvenzione e misure di salvaguardia siano da adottarsi quali meccanismi essenziali di regolamentazione e strumenti legittimi per fare fronte all'importazione legali ed illegali dai Paesi terzi, in particolare, nel settore tessile e dell'abbigliamento che attualmente è un mercato non aperto e non protetto dalle quote. L'11 dicembre 2007 il Parlamento europeo ha anche adottato ufficialmente una dichiarazione scritta sul marchio di origine del made in a livello comunitario che, come è ovvio, è stata bloccata dalla nota contrapposizione tra gli Stati che rappresentano gli interessi della distribuzione e quelli, come l'Italia, che rappresentano gli interessi della produzione. In considerazione della posizione dell'Italia come Paese produttore, la X Commissione (Attività produttive) di questa Camera, nel corso della XV legislatura, ha formulato, successivamente ad un ciclo intenso di audizioni svolte in sede informale, un testo unificato delle abbinate proposte di legge Lulli, Forlani, Contento, Raisi e Gianfranco Conte. La materia affrontata nel testo unificato «Norme per la riconoscibilità e la tutela dei prodotti italiani» è stata complessa, specialmente in relazione alla necessità di risultare coerente e omogenea con la normativa europea vigente in materia, e non meno forte è stata l'esigenza di approvare una normativa che regolamentasse il marchio di origine a livello nazionale anche in attesa che l'Unione europea pervenga ad una posizione condivisa di merito. Il testo elaborato nella XV legislatura dalla X Commissione segna un passo importante nella direzione che i produttori possano adottare volontariamente il marchio full made in Italy senza entrare in collisione con la normativa europea alla luce delle note Euratex.
I nostri maggiori partner europei come gli Stati Uniti, il Canada, il Giappone e persino la Cina, hanno introdotto il marchio di origine obbligatorio mentre il made in Italy è aggredito dall'Estremo Oriente con una duplice offensiva: quella legale dei prodotti tessili e della pelletteria a prezzi stracciati e quella illegale dei falsi. Ritengo, quindi, che vi sia una consapevolezza comune che la trasparenza e la tracciabilità, l'etichettatura e il marchio, la riconoscibilità dell'origine dei prodotti manifatturieri siano gli unici certificati della qualità dei prodotti e del produttore e, di conseguenza, della sicurezza per il consumatore nel mercato interno rispetto all'importazione di prodotti extraeuropei.
Si tratta di assicurare un livello elevato di protezione dei consumatori, in conformità con il disposto dell'articolo 153 del Trattato che istituisce la Comunità economica europea. Si tratta di tutelare i consumatori dalle false o fallaci indicazioni, incluso l'uso fallace e fuorviante dei marchi aziendali ai sensi della disciplina concernente le pratiche commerciali ingannevoli (articolo 4, comma 49, della legge n. 350 del 2003).
Si tratta altresì di destinare al consumatore l'informazione sulla sicurezza e sulla qualità dei prodotti, ai sensi del Codice del consumo (mi riferisco all'articolo 6 del decreto legislativo n. 206 del 2005). La produzione full made in Italy, il marchio, nelle intenzioni del legislatore si deve distinguere anche sul versante ambientale e della salute, promuovendo oggetti di alta qualità dal punto di vista della durata per rispondere all'esigenza di uno sviluppo sostenibile. A tal fine è necessario collegare il marchio, la tracciabilità dellaPag. 40filiera tessile-abbigliamento, i materiali riciclabili e di lunga durata, il rispetto delle regole in materia di lavoro, associando tale specifica normativa ad una forma più estesa di etichettatura obbligatoria riguardante la provenienza dei capi di abbigliamento che circolano all'interno del territorio nazionale.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevole rappresentante del Governo, concludo il mio intervento nel modo in cui lo ho iniziato. Si tratta di intervenire in sede di Unione europea per sostenere le misure di salvaguardia nei confronti delle importazioni dalla Cina per almeno tutto il 2008, dal momento che quest'anno è scaduto il sistema delle quote per otto categorie di prodotti tessili, e di sostenere la posizione italiana sul marchio di origine quale punto di partenza per una negoziazione ed un confronto che abbia alla base la tutela del consumatore italiano, di quello europeo, e il contrasto al fenomeno del dumping sociale e ambientale (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Abrignani, che illustrerà la mozione Raisi n. 1-00020, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

IGNAZIO ABRIGNANI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, rappresentanti del Governo, la mozione presentata dall'onorevole Vico ed altri consente al Governo di esprimere, anche in questa sede, le proprie valutazioni sulla generale tematica della concorrenza sleale da parte di alcuni Paesi extraeuropei. Il tema coinvolge, come è noto, più profili tra loro connessi: la necessità della lotta alla contraffazione (richiamata nel testo dall'onorevole Vico); la problematica del cosiddetto dumping sociale; le questioni afferenti la tutela ambientale (il cosiddetto dumping ambientale).
La principale minaccia che riguarda importanti settori della nostra economia, quali il tessile e l'abbigliamento, è rappresentata soprattutto dalla grande - imponente, direi - distribuzione di prodotti contraffatti provenienti soprattutto e principalmente dal sudest asiatico. Tali merci sono nocive, considerato soprattutto che eludono i controlli delle autorità competenti, sia per la salute sia per la sicurezza del consumatore inconsapevole, anche perché spesso sono realizzate con materiali tossici e pericolosi. Inoltre, la forte competitività sul mercato internazionale dei Paesi asiatici si basa sostanzialmente su costi di produzione irrisori, consentiti non solo dall'utilizzo di materie prime dannose ma, per loro, economicamente convenienti, ma anche dai livelli bassissimi dei salari, dallo sfruttamento del lavoro minorile, dalla violazione dei diritti fondamentali dei lavoratori e soprattutto dalle pessime condizioni dei luoghi di lavoro che spesso, anche negli ultimi giorni, le cronache hanno portato alla ribalta.
L'immissione nei mercati di questi prodotti determina, per così dire, una vera e propria perturbazione degli stessi, ed essendo basata sulla costante violazione delle leggi e delle norme a tutela del lavoratore altera completamente il principio della libera concorrenza del mercato, generando il cosiddetto fenomeno del dumping sociale. Si dice che, a livello mondiale, il giro d'affari della contraffazione commerciale sia valutato in 250 miliardi di dollari l'anno, e rispetto al 1990 sembra che il mercato del falso sia aumentato in Europa del 900 per cento (sono statistiche fornite dalla Commissione europea, con la collaborazione delle autorità doganali).
Inoltre, la deviazione degli scambi commerciali e la distorsione della concorrenza provoca una perdita di fiducia degli operatori del mercato interno, con conseguente diminuzione degli investimenti e perdita di posti di lavoro.
Molte delle imprese, infatti, non riuscendo a sostenere questa pressione e aggressione competitiva hanno perso non solo consistenti quote sul mercato internazionale ma soprattutto all'interno del mercato proprio. Pertanto, sono state costrette a chiudere o a delocalizzare le sedi di produzione, facendo registrare a livelloPag. 41mondiale una perdita di circa 200 mila posti di lavoro ufficiali l'anno. Infatti, sappiamo bene che i posti di lavoro in questi Paesi non sono certo ufficiali.
Per quanto riguarda il nostro Paese, le stime parlano di circa 40 mila posti a rischio ogni anno e di una perdita di entrate fiscali e di IVA registrate intorno al 13 e al 23 per cento, molto più di una qualsiasi manovra di Governo.
Il rischio di destabilizzazione del mercato del made in Italy è altissimo e rischiano di essere fortemente danneggiate l'immagine e l'economia del nostro Paese, insieme alle piccole e medie imprese che non riescono più a far fronte, da sole, alla pressante competizione e alla competitività del sud-est asiatico.
Ma questa materia è già stata oggetto di intenzioni da parte del Governo: il Governo Berlusconi nella XIV legislatura varò importanti misure a tutela del made in Italy con la legge 12 dicembre 2002 n. 273, il decreto-legge 14 marzo 2005 n. 35, oltre a numerose disposizioni contenute nelle leggi finanziarie che non solo hanno rafforzato il nostro export, ma hanno aiutato l'internazionalizzazione delle nostre imprese, la tutela dei prodotti e hanno anche consentito, attraverso norme di polizia giudiziaria e doganale, di contenere la produzione e di contrastare l'afflusso di prodotti contraffatti nel nostro Paese.
Il Governo ha sempre considerato prioritario un adeguamento legislativo comunitario a difesa del sistema produttivo nazionale, ritenendo in particolare che sia necessaria una nuova normativa europea sull'etichettatura obbligatoria dell'origine dei prodotti di importazione.
Nel corso della passata legislatura sono state presentate diverse proposte di legge tra le quali l'atto Camera n. 1448 e l'atto Camera n. 1402, recanti misure per la riconoscibilità e la tutela della qualità dei prodotti italiani e l'istituzione del marchio made in Italy, che hanno riproposto la necessità di una normativa che regoli il marchio di origine a livello nazionale.
Purtroppo le lacune normative di molti altri Paesi, unite alle differenze esistenti tra gli stessi Paesi comunitari a livello di disposizioni sanzionatorie poste a tutela di una concorrenza competitiva, alimentano spesso la produzione di merci contraffatte, soprattutto nei Paesi che reprimono con minor vigore questo preoccupante fenomeno.
Al riguardo, si fa presente che una proposta della Commissione europea del dicembre 2005 sulla marcatura di origine obbligatoria dei prodotti importati è ferma nel Consiglio dell'Unione europea per mancanza di una maggioranza qualificata utile. Sono, infatti, purtroppo ancora molti gli Stati membri, tra i quali Germania, Svezia, Danimarca e Regno Unito, che si ritengono contrari alla proposta.
Da poco il Parlamento ha comunque adottato una risoluzione con la quale non solo ha sollevato la necessità di tutelare i prodotti europei, ma ha anche auspicato un intervento diretto della Commissione, volta a proibire l'immissione sul mercato europeo di prodotti pericolosi.
L'esigenza di garantire la conformità dei beni provenienti dal sudest asiatico alle norme poste a tutela dei consumatori è ormai forte e impellente. L'intervento, in tal senso, del Parlamento europeo, che ha trovato questi ostacoli in alcuni Paesi per la forte contrapposizione che vi è tra i Paesi produttori, che hanno bisogno di difendersi dalle aggressioni del mercato asiatico e i Paesi distributori - ne abbiamo citato qualcuno - che invece traggono forti vantaggi da un'ampia distribuzione anche del prodotto contraffatto.
Signor Presidente, è ormai urgente e doverosa l'esigenza di una normativa a livello comunitario, che tuteli in maniera univoca l'ingegno, la qualità, l'innovazione e la ricerca di chi investe risorse, energie e fiducia nella produzione, nella distribuzione e nel rispetto delle normative ambientali e di quelle riguardanti il diritto del lavoro.
Dunque, ciò che si chiede è un impegno del Governo a sostenere in sede comunitaria sia il diritto dei consumatori alla salute, sia quello dei produttori europei alla tutela dalle frodi commerciali, anche mediante l'introduzione dell'etichettaturaPag. 42di origine obbligatoria, e ad adottare - nei limiti delle proprie competenze, sapendo che vi è la normativa europea in tal senso - disposizioni volte a tutelare le produzioni italiane dalla concorrenza sleale, che è la «casa madre» di tutte queste problematiche.
Pertanto, chiediamo una tutela specialmente rivolta contro i prodotti contraffatti o contenenti sostanze nocive per la salute, anche attraverso il rafforzamento dei controlli alle frontiere.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Simonetti, che illustrerà anche la mozione Polledri n. 1-00021, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

ROBERTO SIMONETTI. Signor Presidente, membri del Governo e colleghi, vorrei iniziare con un discorso più ampio, per arrivare al testo della mozione Vico ed altri n. 1-00007 e, quindi, ad illustrare la mozione Polledri ed altri n. 1-00021, di cui sono cofirmatario.
Vediamo che la crisi economica attuale, talvolta strutturale per alcuni distretti, è da incastrarsi in una logica che, ovviamente, non ha solo una rilevanza nazionale, ma soprattutto mondiale, che ha origini ovviamente non recenti e che è figlia della pessima gestione pubblica degli anni passati, che individuo dal Dopoguerra agli anni Duemila.
Infatti, la classe politica italiana ha causato un forte debito pubblico per sostenere lo sviluppo del sud, purtroppo però senza neppure realizzarlo: invece di investire nell'intrapresa, all'epoca fu scelta la strada dell'assistenzialismo, dei flussi di denaro a pioggia, sostenendo il cosiddetto Stato sociale, cioè il reddito, il consumo delle famiglie e non l'impresa, l'intrapresa appunto, creando così la gravissima disoccupazione del Meridione e l'enorme debito pubblico che incide indirettamente sulla vita di tutti i giorni.
Poi, l'arrivo al galoppo della globalizzazione dei mercati ha sorpreso di fatto con le mani nel sacco la vecchia classe politica italiana, che è stata incapace di rinnovarsi e di rinnovare in tempo l'economia in atto.
Poi, la caduta delle dogane e la conseguente globalizzazione dei mercati hanno reso impossibile il vecchio equilibrio economico che vi era una volta tra nord e sud: se un tempo i soldi che il nord dava al sud tramite le politiche centralistiche di assistenzialismo tornavano indietro, perché al sud si comprava quanto veniva prodotto in Padania e al nord, oggi i soldi dell'assistenzialismo finiscono a Taiwan, a Singapore, in America, in Cina, perché dappertutto, a Torino come a Palermo, si comprano i beni che costano meno.
Questi due sistemi economici interni, quindi, hanno evidenziato il loro stato di crisi, tra l'altro con l'entrata della lira nella moneta unica, a causa del sistema di rapporti rigidi tra la lira appunto e le altre monete europee.
Difatti, attualmente non è più possibile ricorrere alla svalutazione competitiva come una volta, metodo molto usato negli anni passati per poter rendere competitivo, come dicevo, il sistema produttivo padano e italiano nel suo insieme, attualmente frenato e ancorato dall'alto costo dello Stato (aspetto che è oggetto, tra l'altro, del DPEF di quest'anno).
Infatti, alla lotta commerciale si va tenendo conto sia dei costi vivi della produzione, sia dei costi istituzionali (salari, sistema previdenziale, costo del denaro, via dicendo).
Tutto ciò è facilmente riscontrabile ai giorni nostri: l'esempio tanto più lampante è rappresentato dalla Cina e dalla concorrenza sleale cinese e asiatica, il cui costo di produzione è mediamente pari a un terzo di quello italiano e la cui manodopera è pari in media a un decimo (infatti, il costo orario di un operaio cinese è stimabile intorno a 36 centesimi di dollaro). Attendere rivendicazioni sindacali in quei territori è praticamente pura follia e utopia.
Di più: oltre ad avere problemi con la Cina, anche l'Europa rende difficile la nostra competitività; più il mercato mondiale è andato verso una competizione intensa, più l'Europa ha incrementato laPag. 43regolamentazione, creando ideologicamente così tanti problemi, artificiali quanto irrazionali.
Si ha quindi, da una parte, una competizione globale del mondo e, dall'altra, una burocrazia totale in Europa, che vuole utopisticamente creare un mercato perfetto interno, quando il mercato globale è tutto tranne che perfetto.
Il rilancio economico è stato anche minato dagli effetti dell'apprezzamento dell'euro. Infatti, la specializzazione produttiva italiana, orientata prevalentemente in settori la cui domanda internazionale non è stata - e non sarà - tra le più dinamiche, risente maggiormente dell'apprezzamento dell'euro, causando un ulteriore motivo di debolezza per le nostre esportazioni.
Come uscire, pertanto, da questo tunnel? Almeno due, fra le altre, sono le vie da perseguire: la qualità della produzione nazionale e la difesa dei confini. Per una produzione di qualità è necessaria - come dicevo - l'innovazione tecnologica ma, soprattutto, ormai è diventato ineludibile perseguire le norme di concorrenza leale, sia essa sociale che lavorativa. È indispensabile, quindi, che la politica renda più equo il mercato ed esporti i diritti del lavoro: anche i costi ambientali e sociali dell'economia devono venir sopportati da tutti i concorrenti. Perché non parlare allora di quote e di dazi? Diventa urgente anche parlare di questi provvedimenti: urge una consapevolezza, a livello europeo, di difesa dei confini.
Dopo una politica di rafforzamento dei brevetti e di repressione della contraffazione, è indispensabile creare un mercato comune in cui vi siano regole comuni, al fine di tutelare le economie occidentali dalla totale anarchia di quella orientale. Taluni affermano che la migliore democrazia sia il libero mercato e che il libero commercio, alla lunga, porterà benefici a tutti. Non si tratta di politiche proposte dalla Lega Nord, ma dalla sinistra e, soprattutto, dall'ex Presidente Prodi, quando era Presidente della Commissione europea.
Tuttavia, questa è la teoria; la pratica è che l'Europa è invasa da prodotti cinesi, mentre è pura illusione che la stessa Cina diventi terra di conquista per il made in Europa o il made in Italy. Si dice che cento milioni di cinesi ricchi potranno essere i beneficiari delle nostre produzioni. Nella realtà, al giorno d'oggi, vi è già una grande cifra di giapponesi ricchi, simile a quella ipotizzata, che però importa da noi solo quattro miliardi di prodotti, pari al nostro commercio con il Portogallo. Gli asiatici ricchi non fanno pazzie.
Di più: la Cina potrà diventare - come taluni aspirano - terra di conquista per il prodotto italiano tra quindici o vent'anni. La domanda principale è, però, la seguente: in questa situazione, il nostro sistema industriale riuscirà a reggere per quel periodo necessario affinché il nostro export possa aggredire le economie asiatiche?
Non da ultimo, urge un controllo effettuato con strumenti indiretti, quali i controlli alimentari, sanitari, ambientali e di tutela sociale sui prodotti d'importazione. Un esempio lampante fu quello dei 91000 giocattoli cinesi pericolosi per l'incolumità e la salute dei bambini ed altri esempi, purtroppo, si possono rinvenire nella quotidianità.
Le mozioni in oggetto trattano problematiche diverse, collegate fra loro, ma che in alcune parti sono distinte. Proviamo, quindi, a rintracciare i diversi punti cardine di dialogo e di dibattito. Il primo è rappresentato dalla contraffazione dei prodotti: vi è l'esigenza di difendere i confini dall'invasione di prodotti sottocosto, normalmente cinesi, sia da un punto di vista economico che sanitario. Pertanto, vi è l'esigenza di competere a livello internazionale, in un mercato viziato da una concorrenza sleale, e di garantire al manifatturiero un futuro, che è minato dalle scelte sbagliate dell'Europa, tese a privilegiare il commercio e il trade piuttosto che la produzione (questo aspetto è stato rilevato anche dall'onorevole Vico).
Pertanto, nel cosiddetto pacchetto sicurezza, attualmente allo studio, per quantoPag. 44riguarda la contraffazione, abbiamo inserito pene più severe, come l'immediata distruzione della merce. Inoltre, in questo campo va difeso l'istituto dall'Alto commissario per la lotta alla contraffazione, istituito dall'allora sottosegretario Cota, ora presidente del gruppo della Lega Nord Padania. La Lega Nord chiede al Governo che questo argomento venga inserito in una delega specifica al Ministero dello sviluppo economico, attraverso o un sottosegretariato specifico o una delega ben visibile, perché l'attività dell'Alto commissario per la lotta alla contraffazione è indispensabile per portare avanti le citate politiche di controllo della bontà dei prodotti che giungono sui nostri territori. Inoltre, vi è il sequestro differito e preventivo della guardia di finanza sui prodotti.
Per quanto riguarda la difesa dei confini, occorre ovviamente attuare misure più restrittive presso le nostre dogane e maggiori controlli doganali presso i porti, per esempio quelli di Trieste e di Napoli. Praticamente, i nostri porti non devono costituire aree di sbocco dei prodotti asiatici verso l'Europa, ma devono essere, appunto, aree in cui il prodotto italiano parte per l'esterno, per l'estero e per i mercati stranieri. Non mi sembra, però, che questa fosse una politica della sinistra. Convengo che, nel dibattito attuale, ci si è avvicinati alle posizioni secondo cui i porti e i nostri sistemi di ricezione devono servire ad esportare e non ad importare prodotto, soprattutto contraffatto.
Non intendo fare polemiche ma, se se non sbaglio, mi ricordo un dibattito televisivo - forse da Vespa, durante il faccia a faccia tra Prodi e Berlusconi, due anni fa - in cui si disse che i porti di Napoli e di Trieste dovevano essere la porta dell'oriente per l'Europa. Noi la vedevamo esattamente al contrario: essi dovevano essere la porta dei prodotti italiani verso l'oriente e verso l'esterno, piuttosto che il contrario.
Per quanto riguarda i dazi e le misure di protezione, come è stato ricordato, l'accordo multifibre è praticamente scaduto nel 2007, vi sarà la libera circolazione dei prodotti alla fine di quest'anno e, purtroppo, questi sono i risultati di politiche che riteniamo scellerate, miopi e distruttive dell'economia reale dell'Europa manifatturiera, a favore dell'Europa che vuole la vittoria del commercio. A nostro avviso, non si può vivere solo di terziario. Sono la produzione e l'impresa che generano ricchezza, non il semplice commercio.
La Lega Nord Padania ha sempre posto le quote e i dazi come un freno a difesa delle nostre imprese, ma è sempre stata derisa e inascoltata. Oggi, però, siamo tutti qua a rivendicare, comunque, una sorta di risposta positiva in questo senso.
Per quanto riguarda l'esigenza di garantire un futuro manifatturiero, servono leggi precise che devono imporre che, sul mercato europeo, possano circolare esclusivamente prodotti manifatturieri che - sebbene provenienti da Paesi dell'Unione europea od extracomunitari - abbiano obbligatoriamente applicata l'etichetta made in, con l'indicazione, quindi, del Paese di origine e corredata da una scheda di trasparenza e tracciabilità per le operazioni di lavorazione.
Intendiamo, dunque, anche definire ciò che è made in Italy, nel senso che vediamo l'etichettatura obbligatoria come una soluzione per offrire al consumatore la possibilità di scegliere, in modo tale che siano garantite la sicurezza e la qualità del prodotto, attraverso un'etichettatura che renda trasparente in sé la tracciabilità del prodotto: un'etichetta, quindi, in cui siano descritte tutte le fasi della filiera di produzione, affinché il consumatore sia libero di decidere. Questi potrà anche comprare tutti prodotti cinesi, non contraffatti, ma che abbiano quelle caratteristiche di salubrità e di qualità che altri prodotti italiani, invece, possiedono.
Si tratta, pertanto, di un made in Italy da definire, perché attualmente certe sentenze danno la possibilità, a chi produce all'estero, di venire in Italia, di avere solo la sede nel nostro Paese e, talvolta, solo attaccando un bottone, di poter definire made in Italy un capo. Questo non è più possibile! Bisogna regolamentare in modoPag. 45specifico cosa si deve intendere per made in Italy, non tanto il marchio made in Italy (discorso portato avanti dalla proposta di legge della scorsa legislatura), quanto definire con regole certe che cosa può essere definito made in Italy.
Questo serve per la salvaguardia soprattutto delle nostre maestranze, delle donne e degli uomini che, con la loro preparazione, hanno fatto diventare grandi i marchi italiani, i grandi marchi dell'eccellenza artigiana industriale italiana, perché made in Italy - ed è notizia apparsa su La Stampa di oggi - è sinonimo di qualità e, quindi, di plusvalenza sul prodotto finito.
La Stampa di oggi, a pagina 19, titola «Cina addio, meglio l'Italia»: vi sono, infatti, imprenditori che capiscono che produrre, senza avere la possibilità di identificare i prodotti come made in Italy, significa perdere brand sul mercato, perché i cittadini mondiali collegano all'assioma made in Italy un qualcosa di prestigioso, ben fatto e di alta qualità.
Le politiche economiche di difesa del settore manifatturiero e la disincentivazione della delocalizzazione, che è un altro brutto fenomeno dell'impresa nazionale, devono pertanto rappresentare il faro dello Stato verso le imprese.
Nella mozione n. 1-00021 presentata dall'onorevole Polledri, a firma anche del sottoscritto, si ricorda nella premessa quanto è già stato ricordato anche da altri in merito ai danni e allo stillicidio di problemi connessi alla regolamentazione mondiale derivante dalla globalizzazione e, soprattutto, dalla contraffazione. È stato stimato che il giro d'affari legato alla contraffazione si attesta a oltre 100 miliardi di dollari l'anno in tutto il mondo, pari al 5,6 per cento dell'intero commercio mondiale. Si passa dal 5 per cento dell'industria degli orologi, al 6 dell'industria farmaceutica (un dramma anche dal punto di vista sanitario), al 10 per cento della profumeria, al 25 per cento dell'audiovideo e al 35 per cento del software. Oltre il 70 per cento della produzione mondiale della contraffazione proviene dal sud est-asiatico, con in testa Cina, Corea, Thailandia e Taiwan. Il mancante 30 per cento circa della produzione mondiale di contraffazione proviene, invece, dal bacino mediterraneo; purtroppo il nostro Paese è leader anche nel settore dell'autocontraffazione.
L'impegno che chiediamo al Governo attraverso la presente mozione si snoda su più punti. Il primo è quello volto a mantenere l'etichettatura obbligatoria, tutelando anche i marchi non registrati. Intervengono qui due fattori: quello dell'etichettatura obbligatoria, nel senso volto a rendere possibile disporre di un pedigree completo dei prodotti commerciali italiani che circolano nell'Unione europea, e quello della tutela dei marchi non registrati, oltre a quelli registrati, perché l'uso fraudolento dei marchi è oramai sport nazionale in alcune zone del mondo, per arricchirsi in modo parassita dell'esperienza e del know how di altri. Altri punti sono volti ad adottare ogni misura idonea a proteggere i nostri prodotti nazionali e a implementare il controllo nelle frontiere nazionali ed europee dell'ingresso di prodotti contraffatti, attivandosi anche presso i competenti organi europei al fine di garantire l'omogeneità dei controlli; assumere iniziative idonee a fronteggiare la concorrenza sleale subita dai prodotti italiani da parte dei produttori cinesi e non, anche con sequestri preventivi; assicurare, come dicevo poc'anzi, che la funzione dell'Alto commissario per la lotta alla contraffazione, di cui il decreto-legge «taglia enti» prevede la soppressione, siano affidati al Ministro competente, per essere delegate a un sottosegretario di Stato.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Polidori. Ne ha facoltà.

CATIA POLIDORI. Signor Presidente, sottosegretario Giorgetti, colleghi, ho letto con attenzione le quattro mozioni e le ho trovate sovrapponibili in alcuni punti, diverse in altri, potenzialmente tutte valide e, quindi, integrabili. Esse sono una dimostrazione dell'importanza che viene attribuita alla problematica relativa al made in italy. È questa un'espressione che puòPag. 46sembrare di per sé riduttiva, ma che è usata per praticità per comprendere tutti i punti di cui abbiamo parlato.
Vorrei fare una riflessione un po' azzardata: se il Paese fosse un'azienda e se un solo uomo potesse decidere sul da farsi, proporrei di ripartire con un dépliant sotto braccio e tentare di proporre il nostro Paese agli investitori sfiduciati, sia nostri, quindi imprenditori italiani, ma, soprattutto, esteri. Certo è che una tale proposta dovrebbe poter significare parlare delle potenzialità del nostro Paese, ma, soprattutto, poter parlare degli sgravi fiscali e burocratici a favore di chi investe in Italia, al fine di recuperare le posizioni perse negli ultimi anni. Mi consola il fatto che i provvedimenti adottati dal Governo negli ultimi tre mesi vadano decisamente e fortemente in questa direzione.
Recuperare le posizioni non è solo un problema economico: il problema vero probabilmente è che ci siamo avvitati in una crisi di fiducia molto forte, testimoniata dal fatto che questi ultimi due anni sono stati storicamente quelli con il più basso impegno negli investimenti in assoluto. Una crisi di fiducia che va peraltro in controtendenza rispetto agli indicatori macroeconomici: effettivamente abbiamo oggi l'inflazione e l'occupazione più basse rispetto a dieci anni fa, ma abbiamo il più basso tasso di investimento in assoluto. Ciò significa che - e questo ci dovrebbe far riflettere - l'incapacità di investire nel futuro potrebbe essere un campanello d'allarme e, vista proprio l'intenzione di tutte e quattro le mozioni, ritengo che ciò potrebbe essere un punto di riflessione per poter partire, per poter completare ancora di più questa offerta che abbiamo fatto.
Lo abbiamo sentito e lo abbiamo detto tutti: molte delle imprese sono state costrette a chiudere e a delocalizzare. La cosa che vorrei sottolineare è che le imprese che hanno delocalizzato sono veramente poche, sono le imprese più grandi e strutturate laddove l'Italia è fatta al 90 per cento di piccole e medie imprese, che, ahimè, non sono in grado di sostenere la delocalizzazione. Chiaramente la maggior causa di tutto ciò - lo sappiamo bene - è il nostro costo del lavoro che è il più elevato in assoluto. Ad esso paradossalmente fa eco un vergognoso livello di salario che è il più basso, quanto meno nel mondo occidentale.
A parte questo, il problema è - come abbiamo segnalato - che la concorrenza sleale o meglio i prodotti sleali mettono in ginocchio le nostre aziende e soprattutto che si tratta di prodotti non solo sleali - e qui sta il problema vero - ma anche nocivi e insicuri: hanno queste tre caratteristiche perché, lo sappiamo, usano materie prime di qualità inaccettabile - e vorrei sottolinearlo, inaccettabile - eludono qualsiasi controllo di sicurezza e sfruttano il lavoro minorile.
È chiaro che il rischio di destabilizzazione del nostro mercato, del mercato del made in Italy, è molto forte. Il mercato del made in Italy, vorrei sottolinearlo per integrare tutto quello che abbiamo detto, non è solo tessile ed abbigliamento: includerei senz'altro il settore alimentare, includerei in maniera molto forte il settore ceramico-artistico, per non parlare - ce ne ricordiamo tutti - delle vicende sui giocattoli, sulla plastica (i giocattoli per bambini). Diventa quindi urgente, a livello comunitario - qui chiaramente chiediamo l'impegno del Governo - l'elaborazione di una normativa che tuteli in maniera univoca e chiara quelli che io chiamo i talenti del made in Italy, dove per talenti del made in Italy si intende ovviamente l'ingegno, la capacità ed il know-how. Quando chiude un'azienda perdiamo tanti posti di lavoro ma perdiamo anche e soprattutto un pezzo della nostra storia che è fondamentale e difficilmente recuperabile, perché il più delle volte si tratta di aziende familiari, che si sono tramandate un mestiere, di aziende artigiane.
L'impegno deve essere quindi sicuramente per una normativa volta innanzitutto a chiedere certificazioni chiare - come succede quando noi esportiamo verso altri Paesi - garantite da istituiti di credito a loro volta certificati. Credo anche che dovremmo intensificare i controlli doganali:Pag. 47il controllo a campione non è più adatto. Dovremmo probabilmente dotarci di strumenti elettronici che ci aiutino a capire che cosa c'è dentro i containers che passano (sappiamo bene che c'è di tutto e di più).
A questo punto ritengo che non si tratta - come leggiamo nei giornali - di una questione di mercati aperti, oppure no. La globalizzazione c'è, esiste, è un dato di fatto. Quello che occorre capire è probabilmente che non solo siamo in grado di poterci difendere - ci dobbiamo difendere - ma che siamo in grado di poter giocare ed anche di vincere la partita. A questo fine sono probabilmente immaginabili degli strappi alla stretta osservanza delle regole della concorrenza, che ci permettano di prepararci in qualche maniera e di proteggerci: in realtà così fanno tutte le nazioni, anche quelle di recente industrializzazione. Noi invece - devo dire - che in questi anni abbiamo evitato l'argomento. È come se buttarci o affacciarci nei mercati voglia dire che debba sopravvivere il migliore. Sappiamo bene che ci sono delle vie di mezzo molto meno drastiche che portano comunque al raggiungimento dell'obiettivo e che, soprattutto, sono anche più giuste dal punto di vista analitico.
Sappiamo bene, effettivamente, che, tra parentesi, uno dei fattori dell'evoluzione è sicuramente la casualità. Non sempre vincono i migliori; alcune volte vincono i più forti, quelli che sono preparati in quel momento, in quel dato periodo storico.
È qui, quindi, che mi sento di suggerire una specie di filiera istituzionale, un raccordo molto pratico tra Governo, amministrazioni locali e imprese, che possa pensare e poi organizzare una risposta seria per un problema che - lo abbiamo capito dalle quattro mozioni molto simili - sicuramente è altrettanto molto serio (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.

(Intervento del Governo)

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze, onorevole Alberto Giorgetti.

ALBERTO GIORGETTI, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Signor Presidente, innanzitutto voglio ringraziare i colleghi Raisi, Vico, Polledri e Anna Teresa Formisano, che hanno voluto presentare, insieme ad altri cofirmatari, le mozioni che sono alla nostra attenzione. Grazie, anche all'onorevole Polidori per il suo intervento.
Questo dibattito è particolarmente gradito perché, come risulta chiaro a tutti, in particolar modo al Governo, le mozioni presentate affrontino la delicata tematica della concorrenza sleale, portata, da parte di alcuni Paesi extraeuropei, alle produzioni italiane, con particolare riferimento ai settori tessile, abbigliamento, calzaturiero e agroalimentare; ciò consente al Governo di esprimere le proprie valutazioni e i propri intendimenti su tale rilevantissima tematica, anche alla luce delle recentissime iniziative normative intraprese.
In particolare, la mozione Raisi ed altri n. 1-00020 sottolinea la minaccia recata al nostro sistema produttivo, in particolare al settore del tessile e dell'abbigliamento, dalla massiccia distribuzione sul mercato internazionale di prodotti contraffatti, provenienti principalmente dal Sud-est asiatico. Le tematiche affrontate nella mozione involgono, oltre al tema della contraffazione, altri profili, tutti tra loro connessi: il cosiddetto dumping sociale, le questioni afferenti alla tutela ambientale (il dumping ambientale), la violazione delle norme a tutela della sicurezza e dei prodotti, con riferimento, in particolare, all'utilizzo di materie prime dannose per la salute e a basso costo.
La mozione Vico ed altri n. 1-00007 verte sulla generale tematica della concorrenza sleale da parte di alcuni Paesi extraeuropei, con particolare riferimento alla Cina. Tale tema viene illustrato nellaPag. 48mozione con riferimento, in particolare, anche ad alcuni aspetti segnalati nella mozione dell'onorevole Raisi, quali la lotta alla contraffazione, il dumping sociale e il dumping ambientale.
Nella mozione Polledri ed altri n. 1-00021, invece, si ripercorrono alcune tematiche già precedentemente indicate. In particolare, con riferimento al fenomeno della contraffazione, si evidenzia in questa mozione che lo stesso deriva da un insieme di violazioni di leggi, regolamenti e vincoli contrattuali, che regolano i diritti di proprietà intellettuale e di sfruttamento commerciale di ogni genere di prodotto. Inoltre, si fanno rilevare i molteplici danni prodotti dalla contraffazione all'erario, alle aziende, ai lavoratori, la perdita di posti di lavoro. Si evidenziano, altresì, i rischi per la sicurezza dei consumatori derivanti dall'immissione sul mercato di articoli pericolosi anche per la salute.
Nella mozione Anna Tersa Formisano ed altri n. 1-00022 si fa riferimento agli articoli 153 e 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, diretti a tutelare gli interessi, la salute e la sicurezza dei consumatori tramite la promozione dell'apertura, dell'equità e della trasparenza del mercato interno. Si evidenzia l'opportunità di predisporre norme commerciali trasparenti e coerenti, che dovrebbero, soprattutto per la protezione dei consumatori, includere l'indicazione dell'origine dei prodotti.
Il Governo conferma come il tema della concorrenza sleale involge, come è noto, più profili tra loro connessi: la necessità della lotta alla contraffazione, la problematica, come sottolineato più volte, del cosiddetto dumping sociale, le questioni afferenti alla tutela ambientale, le problematiche della sicurezza dei prodotti importati da Paesi extraeuropei.
Il Governo ribadisce, quindi, le questioni che sono state poste correttamente nelle quattro mozioni. Va subito ricordato che il Governo italiano ha sempre considerato prioritario un adeguamento legislativo comunitario a difesa del sistema produttivo nazionale, ritenendo, in particolare, che occorra una nuova normativa europea sull'etichettatura obbligatoria dell'origine dei prodotti di importazione.
Al riguardo, si fa presente che la proposta della Commissione europea del dicembre 2005 sulla marcatura di origine obbligatoria dei prodotti importati è ferma nel Consiglio dell'Unione europea per mancanza di una maggioranza qualificata utile.
Sono infatti ancora molti gli Stati membri, tra i quali Germania, Svezia, Danimarca e Regno Unito, che si ritengono contrari alla proposta. Inoltre, è già stata ricordata dagli onorevoli firmatari delle mozioni la risoluzione del Parlamento europeo, sostenuta dalla quasi totalità dei gruppi politici, con la quale è stata evidenziata la necessità di tutelare i produttori europei da fenomeni di concorrenza sleale, auspicando un intervento diretto della Commissione volto a proibire l'immissione sul mercato europeo di prodotti pericolosi.
L'Italia, signor Presidente, continuerà ad esercitare le dovute pressioni sui citati Paesi al fine di convincerli a rivedere le propri posizioni, anche facendo presente l'aspetto innovativo della citata proposta della Commissione europea rispetto alla direttiva 2005/29/CE sulle pratiche commerciali sleali, che vieta informazioni false e ingannevoli sull'origine geografica, ma non prevede alcun obbligo di marcatura sui prodotti.
Si ricorda, inoltre, che il 22 luglio 2003, durante il semestre di Presidenza italiana dell'Unione europea, è stato emanato il Regolamento 2003/1383/CE del Consiglio, che prevede la possibilità di distruggere senza risarcimento o di mettere fuori dei circoli internazionali merci di importazione che violano i diritti di proprietà intellettuale. Inoltre, ne vieta l'ingresso nel territorio doganale comunitario, l'immissione in libera pratica, la riesportazione e il collocamento in depositi o zone franche e prevede l'impiego di soluzioni concordate purché finalizzate ad eliminare l'interesse economico della contraffazione. Tale normativa è attivabile ad istanza di parte.Pag. 49
Entrando nel merito dei profili prima indicati, per quanto riguarda il tema della clausola sociale si evidenzia che l'Unione europea e l'Italia, in particolare, ha sempre indicato la necessità di una condivisione globale delle regole sugli standard sociali. Su tale argomento, tuttavia, solo pochissimi altri Paesi dimostrano la stessa sensibilità. Attualmente, nel commercio internazionale non tutti i fenomeni di concorrenza sleale sono suscettibili di indennizzo. Gli accordi dell'Organizzazione mondiale del commercio permettono di difendersi legittimamente dalle pratiche del dumping - esportazioni sottocosto di prodotti rispetto al mercato dei Paesi di cui sono originari - e della sovvenzione pubblica attraverso disposizioni opportunamente recepite a livello comunitario da specifici Regolamenti. Peraltro, le difese sono ancora deboli ed approssimative di fronte al concetto di concorrenza sleale inteso anche in modo più ampio, vale a dire considerando l'importazione di quei beni di origine straniera che, se confrontati con beni dello stesso tipo prodotti nella Comunità, hanno costi di produzione bassissimi perché non gravati dai cosiddetti oneri sociali.
Sono poi spesso le imprese dei Paesi industrializzati, dove si è meno competitivi proprio per maggiori costi sociali ed ambientali, a spostarsi in Paesi dove tali costi sono minori, in modo da poter guadagnare di più restando concorrenziali e dando luogo al fenomeno della delocalizzazione.
Per consentire alle nostre imprese di restare competitive sarebbe necessario disporre di strumenti che consentano di riequilibrare in termini economici il differenziale competitivo determinato da pratiche di dumping sociale. L'Unione europea ha cercato più volte di inserire negli accordi dell'Organizzazione mondiale del commercio disposizioni a difesa dei diritti fondamentali del lavoro, tra i quali il divieto dello sfruttamento del lavoro minorile. Il primo tentativo risale ancora al 1996 e fin da allora parve netta e radicale l'opposizione dei Paesi in via di sviluppo. Pertanto, la questione della clausola sociale resta comunque uno dei temi su cui l'Unione europea, sostenuta in primo luogo dall'Italia, continuerà ad insistere in modo particolare per le istanze provenienti dalla società civile e dalle imprese.
Se all'Organizzazione mondiale del commercio vi è ancora disco rosso per la clausola sociale, ciò non significa che in altri modi il problema non possa essere perlomeno contrastato, anche se in modo più indiretto. L'Unione europea, ad esempio, con il forte sostegno dell'Italia, ha adottato nel 2005 un Regolamento con cui viene applicato uno schema di preferenze tariffarie generalizzate (agevolazioni daziarie nei confronti dei soli Paesi in via di sviluppo), che prevede anche specifici incentivi daziari per quei Paesi la cui legislazione nazionale incorpora la sostanza delle Convenzioni fondamentali dell'Organizzazione mondiale del lavoro, fra cui le Convenzioni sul lavoro minorile, e che dimostrano di applicare effettivamente tale legislazione.
Un ulteriore strumento per lottare contro il dumping sociale potrebbe essere rappresentato dall'obbligo dell'etichettatura sui prodotti d'importazione di cui si è già detto in precedenza.
Un prodotto con il marchio made in Italy non è soltanto indice di qualità, ma anche garanzia del fatto che esso è stato realizzato, per la parte sostanziale della filiera, nel pieno rispetto delle regole che tutelano l'ambiente e i diritti fondamentali del lavoro. Con l'etichettatura obbligatoria un consumatore sensibile, di fronte ad un prodotto straniero, potrebbe scegliere se premiare o meno chi rispetta tali diritti fondamentali.
In merito agli aspetti ambientali evidenziati nella mozione in argomento, è importante sottolineare anche come la tracciabilità della filiera di produzione sia l'elemento cardine per poter svolgere le azioni di controllo riguardanti sia la riduzione degli impatti ambientali, che altri aspetti come la sicurezza dei cicli produttivi e dei prodotti e il rispetto della legalità.
Su questi temi, signor Presidente, il Governo è già impegnato, attraverso i Ministeri interessati (Ministero dell'ambientePag. 50e della tutela del territorio e del mare, Ministero dello sviluppo economico, Ministero dell'economia e delle finanze), per la valorizzazione della certificazione ambientale sui prodotti (ad esempio, i marchi come 1'Ecolabel europeo o la dichiarazione ambientale di prodotto) e per l'applicazione di strumenti di analisi del ciclo di vita dei prodotti e della filiera di produzione.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROSY BINDI (ore 18)

ALBERTO GIORGETTI, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Per quanto riguarda tale tematica è inoltre in corso l'elaborazione, attraverso il confronto con i diversi soggetti interessati, di una proposta di strategia nazionale sul tema: produzione e consumo sostenibile. Uno degli aspetti cardine di questa strategia è proprio l'attenzione al ciclo di vita e alla filiera dei prodotti. Ciò vale tanto per i manufatti che per gli alimenti.
Si tratta, in sostanza, non tanto di protezionismo commerciale, ma di promozione e valorizzazione di prodotti e produttori che fanno propri i principi di sostenibilità ambientale e rispetto della legalità da un lato e tutela dei consumatori dall'altro.
Si aggiunge, infine, che in tema di tutela del made in Italy e di difesa delle imprese italiane dal fenomeno della contraffazione, la legge finanziaria per il 2004 ha previsto la costituzione di specifici uffici di consulenza legale alle imprese e monitoraggio per la tutela del marchio e le indicazioni di origine, per l'assistenza legale alle imprese nella registrazione dei marchi e brevetti e nel contrasto alla contraffazione e alla concorrenza sleale, il cui compito è quello di dare informazioni e assistere le imprese italiane che si trovano a dover affrontare il fenomeno della contraffazione dei propri prodotti.
Gli uffici sono stati attivati, a partire dal novembre scorso, presso gli uffici ICE di diversi Paesi. Al fine di definire i servizi offerti dai desk e standardizzarne l'operatività, è stata raggiunta un'intesa con le altre amministrazioni italiane competenti in materia che prevede la costituzione tra le suddette amministrazioni di un comitato di indirizzo, anche al fine di valutare il possibile finanziamento di cause pilota, come previsto dalla normativa istitutiva.
La condizione di internazionalità che proviene dalla realtà economica fa si che oggi i mercati non sono valutabili esclusivamente nella loro dimensione domestica. Pertanto, in tale contesto, il sistema della proprietà industriale, legato anche agli aspetti immateriali (conoscenza e innovazione) contenuti nei prodotti che viaggiano tra i diversi mercati, destinato a crescere di importanza in futuro, necessita di protezione e di tutela.
Dai desk dipende anche una funzione di monitoraggio del mercato di riferimento per conoscere le modalità di presenza delle aziende italiane sui mercati ed i problemi di contraffazione nonché raccogliere prove su casi di contraffazione ai fini della tutela dei diritti di proprietà industriale delle aziende italiane.
Di recente, inoltre, sono state adottate numerose iniziative normative contenute nel «pacchetto sviluppo economico», che è attualmente all'esame della Camera dei deputati insieme alla manovra per garantire una migliore tutela dei diritti di proprietà industriale, anche inasprendo le pene per i reati di contraffazione, alterazione od uso di marchi, e usurpazione di brevetti, modelli e disegni e incrementando i poteri dell'autorità giudiziaria.
Altri sarebbero gli aspetti da approfondire data la rilevanza del tema, ma le poche considerazioni già svolte finora credo possano essere chiare in ordine all'approccio che ha il Governo rispetto a questa tematica: è stata dimostrata - lo ribadisco - un'attenzione particolare che abbiamo poi concretizzato nel pacchetto di proposte che è all'attenzione del Parlamento, attualmente organizzato in un disegno di legge e nel decreto-legge relativo alla manovra che complessivamente danno l'idea della portata dell'iniziativa che il Governo intende adottare.Pag. 51
Indubbiamente, le considerazioni che ha svolto l'onorevole Polidori meritano particolare attenzione. Infatti, è chiaro che il tema della contraffazione e quindi della concorrenza sleale è oggi uno dei temi strategici, purtroppo, nella competizione internazionale, anche al fine di dare un giusto elemento di fiducia nei confronti delle imprese italiane che ovviamente non vogliono delocalizzare, ma puntano a rafforzare le produzioni in Italia.
In una condizione come quella citata dall'onorevole, ed in particolar modo con un tasso di inflazione abbastanza alto e un'occupazione così bassa, si dimostra come il sistema italiano oggi abbia alcuni punti di eccellenza. L'effetto complessivo della legge di riforma sul mercato del lavoro ha manifestato risultati straordinari all'interno di una crescita così debole, rendendo particolarmente efficiente l'opportunità riservata oggi al mercato del lavoro rispetto ai temi legati allo sviluppo e alla necessità di recuperare un'adeguata dose di fiducia da parte delle nostre imprese.
È chiaro che nel prossimo futuro dovremo rafforzare l'intervento e fare attività di filiera per ciò che riguarda l'aspetto istituzionale, sul quale concordiamo, in particolar modo con riferimento all'attività di controllo e di verifica. Sotto questo profilo, l'Agenzia delle dogane è stata sollecitata dal Governo a svolgere iniziative che consentano un'ulteriore innovazione dal punto di vista tecnologico per poter far fronte ad un'attività sostanzialmente di concorrenza sleale e di contraffazione, che si svolge con l'introduzione sul territorio nazionale di merci che non presentano le caratteristiche di salubrità e le condizioni richieste dagli standard previsti dalle normative. Tuttavia, molto dovrà essere fatto ancora in questo settore.
Concludendo, signor Presidente, in merito alle questioni poste dalle mozioni, il Governo si riserva una valutazione finale, nell'auspicio che i proponenti concentrino l'attenzione sui seguenti aspetti relativi ai dispositivi con cui impegnano il Governo: a sostenere in sede comunitaria sia il diritto dei consumatori alla salute, sia quello dei produttori europei alla tutela dalle frodi commerciali, anche mediante l'introduzione dell'etichettatura di origine obbligatoria, e ad adottare, nei limiti delle proprie competenze, disposizioni volte a tutelare le produzioni italiane dalla concorrenza sleale, specialmente per i prodotti contraffatti o contenenti sostanze nocive per la salute, anche attraverso il rafforzamento dei controlli alle frontiere; a sostenere in sede di Unione Europea la posizione italiana sul marchio di origine e sull'etichettatura dei prodotti, quale punto di partenza per una negoziazione e un confronto che abbia alla base la tutela del consumatore europeo e il contrasto del fenomeno del dumping sociale ed ambientale; ad elaborare, anche nelle opportune sedi comunitarie, una concreta proposta che possa garantire una forte tutela rispetto a quanto illustrato; a mantenere l'etichettatura obbligatoria, tutelando altresì i marchi non registrati, rafforzando in tal modo e con ogni ulteriore strumento utile, ivi compresa la revisione del codice della proprietà industriale, la protezione contro il «parassitismo commerciale»; ad adottare ogni idonea misura per proteggere i nostri prodotti nazionali ed implementare il controllo alle frontiere nazionali ed europee all'ingresso di prodotti contraffatti, attivandosi presso gli organi competenti europei per garantire un'omogeneità di controlli; ad assumere, in tale quadro, iniziative idonee a fronteggiare la concorrenza sleale subita dai prodotti italiani da parte dei produttori cinesi e non, che invadono il nostro mercato con una crescente quantità di beni contraffatti in spregio a qualsiasi normativa sui brevetti, ivi compreso un rafforzamento delle attività di indagine, procedendo anche con sequestri preventivi; ad assicurare, inoltre, nel quadro della tutela dei marchi italiani, che le funzioni dell'Alto Commissario per la lotta alla contraffazione, di cui si sta procedendo alla soppressione, siano affidate al Ministro competente, per essere delegate ad un sottosegretario di Stato.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.Pag. 52
Sospendo la seduta, che riprenderà al termine della Conferenza dei presidenti di Gruppo per la lettura della comunicazione dei relativi esiti, nonché dell'ordine del giorno della seduta di domani.

La seduta, sospesa alle 18,10, è ripresa alle 21.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ANTONIO LEONE

Modifica del vigente calendario dei lavori dell'Assemblea.

PRESIDENTE. Comunico che, a seguito dell'odierna riunione della Conferenza dei presidenti di gruppo, è stata definita, ai sensi dell'articolo 24, commi 3 e 6 del Regolamento, la seguente organizzazione dei lavori per la settimana in corso:

Martedì 8 luglio (antimeridiana):

Seguito e conclusione della discussione del Documento di programmazione economico-finanziaria relativo alla manovra di finanza pubblica per gli anni 2009-2013 (Doc. LVII, n. 1).

Martedì 8 luglio (pomeridiana, dalle 17, con eventuale prosecuzione notturna) (con votazioni):

Seguito dell'esame del Documento di programmazione economico-finanziaria per gli anni 2009-2013 (Doc. LVII, n. 1) (per la votazione della risoluzione accettata dal Governo, previe dichiarazioni di voto).

Seguito dell'esame della mozione Vico ed altri n. 1-00007 concernente iniziative in materia di marchio di origine ed etichettatura dei prodotti.

Mercoledì 9 luglio (pomeridiana, con eventuale prosecuzione notturna):

Discussione sulle linee generali del disegno di legge n. 1442 recante disposizioni in materia di sospensione del processo penale nei confronti delle alte cariche dello Stato (ove concluso dalle Commissioni).

Giovedì 10 luglio (antimeridiana e pomeridiana, con eventuale prosecuzione notturna) (con votazioni):

Seguito dell'esame del disegno di legge n. 1442 recante disposizioni in materia di sospensione del processo penale nei confronti delle alte cariche dello Stato (ove concluso dalle Commissioni).

Venerdì 11 luglio (antimeridiana e pomeridiana, con eventuale prosecuzione notturna) (con votazioni):

Esame del disegno di legge n. 1366 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92, recante misure urgenti in materia di sicurezza pubblica (Approvato dal Senato - scadenza: 25 luglio 2008).

La Conferenza dei presidenti di gruppo sarà nuovamente convocata nel pomeriggio di giovedì 10 luglio per definire l'organizzazione dei lavori dei giorni successivi.

Assegnazione alla V Commissione (Bilancio) dei disegni di legge relativi al rendiconto generale dell'Amministrazione dello Stato per l'esercizio finanziario 2007 e all'assestamento del bilancio dello Stato per l'anno finanziario 2008 (ore 21,03).

PRESIDENTE. A norma del comma 1 dell'articolo 72 del Regolamento, i seguenti disegni di legge sono assegnati alla V Commissione (Bilancio), in sede referente, con il parere di tutte le altre Commissioni permanenti e della Commissione parlamentare per le questioni regionali:

«Rendiconto generale dell'Amministrazione dello Stato per l'esercizio finanziario 2007» (1416);

Pag. 53

«Disposizioni per l'assestamento del bilancio dello Stato e dei bilanci delle Amministrazioni autonome per l'anno finanziario 2008» (1417).

Ricordo che il calendario dei lavori dell'Assemblea prevede che la discussione sulle linee generali di tali disegni di legge abbia inizio nella seduta di lunedì 28 luglio 2008. Le Commissioni dovranno pertanto concluderne l'esame in sede consultiva e in sede referente compatibilmente con i tempi previsti dal calendario per l'esame da parte dell'Assemblea.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Martedì 8 luglio 2008, alle 10,30:

1. - Seguito della discussione del documento:
Documento di programmazione economico-finanziaria relativo alla manovra di finanza pubblica per gli anni 2009-2013 (Doc. LVII, n. 1).
- Relatori: Toccafondi, per la maggioranza; Baretta, di minoranza.

(ore 17)

2. - Seguito della discussione del documento:
Documento di programmazione economico-finanziaria relativo alla manovra di finanza pubblica per gli anni 2009-2013 (per la votazione della risoluzione accettata dal Governo, previe dichiarazioni di voto) (Doc. LVII, n. 1).
- Relatori: Toccafondi, per la maggioranza; Baretta, di minoranza.

3. - Seguito della discussione delle mozioni Vico ed altri n. 1-00007, Raisi ed altri n. 1-00020, Polledri ed altri 1-00021 e Anna Teresa Formisano ed altri n. 1-00022 concernenti iniziative in materia di marchio d'origine ed etichettatura dei prodotti.

La seduta termina alle 21,05.

TESTO INTEGRALE DEGLI INTERVENTI DEI DEPUTATI CESARE MARINI E AMEDEO CICCANTI IN SEDE DI DISCUSSIONE DEL DOC. LVII, N. 1.

CESARE MARINI. Il Ministro dell'economia è convinto di poter nascondere la severa logica dei numeri con l'abilità dialettica e, forte del successo di comunicazione dei suoi ultimi lavori di analisi dell'economia internazionale, propone una lettura singolare delle difficoltà dell'attuale congiuntura, attribuendone la responsabilità principale agli effetti perversi della globalizzazione.
La sua, più che una convincente analisi dell'economista, è il tentativo giustificazionista per l'eventuale fallimento della svolta liberaldemocratica annunciata solennemente agli elettori.
I mercati internazionali sono influenzati dalla globalizzazione che, senza alcun dubbio, non può essere guidata solo dalla competizione tra i produttori; non è un mistero, infatti, che l'assenza di regole finisce per lasciare senza protezione i soggetti più deboli. Sono molti gli studiosi delle vicende economiche, sociali e politiche della sinistra democratica preoccupati per le difficoltà crescenti che incontrano gli Stati nazionali nel concordare la creazione di organismi multilaterali in grado di intervenire con la necessaria autorità ogni qual volta il mercato degenera. Ritenere, in virtù di una visione fideistica, che le capacità taumaturgiche della assoluta libertà dei soggetti economici sia il metodo migliore per promuovere un'era di prosperità non è stata mai una visione della sinistra riformista. Il dibattito sulla riduzione dello Stato era ed è rivolto a definire i limiti oltre i quali il pubblico anziché promuovere il progresso dei popoli ne ostacola l'inventiva e ne mortifica le capacità realizzatrici. Che, però, la funzionePag. 54insostituibile di regolazione dei comportamenti, di moderazione degli atteggiamenti eccessivamente aggressivi e di redistribuzione delle risorse dovesse continuare ad essere esercitata dalle istituzioni pubbliche è concezione propria della sinistra di Governo ed estranea alla tradizione della destra attualmente al Governo del Paese.
La questione irrisolta che si ripropone, e sulla quale farebbe bene ad esercitarsi il Ministro dell'economia, è la mancanza nei rapporti internazionali di un'autorità sopranazionale capace di frenare i responsabili delle anomalie che impediscono il corretto funzionamento dei rapporti di libero scambio. Il problema è politico e attiene alla irrisolta contraddizione tra la pretesa di ogni singola nazione di conservare la piena sovranità su tutti i fatti che accadono all'interno del proprio territorio e l'esigenza del tempo presente di delegare alcune funzioni e quote di sovranità ad autorità multilaterali. Il momento non è certo dei migliori per costruire un livello più avanzato di Governo sopranazionale anche se tutte le vicende concorrono ad indicare come necessario questo traguardo. La delusione delle aspettative di miglioramento delle condizioni di vita, le paure diffuse per l'incertezza del futuro, lo smarrimento dinnanzi ai fenomeni di grandi proporzioni, come il trasferimento di milioni di esseri umani portatori di costumi, religioni e modi di vita propri, la consapevolezza di non poter padroneggiare il futuro, il timore di sentirsi circondati dall'ostilità del prossimo sono i motivi che provocano il rinchiudersi di ciascuno entro i confini del familiare, alimentano sentimenti egoistici di edonismo e di indebolimento della solidarietà e del sentirsi partecipi di un comune destino. In questo quadro di ricerca di stabilità per una normale dimensione umana si sono manifestati fenomeni nuovi e imponenti. Paesi tra i più popolati della terra hanno iniziato cicli virtuosi di crescita esprimendo una forte domanda di beni di prima necessità e di fonti di energia. I prezzi, come è naturale in questi casi, hanno iniziato la corsa all'insù e i prezzi delle merci di largo consumo sono lievitati erodendo il potere di acquisto dei salari. Lo spettro della povertà si è affacciato nell'area delle società sviluppate, già provate dalle vicende di crisi delle istituzioni finanziarie e dalla rarefazione del capitale, inoculando, nei paesi proiettati verso forme di integrazione interstatuale, il dubbio per il nuovo e l'autodifesa del ritorno al passato. Le decisioni referendarie dei francesi, per ultimo degli irlandesi e del governo polacco di soprassedere alla ratifica degli accordi di Lisbona riflettono le incertezze di una fase che ha smarrito lo spirito solidale del percorso comune.
La speculazione, allora, di fare leva sulla paura del domani per portare acqua al proprio credo politico può dare lustro ai venditori di illusioni, ma di certo non qualifica l'azione di chi è investito di responsabilità di Governo della società.
Il Documento di programmazione economico-finanziaria non affronta le due questioni maggiori relative all'economia del Paese: la bassa crescita economica e l'inadeguato livello dei redditi.
La Confcommercio denuncia una flessione dei consumi del 2,7 per cento nel mese di maggio che, se dovesse permanere nei prossimi mesi, determinerà, unitamente ad altri fattori, una crescita zero dell'economia. I rischi di inflazione hanno spinto la BCE ad aumentare di un quarto il tasso di sconto, ritenendo essenziale impedire la rincorsa salari-inflazione, nonostante l'effetto dissuasivo della decisione per gli investimenti. Il DPEF ignora l'allarme degli indicatori economici, né affronta, con adeguati strumenti, la stagnazione nella quale è immersa l'economia del Paese. La tanto strombazzata promessa: «Non metteremo le mani nelle tasche degli italiani» si rivelerà espediente elettorale, l'eliminazione dell'ICI impone un aggiustamento finanziario ed un inasprimento della pressione fiscale dal 42,6 per cento al 43 per cento. Inoltre i provvedimenti contenuti nel DPEF contraggono la spesa in conto capitale oltre a quella ordinaria. Non è difficile prevedere effetti deflattivi: i consumi delle famiglie nonPag. 55vengono stimolati, la nuova ECA per i più poveri ha il sapore del gesto caritatevole, gli investimenti in macchine e attrezzature subiscono una riduzione.
Non destinare risorse per i salari si rifletterà negativamente sui consumi interni e sulla crescita, il prevedibile abbassamento del tenore di vita rischia di innescare un diffuso malessere sociale ed esplosioni di ribellismo. La spesa per investimenti, è bene ricordarlo, scenderà, rispetto al quadro tendenziale, di circa tre miliardi di euro. Come si conciliano questi dati con la necessità che ha l'apparato produttivo di investire in macchine tecnologicamente più avanzate per ridurre i costi di produzione, unico modo per superare le difficoltà di accrescere o, quanto meno, mantenere le quote di mercato, non si comprende. Le infrastrutture sono in parte obsolete e non in grado di competere con gli altri paesi europei ed è aspettativa generale la formulazione di un programma vasto di costruzione e ammodernamento della grande viabilità, delle vie ferrate, del sistema portuale e aereo di trasporto passeggeri e merci.
Di tutto ciò nel Documento non vi è traccia alcuna.
La distinzione fondamentale degli interventi pubblici tra ordinari e aggiuntivi e la loro destinazione in funzione di crescita e di soluzione di gravi squilibri territoriali e sociali non viene affrontata.
Fare confusione tra le due categorie di spesa o utilizzare l'una al posto dell'altra perpetua un inganno storico, causa non secondaria della mancata unificazione territoriale. Le politiche del passato, in più occasioni criticate, vengono riproposte, anche se presentate con l'enfasi della novità.
Infatti nel capitolo «Interventi per lo sviluppo» al punto uno, che tratta della concentrazione dei Fondi per le aree sottoutilizzate, si abbandona il criterio territoriale degli interventi per sostituirlo con quello settoriale. Questa forzatura fa pensare all'esistenza di un disegno tendente a far fronte alla modernizzazione dei servizi di tutto il territorio nazionale attingendo alle risorse dei territori a ritardo di sviluppo.
Il Mezzogiorno, nelle previsioni del Documento, è ignorato; impressione questa che si ricava dal mancato incremento di risorse specifiche e dalla indicazione di concentrare nel sud interventi di rilevanza strategica. Quale credibilità abbia simile impostazione lo si ricava dalla sottrazione operata alcuni giorni fa dal Governo dei fondo destinati dal precedente Ministero alle grandi infrastrutture della Calabria e della Sicilia. La promessa di risarcire le due regioni meridionali con la destinazione dei fondi FAS va respinta, perché le risorse finanziare sottratte erano ordinarie mentre quelle per le aree sottoutilizzate hanno natura straordinaria, cioè aggiuntiva.
La congiuntura economica è più sfavorevole nel Mezzogiorno rispetto al resto del Paese, nel periodo 2000-2007 le regioni meridionali sono cresciute di mezzo punto in meno all'anno, né vi sono sintomi di ripresa per il 2008. Il tasso di occupazione continua a decrescere, soprattutto nella componente femminile, il comparto industriale, ad inizio 2008, segnala un -4,9 per cento, l'Istat lancia l'allarme di una povertà in aumento, per giunta concentrata soprattutto nel Mezzogiorno.
La prospettiva di trasformare le università in fondazioni per poter ricevere linfa finanziaria dal mondo dell'imprese e controbilanciare, in tal modo, la riduzione dei futuri trasferimenti straordinari, avrà effetti deleteri per il Mezzogiorno. Pensare che le imprese del sud possano sostenere, con l'erogazione dei contributi, le attività didattiche e di ricerca delle università è fuori dalla realtà.
La genericità di alcune affermazioni, sempre nelle proposte di sviluppo, non aiuta ad esplicitare un giudizio definitivo.
Il rafforzamento dei distretti è di per sé proposta apprezzabile a condizione che si analizzino i motivi del fallimento della maggior parte degli stessi per capire se si rende necessaria una correzione della legislazione in materia, oppure se sia indispensabile definire puntualmente un insieme di incentivi reali. Si parla molto di vantaggio fiscale, ma tuttora tardano a vedere la luce provvedimenti in direzionePag. 56di vere e proprie defiscalizzazioni. Eppure iniziare con la neutralità fiscale nei territori dei distretti, per un certo numero di anni e per nuove imprese, imprimerebbe una spinta notevole alla nascita delle imprese.
Il riordino e la razionalizzazione della scuola tende a ridurre i costi per diminuire i gap, come recita il documento sul rapporto medio alunni-docente rispetto agli altri paesi.
Il documento non fa alcun riferimento alle differenze della formazione dei giovani nelle diverse aree del Paese. Il Governatore della Banca d'Italia, nelle considerazioni finali nel 2007, ha lanciato l'allarme sull'arretratezza del sistema scolastico nel sud, che fornisce un'istruzione soprattutto nelle materie scientifiche ed è di gran lunga inferiore al centro-nord. Il Governatore rileva che la pigrizia dello Stato nel non assumere azioni coerenti produrrà difficoltà insuperabili per l'accesso dei giovani meridionali nel mercato del lavoro. Tagliare indiscriminatamente cattedre, docenti, personale tecnico e ausiliario, senza un progetto di riqualificazione dell'organizzazione scolastica provocherà un ulteriore allargamento della distanza che separa le tre grandi aree del Paese.
È incredibile come si possa pensare ad una stretta negli organici prescindendo dalle condizioni delle singole province e non valutando il ruolo fondamentale dell'istruzione nei territori dominati dalle grandi organizzazioni delinquenziali. Napoli, solo per fare un esempio, in base alle proiezioni effettuate dal Sole 24 Ore, dovrebbe essere una delle città più penalizzate nei tagli.
Si sono calcolate le conseguenze del rapporto giovani-camorra? Non è che diventerà più facile il reclutamento della manovalanza microcriminale?
E gli effetti sull'azione dell'educazione civile della scuola, pur con i limiti attuali, sono stati tenuti in debito conto?
Il monito espresso dal Governatore della Banca centrale nelle considerazioni finali di quest'anno sugli «spazi di crescita molto più ampi al sud che al nord» a condizione che siano messe in atto «azioni volti a sfruttarli per il contributo decisivo che possono dare al rilancio di tutta l'economia nazionale», è rimasto inascoltato.
La prospettiva di libero scambio nel Mediterraneo, concordata dai Paesi dell'Unione europea nella Conferenza di Barcellona, darà inizio ad una nuova era nei traffici e nel commercio internazionale. Infatti, dinnanzi al nostro Paese nascerà un grande mercato tra i cittadini dell'Unione e 240 milioni circa di uomini e donne dei paesi del Nord Africa; il nostro Paese, e in particolare il Mezzogiorno, saranno centrali per la collocazione geografica. La posizione preminente dei paesi del Nord Europa, quali terminali dei rapporti di scambio per i trasporti che si svolgono nell'Atlantico, sarà sostituita dalle rotte del Mediterraneo che vedranno il Mezzogiorno piattaforma e terminale logistico dei nuovi processi.
La condizione necessaria è la dotazione di infrastrutture e servizi e l'adeguamento degli scali aeroportuali alla futura crescente domanda. È un'occasione storica per l'Italia e per le sue aree a ritardo di sviluppo ed è ben grave che il DPEF non ne faccia nessuna menzione. Per tutti questi motivi la nostra posizione non può che essere di rigetto della proposta contenuta nel Documento di programmazione economico-finanziaria.

AMEDEO CICCANTI. Berlusconi ha vinto le elezioni con un programma che prometteva agli italiani un impegno di Governo su sette missioni: rilanciare lo sviluppo, sostenere la famiglia, più sicurezza e più giustizia, servizi ai cittadini, il sud, il federalismo, un piano straordinario di finanza pubblica.
Questo DPEF è relativo ad un arco di tempo che va dal 2009 al 2013. In esso è contenuta una manovra triennale (2009-2011) di stabilizzazione della finanza pubblica, nel rispetto degli impegni assunti dal precedente Governo Prodi in sede europea, nella riunione dell'Eurogruppo tenutasi a Berlino il 20 aprile 2007.Pag. 57
In questo contesto il Consiglio dei ministri ha approvato sia questo DPEF in discussione e sia il decreto-legge n. 112, volto a dare attuazione concreta al DPEF.
Insieme al decreto-legge n. 112 sono stati annunciati altri provvedimenti, perché gli obiettivi finanziari fissati dallo stesso decreto e dal DPEF, non hanno ancora le conseguenti norme ordinamentali.
Ci riferiamo in particolar modo ai risparmi attesi da conseguire sul lato della spesa pubblica, per quanto riguarda il comparto enti locali con la riforma del Patto di stabilità interno e nel comparto delle regioni, soprattutto per quanto concerne il settore della spesa sanitaria.
Grande attesa infine è riservata alla riforma del federalismo fiscale, che dovrebbe costituire il pezzo forte della finanziaria 2009, che si annuncia consistere in un disegno di legge delega, da affiancare ad un altro disegno di legge di riforma delle funzioni fondamentali degli enti locali, il cosiddetto «codice delle autonomie».
Questi sono i pilastri su cui sarà realizzato il programma di stabilizzazione delle finanza pubblica del nostro Paese.
Dentro questo programma triennale c'è la cosiddetta «perequazione tributaria», il «piano industriale per la pubblica amministrazione», la «semplificazione», le «privatizzazioni».
Si tratta di titoli impegnativi, di messaggi forti all'opinione pubblica, che richiamano ritardi storici nella soluzione di problemi strutturali decisivi per l'Italia: debito pubblico, pressione fiscale, pareggio di bilancio, potenziamento ed ammodernamento delle infrastrutture strategiche sia materiali che immateriali, riforma della pubblica amministrazione.
Per capire quanto seria e credibile sia l'azione di Governo che ci viene proposta, dobbiamo tradurla nelle cifre e verificarle nel contesto interno ed internazionale.
Partiamo dai dati 2008 per capire quelli del triennio 2009-2011. Vediamo come cresce la ricchezza (il PIL) dell'Italia rispetto alle altre economie con le quali dobbiamo concorrere.
Nel 2008 il PIL italiano si stima possa crescere tra lo 0,3 e lo 0,5 per cento, nel 2009 dello 0,9 per cento; quello dell'Unione europea dell'euro si stima cresca dell'1,7 per cento per il 2008 e dell'1,5 per cento nel 2009.
Francia, Germania e Spagna, si stima crescano dell'1,7 per cento; dell'1, 8 per cento e dell'1,6 per cento nel 2008 e dell'1,5 per cento; dell'1,6 per cento e dell'1,3 per cento per il 2009.
Il PIL mondiale si stima in crescita del 3,9 per cento sia per il 2008 che per il 2009.
Mentre il mondo corre e cresce più del doppio dell'Europa (la Cina sta intorno al 10 per cento e l'India intorno al 7 per cento), l'Italia cresce nel 2008 per un terzo dell'Europa.
Il divario di crescita nel 2007 e anche del 2006, rispetto all'Europa dell'euro, è risultato di un punto percentuale.
Negli ultimi quindici anni questo rapporto tra Italia, Europa e Mondo è stato ogni anno drammaticamente divaricante, tanto da aver consumato tutto quello che è stato capitalizzato in quaranta anni di sviluppo economico nazionale.
Un punto di PIL oggi equivale a circa 16 miliardi di euro. La crescita di un punto di PIL si traduce in circa 6, 7 miliardi di euro di entrate per lo Stato.
Se la ricchezza non cresce nemmeno può essere distribuita. E i dati citati ci dicono che non c'è ricchezza da distribuire! Non c'è ricchezza da destinare ad investimenti Non c'è ricchezza da destinare a scuola, ricerca e infrastrutture!
Se le entrate non aumentano, l'unica via è tagliare le spese per recuperare margini di ricchezza. Quali spese? Non quella sociale, scrive il Governo nel DPEF.
Nel triennio 2009-2011 si assicura un taglio complessivo di 14,5 miliardi di euro, di cui 5 miliardi nel 2009.
Quando entreremo nel dettaglio, con la discussione del decreto-legge n. 112, vedremo meglio quale spesa viene tagliata.
Di certo possiamo dire che Tremonti ripropone il vecchio e fallito sistema del taglio lineare per le amministrazioni centrali.Pag. 58Si taglia ancora sui consumi intermedi e si taglia ancora sulla spesa in conto capitale.
Nel 2004 abbiamo assistito al fallimento del metodo «Gordon Brown» del ministro Siniscalco che propose un taglio lineare del 2 per cento in tutti i ministeri. Nel 2007 abbiamo visto il fallimento di Visco che propose un taglio lineare del 10 per cento in tutti i ministeri, con il famoso comma 507 della finanziaria 2007.
Dopo qualche anno fu costretto ad aumentare le imposte per restituire il 50 per cento dei tagli operati. Di fronte a questa esperienza è credibile un taglio draconiano del 21 e 22 per cento rispettivamente nel 2009 e 2010, fino a crescere a oltre il 40 per cento nel 2011?
Finora l'esperienza ci ha insegnato che ogni esercizio finanziario si è chiuso con eccedenze che sono rimbalzate all'anno successivo, trascinandosi dietro i debiti e allargando sempre di più la forbice tra fabbisogno (cioè cassa) e indebitamento (cioè competenza), che impone il ricorso al risparmio pubblico, cioè a chiedere prestiti agli italiani.
Attenzione: l'aumento dei tassi di interesse della Banca centrale europea da 4 a 4,25 per cento procurerà al nostro bilancio un incremento dei 79 miliardi e 802 milioni previsti nel conto programmatico.
Ciò significa superare ben oltre la soglia degli 80 miliardi di interessi pagati sul nostro debito pubblico, divenuto il più alto d'Europa con il suo attuale 103,9 per cento previsto sul PIL.
Avremmo creduto alla vostra manovra se ci aveste spiegato come avreste modificato la struttura della pubblica amministrazione.
Se cioè, accanto agli obiettivi finanziari aveste posto anche le riforme ordinamentali.
Chiedete solo di dare a Tremonti ha libertà di modificare gli stanziamenti di bilancio con semplice sua decretazione. Chiedete cioè di modificare surrettiziamente la legge di contabilità con l'articolo 30 del decreto-legge n. 112, commissariando di fatto il Governo con il ministro Tremonti.
Ci sono processi civili che non si celebrano per mancanza di personale di cancelleria, tribunali che non hanno computer e stampanti e scrivete di fare processi telematici; la benzina delle auto delle volanti della polizia di Milano, Roma, Torino e altre città è razionata e volete fare la lotta al crimine, nelle scuole non ci sono lavagne e dichiarate di volerla riformare.
I consumi intermedi sono tutto questo: affitti, gasolio e gas da riscaldamento per la pubblica amministrazione, attrezzature scolastiche, risorse strumentali per le forze dell'ordine, divise ed ornamenti.
Ci sono sprechi? C'è corruzione? Forse! Ma si cambiano le regole. Tagliando i fondi con le stesse regole non si va da nessuna parte.
Cambiare le regole significa rimuovere privilegi e posizioni dominanti e forse perdere qualche voto. Ma la forza di uno statista si vede dal bene che nutre per il proprio Paese e non dalle convenienze elettorali che difende.
Detto questo poniamoci un'altra domanda: di quanto si ridurrebbe la spesa totale? Di niente! La tabella 111.3 di pagina 46 mostra il quadro programmatico dei conti pubblici, ossia dei risultati che saranno ottenuti con la vostra manovra e i vostri proclami.
La spesa corrente, al netto degli interessi per il debito pubblico, passa da 641 miliardi e 203 milioni del 2008 a 653 miliardi di euro nel 2009 e a 664 miliardi e 753 milioni nel 2010. Rimane sostanzialmente stabile rispetto al PIL. Quindi nessun decremento significativo. E lo scrivete voi del Governo, non lo dice l'Unione di Centro.
Ma c'è di più!
Avete scritto nel programma della Lega e del Popolo della Libertà che avreste ridotto la pressione fiscale, avreste liberato gli italiani dal morso delle tasse. Nella stessa tavola dei dati programmatici scrivete che la pressione fiscale nel 2008 sarà del 43 per cento e tale rimarrà nel 2009. Quello che è grave è che scrivete che aumenterà al 43,2 per cento nel 2010 ePag. 59sarà del 43,1 per cento nel 2011, anno di pareggio di bilancio e tale rimarrà nel 2012.
A parte quindi la bugia detta agli italiani, rimangono alcune considerazioni: la ricchezza (cioè il PIL) non cresce e rimane al di sotto della metà di quella dell'Europa dell'euro; la pressione fiscale non scende ma aumenta in tutta la durata del Governo Berlusconi rispetto a quella di quest'anno; l'inflazione a giugno è stata registrata al 3,7 per cento ed è la tassa occulta più odiosa per i lavoratori a reddito fisso, che non possono scaricare su altri l'erosione del potere di acquisto di salari, pensioni e stipendi; la spesa corrente non diminuisce nonostante gli obiettivi finanziari proclamati in norme-manifesto senza alcun contenuto sostanziale; la spesa pubblica complessiva cresce a causa dell'aumento dei tassi d'interesse sul debito pubblico decisi dalla BCE qualche giorno fa.
Ci domandiamo, come opposizione di Unione di Centro e come italiani: come pensate di uscire da questo intreccio di vincoli oggettivi e di dati contraddittori?
Davvero pensate che con slogan, frasi ad effetto, interviste televisive, si possano risolvere i problemi drammatici che abbiamo di fronte?
La bassa crescita è dovuta alla caduta della domanda interna, a causa della riduzione del potere di acquisto di salari, stipendi e pensioni e dei redditi degli italiani, compressi tra inflazione e pressione fiscale.
Siccome l'inflazione cresce e la pressione fiscale pure, non credo che per il 2009 ci sia quella disponibilità di reddito per rilanciare il PIL.
L'altra componente è la riduzione delle esportazioni e la perdita di quote di mercato internazionale da parte del nostro sistema produttivo.
Due sono i fattori che incidono sulla sfida globale: la scarsa competitività per l'alto costo di produttività dei nostri prodotti e il basso valore aggiunto, che ci spinge verso mercati tradizionali, dove i paesi emergenti praticano prezzi più competitivi perché privi di clausole sociali ed ambientali; la penalizzazione del cambio euro/dollaro, arrivata ormai a 1,5 dollari per ogni euro.
Quest'ultimo aspetto penalizza l'export tradizionale, ma non quello ad alto contenuto di conoscenza e di creatività (meccanica, chimica, elettronica, farmaceutica e made in Italy).
Inoltre l'euro forte ci protegge dall'alto costo delle materie prime, dei prodotti petroliferi e degli alimentari d'importazione che vengono ancora pagati in dollari.
Quindi attenzione a maledire l'euro, come qualche volta scappa di bocca a qualche focoso leghista, oppure ad allentare il fronte europeo rispetto alla globalizzazione.
Per l'Italia l'Europa è un ombrello troppo importante!
Quindi, siamo in una situazione interna drammatica e in una situazione internazionale altrettanto drammatica.
Da soli non ce la farete mai!
Non solo la situazione è molto più complicata delle vostre capacità a risolverla, ma invece di ricercare alleanze e strategie comuni con le forze sociali e politiche, di ricercare una comune coscienza nazionale attraverso tutte le istituzioni repubblicane, avete »strappato la tela« tessuta con l'opposizione, avete identificato la magistratura come un potere eversivo, avete aggirato e provocato il Presidente della Repubblica facendogli firmare decreti-legge poi stravolti in Parlamento con emendamenti corsari di dubbia costituzionalità per difendere interessi particolari del Premier, vi apprestate a sfidare i sindacati, le regioni e gli enti locali su una piattaforma di contenimento della spesa pubblica che si cala dall'alto, senza un processo di riforma dal basso.
Pensate che l'Italia sia tutta raccolta in una stanza, in un salotto del potere, dove poche persone decidono per tutti con qualche norma scritta anche male. Non è così!
Siamo un Paese ricco di apporti territoriali, istituzionali, culturali, sociali e politici, che devono saper dialogare e marciare nella stessa direzione.Pag. 60
Il Presidente del Consiglio non è sufficiente che sia un bravo solista, ma deve saper essere un bravo direttore d'orchestra e tale non ha intenzione di mostrarsi, nonostante un inizio di legislatura rassicurante, ma che è durato qualche settimana.
L'Unione di Centro non trova quasi niente delle missioni di Governo promesse da Berlusconi agli italiani in campagna elettorale.
A cominciare dalla famiglia, dalla riduzione delle tasse attraverso la graduale introduzione del «quoziente familiare», dal sostegno ai disabili, dalla realizzazione dei servizi all'infanzia e alla maternità.
Non c'è che una vana dichiarazione del Ministro Tremonti per il futuro, che non è scritta nel DPEF.
La Ministra Carfagna si è impegnata sul terreno della prostituzione e non ha aperto bocca o scritto un rigo sulla famiglia nel DPEF. Non facciamo commenti!
Se, invece di buttare all'aria 1,7 miliardi per l'abolizione dell'ICI, saccheggiando le spese d'investimento per il sud, a cominciare dalla riproposizione del ponte sullo stretto di Messina, che avete ulteriormente definanziato, aveste destinato detta somma per defiscalizzare i redditi familiari per libri di testo, tasse scolastiche, asili nido, coniuge disoccupato e figli minori a carico, non avreste ottenuto un rilancio dei consumi interni?
Se aveste dato qualcosa in più ai pensionati minimi, come avevate promesso in campagna elettorale, invece della «tessera di povertà», non sarebbe stato più dignitoso socialmente e civilmente?
Avete fatto credere di togliere ricchezza a banche, petrolieri e assicurazioni per dare ai poveri, come Robin Hood.
È vero, questo fate: togliete a costoro 5 miliardi e 100 milioni in tre anni per ridare solo nel 2009 circa 200 milioni a 1.300.000 pensionati minimi. Un capolavoro di propaganda politica.
In realtà con queste entrate andate a finanziare quella spesa che dite di tagliare, ma che sapete di non riuscire a farlo.
Intanto consentirete a banche, assicurazioni e petrolieri di traslare su clienti e consumatori, attraverso bollette di luce e gas e commissioni bancarie, quello che voi non avete avuto la capacità di fare con una politica di responsabilità.
Auspico un Governo diverso. Un Governo di unità nazionale, che parli a tutti gli italiani e non ad una sola parte.
Noi dell'Unione di Centro presenteremo una nostra risoluzione, che della famiglia e della sicurezza dei cittadini fa una questione centrale, da condividere nell'ambito del risanamento dei conti pubblici.